ISSN 1725-2466 doi:10.3000/17252466.C_2011.248.ita |
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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248 |
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Edizione in lingua italiana |
Comunicazioni e informazioni |
54o anno |
Numero d'informazione |
Sommario |
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I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri |
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PARERI |
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Comitato economico e sociale europeo |
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472a sessione plenaria del 15 e 16 giugno 2011 |
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2011/C 248/01 |
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2011/C 248/02 |
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2011/C 248/03 |
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2011/C 248/04 |
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2011/C 248/05 |
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2011/C 248/06 |
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2011/C 248/07 |
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2011/C 248/08 |
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2011/C 248/09 |
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2011/C 248/10 |
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III Atti preparatori |
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COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO |
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472a sessione plenaria del 15 e 16 giugno 2011 |
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2011/C 248/11 |
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2011/C 248/12 |
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2011/C 248/13 |
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2011/C 248/14 |
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2011/C 248/15 |
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2011/C 248/16 |
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2011/C 248/17 |
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2011/C 248/18 |
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2011/C 248/19 |
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2011/C 248/20 |
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2011/C 248/21 |
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2011/C 248/22 |
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2011/C 248/23 |
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2011/C 248/24 |
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2011/C 248/25 |
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2011/C 248/26 |
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2011/C 248/27 |
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2011/C 248/28 |
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IT |
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I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri
PARERI
Comitato economico e sociale europeo
472a sessione plenaria del 15 e 16 giugno 2011
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/1 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo e le priorità della politica di coesione nel quadro della strategia Europa 2020» (parere esplorativo richiesto dalla presidenza ungherese)
2011/C 248/01
Relatore: BARÁTH
Il 15 novembre 2010, l'ambasciatore Péter GYÖRKÖS, rappresentante permanente della Repubblica di Ungheria presso l'UE, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della futura presidenza ungherese, di elaborare un parere esplorativo sul tema:
Il ruolo e le priorità della politica di coesione nel quadro della strategia Europa 2020.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli, 9 voti contrari e 22 astensioni.
1. Raccomandazioni e osservazioni
1.1 Raccomandazioni
1.1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la risposta dell'UE alla crisi, la filosofia e gli obiettivi della strategia Europa 2020 e le relative iniziative faro definiscano un percorso adeguato. Esso è inoltre convinto che le misure adottate e gli strumenti proposti diano adito ad aspettative positive. La strategia, assieme al patto euro plus, si concentra sui fondamentali cambiamenti qualitativi necessari e sugli elementi di crescita potenziale.
1.1.2 L'UE costruisce un'integrazione via via più profonda e più forte. A giudizio del CESE, l'Unione europea e i suoi Stati membri, se vogliono rafforzare l'integrazione, dovranno introdurre, nel lasso di tempo che manca al 2020, nuovi ed essenziali cambiamenti, concernenti in particolare la qualità al livello delle sue istituzioni e dei suoi sistemi giuridici e finanziari. Tutto ciò presuppone una combinazione di stabilità sostenibile (nel lungo periodo), di miglioramento della competitività (potenziale di crescita) e di consolidamento della coesione (economica, sociale e territoriale).
1.1.3 In vari pareri il CESE ha sottolineato che la politica di coesione costituisce un «valore storico dell'Unione», e che i suoitre obiettivi, vale a dire la convergenza, il miglioramento della competitività regionale grazie alla creazione di posti di lavoro e l'intensificazione della cooperazione territoriale, devono esserepreservati e rafforzati. Le regioni e i paesi meno sviluppati d'Europa devono infatti aumentare gli investimenti a favore delle infrastrutture e di altri capitali poiché si tratta di iniziative fondamentali per accelerare la crescita potenziale.
1.1.4 Il Comitato è convinto che le risorse finanziarie destinate al sostegno della politica di coesione abbiano generalmente prodotto ottimi risultati, ma osserva che tali fondi possono e devono essere trasformati e sviluppati ulteriormente. Ritiene inoltre che sarebbe possibile migliorare in particolare l'efficienza e l'efficacia del finanziamento e delle spese. Occorre armonizzare gli strumenti della politica di coesione e la strategia Europa 2020, in modo da non nuocere alla politica europea di coesione.
1.1.5 Il CESE propone che nel quadro del riesame degli obiettivi e degli strumenti attuali della politica di coesione, venga studiata la possibilità di trasformare tali obiettivi e strumenti per renderli conformi agli elementi della strategia Europa 2020, nella seguente maniera:
1.1.5.1 Obiettivi e strumenti attuali della politica di coesione
Politica di coesione |
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Finalità |
Fondi strutturali e strumenti |
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Convergenza / crescita sostenibile |
FESR |
FSE |
Fondo di coesione |
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Competitività e occupazione a livello regionale |
FESR |
FSE |
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Cooperazione territoriale europea |
FESR |
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1.1.5.2 Europa 2020: tre priorità interconnesse
a) |
Crescita intelligente: sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione; |
b) |
crescita sostenibile: promuovere un'economia più efficiente, più verde e più competitiva; |
c) |
crescita inclusiva: promuovere un'economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale. |
1.1.5.3 Il CESE propone che la politica di coesione metta chiaramente l'accento sugli obiettivi socioculturali, sociali e di solidarietà, sull'utilizzazione deifondi strutturali a fini di investimento, in stretta collaborazione con gli altri fondi europei. In assenza di ciò, l'orientamento della strategia Europa 2020 verso una crescita economica energica, che di per sé dev'essere sostenuta, potrebbe relegare in secondo piano la coesione sociale e territoriale.
1.1.5.4 Se si invertono, nei fondi strutturali, gli obiettivi relativi alla competitività e quelli relativi alla convergenza, permettendo all'approccio multifondo di svolgere un ruolo dominante, tutti gli obiettivi rispettivi della strategia Europa 2020 e della coesione sarebbero abbastanza compatibili tra loro, e i fondi strutturali UE potrebbero contribuire meglio all'aumento della competitività regionale:
Strategia Europa 2020 |
Politica di coesione (struttura riformata) |
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Obiettivi/strumenti |
Iniziative faro: |
Obiettivi/strumenti |
Fondi strutturali e strumenti |
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Crescita intelligente |
Un'agenda digitale europea, l'Unione dell'innovazione, Gioventù in movimento |
Competitività e occupazione a livello regionale |
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Ricerca/innovazione, Istruzione, Società digitale |
Maggiore competitività / aumento dell'attrattiva del territorio, sviluppo delle risorse umane / istruzione ecc., Innovazione / società della conoscenza |
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Crescita sostenibile |
Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse, Una politica industriale per l'era della globalizzazione |
Convergenza |
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Energie ecologiche / società attenta all'ambiente, sviluppo delle reti / imprese di piccole dimensioni |
Sviluppo dell'ambiente e delle infrastrutture per predisporre le basi della crescita, sviluppo delle capacità istituzionali |
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Crescita inclusiva |
Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro, Piattaforma europea contro la povertà |
Cooperazione territoriale europea |
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Parità di accesso / un numero maggiore di posti di lavoro di migliore qualità |
Cooperazione locale, regionale e macroregionale |
1.1.6 Il CESE riconosce che l'armonizzazione strutturale proposta più in alto richiede l'attuazione diprofondi cambiamenti e l'impegno nella definizione degli obiettivi particolareggiati; occorre tra l'altro stabilire obiettivi complementari in materia di competitività ed estendere la cooperazione territoriale al sostegno degli sviluppi macroregionali. Se non vi è modo di stabilire dei nessi diretti tra la strategia Europa 2020 e la politica di coesione dell'UE, è possibile che i loro obiettivi, le loro risorse nonché l'efficacia dell'attuazione delle politiche ne risentano sensibilmente.
1.1.7 L'armonizzazione strutturale potrebbe realizzarsi se l'UE riconoscesse la coesione e la politica di coesione, in senso lato, come priorità di importanza pari alla competitività. Ciò dovrebbe riflettersi sul modo in cui verrebbe eseguita l'assegnazione delle risorse a tali due priorità. Tuttavia, non si tratta soltanto di garantire anche in futuro delle risorse finanziarie agli obiettivi della coesione, bensì anche di spendere in maniera più efficace le risorse destinate alla coesione.
1.1.7.1 Il CESE chiede urgentemente che si migliorino le proposte relative al regime di condizionalità ex ante ed ex post per il controllo dell'efficacia e dell'efficienza della politica di coesione dell'UE. Tuttavia tale regime non dovrà compromettere la semplificazione degli strumenti di coesione nella loro globalità; al contrario, dovrebbe ridurre i costi di attuazione e aumentare la prevedibilità. Il CESE auspica che i cambiamenti istituzionali e amministrativi contribuiscano a creare un sistema più semplice ed efficiente. Occorre sviluppare un modello che permetta di valutare le interazioni che intervengono nella realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, dei programmi nazionali di riforma e della politica di coesione sulla base delle particolarità dei paesi e delle regioni che ne beneficiano.
1.1.8 Il CESE riconosce che tutte le politiche dell'Unione devono contribuire al successo della strategia Europa 2020. La comunicazione sul riesame del bilancio dell'Unione propone una nuova programmazione strategica della politica di coesione. Il CESE approva pienamente il fatto che la Commissione europea elabori un quadro strategico comune, che tradurrebbe gli obiettivi e i traguardi della strategia Europa 2020 in priorità di investimento. Il quadro coprirebbe tutti i fondi UE, integrando inoltre tutti gli altri strumenti finanziari dell'Unione.
1.1.9 Il CESE ribadisce che il Fondo sociale europeo dovrebbe sostenere, in quanto strumento dell'UE per l'investimento nelle risorse umane, le tre priorità della strategia Europa 2020: la crescita intelligente, la crescita sostenibile e la crescita inclusiva. In questo contesto l'occupazione, la formazione e l'istruzione, l'inclusione attiva e le politiche per la parità di opportunità costituiscono degli elementi chiave.
1.1.10 Il CESE ritiene che la realizzazione degli obiettivi rafforzati richieda un consolidamento della struttura istituzionale del FSE e un miglioramento della sua efficacia, senza che ciò comporti un aumento degli oneri amministrativi. Il Fondo sociale europeo deve svolgere un ruolo importante nel migliorare la situazione dei gruppi sociali particolarmente svantaggiati (ad esempio immigrati, minoranze, disabili o Rom) e nel garantire loro condizioni che ne favoriscano l'integrazione.
1.1.11 Il CESE fa osservare che il coordinamento delle politiche finanziate dai differenti fondi con gli strumenti della politica di coesione dell'UE e della strategia Europa 2020 può avere un'incidenza sui loro obiettivi iniziali e pregiudicare la loro integrità territoriale, il che può eventualmente modificarli. Inoltre nel contesto dell'attuazione possono apparire nuovi punti di vista essenziali. È necessario predisporre dei meccanismi iterativi di pianificazione, di orientamento e di controllo. La nozione chiave di processo iterativo si fonda sul fatto che, nel quadro dell'«accordo di partenariato», occorre definire non solo le tappe preparatorie dello sviluppo, ma anche l'intero processo di attuazione, le relative condizioni e la valutazione della sua efficacia. Tuttavia, le parti devono essere consapevoli del fatto che gli obiettivi generali dei comitati di gestione possono cambiare in funzione del continuo monitoraggio dei beneficiari.
1.1.12 Il CESE ribadisce che per realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020 occorre rafforzare il coordinamento a livello della gestione di ciascun fondo, specie per quanto riguarda il Fondo di coesione, i fondi strutturali e i fondi per l'innovazione.
1.1.13 Il CESE ritiene chea lungo termine, per evitare eventuali conflitti, appare opportuno per varie ragioni promuovere l'integrazione di tutti gli aspetti della politica strutturale dell'UE (tra cui, ad esempio, la strategia Europa 2020, la politica di coesione, la politica agricola comune o la BEI) in un insieme del tutto coerente di politiche generali dell'UE, che si potrebbe chiamare UE 2050. Ciò permetterebbe di rafforzare il coordinamento e la cooperazione sul piano politico e tecnico senza porre fine alle differenti politiche. Naturalmente tale proposito sarebbe difficile da realizzare fintanto che una parte delle politiche in questione rientra nelle competenze dell'UE, mentre le altre permangono sotto la responsabilità degli Stati membri. Rafforzare la dimensione regionale può costituire un mezzo adeguato per pervenire gradualmente all'obiettivo perseguito.
1.1.14 Lo sviluppo di un'Europa policentrica, composta da siti «intelligenti» interconnessi, richiede un lavoro di squadra, che sarà possibile solo nel quadro di una cooperazione tra parti in causa. La cooperazione nelle zone transnazionali e le strategie di sviluppo macroregionali, che riuniscono le parti in causa di vari paesi e settori, possono costituire uno dei percorsi da seguire.
1.2 Regioni e coesione
1.2.1 Il CESE ritiene che la competitività dell'UE dipenda in grande misura dall'aumento della competitività delle regioni.
1.2.2 A suo giudizio, le cooperazioni macroregionali che stanno emergendo sono determinanti per varie ragioni. Come il CESE ha già sottolineato nei pareri sulla regione del Baltico e sulla regione danubiana, gli aiuti concessi nel quadro dei fondi strutturali possono permettere di tracciare delle strategie nel quadro delle reti transeuropee, materiali e immateriali, di cui l'UE ha bisogno per consolidare la competitività e l'attrattiva del proprio territorio.
1.2.3 Il CESE ritiene che il futuro dell'UE e il rafforzamento della sua unità politica dipendano anche dalla capacità di andare al di là della prospettiva regionale interpretata in maniera statistica, confinata entro le frontiere nazionali. È evidente che i progressi tangibili compiuti in questi ultimi anni in direzione della regionalità, dei programmi complessi e dei legami orizzontali, nonché in direzione di un rafforzamento dei sistemi produttivi locali (cluster) costituiscono il percorso lungo il quale possono svilupparsi le dimensioni sociali e territoriali dell'economia europea.
1.2.4 A giudizio del CESE non ha senso realizzare, nel quadro di politiche differenti, obiettivi paralleli, o a volte del tutto identici, come del resto non ha senso predisporre un'altra serie di strumenti rispetto a quello, relativamente ben consolidato, della coesione.
1.2.4.1 Il prossimo decennio sarà sempre di più il decennio della regione funzionale. Estesa a uno o più centri, a dei legami transfrontalieri territoriali orizzontali o economici verticali, a delle possibilità giuridiche, finanziarie, istituzionali di «cooperazione rafforzata», la «regione» dotata di un nuovo significato può apportare una dimensione nuova all'Europa intelligente. Nondimeno è sempre necessario un piano di recupero perché ci sono, e continueranno ad esserci, delle regioni in ritardo di sviluppo.
1.2.5 Il CESE ritiene che il cammino da seguire passi per la trasformazione dell'economia europea in un attore di successo sulla scena mondiale, l'aumento del potenziale di crescita, la diminuzione delle disparità regionali, il sostegno alle microimprese e alle piccole e medie imprese che esercitano le loro attività nelle periferie, la mobilitazione di nuove risorse, la sensibilizzazione all'ambiente e a uno stile di vita sano, la qualità dell'istruzione, la motivazione delle giovani generazioni, la promozione dell'innovazione, l'aumento della disponibilità a partecipare a dei processi e l'approfondimento dell'identità europea.
1.3 Città e centri urbani
1.3.1 Il CESE sottolinea che la competitività dell'Europa dipende fortemente dalle sue metropoli e regioni metropolitane, dove le imprese possono avvantaggiarsi delle economie urbane e delle reti che interconnettono i mercati mondiali. Le zone urbane possono in generale rivelarsi motori di crescita e centri di creatività e di innovazione. È possibile incrementare i livelli di crescita e la creazione di posti di lavoro a condizione che ci sia una massa critica di vari operatori come imprese, università e ricercatori. I problemi urbani, siano essi legati al degrado ambientale o all'esclusione sociale, richiedono una risposta specifica e il coinvolgimento diretto degli enti locali interessati.
1.3.2 Il CESE ritiene che andrebbe sviluppata un'ambiziosa agenda urbana in cui le risorse finanziarie vengano identificate con maggiore chiarezza e le amministrazioni cittadine svolgano un ruolo più incisivo nell'elaborare e applicare le strategie di sviluppo urbano.
1.3.3 In base alla loro situazione geografica, i sistemi urbani sono integrati da differenti zone di attrazione. Il CESE non può accettare che in futuro permanga il «tradizionale» antagonismo tra città e campagna. I vantaggi che possono derivare da partenariati tra zone urbane e zone rurali dipendono fortemente da fattori contestuali locali, per loro natura unici.
1.4 Le zone rurali e l'agricoltura
1.4.1 Il CESE ritiene che, nel quadro della strategia Europa 2020, la politica di coesione, da un lato, e la politica agricola comune, dall'altro, svolgano un ruolo essenziale nel campo dello sviluppo integrato del territorio. L'agricoltura, fonte importante di dinamismo economico, rimane infatti un settore strategico per l'UE, sia dal punto di vista della sicurezza alimentare che per il suo potenziale in termini di crescita e aumento dell'occupazione nelle zone rurali e per il suo contributo alla lotta contro il cambiamento climatico.
1.4.2 In quest'ottica, le due politiche sono chiamate a orientare le loro sinergie verso obiettivi comuni e integrati, finalizzati a trasformare l'UE in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da livelli elevati di occupazione, di produttività e di coesione sociale.
1.4.2.1 Il CESE ritiene che nelle zone rurali, i siti intelligenti e collegati su scala mondiale abbiano un ruolo da svolgere nella concretizzazione del rilancio cui punta la strategia Europa 2020. Al pari di quanto avviene nel caso delle zone urbane, le reti costituiscono qui una forma organizzativa di primaria importanza per le imprese e per lo sviluppo regionale.
2. Conclusioni
2.1 Il CESE approva il fatto che i riferimenti politici della strategia Europa 2020 alle esigenze di innovazione fondate sul cambiamento climatico, sull'efficienza energetica, sulle energie rinnovabili, sulla salute e sui cambiamenti demografici presentino dei legami strutturali con gli obiettivi di coesione stabiliti nel settore dell'istruzione, della ricerca e sviluppo e della società digitale (dell'informazione). Questi costituiscono un ponte, anche a livello regionale, tra gli obiettivi della politica di coesione e la strategia Europa 2020.
2.1.1 Il CESE constata d'altro canto una contraddizione tra le differenti concezioni teoriche e le nozioni utilizzate nella pratica. Il Trattato di Lisbona, legittimando la territorialità dei processi di coesione, ha collocato la regionalità in una nuova dimensione. Il modo in cui la regione sarà definita in futuro nella politica regionale non è indifferente. Una definizione è indispensabile per trovare un terreno comune, sia dal punto di vista territoriale e istituzionale che dal punto di vista degli strumenti giuridici e finanziari impiegati, al fine di garantire una crescita sostenibile e dinamica dell'Europa.
2.1.1.1 Il CESE riconosce che l'emergere di strategie macroregionali è un processo di una certa importanza, che si può ricondurre al concetto di coesione territoriale, apparso con il Trattato di Lisbona. Occorre perseguire una buona complementarità tra le politiche regionali in senso stretto e la cooperazione tra regioni europee più vaste o più distanti, ma che condividono degli interessi comuni in materia di cooperazione.
2.2 Le zone che posseggono attività «trainanti» sono contraddistinte dall'intersezione tra alcune componenti del programma (regionale, territoriale, interurbano) definite in particolare nello spazio. Tali zone trainanti dispongono di uno o vari grandi centri urbani, senza per questo escludere gli altri centri o spingerli verso la periferia. I centri di eccellenza europei, definiti da competenze innovative caratteristiche di taluni settori economici, non sono una accumulazione casuale di attitudini e di competenze individuali raccolte in un determinato agglomerato, ma sono piuttosto delle conoscenze riassunte da relazioni ben definibili nello spazio fisico.
2.2.1 L'eccellenza non può nascere senza sviluppi quantitativi articolati nel sistema degli obiettivi della coesione: ambiente, infrastrutture, istruzione o formazione. La particolarità di tali spazi è costituita dalla loro apertura. La partecipazione è libera ma, per ragioni qualitative, le occasioni si creano in maniera duratura intorno a determinati centri di gravità. La prevedibilità è giustamente fondata sulla stabilità storicamente proiettabile delle attitudini multidimensionali dei territori.
2.3 Affinché l'innovazione possa realizzarsi, è indispensabile sostenere le nuove forme di democrazia. Occorre sviluppare le forme abituali della «concertazione sociale» e, grazie all'introduzione degli strumenti della democrazia partecipativa, liberare le competenze per incoraggiare la società civile organizzata a essere più incline e «disponibile» a partecipare, conformemente ai principi fondamentali dei Trattati UE.
2.4 L'innovazione consiste nel mettere in pratica nuove riflessioni e proposte, anticipando la concorrenza. Occorre in sostanza anticipare, sfruttando le conoscenze, i processi prevedibili. La complessità dell'innovazione le permette di sommare, in tutta la loro diversità, le competenze umane, le attitudini tecniche e le relazioni economiche. È naturale che gli agglomerati, i poli, offrano le condizioni contestuali che costituiscono lo spazio vitale senza il quale tutto ciò rimane astrazione.
2.5 È per questa ragione che, sulla base di analisi territoriali, una parte integrante dei sistemi e delle politiche di sostegno finanziario deve essere costituita da un sostegno parallelo e concertato fornito all'innovazione e al recupero.
2.6 Evidentemente la strategia Europa 2020 costituisce un programma globale di crescita, competitività, sostenibilità e politica strutturale. Ma in una prospettiva più ampia, contemplata su scala mondiale, la strategia Europa 2020 costituisce al tempo stesso un programma che permette all'Europa di essere competitiva sul mercato globale.
2.7 Gli obiettivi della strategia Europa 2020 e quelli della politica di coesione concordano con quanto detto fin qui. Per quanto riguarda Europa 2020, il quadro istituzionale della sua attuazione manca degli elementi finanziari e giuridici comuni e nuovi che potrebbero trasformarsi, interagendo, in fattori di aumento dell'efficacia. L'argomentazione in base alla quale attraverso una rielaborazione e una integrazione degli strumenti della coesione si accelererebbe la realizzazione di un'Europa orientata verso l'innovazione, di un'Europa «intelligente», è corretta, ma solo a condizione che gli strumenti finanziari siano ampliati facendo leva sulle sinergie create grazie all'integrazione di fonti differenti.
3. Discussione
3.1 La crisi intervenuta alla fine dello scorso decennio ha accelerato il rinnovamento politico ed economico dell'Europa.
3.1.1 In parte a causa della crisi mondiale, l'UE si trova nella necessità di procedere a un'integrazione economica rafforzata. Si tratta, a giudizio del CESE, di un processo benefico, perché rafforza l'Unione, ma difficile, perché la cooperazione tra 27 paesi non è facile. Malgrado tutti i suoi problemi, tale integrazione economica (e necessariamente politica) rafforzata ha come idea direttrice l'attuazione di una «politica economica dell'UE». Essa si basa su tre grandi pilastri (1):
a) |
La stabilità Attraverso il patto di stabilità e di crescita, l'UE estende il controllo comune dei settori che comportano un rischio per la stabilità e predispone un meccanismo di gestione delle crisi (Fondo europeo di stabilità finanziaria e Meccanismo europeo di stabilità). |
b) |
La crescita e la competitività Per realizzare tali obiettivi l'UE ha adottato la strategia Europa 2020 e il patto euro plus. |
c) |
La coesione L'UE ha predisposto la politica di coesione e la politica agricola comune allo scopo di realizzare al proprio interno un allineamento sociale, economico e territoriale. |
3.2 Gli adeguamenti, i documenti e le strategie di base adottati costituiscono una formula per il rinnovamento. Essi hanno creato le condizioni e gli strumenti che i dirigenti politici dell'UE e degli Stati membri hanno la responsabilità comune di sfruttare. I differenti strumenti sono disponibili per concretizzare insieme la stabilità, la crescita e la competitività e realizzare la coesione.
3.3 Il coordinamento della strategia Europa 2020 e della politica di coesione racchiude già in sé, in quanto compito da eseguire, una dicotomia. Tale dicotomia lascia comprendere il pericolo in agguato, vale a dire l'opposizione tra la libertà delle economie di mercato e il livellamento sociale e territoriale. Il rischio è ancora più grande in questo momento, poiché, quando le risorse scarseggiano, una delle due finalità viene realizzata a discapito dell'altra. Per rafforzare la coesione bisognerebbe migliorare le condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività. Nel contesto globale attuale, le regioni e gli Stati membri meno sviluppati non devono perdere altro tempo.
3.4 Le finanze pubbliche, dal canto loro, sono state indebolite in maniera durevole dalla crisi in numerosi Stati membri, e sarà difficile consolidarle in un momento in cui si fanno già sentire anche i costi dell'invecchiamento demografico. In poche parole, la maggior parte degli Stati membri si trova di fronte alla prospettiva di tempi difficili.
3.5 Molto opportunamente la strategia Europa 2020 non fa una distinzione tra, da un lato, le riforme strutturali che si possono adattare nel lungo periodo e, dall'altro, le misure da intraprendere in vista di un rinnovamento a breve termine.
3.6 Il successo della strategia Europa 2020 non deve dipendere da fattori congiunturali. Sono proprio le risorse investite perseguendo lente trasformazioni strutturali quelle che «comandano» i settori in grado di rinnovare il sistema stesso grazie alla loro innovazione competitiva.
3.7 Gli elementi del potenziale di crescita e gli obiettivi della strategia Europa 2020 entrano (giustamente) in corrispondenza in vari punti, ma vi sono anche talune divergenze involontarie.
3.7.1 Tra gli obiettivi della strategia Europa 2020 - dal punto di vista del potenziale di crescita - l'innalzamento del tasso di occupazione e il miglioramento del livello delle qualificazioni corrispondono agli aspetti quantitativi e qualitativi della manodopera. L'obiettivo relativo alle spese per ricerca e sviluppo come pure quello concernente il clima e l'energia hanno delle ripercussioni sulla qualità del capitale e sulla sostenibilità ambientale. Tuttavia la strategia Europa 2020 non precisa alcuni dei fattori che determinano la quantità e la qualità dei capitali necessari (gli investimenti e il loro livello tecnico), né la produttività totale dei fattori. La strategia Europa 2020 riconosce particolare importanza alle spese destinate alle attività di ricerca e sviluppo, ma non tratta adeguatamente i processi di innovazione all'interno delle imprese o l'innovazione economica e sociale, la quale non è di per sé assimilabile alle attività di ricerca e sviluppo.
3.7.2 Sulla base di tali elementi si constata che la strategia Europa 2020 riflette un approccio economico che corrisponde alle esigenze ed alle caratteristiche delle economie sviluppate, caratterizzate da una crescita lenta, da considerevoli capacità di ricerca e sviluppo, e da un tasso di investimento relativamente basso. Tale tasso di investimenti si è già da tempo rivelato sufficiente per mettere in movimento le necessarie riforme strutturali. Nei paesi sviluppati non vi è alcun dubbio che la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione svolgano un ruolo importante nella crescita economica. Interpretata in tale modo, la coesione, se pure non si oppone alla competitività, la relega quantomeno in una posizione subalterna.
3.7.3 Per garantire il recupero dei nuovi Stati membri, contraddistinti da un livello inferiore di sviluppo economico, occorrono invece degli investimenti, in particolare destinati alle infrastrutture e ad altri settori. In tali paesi la principale fonte di crescita economica è l'investimento, dal momento che le attività di ricerca e sviluppo intervengono in una misura minore. Il documento della Commissione (2) menziona ovviamente la coesione ma, sotto tale profilo, il relativo progetto non dedica sufficiente rilievo al recupero degli Stati membri meno sviluppati.
3.8 È impossibile analizzare la strategia Europa 2020 senza conoscere l'assegnazione delle risorse finanziarie. Da un lato esiste una «zona grigia» tra il 2010 e il 2013, durante la quale le prospettive finanziarie attuali resteranno in vigore ma non sempre consentiranno di realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020 (per esempio in materia di strategia digitale). D'altra parte gli obiettivi adottati nel quadro della strategia Europa 2020 determinano in ampia misura le voci di spesa del prossimo bilancio dell'UE. Sulla base di tale constatazione si può raccomandare di collegare gli obiettivi della strategia Europa 2020 alle priorità del quadro finanziario.
3.9 Da analisi eseguite risulta che l'energia investita nel recupero, al di là degli innumerevoli vantaggi che offre, comporta benefici varie volte superiori allo sforzo effettuato:
— |
da un lato si può dimostrare che gli investimenti provenienti dal bilancio dell'UE generano una crescita superiore alla media dei risultati finanziari e delle prestazioni economiche dell'UE (PIL), grazie a trasferimenti tecnologici avanzati, a una importante proporzione di importazioni negli investimenti, a una manodopera qualificata, al contributo di un'infrastruttura meno cara, e a investimenti che beneficiano di un sostegno finanziario e che si sovrappongono a un'infrastruttura moderna; |
— |
d'altro lato l'ampliamento del mercato interno, l'espansione del settore dei servizi, la crescita della base di conoscenza, da soli, contribuiscono in modo considerevole alle attività di innovazione; |
— |
in terzo luogo, gli aiuti finanziari che possono essere ottenuti grazie ai fondi strutturali comportano per il settore delle piccole medie imprese un mercato, un accesso al mercato, o una risorsa per lo sviluppo; |
— |
vi è infine un considerevole impatto potenziale in termini di integrazione e di recupero, di cui possono beneficiare i gruppi sociali meno favoriti, esclusi in vari modi dal mercato del lavoro. |
3.10 Il Comitato si rammarica che la Commissione non abbia definito uno scenario di crescita economica che massimizzi il potenziale del mercato unico, ma che abbia preferito invece concentrarsi su un drastico risanamento di bilancio come presupposto per la crescita. Occorre prestare maggiore attenzione ai motori di crescita che permetteranno agli Stati membri di risanare i bilanci rimanendo su un sentiero di crescita sostenibile. A giudizio del CESE, un mix macroeconomico ben ponderato, che coniughi in modo equilibrato una politica economica orientata alla domanda e una orientata all'offerta, deve divenire un elemento costitutivo di ogni strategia economica orientata al futuro.
3.11 Sarebbe particolarmente opportuno che i programmi vengano definiti da «hub finanziari» istituiti sulla base dell'efficacia prevista e di un'analisi dei rischi. Si tratta di un passo necessario perché la globalizzazione va ben al di là delle necessità territoriali, e continueranno a rafforzarsi sia l'irradiazione su scala mondiale dei «motori» dell'innovazione, che si stanno sviluppando in talune regioni, che le loro funzioni di raggruppamento.
3.11.1 È necessario che tali regioni possano disporre liberamente delle loro risorse finanziarie e che possano stabilire autonomamente le priorità nell'assegnazione di tali risorse in funzione dei diversi fattori di sviluppo: Inoltre, attraverso la loro partecipazione sostenibile a processi di innovazione, esse devono avere la possibilità di fornire o ritirare un sostegno finanziario, in virtù del suo valore aggiunto.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Cfr. l'articolo 3, paragrafo 3, del TUE e l'articolo 174 del TFUE.
(2) COM(2010) 2020 definitivo.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/8 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Strategie per un consolidamento intelligente della politica di bilancio: la sfida di individuare dei motori di crescita per l'Europa. Come sfruttare pienamente il potenziale di manodopera delle nostre economie nel contesto di un indispensabile aggiustamento dei bilanci» (parere esplorativo richiesto dalla presidenza ungherese)
2011/C 248/02
Relatore: DANTIN
Il 15 novembre 2010 il rappresentante permanente della Repubblica di Ungheria presso l'UE, Peter GYÖRKÖS, a nome della futura presidenza ungherese, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:
Strategie per un consolidamento intelligente della politica di bilancio: la sfida di individuare dei motori di crescita per l'Europa. Come sfruttare pienamente il potenziale di manodopera delle nostre economie nel contesto di un indispensabile aggiustamento dei bilanci.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere in data 31 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 2 voti contrari e 9 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 La crisi economica e finanziaria, iniziata nel corso del 2007 e intensificatasi nel 2008, ha avuto pesanti ripercussioni sulle finanze pubbliche dei paesi europei, aggravando in particolare la loro situazione di bilancio.
1.2 Molti Stati membri stanno infatti apportando tagli alla spesa pubblica per via della necessità di alleggerire i bilanci pubblici dai costi derivanti da tutti i diversi piani di ripresa economica, di aiuti alle banche (come è avvenuto in alcuni Stati membri) e da una crescita debole di cui non si era adeguatamente tenuto conto nelle politiche economiche precedenti alla crisi. Si tratta però di una scelta che rischia di provocare un disimpegno degli Stati e di diminuire l'effetto di redistribuzione dei sistemi di solidarietà collettiva, per quanto riguarda sia la protezione sociale che i servizi pubblici.
1.3 Questo percorso veloce di ritorno all'equilibrio, oltre a generare costi sociali significativi, rischia di produrre un debole tasso di crescita per un periodo di tempo prolungato, soprattutto a causa dell'effetto depressivo sulla domanda che accentuerà i disavanzi di bilancio. Questi ultimi causeranno, a loro volta, una contrazione della domanda, innescando un «effetto valanga», una spirale che potrebbe trascinare l'economia europea in un avvitamento senza fine.
1.3.1 Una politica di bilancio «intelligente» deve appunto prefiggersi di spezzare questa spirale.
1.4 Un risanamento del bilancio «intelligente» consiste in un equilibrio «intelligente» tra entrate e uscite e tra domanda e offerta. La crescita sostenibile deve pertanto rappresentare l'obiettivo principale della politica economica come di qualsiasi altra politica.
1.4.1 La crescita sostenibile deve quindi figurare tra gli obiettivi prioritari dell'UE.
1.5 A questo scopo è opportuno:
1.5.1 |
introdurre una regolamentazione più ambiziosa e completa dei mercati finanziari, allo scopo di porre un freno alla speculazione che, se dovesse persistere, vanificherebbe tutti gli sforzi compiuti per garantire un «risanamento di bilancio intelligente»; |
1.5.2 |
adottare una politica di bilancio al servizio della crescita,
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1.5.3 |
mettere la politica fiscale al servizio della crescita,
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1.5.4 |
prevedere delle imposte destinate a internalizzare le esternalità prodotte dal comportamento del settore finanziario, purché esse contribuiscano a creare condizioni più eque nel processo di sviluppo e di armonizzazione del mercato interno europeo;
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1.5.5 |
inventare la crescita del futuro,
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1.6 Per mettere in atto queste politiche, quando esse dipendono soltanto dalla decisione di ogni singolo Stato membro, occorre tenere conto delle ampie differenze nei risultati economici dei 27 Stati membri. Sebbene siano ravvisabili alcuni schemi comuni, sussistono infatti notevoli differenze in materia di tasso di crescita del PIL, livello e andamento del tasso di disoccupazione, nonché livello del debito pubblico e della spesa in R&S.
2. Introduzione
2.1 La presidenza ungherese ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo (CESE) di elaborare un parere esplorativo su tema Strategie per un consolidamento intelligente della politica di bilancio: la sfida di individuare dei motori di crescita per l'Europa. Come sfruttare pienamente il potenziale di manodopera delle nostre economie nel contesto di un indispensabile aggiustamento dei bilanci.
2.2 Il Comitato accoglie con favore tale richiesta.
2.3 Essa propone infatti alla riflessione del CESE una tema cui il CESE rivolge la sua attenzione e che rientra tra i lavori che il Comitato ha già realizzato dopo l'inizio della crisi finanziaria.
2.4 Il parere consentirà di aggiornare le riflessioni finora condotte dal Comitato, che serviranno da punto di partenza per l'elaborazione del presente contributo, il cui obiettivo è proseguire appunto la riflessione per rispondere al tema della consultazione (1).
2.5 Pertanto, dopo una breve analisi delle cause della crisi, verranno esaminate le conseguenze di tale crisi e i rischi, sia economici che sociali, di un risanamento di bilancio «non intelligente»; infine, verranno formulate delle proposte intese a favorire lo sviluppo di una crescita sostenibile, unico fattore in grado di rilanciare l'economia europea.
3. La crisi e le sue conseguenze
3.1 La crisi economica e finanziaria, iniziata nel corso del 2007 e aggravatasi nel 2008, ha avuto pesanti ripercussioni sulle finanze pubbliche dei paesi europei. Se, da un lato, molti governi hanno adottato provvedimenti per salvare il sistema finanziario, dall'altro, hanno adottato consistenti manovre di bilancio per contenere il più possibile la portata della recessione attraverso i loro piani di ripresa. Questi ultimi si sono aggiunti, completandola, all'azione degli stabilizzatori automatici, per evitare il collasso dell'attività economica, ma in diversi paesi hanno anche aggravato la situazione di bilancio.
3.2 Se durante la crisi finanziaria ingenti finanziamenti pubblici hanno permesso di garantire la liquidità dei mercati, l'esigenza attuale di alleggerire i bilanci pubblici del peso del sostegno fornito alle banche (come è avvenuto in alcuni Stati membri) e dei costi di altre misure discrezionali, trasforma l'aumento della disoccupazione e le ulteriori misure di austerità adottate in molti paesi in fattori che, considerati nel loro insieme, minacciano la crescita economica.
3.3 Questa situazione ha fatto aumentare significativamente il disavanzo pubblico: dal 2,3 % del PIL (2008) al 7,5 % (previsione 2010) in tutta l'Unione europea, e dal 2 al 6,3 % nella zona euro (dati Eurostat). Nello stesso periodo si è registrato anche un aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL: dal 61,6 all'80 % nell'Unione europea e dal 69,4 al 78,7 % nella zona euro. Il tasso di crescita invece dovrebbe essere pari allo 0,7 % (2010), mentre la disoccupazione risulterebbe in crescita: 7,1 % nel 2007, 9,1 % nel 2009 e 10,3 % a fine 2010 (previsione), ovvero circa 25 milioni di persone, di cui circa 8 milioni avranno perduto il loro posto di lavoro per via della crisi.
3.4 Si osserva inoltre che vi è il rischio che le azioni condotte in alcuni Stati membri, che consistono essenzialmente nel diminuire la spesa pubblica per ripristinare l'equilibrio di bilancio in tempi rapidi e ridurre il debito, provochino il disimpegno degli Stati per quanto riguarda l'effetto di redistribuzione dei sistemi di solidarietà collettiva. Vi sono quindi enormi preoccupazioni sul possibile smantellamento dei sistemi di protezione sociale e dei servizi pubblici, proprio nel momento in cui il loro ruolo di stabilizzatori automatici e di ammortizzatori efficaci della crisi è stato unanimemente elogiato.
3.4.1 Per il Comitato, è indispensabile salvaguardare il capitale sociale europeo e il capitale naturale, che sono fattori imprescindibili del rafforzamento della crescita.
3.4.2 Sarebbe disastroso per la sua credibilità (e per quella degli Stati membri) se l'UE si mostrasse, di fronte ai propri cittadini, determinata a adottare importanti misure a favore di un settore, quello finanziario e bancario (come è avvenuto in alcuni Stati membri), direttamente responsabile della crisi attuale e che, peraltro, in un momento in cui occorre combattere il rallentamento della crescita, l'impennata della disoccupazione, i processi di precarizzazione, e assicurare la solidarietà attraverso i sistemi di protezione sociale e i servizi pubblici, risulterebbe inefficace penalizzando i cittadini europei, completamente estranei «alla fabbricazione» della crisi economica e finanziaria. Questa situazione non farebbe altro che far aumentare ancor di più la distanza tra l'UE e i suoi cittadini.
3.5 Questa percorso veloce di ritorno all'equilibrio, consiste innanzitutto nel ridurre la spesa pubblica; oltre a generare costi sociali, esso rischia di produrre un debole tasso di crescita per un periodo di tempo prolungato (soprattutto a causa dell'effetto depressivo sulla domanda), accompagnato da un livello di disoccupazione persistente o addirittura in crescita e, conseguentemente, da un'erosione della competitività mondiale dell'Europa.
3.5.1 Il rigore di bilancio rischia di provocare una contrazione della domanda, che potrebbe a sua volta innescare una recessione seguita da nuovi disavanzi suscettibili di spingere l'economia europea «in un avvitamento senza fine»…
3.5.2 Tale contrazione della domanda sarà tanto più significativa quanto più continueranno ad accentuarsi le disuguaglianze (in Francia, ad esempio, tra il 1998 e il 2005, il salario medio dello 0,01 % delle persone con le retribuzioni più elevate è aumentato del 51 %) e quanto più il potere d'acquisto delle famiglie diminuirà spinto da fattori automatici, a causa sia della situazione economica sia della notevole diminuzione della componente dei salari nella distribuzione del valore aggiunto. Secondo stime dell'FMI del 2007, la parte dei salari nel PIL è passata in Europa dal 73 % del 1980 al 64 % nel 2005.
4. Verso un consolidamento di bilancio intelligente
4.1 Il problema non è tanto di sapere se conviene procedere verso un ritorno all'equilibrio di bilancio quanto piuttosto di stabilire in che modo procedere, chi deve pagare e quale ritmo seguire, in modo da dare slancio alla crescita.
4.1.1 Un risanamento di bilancio «intelligente» consiste in un equilibrio «intelligente» tra entrate e uscite e tra domanda e offerta. A tal fine, per un'uscita positiva dalla crisi, è indispensabile imboccare nuovamente la strada della crescita, nel quadro di una politica espansionistica volta a creare un contesto favorevole al consumo e agli investimenti.
4.1.2 Il risanamento di bilancio dipende in parte anche dalle esigenze della politica monetaria, la cui gestione deve essere tale da consentirle di raggiungere i propri obiettivi di stabilità dei prezzi e di fiducia dei mercati, continuando a creare le condizioni per la crescita economica.
4.2 Una politica di bilancio al servizio della crescita
4.2.1 Era da molto tempo prima della crisi attuale che l'Europa faceva registrare un tasso di crescita insufficiente. L'obiettivo di una crescita annua del 3 %, che è in modo fondamentale parte integrante della strategia di Lisbona, è stato raggiunto solo due volte. In linea di massima, questa mancata crescita non è stata sufficientemente presa in considerazione dalle politiche economiche e di bilancio definite dai governi, mentre è stata compensata mediante il ricorso al prestito, sia pubblico che privato; a questo proposito, è stata attribuita una consistente responsabilità al sistema finanziario, ad esempio in materia di prestiti immobiliari. La crescita sostenibile deve pertanto rappresentare l'obiettivo principale della politica economica come di qualsiasi altra politica. In questa situazione, un risanamento di bilancio, che comporti in particolare un'allocazione efficace delle risorse finanziarie, potrà consentire di reperire i mezzi necessari per avviare un percorso di riequilibrio dei bilanci pubblici a medio termine, senza ostacolare l'obiettivo di una crescita elevata.
4.2.2 La crisi finanziaria e la scarsa resistenza agli choc dell'economia europea dimostrano la necessità di un nuovo orientamento della politica economica. A giudizio del CESE un mix macroeconomico più equilibrato, che concili gli aspetti dell'offerta e una politica economica orientata alla domanda, deve divenire un elemento costitutivo della strategia europea. Pertanto, in un mondo «finanziarizzato» che favorisce gli investimenti a breve termine ed è quindi soggetto al rischio di rallentamento del progresso tecnico, l'approccio da adottare deve basarsi sulla rinuncia ad una crescita basata in buona parte sulle «bolle speculative» e sul ritorno ad una crescita fondata sui consumi e sugli investimenti, destinati anzitutto ai settori innovativi dell'economia reale (2), privilegiando modelli di produzione che limitino le emissioni di CO2 e non dilapidino le risorse naturali.
4.2.3 Potrebbe essere introdotto un prestito obbligazionario europeo destinato a finanziare progetti infrastrutturali europei; il prestito costituirebbe uno strumento fondamentale per mobilitare, a sostegno dell'economia europea, un risparmio attualmente disponibile e inutilizzato. Questa iniziativa deve tuttavia basarsi su un approccio coordinato della politica industriale (3) a favore della competitività, conformemente agli orientamenti della strategia Europa 2020 (4). Da questo punto di vista, il Comitato accoglie con favore la dichiarazione resa davanti al Parlamento dal Presidente della Commissione che, il 14 dicembre 2010, ha annunciato che «avrebbe insistito» sulla presentazione di piani che prevedono l'introduzione di prestiti obbligazionari. Questi ultimi, tuttavia, non possono rappresentare un'alternativa alla creazione di eurobbligazioni, né sostituirsi a quest'ultime.
4.2.4 Il Comitato è favorevole alla creazione di eurobbligazioni, poiché oltre a permettere il finanziamento di grandi progetti infrastrutturali per modernizzare l'Europa attraverso la creazione di occupazione e il rilancio della crescita (risultato che potrebbe essere conseguito anche con i prestiti obbligazionari), esse contribuirebbero a ridurre i costi del rifinanziamento degli Stati della zona dell'euro in difficoltà, conferendo una dimensione europea al mercato dei titoli di Stato. La creazione di eurobbligazioni dimostrerebbe al mercato, dopo la creazione del Fondo europeo di stabilità finanziaria, la solidarietà interna dell'Unione europea e darebbe al tempo stesso la prova del suo impegno politico a favore dell'Unione economica e monetaria e dell'irreversibilità dell'euro.
4.2.4.1 Va osservato che questa pratica, già utilizzata dagli Stati Uniti attraverso il Tesoro e approvata nel 2009 dal Parlamento europeo e dall'FMI, consentirebbe ai paesi della zona euro in difficoltà di alleggerire il servizio del debito e di ricostituire dei margini di manovra per stimolare la crescita.
4.2.5 Gli Stati membri che presentano un avanzo della bilancia delle partite correnti e/o un debito pubblico di modeste dimensioni dovrebbero attuare una politica espansionistica per stimolare la domanda; generalmente però non lo fanno, soprattutto per timore di essere penalizzati dalle agenzie di rating. La funzione delle CRA [agenzie di rating] «è cruciale […]e per questo motivo non può essere lasciata senza vigilanza» (5). A questo proposito il CESE esprime preoccupazione «per la mancata creazione di un organismo europeo di valutazione del debito sovrano» (6).
4.3 Crescita e fiscalità
4.3.1 La fiscalità, dal momento in cui contribuisce al corretto funzionamento del mercato interno, alla competitività, ad alleviare l'onere sostenuto dalle finanze pubbliche, ecc., rappresenta un fattore favorevole alla crescita. Il CESE si rammarica che in materia di risanamento di bilancio la Commissione si concentri quasi esclusivamente sulle spese, trascurando le entrate. La maggior parte delle volte, infatti, un approccio di questo tipo si ripercuote negativamente sui soggetti socialmente più vulnerabili, oltre a rallentare la crescita deprimendo la domanda.
4.3.2 «Conformemente ai Trattati dell'UE bisognerebbe perseguire un maggior coordinamento su scala comunitaria delle politiche fiscali degli Stati membri (che comprenda, in particolare, l'armonizzazione della base imponibile e l'introduzione di aliquote minime) soprattutto in quei settori in cui la base imponibile è mobile a livello internazionale ed è più elevato il rischio di evasione fiscale e di concorrenza fiscale tra gli Stati membri». L'obiettivo di tale coordinamento europeo dev'essere quello di proteggere e accrescere il gettito fiscale (7).
4.3.3 Anche il rafforzamento della cooperazione amministrava figura tra le condizioni essenziali per un'efficace lotta contro la frode fiscale. Un primo passo avanti è rappresentato dalla creazione di Eurofisc, una rete decentrata aperta a tutti gli Stati membri, il cui scopo è rendere possibile un'azione rapida e mirata nella lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto (8). Nel suo parere in materia il CESE ha sottolineato la necessità di istituire un collegamento e una cooperazione con gli altri organismi che si occupano della lotta alla criminalità organizzata e al riciclaggio (9).
4.3.4 È necessario spostare la pressione fiscale verso nuove fonti di gettito, come le imposte sulle operazioni finanziarie, la tassazione dell'energia, i prelievi a carico del settore finanziario, delle emissioni di CO2 (10) (immaginando una nuova organizzazione del mercato delle quote), ecc. Questo tipo di imposizione potrebbe dar luogo a «un doppio dividendo»: a breve e a medio termine potrebbe alleggerire i bilanci pubblici e a più lungo termine potrebbe contribuire a riorientare le risorse verso gli investimenti sostenibili nell'economia reale in generale e nelle tecnologie e nei settori verdi in particolare (11); inoltre potrebbe rivelarsi utile per dotare di risorse proprie il bilancio dell'Unione europea (12).
4.4 Tassazione del settore finanziario
4.4.1 Concretamente, la tassazione del settore finanziario può assicurare ai mercati finanziari una maggiore stabilità ed efficacia, riducendo la loro volatilità e gli effetti negativi di un'eccessiva assunzione di rischi (13). Appare quindi ragionevole prevedere delle imposte destinate a internalizzare le esternalità prodotte dal comportamento di questo settore, purché esse contribuiscano a creare condizioni più eque nel processo di sviluppo e di armonizzazione del mercato interno europeo.
4.4.2 Tassa sulle transazioni finanziarie
4.4.2.1 Il CESE ha approvato il principio di un'imposta sulle transazioni finanziarie nel suo parere sulla relazione del gruppo de Larosière (14): «secondo il CESE, è necessario passare da un'ottica di breve termine a una di lungo termine in cui i bonus non siano calcolati sulla base di attività speculative. A tale scopo il Comitato sostiene l'idea di un'imposizione sulle operazioni finanziarie». L'obiettivo di una tassa sulle transazioni finanziarie «è quello di reperire entrate pubbliche. Questa nuova fonte di entrate potrebbe essere utilizzata per sostenere lo sviluppo economico nei paesi in via di sviluppo, per finanziare politiche in materia di clima in questi paesi, oppure per alleggerire l'onere sulle finanze pubbliche. Quest'ultima destinazione implica inoltre che il settore finanziario rimborserà le sovvenzioni pubbliche. Nel lungo termine, il gettito della tassa dovrebbe offrire una nuova fonte generale di entrate pubbliche» (15). Inoltre una tassa sulle transazioni finanziarie produce anche degli effetti leva favorevoli, dato che determina dei cambiamenti nel comportamento degli operatori del mercato.
4.4.2.2 Vale la pena di ricordare, a questo proposito, che il Presidente della Commissione europea, in una dichiarazione rilasciata l'8 settembre 2010, ha difeso il principio di una tassa sulle attività finanziarie.
4.4.2.3 Il CESE ritiene, in linea con i suoi precedenti pareri, che l'UE e gli Stati membri abbiano attualmente bisogno di una tassa sulle transazioni finanziarie (financial transaction tax o FTT) per raccogliere entrate destinate a correggere gli squilibri di bilancio, per finanziare misure di rilancio per stimolare la crescita e lottare contro le attività meramente speculative.
4.4.3 Tassa sulle attività finanziarie
4.4.3.1 La tassa sulle attività finanziarie (financial activity tax o FAT) (16), nella sua forma più estesa (calcolata secondo il metodo additivo), colpisce profitti e compensi complessivi dell'attività imprenditoriale degli istituti finanziari, indipendentemente dai prodotti che commercializzano.
4.4.3.2 La FAT potrebbe essere considerata come un'imposta sul valore aggiunto generato dalle società del settore finanziario, che permetterebbe di compensare l'attuale riduzione del contributo fiscale di questo settore dovuta all'esenzione IVA di cui beneficiano molte delle sue operazioni.
4.4.3.3 Il gettito ricavato a livello europeo potrebbe essere dedicato al risanamento di bilancio degli Stati membri.
4.4.4 La Commissione europea prevede, e il Comitato è d'accordo, di eseguire una valutazione d'impatto per definire la struttura potenziale e le modalità di applicazione di questa tassa e di studiare il ventaglio delle nuove riforme del settore finanziario riguardanti il sistema di garanzia dei depositi, i nuovi requisiti patrimoniali e in materia di liquidità, ecc. È quindi opportuno trovare un giusto equilibrio tra l'obiettivo di lottare contro gli squilibri di bilancio e l'obiettivo di preservare la stabilità e le capacità del settore bancario di concedere prestiti e contribuire alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro. In ogni caso non dovrà essere adottata nessuna decisione in merito a questa tassa prima che siano resi noti i risultati di tale valutazione.
5. Inventare la crescita del futuro
5.1 L'Europa si trova di fronte a una serie di gravi minacce, quali:
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un mondo finanziarizzato che sfugge alla democrazia politica, che risulta parzialmente scollegato dall'economia reale e che privilegia gli investimenti a breve termine che comportano un rischio di rallentamento del progresso tecnologico. L'abbandono degli investimenti reali a vantaggio degli investimenti finanziari frena altresì lo sviluppo dell'occupazione, dei redditi, della domanda e dei bilanci pubblici, |
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la disgregazione dei modelli sociali esistenti, combinata con i rischi di un confronto esclusivo tra Stati Uniti e grandi paesi emergenti che escluderebbe l'Europa e metterebbe in discussione il mercato del lavoro. Per far fronte alle sfide attuali è necessario individuare gli assi politici che definiranno la crescita del futuro. |
5.2 Per tornare a una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, l'Unione si è dotata della strategia Europa 2020. Basandosi su un coordinamento rafforzato delle politiche economiche, questa nuova strategia mira ad affrontare le principali strozzature che ostacolano la crescita a livello di UE, comprese quelle relative al funzionamento del mercato interno e alle infrastrutture, concentrandosi inoltre sulla necessità di una politica energetica comune e di una nuova e ambiziosa politica industriale. Il Consiglio europeo ha posto l'accento sull'esigenza che l'insieme delle politiche comuni, segnatamente la politica agricola comune e la politica di coesione, sostengano questa strategia, la quale comprenderà anche una solida dimensione esterna (17).
5.3 Il CESE ha creato un comitato direttivo che opera a stretto contatto con le sezioni specializzate, la CCMI, i CES nazionali e gli osservatorî sull'attuazione della strategia, e più in particolare sulle sette iniziative faro che puntano a stimolare i progressi in termini di crescita e occupazione. In questo contesto, il CESE elaborerà dei pareri sulle iniziative faro per conseguire i «cinque obiettivi» di questa strategia. È necessario avviare una profonda riflessione sui settori, gli attori e le azioni prioritarie, per stabilire le modalità di attuazione di questa nuova strategia.
5.4 I settori prioritari - In un'ottica settoriale, ecco un elenco, non esaustivo, di alcuni motori di questa crescita, che in parte già esistono ma che sono prevalentemente in fase di sviluppo, essendo ad alto valore aggiunto, ad alta tecnologia e con un forte potenziale di crescita. È evidente che il loro contenuto riguarda tanto l'industria che i servizi:
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sistema energetico senza emissioni di carbonio, trasporti e immobili verdi … che permettono di creare «posti di lavoro verdi» (18), |
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economia degli anziani (silver economy): bioingegneria al servizio della sanità, scienze della vita (19), |
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biotecnologia (20), |
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società digitale, nanotecnologie (21), robotica …, |
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agronomia e idraulica per rispondere alla carenza di seminativi, ridefinizione dei processi di produzione per ridurre il consumo di materie prime, trattamento delle terre rare …, |
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ricerca in tutti i settori industriali di processi e metodi di sviluppo a minore tenore di carbonio, per una nuova concezione della politica industriale, |
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ecc. |
5.4.1 Tra i settori prioritari deve essere inclusa anche l'istruzione, che funge da sostegno per tutti gli altri settori. Essa rappresenta un elemento imprescindibile per la crescita perché favorisce la formazione di un capitale umano indispensabile per il suo rafforzamento. Da questo punto di vista è opportuno assicurare la corrispondenza tra le qualifiche e le necessità del mercato del lavoro.
5.5 Le azioni prioritarie al servizio della crescita
5.5.1 L'approfondimento del mercato unico europeo deve rappresentare una priorità dell'Unione europea, nel quadro della strategia Europa 2020. Soltanto in questo modo sarà possibile, secondo il CESE, conseguire progressi significativi in termini di crescita economica forte, sostenibile e più equa, nello sviluppo degli Stati membri.
5.5.2 Per l'attuazione di una politica industriale efficiente
5.5.2.1 Il senso dell'espressione «politica industriale» è cambiato molto nel corso degli anni ed è quindi importante isolare i principi che permettono di definire tale concetto in maniera rigorosa e in una prospettiva adeguata al periodo.
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Occorre innanzitutto precisare i settori da privilegiare (22). Poi le modalità d'azione dovranno essere naturalmente molto diversificate. In alcuni casi, come ad esempio nel settore dell'energia, occorreranno grandi progetti europei, mentre in altri serviranno finanziamenti in conto capitale oppure aiuti per lo sviluppo di nuove tecnologie, come nel caso delle imprese nuove e di quelle in crescita. In ogni caso, questa politica industriale dovrà essere definita inserendo tra gli obiettivi sia il mercato interno che le esportazioni. |
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L'obiettivo consiste in sostanza nel trovare i mezzi per finanziare questa politica industriale e la crescita a lungo termine che ne può derivare in un periodo di riaggiustamento di bilancio. Un elemento su cui far leva potrebbe essere quello consistente nell'orientare in maniera massiccia i risparmi europei verso investimenti produttivi a lungo termine (23) economicamente e socialmente redditizi, ovvero con forti potenzialità in termini di creazione di posti di lavoro. Le difficoltà potrebbero risiedere nell'esistenza di una forte avversione al rischio, che potrebbe essere tuttavia superata tramite specifici meccanismi di ripartizione del rischio tra poteri pubblici e investitori privati, in base ai quali i primi si assumerebbero il rischio principale a lungo termine, come farebbe un riassicuratore. Un'altra soluzione potrebbe consistere nell'emissione di un grande prestito europeo (24). |
5.5.2.2 Tuttavia, per sviluppare un sistema produttivo equilibrato e solido, è necessario far leva su due politiche principali: quella fiscale e quella occupazionale. Per la prima si rimanda al punto 4.3.1, mentre per la seconda la difficoltà maggiore consisterà nell'attivare il potenziale della partecipazione al mercato dell'occupazione e quindi anche nell'integrare in maniera massiccia i giovani e gli anziani. Si dovrà inoltre garantire, al tempo stesso, un'ampia offerta di servizi di elevata qualità per la custodia dei bambini, al fine di aiutare i genitori a svolgere la loro attività professionale (25).
5.5.3 Per uno Small Business Act europeo
5.5.3.1 Si tratta di una proposta avanzata a più riprese ma mai completamente realizzata e che resta comunque necessaria. Lo Small Business Act americano, ad esempio, è uno strumento di grande efficacia, poiché permette di finanziare sia l'innovazione che gli investimenti tradizionali e di garantire una parte degli appalti pubblici alle PMI. Il tema interessa sia le nuove imprese sia le imprese a crescita rapida. Lo Small Business Act europeo (SBAE), come quello americano, deve applicare un ampio ventaglio di strumenti, che riguardino sia gli appalti pubblici che i finanziamenti. Il CESE propone quindi uno SBAE ambizioso (26).
5.5.4 Per una politica di istruzione, ricerca & sviluppo e innovazione
5.5.4.1 Su questo tema possono essere citati numerosi pareri elaborati dal Comitato (27). Il CESE, in sostanza, ha sempre considerato la R&S e l'innovazione attività essenziali che determineranno, in futuro, la posizione dell'Europa nel mondo, in funzione della priorità e dei mezzi che essa accorderà a tali settori.
5.5.4.2 In questo periodo segnato da restrizioni di bilancio, l'UE e gli Stati membri devono continuare a investire nell'istruzione, nella R&S e nell'innovazione. Tali investimenti devono essere non solo esonerati dai tagli di bilancio ma addirittura intensificati (28), per evitare il rischio di un impoverimento ineluttabile dell'UE, con conseguenti perdite di posti di lavoro e un peggioramento delle condizioni di vita dei suoi cittadini.
5.5.4.3 L'UE dovrebbe adoperarsi affinché la legislazione fiscale risulti più in linea con l'obiettivo dell'adozione di misure intese a incoraggiare l'industria a investire maggiormente nella ricerca e nello sviluppo (29). Questo adeguamento della legislazione dovrebbe permettere in particolare di sostenere lo sviluppo delle PMI principalmente orientate verso la R&S durante i primi anni della loro attività. Dato il ruolo strategico delle PMI nell'economia dell'UE, il CESE raccomanda che ciascuno Stato membro utilizzi un mix ottimale dei possibili incentivi fiscali per facilitare la sopravvivenza e la crescita di tali imprese nel tessuto economico nazionale (30). Al tempo stesso sarebbe altresì opportuno promuovere o intensificare progetti comuni tra organismi di ricerca e PMI, ad esempio sotto l'egida di agenzie pubbliche di ricerca (nazionali o europee) per sostenere la cooperazione tra questi soggetti.
5.5.4.4 Per garantire un'attività di R&S efficiente, occorre facilitare il lavoro e la cooperazione dei ricercatori e degli innovatori nell'insieme del territorio dell'UE, come già avviene all'interno dei confini nazionali. A tal fine, lo Spazio europeo della ricerca (31), che dovrà essere completato nei prossimi quattro anni, dovrà mettere a punto le strutture necessarie per garantire un'effettiva libera circolazione delle conoscenze, vero valore aggiunto che l'Unione apporta ai settori nazionali di ricerca.
5.5.4.5 Inoltre gli ostacoli da ridurre o eliminare sono ancora molti: occorre migliorare l'accesso al finanziamento, soprattutto per le PMI, rendere accessibili i costi dei diritti di proprietà intellettuale, fissare obiettivi più ambiziosi e adottare un approccio strategico all'impiego delle importanti dotazioni previste per gli appalti pubblici. Nell'immediato, occorre raggiungere con estrema urgenza un accordo sul brevetto europeo. La realizzazione di una cooperazione rafforzata su questo tema potrebbe essere una soluzione transitoria da prendere in considerazione.
5.5.4.6 La strategia di Lisbona aveva previsto che l'UE destinasse alla R&S il 3 % del proprio PIL, una percentuale proveniente per due terzi dal settore privato. Ne siamo ben lontani. Eppure è estremamente importante realizzare questo obiettivo che permetterebbe, in vista del 2020, di creare 3,7 milioni di posti di lavoro e di aumentare il PIL annuale di circa 800 miliardi di euro entro il 2027 (32). Più che mai allora questo obiettivo deve essere la priorità dell'Unione.
5.5.4.7 La realizzazione di poli di competitività si è rivelata in definitiva un'iniziativa estremamente positiva in diversi paesi europei. Per dare a tali poli un maggior raggio d'azione, maggiori risorse e più funzioni, potrebbe essere creata una rete europea, iniziativa che rappresenta verosimilmente la soluzione più adatta per migliorare la relazione tra ricerca e innovazione, nel momento in cui tutte le parti interessate sono coinvolte nella gestione.
6. La società civile
6.1 Infine è importante sottolineare che a causa, soprattutto, delle numerose conseguenze degli aggiustamenti di bilancio e della ricerca dei percorsi della crescita sulla vita quotidiana dei cittadini, il dialogo sociale e il dialogo civile devono essere esemplari sia a livello di Stati membri che di Unione europea.
6.2 La società civile, in particolare i CES nazionali e le organizzazioni analoghe, deve essere consultata e intervenire prima che le decisioni vengano adottate. Occorre quindi garantire un elevato livello di partenariato sociale, poiché la fattibilità e il buon esito delle decisioni, nel lungo termine e su un tema così sensibile, non sarebbero possibili se le riforme non venissero accettate da parte dei cittadini.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Cfr. i seguenti pareri del CESE: La crisi finanziaria internazionale e il suo impatto sull'economia reale, in GU C 255 del 22.9.2010; Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete, GU C 48 del 15.2.2011, pag. 57.
(2) Cfr. parere del CESE sul tema La strategia di Lisbona dopo il 2010, in GU C 128 del 18.5.2010, pag. 3.
(3) Cfr. punto 5.5.1.
(4) Cfr. lettera del Presidente del CESE al Presidente della Commissione, datata 31 marzo 2010.
(5) Cfr. punto 1.1 del parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle agenzie di rating del credito, in GU C 277 del 17.11.2009, pag. 117.
(6) Cfr. punto 1.4 del parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito in GU C 54 del 19.2.2011, pag. 37.
(7) Cfr. nota n. 2.
(8) Regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto (rifusione), in GU L 268 del 12.10.2010, pag. 1.
(9) Cfr. punto 1.10 del parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto (rifusione), in GU C 347 del 18.12.2010, pag. 74.
(10) Cfr. nota n. 2.
(11) Cfr. nota n. 4.
(12) Cfr. Revisione del bilancio dell'Unione europea, COM(2010) 700 definitivo del 19 ottobre 2010.
(13) Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La tassazione del settore finanziario, COM(2010) 549 definitivo.
(14) Cfr. parere del CESE sul tema La relazione del gruppo de Larosière, in GU C 318 del 23.12.2009, pag 57.
(15) Cfr. parere del CESE sul tema Tassa sulle operazioni finanziarie, in GU C 44 del 10.2.2011, pag. 81 (Sintesi e conclusioni, punto 1.10).
(16) Si tratta di una proposta formulata dal Fondo monetario internazionale.
(17) Cfr. conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2010 e conclusioni del Consiglio europeo del 17 giugno 2010.
(18) Cfr. parere del CESE sul tema Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto «Energia-clima» dell'UE, GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 110.
(19) Cfr. parere del CESE sul tema Scienze della vita e biotecnologia - Una strategia per l'Europa - Relazione sui progressi realizzati e gli orientamenti per il futuro, in GU C 234 del 30.9.2003, pag. 13.
(20) Cfr. parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione - Verso una visione strategica della scienza della vita e della biotecnologia: documento di consultazione, in GU C 94 del 18.4.2002, pag. 23.
(21) Cfr. parere del CESE sul tema Nanoscienze e nanotecnologie: un piano d'azione per l'Europa 2005-2009, in GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 1.
(22) Cfr. punto 5.4.
(23) Cfr. punto 4.2.3.
(24) Cfr. nota n. 19.
(25) Cfr. punto 4.2 del parere CESE sul tema Analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi. in GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, punto 4.2.
(26) Cfr. parere del CESE sul tema «Pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) - Uno «Small Business Act» per l'Europa, in GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30.
(27) Cfr. in particolare i pareri concernenti il Settimo programma quadro di R&S e il parere in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013), in GU C 65 del 17.3.2006, pag. 22.
(28) Iniziativa faro Europa 2020 - L'Unione dell'innovazione, COM(2010) 546 definitivo del 6 ottobre 2010.
(29) Cfr. parere del CESE sul tema Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S, in GU C 10 del 15.1.2008, pag. 83.
(30) Cfr. punto 3.5 del parere del CESE sul tema Sbloccare e consolidare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione, in GU C 325 del 30.12.2006.
(31) Cfr. i pareri del CESE sul tema I ricercatori nello Spazio europeo della ricerca: una professione, molteplici carriere, in GU C 110 del 30.4.2004 pag. 3, e Libro verde - Nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca, in GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1.
(32) Cfr. P. Zagamé. Les coûts d'une Europe non innovante (2010).
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/16 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Rafforzamento dell'autonomia sociale e integrazione dei cittadini Rom in Europa» (parere esplorativo)
2011/C 248/03
Relatore: Ákos TOPOLÁNSZKY
Con lettera del 15 novembre 2010, l'ambasciatore Péter GYÖRKÖS ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della futura presidenza ungherese e conformemente all'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:
Rafforzamento dell'autonomia sociale e integrazione dei cittadini Rom in Europa
(parere esplorativo).
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli e 3 voti contrari.
1. Sintesi e raccomandazioni
IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO (CESE)
1.1 accoglie con favore ed esprime notevole apprezzamento per tutti gli sforzi compiuti sinora dall'UE per limitare la marginalizzazione dei Rom (1) e favorirne l'integrazione nella società, grazie alle risoluzioni e agli atti giuridici elaborati dalle sue istituzioni, alla creazione di strutture di cooperazione e all'utilizzazione di risorse dei fondi strutturali e di altri strumenti finanziari;
1.2 richiama d'altro canto l'attenzione sul fatto che tali sforzi, nel complesso, non hanno consentito di rimediare in maniera decisiva alla discriminazione subita da gran parte dei Rom né di migliorare la loro qualità di vita e le loro opportunità, anzi, la loro situazione si è per certi versi ulteriormente degradata;
1.3 sottolinea che questa situazione problematica potrà essere modificata solo grazie a una strategia su scala europea, integrata, coordinata e coerente, e a un programma d'azione deciso e sistematico, che copra tutti i settori di intervento e sia attuato a livello nazionale, restituendo alle persone interessate e alle loro comunità le competenze e il potere di decisione di cui hanno bisogno per dar forma al loro destino (autonomizzazione); dev'essere possibile attuare questo programma d'azione a livello di enti locali (sussidiarietà);
1.4 accoglie pertanto con favore le idee contenute nella comunicazione della Commissione Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020 (2), riconosce grande importanza alla loro attuazione a livello sia dell'Unione che degli Stati membri, e vuole dal canto suo partecipare attivamente a questo processo;
1.5 ritiene tuttavia che tale strategia, attesa da tempo, non soddisfi completamente le aspettative che ha suscitato, e avrebbe potuto essere più ambiziosa e concreta e meglio strutturata;
1.6 ritiene che ai fini di una politica possibile e realizzabile di integrazione dei Rom, che rappresenti specificamente, ma non in modo esclusivo, la natura dei problemi e le direttrici strategiche della loro risoluzione, si potrebbero raccomandare agli Stati membri i seguenti tre elementi, da attuare in maniera coordinata:
a) |
una politica di integrazione neutrale sotto il profilo razziale ed etnico, volta ad eliminare la concentrazione di problemi sociali e a ridurre la povertà e la privazione estreme; |
b) |
una politica volta a sostenere l'autonomizzazione di coloro che si considerano membri di una comunità Rom e a sancire l'integrazione sociale che hanno raggiunto; |
c) |
una politica generale e una pubblicità antirazziste; |
1.7 sottolinea l'esigenza di coinvolgere i rappresentanti della società civile locale, gli studiosi della questione e le parti sociali nella consultazione nonché nella formulazione e attuazione della politica in questo campo, e segnala l'esigenza cruciale di far partecipare attivamente i rappresentanti e i membri del popolo e delle comunità Rom alla pianificazione e all'attuazione a tutti i livelli (dell'UE, nazionale, regionale e locale), conformemente a quanto viene proposto nella comunicazione adottata dalla Commissione;
1.8 sottolinea che occorre rappresentare in modo deciso l'interesse generale, e ribadisce quindi l'esigenza di una programmazione e di un'attuazione sistematiche e di un coordinamento delle politiche, l'importanza del processo locale di elaborazione delle politiche, la necessità di approcci differenziati e fondati sui reali bisogni, la presentazione di informazioni oggettive e la continua sistematizzazione di una valutazione coerente;
1.9 richiama l'attenzione del Consiglio stesso sulla necessità di trovare una soluzione per restituire ai Rom, che per qualche motivo non ne dispongono più, il certificato di nazionalità, garanzia di accesso senza discriminazioni alla cittadinanza europea, e sottolinea che la lotta contro questa ingiustizia deve rimanere tra le massime priorità finché non vi sarà posto rimedio.
2. Introduzione
IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO
2.1 concorda con l'analisi presentata dalla Commissione europea nella relazione sui Rom in Europa (3) e con le proposte comprese nella comunicazione sul tema L'integrazione sociale ed economica dei Rom in Europa (4);
2.2 sostiene il parere del Comitato delle regioni sul tema L'integrazione sociale ed economica dei Rom in Europa (5), secondo cui occorre riconoscere la particolare importanza strategica degli enti e delle comunità locali, offrire loro sostegno e condurre una politica regionale integrata;
2.3 reitera la proposta già avanzata nel parere esplorativo sul tema Integrazione delle minoranze - I Rom (6), in particolare per quanto riguarda l'estensione dei processi previsti nel quadro del metodo aperto di coordinamento, e ribadisce la posizione che aveva assunto nella risoluzione sul tema La situazione dei Rom nell'Unione europea (7) circa la difesa dei diritti fondamentali di tutti gli europei e la lotta, in tutti i paesi, contro ogni forma di discriminazione, di razzismo e di xenofobia;
2.4 ribadisce il messaggio espresso nel parere sul tema L'integrazione e l'agenda sociale , in cui afferma di ritenere necessario intensificare la lotta alla discriminazione sviluppando gli strumenti legislativi esistenti e rafforzando le politiche pubbliche e gli impegni sociali finalizzati all'integrazione (8);
2.5 condivide ampiamente l'analisi e le proposte presentate dal Parlamento europeo nella relazione sulla strategia europea per l'inclusione dei Rom (9);
2.6 approva integralmente e fa propri i valori di non discriminazione e di integrazione degli esclusi sanciti dalla strategia di Lisbona e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE;
2.7 aderisce ai dieci principi basilari comuni, ormai ampiamente accettati, definiti nel quadro della cooperazione a livello della piattaforma europea integrata per l'inclusione dei Rom, e richiama l'attenzione sulla loro applicazione a livello degli Stati membri (10);
2.8 esprime grande compiacimento per il fatto che i fondi strutturali e altri strumenti di finanziamento nazionali, regionali e locali (11) siano stati resi disponibili per sostenere l'attuazione di politiche rivolte a integrare i Rom, e raccomanda di fornire, ai fini dell'autonomizzazione sociale, finanziamenti per tali politiche attraverso procedure adeguate, e di offrire un'appropriata assistenza tecnica che tenga in considerazione i vari aspetti di tale questione, come l'accesso alle prestazioni sanitarie, la formazione professionale, l'occupazione e l'alloggio;
2.9 accoglie con favore le proposte formulate nel Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020 della Commissione europea, ritiene che la loro coerente applicazione a livello dell'UE e degli Stati membri rivesta grande importanza e desidera partecipare, in qualità di partner impegnato, a tale applicazione;
2.10 osserva al tempo stesso che il documento, atteso da lungo tempo, non soddisfa pienamente le aspettative che aveva suscitato. Ritiene infatti che il sistema di obiettivi avrebbe dovuto essere definito meglio e indicare più esplicitamente i compiti che ci attendono. Sottolinea l'importanza di un ampio dibattito sociale di portata europea su tale questione. Nell'ottica di assicurare il successo del documento, il CESE sottolinea che sono indispensabili meccanismi di valutazione e indicatori di prestazioni. Reputa pertanto che le conclusioni che il Consiglio ha adottato in maggio, e che saranno ribadite dal Consiglio europeo in giugno, costituiscano un fattore particolarmente importante in termini sia sociali che operativi;
2.11 osserva che l'esclusione e la discriminazione dei Rom hanno un importante costo sociale e si accompagnano a spese pubbliche non trascurabili, mentre la loro integrazione può avere un'evidente utilità economica (12);
2.12 è favorevole - e prende parte in rappresentanza degli interessi della società civile in senso lato - alle attività condotte nel quadro della rete EUroma, del decennio dell'integrazione dei Rom, del vertice europeo sull'integrazione dei Rom, del vertice dell'uguaglianza, della piattaforma europea integrata per l'inclusione dei Rom, della piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale e di altre iniziative di cooperazione;
2.13 sottolinea che l'UE e le sue istituzioni hanno già compiuto sforzi importanti in materia di regolamentazione, orientamento e finanziamento, allo scopo di elaborare, adottare e attuare politiche di integrazione per i Rom;
2.14 constata d'altro canto con preoccupazione che tali sforzi, nel complesso, non hanno consentito di rimediare in maniera decisiva alla discriminazione subita da gran parte dei Rom, né di migliorare la loro qualità di vita e le loro opportunità, anzi, la loro situazione si è per certi versi ulteriormente degradata. Si deve constatare che, sebbene i Rom siano in grande maggioranza cittadini dell'Unione, con gli stessi diritti e doveri di qualsiasi altro cittadino di uno Stato membro, essi sono vittima di una grave e costante discriminazione sul mercato del lavoro, nel campo dell'istruzione, dell'alloggio, delle prestazioni sanitarie, nell'accesso ai servizi pubblici e nella libertà di movimento;
2.15 è consapevole del fatto che i gruppi di Rom vivono in situazioni molto differenziate. Mentre alcune comunità sono ben integrate nel loro ambiente urbano o rurale, altre vivono in situazioni di povertà o di privazione estreme e subiscono un'esclusione permanente. Infine, una piccola parte di tali gruppi segue lo stile di vita nomade che le è proprio e che risulta irritante per l'ambiente circostante;
2.16 sottolinea che è essenziale favorire l'autonomizzazione di coloro che vivono in condizioni di povertà e subiscono forme di discriminazione. Per una completa autodeterminazione è necessaria la libertà di scelta. In linea generale attuare delle politiche di integrazione presuppone un fattore decisivo, ossia che gli individui abbiano la forza, gli strumenti e il potere di disporre del proprio destino. Occorre pertanto che la politica nel suo complesso, come pure i suoi specifici settori di intervento, promuovano, nel quadro dello Stato di diritto, la capacità degli interessati di decidere in merito al proprio destino;
2.17 ritiene che non si debbano riconoscere ai Rom diritti speciali, ma che sia necessario rispettare pienamente la loro cittadinanza europea, garantire loro al tempo stesso il riconoscimento di tutti i diritti fondamentali dell'UE e dei diritti civili, vigilare sul rispetto di tali diritti e sanzionare qualsiasi inadempienza in tale campo, specialmente quando i responsabili dell'applicazione della legge non si comportano in modo equo e praticano la discriminazione;
2.18 fa osservare che, tra i Rom, le donne, i bambini, gli anziani e i disabili soffrono la discriminazione in misura maggiore e che la crisi sociale ed economica acuisce questi fenomeni negativi;
2.19 ritiene che questa situazione problematica potrà essere modificata solo mediante un programma strategico integrato, coordinato e coerente, nonché grazie a un approccio deciso e sistematico applicato a tutti i settori di intervento; si compiace del fatto che tutti gli organi e le istituzioni dell'UE (non ultimo lo stesso CESE) uniscono i loro sforzi a quelli del governo ungherese, che esercita la presidenza di turno, per realizzare le condizioni generali necessarie per risolvere il problema, e raccomanda di organizzare nel corso della presidenza polacca una conferenza ministeriale finalizzata a discutere le esperienze fatte e i risultati raggiunti.
3. Raccomandazioni politiche (13)
IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO
3.1 constata che negli approcci tradizionali, la definizione del gruppo destinatario degli interventi, i Rom, si fonda sulla concezione predominante nella società di cosa sia un Rom. Ciò può risultare utile, ad esempio dal punto di vista della ricerca, ed efficace per valutare la natura dell'esclusione sociale, ma qualsiasi identificazione che si basi sui segni esteriori di appartenenza etnica, oltre a essere improduttiva e politicamente indifendibile, è contraria ai diritti umani fondamentali e in particolare al diritto a definire la propria identità;
3.2 raccomanda che gli Stati membri, contrariamente agli approcci tradizionali, rispettino i valori fondamentali del quadro strategico adottato e, al tempo stesso, rispettino il requisito dei dieci principi basilari adottati dalla piattaforma per l'inclusione dei Rom, requisito che prevede un approccio «esplicito ma non esclusivo». In linea con le quattro aree di intervento indicate nella comunicazione della Commissione (istruzione, occupazione, salute e alloggio), essi dovrebbero riunire tre angolazioni politiche strategiche che evidenziano la natura dei problemi e le opzioni di azione, e che, insieme, formano i pilastri di una politica realistica e realizzabile di integrazione dei Rom:
a) |
una politica di integrazione neutrale sotto il profilo razziale ed etnico, volta ad eliminare la concentrazione di problemi sociali e ridurre la povertà e la privazione estreme; |
b) |
una politica volta a sostenere l'autonomizzazione di coloro che si considerano membri di una comunità Rom e a sancire l'integrazione sociale che hanno raggiunto; |
c) |
una politica generale e una pubblicità antirazziste; |
3.3 una politica di integrazione neutrale sotto il profilo razziale ed etnico: accesso universale, eliminazione della concentrazione dell'esclusione e riduzione della povertà e della privazione estreme:
3.3.1 |
piuttosto che concentrarsi sulle caratteristiche etniche o razziali, una politica di integrazione non discriminatoria deve trattare i problemi legati all'esclusione sociale ma indipendenti dai segni razziali, per esempio quelli nei settori dell'istruzione, dell'occupazione (nelle sue varie forme, tra cui l'imprenditoria, il lavoro autonomo ecc.), della sanità e dell'alloggio, come indica la comunicazione della Commissione. Tale politica deve prendere in considerazione la concentrazione nello spazio degli svantaggi socioeconomici, indipendentemente dal gruppo di persone oggetto di esclusione e dalla composizione etnica o di altro genere di tale gruppo e, conformemente alle indicazioni date dalla strategia Europa 2020, deve perseguire in via prioritaria la risoluzione di due problemi specifici; |
3.3.2 |
la prima priorità consiste nell'applicazione coerente del criterio del «pieno accesso». Tale criterio comprende, accanto all'eliminazione degli effetti discriminatori sul piano giuridico, i requisiti di accessibilità fisica, di utilizzabilità, di adeguamento alle esigenze, di costo ragionevole e di corrispondenza qualitativa alle norme. Oltre alla soppressione degli ostacoli giuridici, l'obiettivo è quello di avvicinare i servizi pubblici alle zone abitate dove c'è una concentrazione elevata di Rom, e di migliorare i trasporti che consentono di accedere alle istituzioni e ai servizi cui, a causa della loro situazione, hanno diritto a ricorrere; |
3.3.3 |
la concentrazione dell'esclusione è caratterizzata da due forme principali: la concentrazione spaziale e residenziale e, nel caso dei fornitori di servizi e di servizi pubblici a contatto con le persone che subiscono l'esclusione, la concentrazione istituzionale (effetto di segregazione istituzionale); |
3.3.4 |
si può riuscire a ridurre la concentrazione dell'esclusione, da un lato, perseguendo un miglioramento mirato delle condizioni istituzionali e dei quartieri residenziali più poveri e meno conformi alle norme e, dall'altro, ponendo termine alle situazioni di isolamento, vale a dire realizzando riforme nel settore dell'integrazione istituzionale con l'obiettivo di rafforzare consapevolmente l'amalgama e i contatti; |
3.3.5 |
il pieno accesso costituisce un campo essenziale degli obiettivi fondamentali della strategia di Lisbona: le attività relative al mercato del lavoro e ad altri aspetti sociali, il rafforzamento della mobilità e l'istruzione continuano ad essere pertanto delle attività di primaria importanza. I documenti strategici degli ultimi anni sottolineano nuovamente la sanità, in particolare quella pubblica, come pure la politica degli alloggi e dello sviluppo urbano, mettendo in primo piano la soppressione degli insediamenti isolati, dei campi e di altri luoghi di segregazione, e al tempo stesso lo sviluppo delle economie locali, delle iniziative basate sulla comunità, delle microimprese (lavoro autonomo), delle piccole e medie imprese e dei servizi comunali gestiti in forma pubblica o privata (ONG). L'armonizzazione delle strategie di lotta contro la povertà minorile e delle strategie per i Rom costituisce una questione di primaria importanza (promuovere l'accesso delle madri al lavoro rafforzando la responsabilizzazione del comune nell'educazione dei bambini, garantire pieno accesso agli istituti prescolari e di insegnamento precoce, mantenere l'attenzione sulle sovvenzioni e sugli incentivi all'istruzione come pure sull'istruzione e sulla formazione complementare offerta ai figli di genitori che vivono in povertà); |
3.4 una politica volta a sostenere l'autonomizzazione di coloro che si considerano membri di una comunità Rom e a sancire l'integrazione sociale che hanno raggiunto;
3.4.1 |
è essenziale che coloro che si riconoscono in una determinata identità abbiano la possibilità - di propria iniziativa e insieme a coloro che hanno scelto come membri del proprio gruppo e come comunità - di scegliere il proprio percorso e di preservare la lingua, la cultura, i costumi, ecc., che costituiscono la base della loro identità. Pertanto la strategia nazionale di integrazione dei Rom deve creare le condizioni per far sì che coloro che proclamano l'identità Rom possano costituire le proprie comunità, i propri spazi pubblici (media) e le proprie organizzazioni, e garantirne il funzionamento. Altrettanto deve avvenire per altri gruppi minoritari che subiscono condizioni di esclusione sociale. È ugualmente importante che le istituzioni e gli organi di autogestione dei Rom, siano essi pubblici o no, abbiano le stesse possibilità di organizzazione di cui godono altre minoranze etniche, e che, eventualmente, il sostegno finanziario che viene concesso loro sia pari, in rapporto alla consistenza numerica, a quello che viene accordato ad altre minoranze etniche; |
3.4.2 |
affinché ciò avvenga è necessario che l'interculturalità, in quanto vivace interazione, comunicazione e integrazione bilaterale, divenga, in termini di principi, di teoria e di buone pratiche istituzionali e di comunità in Europa, un autentico fattore di azione e una parte dell'esperienza quotidiana; |
3.4.3 |
l'elemento chiave delle politiche di azione positiva è fare in modo che i cittadini che appartengono a una minoranza possano far sentire la propria voce, e che i loro interessi possano essere rappresentati. Occorre sostenere gli strumenti e i percorsi grazie ai quali i loro svantaggi sociali possano venire alla luce, e condurre una lotta politica diretta ad attenuare tali svantaggi; |
3.4.4 |
le politiche rivolte ad accrescere l'autonomia sociale dovrebbero sostenere azioni positive intese a promuovere l'accesso dei Rom al mercato del lavoro, anche alle posizioni dirigenziali nelle imprese, nella pubblica amministrazione, nella politica, nei mezzi di informazione, nelle scienze e nelle arti, aiutandoli al tempo stesso ad avviare le loro proprie piccole e medie imprese. |
3.5 Politica antirazzista
3.5.1 Il gruppo destinatario della politica antirazzista è la società intera, e la dimensione politica di tale strategia è guidata dalla convinzione che in un mondo dinamico, in fase di sviluppo, giusto e umano, le persone devono essenzialmente conquistarsi il loro posto nella società sulla base delle loro competenze e dei loro talenti, e che le loro possibilità di farsi strada nella vita non devono essere determinate da vantaggi o svantaggi acquisiti in base alla loro origine. Esse non dovrebbero, inoltre, subire le conseguenze negative dell'esclusione di cui sono vittime. Le caratteristiche ereditarie e non modificabili, come il sesso, l'origine, la religione, non dovrebbero costituire causa di discriminazione. Per fare in modo che questi principi siano tradotti in realtà lo strumentario più efficace è costituito dalla legislazione contro la discriminazione. Sarebbe utile anche che la legislazione dell'UE contro la discriminazione venisse pienamente applicata, a livello nazionale, nei differenti campi di intervento e nei sistemi regolamentari. Ma l'efficacia di tale legislazione non consiste solo nelle sanzioni e nel loro effetto dissuasivo, bensì nel fatto che i cittadini rispettosi della legge, che in una società democratica sono la maggioranza, si sforzano di vivere nel rispetto dello spirito e della lettera della legge;
3.5.2 essendo più difficile «dissuadere» le persone o distoglierle dai loro pregiudizi e dal loro razzismo utilizzando un'argomentazione razionale, le politiche antirazziste si fondano principalmente su modelli di comportamento e su schemi di comunicazione che diffondono un'immagine positiva dei modelli di comunicazione non violenta, di cooperazione e di risoluzione dei problemi basati su interessi razionali; tali politiche condannano invece i comportamenti aggressivi e razzisti, fondati sui pregiudizi e sull'odio. In tale contesto una particolare responsabilità ricade sui soggetti che influenzano l'opinione pubblica, in particolare i personaggi politici e mediatici di spicco.
3.6 Rafforzamento del carattere «oggettivo» della strategia
3.6.1 Negli ultimi venti anni l'UE ha compiuto, nei vari campi di intervento, importanti passi in avanti in materia di valutazione oggettiva dell'esclusione e della lotta contro l'emarginazione, nonché nell'integrazione dei risultati di tale valutazione nelle politiche sociali. Una condizione indispensabile per potere applicare e valutare le politiche adeguate è la disponibilità di dati. Malgrado gli sforzi fatti sinora, permane una grave mancanza di dati esaurienti, sia in merito alla popolazione in generale che in merito ai gruppi destinatari. In considerazione degli obiettivi della strategia è importante realizzare dei progressi nei seguenti campi:
3.6.2 «Politica di integrazione neutrale sotto il profilo razziale ed etnico»: nello sviluppare ulteriormente i metodi di valutazione delle varie forme di povertà e di privazione occorre fare degli sforzi per misurare la concentrazione dell'esclusione e per mettere in luce gli effetti delle misure attuate nel quadro delle relative politiche. Il CESE raccomanda che Eurostat e gli uffici statistici degli Stati membri aggiungano agli indicatori di esclusione degli indicatori di povertà e di esclusione estreme, e sviluppino i principi di un metodo di misurazione e di trattamento statistici che consentano di analizzare la povertà e la privazione estreme;
3.6.3 su tale base occorre che gli Stati membri individuino, nel quadro delle loro strategie, le unità territoriali (agglomerati, baraccopoli, centri urbani, accampamenti, quartieri isolati, insediamenti rurali ecc.) caratterizzati da una concentrazione particolarmente elevata di forme di esclusione e di esclusione estrema in zone abitate, indipendentemente dal fatto che tali zone siano o no considerate dall'opinione pubblica come abitate da Rom. Il CESE raccomanda agli Stati membri di elaborare strategie urbanistiche volte a eliminare tali zone o a renderle abitabili, istituendo i necessari meccanismi di monitoraggio, basati su elementi probanti;
3.6.4 «Politica rivolta ad accrescere l'autonomia sociale dei Rom»: affinché gli handicap e gli svantaggi siano messi in evidenza è necessario che coloro che affermano la propria identità etnica chiedano essi stessi di essere iscritti all'anagrafe in quanto appartenenti a tale minoranza. Tuttavia, ove una richiesta in tal senso non venga formulata, bisogna vietare categoricamente e risolutamente che l'anagrafe registri qualsiasi riferimento all'appartenenza etnica basato su caratteristiche esteriori. Tenendo conto del carattere particolarmente delicato dei dati relativi alle minoranze etniche occorre garantire in tutti i modi la massima protezione dei dati personali e al tempo stesso il massimo di pubblicità ai dati aggregati relativi alle minoranze;
3.6.5 parallelamente alla riduzione dell'esclusione e della povertà, e all'attenuazione delle loro forme estreme, il CESE raccomanda di sostenere programmi linguistici, culturali, di istruzione e di comunità miranti a sviluppare una comunità Rom i cui membri siano effettivamente messi in condizione di incontrarsi;
3.6.6 «Politica antirazzista»: occorre monitorare, basandosi sulle ricerche condotte a livello dell'UE e nazionale, l'evoluzione dei pregiudizi relativi ai Rom, la loro presenza nei differenti gruppi della popolazione e l'incidenza delle varie politiche sullo sviluppo dei pregiudizi etnici e del razzismo. È necessario avviare dei programmi di sensibilizzazione della società, miranti a contrastare gli atteggiamenti di esclusione e i pregiudizi razzisti riscontrabili nella popolazione. Bisogna inoltre provvedere al regolare monitoraggio di tali programmi;
3.6.7 il CESE raccomanda vivamente di sorvegliare non soltanto le tendenze in materia di pregiudizi e di razzismo, ma anche gli impatti positivi e i benefici sociali delle iniziative pubbliche e della società civile e delle buone pratiche dirette a ridurre i pregiudizi contro i Rom e la xenofobia e a migliorare l'integrazione inclusiva interculturale.
3.7 Questioni generali nell'ambito dell'attuazione a livello nazionale
3.7.1 Complessità: il CESE sottolinea che è necessario sviluppare le misure applicate in differenti settori di intervento per rafforzare il ruolo positivo dei Rom nella società, migliorare le loro condizioni di vita e accrescere la loro integrazione. Tali misure devono trasformarsi in politiche sistematiche. A tal fine occorre anzitutto articolare tra loro gli elementi dei vari campi d'azione, quindi organizzare relazioni intersettoriali di buona governance e in terzo luogo avviare un'attuazione sistematica a livello politico. Ciò richiede che tutti i soggetti coinvolti nell'attuazione adottino un approccio unico e concertato;
3.7.2 gli elementi dei programmi devono collegarsi tra loro in maniera coerente (coerenza) e integrata (consequenzialità). Un terzo aspetto essenziale dell'attuazione consiste nella pianificazione e nella determinazione delle priorità (sequenzialità): in altri termini, per realizzare obiettivi realistici si deve procedere per fasi ben concepite e per componenti successive. A tal fine è necessaria un'autorità di coordinamento efficace e dotata di competenze adeguate;
3.7.3 nella pianificazione e nell'esecuzione delle politiche di integrazione occorre sempre concentrarsi sulle esigenze reali e intervenire in maniera differenziata e flessibile. In tal modo si creano anche possibilità per un intervento ottimizzato in funzione delle specificità locali (regionali). Le strategie di integrazione vanno pianificate e applicate in maniera bilaterale, sulla base di sforzi e di influssi reciproci e nell'interesse comune di tutte le parti in causa;
3.7.4 una condizione imprescindibile del ricorso ai bandi di gara e ai fondi dell'UE è la semplificazione delle condizioni di aggiudicazione degli appalti e di rendicontazione. L'esecuzione, attentamente programmata, dovrebbe tenere nel giusto conto anche la creazione di capacità, un adeguato coordinamento e il sostegno di una volontà politica impegnata; è essenziale anche coinvolgere nella programmazione i rappresentanti delle parti in causa;
3.7.5 attuazione fondata su dati tangibili, indicatori: le politiche pubbliche devono fornire prove evidenti e verificabili della loro efficacia, in altre parole esse devono dimostrarsi efficaci in relazione agli obiettivi stabiliti inizialmente. Una politica non deve infatti causare danni e rischi maggiori di quelli che dovrebbe scongiurare, e non dev'essere inutilmente onerosa. Per tale ragione sono stati compiuti sforzi considerevoli, ma non sufficienti, per far sì che questa politica si fondi maggiormente su dati tangibili. Nel quadro degli sforzi per l'integrazione dei Rom è particolarmente importante poter valutare non solo i programmi, ma anche l'intera politica. Occorre dunque promuovere, a livello sia nazionale che di UE, una cultura della valutazione, un sistema di requisiti più forte, l'applicazione standardizzata di indicatori di prestazioni socioeconomiche e di statistiche sociali appropriate, sempre riferite ai pertinenti gruppi destinatari, nonché l'organizzazione di un dispositivo istituzionale di valutazione scientificamente fondato. A tal fine occorre affrontare la questione del finanziamento adeguato;
3.7.6 pur sostenendo l'attuazione del Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020 e delle politiche nazionali che vi contribuiscono, il CESE desidera prendere parte alla valutazione di tali politiche sulla base del mandato affidatogli dalla società civile e servendosi dei collegamenti che lo uniscono intrinsecamente alle organizzazioni della società civile degli Stati membri. Esso intende partecipare alla mediazione tra le istituzioni dell'UE e la società civile organizzata e partecipare in quanto partner attivo alla piattaforma europea per l'inclusione dei Rom e ad altre forme di dialogo strutturato;
3.7.7 partecipazione e rappresentanza: non si può concepire, né in teoria né in pratica, una politica di integrazione cui non partecipino attivamente gli interessati. Occorre pertanto evitare gli approcci paternalistici che limitano i diritti, e garantire invece una partecipazione quanto più possibile intensa e differenziata delle organizzazioni di base dei Rom, dei rappresentanti della società civile locale, degli specialisti scientifici e delle parti sociali al processo decisionale, all'attuazione e al monitoraggio, come viene chiaramente affermato nella comunicazione della Commissione e in altri pertinenti documenti. Nelle zone oggetto di intervento sono particolarmente importanti le misure positive che garantiscono la partecipazione politica dei gruppi particolarmente sfavoriti (donne, madri sole, persone di lingua materna straniera, disabili ecc.);
3.7.8 la validità, la credibilità e l'efficacia delle politiche sono legate essenzialmente a un forte senso di coinvolgimento e di titolarità dei principali destinatari. Occorre pertanto coinvolgere i rappresentanti della comunità Rom a livello europeo, nazionale e ovviamente anche locale, nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di integrazione dei Rom (inclusione attraverso la partecipazione);
3.7.9 l'esclusione sociale e le sue forme estreme si accompagnano spesso, secondo modalità differenti da uno Stato membro all'altro, a comportamenti, stili di vita, abitudini che si discostano dalle norme sociali seguite dalla maggioranza della popolazione (nomadismo, attività specifiche come la raccolta e il commercio di articoli usati, particolari attività artigianali). Nel quadro dell'elaborazione delle strategie nazionali occorre dedicare una specifica attenzione a tali particolarità. Tuttavia si verifica anche che delle consuetudini che vengono attribuite al gruppo etnico siano chiaramente devianti e criminali. Garantire la coabitazione pacifica di norme culturali opposte - sforzandosi al tempo stesso di mantenere nei limiti del quadro giuridico in vigore le tensioni e gli antagonismi derivanti da atteggiamenti e abitudini divergenti - dovrebbe essere l'obiettivo che definisce la natura specificamente inclusiva delle strategie nazionali e, al tempo stesso, la particolare sfida cui queste devono fare fronte. A tal fine è importante prevedere, come indicato nella comunicazione della Commissione, opportunità di comunicazione aperta e procedure accessibili anche ai principali interessati, nel quadro delle quali i professionisti dell'interculturalità, tra i quali anche persone di origine o di identità Rom, e gli operatori sociali, dovranno svolgere un ruolo di primo piano, sia a livello dei servizi pubblici che a livello di programmi di comunità (mediazione, prevenzione, servizi di riconciliazione ecc.).
3.8 Prospettive
3.8.1 Il CESE è convinto che l'UE, attraverso gli sforzi congiunti delle sue istituzioni, dei governi degli Stati membri e delle amministrazioni e comunità locali, possa trovarsi a una svolta storica. Potrebbe infatti vedere finalmente la luce una politica in favore del gruppo etnico più escluso e sfavorito dell'UE, basata su un approccio comune e in grado di produrre non già dei fallimenti dal costo elevato, ma piuttosto dei risultati intelligenti e umani. Il CESE desidera sostenere pienamente tale processo e la sua realizzazione.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Il presente documento si basa sulla definizione contenuta nel parere del Comitato delle regioni sul tema L'integrazione sociale ed economica dei Rom in Europa (GU C 42 del 10.2.2011, pag.23): «… il termine Rom utilizzato in questo documento è una dizione ombrello che include anche altri gruppi di popolazioni con caratteristiche culturali simili ed una storia di marginalità ed esclusione sociale nella società europea (Sinti, Gipsy, Travellers, Kalè, Camminanti, Ashkali, ecc.)».
(2) COM(2011) 173 definitivo.
(3) SEC(2010) 400 definitivo.
(4) COM(2010) 133 definitivo.
(5) Parere del Comitato delle regioni sul tema L'integrazione sociale ed economica dei Rom in Europa (GU C 42 del 10.2.2011, pag.23).
(6) GU C 27 del 3.2.2009, pagg. 88-94.
(7) GU C 48 del 15.2.2011, pag. 1.
(8) GU C 347 del 18.12.2010, pagg. 19-27.
(9) Parlamento europeo, 2010/2276(INI), 24 novembre 2010.
(10) In particolare per quanto riguarda i seguenti principi: Approccio mirato esplicito, ma non esclusivo, Approccio interculturale, e Obiettivo finale di piena inclusione dei Rom nella società.
(11) Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, Strumento di assistenza preadesione, Banca mondiale, Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.
(12) «Alla grande maggioranza dei Rom in età lavorativa manca l'istruzione necessaria per trovare buoni posti di lavoro. (…) Ne consegue che gli Stati membri dell'UE perdono ogni anno centinaia di milioni di euro in produttività e in contributi fiscali. (…) Il gettito fiscale annuo che conseguirebbe dall'eliminazione del divario occupazionale sarebbe molto superiore al costo complessivo degli investimenti destinati all'istruzione pubblica dei bambini Rom. (…) La quota dei Rom sulla popolazione in età lavorativa crescerà in seguito al rapido invecchiamento della popolazione maggioritaria in Europa centrale e orientale. Una partecipazione equa dei Rom al mercato del lavoro è essenziale per far fronte ai costi crescenti, a livello nazionale, delle pensioni, della salute e di altri fattori legati all'invecchiamento.» (Costi economici dell'esclusione dei Rom, Banca mondiale, 2010).
(13) Le raccomandazioni politiche vertono sull'insieme delle politiche o sul loro contesto, ma per esigenze di sintesi non possono occuparsi delle singole questioni politiche settoriali.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/22 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'impatto delle politiche dell'UE sulle opportunità di occupazione, le esigenze di formazione e le condizioni di lavoro dei lavoratori del settore dei trasporti» (parere esplorativo)
2011/C 248/04
Relatore: André MORDANT
La Commissione, in data 17 novembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:
L'impatto delle politiche dell'UE sulle opportunità di occupazione, le esigenze di formazione e le condizioni di lavoro dei lavoratori del settore dei trasporti
(parere esplorativo).
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.
Nel prossimo futuro il settore dei trasporti dovrà far fronte a una serie di sfide, come la scarsità di risorse petrolifere e il possibile aumento dei prezzi del petrolio, l'esigenza di accrescere l'efficienza energetica, la necessità di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici e il passaggio a un'economia meno basata sul carbonio, nonché l'invecchiamento demografico e il relativo impatto sulla disponibilità di personale qualificato da un lato e le differenti esigenze di mobilità dall'altro. Il presente parere tiene conto di tali sviluppi.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea che il settore dei trasporti, che occupa il 4,4 % della forza lavoro europea e rappresenta quindi un'importante fonte di occupazione, offrirà in futuro all'Europa un considerevole potenziale di occupazione. Tale settore è inoltre vitale per lo sviluppo economico europeo, per la mobilità dei cittadini, per l'integrazione delle persone e per la coesione sociale ed economica in Europa.
1.2 Il CESE raccomanda di incoraggiare le donne e i giovani a cogliere le opportunità di lavoro nel settore dei trasporti grazie a interventi che migliorino la qualità dell'occupazione in tutti i modi di trasporto, le condizioni di lavoro, la formazione e l'apprendimento permanente, le opportunità di carriera e la salute e la sicurezza dei lavoratori e degli utenti, e contribuiscano a un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata.
1.3 Il CESE raccomanda che in tutti i modi di trasporto si tenga conto, con il sostegno della Commissione europea, delle opportunità di formazione esistenti, e si valutino le future esigenze in questo campo a livello nazionale, regionale e di impresa. È importante dedicare particolare attenzione alla formazione permanente.
1.4 Il CESE ritiene necessario assicurare in misura sufficiente una formazione di qualità in istituti specializzati e/o nelle stesse imprese, richiedendo la cooperazione tra le parti sociali, le regioni e gli istituti di formazione in tutti i modi di trasporto. Il CESE raccomanda fortemente la cooperazione tra centri di formazione a livello europeo. Esso ritiene che, per promuovere l'interesse per una carriera nel settore dei trasporti, sia particolarmente importante evitare che i costi delle misure di formazione ricadano sui tirocinanti.
1.5 Il CESE raccomanda di varare una normativa dell'UE sui certificati e le patenti del personale di bordo dei treni e degli equipaggi aereonautici, al fine di garantire un'occupazione di qualità, la qualità dei servizi e la sicurezza, nonché di facilitare la mobilità dei lavoratori in Europa.
1.6 Ritiene che la direttiva 2003/59/CE costituisca un buon esempio e invita la Commissione a prendere in considerazione ulteriori misure legislative in materia di formazione obbligatoria e permanente anche per altri modi di trasporto.
1.7 Al fine di promuovere le professioni dei trasporti, il CESE raccomanda di eseguire, ad esempio nelle scuole, azioni coordinate a livello nazionale, regionale e locale, per far conoscere il settore dei trasporti e promuovere le relative professioni.
1.8 Il CESE sottolinea che, per attirare le donne verso le professioni dei trasporti, è necessario incentivare l'adeguamento del settore alle specifiche necessità delle lavoratrici. Il settore dei trasporti e le singole imprese che vi operano devono sviluppare politiche volte a incoraggiare l'occupazione femminile.
1.9 Tenendo conto dell'evoluzione demografica e dell'invecchiamento della forza lavoro, il settore e le singole imprese dovrebbero analizzare la struttura del personale per età e il futuro fabbisogno di forza lavoro al fine di sviluppare la formazione, l'organizzazione del lavoro e le misure volte a promuovere la salute sul lavoro in funzione delle esigenze delle diverse fasce di età.
1.9.1 Il CESE raccomanda anche di dedicare maggiore attenzione all'offerta di opportunità di carriera ai lavoratori dei trasporti, in modo da rendere il settore attraente per i giovani.
1.9.2 Nel comparto marittimo si dovrebbe promuovere il passaggio dalla posizione di marinaio a quella di ufficiale.
1.9.3 Il settore dei trasporti pubblici dovrebbe fare sforzi maggiori per offrire ai conducenti di autobus opportunità di carriera, ad esempio come caposquadra o programmatore del traffico.
1.10 Il CESE considera la sicurezza personale di addetti e passeggeri e la prevenzione delle aggressioni e della violenza una sfida importante, e raccomanda vivamente di applicare una politica di tolleranza zero nei confronti di ogni forma di violenza.
1.10.1 Raccomanda di adottare misure preventive nel campo delle infrastrutture, ad esempio parcheggi sufficienti, a prezzi ragionevoli e sicuri, per i trasporti di merci su strada, e stazioni ferroviarie, della metropolitana, dei tram e dei bus di buona qualità. L'UE dovrebbe fornire un sostegno finanziario per tali misure infrastrutturali.
1.10.2 Come misura preventiva contro la violenza, il CESE raccomanda di impiegare nelle stazioni e sui mezzi pubblici una quantità sufficiente di personale adeguatamente qualificato e formato.
1.10.3 Il CESE raccomanda di istituire un'Agenzia della sicurezza stradale.
1.11 Tenendo conto dell'articolo 9 del TFUE e della Carta dei diritti sociali fondamentali, la Commissione deve favorire una politica sociale dei trasporti. Il CESE ritiene che ulteriori passi verso la liberalizzazione potranno essere eventualmente proposti in seguito a una seria analisi delle conseguenze sociali di quelli già compiuti in tal senso, a una ragionevole valutazione dell'impatto sociale, e con la garanzia che la concorrenza non si basi sul costo del lavoro ma sulla qualità dei servizi.
1.11.1 In caso di servizi appaltati con procedure di gara, come ad esempio i servizi aeroportuali di assistenza a terra, si devono garantire la sicurezza dell'occupazione - con un trasferimento obbligatorio di personale ai nuovi operatori - e il livello delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni, continuando ad applicare disposizioni dei contratti collettivi in vigore al momento della prestazione dei servizi (1). A tal fine il CESE raccomanda l'inserimento di una clausola sociale.
1.11.2 Per quanto riguarda l'attuazione del Cielo unico europeo, compresi i blocchi funzionali di spazio aereo e il Programma di ricerca sul controllo del traffico aereo nel Cielo unico europeo (SESAR), il CESE invita gli Stati membri ad avviare attente consultazioni delle parti sociali e degli altri soggetti coinvolti per adottare misure ponderate rivolte a raggiungere gli obiettivi stabiliti senza perdite di posti di lavoro.
1.12 Il CESE fa presente che occorre monitorare efficacemente ed applicare la legislazione sociale nei trasporti, e sanzionare adeguatamente le violazioni per mezzo di regole armonizzate. Bisogna rafforzare le capacità delle autorità competenti per l'applicazione, nonché migliorare il coordinamento e la cooperazione.
1.13 Il CESE raccomanda di adottare una normativa UE per il controllo regolare degli orari di lavoro e di riposo dei lavoratori mobili delle ferrovie impegnati nei servizi transfrontalieri. Sottolinea inoltre l'esigenza di applicare meglio le disposizioni della direttiva sui lavoratori distaccati, in particolare nel caso dei trasporti stradali di cabotaggio.
1.14 Il CESE raccomanda di dedicare particolare attenzione agli elementi che promuovono un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata per i lavoratori mobili del settore dei trasporti. Occorre inoltre migliorare la legislazione sociale per il settore dei trasporti in materia di orari di lavoro.
1.14.1 Per garantire la qualità e la sicurezza, il CESE raccomanda di adottare misure normative complementari in materia di composizione degli equipaggi delle navi in servizio sulle rotte marittime e sulle vie d'acqua interne.
1.14.2 Raccomanda inoltre di applicare meglio e con maggior rigore nel settore marittimo i regimi degli orientamenti sugli aiuti di Stato, rafforzando il vincolo tra, da un lato, la concessione di aiuti pubblici o di esenzioni fiscali e, dall'altro, le garanzie occupazionali e gli obblighi in materia di formazione.
1.14.3 Ritiene che le istituzioni dell'UE e l'Agenzia europea della sicurezza aerea (EASA) dovrebbero cooperare maggiormente con le parti coinvolte per definire, in un'ottica di sicurezza e su basi scientifiche, delle norme sui tempi limite di volo per gli equipaggi degli aerei.
1.14.4 Raccomanda di introdurre una specifica normativa settoriale in materia di salute e sicurezza per i vari modi di trasporto, dato che il diritto comune dell'UE in materia spesso non tiene conto delle speciali condizioni del settore dei trasporti.
1.14.5 Ritiene che occorra una normativa adeguata per evitare che i contratti di lavoro «cambino bandiera».
1.15 Il CESE sostiene fortemente il dialogo sociale. A livello europeo i vari comitati settoriali di dialogo sociale devono svolgere un ruolo più incisivo nella valutazione precoce dell'impatto sociale delle proposte della Commissione, e avanzare le proprie osservazioni e proposte per i vari modi di trasporto.
1.15.1 Il CESE raccomanda alla Commissione europea, e in particolare alla DG MOVE, di cooperare in maniera più efficace con i comitati settoriali di dialogo sociale e tener conto dell'apporto di competenze specifiche delle parti sociali sin dalle prime fasi del processo decisionale.
1.16 Il CESE ritiene che le istituzioni e le parti sociali europee non dispongano di sufficienti statistiche e analisi comparative sulle condizioni occupazionali e di lavoro per i vari modi di trasporto. Pertanto il CESE è favorevole all'istituzione di un Osservatorio sociale, dell'occupazione e della formazione nel settore dei trasporti, che dovrebbe fornire informazioni concrete, utili a valutare meglio e in maniera retrospettiva l'impatto sociale delle misure di politica dei trasporti, per sostenere le parti sociali europee nel dialogo sociale settoriale europeo.
2. Il settore dei trasporti è un'importante fonte di occupazione per l'UE
2.1 Sul piano quantitativo, l'occupazione nel mercato dei trasporti assume è importante: nel 2007 essa ammontava a circa 9,2 milioni di lavoratori, pari al 4,4 % della forza lavoro dell'UE. Queste cifre comprendono il comparto delle condutture, le agenzie di viaggio/tour operator e i servizi ausiliari, come la movimentazione, lo stoccaggio e il deposito delle merci.
2.2 La distribuzione della forza lavoro tra i vari modi di trasporto è la seguente: 2,9 milioni di addetti nel trasporto di merci su strada. 1,9 milioni nel trasporto di passeggeri su strada, 864 000 nelle ferrovie, 43 400 nella navigazione interna, 184 000 nella navigazione marittima e 409 000 nell'aviazione. I servizi accessori dei trasporti occupano circa 2,3 milioni di persone (2).
2.3 Tra il 2004 e il 2007 i lavoratori dei trasporti sono aumentati costantemente, da 8,6 a 9,2 milioni di unità, nei 27 Stati membri. Tale aumento si è registrato principalmente nei comparti del trasporto di passeggeri e di merci su strada e in quello dei servizi accessori. Il numero di addetti nel comparto ferroviario è diminuito bruscamente di 117 000 unità, dai 981 848 addetti del 2004 agli 864 000 del 2007 (3).
2.4 L'occupazione nei trasporti, in particolare nel comparto merci, ha risentito fortemente della crisi economica nel 2008 e 2009.
2.5 Il futuro andamento dell'occupazione nei trasporti dipenderà da vari fattori, tra cui lo sviluppo delle attività commerciali ed economiche, l'invecchiamento demografico e i modelli di mobilità delle persone, l'evoluzione tecnologica, la disponibilità e i prezzi dell'energia, le misure intese a promuovere la sostenibilità dei trasporti (trasferimento modale, ad esempio dall'auto privata ai trasporti pubblici, riduzione dei trasporti tout court) (4) e i modi di trasporto alternativi come la bicicletta (5).
3. Caratteristiche dell'occupazione nel settore dei trasporti: scarsa attrattiva - un problema per il futuro
3.1 La reputazione del lavoro nel settore dei trasporti non è immacolata, e i posti di lavoro in questo settore non sono considerati particolarmente attraenti. Analisi di settore eseguite dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, nel quadro del Terzo e del Quarto rapporto sulle condizioni di lavoro in Europa (pubblicati rispettivamente nel 2000 e nel 2005), hanno confermato che il settore dei trasporti è uno dei meno favoriti in termini di indicatori sulle condizioni di lavoro.
3.2 Nel suddetto Terzo rapporto, presentato nel 2000, gli indicatori considerati meno favorevoli erano le condizioni ambientali, l'ergonomia, gli orari di lavoro atipici, gli orari di lavoro prolungati, le forti sollecitazioni sul lavoro, l'assenza di controlli sul lavoro, il lavoro non qualificato, la poca flessibilità dei compiti, la discriminazione.
3.3 Nel suddetto Quarto rapporto (2005) gli indicatori (riferiti ai soli trasporti via terra) erano invece gli orari di lavoro, gli orari di lavoro atipici, l'equilibrio tra orario di lavoro e impegni familiari e sociali, il controllo sul lavoro, il lavoro qualificato, la violenza, lo stress, i problemi muscolo-scheletrici (6).
3.4 La maggior parte del lavoro svolto nel settore dei trasporti comporta la mobilità (conducenti, piloti, personale di bordo dei vari comparti) o consiste in mansioni direttamente legate al traffico, come il controllo del traffico stesso. I conduttori di veicoli e di macchinari mobili costituiscono la principale categoria di dipendenti del settore nell'UE (45 % nel 2006) (7). Il fatto che essi siano sistematicamente, e spesso per lunghi periodi, assenti da casa, e che il loro lavoro sia in genere organizzato per turni, va contro la crescente aspettativa di un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata. Per di più le retribuzioni sono modeste per la maggior parte di queste professioni e occupazioni.
3.4.1 Il CESE reputa che non ci si possa accontentare di condizioni di riposo poco confortevoli, e che occorra al contrario ricercare in tutti i casi condizioni di riposo soddisfacenti per il personale di tutti i modi di trasporto.
3.5 Il settore è caratterizzato da una netta prevalenza di personale maschile e da una tra le maggiori segregazioni tra i sessi, dato che le donne sono solo il 21,1 % degli addetti (nei trasporti via terra i dipendenti di sesso maschile sono addirittura l'82,2 %). Dagli studi effettuati è emerso che l'aumento dell'occupazione femminile nel settore si traduce spesso in un miglioramento delle condizioni di lavoro per entrambi i generi.
3.6 Lavorare nei trasporti è giustamente considerato pericoloso. La sicurezza operativa e la sicurezza sul lavoro sono strettamente legate tra loro, specialmente per i conducenti. Gli incidenti mortali riguardano anche gli addetti alla manutenzione (ad esempio quelli che si occupano dei binari nel comparto ferroviario), gli addetti allo smistamento dei treni e il personale di bordo delle navi. Vi sono inoltre problemi legati alla violenza e alle aggressioni subite dagli addetti (sottrazioni del carico nei trasporti stradali, aggressioni del personale nei trasporti pubblici di passeggeri su strada o su rotaia, e persino atti di pirateria nei trasporti marittimi).
3.7 La struttura demografica del settore suscita preoccupazione. L'età media degli addetti è elevata, e molti di essi andranno in pensione nei prossimi 10-20 anni. I lavoratori di età compresa tra i 15 e i 29 anni sono solo il 17,5 %, quelli tra i 30 e i 49 anni sono solo il 57,5 % (dati riferiti al 2006) (8).
3.8 Numerosi comparti segnalano già seri problemi di reperimento del personale, specie per i lavori mobili. Considerati l'invecchiamento della popolazione europea e la concorrenza tra comparti ed imprese per attrarre lavoratori (giovani), tutto ciò è destinato a creare gravi problemi al settore dei trasporti. Occorre rendere il settore più attrattivo offrendo iniziative di formazione interessanti, aprendo opportunità di carriera all'interno del comparto e migliorando le condizioni di lavoro. Il settore dei trasporti deve venire incontro alle esigenze, avvertite in particolare dai lavoratori giovani di entrambi i sessi, di un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata. Le donne potrebbero essere integrate meglio nel settore dei trasporti grazie ad azioni positive, che richiedono quanto meno una nuova infrastruttura sanitaria, spogliatoi e alloggi, e una valutazione più equilibrata degli orari di lavoro continui, dello stress e della fatica per ciascun modo di trasporto.
4. Esigenze di qualificazione e formazione, ma anche opportunità di carriera
4.1 Gli addetti provvisti di un livello medio di qualificazione sono il gruppo più grande nel settore dei trasporti e della logistica, rappresentando, in tutta l'UE, il 58 % del totale. Sempre su scala dell'UE, i lavoratori a bassa qualificazione sono il 28 %. Nei nuovi Stati membri il livello medio di qualificazione è maggiore: l'81 % dei lavoratori dei trasporti dispone di una qualifica di medio livello, e solo il 7 % ne ha una di basso livello. Nell'intera UE solo il 14 % degli addetti ai trasporti e alla logistica ha una qualifica di livello più elevato (2006); tuttavia, se si osservano i cambiamenti intervenuti tra il 2000 e il 2006, si può constatare che i requisiti in materia di qualificazione crescono nell'intero settore. In tutti i profili professionali si riduce il numero di addetti a bassa qualificazione (9).
4.2 Gli sviluppi tecnologici e il maggiore ricorso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in tutti i comparti del settore richiedono un livello di istruzione più elevato e una formazione più regolare. L'apprendimento permanente riveste poca importanza per la maggior parte degli addetti provvisti di un livello di istruzione medio o basso. Un approccio maggiormente orientato al cliente richiede competenze che in precedenza non rientravano nella formazione di base prevista per le mansioni più tecniche. Per esempio, la sicurezza operativa e la sicurezza sul lavoro e la «guida ecologica» richiedono una formazione costante.
4.3 L'evoluzione demografica e la svantaggiosa struttura delle età nel settore dei trasporti impongono, oltre a concezioni nuove in materia di organizzazione del lavoro, maggiori investimenti dedicati alla formazione continua adattata per i lavoratori anziani. In particolare la professione di conducente dev'essere spesso interrotta prima dell'età della pensione a causa di problemi di salute legati al lavoro.
4.4 Per incoraggiare i giovani a lavorare nei trasporti è importante offrire iniziative di formazione interessanti e migliori opportunità di carriera nel comparto e/o nell'impresa. Ad esempio, nel comparto marittimo si dovrebbe promuovere il passaggio dalla posizione di marinaio a quella di ufficiale. I conducenti di autobus dei trasporti pubblici locali dovrebbero avere maggiori opportunità di accedere alla posizione di programmatore del traffico o di caposquadra. La formazione dev'essere considerata come un investimento nel futuro.
5. Condizioni di lavoro - I lavoratori mobili del settore dei trasporti sono appunto … mobili
5.1 Un importante problema creatosi nel settore dei trasporti in coincidenza con la creazione del mercato interno dei trasporti e la deregolamentazione è quello della mobilità, per definizione elevata, dei lavoratori mobili, che facilita, più che in altri settori, la delocalizzazione dei posti di lavoro e le pratiche di dumping sociale. Non si è dedicata la necessaria attenzione alla legislazione sociale, alle misure sociali di accompagnamento e alle misure di salvaguardia intese a evitare pratiche di dumping sociale.
5.2 Per esempio, nei comparti della navigazione interna, del trasporto su strada e della navigazione marittima ci si avvale spesso della libertà di stabilimento e del mercato aperto dei trasporti per insediare imprese in Stati membri caratterizzati da un minore costo del lavoro, da oneri sociali inferiori e/o da vantaggi fiscali, senza peraltro offrire servizi in tali Stati membri. In tal modo le differenze sociali e retributive tra i vari paesi vengono sfruttate per ottenere un vantaggio concorrenziale. Ne risultano problemi nel risalire ai contratti di lavoro, garantire i regimi di previdenza sociale e controllare ed applicare le norme in materia di salute e sicurezza. Per prevenire il dumping sociale occorre garantire l'applicazione del principio del paese ospitante, in base al quale vigono le condizioni sociali dello Stato in cui viene prestato il servizio.
5.3 Il dibattito sui trasporti sostenibili e sull'internalizzazione dei costi (ambientali) esterni rende di attualità la questione del prezzo equo dei trasporti. Tuttavia il prezzo equo dei trasporti dovrebbe comprendere anche il giusto prezzo di un lavoro di qualità nel settore. Ciò è essenziale se si vogliono avere:
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servizi di qualità, |
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sicurezza, |
— |
un settore dei trasporti attrattivo. |
5.4 Il prezzo equo di un'occupazione di qualità nei trasporti dev'essere garantito attraverso misure normative e il dialogo sociale.
5.5 I passeggeri dei servizi di trasporto pubblici e privati chiedono anche servizi di qualità, viaggi sicuri e protezione dalle aggressioni e dalla violenza.
6. Attività della Commissione in campo sociale nel settore dei trasporti
6.1 Nella comunicazione del 2006 sul tema Mantenere l'Europa in movimento, la Commissione ha fissato tra gli altri il seguente obiettivo per la politica europea dei trasporti: «In ambito sociale, la politica dell'UE si propone di elevare la qualità dell’occupazione e di introdurre migliori qualificazioni per i lavoratori europei nel settore dei trasporti» (10).
6.2 Lo studio di valutazione dei risultati della politica comune dei trasporti (11), e in particolare il compito 1.6, Aspetti sociali, contiene un elenco di iniziative legislative e documenti politici della Commissione riguardanti gli aspetti sociali nel settore dei trasporti, che si basano in parte su negoziati e iniziative delle parti sociali europee. Tuttavia, il rapporto afferma che è difficile fare una valutazione a causa della mancanza di dati o perché le misure sono state introdotte solo di recente e quindi non sono ancora in vigore.
6.3 Si può concludere che:
6.3.1 |
Le valutazioni di impatto eseguite dalla Commissione accordano un'alta priorità all'esame economico, mentre la disamina dell'impatto sociale delle iniziative dell'UE è meno sviluppata. Adesso che le modifiche sono state applicate risulta difficile rovesciare la situazione. |
6.3.2 |
La Commissione dovrebbe valutare attentamente e preliminarmente le conseguenze sociali delle sue proposte e proporre misure sociali di accompagnamento quando avanza proposte sull'ulteriore liberalizzazione del mercato dei trasporti. |
6.3.3 |
Mancano dati e informazioni affidabili dell'UE sul mercato del lavoro nel settore dei trasporti e sulle effettive condizioni di lavoro nei vari comparti del settore. Le informazioni statistiche NACE sull'occupazione sono troppo generiche per consentire un'analisi appropriata dei diversi comparti; i pochi studi comparativi su determinati aspetti settoriali diventano presto obsoleti: serve un osservatorio sociale dei trasporti, che dovrebbe avere regolarmente accesso ai dati degli ispettorati del lavoro degli Stati membri. |
6.3.4 |
Permane l'esigenza di ulteriori iniziative legislative rivolte ad affrontare i problemi esistenti. È essenziale che vi sia una stretta cooperazione con i vari dialoghi sociali settoriali europei, e la Commissione dovrebbe comunque valutare ed utilizzare i pareri degli «addetti ai lavori» scaturiti dal dialogo sociale e coinvolgere sin dall'inizio le parti sociali. |
7. Opportunità di lavoro, esigenze di formazione e condizioni di lavoro - I vari comparti dei trasporti
7.1 Trasporti su strada
7.1.1 Il comparto ha difficoltà sempre maggiori a reclutare conducenti: è questa la sfida principale cui esso deve fare fronte. Non si può ignorare che questa situazione costituisce il risultato delle condizioni in cui i conducenti e le imprese del comparto si trovano a dover operare. Dal punto di vista dei conducenti, un carico di lavoro elevato, orari scomodi e retribuzioni sotto la media fanno del trasporto su strada un comparto che non brilla in termini sociali. Dall'altro lato gli operatori, specie le piccole e medie imprese, devono svolgere la propria attività in un ambiente caratterizzato da un'aspra concorrenza intrasettoriale, per non parlare dell'impatto di fattori esterni come la crisi economica e i prezzi elevati dei carburanti.
7.1.2 La direttiva 2003/59/CE introduce l'obbligo di qualificazione iniziale e di formazione periodica per i conducenti professionisti. Essa è entrata in vigore nel settembre del 2009 per il trasporto di passeggeri e nel settembre 2010 per il trasporto di merci. L'obiettivo non è soltanto accrescere la sicurezza, ma anche migliorare la qualità della professione. Si tratta di un buon esempio di misura normativa, che avrà un ulteriore impatto positivo sullo status del conducente e in ultima analisi conferirà maggiore attrattiva a questa professione, specialmente perché i rilevanti progressi tecnologici realizzati in questo comparto rendono necessario un elevato livello di professionalità dei conducenti. In ogni caso, adesso tutto dipende dall'attuazione della direttiva da parte degli Stati membri. La sfida consiste nel predisporre sufficienti iniziative di formazione di alta qualità, un buon percorso formativo e finanziamenti per la formazione iniziale e periodica. Per quanto riguarda queste ultime, è emerso che in alcuni casi i relativi costi vengono addebitati ai conducenti, cosa questa che a medio termine renderà ancora più gravi i problemi di reperimento di personale.
7.1.3 Il comparto dei trasporti su strada trae vantaggio dalla propria legislazione sociale. Il problema principale consiste nella difficoltà di applicare le disposizioni in materia di lavoro, di guida e di tempi di riposo, anche se la regolamentazione è stata migliorata e viene eseguito un numero maggiore di controlli. Altrettanto vale per l'applicazione della direttiva sui lavoratori distaccati agli addetti ai trasporti su strada impegnati in servizi di cabotaggio.
7.1.4 La legislazione dell'UE in materia di trasporti dev'essere applicata senza eccezioni in tutto il settore, garantendo in tal modo un'equa concorrenza, la sicurezza stradale e la salute e la sicurezza sul lavoro.
7.1.5 I responsabili delle politiche dell'UE devono adottare misure che rendano il comparto effettivamente sostenibile, prevedere incentivi per gli operatori che investono in flotte e tecnologie nuove, migliorare la capacità degli Stati membri di applicare la normativa in materia di trasporti su strada, e introdurre misure atte a rendere altamente qualificata la professione di conducente, cosa che produrrà automaticamente un miglioramento dell'immagine di tale mestiere.
7.1.6 Miglioramento dell'infrastruttura stradale, in particolare per quanto riguarda la disponibilità di aree di sosta e riposo sicure e a prezzi accessibili. Una parte dei proventi dell'eurovignetta potrebbe essere usata per migliorare la qualità delle suddette aree, avvantaggiando in tal modo sia le imprese del comparto (sicurezza del carico) che i conducenti professionisti.
7.1.7 Istituire un'agenzia europea della sicurezza stradale, incaricata di vigilare sulle esigenze e sui requisiti di cui sopra (12).
7.2 Trasporti pubblici urbani
7.2.1 Stando ai dati dell'UITP, nell'UE circa un milione di persone lavora nei trasporti pubblici urbani. A seconda delle politiche intese a promuovere i trasporti pubblici negli agglomerati urbani, nelle città e nelle zone rurali, le opportunità occupazionali sono potenzialmente elevate.
7.2.2 Tuttavia, i trasporti pubblici locali hanno anch'essi problemi a reclutare personale, e i trasporti pubblici devono affrontare il problema dell'invecchiamento della forza lavoro. I conducenti rappresentano la maggioranza dei lavoratori del comparto dei trasporti pubblici. Tra gli elementi in grado di attirare le donne e i giovani verso questo comparto figurano condizioni di lavoro adeguate, un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata, e opportunità di carriera.
7.2.3 La direttiva 2003/59/CE, in materia di formazione dei conducenti, si applica ai trasporti pubblici a mezzo autobus.
7.2.4 Oltre al finanziamento, anche la prestazione di servizi di qualità costituisce una sfida importante per i trasporti pubblici. La relazione tra la qualità del lavoro (buone condizioni di lavoro) e la qualità del servizio costituisce l'oggetto del dialogo sociale settoriale europeo.
7.2.5 Va aggiunto che gli atti di violenza e le aggressioni costituiscono un problema serio nei trasporti pubblici di passeggeri. Una politica di tolleranza zero protegge passeggeri e personale e rende più attraenti i trasporti pubblici.
7.3 Trasporto ferroviario
7.3.1 Il comparto ferroviario è oggetto di un processo di ristrutturazione continua, con aumenti della produttività e riduzioni del personale: per esempio nelle stazioni ferroviarie diminuisce il numero degli addetti alla vendita di biglietti e nel trasporto regionale di passeggeri il numero del personale viaggiante, mentre nel trasporto merci si riduce l'uso del vagone unico, ad elevata intensità di mano d'opera, sostituendolo con quello dell'intero treno, che comporta un impiego di mano d'opera minore. Nuove tecnologie, come l'ERTMS (European Rail Traffic Management System - Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario) e i sistemi automatici di smistamento dei treni, sono intese a razionalizzare il lavoro e hanno ripercussioni prevalentemente sul personale adibito al controllo del traffico o sugli addetti allo smistamento. Tuttavia, promuovere, in contrasto con la tendenza attuale, il trasporto con vagone unico, consentirebbe di offrire una credibile alternativa ecologica al trasporto su strada e di generare occupazione (13).
7.3.2 I nuovi operatori del trasporto ferroviario di merci si concentrano sui servizi basati su treni interi, con una bassa intensità di mano d'opera, mentre gli investimenti destinati allo sviluppo di nuove infrastrutture e al miglioramento delle reti esistenti renderanno necessari nuovi posti di lavoro nel settore della manutenzione e dei servizi di supporto per le nuove infrastrutture.
7.3.3 In questo caso, a beneficiare delle opportunità occupazionali derivanti da un maggiore ricorso al trasporto ferroviario o da un trasferimento modale verso quest'ultimo non saranno soltanto i macchinisti. Tuttavia, anche il comparto ferroviario si trova ad affrontare problemi di reclutamento di personale con un livello di istruzione superiore (ingegneri) e le imprese devono far fronte a una struttura demografica svantaggiosa.
7.3.4 Esigenze di formazione:
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l'aumento del traffico transfrontaliero impone di intensificare la formazione sulle normative nazionali in materia di sicurezza e la formazione linguistica sia dei macchinisti che del personale di bordo, |
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nella certificazione del personale di bordo occorre garantire un livello elevato di sicurezza e un servizio di qualità, |
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l'introduzione di nuove tecnologie, come l'ERTMS, cambia il profilo dei macchinisti e del personale adibito al controllo del traffico, accrescendo l'esigenza di una formazione in tecnologie dell'informazione, |
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la tendenza alla multiqualificazione nel comparto del trasporto di merci su rotaia rende necessario definire nuove professioni e predisporre corsi di formazione appropriati, |
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la ristrutturazione del comparto coinvolge una serie di soggetti diversi e di nuove interfacce. Servirà più personale a livello amministrativo e gestionale. Il progressivo invecchiamento del personale attualmente in servizio e i crescenti problemi di reperimento di nuovo personale rendono necessario sviluppare adeguati programmi di formazione e di apprendimento permanente per i diversi gruppi di età. |
7.3.5 Condizioni di lavoro:
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la continua pressione verso aumenti di produttività e riduzioni dei costi nel comparto in questione sta conducendo a un peggioramento delle condizioni di lavoro e a una divisione della forza lavoro in due gruppi. Con l'apertura dei mercati e l'aumento dei servizi transfrontalieri, diventa indispensabile monitorare e applicare gli orari di lavoro, di manovra delle locomotive e di riposo, come pure i livelli di qualificazione dei macchinisti. |
7.4 Trasporti sulle vie d'acqua interne
7.4.1 La navigazione interna è considerata un modo di trasporto a basso impatto ambientale, il cui potenziale rimane sottoutilizzato. Tuttavia, il livello di importanti fiumi si sta riducendo, e questo costituisce un grave problema per il comparto. Sono in corso ricerche su nuovi tipi di natanti e nuovi sistemi di consegna (merci flottanti, ossia la consegna anticipata ai punti di trasferimento intermodali).
7.4.2 Tanto sul Reno quanto sul Danubio si registrano gravi carenze di personale sia nel trasporto di merci che in quello di passeggeri. Le giovani generazioni non sono interessate a questo comparto a causa del rapporto svantaggioso tra lavoro e vita privata, degli orari prolungati e delle condizioni di lavoro poco attraenti (in particolare i lunghi periodi di assenza da casa). La mancanza di un autentico quadro legislativo/regolamentare spinge a delocalizzare verso paesi (ad esempio, all'interno dell'UE, Cipro e Malta) che sfruttano le differenze tra i regimi fiscali nazionali e condizioni sociali e salariali meno favorevoli per ottenere vantaggi competitivi.
7.4.3 Questi problemi vengono affrontati attraverso il dialogo sociale e nel quadro di varie iniziative a livello dell'UE:
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Platina, piattaforma di azione del piano d'azione Naiades per la promozione della navigazione interna, comprende vari pacchetti di lavoro che affrontano altrettanti aspetti essenziali di questo comparto |
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Qualifiche e occupazione, un pacchetto di lavoro dell'UE inteso a rendere più attraente il comparto |
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Edinna (istruzione navigazione interna), una piattaforma europea per tutti i centri di formazione professionale |
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Prosegue il lavoro rivolto ad armonizzare i profili professionali (comandante e marinaio), che costituirà la base formale per delle norme minime unificate in materia di formazione nella navigazione interna nell'UE |
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Inoltre si continua a lavorare alla definizione di norme europee in materia di formazione e di certificazione nella navigazione interna. |
7.4.4 La Commissione centrale per la navigazione sul Reno (CCNR) funge da centro di conoscenza per la navigazione interna in Europa e, in collaborazione con la Commissione europea, sta armonizzando, attraverso il sistema del riconoscimento reciproco, il certificato di conduzione di navi. Affinché siano disponibili informazioni degne di fede, la Commissione europea ha incaricato la CCNR di elaborare e pubblicare ogni sei mesi degli studi di mercato, contenenti dati sociali ed economici. Nel quadro della cooperazione con la CCNR sono in corso ricerche intese a sviluppare uno speciale sistema di identificazione che, oltre ad attestare l'identità dei lavoratori, provvederà alla verifica e alla documentazione dei tempi di lavoro e di riposo e della certificazione relativa all'istruzione e alla formazione.
7.5 Aviazione
7.5.1 L'aviazione costituisce un servizio essenziale dell'economia dell'UE, la cui continuità è fondamentale per promuovere la coesione sociale e lo sviluppo regionale. Sfruttando tutti i vantaggi derivanti dal modello sociale europeo si può rafforzare la competitività internazionale dell'aviazione civile dell'UE. Per tutelare l'occupazione ed evitare il dumping sociale, le imprese devono garantire la corretta applicazione della legislazione sociale europea e nazionale e dei contratti collettivi. Per risolvere gli attuali problemi di questo comparto, bisogna intensificare gli sforzi per avviare un dialogo sociale a livello aziendale e nazionale.
7.5.2 Per assicurare la sicurezza, l'efficienza e la qualità del servizio, nello spirito degli obblighi di servizio pubblico, è necessaria un'atmosfera di fiducia, responsabilità e cooperazione al livello o ai livelli appropriati tra datori di lavoro e lavoratori. L'obiettivo principale dovrebbe essere quello di dar vita a un comparto dell'aviazione civile socialmente ed ecologicamente sostenibile.
7.5.3 Il CESE intende seguire con attenzione l'attuazione del «cielo unico europeo», compresi i blocchi funzionali di spazio aereo e il sistema europeo di nuova generazione per la gestione del traffico aereo (SESAR), nell'ambito dei quali il fattore umano e il dialogo sociale sono essenziali per il successo del comparto. Gli Stati membri dovrebbero avviare approfondite consultazioni con le parti sociali e con tutti gli altri soggetti coinvolti al fine di adottare misure equilibrate per realizzare tali obiettivi e evitare perdite di posti di lavoro (14).
7.5.4 Tutti i dipendenti dell'aviazione civile, e in particolare gli addetti all'assistenza a terra, devono ricevere lo stesso trattamento degli altri lavoratori dipendenti europei. Ciò attualmente non avviene: in caso di gare d'appalto gli addetti devono sempre beneficiare della tutela dei diritti di trasferimento.
7.5.5 L'UE deve assicurare il suo sostegno a misure che riconoscano e convalidino le qualificazioni in questo comparto. Tutti i soggetti coinvolti dovrebbero agire insieme, anche mediante negoziati, e investire nella formazione professionale e nella qualificazione. Si possono raggiungere i migliori standard formativi a livello europeo nel quadro di un approccio per fasi e mediante accordi. Ciò consentirà di definire regole più specifiche a tutti gli altri livelli e di proseguire il lavoro relativo alla convalida della formazione professionale e il coinvolgimento di altre parti coinvolte (istituzioni europee, autorità nazionali ecc.).
7.5.6 Infine, alla luce di quanto precede, è di cruciale importanza anche che la sicurezza aerea rimanga la principale priorità dell'azione legislativa europea in questo comparto. Sempre nel campo della sicurezza aerea, le istituzioni dell'UE e l'Agenzia europea della sicurezza aerea (EASA) dovrebbero consultare le parti in causa al fine di mettere a punto, in base a criteri di sicurezza e a dati scientifici, limitazioni del tempo di volo e disposizioni in materia di periodi di riposo degli equipaggi aerei che riducano efficacemente la fatica dovuta agli orari di lavoro prolungati, alla rotazione dei turni e allo sfasamento orario. La stanchezza costituisce una vera minaccia per la sicurezza aerea, perché riduce l'attenzione e le prestazioni. La stanchezza è la conseguenza naturale di numerose condizioni comuni alle operazioni aeree, a causa della perdita di sonno, del lavoro organizzato in turni e dei lunghi cicli di servizio.
7.6 Trasporti marittimi
7.6.1 La sfida principale nel comparto dei trasporti marittimi consiste nel declino a lungo termine dell'occupazione dei marittimi europei, e nella conseguente perdita di competenze europee in questo campo. Prosegue il ricorso a bandiere di comodo e ad equipaggi a basso costo provenienti da paesi in via di sviluppo. Nel commercio internazionale effettuato con navi di proprietà o sotto controllo europeo viene impiegato quasi esclusivamente personale non domiciliato, specialmente per quanto riguarda i marinai. Il convegno tenuto dal CESE l'11 marzo 2010 sul tema Capacità di attrazione delle professioni marittime ha esaminato tutti i motivi per cui tali professioni sono poco attraenti, sottolineando l'esigenza di migliorare l'istruzione in tale comparto e di promuovere l'intervento dell'UE in questo senso.
7.6.2 Inoltre il comparto dei trasporti marittimi è caratterizzato dall'invecchiamento della forza lavoro. Il fatto che gli ufficiali rimangano in servizio anche oltre l'età pensionabile è dovuto all'attuale scarsità di ufficiali e al fatto che le compagnie sono restie a promuovere i marinai al rango di ufficiali.
7.6.3 Un progetto realizzato nel quadro del dialogo sociale europeo ha provato tuttavia che il problema non è dovuto alla scarsità di tirocinanti europei disposti ad iniziare una carriera marittima, ma piuttosto alla mancanza di opportunità professionali e di posti da tirocinante a bordo. È evidente la necessità di creare un ambiente che faciliti il reclutamento e la formazione di marittimi europei e l'avanzamento da marinaio a ufficiale. Per favorire ciò, occorrerebbe applicare meglio e con maggiore rigidità i regimi degli orientamenti sugli aiuti di Stato, in particolare rafforzando il vincolo tra, da un lato, la concessione di aiuti pubblici o di esenzioni fiscali e, dall'altro, le garanzie occupazionali e gli obblighi in materia di formazione.
7.6.4 Gli armatori trasferiscono le loro attività fuori dall'Europa e investono sempre più in centri di formazione e accademie marittime di paesi terzi, specialmente dell'Estremo Oriente. Occorre sviluppare in Europa una rete di istituti di formazione e istruzione al fine di creare sistemi di istruzione in campo nautico che riflettano le esigenze emergenti in materia di qualificazione e vi si adeguino. In particolare per quanto riguarda quest'ultimo aspetto vi sono ottime ragioni per ricercare delle modalità di apprendimento più flessibili e miste, sia per la qualificazione iniziale che per l'apprendimento permanente. Il sistema di istruzione e il mercato del lavoro dovrebbero rispondere all'esigenza di un percorso professionale più flessibile (passaggio dal lavoro in mare a quello sulla terraferma e viceversa) includendo, oltre alle qualifiche settoriali specifiche, moduli sulla gestione, sull'attività d'affari e su quella commerciale.
7.6.5 Per quanto riguarda le condizioni di lavoro, i problemi derivano dalla precarizzazione, da un ricorso sempre più intenso ad agenzie di collocamento e dal fatto che manca un rapporto di lavoro diretto con le compagnie di navigazione o che tale rapporto è particolarmente distante. Le condizioni di lavoro e di vita a bordo sono spesso poco confortevoli, gli alloggi inadeguati, specie per le donne e i cadetti, e mancano strumenti di comunicazione. Per di più l'inadeguatezza degli equipaggi fa aumentare la fatica e comporta dei rischi per la sicurezza delle operazioni. Il problema della pirateria e la criminalizzazione dei marittimi hanno contribuito a deteriorare l'immagine del comparto e la propensione a intraprendervi una carriera.
7.6.6 Riguardo ai collegamenti marittimi tra il continente europeo e le isole o tra le isole, il CESE raccomanda di rafforzare gli obblighi di pubblico servizio al fine di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale senza che la regolamentazione degli aiuti di Stato vada a detrimento della prestazione dei servizi di interesse economico generale.
7.6.7 Tra le iniziative da adottare con particolare urgenza figurano:
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la valutazione della fattibilità di una nuova iniziativa europea che copra l'attività commerciale interna all'UE, sotto forma di proposta legislativa modificata sulle norme in materia di equipaggi, |
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la valutazione della fattibilità di una revisione degli orientamenti in materia di aiuti di Stato che colmi le lacune e garantisca che i soldi dei contribuenti dell'UE vengano spesi anzitutto per sostenere l'occupazione e la formazione dei marittimi dell'UE e per l'inclusione della gente di mare in tutte le disposizioni in materia sociale da cui sono attualmente esclusi, |
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la ratifica della convenzione ILO MLC 2006 e la sua applicazione attraverso un efficace controllo da parte dello Stato di approdo, |
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un metodo uniforme e coerente dell'UE per raccogliere dati sull'occupazione della gente di mare. |
7.7 Comparto portuale
7.7.1 Come avviene per altri comparti dei trasporti, anche le analisi dell'occupazione in quello portuale risentono di una mancanza di statistiche e di dati quantitativi. Riconoscendo questo problema, la DG MOVE ha recentemente dato incarico di eseguire uno studio sull'occupazione portuale. Tuttavia, ciò potrebbe non essere sufficiente a colmare la lacuna in modo sistematico, e occorrerebbe invitare sia Eurostat che gli Stati membri a contribuire a questo compito. Un problema cruciale è poi costituito dalla definizione stessa di «lavoratore portuale». Storicamente, infatti, un portuale è uno scaricatore, che esegue manualmente operazioni di carico e scarico, ma l'impiego dei container e gli sviluppi tecnologici hanno comportato una diversificazione del lavoro portuale che rende più difficile tale definizione. Per di più un numero sempre maggiore di addetti alla logistica opera nell'area portuale, ma in condizioni che spesso variano considerevolmente. Il CESE non considera accettabile una liberalizzazione forzata dei servizi portuali.
7.7.2 Esigenze di formazione: le misure e le esigenze di formazione per i lavoratori portuali variano da una parte all'altra dell'Europa. Mentre alcuni paesi hanno sviluppato ampi sistemi di formazione, in altri l'offerta in questo campo è molto carente. La maggior parte delle grandi imprese del comparto ha sviluppato propri regimi di formazione, e i grandi porti dispongono per lo più di propri centri di formazione. Tuttavia, le piccole imprese e i piccoli porti risentono della mancanza di una formazione adeguata, con conseguenze negative in termini di sicurezza. Una importante sfida per la formazione nei porti deriva dall'esigenza di adeguare i regimi esistenti ai rapidi mutamenti tecnologici e persino di anticipare tali mutamenti.
7.7.3 Bisognerebbe considerare la possibilità di instaurare un quadro comune per la formazione, identificando gli elementi e i moduli che dovrebbero essere presenti in ciascun programma di formazione e consentendo ai paesi che hanno regimi meno efficaci di migliorare i loro programmi in questo campo. In linea generale, per migliorare la competitività dei porti dell'UE e renderli più sicuri come luoghi di lavoro occorre più formazione. Un altro fattore è il legame tra la formazione e posti di lavoro migliori: i lavoratori portuali sono dei professionisti, e le misure di formazione dovrebbero essere predisposte in modo da garantire un percorso professionale e da consentire ai lavoratori di accumulare competenze multiple. La formazione in materia portuale dovrebbe essere gestita congiuntamente dalle parti sociali e dalle pubbliche autorità, come avviene già adesso in numerosi porti.
7.7.4 Condizioni di lavoro: la sicurezza continua ad essere un problema importante nei porti, specie in relazione ai container. Bisogna migliorare la segnalazione degli incidenti, includendovi dati migliori e più dettagliati (cause, luogo ecc.). Inoltre bisognerebbe normalizzare in tutta Europa tale segnalazione, adottando una definizione comune di «incidente» ecc.
7.7.5 Un'altra questione è la mancata applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Attualmente manca una normativa specifica in materia di salute e sicurezza nei porti, e si applica la direttiva quadro generale. Bisognerebbe valutare attentamente l'esigenza di presentare una normativa specifica in questo campo e per questo comparto. Inoltre il miglioramento delle condizioni di lavoro nei porti dovrebbe essere attuato grazie a un migliore dialogo sociale a livello locale, nazionale ed europeo. Nel contesto particolare delle trasformazioni industriali (ad esempio privatizzazione dei porti), tale dialogo dovrebbe condurre a soluzioni negoziate miranti a prevenire qualsiasi ripercussione negativa sulle condizioni di lavoro.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Cfr. anche il combinato disposto del considerando 17 e dell'articolo 4, paragrafi 5 e 6, del regolamento (CE) n. 1370/2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia.
(2) Prontuario statistico della DG MOVE, 2010.
(3) Prontuario statistico della DG TREN, 2006, 2007-2008, 2009, 2010.
(4) Lo studio fatto eseguire dalla DG EMPL sul tema Investing in the Future of Jobs and Skills (Investire nel futuro dei posti di lavoro e delle qualificazioni) analizza alcuni scenari.
(5) Studio Transvision basato su scenari (sviluppi dei trasporti fino al 2050) senza stime relative all'andamento dell'occupazione: http://ec.europa.eu/transport/strategies/studies/doc/future_of_transport/2009_02_transvisions_report.pdf.
(6) Terzo e Quarto rapporto della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro sulle condizioni di lavoro in Europa, analisi di settore 2002 e 2009; http://www.eurofound.europa.eu/surveys/index.htm.
(7) Cfr. nota 2.
(8) Dallo studio fatto eseguire dalla DG EMPL sul tema Investing in the Future of Jobs and Skills - Scenarios, implications and options in anticipation (Investire nel futuro dei posti di lavoro e delle qualificazioni: gli scenari, le implicazioni e le opzioni che si prospettano).
(9) Cfr. nota 5.
(10) Comunicazione Mantenere l'Europa in movimento (COM(2006) 314 definitivo), pag. 3.
(11) Valutazione della politica comune dei trasporti dal 2000 al 2008 http://ec.europa.eu/transport/strategies/studies/strategies_en.htm.
(12) GU C 132 del 3.5.2011, pag. 94.
(13) GU C 255 del 22.9.2010, pag. 92.
(14) GU C 182 del 4.8.2009, pag. 50.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/31 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Sviluppo sostenibile della politica dei trasporti dell’UE e pianificazione della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T)» (parere esplorativo richiesto dalla futura presidenza polacca)
2011/C 248/05
Relatore: KRAWCZYK
La futura presidenza polacca dell’Unione europea, in data 30 novembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:
Sviluppo sostenibile della politica dei trasporti dell’UE e pianificazione della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T)
(parere esplorativo).
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli e 7 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha sempre appoggiato il programma della rete transeuropea dei trasporti e, anche in questa occasione, ribadisce il proprio sostegno a tale programma. Osserva tuttavia che con l’allargamento dell’Europa sono aumentate le necessità del settore delle infrastrutture di trasporto, e ciò impone una riflessione su come adattare la politica esistente e i relativi strumenti di attuazione affinché siano all’altezza delle sfide future. |
1.2 |
Secondo il Comitato, l’obiettivo principale è quello di mettere a punto una politica dei trasporti che, una volta attuata, garantisca la coesione sociale ed economica, conciliando le ambizioni di crescita economica - sotto forma di potenziamento dei trasporti (secondo le previsioni della Commissione, tra il 2005 e il 2020 il traffico subirà un aumento di circa il 20 %) -, di coesione, di creazione di posti di lavoro e di sviluppo sostenibile con risorse finanziarie ridotte. |
1.3 |
In pratica, però, il Comitato deve constatare con rammarico che, dei 92 progetti selezionati nell’ambito dell’invito del 2007 a presentare proposte in occasione della valutazione intermedia del programma pluriennale 2007-2013 - progetti che assorbono circa i due terzi del bilancio complessivo stanziato per la TEN-T (ossia 5,3 miliardi di euro su 8,0 miliardi) - solo un numero ristretto è localizzato nei nuovi Stati membri. |
1.4 |
Il Comitato sottolinea che, se l’UE intende creare un mercato unico dei trasporti veramente integrato e portare avanti la politica di coesione, è necessario operare un cambiamento radicale nella scelta delle reti. Gli Stati membri dovrebbero proporre delle reti per la TEN-T sulla base di criteri chiari fissati dalla Commissione. |
1.5 |
Vista l’attuale dipendenza del settore dei trasporti dalle energie fossili, il Comitato raccomanda che la futura politica europea dei trasporti persegua i seguenti quattro obiettivi principali:
|
1.6 |
A questo proposito, il Comitato consiglia di scegliere i carburanti più ecologici e più rinnovabili che riducono le emissioni di CO2, di ricorrere alla comodalità e di introdurre il concetto di internalizzazione dei costi esterni per tutti i modi di trasporto. Il Comitato esprime preoccupazione circa i vincoli finanziari imposti ai progetti TEN-T a livello europeo, che potrebbero rendere insufficienti gli incentivi atti a spingere gli Stati membri a impegnarsi in tali progetti. Il CESE richiama pertanto i suoi pareri nei quali si sottolinea l’opportunità di esplorare nuove fonti di entrate per i bilanci pubblici (1). |
1.7 |
Il Comitato raccomanda inoltre di fare ricorso in modo attento e selettivo ai partenariati pubblico-privati (PPP) nel finanziamento della TEN-T, tenendo conto del fatto che i diversi Stati membri non hanno lo stesso livello di esperienza in materia di PPP e riconoscendo la necessità di mobilitare gli strumenti finanziari dell’UE (come i fondi strutturali e di coesione, le reti transeuropee e la BEI) nell’ambito di una strategia di finanziamento coerente, che metta insieme i finanziamenti UE e quelli nazionali, sia pubblici che privati. Per consentire agli enti pubblici di scegliere liberamente se impegnarsi nei PPP, il CESE richiama il proprio parere nel quale si invita a rivedere l’attuale definizione dei PPP contenuta nelle procedure di Eurostat in relazione all’indebitamento pubblico (2). |
1.8 |
Il Comitato raccomanda che la revisione degli orientamenti in materia di TEN-T affronti anche la questione delle strozzature e dei collegamenti mancanti al fine di promuovere uno sviluppo equilibrato delle infrastrutture di trasporto in ogni parte dell’Unione, in particolare nei paesi dell’Europa orientale, in modo da realizzare la coesione sociale ed economica. Il Comitato accoglie quindi con favore il Libro bianco intitolato Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile che riserva ampia attenzione a questo tema specifico e trae conclusioni sulle azioni concrete da intraprendere nei prossimi anni. |
1.9 |
In questo contesto va prestata particolare attenzione alla cosiddetta politica europea di vicinato, ossia ai collegamenti verso il Nord, l’Est e il Sud dell’UE, concentrandosi innanzitutto sulla rete e non già su singole opere infrastrutturali. |
1.10 |
Il Comitato propone che, sulla base della nuova TEN-T, si stipulino tra l’Unione europea e ogni singolo Stato membro dei «contratti programmatici» in cui vengano definiti gli impegni reciproci in materia di finanziamento e tempi di realizzazione. Il Comitato ritiene che la società civile dovrebbe essere coinvolta nel processo di elaborazione di questi «contratti programmatici» al fine di rendere più efficiente la successiva attuazione dei progetti approvati. |
1.11 |
Il Comitato ritiene che lo sviluppo sostenibile della politica dei trasporti dell’UE possa ricevere un sostegno significativo attraverso l’azione delle strutture di dialogo sociale o di dialogo con le parti interessate nel quadro dei corridoi transeuropei di trasporto già operativi o in costruzione. Il Comitato chiede la riattivazione di questi tipi di strutture. |
1.12 |
Il Comitato raccomanda di precisare che cosa si intenda con il concetto di sostenibilità. A suo giudizio, oltre ad apportare un contributo fondamentale alla crescita economica, questo concetto non comprende solo obiettivi ambientali, quali la protezione del clima, la lotta all’inquinamento acustico e atmosferico e la conservazione delle risorse, ma anche aspetti sociali del settore dei trasporti, quali i diritti dei lavoratori, le condizioni di lavoro, l’accesso a prezzi ragionevoli ai trasporti pubblici per tutti i cittadini, comprese le persone anziane e quelle disabili, tenendo conto del loro diritto alla mobilità come pure della parità di accesso alle strutture materiali e alle informazioni. Il concetto di sostenibilità dovrebbe inoltre tenere conto della politica di vicinato in relazione allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto. |
1.13 |
Il Comitato ritiene che una strategia basata sull’innovazione, sugli incentivi e sulle infrastrutture (strategia delle 3 «I») sia la soluzione economicamente più vantaggiosa per realizzare lo sviluppo sostenibile. |
1.14 |
Nel quadro di uno sviluppo sostenibile della politica dell’UE in materia di trasporti e della pianificazione della TEN-T, il Comitato raccomanda di esaminare le possibilità di eliminare le barriere ingiustificate che ancora ostacolano i vari modi di trasporto al fine di sfruttare appieno le capacità. Si dovrebbe incoraggiare una migliore pianificazione della mobilità per promuovere comportamenti compatibili con lo sviluppo sostenibile. La sfida consiste nell’influire sulla mobilità e sull’intensità dei trasporti nelle nostre economie. |
1.15 |
Il Comitato sostiene pienamente l’approccio esposto dalla Commissione nel Libro bianco per quanto riguarda l’intensificazione del coordinamento a livello europeo. Al fine di raggiungere gli ambiziosi obiettivi fissati per lo sviluppo della TEN-T e visti i rigorosi vincoli finanziari, sarà necessario che la politica europea in materia di infrastrutture sia molto più integrata e che il suo coordinamento avvenga in maniera appropriata, dalla pianificazione strategica fino alla realizzazione finale dei singoli progetti. È ora tempo di produrre risultati. |
2. Introduzione
2.1 |
Nel quadro della futura presidenza polacca, che guiderà il Consiglio dell’Unione europea nel secondo semestre del 2011, il CESE è stato invitato, tra gli altri, a elaborare un parere esplorativo sul tema Sviluppo sostenibile della politica dei trasporti dell’UE e pianificazione della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). |
2.2 |
Data l’importanza del tema e la necessità di garantire il diritto fondamentale alla mobilità, il CESE ha accolto con grande spirito di cooperazione la richiesta della futura presidenza polacca, anche alla luce del fatto che il settore dei trasporti genera il 10 % della ricchezza dell’UE in termini di PIL e dà lavoro a oltre 10 milioni di persone. Nello stesso tempo, la crescita costante della mobilità mette a dura prova i sistemi di trasporto, provocando congestione del traffico, incidenti e inquinamento. |
2.3 |
La Commissione europea ha elaborato un nuovo Libro bianco sui trasporti che definisce i piani della stessa Commissione per il prossimo decennio, nei quali si punta a realizzare entro il 2020 un sistema di trasporti diverso, caratterizzato da uno spazio unico europeo dei trasporti, mercati aperti, infrastrutture più verdi e tecnologie a basse emissioni di carbonio. |
2.4 |
Un elemento di rilievo di questo nuovo sistema di trasporti è rappresentato dalla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Questo è il motivo per cui la revisione degli orientamenti dell’UE per la TEN-T dovrebbe essere oggetto di particolare attenzione. |
2.5 |
Nel quadro di questa revisione, la Commissione propone di sviluppare una cosiddetta «rete centrale» che dovrebbe sovrapporsi alle reti di trasporto globali di base coerenti, integrando i nodi e i collegamenti strategici. |
2.6 |
La Commissione ritiene che questa struttura portante di un sistema europeo di trasporto integrato aiuterebbe ad affrontare i problemi che si presentano in modo ricorrente nella pianificazione della TEN-T. La soluzione di questi problemi è resa urgente dall’aumento del traffico tra gli Stati membri che, secondo le previsioni, dovrebbe raddoppiare di qui al 2020. |
2.7 |
La sfida per l’UE consiste nel mettere a punto una politica che, una volta attuata, si concili con le ambizioni di crescita economica sotto forma di potenziamento dei trasporti, coesione, creazione di posti di lavoro e sviluppo sostenibile. |
2.8 |
Per far fronte a questa sfida, è utile esaminare le ragioni per le quali i progetti scelti in passato non hanno dato i risultati attesi. |
2.9 |
In generale, tenendo conto del ruolo centrale che la TEN-T svolge nella definizione di una politica dei trasporti efficiente e nella creazione di una rete infrastrutturale coerente all’interno dell’Unione europea, il Comitato concorda con la Commissione sulla pertinenza delle seguenti ragioni:
|
2.10 |
Alla luce delle carenze del passato, gli aspetti principali da affrontare per poter fruire di una TEN-T funzionale, interoperabile e intermodale sono chiari, vale a dire: realizzare una rete di alta qualità in tutti gli Stati membri prestando particolare attenzione alle tratte transfrontaliere, alle strozzature e ai nodi, agevolare le operazioni comodali attraverso l’integrazione di tutti i modi di trasporto e garantire un buon funzionamento armonizzando le regole operative, nella cui definizione andrebbe assicurato un livello elevato di sicurezza e qualità. |
2.11 |
Un approccio di questo tipo servirebbe ad affrontare anche obiettivi più ampi in materia di politica dei trasporti e consentirebbe all’Europa di utilizzare le proprie risorse con maggiore efficienza, rispondendo in modo più adeguato alle sfide poste dai cambiamenti climatici. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il Comitato si compiace del fatto che la Commissione stia lavorando ad una nuova politica in materia di rete transeuropea di trasporto che consenta di raggiungere una coesione sociale ed economica tra tutte le regioni dell’UE, comprese quelle periferiche, ottenibile solo attraverso un’infrastruttura di trasporto efficiente che le colleghi tra loro. |
3.2 |
Alla luce di queste considerazioni, il Comitato è convinto che lo sviluppo e il graduale completamento di una rete transeuropea che funga da base infrastrutturale per il flusso di merci e la libera circolazione delle persone nel mercato interno rimangano per l’UE un obiettivo politico fondamentale, che servirà ad avvicinare la parte occidentale e quella orientale dell’Unione creando così il futuro spazio unico europeo dei trasporti. |
3.3 |
L’ultimo documento ufficiale pubblicato in relazione all’attuazione del programma TEN-T è la valutazione intermedia dei progetti del programma pluriennale 2007-2013 per la TEN-T, che risale all’ottobre 2010. Questo documento contiene il riesame di 92 progetti che assorbono circa i due terzi del bilancio complessivo stanziato per la TEN-T (5,3 miliardi di euro su un totale di 8,0 miliardi di euro). Dal punto di vista della collocazione geografica dei progetti, il Comitato si rammarica che solo una minima parte di questi sia localizzata nei paesi orientali dell’Unione. |
3.4 |
Una delle ragioni di questo squilibrio nella ripartizione dei progetti è la mancanza di risorse finanziarie sufficienti negli Stati membri. Un’altra ragione è rappresentata dalla differenza dei requisiti che devono essere soddisfatti nel ricorso al Fondo di coesione e al Fondo sociale europeo rispetto ai finanziamenti della TEN-T. Il Comitato raccomanda di effettuare un’analisi del ritardo nello sviluppo delle infrastrutture nei nuovi Stati membri in relazione anche al basso livello di applicazione ed esecuzione del finanziamento della TEN-T da parte di alcuni di essi. |
3.5 |
Il Comitato sottolinea che, se l’UE intende creare un mercato unico dei trasporti veramente integrato, è necessario operare un cambiamento radicale nella struttura finanziaria e nella scelta dei progetti della rete TEN-T. La sfida consiste nell’influire sulla mobilità e sull’intensità dei trasporti nelle nostre economie. |
3.6 |
Il Comitato è consapevole del fatto che, nel quadro della strategia Europa 2020, lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti deve essere orientato alla creazione di un sistema dei trasporti efficiente sotto il profilo delle risorse, che sia fondato sull’innovazione e affronti le sfide in materia di cambiamenti climatici, di sostenibilità sociale e di ambiente. |
3.7 |
A tale riguardo il Comitato rimanda a una serie di pareri adottati negli anni scorsi sui seguenti temi: TEN-T: riesame della politica (3), Un futuro sostenibile per i trasporti/La politica europea dei trasporti dopo il 2010 (4), Rendere più ecologici i trasporti marittimi e i trasporti su vie navigabili interne (5), I trasporti su strada nel 2020 (6), Verso una rete ferroviaria a priorità merci (7), Agevolare l’applicazione transfrontaliera: normativa in materia di sicurezza stradale (8), Strategia per l’internalizzazione dei costi esterni (9), Programma di azione vie navigabili interne Naiades (10) e Politica europea dei trasporti/Strategie di Lisbona e per lo sviluppo sostenibile (11). |
3.8 |
Nel parere sul tema TEN-T: riesame della politica, il CESE conclude quanto segue: «circa il problema delle crescenti emissioni di CO2 e delle criticità infrastrutturali e organizzative del settore del trasporto merci, il Comitato conviene con la Commissione sulla necessità di attuare per questo settore delle soluzioni integrate comodali in modo da realizzare sinergie per gli utenti». |
3.9 |
Nel parere Politica europea dei trasporti/Strategie di Lisbona e per lo sviluppo sostenibile, il Comitato osserva che, a causa della dipendenza del settore dei trasporti dalle energie fossili e del fatto che queste ultime sono limitate, la futura politica europea dei trasporti, pur salvaguardando la competitività del settore nel quadro della strategia 2020, dovrà perseguire quattro obiettivi principali:
|
3.10 |
È evidente che l’Europa si trova dinanzi a un dilemma: da un lato, vi è la volontà di creare un mercato unico dei trasporti integrato per tutti i 27 Stati membri - che richiede enormi investimenti nelle infrastrutture, poiché queste ultime costituiscono la base della solidarietà -, mentre dall’altro vengono imposte restrizioni ai bilanci e si fissano obiettivi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e di altre sostanze inquinanti. |
3.11 |
Per uscire da questo dilemma, il Comitato, in diversi dei pareri elencati sopra, ha già raccomandato di adottare alcune misure capaci di sortire effetti diretti e tangibili a costi limitati: scegliere i carburanti più ecologici e più rinnovabili che riducono le emissioni di CO2 in misura considerevole, ricorrere alla comodalità, adottare il concetto di internalizzazione dei costi esterni per tutti i modi di trasporto e, da ultimo ma non per importanza, introdurre altri strumenti finanziari come un ricorso attento e selettivo ai partenariati pubblico-privati nel finanziamento della TEN-T. In questo contesto occorre tenere conto del fatto che i diversi Stati membri non hanno lo stesso livello di esperienza in materia di PPP, e va riconosciuta la necessità di mobilitare gli strumenti finanziari dell’UE (come i fondi strutturali e di coesione, le reti transeuropee e la BEI) nell’ambito di una strategia di finanziamento coerente, che metta insieme i finanziamenti UE e quelli nazionali, sia pubblici che privati. Per consentire agli enti pubblici di scegliere liberamente se impegnarsi nei PPP, il CESE richiama il proprio parere nel quale si invita a rivedere l’attuale definizione dei PPP contenuta nelle procedure di Eurostat in relazione all’indebitamento pubblico (12). |
3.12 |
Il Comitato esprime preoccupazione circa i vincoli finanziari imposti ai progetti TEN-T a livello europeo che potrebbero rendere insufficienti gli incentivi atti a spingere gli Stati membri a impegnarsi in tali progetti. Il CESE richiama pertanto i suoi pareri nei quali si sottolinea l’opportunità di esplorare nuove fonti di entrate per i bilanci pubblici (13). |
3.13 |
Considerando che i trasporti sono responsabili di una quota notevole (24 %) delle emissioni di CO2 dell’UE, il Comitato sottolinea che andrebbe prestata particolare attenzione alla loro dimensione urbana. Le città, nelle quali risiede oltre il 70 % della popolazione dell’UE, sono responsabili di un quarto del totale di emissioni di CO2, e la loro incidenza è in continuo aumento. Per rendere i trasporti più sostenibili, è chiaro che le città devono farsi carico delle loro responsabilità e, a questo proposito, devono essere sostenute a livello regionale, nazionale e internazionale. D’altro canto, nell’UE il trasporto merci su lunga distanza avviene in larga misura lungo importanti corridoi comodali. È pertanto prioritario rendere tali corridoi di trasporto più efficienti e sostenibili. Si dovrebbe incoraggiare una migliore pianificazione della mobilità per promuovere comportamenti compatibili con lo sviluppo sostenibile. |
3.14 |
Pur tenendo conto del fatto che l’UE ha effettivamente problemi di finanziamento, che la costruzione di nuove infrastrutture incontra spesso scarsa accettazione tra la popolazione locale e che, inoltre, tali investimenti producono un impatto ambientale, la creazione di nuove infrastrutture è necessaria per colmare le lacune e superare le strozzature della rete esistente, molte delle quali sono ancora presenti, in particolare, nei nuovi Stati membri. |
3.15 |
Il Comitato è convinto che, oltre a questi aspetti e al miglioramento della comodalità, occorra in genere concentrare le attività e gli investimenti sui nodi del sistema dei trasporti come le piattaforme di trasbordo che, al pari dei corridoi tra di esse, meritano particolare attenzione poiché sempre più spesso danno luogo a strozzature. In tale contesto, la tecnologia e i sistemi di trasporto intelligenti possono essere di grande aiuto, specie nelle città. Una delle sfide consiste nell’applicare e integrare queste tecnologie e questi sistemi nei diversi modi di trasporto. |
3.16 |
Nel quadro della revisione degli orientamenti in materia di TEN-T occorrerà affrontare anche la questione delle strozzature e dei collegamenti mancanti al fine di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle infrastrutture di trasporto in ogni parte dell’Unione, in particolare nei paesi dell’Europa orientale. In questi ultimi, infatti, mancano collegamenti ferroviari e stradali di livello elevato, ed è necessario trovare soluzioni comodali a numerose strozzature di notevole entità nei collegamenti e nei nodi esistenti. |
3.17 |
Sebbene il Comitato condivida il proposito della Commissione di una strategia basata su una rete principale per i corridoi transnazionali più importanti, concorda anche sull’opportunità di continuare a stanziare fondi UE per il futuro sviluppo della rete globale, in particolare negli Stati membri ammissibili ai finanziamenti del Fondo di coesione, a condizioni analoghe a quelle previste nel quadro finanziario in corso. |
3.18 |
Questa scelta è in linea con la convinzione che la coesione economica e sociale non può essere raggiunta se non si costruiscono tutti gli elementi mancanti necessari a completare la TEN-T e se non si migliorano in maniera sostenibile quelli della rete esistente e futura che sono in cattive condizioni. |
3.19 |
Per quanto riguarda la sicurezza, il Comitato richiama l’attenzione sulla necessità di migliorare la progettazione delle infrastrutture, in particolare delle gallerie. |
3.20 |
Il Comitato ritiene che si debba dare maggiore risalto alla trasparenza nell’esecuzione dei progetti di TEN-T, non soltanto durante la consultazione o la selezione, ma anche nelle fasi di realizzazione dei lavori. Pur riconoscendo che la responsabilità principale in questo ambito incombe agli Stati membri, il Comitato incoraggia la Commissione ad essere più disponibile nel dialogo con i soggetti nazionali, imponendo standard più elevati di trasparenza a livello di esecuzione e prevedendo che il pubblico sia informato a cadenza regolare sullo stato di esecuzione, concreta e finanziaria, dei singoli progetti. |
4. Osservazioni specifiche
4.1 |
Il Comitato ritiene che lo sviluppo sostenibile della politica dell’UE in materia di trasporti possa ricevere un sostegno significativo attraverso l’azione delle strutture di dialogo sociale o di dialogo con le parti interessate nel quadro dei corridoi transeuropei di trasporto già operativi o in costruzione. Il Comitato chiede la riattivazione di questi tipi di strutture. |
4.2 |
Nell’impostazione di una nuova TEN-T, il Comitato auspica che «si presti grande attenzione alla cosiddetta politica europea di vicinato (PEV), ossia ai collegamenti verso il Nord, l’Est e il Sud dell’UE: la Commissione e gli Stati membri dovrebbero anzitutto concentrarsi sulla rete e non già su singole opere infrastrutturali. In questo modo si promuove anche la solidarietà fra gli Stati membri». |
4.3 |
Riguardo alla futura programmazione della TEN-T, il Comitato, nel suo parere sul tema TEN-T: riesame della politica (14), conviene con l’approccio esposto dalla Commissione nel Libro verde, ossia il principio secondo cui ciascun modo di trasporto andrebbe utilizzato all’interno di una catena di trasporti comodale in funzione dei suoi vantaggi comparativi. Ogni modo di trasporto assolverebbe così un ruolo importante per la realizzazione degli obiettivi climatici dell’Unione europea. L’obiettivo da perseguire deve rimanere il passaggio alla catena di trasporto che garantisca il massimo rispetto dell’ambiente. |
4.4 |
A questo riguardo, il Comitato ricorda l’idea dei «corridoi verdi», lanciata dalla Commissione nel 2007 nel suo piano di azione per la logistica del trasporto merci. Questa idea mira a creare soluzioni logistiche comodali sostenibili che consentono di ottenere riduzioni comprovate dell’impatto sull’ambiente e sul clima e garantiscono un livello elevato di sicurezza, qualità ed efficienza attraverso piattaforme dimostrative lungo corridoi internazionali con flussi concentrati di traffico merci. Il Comitato intende combinare questa idea con i corridoi della rete principale comodale di livello elevato della TEN-T, che potrebbero essere particolarmente adatti a tale sviluppo grazie ad una cooperazione tra partner pubblici e privati. |
4.5 |
Secondo la Commissione, al sistema attuale vanno apportati cambiamenti decisivi. I nuovi Stati membri non beneficiano dei finanziamenti erogati dall’UE nello stesso modo dei «vecchi» Stati membri. Per garantire parità di condizioni occorrerà definire nuove modalità di finanziamento. |
4.6 |
Il Comitato esprime perplessità sulla validità delle argomentazioni addotte dalla Commissione per giustificare la scelta dei progetti da finanziare. La Commissione afferma che «tali progetti ci aiutano a stabilire le priorità a venire nel settore dei trasporti, in particolare rendendo i trasporti più ecologici, collegando l’Europa occidentale ed orientale e favorendo la collaborazione tra settore pubblico e privato». Alcuni interrogativi sorgono quantomeno riguardo al miglioramento dei collegamenti tra l’Est e l’Ovest, e il Comitato auspica anche che si tenga conto di possibilità di finanziamento diverse dai PPP. |
4.7 |
L’idea della Commissione di intensificare la cooperazione internazionale attraverso la nomina di coordinatori europei, concentrando l’attenzione sul sostegno a lungo termine ai progetti infrastrutturali più importanti e istituendo un’agenzia esecutiva, dovrebbe aver contribuito ad aumentare la trasparenza e a favorire lo sviluppo della TEN-T. Tuttavia, sia l’analisi effettuata dai coordinatori europei che i risultati del riesame del portafoglio di progetti del programma pluriennale confermano che i progressi compiuti finora sono resi frammentari dalla mancanza di cooperazione e di coordinamento tra gli Stati membri. |
4.8 |
Il Comitato propone che, sulla base della nuova TEN-T, si stipulino tra l’Unione europea e ogni singolo Stato membro dei «contratti programmatici» in cui siano definiti gli impegni reciproci in materia di finanziamento e tempi di realizzazione. Questi contratti dovrebbero riguardare non solo le infrastrutture che fanno parte della TEN-T, ma anche le infrastrutture secondarie che gli Stati si impegnerebbero a realizzare per assicurare il buon funzionamento delle reti principali, al fine di rendere un servizio migliore ai cittadini. Il Comitato ritiene che la società civile dovrebbe essere coinvolta nel processo di elaborazione di questi «contratti programmatici» al fine di rendere più efficiente la successiva attuazione dei progetti approvati. |
4.9 |
Nella valutazione intermedia del portafoglio di progetti del programma pluriennale 2007-2013 per la TEN-T, la Commissione osserva che, sui 92 progetti in esso compresi, 21 sono progetti transfrontalieri nei quali il modo di trasporto che gode di maggiore sostegno è la ferrovia, seguita dalla navigazione interna. Nel documento relativo alla nuova politica in materia di rete transeuropea di trasporto, la stessa Commissione giunge invece alla conclusione che, nel complesso, i progetti nel settore del trasporto stradale e aereo - nonché, in minor misura, quelli nel settore del trasporto marittimo - stanno dando risultati piuttosto buoni rispetto a quelli nel settore ferroviario e della navigazione interna. |
4.10 |
Il Comitato raccomanda alla Commissione di precisare che cosa si intenda con il concetto di sostenibilità. Infatti, per poter valutare se un progetto proposto risponda o meno ai requisiti della «sostenibilità», deve essere chiaro che cosa questo concetto implichi, preferibilmente in termini quantitativi. |
4.11 |
Alla luce di queste considerazioni, il Comitato sottolinea che la sostenibilità, oltre ad apportare un contributo fondamentale alla crescita economica, non comprende solo obiettivi ambientali, quali la salvaguardia del clima, la lotta all’inquinamento acustico e atmosferico e la conservazione delle risorse, ma anche aspetti sociali del settore dei trasporti, quali i diritti dei lavoratori, le condizioni di lavoro, l’accesso a prezzi ragionevoli ai trasporti pubblici in generale e, più in particolare, per le persone anziane e quelle disabili, tenendo conto anche dell’accessibilità, per questi ultimi, alle strutture materiali e alle informazioni. |
4.12 |
Il Comitato dichiara di sostenere una strategia basata sull’innovazione, sugli incentivi e sulle infrastrutture (la cosiddetta strategia delle 3 «I») come la soluzione economicamente più vantaggiosa per realizzare lo sviluppo sostenibile:
|
4.13 |
Il CESE fa notare che un approccio integrato in materia di reti transeuropee rappresenta uno dei modi per realizzare l’obiettivo dello sviluppo sostenibile dell’Unione europea. Il Comitato è convinto che l’adozione di un approccio integrato in questa materia consenta di accelerare la realizzazione delle infrastrutture previste nel settore e di ridurre le spese di costruzione di tali reti, rispetto ad un approccio che non tenga conto del possibile effetto delle sinergie fra le diverse reti (15). |
4.14 |
Alla luce della crisi economica in atto in Europa e della riduzione delle risorse di bilancio disponibili per la TEN-T, il Comitato reputa necessario garantire la cooperazione e il coordinamento tra i diversi strumenti finanziari a sostegno della rete transeuropea dei trasporti; ritiene inoltre che occorra reperire nuove fonti di finanziamento e creare nuovi meccanismi di credito. |
4.15 |
Il Comitato sostiene pienamente l’approccio esposto dalla Commissione nel Libro bianco per quanto riguarda l’intensificazione del coordinamento a livello europeo. Al fine di raggiungere gli ambiziosi obiettivi fissati per la TEN-T e visti i rigorosi vincoli finanziari, sarà necessario che la politica europea in materia di infrastrutture sia molto più integrata e che il suo coordinamento a livello europeo avvenga in maniera appropriata, dalla pianificazione strategica fino alla realizzazione finale dei singoli progetti. |
4.16 |
A giudizio del Comitato, il Libro bianco è stato pubblicato proprio nel momento opportuno: esso, infatti, dovrebbe consentire di lanciare un messaggio politico forte nel contesto dell’imminente revisione del bilancio dell’UE. Il futuro finanziamento dello sviluppo delle infrastrutture di trasporto dell’UE deve rispondere all’ambizione realistica di creare uno spazio unico europeo dei trasporti nel più breve tempo possibile. |
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 57-64 (parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete) e GU C 132 del 3.5.2011, pagg. 99-107 (parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico e alla Comunicazione della Commissione relativa allo sviluppo di uno Spazio unico ferroviario europeo).
(2) GU C 51 del 17.2.2011, pagg. 59-66 (parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato).
(3) GU C 318 del 23.12.2009, pag. 101.
(4) GU C 255 del 22.9.2010, pag. 110.
(5) GU C 277 del 17.11.2009, pag. 20.
(6) GU C 277 del 17.11.2009, pag. 25.
(7) GU C 27 del 3.2.2009, pag. 41.
(8) GU C 77 del 31.3.2009, pag. 70.
(9) GU C 317 del 23.12.2009, pag. 80.
(10) GU C 318 del 23.12.2006, pag. 218.
(11) GU C 354 del 28.12.2010, pag. 23.
(12) GU C 51 del 17.2.2011, pagg. 59-66 (parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato).
(13) GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 57-64 (parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete) e GU C 132 del 3.5.2011, pagg. 99-107 (parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico e alla Comunicazione della Commissione relativa allo sviluppo di uno Spazio unico ferroviario europeo).
(14) GU C 318 del 23.12.2009, pag. 101.
(15) GU C 204 del 9.8.2008, pagg. 25-30 (parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione - Le reti transeuropee: verso un approccio integrato).
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/37 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il contributo della società civile al partenariato orientale»
2011/C 248/06
Relatore: MORKIS
Con lettera del 15 novembre 2010, il Consiglio dell'Unione europea ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 304 del TFUE, a elaborare un parere esplorativo sul tema:
Il contributo della società civile al partenariato orientale.
La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere in data 25 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) attribuisce grande importanza al partenariato orientale (PO) quale necessità strategica e investimento politico dell'UE, i cui vantaggi ricadranno in futuro sui cittadini dell'Unione europea e dei suoi paesi partner. Gli eventi verificatisi nella regione del Mediterraneo hanno dimostrato che il ruolo della società civile continua a essere centrale nella transizione verso la democrazia, la riforma costituzionale e il potenziamento delle istituzioni. Al fine di garantire il buon esito di tale processo, è pertanto necessario sostenere il contributo della società civile al partenariato orientale e tenerlo in debita considerazione.
1.2 Il CESE si compiace dei progressi compiuti nell'attuazione dell'iniziativa del partenariato orientale, lanciata ufficialmente nel maggio del 2009. Tutti i paesi che vi partecipano hanno approfondito e intensificato le relazioni con l'UE grazie al dialogo condotto su temi come gli accordi di associazione, le zone di libero scambio, la semplificazione del regime dei visti, la cooperazione nel settore della sicurezza dell'approvvigionamento energetico, nonché su una serie di altre questioni. (Purtroppo, a causa degli eventi verificatisi a seguito delle elezioni presidenziali del dicembre 2010 in Bielorussia, questo paese ha notevolmente limitato i suoi rapporti con l'UE).
1.3 Contributo della società civile alla pista multilaterale del partenariato orientale
1.3.1 Partecipazione alle piattaforme tematiche intergovernative del PO
1.3.1.1 Il CESE è stato invitato a partecipare a tre delle quattro piattaforme tematiche intergovernative già istituite nell'ambito del PO, all'interno delle quali ha la possibilità di esprimere i punti di vista della società civile. Il CESE chiede tuttavia alla Commissione di essere invitato a partecipare e a cooperare anche alla piattaforma tematica numero 3 dedicata alla sicurezza energetica, date le sue competenze in materia.
1.3.1.2 Il Comitato ritiene opportuno autorizzare i rappresentanti dei gruppi di lavoro pertinenti del forum della società civile del PO a partecipare alle riunioni delle piattaforme tematiche intergovernative.
1.3.2 Il forum della società civile del partenariato orientale
1.3.2.1 Il Comitato si compiace della creazione del forum della società civile del partenariato orientale avvenuta nel novembre 2009; ritiene che le piattaforme nazionali di tale forum rappresentino un ottimo strumento per l'attuazione del partenariato orientale nei paesi partner con il coinvolgimento della società civile; si rammarica tuttavia del fatto che i datori di lavoro, i sindacati e altre organizzazioni socioeconomiche (agricoltori, consumatori) a livello nazionale non siano coinvolte, o lo siano solo in misura limitata, nelle attività di tali piattaforme.
1.3.2.2 Poiché le parti sociali non sono rappresentate in maniera adeguata all'interno del forum, il Comitato invita a rivedere il regolamento interno del forum stesso, in particolare per quanto riguarda la procedura di selezione, al fine di estendervi sensibilmente la partecipazione dei rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori e di altri gruppi di interessi provenienti sia dall'UE, sia dai paesi partner.
1.3.2.3 Il Comitato invita a riconsiderare la struttura del forum perché funzioni in modo più efficiente e utilizzi in maniera più efficace le risorse a disposizione, prediligendo ad esempio un'azione continuativa e incentrata sui progetti (nell'ambito dei gruppi di lavoro e delle piattaforme nazionali del Forum).
1.3.2.4 Il Comitato propone di aumentare il numero di rappresentanti provenienti dall'UE al fine di stimolare lo scambio di esperienze e promuovere la convergenza con i valori europei. Il Comitato economico e sociale europeo, che con i suoi 344 membri rappresenta la società civile organizzata dell'UE, è assolutamente idoneo per svolgere un ruolo attivo nell'attuazione degli obiettivi del PO all'interno del forum della società civile, a condizione che le regole di quest'ultimo consentano un coinvolgimento più ampio e permanente sia nel forum stesso, sia nel comitato direttivo.
1.3.2.5 Alla luce dell'ampliamento del campo d'azione del forum della società civile e, in particolare, dell'ambito di attività delle piattaforme nazionali, il CESE si dichiara disponibile a contribuire a migliorare il funzionamento del forum; ritiene inoltre che sia ormai necessario istituire un segretariato, anche in considerazione del lavoro che il comitato direttivo deve svolgere.
1.3.2.6 Se l'inadeguatezza strutturale del forum non fosse superata, il Comitato prenderebbe in esame altre strade per mobilitare gli attori socioeconomici dei paesi del PO al fine di realizzare gli obiettivi del partenariato orientale.
1.4 Consolidamento della società civile nei paesi partner e contributo alla pista bilaterale del partenariato orientale
1.4.1 Il Comitato segue con grande attenzione gli avvenimenti in Nord Africa ed è convinto che l'UE debba sostenere i processi di democratizzazione e di stabilizzazione in questa regione. Al contempo, il CESE invita a mantenere un approccio di lungo periodo equilibrato nei confronti dei vicini meridionali e orientali, anche per quanto riguarda l'assistenza finanziaria per le riforme politiche ed economiche, l'allineamento agli standard UE e il rafforzamento della società civile.
1.4.2 Il Comitato ritiene che un finanziamento inadeguato possa deludere le aspettative riposte nel partenariato orientale come importante strumento per la promozione della convergenza con i valori europei. In tale contesto, il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di rivedere la politica europea di vicinato, tuttavia si rammarica del fatto che la comunicazione Una risposta nuova ad un vicinato in mutamento non insista sulla creazione di meccanismi per la consultazione della società civile nei paesi interessati dalla politica europea di vicinato e che non stabilisca assolutamente alcun collegamento tra il CESE, l'istituzione di rappresentanza della società civile dell'UE, e il ruolo che questi può svolgere in tale processo.
1.4.3 Il CESE sarebbe a favore di una proposta volta a creare un Fondo europeo per la democrazia e uno strumento della società civile; tuttavia, il CESE invita la Commissione a trarre insegnamenti dall'esperienza acquisita con lo Strumento per la società civile per i Balcani occidentali, al fine di ovviare ad alcuni difetti.
1.4.4 Il Comitato attribuisce fondamentale importanza alla cooperazione con le organizzazioni indipendenti dei paesi partner. Tuttavia, occorre non trascurare nemmeno le organizzazioni che dipendono dai governi, sostenendo allo stesso tempo la creazione di sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro indipendenti, in grado di partecipare a un vero e proprio dialogo sociale, diffondere i concetti di democrazia, diritti umani e diritti dei lavoratori, nonché perseguire gli altri obiettivi insiti nell'iniziativa del partenariato orientale.
1.4.5 Il CESE ritiene che il rafforzamento del dialogo tra i governi e la società civile a livello nazionale rappresenti un prerequisito per la democratizzazione delle società nei paesi orientali limitrofi e per la loro convergenza con i valori europei. Occorre in particolare rafforzare il ruolo della società civile nell'elaborazione e realizzazione di piani d'azione nell'ambito della PEV.
1.4.6 Il Comitato invita a istituire in tutti i paesi del partenariato orientale un meccanismo di consultazione della società civile, come ad esempio consigli economici e sociali o istituzioni analoghe, tenendo in considerazione le condizioni specifiche di ogni paese partner. In alcuni paesi del PO, le piattaforme nazionali del forum della società civile del PO già esistenti potrebbero costituire una buona base in tal senso. Il CESE si dichiara disponibile a condividere la propria esperienza con la società civile dei paesi del PO.
1.4.7 Il Comitato è dell'avviso che gli accordi di associazione negoziati tra l'UE e i paesi partner dovrebbero contenere alcune disposizioni relative alla creazione di comitati congiunti della società civile, incaricati di monitorare l'attuazione degli accordi stessi.
1.4.8 Per quanto riguarda le negoziazioni e la conclusione dell'accordo di libero scambio globale e approfondito, il CESE ritiene che la società civile sia dell'UE, sia dei paesi partner dovrebbe essere coinvolta nell'elaborazione di una valutazione di impatto per la sostenibilità a monte delle trattative e che i meccanismi della società civile dovrebbero essere integrati nel futuro accordo al fine di monitorare l'attuazione delle disposizioni relative allo sviluppo sostenibile.
1.5 Il Comitato nutre la speranza che il 2011 sia un anno decisivo per il partenariato orientale, visto che la presidenza ungherese e, soprattutto, quella polacca del Consiglio dovrebbero imprimere un nuovo slancio all'iniziativa.
1.6 Il Comitato rivolge queste raccomandazioni ai capi di Stato o di governo e auspica che il vertice del partenariato orientale che si terrà in Polonia nell'autunno del 2011 riconosca in maniera adeguata il contributo apportato dalla società civile negli ultimi due anni e i progressi sinora compiuti, ma valuti anche in maniera critica i difetti relativi allo scorso coinvolgimento delle parti sociali e all'inadeguatezza del forum della società civile.
2. Contributo della società civile alla pista multilaterale del partenariato orientale
2.1 È di vitale interesse per l'Unione europea che i paesi ai suoi confini orientali siano caratterizzati da condizioni di stabilità, di buon governo, di politica prevedibile e di sviluppo economico. Dal canto loro, anche i paesi dell'Europa orientale e del Caucaso meridionale sono tutti intenzionati a coltivare relazioni più intense e attive con l'UE. La convergenza dei valori, la convergenza della legislazione e della normativa rappresentano il fattore centrale per un progresso di questi paesi verso il ravvicinamento all'UE. Per questo motivo, il partenariato orientale deve essere considerato come un investimento dell'UE nell'interesse futuro dei cittadini dell'Unione europea e al servizio del progresso generale nei paesi partner.
2.2 Partecipazione alle piattaforme tematiche intergovernative del PO
2.2.1 Nella sua comunicazione sul partenariato orientale, la Commissione europea afferma che è opportuno accordare un ruolo particolare alla partecipazione della società civile. Il CESE è stato invitato a partecipare a tre delle quattro piattaforme tematiche intergovernative istituite nell'ambito del PO (piattaforma 1: democrazia, buon governo e stabilità, piattaforma 2: integrazione economica e convergenza con le politiche UE, e piattaforma 4: contatti tra i popoli), all'interno delle quali ha la possibilità di esprimere i punti di vista della società civile. Tuttavia, nonostante il suo profondo coinvolgimento nelle questioni energetiche, il CESE non è stato invitato a cooperare ai lavori dell'importante piattaforma tematica «Sicurezza energetica».
2.2.2 Il CESE ritiene che le piattaforme abbiano compiuto progressi verso il conseguimento degli obiettivi del partenariato orientale, tuttavia si rammarica del fatto che la partecipazione della società civile sia limitata. Il Comitato ritiene che i rappresentanti dei gruppi di lavoro pertinenti del forum della società civile del PO dovrebbero essere autorizzati a partecipare alle riunioni delle piattaforme tematiche intergovernative. Ciò consentirebbe alla società civile di essere informata sui lavori delle piattaforme e di elaborare raccomandazioni più concrete e funzionali. Il Comitato invita la Commissione a condurre negoziati con i paesi partner per introdurre modifiche al regolamento interno delle piattaforme intergovernative al fine di concedere al forum lo status di partecipante permanente a tali piattaforme.
2.2.3 Il Comitato ritiene che le piattaforme potrebbero essere collegate a progetti di interesse per la società civile. Un esempio significativo del coinvolgimento di associazioni economiche nel partenariato orientale è rappresentato dal programma East-Invest, realizzato da Eurochambres congiuntamente ai partner dei paesi del partenariato orientale. Si tratta di un progetto di tre anni orientato al PO, che ha l'obiettivo di agevolare il commercio nella regione dei paesi orientali vicini e nel promuovere lo sviluppo economico e gli investimenti. Al progetto partecipano 21 camere di commercio e dell'industria di paesi UE impegnate nell'attuazione degli obiettivi della piattaforma intergovernativa numero 2 dedicata all'integrazione economica e alla convergenza con le politiche UE. Il bilancio totale destinato al progetto ammonta a 8,75 milioni di euro, di cui 7 milioni sono stanziati dalla Commissione europea. L'auspicio è che il progetto consegua gli obiettivi dichiarati e fornisca un reale contributo alla realizzazione delle finalità del partenariato orientale. Questo esempio potrebbe essere utilizzato per progetti concreti tra l'UE e le organizzazioni dei paesi partner in altri settori (organizzazioni di agricoltori, consumatori, ambientaliste ecc.).
2.2.4 Il Comitato ritiene inoltre che un consistente coinvolgimento delle imprese nell'iniziativa faro della piattaforma 2 e l'organizzazione di riunioni tra imprese possano sfociare nell'organizzazione di un forum delle imprese del PO che incoraggi le associazioni imprenditoriali a sostenere i negoziati dell'Accordo di libero scambio globale e approfondito.
2.2.5 Il Comitato fa notare che il dialogo sociale, nonostante costituisca parte integrante dell'acquis comunitario, non figura in nessuna delle attività delle piattaforme governative.
2.3 Il forum della società civile del partenariato orientale
2.3.1 La proposta della Commissione di creare un forum della società civile del partenariato orientale ha trovato largo consenso.
2.3.2 Tuttavia, la maggioranza dei membri del forum della società civile del partenariato orientale è costituita da think tank e organizzazioni non governative, che non rappresentano tutta la diversità della società civile. Delle organizzazioni provenienti dai paesi partner, soltanto poche rappresentano gli interessi del mondo imprenditoriale e dei lavoratori, nonché delle parti sociali, vale a dire delle organizzazioni dell'economia e/o dei sindacati o di altri interessi socioeconomici (organizzazioni di agricoltori, consumatori, comunità scientifica, mondo accademico, ecc.).
2.3.3 Nel comitato direttivo composto da 17 membri non figura alcun rappresentante delle parti sociali proveniente dai paesi partner.
2.3.4 Nel corso dell'ultimo anno e mezzo tutti i paesi partner hanno istituito le piattaforme nazionali del forum, nell'ambito delle quali le organizzazioni della società civile dei rispettivi paesi si riuniscono al fine di attuare gli obiettivi del partenariato orientale.
2.3.5 Il Comitato accoglie con grande favore la creazione delle piattaforme nazionali del forum della società civile del partenariato orientale e il contributo che queste hanno apportato al processo del PO. Gli esempi degni di nota sono molteplici:
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la piattaforma bielorussa ha organizzato Un piano d'azione nel quadro del partenariato orientale in Bielorussia nel luglio 2010, |
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la piattaforma dell'Azerbaigian ha organizzato numerosi eventi su temi di attualità per lo Stato e per la società civile, come ad esempio l'adesione dell'Azerbaigian all'OMC, le fonti energetiche alternative e rinnovabili, l'efficienza energetica o la situazione della piccole e medie imprese, |
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il Consiglio di partecipazione nazionale che in Moldova fungeva da piattaforma nazionale prima che questa fosse creata formalmente, è stato autorizzato a partecipare a tutte le sedute del Gabinetto dei ministri della Moldova per presentare la sua posizione in merito a decisioni di governo e progetti di misure politiche. |
Tuttavia, il CESE si rammarica del fatto che le parti sociali, a livello nazionale, siano coinvolte in maniera limitata o, non lo siano affatto, nelle attività di tali piattaforme e che, per questo motivo, queste ultime non trattino la questione dei diritti sociali.
2.3.6 Il CESE ha individuato diversi difetti nel modo di operare del forum, ed è pronto a lavorare con il comitato direttivo per il funzionamento.
2.3.7 L'attuale composizione del forum non corrisponde a quanto delineato nel documento orientativo della Commissione (concept paper), in cui si legge che «la partecipazione al forum della società civile del partenariato orientale deve essere aperta a tutte le organizzazioni della società civile, vale a dire organizzazioni di cittadini, sindacati, organizzazioni dei datori di lavoro, organizzazioni professionali, ONG, think tanks, fondazioni non profit, organizzazioni/reti nazionali e internazionali della società civile, nonché a tutte le altri parte interessate della società civile provenienti dai paesi partner, ma anche dagli Stati membri dell'UE e dalle reti/organizzazioni internazionali. Anche le organizzazioni della società civile di paesi terzi possono essere invitate. Il CESE e i suoi omologhi nei paesi partner devono giocare un ruolo importante, specialmente per quanto riguarda le imprese, l'occupazione, il lavoro e le questioni sociali». Il 19 maggio 2010, le principali organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori d'Europa hanno espresso la propria preoccupazione al riguardo indirizzando una lettera ai membri del forum. Alti rappresentanti del CESE e della Commissione europea hanno condotto colloqui sulla composizione del forum e sul fatto che alcuni degli obiettivi del PO, soprattutto quelli relativi all'integrazione economica, potranno essere conseguiti soltanto se tutte le parti in causa saranno coinvolte nei lavori del forum.
2.3.8 Il Comitato ritiene inoltre che il ruolo delle organizzazioni della società civile all'interno del forum debba essere decisamente rafforzato. Attualmente, la loro partecipazione è limitata non solo a causa del numero relativamente ridotto di rappresentanti dell'UE previsto nel forum (su 230 organizzazioni invitate al forum di Berlino solo 80 provenivano dall'UE) e nel comitato direttivo (7 seggi su 17), ma anche da un punto di vista territoriale. Prevalgono le organizzazioni degli Stati membri in prossimità dei confini orientali; soltanto poche organizzazioni della società civile dell'UE partecipano con progetti o programmi specifici per i partner del PO.
2.3.9 Il Comitato è pronto a utilizzare le sue capacità, la sua esperienza, il suo know-how e i suoi contatti per contribuire alla correzione degli squilibri esistenti all'interno del forum. I 344 membri del Comitato costituiscono un enorme potenziale che può essere utilizzato per valorizzare la causa del PO nelle istituzioni europee, in tutti gli Stati membri e in tutti gli ambiti della società civile, incluso in particolare quello delle parti sociali.
2.3.10 Per consentire al Comitato di svolgere tale ruolo, è necessario che sia rappresentato in maniera adeguata all'interno delle strutture del forum. Le regole attualmente in vigore non lasciano prevedere un suo coinvolgimento permanente ed efficace nel forum e dovrebbero dunque essere modificate per garantire al Comitato una partecipazione permanente e rafforzata in seno al forum stesso.
2.3.10.1 Una partecipazione rafforzata del CESE e di altri attori socioeconomici permetterebbe di ottenere anche una ripartizione più equilibrata nei gruppi di lavoro del forum della società civile. Attualmente, la maggior parte delle organizzazioni partecipa ai gruppi di lavoro «Democrazia, buon governo e stabilità» e «Contatti tra i popoli», mentre i gruppi «Integrazione economica e convergenza con le politiche UE» e «Ambiente, cambiamento climatico e sicurezza energetica» non registrano un numero sufficiente di partecipanti; questo aspetto è in contraddizione con l'importanza che tali tematiche hanno ai fini di una buona realizzazione del PO. Il Comitato potrebbe apportare un contributo in tal senso.
2.3.10.2 Il CESE ritiene che i lavori del forum debbano orientarsi maggiormente ai progetti. Alcuni gruppi di lavoro, come ad esempio quello sul tema Integrazione economica e convergenza con le politiche dell'UE, hanno cercato di sviluppare progetti specifici senza tuttavia riuscire nell'intento a causa della mancanza di un finanziamento e del numero insufficiente di partecipanti. Il potenziale e la capacità amministrativa del CESE potrebbero essere utili per lo sviluppo di progetti concreti. Allo stesso modo, la realizzazione di studi e progetti congiunti potrebbe altresì permettere di rafforzare il contributo della società civile al partenariato orientale.
2.3.10.3 Il CESE propone che il comitato direttivo venga eletto per una durata di due anni, con l'obiettivo di migliorare la sua efficienza e concedergli il tempo sufficiente per realizzare progetti e idee. Inoltre, il CESE ritiene che sia ormai necessario dotare il comitato direttivo di un segretariato.
2.3.11 Se il forum continuasse a non funzionare in modo soddisfacente, il Comitato prenderebbe in esame altre strade per mobilitare gli attori socioeconomici al fine di realizzare gli obiettivi del partenariato orientale.
3. Consolidamento della società civile nei paesi partner e contributo alla pista bilaterale del partenariato orientale
3.1 I recenti avvenimenti in Nord Africa e in Medio Oriente hanno dimostrato chiaramente che i regimi sono destinati a fallire, anche quando rivestono un ruolo importante per la sicurezza e la stabilità della regione e sono sostenuti finanziariamente dalle democrazie occidentali, se essi non hanno alcuna considerazione per la situazione economica e sociale della popolazione e non rispettano i diritti umani e le libertà. Attualmente, la comunità internazionale non può far altro che guardare con preoccupazione al futuro della regione e fare congetture su quelle che saranno le conseguenze per il resto del mondo. Occorre analizzare con attenzione i recenti sviluppi in questa regione, esaminare gli insegnamenti che ne derivano e trarre le dovute conclusioni.
3.1.1 La situazione politica e quella delle organizzazioni della società civile si presenta in modo molto diverso nei paesi partner orientali. Il loro livello di sviluppo è differente in quanto a democrazia, diritti umani e libertà civili e inoltre si riscontra una grande eterogeneità anche a livello economico e sociale, nonché addirittura dell'orientamento geopolitico. Altrettanto difformi sono gli sforzi profusi da questi paesi in vista di un ravvicinamento all'UE e gli obiettivi perseguiti con la partecipazione al partenariato orientale. Inoltre, nei singoli paesi partner, la società civile non gode delle stesse opportunità di partecipazione al partenariato orientale; per questo motivo solo dopo aver esaminato la situazione dei singoli paesi, è possibile valutare i loro progressi e il grado e le possibilità di coinvolgimento della società civile.
3.2 Tra i paesi del partenariato orientale, soprattutto l'Ucraina, la Moldova e la Georgia hanno saputo sfruttare il potenziale che il PO offre in determinati settori. Tuttavia, se il divario tra questi tre paesi e gli altri Stati partner orientali dovesse ampliarsi ulteriormente, la sostenibilità del PO come progetto regionale dell'Europa orientale potrebbe essere messo in discussione. In questo contesto, la Commissione europea e la società civile nei restanti tre paesi devono fornire un contributo importante per evitare che la forbice si allarghi sempre di più. I problemi maggiori sono posti indubbiamente dalla Bielorussia; tuttavia, proprio in riferimento alla particolare situazione di politica interna del paese, il suo coinvolgimento nel PO non dovrebbe essere messo in discussione.
3.3 Il Comitato riconosce che, nell'ambito del partenariato orientale, la realizzazione dei compiti previsti in settori come la sicurezza regionale, la stabilità, l'integrazione economica, la tutela ambientale, la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, i contatti tra i popoli ecc., può essere garantita soltanto quando nei paesi partner vengono rispettati i diritti umani e la libertà di associazione e quando ha luogo un vero dialogo sociale e civile. Per questo motivo, occorre prestare grande attenzione a tali aspetti proprio nel caso della Bielorussia, anche se altri paesi partner hanno altresì problemi sotto quest'aspetto.
3.4 Bisogna ammettere che nei paesi partner orientali non vi è un dialogo sociale genuino e nemmeno meccanismi di consultazione con la società civile. Spesso sono esclusivamente le organizzazioni create e sostenute dai governi a essere considerate partner sociali e civili. Il Comitato attribuisce una grande importanza alla cooperazione con le organizzazioni indipendenti, senza con questo negare la necessità di cooperare con le organizzazioni riconosciute e, talvolta, dipendenti dai governi per la loro evoluzione, sostenendo allo stesso tempo anche la creazione, ove non esistano ancora, di sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro indipendenti, per consentire loro di partecipare a un vero e proprio dialogo sociale, diffondere i concetti di democrazia, diritti umani e dei lavoratori, nonché perseguire gli altri obiettivi dell'iniziativa del partenariato orientale.
3.5 Da un lato, una partecipazione più attiva della società civile potrebbe stimolare la realizzazione degli obiettivi del PO nei paesi partner e, dall'altro, il partenariato orientale e il coinvolgimento in questo quadro della società civile potrebbero contribuire al rafforzamento della società civile stessa. Nel definire i programmi per il rafforzamento della capacità amministrativa, il settore pubblico dovrebbe avere un'idea chiara di che cosa sono la società civile e le parti sociali ed essere a conoscenza dell'esperienza dell'UE e dei suoi Stati membri relativamente alle modalità di coinvolgimento della stessa società civile nel processo decisionale. L'esperienza delle organizzazioni dei paesi dell'Europa centrale potrebbe rivelarsi estremamente utile per il rafforzamento delle capacità di organizzazioni governative e non governative dei paesi del PO. Il CESE è inoltre disposto a mettere a disposizione il proprio know-how dei governi del partenariato orientale che intendono creare un quadro legislativo adeguato per il dialogo sociale e civile.
3.6 In tale contesto, il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di rivedere la politica europea di vicinato, tuttavia si rammarica del fatto che la comunicazione Una risposta nuova ad un vicinato in mutamento non insista sulla creazione di meccanismi per la consultazione della società civile nei paesi interessati dalla politica europea di vicinato e che non stabilisca assolutamente alcun collegamento tra il CESE, l'istituzione di rappresentanza della società civile dell'UE, e il ruolo che questi può svolgere in tale processo.
3.7 Il CESE accoglie altresì con favore la proposta volta a creare un Fondo europeo per la democrazia e uno strumento della società, che stimoleranno indubbiamente la partecipazione della società civile alla vita politica. Allo stesso tempo, tuttavia, il CESE invita la Commissione a trarre insegnamenti dall'esperienza acquisita con lo Strumento per la società civile e altre forme di sostegno simili nell'ambito dell'assistenza alla preadesione. Nel suo contributo alla «revisione del sostegno dell'UE alla società civile nei Balcani occidentali e in Turchia» condotta attualmente dalla Commissione, il CESE ha sottolineato che occorre prestare maggiore attenzione alle parti sociali - specialmente ai sindacati - che in alcuni casi sono state completamente ignorate. Concretamente, questo significa concentrarsi non solo sui progetti, ma anche sullo sviluppo istituzionale e la sostenibilità complessiva delle organizzazioni.
3.8 Per stabilire in quale misura le organizzazioni della società civile siano coinvolte nel PO e partecipino al successo del dialogo con i governi nazionali, il CESE ha chiesto loro di riempire un breve questionario. I risultati dell'inchiesta indicano la mancanza di dialogo tra i governi nazionali e le organizzazioni della società civile, anche per quanto riguarda gli accordi di associazione e l'attuazione dei piani d'azione della PEV: i governi consultano le organizzazioni sulle questioni attinenti al partenariato orientale in misura molto limitata. Le principali fonti di informazione a tal riguardo sono le delegazioni della Commissione europea nei rispettivi paesi e la stampa. La situazione, ovviamente, varia da paese a paese: il livello di dialogo più avanzato si registra tra le autorità e la società civile della Moldova, mentre la situazione più complessa da questo punto di vista è quella della Bielorussia. Il Comitato invita a istituire in tutti i paesi del PO un meccanismo di consultazione della società civile, come ad esempio consigli economici e sociali (o istituzioni analoghe) indipendenti e rappresentativi. Le piattaforme nazionali del forum della società civile del PO già esistenti potrebbero essere coinvolte in questo processo. Il CESE, utilizzando l'esperienza acquisita con i recenti allargamenti, è disposto a sostenere la società civile dei paesi partner nella creazione di istituzioni per il dialogo civile.
3.9 Il Comitato è dell'avviso che gli accordi di associazione negoziati tra l'UE e i paesi partner (attualmente sono in corso negoziati con tutti i paesi partner tranne la Bielorussia) dovrebbero contenere disposizioni istituzionali sulla creazione di organismi congiunti della società civile, così da permettere a quest'ultima di monitorare l'attuazione degli accordi stessi. Tali organismi potrebbero essere consultati dai consigli di associazione, istituiti dagli accordi di associazione, o formulare raccomandazioni su iniziativa propria. Idealmente, dovrebbero poter partecipare come osservatori alle riunioni dei consigli di associazione e dovrebbero essere composti da rappresentanti della società civile, inclusi partner socioeconomici e ONG. Il CESE dovrebbe esservi rappresentato in maniera adeguata.
3.10 La Commissione europea ha già avviato i negoziati relativi all'Accordo di libero scambio globale e approfondito con l'Ucraina e prevede di farlo anche con la Georgia, l'Armenia e la Moldova non appena saranno soddisfatte le condizioni per tali negoziati. L'accordo potrebbe avere un impatto notevole sul clima economico e sulla situazione sociale nei paesi partner. Per questo motivo, è estremamente importante mantenere un dialogo permanente con la società civile nel corso del processo di negoziazione.
3.11 Per quanto riguarda le negoziazioni e la conclusione dell'Accordo di libero scambio globale e approfondito, il CESE ritiene che la società civile debba essere coinvolta nell'elaborazione di una valutazione di impatto relativa alla sostenibilità a monte delle trattative. Tale coinvolgimento consentirà di sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo ai benefici apportati da tale accordo. Inoltre, i meccanismi della società civile dovrebbero essere integrati nel futuro accordo, al fine di monitorare l'attuazione delle disposizioni relative allo sviluppo sostenibile.
3.12 A circa due anni dall'avvio del partenariato orientale, non è ancora chiaro in che modo questo debba completare l'iniziativa regionale «sinergia del Mar Nero» (2007), dato che le due iniziative si rivolgono praticamente agli stessi partner. A livello della società civile, potrebbe essere avviata una cooperazione tra il forum della società civile del partenariato orientale e il forum delle ONG del Mar Nero.
3.13 Il contributo del Comitato economico e sociale europeo al partenariato orientale
3.13.1 Il CESE attribuisce grande importanza al partenariato orientale, che rappresenta una necessità strategica e un investimento politico da parte dell'UE i cui vantaggi ricadranno in futuro sui cittadini dell'Unione europea e dei suoi paesi partner.
3.13.2 Da cinque anni il CESE esamina la situazione della società civile in tutti i paesi partner, in particolare per quanto concerne la libertà di associazione, la registrazione, le norme e le procedure fiscali, la libertà di espressione e il funzionamento delle consultazioni tripartite e ha elaborato una serie di pareri contenenti diverse raccomandazioni in merito ai seguenti temi: Europa ampliata - Prossimità: un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali (1); La società civile bielorussa (2); Le relazioni UE-Moldova: il ruolo della società civile organizzata (3); Le relazioni tra l'UE e l'Ucraina: un nuovo ruolo dinamico per la società civile (4); La creazione di reti di organizzazioni della società civile nella regione del Mar Nero (5); La partecipazione della società civile all'attuazione dei piani d'azione della politica europea di vicinato (PEV) nei paesi subcaucasici (6). Su richiesta della presidenza ceca, il Comitato ha elaborato un parere esplorativo sul tema Partecipazione della società civile al partenariato orientale.
3.13.3 Il CESE ha sviluppato contatti con le organizzazioni della società civile nei paesi del PO e ha organizzato una serie di seminari sull'importanza del dialogo sociale e della consultazione della società civile. Durante tali seminari, il CESE ha inoltre ribadito la necessità di coinvolgere la società civile nell'attuazione dei piani d'azione della PEV.
3.13.4 Congiuntamente al Consiglio economico e sociale nazionale tripartito dell'Ucraina, il CESE organizza ogni anno dei seminari in Ucraina dedicati a tematiche di interesse comune e auspica che eventi annuali simili possano essere organizzati in futuro anche con gli altri paesi del PO. Il CESE è disposto a facilitare l'organizzazione di seminari annuali di revisione della società civile in tutti i paesi del PO, con l'obiettivo di valutare i progressi compiuti nell'attuazione dei piani d'azione della PEV.
3.13.5 Il CESE sostiene la priorità accordata al partenariato orientale da parte dell'attuale presidenza ungherese e della futura presidenza polacca e contribuisce a questa iniziativa con altri due pareri, dal titolo: Approvvigionamento energetico: di quale politica di vicinato abbiamo bisogno per garantire all'UE la sicurezza dell'approvvigionamento? e Partenariato orientale e dimensione orientale delle politiche dell'UE, con particolare attenzione alla PAC. Il CESE auspica che i suoi tre pareri sul tema del partenariato orientale trovino largo consenso e contribuiscano al conseguimento di alcuni degli obiettivi e delle finalità del PO.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) GU C 80 del 30.3.2004, pagg. 148-155.
(2) GU C 318 del 23.12.2006, pagg. 123-127.
(3) GU C 120 del 16.5.2008, pagg. 89-95.
(4) GU C 77 del 31.3.2009, pagg. 157-163.
(5) GU C 27 del 3.2.2009, pagg. 144-151.
(6) GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 37-41.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/43 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Integrazione della politica dell'acqua nelle altre politiche europee» (parere esplorativo richiesto dalla presidenza ungherese)
2011/C 248/07
Relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE
Il 13 novembre 2010 la futura presidenza ungherese dell'UE ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sul tema:
Integrazione della politica dell'acqua nelle altre politiche europee.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli, 26 voti contrari e 8 astensioni.
1. Conclusioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), sulla base della sua esperienza e delle sue conoscenze in materia di ambiente, agricoltura e sfide legate ai cambiamenti climatici in Europa (periodi di alluvioni alternati ad altri di siccità, con conseguente deterioramento delle risorse idriche, dei suoli e delle infrastrutture, come pure delle attività economiche e sociali), raccomanda di affrontare i problemi con un approccio consolidato e trasversale, che integri la dimensione ambientale, quella economica e quella sociale.
1.2 Il CESE giudica della massima importanza il fatto che, con la direttiva quadro sulle acque, l'UE si sia dotata di una politica delle risorse idriche su scala europea e incoraggia gli Stati membri e le istituzioni europee a consolidare tale politica tenendo ben presente che l'acqua è di primaria importanza per i cittadini, le industrie, l'agricoltura e gli enti locali, sia - innanzitutto - perché indispensabile per la vita umana, sia per il suo ruolo economico, sociale e ambientale.
1.3 Raccomanda quindi di assegnare alla politica delle risorse idriche un posto centrale in tutte le politiche europee.
1.4 Sulla base dei bisogni e degli impegni specifici del mondo agricolo e rurale nella fase di discussione del futuro della PAC dopo il 2013, il CESE raccomanda di subordinare maggiormente l'assegnazione dei fondi del primo pilastro alle politiche condotte in materia di risorse idriche, adottando un sistema di attuazione basato sull'ecocondizionalità (1). Raccomanda inoltre di rafforzare le misure agroalimentari del secondo pilastro e le sovvenzioni destinate alla protezione dell'acqua, in modo da raggiungere livelli sufficienti per ottenere l'adesione degli agricoltori.
1.5 Considerando che molti cittadini europei i quali non hanno un alloggio o vivono in alloggi inadeguati sono tuttora privi di accesso gratuito all'acqua corrente e/o potabile, il CESE collega le sfide relative all'acqua alla lotta alla povertà e all'obiettivo di sconfiggerla.
1.6 Evidenzia la dimensione internazionale ed extraeuropea della politica ambientale condotta dall'UE tramite la sua strategia, il suo approccio al tempo stesso commerciale e attento all'ambiente e allo sviluppo nonché il suo coinvolgimento nelle strategie mondiali di difesa dell'ambiente, sia all'interno del proprio territorio (bacini transnazionali) che nelle sue politiche esterne (2).
1.7 Incita gli Stati membri e l'Unione europea a ratificare la Convenzione dell'ONU del 1997 (3).
1.8 Sul piano del mercato interno occorre esaminare attentamente, in nome dei diritti fondamentali, dell'integrazione e della coesione sociale e della salute, l'impatto e il costo di una politica delle risorse idriche che non integri tra loro le dimensioni sociale, ambientale ed economica.
1.9 Per integrare queste tre dimensioni occorre rendere coerenti tra loro le strategie praticate in funzione dei diversi interessi territoriali presenti negli Stati membri e dei diversi settori (occupazione, sanità, ambiente, agricoltura intensiva o biologica, energia, assetto del territorio, finanziamento delle politiche pubbliche, ecc.) e attori (utenti privati e consumatori domestici, industriali, agricoltori), tutti - in generale - interessati.
1.10 Tradizionalmente, la gestione delle risorse idriche in Europa ha privilegiato un approccio basato sull'offerta e sull'approvvigionamento. Oggi l'UE ha bisogno di dotarsi di nuovi strumenti di anticipazione che le consentano di rispondere alle calamità naturali o legate all'attività antropica che minacciano e danneggiano le risorse idriche a breve termine.
1.11 Ricordando il ruolo fondamentale dei suoli e della vegetazione, che fanno da cuscinetto rispetto alle acque meteoriche, il Comitato invita il Consiglio a rilanciare la direttiva sui suoli, nella misura in cui essa è indispensabile per una efficace politica dell'acqua (4).
1.12 L'UE deve inoltre sviluppare un approccio sostenibile alla gestione delle risorse idriche, focalizzando la sua attenzione anche sul contenimento della domanda, onde preservare e proteggere queste risorse tramite un impiego più efficace che preveda una nuova organizzazione dei prelievi e dell'utilizzo delle nuove tecnologie.
1.13 Pur essendo ancora in gran parte naturale, il ciclo dell'acqua comprende anche delle tappe artificiali rese possibili da nuove tecnologie, la cui scelta deve tuttavia scaturire da una riflessione democratica. Occorre infatti un approccio più equo al prelievo d'acqua, che risponda alle esigenze e alla concorrenza tra settori economici ed energetici, alla necessità di preservare gli ecosistemi d'acqua dolce e all'esigenza di garantire ai cittadini un diritto fondamentale.
1.14 La gestione integrata dei bacini idrografici è essenziale per conservare e gestire le risorse. Essa favorisce la partecipazione delle parti interessate all'individuazione e all'attuazione delle misure rese necessarie dai problemi regionali, che spesso impongono un compromesso tra interessi e settori diversi: pianificazione urbana, zone di estensione delle piene, utilizzazione dei terreni, specialmente quelli agricoli, settore industriale ed energetico.
1.15 Il CESE sottolinea che potrebbe essere definito uno spazio di sovvenzioni pubbliche europee e nazionali, stabilendone e/o aumentandone l'importo per inquadrare gli aiuti destinati a preservare l'interesse pubblico collettivo territoriale, come ad esempio il ripristino delle zone umide o la conservazione della biodiversità, in particolare in occasione della riforma delle regole UE in materia di aiuti di Stati ai servizi di interesse economico generale (5).
1.16 Al fine di garantire ad ogni cittadino il diritto fondamentale di disporre della quantità d'acqua necessaria per vivere, il CESE incoraggia gli Stati membri e gli enti territoriali a rimanere vigilanti e a migliorare i requisiti in materia di trasparenza e reversibilità delle deleghe di servizi pubblici o di interesse generale, sia in ambito giuridico che economico: proprietà pubblica, locazione, tariffazione, reinvestimenti, manutenzione delle opere.
1.17 Evidenzia la necessità di prevedere una gestione altrettanto integrata delle risorse umane e sociali: formazione iniziale e continua, quadro di certificazione e riconoscimento delle qualifiche, gestione previsionale, globale e integrata per favorire la mobilità professionale e geografica integrando la dimensione di genere, banca dati.
1.18 Il CESE raccomanda di integrare il dialogo sociale, tanto sullo statuto dei lavoratori che per quanto riguarda la sicurezza del personale e dei cittadini, in quanto elemento che contribuisce a garantire, in tutta la loro diversità e a tutti i livelli, l'insieme dei compiti del servizio di erogazione dell'acqua e delle strutture igienico-sanitarie.
1.19 In materia di informazione e consultazione degli utenti, i consigli economici e sociali, ovunque essi esistono, costituiscono una risorsa preziosa per la consultazione, data la loro rappresentatività, indipendenza, esperienza e capacità di organizzare audizioni pubbliche.
2. Gli strumenti legislativi che trattano delle politiche idriche
2.1 La politica dell'acqua interessa diverse problematiche: la gestione e la salvaguardia delle risorse idriche, il loro sfruttamento, la gestione delle calamità naturali legate all'acqua, la protezione degli ambienti naturali, la salute pubblica.
2.2 Di seguito figura un elenco della legislazione UE e delle politiche più pertinenti in materia di gestione dell'acqua.
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Anni '70: prime iniziative
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Anni '90: il problema delle principali fonti di inquinamento viene affrontato alla fonte
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Dal 2000 in poi: espansione, coerenza, razionalizzazione
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2.2.1 La direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque) impone una gestione integrata dei bacini volta a preservare le risorse idriche «nel quotidiano» introducendo il concetto di bacino idrografico. Permette inoltre di integrare la gestione delle acque interne e delle acque costiere.
2.2.2 Attraverso un insieme di misure attuate a livello di distretti idrografici, la direttiva quadro sulle acque impone di raggiungere un buon livello qualitativo delle acque nel 2015 (con possibilità di deroghe, debitamente motivate) e impedirne il deterioramento in futuro:
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prevenzione e riduzione dell'inquinamento, |
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promozione di un utilizzo più sostenibile dell'acqua, |
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protezione dell’ambiente, |
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miglioramento dello stato degli ecosistemi acquatici e mitigazione degli effetti di inondazioni e siccità. |
2.2.3 Essa incarica inoltre gli Stati membri di individuare e classificare i bacini presenti sul loro territorio, analizzarne le caratteristiche, segnalare i bacini a rischio e studiare l'influsso delle attività umane sui bacini. Prevede altresì l'adozione di piani di gestione per impedirne il deterioramento e l'inquinamento e migliorare e ripristinare i bacini danneggiati, che si tratti di acque superficiali, di acque sotterranee o di zone protette. Prevede infine la riduzione dell'inquinamento dovuto allo scarico e all'emissione di sostanze pericolose. A questo proposito, la DQA è completata dalla direttiva sulle sostanze prioritarie del 2008.
2.2.4 Il deterioramento temporaneo dei bacini è oggetto di numerose deroghe. Esso non costituisce violazione della direttiva quadro se è dovuto a circostanze eccezionali e non prevedibili legate a un incidente, a cause naturali o a casi di forza maggiore. Le deroghe devono essere motivate e giustificate dagli Stati membri presso la Commissione.
2.2.5 La direttiva obbliga inoltre gli Stati membri ad adottare, a partire dal 2010, una politica dei prezzi che gravi sui diversi utenti (famiglie, agricoltura, industrie, ecc.) seguendo un approccio proporzionale in funzione del consumo, del principio «chi inquina paga» e di quello del recupero dei costi.
2.2.6 Gli Stati membri hanno inoltre il compito di adottare un regime di sanzioni per i casi di violazione della direttiva, e la Commissione può avviare procedure di infrazione accompagnate da sanzioni in caso di mancata osservanza della direttiva. Tuttavia, la complessità delle procedure d'infrazione non consente un'applicazione rigorosa delle pene pecuniarie, e questo regime sanzionatorio non è sufficientemente dissuasivo. Sarebbe pertanto opportuno proporre un'ammenda esponenziale in caso di recidiva (raddoppio per ogni caso di recidiva).
2.2.7 I lavori condotti nel quadro del regolamento REACH per la registrazione, la valutazione e l'autorizzazione delle sostanze chimiche, con l'elenco delle sostanze inquinanti che costituiscono un rischio grave, contribuiranno a ridurre la dispersione delle sostanze inquinanti persistenti nell'acqua e a proteggere gli ecosistemi acquatici, attenuando così i rischi per la salute pubblica.
2.3 La Commissione affronta il problema dell'acqua nel quadro della valutazione dello stato di salute della politica agricola comune
2.3.1 Con la «valutazione dello stato di salute» è stato istituito l'obbligo di introdurre delle «fasce di rispetto» lungo i corsi d'acqua, in cui l'uso dei pesticidi è limitato, e di destinare una parte dei finanziamenti alla lotta contro la carenza idrica. Occorre garantire che tali misure siano applicate. Appare inoltre importante realizzare degli studi di impatto sulla quantità d'acqua utilizzata nella produzione di biocombustibili e di biomassa.
2.4 La direttiva sulla prevenzione dei rischi e delle alluvioni affronta la questione della salvaguardia delle risorse idriche in caso di calamità naturali (6)
2.4.1 La direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni impone agli Stati membri di predisporre una cartografia dei pericoli e dei rischi in questo settore e di elaborare dei piani di gestione dei rischi di alluvione volti a ridurre tali rischi. Per tutta la durata dell'attuazione, la direttiva prevede inoltre una cooperazione transfrontaliera e lo scambio di informazioni nei distretti idrografici transfrontalieri comuni.
2.5 Il Fondo di solidarietà dell'Unione europea indennizza le vittime delle calamità naturali
2.5.1 Il CESE ha suggerito in un suo parere (7) dei possibili miglioramenti al funzionamento del Fondo, sottolineando in particolare che i criteri di definizione delle operazioni ammissibili ai finanziamenti del Fondo di cui all'articolo 4 del relativo regolamento sono troppo restrittivi e non tengono conto di certi tipi di danni. Il parere sottolinea l'importanza di includere tra gli eventi ammissibili anche le catastrofi derivanti dall'accumulo o dalla persistenza di determinate situazioni. Tali calamità, come ad esempio le siccità o le ondate di caldo, sono frutto di mutamenti ambientali di cui sono responsabili tutti gli Stati membri. Il CESE afferma inoltre che il Fondo dovrebbe coprire anche il rifornimento idrico e il funzionamento delle infrastrutture, anche se le calamità non hanno origine da un evento improvviso.
2.6 La direttiva IPPC (direttiva 2008/1/CE) sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento impone un quadro per l'installazione di unità di produzione industriali e agroindustriali (8)
2.6.1 Tale direttiva obbliga, almeno sul piano teorico, gli impianti industriali a utilizzare le migliori tecnologie disponibili. Essa non costituisce certo uno degli strumenti principali della politica europea dell'acqua. Tuttavia, il recente scarico di fanghi rossi in Ungheria, che ha inquinato i suoli e i corsi d'acqua della regione di Ajka arrivando fino al Danubio, ha richiamato l'attenzione su diverse questioni riguardanti l'ambiente e la protezione dei corsi d'acqua, il trattamento e l'indennizzo delle vittime in caso di calamità nonché il livello di vigilanza richiesto nell'attuazione delle politiche dell'acqua. In realtà, lungo i 3 019 km delle rive del Danubio (9) vi sono circa 150 siti che costituiscono, secondo il WWF, delle «bombe a orologeria». Ad esempio i fanghi rossi, residui del processo di produzione dell'alluminio, non erano stati trattati malgrado esista già una tecnologia, applicata altrove, che consente di ridurre notevolmente la percentuale di ossido di sodio che rimane nei residui (96 %). Anziché mettere in atto un vero e proprio disinquinamento, poi, molti si accontentano di predisporre dei bacini di ritenzione dei rifiuti, che molto spesso non hanno una capacità di ritenzione commisurata alla produzione (10) Il nuovo obbligo di trattamento con le migliori tecnologie disponibili dovrebbe essere un utile completamento alle infrastrutture di stoccaggio, così da renderle migliori, più sicure e adeguate dal punto di vista delle dimensioni.
2.7 La direttiva relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (90/531 e 98/38/CEE) definisce un quadro per lo sfruttamento delle risorse idriche da parte degli operatori pubblici o privati e fissa le condizioni di aggiudicazione degli appalti.
2.7.1 Nel periodo di preadesione era stato chiesto ai paesi candidati di adeguare il loro settore industriale alle normative europee. Diversi paesi avevano apportato modifiche alla loro legislazione, abbassando però alcuni valori soglia e minimizzando taluni problemi ambientali.
2.7.2 Sembra quindi indispensabile che l'UE e gli Stati membri rafforzino gli strumenti di attuazione intesi a fare rispettare la legislazione europea, con l'obiettivo di aumentare l'informazione e la sicurezza dei cittadini in materia di accesso all'acqua e alle strutture igienico-sanitarie.
2.8 Cambiamento climatico e alluvioni
2.8.1 Le alluvioni che si sono verificate di recente in tutta Europa hanno messo in evidenza diversi problemi in materia di prevenzione. L'Unione europea dispone di fondi per arginare le catastrofi naturali, ma - paradossalmente - non dispone di mezzi per prevenire e anticipare i rischi di calamità risultanti da comportamenti umani intenzionali o da negligenza. Per essere veramente efficaci, gli interventi tesi alla prevenzione delle alluvioni dovrebbero essere inseriti in politiche più globali in materia di gestione del territorio, infrastrutture, protezione degli ecosistemi e lotta contro il cambiamento climatico (11).
2.9 Cooperazione transfrontaliera: l'esempio del Saarland e della Lorena nel bacino del «Blies a valle»
2.9.1 Una cooperazione interregionale tra diversi soggetti è stata realizzata per lanciare un partenariato transfrontaliero «Alluvioni» nel quadro del progetto Interreg IV-A. L'accordo ha riunito intorno a un tavolo le commissioni internazionali per la protezione della Mosella e della Sarre (CIPMS), il ministero dell'Ambiente, dell'energia e dei trasporti del Saarland (MUEV), la prefettura della regione Lorena, la sottoprefettura di Sarreguemines, quattro comuni tedeschi e cinque comuni francesi. L'obiettivo è far fronte alle inondazioni grazie a sforzi comuni di prevenzione e a regolari scambi di esperienze. Occorre concertare meglio i piani di allerta e intervento, nonché adeguare la pianificazione comunale ai rischi di alluvione.
2.9.2 Tale cooperazione sul fiume Blies a valle mira a incoraggiare l'elaborazione di mappe delle zone inondabili e dei rischi di alluvione, a valutare tali rischi e a formulare delle raccomandazioni che si traducano in piani concreti per la loro gestione.
2.9.3 I fiumi non si fermano alle frontiere tra gli Stati. Le iniziative locali per la gestione a monte delle risorse sono quindi essenziali, come testimoniano alcuni esempi. Delle cooperazioni transnazionali sono in atto in bacini fluviali come il Reno, l'Oder, la Mosa, il Danubio, la Saar, la Mosella e l'Elba: i paesi attraversati da questi fiumi creano degli organismi incaricati di garantire un approccio coordinato alla gestione dei rischi di alluvione e mettono a punto dei piani di protezione transfrontalieri.
2.9.4 Un esempio in tal senso è costituito dal bacino del Semois, un affluente della Mosa che scorre sia in Belgio che in Francia. Nonostante le differenze tra le misure preventive e legislative, dal 2002 è stato messo in atto un piano d'azione congiunto per lottare contro le inondazioni a monte (Belgio) e a valle (Francia). Il programma finanziario Interreg III Francia-Vallonia-Fiandre (2002-2006) di promozione della cooperazione transeuropea ha permesso di inserire in un'iniziativa comune, tramite la formula del «contratto di fiume» (strumento finalizzato a una gestione partecipativa dell'acqua), le azioni di prevenzione delle alluvioni avviate dai due lati della frontiera.
2.9.5 Altri progetti, come Eurotas, oppure le strategie transfrontaliere per il Danubio o il Mar Baltico, sono intesi a mettere a punto dei metodi comuni a diversi paesi per la gestione a lungo termine del rischio di inondazioni, la previsione in tempo reale di tali fenomeni o la conservazione delle fonti di acqua dolce.
2.9.6 Sembra quindi possibile, necessario e opportuno che delle iniziative di collaborazione vengano definite a livello degli enti locali per poi essere sostenute politicamente e finanziariamente dall'Unione europea.
3. Posizione e ruolo degli enti locali e della società civile
Si possono elencare diversi ambiti rispetto ai quali i cittadini europei sono direttamente interessati dall'integrazione di una politica europea in materia di acque:
3.1 Impatto della gestione delle risorse idriche e delle calamità sulle popolazioni
3.1.1 La scarsità delle risorse idriche, l'alternanza tra siccità prolungata e alluvioni, o ancora i casi di inquinamento idrico producono gravi conseguenze e problemi economici e sociali, e possono determinare la scomparsa di alcune attività economiche (tra cui l'agricoltura), la perdita di posti di lavoro e quindi un esodo della popolazione e una maggiore vulnerabilità dei territori.
3.1.2 La lotta contro l'inquinamento chimico dell'acqua è essenziale. Da essa dipende infatti la salute delle specie animali e dell'uomo, così come la trasmissione di elementi chimici attraverso la catena alimentare. È importante rivedere regolarmente l'elenco delle sostanze inquinanti il cui impiego è vietato o limitato, come previsto nella direttiva sulle sostanze prioritarie. A tal fine è necessario lavorare in partenariato con gli agricoltori, gli industriali e le associazioni ambientaliste per inquadrare l'impiego di nuovi prodotti e fissare delle soglie al riguardo, come già sottolineato dal CESE (12).
3.2 I diversi utilizzi dell'acqua
3.2.1 L'industria, il turismo e l'agricoltura sono direttamente interessati dallo sfruttamento delle risorse idriche, così come dal loro inquinamento. Anche l'urbanizzazione galoppante delle zone fluviali o marittime esercita delle pressioni su questo ambiente fragile. Nell'Unione europea la produzione di energia rappresenta il 44 % dei prelievi totali di acqua, che servono per lo più al raffreddamento. Il 24 % dei prelievi viene utilizzato in agricoltura, il 21 % per la fornitura pubblica e l'11 % a fini industriali. Da queste cifre, tuttavia, non si evincono le variazioni di utilizzo tra le diverse regioni. Nell'Europa meridionale, ad esempio, l'agricoltura rappresenta oltre la metà dei prelievi, arrivando fino all'80 % in alcune regioni, mentre nell'Europa occidentale oltre la metà dell'acqua prelevata serve per la produzione di energia e il raffreddamento (13).
3.2.2 Da questi dati emergono i rapporti di dipendenza tra la gestione delle risorse idriche e la produzione di elettricità, che dovrebbero dare luogo a una riflessione da parte dell'Unione europea. Solo una quantità minima dell'acqua prelevata per la produzione di energia viene consumata, mentre la maggior parte viene rimessa in circolazione al termine del processo ad una temperatura più elevata. La posta in gioco riguardante la preservazione dei sistemi acquatici è notevole. Esistono delle tecnologie in grado di ridurre la quantità di acqua utilizzata per la produzione di elettricità o di recuperare l'acqua in modo efficace, ma non vengono necessariamente applicate a causa dei costi eccessivi che comportano. Occorre, quindi, non soltanto incoraggiare finanziariamente le attività di R&S relative a questa tematica e promuovere l'impiego delle nuove tecnologie, ma anche integrare le riflessioni sugli investimenti e sulla sostenibilità del loro rendimento tenendo conto del punto di vista sia ambientale che sociale ed economico.
3.2.3 Le pratiche di utilizzo delle superfici agricole e la pianificazione urbana potrebbero avere un impatto notevole sulla scarsità dell'acqua. Un impiego non controllato accresce lo sfruttamento delle acque sotterranee o superficiali e può provocare delle alterazioni irreversibili dei diversi ambienti, innescando un ciclo di sviluppi socioeconomici non sostenibili che mettono a rischio la sicurezza alimentare ed energetica e la stabilità sociale. Molte aree umide, foreste e terreni alluvionali rilevanti sono stati drenati e arginati, sono stati costruiti sistemi di regolazione del flusso e canali a sostegno dell’urbanizzazione, dell'agricoltura, della domanda di energia e della protezione dalle inondazioni (14). È necessario che le future politiche di gestione del territorio tengano conto dei vincoli legati all'acqua.
3.3 Il controllo della domanda e la proposta di un'offerta durevole e sostenibile
3.3.1 Numerosi fattori svolgono un ruolo nello stabilire il fabbisogno idrico delle famiglie: le dimensioni della popolazione e delle famiglie, l'urbanizzazione, il turismo, i redditi, la tecnologia e il comportamento dei consumatori. Inoltre, le «perdite» nelle reti di distribuzione e di approvvigionamento sono fondamentali nel determinare la quantità di acqua che arriva agli utilizzatori finali. È quindi opportuno, laddove necessario, ridurre l'entità di tali perdite. È necessario effettuare degli investimenti per conservare e sviluppare le reti di distribuzione, ma anche le infrastrutture per il trattamento delle acque reflue. Nel 2006 il 10 % della popolazione dell'UE-25 non era ancora collegato a un sistema di raccolta delle acque reflue, con notevoli differenze da uno Stato all'altro (15).
3.3.2 Il turismo può aumentare notevolmente il consumo di acqua, in particolare durante le vacanze estive e soprattutto sulle coste dei paesi dell'Europa meridionale, dove le regioni sono già sottoposte a un notevole stress idrico. La sensibilizzazione dei consumatori è complementare alle altre misure adottate al fine di preservare le risorse.
3.3.3 Norme e indipendenza: il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura può costituire un fattore importante di gestione sostenibile delle risorse idriche, e merita di essere reso sicuro in termini di salute pubblica, come le altre risorse, tramite la definizione e il controllo delle norme sanitarie, che devono essere stilate dal legislatore in modo trasparente e controllate in piena indipendenza da appositi organismi certificati o pubblici.
3.4 La società civile nelle politiche europee in materia di acque
3.4.1 In anticipo rispetto alla risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU del 26 luglio 2010 (16), il 22 marzo 2010 il Consiglio dell'UE ha comunicato che i 27 Stati membri dell'UE riconoscono il diritto di accesso all'acqua e a strutture igienico-sanitarie, rammentando che «tutti gli Stati hanno obblighi in materia di diritti umani riguardanti l'accesso all'acqua potabile» e osservando che «gli obblighi in materia di diritti umani riguardanti l'accesso all'acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie sono in stretta relazione con i diritti umani individuali, come il diritto all'abitazione, all'alimentazione e alla salute».
3.4.2 Il diritto della società civile all'informazione sui dati relativi all'acqua è fondamentale. Nel 1999 il Land di Berlino ha privatizzato le sue imprese di gestione idrica a vantaggio di Veolia e del conglomerato tedesco RWE: ne è risultato un aumento dei prezzi per gli utenti. I contratti di delega e le loro clausole, sottoscritte dalle parti contraenti, sono rimasti segreti. Grazie ad un'iniziativa popolare, è stato organizzato il «Berliner Wassertisch», che è riuscito a raccogliere un numero sufficiente di firme per lanciare un referendum popolare. Con il 98 % dei votanti favorevoli e un tasso di partecipazione del 27 %, la popolazione si è pronunciata per la pubblicazione e quindi l'annullamento dei contratti segreti. A seguito di tale iniziativa, dagli estratti dei contratti infine pubblicati si è potuto evincere che i profitti degli azionisti delle due società erano garantiti da un sistema di compensazione. Il Land di Berlino (grazie al denaro pubblico) assicurava quindi i profitti delle imprese negli anni in cui esse non riuscivano a realizzare gli importi stabiliti dalle clausole segrete. Un numero sempre crescente di enti locali in Europa approfitta della scadenza dei contratti di delega conclusi con società private per «rimunicipalizzare» i servizi idrici. Ciò nonostante, alcuni di tali enti, neanche tra i più piccoli, si sono trovati imprigionati da contratti conclusi a condizioni iniziali giuridicamente inique e tali da obbligarli a mantenere gli operatori privati in partecipazione (17). Si potrebbe garantire una maggiore trasparenza per quanto riguarda le concessioni di servizi pubblici o di interesse generale e la loro reversibilità, in particolare esaminando i seguenti aspetti:
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gestione dell'acqua: reinvestire i profitti nella manutenzione delle reti e nella loro modernizzazione; |
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le caratteristiche e la notevole entità degli investimenti relativi necessari per l'ingresso sul mercato sia privato che pubblico non dovrebbero determinare situazioni di monopolio e/o di intesa; |
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il finanziamento delle maggiori società private dell'acqua è prevalentemente costituito da fondi pubblici (18); |
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le condizioni di lavoro, di impiego e di sicurezza del personale: sono e saranno necessari donne e uomini in numero sufficiente, formati e qualificati, che godano di uno statuto unico pubblico dei dipendenti del settore dell'acqua, dei servizi igienico-sanitari, del controllo, della repressione delle infrazioni, della ricerca, ecc., nel quadro di uno statuto dei lavoratori, come garanzia per svolgere tutte le funzioni, in tutta la loro diversità a tutti i livelli; |
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in materia di informazione e consultazione degli utenti, i consigli economici e sociali, ovunque essi esistono, costituiscono una risorsa preziosa per la consultazione, data la loro rappresentatività, esperienza e capacità di organizzare audizioni pubbliche. |
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Rimborso delle sovvenzioni in caso di mancato rispetto degli strumenti legislativi europei (DQA) e nazionali (recepimenti) relativi all'inquinamento da nitrati, alla qualità dell'acqua, alla direttiva quadro sulle acque, in base al principio «chi inquina paga».
(2) Relazione informativa sul tema Il lavoro dignitoso e lo sviluppo sostenibile nella regione del Mediterraneo, con particolare attenzione ai settori dell'acqua dolce, dell'acqua marina e delle reti fognarie.
(3) Convenzione sulla legge relativa all'uso dei corsi d'acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione - http://untreaty.un.org/ilc/texts/instruments/english/conventions/8_3_1997.pdf.
(4) COM(2006) 232 definitivo - 2006/0086 (COD); COM(2009) 665 definitivo.
(5) COM(2011) 146 definitivo, parere CESE «Riforma delle norme UE in materia di aiuti di Stato relativamente ai servizi di interesse economico generale» (Cfr. pagina 149 della presente Gazzetta ufficiale).
(6) GU C 195 del 18.8.2006, pag. 20.
(7) GU C 28 del 3.2.2006, pag. 69.
(8) GU C 182 del 4.8.2009, pag. 46, GU C 97 del 28.4.2007, pag. 12 e GU C 80 del 30.3.2004, pag. 29.
(9) WWF, Usine nouvelle, 21 ottobre 2010.
(10) La SANOFI AVENTIS, che ha sede a Ivry (Francia), ha riversato per anni sostanze inquinanti, tra cui il benzene, sostanza altamente cancerogena, nelle reti fognarie del SIAAP (Syndicat interdépartementale pour l'assainissement de l'agglomération parisienne), a causa delle capienza inadeguata dei suoi bacini di ritenzione.
(11) GU C 195 del 18.8.2006, pag. 20.
(12) GU C 97 del 28.4.2007, pag. 3.
(13) Water Resourses across Europe - Confronting Water Scarcity and Drought (Le risorse idriche in Europa - Affrontare la carenza d'acqua e la siccità), relazione dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA), ISSN 1725-9177, febbraio 2009.
(14) L'ambiente in Europa - Stato e prospettive nel 2010, Agenzia europea dell''ambiente, SOER 2010.
(15) European Environment State and Outlook Report (SOER) pagina 103 + relazione AEA, pag. 5 + Comunicato stampa di Eurostat del 2006.
(16) Risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU, Il diritto umano all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, 26/7/2010, A/64/L.63/Rev.1, vedere: http://www.internationalwaterlaw.org/documents/intldocs/UNGA_Resolution_HR_to_Water.pdf.
(17) Public Citizen, «Campagna dell'acqua per tutti», 2007;
Veolia Environment: A Corporate Profile - A Special Report by Public Citizen’s Water for All Program (Veolia Ambiente: Profilo d'impresa. - Rapporto speciale di Public Citizen nel quadro della campagna Acqua per tutti) (http://documents.foodandandwaterwatch.org/Vivendi05.pdf) e
Il contratto segreto di privatizzazione dell'acqua a Berlino è stato pubblicato nel quotidiano berlinese Die Tageszeitung (TAZ) nell'edizione di sabato 30 ottobre 2010 (http://www.taz.de/1/zukunft/wirtschaft/artikel/1/die-raeuberische-wasser-privatisierung).
(18) http://www.psiru.org/reports/2010-W-EWCS.doc.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/49 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo dell'UE e le sue relazioni con l'Asia centrale, e il contributo della società civile»
2011/C 248/08
Relatore: PEEL
Il Comitato economico e sociale europeo, nella sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:
Il ruolo dell'UE e le sue relazioni con l'Asia centrale, e il contributo della società civile.
La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, 5 voti contrari e 12 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 A differenza dei paesi europei, i cinque Stati dell'Asia centrale non sono uniti da un autentico senso di affinità regionale. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) invita la Commissione e le altre istituzioni dell'UE a proseguire il lavoro rivolto a creare un senso di identità e di integrazione regionale molto più forte, incoraggiando ciascuno di tali Stati a collaborare in maniera più ravvicinata con i suoi vicini, per ridurre i problemi etnici e di frontiera e per aprire la strada a uno sviluppo economico e sociale più intenso e sostenibile.
1.1.1 Il CESE è fermamente convinto che vi sia l'esigenza di una strategia dell'UE comprensiva, coesiva e coordinata per costruire e sviluppare contatti efficaci tra la società civile dell'UE e quella dell'Asia centrale. Attualmente tali contatti sono estremamente ridotti. Occorre innanzi tutto un livello molto più elevato di rappresentanza.
1.1.2 È importante sfruttare al massimo tutta l'esperienza disponibile nelle istituzioni dell'UE, anche nello spirito dell'articolo 11 del Trattato di Lisbona. Il CESE invita pertanto il Servizio europeo per l'azione esterna a coinvolgerlo ogni volta che sia possibile, anche nella creazione di capacità, in considerazione dell'esperienza che il CESE ha acquisito altrove (ad esempio nei Balcani e in America Latina).
1.1.3 Il CESE raccomanda pertanto che il Servizio europeo per l'azione esterna istituisca un meccanismo formale in cui sia coinvolto anche il CESE, in primo luogo per consentire l'individuazione dei principali interlocutori della società civile in ciascuno Stato, comprese le imprese e i sindacati efficaci e indipendenti, e in secondo luogo per contribuire a localizzare nuove organizzazioni della società civile e sostenerle nel loro sviluppo. Al fine di procedere nella realizzazione di tali finalità occorrerebbe che una piccola delegazione del CESE effettuasse una visita in Asia centrale.
1.1.4 Il CESE è nettamente favorevole a un dialogo ben strutturato in materia di diritti umani, come primo, utile risultato della strategia dell'UE per l'Asia centrale, ma si rammarica fortemente di non esservi stato coinvolto finora. Ritiene assolutamente prioritario rimediare a questa situazione.
1.1.5 Gli sforzi rivolti a rafforzare i contatti interpersonali devono comprendere un approfondimento delle relazioni a livello giovanile e nel contesto dell'istruzione, dato che la maggioranza della popolazione ha meno di 25 anni. Occorre inoltre incrementare in maniera più rapida il ricorso, da entrambe le parti, al programma Erasmus Mundus. In tale contesto bisogna prevedere delle facilitazioni per l'ottenimento dei visti per motivi di istruzione, l'esenzione dalle tasse d'iscrizione per gli studenti più dotati dell'Asia centrale, la promozione dei testi scolastici di lingua inglese, l'organizzazione di corsi estivi e i partenariati a livello delle università e delle scuole secondarie.
1.2 Un tema strettamente connesso alla promozione di un maggior coinvolgimento della società civile è quello, più ampio, dei diritti umani. Si tratta di un settore importante, nel quale l'Europa può offrire e sta effettivamente offrendo assistenza, mentre i paesi dell'Asia centrale proseguono il loro percorso indipendente. Tuttavia i temi che sono attualmente al centro dell'interesse devono essere oggetto di negoziato ed essere valutati in un'ottica di sensibilità culturale. Sebbene continuino ad esserci problemi, ciascuno dei cinque Stati ha ratificato le otto convenzioni fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (con le due eccezioni che vengono indicate più sotto al punto 5.4.1). Un modo pratico di costruire la fiducia reciproca consiste nell'individuare come e dove l'Europa possa assistere l'Asia centrale nell'adempimento di questi e di altri obblighi.
1.2.1 Il CESE sostiene fermamente i progressi in direzione di possibili accordi commerciali con ciascuno dei cinque Stati. Al pari di quanto è avvenuto nel caso di altri, recenti accordi commerciali, il CESE invita a istituire in ogni accordo un forum della società civile, per tenere conto della questione dello sviluppo sostenibile e fornire l'opportunità di condividere l'esperienza del CESE.
1.3 In questo quadro rivestono particolare importanza le questioni interconnesse, ma difficili, della sicurezza alimentare, della sicurezza delle risorse idriche e dell'approvvigionamento energetico. L'UE dovrebbe svolgere un ruolo più attivo nell'incoraggiare i cinque Stati a collaborare tra loro per affrontare tali seri problemi secondo un approccio olistico. La Commissione deve chiarire fino a che punto si tratta di questioni interconnesse. Nell'assistenza a paesi terzi in materia di sicurezza delle risorse idriche e di sicurezza alimentare, l'Europa ha maturato esperienze positive, che andrebbero adesso utilizzate pienamente per rafforzare ulteriormente la fiducia e la confidenza.
1.4 Conformemente a quanto precedentemente raccomandato (1) in relazione ai futuri negoziati commerciali, il CESE invita la Commissione ad utilizzare le 27 convenzioni elencate nel sistema SPG+ insieme, se del caso, ai programmi di assistenza tecnica in materia commerciale, come base per sviluppare ulteriormente gli scambi commerciali non energetici con l'Asia centrale.
1.5 Il CESE raccomanda di garantire un'interazione ravvicinata e reciproca tra lo sviluppo dei rapporti UE-Asia centrale da un lato e il coinvolgimento dell'UE con la Russia, la Cina e la Turchia dall'altro, ma non con l'Iran fintantoché rimangono in vigore le sanzioni contro tale paese.
1.6 I paesi dell'Asia centrale dispongono di cospicue risorse energetiche, che offrono all'Europa fonti di approvvigionamento aggiuntive e complementari (ma non alternative), sebbene sussistano complicazioni derivanti dalle questioni del transito e del trasporto. È importante che il mantenimento di tali contatti si basi su ragioni pratiche ed economiche.
1.7 L'Asia centrale non dovrebbe essere un terminale dei collegamenti europei di trasporto e di transito, ma andrebbe considerata piuttosto come una stazione intermedia sul percorso che conduce in Cina e oltre. Occorre allineare tra loro i corridoi di trasporto previsti della Cina e dell'UE, sviluppando l'antica Via della Seta come autostrada commerciale ed energetica.
2. Introduzione
2.1 Sebbene il Kazakstan sia il nono paese più grande del mondo, i cinque Stati dell'Asia centrale (Kazakstan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan), hanno tutti insieme una popolazione di circa 61 milioni di abitanti, più o meno come il Regno Unito, la Francia o l'Italia.
2.2 È essenziale rendersi conto del fatto che si tratta di Stati nuovi, che in grande misura sono ancora in fase di formazione. Sebbene siano indipendenti e pienamente riconosciuti, essi sono nati dalla disgregazione dell'Unione Sovietica. In nessuno di questi paesi esisteva un «movimento di liberazione nazionale» significativo. In ciascuno di essi la precedente élite politica sovietica si è trasformata nella nuova élite del paese indipendente. Questo retroterra comune rimane tuttavia un utile fattore di promozione della coesione regionale, sebbene quest'ultima sia debole e ben lontana dai livelli europei. Si tratta di un concetto che l'UE inizia ad affermare in questa regione.
2.3 Per di più questi cinque Stati sono racchiusi da confini non di loro scelta ma basati su divisioni naturali. Tali confini sono stati tracciati da soggetti esterni, per formare repubbliche appartenenti all'URSS, e hanno comportato a loro volta delle tensioni etniche, da ultimo in Kirghizistan, dove la minoranza uzbeca si è trovata sotto pressione. Questa situazione offre all'UE un'importante occasione per far valere la propria esperienza nel contribuire alla risoluzione di tensioni nazionali.
2.4 Gli Stati in oggetto hanno anche ereditato delle economie pianificate, vale a dire un modello economico che le élite attualmente al potere trovano conveniente mantenere. Questa rigidità di fondo è stata ulteriormente aggravata dal riaccendersi di vecchie rivalità strategiche internazionali (tra l'altro a causa della vicinanza di Afghanistan e Iran) che adesso, cosa estremamente importante, sono diventate anche rivalità economiche, a causa della scoperta di risorse energetiche naturali ancora non quantificate, specialmente petrolio e gas, in particolare gas nel Turkmenistan.
2.4.1 Nella regione sono già emerse questioni riguardanti il fatto che il potere rimane nella stessa famiglia passando da una generazione all'altra, in particolare in Kazakstan. La vecchia infrastruttura amministrativa della nomenklatura sovietica è divenuta adesso una classe dominante basata sul clan o sulla famiglia. Anche in questo caso l'UE, nel quadro dei suoi programmi concernenti la società civile e la governance, può contribuire a promuovere una funzione pubblica più neutrale.
2.5 Prima di cadere sotto la dominazione russa nel XIX secolo, l'Asia centrale comprendeva una serie di canati ed emirati islamici, ferocemente attaccati alla propria indipendenza, che avevano nomi esotici come Bukhara o Khiva, ma erano anche remoti a causa delle vaste aree desertiche che li circondavano. Tamerlano creò un enorme impero il cui centro era Samarcanda. Ma la popolazione attuale discende anche dalle armate di Gengis Khan e dall'Orda d'oro. È degna di nota anche la forte tradizione scientifica presente in questa regione, in particolare nel campo dell'astronomia, che risale all'osservatorio fondato intorno al 1420 dal pronipote di Tamerlano, Ulugh Beg. Il Kazakstan è tuttora fortemente impegnato in un programma spaziale.
3. Un nuovo «Grande gioco»?
3.1 Malgrado la sua collocazione inospitale, l'Asia centrale ha acquisito una considerevole importanza strategica. Sulla falsariga del «Grande gioco», ossia della rivalità che contrappose nel XIX secolo le ambizioni britanniche e quelle russe, ancora una volta l'Asia centrale è la principale area del mondo, fatta eccezione per l'Asia orientale, in cui tanti interessi vitali minacciano di entrare in collisione.
3.2 Dopo una dominazione protrattasi per oltre un secolo, in questa regione permane una fortissima influenza russa. Il russo è la lingua comune, i legami economici rimangono forti, e la Russia è convinta che questa regione ricada per natura nella sua sfera d'influenza. Nel 2010 il Kazakstan ha costituito un'unione doganale con la Russia e la Bielorussia, e altri paesi hanno mostrato interesse. Per il Kirghizistan, l'unico paese a far parte dell'Organizzazione mondiale del commercio, tale unione doganale costituirebbe un problema. Tuttavia l'Uzbekistan e il Turkmenistan sono molto più cauti degli altri di fronte alla prospettiva di riallacciare i legami con la Russia.
3.3 Anche la Cina è fortemente coinvolta nelle attività relative allo sviluppo, e ciò ha trovato espressione formale nell'Organizzazione di cooperazione di Shanghai, che comprende anche la Russia e l'Iran. La Cina ha interessi energetici strategici: nel 2010 essa ha messo in servizio a tempo di record un gasdotto che parte dal Turkmenistan, attraversa l'Uzbekistan e il Kazakstan, per essere quindi pienamente collegato alla sua rete energetica interna. Inoltre la Cina è fortemente interessata alla costruzione, attraverso l'Asia centrale, di corridoi strategici ferroviari e stradali verso l'Ovest, i quali per il momento non sono allineati con i corridoi europei dei trasporti diretti verso Est. Tale situazione dev'essere corretta. L'antica Via della Seta, che è già diventata un itinerario turistico, potrebbe anche essere sviluppata con profitto come autostrada commerciale e dell'energia.
3.4 L'Iran e l'Afghanistan sono profondamente coinvolti perché sono paesi vicini, dove - come in Tagikistan - si parlano lingue imparentate con il farsi, e che hanno trascorsi recenti di fondamentalismo islamico. Il fervore religioso viene tenuto fermamente a bada da ciascuno dei paesi dell'Asia centrale, ma sta crescendo. Nella guerra civile tagika degli anni '90 l'insurrezione islamica ha costituito un fattore di primo piano, di cui molti temono il ritorno. Per l'Iran, attualmente soggetto a sanzioni a causa della questione nucleare, i legami con il Turkmenistan sono particolarmente importanti, come pure la costruzione di un nuovo gasdotto strategico. Il traffico di droga proveniente dall'Afghanistan aumenta, ma costituisce più che altro un problema legato al consumo in Occidente. La soluzione deve consistere tra l'altro nel limitare e ridurre il mercato illegale in Europa e negli Stati Uniti, oltre che nell'incoraggiare funzionari locali poveri e corruttibili ad intervenire per reprimere il traffico.
3.5 Anche la Turchia gode di una forte influenza nella regione, tra l'altro perché tutti i popoli della zona, tranne i tagiki, sono di ceppo turco e parlano lingue imparentate. La Turchia si è molto impegnata nella regione dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica e, in seguito a una serie di insuccessi iniziali, sta ricominciando a far sentire la propria voce. Essa sarà tra l'altro un essenziale punto di passaggio dei condotti energetici diretti verso Ovest.
3.6 Anche gli Stati Uniti son fortemente impegnati nella regione, se non altro a causa della guerra in Afghanistan.
3.7 Tutto ciò spinge a chiedersi quale debba essere la portata del coinvolgimento dell'Unione europea, anche alla luce del fatto che nessuno Stato membro ha avuto legami coloniali con la regione. Le esigenze dell'Europa andrebbero considerate nel lungo periodo, e tenendo pienamente conto delle più ampie relazioni dell'UE.
3.7.1 L'UE sta già conducendo importanti negoziati con la Russia e la Cina, paesi ai quali è legata da un partenariato strategico. Sono in corso negoziati di adesione con la Turchia, sebbene il loro avanzamento sia estremamente lento. Permane tuttavia la sensazione che i legami dell'UE con gli Stati dell'Asia centrale siano gestiti in maniera del tutto indipendente dai suddetti altri paesi, cosa che a giudizio del CESE non ha molto senso. Occorre garantire un'interazione ravvicinata e reciproca tra lo sviluppo dei rapporti UE-Asia centrale da un lato e il coinvolgimento dell'UE con la Russia, la Cina e la Turchia dall'altro; analogamente, i nostri rapporti con l'Asia centrale devono essere sviluppati in modo da non compromettere la nostra relazione strategica con nessuno di questi importanti partner. Sarebbe prematuro coinvolgere anche l'Iran mentre sono in vigore sanzioni contro questo paese, ma occorre tener presente la connessione Iran/Asia centrale.
4. Il coinvolgimento dell'UE nell'Asia centrale
4.1 Nel luglio 2007, su raccomandazione della presidenza tedesca, l'UE ha lanciato la strategia per l'Asia centrale. Sebbene si tratti di una constatazione alquanto paternalistica, i livelli estremamente ridotti degli scambi commerciali non sono ancora aumentati. A parte il Kazakstan, paese da cui nel 2009 (come già nel 2007) proveniva lo 0,9 % delle importazioni dell'UE e a cui era destinato lo 0,5 % delle esportazioni, nessun altro di questi paesi andava al di là dello 0,1 % del volume di scambi commerciali dell'UE. Malgrado tali cifre, l'UE rimane un importante partner commerciale per ciascuno di tali Stati, in particolare per il Kazakstan, per il quale, in termini di volume di scambi, l'Europa è un partner più importante di quanto lo siano la Cina o la Russia.
4.2 È particolarmente importante che l'UE manifesti interesse per l'Asia centrale, specialmente alla luce del programma del partenariato orientale e della strategia per la regione del Mar Nero. Tali programmi coinvolgono effettivamente, oltre alla Turchia, tutti gli altri paesi dell'ex Unione Sovietica a parte la Russia, con cui l'UE sta negoziando una nuova relazione strategica a parte. Alcuni Stati membri dell'UE, in particolare la Lituania e, in misura crescente, la Germania, hanno già forti legami con l'Asia centrale. Inoltre, a giudizio di molti, l'Azerbaigian è più strettamente legato all'Asia centrale che al Caucaso, e ciò per varie ragioni tra cui l'energia e la religione.
4.2.1 Una questione essenziale è quella dell'energia. I paesi dell'Asia centrale possiedono considerevoli riserve energetiche, che offrono all'Europa fonti di approvvigionamento aggiuntive e complementari, sebbene sussistano complicazioni per quanto riguarda il transito e il trasporto. È essenziale che l'UE mantenga una visione realistica del potenziale di approvvigionamento energetico da questa regione e che il ricorso a tale canale si basi su considerazioni pratiche ed economiche. Queste fonti energetiche naturali, che sono importanti anche per i paesi che le detengono, andrebbero considerate nell'ottica di integrare e diversificare l'attuale approvvigionamento, piuttosto che come un possibile approvvigionamento alternativo o come uno strumento da utilizzare per influenzare le relazioni con altri paesi della regione.
4.3 Malgrado il tono ottimistico della relazione sullo stato d'avanzamento dello scorso giugno, i rapporti tra l'UE e i cinque Stati dell'Asia centrale sono particolarmente deboli. L'UE dispone di una sola vera e propria rappresentanza in Kazakstan, e ha recentemente aperto delegazioni in Kirghizistan e in Tagikistan. In Uzbekistan e Turkmenistan l'UE è rappresentata esclusivamente dalle «Case dell'Europa», il cui personale consiste prevalentemente di consulenti ingaggiati su base contrattuale. Stando al Centro per gli studi politici europei (2), 18 Stati membri dispongono di un'ambasciata in Kazakstan, 10 in Uzbekistan e solo pochi hanno un'ambasciata altrove nella regione. Solo la Germania e la Francia hanno ambasciate in tutti e cinque gli Stati dell'Asia centrale, il Regno Unito ne ha in quattro di essi, mentre nove Stati membri non hanno alcuna rappresentanza. La strategia dell'UE per l'Asia centrale, per riuscire, necessita di un livello molto più elevato di rappresentanza dell'UE, cosa che, malgrado le severe limitazioni di bilancio, costituirà un primo esame del nuovo Servizio europeo per l'azione esterna. Uno dei campi di prova di tale Servizio sarà l'azione comune in merito a questioni importanti come quella dei visti, almeno per quanto riguarda gli Stati dell'area Schengen.
4.4 L'UE ha negoziato accordi di partenariato e cooperazione con tutti e cinque i paesi. Gli accordi con il Kazakstan, il Kirghizistan e l'Uzbekistan sono entrati in vigore nel 1999, sebbene quello con l'Uzbekistan sia stato parzialmente sospeso dal 2005 al 2008 in seguito al massacro di Andijan. L'accordo con il Tagikistan, entrato in vigore in ritardo a causa della guerra civile, è stato ratificato solo nel 2009, mentre quello con il Turkmenistan deve ancora essere ratificato, a causa dei problemi in materia di diritti umani.
4.5 Il Kazakstan in particolare sta emergendo come un soggetto di primaria importanza nella regione. Le sue relazioni con l'UE stanno avanzando rapidamente, e sono rafforzate da un aumento del reciproco interesse. Per l'UE il paese con cui è più facile instaurare contatti è chiaramente il Kazakstan, il quale, attraverso la sua efficace opera di comunicazione nel quadro della presidenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (3), ha dato una prova inequivocabile della sua intenzione di svolgere un ruolo di primo piano. Una prova ulteriore del desiderio del Kazakstan di accrescere il proprio coinvolgimento in affari di portata generale è data dal suo ingresso nell'unione doganale con la Russia e la Bielorussia e dal suo evidente interesse per l'adesione all'Organizzazione mondiale del commercio, possibilmente insieme alla Russia. Un altro segnale è dato dallo sviluppo di una notevole classe imprenditrice giovane, che ha sia l'ambizione di formarsi all'estero sia gli incentivi per farlo; parallelamente crescono la consapevolezza e il coinvolgimento della società civile.
4.6 L'Uzbekistan non ha ancora espresso un analogo desiderio di accrescere la propria visibilità internazionale, e mantiene un approccio più chiuso e autoritario. Altrettanto vale per il Turkmenistan. In un primo tempo sembrava che l'Uzbekistan stesse per avviare una relazione più stretta con l'Europa, ma questo non si è realizzato, in particolare in seguito al massacro di Andijan, mentre invece il Kazakstan si apriva.
4.7 Il Kirghizistan, malgrado le grandi preoccupazioni seguite ai disordini etnici del 2010, costituisce una società più aperta, con un maggior coinvolgimento della società civile. Altrettanto vale per il Tagikistan, i cui legami con l'UE appaiono attualmente deboli. Si tratta di un paese più fragile, che negli anni '90 è stato teatro di un'aspra guerra civile e rischia di ricadervi a causa della crisi alimentare in corso.
5. Il ruolo della società civile e i diritti umani
5.1 Il ruolo della società civile è intermittente e varia considerevolmente tra i cinque paesi. Il Kirghizistan è caratterizzato dal livello più elevato di partecipazione della società civile, mentre in Kazakstan e in Tagikistan la società civile cresce in consapevolezza.
5.1.1 Tuttavia in questi tre paesi la società civile ha svolto un ruolo evidente nel ben strutturato processo di dialogo sui diritti umani dell'UE, uno dei primi risultati della strategia dell'UE per l'Asia centrale. Tale processo è stato caratterizzato da riunioni annuali a livello di funzionari, accompagnate da seminari della società civile con la partecipazione di avvocati impegnati nella difesa dei diritti umani e di organizzazioni non governative locali. Vi hanno partecipato anche funzionari dell'UE e l'agenda è stata armonizzata. Finora però manca un'efficace valutazione comparativa volta a misurare i risultati ottenuti.
5.1.2 Il CESE accoglie con grande favore questo processo, ma è profondamente deluso dal fatto che il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) non abbia ritenuto opportuno coinvolgerlo. Invita pertanto tale Servizio a rimediare al più presto a questa situazione, anche perché il CESE ha dato prova di essere un valido interlocutore nel quadro del dialogo, un elemento di collegamento con la più ampia società civile, e di avere una profonda conoscenza pratica e un'esperienza ampiamente riconosciuta.
5.2 Questo livello di contributo da parte della società civile non si riscontra né in Uzbekistan, dove sono state messe in piedi delle organizzazioni non governative organizzate dal governo, né in Turkmenistan, dove non esiste in realtà una società civile indipendente.
5.2.1 È importante ricordare che prima dell'indipendenza non c'era alcuna tradizione o concezione della società civile come intermediario tra lo Stato e il cittadino, e mancava la stessa nozione di organizzazione non governativa. I sindacati, le comunità, le associazioni giovanili e professionali facevano parte della struttura statale e disponevano di pochi contatti esterni per la formazione di nuove istituzioni dopo l'indipendenza. Tuttavia molte di queste entità si sono sviluppate in maniera autonoma, insieme alle imprese statali privatizzate, ai sindacati e alle organizzazioni professionali indipendenti, in particolare in Kazakstan e in Kirghizistan, nonché in Tagikistan, sebbene in misura minore.
5.2.2 Negli anni '90 sono emerse iniziative locali rurali a livello di comunità e gruppi di aiuto reciproco, fondati sulla comunità locale tradizionale e sulla solidarietà tra parenti (hashar/ashar). Il loro obiettivo era tra l'altro quello di porre rimedio alla disgregazione dei sistemi sovietici di previdenza sociale. Tuttavia tali iniziative sono ben differenti dalle organizzazioni non governative nella forma in cui sono conosciute sul piano internazionale. Queste ultime sono emerse, ma sono rimaste per lo più confinate alle principali aree urbane e spesso dipendono dal sostegno economico esterno, anche da parte degli Stati Uniti. Ogni paese si è sviluppato in maniera differente e ha fatto fronte a problemi diversi, ma dopo le rivoluzioni «colorate» in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, le organizzazioni non governative, che molti considerano come entità aliene, beneficiarie di finanziamenti eccessivi rispetto agli standard locali, sono state severamente limitate in Uzbekistan e sono sparite del tutto in Turkmenistan. In tempi recenti si è accentuata ulteriormente la separazione tra mondo urbano e mondo rurale, mentre aumentavano l'influenza e l'attività dei circoli islamici.
5.3 Si può constatare che tra la società civile dell'UE e quella dell'Asia centrale mancano rapporti di cooperazione formale o contatti approfonditi. La cosa non sorprende se si tiene conto della scarsità di contatti interpersonali tra Europa e Asia centrale. Prima che la società civile dell'Asia centrale possa condividere i nostri valori o addirittura identificarsi con essi occorrerà che tali valori siano resi noti e siano ampiamente compresi, senza tuttavia venire imposti. In tale contesto il Kazakstan può fungere da tramite, tra l'altro grazie ai suoi migliori contatti a livello imprenditoriale e sindacale.
5.3.1 Il CESE ritiene che nello sviluppo dei contatti con l'Asia centrale a livello della società civile sia assolutamente indispensabile una strategia dell'UE a vasto raggio, ben integrata e coordinata. Il CESE è nella posizione adatta per contribuire, ma va stabilito quale sia il modo migliore per incoraggiare un dialogo molto più ampio e i contatti interpersonali, individuare argomenti di interesse reciproco e gruppi emergenti della società civile, e promuovere le buone pratiche, al fine di costituire un meccanismo più formale per la promozione di contatti efficaci a livello di società civile.
5.3.2 Il lavoro svolto attualmente dal SEAE è degno di lode. Occorre tuttavia massimizzare l'impiego di tutta l'esperienza disponibile nelle istituzioni dell'UE e pertanto, come nel caso del dialogo sui diritti umani dell'UE, si invita il SEAE a coinvolgere il CESE ogni volta che sia possibile, anche per sostenere la creazione di capacità grazie all'esperienza acquisita in altri contesti.
5.3.3 Ciò potrebbe svilupparsi lungo tre assi di azione principali. In primo luogo il CESE dovrebbe individuare, con l'aiuto del SEAE, quali debbano essere i suoi principali interlocutori. In tutti e cinque i paesi occorrerebbe scegliere partner efficaci tra le imprese e i sindacati indipendenti e stabilire dei contatti, insieme ad altri partner pertinenti della società civile. L'Organizzazione internazionale dei datori di lavoro (OIE) non ha membri in Asia centrale, sebbene disponga di contatti in Kazakstan. A tal fine si raccomanda che una piccola delegazione del CESE visiti l'Asia centrale, anche per far conoscere il presente parere.
5.3.4 Occorre quindi individuare, incoraggiare e sostenere altre organizzazioni della società civile, che si trovano in fase di sviluppo, offrendo loro un appoggio sul terreno man mano che crescono. Anche in questo caso il CESE si attende che il SEAE lo coinvolga ogni qualvolta ciò risulti appropriato.
5.3.5 Il CESE sostiene fermamente i progressi conseguiti nella definizione di possibili accordi commerciali con ciascuno dei cinque Stati. Al pari di quanto è avvenuto nel contesto di altri recenti accordi commerciali dell'UE, si raccomanda di istituire con ciascuno Stato un forum della società civile, per dare un quadro più formale ai contatti con la società civile della regione e consentire al CESE di condividere la propria esperienza in materia di sviluppo sostenibile con i pertinenti rappresentanti della società civile.
5.3.6 In terzo luogo bisogna promuovere contatti e scambi più ampi tra i giovani, e stimolare un più ampio ricorso al programma Erasmus Mundus, per favorire relazioni più approfondite nel campo dell'istruzione e incoraggiare la mobilità da entrambe le parti. In tale contesto bisogna prevedere delle facilitazioni per l'ottenimento dei visti per motivi di istruzione, l'esenzione dalle tasse d'iscrizione per gli studenti più dotati dell'Asia centrale, la promozione dei testi scolastici in lingua inglese, l'organizzazione di corsi estivi e i partenariati a livello delle università e delle scuole secondarie. Il CESE si compiace del fatto che il bilancio al riguardo sia stato raddoppiato, arrivando a 10 milioni di euro l'anno, ma fa presente che, come risulta dalla relazione sullo stato d'avanzamento, la maggioranza della popolazione dell'Asia centrale ha meno di 25 anni (e quindi non si ricorda dell'epoca sovietica).
5.3.7 La società civile deve contribuire alla coesione e all'integrazione regionali, che sono importanti per costruire un ambiente economico e sociale in cui i mercati possano funzionare efficacemente, promuovendo la creazione di occupazione dignitosa, sviluppando le PMI, rafforzando l'infrastruttura locale e favorendo la riduzione della povertà, grazie al sostegno fornito da istituzioni solide e dotate di un mandato chiaro. In questo contesto sarà particolarmente utile tra l'altro l'esperienza della società civile dei paesi baltici.
5.3.8 A sostegno di ciò servono impegno politico, pace e sicurezza, Stato di diritto, una democrazia più forte, buon governo e stabilità macroeconomica.
5.4 Tuttavia, specie in Uzbekistan e in Turkmenistan, il maggiore coinvolgimento della società civile è legato ai diritti umani, in rapporto ai quali i progressi sono penosamente lenti. A causa di un lungo passato di autocrazia e della mancanza di qualsivoglia tradizione in questo campo, è inevitabile che i diritti umani abbiano un ruolo crescente, se si vuole che l'UE e la sua società civile sviluppino efficaci relazioni di lavoro con l'Asia centrale. I diritti umani concorrono alla definizione dell'Europa e della sua storia, l'Europa ritiene a ragione di poter offrire assistenza.
5.4.1 Tuttavia i temi attualmente al centro dell'interesse devono essere oggetto di negoziato ed essere valutati in un'ottica di sensibilità culturale. Aderendo alle Nazioni Unite e alle istituzioni collegate, come l'Organizzazione internazionale del lavoro, ognuno di questi Stati ha volontariamente sottoscritto la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. A differenza di numerosi altri partner commerciali dell'UE, ognuno dei paesi dell'Asia centrale ha già ratificato le otto convenzioni principali dell'Organizzazione internazionale del lavoro, ad eccezione dell'Uzbekistan, che non ha ratificato quella sulla libertà di associazione (n. 87), e del Turkmenistan, che non ha siglato quella sull'età minima dei lavoratori (n. 138). Quest'ultimo paese ha sottoscritto la convenzione sul lavoro minorile (n. 182) solo nel novembre del 2010, mentre l'Uzbekistan ha aderito alla convenzione sull'età minima dei lavoratori nel 2009. Tuttavia l'applicazione è un'altra cosa. Il CESE invita pertanto la Commissione a individuare, in collaborazione con l'Organizzazione internazionale del lavoro, in che modo e dove l'Europa possa assistere nel modo migliore l'Asia centrale nell'adempimento di tali obblighi.
5.4.2 Ciò offre un percorso pratico per la costruzione della fiducia reciproca. Se da un lato si può argomentare che non vi sono diritti umani più importanti di altri, è pur vero che permangono questioni da chiarire per quanto riguarda le libertà fondamentali, lo Stato di diritto e la libertà di riunione, di associazione e di espressione. L'UE ha già creato dei precedenti positivi attraverso un'efficace trattazione di questioni come quella della disabilità.
5.4.3 Nondimeno permangono importanti preoccupazioni e problemi, e i recenti eventi in Africa settentrionale ci ricordano che occorre costruire una partecipazione attiva della società civile e affrontare urgentemente e in modo costruttivo le questioni basilari. Il CESE intende costruire contatti forti ed efficaci e buone relazioni di lavoro con la società civile dell'Asia centrale. Il boicottaggio l'imposizione di condizioni rigorose vincolate ai progressi compiuti non costituiscono un'opzione realistica. La situazione in Asia centrale è stata comparata a quella della Bielorussia dove, nel gennaio 2011, si sono verificati nel contesto delle elezioni presidenziali dei disordini, in seguito ai quali è stato vietato a 158 responsabili locali di viaggiare nell'UE e sono stati congelati i loro conti bancari nell'UE. Si tratta di un esempio che i cinque paesi dell'Asia centrale dovranno tenere presente.
5.4.4 Nel parere sul tema Europa globale (4), il CESE ha invitato la Commissione a subordinare i futuri accordi commerciali dell'UE all'adesione alle 27 convenzioni elencate nel sistema di incentivi commerciali SPG+, comprese le otto convenzioni fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Tale obiettivo va ricordato qui in quanto base per lo sviluppo di più ampi scambi non energetici con l'Asia centrale, insieme, se del caso, ai programmi di assistenza tecnica in materia commerciale. Al tempo stesso bisognerebbe incoraggiare i paesi in questione ad aderire all'Organizzazione mondiale del commercio. Solo il Kirghizistan è membro dell'OMC, ma la sua adesione, avvenuta nel 1998, viene adesso comunemente considerata prematura.
5.5 L'allegato A comprende una breve sintesi dell'attuale situazione dei diritti umani in ciascuno dei cinque Stati.
6. Questioni ambientali
6.1 Il sistema SPG+ comprende importanti convenzioni in materia ambientale. Per i paesi dell'Asia centrale rivestono particolare importanza le questioni interconnesse della sicurezza alimentare, della sicurezza delle risorse idriche e dell'approvvigionamento energetico. In tali contesti l'UE avrà l'importante compito di incoraggiare i cinque paesi a lavorare insieme per affrontare dette questioni seguendo un approccio olistico. La strategia dell'UE non chiarisce in quale misura tali questioni siano interconnesse, perché le risorse idriche vengono trattate separatamente sia nel contesto dell'energia che in quello della sostenibilità ambientale, mentre la sicurezza alimentare è trattata come un problema essenziale per conto proprio.
6.2 Nel 2008 la FAO ha inserito il Tagikistan nell'elenco dei 17 paesi caratterizzati da crisi alimentare, l'unico di tutta l'Asia. La sicurezza delle risorse idriche è anch'essa una questione essenziale nell'intera regione, sottolineato dalla grave riduzione della superficie del Lago d'Aral, dai problemi sempre più gravi connessi alla riduzione della portata dei fiumi e dal fatto che la coltivazione del cotone richiede un considerevole apporto idrico. In tale contesto l'esperienza dell'UE nella cooperazione dovrebbe contribuire a rafforzare la fiducia in Asia centrale.
6.2.1 Il Tagikistan e il Kirghizistan dispongono d'acqua per la maggior parte dell'anno, anche se la cattiva gestione e i danni nei sistemi di distribuzione causano dispersioni elevate e di conseguenza carenze idriche. I paesi vicini, invece, soffrono di mancanza d'acqua, in particolare l'Uzbekistan, che dipende fortemente dall'estero sia per la coltivazione del riso e del cotone, soggetta a un'abbondante irrigazione, sia per l'acqua potabile. Dal canto suo, il Tagikistan soffre di una grave mancanza di risorse energetiche, e soprattutto di una situazione di insicurezza alimentare. Tale paese dipende fortemente dai paesi vicini sia per l'approvvigionamento energetico che per quello alimentare.
6.2.2 Nel 2008 oltre due milioni di tagiki, ossia più di un terzo della popolazione, sono stati classificati a rischio di denutrizione, e per 750 000 di essi tale rischio è stato considerato grave. Il 64 % della popolazione si trova al di sotto della soglia di povertà e solo il 7 % del territorio è adatto per l'attività agricola.
6.2.3 Purtroppo l'Uzbekistan e il Tagikistan non sono stati dei buoni vicini tra loro e ciò ha portato a un circolo vizioso di privazioni e di contro-privazioni. Infatti sono state imposte moratorie sull'esportazione, rispettivamente, di energia e di acqua. Quest'ultima è stata utilizzata tra l'altro per generare a livello nazionale elettricità, che era disponibile, nella capitale tagika Dushanbe, solo due ore al giorno anche in periodi di freddo intenso.
6.3 Tale crisi ha dimostrato quanto sia importante, per promuovere la crescita economica sostenibile dell'Asia centrale nel suo insieme, una strategia generale che comprenda sia l'uso responsabile delle risorse naturali, sia l'intervento volto a ridurre la povertà e in particolare il rischio di denutrizione. Il CESE si compiace nondimeno del forte impegno dell'UE nell'aiutare il Tagikistan e i suoi vicini a far fronte a tali crisi.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.
(2) Centre for European Policy Studies.
(3) L'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa è l'unico contatto politico e istituzionale internazionale che lega l'Europa all'insieme dell'ex Unione Sovietica.
(4) COM(2006) 763 definitivo.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/55 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Verso un accordo di associazione UE-Mercosur: il contributo della società civile organizzata»
2011/C 248/09
Relatore: José Maria ZUFIAUR
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:
Verso un accordo di associazione UE-Mercosur: il contributo della società civile organizzata.
La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 maggio 2011
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 89 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.
1. Sintesi e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la firma di un Accordo di associazione (AA) tra il Mercosur e l'UE - se verranno superati gli scogli esistenti in settori come l'agricoltura, la proprietà intellettuale, lo sviluppo sostenibile - offrirebbe innumerevoli possibilità e vantaggi di ogni tipo ad entrambe le parti, in un contesto caratterizzato dalla presenza di nuovi protagonisti sulla scena mondiale, da sfide mondiali di tipo geostrategico, ambientale, sociale, energetico e di governance e dalla necessità di affrontare con urgenza profonde riforme del modello di sviluppo, perché costituisca lo strumento per superare una crisi del sistema che per la prima volta può essere paragonata a quella degli anni '30 del secolo scorso.
1.2 Per il CESE un accordo sarà possibile solo se sarà equilibrato, se arrecherà vantaggi ad entrambe le parti e non sacrificherà nessun settore (in special modo l'agricoltura e l'industria), nessuna regione e nessun paese. In nessun caso, l'Accordo di associazione dovrà basarsi su un cattivo accordo. In questo senso, chiede che le parti negoziali dimostrino la volontà politica necessaria per dar vita all'Accordo di associazione e il massimo impegno per superare le differenze che concernono essenzialmente le questioni commerciali, pilastro fondamentale dell'Accordo di associazione. Per tale motivo chiede che vengano utilizzate tutte le formule e i meccanismi in grado di contribuire alla realizzazione di tale obiettivo: riconoscimento di asimmetrie, misure di accompagnamento e compensazione, creazione di deroghe, programmi di sviluppo a favore dei settori maggiormente colpiti, promozione di investimenti, politiche d'innovazione, clausole compensative, transitorie ed evolutive. Sarebbe inoltre necessario che le misure di accompagnamento riguardassero tutte le politiche dell'UE.
1.3 Il CESE invita in ogni caso le parti negoziali e soprattutto l'UE, a valutare l'enorme costo in termini politici, economici e di opportunità se non si firmasse un accordo.
1.4 Per il CESE è essenziale che l'Accordo di associazione sia ambizioso e tenga conto di tutti gli aspetti delle relazioni tra l'UE e il Mercosur. È importante, a questo proposito, affrontare gli ostacoli reali con cui si misurano le imprese attraverso l'armonizzazione delle norme e le ripercussioni sulle barriere non commerciali. In particolare l'Accordo di associazione dovrebbe prevedere una dimensione sociale, lavorativa e ambientale in grado di permeare l'intero accordo. La presenza di questa dimensione dovrebbe garantire relazioni economiche conformi agli obiettivi sociali e ambientali stabiliti e tali da non pregiudicare le norme e le garanzie in materia di sviluppo sostenibile. L'accordo dovrà inoltre rispecchiare l'impegno delle parti a osservare le norme fondamentali in materia di diritti sociali e di lavoro, incluse le dichiarazioni internazionali come quelle dell'OIL in cui si stabilisce che le violazioni ai principi e ai diritti fondamentali del lavoro non devono essere utilizzate come vantaggi comparati legittimi nell'ambito del commercio internazionale.
1.5 Il CESE chiede che nel corso dei negoziati, sia il FCES (Foro consultivo economico e sociale) del Mercosur sia il CESE partecipino, in quanto organi rappresentativi della società civile di entrambe le parti, alla valutazione dell'impatto dell'Accordo di associazione, all'elaborazione delle proposte che da essa avranno origine (per il CESE è fondamentale non solo analizzare a priori l'impatto di un potenziale accordo ma anche stabilire meccanismi per valutare a posteriori il rispetto e l'evoluzione degli elementi dell'accordo stesso), alla creazione di un capitolo specifico sulla dimensione sociale, lavorativa e ambientale e alla partecipazione all'Accordo, una volta firmato, attraverso la creazione di un comitato consultivo misto composto dagli organi rappresentativi della società civile organizzata di entrambe le parti (1).
2. Introduzione
2.1 I negoziati dell'UE con il Mercosur in vista di un Accordo di associazione si sono interrotti nel 2004 a causa di profonde divergenze tra le parti per quanto concerneva l'accesso ai mercati e le aspettative di ciascuno circa i risultati del ciclo di Doha per lo sviluppo. I contatti informali, ripresi nel 2009, hanno messo in evidenza nuove posizioni che hanno permesso alle due parti di stabilire che si erano venute a creare nuove possibilità di accordo e che hanno portato il vertice ALCUE, del maggio 2010, a decidere di riavviare i negoziati. Il previsto Accordo di associazione doveva essere un testo ambizioso che includesse nella dimensione commerciale non solo lo scambio di merci ma anche i servizi, gli investimenti, gli appalti pubblici, la proprietà intellettuale (comprese le denominazioni geografiche), le agevolazioni al commercio, le misure sanitarie e fitosanitarie, il commercio e lo sviluppo sostenibile, la concorrenza o gli strumenti a difesa del commercio.
3. Potenzialità e opportunità dell'Accordo di associazione
3.1 La conclusione di un Accordo di associazione tra l'UE e il Mercosur, che rappresentano una popolazione di più di 700 milioni di abitanti e che portano avanti scambi commerciali per più di 84 miliardi di euro l'anno, permetterebbe di creare un vasto spazio di integrazione economica con vantaggi per entrambe le parti e la realizzazione di esternalità positive in particolare per gli altri paesi latinoamericani.
3.2 L'UE nel suo complesso è la prima economia mondiale mentre il blocco del Mercosur rappresenta attualmente una delle sei economie più importanti del pianeta. Il Mercosur costituisce anche uno spazio di enorme vitalità che ultimamente ha registrato tassi di crescita economica annuale elevati, pari al 7 % in Brasile e al 9 % in Argentina, Uruguay e Paraguay. Il Mercosur comincia d'altro canto a disporre di una base economica maggiormente diversificata, con una forte componente agroalimentare ma anche con una crescente base industriale e apprezzabili risorse energetiche e tecnologiche.
3.3 L'Unione europea è il principale partner commerciale del Mercosur, seguita dagli Stati Uniti. Nel 2010, il valore delle importazioni dell'UE dal Mercosur era di circa 44 miliardi di euro e quello delle esportazioni superiore ai 40 miliardi. È opportuno sottolineare che le esportazioni dell'UE verso il Mercosur già equivalgono a quelle verso l'India e superano quelle verso il Canada o la Corea del Sud. Gli investimenti dell'UE nel Mercosur superano quelli effettuati in Cina, India e Russia messe insieme.
3.4 Le economie di entrambe le parti sono in grande misura complementari, cosa che si riflette perfettamente nel profilo dei loro scambi commerciali. L'UE infatti esporta essenzialmente prodotti manufatti, beni strumentali, materiale di trasporto e prodotti chimici e importa prodotti alimentari ed energetici. Ciononostante, gli scambi registrano una rapida evoluzione sia nell'UE che nel Mercosur. Ad esempio le esportazioni europee di prodotti agricoli trasformati sono sensibilmente aumentate e, nel periodo 2007-2008, le imprese brasiliane hanno investito in Europa più di quanto abbiano investito le imprese europee in Brasile. La stipula di un Accordo di associazione presenterebbe quindi un enorme potenziale di creazione di ricchezza.
3.5 Un Accordo di associazione con il Mercosur consentirebbe all'Unione europea di rendere più stretti i legami economici e geopolitici con un partner strategico. Attraverso un accordo bi-regionale, l'UE avrebbe una lunghezza di vantaggio rispetto ad altri concorrenti internazionali come gli Stati Uniti e la Cina. L'Accordo di associazione inoltre rafforzerebbe il partenariato strategico con il Brasile - nel quale non rientrano gli scambi commerciali - e cioè con un paese particolarmente importante per la configurazione geopolitica delle relazioni internazionali in quanto forma parte dei due strumenti principali di coordinamento degli interessi delle economie emergenti - BRIC e IBSA (2). Tutto questo si tradurrebbe in una maggiore integrazione in primo luogo sudamericana e in secondo luogo latinoamericana, in un continente che possiede enormi riserve di fonti energetiche, prodotti alimentari e acqua, tre risorse che saranno fondamentali nel ventunesimo secolo. Nel suo complesso, l'Accordo di associazione potrebbe contribuire a ridurre la svalutazione economica e geopolitica dell'Atlantico rispetto al Pacifico.
4. Ostacoli e punti deboli
4.1 Gli innegabili vantaggi di un Accordo di associazione tra l'UE e il Mercosur non fanno tuttavia dimenticare le difficoltà che comporta la conclusione di un accordo di questo genere, difficoltà che possono riassumersi in quattro categorie: 1) la complessità dell'agenda negoziale, vale a dire i contenuti commerciali dell'accordo; 2) i problemi strutturali che incidono negativamente sull'integrazione del Mercosur e che condizionano il libero scambio; 3) la dimensione sociale ed ambientale dell'Accordo di associazione; 4) il grado di volontà politica delle parti di giungere ad un accordo e, di conseguenza, la disponibilità a servirsi di tutti i possibili meccanismi compensativi, dentro e fuori dell'accordo, per poter raggiungere l'intesa. Le ultime due questioni vengono sviluppate, rispettivamente, nei punti 5 e 7 del presente parere.
4.1.1 In ambito commerciale, le difficoltà sono individuate in modo abbastanza preciso. Nell'ottica europea riguardano, come segnalano le recenti valutazioni d'impatto della Commissione (3), il settore agroalimentare dei paesi del Mercosur. Si temono in particolare forti impatti negativi in settori quali quello dello zucchero, della carne bovina, del pollame, della carne suina, dei prodotti ortofrutticoli. Si pensa inoltre che vi sia un eccessivo protezionismo nel settore dei prodotti industriali (automobili, prodotti chimici) e anche di alcuni prodotti agricoli trasformati (tra cui il vino); c'è poi il rischio di una mancata osservanza delle norme di protezione delle denominazioni di origine; le regole di sicurezza alimentare e di tutela dell'ambiente presentano requisiti poco elevati; non è infine garantita la piena trasparenza negli appalti pubblici. Dopo gli ultimi cicli negoziali, le parti hanno assunto una posizione più propizia alla conclusione dell'accordo su temi quali commercio e sviluppo sostenibile e sulle questioni concernenti le norme di origine.
4.1.2 Anche per il Mercosur l'ostacolo principale è rappresentato dall'agricoltura. Nel 2004 l'UE si era offerta di liberalizzare, al termine del periodo transitorio, l'86,25 % delle importazioni totali di prodotti agricoli. Probabilmente gli attuali negoziati saranno l'occasione per portare questo limite ad un livello superiore. La possibilità di fissare quote aumenta le possibilità di riapertura dei negoziati. I rischi segnalati dagli agricoltori e dagli allevatori europei potrebbero dal canto loro diminuire se i negoziati per l'Accordo di associazione includessero il rispetto in misura ragionevole degli stessi standard ambientali, di sicurezza alimentare e di benessere animale nella produzione europea come nei prodotti importati dal Mercosur. L'Accordo tuttavia non dovrebbe far aumentare la dipendenza alimentare dell'UE e dovrebbe contenere gli elementi necessari per evitare il consolidamento di un modello agricolo intensivo e poco sostenibile. Per quanto concerne i prodotti industriali, dove le barriere sono inferiori, un'intesa sembra più possibile, esattamente come è avvenuto con l'Accordo tra l'UE e la Corea del Sud relativo al settore automobilistico. Altri temi quali la proprietà intellettuale, particolarmente sensibili per alcuni paesi del Mercosur, ad esempio il Brasile, potrebbero infine essere oggetto di clausole evolutive o transitorie, secondo quanto stabilito nell'ambito dell'OMC. A questo proposito, il CESE ritiene che si potrebbe elaborare, tra altre iniziative, un programma sulla proprietà industriale che promuova il trasferimento di tecnologie e aiuti a instaurare un sistema di brevetti valido tra l'UE e il Mercosur, sistema che potrebbe essere esteso a tutta l'America Latina.
4.1.3 Nonostante le difficoltà, il CESE ritiene che adesso le condizioni siano più propizie per il raggiungimento di un accordo nel complesso equilibrato, che arrechi vantaggi ad entrambe le parti e che non vada a scapito di nessun settore, regione o paese (4).
4.2 I problemi strutturali del Mercosur hanno sempre rappresentato un grosso ostacolo per la conclusione dell'Accordo di associazione. Tra tali problemi figurano l'inadeguatezza delle reti e delle strutture comuni su un territorio tre volte più grande dell'UE, il basso livello di commercio intraregionale (15 % nel Mercosur contro il 45 % nel NAFTA e il 66 % nell'UE) e il predominio del commercio extraregionale, un'unione doganale incompleta, un limitato coordinamento delle politiche macroeconomiche, la debolezza delle istituzioni regionali.
4.2.1 Nel corso di questi ultimi anni, e soprattutto a partire dal 2003, sotto la spinta della possibilità di raggiungere un accordo - che a quel momento appariva imminente - tra l'UE e il Mercosur, il processo d'integrazione regionale del Mercosur ha registrato un forte rilancio grazie ad iniziative quali la definizione di politiche comuni in settori come quello energetico, lo sfruttamento di gas e petrolio, la creazione di infrastrutture di comunicazione, la firma di un accordo per una politica comune nel settore automobilistico tra Argentina e Brasile o la creazione del FOCEM (Fondo per la convergenza strutturale del Mercosur). È stato inoltre approvato un piano strategico per il superamento delle asimmetrie nel mercato interno e sono state adottate misure per un trattamento preferenziale e differenziato a favore di Paraguay e Uruguay.
4.2.2 Nel 2000, i governi dei paesi del Mercosur hanno creato il Gruppo di monitoraggio macroeconomico incaricato di sorvegliare una serie di parametri di convergenza macroeconomica e di elaborare metodologie comuni per la loro utilizzazione.
4.2.3 Tutto questo ha contribuito a espandere il commercio intraregionale, a migliorare la qualità dei prodotti commercializzati e a captare nuovi flussi d'investimenti diretti esteri.
4.2.4 Negli ultimi anni, inoltre, il Mercosur ha progressivamente acquisito una maggiore dimensione politica, ha creato corti arbitrali, tribunali di appello e si è trasformato da un segretariato amministrativo ad un segretariato tecnico, ha firmato un protocollo per i diritti umani, ha creato un proprio Parlamento (Parlasur) e ha nominato il suo primo Alto rappresentante generale. Tuttavia il processo d'integrazione economica al suo interno resta debole, i conflitti di carattere commerciale sono ancora numerosi e il Mercosur ha appena cominciato il suo processo di istituzionalizzazione.
4.2.5 È necessario fare particolare riferimento al fatto che nell'agosto 2010 il Mercosur ha finalmente approvato un nuovo Codice doganale comune composto da quasi 200 articoli, il che comporta l'eliminazione del doppio dazio esterno (AEC) comune pagato sui prodotti che circolano da un paese all'altro. Questo impone l'adozione di una politica commerciale comune e l'armonizzazione di elementi quali i regimi speciali di importazione o gli strumenti di difesa commerciale. Questo inoltre renderà indispensabile l'interconnessione dei sistemi informatici di gestione doganale e la creazione di un meccanismo di riscossione e distribuzione degli introiti dell'AEC. Questi progressi nell'ambito dell'unione doganale sono un fattore molto importante per facilitare i negoziati tra l'UE e il Mercosur.
4.2.6 La conclusione di un Accordo di associazione può accelerare l'intero processo di integrazione economica del Mercosur, di regolamentazione del suo mercato interno e di potenziamento della sua capacità istituzionale.
5. L'impatto dell'Accordo di associazione e le misure compensative
5.1 Uno studio esterno eseguito su incarico della Commissione europea ha permesso di valutare l'impatto della liberalizzazione degli scambi tra UE e Mercosur sia sull'Accordo di associazione nel suo complesso sia su tre settori specifici: agricoltura, settore automobilistico, settore forestale. Lo studio analizza i possibili effetti, sia positivi che negativi, dell'Accordo di associazione e presenta proposte di misure e raccomandazioni volte a potenziare gli effetti positivi e a prevenire o a ridurre quelli negativi, sia nell'ambito generale dell'Accordo sia sui settori analizzati.
5.2 Il CESE raccomanda che le parti negoziali tengano conto di tali misure di accompagnamento per quanto concerne sia i contenuti commerciali dell'Accordo, sia l'aspetto della cooperazione, sia infine i programmi comuni tra l'UE e il Mercosur. Ritiene inoltre che dette misure possano figurare tra gli elementi che compongono l'insieme delle richieste del FCES del Mercosur e del CESE nel processo di negoziazione dell'Accordo di associazione.
5.3 Il CESE ritiene che per giungere più facilmente ad un Accordo di associazione, quest'ultimo potrebbe contenere clausole evolutive tali da rendere possibili un approfondimento e un ampliamento di talune materie dell'accordo bi-regionale in fasi successive.
5.4 Per il CESE, la valutazione d'impatto dovrebbe dare maggiore importanza, da un lato, alla partecipazione di esperti e di organizzazioni del paese partner dell'Accordo e, dall'altro, all'individuazione di rischi sociali e ambientali, rischi che attualmente vengono considerati un semplice complemento della valutazione economica, rischi tra cui è compresa la questione della concentrazione della ricchezza e della sua distribuzione iniqua che possono essere causate dall'Accordo (5).
6. L'aspetto dello sviluppo sostenibile nell'Accordo di associazione
6.1 Secondo il CESE, il futuro Accordo di associazione tra l'UE e il Mercosur deve comprendere, in modo trasversale rispetto all'intero accordo, una dimensione sociale, lavorativa e ambientale come parte integrante di un accordo destinato ad aiutare lo sviluppo sostenibile di entrambe le parti, una dimensione che completi quella economica e commerciale dell'Accordo.
6.1.1 Il CESE segue in tal modo le posizioni ufficiali degli organi che governano tanto l'UE quanto il Mercosur (6), per le quali la liberalizzazione degli scambi commerciali deve essere accompagnata da accordi e da azioni in campo sociale ed ambientale.
6.1.2 Conformemente a tali posizioni, il CESE ritiene che l'Accordo di associazione dovrebbe stabilire i requisiti sociali e ambientali, che dovranno essere rispettati al fine di garantire relazioni economiche e commerciali favorevoli alla coesione economica e sociale e coerenti con una strategia di sviluppo sostenibile e in grado di rafforzare la competitività del tessuto produttivo locale (PMI, economia sociale e microimpresa) tenendo conto della sua capacità di creare posti di lavoro.
6.1.3 Il CESE ritiene che la dimensione sociale e ambientale incida sull'Accordo di associazione nel suo complesso. La componente commerciale dell'Accordo, a suo avviso, dovrebbe contenere aspetti legati alla difesa dei diritti umani, del lavoro, sociali e ambientali, nonché un capitolo specifico sulle questioni relative ai rapporti tra «commercio e sviluppo sostenibile» tra le quali:
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l'esclusione dai flussi commerciali dei prodotti ottenuti illegalmente (pesce, legno), |
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l'inclusione di iniziative di commercio equo o di responsabilità sociale delle imprese nei programmi commerciali o d'investimento, |
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l'impegno di monitorare regolarmente l'impatto delle relazioni commerciali sulle questioni sociali e ambientali, |
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il divieto della deroga alle norme di protezione sociale o ambientale, al fine di evitare indebiti vantaggi nel commercio internazionale, |
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la prevenzione del fenomeno della deforestazione. |
7. Gli aspetti strategici dell'Accordo di associazione UE-Mercosur
7.1 Una chiara volontà politica è indispensabile innanzi tutto per definire e promuovere l'Accordo di associazione non solo come accordo di libero scambio ma anche come accordo strategico più completo, che arrechi ad entrambe le parti vantaggi a lungo termine in materia di sviluppo, sicurezza, flussi migratori e sfide ambientali. In secondo luogo la volontà politica è necessaria affinché vengano utilizzati tutti i meccanismi esistenti che consentono di tener conto delle asimmetrie presenti tra le due regioni, di ridurre gli effetti negativi della liberalizzazione in alcuni settori, di colmare il ritardo che ancora caratterizza il processo di integrazione del Mercosur e di fissare la partecipazione sociale e la trasparenza come elementi essenziali dei negoziati bi-regionali.
7.2 L'Accordo rappresenta una grande opportunità per avanzare verso la realizzazione di obiettivi strategici globali che interessano entrambe le regioni.
7.3 In primo luogo, l'Accordo sarebbe un mezzo per avere una presenza politica ed economica a livello internazionale in un contesto in cui il potere economico e politico si sta spostando dall'Atlantico al Pacifico. Il Mercosur non ha concluso accordi né con gli Stati Uniti né con le grandi potenze asiatiche anche se ha firmato trattati di libero scambio con il Cile e con i membri della Comunità andina. Inoltre, l'adesione del Venezuela al blocco del Mercosur è attualmente in fase di realizzazione. Al di fuori dell'area sudamericana, il Mercosur ha siglato una serie di accordi, alcuni dei quali di libero scambio, con il Sud Africa, l'India, il Pakistan, la Turchia, l'Egitto, il Marocco e Israele. Da parte sua, l'UE ha siglato accordi bilaterali con il Messico, il Cile, l'America centrale, il Perù, la Colombia, il Sud Africa, i Caraibi e la Corea del Sud. In definitiva, l'Accordo di associazione tra l'UE e il Mercosur farebbe emergere un blocco bi-regionale dotato di un grande peso specifico sulla nuova scena mondiale.
7.3.1 L'Accordo di associazione avrebbe un'estrema rilevanza anche ai fini di una maggiore integrazione dell'intera regione latinoamericana. L'Accordo rappresenterebbe un grosso fattore di attrazione per altri gruppi subregionali in America Latina e nei Caraibi, e per paesi quali il Messico o il Cile. Una «alleanza strategica» tra le due regioni, vale a dire tra i 27 Stati membri dell'UE e i 33 paesi dell'America Latina e dei Caraibi, avrebbe un peso determinante negli organismi multilaterali e farebbe aumentare inoltre la capacità d'influenza delle due regioni nel G20, del quale fanno parte tre paesi latinoamericani (Brasile, Messico e Argentina) e cinque paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna), oltre alla stessa UE.
7.3.2 Grazie all'Accordo di associazione, infine, l'UE potrebbe trovare nel Mercosur un alleato strategico per farsi promotrice mondiale di un ambiente protetto. L'ambiente è oggi uno dei temi che più preoccupano gli Stati, i cittadini e il sistema multilaterale e l'UE è all'avanguardia nelle politiche e nelle tecnologie verdi. Per l'America Latina in generale, e più concretamente per il Mercosur, le risorse nazionali costituiscono uno dei principali punti di forza ma la regione è anche una delle zone maggiormente minacciate dai cambiamenti climatici, tra l'altro a causa di alcune pratiche di agricoltura intensiva.
7.3.3 Per garantire un adeguato sostegno alla realizzazione di tale obiettivo, sarebbe necessario includere un sostanzioso capitolo relativo a «energia, ambiente, scienza, tecnologia e innovazione». Questi temi dovrebbero essere prioritari nel contesto della componente riguardante la cooperazione allo sviluppo. Nell'ambito del Sesto programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico dell'UE sono già stati realizzati numerosi progetti con i paesi membri del Mercosur. Sarebbe opportuno che tale cooperazione facesse parte integrante dell'Accordo di associazione. Gli ingenti stanziamenti destinati al Settimo programma quadro (50 miliardi di euro) potrebbero dare un notevole contributo a tal fine.
8. La società civile e l'Accordo di associazione
8.1 Il CESE ritiene che il carattere interregionale dei negoziati e del contenuto dell'Accordo di associazione sia un elemento fondamentale e singolare dei negoziati stessi. Esso costituisce inoltre un punto di riferimento per le relazioni economiche in un mondo sempre più aperto agli scambi commerciali.
8.2 Il CESE ribadisce i principi di trasparenza e partecipazione, per quanto concerne sia il processo negoziale sia l'elaborazione dell'Accordo. In questo senso, chiede di ottenere tutte le informazioni importanti durante il processo negoziale e di poter avere accesso ai negoziatori in tempo reale, onde trasmettere loro le proposte del FCES e del CESE.
8.3 Chiede inoltre di essere coinvolto nella elaborazione delle valutazioni d'impatto in modo da poter formulare raccomandazioni sulle misure destinate ad eliminare o a ridurre gli effetti negativi del processo di liberalizzazione e preme affinché si crei, dopo la firma dell'Accordo, un osservatorio tecnico incaricato di analizzarne, su base permanente, gli effetti economici, sociali e ambientali e di proporre misure concrete.
8.4 Conformemente alle posizioni comuni di CESE e FCES e agli accordi preliminari conclusi durante i negoziati svoltisi prima del 2004, il CESE chiede di costituire nell'ambito dell'Accordo un comitato consultivo misto della società civile composto da un numero uguale di consiglieri del CESE e di membri del FCES. Detto organo dovrà avere funzioni consultive obbligatorie concernenti tutte le materie che rientrano nell'Accordo, incluso il capitolo commerciale e il monitoraggio delle questioni relative allo sviluppo sostenibile.
8.5 Giudica infine indispensabile inserire nell'Accordo una dimensione sociale, in linea con un Accordo che va al di là dei suoi aspetti commerciali e che ha come obiettivo generale l'aumento della coesione sociale. Tale dimensione deve in particolare concernere l'impatto dell'Accodo sull'occupazione, la tutela degli interessi delle popolazioni locali e dei gruppi maggiormente vulnerabili, la promozione e il rispetto dei diritti umani, la protezione ambientale, i diritti degli immigrati e dei lavoratori in generale. In tal senso l'Accordo dovrà includere le dichiarazioni internazionali (ad esempio quelle dell'OIL) in cui si stabilisce che le violazioni ai principi e ai diritti fondamentali del lavoro non devono essere invocate né utilizzate come vantaggi comparati legittimi nell'ambito del commercio internazionale. È indispensabile pertanto che il futuro Accordo crei posti di lavoro di qualità, migliori le condizioni sociali dei lavoratori e contribuisca in modo significativo ad una più adeguata ripartizione delle ricchezze.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Cfr. in tale contesto la Dichiarazione di Asuncion sui negoziati per un Accordo di associazione UE-Mercosur, firmata dal FCES e dal CESE il 22 marzo 2011, http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/2011_decl_es.pdf.
(2) BRIC: Brasile, Russia, India, Cina. IBSA: India, Brasile, Sud Africa.
(3) Direzione generale Agricoltura e Centro comune di ricerca della Commissione europea, aprile 2011.
(4) Come hanno potuto constatare i capi di Stato e di governo che hanno preso parte al vertice UE-Mercosur del maggio 2010.
(5) Valutazioni d'impatto sulla sostenibilità (VIS) e politica commerciale UE, relatrice: E. PICHENOT (GU C 218 del 23.7.2011, pag. 14-18).
(6) Dichiarazione dei ministri e delle autorità responsabili dello sviluppo sociale del Mercosur, firmata a Buenos Aires nel luglio 2006. Consigli europei di febbraio 2005 e 2006.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/60 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il dialogo interculturale e i Rom: i ruoli fondamentali delle donne e dell'educazione dei minori» (supplemento di parere)
2011/C 248/10
Relatrice: SIGMUND
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità d'applicazione del suo Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:
Il dialogo interculturale e i Rom: i ruoli fondamentali delle donne e dell'educazione dei minori.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli e 2 voti contrari.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato ha fatto della frase conclusiva della comunicazione della Commissione del 5 aprile 2011 (1) («È ora di passare dalle buone intenzioni ad azioni più concrete») il principio ispiratore delle proposte formulate in questo parere. |
1.2 |
Esso sottolinea infatti che d'ora in avanti, invece di elaborare strategie per i Rom ed effettuare analisi sulle questioni che li riguardano, è necessario adottare misure concrete di attuazione insieme ai Rom e alle organizzazioni che li rappresentano. |
1.3 |
Il Comitato è pronto, nell'ambito delle sue competenze, sia a prestare il suo contributo a misure di questo tipo che ad intraprendere, come già in passato, proprie iniziative (audizioni, seminari, ecc.) in stretta cooperazione con le organizzazioni dei Rom. |
1.4 |
Esso svilupperà quindi le sue relazioni con le istituzioni, le organizzazioni e le altre entità attive in questo campo, e si adopererà per compiere ulteriori azioni congiunte (2). |
1.5 |
Il Comitato ravvisa nel dialogo interculturale uno strumento adatto ai fini dell'integrazione e della partecipazione dei Rom, sia per quanto concerne il ruolo delle donne Rom in questo processo che nel campo dell'educazione dei minori. |
1.6 |
Il Comitato si sforzerà per quanto possibile - anche nell'ambito delle reti da esso create - di partecipare a iniziative sul campo o di intraprenderne di proprie. |
2. Contesto e approccio
2.1 |
Nel suo parere esplorativo del 9 luglio 2008 (3) il CESE aveva già formulato una serie di raccomandazioni sui modi di accelerare l'integrazione della minoranza Rom in Europa, suggerendo un approccio «a doppio binario» - coordinato tra il livello dell'UE e quello degli Stati membri - nei confronti dell'educazione dei minori Rom, esortando la Commissione ad attuare una strategia globale e a finanziare campagne di sensibilizzazione, e indicando nella partecipazione attiva dei rappresentanti dei Rom a questo processo l'unica via percorribile per conseguire detto obiettivo. |
2.2 |
Da parte sua, la Commissione europea (4) aveva fatto propria tale impostazione, riconoscendo espressamente al CESE (5) il merito di aver individuato nell'«integrazione delle tematiche dei Rom in tutte le pertinenti politiche europee e nazionali (…) il metodo più promettente per ottenere l'inclusione». |
2.3 |
Alla base di questo supplemento di parere vi è il principio del dialogo interculturale, a sua volta fondato sul presupposto che entrambe le parti - in questo caso la minoranza Rom in Europa e la popolazione europea non Rom - instaurino fra loro un dialogo volontario e scevro da pregiudizi. Un dialogo siffatto impone di riflettere tanto sulle analogie quanto sulle differenze di tradizioni e stili di vita, al fine di giungere a una migliore comprensione della realtà concreta e progettare soluzioni davvero praticabili. |
2.4 |
Nel merito, il presente parere verte su quello che è il primo - e, ad avviso del CESE, il principale - pilastro dell'integrazione (6), ovvero sull'educazione dei minori, e in tale contesto tratta anche del ruolo particolare svolto dalle donne nell'integrazione dei Rom. |
2.5 |
Il Comitato appoggia la strategia della Piattaforma europea per l'inclusione dei Rom, e in particolare i dieci principi fondamentali comuni per l'inclusione dei Rom fissati dalla Piattaforma nel 2009 (7). |
3. Considerazioni generali
3.1 |
Uno degli «slogan» comunemente usati per descrivere il progetto d'integrazione europea è «Unità nella diversità». In proposito i Rom rappresentano un esempio particolarmente evidente della diversità culturale dell'Europa, un aspetto che è ulteriormente arricchito dal fatto che i Rom (8) presentano a loro volta identità culturali diverse (9). |
3.2 |
Fin dal 1999 (10) il Comitato adotta un concetto allargato di «cultura», che, accanto all'arte, alla tradizione e al patrimonio culturale, comprende fra l'altro anche l'educazione, l'istruzione, la scienza e la ricerca. In quest'ottica, l'educazione dei minori acquista un valore particolare anche per il dialogo interculturale, e in special modo per quello con i Rom. |
3.3 |
Alle obiezioni che vengono mosse al multiculturalismo (11) il Comitato risponde che, benché poggino su argomenti per certi versi validi, esse si prestano tuttavia a fraintendimenti, dato che non sono applicabili a una comunità come l'Unione europea, tenuta insieme da una «cultura dominante» comune (12). |
3.4 |
Nel quadro di questa concezione della cultura come condivisione di valori comuni, si può concludere che l'identità europea rappresenta essenzialmente un'identità culturale, che trova conferma nell'articolo 2 del TUE (la clausola dei valori dell'Unione europea). Il dialogo interculturale è quindi lo strumento adatto per recare un contributo durevole all'integrazione in generale e a quella dei Rom in particolare. E un particolare rilievo assume in tal senso, ad avviso del Comitato, il concetto di tolleranza. |
3.5 |
La tolleranza implica il diritto degli altri ad «essere diversi», e ciò in termini sia di esercizio attivo di tale diritto che di accettazione del suo esercizio da parte degli altri. Un aspetto, questo, importante tanto per i Rom quanto per i non Rom. Nel dialogo interculturale, però, la tolleranza assume inoltre un'ulteriore dimensione, anch'essa di fondamentale rilievo: qui, infatti, essa non serve soltanto a risolvere eventuali conflitti tra regole esistenti, ma anche a suscitare sensibilità nei confronti della «diversità» altrui, creando così l'empatia necessaria per la convivenza. |
3.6 |
Le iniziative della Commissione e del Parlamento europeo per il miglioramento della condizione dei Rom (13) sono ottimi strumenti per creare un quadro giuridico e politico di riferimento per azioni e programmi specifici; ma sono anche, per loro stessa natura, misure decise «dall'alto», che continueranno a non produrre i risultati voluti se non saranno accompagnate dalle corrispondenti iniziative «dal basso», che devono essere adottate dalla società civile ed eventualmente sostenute dalle istanze nazionali, regionali e locali. |
3.7 |
In quest'ottica, il Comitato accoglie con favore la recente comunicazione della Commissione, condividendo in particolare la posizione ivi espressa secondo cui è necessario «passare all'azione», e sottolinea che questa esortazione ad agire non riguarda solo le istanze nazionali, regionali e locali, ma anche e soprattutto gli attori della società civile di entrambe le parti. |
3.8 |
Ad oggi sono già state spese, a livello sia UE che internazionale, somme considerevoli per l'integrazione dei Rom, ma è ormai chiaro che i risultati ottenuti non sono affatto commisurati all'entità dell'impegno finanziario finora sostenuto. Secondo il Comitato, ciò si deve anche al fatto che, malgrado a livello UE abbiano e continuino ad aver luogo molteplici iniziative, conferenze e riunioni su questo tema, tali iniziative, pur essendo valide sul piano dei contenuti, risultano spesso insoddisfacenti quanto alla realizzazione pratica delle misure da esse proposte - anche a causa di un insufficiente coinvolgimento «sul campo» dei Rom interessati e delle loro organizzazioni. |
3.9 |
Nell'ambito delle sue competenze, il Comitato vorrebbe contribuire a colmare questo divario tra strategia e tattica, ossia tra valide proposte strategiche da un lato e insufficienti misure concrete di attuazione dall'altro. Esso si sforzerà pertanto di sfruttare in tal senso la sua funzione di «ponte» verso i cittadini europei e di contribuire, anche grazie alle sue reti e alle organizzazioni dei suoi membri negli eventi locali, a far crescere fra l'altro la disponibilità ad assumersi i compiti proposti e ad onorare gli impegni assunti. |
4. Il ruolo delle donne Rom
4.1 |
Da diverse relazioni presentate sul tema risulta che, nelle famiglie Rom, l'educazione dei figli in età prescolare è in genere affidata prevalentemente alle madri (14), mentre a quella dei figli in età scolare contribuiscono anche i padri. L'educazione delle figlie, anche in età scolare, peraltro, continua perlopiù ad essere compito delle madri. In ogni caso, dato che la fase più sensibile dell'educazione dei minori rientra per la maggior parte negli anni prescolari, è importante che tutti i minori vengano preparati per la scuola già in ambito familiare. È quindi necessario adottare misure che persuadano le madri dell'importanza dell'educazione e della formazione dei figli - in particolare delle bambine - e le incoraggino a prepararli concretamente per la scuola. |
4.2 |
Tali misure, tuttavia, hanno probabilità di successo soltanto in presenza di un'offerta di servizi (in particolare a livello locale) che tenga conto delle diverse tradizioni. Da ciò consegue l'obbligo per le autorità pubbliche di offrire programmi di formazione adatti ed impedire la segregazione. |
4.3 |
Inoltre, sarà necessario lanciare programmi che promuovano l'acquisizione di competenze e conoscenze (capacity building), così da mettere le donne Rom in condizione di svolgere effettivamente questa importante funzione. |
4.4 |
Nelle famiglie Rom tradizionali più generazioni convivono sotto lo stesso tetto; in un contesto siffatto, anche i nonni contribuiscono all'educazione dei minori, in molti casi anche in misura superiore agli stessi genitori; appare quindi importante coinvolgere anche i nonni, i quali fungono di fatto da modello per le generazioni successive. |
4.5 |
Se si riesce a mettere a frutto la forza delle donne Rom nel preparare al meglio il futuro dei loro figli, si otterrà anche un ulteriore risultato: misure e iniziative concrete in tal senso, infatti, contribuiscono anche a superare gli stereotipi circa le donne di tali etnie. Troppo spesso le donne Rom sono trattate come oggetti, siano esse vittime di discriminazione, violenza domestica o altre forme di abuso o mancanza di rispetto. È evidente che queste sono situazioni gravi, che non devono essere taciute o ignorate, ed è altrettanto evidente che si devono adottare misure adatte per lottare contro questi fenomeni. Tuttavia, il Comitato reputa importante richiamare l'attenzione anche sul ruolo attivo svolto dalle donne Rom nell'ambito della loro comunità e sull'importanza del contributo che esse possono dare come soggetti attivi anche al di fuori di essa - in quanto interlocutrici nel dialogo interculturale. |
4.6 |
Il Comitato sosterrà le iniziative volte a far prendere alle donne Rom piena coscienza del loro ruolo e del loro potenziale, e farà quanto gli è possibile per assicurarsi che esse abbiano accesso a informazioni e strumenti che le aiutino ad acquisire consapevolezza della funzione che esse possono svolgere nell'integrazione delle loro famiglie. |
4.7 |
Il Comitato si sforzerà quindi di sfruttare ogni possibilità per dare il suo contributo, attraverso la partecipazione ad eventi locali, non solo a diffondere informazioni concrete, ma anche a suscitare la giusta motivazione a partecipare. |
5. L'educazione dei minori
5.1 |
L'obiettivo consiste nel garantire l'inclusione sociale dei gruppi svantaggiati della comunità Rom senza che ciò comporti la perdita dell'identità culturale Rom. Un buon livello di istruzione è di capitale importanza, e per due ragioni: la prima è che essa può e deve trasmettere ai cittadini valori comuni fondamentali - uno dei quali è l'apertura nei confronti delle altre culture - che consentano ai diversi gruppi etnici di convivere bene gli uni accanto agli altri, e la seconda è che l'istruzione in quanto tale può essere un importante strumento di integrazione, dato che implica idealmente un'interazione tra diverse culture. Se è vero che nella vita non è mai troppo tardi per acquisire nuove conoscenze e abilità, è però importante iniziare a ricevere un'istruzione adeguata il più precocemente possibile. Far sì che il minore sviluppi una solida percezione di sé e una consapevolezza del proprio ruolo in un gruppo più ampio, e in ultima analisi nella società nel suo insieme, significa consegnargli le chiavi per riuscire bene nelle successive fasi della vita. |
5.2 |
Provvedimenti e politiche dovrebbero puntare a garantire ai Rom e a tutte le altre minoranze parità di accesso a un'istruzione di alto livello qualitativo, dato che l'obiettivo ultimo è fornir loro le competenze necessarie per il mercato del lavoro, comprese le competenze sociali. Le persone devono essere messe in condizione di configurare liberamente la loro vita e di comportarsi da cittadini responsabili, consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri e pienamente in grado di esercitarli e adempierli. |
5.3 |
L'insufficiente partecipazione al mercato del lavoro, tuttavia, non costituisce soltanto un problema sociale, ma ha anche conseguenze rilevanti sul piano finanziario. Di conseguenza, le spese per l'istruzione dei minori sono sì, in linea di principio, un fattore di costo, ma, data la loro natura, non vanno considerate un mero esborso, bensì soprattutto un investimento - utile - nel futuro. |
5.4 |
Il Consiglio d'Europa dispone, nel quadro del suo programma di educazione ed istruzione per i minori Rom, anche di un programma di formazione per mediatori e assistenti scolastici, al quale partecipa anche la Commissione europea. Il Comitato è pronto a fungere da intermediario, nell'ambito di una futura cooperazione istituzionale in questo campo. Esso potrebbe, per esempio, contribuire a diffondere la conoscenza di tale programma e dei suoi risultati attraverso i canali di comunicazione di cui già dispone, oppure presentare esempi di buone pratiche di attuazione di tale programma nei paesi non ancora coperti dal progetto del Consiglio d'Europa. |
5.5 |
Sempre a proposito di educazione dei minori, merita ricordare che tra i Rom la quota di abbandoni scolastici è notoriamente assai più alta che tra gli allievi non Rom (15), e sarà quindi necessario riflettere, insieme con le autorità competenti, sulle misure da adottare per migliorare questa situazione. |
6. Istruzione: alcuni esempi a livello nazionale
6.1 |
La maggior parte degli Stati membri ha adottato leggi severe per combattere la discriminazione e garantire l'eguaglianza, al fine di ottemperare agli standard europei. Purtroppo, però, a livello locale la discriminazione è ancora perpetrata e subita, e nelle normative nazionali mancano spesso meccanismi che consentano a chi si senta vittima di una discriminazione di proporre ricorso contro provvedimenti discriminatori e ottenerne l'annullamento. Inoltre, sarebbe opportuno considerare che un monitoraggio insufficiente fa sì che uno Stato possa cavarsela con qualche modifica «di facciata», con il risultato di peggiorare ulteriormente le prassi di segregazione. |
6.2 |
Ciò non significa, tuttavia, che nessuno Stato membro dell'UE sia impegnato a migliorare l'accessibilità di certi diritti fondamentali, compreso il diritto all'istruzione, per i suoi cittadini di etnia Rom, oppure che nessun ordinamento giuridico nazionale sia in grado di garantire i diritti di queste persone. Alcuni giudici locali e nazionali hanno infatti statuito che le prassi segregazioniste perpetrate nei confronti dei minori Rom violano le leggi nazionali contro la discriminazione. Già nel 2004 - prima ancora dell'adesione della Bulgaria all'UE - un giudice di Sofia statuiva, contro il ministero bulgaro dell'Istruzione, l'amministrazione comunale della capitale e i rappresentanti delle autorità scolastiche, che la segregazione violava il diritto dei minori Rom a ricevere una pari istruzione (16). Tuttavia, sentenze come queste sono solo la risposta a specifici abusi e non obbligano necessariamente gli enti regionali e locali a modificare le loro pratiche discriminatorie, che nel sistema dell'istruzione di molti Stati europei sembrano essere la norma. |
6.3 |
L'Ungheria ha dato prova di un notevole impegno politico e mobilitato considerevoli risorse a sostegno di misure, incentrate proprio sull'istruzione, volte a migliorare il contesto economico e sociale e la partecipazione attiva dei suoi cittadini di etnia Rom (17). Le iniziative di integrazione ungheresi si distinguono in particolare per il fatto di essere state attuate nel quadro della politica generale in materia di istruzione, mentre invece in altri paesi come la Romania e la Bulgaria l'approccio nei confronti dell'integrazione è stato piuttosto legato alle singole situazioni e non generalizzato (18). L'approccio ungherese, tuttavia, presenta anche degli svantaggi, in quanto fa sorgere conflitti tra le politiche in materia di istruzione e quelle sanitarie, sociali e abitative, con conseguenze sull'istruzione; la possibilità che insorgano tali conflitti dovrebbe quindi essere considerata con attenzione e tenuta presente da tutti gli Stati. |
6.4 |
Un particolare rilievo assume al riguardo il modello tedesco dell'istruzione e dell'apprendimento interculturali (apprendimento comune da parte di persone di diversa origine etnica (19). |
7. Sintesi
7.1 |
Nel panorama degli sforzi profusi per una migliore integrazione dei Rom, duole constatare che l'approccio dell'UE nei confronti dell'integrazione riguardi esclusivamente i cittadini di paesi terzi e non si applichi invece ai Rom, i quali generalmente sono cittadini dell'Unione. |
7.2 |
È quindi tanto più importante tenere sempre presente il fatto che i Rom godono - in teoria - dei diritti fondamentali e di tutti gli altri diritti derivanti dalla cittadinanza dell'Unione. Naturalmente, i Rom devono anche adempiere gli obblighi imposti da tale cittadinanza, obblighi la cui violazione comporta conseguenze giuridiche; ma questo stesso meccanismo sanzionatorio dovrebbe trovare applicazione anche quando ai Rom vengono negati i diritti di cui si è detto sopra. |
7.3 |
Il Comitato sottolinea ancora una volta l'importanza di instaurare un dialogo interculturale con i Rom. Per la sua stessa natura il dialogo è sempre un processo interattivo, basato sulla parità degli interlocutori e che consente la partecipazione. Nell'ambito di un dialogo interculturale si possono superare pregiudizi e si può costruire la fiducia. E proprio il superamento dei pregiudizi e degli stereotipi da ambo le parti è, ad avviso del Comitato, un presupposto assolutamente essenziale per compiere passi concreti verso una convivenza migliore e un'autentica uguaglianza di opportunità. Il Trattato di Lisbona ha aperto al Comitato nuove possibilità di creare strutture per il dialogo civile. Consapevole di questa sua responsabilità, il Comitato si attiverà con decisione anche per portare il dialogo interculturale coi Rom sulla buona strada. |
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Comunicazione della Commissione Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020 - COM(2011) 173 definitivo.
(2) Cfr. l'Allegato «Iniziative, programmi, studi» (http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/SOC337_additional-info.pdf).
(3) Parere esplorativo del CESE sul tema Integrazione delle minoranze - I Rom (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 88, punto 5.3).
(4) Comunicazione della Commissione L'integrazione sociale ed economica dei Rom in Europa (COM(2010) 133 definitivo).
(5) Parere esplorativo del CESE sul tema Integrazione delle minoranze - I Rom, cit., (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 88, punto 5.3).
(6) Il contesto è quello dei quattro obiettivi principali dell'integrazione enunciati dalla Commissione: accesso all'istruzione, diritto all'occupazione, accesso alle prestazioni sanitarie, diritto all'alloggio e ai connessi servizi abitativi di base.
1. |
Politiche costruttive, pragmatiche e non discriminatorie; |
2. |
Approccio mirato esplicito ma non esclusivo; |
3. |
Approccio interculturale; |
4. |
Mirare all’integrazione generale; |
5. |
Consapevolezza della dimensione di genere; |
6. |
Divulgazione di politiche basate su dati comprovati; |
7. |
Uso di strumenti comunitari; |
8. |
Coinvolgimento degli enti regionali e locali; |
9. |
Coinvolgimento della società civile; |
10. |
Partecipazione attiva dei Rom. |
(8) Nell'accezione generale del termine, comunemente usata per designare, oltre ai Rom in senso stretto, anche i sinti, i fahrende, i kalé ecc.
(9) Al riguardo si veda anche il parere del Comitato delle regioni CdR 178/2010 fin.
(10) Parere del CES sul tema Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea (GU C 329 del 17.11.1999, pag. 30, punto 5.2.1).
(11) Secondo cui il modello di «società multiculturale» non poggia su alcun valore vincolante generalmente condiviso e rappresenta essenzialmente un agglomerato di comunità che vivono l'una accanto all'altra.
(12) Cfr. Tibi, Europa ohne Identität? Die Krise der multikulturellen Gesellschaft («Europa senza identità? La crisi della società multiculturale)», Goldmann, pag. 181.
(13) Cfr. l'Allegato «Iniziative, programmi, studi» (http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/SOC337_additional-info.pdf), la comunicazione della Commissione Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020 (COM(2011) 173 definitivo) e la relazione della parlamentare europea Járóka sulla strategia dell'UE per l'inclusione dei Rom (2010/2276 (INI)) (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A7-2011-0043+0+DOC+XML+V0//IT).
(14) Convegno intitolato Sono una donna Rom europea, svoltosi l'11 e 12 gennaio 2010 ad Atene.
(15) Fondo per l'istruzione dei Rom, Country assessments (analisi della situazione nei singoli paesi) (http://www.romaeducationfund.hu/publications/country-assessments); Open Society Institute, No Data-No Progress, Country findings (Senza dati non si possono valutare i progressi: dati su scala nazionale), agosto 2010 (http://www.romadecade.org/files/downloads/General%20Resources/No%20Data%20No%20Progress%20Country%20Findings.pdf) (documenti in lingua inglese).
(16) Cfr. http://www.errc.org/cikk.php?cikk=2411&archiv=1.
(17) Per un'idea generale, si veda il testo di Kezdi e Suranyi (documento di lavoro del Fondo per l'istruzione dei Rom), A Successful School Integration Program («Un programma riuscito di integrazione scolastica»), Roma Education Fund Working Paper n. 2, 2009, disponibile online all'indirizzo http://www.romaeducationfund.hu/sites/default/files/publications/a_succesful_school_integration_kezdi_suranyi.pdf.
(18) Per un'idea generale, si veda la relazione dell'European Roma Rights Centre (Centro europeo per i diritti dei Rom) intitolata The Impact of Legislation and Policies on School Segregation of Romani Children: A Study of Anti-Discrimination Law and Government Measures to Eliminate Segregation in Education in Bulgaria, Czech Republic, Hungary, Romania and Slovakia («L'impatto della legislazione e delle politiche sulla segregazione scolastica dei bambini Rom: uno studio sui provvedimenti legislativi e amministrativi per eliminare la segregazione nella scuola in Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Romania e Slovacchia»), febbraio 2007, disponibile online all'indirizzo http://www.errc.org/en-research-and-advocacy-reports-intro-details.php?article_id=2743.
(19) Cfr. Kiper, Interkulturelle Pädagogik («Pedagogia interculturale»), 1992, pag. 161, e Hamburger, Die Vielfalt der Kulturen als Herausforderung für den Bildungsauftrag der Schule («La molteplicità culturale: una sfida per la funzione educativa della scuola»), Francoforte s/M 1989.
III Atti preparatori
COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO
472a sessione plenaria del 15 e 16 giugno 2011
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/64 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La tassazione del settore finanziario
COM(2010) 549 definitivo
2011/C 248/11
Relatore: Stasys KROPAS
La Commissione europea, in data 7 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – La tassazione del settore finanziario
COM(2010) 549 definitivo.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 102 voti favorevoli, 16 voti contrari e 28 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore le iniziative globali della Commissione tese a contribuire al ripristino della crescita, della resilienza e della stabilità finanziaria. La stabilità e l'efficacia del settore finanziario - e quindi la limitazione dell'assunzione di rischi eccessivi -, nonché la creazione dei giusti incentivi per gli istituti del settore finanziario dovrebbero essere garantite da una regolamentazione e una vigilanza appropriate. A questo riguardo, il CESE ha recentemente espresso il suo sostegno a favore dello sviluppo di un sistema per un Fondo di risoluzione per il settore bancario come elemento del quadro per la gestione delle crisi.
1.2 All'indomani della crisi, i governi hanno dovuto intraprendere degli sforzi di risanamento di bilancio in modo da poter affrontare i costi della crisi e le più vaste conseguenze sociali ed economiche. Il CESE è dell'avviso che il settore finanziario debba contribuire a questi sforzi in misura equa e sostanziale.
1.3 Come evidenziato nella comunicazione della Commissione, un numero crescente di Stati membri ha già preso misure unilaterali per quanto concerne la tassazione del settore finanziario. Essi hanno adottato sistemi di tassazione differenti, con basi imponibili, aliquote effettive e campi di applicazione differenti. Il CESE ritiene che la base imponibile per questi meccanismi fiscali debba essere armonizzata e che le misure contro la doppia imposizione debbano essere coordinate. Se la Commissione adottasse iniziative in questo senso, essa dovrebbe tenere conto degli impatti divergenti che tali iniziative potrebbero avere su ogni singolo Stato membro, dell'importanza e della solidità dei mercati finanziari nazionali, del quadro fiscale nazionale esistente e dell'eventuale nuova tassa che lo Stato membro in questione potrebbe aver imposto all'indomani della crisi.
1.4 Nuovi prelievi, nuovi requisiti e nuove regolamentazioni potrebbero avere un'ampia gamma di effetti sul sistema finanziario e sull'intera economia. Pertanto, il loro impatto sulla base patrimoniale e sulla capacità delle banche e degli istituti finanziari di svolgere il loro ruolo nel finanziamento dell'economia, e delle PMI in particolare, andrebbe attentamente valutato. La contribuzione fiscale totale del settore finanziario dell'UE dovrebbe essere messa a confronto con quella di altri settori e devono essere presi in considerazione gli effetti di tasse aggiuntive sulla posizione concorrenziale globale degli istituti finanziari dell'UE.
1.5 Poiché le tensioni sulla liquidità e la solvibilità sono state degli elementi cardinali nella fase che ha preceduto la crisi, il CESE raccomanda che qualsiasi nuova tassa sugli istituti finanziari venga concepita in un modo da tener conto della capacità degli istituti di pagare e di rispettare i nuovi requisiti patrimoniali.
1.6 Nel suo studio d'impatto la Commissione dovrebbe prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Ciò significa che l'onere amministrativo che viene fatto gravare sugli operatori di mercato e sugli istituti finanziari per effetto dei requisiti di conformità dovrebbe rimanere proporzionale all'obiettivo di fondo di questa nuova tassa. Se l'intenzione della Commissione era quella di introdurre una nuova tassa sul modello della tassa sulle transazioni finanziarie (TTF), essa dovrebbe allora perseguire la coerenza con la politica che ha sviluppato negli ultimi anni tesa a semplificare le procedure fiscali che sono considerate degli ostacoli alla post negoziazione. Se la Commissione prevedesse di introdurre una tassa sulle attività finanziarie (TAF), la base imponibile dovrebbe essere concepita in modo da essere compatibile con le informazioni che sono già prontamente disponibili per gli istituti finanziari nei regimi di informativa finanziaria esistenti.
1.7 Pur ribadendo le conclusioni e le raccomandazioni - presentate nel proprio parere del 15 luglio 2010 - a favore dell'introduzione di una tassa sulle operazioni finanziarie (TTF - tassa sulle transazioni finanziarie) (1), il CESE desidera sottolineare che - tenuto conto del rischio di incoraggiare la delocalizzazione delle attività finanziarie in centri finanziari extra UE - l'introduzione di una TTF a livello mondiale andrebbe preferita rispetto a una TTF a livello dell'UE. Tuttavia, qualora l'adozione di una TTF a livello mondiale non risultasse fattibile, il CESE prenderebbe in considerazione l'adozione di una TTF a livello dell'UE che tenesse conto dei risultati della valutazione d'impatto della Commissione europea.
1.8 Una tassa sulle attività finanziarie (TAF) può avere difetti simili alla TTF, incluso un effetto di trasferimento delle attività. Ricerche relative a questa preoccupazione dovrebbero far parte di uno studio d'impatto preliminare della Commissione.
1.9 L'introduzione di una nuova tassa basata sui flussi di cassa e concepita fuori dal campo di applicazione dell'IVA, con il mantenimento senza modifiche dell'insoddisfacente regime di esenzione IVA, potrebbe creare un sistema fiscale molto complesso per gli istituti finanziari. Pertanto, fatti salvi i risultati dello studio d'impatto che la Commissione deve realizzare, il CESE ritiene che, se una nuova tassa sul settore finanziario fosse basata sui flussi di cassa o su fattori simili, la Commissione dovrebbe valutare i vantaggi di concepire tale tassa nel quadro dell'IVA, in modo da garantire un approccio amministrativamente più facile per il settore ed alleviare il peso dell'IVA non recuperabile. Occorre inoltre prestare attenzione alle conseguenze indesiderate che l'introduzione di una tassa sul settore finanziario potrebbe avere, più precisamente lo sviluppo di sistemi alternativi che non sono soggetti a regolamentazione, vigilanza o controllo e che possono a loro volta causare gravi problemi.
1.10 Le implicazioni sul piano concorrenziale di nuove tasse sul settore bancario, per quanto concerne sia la sua competitività che quella del settore non bancario, e la capacità del sistema bancario di continuare a soddisfare le necessità finanziarie dell'economia reale non dovrebbero essere ignorate. Ciò è particolarmente importante nel momento in cui l'economia cerca di emergere dalla recessione.
2. Contesto
2.1 Sulla scia della crisi, i governi nazionali in tutto il mondo stanno affrontano un duplice grave problema: essi devono, in primo luogo, riformare urgentemente il sistema finanziario e bancario e, in secondo luogo, devono trovare nuove fonti di entrate.
2.2 Si stanno considerando molteplici obiettivi fiscali, tra cui la riduzione delle esternalità negative, il risanamento delle finanze pubbliche, il contributo del settore finanziario al rimborso dei costi, il rispetto degli impegni presi nei confronti dei paesi in via di sviluppo e per la lotta ai cambiamenti climatici e, nell'ipotesi che il settore finanziario sia soggetto a una tassazione troppo debole, far contribuire in misura equa e sostanziale il settore finanziario ai bilanci pubblici. Finora, lo scopo delle tasse sul settore finanziario rimane abbastanza ampio e la natura e i meccanismi di queste tasse sono ancora all'esame.
2.3 Il 7 ottobre 2010 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sulla futura tassazione del settore finanziario (2), accompagnata da un documento di lavoro dei servizi della Commissione (3), in cui erano prospettati due strumenti:
— |
una tassa sulle attività finanziarie (TAF) dovrebbe essere introdotta a livello dell'UE allo scopo di generare entrate per i bilanci degli Stati membri e, al tempo stesso, di contribuire a garantire una maggiore stabilità dei mercati finanziari. La Commissione ritiene che, se accuratamente concepita e attuata, una tassa di questo genere sulle attività finanziarie non dovrebbe costituire un rischio indebito per la competitività dell'UE. |
— |
A livello mondiale, la Commissione appoggia l'idea di una TTF che, a suo avviso, potrebbe contribuire a reperire i fondi per affrontare sfide internazionali quali lo sviluppo o i cambiamenti climatici. |
2.4 In considerazione della natura mondiale e sistemica della crisi finanziaria, la Commissione segnala anche che la tassa sulle banche potrebbe avere un effetto dissuasivo contro l'assunzione di rischi eccessivi. A suo avviso, la tassa costituirebbe un adeguato complemento delle riforme nel campo della regolamentazione e della vigilanza potenziando l'efficienza, la resilienza e la stabilità dei mercati finanziari e riducendo la loro volatilità.
2.5 Come elemento del quadro per la gestione delle crisi, la Commissione ha anche proposto delle iniziative, quali l'istituzione di un Fondo di risoluzione per il settore bancario (BRF) (4), proposta che è già stata oggetto di un parere del CESE (5).
3. Un contributo equo e sostanziale del settore finanziario alle finanze pubbliche
3.1 A causa del ruolo che gli attori del settore finanziario hanno avuto nella fase che ha preceduto la crisi, durante la quale i governi hanno dovuto salvare degli istituti finanziari, è diffusa l'idea che i relativi costi non debbano essere sostenuti dai cittadini o da altri settori. Questa idea si traduce nell'obiettivo di «far contribuire in misura equa e sostanziale il settore finanziario ai bilanci pubblici». In tale contesto, la Commissione prevede di includere nello suo studio economico un'approfondita valutazione d'impatto in cui saranno analizzate differenti opzioni in merito alla tassazione al fine di addivenire a una proposta equilibrata.
Il CESE raccomanda che la Commissione conduca un'indagine sulla contribuzione fiscale totale del settore dei servizi finanziari nell'UE attraverso una misurazione di tutte le differenti imposte che le società di servizi finanziari già pagano. Questo studio potrebbe cogliere il quadro complessivo dei pagamenti dell'imposta sulle società, dell'IVA non recuperabile e delle imposte sul lavoro sostenute dalle banche quali datori di lavoro. Su base separata, le imposte relative ai dipendenti andrebbero incorporate quale misura di un più ampio contributo economico. L'idea potrebbe essere quella di verificare se esista una simmetria tra la tassazione del settore bancario e il suo valore aggiunto e se la contribuzione fiscale complessiva del settore bancario sia minore o maggiore rispetto a quella di altri settori fondamentali. Infine, potrebbe essere stimato il cumulo della nuova tassa sulle banche con l'attuale contribuzione fiscale.
3.2 Secondo il CESE, se dovesse essere introdotta una tassa sul settore finanziario, uno studio di questo genere contribuirebbe a calibrarne l'entità in termini sia di campo di applicazione che di aliquota effettiva. Tale studio dovrebbe attentamene valutare la capacità delle banche sia di ricostruire e rafforzare la loro base patrimoniale che di finanziare famiglie e imprese, in particolare le PMI, nell'UE.
3.3 Secondo il CESE, le proposte relative al modo in cui il settore finanziario potrebbe contribuire ai costi di qualsiasi possibile futura crisi non possono essere disgiunte dal dibattito che si sta realizzando su modifiche più vaste al sistema di regolamentazione e su un'ampia gamma di misure tese a ridurre sia la probabilità che l'impatto di un fallimento finanziario.
3.3.1 La tassazione del settore finanziario sarebbe configurata in modo ottimale se riuscisse a raggiungere un giusto equilibrio tra, da un lato, l'obiettivo di produrre gettito e, dall'altro, quello di ridurre la propensione al rischio.
4. Tassa sulle transazioni finanziarie (TTF)
4.1 La TTF è volta a soddisfare molteplici finalità, in particolare quella di frenare l'attività improduttiva sui mercati finanziari attraverso una riduzione della speculazione e della volatilità e, al tempo stesso, quella di far rientrare denaro nelle casse statali.
4.2 Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla tassazione delle operazioni finanziarie nel marzo 2010 e una risoluzione su un finanziamento innovativo a livello mondiale ed europeo nel marzo 2011 (6).
4.3 Applicando la TTF, le autorità cercano di ridurre il numero di operazioni finanziarie rischiose di tipo speculativo («socialmente inutili») (7). Le autorità possono anche considerare la tassa come un aiuto per impedire alle banche di diventare troppo grandi o di lanciare un numero troppo grande di operazioni troppo rischiose in futuro.
4.4 Il CESE ha espresso il proprio punto di vista sulla TTF in un parere d'iniziativa sul tema Tassa sulle operazioni finanziarie, che contiene le seguenti conclusioni e raccomandazioni:
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il primo e principale obiettivo di una TTF dovrebbe essere quello di modificare il comportamento nel settore finanziario attraverso una diminuzione delle operazioni finanziarie a breve termine a fini speculativi. In questo modo le attività nel settore finanziario possono svolgersi attraverso il meccanismo dei prezzi di mercato. L'effetto desiderato potrebbe essere raggiunto perché la TTF grava con l'intensità massima sulle operazioni più frequenti. |
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Il secondo obiettivo di una TTF è quello di reperire entrate pubbliche. Questa nuova fonte di entrate potrebbe essere utilizzata per sostenere lo sviluppo economico nei paesi in via di sviluppo, per finanziare politiche in materia di clima in questi paesi, oppure per alleggerire l'onere sulle finanze pubbliche. Quest'ultima destinazione implica inoltre che il settore finanziario rimborserà le sovvenzioni pubbliche. Nel lungo termine, il gettito della tassa dovrebbe offrire una nuova fonte generale di entrate pubbliche. |
4.5 Dato che da più parti si è espresso il timore di un effetto di trasferimento delle attività in seguito all'introduzione di una TTF soltanto in una certa area geografica, bisognerebbe innanzitutto sforzarsi di introdurre una TTF su scala mondiale, come richiesto dalla Commissione. Tuttavia, qualora l'adozione di una TTF a livello mondiale non risultasse fattibile, il CESE sarebbe favorevole all'adozione di una TTF a livello dell'UE che tenga conto dei risultati della valutazione d'impatto della Commissione europea.
4.6 Il CESE ritiene che la TTF debba essere concepita in modo che la riscossione di tale tassa da parte dei sistemi di depositari centrali sia facilmente applicabile. Bisognerebbe prendere in considerazione le questioni e i costi connessi alla riscossione e al rispetto di una TTF con un'ampia base di applicazione, nonché l'incertezza giuridica per i presunti esattori della tassa sulle operazioni «over-the-counter» (OTC) di titoli e strumenti derivati non negoziati in borsa.
4.7 Infine, il CESE evidenzia che esiste tuttora un numero rilevante di giurisdizioni che costituiscono dei centri finanziari off-shore, con caratteristiche di opacità associate al segreto bancario e a un'imposizione fiscale bassa o inesistente. Vista la facilità con cui è possibile creare in questi luoghi succursali finanziarie e operare attraverso Internet, è indispensabile che in parallelo all'adozione di una TTF siano resi obbligatori il miglioramento della trasparenza e un'effettiva cooperazione giudiziaria e fiscale.
5. Tassa sulle attività finanziarie
5.1 La caratteristica principale della TAF, a paragone della TTF, risiede nel fatto che essa è prelevata sulle società del settore finanziario, mentre la TTF è prelevata sugli operatori dei mercati finanziari. Inoltre, mentre la TTF è prelevata sull'attività di negoziazione, la quale è concentrata in pochi centri finanziari, la TAF colpisce i profitti e i compensi del settore finanziario, che sono distribuiti in modo più omogeneo.
5.2 La Commissione, sulla base del rapporto dell'FMI, ritiene che l'introduzione di un altro strumento, ossia la tassa sulle attività finanziarie (TAF), consentirebbe di migliorare la tassazione del settore finanziario e, al tempo stesso, di ridurre le esternalità negative.
5.3 Nel concepire la TAF, la Commissione potrebbe definire una base imponibile in rapporto al rendiconto finanziario.
5.4 I concetti utilizzati dovrebbero essere comprensibili nel quadro dei regimi contabili esistenti, che si tratti dei principi internazionali d'informativa finanziaria (IFRS) oppure dei principi contabili generalmente accettati a livello locale (GAAP a livello locale), in quanto gli istituti finanziari potrebbero non applicare gli IFRS.
5.5 Se concepita sulla base dei flussi di cassa, l'introduzione di una TAF potrebbe influire sulla liquidità e rendere i flussi di cassa più costosi, ma occorre considerare che le tensioni sulla liquidità sono state un elemento cardinale nella fase che ha preceduto la crisi. È pertanto auspicabile che, nel definire la base imponibile della TAF, venga prestata particolare attenzione alla capacità degli istituti di pagare e di rispettare i nuovi requisiti patrimoniali, nonché all'interazione tra la TAF e l'IVA.
6. IVA
6.1 Secondo la Commissione, l'introduzione di una nuova tassa è sostenuta, tra le altre cose, dall'esenzione dei servizi finanziari dall'IVA, in base alla direttiva 2006/112/CE del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (la direttiva IVA).
6.2 Il CESE desidera sottolineare che la ragione primaria dell'esenzione è la difficoltà concettuale e pratica di misurare il valore connesso ai servizi finanziari resi dalle banche. Ciò vale specialmente per i tradizionali servizi di intermediazione finanziaria dei depositi e dei prestiti. Il compenso per questi servizi è sotto forma di differenza tra l'interesse percepito sui prestiti e l'interesse pagato sui depositi. Questo margine è una misura globale composita dei servizi d'intermediazione resi da una banca a depositanti e mutuatari ed esso non può essere facilmente misurato per le singole operazioni finanziarie allo scopo di applicare l'IVA o qualsiasi altro tipo di tassa sul consumo basata sulle operazioni. È stato difficile sviluppare una metodologia per ripartire questo margine tra le singole operazioni ai fini IVA secondo un metodo basato sulla fatturazione. Questioni simili sorgono nella tassazione dei servizi assicurativi e di altri tipi di servizi finanziari, ad esempio il cambio di valuta e la negoziazione di titoli.
6.3 L'esenzione dall'IVA dei servizi finanziari è associata nella legislazione sull'IVA all'inesistenza del diritto - o a un diritto limitato - di detrarre l'IVA a monte. Ciò significa che gli istituti finanziari non possono completamente detrarre l'IVA pagata sulle loro spese, la quale rappresenta pertanto un puro costo. L'ammontare di questo «costo nascosto dell'IVA» può essere significativo, in quanto i servizi esternalizzati e le operazioni intragruppo subiscono l'effetto a cascata della tassa.
6.4 La Commissione ha pubblicato nel 2007 una proposta di direttiva per riformare il trattamento IVA dei servizi finanziari sulla base di tre pilastri, includendovi la proposta di un'opzione per la tassazione dei servizi finanziari. Il CESE ritiene che il dibattito in merito a una tassa sul settore finanziario non debba essere disgiunto dalla riforma del regime IVA proposta (8).
6.5 Il CESE è anche preoccupato circa il campo di applicazione della TAF e l'onere cumulativo di questa tassa e degli importi dell'IVA non recuperabile. Anche se può essere concepita per colpire specificamente le rendite economiche e/o il rischio, la TAF nella sua forma più estesa (calcolata secondo il metodo «additivo») grava sugli utili e sulle retribuzioni totali. Il CESE ritiene che, se una nuova tassa fosse basata sui flussi di cassa o su fattori simili, la Commissione dovrebbe valutare i vantaggi di concepire tale tassa nell'ambito del campo di applicazione dell'IVA, in modo da attenuare l'impatto causato dall'IVA irrecuperabile, quindi evitando un aumento del costo economico per tutti gli operatori economici in Europa.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Parere del CESE sul tema Tassa sulle operazioni finanziarie, GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 81.
(2) COM(2010) 549 definitivo.
(3) SEC(2010) 1166.
(4) COM(2010) 254 definitivo.
(5) Parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e alla Banca centrale europea - Fondi di risoluzione per il settore bancario, GU C 107 del 6.4.2011, pag. 16.
(6) Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2010 sulla tassazione delle operazioni finanziarie e una sua efficace applicazione e risoluzione del Parlamento europeo su un finanziamento innovativo a livello mondiale ed europeo (2010/2105(INI)).
(7) Tassare gli speculatori (http://www.nytimes.com/2009/11/27/opinion/27krugman.html).
(8) COM(2007) 746 definitivo e COM(2007) 747 definitivo.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/68 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Conclusioni della quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale: il futuro della politica di coesione
COM(2010) 642 definitivo
2011/C 248/12
Relatore: CEDRONE
La Commissione europea, in data 9 novembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti - Conclusioni della Quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale: il futuro della politica di coesione
COM(2010) 642 definitivo.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 7 voti contrari e 14 astensioni.
1. Conclusioni
1.1 In sintesi il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene validi i punti principali per la politica di coesione fissati dalla Commissione europea:
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accrescere il valore aggiunto europeo; |
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rafforzare la governance; |
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razionalizzare e semplificare le procedure di gestione; |
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migliorare l'organizzazione. |
1.2 Secondo il CESE tali obiettivi sono realizzabili se contemporaneamente:
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si rafforza la programmazione strategica aiutando gli Stati membri a completare le riforme istituzionali per dare funzionalità alle amministrazioni; |
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si concentrano le risorse UE su pochi obiettivi prioritari; |
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si amplia la mobilitazione economica e sociale e la partecipazione dei partner socioeconomici nell'attuazione della politica di coesione; |
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si introducono riforme nei principi di addizionalità e cofinanziamento; |
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si rende obbligatoria la valutazione di impatto. |
1.3 Non bisogna dimenticare, infatti, che la politica di coesione, insieme allo sviluppo ed alla riduzione delle disparità tra le regioni, deve contribuire attivamente al miglioramento dei servizi e delle condizioni economiche e sociali dei cittadini.
1.4 Ciò viene favorito se, nell'insieme, viene migliorato il tessuto economico e le condizioni delle imprese, la loro produttività, la competitività, in particolare per le PMI, le microimprese e le imprese artigianali. Perciò vanno coinvolte direttamente le organizzazioni rappresentative delle imprese a vocazione territoriale o, in particolare, quelle appartenenti ai settori ritenuti prioritari dall'UE, insieme ai sindacati ed alla società civile.
1.5 Una pista interessante da privilegiare, alla luce dellacoesione territoriale, oltre che infra-territoriale, infra-regionale e infra-settoriale, può essere quella di sviluppare (con l'obiettivo 3) la cooperazione transfrontaliera, interregionale, favorendo con più risorse la coesione territoriale nelle regioni e la strategia macroregionale delle euroregioni (Mar Baltico, Mediterraneo, Adriatico, Alpe Adria-Danubio, asse Atlantico).
1.6 Il CESE ritiene che vada fatto il massimo sforzo, da parte della Commissione e degli Stati membri (SM), per favorire lo scambio di informazioni sulle buone pratiche, l'assistenza alle amministrazioni locali per la gestione dei programmi anche attraverso processi di riforma interna oltre che dei settori interessati.
1.7 Infatti, solo attraverso un maggior livello di conoscenza sui risultati degli investimenti, oggi insufficiente, e la predisposizione di studi d'impatto specifici, sarà possibile individuare le priorità che dovranno essere assunte nel rispetto della strategia Europa 2020 ed assicurare il raggiungimento dell'obiettivo della concentrazione tematica.
1.8 Il CESE condivide anche la scelta di tener conto della distribuzione dei settori ad alta crescita in tutte le regioni europee, suddivise tra regioni dell'obiettivo convergenza, regioni in transizione e regioni dell'obiettivo competitività ed occupazione. Resta comunque da risolvere il problema delle ripartizioni delle risorse tra regioni povere (80 % dei fondi) e le altre (il restante 20 %), anche se tale scelta aiuta a risolvere il problema del cofinanziamento.
1.9 Il CESE ritiene comunque fondamentale un coordinamento dell'insieme delle proposte e delle politiche indicate dalla Commissione, e cioè tra la strategia 2020, la politica di coesione, la PAC, la politica energetica, i trasporti, ambiente, ricerca, ecc. In particolare tra le azioni finanziate dal FSE e quelle del FESR, anche perché il FSE dovrebbe privilegiare la strategia europea per l'occupazione, la realizzazione del l'Agenda sociale, la formazione di qualità, le iniziative per i giovani ed una formazione europea per gli operatori delle politiche di coesione.
2. Proposte
2.1 Proposte politiche
2.1.1 Strategia 2020: il CESE ritiene che la politica di coesione non debba essere a servizio esclusivo della strategia 2020; anzi questa, per essere credibile, dovrebbe trovare forme di finanziamento autonomo attraverso l'emissione di Eurobonds.
2.1.2 La politica di coesione deve mantenere le sue finalità di fondo come lasolidarietà tra popoli, territori e lo sviluppo.
2.1.3 Vertice europeo: la politica di coesione e tutti i fondi ad essa dedicati, devono essere materia di discussione e di esame annuale nell'ambito di un apposito vertice europeo. Ciò va fatto sia per l'importanza strategica che la politica di coesione economica e sociale riveste, sia per le sue connessioni con la politica macro economica, nell'ambito di una governance economica e sociale europea.
2.1.4 Patto di stabilità e sanzioni: secondo il CESE bisogna puntare di più sugli incentivi che non sulle sanzioni per non penalizzare maggiormente le regioni più indebitate e quindi più a rischio. Anzi si auspica che, nell'ambito del progetto di riforma in atto del patto di stabilità e crescita, vengano escluse dal bilancio gli investimenti in ricerca, istruzione e formazione che non vanno considerate spesa corrente. Ciò alfine di non penalizzare le regioni più povere che sono quelle più bisognose dell'aiuto dell'UE.
2.1.5 Le priorità vanno fissate in un numero limitato, tenendo conto di quanto previsto dagli obiettivi dei vari fondi, dalla strategia 2020. In particolare occorre fare riferimento alle politiche finalizzate al raggiungimento del mercato unico, a cui la politica di coesione deve tendere. Le priorità vanno decise da un vertice europeo, preceduto da una concertazione tra parti pubbliche e partner socioeconomici a tutti i livelli.
2.1.6 Il partenariato socioeconomico, con la diffusione delle buone prassi, in parallelo e/o unitamente agli accordi tra le parti pubbliche, deve diventare una procedura ordinaria ed obbligatoria, che accompagna tutti i processi di definizione, di esecuzione e valutazione della politica di coesione. Come tale, dovrebbe essere collegato direttamente alla condizionalità. Il CESE auspica che il principio di cui all'art. 11 del regolamento generale che definisce le regole del partenariato sia esteso all'insieme dei fondi strutturali.
2.2 Proposte tecniche operative
2.2.1 Le regole di cofinanziamento vanno differenziate sulla base delle condizioni di sviluppo e delle disponibilità economiche e sociali delle zone e delle aree interessate alla politica di coesione, in particolare sulla base del reddito, i cui i parametri di calcolo andrebbero opportunamente rivisti (1), e del bilancio delle regioni.
2.2.2 La condizionalità ex ante deve essere finalizzata a migliorare la qualità della spesa, legata alla realizzazione degli obiettivi, rendendo più efficaci le amministrazioni interessate e massimizzare così l'utilizzo dei fondi, evitando di renderla una penalizzazione, per esempio, per le regioni più indebitate.
2.2.2.1 Occorre cioè favorire, da parte degli SM, le riforme istituzionali necessarie a garantire l'adeguamento strutturale, la promozione dell'innovazione e la creazione di posti di lavoro per ridurre l'esclusione sociale. Così come il CESE ritiene indispensabile che la messa in opera di tale politica sia fatta in concertazione con i partner socioeconomici, a tutti i livelli, come condizione per la concessione dei finanziamenti.
2.2.3 Gli indicatori tradizionali per la selezione delle aree di intervento devono essere integrati con altri parametri, quali, ad esempio, il tasso di occupazione, di povertà, di scolarità, il livello di istruzione, di formazione professionale, dei servizi e di sostenibilità ambientale.
2.2.4 La valutazione di impatto deve diventare un elemento centrale della politica di coesione, non solo come condizionalità ex ante, per verificare l'efficacia ed il livello degli obiettivi raggiunti. Va fatta attraverso parametri comuni definiti a livello dell'UE, resi obbligatori su tutto il territorio europeo.
2.2.4.1 L'analisi basata sul risultato: se è vero che essa presenta un interesse assai maggiore di quello dell'analisi basata sul controllo di gestione finanziaria, è anche vero che la sua attuazione pratica richiederà necessariamente una lunga preparazione e la definizione di criteri precisi. I risultati di una data azione, soprattutto se di carattere «immateriale» come la formazione o gli investimenti nello sviluppo, possono essere misurati soltanto nel tempo. Il passaggio all'analisi del risultato esigerà una formazione preliminare dei promotori di progetti e delle autorità amministrative, e il CESE propone di sperimentare questa formula nel periodo 2011-2013 in alcune regioni prescelte per la qualità della governance di partenariato ivi esistente.
2.2.5 La semplificazione deve diventare il principale obiettivo della politica di coesione. Può essere perseguita attraverso un alleggerimento delle procedure amministrative-contabili, un miglioramento ed un rafforzamento dei criteri di monitoraggio e di valutazione e una riduzione delle procedure che accompagnano la presentazione dei piani e/o dei progetti. La revisione delle procedure contabili può essere raggiunta tra tutti i soggetti interessati in partenariato con la Corte dei conti.
2.2.5.1 In particolare occorre applicare il principio «una sola volta» (one-stop shop) sia nella fase della presentazione dei progetti, unificando la modulistica dei vari fondi e tra i fondi, sia nella fase della verifica contabile, armonizzando le regole finanziarie e quelle tra i diversi programmi, eseguendo un unico controllo da valere per tutte le istanze interessate.
2.2.5.2 La sinergia tra i diversi programmi: per ragioni di chiarezza, semplicità ed efficacia, è necessario ricercare la maggiore complementarità possibile tra tutti i programmi che riguardano i medesimi attori in un medesimo territorio, e ciò sia tra i programmi europei, nazionali e territoriali che tra i diversi finanziamenti dell'UE. La mancanza di sinergia è uno dei motivi che spiegano la sottoutilizzazione o lo scarso impatto dei fondi strutturali e dei programmi UE nel loro insieme.
2.3 Formazione: è un altro strumento fondamentale necessario per raggiungere gli obiettivi della coesione, ivi compreso quello del migliore utilizzo dei fondi.
3. Introduzione
3.1 I principi della coesione e della solidarietà costituiscono due dei pilastri fondamentali del Trattato, che, conformemente all'articolo 174 recita: «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale».
3.2 Inoltre, c'è un altro punto particolarmente importante alla luce degli ultimi due allargamenti: «L'Unione si impegna a ridurre lo scarto tra il livello di sviluppo delle diverse regioni e il ritardo della regioni meno favorite».
3.3 Questi due principi, che costituiscono la base dell'integrazione dei popoli e dei territori europei, non devono mai essere dimenticati, meno che mai da coloro che agiscono in nome e per conto dell'UE.
3.4 Il prossimo anno la Commissione europea emanerà una proposta per il nuovo bilancio europeo dopo il 2013, (già pubblicata un'apposita comunicazione il 19 ottobre 2010), ma la richiesta al Consiglio (dicembre 2010) da parte di alcuni governi di non aumentare il bilancio dell'UE non lascia ben sperare, anche se sarà accompagnata da una proposta legislativa sui fondi strutturali.
3.5 La Quinta relazione della Commissione europea sulla politica di coesione, con le sue conclusioni, stilata con un linguaggio nuovo, si inquadra in questo contesto, in stretto collegamento con la strategia Europa 2020.
4. Comunicazione della Commissione: sintesi
4.1 Nelle conclusioni della Quinta relazione la Commissione europea affronta diversi temi, con un approccio alquanto diverso dal solito, ai quali cerca di dare risposte ed indicazioni, in attesa che venga conclusa la consultazione che ha lanciato, ponendo 13 domande sulla sua relazione.
4.2 Ecco i temi principali affrontati:
4.2.1 Accrescere il valore aggiunto europeo della politica di coesione
4.2.1.1 La Commissione ritiene di raggiungere questo obiettivo attraverso:
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il consolidamento della pianificazione strategica; |
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una maggiore concentrazione tematica sulle risorse; |
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l'aumento della performance attraverso un insieme di condizioni e di incentivi, ivi compreso il cofinanziamento ed il patto di stabilità; |
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il miglioramento della valutazione, degli effetti e dei risultati; |
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l'utilizzo di nuovi strumenti finanziari (vedere le prime 5 domande della CE). |
4.2.2 Rafforzare il governo della politica di coesione (la governance)
4.2.2.1 Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso:
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l'introduzione di una terza dimensione: la coesione territoriale; |
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il consolidamento del partenariato (pubblico e privati) (vedere domande 6 e 7). |
4.2.3 Razionalizzare e semplificare le procedure di gestione
4.2.4 Ciò può essere fatto attraverso:
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la gestione finanziaria; |
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la riduzione degli adempimenti amministrativi; |
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la disciplina finanziaria; |
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il controllo finanziario (vedere le domande 8, 9, 10 e 11). |
4.2.5 L'organizzazione della politica di coesione
(vedere le domande 12 e 13).
4.3 Le prossime tappe
4.3.1 La Commissione si riserva, sulla base delle risposte al questionario, di affinare le proposte inerenti la Quinta relazione.
5. Comunicazione della Commissione europea: osservazioni generali (2)
5.1 La Quinta relazione della Commissione propone, per accrescere il valore aggiunto della politica di coesione, l'introduzione di una serie di riforme molto ambiziose finalizzate a migliorare l'efficienza nella capacità di spesa degli Stati membri e a semplificarne la gestione. Il CESE condivide l'impostazione generale della Commissione nelle proposte di riforma.
5.2 È uno sforzo che va colto e valorizzato, ma rischia di essere insufficiente se alcune proposte presentate con timidezza non si trasformeranno in decisioni ed azioni concrete, in particolare per quanto riguarda il legame stretto, e quasi unico, dei fondi strutturali con la strategia Europa 2020.
5.3 Infatti, nonostante lo sforzo, l'analisi della situazione non è realista, anche se coperta da una consultazione (alquanto generica), che lascia in secondo ordine i nodi di fondo.
5.4 Affidare alla sola politica di coesione, per esempio, la «missione» di principale motore della crescita appare un progetto molto ambizioso e condivisibile, a condizione che ci sia una modifica radicale della politica di coesione e una politica di accompagnamento, duratura, per favorirne l'implementazione. A parte la necessità per l'Unione di disporre di una politica economica comune.
5.4.1 In caso contrario la proposta rischia di essere illusoria, o quanto meno limitativa. Perciò per favorire questo obiettivo e per non disperdere il principio della coesione, sarebbe necessario che la stessa strategia 2020, disponesse di fondi propri, anche attraverso un prestito europeo e dovrebbe ispirarsi allo stesso principio. Inoltre dovrebbero essere coinvolte, alla pari, tutte le altre politiche dell'UE, PAC compresa. Solo così i fondi strutturali non perdono la loro «vocazione» originale, divenendo uno degli strumenti dello sviluppo territoriale. Il CESE si rammarica che nella Quinta relazione non sia stata evocata la politica rurale, così come nella PAC non si parla di politica di coesione.
5.5 Nella comunicazione la Commissione osserva giustamente che il valore aggiunto delle politiche di coesione è oggetto di discussioni ricorrenti da parte di docenti universitari, nelle cui analisi empiriche si rileva spesso che l'impatto di tali politiche è difficile da misurare. Ciò può essere dovuto al fatto che gli indicatori della coesione territoriale non sempre sono scelti in modo adeguato. Il Comitato ritiene che a tali questioni si dovrà prestare maggiore attenzione di quanto non sia stato fatto finora.
6. Osservazioni specifiche (sui 4 obiettivi fissati dalla Commissione)
6.1 Relativamente all'obiettivo del rafforzamento della programmazione strategica da realizzare nell'ambito di un quadro strategico, la novità della proposta della Commissione consiste principalmente nel dare coerenza e nel creare un collegamento più funzionale tra gli obiettivi della strategia Europa 2020 e gli interventi definiti a livello nazionale attraverso i programmi operativi.
6.2 Il CESE apprezza tale novità, ma ritiene che il problema principale da risolvere riguardi il collegamento tra i piani annuali predisposti dagli Stati membri e concordati con l'UE per la stabilizzazione della finanza pubblica (piani nazionali di riforma) e la politica di coesione. Il tema è di grande attualità, data la diversità degli ordinamenti amministrativi vigenti nei paesi dell'UE ed il loro diverso livello di indebitamento pubblico.
6.3 Resta da decidere, inoltre, se la politica di coesione deve restare fondamentalmente una politica indipendente nella scelta delle priorità e degli interventi da realizzare, oppure se deve mantenere una forma di subordinazione rispetto alle decisioni di politica economica prese a livello nazionale per il contenimento del debito pubblico. Il CESE ritiene che a questo problema debba essere prestata grande attenzione da parte delle principali istituzioni dell'UE (Parlamento europeo, Commissione, Consiglio) e da parte delle istituzioni nazionali, al fine di trovare soluzioni per mantenere la coerenza tra gli obiettivi della strategia Europa 2020 e la nuova governance della politica di coesione, che non può essere però subordinata alla prima.
6.4 Un secondo aspetto importante, riferito alla programmazione strategica, riguarda la proposta della Commissione di introdurre un nuovo sistema di condizionalità ex ante finalizzato a definire i principi che i paesi membri devono seguire ed applicare per migliorare l'efficacia della politica di coesione. Viste le critiche avanzate da molti paesi, appare evidente lo sforzo della Commissione di introdurre condizioni che possano assicurare una maggiore efficacia agli investimenti. Bisogna però evitare di appesantire le procedure e di «punire» le regioni per colpe non commesse (deficit degli Stati nazionali).
6.5 Il CESE valuta positivamente le condizioni minime per l'accesso ai finanziamenti e per assicurare la governance delle risorse, poste dalla Commissione, anche con la predisposizione di incentivi ai paesi membri per realizzare le riforme necessarie. Il CESE ritiene inoltre che lo sforzo principale della Commissione e degli Stati membri debba essere soprattutto rivolto all'introduzione di processi di riforma interni riguardanti le istituzioni ed i settori maggiormente interessati dalla politica di coesione (ambiente, mercato del lavoro, istruzione, formazione professionale, innovazione).
6.6 Solo nei casi più rilevanti di irregolarità e/o non conformità con i principi ed i regolamenti della politica di coesione si può immaginare il ricorso da parte della Commissione a sanzioni, o misure analoghe, nei confronti di uno Stato membro con conseguente sospensione/restituzione dei finanziamenti dell'UE.
6.7 Un altro aspetto positivo riguarda la proposta, condivisa da parte della Commissione e degli Stati membri, di convogliare le risorse della politica di coesione su un numero limitato di priorità (vedere anche parere ECO/230) in quanto le risorse della politica di coesione non sono sufficienti a finanziare i molteplici fabbisogni delle regioni in ritardo di sviluppo. Infatti il CESE ritiene che la politica di coesione può risultare più efficace se indirizzata a sostenere iniziative materiali ed immateriali di grande impatto economico, sociale e territoriale.
6.8 Tuttavia, la definizione delle priorità ed il contenimento delle iniziative da finanziare sono uno dei problemi di più difficile soluzione tenuto conto delle molteplici sollecitazioni provenienti dalle autorità regionali e nazionali a procedere in direzione esattamente opposta.
6.9 Il partenariato, come il CESE ha più volte sostenuto (3), può rappresentare un vero e proprio valore aggiunto in questa direzione; perciò valuta positivamente l'indicazione della Commissione, a condizione che non si tratti solo del partenariato pubblico, ma, in particolare, del partenariato economico, sociale e civile, con il coinvolgimento concreto, in tutte le fasi ed a tutti i livelli, delle parti sociali e civili interessate con diritto di voto. Sarebbe inoltre opportuno fornire alle parti un finanziamento per l'assistenza tecnica.
6.10 Il CESE condivide la necessità di riformare il principio di addizionalità e di cofinanziamento per i quali sono previste riforme in grado di collegare entrambi alla necessità di prevedere aliquote di partecipazione finanziaria differenziate «per meglio rispecchiare il livello di sviluppo, il valore aggiunto dell'Unione, i tipi di intervento e i beneficiari».
6.11 È condivisibile anche la proposta di istituire un terzo livello di regioni, quelle che attualmente si trovano in una situazione economica che le colloca ad un livello superiore al 75 % della media dell'UE ma ancora inferiore al 100 % (90 %), perché potrebbe semplificare la verifica e l'implementazione del principio di cofinanziamento, tenuto conto della possibilità di estendere l'utilizzo delle risorse, se pure in quote ridotte, a tutte le regioni.
6.12 Per il principio di addizionalità occorre identificare meglio le tipologie di interventi per i quali è richiesto l'impegno finanziario nazionale, specificandone l'apporto in termini di valore aggiunto, effetti sull'occupazione, stimoli alla crescita. La riduzione delle priorità e degli interventi da finanziare negli Stati membri dovrebbe facilitare e al tempo stesso rendere più flessibile l'applicazione del principio di addizionalità.
6.13 Per il secondo principio, si potrebbero prevedere aliquote di cofinanziamento diverse, più ridotte nel caso delle regioni più divergenti con l'evidente scopo di facilitare il finanziamento di specifici interventi di sviluppo locale, più elevate per le regioni meno distanti dalla media dell'UE.
6.14 Il terzo grande obiettivo riguarda la semplificazione delle procedure di gestione dei programmi comuni. Un tema che trova il consenso unanime di tutti i paesi membri e che il CESE ha sempre richiesto coi suoi pareri per facilitare l'attuazione dei programmi della politica di coesione. Un obiettivo che tenga conto delle diversità delle regole, amministrative, contabili, ecc. degli Stati e delle regioni, sapendo che anche cambiamenti continui, specialmente quando si accavallano, creano ostacoli e provocano ritardi.
6.15 Il CESE ritiene del tutto inopportuna e di difficile attuazione la proposta di chiedere alle autorità di gestione dei programmi la presentazione di una rendicontazione annuale delle spese cofinanziate dall'UE (con acclusi i pareri di revisori indipendenti), tenuto conto delle modalità e dei tempi oggi richiesti per espletare le procedure di aggiudicazione della gare dell'UE.
6.16 Se invece si tratta di «rafforzare» le responsabilità degli enti nazionali e regionali, in particolare quelli che si trovano in maggiori difficoltà e/o con i maggiori ritardi di attuazione, si potrebbe affidare la verifica dei risultati a strutture indipendenti accreditate a livello europeo, almeno dopo due anni dall'avvio del periodo di programmazione. In caso di responsabilità amministrative o scostamenti significativi rispetto ai risultati attesi, la Commissione potrebbe decidere, a seconda della gravità delle irregolarità riscontrate, di chiudere il programma, di sospendere i pagamenti o di chiedere in restituzione le somme già erogate.
6.17 Le amministrazioni nazionali e regionali devono dare evidenza della loro capacità di programmare e gestire in modo efficiente le spese cofinanziate. Questo risultato può essere ottenuto non accelerando la verifica dei tempi di spesa (richiedendo bilanci annuali) ma verificando che sia assicurata la qualità agli investimenti da realizzare o realizzati, che siano rispettati i tempi di esecuzione degli interventi e che siano state applicate procedure di valutazione e di controllo efficaci.
6.18 Ci sono, inoltre, altre importanti innovazioni che il CESE condivide, in particolare riguardanti:
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lo sviluppo di nuovi strumenti di ingegneria finanziaria da ampliare ed estendere a settori che attualmente non ne beneficiano (trasporto urbano, ricerca e sviluppo, energia ed ambiente, telecomunicazioni ecc.); |
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l'introduzione di nuove forme di partnership pubblico-privato; |
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la revisione delle strategie di ciascun fondo strutturale, a partire dal FSE e al contributo che esso potrebbe dare all'attuazione della strategia europea per l'occupazione; |
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la maggiore attenzione da dare alle aree urbane; |
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l'introduzione di incentivi per promuovere le riforme che aiutino gli Stati membri e le regioni ad utilizzare in modo più efficiente le risorse dell'UE; |
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l'introduzione, nel bilancio della politica di coesione, di una riserva da mettere a disposizione delle regioni che hanno realizzato i migliori risultati in termini di raggiungimento degli obiettivi fissati dalla strategia europea. |
6.18.1 Il CESE ritiene che per ognuna di queste innovazioni vadano attentamente definiti gli obiettivi, valutate le risorse disponibili e descritti, in modo puntuale, modalità e tempi di attuazione.
6.18.2 La coerenza e la sostenibilità di queste proposte vanno attentamente verificate alla luce dei quattro principali obiettivi posti dalla riforma della politica e alla loro effettiva applicabilità nelle regioni e nei territori ancora molto distanti dai valori medi dell'UE in termini di sviluppo economico, efficienza produttiva, inclusione sociale e qualità della vita.
6.19 Per le prossime prospettive finanziarie, la Commissione propone nuovamente di applicare il criterio del 75 % del PIL medio pro capite, espresso in parità di potere d'acquisto (PPA) per determinare l'eleggibilità di queste regioni, applicando il criterio di convergenza. Il CESE propone invece di considerare la possibilità di introdurre altri parametri atti a rappresentare nel modo migliore le condizioni oggettive delle singole regioni e dei territori dell'UE.
7. Il bilancio dell'UE, la politica di coesione e la strategia Europa 2020
7.1 Le prospettive di bilancio dell'UE dopo il 2013 non sono certamente incoraggianti. Il vertice di fine 2010 non lascia dubbi in proposito. Alcuni Stati (solo alcuni?), sotto l'egida dell'austerità dovuta alla crisi accampano giustificazioni per non aumentarne la disponibilità, se non in modo simbolico, dimenticando che la politica di coesione assorbe meno dell'1 % del PIL, mentre alcuni paesi membri hanno investito circa il 24 % del PIL per salvare le banche!
7.2 Il CESE ritiene importante la strategia 2020, su cui l'Unione sembra voler puntare tutte le sue carte. Il rischio è, però, che si potrebbe rivelare un fallimento senza un adeguato finanziamento diretto. Sarebbe auspicabile farlo attraverso i bonds europei. Inoltre sarebbe opportuno lasciare una flessibilità di azione, a seconda delle loro specificità, alle regioni più deboli, interessate alla coesione, per favorire una integrazione tra le due politiche.
7.3 Una integrazione che potrà essere facilitata attraverso una maggiore conoscenza delle necessità e delle priorità territoriali che potranno essere assunte nel rispetto della strategia Europa 2020 per assicurare l'obiettivo della concentrazione tematica.
8. Il futuro della coesione dopo il 2013: punti strategici
8.1 Le proposte sul futuro della politica di coesione presentate dalla Commissione per il prossimo periodo di programmazione, collegate agli obiettivi della strategia 2020 disegnano un percorso virtuoso che il CESE, come detto, condivide, nella gran parte, in quanto orientate a rendere più efficace una delle più importanti politiche di redistribuzione economica dell'UE. Tali obiettivi, comunque, per essere raggiunti hanno bisogno che si realizzino alcuni presupposti strategici, di fondo, oltre a quelli già indicati in precedenza.
8.2 Il primo: il CESE ritiene che gli impegni richiesti alla Commissione e agli Stati membri possano portare a risultati concreti se questo progetto viene collocato all'interno di una revisione più generale dell'architettura della governance economica europea e degli obiettivi che l'UE intende perseguire sia a livello europeo che internazionale. Una revisione divenuta sempre più necessaria alla luce della crisi e degli attacchi al debito sovrano, che obbliga l'UE ad aggiornare anche la sua politica monetaria, fino ad oggi calibrata sulle aree più ricche dell'UE (la stabilità), a scapito di quelle meno sviluppate, bisognose di crescere (la crescita).
8.3 Il secondo riguarda uno dei punti centrali del progetto di revisione della politica di coesione; la necessità, cioè, di costruire un coordinamento funzionale e strategico, oggi praticamente inesistente, tra i diversi fondi strutturali. Perciò la selezione ed il relativo finanziamento degli interventi a livello regionale deve avvenire all'interno di un dialogo e di una metodologia di lavoro costruiti non solo con gli Stati membri (contratti di partenariato) e le parti socioeconomiche, ma anche con il supporto tecnico e le risorse dei cinque fondi strutturali, fino ad arrivare ad una Autorità unica per il coordinamento e la gestione dei vari fondi.
8.4 Il terzo si riferisce alla creazione di un coordinamento e di una sinergia tra gli interventi della politica di coesione e lealtre politiche ad essa connesse (politiche settoriali ambientali e dell'energia, politiche per la ricerca e l'innovazione, politiche per l'occupazione ecc.) e, conseguentemente, agli altri strumenti di finanziamento dell'UE (BEI, finanziamenti per l'innovazione, per le reti infrastrutturali, per lo sviluppo delle TLC ecc.). La politica di coesione deve diventare lo strumento di un disegno più ampio per favorire lo sviluppo complessivo delle regioni e dei territori, nonché per attivare interventi e finanziamenti settoriali diversificati, anche da parte dei privati, sulla base delle esigenze specifiche dei territori.
8.5 Il quarto riguarda la possibilità, nell'ambito di questo nuovo approccio alla governance economica europea, di sviluppare forme di cooperazione rafforzata relativamente ad obiettivi condivisi che riguardano un determinato settore, una macroregione o lo sviluppo di attività considerate strategiche da parte degli Stati membri. Questo strumento, ancora poco praticato e valorizzato, nonostante fosse previsto dal Trattato, faciliterebbe il processo decisionale e consentirebbe, per le sinergie e le economie di scala che si verrebbero a realizzare tra gli Stati partecipanti, di raggiungere migliori risultati in tempi molto più brevi.
8.6 Il quinto, sempre in tema di coordinamento, si riferisce alla necessità di avviare, in tempi brevi, cioè prima dell'inizio del nuovo ciclo di programmazione della politica di coesione, un coordinamento interistituzionale (Commissione, Parlamento europeo, Consiglio e gli organismi consultivi, CESE e CdR ed i partner socioeconomici). L'obiettivo è quello di facilitare la discussione ed il confronto tra le istituzioni dell'Unione relativamente al futuro della politica di coesione, prima di arrivare alla stesura finale delle proposte da sottoporre all'approvazione degli organismi competenti. Un coordinamento che deve proseguire ed accompagnare l'attuazione dei programmi e la valutazione dei risultati.
8.7 Il CESE invoca l'attuazione o il ripristino dei programmi di iniziativa comunitaria a partire dalla revisione intermedia delle politiche strutturali. Infatti, la soppressione di programmi come URBAN, EQUAL, Interprise o altri ancora, i quali si erano rivelati realmente efficaci, ha costituito una perdita per la cooperazione territoriale tematica così come per l'innovazione sociale, in quanto il loro ruolo non è stato ripreso né nel mainstreaming dei fondi né altrove.
8.8 Il CESE, comunque, auspica che, sulla base di quanto già avviato con le conclusioni allegate alla Quinta relazione, la Commissione, in vista della prossima riforma, presenti delle proposte ancora più coraggiose, tali da rappresentare un reale cambiamento rispetto al passato.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Cfr. parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per la fornitura delle informazioni di base sulle parità di potere d'acquisto, nonché per il loro calcolo e la loro diffusione, GU C 318 del 23.12.2006, pag.45.
(2) COM(2010) 642 definitivo.
(3) Cfr. i seguenti pareri del CESE: Risultati dei negoziati relativi alle strategie e ai programmi della politica di coesione per il periodo di programmazione 2007-2013, GU C 228 del 22.9.2009, pag. 141; Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013, GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 1; e Il contributo della politica regionale alla crescita intelligente nell'ambito di Europa 2020.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/75 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e ai parlamenti nazionali — Revisione del bilancio dell'Unione europea
COM(2010) 700 definitivo
2011/C 248/13
Relatore: MALOSSE
Correlatore: DANTIN
La Commissione europea, in data 19 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e ai parlamenti nazionali - Revisione del bilancio dell'Unione europea
COM(2010) 700 definitivo.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 175 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 La revisione del bilancio dell'UE non è una questione di cifre ma uno strumento funzionale a un progetto politico. Oggi l'Unione europea non dispone di risorse di bilancio per attuare la propria strategia politica né i propri impegni derivanti dal nuovo Trattato di Lisbona.
1.2 La crisi economica e finanziaria, iniziata negli Stati Uniti, ha colpito duramente l'Europa, provocando una serie di disavanzi crescenti nella maggior parte degli Stati membri. È una situazione che inevitabilmente si riflette nell'elaborazione delle prospettive finanziarie 2014-2020 ma l'Unione europea non deve diventarne una vittima.
1.3 Occorre quindi dare prova di immaginazione per definire un «bilancio europeo intelligente» che possa dotare l'UE dei mezzi necessari per conseguire i propri obiettivi senza appesantire il carico fiscale globale che grava sui cittadini e sulle imprese.
1.4 Il principio del giusto ritorno deve essere abbandonato poiché è contrario ai valori di solidarietà e di reciproco vantaggio dell'integrazione europea. Occorre invece applicare il principio di sussidiarietà, trasferendo a livello europeo ciò che ha perduto significato ed efficacia a livello nazionale. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione europea di ripristinare il principio delle risorse proprie che possono essere costituite ex novo o sostituirsi a delle imposte nazionali.
1.5 Il bilancio europeo deve essere rafforzato e deve esercitare un effetto leva. Il CESE raccomanda che vi sia complementarità tra bilanci nazionali ed europei, la quale consentirebbe di realizzare delle economie di scala nell'attuazione dei grandi obiettivi politici dell'UE. L'efficacia delle azioni dell'UE risulterebbe inoltre rafforzata grazie al ricorso più sistematico ai prestiti della BEI, ai partenariati pubblico/privato nonché alla creazione di eurobbligazioni per gli investimenti.
1.6 D'altra parte, per dimostrare che un euro verrà utilizzato più proficuamente a livello europeo, l'UE deve lanciare una vera rivoluzione in materia di procedure, attualmente troppo farraginose, e concentrare i propri interventi su progetti visibili per i cittadini.
1.7 L'unico modo per vincere la sfida di un bilancio ambizioso è conquistare l'opinione pubblica. È per questo motivo che il CESE auspica che vengano realizzati e pubblicati degli studi sul costo della non Europa, che mettano in luce le duplicazioni nei bilanci nazionali. Il CESE aderisce così all'iniziativa del Parlamento europeo e darà il proprio contributo.
1.8 Per essere credibile nei confronti dei cittadini europei, il bilancio dell'UE deve essere esemplare in materia di governance, efficacia, trasparenza e controllo delle spese amministrative.
2. Alla ricerca di una nuova ambizione
2.1 Nella sua comunicazione, la Commissione non nasconde la volontà di definire un approccio ambizioso per la definizione delle prospettive finanziarie dell'UE dopo il 2013. Il CESE ne prende atto con soddisfazione, poiché il Trattato di Lisbona ha spianato la strada a un'Unione europea dotata ormai di una forte identità politica.
2.2 Il CESE, al pari della Commissione, considera che il principio del «giusto ritorno» sia oggi ancora meno accettabile di quanto non lo fosse all'inizio del processo di integrazione europea. Tale principio infatti ha troppo spesso distorto il processo di integrazione, monopolizzando i dibattiti, ed è in gran parte responsabile delle lacune, dei ritardi e dei fallimenti di questo processo; inoltre è contrario allo spirito di un'unione tra gli Stati e i popoli e a qualsiasi ragionamento economico razionale. In un'Unione economica, monetaria e politica, infatti, i benefici e il valore aggiunto devono essere per loro natura a vantaggio di tutti. I progressi conseguiti dall'Unione europea si sono interamente basati sull'effetto moltiplicatore di una messa in comune delle risorse, il che è esattamente il contrario del principio del giusto ritorno.
2.3 Richiamandosi a queste considerazioni, il CESE aveva già osservato nel 2008 che «la concezione delle politiche di bilancio non può prescindere da una scelta di fondo: federalismo o sistema intergovernativo. È chiaro che il grado di avanzamento dell'integrazione europea si misura anche sulla base delle modalità di finanziamento del bilancio (1)».
2.4 Ciò premesso, il CESE auspica altresì che vengano tratti tutti gli insegnamenti necessari da un'analisi obiettiva dell'attuale funzionamento di bilancio. La Commissione punta giustamente il dito sui ritardi accumulati nell'avvio dei programmi, le difficoltà intrinseche e il decentramento dell'attuazione che non ha prodotto risultati positivi. Queste disfunzioni devono essere analizzate a fondo, coinvolgendo tutte le parti interessate in modo da trarre gli insegnamenti necessari per porvi rimedio.
2.5 Il CESE sostiene le quattro principali priorità enunciate dalla Commissione: la realizzazione delle priorità politiche fondamentali, il rafforzamento del valore aggiunto, l'obbligo di risultati, e l'ottimizzazione dei benefici reciproci tramite la solidarietà. Il CESE desidera aggiungere una quinta priorità, ovvero quella della visibilità.
2.5.1 L'attuale impatto degli interventi di bilancio dell'UE non è infatti soddisfacente da quest'ultimo punto di vista. Tale carenza rappresenta un ostacolo all'integrazione europea in quanto rende più difficile ottenere il sostegno concreto dei cittadini e fornisce argomenti utili agli Stati membri per frenare la crescita del bilancio europeo; occorrerà quindi porvi rimedio, sia a livello di procedura di bilancio, decisamente opaca per i cittadini, sia a livello di realizzazioni operative, troppo spesso confidenziali, sparpagliate su progetti minuscoli o nascoste nel quadro di complessi cofinanziamenti.
2.6 Per il CESE, tale ridefinizione della politica di bilancio dell'UE dovrebbe contribuire direttamente all'obiettivo di rinnovamento del metodo comunitario che esso ha esplicitamente raccomandato nel suo parere dell'ottobre 2010, adottato a larghissima maggioranza (2).
3. In cerca di una migliore complementarità tra livello nazionale e livello europeo
3.1 Il CESE non può accettare che il processo di integrazione europea, condizionato dalle risorse di bilancio che gli sono assegnate, divenga ostaggio della questione della riduzione dei disavanzi pubblici, in quanto ciò metterebbe direttamente in discussione le ambizioni politiche dell'Unione europea che scaturiscono dal Trattato di Lisbona e dalla strategia Europa 2020.
3.2 Il CESE propone quindi di garantire una complementarità tra bilanci nazionali e bilancio europeo su obiettivi comuni, in particolare attraverso contratti di partenariato in materia di sviluppo e investimento nel quadro della strategia 2020. Si tratterebbe così di procedere ad un'aggregazione «intelligente» tra risorse nazionali ed europee per realizzare economie di scala, ottenere un effetto leva e ridurre i disavanzi dei bilanci nazionali, grazie agli sforzi positivi della messa in comune delle risorse.
3.3 A tal fine, il CESE invita la Commissione a fornire le risorse necessarie per aggiornare senza ulteriori ritardi la valutazione del costo della non Europa, che non è più stato calcolato dall'epoca del rapporto Cecchini (3) presentato 23 anni fa. Il CESE si compiace della volontà espressa dal Parlamento europeo di assumere lui stesso un'iniziativa in questo ambito. Il Comitato, da parte sua, intende partecipare pienamente ai lavori su questo tema e apportare il proprio contributo attivo a questa opera di aggiornamento.
3.3.1 I cittadini e contribuenti europei hanno infatti il diritto di conoscere l'importo della fattura che sono attualmente costretti a pagare, a causa dei doppi costi superflui delle compartimentazioni che sussistono sia in ambito amministrativo che economico. Dovrebbero essere informati sulle economie di scala di cui potrebbero beneficiare le politiche pubbliche europee a seguito di un'integrazione europea rafforzata. Ad esempio, il costo della non realizzazione dell'Europa dei trasporti, che era comunque prevista dal Trattato di Roma, si ripercuote quotidianamente sui cittadini in termini di ritardi e disagi, e sulle imprese, in termini di mancata produttività. Ciò vale anche per l'insufficiente apertura a livello europeo degli appalti pubblici che, secondo la relazione Cecchini, avrebbe potuto creare due milioni di nuovi posti di lavoro.
3.4 Il CESE insiste in particolare sull'effetto trainante sull'economia che ci si dovrebbe attendere da una rivalorizzazione del bilancio europeo basata su tali economie di scala. Controbilanciando mediante questi aumenti di produttività gli effetti depressivi delle severe manovre correttive effettuate nelle finanze pubbliche degli Stati, si potrebbe riconciliare la necessità di rigore nei bilanci per far fronte ai disavanzi con quella di un rilancio economico e sociale che permetta all'Europa di uscire dalla crisi e da una crescita «debole».
3.5 Questo tipo di sostegno dell'economia avrebbe a sua volta implicazioni positive per le entrate fiscali e quindi per il risanamento dei conti pubblici. Una rivalorizzazione intelligente del bilancio europeo dovrebbe infatti permettere di avviare e mantenere un circolo virtuoso economico e di bilancio, basato su uno sfruttamento comune delle complementarità reciproche. Lo sfruttamento di tali complementarità tra livello nazionale e livello europeo rappresenta quindi la condizione per un consolidamento sostenibile della crescita e dell'occupazione in Europa.
4. Riacquistare una maggiore autonomia di bilancio
4.1 Il CESE ritiene che l'aumento del bilancio europeo sia di per sé non solo auspicabile ma anche necessario, di fronte alla portata delle nuove sfide che richiedono una risposta comune.
4.2 A tal fine sostiene quindi la proposta della Commissione europea relativa alla prevalenza di un sistema basato sulle risorse proprie, le cui entrate arriverebbero direttamente al bilancio dell'Unione europea senza passare dal livello nazionale. Il CESE ritiene che non vi potrà essere una riforma efficace del bilancio europeo senza il ripristino di un sistema di risorse proprie autonome, ben mirate e sostenibili, in sostituzione dei contributi nazionali, introdotti a partire dal 1980 con un meccanismo correttivo speciale a vantaggio del Regno Unito, e successivamente divenuti permanenti con l'accordo di Fontainbleau del 1984, che rafforzano il principio errato del giusto ritorno.
4.3 Il CESE apprezza la diversità delle proposte relative alle nuove risorse formulate dalla Commissione nella sua comunicazione, in particolare quelle sulle transazioni finanziarie e sulle emissioni di CO2. Astenendosi in questa fase da qualsiasi giudizio sulla natura delle nuove risorse proprie, il CESE sottolinea la necessità di sottoporre tutte le proposte in questo ambito a una valutazione d'impatto, in modo che possano essere valutate più correttamente. Auspica inoltre che venga presa in considerazione la possibilità di trasferire alcune imposte o frazioni di imposte esistenti dal livello nazionale verso il livello europeo, seguendo l'esempio delle disposizioni sull'IVA. A questo proposito, si potrebbe pensare a una frazione dell'imposta sulle società se per essa esistesse una base imponibile comune come quella proposta dalla Commissione europea.
4.4 Il CESE si attende da tale riforma una possibile soppressione nel tempo dei meccanismi correttivi nazionali, non più giustificati in un bilancio europeo rinnovato che garantirà un valore aggiunto rafforzato per tutti gli Stati membri.
4.5 Il CESE insiste inoltre su tre principi che considera necessari per la riuscita di una riforma delle risorse del bilancio europeo.
4.5.1 |
La pressione fiscale in Europa non dovrebbe aumentare a seguito della riforma delle risorse proprie. |
4.5.2 |
I nuovi eventuali prelievi europei non dovrebbero avere effetti discriminatori eccessivi su taluni Stati per via delle specificità nazionali di questi ultimi, né destabilizzare le attività delle imprese con sede nell'Unione europea, né tantomeno gravare esageratamente sui cittadini, soprattutto i più svantaggiati, come avviene con l'IVA. |
4.5.3 |
La riorganizzazione dovrebbe contribuire a una razionalizzazione e a un migliore equilibrio della pressione fiscale globale, in conformità con gli obiettivi di competitività e occupazione dell'Unione. Inoltre le spese europee dovrebbero concentrarsi maggiormente sulle priorità dell'UE e sui settori in cui possono essere realizzate economie di scala. Questa condizione viene considerata dal CESE un requisito preliminare necessario per qualsiasi aumento significativo del bilancio europeo. |
4.6 Il CESE ritiene infine che, in attesa che l'UE abbia raggiunto un livello di integrazione più avanzato, si potrebbero adottare formule innovative che riuniscano, tramite agenzie specializzate o altre soluzioni, bilanci nazionali e bilancio europeo in settori quali la R&S, l'innovazione, l'aiuto allo sviluppo, il finanziamento delle grandi infrastrutture. Tali formule consentirebbero una vera integrazione delle priorità e dei mezzi, mantenendo a ciascun livello politico di competenza, sia nazionale che europeo, la capacità di controllo.
5. Promuovere interventi più mirati sul valore aggiunto europeo
5.1 Il CESE pone l'accento sulla necessità di assicurare la compatibilità del bilancio europeo con gli obiettivi e gli impegni della strategia Europa 2020. Ciò richiede, oltre alle risorse di bilancio corrispondenti, la presenza di collegamenti visibili tra gli interventi previsti da questo bilancio e i diversi pilastri della strategia Europa 2020.
5.2 Il Comitato insiste in particolare sulla necessità di interventi di bilancio efficaci nei settori in cui l'Unione europea esercita una responsabilità diretta: in primo luogo, il consolidamento dell'unione economica e monetaria, il rafforzamento della solidarietà degli Stati membri dell'UE e l'attuazione delle nuove politiche previste nel Trattato di Lisbona: energia e clima, giustizia e affari interni, politica esterna.
5.3 Le recenti crisi nell'area dell'euro hanno evidenziato la necessità di sviluppare in particolare la solidarietà nel quadro dell'unione economica e monetaria. Le risorse disponibili del bilancio europeo hanno fornito un contributo utile e urgente, anticipando la creazione del Fondo di stabilizzazione. La decisione di integrare nel Trattato questo meccanismo di stabilizzazione rappresenta una nuova tappa della solidarietà europea ma anche della sua ambizione di integrazione politica ed economica, per consolidare in maniera durevole l'unione economica e monetaria, che rappresenta un elemento centrale della costruzione europea e della coesione economica e sociale del mercato interno. In particolare, occorre rilanciare con urgenza l'unione economica, che è rimasta indietro rispetto all'unione monetaria, rendendola più debole. Se questo divario non verrà colmato la strategia Europa 2020 avrà scarse probabilità di successo. Queste probabilità avrebbero dovuto essere esaminate più approfonditamente nel documento della Commissione.
5.4 L'altra grande priorità per il bilancio europeo è effettivamente, come sottolineato a giusto titolo dalla Commissione, il rafforzamento delle politiche del triangolo magico «ricerca, innovazione, istruzione», che sono al centro della sfida della globalizzazione.
5.4.1 Tuttavia, con un bilancio che rappresenta solo il 4 % di quello della ricerca pubblica in Europa, non sarà certamente possibile modificare sostanzialmente la situazione di fronte alle sfide mondiali. Bisogna trovare i mezzi, soprattutto finanziari, per trasformare i programmi europei in strumenti concreti per il miglioramento della competitività dell'industria europea.
5.4.2 L'integrazione, in un modo o nell'altro, dei programmi nazionali nel programma quadro europeo di ricerca è indispensabile per ottenere economie di scala e un effetto di massa. Occorrerà inoltre assicurare che l'attenzione venga concentrata sui settori chiave, nonché tenere conto delle situazioni nazionali specifiche di partenza e porre rimedio alle disfunzioni constatate e in particolare alla pesantezza e alla lentezza delle procedure amministrative.
5.4.3 La politica europea dell'innovazione deve rappresentare il pilastro centrale della ricerca in Europa, mentre finora è stata considerata dalla Commissione come un sottoprodotto delle azioni di ricerca. Era dovere della Commissione europea proporre un importante cambiamento ed è ciò che essa ha fatto nella sua recente comunicazione Iniziativa faro Europa 2020 – L'Unione dell'innovazione, COM(2010) 546 definitivo.
5.4.4 Il CESE ricorda in particolare le sue raccomandazioni per una politica decisamente più ambiziosa, in grado di coniugare il sostegno all'imprenditorialità, l'eliminazione delle reti nazionali di sostegno e di diffusione dell'innovazione e una politica europea sui cluster, allo scopo di far emergere dei «campioni europei» anziché dei «campioni nazionali». Il Comitato accoglie con favore la decisione che è stata adottata di istituire un coordinamento rafforzato per creare un brevetto comunitario. Ciò dovrebbe avvenire quanto prima, affinché si possa porre fine a una situazione che, ormai da decenni, compromette seriamente la competitività dell'UE.
5.4.5 Nel settore dell'istruzione, il CESE ha raccomandato iniziative più ambiziose e in particolare la creazione di nuove «scuole europee» aperte a tutti, come testimonianza di un'identità europea rafforzata, la nascita di autentiche università europee (4) e una politica europea di nuove competenze per nuovi lavori (5).
5.4.6 La Commissione europea dovrebbe prestare maggiore attenzione alle analisi obiettive degli effetti delle politiche dell'UE, descriverne i risultati in maniera più particolareggiata negli allegati tecnici delle proposte legislative come la presente, e assicurare un'esatta corrispondenza con il documento principale.
5.5 Anche la politica di coesione economica, sociale e territoriale contribuisce direttamente allo sviluppo di una solidarietà europea. Il CESE si opporrà a qualsiasi smantellamento di questa politica che è il simbolo di una unione «tra i popoli». Il Comitato raccomanda tuttavia che essa venga rinnovata affinché acquisti in efficacia, in particolare semplificandone le modalità di gestione, concentrando maggiormente l'attenzione sui progetti faro collegati a priorità europee ed assicurando una più diretta partecipazione degli attori economici e sociali. In quest'ottica, l'UE deve lottare attivamente contro l'esclusione delle categorie più fragili della popolazione e sostenere le regioni e i paesi più remoti e più svantaggiati in ragione delle loro caratteristiche specifiche per consentire loro di partecipare a pieno titolo al progresso economico e sociale. Da questo punto di vista, per quanto riguarda la situazione occupazionale, il Fondo sociale europeo è lo strumento da privilegiare, soprattutto per il suo finanziamento, per l'attuazione della strategia europea per l'occupazione, che deve costituire l'asse centrale della strategia Crescita inclusiva di Europa 2020.
5.6 Un'importante priorità del bilancio dell'UE, in relazione diretta con l'obiettivo di una Unione al tempo stesso più efficace, più solidale e più vicina ai cittadini, dovrebbe consistere nell'investire maggiormente nei beni pubblici europei. Tale priorità viene giustamente citata dalla Commissione, tuttavia dovrebbe essere precisata e concretizzata. Il CESE, da parte sua, intende approfondire la riflessione di concerto con gli attori economici e sociali, per chiarire le necessità e gli obiettivi; e fin da ora pone l'accento su diverse esigenze in questo ambito.
5.6.1 Sottolinea in primo luogo il bisogno di sviluppare dei veri servizi di interesse generale su scala europea, in complementarità con le amministrazioni nazionali e in collaborazione con gli utenti europei, per assicurare la corretta organizzazione e la sicurezza dell'Unione nei settori che rientrano nella sua responsabilità collettiva.
5.6.1.1 Si tratta in particolare dell'organizzazione del mercato interno e delle dogane, ma anche dei nuovi ambiti in cui gli Stati membri hanno deciso di attribuirgli delle competenze: politica di immigrazione e asilo, giustizia e affari interni, istituzione del servizio europeo per l'azione esterna e controllo delle frontiere esterne.
5.6.2 Il CESE sottolinea altresì la necessità di incrementare gli investimenti infrastrutturali transeuropei, anche per sostenere questi servizi europei di interesse generale e permettere loro di funzionare correttamente. Troppi ritardi sono stati accumulati dal 1993, quando fu presentato da Jacques Delors il Libro bianco della Commissione, le cui proposte e la cui metodologia non sono state assolutamente messe in atto. Una gran parte del territorio europeo, soprattutto nei paesi che hanno aderito recentemente, resta esclusa dai grandi flussi commerciali a causa di queste lacune. Tra le priorità infrastrutturali da realizzare, il CESE pone l'accento sui progetti strutturanti, come i capitolati d'oneri del cielo unico europeo (6), le linee ferroviarie a grande velocità o le reti di canali navigabili. Occorrono inoltre grandi investimenti di portata europea in materia di politica energetica, per assicurare una maggiore indipendenza in materia di approvvigionamenti e investire nella sicurezza, nell'efficacia e nelle energie rinnovabili.
5.6.3 Sono altresì necessari investimenti comuni innovativi per far fronte alle nuove sfide della competitività e della sicurezza in materia di telecomunicazioni, ambiente e protezione civile.
5.7 Per quanto riguarda la politica agricola comune (PAC), il CESE ricorda le proprie posizioni (7) a favore del suo rinnovamento. Si tratta di adeguare la PAC alle nuove sfide, senza tuttavia bisogno di rinazionalizzarla né di abbandonare i principi che costituiscono i suoi punti di forza: solidarietà interna ed esterna, qualità delle produzioni alimentari, preferenza comunitaria, coesione territoriale a favore delle zone rurali, in particolare le regioni montane e insulari. Una delle missioni prioritarie della PAC, infatti, consiste soprattutto nel valorizzare il ruolo degli agricoltori. Essa inoltre deve contribuire alla gestione sostenibile delle risorse naturali, permettendo di rispondere concretamente alle grandi sfide della lotta contro il cambiamento climatico, della tutela dell'ambiente e della biodiversità (8).
5.8 Per quanto concerne la politica esterna e di aiuto allo sviluppo dei paesi terzi, il CESE ricorda le proprie posizioni favorevoli a una razionalizzazione delle rappresentanze dell'UE e degli Stati membri, nonché a un rafforzamento dell'efficacia dell'aiuto europeo, in complementarità con gli aiuti nazionali e in più stretta collaborazione con gli attori economici e sociali direttamente interessati.
5.9 In materia di aiuti allo sviluppo, per i quali va garantita la tracciabilità dell'utilizzo, il CESE ritiene che sarebbe ormai opportuno combinare i programmi nazionali ed europei, allo scopo sia di migliorare l'efficacia e la coerenza, sia di garantire maggiore visibilità all'assistenza europea. A questo proposito, il CESE ricorda di essere stato il promotore della clausola negli accordi di Cotonou che riserva il 15 % degli aiuti del FES ad azioni svolte da attori non statali; e propone che questo principio venga applicato ed esteso a tutti i programmi di sviluppo.
6. Alla ricerca dell'efficacia
6.1 Nella difficile fase che stanno attraversando le finanze pubbliche europee, il bilancio europeo deve dare l'esempio di buona governance. Senza cadere in facili demagogie sui costi amministrativi delle istituzioni europee, decisamente inferiori, in proporzione, a quelli delle amministrazioni nazionali (ad esempio, l'organico della Commissione europea non supera quello della città di Parigi!), il CESE raccomanda l'adozione di misure volte a rendere visibile la partecipazione delle istituzioni europee alle economie amministrative realizzate dagli Stati membri. Contemporaneamente le istituzioni, incluso il CESE, devono prestare attenzione, nelle procedure di assunzione e di promozione, ai principi di pari opportunità e non discriminazione sanciti dal Trattato. Il Comitato sottolinea tuttavia che questa buona governance consiste anche nel fornire alla società civile europea gli strumenti necessari per partecipare pienamente al dibattito europeo.
6.2 Gli aiuti concessi attraverso il bilancio europeo agli Stati membri dovrebbero essere soggetti a una maggiore condizionalità, soprattutto per quanto concerne il rispetto da parte dei beneficiari della normativa UE e delle decisioni della CGE; inoltre dovrebbe essere verificata la compatibilità degli aiuti UE con le norme sulla concorrenza.
6.3 Tenuto conto delle difficoltà di convergenza delle politiche economiche nel quadro dell'UEM, occorre inoltre orientare più precisamente gli aiuti basandoli sul rispetto delle condizioni di conformità con la disciplina del Patto euro plus.
6.4 Gli aiuti concessi ai paesi terzi dovrebbero essere condizionati alla tracciabilità del loro utilizzo finanziario e al rispetto dei loro impegni, soprattutto per quanto concerne le riforme economiche e sociali per adeguarsi all'apertura, i partenariati reciproci, la partecipazione degli attori socioprofessionali della società civile.
6.5 Anche lo sviluppo dell'euro e la necessità di consolidare la coesione dell'area dell'euro nei confronti dei mercati offrono delle opportunità, attualmente sottoutilizzate, per lo sviluppo di politiche innovatrici in materia di prestiti e mutui su scala europea, moltiplicando l'impatto degli aiuti concessi mediante il bilancio europeo. Il CESE raccomanda innanzitutto un coordinamento rafforzato tra la BCE, l'eurogruppo e la BEI. Esprime soddisfazione per i risultati incoraggianti ottenuti dalle prime eurobbligazioni e ne auspica un'estensione ai settori della formazione, ricerca, industria e infrastrutture europee. Parallelamente, la creazione di questo «Tesoro europeo» potrebbe essere utilizzata, nel rispetto di condizioni e di una disciplina severe, per mettere in comune una parte significativa dei debiti degli Stati membri. Questi strumenti devono servire per affermare la solidarietà interna dell'Unione europea e al tempo stesso attestare il suo impegno politico a favore dell'irreversibilità dell'euro.
6.6 Il CESE auspica che i progetti sostenuti dall'Unione europea siano definiti con maggiore precisione, in modo da concentrarsi su ciò che offre un maggiore valore aggiunto europeo. Chiede pertanto un'attenuazione della regola dell'addizionalità che non dovrebbe più essere valutata progetto per progetto, bensì in maniera globale nel quadro di partenariati strategici con gli Stati membri.
6.7 Anche un'accelerazione delle procedure di definizione delle priorità e di allocazione degli stanziamenti può permettere di soddisfare alcune necessità. Il CESE ha già raccomandato di esplorare il ricorso più generalizzato a delle agenzie specializzate ovvero a forme di «sovvenzioni globali» concesse a organismi vicini al territorio, come le regioni o le organizzazioni della società civile. Quest'ultima tecnica, privilegiata dal CESE, si è rivelata efficace in materia di politica regionale e potrebbe essere estesa a tutti gli interventi finanziari dell'UE.
6.8 Per i grandi progetti di investimenti, dev'essere altresì incoraggiato il ricorso ai prestiti della BEI e a finanziamenti privati, con un inquadramento giuridico simile a quello descritto in un recente parere del CESE (9). Quest'ultima soluzione, sviluppata su una nuova scala, permetterebbe di recuperare i ritardi infrastrutturali europei e di finanziare i grandi progetti tecnologici che condizionano la nostra competitività nella globalizzazione.
6.8.1 Il CESE inoltre ritiene che le situazioni di emergenza possano richiedere una maggiore flessibilità e meccanismi meglio calibrati, sull'esempio del Fondo di adeguamento alla globalizzazione (10).
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Parere CESE La riforma del bilancio dell'UE e le future modalità di finanziamento, in GU C 204 del 9.8.2008, pag. 113.
(2) Parere CESE Il rinnovo del metodo comunitario (orientamenti), in GU C 51 del 17.2.2011, pag. 29.
(3) Rapporto Cecchini sul Costo della non Europa, Paolo CECCHINI, 1988.
(4) Parere CESE Università per l'Europa, in GU C 128 del 18.5.2010, pag. 48.
(5) Parere CESE Nuove competenze per nuovi lavori, in GU C 128 del 18.5.2010, pag. 74.
(6) Parere CESE Cielo unico europeo, in GU C 182 del 4.8.2009, pag. 50.
(7) Parere CESE Rafforzare il modello agroalimentare europeo, in GU C 18 del 19.1.2011, pag. 1.
(8) Parere CESE La PAC verso il 2020, in GU C 132 del 3.5.2011, pag. 63.
(9) Parere CESE Investimenti pubblici e privati in GU C 51 del 17.2.2011, pag. 59.
(10) Parere CESE La riforma del bilancio dell'UE e le future modalità di finanziamento, in GU C 204 del 9.8.2008, pag. 113.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/81 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia dell'Unione europea per la Regione danubiana
COM(2010) 715 definitivo
2011/C 248/14
Correlatore: Etele BARÁTH
Correlatore: Mihai MANOLIU
La Commissione europea, in data 8 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Strategia dell'Unione europea per la Regione Danubiana
COM(2010) 715 definitivo.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 3 voti contrari e 20 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene univocamente e fermamente la nuova concezione dell'UE in materia di politica macroregionale e, in tale contesto, l'elaborazione di una strategia per la regione del Danubio. Il CESE, in quanto rappresentante istituzionale della società civile organizzata europea, auspica vivamente di avere un ruolo determinante nella definizione e nell'attuazione di questa strategia, in particolare attraverso il forum della società civile previsto nel Piano d'azione della strategia stessa. |
1.2 |
L'interesse e l'impegno del CESE per le questioni relative alla strategia per il Danubio non sono un fatto nuovo. Negli ultimi anni il Comitato ha adottato vari documenti in cui trattava specificamente di questioni come i trasporti o la tutela dell'ambiente. Si pensi, tra l'altro, al parere ECO/277, che dimostra in modo evidente le ragioni per le quali il CESE considera importante elaborare una strategia per la regione del Danubio. |
1.3 |
Il CESE ritiene che in questo contesto sia opportuno tenere conto del ruolo di questo grande fiume nella formazione di una coscienza e di un'identità comuni «danubiane», nelle quali hanno un posto centrale il dialogo interculturale e la solidarietà. Si tratta di un contributo regionale alla formazione di una coscienza comune europea. |
1.4 |
Il CESE auspica che le sue proposte riflettano adeguatamente l'impegno del Comitato stesso e della società civile organizzata europea nei confronti della strategia, come pure il loro forte sostegno alla sua realizzazione. Il CESE si aspetta che l'attuazione della strategia e quella del Piano d'azione, sostenute da un adeguato sistema di gestione, possano contribuire realmente al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutti i cittadini della regione del Danubio, che considera lo «specchio» d'Europa, nonché alla riduzione del divario esistente tra essa e le regioni più sviluppate dell'Unione. Il Comitato auspica inoltre che l'attuazione della strategia tenga conto delle esigenze di protezione dell'ambiente, assicuri la conservazione delle risorse idriche e rafforzi la tutela dei valori culturali della regione. |
1.5 |
Va notato che gli ultimi allargamenti hanno spostato sensibilmente più a Est il centro geografico dell'UE, mentre il suo baricentro economico è rimasto fermo nell'Europa occidentale. La coesione economica, sociale e territoriale, in quanto elemento decisivo della strategia per il Danubio e del Piano d'azione, nonché le idee concrete che servono alla loro realizzazione, offrono un contributo adeguato all'eliminazione di tale squilibrio. Il CESE ritiene che il nuovo approccio macroregionale potrà rappresentare un modello per numerose altre regioni dell'UE. |
1.6 |
Il CESE ritiene che la strategia e il Piano d'azione siano aperti a tutte le istanze e sensibili agli aspetti sociali, economici e ambientali, e che riflettano adeguatamente le raccomandazioni delle organizzazioni della società civile. La strategia potrà essere efficace se saprà privilegiare sistematicamente un approccio integrato e sostenibile rispetto a un approccio settoriale. Il CESE raccomanda che la strategia contribuisca ad assicurare un trattamento preferenziale ai gruppi sociali più sfavoriti e integri gli strumenti per la lotta alla povertà. |
1.7 |
A giudizio del Comitato, la strategia riflette la nuova politica dell'UE a livello di macroregioni in corso di elaborazione, e pertanto contribuisce all'armonizzazione delle attività dei dispositivi di cooperazione già esistenti nella regione a diversi livelli e in diversi ambiti, nonché al rafforzamento della loro efficacia e all'eliminazione delle sovrapposizioni. È tuttavia opportuno rendere la strategia più coerente con i nuovi orientamenti della politica di coesione. |
1.8 |
Secondo il CESE, è necessario che il sistema di gestione dell'attuazione della strategia sia chiaro, semplice e trasparente, e che consenta di avanzare con successo verso gli obiettivi stabiliti. Il CESE intende favorire il ricorso all'intero ventaglio delle possibilità offerte dal Trattato di Lisbona, applicando sistematicamente il principio della democrazia partecipativa e contribuendo in modo efficace all'attuazione del Piano d'azione. Se si vuole assicurare la buona riuscita della strategia, occorre associare e coinvolgere attivamente tutti gli attori applicando il principio del partenariato, garantire la flessibilità e procedere a un riesame periodico. In tale contesto, il CESE si rallegra dell'istituzione di un forum della società civile per il Danubio, nell'ambito del quale il Piano d'azione assegna un ruolo chiave al Comitato e ai suoi omologhi a livello nazionale. |
1.9 |
A giudizio del CESE, la strategia, in quanto politica di sviluppo macroregionale, contribuirà nel merito ad approfondire il processo di integrazione europea, in particolare nel contesto della strategia Europa 2020 (per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva), e ad avvicinare all'Unione europea i sei paesi terzi della regione, aiutandoli a realizzare le loro aspirazioni di integrazione. |
1.10 |
La Commissione elabora questa strategia partendo dal presupposto che, anche se la strategia in sé può rappresentare un progresso nella politica macroregionale dell'UE, la regione non beneficerà di alcun trattamento speciale. Ne consegue che la strategia non deve essere quella dei «tre no», e ciò nonostante il fatto che:
|
2. Strategia dell'Unione europea per la regione del Danubio: osservazioni generali
2.1 |
Il CESE constata che la regione del Danubio ha attraversato un significativo cambiamento, in quanto il bacino danubiano è ormai per buona parte uno spazio interno all'Unione europea. Oggi si profilano nuove prospettive per rispondere alle sfide e sfruttare appieno il potenziale della regione. È possibile favorire lo sviluppo socioeconomico, la competitività, la gestione dell'ambiente e una crescita efficiente sul piano energetico, e nel contempo migliorare la sicurezza e modernizzare i corridoi di trasporto. |
2.2 |
Attraverso la creazione di un quadro di cooperazione a lungo termine riguardante una vasta gamma di aspetti, la strategia (2) mira a sviluppare la cultura sociale e l'immenso potenziale economico della regione e a migliorarne le condizioni ambientali. |
2.3 |
A giudizio del CESE, la strategia dell'Unione europea per la regione danubiana è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale nel rafforzamento del trasporto sostenibile, l'interconnessione tra i sistemi energetici e la protezione dell'ambiente, la conservazione delle risorse idriche e la dinamizzazione dell'ambiente imprenditoriale. Il CESE concorda inoltre sul fatto che la strategia apporterà un nuovo valore aggiunto, sia garantendo la coerenza tra diversi ambiti politici e un maggior coordinamento tra gli Stati partecipanti che definendo un approccio integrato allo sviluppo sostenibile. |
2.4 |
La regione del Danubio è uno spazio storico, sociale, economico e funzionale delimitato dal suo bacino fluviale. La strategia amplia questo approccio al fine di pervenire a un esame integrato di tutte le priorità. In tale contesto è necessario che si stabilisca un legame tra gli abitanti della regione, le loro opinioni e le loro esigenze. Entro il 2020 tutti i cittadini della regione dovrebbero disporre, in loco, di migliori prospettive di istruzione superiore e di occupazione, e beneficiare di una maggiore prosperità. Mettendo la crescita sostenibile al centro delle sue priorità, la strategia per la regione danubiana potrà contribuire in larga misura al conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. |
2.5 |
Il CESE auspica che, nell'ambito dell'esercizio in corso e in assenza di nuovi finanziamenti per l'attuazione della strategia, un'accresciuta armonizzazione dei programmi adottati dagli Stati della regione del Danubio possa contribuire a incrementare l'impatto dei 100 miliardi di euro destinati alla regione stessa. A tal fine, è importante definire sinergie e compromessi, quali per esempio lo sviluppo di una tecnologia ecologica di punta, la collaborazione ai fini di una migliore armonizzazione tra le misure e il loro finanziamento che porti a un incremento delle ricadute sul terreno o l'eliminazione della frammentazione. |
2.6 |
Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di scegliere, tenendo conto delle possibilità economiche attuali, un numero limitato di progetti per motivi di razionalizzazione, e di procedere a una valutazione dell'efficacia. Per rafforzare la cooperazione economica e finanziaria sono necessarie misure concrete, accompagnate dall'introduzione di garanzie adeguate tra le parti interessate. |
2.7 |
Il CESE non esclude la possibilità che, a livello politico, la strategia per il Danubio debba realizzarsi in modo da prevedere, nel corso della sua applicazione, una certa flessibilità e un riesame periodico, nonché, se del caso, l'assegnazione di risorse supplementari, sia finanziarie che di altra natura. |
2.8 |
A giudizio del CESE, la coerenza rispetto alla legislazione e all'azione dell'Unione europea è l'elemento centrale della strategia. Sarà opportuno adoperarsi costantemente per colmare le lacune in materia di attuazione e ridurre le difficoltà pratiche e organizzative all'origine dei risultati insufficienti. La «dimensione territoriale rafforzata» contribuirà alla cooperazione coordinata, all'emergere di principi di organizzazione del coordinamento nei regolamenti dell'Unione e all'effettivo rispetto degli obblighi giuridici di quest'ultima, in particolare per quanto riguarda il mercato unico e l'ambiente. Potrà inoltre aprire la strada alla realizzazione di una «cooperazione rafforzata». |
2.9 |
Il CESE auspica che la strategia dell'UE per la regione danubiana divenga una componente della strategia Europa 2020, la quale sancisce l'impegno fondamentale dell'Unione a favore di una crescita innovativa, sostenibile e inclusiva. Questa evoluzione potrebbe costituire un precedente per altre strategie regionali. |
2.10 |
Il CESE concorda sul fatto che la cooperazione regionale nella regione del Danubio contribuisce alla realizzazione dei cinque obiettivi principali della strategia Europa 2020, ossia: promuovere l'occupazione, migliorare le condizioni favorevoli all'innovazione, alla ricerca e allo sviluppo, e in particolare alla diffusione delle nuove tecnologie, realizzare gli obiettivi relativi al cambiamento climatico e all'energia, migliorare i livelli di istruzione e favorire l'inserimento sociale, in particolare riducendo la povertà e affrontando la sfida dell'invecchiamento della popolazione. |
3. Strategia dell'Unione europea per la regione del Danubio: messaggi, sfide e problemi
3.1 |
Nell'Europa centrale, gli importanti eventi politici verificatisi nel 1989 hanno dato il via a un processo di trasformazione fondamentale della società. È opportuno tenere conto del fatto che la regione del Danubio comprende Stati membri che hanno aderito all'Unione in momenti diversi, paesi candidati all'adesione e paesi terzi. Il CESE constata che la maggior parte di questi paesi deve affrontare problemi analoghi, ma che non tutti questi paesi dispongono delle stesse risorse. Gli scambi di buone pratiche amministrative sono importanti per garantire la sicurezza della regione e rafforzare la sua integrazione nell'UE. |
3.2 |
Il CESE è molto attento ai divari estremi che caratterizzano la regione del Danubio sul piano economico, sociale e territoriale. Esistono differenze evidenti tra le regioni più competitive e quelle più povere, tra le popolazioni più qualificate e quelle meno istruite, tra i livelli di vita più elevati e quelli più bassi. |
3.3 |
A beneficiare delle possibilità offerte dalla strategia Europa 2020 dovranno essere in particolare le comunità emarginate (in particolare i Rom, la maggioranza dei quali vive in questa regione). Le disparità sul piano dell'istruzione e della qualifiche professionali possono essere superate. La regione danubiana può diventare una zona sicura nella quale le situazioni di conflitto, di emarginazione e di criminalità sono affrontate in modo adeguato. È necessario che si stabilisca un legame tra gli abitanti della regione, le loro idee e le loro esigenze. Nel suo parere sulla Strategia dell'Unione europea per la regione del Danubio (3), il CESE ha già raccomandato di creare un «Forum d'affari del Danubio» che comprenda attori sociali ed economici e possa costituire uno strumento importante per la cooperazione, capace di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale nella regione. |
3.4 |
I messaggi chiave della proposta di strategia dell'Unione europea per la regione danubiana sono i seguenti:
|
3.5 |
Il CESE concorda sulla necessità che la strategia sia diretta in primo luogo alla soluzione dei principali problemi riscontrabili nella regione: — Mobilità: il Danubio è di per sé un importante corridoio della RTE-T, sfruttato tuttavia al di sotto delle sue capacità. In tal senso, occorre continuare ad esaminare le modalità con cui poter eliminare le strozzature fisiche e organizzative note in relazione al Danubio (convenzione di Belgrado), tenendo conto delle decisioni prese a livello nazionale e delle esigenze di tutela ambientale e della natura. Inoltre, è necessario in particolare incrementare l'intermodalità e ammodernare ed estendere le infrastrutture dei nodi di trasporto, come i porti fluviali. Secondo il CESE, è estremamente importante migliorare le condizioni di mobilità dei viaggiatori e garantire la libera circolazione dei servizi. — Energia: in questa regione, i prezzi sono relativamente elevati, dato che la frammentazione dei mercati comporta un aumento dei costi e una riduzione della concorrenza. Il livello di sicurezza energetica è particolarmente basso. È essenziale migliorare l'efficienza energetica, in particolare economizzando l'energia e utilizzando in maggior misura le fonti rinnovabili. Gli Stati che partecipano all'attuazione della strategia devono assumersi un ruolo motore nell'elaborazione della politica europea di vicinato che garantisce la sicurezza energetica. — Ambiente: la regione del Danubio costituisce un bacino idrologico e un corridoio ecologico particolarmente importante a livello internazionale. Ciò richiede un approccio regionale e globale alla conservazione della natura, alla pianificazione del territorio e alle opere di sistemazione idraulica. È opportuno prestare attenzione alle esigenze sociali, esaminando nel contempo gli effetti sull'ambiente delle reti di trasporto, dei complessi turistici e di alcuni nuovi impianti per la produzione di energia. È altresì importante tenere conto del programma Natura 2000. Gli sport acquatici e il turismo acquatico sostenibile, così come l'educazione al rispetto dell'acqua e della natura, sono elementi importanti da prendere in considerazione al momento della progettazione dei corridoi verdi. I rischi sono grandi: in un contesto in cui le inondazioni, gli episodi di siccità e i casi più o meno gravi di inquinamento industriale si verificano con frequenza, la prevenzione, la preparazione e una reale capacità di reazione presuppongono necessariamente un elevato grado di cooperazione e di condivisione delle informazioni. — Considerazioni socioeconomiche: la regione del Danubio è caratterizzata da una grande varietà culturale e linguistica, ma anche da gravi squilibri socioeconomici. Al suo interno convivono alcune delle regioni più efficienti e alcune delle più povere dell'Unione. I contatti sono spesso carenti, e manca sovente una cooperazione efficace, sia sul piano finanziario che su quello istituzionale. La proporzione di persone altamente qualificate è inferiore alla media dell'UE-27. La mobilità è elevata, e i migliori elementi abbandonano spesso la regione alla ricerca di condizioni socioeconomiche più favorevoli. — Sicurezza, grande criminalità e criminalità organizzata: persistono gravi problemi. La tratta degli esseri umani e il contrabbando sono problemi particolarmente acuti in molti paesi della regione. La corruzione mina la fiducia dell'opinione pubblica e ostacola lo sviluppo economico e sociale. |
3.6 |
Il CESE ritiene inoltre che alla regione danubiana si offrano prospettive straordinarie, che si tratti delle relazioni commerciali, delle possibilità di sviluppo del sistema di istruzione basato su infrastrutture comunali solide e in grado di rispondere alle future esigenze del mercato del lavoro, o ancora dello sfruttamento dell'enorme potenziale racchiuso nella ricchezza culturale, etnica e sociale della regione. Nessun altro fiume bagna tante splendide capitali come il Danubio, e la regione danubiana dispone di risorse turistiche eccezionali. Altrettanto ricco è il potenziale sul piano dell'utilizzo delle energie rinnovabili. In considerazione del ricco patrimonio ambientale della regione, è necessario accordare al criterio della sostenibilità un posto di primo piano in qualsiasi progetto di sviluppo. |
3.7 |
I lavori riguardanti l'innovazione, il turismo, la società dell'informazione, le capacità istituzionali e le comunità emarginate daranno risultati positivi se saranno realizzati congiuntamente. Il CESE è convinto che un miglioramento efficace non possa prescindere dalla comunicazione e dalla trasparenza, nonché dal coordinamento della pianificazione, del finanziamento e dell'attuazione. |
3.8 |
Le carenze del mercato, che sono di origine esterna, sono evidenti e si riflettono nella mancanza di investimenti transfrontalieri. È opportuno elaborare grandi progetti e realizzarli in modo sostenibile ed efficace, condividendone i costi e i benefici. |
3.9 |
È essenziale che nella regione del Danubio si sviluppino reti adeguate, interne o collegate ad altre regioni d'Europa o del mondo. Nessuna zona deve restare ai margini. Migliorando gli assi nord-sud dell'UE e l'accesso dei paesi privi di sbocco al mare al bacino del Mediterraneo si rafforzerà la cooperazione tra l'UE e i paesi terzi. Il CESE fa eco a precedenti richieste in questo senso formulate dai comitati consultivi misti con la Romania (2002 e 2005) e l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia (2010). Le infrastrutture energetiche e di trasporto soffrono di numerose lacune e carenze, a causa di insufficienti capacità, bassa qualità, o di un'inadeguata manutenzione. Il CESE esorta la Commissione e le autorità nazionali a elaborare, coinvolgendo la società civile, proposte per ovviare a tali carenze e colmare tali lacune. Anche i contatti tra le persone e i popoli devono farsi più stretti, in particolare grazie alla cultura e al turismo. |
3.10 |
Le risorse ambientali sono un bene comune, che supera le frontiere e gli interessi nazionali dei paesi della regione, e sono sottoposte a una pressione antropica sempre maggiore. La cooperazione è essenziale, altrimenti i buoni risultati di alcuni sono rapidamente vanificati dai fallimenti di altri. È quindi opportuno rafforzare le strutture di cooperazione esistenti. |
3.11 |
La strategia (4) propone un Piano d'azione (5) nel quale i paesi e le parti interessate devono impegnarsi seriamente. La strategia insiste in particolare su un approccio integrato fondato sullo spazio e su collegamenti adeguati tra le zone urbane e quelle rurali. Un accesso equo alle infrastrutture e ai servizi, e condizioni di vita comparabili favoriranno la coesione territoriale, che costituisce un ben preciso obiettivo dell'Unione. |
3.12 |
Nell'ambito del Piano d'azione, la Commissione, in partenariato con gli Stati membri, le regioni e le altre parti interessate, ha selezionato i progetti (6) che presentano vantaggi immediati e concreti per gli abitanti della regione e hanno un impatto sulla macroregione (o buona parte di essa). |
3.13 |
Il CESE ritiene pertanto che i progetti dovrebbero favorire lo sviluppo sostenibile e interessare diverse regioni o paesi, assicurare coerenza e creare sinergie, per conseguire soluzioni in cui tutti sono vincenti, ed essere realistici (tecnicamente realizzabili e basati su un finanziamento plausibile). |
3.14 |
Il CESE approva l'idea di suddividere le grandi questioni in quattro pilastri, ciascuno dei quali raggruppa settori prioritari e differenti campi d'azione, vale a dire:
|
3.15 |
A giudizio del CESE, la regione del Danubio, che sta compiendo progressi anche ma non soltanto sul piano economico, deve anzitutto puntare a uno sviluppo coordinato degli assi di trasporto nord-sud e delle infrastrutture energetiche, oggi carenti, nonché delle reti interconnesse, giustificato dagli interessi macroregionali. Il CESE raccomanda tuttavia di elaborare un piano di salvaguardia dei versanti e degli affluenti del Danubio in caso di sviluppo del fiume come asse di trasporto. La strategia si propone inoltre di mettere in rete le PMI dei paesi della regione e si prefigge l'obiettivo di abbattere gli ostacoli alla cooperazione, appoggiandosi su un'economia verde, sulle reti di ricercatori e sulla formazione, compresa quella professionale. |
4. Le questioni relative al finanziamento, alla legislazione UE e alle strutture istituzionali dell'Unione
4.1 |
La strategia si propone di sfruttare al meglio le risorse disponibili attraverso sforzi coerenti, in particolare per quanto riguarda i settori d'azione e il finanziamento. Le azioni sono complementari. Tutte le parti interessate devono assumersi le proprie responsabilità. Una dimensione territoriale rafforzata consentirà di adottare una strategia integrata, favorirà ulteriormente il coordinamento delle politiche settoriali e contribuirà alla creazione e allo sviluppo, a livello macroregionale, dei gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT). |
4.2 |
Il CESE ritiene che il gruppo di lavoro ad alto livello che sarà costituito per definire la regolamentazione e individuare le questioni principali da affrontare potrà incarnare, con i coordinatori responsabili dei diversi temi, questa nuova forma di cooperazione istituzionalizzata a livello macroregionale, che potrà inoltre essere sostenuta attraverso le modifiche normative che saranno introdotte, se del caso, nella regione. |
4.3 |
L'attuazione della strategia si basa, ove opportuno e conformemente ai quadri di riferimento generali, sulla mobilitazione dei fondi esistenti e sul loro allineamento con gli obiettivi. Sono già state messe a disposizione somme importanti a titolo di numerosi programmi dell'Unione (ad esempio, 100 miliardi di euro sono stati stanziati dai fondi strutturali per il periodo 2007-2013, mentre importanti finanziamenti sono stati concessi attraverso gli strumenti di assistenza preadesione (IPA) e lo strumento europeo di vicinato e di partenariato (ENPI)). |
4.4 |
Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità che la ridistribuzione delle risorse avvenga soltanto sulla base di un'analisi d'efficacia, in modo da assicurarsi che le risorse riassegnate, sottraendole ad altri settori, vadano a beneficio dell'intera società. |
4.5 |
Il CESE ritiene che sia importante dedicare tutta l'attenzione necessaria ai mezzi di finanziamento che associano sovvenzioni e prestiti. Possono inoltre essere mobilitate risorse nazionali, regionali e locali. È importante, infatti, avere accesso a finanziamenti di varia origine, provenienti in particolare da fonti pubbliche e private che non operano a livello dell'Unione. Oltre a vigilare su un più efficace uso delle risorse, è opportuno prestare attenzione, in materia di finanziamenti, alla ripartizione dei rischi. |
4.6 |
A giudizio del CESE, il coordinamento dei settori d'intervento spetta alla Commissione, mentre gli Stati membri, dopo aver consultato la Commissione stessa e le agenzie e gli organismi regionali interessati, devono occuparsi del coordinamento di ciascun ambito prioritario. |
4.7 |
Il CESE è fermamente convinto che l'attuazione delle azioni sia responsabilità di tutti, a livello nazionale, regionale, comunale e locale. Le azioni (che determinano gli obiettivi da raggiungere) devono assumere la forma di progetti concreti (particolareggiati, gestiti da un direttore di progetto, accompagnati da calendari di attuazione e dotati di finanziamenti). |
4.8 |
Il CESE auspica che la strategia offrirà un quadro sostenibile per l'integrazione strategica e lo sviluppo coerente della regione del Danubio, fissando priorità d'azione destinate a farne una regione dell'Unione rivolta al XXI secolo. La strategia deve essere accompagnata da importanti azioni di informazione e da un'adeguata pubblicità affinché i suoi obiettivi siano ampiamente conosciuti e realizzati nella pratica. |
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) GU C 339 del 14.12.2010, pag. 29 (2010/C 339/07).
(2) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Strategia dell'Unione europea per la Regione Danubiana (SEC(2010) 1489 definitivo), (SEC(2010) 1490 definitivo), (SEC(2010) 1491 definitivo).
(3) GU C 48 del 15.2.2011, pag. 2 (2011/C 48/02).
(4) La strategia dell'Unione europea per la regione danubiana è presentata in due documenti: (1) una comunicazione della Commissione europea alle altre istituzioni dell'UE e (2) il Piano d'azione che accompagna e integra la comunicazione stessa.
(5) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Strategia dell'Unione europea per la Regione Danubiana (COM(2010) 715 definitivo) (SEC(2010) 1489 definitivo), (SEC(2010) 1490 definitivo), (SEC(2010) 1491 definitivo).
(6) Promuovere l'idea di un forum civile del Danubio, che sarebbe un pilastro della partecipazione della società civile alla strategia.
ALLEGATO
al Parere del Comitato economico e sociale europeo
Pur avendo ottenuto il sostegno di almeno un quarto dei voti espressi, il seguente emendamento è stato respinto in sessione plenaria:
Emendamento 4, presentato da Ribbe
Punto 3.8
Modificare come segue:
Le carenze del mercato, che sono di origine esterna, sono evidenti e si riflettono nella mancanza di investimenti transfrontalieri.
Motivazione
1) |
Nella regione danubiana è indubbiamente necessario realizzare con urgenza anche «grandi progetti»; tuttavia, non è molto chiaro cosa si intenda con tale espressione. Dato, però, che al punto 3.9 si menziona espressamente uno di questi grandi progetti (o meglio progetti faraonici), il CESE dovrebbe procedere con cautela e non dare l'impressione di ritenere che sia proprio la realizzazione di grandi progetti, come descritto al punto 3.9, a favorire lo sviluppo. Al contrario, infatti, anche i progetti di piccole e medie dimensioni risultano adeguati al fine di creare occupazione, rispettando nel contempo gli obiettivi di sostenibilità e quelli ambientali. In Bulgaria, ad esempio, sono state introdotte temporaneamente delle limitazioni al potenziamento delle energie rinnovabili perché le reti energetiche non sono sufficienti. Gli investimenti per la realizzazione di nuovi progetti energetici potrebbero essere utili, ma probabilmente non è ciò che si intende affermare in questo punto. |
2) |
Non è chiaro cosa intendano i correlatori quando scrivono «condividendo i costi e i benefici». Chi dovrebbe sostenere i costi dei grandi progetti, e chi sarebbe disposto a condividerne i benefici? |
Esito della votazione
Voti favorevoli |
: |
68 |
Voti contrari |
: |
71 |
Astensioni |
: |
26. |
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/87 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Legiferare con intelligenza nell'Unione europea
COM(2010) 543 definitivo
2011/C 248/15
Relatore: Jorge PEGADO LIZ
La Commissione europea, in data 8 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Legiferare con intelligenza nell'Unione europea
COM(2010) 543 definitivo.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente l'interesse mostrato dalla Commissione europea, non solo nella comunicazione all'esame ma anche nei documenti relativi alla strategia Europa 2020 e all'Atto per il mercato unico, per l'approfondimento delle procedure politiche, legislative ed amministrative che consentono di elaborare e applicare il diritto dell'Unione in modo più razionale e adeguato in tutte le diverse fasi, da quelle iniziali sino all'applicazione da parte degli organi competenti degli Stati membri e alla valutazione definitiva dell'effettivo recepimento e osservanza da parte dei destinatari finali. |
1.2 |
Il CESE tuttavia non comprende la necessità di dare all'iniziativa una nuova denominazione in sostituzione della già consacrata «Legiferare meglio», a meno che non sia perché si tratta di un documento di carattere puramente politico. |
1.3 |
Il CESE è lieto che diverse delle sue proposte in materia formulate in precedenti pareri siano state accolte. Per tale motivo, si compiace che la Commissione abbia annunciato di voler rafforzare il controllo della sussidiarietà e della proporzionalità, rendere più rigorose le valutazioni d'impatto e più strategica e integrata la valutazione ex post, coinvolgere più attivamente gli Stati membri e i parlamenti nazionali, dando loro maggiori responsabilità e sostenendoli nel lavoro a loro proprio durante l'iter legislativo. Accoglie infine con particolare soddisfazione l'intenzione di garantire una maggiore partecipazione dei cittadini e delle altre parti interessate all'elaborazione, al recepimento e all'applicazione del diritto dell'Unione, grazie in particolare all'estensione del termine generale per le consultazioni pubbliche e snellendo e rendendo più efficaci le procedure in materia di infrazioni. |
1.4 |
Tuttavia, il CESE ritiene che la comunicazione non si spinga fin dove sarebbe auspicabile per poter diventare un elemento idoneo alla realizzazione degli aspetti legislativi dell'attuazione della strategia Europa 2020 o semplicemente all'applicazione delle misure prioritarie previste dall'Atto per il mercato unico. |
1.5 |
Per il CESE è indispensabile che alla comunicazione faccia seguito un vero e proprio programma d'azione che definisca obiettivi, proponga misure, precisi i necessari strumenti, valuti l'impatto, fissi una serie di opzioni e stabilisca un rapporto costi/benefici; programma che deve essere oggetto di un ampio dibattito preliminare con la società civile a livello dell'UE e a livello nazionale, regionale e locale. |
1.6 |
Per tale motivo, chiede alla Commissione di prendere in particolare considerazione, negli sviluppi successivi alla comunicazione, gli orientamenti di carattere generale formulati nel presente parere e che incarnano le posizioni assunte da anni dal Comitato in materia. |
1.7 |
Il CESE ritiene in particolare che occorra definire meglio aspetti quali le modalità di realizzazione delle valutazioni d'impatto ex ante da parte di tutte le istituzioni dell'Unione responsabili in materia, la natura e la composizione del comitato incaricato di controllare le valutazioni d'impatto, i parametri utilizzati, specie quando si tratta dell'impatto su diritti fondamentali, le modalità e gli strumenti atti a garantire una maggiore trasparenza. Anche il settore finanziario, quello sanitario e della previdenza sociale dovrebbero essere affrontati con un approccio settoriale maggiormente particolareggiato. Infine, è essenziale definire meglio i criteri di priorità, i meccanismi di valutazione e considerazione dei reclami, gli strumenti necessari per individuare ufficiosamente le infrazioni, i mezzi per migliorare l'azione dei tribunali nazionali nonché altri strumenti complementari. |
1.8 |
Il CESE ritiene che la Commissione abbia trascurato vari aspetti di grande interesse e chiede che tali aspetti vengano debitamente analizzati ed espressamente inclusi nel documento. È il caso, in particolare, degli indici e dei parametri per valutare la qualità dei testi giuridici, delle misure concrete di semplificazione legislativa, dell'inspiegabile mancanza di un riferimento alla necessità di optare chiaramente per lo strumento del regolamento, specie ai fini di un'armonizzazione completa nelle materie relative alla realizzazione del mercato interno, dell'imperdonabile assenza di un riferimento all'opzione a favore di regimi facoltativi e al ruolo dell'autoregolamentazione e della co-regolamentazione, e infine del fatto, di per sé sorprendente, che la Commissione non abbia minimamente citato il lavoro importantissimo portato a termine nell'ambito del QCR (Quadro comune di riferimento) e le proposte attualmente in discussione per una maggiore armonizzazione del diritto europeo dei contratti. |
1.9 |
Il CESE tuttavia reputa che il punto più debole della comunicazione sia quello relativo all'effettiva applicazione del diritto dell'Unione. Chiede pertanto alla Commissione di riflettere in modo approfondito sulle origini e sulle cause principali dell'applicazione generalmente carente dell'acquis comunitario, un aspetto ribadito ogni anno nelle relazioni in materia. Le chiede inoltre di prendere nella giusta considerazione i tanti contributi e le numerose raccomandazioni formulate dal CESE in diversi pareri e di realizzare uno studio sistematico delle misure indispensabili per modificare radicalmente la situazione attuale. |
2. Introduzione: definizione del concetto e antecedenti
2.1 |
Conformemente alla comunicazione oggetto del presente parere, legiferare con intelligenza significa:
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2.2 |
Per la Commissione, come hanno ripetutamente e insistentemente affermato i suoi rappresentanti che hanno preso parte alle riunioni di preparazione del presente parere, si tratta di un documento puramente politico e non tecnico e per tale motivo sarebbe inutile cercare al suo interno una vera e propria definizione di «regolamentazione intelligente». |
2.3 |
L'iniziativa attuale «Legiferare con intelligenza» si presenta tuttavia come il seguito dell'iniziativa «Legiferare meglio» alla quale le istituzioni dell'Unione in generale e la Commissione europea in particolare hanno dedicato gran parte del lavoro svolto negli ultimi 10 anni con notevoli successi, come il CESE (che l'ha sempre appoggiata e incoraggiata) ha riconosciuto espressamente in diversi pareri (1). |
3. Osservazioni generali
3.1 |
L'attuale panorama del diritto dell'UE impone una riflessione approfondita sulla sua definizione ed elaborazione, sul suo recepimento e sulla sua applicazione: una riflessione analoga va fatta sulla sua revisione e sulla sua semplificazione. |
3.2 |
Il CESE ritiene dunque che il tema debba essere discusso in modo approfondito con la partecipazione della società civile, innanzi tutto perché è su quest'ultima che si fanno sentire gli effetti della legislazione dell'Unione e poi perché la sua partecipazione può contribuire in modo decisivo all'auspicabile miglioramento del quadro normativo esistente. |
3.3 |
In tale contesto, nonostante si tratti solo di un documento puramente politico, la comunicazione non sembra essere all'altezza di quanto richiesto. È piena di buoni propositi e belle intenzioni ma manca di misure concrete e di strumenti efficaci. |
3.4 |
In generale si può affermare che in quanto documento puramente politico, il testo dovrà essere integrato da un vero e proprio programma in cui si precisino gli obiettivi da raggiungere, si concretizzino le misure, si definiscano gli strumenti necessari e si valuti l'impatto previsto. Il programma dovrebbe inoltre stabilire delle opzioni e definire il rapporto costi/benefici. |
3.5 |
Il CESE valuta molto positivamente la diagnosi su cui si basa la comunicazione e gli obiettivi prefissati. A meno che la ragione non stia nel fatto che il documento è un puro testo politico, non capisce il motivo del cambiamento nel nome dell'iniziativa: da «Legiferare meglio» a «Legiferare con intelligenza». |
3.6 |
In tal senso, è opportuno ribadire le posizioni già assunte dal CESE in materia:
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4. Osservazioni specifiche
A. Gli aspetti positivi
4.1 |
Passando a una valutazione specifica del documento all'esame, il Comitato individua diversi aspetti positivi che sono accolti favorevolmente e condivisi. |
4.2 |
Uno di tali aspetti è, ad esempio, la proposta di potenziare il controllo della sussidiarietà e della proporzionalità o quella di migliorare la qualità dei testi legislativi grazie soprattutto a valutazioni d'impatto più rigorose. |
4.3 |
Altro elemento positivo è l'intenzione di proseguire con i programmi di semplificazione legislativa e di riduzione, per lo meno del 25 %, degli oneri amministrativi inutili. |
4.4 |
Un ulteriore aspetto da sottolineare come positivo è l'idea di una valutazione ex post maggiormente strategica e integrata, che tenga conto non solo del quadro legislativo esistente ma anche delle relative ripercussioni economiche, sociali e ambientali e che non faccia unicamente riferimento ad una singola iniziativa legislativa «in quanto tale». |
4.5 |
Assumono particolare valore tutte le iniziative che impongono agli Stati membri di assumersi le loro responsabilità nell'ambito dell'iter legislativo; i parlamenti nazionali devono prendere parte all'elaborazione dei testi legislativi, conformemente alle nuove competenze assegnate loro dal TFUE, con particolare riferimento al disposto degli articoli da 8 a 13. |
4.6 |
Il Comitato pertanto approva il fatto che la Commissione sia disposta non solo a sostenere i vari organi e organismi degli Stati membri coinvolti nel recepimento e nell'applicazione dell'acquis comunitario ma anche ad assicurare la partecipazione dei cittadini e delle altre parti interessate al dibattito che tutti i paesi sono chiamati ad avviare sul processo di preparazione delle norme dell'Unione, sul loro recepimento e sulla loro articolazione con gli ordinamenti giuridici nazionali. |
4.7 |
Il CESE accoglie in modo particolarmente favorevole l'impegno della Commissione a facilitare le procedure relative alle infrazioni e a definire priorità, senza dimenticare il ruolo di Solvit, data la necessità di dare nuovo impulso e di garantire una maggiore diffusione e credibilità presso le parti interessate. |
4.8 |
Il Comitato infine approva in modo particolare l'estensione del periodo generale delle consultazioni pubbliche da otto a dodici settimane «nell'intento di dare maggiore spazio alle opinioni dei cittadini e delle parti interessate». Secondo il CESE, tale misura è strettamente collegata al contenuto dell'articolo 11 del Trattato di Lisbona in quanto rappresenta un contributo al raggiungimento della democrazia partecipativa all'interno dell'UE. |
B. I possibili miglioramenti
4.9 |
Il CESE comprende le ragioni per le quali la Commissione ritiene che la valutazione dell'impatto debba continuare ad essere di competenza dell'apposito comitato interno. Tuttavia, non può ignorare le argomentazioni di coloro che, nell'ambito della pubblica consultazione, hanno espresso interesse affinché il compito di effettuare tale controllo passi ad un ente esterno indipendente. Si potrebbe creare in alternativa un'istituzione interna composta da rappresentanti di tutti gli Stati membri. In ogni caso, occorre estendere il mandato del comitato per la valutazione d'impatto attraverso un meccanismo che imponga le valutazioni stesse. Inoltre, il comitato per la valutazione d'impatto non ha il potere di bloccare una relazione di valutazione d'impatto e, di conseguenza, di impedire che avanzi l'iter della proposta legislativa collegata, qualora la sua analisi rivelasse importanti lacune nel lavoro di ricerca condotto. Questi temi dovrebbero essere discussi in modo più approfondito dato che, come la stessa Commissione riconosce, sono « elementi essenziali del sistema». |
4.10 |
Inoltre, in una recente relazione della Corte dei conti si afferma che la Commissione europea non reputa necessaria la consultazione sui progetti di valutazione d'impatto nonostante le ripetute richieste delle parti interessate. Una consultazione del genere contribuirebbe a migliorare l'iter dal punto di vista delle parti interessate assicurando in tal modo che il processo di co-legislazione, al quale prendono parte sia il Consiglio dei ministri sia il Parlamento europeo, sia alimentato dal «prodotto più adeguato». |
4.11 |
Sempre la Corte dei conti sottolinea chiaramente, nella sua relazione, che uno dei principali punti deboli nel sistema di valutazione dell'impatto dell'UE risiede nel fatto che né il Parlamento europeo né il Consiglio analizzano sistematicamente l'impatto dei loro stessi emendamenti. Il CESE invita il Consiglio e il Parlamento europeo ad elaborare e pubblicare una sintesi delle loro valutazioni d'impatto che sia di facile lettura e a rispettare l'Accordo interistituzionale (2). |
4.12 |
La comunicazione non precisa i parametri che potranno essere utilizzati nelle valutazioni d'impatto che desidera effettuare (3). |
4.13 |
Per quanto concerne la maggiore trasparenza del sistema, la Commissione dovrebbe indicare in che modo e con quali nuovi strumenti intenda realizzare tale obiettivo. |
4.14 |
Per quanto riguarda la valutazione d'impatto sui diritti fondamentali, sarebbe utile che la Commissione precisasse come e con quali mezzi concreti intende effettuarla. |
4.15 |
Considerando che l'attuale crisi economica e finanziaria ha fatto prendere coscienza della necessità di ridefinire il ruolo della regolazione e della regolamentazione degli operatori sui mercati, il CESE giudica opportuno inquadrare la nuova iniziativa della «Regolamentazione intelligente» a livello settoriale e intersettoriale; tra i settori ai quali la comunicazione dovrebbe dedicare una particolare attenzione figurano il settore finanziario, quello sanitario e la previdenza sociale. |
4.16 |
Per quanto attiene all'espletamento dei suoi poteri in materia di infrazioni, e in particolare ai «provvedimenti interni di organizzazione necessari all'esercizio effettivo e imparziale della sua missione, in conformità del Trattato» (4), il Comitato suggerisce alla Commissione di specificare i criteri prioritari, i meccanismi di valutazione e di considerazione dei reclami, gli strumenti di cui dispone per individuare ufficiosamente i casi di inadempimento, i mezzi per migliorare l'azione dei tribunali nazionali e di altri strumenti complementari (Solvit, FIN-NET, ECC-NET, strumenti alternativi ed extragiudiziari). |
C. Le lacune
4.17 |
Per quanto riguarda il miglioramento della qualità dei testi legislativi, il documento della Commissione non precisa gli indici e i parametri ai quali fare riferimento. |
4.18 |
Riguardo alla semplificazione legislativa, mancano riferimenti a misure concrete che sembrano evidenti, ad esempio:
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4.19 |
La comunicazione non afferma chiaramente che bisogna privilegiare lo strumento giuridico del regolamento rispetto alla direttiva, nonostante la strategia Europa 2020 sia invece orientata proprio in quel senso. |
4.20 |
Non si fa alcun riferimento ai lavori importantissimi condotti nell'ambito del Quadro comune di riferimento (QCR) né alle recenti proposte della Commissione, attualmente in discussione, per una maggiore armonizzazione del diritto europeo dei contratti (5). |
4.21 |
Manca un riferimento alla necessità di considerare sistematicamente il «28o regime» nell'ambito delle iniziative «Legiferare meglio» (6). |
4.22 |
È inoltre sorprendente il fatto che la comunicazione non prenda minimamente in esame il ruolo dell'autoregolamentazione e della co-regolamentazione, né faccia alcun cenno alla necessità di considerare la possibilità di risolvere in modo utile una questione attraverso regole non prescrittive (soft law) invece di ricorrere alla regolamentazione. |
4.23 |
Ma il punto più debole della comunicazione è quello relativo agli aspetti legati all'applicazione del diritto dell'Unione. In tale particolare contesto, il CESE desidera richiamare l'attenzione sui suoi pareri in materia (7) e sulle conclusioni del recente convegno organizzato dalla presidenza belga su questo argomento (8). |
4.24 |
Particolarmente significativa è, in tale contesto, la relazione della Commissione sul controllo dell'applicazione del diritto dell'UE, pubblicata il 1o ottobre 2010 (9), in cui si afferma che, nonostante un piccolo miglioramento rispetto all'anno precedente, la percentuale di ritardi nel recepimento è ancora del 51 %, e il tempo medio per il trattamento delle infrazioni è di 24 mesi. |
4.25 |
Nella comunicazione in esame, la Commissione non menziona nessuna delle cause principali dell'inadeguata applicazione del diritto dell'Unione negli Stati membri, fenomeno alquanto diffuso e al quale il CESE ha fatto più volte riferimento. Questo può essere dovuto alla natura strettamente politica del documento. Tuttavia, vista l'importanza che assumono nel quadro di una regolamentazione più intelligente, vanno menzionate:
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4.26 |
L'azione della Commissione dovrebbe essere rivolta in via prioritaria anche all'informazione e alla formazione delle autorità pubbliche nazionali, in particolare di quelle che hanno responsabilità più dirette nell'applicazione del diritto dell'Unione negli Stati membri. In questo settore si dovrebbe intensificare l'informazione e la formazione dei giudici e di altri magistrati in genere, persone alle quali spetta in ultima analisi l'interpretazione del diritto e la sua applicazione ai casi specifici oggetto di controversia. |
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Cfr. GU C 48 del 15.2.2011, pag. 107 e GU C 175 del 28.7.2009, pag. 26.
(2) GU C 321 del 31.12.2003, pag. 1.
(3) GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 23.
(4) COM(2002) 725 definitivo.
(5) Libro verde della Commissione sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese (COM(2010) 348 definitivo).
(6) Cfr. il parere d'iniziativa del CESE sul tema 28o regime (CESE 758/2010 del 27 maggio 2010) e i riferimenti a tale metodo contenuti in importanti relazioni recenti, ad esempio la relazione Monti Una nuova strategia per il mercato unico del 9 maggio 2010, la relazione Felipe Gonzales Progetto Europa 2030 dell'8 maggio 2010 o la relazione Lamassoure Il cittadino e l'applicazione del diritto comunitario dell'8 giugno 2008.
(7) GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52 e GU C 18 del 19.1.2011, pag. 100.
(8) Incontro ad alto livello European consumer protection enforcement day («Giornata europea sull'applicazione del diritto sulla protezione dei consumatori») (Bruxelles, 22 settembre 2010).
(9) 27a relazione annuale della Commissione sul controllo dell'applicazione del diritto dell'UE (2009) (COM(2010) 538 definitivo).
(10) GU C 321 del 31.12.2003, pag. 1.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/92 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — La politica in materia di revisione contabile: gli insegnamenti della crisi
COM(2010) 561 definitivo
2011/C 248/16
Relatore: MORGAN
La Commissione europea, in data 13 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:
Libro verde - La politica in materia di revisione contabile: gli insegnamenti della crisi
COM(2010) 561 definitivo.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 153 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Panoramica
1.1.1 Il Libro verde è intitolato La politica in materia di revisione contabile: gli insegnamenti della crisi. Il CESE ritiene che l'ampiezza della crisi sia da addebitare al fatto che nessuna delle parti coinvolte abbia agito come avrebbe dovuto, tanto meno i consigli di amministrazione (CdA) di molte banche. Viste le mancanze dei CdA delle banche, le autorità di regolamentazione, le autorità di vigilanza e i revisori legali dei conti avrebbero dovuto individuare i problemi che hanno causato la crisi, ma non vi sono riusciti. L'UE ha già affrontato le questioni di regolamentazione e quelle di vigilanza. Una revisione del ruolo dei revisori legali dei conti si rende chiaramente necessaria; in effetti il CESE aveva chiesto proprio tale revisione nel suo parere del 2009 sulla relazione de Larosière (1). Il Libro verde va oltre il ruolo della revisione contabile per considerare argomenti quali la governance, la vigilanza e la concentrazione. Il CESE concorda sul fatto che tali questioni abbiano effettivamente un impatto sulla performance dei revisori contabili durante una crisi.
1.1.2 Il Libro verde contiene 38 domande. Tre di esse affrontano temi molto controversi: la domanda 18 sull'obbligo di indire una gara d'appalto, la domanda 28 sulla revisione contabile congiunta e la domanda 32 sull'inversione della concentrazione a favore delle Big Four. In ogni caso, qualunque politica la Commissione sia intenzionata ad adottare, il CESE raccomanda che venga condotta una rigorosa valutazione d'impatto prima di arrivare a qualsiasi decisione.
1.2 Il ruolo del revisore contabile
1.2.1 Il ruolo del revisore legale dei conti, come attualmente definito ed esercitato, non è adeguato allo scopo. Il comitato per la revisione contabile o la vigilanza rappresenta la controparte essenziale del revisore legale dei conti.
Il rafforzamento dell'indipendenza del revisore contabile esterno e la riforma del comitato per la revisione contabile o la vigilanza sono al centro delle proposte del presente parere.
1.2.2 Il CESE propone che la direttiva del 2006 relativa alle revisioni legali dei conti venga modificata in modo da rafforzare il ruolo del comitato per la revisione contabile o la vigilanza:
— |
la maggioranza dei membri del comitato e il presidente di tale comitato devono essere indipendenti, |
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la competenza di alcuni membri del comitato deve essere pertinente per le caratteristiche settoriali dell'impresa interessata, specialmente nel settore bancario, |
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il comitato per la revisione contabile o la vigilanza non dovrebbe soltanto monitorare, ma anche assumersi effettivamente la responsabilità dell'integrità del processo di revisione contabile. |
1.2.3 In riferimento ai sistemi di gestione duali che hanno sia un consiglio di gestione che un consiglio di vigilanza, il CESE è a favore di un più stretto collegamento tra il revisore legale dei conti e il consiglio di vigilanza.
1.2.4 In generale, secondo il CESE è necessario apportare i seguenti miglioramenti:
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affinare la descrizione delle mansioni e delle responsabilità del revisore legale dei conti, |
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aumentare il grado di chiarezza e di comprensione della relazione del revisore legale soprattutto in merito ai rischi esistenti, |
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sviluppare la revisione contabile in direzione di una relazione sulla situazione aziendale (validità del modello di attività, solidità finanziaria, visibilità e gestione dei rischi d'impresa), |
— |
migliorare la comunicazione tra i revisori legali e gli organi di controllo dell'impresa nel corso dell'anno, già nel corso della revisione stessa. |
1.3 Governo societario e indipendenza
Il CESE non è d'accordo sulla rotazione obbligatoria degli incarichi, ma concorda sul fatto che l'incarico continuativo delle imprese di revisione legale dei conti dovrebbe essere limitato dall'obbligatoria pubblicazione di una nuova gara d'appalto per il contratto di revisione contabile ogni sei-otto anni. La prestazione di servizi diversi dalla revisione contabile da parte dei revisori legali ai loro clienti dovrebbe essere rigidamente controllata con l'espressa approvazione del comitato per la revisione o la vigilanza, mentre, per le grandi imprese, la prestazione - da parte dei revisori legali - di servizi di consulenza sui rischi e di servizi di revisione contabile interna dovrebbe essere vietata a causa del conflitto d'interessi connesso. La prestazione di servizi di consulenza fiscale dovrebbe essere limitata quando potrebbe insorgere un conflitto sostanziale d'interessi.
1.4 Vigilanza
Dovrebbe essere stipulato per legge l'obbligo per i revisori legali e le autorità di vigilanza di incontrarsi regolarmente. Ciò è particolarmente necessario nel caso delle banche d'importanza sistemica.
1.5 Concentrazione
La concentrazione della maggior parte del mercato delle grandi imprese di revisione contabile nelle mani delle Big Four rappresenta un oligopolio. Le imprese erano cinque prima del fallimento della società Arthur Andersen. Un altro fallimento sarebbe inconcepibile. Il CESE raccomanda un'azione a breve termine attraverso i «testamenti biologici» per mitigare l'effetto di un possibile fallimento di un'impresa. In un'ottica di lungo termine, il Comitato giudica necessaria una riconfigurazione del mercato. A tal fine raccomanda di rimettere l'oligopolio alle autorità della concorrenza competenti degli Stati membri, a cominciare dalla Germania, dai Paesi Bassi e dal Regno Unito.
1.6 Mercato europeo
La creazione di un effettivo mercato europeo per la revisione legale dei conti è un obiettivo auspicabile, ma le differenze in termini di tassazione, legislazione e lingua rimangono dei temibili ostacoli. È possibile una certa razionalizzazione.
1.7 Semplificazione per le PMI
Le PMI possono assumere tutte le forme e dimensioni. Se ci sono investimenti esterni e/o importanti facilitazioni bancarie e/o grandi clienti e fornitori preoccupati per l'integrità delle loro catene di valore, è difficile immaginare molte «scorciatoie».
1.8 Cooperazione internazionale
Il CESE ritiene che essa dovrebbe essere obbligatoria. Ciò richiede delle iniziative da assumere insieme con il Financial Stability Board (FSB - Consiglio per la stabilità finanziaria) e al G20, ma gli sforzi più immediati dovrebbero essere realizzati con gli Stati Uniti attraverso il G8.
1.9 Governo societario
Il CESE si rammarica che il Libro verde sulla politica in materia di revisione contabile non includa un capitolo sul governo societario. Un nuovo Libro verde sul tema Il quadro dell'Unione europea in materia di governo societario (COM(2011) 164 definitivo) è stato appena pubblicato. È indispensabile che la Commissione integri le proposte sul governo societario con le proposte sulla politica in materia di revisione contabile. Tali questioni sono legate in modo inscindibile nella misura in cui è in gioco la veridicità dei conti.
2. Introduzione
2.1 In base alla legislazione esistente, è responsabilità del CdA tenere i conti dell'impresa e fornire una rappresentazione veritiera e corretta della sua situazione. Le grandi imprese sono obbligate a utilizzare la convenzione contabile dei principi internazionali di informativa finanziaria (IFRS). È responsabilità dei revisori legali dei conti valutare se il CdA abbia fornito una rappresentazione veritiera e corretta e se la convenzione degli IFRS sia stata seguita. La relazione degli amministratori e la valutazione dei revisori legali sono entrambe pubblicate nella relazione e nei conti annuali delle imprese. Le relazioni annuali antecedenti la crisi preparate dagli amministratori bancari non contenevano alcun avvertimento sulla crisi in arrivo, mentre i revisori legali hanno continuato a dare a quelle relazioni un certificato di «buona salute». L'insegnamento principale della crisi è che questo stato di cose deve cambiare. Il CESE è dell'avviso che al centro di questo cambiamento dovrebbero essere il comitato per la revisione contabile o la vigilanza e la salvaguardia dell'indipendenza del revisore legale.
2.2 Lo status quo è rispecchiato nelle dichiarazioni degli amministratori e dei revisori legali pubblicate nelle relazioni annuali.
Il CESE ha anche esaminato relazioni di revisione legale pubblicate in Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. In tutti gli Stati membri, l'attenzione del revisore legale è incentrata sulla procedura e sul processo. Il riferimento alla conformità agli IFRS è ripetuto dai revisori legali in tutta l'UE. Adesso vengono manifestate delle preoccupazioni in quanto la segnalazione della conformità agli IFRS sembra far venir meno un giudizio su alcuni aspetti della contabilità e della revisione contabile.
2.3 Un esame delle valutazioni di revisione effettuate in Germania da un'impresa facente parte delle Big Four relative ai conti di Deutsche Bank, di Munich Re e BMW rivela tra le altre cose, nella traduzione in inglese, una formulazione quasi identica, sebbene le tre imprese siano molto diverse. Questa tendenza ad utilizzare un testo standardizzato nasconde la sostanza della revisione contabile all'utente. Il revisore legale conferma che le procedure appropriate sono state seguite, ma non c'è alcuna indicazione sull'ampiezza della revisione contabile. Il CESE ritiene che siano necessari dei cambiamenti per garantire che le relazioni di revisione antepongano la sostanza alla forma.
2.4 I revisori esterni fanno largo assegnamento sui sistemi di controllo interni dei clienti e la maggior parte della revisione contabile si concentra sull'integrità di questi sistemi. Le grandi imprese hanno funzioni formali di revisione contabile interna che sono indipendenti dalla funzione della finanza e riferiscono direttamente al comitato per la revisione contabile. La revisione contabile interna è responsabile di verificare l'integrità dei sistemi di controllo interni. Alcune imprese appaltano la revisione contabile interna a terzi. In questo caso, i servizi dati in appalto non dovrebbero mai essere forniti dall'impresa di revisione legale designata. È responsabilità del comitato per la revisione contabile o la vigilanza garantire l'indipendenza della funzione di revisione contabile interna e, per estensione, l'integrità del sistema di controlli interni.
2.5 La revisione contabile fornisce assicurazioni in merito alle informazioni finanziarie contenute nei conti annuali, ma attualmente non viene data alcuna valutazione specifica sulle decisioni imprenditoriali dell'azienda. Uno degli insegnamenti della crisi è che gli amministratori dovrebbero individuare nelle loro relazioni lo stato degli affari dell'impresa, inclusa una valutazione dei «rischi», e i revisori legali dovrebbero fornire una qualche assicurazione in merito a queste dichiarazioni. Per questo motivo, i revisori legali non dovrebbero fornire consulenza ai loro clienti in merito alla valutazione e gestione del rischio (2).
2.6 Dopo aver considerato le carenze e le lacune dell'attuale sistema di informativa finanziaria per gli azionisti e le parti interessate e soprattutto tenuto conto della sorte toccata a certe banche durante la crisi, si è creato un ampio sostegno all'ampliamento del ruolo del comitato per la revisione contabile o la vigilanza. Ad esempio, il Consiglio per l'informativa finanziaria («Financial Reporting Council») del Regno Unito ha proposto i seguenti principi come base per una riforma della rendicontazione:
— |
una rendicontazione discorsiva di qualità più alta, specialmente sulla strategia commerciale e la gestione del rischio, |
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un riconoscimento più esteso dell'importanza dei comitati per la revisione contabile e, di conseguenza, una maggiore attenzione al loro contributo per l'integrità dell'informativa finanziaria, |
— |
una maggiore trasparenza sul modo in cui i comitati per la revisione contabile assolvono le loro responsabilità per quel che concerne l'integrità della relazione annuale, inclusa la vigilanza sui revisori contabili esterni, |
— |
più informazioni sul processo di revisione contabile, a beneficio sia dei comitati per la revisione contabile che degli investitori, e un ampliamento dell'ambito di responsabilità del revisore contabile, |
— |
relazioni annuali più accessibili attraverso l'utilizzo della tecnologia. |
2.7 Il CESE approva questi principi. Le implicazioni sono le seguenti:
1. |
Gli amministratori dovranno descrivere in modo più dettagliato le misure che prendono per garantire l'affidabilità delle informazioni su cui sono basate sia la gestione di un'impresa che la sua conduzione da parte degli amministratori, nonché per fornire più trasparenza sulle attività dell'impresa e sui rischi associati. |
2. |
I revisori legali dovranno fornire relazioni che includano una sezione sulla completezza e ragionevolezza della relazione del comitato per la revisione contabile e individuino eventuali punti nella relazione annuale che i revisori legali ritengono non corretti o incoerenti con le informazioni contenute nei bilanci od ottenute nel corso della loro revisione contabile. |
3. |
La forza crescente con cui i comitati per la revisione contabile o la vigilanza chiedono conto al management e ai revisori legali delle loro azioni dovrebbe essere potenziata da una maggiore trasparenza attraverso relazioni più complete da parte di questi comitati, relazioni in cui venga in particolare spiegato in quale modo essi hanno assolto le loro responsabilità in merito all'integrità della relazione annuale e ad altri aspetti di loro competenza, come la vigilanza sul processo di revisione contabile esterna e la designazione di revisori legali. |
2.8 La direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali contiene le seguenti disposizioni per quanto concerne i comitati per la revisione contabile:
«Ciascun ente di interesse pubblico è dotato di un comitato per il controllo interno e per la revisione contabile. Gli Stati membri stabiliscono se il comitato debba essere composto dai membri non esecutivi dell'organo di amministrazione e/o dai membri dell'organo di controllo dell'ente stesso sottoposto a revisione e/o da membri designati dall'assemblea generale degli azionisti. Almeno un membro del comitato deve essere indipendente e competente in materia di contabilità e/o di revisione contabile.
Fatta salva la responsabilità dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di controllo o di altri membri designati dall'assemblea generale degli azionisti dell'ente sottoposto a revisione, il comitato per il controllo interno e per la revisione contabile è incaricato tra l'altro:
1. |
di monitorare il processo di informativa finanziaria; |
2. |
di controllare l'efficacia dei sistemi di controllo interno, di revisione interna, se applicabile, e di gestione del rischio; |
3. |
di monitorare la revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati». |
2.8.1 Per dare applicazione ai principi e ai precetti dettagliati nei punti 2.6 e 2.7 di cui sopra, il CESE ritiene che questa disposizione debba essere modificata, mantenendo le disposizioni esistenti in materia di partecipazione dei lavoratori, e richiedere che la maggioranza dei membri del comitato e il presidente di tale comitato siano indipendenti.
2.8.2 Un semplice requisito di competenza in materia di contabilità e/o di revisione contabile è insufficiente. La competenza di alcuni membri del comitato deve essere pertinente per le caratteristiche settoriali dell'impresa interessata, specialmente nel settore bancario.
2.8.3 Il CESE ritiene che il comitato per la revisione contabile o la vigilanza non dovrebbe soltanto monitorare, ma anche assumersi effettivamente la responsabilità dell'integrità di questi processi, in linea con i principi e i precetti dettagliati nei punti 2.6 e 2.7 di cui sopra.
2.9 Se è un dato di fatto che gli amministratori sono responsabili dei conti, si dovrebbero prendere in considerazione il loro ruolo e le loro responsabilità in materia di veridicità dei conti. Ad esempio, gli amministratori certificano che hanno compiuto tutte le indagini necessarie a consentire loro di assumersi la responsabilità dei conti in buona coscienza. Possiamo credere che i CdA bancari stavano compiendo le necessarie indagini nel periodo antecedente la crisi? Avevano idea dei loro rischi di liquidità, della mediocre qualità dei loro attivi legati a ipoteche e dei rischi insiti nei loro portafogli prestiti? In futuro le banche ed altre imprese dovranno garantire che gli amministratori indipendenti nominati per far parte del CdA posseggano un insieme di competenze adeguate e una migliore comprensione del loro ruolo e delle loro responsabilità.
2.10 I principi dettagliati nel punto 2.6 di cui sopra richiederanno una revisione più generale del governo societario per poter essere applicati con successo. È essenziale che le conclusioni del Libro verde sul governo societario e quelle del Libro verde sulla politica in materia di revisione contabile vengano integrate in modo che non ci siano lacune.
2.11 In sintesi, sebbene agli amministratori spetti la responsabilità di fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione degli affari, i revisori legali devono essere sicuri che sia stata fornita tale rappresentazione veritiera e corretta. La limitazione della responsabilità è un privilegio straordinario di cui godono le società per azioni. La revisione legale è concepita in modo da garantire che non si abusi del privilegio. Gli azionisti, gli obbligazionisti, i banchieri e altri creditori hanno un'esposizione finanziaria diretta ed essi fanno direttamente assegnamento sulla veridicità dei bilanci. La fonte di sostentamento di altre parti direttamente interessate - che si tratti di dipendenti, di clienti o di fornitori - dipende dal fatto che l'impresa continui a rimanere in attività. Nella crisi bancaria i revisori legali hanno fallito, come hanno fallito tutte le altre parti responsabili. La revisione contabile non può rimanere esclusa dalla riforma e dalla vigilanza introdotte in altre parti del sistema finanziario. Lo status quo non è un'opzione.
3. Domande
3.1 Introduzione
1) |
Avete osservazioni di ordine generale sull'approccio adottato nel Libro verde e sulle sue finalità?
Si rimanda alla sezione 1 del presente parere. |
2) |
Ritenete che sia necessario definire meglio la funzione sociale della revisione contabile rispetto alla veridicità dei bilanci?
La veridicità dei bilanci rappresenta la condizione indispensabile della nostra società, che dipende in larga misura dalla performance di società a responsabilità limitata in un'economia di mercato. Il pubblico interesse richiede che le imprese sopravvivano e prosperino. Esiste una complessa molteplicità di interessi dipendenti: gli azionisti, gli obbligazionisti, le banche e altri creditori dipendono dai bilanci per valutare la sicurezza dei loro investimenti e prestiti; i lavoratori dipendono dai bilanci per giudicare la sicurezza dei loro posti di lavoro e dei loro salari; altre parti direttamente interessate dipendono dai bilanci per valutare la sicurezza di un'impresa quale datore di lavoro, fornitore o cliente; le comunità locali e i governi nazionali e locali fanno assegnamento sui conti per misurare il contributo di un'impresa alla società e la sua capacità contributiva. Al di là di queste considerazioni, le banche e altri istituti di credito svolgono un ruolo fondamentale nel funzionamento dell'economia di mercato. Durante la crisi finanziaria le banche non hanno adempiuto al loro ruolo di far circolare il denaro nell'economia. Di conseguenza, la veridicità dei bilanci prima della crisi è stata giustamente messa in dubbio. Dei bilanci veritieri e corretti rappresentano il fondamento dell'organizzazione politica, sociale ed economica dell'UE. Le imprese che eseguono revisioni legali dei conti hanno la responsabilità di proteggere il pubblico interesse. |
3) |
Ritenete che sia possibile migliorare ulteriormente il livello generale della «qualità della revisione contabile»?
Sì, le relazioni di revisione contabile non sono significative, in quanto esse non rivelano il lavoro dei revisori legali. Con l'introduzione degli IFRS, i conti sottoposti a revisione contabile possono anche risultare meno significativi, specialmente nel caso delle banche. |
3.2 Il ruolo del revisore contabile
4) |
Ritenete che le revisioni contabili dovrebbero fornire assicurazioni sulla solidità finanziaria delle società? Le revisioni contabili sono adatte a tale scopo?
Allo stato attuale, le revisioni contabili non sono adatte a tale scopo. La solidità finanziaria di un'impresa è una funzione della resilienza del suo modello di attività. Sottoporre a prove il modello è soprattutto il ruolo di istituzioni ed analisti, non dei revisori legali. Nondimeno, bisogna apportare dei cambiamenti. Nelle loro relazioni gli amministratori devono essere più trasparenti in merito all'effettiva solidità dell'impresa. Fornire una garanzia esterna sulle informazioni fornite dovrebbe pertanto essere un compito dei revisori legali. Per fare ciò, i revisori legali dovranno avere una comprensione settoriale specifica dei rischi inerenti e tale comprensione sembra essere mancata man mano che la complessità degli attivi bancari aumentava. In tale contesto, andrebbe anche fornita una spiegazione delle valutazioni compiute per confermare la continuità operativa. |
5) |
Per ridurre il divario di aspettative e chiarire il ruolo delle revisioni contabili, il metodo di revisione contabile utilizzato dovrebbe essere spiegato meglio agli utilizzatori?
Sì. I revisori legali fanno delle brevi dichiarazioni nella relazione e nei conti, ma queste sono orientate al processo e non rivelano nulla circa i risultati, le loro preoccupazioni o le loro valutazioni. Non si tratta semplicemente di spiegare la metodologia. Gli amministratori devono spiegare le loro valutazioni e decisioni e poi i revisori legali dovrebbero spiegare il processo attraverso il quale giungono alla conclusione che i conti diano una rappresentazione veritiera e corretta. In questo sarà importante garantire che i revisori legali non tornino ad utilizzare un linguaggio stereotipato. |
6) |
Lo «scetticismo professionale» dovrebbe essere rafforzato? In caso affermativo, in che modo?
Lo scetticismo professionale può essere rafforzato con la formazione, un'esperienza diversa dalla revisione contabile, un riesame inter pares («peer review») dei risultati della revisione contabile e la guida dei partner revisori. Inoltre, la maggiore trasparenza richiesta ai revisori in base alle proposte nella sezione 2 obbligherà i revisori legali ad esercitare lo scetticismo professionale in modo più rigoroso di quanto fatto sinora. La creazione di un organismo disciplinare di categoria in ogni Stato membro rafforzerebbe lo «scetticismo professionale». È probabile che tale scetticismo venga ulteriormente aumentato dall'indipendenza economica. La gamma dei servizi diversi dalla revisione contabile forniti ai clienti sottoposti a revisione dovrebbe essere esaminata e valutata criticamente dal comitato per la revisione contabile o la vigilanza in modo da limitare eventuali conflitti d'interesse tra l'esercizio dello scetticismo professionale e il mantenimento di entrate provenienti da un cliente importante. È anche possibile che lo scetticismo verrebbe rafforzato se l'obbligo di indire una gara d'appalto (domanda 18) riducesse la probabilità di un incarico prolungato all'impresa di revisione titolare del contratto. |
7) |
Bisognerebbe riconsiderare la percezione negativa legata alle riserve espresse nelle relazioni di revisione contabile? In caso affermativo, in che modo?
No. Gli azionisti e le parti direttamente interessate devono essere preoccupati se la relazione degli amministratori è oggetto di riserve da parte dei revisori contabili. Tuttavia, una maggiore trasparenza nell'informativa finanziaria resa dagli amministratori e/o dal comitato per la revisione contabile o la vigilanza può fornire maggiore chiarezza agli azionisti in merito ai motivi che hanno spinto un revisore legale a esprimere riserve in una relazione di revisione contabile. Nel caso delle banche, una riserva può creare una crisi di fiducia con potenziali implicazioni sistemiche. Pertanto qualsiasi preoccupazione di un revisore legale dovrebbe essere riferita il più presto possibile alle autorità di regolamentazione e alle autorità di vigilanza, in modo che le potenziali questioni vengano rapidamente affrontate. |
8) |
Quali ulteriori informazioni dovrebbero essere fornite alle parti in causa esterne e come?
I revisori legali hanno una responsabilità nei confronti degli azionisti e, per estensione, dei dipendenti e delle altre parti interessate. Essi non riferiscono separatamente alle parti direttamente interessate. L'impresa è responsabile delle informazioni fornite alle parti direttamente interessate. Come proposto nella sezione 2, sia gli amministratori che i revisori legali dovrebbero fornire più informazioni agli organi di controllo dell'impresa, agli azionisti, ai dipendenti e alle altre parti interessate e questo con una maggiore trasparenza. Il CESE insiste inoltre perché il revisore legale possa precisare chiaramente i rischi individuati nelle relazioni indirizzate all'organo principale di gestione e all'organo di controllo. Il revisore legale dovrebbe fornire le informazioni in grado di mettere in evidenza i rischi insostenibili per l'impresa. Tali informazioni potrebbero comprendere le valutazioni degli scenari di rischio, la potenziale entità dei danni e la loro probabilità. Gli effetti che i principi contabili e di valutazione possono avere sulla situazione patrimoniale, su quella finanziaria nonché sul risultato economico dell'impresa andrebbero valutati con maggiore trasparenza. |
9) |
Il dialogo tra revisori esterni, revisori interni e comitato per il controllo interno e per la revisione contabile è adeguato e regolare? In caso negativo, come si può migliorare la comunicazione?
La crisi bancaria lascerebbe intendere che non vi è stato un dialogo regolare e adeguato in tutti i casi, ma in molti casi questo dialogo vi sarà stato. Un ruolo rafforzato per il comitato di revisione contabile porterebbe a comunicazioni migliori. |
10) |
Ritenete che i revisori dovrebbero contribuire a garantire l'affidabilità delle informazioni fornite dalle imprese nel settore della responsabilità sociale e ambientale?
Eventualmente, ma non prima che ci sia un accordo a livello dell'UE su ciò che gli standard d'informativa potrebbero includere. |
11) |
Dovrebbe esserci una comunicazione più regolare tra il revisore e le parti in causa? Il lasso di tempo tra la chiusura dell'esercizio e la data del parere di revisione dovrebbe essere ridotto?
Le parti direttamente interessate sono trattate nella risposta alla domanda 8. L'intervallo di tempo non costituisce un problema. |
12) |
Quali altre misure potrebbero essere previste per aumentare il valore delle revisioni contabili?
La Commissione dovrebbe riesaminare l'impatto dell'introduzione degli IFRS, in particolare per quanto concerne la loro applicazione alle banche. Esiste la preoccupazione che concetti cruciali quali prudenza e cautela contabile siano stati soppiantati negli IFRS dal processo e dalla conformità agli standard. Da certi dati di fatto emerge che gli IFRS, limitando la possibilità per i revisori di esercitare un giudizio prudente, offrono meno assicurazioni. Inoltre gli IFRS hanno difetti specifici, come l'incapacità di spiegare le perdite attese. Da alcune testimonianze orali nel quadro dell'inchiesta della Camera dei Lord del Regno Unito sulla concentrazione del mercato della revisione contabile è emerso che le debolezze degli IFRS sono particolarmente serie in rapporto alle revisioni dei conti delle banche (3). |
Principi di revisione internazionali (ISA)
13) |
Qual è il vostro punto di vista sull'introduzione degli ISA nell'UE?
Favorevole. Occorre tuttavia fare attenzione alla rigorosa neutralità nei confronti dei sistemi giuridici. |
14) |
L'utilizzo degli ISA dovrebbe essere reso obbligatorio in tutta l'UE? In caso affermativo, occorre adottare una procedura di omologazione dei principi analoga a quella utilizzata per gli International Financial Reporting Standards (IFRS)? In alternativa, e dato l'utilizzo diffuso degli ISA nell'UE, il loro utilizzo dovrebbe essere ulteriormente favorito mediante strumenti giuridici non vincolanti (raccomandazione, codice di condotta)?
Sì, eventualmente con un regolamento. |
15) |
Gli ISA dovrebbero essere ulteriormente adattati alle esigenze delle PMI e dei piccoli e medi professionisti (PMP)?
Non è necessario. |
3.3 Governo societario e indipendenza delle imprese di revisione contabile
16) |
Vi è un conflitto quando il revisore è designato e remunerato dalla società sottoposta a revisione? Quali soluzioni alternative consigliereste in materia?
Esiste un conflitto potenziale, ma è gestibile. Una maggiore trasparenza in relazione alla designazione e al rinnovo della designazione dei revisori legali si rende necessaria ed essa è inclusa nelle proposte illustrate nella sezione 2. La designazione da parte dell'impresa (il comitato per la revisione contabile o la vigilanza e gli azionisti) consente di incaricare il revisore legale che è più capace di soddisfare i particolare requisiti di quell'impresa, ad esempio, conoscenza del settore di attività e una necessaria dimensione internazionale. |
17) |
La designazione da parte di un terzo sarebbe giustificata in alcuni casi?
Non in circostanze normali. Tuttavia la questione potrebbe presentarsi in rapporto a istituti significativi dal punto di vista sistemico, come le grandi banche. Se le autorità di vigilanza sono in regolare contatto con i revisori legali di questi istituti e sono insoddisfatte della performance o dell'indipendenza dei revisori, esse dovrebbero avere il potere di richiedere all'istituto di fare un cambiamento. Ciò deve costituire unicamente un potere di riserva, in quanto un'impresa cosciente delle preoccupazioni delle autorità di vigilanza realizzerebbe probabilmente essa stessa il cambiamento. |
18) |
L'incarico continuativo delle imprese di revisione contabile dovrebbe essere limitato nel tempo? In caso affermativo, quale dovrebbe essere la durata massima dell'incarico di un'impresa di revisione contabile?
Nel rispondere a questa domanda, il CESE formula innanzitutto un avvertimento: qualsiasi proposta di cambiamento dello status quo dovrebbe essere soggetta a una rigorosa valutazione d'impatto. La rotazione delle équipe di revisione contabile e dei dirigenti e i normali cicli di permanenza in carica di presidenti, amministratori delegati (CEO) e direttori finanziari (CFO) hanno come conseguenza che, a livello individuale, esiste una sequenza più che adeguata di rotazione di rapporti. Tale questione riguarda la relazione tra imprese, ossia la necessità dell'impresa di revisione legale di conservare i suoi clienti e la propensione del cliente a tenere un revisore con cui esso si sente a suo agio. Questi rapporti di lungo termine rappresentano una minaccia potenziale per l'indipendenza e lo scetticismo professionale. Il CESE non sostiene la limitazione dell'incarico di revisione contabile attraverso una rotazione obbligatoria, tuttavia raccomanda che le grandi imprese indicano obbligatoriamente una gara d'appalto per il contratto di revisione legale dei conti ogni sei-otto anni. L'invito alla gara d'appalto dovrebbe essere inviato ad almeno un'impresa diversa dalle Big Four. Questa procedura non porterà necessariamente a un cambiamento del revisore legale. Pertanto il processo deve essere trasparente. Il comitato per la revisione contabile dovrebbe spiegare su quali basi poggiano la gara d'appalto e la relativa decisione. In tale contesto, esso dovrebbe anche tenere una riunione con i principali azionisti. |
19) |
La prestazione di servizi diversi dalla revisione da parte delle imprese di revisione contabile dovrebbe essere vietata? Tale divieto dovrebbe essere applicato a tutte le imprese di revisione e ai loro clienti o soltanto ad alcuni tipi di istituti, come gli istituti finanziari di importanza sistemica?
Non dovrebbe esserci alcuna restrizione sulle imprese di revisione legale che prestano servizi diversi dalla revisione ad imprese che non sono loro clienti per la revisione legale dei conti, ma tali servizi dovrebbero essere prestati ai loro clienti per cui sono revisori legali dei conti soltanto con l'esplicito assenso del comitato per la revisione contabile o la vigilanza. Per rafforzare l'indipendenza della revisione legale delle grandi imprese, il revisore legale non dovrebbe fornire consulenza in materia di rischio al cliente, né dovrebbe essere il revisore contabile interno. La prestazione di servizi di consulenza fiscale dovrebbe essere limitata ogniqualvolta possa sorgere un conflitto d'interessi sostanziale. In termini generali, i servizi diversi dalla revisione riguardano la consulenza o la contabilità. Rispetto alla contabilità, è meno probabile la consulenza faccia sorgere problemi di conflitto d'interesse in rapporto alla revisione legale. I comitati per la revisione contabile dovrebbero approvare tutti i servizi diversi dalla revisione forniti dal revisore legale ed evitare conflitti di interesse. I comitati dovrebbero anche monitorare il valore totale di questi servizi diversi dalla revisione e il relativo ammontare dovrebbe essere pubblicato nella relazione annuale. Nel caso delle PMI, potrebbe essere previsto un regime più flessibile. Le PMI possono assumere tutte le forme e dimensioni. In molti casi, sarebbe sensato che la consulenza fiscale e/o in materia di rischio fosse fornita dall'impresa di revisione legale. |
20) |
L'importo massimo di corrispettivi per la revisione che un'impresa di revisione contabile può ricevere dal medesimo cliente dovrebbe essere regolamentato?
A questa domanda si può rispondere solo nel quadro delle entrate totali di ogni impresa di revisione contabile a livello nazionale. L'attuale soglia del 15 % dei corrispettivi che un'impresa nazionale ha ricevuto da un unico cliente, contenuta nel codice deontologico dello IESBA (Consiglio internazionale delle norme internazionali di deontologia in materia contabile), è sensata in quanto riconosce che i corrispettivi per la revisione contabile sono una funzione della dimensione e della complessità dell'impresa sottoposta a revisione. I clienti esercitano una continua pressione per spingere verso il basso questi corrispettivi. I corrispettivi per prestazioni diverse dalla revisione pagati all'impresa di revisione contabile andrebbero indicati separatamente. |
21) |
Si dovrebbero introdurre nuove norme riguardanti la trasparenza dei bilanci delle imprese di revisione contabile?
Sì, ma queste norme devono riconoscere che le reti delle Big Four sono composte di imprese nazionali separate e non costituiscono una struttura unica. Le imprese di revisione contabile dovrebbero pubblicare i loro conti, proprio come le società che esse sottopongono a revisione contabile. |
22) |
Quali ulteriori misure potrebbero essere previste in materia di governo societario delle imprese di revisione contabile per accrescere l'indipendenza dei revisori?
In alcune giurisdizioni, i revisori contabili danno una conferma formale annuale di indipendenza. In uno Stato membro dell'UE, essi seguono un codice di governo societario per le imprese di revisione contabile. Quando sorge un conflitto di interessi, essi devono abbandonare l'incarico. Inoltre, le imprese di revisione contabile dovrebbero assumere amministratori e consulenti indipendenti. |
23) |
Si dovrebbero studiare strutture alternative per permettere alle imprese di revisione contabile di raccogliere capitali da fonti esterne?
La società a responsabilità limitata rappresenta una struttura attraente per le imprese di revisione contabile. Il termine di paragone è la struttura della società per azioni delle agenzie di rating del credito, la quale ha indubbiamente avuto qualche influenza sulle disastrose decisioni di rating che hanno portato alla crisi finanziaria. Se non è esposto alla minaccia della responsabilità illimitata nei tribunali degli Stati membri, il modello della società a responsabilità limitata dovrebbe essere sufficientemente robusto. Ciononostante, se altre forme societarie possono contribuire ad ampliare il mercato, esse andrebbero incoraggiate. La limitazione della responsabilità potrebbe avere il duplice beneficio di incoraggiare l'ingresso di nuovo capitale e di incentivare le imprese di revisione contabile di medie dimensioni a presentare con una certa convinzione offerte per ottenere incarichi di una grande impresa. |
24) |
Siete d'accordo con le proposte riguardanti i revisori di gruppo? Avete altre idee in materia?
I revisori di gruppo dovrebbero certamente avere la necessaria autorità e il necessario accesso per assolvere pienamente le loro responsabilità nei confronti degli azionisti del gruppo. |
3.4 Vigilanza
25) |
Quali misure dovrebbero essere previste per aumentare l'integrazione e la cooperazione in materia di vigilanza delle imprese di revisione contabile a livello UE?
Esiste una dimensione internazionale in rapporto a questioni come gli standard, i passaporti e le reti internazionali di imprese di revisione. Ciononostante, le imprese di revisione legale operano attraverso unità nazionali sotto la vigilanza di uno Stato membro. Il CESE sosterrebbe un collegio di autorità nazionali di vigilanza legato al nuovo quadro dell'UE per la vigilanza finanziaria. |
26) |
Come si può aumentare la consultazione e la comunicazione tra il revisore di grandi società quotate e le autorità di regolamentazione?
Esistono già certi requisiti di legge, sebbene esistano indizi che negli anni precedenti la crisi il dialogo tra revisore legale e autorità di vigilanza si fosse interrotto in alcuni Stati membri. Il CESE raccomanda che la nuova Autorità bancaria europea definisca requisiti bancari specifici. Inoltre, le autorità di regolamentazione dovrebbero considerare il presidente e il CdA responsabili della comunicazione nei propri confronti, con sanzioni applicabili se l'impresa non comunica elementi cruciali. |
3.5 Concentrazione e struttura del mercato
27) |
La configurazione attuale del mercato della revisione contabile potrebbe presentare un rischio sistemico?
Il CESE ritiene che esista un rischio reale di perturbazione del mercato. Il Comitato non ritiene che il fallimento di un'impresa di revisione legale rappresenti un rischio sistemico immediato per il mercato. Tuttavia, dal punto di vista dell'indipendenza e del mercato, il predominio di soltanto tre imprese sarebbe assolutamente inaccettabile. La recente crisi finanziaria ed economica ha evidenziato il fatto che nella gestione del rischio ogni eventualità andrebbe coperta. |
28) |
Ritenete che la costituzione obbligatoria di un consorzio di imprese di revisione contabile, comprendente almeno un'impresa di revisione contabile più piccola, non avente importanza sistemica, potrebbe fungere da catalizzatore per dinamizzare il mercato della revisione e permettere alle imprese di piccole e medie dimensioni di partecipare in maggior misura al segmento delle revisioni delle grandi società?
Il requisito di legge secondo cui le imprese dovrebbero essere sottoposte a revisione contabile da parte di un consorzio di almeno due imprese esiste in Francia. Esistevano disposizioni analoghe in Danimarca ma si è ritenuto fossero diventate superflue. In Francia la disposizione è applicata alle società quotate dal 1966. È stata estesa alle società che hanno l'obbligo di pubblicare bilanci consolidati nel 1984, un periodo in cui le imprese di revisione angloamericane stavano rapidamente ampliando la loro quota di mercato. In certa misura, questa politica ha avuto successo. In uno studio del 2006 (4) riguardante 468 imprese francesi e basato su dati del 2003,54 erano state sottoposte a revisione da due imprese di revisione delle Big Four, 241 (51,5 %) da un'impresa delle Big Four e da un'impresa francese e le restanti 173 erano state sottoposte a revisione da varie combinazioni di imprese francesi grandi e piccole. La configurazione del mercato della revisione contabile in Francia non è semplicemente una funzione dell'intervento legislativo. La proprietà delle imprese in Francia è molto più concentrata che nei paesi anglosassoni e ciò influisce sul requisito della revisione. Nel 73 % delle imprese francesi di uno stesso campione l'investitore principale da solo detiene il 25 % o più del capitale. I gruppi proprietari più grandi sono altre società (34 %), gruppi familiari (25 %) e il grande pubblico (21 %), mentre gli investitori internazionali detengono soltanto l'8,5 %. Lo studio ha rilevato che «In particolare, l'utilizzo dei revisori delle Big Four aumenta quando la struttura proprietaria è meno concentrata nelle mani di un solo grande possessore di blocco e sono presenti più investitori internazionali e pubblici, mentre l'utilizzo dei revisori delle Big Four è meno probabile quando esiste un grande gruppo proprietario di famiglia. Inoltre, la probabilità che il revisore sia una delle Big Four aumenta al crescere del peso di investitori istituzionali nella proprietà dell'impresa (banche e fondi pensione). È importante osservare che vi sono dati che confermano che alcune di queste caratteristiche della proprietà sono anche associate all'uso di due revisori delle Big Four piuttosto che di uno solo.» Visto il collegamento tra proprietà e revisione, questi risultati lasciano intendere che è imprudente concludere che il quadro giuridico francese è l'unica causa determinante della struttura del mercato della revisione in Francia. Su questo punto occorre tuttavia rilevare che la legislazione francese non impone di associare obbligatoriamente uno studio «piccolo» a uno «grande» nel quadro della revisione contabile congiunta, contrariamente a quello che propone la Commissione. Come la Commissione ha riconosciuto, le risposte alla consultazione del Libro verde in rapporto a questa domanda sono state eterogenee, in particolare per quanto riguarda la questione di sapere se le revisioni congiunte portino a conti migliori o se facciano aumentare la burocrazia e i costi. Per rispondere alla domanda, una revisione congiunta farebbe aumentare la partecipazione delle imprese più piccole al mercato delle grandi imprese. Quanto a sapere se ciò ridurrà effettivamente la concentrazione e in quanto tempo, il CESE chiede alla Commissione di realizzare un'attenta valutazione d'impatto prima di giungere a qualsiasi conclusione in merito a questo punto. Il CESE ritiene che la normativa sulla concorrenza possa fornire un modo complementare per affrontare l'oligopolio. |
29) |
Siete d'accordo con l'idea di una rotazione obbligatoria e dell'indizione di una gara d'appalto dopo un periodo predeterminato allo scopo di migliorare la struttura dei mercati della revisione contabile? Quale dovrebbe essere la durata di detto periodo?
Il CESE non sostiene una rotazione obbligatoria. Per quanto concerne l'indizione obbligatoria di una gara d'appalto, si rimanda alla risposta data alla domanda 18. |
30) |
Come andrebbe affrontato il pregiudizio a favore delle Big Four?
Il CESE sostiene l'eliminazione di qualsiasi pregiudizio artificiale a favore delle Big Four, come gli accordi bancari («banking covenant»). L'assegnazione obbligatoria degli incarichi soltanto alle Big Four andrebbe proibita. La Commissione potrebbe considerare di introdurre un regime per certificare la competenza in materia di revisione contabile di grandi imprese posseduta dalla categoria immediatamente inferiore di imprese di revisione contabile. |
31) |
Siete d'accordo con l'idea che i piani di emergenza, tra cui l'idea di una sorta di «testamento biologico», potrebbero avere un ruolo chiave nella gestione dei rischi sistemici e dei rischi di fallimento delle società?
Dovrebbero esserci piani di emergenza sia per le imprese di revisione contabile che per le autorità nazionali di regolamentazione. Le imprese di revisione contabile sono reti internazionali. La strategia migliore sarebbe quella di adoperarsi per contenere i fallimenti a livello di Stato membro e per mantenere simultaneamente l'integrità del resto della rete. I «testamenti biologici» sarebbero la chiave per qualsiasi strategia di contenimento. Un tempestivo avvertimento sui potenziali problemi faciliterebbe l'attuazione dei piani di emergenza. |
32) |
Sono sempre valide le motivazioni alla base della concentrazione delle grandi imprese di revisione contabile nel corso degli ultimi vent'anni (ossia internazionalizzazione dell'offerta, sinergie)? In quali circostanze bisognerebbe fare marcia indietro?
Come nella risposta alla domanda n. 18, il CESE è assolutamente convinto che ogni azione contemplata in questo settore debba essere soggetta a un'attenta valutazione d'impatto. Man mano che le superpotenze asiatiche si espanderanno a livello mondiale, è probabile che le imprese di revisione seguiranno i loro clienti. Ogni azione imposta dal governo per forzare un cambiamento nel mercato della revisione dovrebbe essere considerata in un orizzonte temporale ventennale. Inoltre, l'impatto potenziale delle conseguenze indesiderate della legge andrebbe seriamente considerato. È difficile fare marcia indietro, ma l'importante è rafforzare il diritto della concorrenza nel mercato della revisione contabile. Il CESE preferirebbe un rinvio alle autorità competenti degli Stati membri, a cominciare dalla Germania, dai Paesi Bassi e dal Regno Unito. Le autorità garanti della concorrenza dovrebbero inoltre esaminare attentamente ogni acquisizione proposta da parte delle Big Four. |
3.6 Creazione di un mercato europeo
33) |
A vostro parere, quale è il modo migliore per migliorare la mobilità transfrontaliera dei professionisti della revisione contabile?
L'armonizzazione delle regolamentazioni e delle norme applicabili sarebbe un punto di partenza. L'introduzione dei principi ISA sarebbe anch'essa d'aiuto. La diversità in termini di tassazione, legislazione e lingua tra i 27 Stati membri rappresenta indubbiamente un ostacolo a una mobilità transfrontaliera a tutti i livelli. |
34) |
Siete d'accordo con la proposta di un'«armonizzazione massima» combinata ad un passaporto europeo unico per i revisori e le imprese di revisione contabile? Ritenete che questa proposta dovrebbe applicarsi anche alle imprese di revisione contabile di minori dimensioni?
Sì, ma non andrebbero sottovalute le difficoltà connesse. Sarebbe concepibile un passaporto europeo per i revisori nel settore dell'informativa finanziaria obbligatoria basata sugli IFRS. La decisione in merito a quale revisore o impresa di revisione legale possa ricevere un passaporto di questo genere deve pertanto essere basata sul fatto che l'esercizio di revisione possa sottoporre o sottoporrà a revisione contabile bilanci basati sugli IFRS. |
3.7 Semplificazione: imprese e professionisti di piccole e medie dimensioni
35) |
Sareste favorevoli ad un livello di servizio inferiore alla revisione, ossia una «revisione limitata» o un «riesame legale», per i bilanci delle PMI in sostituzione della revisione legale? Questo servizio dovrebbe essere subordinato al fatto che la redazione dei conti venga affidata ad un contabile (interno o esterno) avente le idonee qualificazioni?
Le PMI possono assumere tutte le forme e dimensioni. Se ci sono investimenti esterni e/o importanti facilitazioni bancarie e/o grandi clienti e fornitori preoccupati per l'integrità delle loro catene di valore, è difficile immaginare molte «scorciatoie». Il lavoro di un contabile abilitato potrebbe essere adeguato per una microimpresa autofinanziata. |
36) |
Dovrebbe essere prevista un'esenzione, applicabile alle PMI, in caso di eventuale divieto futuro di fornire servizi diversi dalla revisione contabile?
Sì, ma la tesi a favore del divieto non è stata dimostrata. |
37) |
Una «revisione limitata» o un «riesame legale» dovrebbero essere accompagnati da norme meno vincolanti per quanto riguarda il controllo di qualità interna e la vigilanza delle autorità di vigilanza? Potreste dare esempi di come ciò potrebbe funzionare in pratica?
Si veda la risposta alla domanda n. 35. In ogni caso, le piccole imprese hanno revisioni contabili di portata ridotta e semplici. |
3.8 Cooperazione internazionale
38) |
A vostro parere, quali misure di cooperazione internazionale potrebbero accrescere la qualità della vigilanza degli operatori internazionali del settore della revisione contabile?
Il coinvolgimento del G20 e dell'FSB, ma, per iniziare, la misura più importante sarebbe la cooperazione a livello di G8, mettendo soprattutto l'accento su stretti legami con gli organismi di regolamentazione negli Stati Uniti. |
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57.
(2) La gestione dei rischi comporta l'individuazione, la valutazione e la gerarchizzazione dei rischi (definiti nell'ISO 31000 come l'effetto, positivo o negativo, che l'incertezza ha sugli obiettivi di un'organizzazione) seguite da un'applicazione coordinata ed economica delle risorse per minimizzare, sorvegliare e controllare la probabilità e/o l'impatto di eventi avversi o per massimizzare la realizzazione di opportunità. Le strategie di gestione dei rischi comprendono il trasferimento del rischio a terzi, la non assunzione di rischi, la riduzione dell'effetto negativo del rischio e l'accettazione di alcune o di tutte le conseguenze di uno specifico rischio; fonte: Wikipedia.org.
(3) Relazione della Camera dei Lord pubblicata il 15 marzo 2011, «Auditors: market concentration and their role», vol. 1, pag. 32: http://www.parliament.uk/hleconomicaffairs.
(4) Assessing France’s Joint Audit Requirement: Are Two Heads Better than One? («Valutazione del requisito di legge della revisione congiunta in Francia: due teste sono meglio di una?»), di Jere R. Francis, Università del Missouri-Columbia, Chrystelle Richard, Università Dauphine di Parigi e Ann Vanstraelen, Università di Anversa e Università di Maastricht.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/101 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca centrale europea — Un quadro dell'UE per la gestione delle crisi nel settore finanziario
COM(2010) 579 definitivo
2011/C 248/17
Relatrice: Lena ROUSSENOVA
La Commissione europea, in data 20 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca centrale europea - Un quadro dell'UE per la gestione delle crisi nel settore finanziario
COM(2010) 579 definitivo.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli, 13 voti contrari e 20 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide le preoccupazioni della Commissione secondo cui il sostegno agli istituti finanziari in fallimento a spese delle finanze pubbliche e della parità delle condizioni di concorrenza nel mercato interno non è più accettabile in futuro e sostiene, in linea di principio, il quadro globale proposto a livello dell'UE. L'attuazione di tale quadro comporterà per le autorità nazionali, nonché per le banche, costi addizionali ed esigerà da esse l'impiego di nuove competenze professionali e risorse umane e l'attuazione da parte degli Stati membri di riforme dei loro quadri e regimi normativi. Il CESE si augura che, tenendo conto dei risultati della consultazione pubblica, la Commissione conduca una valutazione d'impatto esaustiva dei costi, delle risorse umane e delle riforme legislative che si rendono necessaLrie. Una proposta realistica dovrebbe essere accompagnata da un calendario per l'assunzione di risorse umane, tenuto conto che tali risorse potrebbero non essere immediatamente disponibili nel mercato.
1.2 Il Comitato raccomanda un approccio globale e invita la Commissione a valutare gli effetti cumulativi del quadro per la gestione delle crisi assieme agli effetti di tutti i nuovi requisiti regolamentari, delle nuove tasse sul settore finanziario e dei prelievi sulle banche sulla capacità di queste ultime di concedere prestiti a famiglie ed imprese a tassi d'interesse ragionevoli, senza compromettere la crescita economica e la creazione di posti di lavoro (1).
1.3 Il CESE raccomanda alla Commissione di prevedere misure idonee a stabilire un coordinamento tra l'autorità scelta come responsabile della risoluzione, la Banca centrale e il ministero delle Finanze (qualora né la Banca centrale, né il ministero delle Finanze siano l'autorità preposta alla risoluzione nello Stato membro in questione) prima che venga effettuata un'operazione di risoluzione. Per proteggere il settore da un possibile contagio e da una crisi di fiducia, tale coordinamento sarebbe essenziale nei casi di risoluzione di istituti grandi e significativi da un punto di vista sistemico, oltre che nei casi di risoluzione simultanea di più istituti.
1.4 Oltre alle prove di stress proposte che dovrebbero essere eseguite dalle autorità di vigilanza nel quadro delle misure preparatorie e preventive, il CESE raccomanda alla Commissione di rendere obbligatori per tutti gli Stati membri i programmi di valutazione del settore finanziario (Financial Sector Assessment Programmes o FSAP) dell'FMI / della Banca mondiale, come proposto dalla relazione de Larosière (2). L'analisi e le prove di stress condotte in base ai programmi di valutazione del settore finanziario collegano gli sviluppi e gli squilibri macroeconomici negli Stati membri alla stabilità macrofinanziaria e ai rischi microprudenziali nazionali, e ciò rende gli FSAP degli strumenti analitici utili ed estremamente adeguati per le autorità di vigilanza.
1.5 Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione per la trasferibilità degli attivi quale misura preventiva, ma avverte che la concessione di un sostegno finanziario ad altri enti di un gruppo non dovrebbe essere imposta dalle autorità di vigilanza, ma dovrebbe rimanere volontaria e che la parità di trattamento sia nello Stato membro di origine che in quello ospitante è cruciale per mantenere la stabilità finanziaria. Il sostegno finanziario di gruppo dovrebbe essere fornito soltanto in base a un accordo finanziario di gruppo e qualora vengano soddisfatte alcune condizioni:
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la condizione principale dovrebbe stabilire che il sostegno finanziario possa essere concesso soltanto se l'ente che lo fornisce rispetta e continuerà a rispettare, sempre e in ogni circostanza, i requisiti prudenziali della direttiva 2006/48/CE oppure altri requisiti patrimoniali nazionali più severi nel paese dell'ente trasferente. Il CESE raccomanda che questa condizione venga rispettata da tutte le autorità di vigilanza e di mediazione, inclusa l'Autorità bancaria europea nei casi di disaccordo tra membri del collegio. |
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Il CESE ritiene che, a salvaguardia della stabilità macrofinanziaria nel paese dell'ente trasferente, l'autorità di vigilanza di tale ente debba avere il potere di proibire o di limitare un trasferimento di attivi in base a un accordo di sostegno finanziario di gruppo se esso minaccia la liquidità, la solvibilità e la stabilità finanziaria dell'ente trasferente e del settore finanziario nel suo paese. |
1.6 La nomina di un manager speciale è un segnale che la banca sta attraversando dei problemi, cosa che potrebbe minare la fiducia dei depositanti e innescare una corsa agli sportelli. La nomina di manager speciali per vari istituti nello stesso periodo potrebbe portare a serie turbative; in tal caso, andrebbero introdotte misure precauzionali addizionali tese a proteggere le banche interessate e il settore nel suo insieme da un possibile contagio e da sviluppi della crisi di fiducia.
1.7 Il CESE raccomanda che la Commissione valuti l'impatto degli strumenti di «bail-in» (conversione di attivi in capitale ordinario) sul settore bancario e sui mercati finanziari, e conduca analisi costi-benefici e di fattibilità dei differenti strumenti di «bail-in» in rapporto alle loro implicazioni transfrontaliere, alla loro commerciabilità e alla loro trasparenza.
1.8 In risposta all'irrigidimento della regolamentazione e all'introduzione di misure e strumenti addizionali per la gestione delle crisi, il sistema bancario parallelo («shadow banking system») potrebbe svilupparsi ulteriormente in misura significativa. La Commissione dovrebbe assicurarsi che le autorità di regolamentazione e quelle di vigilanza siano capaci di limitare i rischi di contagio alle banche provenienti dall'esterno del settore bancario. Gli enti dello «shadow banking» dovrebbero inoltre essere soggetti a standard di regolamentazione più severi e dovrebbero essere messi in grado di sostenere le perdite.
2. Introduzione
2.1 Durante la crisi finanziaria i governi non hanno permesso che banche e altri istituti finanziari sistemici fallissero. È stata adottata un'ampia gamma di misure: in alcuni casi le banche hanno avuto bisogno di iniezioni di capitale a un costo enorme per le finanze pubbliche (con la speranza di recuperare il capitale in futuro), in altri esse hanno avuto bisogno di un sostegno di liquidità e/o di garanzie sulle loro passività. In tutti i casi, ciò ha provocato tensioni sui mercati finanziari e una significativa distorsione nella parità delle condizioni di concorrenza nel mercato interno e a livello mondiale.
2.2 In risposta al consenso già esistente sul fatto che ciò non dovrà mai ripetersi, la Commissione ha adottato varie comunicazioni in merito alla gestione delle crisi e ai fondi di risoluzione. La prima, risalente all'ottobre 2009 (3), esaminava i cambiamenti necessari per consentire una gestione e una risoluzione efficaci delle crisi o un'ordinata liquidazione in caso di fallimento di una banca transfrontaliera. La seconda comunicazione, pubblicata nel maggio 2010 (4), esplorava le opzioni di finanziamento della risoluzione in modo da ridurre al minimo l'azzardo morale e proteggere i fondi pubblici (5). La comunicazione COM(2010) 579 definitivo presenta un quadro globale a livello dell'UE per le banche in difficoltà o in fallimento e gli orientamenti strategici che la Commissione intende perseguire. Una consultazione pubblica sui dettagli tecnici del quadro normativo in esame è stata lanciata nel dicembre 2010.
2.3 La Commissione intende procedere per gradi verso un regime dell'UE per la gestione delle crisi. Come primo passo, essa intendeva adottare prima dell'estate 2011 una proposta legislativa per un regime armonizzato dell'UE per la prevenzione delle crisi e per il risanamento e la risoluzione delle banche; questa proposta avrebbe compreso un insieme comune di strumenti di risoluzione e un rafforzamento della cooperazione tra autorità nazionali quando esse si occupano di fallimenti transfrontalieri di banche. Come secondo passo, la Commissione valuterà la necessità di un'ulteriore armonizzazione dei regimi di insolvenza bancaria. Infine, un terzo passo dovrebbe comprendere la creazione di un regime di risoluzione integrata, presumibilmente basato su un'unica Autorità europea di risoluzione, entro il 2014.
3. Osservazioni
3.1 Campo di applicazione e obiettivi
3.1.1 La comunicazione della Commissione propone un quadro di gestione delle crisi per tutti gli enti creditizi e alcune imprese di investimento, siano essi transfrontalieri o nazionali,«di qualsiasi tipo e dimensione, e in particolare per gli istituti sistemicamente importanti». In una nota la Commissione spiega che lo scopo della politica da essa proposta è quello di«includere le imprese di investimento dal cui fallimento rischierebbe di derivare un'instabilità sistemica»ed essa«sta esaminando varie opzioni circa la definizione da dare alla categoria interessata». Infatti, molte parti della comunicazione fanno riferimento non solo agli istituti di credito, ma anche alle imprese di investimento senza che questa categoria venga chiaramente definita. Il CESE si attende che la Commissione definisca chiaramente la categoria delle imprese d'investimento e quella dei fondi d'investimento con potenziale ramificazione sistemica, tenendo conto dei risultati della consultazione pubblicata lanciata nel dicembre 2010. Il Comitato invita inoltre la Commissione a valutare se gli strumenti e i poteri di risoluzione proposti dal documento COM(2010) 579 definitivo siano sufficienti ad affrontare in modo adeguato tutti i problemi specifici connessi al fallimento di un'impresa d'investimento o di un fondo d'investimento.
3.1.2 Il quadro per la prevenzione, la gestione delle crisi e la risoluzione è basato su sette principi e obiettivi, che dovrebbero garantire che le banche in difficoltà escano dal mercato senza compromettere la stabilità finanziaria. Il CESE sostiene la maggior parte di essi, ma il quarto e l'ultimo meritano di essere commentati e chiariti.
— |
Il CESE sostiene il punto di vista della Commissione sull'importanza di ridurre l'azzardo morale facendo in modo che gli azionisti e i creditori sopportino una quota equa ed adeguata di perdite nella risoluzione di una banca, ma soltanto se essi ricevono il trattamento corrispondente alla normale classificazione per rango dei loro crediti e qualora questo sia simile a quello che avrebbero ricevuto se la banca fosse stata liquidata. In questo processo i creditori di solito ricevono un trattamento differente da quello degli azionisti. La proposta di ripartire le perdite tra azionisti e creditori può destare alcune preoccupazioni di natura giuridica e richiede ulteriori spiegazioni per quel che concerne la ripartizione proporzionale delle perdite e i criteri per l'inclusione dei creditori tra chi contribuisce: quando e in che misura? La ripartizione delle perdite tra gli azionisti rappresenta certamente un principio corretto, ma sorgono alcune preoccupazioni quando si prevede che i creditori partecipino alle perdite, senza che questo concetto venga chiarito. Quando e in che misura uno specifico creditore deve essere chiamato a sostenere le perdite? Andrebbe considerata l'opportunità di distinguere tra creditori «colpevoli» o «imprudenti» e quelli di altro tipo? Inoltre, su che basi e in quali circostanze le perdite verrebbero ripianate dall'intero settore bancario? |
— |
Per quanto concerne l'ultimo punto, il CESE è assolutamente d'accordo sulla necessità di evitare disastri peggiori, ma affermare che uno degli obiettivi del quadro proposto consiste nel «limitare le distorsioni della concorrenza» significa sostenere il principio solo a parole, in quanto il fatto che un istituto in sofferenza o, peggio, quasi fallito abbia bisogno di un aiuto a spese di terzi rappresenta di per sé una distorsione della concorrenza. |
3.1.3 In risposta all'irrigidimento della regolamentazione e all'introduzione di misure e strumenti addizionali per la gestione delle crisi, il sistema bancario parallelo («shadow banking system») potrebbe svilupparsi ulteriormente. Il CESE raccomanda che le autorità di regolamentazione e quelle di vigilanza si adoperino per limitare i rischi di contagio alle banche provenienti dall'esterno del settore bancario e mettano gli enti dello «shadow banking» in grado di sostenere le perdite e li assoggettino a standard di regolamentazione appropriati.
3.2 Principali elementi della proposta
3.2.1 Il quadro delineato dalla Commissione è concettualmente corretto e il CESE approva le tre classi di misure proposte:
i. |
le misure preparatorie e preventive; |
ii. |
gli interventi di vigilanza precoci; |
iii. |
la risoluzione. |
L'attuazione di questo quadro è tutt'altro che semplice e il CESE accoglie con favore l'intenzione di assicurare una transizione graduale e ordinata dalle disposizioni nazionali esistenti verso il quadro proposto. Le numerose iniziative proposte da alcune autorità nazionali e le differenti normative nazionali in materia di diritti di proprietà, fallimento e responsabilità amministrative e penali degli amministratori frappongono molti ostacoli a una rapida transizione verso il quadro delineato. Il CESE si augura che «l'ampia gamma di azioni» non venga usata in modo indebito in emergenze politiche, economiche e sociali, ma venga sfruttata per garantire flessibilità nell'adattare le regole nazionali alla legislazione europea e per promuovere un coordinamento e una cooperazione efficaci nella gestione e risoluzione delle crisi transfrontaliere per tutti i tipi di istituti di credito, indipendentemente dalle loro dimensioni e interconnessioni.
3.2.2 Autorità responsabili della gestione delle crisi
La comunicazione della Commissione indica esplicitamente che i poteri d'intervento precoce continueranno ad essere esercitati delle autorità di vigilanza prudenziali conformemente alla direttiva sui requisiti patrimoniali («CRD») e, per quanto riguarda i poteri di risoluzione, ogni Stato membro dovrà individuare un'autorità preposta alla risoluzione investita dei poteri in materia. Il CESE approva la raccomandazione della Commissione secondo cui l'autorità responsabile della risoluzione dovrebbe essere amministrativa invece che giudiziaria, ma è consapevole degli ostacoli e delle difficoltà che ne accompagneranno l'attuazione. Il CESE si attende inoltre che i fondi di risoluzione ex ante per il settore bancario proposti dalle comunicazioni COM(2010) 254 definitivo e COM(2010) 579 definitivo abbiano la loro parte nell'esercizio dei poteri di risoluzione, se istituiti secondo le raccomandazioni contenute nelle suddette comunicazioni. Anche se la scelta delle autorità responsabili della risoluzione è lasciata alla discrezionalità nazionale, tali autorità dovrebbero agire conformemente a regole e principi comuni, specificati da un quadro a livello dell'UE.
3.2.2.1 Il CESE ritiene inoltre che un'efficace esecuzione di un'operazione di risoluzione richieda un buon coordinamento tra l'autorità scelta come responsabile della risoluzione, la Banca centrale e il ministero delle Finanze, qualora né la Banca centrale, né il ministero delle Finanze siano l'autorità scelta come responsabile della risoluzione nello Stato membro in questione. Ciò è essenziale nei casi di risoluzione di istituti grandi e significativi da un punto di vista sistemico, oltre che nei casi di risoluzione simultanea di più istituti.
3.2.3 Misure preparatorie e preventive
Tutte le misure e iniziative proposte in questa sezione sono idealmente corrette e senza alcun dubbio sono necessarie per garantire un'efficiente applicazione del quadro della Commissione. Tuttavia, esistono delle domande che non possono essere eluse:
— |
quanto costerebbero queste misure e chi sopporterebbe in definitiva i costi? |
— |
Le autorità e gli istituti finanziari riuscirebbero a trovare le risorse professionali per soddisfare le necessità derivanti dalle misure proposte? |
— |
Quanto tempo dovrà passare prima che sia in funzione un sistema europeo pienamente operativo? |
3.2.3.1 Più specificamente, le autorità di vigilanza sono tenute a introdurre una vigilanza rafforzata, a valutare e vigilare sulla pianificazione del risanamento e della risoluzione, ad adottare misure preventive (cfr. la sezione 3.2 della comunicazione COM(2010) 579 definitivo), ad intervenire nella risoluzione di un'impresa in collaborazione con le autorità responsabili della risoluzione, ecc. In pratica, le autorità di vigilanza diventano i «super-manager» degli istituti.
In aggiunta alla segnalazione standard, gli istituti finanziari sono tenuti a preparare e a presentare alle autorità dei piani di risanamento e di risoluzione che devono essere mantenuti costantemente aggiornati. Inoltre gli Stati membri sono tenuti a creare autorità di risoluzione, oppure ad ampliare i compiti istituzionali delle autorità esistenti per includere la risoluzione di istituti finanziari.
3.2.3.1.1 Tutte queste azioni sono senza dubbio necessarie per creare dei mercati finanziari solidi e sicuri; il problema consiste nel determinare quanto esse costeranno (6) e assicurarsi che le autorità e gli istituti finanziari potranno trovare sufficienti risorse umane altamente qualificate preparate per svolgere i nuovi compiti. L'importanza dell'obiettivo finale può giustificare gli alti costi del piano, ma la scarsità di risorse umane potrebbe rappresentare un ostacolo enorme. La Commissione ne è consapevole e nel suo documento di consultazione ha invitato gli Stati membri a stimare i costi (compresi quelli umani) che dovranno probabilmente essere sostenuti nella realizzazione delle attività proposte in materia di vigilanza rafforzata, pianificazione della ripresa e piani di risoluzione. Una proposta realistica da parte della Commissione dovrebbe essere accompagnata da una valutazione d'impatto dei costi e da un calendario per l'assunzione di risorse umane, tenuto conto che tali risorse potrebbero non essere immediatamente disponibili nel mercato.
3.2.3.2 Oltre alle prove di stress proposte che dovrebbero essere eseguite dalle autorità di vigilanza, il CESE raccomanda alla Commissione di rendere obbligatori per tutti gli Stati membri i programmi di valutazione del settore finanziario (Financial Sector Assessment Programmes o FSAP) (7) dell'FMI / della Banca mondiale, come proposto dalla relazione de Larosière (8). Attualmente tali programmi sono obbligatori per 25 paesi appartenenti all'FMI, di cui solo 11 sono Stati membri dell'UE. L'analisi e le prove di stress condotte in base a questi programmi collegano gli sviluppi e gli squilibri macroeconomici negli Stati membri alla stabilità macrofinanziaria e ai rischi microprudenziali nazionali, e ciò li rende degli strumenti analitici utili e estremamente adeguati per le autorità di vigilanza.
3.2.3.3 Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di trasferibilità degli attivi quale misura preventiva nelle situazioni in cui degli enti di un gruppo stiano attraversando tensioni di liquidità. Il CESE è convinto che, per preservare il modello dell'impresa controllata, la fornitura di qualsiasi sostegno finanziario ad altri enti di un gruppo dovrebbe continuare ad essere volontaria e non imposta dalle autorità di vigilanza. Per prevenire il diffondersi di problemi di liquidità, il CESE raccomanda alla Commissione di specificare attentamente le circostanze e le condizioni alle quali gli attivi potrebbero essere trasferiti e sottolinea che la parità di trattamento in tutti gli Stati membri - sia nello Stato di origine che in quello ospitante - è cruciale per evitare il contagio e mantenere la stabilità finanziaria.
3.2.3.3.1 Il sostegno finanziario di gruppo dovrebbe essere fornito soltanto in base a un accordo finanziario di gruppo e qualora vengano soddisfatte alcune condizioni. La condizione principale dovrebbe stabilire che il sostegno finanziario possa essere concesso soltanto se l'ente che lo fornisce rispetta e continuerà a rispettare, sempre e in ogni circostanza, i requisiti prudenziali della direttiva 2006/48/CE oppure altri requisiti patrimoniali più severi tipici del paese dell'ente trasferente. Il CESE raccomanda che questa condizione venga rispettata da tutte le autorità di vigilanza e di mediazione, inclusa l'Autorità bancaria europea nei casi di disaccordo tra membri del collegio o qualora non venga raggiunto un accordo. Il Comitato ritiene inoltre che il sostegno finanziario di gruppo debba essere sottoposto ad approvazione da parte delle autorità di vigilanza soltanto dopo una valutazione del rischio e prove di stress e il mercato dovrebbe essere informato sull'eventuale concessione di un sostegno finanziario di gruppo.
3.2.3.3.2 A salvaguardia della stabilità macrofinanziaria nel paese dell'ente trasferente, l'autorità di vigilanza di tale ente dovrebbe avere il potere di proibire o di limitare un trasferimento di attivi in base a un accordo di sostegno finanziario di gruppo se esso minaccia la liquidità, la solvibilità e la stabilità finanziaria dell'ente trasferente e del suo paese.
3.2.4 Soglie per un intervento precoce e per far scattare la procedura di risoluzione
3.2.4.1 Tutto questo capitolo sembra corretto e complessivamente accettabile. Alle autorità di vigilanza è affidato il compito difficile e delicato di individuare non solo le circostanze in cui i requisisti della direttiva CRD non vengono rispettati, ma anche i segnali di una possibile incapacità a rispettare tali requisiti. Ciò implica la necessità di strumenti sofisticati e di capacità professionali, oltre a un'accresciuta attenzione al mercato.
3.2.4.2 I compiti riguardanti le decisioni di intervento, nonché le azioni descritte nella sezione 3.4, richiedono un alto grado di giudizio soggettivo che, sebbene fondato e professionalmente giustificato, potrebbe essere contestato, in tribunale o in altro modo, da terzi o anche dallo stesso istituto. Per le autorità di vigilanza ciò implica degli obblighi e/o delle responsabilità che dovrebbero essere preparate ad affrontare. Forse alcune chiare soglie d'intervento quantitative aiuterebbero le autorità di vigilanza a prendere decisioni in materia di intervento precoce con ridotta dipendenza da un giudizio soggettivo e minore esposizione all'incertezza giuridica. In merito alle soglie per far scattare la procedura di risoluzione, il CESE accoglie con favore le idee della Commissione e riconosce la necessità di combinare e bilanciare in modo adeguato le soglie d'intervento quantitative e quelle qualitative. Il CESE raccomanda inoltre alla Commissione di prestare una speciale attenzione a quelle soglie che fanno scattare la procedura di risoluzione e che hanno il compito di indicare il momento esatto in cui devono essere applicati gli strumenti di «bail-in».
3.2.5 Intervento precoce
Le misure che la Commissione prevede sembrano corrette e accettabili, ma la nomina di un manager speciale richiede una certa attenzione. Precedenti studi giuridici hanno riconosciuto che il concetto di «intervento precoce» ha significati diversi a seconda dello Stato membro e anche i poteri delle autorità di vigilanza di nominare un manager speciale possono variare. In alcuni Stati membri le leggi nazionali possono consentire la nomina di manager speciali ed esse possono aver bisogno solo di lievi modifiche. In vari Stati membri la base giuridica per la nomina di manager speciali già esiste grazie a disposizioni che fanno scattare misure di intervento precoce quando una banca non soddisfa i requisiti patrimoniali. In altri Stati membri il diritto societario nazionale può vietare la nomina di un manager speciale da parte di un ente diverso dal CdA o dall'assemblea generale della società e soltanto una nuova legge può cambiare o modificare la legislazione esistente.
3.2.5.1 Sulla questione delle responsabilità, la Commissione afferma che la nomina di un manager speciale non dovrebbe implicare una garanzia statale, né esporre le autorità di vigilanza a responsabilità. Ciò è difficilmente accettabile da un punto di vista strettamente giuridico: un principio generale stabilisce che chiunque prenda una decisione o compia un'azione è responsabile delle conseguenze della decisione o dell'azione. Qualsiasi eccezione a questo principio che non trovi sostegno nella legge verrà probabilmente contestata in tribunale.
3.2.5.2 Il CESE raccomanda che la nomina di un manager speciale venga resa possibile, sulla base di una soglia chiaramente definita, quando l'autorità di vigilanza, nell'esercizio dei poteri stabiliti dall'articolo 136 della direttiva CRD, sia convinta che il CdA dell'istituto di credito non abbia la volontà o la capacità di attuare le misure richieste. Se in base a un trattamento di gruppo la decisione di nominare un manager speciale deve essere legalmente vincolante, il CESE è convinto che tale decisione debba essere presa dall'autorità responsabile della vigilanza consolidata, ma in consultazione e in stretto coordinamento con le autorità di vigilanza del paese ospitante.
3.2.5.3 La nomina di un manager speciale è un segnale che la banca sta attraversando un periodo difficile, cosa che potrebbe minare la fiducia dei depositanti e innescare una corsa agli sportelli. Il CESE è preoccupato che la nomina di manager speciali per vari istituti in uno stesso periodo possa causare serie turbative e andrebbero introdotte misure precauzionali addizionali tese a proteggere le banche interessate e il settore nel suo insieme da un possibile contagio e da sviluppi della crisi di fiducia.
3.2.6 Risoluzione
3.2.6.1 Le azioni previste in questo capitolo sono ben concepite, ma la Commissione stessa riconosce che una riforma delle leggi in materia di insolvenza bancaria potrebbe essere necessaria e verrà valutata l'opportunità di uno studio in proposito (pagg. 8-9 della comunicazione). In effetti, il complesso delle azioni proposte può essere considerato una procedura parafallimentare, parallela ma separata da quelle normali. Più che una riforma, sarà probabilmente necessaria una nuova legislazione nella maggior parte degli Stati membri.
3.2.6.2 La principale differenza tra risoluzione e fallimento è che dopo la risoluzione l'istituto, o parte di esso, continuerà a esistere, un fatto che giustifica la guida e il coinvolgimento delle autorità di vigilanza e di risoluzione nell'intera procedura. Tuttavia a queste autorità non sono conferiti poteri giudiziari, cosa che complica l'attribuzione dei poteri e delle responsabilità, per non parlare delle responsabilità finanziarie. La Commissione sembra ben consapevole di tale problema: quando essa si occupa dei meccanismi di salvaguardia per controparti e degli accordi di mercato, viene menzionato il ricorso giurisdizionale«per garantire che le parti interessate dispongano di diritti appropriati per contestare le azioni delle autorità e chiedere un risarcimento finanziario».
3.2.6.3 In questo caso le autorità potrebbero dover far fronte a una situazione delicata e rischiosa: una parte «interessata» intenzionata a impugnare la decisione delle autorità potrebbe chiedere una riparazione per via giudiziaria e il tribunale potrebbe decidere di bloccare l'intera procedura. In base alle vigenti normative, questo rischio esiste ed è più che probabile che si materializzi; andrebbero compiuti tutti gli sforzi per evitare la possibilità che le procedure di risoluzione vengano ritardate o bloccate. Queste procedure devono essere tempestive e rapide, in quanto qualsiasi ritardo o arresto potrebbe rendere vane le iniziative delle autorità e innescare una reazione di mercato negativa. Una modifica delle legislazioni e dei procedimenti giurisdizionali nella maggior parte degli Stati membri è senza dubbio necessaria; tuttavia, poiché i regimi di insolvenza e i procedimenti giurisdizionali variano notevolmente, in alcuni Stati membri le modifiche richieste saranno significative.
3.2.7 Riduzione del debito
Il CESE accoglie con favore lo sforzo della Commissione di esaminare le sfide poste dalla risoluzione di istituti finanziari grandi e complessi e le questioni specifiche legate allo strumento della riduzione del valore contabile del debito. Il Comitato invita la Commissione a sviluppare un quadro in cui questo strumento contribuisca in modo efficiente alla risoluzione di tutti gli istituti che rientrino nel regime proposto, compresi gli istituti finanziari grandi e complessi, e sottolinea l'importanza di un quadro internazionale comune. Il CESE si augura che la Commissione tenga pertanto conto dell'accordo del Comitato di Basilea secondo il quale gli istituti finanziari di importanza sistemica dovrebbero avere una capacità di assorbimento delle perdite che vada oltre gli standard minimi. Il Comitato sottolinea che gli strumenti di «bail-in» potrebbero essere riconosciuti come un mezzo per aumentare la capacità di assorbimento delle perdite degli istituti finanziari, inclusi quelli di importanza sistemica, e ne accoglie con favore l'applicazione come alternativa al salvataggio con denaro pubblico («bail-out»). Tuttavia il CESE esprime una serie di preoccupazioni in merito alla configurazione e applicazione degli strumenti di «bail-in» e invita la Commissione a studiarli e a discuterne con maggiore cautela.
3.2.7.1 Il CESE ritiene che, nella configurazione e nell'esercizio del potere di attuare una riduzione contabile del debito, occorra rispettare il più possibile il consueto rango dei crediti stabilito dalla normativa in materia di insolvenza. Qualsiasi scostamento da questo ordine in circostanze eccezionali dovrebbe essere stabilito ex ante e preannunciato.
3.2.7.2 La Commissione dovrebbe assicurarsi che il regime sia credibile e gli effetti di ricaduta vengano evitati nei casi in cui gli investitori principali negli strumenti di «bail-in» di una banca siano altre banche con attività commerciali interconnesse. L'efficacia degli strumenti di «bail-in» in periodi di crisi sistemiche e gli effetti della loro simultanea attivazione da parte di molti istituti finanziari dovrebbero essere attentamente considerati e andrebbero proposte misure addizionali per evitare possibili gravi problemi.
3.2.7.3 La Commissione dovrebbe esaminare attentamente il potenziale comportamento prociclico e la volatilità degli strumenti di «bail-in» nei periodi di crisi e dovrebbe valutare se e in quale misura sia possibile fare assegnamento su di essi in tali circostanze.
3.2.7.4 Il CESE auspica che la Commissione conduca una valutazione dell'impatto che i differenti strumenti utilizzabili per il «bail-in» hanno sulla resilienza globale del settore bancario e dei mercati finanziari.
3.3 Coordinamento della gestione transfrontaliera delle crisi
3.3.1 Risoluzione coordinata delle insolvenze di gruppi bancari dell'UE
3.3.1.1 Il CESE accoglie favorevolmente la preoccupazione della Commissione di raggiungere un adeguato coordinamento nella gestione delle crisi e ribadisce che le disposizioni dovrebbero garantire un pari trattamento di creditori e azionisti tra Stato membro di origine e Stato membro ospitante, proteggere contro il contagio in un periodo di crisi e mantenere la stabilità finanziaria in tutti gli Stati membri.
3.3.1.2 Assai correttamente, nella sezione 4 la Commissione afferma che, in caso di fallimento, è necessaria un'azione coordinata e «le misure descritte alla sezione 2 garantiranno che le autorità preposte alla risoluzione dispongano degli stessi strumenti e degli stessi poteri». Tale affermazione sembra tuttavia in contraddizione con un'altra affermazione all'inizio della sezione 3, secondo cui «il quadro non dovrebbe essere prescrittivo per quanto riguarda le misure da utilizzare nei singoli casi».
3.3.1.3 Un'azione coordinata ha poi bisogno di una volontà comune di adottare le stesse misure, una condizione che alla luce delle passate esperienze è assai improbabile che si verifichi. È probabilmente vero che al momento di elaborare la sezione 3 la Commissione si riferisse soltanto a casi nazionali, mentre la sezione 4 si riferisce alle crisi transfrontaliere, dove la competenza è trasferita a un'Autorità europea di vigilanza (ESA). Tuttavia il commento non è fuori luogo: se ogni autorità nazionale è libera di scegliere le proprie procedure, quelle imposte da un'ESA potrebbero essere differenti, oppure in contrasto con quelle nazionali. In tal caso, le procedure riguardanti i creditori delle filiali nazionali di una banca straniera potrebbero essere differenti dalle procedure riguardanti i creditori di una banca nazionale. Ciò potrebbe sollevare alcune preoccupazioni per quel che concerne la parità di diritti per i creditori ed eventualmente i casi di conflitti di norme nel mercato interno. Alcuni di questi problemi sono affrontati in modo dettagliato dal documento di consultazione e il CESE si augura che la consultazione contribuirà a risolverne la maggior parte.
3.3.1.4 Il CESE è ben consapevole che gli Stati membri osteggerebbero l'idea di regole prescrittive e che la situazione opposta potrebbe non essere realistica, ma lasciare troppa libertà di scelta alle autorità nazionali creerebbe difficoltà nel caso di crisi internazionali riguardanti dei gruppi. Probabilmente, un coordinamento di taluni aspetti principali delle procedure (eventualmente sotto il controllo dell'ESA) sarebbe necessario prima di adottare regole nazionali.
3.3.1.5 Per quanto concerne il quadro di coordinamento, la Commissione prende in considerazione due riforme: una basata sui collegi di risoluzione, l'altra sulle autorità preposte alla risoluzione a livello di gruppo. La seconda sembra più razionale, flessibile ed efficace, in quanto il ruolo guida spetterebbe alle autorità di risoluzione, con il coinvolgimento dell'Autorità bancaria europea (EBA) come osservatore. L'altra, che consiste in un allargamento degli esistenti collegi delle autorità di vigilanza con l'inclusione delle autorità di risoluzione, potrebbe incontrare difficoltà nel raggiungimento di decisioni rapide, a causa di preoccupazioni in materia di vigilanza e risoluzione.
3.3.1.6 Una preoccupazione importante: un meccanismo di risoluzione di gruppo non sarebbe vincolante . Le autorità nazionali in disaccordo con il meccanismo avrebbero la libertà di «agire autonomamente», anche se «sarebbero tenute» a considerare in certa misura l'impatto della loro decisione su altri Stati membri, a «motivare la loro decisione» ai collegi di risoluzione e a «discutere» le loro motivazioni con gli altri membri del collegio. Anche in questo caso, le esperienze passate danno qualche motivo di formulare un commento negativo: quando gli interessi nazionali sono in gioco, esiste un'alta probabilità che ogni autorità nazionale anteporrà la protezione di questi interessi a qualsiasi altra preoccupazione. La procedura proposta è troppo farraginosa, richiede molto tempo ed è inapplicabile nei casi in cui le autorità nazionali dovranno agire immediatamente. Attendersi che le autorità nazionali aspettino e si astengano dall'adottare misure nazionali finché le autorità preposte alla risoluzione a livello di gruppo prendano una decisione non è realistico, specialmente nei casi in cui le imprese controllate sono troppo grandi per il mercato locale.
3.3.1.7 Il CESE raccomanda alla Commissione di semplificare la procedura in base alla quale gli Stati membri che non sono d'accordo con il piano proposto possono esprimere i loro punti di vista.
3.4 Finanziamento della risoluzione
Il CESE ha già formulato i propri commenti su questo argomento nel parere sui fondi di risoluzione per il settore bancario (9). Il Comitato desidera nuovamente sottolineare che qualsiasi proposta di disposizione legislativa in questo campo dovrebbe essere accompagnata da un'analisi approfondita e da una valutazione d'impatto che tengano pienamente conto dell'imposizione di prelievi o di tasse sulle banche in alcuni Stati membri.
3.4.1 Fondi di risoluzione e regimi di garanzia dei depositi
Il CESE ha già espresso il proprio punto di vista sui fondi di risoluzione per il settore bancario e sui regimi di garanzia dei depositi in un recente parere (10).
3.4.2 Configurazione dei fondi di risoluzione
3.4.2.1 Esiste una certa preoccupazione in merito a una frase finale apparentemente innocente: «… e [garantire] che i costi che superano la capacità del fondo siano successivamente recuperati attingendo al settore bancario». Chiamare un'intera categoria professionale a ripianare le perdite causate uno dei suoi membri non è una politica inconsueta, ma per far ciò le condizioni andrebbero rigorosamente definite e tale definizione andrebbe preceduta da un'analisi approfondita delle conseguenze. È necessaria una base giuridica appropriata. Imporre contributi a un fondo attraverso un regolamento è una procedura accettata, ma è richiesta una legge se le perdite devono essere ripianate direttamente da terzi.
3.4.2.2 Per quanto concerne la base di calcolo dei contributi, un approccio armonizzato accettabile potrebbe essere basato sul totale delle passività dopo una loro valutazione qualitativa, oppure sulle passività escludendo i depositi garantiti. Tuttavia riecco il diavolo tentatore della flessibilità: ogni Stato potrebbe decidere in modo differente, «a condizione che ciò non provochi distorsioni al funzionamento del mercato interno». Criteri differenti portano a sistemi di contribuzione differenti e a livelli differenti di costo per ogni settore nazionale: una distorsione è il risultato inevitabile della flessibilità.
3.4.2.3 Molti Stati membri hanno già introdotto tasse e prelievi i cui parametri (base imponibile, aliquota e campo di applicazione) differiscono considerevolmente. In rapporto a queste differenze, il CESE desidera sottolineare l'importanza di garantire un appropriato coordinamento nel breve termine attraverso l'introduzione di soluzioni pratiche, compresi accordi bilaterali ove opportuno. Inoltre, il CESE desidera nuovamente evidenziare, in relazione alle modifiche in corso in ambito normativo e degli sviluppi verso una soluzione appropriata per tutta l'UE nel medio termine, la rilevanza delle flessibilità insite nei sistemi nazionali di prelievi nel breve termine.
3.4.3 Entità dei fondi
Il CESE ha già formulato i propri commenti in proposito in un recente parere (11). Anche in questo caso, sono necessarie sia una valutazione quantitativa d'impatto che una valutazione dell'impatto di un ulteriore prelievo di fondi dalle risorse del settore finanziario disponibili per il credito, insieme agli effetti della direttiva CRD.
3.5 Prossime fasi e lavori futuri
3.5.1 Prossime fasi: un quadro di coordinamento
Senza dubbio le leggi nazionali in materia di insolvenza dovranno essere modificate per adeguarsi alle nuove regole in materia di risoluzione, ma i modi e i tempi sono ancora da chiarire. La modifica di una legge richiede il coinvolgimento di governi e parlamenti: una procedura solitamente lunga, ancor più quando vengono trattate questioni delicate. Prima di adottare un nuovo regolamento, la Commissione dovrebbe cercare di evitare contrasti con i principi stabiliti in alcuni Stati membri.
3.5.2 Un regime di insolvenza (medio termine)
La liquidazione amministrativa non è una procedura sconosciuta, ma nella maggior parte degli Stati membri essa viene solitamente applicata da un liquidatore nominato da un tribunale e sotto la supervisione di quest'ultimo. La liquidazione delle banche sotto la custodia e l'autorità di enti amministrativi bancari implicherebbe un trasferimento di poteri dalle autorità giudiziarie a quelle amministrative, cosa che potrebbe richiedere nuove leggi nazionali o persino modifiche costituzionali.
3.5.3 Il quadro dell'UE per la gestione delle crisi che la Commissione ha proposto per il settore finanziario differisce dall'approccio in materia di gestione delle crisi applicato recentemente in alcuni Stati membri in base ai programmi sostenuti dall'UE e dall'FMI (12). Essi prevedono la ricapitalizzazione delle banche con fondi pubblici, incluso il finanziamento UE/FMI che potrebbe continuare nei prossimi due anni, proprio nel momento in cui il nuovo quadro europeo per la gestione delle crisi e i fondi di risoluzione per il settore bancario devono essere introdotti nel resto dell'UE. Il CESE si attende che la Commissione proponga misure di transizione appropriate, secondo un calendario realistico, che consentiranno agli Stati membri di organizzare una transizione rapida, ordinata e completa verso il quadro dell'UE proposto per la gestione delle crisi e i fondi di risoluzione per il settore bancario, compatibilmente con la necessità di evitare l'indebolimento dei settori bancari nazionali.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Cfr. anche la GU C 107 del 6.4.2011, pag. 16, in cui il CESE ha esaminato in dettaglio i costi legati al quadro per la gestione delle crisi e - in particolare - i fondi di risoluzione per il settore bancario, nonché le loro implicazioni per il settore finanziario e l'economia in generale.
(2) Relazione del gruppo di esperti ad alto livello sulla vigilanza finanziaria nell'UE presieduto da Jacques de Larosière, 25 febbraio 2009, Bruxelles, pag. 70 (http://ec.europa.eu/internal_market/finances/docs/de_larosiere_report_it.pdf).
(3) COM(2009) 561 definitivo.
(4) COM(2010) 254 definitivo.
(5) Cfr. http://ec.europa.eu/internal_market/bank/crisis_management/index_en.htm.
(6) Sul finanziamento dei costi, si rimanda alla sezione 3.4 della comunicazione COM(2010) 579 definitivo e al parere CESE GU C 107 del 6.4.2011, pag. 16.
(7) Cfr. FMI, Financial Sector Assessment Program, 2011 (www.imf.org).
(8) Relazione del gruppo di esperti ad alto livello presieduto da Jacques de Larosière sulla vigilanza finanziaria nell'UE, 25 febbraio 2009, Bruxelles, pag. 70 (http://ec.europa.eu/internal_market/finances/docs/de_larosiere_report_it.pdf).
(9) GU C 107 del 6.4.2011, pag. 16.
(10) Cfr. nota 9.
(11) Cfr. nota 9.
(12) Cfr. i «country report» dell'FMI per la Grecia (n. 1168) e per l'Irlanda (n. 10366 e n. 1147).
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/108 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Potenziare i regimi sanzionatori nel settore dei servizi finanziari
COM(2010) 716 definitivo
2011/C 248/18
Relatore: Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER
La Commissione europea, in data 8 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Potenziare i regimi sanzionatori nel settore dei servizi finanziari
COM(2010) 716 definitivo.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 105 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie molto favorevolmente la creazione di un sistema sovranazionale di sanzioni che siano realmente efficaci, dissuasive e proporzionate, e sostiene l'approccio che la Commissione ha adottato nella comunicazione per garantire un insieme minimo di criteri comuni che gli Stati membri dovranno rispettare nel definire delle sanzioni amministrative per la violazione delle disposizioni sui servizi finanziari.
1.2 Il quadro normativo da introdurre intende facilitare l'attuazione di principi giuridici già applicati con successo dall'UE, come il principio di «chi inquina paga» - in questo caso destinato a sanzionare in modo proporzionale il danno causato e in modo esemplare le violazioni finanziarie - oppure la politica di «clemenza», che è propria delle procedure d'indagine e di repressione delle pratiche anticoncorrenziali, politica che assume qui una rilevanza speciale per il ruolo eccezionale che i dipendenti degli istituti finanziari possono svolgere nel denunciare delle violazioni.
1.3 Il CESE condivide la scelta della Commissione di dare al temine «sanzioni» un significato ampio che comprende sia le misure amministrative che quelle di ripristino della legalità, la confisca, l'esautoramento di dirigenti, le sanzioni rescissorie (come la revoca di autorizzazioni) e pecuniarie, le penalità di mora e altre fattispecie affini.
1.4 Il CESE invita la Commissione ad esaminare possibili modi per bloccare le attività finanziarie fraudolente che abbiano la loro origine o il loro punto d'arrivo in paradisi fiscali e finanziari e che implichino movimenti di capitale che influenzano il funzionamento del mercato interno.
1.5 La confisca dei proventi illeciti e i risarcimenti punitivi devono essere concepiti come misure accessorie alla sanzione da imporre e gli importi di tali risarcimenti, come il CESE ha più volte ribadito (1), dovranno essere destinati a un «fondo d'aiuto al ricorso collettivo», per facilitare la promozione di azioni collettive risarcitorie o riparatorie da parte delle associazioni di consumatori. A questo riguardo, il CESE ricorda alla Commissione di essersi espresso in più occasioni in merito alla necessità di adottare una normativa sovranazionale che armonizzi le azioni collettive (2).
1.6 Il CESE invita la Commissione a tener conto della necessità per l'Unione europea di concludere accordi internazionali coi paesi terzi, allo scopo di consolidare l'impatto extraterritoriale della legislazione vigente in materia di sanzioni finanziarie, garantendone l'efficacia e il carattere dissuasivo in caso di violazione delle disposizioni relative ai servizi finanziari.
2. Introduzione
2.1 La crisi finanziaria ha fatto nascere interrogativi sull'effettivo rispetto e sulla corretta applicazione in tutta l'Unione delle disposizioni che regolano i mercati finanziari. C'è da aggiungere che l'inosservanza delle disposizioni in uno Stato membro dell'UE può influire in modo significativo sulla stabilità e sul funzionamento del sistema finanziario di un altro Stato membro.
2.2 Il Consiglio Ecofin ha chiesto alla Commissione e ai tre comitati delle autorità di vigilanza (il comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (CEBS), il comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (Ceiops) e il comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CESR)) di realizzare una valutazione intersettoriale per verificare la situazione esistente in termini di coerenza, equivalenza ed uso effettivo dei poteri sanzionatori negli Stati membri.
2.3 Su scala internazionale, il rafforzamento dei regimi sanzionatori rappresenta uno degli elementi della riforma del settore finanziario, come si desume dal vertice tenutosi a Washington il 15 novembre 2008 tra i leader del G20. D'altro canto, il Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act (Legge Dodd-Frank per la riforma di Wall Street e la protezione del consumatore, luglio 2010) prevede una riforma integrale del sistema finanziario negli Stati Uniti.
3. La comunicazione
3.1 Basandosi sugli studi summenzionati e sulle discussioni realizzate con gli Stati membri, la Commissione ha pubblicato la comunicazione in esame, nella quale illustra degli aspetti che andrebbero migliorati e propone possibili misure dell'UE per raggiungere una maggiore convergenza ed efficienza dei regimi sanzionatori. Nel settore finanziario, l'esistenza di regimi sanzionatori efficienti è essenziale per avere sistemi di vigilanza che garantiscano mercati finanziari solidi e stabili, nonché la protezione dei consumatori e degli investitori.
3.2 Per poter garantire che la legislazione dell'UE venga pienamente rispettata, le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Le sanzioni possono essere considerate efficaci se garantiscono la conformità con la normativa UE, proporzionate se rispecchiano adeguatamente la gravità della violazione e non vanno oltre quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi perseguiti, e dissuasive se sono sufficientemente severe da scoraggiare gli autori delle violazioni dal ripetere la stessa infrazione e gli altri potenziali trasgressori dal commettere tali violazioni.
3.3 Il quadro giuridico vigente conferisce agli Stati membri una considerevole autonomia al momento di decidere ed applicare sanzioni nazionali. Questa autonomia va però conciliata con la necessità di applicare la legislazione europea in modo efficace e coerente.
3.4 Attualmente, le direttive e i regolamenti dell'UE in vigore nel settore finanziario contengono quattro categorie di disposizioni in materia di sanzioni:
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il coordinamento del potere di irrogare sanzioni tra diversi Stati membri, |
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l'obbligo per gli Stati membri di prevedere l'applicazione di misure e sanzioni amministrative adeguate e di garantire che esse siano efficaci, proporzionate e dissuasive. Di solito non si opera una distinzione tra misure investigative, preventive e repressive, |
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un'altra categoria si riferisce alle sanzioni per violazioni specifiche, |
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una quarta categoria prevede che le autorità rendano pubbliche le misure e le sanzioni in determinate circostanze. |
3.5 L'esame dei regimi sanzionatori rivela divergenze tra gli Stati membri che possono essere dovute a molti fattori, come le differenze fra i sistemi giuridici nazionali, esigenze costituzionali, il funzionamento delle amministrazioni nazionali e le competenze dei tribunali (amministrativi e penali).
3.6 Tra le divergenze e le carenze dei regimi sanzionatori nazionali, la Commissione ha rilevato quelle che seguono:
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alcune autorità competenti non dispongono di certi tipi importanti di poteri sanzionatori in rapporto a determinate violazioni, |
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l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie (ammende) varia considerevolmente da uno Stato membro all'altro ed è troppo basso in alcuni Stati membri, |
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esistono divergenze per quanto riguarda la natura (amministrativa o penale) delle sanzioni previste nella legislazione nazionale, |
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il livello di applicazione delle sanzioni varia tra gli Stati membri. |
3.7 La Commissione ritiene che le divergenze in aspetti essenziali dei regimi sanzionatori possano condurre all'inosservanza delle disposizioni dell'UE nel settore dei servizi finanziari, mettere in grave pericolo la protezione del consumatore e l'integrità del mercato, distorcere la concorrenza nel mercato interno, influire negativamente sulla vigilanza finanziaria e, in definitiva, minare la fiducia nel settore finanziario.
3.8 La Commissione ritiene che una maggiore convergenza e un maggior rigore dei regimi sanzionatori siano indispensabili per evitare il rischio di un cattivo funzionamento dei mercati finanziari. A questo scopo propone la definizione dell'insieme minimo dei criteri comuni ai fini di un'armonizzazione minima dei regimi sanzionatori nazionali in modo che questi prevedano:
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tipi adeguati di sanzioni amministrative in caso di violazione delle disposizioni fondamentali, |
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pubblicazione delle sanzioni, |
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ammende amministrative di importo sufficientemente alto, |
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sanzioni per le persone fisiche e per gli istituti finanziari, |
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criteri di cui tener conto nell'applicare le sanzioni, |
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possibile introduzione di sanzioni penali per le violazioni più gravi, |
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adeguati meccanismi a sostegno di un'efficace applicazione delle sanzioni. |
4. Osservazioni generali
4.1 Giudizio del CESE
4.1.1 Il CESE giudica molto favorevolmente la comunicazione della Commissione che, nel suo insieme, raccomanda l'elaborazione di un quadro normativo sovranazionale più efficace per perseguire le violazioni degli enti e degli operatori finanziari, in un contesto di ridefinizione delle regole internazionali sul mercato dei capitali.
4.1.2 In effetti la Commissione si richiama allo spirito di posizioni politiche consolidatesi nel G20 - specialmente nei vertici di Washington (2008), Londra (2009) e Seul (2010), e di posizioni della stessa UE concordate al massimo livello istituzionale (ad esempio, la creazione delle autorità di vigilanza finanziaria, la riforma della direttiva MiFID, l'accordo sui fondi comuni speculativi o «hedge fund», ecc.).
4.2 Principio di sussidiarietà
4.2.1 La comunicazione, chiaramente in linea con il principio di sussidiarietà, sottolinea la responsabilità principale delle autorità nazionali, affinché, con un'azione coordinata e integrata, vigilino all'applicazione coerente del quadro vigente e del futuro quadro sanzionatorio delle violazioni nel settore dei servizi finanziari; essa si limita infatti alle sanzioni che sono di competenza di queste autorità.
4.2.2 Tuttavia è possibile che vengano commesse da soggetti operanti in diversi Stati dell'Unione «violazioni intraeuropee» i cui effetti si ripercuotono in tutto il mercato unico. In questo caso sarà necessario:
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chiarire le competenze per determinare l'apertura della procedura sanzionatoria per evitare possibili forum shopping (scelta mirata della giurisdizione competente), come modo per scegliere le autorità nazionali più «indulgenti» nell'applicazione delle sanzioni previste per legge, |
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delegare inoltre funzioni e responsabilità ad altre autorità competenti, in presenza di certe condizioni, |
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occasionalmente, in via eccezionale, attribuire la competenza per queste fattispecie alle autorità europee di vigilanza, a seconda della materia. |
4.2.3 L'azione sovranazionale trova la propria giustificazione nella necessità di una convergenza dei quadri sanzionatori nazionali, di natura amministrativa o penale, che presentano attualmente serie carenze o lacune che non ne rendono possibile l'equiparazione, oppure che vengono applicati con criteri totalmente differenti. Ogni Stato membro sceglierà la via penale o amministrativa, ma nel rispetto dei principi di equivalenza ed efficacia, nei termini fissati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE).
4.2.4 In linea con il rispetto della ripartizione delle responsabilità tra amministrazioni e giurisdizioni, il quadro normativo in esame intende facilitare l'attuazione di principi giuridici già applicati con successo dall'UE, come il principio di «chi inquina paga» - in questo caso destinato a sanzionare in modo proporzionale il danno causato e in modo esemplare le violazioni finanziarie - oppure la politica di «clemenza», che è propria delle procedure d'indagine e di repressione delle pratiche anticoncorrenziali, politica che assume qui una rilevanza speciale per il ruolo eccezionale che i dipendenti degli istituti finanziari possono svolgere nel denunciare delle violazioni.
4.2.5 Indubbiamente la severità delle sanzioni e delle pene che vengono applicate ai trasgressori, le quali in ogni caso dovranno avere effetti dissuasivi per prevenire che vengano commessi reati intollerabili in una società democratica, dovrà essere compatibile con un trattamento favorevole - di sconto sostanziale o di cancellazione della sanzione o della pena - per coloro che collaborino nell'individuazione o nella determinazione delle situazioni classificate come illecite.
4.2.6 Il CESE ritiene che la rivelazione o la denuncia, nei termini stabiliti dalla Legge Dodd-Frank degli USA, possano rappresentare una buona misura di risanamento del mercato interno dei servizi finanziari tesa a migliorarne il funzionamento, attraverso la creazione di un sistema di incentivi economici, con programmi di stimolo, per coloro che denuncino alle autorità di vigilanza finanziaria la violazione della legislazione che regola i servizi finanziari.
4.2.7 A questo scopo, dovranno essere rimossi determinati ostacoli legislativi tuttora esistenti in alcuni Stati membri, che impediscono queste azioni sulla base della salvaguardia di presunti segreti industriali, nonché altre barriere legate alla riservatezza che potrebbero danneggiare gli autori delle denunce, in quanto occorre garantire in ogni caso la protezione dei lavoratori attraverso programmi di tutela.
4.2.8 A questo proposito, la vigente direttiva sul riciclaggio di capitali già prevede questo trattamento favorevole per i dipendenti degli istituti finanziari che denuncino operazioni sospette, nonché la protezione contro possibili ritorsioni lavorative o di altro tipo.
4.3 Omissioni riscontrate nella comunicazione
4.3.1 Esaminando la comunicazione è tuttavia possibile rilevare che le violazioni che la Commissione affronta si riferiscono, in generale, alla condotta di singoli - persone fisiche o giuridiche - perseguibili per via amministrativa o penale. In tal senso, non è contemplata l'azione dolosa od omissiva dei poteri pubblici, specialmente dei poteri che dispongono delle competenze di regolamentazione e vigilanza dei mercati finanziari e il cui inadeguato funzionamento può implicare gravi danni per il mercato interno e per gli interessi dei consumatori.
4.3.2 È il caso, ad esempio, della necessaria rimozione delle cosiddette «barriere invisibili» che hanno comportato e comportano ostacoli insormontabili per l'esercizio delle libertà economiche fondamentali (ad esempio, l'utilizzo abusivo dei poteri discrezionali al momento di determinare l'idoneità degli amministratori di un ente creditizio (3) o di un'impresa di assicurazione, oppure la decisione sull'incompatibilità degli azionisti che detengono partecipazioni qualificate nel capitale di un ente finanziario (4), ecc.).
4.3.3 Analogamente, negli Stati membri andrebbero introdotte disposizioni interne - che attualmente non esistono - per evidenziare la responsabilità degli amministratori di quegli enti finanziari che, per il loro carattere sistemico, possono causare danni incalcolabili alla stabilità dei mercati finanziari e ai consumatori attraverso una gestione imprudente o dolosa.
4.3.4 Appare quantomeno ingiustificato che attualmente qualsiasi dipendente di un ente finanziario, anche di dimensioni trascurabili per il mercato, possa essere severamente punito per aver commesso reati di corruzione, frode o riciclaggio di denaro e che tuttavia esista la possibilità - come accade in alcuni Stati membri - che i gestori di tali enti, responsabili per i danni derivanti dalle violazioni finanziarie, sfuggano alle pertinenti sanzioni penali o amministrative. Se ne può concludere che il governo societario non abbia funzionato efficacemente.
4.4 Reciprocità
4.4.1 Sotto questo profilo la comunicazione segue una prospettiva eccessivamente «eurocentrica», in quanto è incentrata sulle situazioni «intraeuropee» senza che vengano esaminate le azioni degli enti finanziari di paesi terzi che possono parimenti ripercuotersi sul funzionamento del mercato interno, vista l'apertura dei mercati di capitale e la relativa facilità con cui tali enti operano in regime di libero stabilimento attraverso tecniche tollerate, come quella della joint-venture o del leap-frogging.
4.4.2 Per di più, l'assenza di un regime comune che faciliti una politica di «reciprocità» con paesi terzi in materia di servizi finanziari giustifica la necessità che le autorità nazionali prevedano dei meccanismi sanzionatori e di vigilanza non meno efficaci e severi in rapporto agli enti finanziari di paesi terzi.
4.4.3 Il CESE invita la Commissione ad esaminare possibili modi per bloccare le attività finanziarie fraudolente che abbiano la loro origine o il loro punto d'arrivo in paradisi fiscali e finanziari e che implichino movimenti di capitale che influenzano il funzionamento del mercato interno.
4.4.4 In questo senso, il CESE esprime preoccupazione per la scarsa attenzione prestata dalla Commissione europea al perseguimento delle violazioni della legislazione quando queste avvengono in paesi terzi o sono responsabilità diretta o indiretta di persone fisiche o giuridiche stabilite in tali paesi.
4.5 In relazione a certi aspetti di carattere tecnico, va segnalato quanto segue:
4.5.1 |
il CESE condivide la scelta della Commissione di dare al temine «sanzioni» un significato ampio che comprende sia le misure amministrative che quelle di ripristino della legalità, la confisca, l'esautoramento di dirigenti, le sanzioni rescissorie (come la revoca di autorizzazioni) e pecuniarie, le penalità di mora e altre fattispecie affini. |
4.5.2 |
Tutte le procedure sanzionatorie dovranno essere basate per lo meno sui principi di legalità, di specificità, di colpevolezza, di irretroattività, di reformatio in peius e presunzione d'innocenza, di proporzionalità, sull'applicazione del principio non bis in idem, sui principi di prescrizione, caducazione del procedimento e sospensione cautelare, nonché sulla possibilità di ricorso come modo di ottenere l'effettiva tutela giurisdizionale. |
4.5.3 |
Sarebbe inoltre auspicabile prevedere un maggiore impatto della pubblicità e divulgazione delle sanzioni che vengano imposte ai trasgressori in modo che, oltre alla loro logica pubblicazione nelle gazzette ufficiali nazionali e sempre in funzione della gravità delle violazioni, le sanzioni possano essere pubblicate anche nella Gazzetta ufficiale dell'UE, oppure attraverso canali di comunicazione scritta o di divulgazione di massa, come portali Internet; i relativi costi dovranno essere a carico del trasgressore. |
4.6 Elementi dello strumento legislativo
4.6.1 Il CESE ritiene che un chiarimento sul tipo di strumento legislativo che la Commissione proporrà di adottare al momento opportuno possa contribuire a facilitare il raggiungimento degli obiettivi legati alla realizzazione di un sistema sanzionatorio basato sui principi dell'efficacia e della proporzionalità e sul potere di dissuasione.
4.6.2 Sebbene l'ideale sia l'adozione di un regolamento, non dovrebbe esserci alcun margine discrezionale in rapporto alla sua applicazione e, nell'attuale momento di evoluzione del diritto dell'Unione, esso potrebbe non costituire lo strumento adeguato.
4.6.3 Il CESE ritiene più adeguata la scelta di una direttiva quadro, sebbene la Commissione reputi che occorra realizzare un'armonizzazione minima; in quest'ultima ipotesi, le norme dovrebbero essere sufficientemente chiare, con obblighi precisi e incondizionati affinché abbiano un effetto diretto, conformemente alla giurisprudenza della CGUE. Tale direttiva dovrebbe contenere disposizioni molto dettagliate allo scopo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di interesse generale che vengono perseguiti.
4.6.4 In ogni caso, nelle ipotesi d'irrogazione di sanzioni economiche, si dovrebbe sempre tener conto del principio secondo il quale il trasgressore non può ottenere alcun beneficio dall'aver commesso la violazione e andranno stabiliti metodi comuni per calcolare il recupero di tale illecito beneficio come misura aggiuntiva alla pena pecuniaria da irrogare.
4.6.5 La confisca dei proventi illeciti e i risarcimenti punitivi devono essere concepiti come misure accessorie alla sanzione da imporre e gli importi di tali risarcimenti, come il CESE ha più volte ribadito (5), dovranno essere destinati a un «fondo d'aiuto al ricorso collettivo» - secondo le priorità di ciascuno Stato membro - che faciliterebbe la promozione di questo tipo di azioni collettive riparatorie da parte delle associazioni di consumatori e di altre organizzazioni portatrici di un legittimo interesse. A questo riguardo, il CESE ricorda alla Commissione la necessità di adottare una normativa sovranazionale che armonizzi le azioni collettive (6) per poter ottenere un alto livello di protezione degli interessi economici dei consumatori.
4.6.6 Altre circostanze di cui tener conto al momento d'irrogare le sanzioni dovrebbero essere la situazione personale dei trasgressori, la gravità della violazione, la solidità finanziaria dell'autore della violazione, il comportamento collaborativo dell'autore della violazione, la durata della violazione, l'effetto della violazione sui diritti e legittimi interessi dei consumatori e degli utenti o su altri operatori economici.
4.7 Trattato di Lisbona e consumatori
4.7.1 Infine, benché la comunicazione consideri molto attentamente la posizione degli utenti dei servizi finanziari e faccia riferimento, tra le altre possibilità, all'introduzione in tutti gli ordinamenti giuridici nazionali delle azioni collettive di risarcimento, sulle quali il CESE ha già espresso la sua posizione favorevole in vari pareri, essa inquadra la situazione di tali utenti in modo passivo, sulla base della protezione contro le pratiche abusive o illecite e della repressione di tali pratiche.
4.7.2 Nel quadro dell'applicazione del Trattato di Lisbona, che sancisce il principio della democrazia partecipativa come uno degli assi fondamentali della vita democratica dell'Unione, bisognerebbe contare sulla partecipazione delle associazioni dei consumatori più rappresentative.
4.7.3 Il futuro quadro sanzionatorio di cui si valuta l'adozione dovrebbe stabilire delle disposizioni per garantire il rafforzamento delle associazioni di consumatori in questo settore. Tra gli altri meccanismi andrebbe prevista la creazione di canali permanenti di comunicazione tra il Parlamento europeo, la Commissione, il CESE e queste associazioni, e bisognerebbe garantirne il finanziamento pubblico per ottenerne un funzionamento più efficace ex ante che allerti contro possibili situazioni di pericolo per la stabilità dei mercati finanziari, faciliti l'elaborazione di regole adeguate alla rapida evoluzione dei prodotti e delle pratiche dei mercati e tenga conto dell'impatto sui clienti derivante dall'imposizione di sanzioni agli istituti finanziari.
4.7.4 In questo modo, assieme all'approccio di protezione e repressione dinanzi ai danni causati dalle violazioni delle norme del settore, si riuscirebbe ad applicare un approccio preventivo a tali violazioni che può risultare molto più efficace.
4.7.5 Il CESE ritiene importante la creazione di un'Agenzia europea di protezione degli utenti di servizi finanziari e ribadisce (7) la necessità di valutare la possibilità di istituire nell'ordinamento europeo un'autorità analoga a quella introdotta negli Stati Uniti dalla Legge Dodd-Frank (ossia il Bureau of Consumer Financial Protection).
4.7.6 Di conseguenza, il CESE propone alla Commissione che, approfittando del periodo di preparazione della futura proposta, essa elabori o riesamini gli studi in merito alle migliori pratiche europee tese alla protezione degli utenti di servizi finanziari, in base alle quali vengano stabiliti gli strumenti giuridici che assicurino un livello elevato di protezione per tutti gli utenti di servizi finanziari. Questo livello elevato di protezione per gli utenti di servizi finanziari rappresenta un mandato previsto nella Carta dei diritti fondamentali rivolto a tutte le istituzioni dell'Unione europea.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) GU C 162 del 25.6.2008, pagg. 1-19 e GU C 175 del 28.7.2009, pagg. 20-25.
(2) GU C 324 del 30.12.2006, pag. 1.
(3) Articolo 11 della direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 (GU L 177 del 30.6.2006, pag. 1).
(4) Articolo 12 della direttiva 2007/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 settembre 2007 (GU L 247 del 21.9.2007, pag. 1).
(5) Cfr. la nota n. 1.
(6) Cfr. la nota n. 2.
(7) GU C 107 del 6.4.2011, pag. 21.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/113 |
Parere del del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Meno adempimenti amministrativi per i cittadini — Promuovere la libera circolazione dei documenti pubblici e il riconoscimento degli effetti degli atti di stato civile
COM(2010) 747 definitivo
2011/C 248/19
Relatore: HERNÁNDEZ BATALLER
La Commissione europea, in data 14 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:
Libro verde — Meno adempimenti amministrativi per i cittadini: Promuovere la libera circolazione dei documenti pubblici e il riconoscimento degli effetti degli atti di stato civile
COM(2010) 747 definitivo.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il Libro verde della Commissione e riconosce la necessità di agevolare la circolazione dei documenti pubblici in tutta l'Unione europea, per facilitare la vita dei cittadini europei e aiutarli ad esercitare in modo più efficace i propri diritti abbattendo gli ostacoli ancora esistenti.
1.2 Il CESE sostiene le iniziative della Commissione volte ad agevolare la libera circolazione dei documenti pubblici, dal momento che servono a completare la cittadinanza europea rafforzandone i diritti economici e sociali.
1.3 Il CESE considera che, per quanto riguarda gli atti di stato civile, la Commissione dovrebbe:
— |
istituire un regime sovranazionale opzionale di certificato europeo dello stato civile, |
— |
dare il via ai lavori necessari per arrivare a un'armonizzazione delle norme di conflitto, |
— |
in attesa di realizzare queste due premesse, stabilire il riconoscimento reciproco individuando i requisiti minimi applicabili agli atti di stato civile e raggiungendo un consenso sulla presunzione della loro validità generalizzata nell'UE, dopo aver constatato la legalità del rilascio da parte dell'autorità competente. |
1.4 A questo proposito, il CESE invita le altre istituzioni e gli organi competenti dell'UE a sostenere senza indugio le proposte della Commissione in quest'ambito, affinché nell'attuale periodo legislativo possano essere adottate, nella misura del possibile, norme sopranazionali.
1.5 Di conseguenza, appare opportuno orientarsi verso l'introduzione generalizzata di documenti amministrativi con moduli standard e plurilingui, che potrebbero ispirarsi ai modelli utilizzati dalla Commissione internazionale per lo stato civile (CIEC) e che, fra gli altri vantaggi, avrebbero anche quello di eliminare la traduzione del documento nello Stato di destinazione.
2. Introduzione
2.1 Gli adempimenti amministrativi da espletare per potersi avvalere di documenti pubblici al di fuori dello Stato membro in cui tali documenti sono stati rilasciati possono comportare per l'interessato costi elevati in termini di tempo e oneri considerevoli in termini economici a causa, in buona sostanza, della prova di autenticità e della presentazione di una traduzione certificata di tali documenti.
2.1.1 Queste difficoltà scaturiscono tra l'altro dall'obbligo di presentare alle autorità di un altro Stato membro documenti pubblici per poter godere di un diritto o essere soggetti a un obbligo. Tali documenti possono essere di natura assai varia: può trattarsi di documenti amministrativi, notarili, atti di stato civile, contratti di vario tipo e decisioni giudiziarie.
2.1.2 Il metodo tradizionale di autenticazione dei documenti pubblici destinati ad essere utilizzati all'estero si chiama «legalizzazione» e consiste, nella sua modalità ordinaria, nella legalizzazione di un documento da parte delle autorità competenti dello Stato che lo rilascia e, successivamente, da parte dell'ambasciata o del consolato dello Stato in cui il documento verrà utilizzato. La modalità semplificata di questo adempimento è la «postilla», con cui lo Stato che rilascia il documento emette anche un certificato di autenticazione.
2.1.3 Nel programma di Stoccolma (1), il Consiglio europeo invita la Commissione a continuare il lavoro volto a garantire il pieno esercizio del diritto alla libera circolazione, e il piano d'azione del programma stesso prevede due proposte legislative riguardanti:
— |
la libera circolazione dei documenti, mediante soppressione della legalizzazione dei documenti tra gli Stati membri, |
— |
il riconoscimento degli effetti di alcuni documenti di stato civile in modo che lo status giuridico attribuito in uno Stato membro sia riconosciuto in un altro Stato membro con le stesse conseguenze giuridiche. |
3. Il Libro verde della Commissione
3.1 La Commissione avvia una consultazione sulle questioni relative alla libera circolazione dei documenti pubblici e sul riconoscimento degli effetti degli atti di stato civile.
3.2 I documenti pubblici
3.2.1 La Commissione intende avviare una riflessione relativa a tutti i documenti pubblici per i quali sono necessari adempimenti amministrativi al fine di renderne possibile l'utilizzo al di fuori dello Stato in cui sono stati rilasciati. Tra tali adempimenti rientrano la prova di autenticità e la presentazione di una traduzione certificata. Tutti questi documenti sono accomunati da una medesima funzione: fornire la prova di fatti attestati da un'autorità pubblica.
3.2.2 Attualmente, le formalità amministrative come la legalizzazione e la postilla dei documenti pubblici negli Stati membri dell'Unione sono caratterizzate da un quadro giuridico disperso tra più fonti:
— |
ordinamenti nazionali molto diversi fra loro; |
— |
numerose convenzioni internazionali multilaterali o bilaterali ratificate da un numero diverso e limitato di paesi e insufficienti ad offrire le soluzioni necessarie per la libera circolazione dei cittadini europei; |
— |
un diritto dell'UE frammentato, che affronta solo alcuni aspetti limitati dei problemi in campo. |
3.3 Soluzioni possibili per facilitare la libera circolazione dei documenti pubblici tra gli Stati membri
3.3.1 |
Soppressione delle formalità amministrative Si propone la soppressione della legalizzazione e della postilla per tutti i documenti pubblici, al fine di garantirne la libera circolare. |
3.3.2 |
Cooperazione tra le autorità nazionali competenti
|
3.3.3 |
Limitare la traduzione dei documenti pubblici In numerosi settori amministrativi si potrebbero predisporre moduli standard opzionali, almeno per i documenti pubblici più frequenti, in modo da ridurre la richiesta e i costi di traduzione. |
3.3.4 |
Il certificato europeo di stato civile Tale certificato coesisterebbe con gli atti di stato civile degli Stati membri, in quanto sarebbe facoltativo e non obbligatorio. Creando un supporto unico, rappresentato dal certificato europeo, verrebbero uniformati il formato e le diciture riportate. |
3.4 Riconoscimento reciproco degli effetti degli atti di stato civile
3.4.1 |
Gli atti di stato civile sono documenti scritti formati da un'autorità al fine di accertare avvenimenti della vita di ogni cittadino quali la nascita o la filiazione. |
3.4.2 |
Ai cittadini europei che esercitano il diritto di libera circolazione dovrebbe essere garantita la continuità e la permanenza della situazione di stato civile, inoltre la situazione giuridica certificata da un atto di stato civile dovrebbe poter produrre effetti civili connessi a tale situazione. |
3.4.3 |
Può quindi rendersi necessario un intervento dell'Unione diretto a offrire una maggiore certezza giuridica ai cittadini europei in materia di stato civile e a eliminare gli ostacoli che si frappongono al riconoscimento, in uno Stato membro, di una situazione giuridica creata in un altro Stato membro. |
3.4.4 |
Gli strumenti di diritto derivato (2) messi a punto dall’Unione sono ancora molto mirati, non esistendo a oggi norme generali in materia di riconoscimento di situazioni connesse allo stato civile create in un altro Stato membro. Inoltre, l'Unione europea non ha competenze per intervenire nel diritto sostanziale di famiglia degli Stati membri, dal momento che il TFUE non offre alcuna base giuridica per applicare una soluzione di questo tipo. |
3.4.5 |
Per risolvere questi problemi, la Commissione propone tre diverse opzioni, ossia:
|
4. Osservazioni di carattere generale
4.1 Il Libro verde elaborato dalla Commissione europea trova giustificazione legislativa nella necessità di perfezionare e approfondire il funzionamento dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, e di rafforzarne la correlazione con l'esercizio dei diritti riconosciuti dallo status di cittadini dell'Unione e dalle libertà economiche fondamentali.
4.2 In questo senso, il Comitato accoglie con soddisfazione l'iniziativa della Commissione che, in linea coi principi e i valori costituzionali e con gli obiettivi dell'Unione europea sanciti dal TUE e dal TFUE dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dà preminenza a una prospettiva giuridica che rafforzi il ruolo delle persone nel processo di integrazione europea.
4.3 Di conseguenza, è compito delle istituzioni e degli altri organi dell'Unione agevolare, per i cittadini degli Stati membri e in generale per tutti gli individui, l'esercizio dei diritti e delle libertà di cui sono destinatari, fino al massimo delle potenzialità possibili nei limiti previsti dai Trattati e dall'impianto giuridico vigente.
4.3.1 Ne conseguirà un trattamento improntato a una maggiore uguaglianza, in conformità del principio sancito dall'articolo 9 del TUE, e un contributo all'eliminazione degli ostacoli all'esercizio dei diritti e delle libertà suddette che non siano giustificati da ragioni di ordine pubblico, ostacoli che spesso proteggono interessi puramente corporativi (il che significa la possibile interferenza di burocrati, notai, ufficiali di stato civile, ecc.) o nascondono assurde diffidenze legate alla sovranità degli Stati membri dell'UE.
4.4 Ciononostante, l'adozione di future misure volte ad eliminare gli ostacoli creati dalle formalità amministrative o linguistiche richiede una valutazione attenta delle implicazioni materiali: infatti, insieme ai risultati desiderabili e favorevoli alle persone dovuti all'eliminazione degli ostacoli e delle pastoie amministrative, all'abbattimento dei costi e alla riduzione dei tempi necessari per far valere i documenti pubblici al di fuori dello Stato che li ha rilasciati, possono prodursi anche seri conflitti giuridici relativi agli effetti derivati di tali misure in settori molto delicati come quello dello stato civile.
4.5 In coerenza con quanto precede, conviene analizzare separatamente la fattibilità delle suddette misure, esaminandone da un lato gli aspetti riguardanti le questioni squisitamente procedurali e linguistiche e dall'altro le questioni più sostanziali riguardanti la situazione giuridica degli interessati.
4.6 La piena attuazione dei diritti di libera circolazione e di soggiorno, come di quelli riguardanti la libertà di stabilimento, la libera prestazione di servizi e la libera circolazione dei lavoratori nel mercato interno, fra gli altri, richiede che si adottino meccanismi e atti normativi sovranazionali finalizzati ad eliminare o a limitare a situazioni molto specifiche le formalità amministrative per l'autenticazione dei documenti pubblici.
4.6.1 Le interferenze delle autorità di Stati membri diversi da quello che ha rilasciato un documento pubblico mascherano spesso interessi incompatibili con il diritto dell'UE e comportano trattamenti discriminatori e oneri ingiustificati per i cittadini.
4.6.2 Ovviamente, gli obiettivi di ordine pubblico e di tutela degli interessi finanziari degli Stati membri possono essere raggiunti con mezzi che risultino meno onerosi per il singolo e che comunque non ne ledano i diritti riconosciuti dall'ordinamento dell'Unione. Quando vi siano dubbi fondati sull'autenticità di un documento, o venga presentato un documento che non esiste in un altro Stato membro, le autorità nazionali competenti devono scambiare informazioni e cercare una soluzione.
4.6.2.1 In questo senso, il Comitato sottolinea di ritenere che le pubbliche amministrazioni, nonostante tutto, abbiano l'obbligo di fare tutto il possibile per consentire ai cittadini la regolarizzazione transnazionale di tutti i documenti pubblici attestanti uno status o una condizione tali da costituire un requisito per l'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dall'UE.
4.6.3 Ciò è dimostrato da diverse esperienze realizzate all'interno dell'UE, come:
— |
la cooperazione amministrativa fra gli ufficiali di stato civile portata avanti dagli undici Stati membri aderenti alla convenzione n. 3 della CIEC (3), i cui soddisfacenti risultati sono, per il Comitato, un buon motivo per invitare tutti gli Stati membri dell'UE ad aderire a tale convenzione come stadio precedente la prevedibile adozione di norme sovranazionali nel settore; |
— |
lo scambio di informazioni relative alle qualifiche professionali per mezzo del sistema elettronico di informazione del mercato interno (IMI); |
— |
la progressiva automatizzazione e soppressione dell'exequatur nel quadro dell'utilizzo generalizzato di procedure elettroniche, e-Giustizia, ecc. |
4.6.3.1 Alla luce di tali esperienze sembra naturale che la Commissione europea vincoli la normativa proposta nel Libro verde sulla circolazione dei documenti pubblici ad altre iniziative come «Europa digitale» e «e-2020». Il CESE ritiene che sarebbe una buona occasione per dare impulso alla creazione di una rete dello stato civile che facilitasse l'applicazione del principio per cui i documenti vanno presentati in una sola circostanza, semplificando così gli adempimenti amministrativi.
4.6.3.2 Il CESE ritiene inoltre possibile immaginare la creazione, in tempi brevi, di una base di dati elettronica dei modelli di documenti pubblici più comunemente rilasciati dagli Stati membri, gestita dalla Commissione europea, al fine di agevolarne il riconoscimento reciproco e la convalida automatica in tutto il territorio dell'UE, con le corrispondenti versioni nelle diverse lingue ufficiali.
4.6.4 Analogamente, le esperienze fatte in altri settori di intervento dell'UE dimostrano che è possibile utilizzare documenti elaborati con formati, tecniche e materiali identici o simili, come nel caso del passaporto europeo (4) e della tutela di cui all'articolo 20, paragrafo 2, lettera c) del TFUE; il modello di patente per veicoli a motore e ciclomotori con le sue diverse categorie, ecc.
4.6.5 Di conseguenza, appare opportuno orientarsi verso l'introduzione generalizzata di documenti amministrativi con moduli standard e plurilingui, che potrebbero ispirarsi ai modelli utilizzati dalla CIEC e che, fra gli altri vantaggi, avrebbero anche quello di eliminare la traduzione del documento nello Stato di destinazione.
4.7 Certamente, la cooperazione amministrativa più stretta e l'emissione di documenti validi in tutti gli Stati membri dell'UE sono obiettivi raggiungibili in un clima di fiducia reciproca, se non di reciproco riconoscimento, e chiaramente desiderabili nell'ottica di agevolare l'esercizio dei succitati diritti di cittadinanza e dei diritti economici fondamentali dell'UE. L'adozione di norme europee pienamente applicabili in tutti gli Stati membri è un compito istituzionale che rientra nelle competenze dell'UE, ed è necessaria per approfondire il processo d'integrazione.
4.8 Tuttavia, la questione della convalida degli atti di stato civile presenta alcuni aspetti più complessi che rendono necessario esplorare diverse alternative di politica legislativa.
4.8.1 Si tratta di far rientrare in una soluzione comune, forse l'adozione di un certificato europeo di stato civile, il problematico fatto che, attualmente, gli atti di stato civile rilasciati dalle autorità competenti degli Stati membri non riconoscono allo stesso modo determinate situazioni di vita personale, e che queste non comportano effetti pienamente vincolanti in tali Stati membri.
4.8.2 Le diverse tradizioni giuridiche, culturali e religiose dei paesi dell'Unione europea danno dimensioni diverse alla condizione giuridica delle persone. Ne nascono discrepanze che interessano i requisiti in materia di capacità previsti da alcuni Stati membri come condizione indispensabile per contrarre matrimonio, il riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso, l'attribuzione dell'ordine dei cognomi, fino all'attribuzione del genere dopo un cambiamento di sesso.
4.9 È necessario rispettare scrupolosamente il principio di sussidiarietà, tenuto conto del fatto che al momento la competenza in questo settore spetta agli Stati membri, che il Trattato di Lisbona non offre basi specifiche per avviare azioni sovranazionali di armonizzazione legislativa al riguardo e che non prevede neanche, a differenza di quanto fa l'articolo 77, paragrafo 3 del TFUE per i visti e altri permessi di soggiorno di breve durata, una clausola che scatta quando i Trattati non attribuiscano competenze nella materia.
4.10 Di conseguenza, l'ipotetica applicazione del principio di riconoscimento reciproco mediante un qualche tipo di disposizione normativa sovranazionale fondata sulla disposizione generica dell'articolo 81, paragrafo 1, del TFUE dovrebbe essere considerata alla luce della procedura legislativa speciale di cui all'articolo 81, paragrafo 3, con la necessaria partecipazione dei parlamenti nazionali.
4.10.1 In questo senso, non sarebbe auspicabile realizzare un esame dettagliato o una valutazione selettiva delle opzioni giuridiche che l'Unione dovrebbe seguire in funzione del tipo di situazione dello stato civile che si voglia riconoscere, dal momento che, probabilmente, sarebbe più facile applicare tale procedimento alla filiazione, all'adozione o all'ordine dei cognomi, piuttosto che al riconoscimento di un matrimonio.
4.10.2 Quale che sia, insomma, l'opzione legislativa che verrà portata avanti dall'Unione europea, e quale che sia il tempo necessario per adottare tale opzione, conviene favorire il prima possibile gli individui che richiedano il riconoscimento di una situazione giuridica o degli effetti di un atto di stato civile, con l'elaborazione di modelli od orientamenti europei di carattere vincolante che aiutino le autorità nazionali competenti a dare soluzioni coerenti, agili e che non causino discriminazioni basate sulla nazionalità.
4.11 Data l'esigenza improrogabile di agevolare la circolazione dei documenti pubblici, gli Stati membri e le istituzioni dell'UE dovranno sostenere le iniziative della Commissione in questo senso e quelle volte a istituire un regime sovranazionale opzionale di certificato europeo dello stato civile, dando il via ai lavori necessari per arrivare a un'armonizzazione delle norme di conflitto e, nel frattempo, stabilire il riconoscimento reciproco individuando i requisiti minimi applicabili agli atti di stato civile e raggiungendo un consenso sulla presunzione della loro validità generalizzata nell'UE, dopo aver constatato la legalità del rilascio da parte dell'autorità competente.
4.12 Al fine di garantire la massima efficacia possibile alle misure che saranno adottate dall'UE sulla libera circolazione dei documenti pubblici, il Comitato invita la Commissione ad esaminare la possibilità di includere, nelle sue future proposte normative, un ampliamento del loro ambito di applicazione ai cittadini dello Spazio economico europeo e dei paesi terzi coi quali l'UE abbia firmato accordi di associazione tuttora in vigore (in regime di reciprocità coi cittadini degli Stati membri dell'UE), nonché ai residenti di lunga durata provenienti da paesi terzi e che risiedano legalmente sul territorio di un paese dell'Unione.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) COM(2004) 401 definitivo.
(2) Regolamento (CE) n. 2201/2003, articolo 21, paragrafo 2.
(3) Secondo tale convenzione, quando l'ufficiale di stato civile redige un atto di matrimonio ne informa l'ufficiale di stato civile del luogo di nascita dei nubendi con un modulo standard.
(4) GU C 241 del 19.9.1981 e GU C 179 del 26.7.1982.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/118 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 89/666/CEE, 2005/56/CE e 2009/101/CE in materia di interconnessione dei registri centrali, commerciali e delle imprese
COM(2011) 79 definitivo — 2011/0038 (COD)
2011/C 248/20
Relatore: Miklós PÁSZTOR
Il Parlamento europeo, in data 8 marzo 2011, e il Consiglio, in data 16 marzo 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 50, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 89/666/CEE, 2005/56/CE e 2009/101/CE in materia di interconnessione dei registri centrali, commerciali e delle imprese
COM(2011) 79 definitivo - 2011/0038 (COD).
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace della pubblicazione della direttiva in oggetto, che considera come un importante passo in avanti nello sviluppo del mercato unico, dal momento che consente di realizzare i più ampi obiettivi delle imprese commerciali, dei lavoratori, dei consumatori e dei cittadini europei, esposti nella strategia Europa 2020 e nell'iniziativa relativa alle piccole e medie imprese (Small Business Act). Tuttavia, la proposta, nella sua forma attuale, che prevede l'uniformazione delle indicazioni e degli atti più importanti e la sostituzione della cooperazione volontaria con un obbligo giuridico su tutto il territorio dell'Unione, soddisfa solo alcune delle principali richieste formulate.
1.2 Al tempo stesso la proposta contiene numerose incertezze per quanto riguarda l'applicazione. Essa lascia alla Commissione il compito di risolvere numerose questioni nel quadro di un futuro strumento normativo. Il Comitato esprime la speranza di essere coinvolto anche nelle future tappe legislative e di continuare a essere interlocutore della Commissione nella preparazione di tale futura normativa.
1.3 Il Comitato avrebbe preferito che la proposta consolidasse le tre direttive modificate e formulasse in maniera realmente autonoma le esigenze dell'Unione in questo campo (1). Con la modifica e gli atti delegati che saranno adottati in seguito, l'attuazione perderà una parte della sua chiarezza. Per tale ragione, il Comitato ribadisce in questo contesto le posizioni espresse in merito al Libro verde, e auspica che tali posizioni vengano accolte nelle future disposizioni legislative.
1.4 Il Comitato considera una grave lacuna il fatto che la regolamentazione non affronti la questione del trasferimento di sede che, come indicato nel Libro verde, diviene sempre più importante in un mercato in via di unificazione. Il Comitato considera come un'occasione mancata il fatto che il legislatore non abbia cercato di far valere come modello il principio, peraltro invocato, della trasparenza dei titoli.
1.5 Il Comitato accoglie con favore le modifiche presentate nella proposta in oggetto per quanto riguarda le direttive 89/666/CEE e 2005/56/CE.
1.6 Per quanto riguarda la modifica della direttiva 2009/101/CE, il Comitato ritiene importante:
— |
che i dati vengano pubblicati nei tempi più rapidi possibili, vale a dire entro la scadenza più ravvicinata, tenendo conto dei vincoli tecnici e giuridici; |
— |
che la richiesta di informazioni di base sia gratuita nel quadro del sistema europeo unificato, come il CESE aveva già chiesto in precedenza; |
— |
che venga chiarita, a differenza di quanto avviene adesso, la questione delle spese di creazione e di gestione del sistema. Il Comitato si rammarica dell'assenza, nella proposta, di studi di impatto su questo punto. Ribadisce nondimeno che l'Unione debba prevedere dei fondi diretti a coprire tali spese; |
— |
che la gestione del sistema permetta di accedere alle informazioni quanto più possibile direttamente, e di ridurre al minimo la pubblicazione di informazioni su supporto cartaceo. |
1.7 Il Comitato accoglie con favore la scadenza del 1 gennaio 2014 per la messa in vigore, da parte dell'Unione e degli Stati membri, degli atti giuridici necessari. Ritiene nondimeno indispensabile per l'Unione europea stabilire una scadenza interna per l'applicazione delle misure decise negli atti delegati.
2. Contenuto della proposta di direttiva
2.1 La direttiva mira a migliorare la trasparenza dell'ambiente giuridico e fiscale delle imprese che si avvalgono in misura sempre maggiore delle possibilità offerte dal mercato unico, e a rafforzare in tal modo il clima di fiducia nei confronti di tale mercato, così da favorire lo sfruttamento dei vantaggi competitivi derivanti dalle relazioni tra partner commerciali.
2.2 Sulla base della direttiva, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per fare in modo che soci e terzi abbiano facile accesso, su tutto il territorio dell'Unione, agli atti e alle indicazioni concernenti le società e le loro relazioni reciproche. Infatti a tutt'oggi non esiste alcun obbligo, né alcuna effettiva possibilità in tal senso. Il problema della trasparenza si pone in maniera particolarmente acuta e pressante nel caso delle fusioni e delle scissioni di imprese site in Stati differenti, o di succursali locali di un'impresa assoggettata al diritto di un altro Stato membro.
2.3 La Commissione propone, come soluzione, di modificare alcune direttive precedenti:
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la direttiva 89/666/CEE, relativa alla pubblicità delle succursali create in uno Stato membro da taluni tipi di società soggette al diritto di un altro Stato (undicesima direttiva); |
— |
la direttiva 2005/56/CE, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali; |
— |
la direttiva 2009/101/CE, riguardante le garanzie che possono essere accordate a soci e terzi (nuova direttiva sulla pubblicità relativa alle società, che sostituisce la prima direttiva). |
Tali direttive soddisfacevano solo in parte le crescenti esigenze di informazione.
2.4 Le modifiche apportate attraverso la nuova direttiva ampliano, precisano e sviluppano i requisiti e le procedure esistenti e danno alla Commissione il potere di applicare altri requisiti ed estensioni nel quadro dell'applicazione della direttiva. Tale azione mira sostanzialmente a fare in modo che si possano identificare chiaramente e quanto più possibile rapidamente tutte le società, le succursali o i raggruppamenti di operatori economici, e che ogni cambiamento venga registrato e reso accessibile senza ritardi. Il miglior strumento a tal fine risulta essere la raccolta e la pubblicazione per via elettronica degli atti e delle indicazioni, e gli Stati membri devono garantire l'informatizzazione e l'accessibilità dei dati attraverso la prevista piattaforma europea unica.
2.5 La direttiva 2009/101/CE è quella che forma oggetto del maggior numero delle modifiche proposte dalla Commissione europea:
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la scadenza per la pubblicazione dei dati è stabilita in 15 giorni di calendario al massimo; |
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ciascuna società deve disporre di un codice di identificazione unico che consenta di identificarla senza equivoci nello Spazio economico europeo; |
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le formalità prescritte dagli Stati membri devono essere compatibili con l'accessibilità attraverso una piattaforma elettronica europea unica; |
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gli Stati membri devono garantire l'affidabilità degli atti e delle indicazioni; |
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le spese di pubblicazione non devono superare i costi amministrativi necessari; |
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ai fini dell'esecuzione di tali disposizioni, la Commissione europea, sulla base di poteri delegati, può definire le modalità tecniche riguardanti la gestione, la sicurezza, le modalità di formazione del codice di identificazione unico, il regime linguistico, i metodi e le norme tecniche di pubblicazione e le possibilità di sanzioni in caso di non osservanza delle disposizioni. |
2.6 Per quanto riguarda le direttive del 1989 e del 2005, la modifica verte sul codice di identificazione unico delle succursali o delle società di capitali che sono state oggetto di una fusione transfrontaliera e sui requisiti di compatibilità elettronica delle altre attività di registrazione.
2.7 La direttiva, i cui destinatari sono gli Stati membri, fissa al 1° gennaio 2014 la scadenza per il recepimento; essa entra in vigore il 20 ° giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
3. Contesto giuridico del parere
3.1 La trasparenza dei registri commerciali non è solo un obiettivo importante di per sé, ma costituisce al tempo stesso una delle premesse dell'armonizzazione del diritto societario. L'interoperabilità dei registri nazionali rappresenta una questione fondamentalmente informatica ed economica, ma la proposta dev'essere pubblicata sotto forma giuridica, e pertanto non si può fare astrazione dai requisiti giuridici. Oltre alla necessità di trovare la forma appropriata dal punto di vista giuridico occorre esaminare in dettaglio il contesto giuridico dell'armonizzazione.
3.1.1 Sotto tale profilo ci si può chiedere innanzitutto come conciliare gli interessi degli Stati prevalentemente esportatori e di quelli prevalentemente importatori di capitali. La tabella che segue presenta a grandi linee i loro principali punti di vista. Sulla base di tali punti di vista, il fatto di tenere conto degli interessi basilari degli Stati limita intrinsecamente, nel più lungo periodo, il successo dell'armonizzazione di fondo, anche se nel quadro delle discussioni, ciò non sembra rilevante ai fini di una questione tecnica quale l'interoperabilità dei registri commerciali.
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Stato membro esportatore di capitali |
Stato membro importatore di capitali |
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Principio della finzione (universalismo) |
Principio della realtà (particolarismo) |
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Luogo di registrazione |
Sede amministrativa effettiva |
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Principio di individualità |
Principio di territorialità |
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Certezza giuridica |
Prevenzione dell'abuso del diritto |
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Divieto di limitare le libertà fondamentali |
Divieto di trattamento discriminatorio |
3.2 Gli ostacoli alla registrazione nazionale delle imprese sono molto meno numerosi in taluni Stati - quelli che seguono il principio della finzione (dove il riconoscimento delle imprese a livello nazionale è in linea di principio automatico purché esse rispondano a determinate condizioni formali), piuttosto che in altri (per i quali è importante anche la difesa delle comunità locali che gravitano intorno all'impresa), perché la responsabilità dell'impresa che chiede la registrazione è più importante di quella dello Stato. In altre parole, in materia di registrazione delle imprese, la regolamentazione di diritto privato è più importante della regolamentazione di diritto pubblico.
3.3 In alcuni Stati non è assolutamente possibile modificare lo statuto delle imprese, mentre in altri, in caso di cambiamento della sede amministrativa effettiva, occorre modificare l'identità che può essere riconosciuta dal diritto societario, e di conseguenza aggiornare il registro. Ciò ha comportato vari problemi sul mercato interno (vedere per esempio la causa Überseering), senza escludere né la doppia identità né l'inquietante possibilità della doppia non identità (per esempio nel caso di una combinazione tedesco-irlandese).
3.4 Alcuni Stati hanno una visione globale e considerano le attività delle imprese nel loro insieme, indipendentemente dal fatto che tali attività siano svolte sul loro territorio o all'estero (principio di individualità). In altri Stati, la giurisdizione è determinata sulla base del territorio, o quanto meno l'accento ricade sull'aspetto territoriale, ed esiste pertanto una differenza fondamentale tra il territorio nazionale e l'estero. L'armonizzazione è quindi realmente importante. Nel primo caso (principio di individualità), l'interoperabilità dei registri commerciali ricade essenzialmente nel campo del diritto privato, e il diritto societario fa riferimento agli interessi stessi delle imprese. Nel secondo caso, sono necessarie misure pubbliche. Si può d'altro canto immaginare che nel primo caso, per gli Stati esportatori di capitali, il progetto BRITE, per esempio, costituisca una soluzione migliore dell'armonizzazione positiva.
3.5 Gli Stati esportatori di capitali sono in genere riluttanti a modificare, in sede di registrazione, il codice di identificazione ottenuto in base al diritto societario, perché per essi la certezza giuridica prevale su tutto il resto. Altri Stati ritengono invece che il criterio principale sia la difesa degli interessi delle comunità locali che gravitano intorno alle imprese, e non esitano quindi a rimettere in questione all'occorrenza lo statuto giuridico di un'impresa. Proprio per tale ragione l'articolo 11 della prima direttiva (articolo 12 nella nuova), che precisa in maniera particolareggiata i motivi della dissoluzione di un'impresa, può essere applicato in maniere molto differenti secondo lo Stato, in funzione della concezione prevalente in merito alla creazione di un'impresa (vedere per esempio le cause Ubbink e Marleasing).
3.6 Gli Stati che in linea di principio non fanno distinzione tra le attività interne e quelle estere si avvalgono generalmente in maniera migliore delle possibilità offerte dal mercato interno, e le imprese che vi sono registrate possono quindi facilmente considerare che le misure adottate dallo Stato di accoglienza sono loro pregiudizievoli perché limitano le libertà dell'Unione. Per contro, nella pratica degli Stati che riconoscono il principio della realtà, vale a dire della territorialità, l'accento può essere messo in misura maggiore sul problema del trattamento discriminatorio delle imprese estere. Evidentemente sono prima di tutto gli Stati esportatori di capitali che hanno interesse ad uniformare i registri commerciali, mentre la regolamentazione di questa materia rappresenta una questione più importante per gli Stati importatori di capitali.
4. Osservazioni generali
4.1 Il Comitato si compiace della pubblicazione della direttiva, che considera un importante passo in avanti nello sviluppo del mercato unico. Infatti, essa consente di realizzare i più vasti obiettivi delle imprese commerciali, dei lavoratori, dei consumatori e dei cittadini europei, come il Comitato ha affermato in precedenza a proposito del Libro verde: «Gli obiettivi d'interconnessione dei registri delle imprese devono essere in linea con i documenti strategici Europa 2020 e Small Business Act. L'interconnessione dei registri delle imprese deve garantire l'aumento della trasparenza e una più agevole cooperazione tra le imprese, nonché la diminuzione delle barriere allo sviluppo delle attività transfrontaliere e la riduzione degli oneri amministrativi, specialmente per le PMI. Questi aspetti sono essenziali per rafforzare il mercato unico e per promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo, come è stato evidenziato anche nella comunicazione della Commissione dal titolo Pensare anzitutto in piccolo - Uno Small Business Act per l'Europa (COM(2008) 394 definitivo)» (2).
4.2 Il Comitato osserva inoltre che la proposta, nella sua forma attuale, risponde solo a una parte delle richieste fondamentali che sono state formulate allorché si è previsto di uniformare le indicazioni e gli atti più importanti e di sostituire alla cooperazione volontaria l'obbligatorietà giuridica su tutto il territorio dell'Unione. Inoltre, pur considerando accettabile l'orientamento della regolamentazione relativa ai costi amministrativi e alla protezione dei dati, il CESE ritiene che occorra precisare una serie di punti.
4.3 Va tuttavia constatato che la proposta in esame presenta numerose incertezze in merito all'attuazione. Nell'insieme, essa rinvia la definizione delle modalità di attuazione a una regolamentazione futura. Sarebbe invece stato opportuno che tale aspetto venisse definito sin da ora. Ad esempio, la proposta avrebbe potuto fornire maggiori informazioni su alcune norme e contenuti, dal momento che il Libro verde fa riferimento a parte di questi problemi e attende una risposta. Sarebbe quindi dovuto essere possibile pronunciarsi sui loro aspetti pratici. Il Comitato ribadisce quindi le posizioni espresse in riferimento al Libro verde, e auspica che esse siano accolte nelle future disposizioni legislative.
4.4 Il Comitato ritiene che l'Unione europea abbia perso un'occasione per fare un passo in avanti più deciso verso una maggiore armonizzazione del diritto societario, come descritta al punto 3. Esso è consapevole del fatto che delle considerevoli differenze giuridiche e istituzionali rendono difficile fare dei progressi in merito a questa più vasta questione e che l'armonizzazione del diritto societario costituisce un lavoro decennale. Tuttavia la registrazione rappresenta un aspetto di tale lavoro e tralasciando di affrontare la questione in dettaglio si è persa un'occasione per ricercare formulazioni comuni e aprire una discussione. D'altro canto, il programma BRITE illustra chiaramente il fatto che i soggetti interessati possono risolvere con soddisfazione generale numerose questioni di dettaglio per mezzo dell'autoregolamentazione.
4.5 Il Comitato considera una grave lacuna il fatto che la regolamentazione non affronti la questione del trasferimento di sede che, come indicato nel Libro verde, diviene sempre più importante in un mercato in via di unificazione. Il Comitato considera come un'occasione mancata il fatto che il legislatore non abbia cercato di far valere come modello il principio, peraltro invocato, della trasparenza dei titoli.
4.6 Nel quadro di tale processo sarebbe stato forse importante che la proposta consolidasse le tre direttive modificate e formulasse in maniera realmente autonoma i requisiti dell'Unione in questo campo (3). Con la modifica e con gli atti delegati che saranno adottati in seguito, l'attuazione perderà un po' della sua chiarezza, soprattutto in considerazione del fatto che la proposta in esame non definisce ulteriormente gli aspetti gestionali della registrazione e la cooperazione tra registri commerciali degli Stati membri.
4.7 Il Comitato prevede ulteriori difficoltà nella realizzazione degli obiettivi perseguiti, perché, stando alla formulazione della proposta (e non, si spera, in base all'obiettivo inizialmente perseguito) gli organi di cooperazione in materia di registrazione che sono stati attivi fino adesso a livello europeo, siano essi ufficiali, su base volontaria o espressi dal mercato, non troveranno posto nel quadro della nuova cooperazione. Il Comitato conviene che il portale giuridico unico dell'Unione europea, il portale europeo e-Justice, deve costituire il punto centrale di accesso all'informazione giuridica, ma ritiene importante fare in modo che venga mantenuto spazio sufficiente per iniziative che perseguono obiettivi differenti ed eventualmente più ampi. Sottolinea inoltre che «La cooperazione in questo campo tra, da un lato, le istituzioni nazionali ed europee e, dall'altro, le parti sociali e la società civile è particolarmente importante» (4). Esprime la speranza di essere coinvolto anche nelle tappe legislative future e di continuare a essere interlocutore della Commissione nella preparazione della futura normativa.
5. Osservazioni specifiche
5.1 Il Comitato accoglie con favore le modifiche presentate nella proposta in oggetto per quanto riguarda le direttive 89/666/CEE e 2005/56/CE.
5.2 Per quanto riguarda le modifiche alla direttiva 2009/101/CE, il Comitato ritiene importante che i dati vengano pubblicati al più presto, vale a dire prima possibile compatibilmente con i vincoli tecnici e giuridici. Il Comitato ritiene che sia possibile a breve termine anticipare radicalmente la scadenza proposta. Richiama tuttavia l'attenzione sul fatto che in certi casi anche tale scadenza può risultare eccessivamente lunga, e potrebbe quindi risultare necessario dichiarare le modifiche molto più tempestivamente, attraverso la piattaforma europea unica, mediante una «pubblicazione» (5) eseguita immediatamente dopo una notifica locale, e che potrebbe venire certificata in un secondo tempo. I sistemi informatici attuali rendono possibile tale soluzione.
5.3 Per quanto riguarda i costi relativi a tale servizio d'informazione, va chiarito se le spese, nel loro complesso, debbano essere coperte dalla cifra pagata dal modificatore, o se debba pagare anche chi richiede l'informazione. Su tale punto i sistemi in uso nei vari Stati membri sono differenti. Secondo la pratica in vigore fino adesso, il servizio non è a pagamento soltanto nel caso in cui le informazioni richieste provengano dal registro delle imprese di uno Stato differente. Il Comitato ribadisce l'auspicio, già formulato in precedenza, che le richieste di informazioni di base siano gratuite nel quadro del sistema europeo unificato (6).
5.3.1 Il Comitato ritiene che le informazioni relative alla sede di attività, ai proprietari e ai principali dirigenti dell'impresa, alla situazione economica e giuridica della società e alla sua capacità di resistenza, come pure i dati contabili e i bilanci precisi debbano figurare come informazioni di base per le società commerciali di partner commerciali, soci, creditori e lavoratori.
5.3.2 A tale proposito, il Comitato sottolinea che non è stata chiarita la questione delle spese di creazione e di gestione del sistema. Deplora il fatto che la proposta non contenga studi di impatto che consentano di valutare tali spese. Ribadisce tuttavia che è necessario che l'Unione preveda dei fondi per coprire tali spese.
5.4 Il Comitato si compiace del fatto che i dati saranno accessibili per via elettronica. Spera tuttavia che la gestione del sistema permetterà di accedere quanto più possibile direttamente alle informazioni. Riconosce comunque che è importante trovare un equilibrio, in questo contesto, tra l'esigenza di pubblicità e un funzionamento rapido e sicuro. È convinto che si possa trovare un compromesso soddisfacente e che la pubblicità ne uscirà rafforzata. Un'altra aspettativa fondamentale del Comitato nei confronti del sistema unificato è che tale sistema consenta di ridurre al minimo la pubblicazione di informazioni su supporto cartaceo e quindi le spese di pubblicazione.
5.4.1 Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che potrebbero sopravvenire dei conflitti tra gli obblighi europei in materia di notificazione delle informazioni e le norme giuridiche che rimarranno di competenza nazionale, per esempio la questione della fiducia dovuta alle risultanze degli atti. Tale situazione non potrà protrarsi a lungo.
5.5 Il Comitato ritiene che esistano soluzioni tecniche semplici anche per i problemi di linguistici, sebbene in tale contesto non sia stato svolto alcun lavoro preliminare degno di nota. Gli attuali programmi informatici per la traduzione permettono di pubblicare facilmente, in qualsiasi lingua straniera, testi standard, a condizione che tali testi standard siano disponibili e che siano stati approvati in seguito ad appropriate consultazioni. Tale genere di standardizzazione è da prevedere in particolare per le informazioni di base e per i documenti contabili.
5.6 Per quanto riguarda la protezione dei dati, il Comitato ritiene opportuno applicare al registro delle imprese le disposizioni della direttiva 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali.
5.7 Il Comitato accoglie con favore la scadenza del 1° gennaio 2014 per la messa in vigore, da parte dell'Unione e degli Stati membri, degli atti giuridici necessari. Ritiene nondimeno indispensabile per l'Unione europea stabilire una scadenza interna per l'applicazione delle misure decise negli atti delegati. Ciò consentirà di garantire, su tutto il territorio dell'Unione, il buon funzionamento della struttura che consente di accedere in modo rapido e uniforme alle informazioni sulle società.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) La prima e l'undicesima direttiva possono realmente essere combinate con facilità, dato che vertono su temi analoghi (la pubblicità delle società) mentre la direttiva relativa alle fusioni transfrontaliere si limita ad un aspetto specifico, la chiarezza dei registri commerciali in caso di operazioni transfrontaliere.
(2) GU C 48 del 15.2.2011, pag. 120, punto 1.2.
(3) La prima e l'undicesima direttiva possono realmente essere combinate con facilità, dato che vertono su oggetti analoghi (la pubblicità delle società) mentre la direttiva relativa alle fusioni transfrontaliere si limita ad un aspetto specifico, vale a dire la chiarezza dei registri commerciali in caso di operazioni transfrontaliere.
(4) GU C 48 del 15.2.2011, pag. 120, punto 6.7.
(5) Si tratterebbe di messaggi o informazioni pubblicati sulla rete elettronica europea e direttamente accessibili agli interessati.
(6) Cfr. GU C 48 del 15.2.2011, pag. 120, punto 1.5.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/123 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un approccio globale alla protezione dei dati personali nell'Unione europea
COM(2010) 609 definitivo
2011/C 248/21
Relatore: MORGAN
La Commissione europea, in data 4 novembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Un approccio globale alla protezione dei dati personali nell'Unione europea
COM(2010) 609 definitivo.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 16 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 9 voti contrari e 12 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 La legislazione dell'UE in materia di protezione dei dati è basata sulla direttiva 95/46/CE del 1995, che fissa i seguenti due obiettivi generali:
(1) |
Gli Stati membri garantiscono la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali. |
(2) |
Gli Stati membri non possono restringere o vietare la libera circolazione dei dati personali tra Stati membri, per motivi connessi alla tutela garantita a norma del paragrafo 1. |
È essenziale raggiungere un equilibrio tra questi obiettivi per evitare che entrino in conflitto. Il fine principale di una nuova normativa deve essere la creazione di un quadro giuridico che contribuisca a realizzarli entrambi.
1.2 Il CESE accoglie con favore la comunicazione in esame, in cui viene presentato l'approccio che la Commissione intende adottare per aggiornare la direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati. Lo sviluppo travolgente di nuove tecnologie sta creando un aumento esponenziale del trattamento di dati on-line, il che richiede un rafforzamento corrispondente della protezione dei dati personali, se si vuole evitare un'intrusione su larga scala nella vita privata dei cittadini. La rilevazione, la collazione e la gestione dei dati provenienti da molteplici fonti devono essere attentamente circoscritte. Il settore pubblico detiene molti fascicoli su diversi aspetti del rapporto tra i cittadini e lo Stato. I dati raccolti dovrebbero essere il minimo necessario per ciascun fine, e andrebbe vietata l'operazione di riunirli tutti in una banca dati globale stile «grande fratello».
1.3 Nello stesso tempo, tuttavia, il CESE invita alla prudenza. Le normative che disciplinano le attività imprenditoriali devono continuare ad essere stabili e prevedibili. Il CESE è pertanto favorevole a una revisione adeguata della direttiva sulla protezione dei dati.
1.4 La Commissione riconosce che una delle preoccupazioni ricorrenti delle parti interessate, in particolare delle società multinazionali, sia l'insufficiente armonizzazione delle norme di protezione dei dati vigenti negli Stati membri, nonostante l'esistenza di un quadro giuridico comune dell'Unione. Il CESE propone che le nuove normative offrano una protezione più coerente dei dati personali dei lavoratori in tutta l'UE, creando un quadro europeo inteso a rafforzare la chiarezza e la certezza giuridica. A questo proposito il CESE accoglie con particolare favore l'intenzione di rendere obbligatoria la nomina di un responsabile della protezione dei dati indipendente e di armonizzare le regole sulle sue funzioni e competenze.
1.5 Considerato il possibile conflitto tra la vita privata del singolo individuo e lo sfruttamento commerciale dei dati che lo riguardano, nonché l'importanza della posta in gioco, i cittadini devono diventare sempre più consapevoli delle finalità per cui i loro dati vengono raccolti e dei poteri che hanno poi di controllarli. Per questo motivo il CESE ritiene che, per una proposta veramente «globale», un'applicazione efficace e un'effettiva possibilità di ricorso siano un presupposto imprescindibile. Inoltre occorre coprire anche la dimensione transfrontaliera.
1.6 Per quanto riguarda i cittadini dell'UE, nell'Unione europea dovrebbe essere applicata la normativa vigente nello Stato membro del responsabile del trattamento, ovunque tali dati siano conservati. Nel caso di soggetti vulnerabili, in particolare i lavoratori e i consumatori, dovrebbe essere applicata la normativa in materia di protezione dei dati del loro luogo di residenza abituale.
1.7 Nella comunicazione il riferimento ai minori è solo sommario, mentre occorre prestare particolare attenzione alle questioni legate alla loro vita privata. Grazie al diritto all'oblio, si potrebbero eliminare le tracce di bravate infantili e di piccoli reati compiuti nell'adolescenza, ma tale diritto rischia di non essere attuabile nella pratica.
1.8 La definizione attuale di «dati sensibili» deve essere chiarita man mano che le categorie di dati elettronici sugli individui continuano ad aumentare. A giudizio del CESE, l'utilizzo ampio e indiscriminato della videosorveglianza può costituire un problema. È essenziale applicare la legge che limita l'abuso di queste immagini. I dati GPRS relativi all'ubicazione di un individuo rappresentano un'altra questione controversa, ed è in aumento la rilevazione di dati biometrici. Pertanto, la definizione di cui sopra dovrebbe comprendere anche queste nuove tecnologie e metodologie, e tenere conto degli ulteriori sviluppi tecnologici. Potrebbe essere necessario stabilire dei principi da applicare nei diversi contesti. Il CESE raccomanda che queste nuove tecnologie vengano impiegate in modo appropriato.
1.9 Pur riconoscendo il carattere sensibile della cooperazione di polizia tra gli Stati, il CESE ritiene essenziale che i diritti fondamentali, tra cui la protezione dei dati personali, siano tenuti nella massima considerazione in ogni momento.
1.10 Il CESE sostiene l'intento generale della Commissione di assicurare un'applicazione più coerente delle norme UE di protezione dei dati in tutti gli Stati membri. Il Comitato teme infatti che non tutti i dodici «nuovi» Stati membri abbiano pienamente ed effettivamente recepito la direttiva 95/46.
1.11 A giudizio del CESE, le autorità nazionali di protezione dei dati sono generalmente prive di strumenti efficaci e sovraccariche di lavoro, e la loro indipendenza deve essere rafforzata. Qualsiasi nuova direttiva dovrebbe prevedere che tali autorità nazionali abbiano lo status, i poteri e le risorse necessarie per svolgere il loro ruolo.
1.12 In considerazione del contributo dato finora dal Gruppo di lavoro articolo 29 alla protezione degli individui per quanto riguarda il trattamento dei dati personali, il CESE ritiene che tale gruppo debba continuare a svolgere il suo ruolo prezioso.
1.13 Nel quadro dell'Agenda digitale dell'UE, il CESE chiede alla Commissione di valutare la possibilità di istituire un'autorità UE incaricata di esaminare le più ampie ramificazioni di Internet nella società su un periodo da dieci a vent'anni. Le disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali e cibersicurezza in generale stanno diventando sempre meno adeguate, e la società cerca di recuperare il ritardo accumulato. In materia di protezione dei dati, il CESE raccomanda di nominare un garante della protezione dei dati a livello UE. L'attuale garante si occupa solo delle istituzioni europee, mentre ce ne vorrebbe uno responsabile del coordinamento tra Stati membri e delle norme operative. Questa nomina coprirebbe però soltanto una parte delle competenze dell'autorità generale proposta dal Comitato.
2. Introduzione
2.1 Il CESE continua a condividere i principi su cui era basata la direttiva del 1995. Seguono alcuni brani sintetizzati tratti dalla direttiva, da cui si evincono chiaramente i principi su cui essa è basata:
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Articolo 6 Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere:
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— |
Articolo 7 Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando:
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Articolo 8 Gli Stati membri vietano il trattamento di dati personali che rivelano l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l'appartenenza sindacale, nonché il trattamento di dati relativi alla salute e alla vita sessuale. |
2.2 Nell'ultimo decennio la situazione è notevolmente mutata a seguito delle nuove disposizioni dell'articolo 16 del Trattato di Lisbona e dell'articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali.
2.3 Obiettivo della comunicazione è definire l'approccio della Commissione per modernizzare il quadro giuridico dell'UE che disciplina la protezione dei dati personali in tutti i settori di attività dell'Unione, tenendo conto in particolare delle sfide generate dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie in modo da continuare a garantire un livello elevato di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali in tutti i settori di attività dell'Unione.
2.4 Oggigiorno è diventato più semplice e rapido scambiare informazioni in tutto il mondo. Ad esempio, i dati personali di un individuo - e-mail, fotografie e agende elettroniche - possono essere creati nel Regno Unito utilizzando un software ospitato in Germania, trattati in India, conservati in Polonia e consultati in Spagna da un cittadino italiano. Tale rapido aumento dei flussi di informazione nel mondo rappresenta un'importante sfida per il diritto dei cittadini alla privacy dei dati personali. Le questioni relative alla protezione dei dati, tra cui la loro dimensione transfrontaliera, condizionano la vita quotidiana delle persone: al lavoro, nei contatti con le autorità pubbliche, nell'acquisto di beni o servizi, in viaggio oppure «navigando» su Internet.
2.5 Nel 2011 la Commissione proporrà un atto legislativo per la revisione del quadro giuridico sulla protezione dei dati, con l'intento di consolidare la posizione dell'UE nei confronti della protezione dei dati personali in tutte le politiche europee, anche nelle attività di contrasto e prevenzione della criminalità, considerate le specificità di questi settori. In parallelo saranno messe a punto misure non legislative come la promozione dell'autoregolazione e lo studio della fattibilità di marchi europei di certificazione della privacy (o privacy seals).
2.6 La Commissione continuerà poi ad assicurare un adeguato controllo della corretta applicazione del diritto dell'Unione in questo ambito, perseguendo una politica attiva contro le infrazioni ogni qualvolta non siano correttamente attuate e applicate le norme europee di protezione dei dati.
2.7 L'approccio globale alla protezione dei dati si prefigge i seguenti obiettivi chiave:
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rafforzare i diritti delle persone |
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rafforzare la dimensione «mercato interno» |
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rivedere le norme di protezione dei dati nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale |
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tenere conto della dimensione globale della protezione dei dati |
— |
rafforzare l'assetto istituzionale per un'applicazione effettiva delle norme di protezione dei dati. |
Le seguenti sezioni da 3 a 7 sintetizzano tali obiettivi e presentano il punto di vista del CESE sulle proposte. I titoli in neretto seguono la struttura della comunicazione. Il testo in corsivo è una sintesi di brani della comunicazione.
3. Rafforzare i diritti delle persone
3.1 Garantire una protezione adeguata in ogni circostanza
La Carta dei diritti fondamentali comprende il diritto alla protezione dei dati personali. La definizione di «dati personali» intende coprire qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile. Si valuterà in che modo assicurare l'applicazione coerente delle norme di protezione dei dati, tenendo conto delle ripercussioni delle nuove tecnologie sui diritti e sulle libertà delle persone e dell'obiettivo di garantire la libera circolazione dei dati personali nel mercato interno.
3.1.1 La libera circolazione dei dati personali nel mercato interno è necessaria per garantire il pieno funzionamento di quest'ultimo; tuttavia essa può rappresentare anche una minaccia alla protezione dei dati conservati dalle società in merito ai loro dipendenti. Occorre introdurre garanzie specifiche, come la responsabilità dell'addetto al trattamento di dati per lo scambio multinazionale e l'utilizzo della criptazione per i dati più sensibili.
3.1.2 Il CESE sottolinea che il settore dell'occupazione è praticamente escluso non soltanto dalla comunicazione in esame, ma dall'intero dibattito sulla protezione dei dati in Europa. I lavori già effettuati a livello europeo andrebbero utilizzati come punto di partenza, in particolare le proposte presentate dal Gruppo di lavoro articolo 29.
3.2 Migliorare la trasparenza per gli interessati
La trasparenza è una condizione fondamentale per permettere alle persone di esercitare un controllo sui propri dati e per assicurare una protezione efficace dei dati personali. Saranno presi in considerazione un principio generale di trasparenza del trattamento dei dati, obblighi specifici per i responsabili del trattamento, in particolare in relazione ai minori, avvisi informativi standard sulla privacy e l'obbligo di comunicare le violazioni di dati personali.
3.2.1 Gli avvisi standard sono preferibili poiché evitano i conflitti di interesse. Il loro utilizzo dovrebbe avere carattere volontario.
3.2.2 L'obbligo di trasparenza non risolve necessariamente il problema delle clausole contrattuali unilaterali. È importante mettere a punto norme più rigorose per fornire una protezione maggiore dalle clausole inique.
3.2.3 Nella comunicazione il riferimento ai minori è sommario, mentre occorre prestare un'attenzione specifica alle questioni legate alla loro vita privata. Grazie al diritto all'oblio, si potrebbero eliminare le tracce di bravate infantili e di piccoli reati compiuti nell'adolescenza, ma tale diritto rischia di non essere attuabile nella pratica (cfr. punto 3.3.2).
3.2.4 La nuova normativa deve chiarire il ruolo del responsabile del trattamento dei dati e quello del responsabile della rilevazione dei dati, in modo che non vi sia alcuna confusione in merito alla loro identità e ai rispettivi diritti e doveri.
3.2.5 Il CESE approva la proposta di imporre l'obbligo di comunicare le violazioni di dati personali, ma ritiene che esso non possa essere applicabile a tutte le situazioni, tutti i settori e tutte le circostanze.
3.3 Rafforzare il controllo dei propri dati
Premesse importanti sono che il trattamento dati sia limitato al minimo necessario in relazione alle sue finalità (principio di minimizzazione dei dati) e che l'interessato mantenga un controllo effettivo dei propri dati. Saranno esaminati i mezzi per rafforzare il principio di minimizzazione dei dati, migliorare le modalità per l'esercizio dei diritti di accesso, rettifica e cancellazione o blocco dei dati, chiarire il cosiddetto «diritto all'oblio», assicurare il diritto di «data portability».
3.3.1 In linea di massima, il Comitato appoggia ogni iniziativa volta a rafforzare la protezione della vita privata. Gli individui dovrebbero avere diritto ad accedere liberamente ad ogni tipo di dati raccolti su di loro. Un esempio potrebbe essere il libero accesso ai dati relativi alla propria posizione creditizia. La possibilità di ritirare il consenso senza motivazione e un effettivo diritto all'oblio sono essenziali, ma la protezione della vita privata sarebbe ulteriormente rafforzata se, come prima cosa, venissero raccolti meno dati. Pertanto il CESE esorta la Commissione a dare effettiva applicazione alla proposta di rafforzare il principio di minimizzazione dei dati.
3.3.2 Anche se il diritto all'oblio è un concetto attraente, sarà difficile da realizzare data la natura virale dei dati che circolano su Internet e l'esistenza di tecnologie che cancellano ma non dimenticano.
3.4 Iniziative di sensibilizzazione
Le iniziative di sensibilizzazione andrebbero incoraggiate, fornendo informazioni chiare sui siti web e chiare specificazioni dei diritti dell'interessato e degli obblighi del responsabile del trattamento. La scarsa sensibilizzazione dei giovani rappresenta un problema particolare.
3.4.1 Sarà difficile realizzare la necessaria trasformazione dei comportamenti, specialmente se si considera che il rapido sviluppo delle reti sociali non è stato accompagnato da una sensibilizzazione degli utenti alle conseguenze della grande quantità di dati che essi mettono in rete. Infatti, mentre in linea di principio sarebbe opportuno che ogni servizio Internet fornisse messaggi obbligatori di informazione, ciò potrebbe creare dei problemi alle imprese. Andrebbe esaminata la possibilità di definire protocolli di questo tipo per ciascuna categoria di servizio: commercio elettronico, fornitori di servizi Internet, motori di ricerca, reti sociali, ecc.
3.4.2 Il CESE accoglie con favore l'intenzione della Commissione di mettere a disposizione dei finanziamenti UE per sostenere le attività di sensibilizzazione, e vorrebbe che questa idea venisse estesa al cofinanziamento di attività di sensibilizzazione svolte dalle parti sociali e dalle organizzazioni della società civile a livello europeo e nazionale.
3.5 Garantire un consenso libero e informato
La Commissione esaminerà come rendere più chiare e rafforzare le norme sul consenso.
3.5.1 Il tipo di consenso richiesto continua ad essere legato al tipo di dati trattati e non alla tecnologia utilizzata. Tuttavia, il CESE esprime preoccupazione per il fatto che, nella maggior parte dei casi, quando il consenso viene dato in ambiente Internet, l'applicazione non dà alcuna conferma di tale accordo, né vi sono meccanismi efficaci per registrare il ritiro del consenso. Inoltre, l'accordo può prevedere un semplice clic per approvare tutta una serie di clausole e condizioni, delle quali il consenso potrebbe rappresentare una componente minima. Sarebbe logico che il consenso relativo al controllo dei dati costituisse un documento semplice e separato, in modo da essere ragionato, informato e specifico.
3.5.2 Per le organizzazioni e le imprese che operano su Internet, il trattamento dei dati personali è essenziale. L'opzione automatica è chiaramente vantaggiosa per l'operatore ma, se non correttamente applicata, può andare a svantaggio del cliente. Il suo utilizzo andrebbe circoscritto, in modo che tutti gli operatori siano tenuti a offrire automaticamente la privacy ai loro clienti se questi ultimi lo desiderano.
3.5.3 Affinché il consenso venga dato liberamente, anche il contratto deve essere equo. Bisogna fissare dei principi che consentano di evitare le prassi commerciali scorrette.
3.6 Proteggere i dati sensibili
Si studierà come ampliare la definizione di «dati sensibili» per includere, ad esempio, i dati genetici, e l'ulteriore armonizzazione delle condizioni per il trattamento delle categorie di dati sensibili.
3.6.1 Occorre chiarire la definizione attuale dei dati sensibili man mano che le categorie di dati elettronici sugli individui continuano ad aumentare. A giudizio del CESE, l'utilizzo ampio e indiscriminato della videosorveglianza può costituire un problema. È essenziale applicare la legge che limita l'abuso di queste immagini. I dati GPRS relativi all'ubicazione di un individuo rappresentano un'altra questione controversa, ed è in aumento la rilevazione di dati biometrici. Pertanto, la definizione di cui sopra dovrebbe comprendere anche queste nuove tecnologie e metodologie, e tenere conto degli ulteriori sviluppi tecnologici. Potrebbe essere necessario stabilire dei principi da applicare nei diversi contesti. Il CESE raccomanda che queste nuove tecnologie vengano impiegate in modo appropriato.
3.6.2 Bisogna fornire anche una protezione rafforzata per i dati sensibili. Per alcune categorie di essi, la criptazione dovrebbe essere obbligatoria. Si dovrebbe fare ricorso alle migliori tecniche disponibili, e i responsabili del trattamento dovrebbero rispondere delle violazioni della sicurezza.
3.7 Rendere più efficaci i mezzi di ricorso e le sanzioni
Sarà considerata la possibilità di ampliare le competenze per avviare un'azione legale dinanzi al giudice nazionale e la possibilità di includere sanzioni penali nel caso di violazione grave.
3.7.1 Considerato il possibile conflitto tra la vita privata del singolo individuo e lo sfruttamento commerciale dei relativi dati, nonché l'importanza della posta in gioco, i cittadini devono diventare sempre più consapevoli delle finalità per cui i loro dati vengono raccolti e dei poteri che hanno poi di controllarli. Per questo motivo il CESE ritiene che, per formulare una proposta veramente «globale», un'applicazione efficace e un'effettiva possibilità di ricorso siano un presupposto imprescindibile. Va inoltre coperta la dimensione transfrontaliera.
3.7.2 La possibilità di un'azione collettiva dovrebbe essere presa in considerazione come mezzo di ricorso per violazioni molto gravi. Bisognerebbe valutare la possibilità che siano le organizzazioni di imprese, di categoria ed i sindacati a rappresentare i singoli e ad avviare un'azione legale.
4. Rafforzare la dimensione «mercato interno»
4.1 Accrescere la certezza giuridica e assicurare condizioni eque ai responsabili del trattamento
La protezione dei dati nell'UE ha una forte dimensione «mercato interno». Saranno esaminati i mezzi per conseguire una maggiore armonizzazione delle norme di protezione dei dati a livello dell'UE.
4.1.1 Il CESE teme che il margine decisionale concesso agli Stati membri dalla direttiva 95/46 abbia creato un problema di attuazione. A questo proposito, l'adozione di un regolamento avrebbe potuto apportare una maggiore certezza. L'armonizzazione dovrebbe essere attuata su un corpus di norme sufficiente per soddisfare i requisiti della direttiva.
4.1.2 Nell'intero testo della comunicazione non vi è alcun riferimento ai lavoratori dipendenti e all'accesso ai loro dati personali di cui dispongono i datori di lavoro. Per quanto riguarda i dipendenti delle imprese multinazionali, che possono centralizzare i registri all'interno o anche al di fuori dell'UE, è necessario che la nuova normativa preveda dei diritti di accesso chiaramente definiti.
4.2 Ridurre gli oneri amministrativi a carico dei responsabili del trattamento
Saranno esaminati diversi modi per semplificare e armonizzare l'attuale sistema di notificazione, compresa l'eventualità di introdurre un modulo di registrazione uniforme per tutta l'UE. Le notificazioni potrebbero essere pubblicate su Internet.
4.2.1 Il CESE accoglierebbe con grande favore queste iniziative.
4.3 Chiarire le norme relative al diritto applicabile e alle competenze degli Stati membri
I responsabili del trattamento e le autorità di protezione dei dati non sempre sanno qual è lo Stato membro competente e quale il diritto applicabile quando più Stati membri sono coinvolti. Il problema è reso più grave dalla globalizzazione e dagli sviluppi tecnologici. Saranno esaminate le modalità per rivedere e chiarire le disposizioni vigenti in materia di diritto applicabile al fine di migliorare la certezza giuridica e chiarire le competenze degli Stati membri.
4.3.1 Per quanto riguarda i cittadini dell'UE, nell'Unione europea dovrebbe essere applicata la normativa vigente nello Stato membro del responsabile del trattamento, ovunque tali dati siano conservati. Nel caso di soggetti vulnerabili, in particolare i lavoratori e i consumatori dell'UE, dovrebbe essere applicata, rispettandone il contenuto e la procedura, la normativa in materia di protezione dei dati del luogo di residenza abituale di tali soggetti.
4.4 Ampliare la responsabilità dell'addetto al trattamento
La Commissione studierà i mezzi per garantire che i responsabili del trattamento mettano in atto politiche e meccanismi efficaci al fine di assicurare il rispetto delle norme di protezione dei dati. Saranno esaminate le modalità per rendere obbligatoria la nomina di un responsabile della protezione dei dati ed armonizzare le regole sulle sue funzioni e competenze, in modo da creare l'obbligo di realizzare una valutazione d'impatto della protezione dei dati. Inoltre, la Commissione intende promuovere ulteriormente l'uso delle tecnologie di rafforzamento della tutela della vita privata (PET) e le possibilità di attuazione concreta del concetto «privacy by design».
4.4.1 Le PET e la «privacy by design» possono eliminare qualunque discrezionalità dal comportamento dei responsabili del trattamento, i quali altrimenti rischiano di trovarsi in conflitto con le priorità commerciali delle loro organizzazioni. Il CESE invita la Commissione ad avviare ulteriori attività di studio e sviluppo di questi strumenti, poiché essi sono in grado di rafforzare la protezione dei dati eliminando al tempo stesso i conflitti di interessi. Idealmente, essi potrebbero diventare obbligatori.
4.4.2 Per fugare ogni dubbio, i responsabili del trattamento dovrebbero rispondere di ogni aspetto del trattamento dei dati di loro competenza. Pertanto, laddove vi siano subappaltatori e/o attività in altri paesi, gli obblighi relativi alla protezione dei dati personali dovrebbero essere espressamente indicati nel contratto.
4.4.3 Il CESE ritiene che ogni Stato membro debba istituire un organo professionale responsabile delle competenze e delle certificazioni dei responsabili della protezione dati.
4.4.4 L'attuazione delle disposizioni previste in questo punto dovrebbe essere coerente con l'obiettivo di ridurre gli oneri amministrativi a carico dei responsabili del trattamento, menzionato al punto 4.2.
4.5 Incoraggiare le iniziative di autoregolamentazione ed esplorare regimi di certificazione dell'UE
La Commissione esaminerà le possibilità di incoraggiare ulteriormente le iniziative di autoregolamentazione, tra cui i codici di condotta, e studierà la fattibilità di regimi europei di certificazione.
4.5.1 Cfr. punto 3.7.1: l'applicazione delle disposizioni e la possibilità di ricorso sono aspetti a cui il CESE attribuisce un'importanza fondamentale. Tali proposte sono interessanti nella misura in cui possono aiutare a ridurre l'enorme onere regolamentare sostenuto dalle imprese. Un compendio o una guida delle migliori pratiche dovrebbero essere realizzati in ogni Stato membro.
5. Rivedere le norme di protezione dei dati nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale
Lo strumento dell'UE che disciplina la protezione dei dati personali nei settori della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale è la decisione quadro 2008/977/GAI. Essa presenta numerose carenze che possono avere conseguenze dirette sulla possibilità delle persone di esercitare i propri diritti alla protezione dei dati che li riguardano in questo settore (ad esempio il diritto di sapere quali dati sono trattati e scambiati, chi compie tali operazioni e per quale fine, come esercitare diritti come il diritto di accesso ai propri dati).
La Commissione intende valutare se estendere l'applicazione delle norme generali di protezione dei dati ai settori della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e se introdurre nuove disposizioni in settori quali il trattamento dei dati genetici, avviare una consultazione sulla revisione degli attuali sistemi di controllo in questo campo e valutare l'esigenza di allineare, a lungo termine, le numerose norme settoriali vigenti al nuovo quadro giuridico.
5.1 Pur riconoscendo il carattere sensibile della cooperazione di polizia tra gli Stati, il CESE ritiene essenziale che i diritti fondamentali, tra cui la protezione dei dati personali, siano tenuti nella massima considerazione in ogni momento. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che le istanze in materia di sicurezza, anche se pretestuose, portano spesso a ignorare i diritti fondamentali. I cittadini devono disporre di maggiori informazioni sui metodi con cui le autorità rilevano dati personali e sui motivi per cui lo fanno, a partire dalle bollette telefoniche fino ai conti bancari, ai controlli aeroportuali, ecc.
6. La dimensione globale della protezione dei dati
6.1 Chiarire e semplificare le norme applicabili ai trasferimenti internazionali di dati
La Commissione intende valutare le possibilità di:
— |
migliorare e semplificare le attuali procedure per i trasferimenti internazionali di dati al fine di assicurare un approccio dell'UE più uniforme e coerente nei confronti dei paesi terzi e delle organizzazioni internazionali; |
— |
specificare meglio i criteri e i requisiti per valutare il livello di protezione dei dati offerto da un paese terzo o da un'organizzazione internazionale; |
— |
definire gli elementi essenziali di protezione dei dati che potrebbero figurare in tutti i tipi di accordi internazionali. |
6.1.1 Il CESE sostiene queste valide iniziative e auspica che la Commissione riesca a raggiungere l'ampio accordo internazionale senza il quale le proposte risulterebbero poco efficaci.
6.2 Promuovere principi universali
L'Unione europea deve rimanere una forza trainante per lo sviluppo e la promozione di norme internazionali di protezione dei dati personali, sia giuridiche che tecniche. A questo fine la Commissione sarà attiva sul piano delle norme tecniche internazionali e in cooperazione con paesi terzi e organizzazioni internazionali come l'OCSE.
6.2.1 Anche in questo caso il CESE approva la proposta. Data la natura globale di Internet è essenziale che le norme e gli orientamenti siano compatibili da un continente all'altro. I dati personali devono godere di una protezione transfrontaliera. Il CESE osserva che già esistono direttive OCSE in materia, così come già esiste la convenzione 108 del Consiglio d'Europa, che è attualmente in corso di revisione. La Commissione dovrebbe garantire che la nuova direttiva sia compatibile con la convenzione.
7. Rafforzare l'assetto istituzionale per un'applicazione effettiva delle norme di protezione dei dati
La Commissione intende esaminare:
— |
come rafforzare, chiarire e armonizzare lo status e i poteri delle autorità nazionali di protezione dei dati; |
— |
come migliorare la cooperazione e il coordinamento tra le autorità di protezione dei dati; |
— |
come assicurare un'applicazione più coerente delle norme europee di protezione dei dati nel mercato interno. Seguono alcuni possibili esempi di tali misure:
|
7.1 Queste proposte riguardano questioni chiave per il CESE, considerata l'importanza che esso attribuisce all'applicazione delle norme e alle possibilità di ricorso. Il CESE condivide l'idea di «rafforzare, chiarire e armonizzare» e «migliorare la cooperazione e il coordinamento», così come l'intento generale della Commissione di assicurare un'applicazione più coerente delle norme UE di protezione dei dati in tutti gli Stati membri. Teme tuttavia che non tutti i dodici «nuovi» Stati membri abbiano pienamente ed effettivamente recepito la direttiva 95/46.
7.2 A giudizio del CESE, le autorità nazionali di protezione dei dati sono generalmente prive di strumenti efficaci e sovraccariche di lavoro, e la loro indipendenza deve essere rafforzata. Qualsiasi nuova direttiva dovrebbe prevedere che tali autorità nazionali abbiano lo status, i poteri e le risorse necessarie per svolgere il loro ruolo. I loro compiti e le risorse loro assegnate dovrebbero essere definiti a livello dell'UE, e si dovrebbe valutare la possibilità di nominare un garante UE della protezione dei dati.
7.3 Sulla base del contributo dato finora dal Gruppo di lavoro articolo 29 alla protezione degli individui per quanto riguarda il trattamento dei dati personali, il CESE ritiene che esso debba continuare a svolgere il suo ruolo prezioso.
Bruxelles, 16 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
ALLEGATO
al Parere del Comitato economico e sociale europeo
Pur avendo ottenuto il sostegno di almeno un quarto dei voti espressi, i seguenti punti del parere della sezione specializzata sono stati modificati come conseguenza degli emendamenti adottati dall'Assemblea:
Punto 1.6
Per quanto riguarda i cittadini e i lavoratori dipendenti dell'UE, nell'Unione europea dovrebbe essere applicata la normativa vigente nello Stato membro del responsabile del trattamento, ovunque tali dati siano conservati.
Punto 4.3.1
Per quanto riguarda i cittadini e i lavoratori dipendenti dell'UE, nell'Unione europea dovrebbe essere applicata la normativa vigente nello Stato membro del responsabile del trattamento, ovunque tali dati siano conservati.
Esito della votazione
Voti favorevoli (agli emendamenti) |
: |
86 |
Voti contrari |
: |
72 |
Astensioni |
: |
19 |
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/130 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La Piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale: un quadro europeo per la coesione sociale e territoriale
COM(2010) 758 definitivo
2011/C 248/22
Relatrice: O'NEILL
La Commissione europea, in data 16 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La Piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale: un quadro europeo per la coesione sociale e territoriale
COM(2010) 758 definitivo.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.
Il parere del Comitato economico e sociale europeo (CESE) in merito alla Piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale è in linea con la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Esso sottolinea il nuovo approccio organico che mette la Piattaforma in stretto collegamento con le altre iniziative faro e con i cinque obiettivi principali dell'UE. Il CESE rileva inoltre la necessità di garantire la coerenza tra le politiche nazionali e quelle europee, nonché l'esigenza che le parti interessate non governative partecipino e svolgano un ruolo chiave in questo contesto (1).
1. Raccomandazioni
Il CESE formula le seguenti raccomandazioni:
— |
dal momento che la povertà costituisce una violazione dei diritti umani, i governi, le parti sociali e la società civile devono accettare la condivisione delle responsabilità in vista della completa eliminazione del fenomeno; |
— |
la strategia Europa 2020 deve prevedere la coerenza, al livello delle politiche, tra misure economiche, finanziarie, sociali e mirate all'occupazione, che dovrebbero contribuire nel loro complesso a rafforzare la coesione sociale; |
— |
l'applicazione di misure di austerità non dovrebbe aggravare il rischio di povertà; inoltre occorre procedere a una valutazione d'impatto sociale efficace ed analizzarla nel quadro di opportuni dibattiti; |
— |
la strategia di inclusione attiva andrebbe attuata in quanto approccio integrato volto a garantire un adeguato sostegno al reddito, un mercato del lavoro inclusivo e l'accesso a posti di lavoro e servizi di qualità; |
— |
occorre sottolineare con maggior forza la necessità della lotta alle diseguaglianze e dell'effettivo rispetto dei diritti umani fondamentali anche tramite una più equa distribuzione dei redditi e grazie all'attuazione delle clausole sociali orizzontali sancite dal Trattato di Lisbona; |
— |
si dovrebbe mettere maggiormente l'accento sull'investimento nel capitale umano mediante l'apprendimento permanente nel settore dell'istruzione e della formazione, anche mediante un migliore sviluppo di competenze corrispondenti alle esigenze del mercato del lavoro nonché ad esigenze di altro tipo; |
— |
si dovrebbe rafforzare la partecipazione dei soggetti interessati della società civile alle attività della Piattaforma - incluse le persone che vivono in condizioni di povertà, le ONG e le parti sociali - nel quadro di un dialogo strutturato a livello sia nazionale che dell'UE: tale partecipazione andrebbe inoltre sostenuta mediante appropriati finanziamenti dell'UE. Il CESE dovrebbe svolgere un ruolo attivo e collaborativo nell'ambito sia di questo dialogo che del convegno annuale della Commissione; |
— |
occorre aumentare i finanziamenti dell'UE - in particolare i fondi strutturali - finalizzati a ridurre la povertà e prestare una particolare attenzione alla semplificazione delle procedure, all'aumento della trasparenza e al monitoraggio dell'effettiva realizzazione degli obiettivi; |
— |
è necessario rafforzare il metodo aperto di coordinamento sociale, anche mediante lo sviluppo di strategie nazionali in materia di protezione sociale e di inclusione sociale e la definizione di piani d'azione a livello nazionale e locale. Va inoltre chiarito il nesso tra il metodo aperto di coordinamento sociale e l'iniziativa faro contro la povertà. |
2. Contesto
«Si considera povero un soggetto il cui reddito e le cui risorse sono insufficienti in misura tale da impedirgli un livello di vita considerato accettabile nella società in cui vive. A causa della povertà, egli può essere esposto a svantaggi molteplici quali disoccupazione, basso reddito, pessime condizioni abitative, inadeguata assistenza sanitaria e barriere alla formazione permanente, alla cultura, allo sport e al tempo libero. Tali soggetti sono spesso emarginati ed esclusi dalla partecipazione ad attività (economiche, sociali e culturali) che si considerano ordinarie per il resto della popolazione e inoltre il loro accesso ai diritti fondamentali può subire delle limitazioni» (2).
2.1 Oltre 80 milioni di persone in tutta l'UE vivono al di sotto della soglia di povertà (3), di cui più della metà sono donne e 20 milioni sono bambini. Benché le statistiche relative alla povertà materiale siano indubbiamente importanti, occorre riconoscere anche l'esistenza della cosiddetta «povertà immateriale», che comprende, ad esempio, l'analfabetismo. L'attuale crisi economica ha colpito più duramente i gruppi sociali più svantaggiati e vulnerabili.
2.2 La Commissione europea ha posto la riduzione della povertà al centro della strategia Europa 2020 (4), ossia della sua agenda economica, sociale e per l'occupazione. I capi di Stato e di governo hanno raggiunto un accordo politico prefiggendosi l'obiettivo comune di fare uscire dalla povertà e dall'esclusione sociale almeno 20 milioni di persone nei prossimi dieci anni. L'iniziativa faro Piattaforma europea contro la povertà forma parte integrante della strategia Europa 2020, così come l'orientamento integrato n. 10 sulla base del quale gli Stati membri adotteranno misure di lotta alla povertà e all'esclusione sociale nei rispettivi programmi nazionali di riforma.
2.3 L'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale 2010 ha messo in evidenza la complessità della lotta alla povertà e le sue molteplici dimensioni, oltre all'urgente necessità di contrastare il fenomeno della povertà in un contesto di crisi economica e di misure di austerità.
2.4 I giovani, gli immigrati e i lavoratori poco qualificati sono tutte categorie minacciate dall'aggravarsi della disoccupazione. I cosiddetti «lavoratori poveri», che non sono in grado di guadagnare un salario sufficiente per il loro sostentamento quotidiano, gli anziani e le famiglie con un reddito ridotto si trovano a vivere in condizioni di crescente deprivazione materiale - un fenomeno che riguarda l'8 % dei cittadini europei e tocca persino punte del 30 % in alcuni Stati membri (5).
2.5 Il Consiglio europeo si è dichiarato d'accordo sul fatto che l'obiettivo principale di riduzione della povertà nel quadro della strategia Europa 2020 venga definito sulla base di tre indicatori: la percentuale di rischio di povertà, condizioni di grave deprivazione materiale e la percentuale di persone che vivono in nuclei familiari composti di disoccupati. Gli obiettivi di riduzione della povertà dovrebbero tener conto delle priorità a livello locale e regionale.
3. La Piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale
3.1 La proposta di istituire la Piattaforma è una delle sette iniziative faro per un'azione concreta previste dalla strategia Europa 2020; quest'ultima è articolata intorno a tre priorità intese a conseguire un tasso elevato di occupazione e un alto livello di produttività e di coesione sociale:
— |
crescita intelligente, |
— |
crescita sostenibile, |
— |
crescita inclusiva. |
3.2 La Piattaforma intende costituire la base di un impegno comune, da parte degli Stati membri, delle istituzioni europee e dei principali soggetti interessati, a combattere la povertà e l'esclusione sociale mediante la creazione di un «quadro d'azione dinamico» per la coesione sociale e territoriale, inteso a garantire che la crescita, i posti di lavoro e l'inclusione sociale siano più equamente distribuiti in tutta l'Unione europea.
3.3 Per raggiungere questo obiettivo, la Commissione ha identificato i seguenti settori d'intervento:
— |
realizzazione di azioni che interessino l'insieme delle politiche, |
— |
un uso maggiore e più efficace dei fondi dell'UE a sostegno dell'inclusione sociale, |
— |
promozione di un'innovazione sociale basata sull'esperienza, |
— |
lavoro in partenariato e sfruttamento del potenziale dell'economia sociale, |
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un coordinamento rafforzato delle politiche tra gli Stati membri. |
4. Osservazioni generali
4.1 Nell'Europa del XXI secolo la povertà è un fenomeno inaccettabile e costituisce una violazione dei diritti umani. Il CESE plaude all'impegno della Commissione di ridurre la povertà e all'obiettivo di sottrarre almeno 20 milioni di europei a tale condizione (6), ed esprime inoltre apprezzamento per la creazione della Piattaforma e le misure di riduzione della povertà proposte, molte delle quali sono ispirate a precedenti pareri del Comitato; esorta tuttavia a mettere in campo azioni più concrete per affrontare sia le cause alla radice della povertà che le conseguenze di questa, e per garantire l'effettivo rispetto dei diritti umani.
4.2 Si rilevano delle incoerenze tra le politiche economiche, finanziarie e sociali dell'UE e le realtà concretamente vissute in ogni Stato membro. Il CESE considera di cruciale importanza l'adozione di un approccio coerente e integrato: la sua principale preoccupazione è che, in considerazione della crisi, le politiche dell'UE incentrate sulla governance economica, la crescita e l'occupazione non finiscano per accrescere il rischio di povertà. Il CESE chiede che si proceda a una valutazione d'impatto sociale efficace delle misure previste e che queste ultime siano analizzate nel quadro di un approfondito dibattito.
4.3 Nel corso dell'elaborazione del parere, il CESE ha preso in considerazione ulteriori effetti della povertà: essa accresce la migrazione economica e sociale; a livello di singoli Stati membri compromette l'ammortamento degli investimenti destinati alle risorse umane; qualora le riforme economiche, fiscali, sociali, sanitarie e dell'istruzione intese a ridurre le spese statali vengano concepite senza tutelare i poveri, questi ultimi, meno capaci di far valere i propri interessi, rischiano di cadere in una situazione ancora peggiore; l'aumento del numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà può accrescere ulteriormente gli obblighi dello Stato in materia di ridistribuzione.
5. Osservazioni particolari
5.1 Protezione sociale
5.1.1 Il CESE condivide l'importanza di adottare provvedimenti per incrementare l'occupazione e promuovere la creazione di posti di lavoro, ma mette anche l'accento sull'esigenza fondamentale di rafforzare la protezione sociale, senza ridurre i programmi di welfare né esercitare una pressione al ribasso sui salari, poiché questo inciderebbe in misura sproporzionata sui più poveri.
5.1.2 I sistemi di protezione sociale riducono di un terzo il rischio di povertà (7) e sono essenziali per garantire il rispetto dei diritti umani. Essi fungono infatti da stabilizzatori economici automatici che contribuiscono a ridurre la povertà e a promuovere la crescita e la coesione economica e sociale, elementi che sono tutti indispensabili per ottenere il sostegno dell'opinione pubblica per il progetto europeo (8).
5.1.3 Il CESE aderisce senza riserve alla preoccupazione della Commissione quanto all'esigenza di assicurare la sostenibilità dei sistemi pensionistici e di protezione sociale degli Stati membri per garantire ai cittadini un reddito adeguato lungo l'intero arco della vita, anche durante la vecchiaia (9).
5.2 Strategie di inclusione attiva
5.2.1 Occorre accentuare in modo permanente e coordinato l'importanza di una strategia integrata di inclusione attiva basata su tre pilastri - mercati del lavoro inclusivi, l'accesso a servizi di qualità e un adeguato sostegno al reddito (10) - per eliminare gli ostacoli cui deve far fronte chi si trova in condizioni di povertà.
5.2.2 Il CESE concorda con l'approccio secondo cui la lotta alla povertà deve essere incentrata su misure sia di prevenzione che di eliminazione tramite la crescita sostenibile. È quindi di cruciale importanza assicurare posti di lavoro di qualità e sistemi di protezione sociale moderni ed efficaci, associando tale strategia ad un'azione di lotta contro le diseguaglianze in materia di reddito, di ricchezza e di accesso ai servizi. La relazione sui progressi compiuti nell'attuare la strategia Europa 2020, che figura in allegato all'Analisi annuale della crescita della Commissione (2011), sottolinea il fatto che «non si può parlare di crescita sostenibile se i suoi benefici non si estendono a tutti i segmenti della società» e che «la crescita procede di pari passo con la coesione sociale» (11).
5.2.3 Sebbene la definizione di politiche a livello dell'Unione sia di vitale importanza, occorre rafforzare il ruolo degli Stati membri, e soprattutto degli enti regionali e locali, per garantire che vengano introdotti i cambiamenti necessari. Il CESE esprime quindi l'auspicio di poter collaborare con il Comitato delle regioni su questo aspetto.
5.2.4 Il Comitato sottolinea il ruolo centrale che dovrebbero svolgere sia le parti sociali che le organizzazioni dell'economia sociale, comprese le cooperative, nello sviluppo di un mercato del lavoro inclusivo e nella promozione di una più equa distribuzione del reddito, come contributi essenziali alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020.
5.2.5 Il CESE chiede di considerare con maggiore attenzione l'esigenza di creare posti di lavoro sostenibili e di qualità e di adottare misure di lotta alla povertà dei lavoratori, comprendenti il diritto a salari e a condizioni di lavoro adeguati e in grado di ridurre al minimo il circolo vizioso della povertà per chi si trova nel difficile passaggio dalla condizione di assistito dei servizi di protezione sociale verso l'accesso al mercato del lavoro.
5.2.6 La strategia di inclusione attiva dell'UE deve articolarsi in azioni specifiche intese a creare un mercato del lavoro inclusivo (12) al fine di superare le barriere che impediscono l'accesso all'occupazione di gruppi specifici, in particolare giovani e anziani, appartenenti a minoranze etniche tra cui i Rom, migranti, donne, genitori single e persone con disabilità (13).
5.2.7 Il CESE sottolinea l'importanza dell'accesso al lavoro legale per tutti ed esprime preoccupazione circa l'impatto del lavoro nero e dell'evasione ed elusione fiscali sulla possibilità di continuare a finanziare i sistemi di protezione sociale nonché sull'occupazione e sui diritti sociali; considera quindi necessarie un'azione integrata a livello dell'UE, una combinazione di sanzioni e controlli efficaci nonché l'erogazione di incentivi per far rientrare il lavoro nero nella sfera della legalità.
5.2.8 Il Comitato chiede una tabella di marcia dettagliata per l'attuazione delle strategie di inclusione attiva a livello locale. Si associa inoltre all'invito rivolto dal Parlamento europeo alla Commissione affinché esamini l'impatto di una proposta legislativa volta ad introdurre un reddito minimo adeguato pari ad almeno il 60 % del reddito medio in ciascuno Stato membro.
5.2.9 Il CESE esorta a raccogliere dati statistici comparabili e indicatori di migliore qualità sui quali basarsi per valutare tanto i vantaggi sociali ed economici dell'eliminazione della povertà quanto i costi derivanti dall'assenza di una strategia di lotta a tale flagello.
5.3 Coinvolgimento delle parti interessate
5.3.1 Il CESE ritiene che la partecipazione delle parti interessate ad un dialogo strutturato e regolare, a livello sia nazionale che dell'UE, sia fondamentale per la ricerca di soluzioni efficaci e il monitoraggio dell'attuazione del programma della Piattaforma.
5.3.2 Il CESE plaude alla proposta della Commissione di organizzare, nell'ambito di tale dialogo strutturato a livello nazionale e dell'UE, un convegno annuale che riunisca le istituzioni europee, persone che vivono in condizioni di povertà, ONG, organizzazioni dell'economia sociale, le parti sociali ed altri attori della società civile per fare il punto sullo stato di avanzamento dei lavori, compreso anche un doveroso riesame dell'impatto sociale dell'Analisi annuale della crescita e dei progressi realizzati.
5.3.3 Conformemente alle proposte avanzate nel quadro dell'iniziativa «Agorà dei cittadini» del Parlamento europeo, il Comitato auspica un rafforzamento del ruolo che il PE potrebbe svolgere nell'assicurare l'attuazione del programma della Piattaforma negli Stati membri.
5.3.4 Il CESE appoggia senza riserve la proposta contenuta nell'iniziativa faro della Piattaforma europea di elaborare degli orientamenti volontari relativi al coinvolgimento delle parti interessate a livello dell'Unione e nei programmi nazionali di riforma.
5.3.5 Il CESE dovrebbe prendere attivamente parte alla realizzazione degli obiettivi della Piattaforma e ricoprire un ruolo chiave nel cementare gli interessi delle parti sociali e delle organizzazione della società civile, ad esempio tramite le seguenti iniziative:
— |
organizzare un'audizione annuale per fare il punto sui progressi compiuti nel conseguimento dell'obiettivo di eliminazione della povertà; |
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contribuire al riesame intermedio, previsto per il 2014, della Piattaforma nel quadro della strategia Europa 2020; |
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contribuire al convegno annuale della Commissione; |
— |
partecipare insieme ad altri soggetti interessati, tra cui il Comitato delle regioni e i CES nazionali, ad un dialogo regolare e formulare pareri sulle principali priorità. |
5.4 Lotta alle diseguaglianze
5.4.1 Il Comitato esprime apprezzamento per il rilievo che assumono nel programma della Piattaforma le iniziative in materia di lotta alla discriminazione e a favore dell'eguaglianza e dell'integrazione intese a garantire l'inclusione delle persone con disabilità o problemi di salute mentale, dei giovani, degli anziani, degli immigrati e delle minoranze etniche, ivi comprese le azioni a favore della comunità Rom e il rafforzamento della parità tra uomini e donne (14). Sottolinea inoltre l'esigenza di includere in tale programma un riferimento trasversale ai diritti umani fondamentali e proposte concrete per attuare le clausole sociali orizzontali contenute negli articoli 5, 8, 9 e 10 del TFUE.
5.4.2 Il CESE appoggia la priorità assegnata dalla comunicazione alla lotta all'esclusione abitativa e alla mancanza di una dimora fissa, nonché alla povertà energetica e all'emarginazione finanziaria. Sottolinea l'importanza di promuovere l'accesso a prezzi ragionevoli a servizi di qualità, comprese le tecnologie dell'informazione. L'azione in questi settori prioritari va potenziata mediante strategie nazionali in materia di protezione sociale e di inclusione sociale, strategie che rientrano nel rafforzamento del metodo aperto di coordinamento sociale.
5.4.3 Il Comitato pone l'accento sulla necessità di investire nel capitale umano e sull'importanza dell'istruzione e della formazione sia per quanto concerne le competenze per l'occupazione che in termini di sviluppo personale e di inclusione sociale: dovrebbe trattarsi di un impegno all'apprendimento permanente per tutti, a partire dai primi anni di vita fino alla scuola, all'istruzione superiore e alla formazione professionale o impartita sul posto di lavoro.
5.4.4 In relazioni elaborate sia dall'OCSE che dalla Commissione si mettono in evidenza le crescenti diseguaglianze non solo nella distribuzione del reddito e della ricchezza, ma anche nell'accesso ai servizi, compresi quelli sanitari: tali diseguaglianze si registrano sia tra gli Stati membri che all'interno degli Stati. Va detto inoltre che la povertà è uno dei principali fattori sociali all'origine di patologie e che nel dare attuazione alle sue politiche l'UE dovrebbe farsi carico dell'obbligo morale di salvare vite umane. Vi sono prove assai convincenti che evidenziano che le società contraddistinte da un grado maggiore di eguaglianza sono quasi sempre società migliori. La Piattaforma deve considerare prioritaria l'elaborazione di strategie integrate e di misure concrete per rimediare alle diseguaglianze e creare una società più giusta (15).
5.4.5 Il Comitato caldeggia la proposta della Commissione di elaborare una raccomandazione globale sulla povertà infantile che contribuisca alla prevenzione e riduzione della povertà infantile mediante la garanzia di un reddito familiare adeguato nonché investendo nei servizi educativi e di assistenza, soprattutto quelli destinati alla prima infanzia, e assicurando ai minori autonomia e responsabilità, in conformità con i diritti fondamentali e la Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo. Queste azioni vanno sviluppate in parallelo ad un approccio coerente in materia di politiche familiari e combinate con il monitoraggio permanente, lo scambio, la ricerca e le valutazioni inter pares, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di lotta alla povertà stabiliti dalla strategia Europa 2020 (16).
5.5 Utilizzare i fondi europei per conseguire gli obiettivi di inclusione sociale e di coesione sociale
5.5.1 Il CESE esprime il suo pieno appoggio alle proposte di utilizzare i fondi strutturali in modo più efficiente per ridurre la povertà e promuovere la coesione sociale, ma sottolinea l'esigenza di aumentare l'importo dei finanziamenti disponibili, particolarmente per le comunità svantaggiate. È essenziale investire nella creazione di posti di lavoro di qualità e in strategie idonee a sostenere l'accesso dei gruppi emarginati a tali posti di lavoro, anche per il tramite dell'economia sociale. I finanziamenti dovrebbero anche essere destinati a migliorare l'accesso a servizi di qualità, compresi i servizi abitativi.
5.5.2 Il Comitato accoglie inoltre con favore le proposte della Commissione di semplificare l'accesso delle organizzazioni locali ai fondi strutturali, in particolare mediante l'erogazione di sovvenzioni globali, la fornitura di assistenza tecnica e lo sviluppo di capacità, ma sottolinea la necessità di:
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ridurre la burocrazia accrescendo la flessibilità delle procedure di accesso ai finanziamenti; |
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definire standard europei minimi per migliorare la trasparenza e l'efficacia delle procedure, promuovendo anche la semplificazione delle informazioni (17). |
La Commissione dovrebbe quindi offrire consulenza e orientamenti, promuovere l'apprendimento reciproco e monitorare l'attuazione di questi programmi nonché, in particolare, trarre insegnamenti dall'utilizzo dei fondi strutturali durante la crisi.
5.5.3 Il CESE propone di utilizzare i programmi dell'UE, come ad esempio Progress, per finanziare lo sviluppo di piattaforme nazionali intese a permettere il coinvolgimento effettivo delle parti interessate nella Piattaforma europea e a promuovere l'attuazione delle priorità stabilite dalla Piattaforma stessa.
5.6 Innovazione sociale e riforme
5.6.1 Il Comitato plaude al riconoscimento del ruolo dell'economia sociale e delle ONG nell'attuazione delle strategie di lotta alla povertà, nell'incentivare la creazione di posti di lavoro e nello sviluppo di servizi che soddisfino in maniera creativa le esigenze delle comunità. Sottolinea inoltre che è responsabilità comune di tutte le parti, tra cui anche le PMI e gli imprenditori, coordinare le proprie azioni al fine di mettere a punto soluzioni efficaci.
5.6.2 Il ruolo ricoperto dalle associazioni di volontariato è importante per lo sviluppo delle comunità, l'acquisizione di competenze, l'offerta di istruzione, sia formale che informale, e il conferimento di maggiori capacità ai singoli cittadini. Il CESE desidera promuovere le attività svolte dai volontari e i vantaggi che esse comportano, a patto che ciò non ridimensioni l'importanza del lavoro retribuito o dei servizi pubblici.
5.6.3 Il CESE esprime apprezzamento per il sostegno accresciuto all'innovazione sociale basata sull'esperienza; sottolinea però che è importante preservare le buone pratiche già consolidate e basare su di esse le iniziative future, e chiede che continuino ad essere erogati fondi per questo settore.
5.7 Un coordinamento rafforzato delle politiche
5.7.1 I programmi nazionali di riforma e la definizione di obiettivi nazionali sono un fattore chiave per un'effettiva attuazione della strategia Europa 2020 e delle politiche di lotta alla povertà. È tuttavia essenziale che questo processo sia accompagnato e sostenuto da un metodo aperto di coordinamento sociale rafforzato, fondato su strategie nazionali integrate, onde offrire una base più solida per conseguire gli obiettivi richiesti in campo sociale e rendere più chiaro il collegamento con la Piattaforma europea contro la povertà.
5.7.2 Nel parere esplorativo sul metodo aperto di coordinamento e la clausola sociale, il CESE ha salutato con favore l'adozione della clausola sociale orizzontale e della valutazione d'impatto sociale, nonché il rafforzamento del metodo aperto di coordinamento sociale, in quanto strumenti atti a garantire un approccio integrato e l'integrazione orizzontale degli obiettivi sociali. Il Comitato chiede che questo processo diventi più visibile e trasparente grazie al coinvolgimento delle più importanti istituzioni europee e dei principali soggetti interessati nell'UE, e sottolinea l'importanza di mettere a punto delle strategie in materia di protezione sociale e di inclusione sociale a livello europeo, nazionale, regionale e locale.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Testo inserito su raccomandazione del comitato direttivo per la strategia Europa 2020 del CESE.
(2) Relazione comune della Commissione europea e del Consiglio sull'integrazione sociale (marzo 2004).
(3) La soglia di rischio di povertà è fissata al 60 % dell'equivalente reddito disponibile medio nazionale (dopo l'erogazione delle prestazioni sociali da parte di ciascuno Stato membro).
(4) Aggiornamento 2010 della valutazione congiunta del CPS (Comitato per la protezione sociale) e della Commissione europea sull’impatto sociale della crisi economica e delle risposte politiche (novembre 2010). COM(2010) 2020 definitivo: Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
(5) Una persona è considerata «in condizioni di deprivazione materiale» se almeno quattro delle seguenti nove deprivazioni la riguardano, ossia se non può permettersi: di pagare l'affitto o le bollette; di riscaldare adeguatamente la propria casa; di far fronte a spese impreviste; di mangiare ogni due giorni carne, pesce o cibi di tenore proteico equivalente; di trascorrere una settimana di vacanza una volta l'anno; di possedere un'automobile, una lavatrice, un televisore a colori o un telefono.
(6) Cfr. la dichiarazione del CESE al Consiglio europeo del 17 giugno 2010.
(7) Social Protection Committe Report on Social Assessment of Europe 2020 (Relazione del Comitato per la protezione sociale sulla valutazione della dimensione sociale della strategia Europa 2020), febbraio 2011.
(8) GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26.
(9) GU C 84 del 17.3.2011, pag. 38.
(10) Raccomandazione della Commissione, del 3 ottobre 2008, relativa all’inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro (2008/867/CE).
(11) Cfr. la Relazione sui progressi della strategia Europa 2020 (Allegato 1 all'Analisi annuale della crescita - COM(2011) 11 definitivo – A1/2, punto 2.5).
(12) CES/BusinessEurope et al., Framework Agreement on Inclusive Labour Markets (Accordo quadro sui mercati del lavoro inclusivi), marzo 2010.
(13) GU C 21 del 21.1.2011, pag. 66.
(14) Cfr. la dichiarazione del CESE al Consiglio europeo del giugno 2010 sull'importanza della lotta alle diseguaglianze e alla discriminazione.
(15) Growing unequal: income distribution and poverty in OECD countries (Crescita e diseguaglianze: distribuzione del reddito e povertà nei paesi dell'OCSE), documento dell'OCSE del 2008; DG Ricerca e innovazione della Commissione europea, Why socio-economic inequalities increase: facts and policy responses in Europe (Quali sono le cause dell'aumento delle diseguaglianze socioeconomiche? Fatti e risposte politiche in Europa) (EUR 24 471), 2010.
(16) GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 34.
(17) GU C 132 del 3.5.2011, pag. 8.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/135 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Comunicazione sulla migrazione
COM(2011) 248 definitivo
2011/C 248/23
Relatore generale: Luis Miguel PARIZA CASTAÑOS
La Commissione europea, in data 4 maggio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Comunicazione sulla migrazione
COM(2011) 248 definitivo.
Il 14 giugno 2011 l'Ufficio di presidenza del Comitato ha deciso di incaricare la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 472a sessione plenaria del 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), ha nominato PARIZA CASTAÑOS relatore generale e ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.
1. Introduzione
1.1 Il Consiglio europeo di giugno ha in programma la discussione di alcuni aspetti della politica comune di immigrazione. Il Presidente VAN ROMPUY ha proposto di incentrare i lavori sui seguenti punti:
— |
la libera circolazione delle persone all'interno dell'UE, |
— |
le regole in materia di asilo, |
— |
lo sviluppo di un partenariato con i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo e il controllo delle frontiere esterne. |
1.2 La Commissione europea ha pubblicato lo scorso 4 maggio la comunicazione sulla migrazione (1) che costituisce il suo contributo per la riunione del Consiglio.
2. Osservazioni generali
2.1 Attraverso vari pareri (vedasi l'Allegato), il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha collaborato con le altri istituzioni dell'UE per far sì che l'Unione abbia un politica e una legislazione comuni in materia di asilo e immigrazione. Malgrado i progressi realizzati, la situazione non è soddisfacente. L'adozione della legislazione comune per l'ammissione di immigranti e per l'accoglienza di persone che necessitano di protezione internazionale incontra notevoli difficoltà sia al Consiglio che al Parlamento europeo.
2.2 La politica comune di immigrazione deve avere un approccio globale che tenga conto di diversi aspetti quali, ad esempio, la situazione demografica e quella dei mercati del lavoro, il rispetto dei diritti umani, la parità di trattamento e la non discriminazione, la legislazione relativa all'ammissione di nuovi immigranti, l'accoglienza e la protezione dei richiedenti asilo, la lotta contro le reti criminali della tratta di esseri umani, la collaborazione con i paesi terzi, la solidarietà europea, nonché la politica sociale e l'integrazione.
2.3 Negli ultimi mesi si sono succeduti eventi, dichiarazioni e decisioni politiche che il Comitato osserva con grande preoccupazione, perché vede diffondersi tra noi una vecchia e tristemente nota malattia degli europei: la xenofobia unita al nazionalismo escludente. Le minoranze e gli immigranti sono oggetto di disprezzo, d'insulti e di politiche aggressive e discriminatorie.
2.4 Anni fa la xenofobia e il populismo venivano promossi da settori politici estremisti ma minoritari. Tuttavia oggi queste politiche fanno parte dell'agenda e dei programmi di vari governi europei, che utilizzano le politiche contro gli immigranti e le minoranze come arma elettorale. Il CESE si augura che il Consiglio europeo di giugno eviti che l'agenda europea venga inquinata dalla xenofobia e dal populismo.
2.5 Nelle ultime settimane abbiamo assistito a situazioni inaccettabili, è sorta una grave crisi politica a causa di un moderato aumento dell'arrivo di immigranti nel Mediterraneo. In momenti precedenti e prima dell'arrivo di moltissime altre persone in fuga dalla guerra e dalla miseria, l'Europa ha agito con solidarietà garantendo la protezione dei diritti umani e rafforzando i valori dell'integrazione europea.
2.6 La creazione dello spazio Schengen rappresenta, per il Comitato e per la maggior parte degli europei, uno dei progressi più importanti dell'integrazione europea, Tuttavia, alcuni Stati membri stanno introducendo controlli alle frontiere interne dell'Europa che contravvengono al Trattato.
2.7 Il CESE è preoccupato in quanto una piccola crisi migratoria riguardante persone che necessitano di protezione sta mettendo in forse la solidità dei valori di alcuni governanti e della stessa UE.
2.8 Il CESE vuole fare un appello a favore della moderazione dei discorsi politici, nonché del recupero dell'equilibrio e del rispetto per i principi della democrazia e delle società libere e aperte. I governi europei devono ricordare che l'integrazione degli immigranti è un processo bidirezionale che implica anche compromessi per le società europee di accoglienza, le quali devono mostrare una volontà d'integrazione. Tuttavia non mostra una volontà d'integrazione una società che accetta che i suoi dirigenti politici utilizzino il populismo e la xenofobia contro gli immigranti e le minoranze nelle campagne elettorali e nelle decisioni politiche.
2.9 L'Europa ha bisogno di una visione a medio e a lungo termine. La presidenza belga dell'UE ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo (2) sul ruolo dell'immigrazione nella situazione demografica dell'Europa. Le conclusioni sono state chiare: nei prossimi anni deve aumentare la mobilità dei lavoratori all'interno dell'UE e deve anche crescere l'immigrazione di lavoratori e famiglie in provenienza da paesi terzi. Questo scenario ci prospetta nuove sfide relative alla gestione di una maggiore diversità nelle imprese e nelle città. Il CESE esorta la Commissione a presentare quanto prima una nuova agenda europea per l'integrazione che tenga conto dei lavori del Forum europeo dell'integrazione.
2.10 I recenti avvenimenti sulla sponda meridionale del Mediterraneo, assieme ai dibattiti e ai conflitti all'interno dell'Unione, offrono un'opportunità per rafforzare i valori e i principi dell'UE, nonché le norme comune esistenti, e per garantire «più Europa» nelle politiche europee in materia di frontiere, libera circolazione, asilo e immigrazione.
3. Osservazioni specifiche
3.1 Libera circolazione delle persone - frontiere interne
3.1.1 Il CESE ritiene che la libera circolazione delle persone costituisca un principio e un diritto fondamentali nel processo d'integrazione europea, oltre ad essere uno dei pilastri principali su cui si regge lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il CESE concorda con la Commissione in merito alla necessità di sviluppare un sistema più chiaro e solido di governance Schengen attraverso un sistema europeo di valutazione indipendente e oggettiva dell'applicazione del codice frontiere da parte degli Stati membri. Tale sistema dovrebbe essere diretto e coordinato dalla Commissione e dovrebbe contare sul contributo di esperti esterni.
3.1.2 Gli Stati membri devono rispettare gli obblighi ad essi imposti nel codice frontiere quando reintroducono controlli temporanei alle frontiere interne in casi eccezionali in cui un'azione immediata sia richiesta per considerazioni di ordine pubblico, in particolare devono rispettare l'obbligo di preventiva informazione alla Commissione, è le garanzie procedurali (giustificazione delle motivazioni) previste nel codice e i principi di proporzionalità, solidarietà e reciproca fiducia.
3.1.3 Il CESE approva l'introduzione di un meccanismo a livello europeo per la reintroduzione coordinata di controlli alle frontiere interne in caso di «situazioni veramente critiche» oppure quando le frontiere esterne debbano far fronte a pressioni migratorie forti e inattese. Il negoziato su questo meccanismo in seno al Consiglio non dovrebbe offrire la possibilità ai governi di rinegoziare e/o modificare al ribasso le garanzie procedurali comuni previste dal codice Schengen.
3.1.4 Il CESE appoggia la proposta avanzata dal Parlamento europeo affinché la Commissione elabori un nuovo meccanismo in materia di violazioni (meccanismi di rilevazione precoce delle possibili violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali nell'UE), la cui funzione principale consisterebbe nel sospendere le misure che gli Stati membri adottano, nel quadro del diritto europeo, in violazione dei diritti fondamentali e delle libertà degli individui finché la legittimità di tali misure non viene accertata attraverso una procedura accelerata innanzi la Corte di giustizia a Lussemburgo (3).
3.2 Frontiere esterne
3.2.1 L'Unione europea ha bisogno di una politica in materia di frontiere esterne credibile, efficiente, legittima e soggetta a forti controlli democratici e a valutazioni indipendenti. Il CESE chiede con forza al Consiglio e al Parlamento europeo di pervenire a un accordo sulla proposta della Commissione del febbraio 2010 tesa a rafforzare il regolamento Frontex.
3.2.2 Il CESE ritiene che gli Stati membri debbano attribuire maggiori competenze operative e più autonomia a Frontex per quel che concerne le sue attività e le sue risorse (attrezzature tecniche). Tuttavia la realizzazione di operazioni congiunte coordinate dall'agenzia, nonché le relative ripercussioni sui diritti fondamentali e sulle garanzie amministrative previste nel codice frontiere, devono essere oggetto di un controllo democratico da parte del Parlamento europeo e dell'Agenzia dell’Unione europea dei diritti fondamentali (FRA). A ciò dovrebbe affiancarsi una valutazione costante, specialmente sulle attività e sugli accordi di Frontex con paesi terzi, sull'efficacia delle operazioni congiunte e sulla qualità delle analisi di rischio di Frontex.
3.2.3 Per il CESE è essenziale che Frontex adempia i suoi obblighi in relazione all'accesso alla protezione internazionale, ad esempio il principio di non respingimento, un controllo indipendente del rispetto dei diritti fondamentali e lo sviluppo di un codice etico di condotta nei casi di rimpatri forzati.
3.2.4 Il CESE concorda inoltre sul futuro sviluppo di un servizio europeo di guardie di frontiera che sarebbe composto da un contingente europeo di agenti a guardia delle frontiere, il quale in futuro costituirebbe un'amministrazione europea centralizzata. La sua funzione principale consisterebbe nell'applicare le regole comuni previste nel codice frontiere.
3.3 Immigrazione per motivi di lavoro
3.3.1 L'UE ha bisogno di imprimere un impulso politico alla politica comune sull'immigrazione legale e di favorire la mobilità e il trattamento equo dei cittadini di paesi terzi immigrati per motivi di lavoro in Europa. In diversi Stati membri, specialmente in alcuni settori e in alcune categorie professionali, le imprese hanno bisogno di assumere nuovi lavoratori immigranti sulla base delle capacità e delle qualifiche. L'Unione deve dotarsi in materia di immigrazione per motivi di lavoro di un quadro giuridico comune a livello europeo coerente, globale, orizzontale, guidato dal rispetto dei diritti dei lavoratori e della parità di trattamento, nonché rispondente alle necessità delle imprese.
3.3.2 Il CESE ha già elaborato i pareri in merito alle direttive sui lavoratori stagionali, sui lavoratori distaccati, sui lavoratori altamente qualificati e sui ricercatori. Sulla base di una collaborazione con i paesi di origine che eviti la «fuga di cervelli», l'UE ha bisogno di un afflusso di nuovi talenti, che sono necessari per un'economia dinamica, innovativa e competitiva.
3.3.3 Il CESE considera urgente il raggiungimento di un accordo tra il Consiglio e il Parlamento europeo in merito alla direttiva «insieme comune di diritti e permesso unico» (4). La differenza di diritti esistente a livello dell'UE tra differenti categorie di lavoratori provenienti da paesi terzi deve essere eliminata. L'attuale quadro giuridico comune è caratterizzato da un approccio settoriale che incentiva un trattamento differente e discriminatorio tra distinte categorie di lavoratori immigranti per quanto riguarda le condizioni di ingresso e soggiorno e i diritti.
3.3.4 Il CESE accoglie favorevolmente l'idea della Commissione europea di presentare un codice comune di immigrazione nel 2013. Il codice dovrebbe consolidare la legislazione attraverso un quadro uniforme e trasparente di diritti, garanzie e doveri degli immigranti. Tale codice dovrebbe essere ispirato ai principi della parità e del trattamento equo. L'UE dovrebbe promuovere più attivamente il recepimento, da parte degli Stati membri, delle convenzioni e dei trattati internazionali ed europei conclusi nel quadro di organizzazioni come l'ONU, il Consiglio d'Europa e l'OIL.
3.4 Dialogo e partenariati di mobilità con paesi terzi
3.4.1 Il CESE sostiene le linee generali esposte dalla Commissione nella comunicazione Dialogo con i paesi del Sud del Mediterraneo per la migrazione, la mobilità e la sicurezza (5). L'UE deve continuare a sviluppare un approccio globale in materia di migrazione in cui siano prioritarie le misure per rendere più semplice la migrazione attraverso i canali legali e la mobilità.
3.4.2 Il CESE accoglie con favore l'iniziativa di stabilire partenariati di mobilità tra l'UE e la Tunisia, l'Egitto e la Libia. Sarebbe tuttavia necessario realizzare uno studio indipendente sull'efficacia e l'impatto dei partenariati di mobilità che sono attualmente operativi. Il CESE appoggia l'iniziativa della Commissione diretta a garantire che i partenariati di mobilità siano dotati di un meccanismo efficiente di valutazione. D'altro canto i partenariati di mobilità, che sono dichiarazioni politiche congiunte giuridicamente non vincolanti per gli Stati partecipanti, dovrebbero essere trasformati in accordi internazionali.
4. Protezione internazionale
4.1 Il CESE si augura che il Consiglio e il Parlamento europeo adottino nel 2012 la legislazione comune mancante per la creazione di un regime comune in materia di asilo.
4.2 Inoltre il CESE ritiene necessario migliorare la solidarietà tra gli Stati membri nell'accoglienza delle persone che arrivano in Europa e che hanno bisogno di protezione internazionale. Propone altresì che l'UE offra programmi di reinsediamento, così come ha proposto la Commissione.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) COM(2011) 248 definitivo.
(2) GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 6-13.
(3) Risoluzione del Parlamento europeo del 15 dicembre 2010 sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2009-2010) - Attuazione effettiva in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009/2161(INI)) - P7_TA(2010)0483, punto 39.
(4) COM(2007) 638 definitivo.
(5) COM(2011) 292 definitivo.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/138 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose
COM(2010) 781 definitivo — 2010/0377 (COD)
2011/C 248/24
Relatore: SEARS
Il Consiglio, in data 24 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose
COM(2010) 781 definitivo — 2010/0377 (COD).
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, nessun voto contrario e 6 astensioni.
1. Sintesi e raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha sempre sostenuto le proposte legislative della Commissione volte a ridurre la frequenza e l'impatto potenziale dei pericoli di incidenti rilevanti. Dal momento che il campo d'applicazione di queste direttive dipende in larga misura da altre normative UE, in particolare per quanto concerne la classificazione e l'etichettatura delle sostanze pericolose, il CESE riconosce la necessità di una nuova direttiva a seguito dei cambiamenti introdotti dalla recente adozione del sistema mondiale armonizzato (Globally Harmonized System - GHS) di classificazione ed etichettatura concepito e proposto dall'ONU. In un precedente parere (1) il CESE aveva già riconosciuto ed esaminato in profondità le difficoltà insite in questa azione, che non promette grandi vantaggi se non il fatto di agevolare gli scambi commerciali a livello mondiale. |
1.2 |
Inoltre il CESE concorda appieno con la posizione espressa dalla Commissione e dalla maggioranza delle parti interessate secondo cui non occorrono altre modifiche sostanziali: anzi, le modifiche dovrebbero essere mantenute al minimo per non perdere di vista gli obiettivi principali di questa normativa ormai consolidata, efficace e largamente sostenuta. |
1.3 |
Il CESE ritiene quindi che bisognerebbe fare il possibile per valutare in modo critico, eventualmente prodotto per prodotto, se le modifiche apportate alla classificazione siano pertinenti o meno rispetto alla probabilità che si verifichi un incidente rilevante. Qualora non lo siano e/o coinvolgano un numero molto maggiore di PMI e di stabilimenti di minori dimensioni e a più basso rischio, si dovrebbe cercare, allora, di non diluire l'impatto della proposta di direttiva. Si pensi in particolare ai detergenti: in tale settore le nuove classificazioni presentano scarsa correlazione con la realtà effettiva dei prodotti utilizzati regolarmente per la pulizia quotidiana della casa. In questi casi anche le quantità limite fissate in tonnellate dovrebbero essere valutate attentamente, soprattutto quando il rischio di incendio o di esplosione è poco probabile e le merci sono state imballate in confezioni più piccole per la vendita al dettaglio. |
1.4 |
Nel caso in cui le materie prime, i prodotti intermedi o finiti siano coperti da più di un atto legislativo in corso di revisione con scadenze diverse, si dovrebbe fare in modo, quando i periodi di transizione si accavallano, di ridurre al minimo sia i costi complessivi per gli operatori e gli Stati membri sia la confusione per tutte le parti coinvolte. |
1.5 |
Dal momento che le autorità competenti sembrano in generale ritenere che gli stabilimenti più importanti siano già coperti dalla presente normativa, si dovrebbe fare di tutto per migliorare l'efficienza e l'efficacia dei controlli e dei rapporti successivi relativi a questi siti e (se opportuno) a quelli adiacenti. Se possibile, non ci si dovrebbe limitare ad aumentare le richieste di informazioni che gli Stati membri dovranno raccogliere per poi trasmetterle alla Commissione. Il CESE rileva che, nella sua struttura attuale, il sistema risulta scarsamente adeguato, e accoglie con favore gli sforzi profusi dalla Commissione per concordare i cambiamenti con gli Stati membri, visto che tale sistema dipende dai loro contributi aperti e tempestivi. I cambiamenti proposti all'elenco di prodotti e stabilimenti dovrebbero continuare ad essere esaminati dalle altre istituzioni europee e dagli organi consultivi dell'UE prima di essere adottati. |
1.6 |
Il CESE è estremamente favorevole alla fornitura di informazioni pertinenti, comprensibili e tempestive al grande pubblico. Sarà ancora necessario ricorrere ai documenti cartacei, anche se aumenterà l'utilizzo di altri supporti elettronici, comprese le reti sociali, soprattutto a livello locale. Tutte le organizzazioni rappresentative della società civile in prossimità di uno stabilimento «Seveso» (o altro impianto di produzione o deposito) hanno delle funzioni da svolgere sia nella prevenzione che nella reazione ad incidenti di ogni genere, comprese le emergenze prodotte da un incidente rilevante secondo la definizione della direttiva Seveso. |
1.7 |
Le nuove proposte concernenti la «giustizia ambientale» sono pertinenti solo se si può dimostrare che, nel caso di pericoli di incidenti rilevanti, è stata compiuta una «ingiustizia ambientale». Data la frequenza relativamente scarsa degli incidenti segnalati nel quadro della direttiva in esame, soprattutto in stabilimenti di soglia inferiore, è difficile pensare che questo sia il caso. Qualunque informazione fornita dovrebbe essere messa a disposizione di tutti gli attori della società civile organizzata. Il CESE ritiene pertanto che questo requisito dovrebbe essere sostituito da un approccio più moderno e più ampiamente condiviso nei confronti della gestione dell'informazione in materia di sicurezza, opportunamente suffragato da elementi fattuali e dalle analisi d'impatto necessarie. |
1.8 |
Il CESE osserva che l'UE è rimasta indietro rispetto agli Stati Uniti in fatto di riconoscimento e di ricompensa delle buone pratiche, soprattutto per quanto concerne la sicurezza del processo e delle persone, e ritiene che delle misure in questo campo porterebbero maggiori vantaggi di alcune delle proposte formulate nella direttiva in esame. |
1.9 |
Il CESE sostiene pertanto la proposta di direttiva, ma suggerisce di riesaminare una serie di punti per garantire che vengano raggiunti appieno gli obiettivi a lungo termine ormai consolidati di tale normativa, vale a dire la riduzione della frequenza e dell'impatto dei pericoli connessi ad incidenti rilevanti. |
2. Introduzione
2.1 |
Ben quarant'anni fa la direttiva 67/548/CEE sulle sostanze pericolose riconosceva la necessità di classificare, imballare e etichettare le «sostanze» definite in varia misura «pericolose» per la salute dell'uomo, la sicurezza e l'ambiente - sostanze costituite almeno inizialmente da un elenco limitato di elementi chimici e di loro composti. Vent'anni dopo, con la direttiva 88/379/CEE sui preparati pericolosi, questa categoria si allargava in modo da comprendere i preparati; l'elenco risultava così più ricco e potenzialmente infinito in quanto comprendeva miscele - preparate intenzionalmente - di due o più sostanze combinate insieme in proporzioni variabili, ma definite. |
2.2 |
Le due direttive, accompagnate dalle numerose direttive di modifica e da adattamenti ai progressi tecnici, forniscono l'ossatura di un sistema armonizzato inteso a proteggere i lavoratori, i consumatori, i produttori, i commercianti, i distributori e l'ambiente. Esse garantiscono altresì un mercato unico in tutta l'UE per i prodotti interessati, comprese le materie prime o intermedie e i flussi di rifiuti, nonché i prodotti finiti da immettere sul mercato. Inoltre le direttive dell'UE - grazie ai loro contributi - interagiscono praticamente con tutti gli altri atti legislativi in materia di protezione della salute umana, della sicurezza e dell'ambiente. Qualunque cambiamento a questo sistema soggiacente sarà pertanto complesso e costoso per tutte le parti interessate. |
2.3 |
Negli ultimi anni sono state introdotte due modifiche di questo tipo. Nel 2006 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), nonché la direttiva di accompagnamento 2006/121/CE che modifica ancora una volta la direttiva 67/548/CEE e armonizza questi due importanti atti legislativi. Nel 2008 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato il regolamento (CE) n. 1272/2008 per dare applicazione al Sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche (Globally Harmonised System of Classification and Labelling of Chemicals, GHS) frutto di anni di lavoro in seno alle Nazioni Unite. In molti casi ciò ha comportato un cambiamento dei nomi, dei pittogrammi e delle frasi standard associate ai diversi pericoli e alle «sostanze» e alle «miscele» classificate. I rischi effettivi di un determinato prodotto o processo per i lavoratori, i distributori, i consumatori e il grande pubblico restano ovviamente invariati. |
2.4 |
Al tempo era stato riconosciuto che i vantaggi derivanti dalla sostituzione di un sistema consolidato, perfettamente funzionante ed efficace, con un altro sarebbero stati verosimilmente limitati, e che la potenziale riduzione dei costi degli scambi internazionali non sarebbe stata sufficiente a controbilanciare un incremento dei costi di regolamentazione e di adeguamento all'interno dell'UE. I problemi tecnici derivanti dall'introduzione di nuove classificazioni e criteri finali sarebbero stati anch'essi notevoli e avrebbero prodotto un aumento dei costi di riformulazione o modifiche nella gamma di prodotti a disposizione dei consumatori - con notevole possibilità di confusione sia nel corso che al termine dei periodi di transizione di ciascuna normativa modificata. |
2.5 |
Questi problemi - ora evidenti - sono in parte affrontati nella proposta di direttiva della Commissione denominata «Seveso III» (COM(2010) 781 definitivo) che sostituisce la normativa sul controllo dei «pericoli di incidenti rilevanti» connessi con determinate «sostanze pericolose» - per i quali valgono le definizioni fornite nella nuova direttiva. |
2.6 |
La prima normativa in materia - la direttiva 82/501/CEE - è stata adottata nel 1982, a seguito del grave incidente verificatosi a Seveso nel 1976 (ampia esposizione a livelli elevati di diossina). La direttiva è stata poi emendata alla luce degli incidenti di Bhopal (fuoriuscita di tonnellate di isocianato di metile) e di Basilea (una serie di incendi con sprigionamento di nubi tossiche), per poi essere sostituita nel 1996 dalla direttiva 96/82/CE del Consiglio. A seguito dei gravi incidenti di Tolosa (esplosione di nitrato di ammonio), Baia Mare (fuoriuscita di cianuro) ed Enschede (esplosione in una fabbrica di fuochi pirotecnici), la direttiva è stata successivamente modificata dalla direttiva 2003/105/CE, che stabilisce una serie di obblighi ben precisi in materia di procedure e di rapporti di sicurezza per i produttori e gli Stati membri. |
2.7 |
È opinione diffusa che questa normativa abbia esercitato un profondo effetto positivo sulla sicurezza e il controllo degli stabilimenti di produzione in cui sono utilizzate, fabbricate o immagazzinate sostanze pericolose. Il suo campo di applicazione si estende ora a circa 10 000 stabilimenti di produzione, di cui 4 500 attualmente definiti «di soglia superiore», e che devono quindi produrre rapporti di sicurezza più circostanziati ed effettuare controlli maggiori rispetto ai 5 500 di soglia inferiore. In tali stabilimenti vengono effettuate ispezioni periodiche. Sono inoltre in applicazione procedure di segnalazione a livello nazionale ed europeo. Nel suo complesso, il sistema è ampiamente sostenuto e apprezzato da tutte le parti direttamente interessate. Gli incidenti si verificano ancora, ma si spera che siano in numero minore di quanto avrebbero potuto essere e che producano un impatto minore sulla salute umana e sull'ambiente. |
2.8 |
Secondo le statistiche fornite on line dalla Commissione, negli oltre 30 anni di esistenza della direttiva sono stati segnalati 745 incidenti rilevanti. Altri 42 incidenti rilevanti non sono stati ancora inseriti nella base dati eMARS (Major Accident Reporting System) accessibile al pubblico (2). Pur non essendo né complete, né facilmente accessibili, le statistiche si riferirebbero per l'80 % a stabilimenti di soglia superiore e per il resto a stabilimenti di soglia inferiore. Degli incidenti di cui sopra, 35 sono stati notificati su base volontaria da paesi OCSE non appartenenti all'UE. Il numero annuo di incidenti segnalati ha registrato un picco nel periodo 1996-2003 per poi subire un forte calo. Non si sa con precisione se ciò sia dovuto a un effettivo miglioramento della sicurezza degli impianti o semplicemente ai notevoli ritardi accumulati dagli Stati membri nell'analisi e notifica di tali incidenti e negli ulteriori ritardi dovuti alla successiva traduzione dei documenti. |
2.9 |
A questi controlli non sono soggetti gli stabilimenti militari e i pericoli connessi alle radiazioni ionizzanti, lo sfruttamento offshore di minerali e idrocarburi, il trasporto e le discariche di rifiuti, al pari di determinate sostanze elencate nella parte 3 dell'allegato 1 della direttiva in esame. |
2.10 |
Sfortunatamente il campo d'applicazione di questa direttiva dipende in larga misura dalla normativa UE descritta in precedenza, che disciplina la classificazione e l'etichettatura delle sostanze pericolose. L'obbligo per un sito di conformarsi ai controlli Seveso, e in quale misura, dipende dalle classificazioni e dalle quantità (in tonnellate) di sostanze ivi impiegate, prodotte o immagazzinate. I controlli sono destinati a evitare o minimizzare soltanto gli effetti degli «incidenti rilevanti», vale a dire degli incidenti che producono una o più delle seguenti conseguenze: uno o più decessi, 6 o più persone ferite e ricoverate, danni materiali all'interno e all'esterno dello stabilimento, evacuazione massiccia di personale o di impianti vicini, oppure danni a lungo termine all'ambiente esterno. Gli incidenti veramente «rilevanti» di cui al precedente punto 2.6, che hanno indotto a modificare la normativa, erano naturalmente di ben più ampia portata e quindi non paragonabili a quelli in genere segnalati. |
2.11 |
L'introduzione del GHS richiede ora dei cambiamenti, soprattutto per quanto concerne gli allegati alla direttiva in cui le classi di pericolo e i nomi delle «sostanze» e delle «miscele» figurano tra quelle incluse o, viceversa, escluse a seconda delle nuove classificazioni di pericolo. |
2.12 |
Dal momento che si tratta di modifiche da apportare alle definizioni e non ai rischi reali, e che la Commissione non intende modificare o estendere in misura significativa il campo d'applicazione della normativa vigente, i vantaggi effettivi per la sicurezza del processo, del lavoratore, del consumatore o dell'ambiente dovrebbero essere minimi. Emerge quindi chiara la necessità di contenere i costi e altre implicazioni per gli operatori e gli Stati membri, al pari dell'esigenza di evitare qualunque calo dell'attenzione riservata attualmente ai pericoli connessi ad incidenti rilevanti. |
3. Sintesi della proposta della Commissione
3.1 |
La proposta di direttiva presentata dalla Commissione è basata sull'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Gli Stati membri sono destinatari di questa direttiva, che entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. La direttiva 96/82/CE è abrogata a decorrere dal 1o giugno 2015. Le parti interessate sono state consultate, e nel complesso hanno riconosciuto che, oltre ad adeguare l'allegato 1 al regolamento (CE) n. 1272/2008, non occorre modificare la direttiva in modo sostanziale. |
3.2 |
La Commissione intende tuttavia chiarire e aggiornare alcune procedure e definizioni, nonché introdurre nuove misure, per quanto riguarda in particolare la frequenza delle ispezioni, la strategia di prevenzione degli incidenti rilevanti adottata dal gestore (MAPP), l'informazione del pubblico, i diritti di accesso alla giustizia in materia ambientale, i rapporti a cura degli Stati membri e destinati alla Commissione e la procedura di modifica degli allegati tramite atti delegati. |
3.3 |
La Commissione riconosce che le principali difficoltà risiedono nell'armonizzazione delle attuali categorie «molto tossico» e «tossico» con le nuove categorie «tossicità acuta 1, 2 e 3» ora suddivise per via di esposizione (orale, cutanea e inalazione). Vi saranno nuove categorie più specifiche per le sostanze comburenti, esplosive e infiammabili, compresi gli «aerosol infiammabili». Vi è una menzione speciale di altri prodotti, come il nitrato di ammonio e l'olio combustibile denso, di uso generalizzato, benché siano impiegati occasionalmente come precursori di esplosivi. |
3.4 |
La proposta è accompagnata da un documento di lavoro e da una valutazione d'impatto dei servizi della Commissione, da due valutazioni d'impatto esterne elaborate da COWI A/S (gruppo di consulenza internazionale, Danimarca) sulle alternative possibili per la proposta generale e per l'armonizzazione dell'allegato 1 e, infine, da una relazione del gruppo di lavoro tecnico del Centro comune di ricerca (JRC) sui criteri di classificazione per identificare gli stabilimenti Seveso. Su richiesta sono state fornite ulteriori informazioni riguardo alle proposte di riforma della base dati eMARS. |
3.5 |
Benché aumentino, in una certa misura, i poteri e le responsabilità della Commissione, si afferma che ciò non avrà alcun impatto sul bilancio dell'UE. La valutazione d'impatto non quantifica completamente i costi e i benefici per gli Stati membri o gli operatori, ma suggerisce che entrambi dovrebbero essere ben inferiori rispetto a quando la normativa è stata introdotta per la prima volta. La valutazione rileva inoltre che i costi sono in genere minori rispetto a quelli da sostenere in caso di incidente e cita a titolo di esempio l'incendio al deposito di idrocarburi di Buncefield. Non sono state analizzate, in termini di costi o di efficacia, alcune nuove proposte su come informare il pubblico o fornire dati alla Commissione. L'applicazione e il possibile esito della normativa attuale sono stati esaminati in altri documenti correlati, ma non sono stati inseriti nella valutazione d'impatto. |
4. Osservazioni generali
4.1 |
Nei suoi pareri il CESE si è sempre espresso a favore di tutte le direttive menzionate in precedenza e ha sostenuto con convinzione le proposte della Commissione - racchiuse nelle direttive «Seveso I, II e - ora - III» - volte a ridurre la frequenza e l'impatto dei pericli di incidenti rilevanti. Si dichiara pertanto favorevole anche alla nuova proposta, alla base giuridica adottata e alla scelta dello strumento. Nutre tuttavia alcuni timori riguardo alla proporzionalità e al verosimile impatto della proposta, in cui figurano alcune disposizioni che esulano chiaramente da quanto strettamente necessario per conseguire gli obiettivi auspicati. |
4.2 |
Il CESE ha anche già espresso il suo sostegno convinto all'obiettivo del Sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche (Globally Harmonised System of Classification and Labelling of Chemicals, GHS) messo a punto dalle Nazioni Unite allo scopo di favorire gli scambi commerciali a livello internazionale e coadiuvare gli sforzi delle economie meno sviluppate per proteggere la sicurezza e la salute dei loro lavoratori e consumatori. |
4.3 |
Il CESE aveva però espresso una serie di riserve riguardo a tale sistema in un suo precedente parere (GU C 204, del 9.8.2008, pag. 47). Molte di queste riserve restano valide per qualunque processo di armonizzazione transnazionale o, in questo caso, globale che, pur animato dalle migliori intenzioni, sostituisca un sistema correttamente funzionante con un altro in nome di un bene superiore, vale a dire il commercio mondiale. Gli oneri amministrativi e i costi possono infatti subire un'impennata, inoltre le procedure e le definizioni ormai consolidate possono essere indebolite e si rischia di perdere di vista gli obiettivi essenziali. Si potrebbe rendere necessaria una revisione dei processi di produzione e di commercializzazione con un costo notevole e senza alcun vantaggio per i lavoratori o i consumatori. Potrebbe altresì sorgere una certa confusione a tutti i livelli, sia durante che al termine degli inevitabili periodi di transizione per ciascuna delle normative interessate. I vantaggi - se valutati - rischiano di essere scarsi o inesistenti, e i costi aggiuntivi sono difficili da giustificare. |
4.4 |
Molti dei punti appena sollevati hanno trovato riscontro al momento di preparare la proposta di direttiva in esame; vi è stato soprattutto un consenso pressoché unanime sul fatto che non erano necessarie modifiche sostanziali riguardo all'obiettivo, al campo di applicazione e all'applicazione generale della normativa in vigore, oltre all'esigenza di adattare l'allegato 1 alle nuove definizioni per la classificazione, l'etichettatura e l'imballaggio delle «sostanze pericolose» sulle quali si fonda tale normativa. |
4.5 |
Purtroppo sussistono diversi problemi, alcuni dei quali sono stati sollevati in fase di consultazione, ma non sono stati affrontati nel testo proposto. Altre istanze, di natura generale, sono state invece completamente dimenticate. |
4.6 |
Il CESE deplora in particolare che l'adozione di un GHS negoziato a livello mondiale ed essenzialmente monolingue abbia prodotto una perdita di significato di parole chiave ormai consolidate: ad esempio, «sostanza» può comprendere ora sia i «preparati» che le «miscele», e queste due parole vengono impiegate come se avessero lo stesso senso, al contrario di quanto avveniva nella direttiva sui preparati. Inoltre, non si è ancora compiuto alcuno sforzo per confermare che i tre termini - in inglese come in altre lingue dell'UE - «chemical» (nel senso di prodotto chimico), «chemical substance» (sostanza chimica) e «substance» (sostanza) sono sinonimi nel diritto dell'UE, nonostante i diversi usi e i significati attribuiti. Per alcuni, potrebbe essere necessario spiegare che non esistono sostanze «non chimiche». I riferimenti ai «fattori M» (fattori moltiplicatori) o alle «frasi R» (rischio) ed «S» (sicurezza) possono aver senso solo in una lingua e presentare problemi di traduzione in un'altra. |
4.7 |
Si è persa quindi l'occasione di creare un glossario di termini chiave in tutte le lingue dell'UE, come era stato suggerito in precedenza. Sarebbe stato un passo essenziale da intraprendere, ora che la legislazione disciplina nuovi settori riguardanti lo stesso gruppo di prodotti - per limitare ad esempio la disponibilità di sostanze che i terroristi potrebbero utilizzare come precursori di esplosivi - o per affrontare normative orizzontali e verticali, come REACH, le emissioni industriali, la qualità dell'acqua e RAEE, che in parte coincidono e interagiscono con atti legislativi per prodotti specifici come solventi, detergenti, cosmetici, aerosol, fertilizzanti e pesticidi. |
4.8 |
La stessa osservazione viene formulata riguardo al processo proposto per emendare gli allegati, che servono essenzialmente ad aumentare o diminuire il numero di prodotti e, di conseguenza, di siti soggetti a questa normativa, con la Commissione che, nella fattispecie, agisce autonomamente tramite gli «atti delegati». In questo caso saranno necessari orientamenti scritti in maniera chiara e accettabili per tutte le parti interessate, che però non sono stati ancora formulati. Le basi scientifiche di queste decisioni devono essere descritte integralmente, e tutte le procedure già definite dovranno essere seguite da vicino. In caso di contestazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dovrebbe essere obbligatoria una revisione completa a cura delle altre istituzioni e degli organi consultivi dell'UE. Si dovrebbero altresì introdurre disposizioni che consentano ai singoli Stati membri o ad altre parti direttamente interessate di presentare obiezioni. |
4.9 |
Lo stesso discorso vale per il campo di applicazione della proposta. La direttiva Seveso II si applica a più o meno 10 000 stabilimenti su tutto il territorio dell'UE. Circa la metà di essi è anche coperta dalla direttiva sulle emissioni industriali, di recente adozione in sostituzione della direttiva IPPC, che interesserà complessivamente più di 50 000 siti. Tra i cosiddetti «stabilimenti Seveso» figurano impianti chimici, raffinerie di petrolio, produttori di beni di consumo e altre aziende di produzione a valle, oltre ad alcuni siti per il trattamento dei rifiuti. Le autorità competenti degli Stati membri sembrano convenire sul fatto che le attuali definizioni racchiudano con sufficiente accuratezza i siti in cui vi è la possibilità, anche remota, di un incidente rilevante. Tutti i siti più importanti, naturalmente, sono elencati. Qualunque innalzamento del livello di classificazione dei prodotti per rispondere ai requisiti del GHS, senza alcuna modifica dei pericoli reali soggiacenti, servirà solo ad aggiungere siti di dimensioni minori, con una costante diminuzione dei rischi effettivi, o ad aumentare, senza una vera ragione, il numero di siti classificati ad alto rischio. Particolari preoccupazioni suscitano le materie prime utilizzate per i detergenti: nel caso di queste sostanze, le modifiche alle definizioni potrebbero produrre un aumento significativo dei siti di soglia inferiore. Dal momento che, secondo le statistiche della Commissione già citate in precedenza, nei 5 500 stabilimenti di soglia inferiore non vengono dichiarati più di 5-10 incidenti l'anno, non sembra trattarsi di un settore prioritario a cui dedicare un'ulteriore regolamentazione. Il fatto che incidenti di rilievo notificabili, in un qualunque stabilimento Seveso di soglia inferiore, si verifichino ogni 500-1 000 anni (anche per quelli di soglia superiore la frequenza è di un incidente ogni 100-200 anni) induce a pensare che si corrano maggiori rischi stando a casa o recandosi al lavoro - anche se tali rischi di rado presentano conseguenze gravi per altri o sono considerati gravi dalle autorità di regolamentazione o dal grande pubblico. Assicurandosi che le PMI responsabili siano informate e rispettino la legge e che i siti siano sottoposti a ispezioni regolari da parte delle autorità competenti, si ottengono vantaggi sempre minori. In tempi di restrizioni finanziarie e di tagli alla manodopera, ciò potrebbe aumentare la probabilità che si verifichi un grave incidente in altri siti. |
4.10 |
Il CESE chiede pertanto con insistenza di mantenere l'obiettivo originario delle direttive, che era quello di evitare o minimizzare gli effetti dei pericoli connessi ad incidenti rilevanti. Andrebbe fortemente contrastata qualunque decisione di diluire questo effetto, anche solo introducendo il nuovo GHS per la classificazione, l'etichettatura e l'imballaggio, o modificando le procedure di segnalazione a livello locale o europeo. In questo caso occorre considerare attentamente non soltanto i limiti della nuova classificazione, ma anche le quantità limite fissate per le sostanze immagazzinate. Se sono comprese anche le merci già impacchettate in piccole confezioni da destinare alla vendita al dettaglio e le probabilità di un incendio o di un'esplosione sono scarse, il rischio di un incidente definito rilevante è molto ridotto. |
4.11 |
Il CESE rileva altresì che la proposta comprende esplicitamente e a giusto titolo incidenti come la recente esplosione di una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, per i quali potrebbe essere necessaria una nuova normativa, e, più localmente, la fuoriuscita di fango rosso (residui di bauxite) in Ungheria, che era coperta, almeno in teoria, dalla direttiva sui rifiuti di estrazione del 2006. Un'applicazione e un'ispezione corrette a livello nazionale rivestono, naturalmente, un'importanza determinante, qualunque sia la normativa vigente nell'UE. |
5. Osservazioni specifiche
5.1 |
Il CESE osserva che molte delle direttive già menzionate prevedono obblighi di segnalazione per i produttori e gli Stati membri da rispettare in tempi diversi. Accrescendo la frequenza e il livello di dettaglio dei rapporti - senza alcuna prova reale degli effetti positivi - si aumentano gli oneri per tutte le parti interessate. La centralizzazione dei dati - sia essa a Bruxelles o altrove - renderebbe più problematico il mantenimento della qualità e, eventualmente, della confidenzialità dei dati. |
5.2 |
Ciò vale anche per il nuovo obbligo da parte degli «stabilimenti» di fornire informazioni relative agli stabilimenti attigui, onde evitare possibili «effetti domino» in siti vicini, che potrebbero non essere coperti da questa normativa. Non è chiaro come tale questione possa essere gestita nell'ambito del diritto UE sulla concorrenza. Essa è però sicuramente rilevante per la preparazione di piani in risposta alle emergenze locali, e in questo senso ottiene il pieno sostegno del CESE. |
5.3 |
L'introduzione del requisito per gli operatori di elaborare rapporti da cui risulti anche l'esistenza di una «cultura della sicurezza» è la conseguenza di incidenti accaduti negli Stati Uniti, come il disastro dello Space Shuttle, o - più di recente - le catastrofi nel Texas e nel Golfo del Messico. Nei rapporti stilati a posteriori veniva infatti rilevata l'assenza di una simile cultura. Si tratta però di osservazioni soggettive difficili da valutare o quantificare. L'obbligo di formulare in anticipo valutazioni periodiche e circostanziate sarebbe fonte di problemi per le autorità competenti, attualmente sottodimensionate, nella maggior parte degli Stati membri. Questa proposta è stata pertanto respinta nel corso di una riunione di esperti di sicurezza a Ispra nel 2010, e non è chiaro il motivo per cui sia stata reintrodotta nella proposta in esame. |
5.4 |
Tutto considerato, il CESE preferirebbe che i requisiti legati ai rapporti di sicurezza si mantenessero a livelli realistici, ragionevoli, comparabili e applicabili in tutti gli Stati membri, e che si facesse il possibile per uno scambio di pratiche transfrontaliero. In particolare il CESE si rammarica che le sezioni dedicate agli «insegnamenti tratti» nei 745 rapporti on line attualmente disponibili nella base dati eMARS siano state per lo più lasciate in bianco e che le altre caselle da selezionare forniscano poche informazioni utili, pur essendo state presentate non solo al grande pubblico, ma anche agli esperti di sicurezza, come una fonte primaria di informazioni rilevanti. Alcuni dati, come la distribuzione degli incidenti tra stabilimenti di soglia superiore e inferiore non sono stati raccolti - a quanto pare - in modo sistematico, e ciò rende difficile valutare l'efficacia delle varie componenti della normativa e delle azioni richieste a livello nazionale. Il CESE accoglie pertanto con favore le azioni condotte dalla Commissione per definire di concerto con gli Stati membri nuovi criteri per i rapporti di sicurezza e confida nello stanziamento di risorse sufficienti per mantenere il sistema all'altezza del suo obiettivo originario. |
5.5 |
Il CESE si chiede altresì come mai i requisiti in materia di rapporti di sicurezza per gli stabilimenti delle due soglie, definiti in base alle quantità di tonnellate e alle classificazioni di pericolo delle sostanze prodotte, utilizzate o immagazzinate in un sito, differiscano quanto alla necessità di una MAPP, nonché di un sistema di gestione della sicurezza (SMS) e di un rapporto di sicurezza. Dato che la prima (MAPP) presenta uno scarso valore senza il secondo (SMS), il CESE ritiene che questo requisito dovrebbe applicarsi in ugual misura a tutti gli stabilimenti compresi nel campo d'applicazione di questa direttiva. I requisiti specifici per gli stabilimenti di soglia inferiore dovrebbero essere però maggiormente adeguati al rischio molto ridotto di incidente rilevante. |
5.6 |
Il CESE rileva che le proposte di fornire informazioni al pubblico sono state notevolmente ampliate, anche se non sempre ne risulta chiara la motivazione. Un paragrafo cita espressamente «scuole e ospedali», ma non è chiaro se siano menzionati a scopo educativo, in quanto siti che occupano o ospitano un numero elevato di persone e richiedono quindi piani ed esercizi di evacuazione specifici, o perché costituiscono risorse fondamentali in caso di emergenza. Questo aspetto andrebbe chiarito per consentire ai diretti interessati di adottare le azioni più appropriate. |
5.7 |
In tutti i casi sopra elencati il requisito dovrebbe essere quello di fornire informazioni pertinenti, comprensibili e tempestive per un determinato scopo. L'invio elettronico di informazioni sarà utile per alcuni settori della comunità, ma non per altri. Ancora per molti anni sarà necessario ricorrere all'informazione su carta. Nell'ambito dei piani messi a punto per affrontare emergenze specifiche si potrebbero prendere in considerazione, a livello locale, nuove forme di comunicazione, come l'invio mirato di messaggi di posta elettronica, le reti sociali e perfino Twitter®. |
5.8 |
La Commissione, infine, inserisce un nuovo articolo a garanzia della «giustizia in materia ambientale», un concetto che è andato diffondendosi negli Stati Uniti negli anni Ottanta, sulla scia del movimento per i diritti civili di vent'anni prima, in cui il colore della pelle, la povertà e la mancanza di diritti civili, con conseguente assenza evidente di giustizia, erano strettamente correlati. Gli stessi principi sono stati introdotti nella convenzione di Aarhus del 1998. Nel 2006 è stato adottato un regolamento che definiva gli obblighi delle istituzioni europee. Il CESE, nel parere sull'argomento (GU C 117 del 30.4.2004, pag. 52), sosteneva la proposta di regolamento, ma esprimeva preoccupazione riguardo alla definizione limitata di «organismi che operano a favore della tutela dell'ambiente», visto che «altre organizzazioni senza fini di lucro, quali sindacati, organizzazioni dell'economia sociale, socioprofessionali, dei consumatori ecc. stanno realizzando un'importante opera a favore dell'ambiente a livello locale, regionale, nazionale ed europeo». Questa posizione resta ancor'oggi di attualità, visto che tutte le componenti della società civile organizzata partecipano piuttosto attivamente quando si tratta di elaborare pareri informati su aspetti attinenti a questa normativa e di garantire che la salute e la sicurezza dei lavoratori e della popolazione circostante siano adeguatamente protetti qualora si verifichi un incidente rilevante. Secondo le relazioni della Commissione sull'applicazione del regolamento del 2006 disponibili on line, le alquanto scarse richieste di informazioni registrate riguardavano campagne paneuropee in corso piuttosto che problemi connessi ad un sito in particolare. Pertanto, non è chiaro come mai questo particolare requisito sia stato aggiunto in questa fase, invece di presentare, ad esempio, delle proposte per lo scambio, il riconoscimento e la ricompensa delle buone pratiche esistenti. Si tratta di un campo nel quale l'UE è in forte ritardo rispetto agli Stati Uniti e nel quale si potrebbero, invece, realizzare autentici passi avanti in materia di sicurezza del processo e delle persone, in linea con gli obiettivi enunciati nella proposta di direttiva in esame. |
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) GU C 204 del 9.8.2008, pag. 47.
(2) http://emars.jrc.ec.europa.eu/.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/144 |
Parere del del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulle possibilità e sulle sfide per il cinema europeo nell'era digitale
COM(2010) 487 definitivo
2011/C 248/25
Relatore: Mircea Eugen BURADA
La Commissione europea, in data 24 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulle possibilità e sulle sfide per il cinema europeo nell'era digitale
COM(2010) 487 definitivo.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2011.
Alla sua 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 1 voto contrario e 9 astensioni.
Motto
L'Europa deve essere protagonista sulla scena mondiale e mai, in nessun caso, soltanto un attore di secondo piano della globalizzazione (1).
PREMESSA
«Il cinema europeo svolge un ruolo importante nella formazione delle identità europee al centro dell'agenda europea per la cultura». Questa frase, che figura in apertura della comunicazione in esame, costituisce un'eccellente dichiarazione d'intenti, poiché mette in evidenza il tema affrontato nella sua autentica dimensione, ponendo al tempo stesso l'accento sulla sua straordinaria importanza, nella prospettiva irrinunciabile di vincere la scommessa che è alla base del progetto europeo, secondo la concezione dei padri fondatori dell'Unione europea. La cultura in tutte le sue componenti, compresa quella oggetto del presente documento (il cinema), è il principale vettore di comunicazione, di solidarietà, di democrazia e soprattutto di coesione nell'Unione. Autentico tesoro della nostra vita, il cinema va tutelato e considerato di grande interesse sotto il profilo politico e strategico. Il cinema digitale ci offre un'occasione imperdibile: quella di conferire al cinema europeo il ruolo fondamentale di cinghia di trasmissione trascendentale di idee, un'opportunità unica per l'UE - e quindi assolutamente da non lasciarsi sfuggire - di dotarsi degli strumenti necessari per conseguire l'obiettivo della coesione nell'Unione grazie alla formazione delle identità europee. Una simile aspirazione, tuttavia, può essere tradotta in realtà soltanto dall'arte in generale, e da quella cinematografica in particolare. In termini economici ciò significa disporre di un BILANCIO, ossia prevedere un enorme sforzo finanziario senza il quale in futuro l'UE - autentica torre di Babele a 27 valenze - si troverà confrontata al grave rischio di disperdersi nei mille rivoli delle sensibilità identitarie dei singoli Stati membri.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 L'argomento discusso nel presente documento è complesso, delicato, grave ma soprattutto politico:
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COMPLESSO, per via della multiformità culturale delle identità europee, |
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DELICATO perché ciascuno Stato membro, orgoglioso della varietà e ricchezza del proprio patrimonio cinematografico nazionale, accoglierà questa nuova fase con grande cautela, se non addirittura con scetticismo, |
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GRAVE, per via dell'assenza di una vera e propria strategia a livello europeo e del fatto che non sono stati conseguiti i risultati previsti, cosa che a lungo termine mette a repentaglio gli sforzi profusi nel dare più solide fondamenta all'Unione grazie alla formazione e all'armonizzazione delle identità europee, |
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POLITICO: se è vero che il cinema, atto culturale per eccellenza, all'inizio non era altro che un passatempo, con il tempo ha acquistato nuove e molteplici funzioni: sostegno morale, strumento di comunicazione e persino di propaganda, testimonianza storica, influsso subliminale, ecc. |
1.2 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda a tutti i decisori politici interessati all'avvenire di questo progetto unico al mondo di agire con cautela, evitando di cadere nella trappola dei confronti ispirati ad un certo fatalismo culturale che detta affermazioni quali «il cinema americano non ha rivali» o «il pubblico preferisce i film americani», ecc. Anzi, la concorrenza deve servire da stimolo al settore del cinema digitale europeo. Lo spettatore desidera che si comunichi con lui, vuole rimanere stregato e avvinto, essere convinto, vuole che gli si offra uno spettacolo, che lo si inviti ad entrare in una sala cinematografica dove arriverà con le proprie idee e dalla quale uscirà con quelle trasmessegli dalla storia che scorre sullo schermo. Qui sta il segreto del successo. Il CESE raccomanda quindi di adoperarsi in ogni modo (con fiducia in se stessi, determinazione e ambizione su scala europea) per reperire i mezzi e i finanziamenti necessari allo scopo specifico di garantire la riuscita di questo meccanismo, al tempo stesso politico e culturale, che è indubbiamente una delle chiavi di volta per vincere la scommessa dell'integrazione europea.
1.3 Come viene spiegato con grande chiarezza nella comunicazione, la vera e propria rivoluzione digitale del cinema europeo - che tramite programmi, norme e leggi avrà un fortissimo impatto specialmente sulla «tranquilla» routine di molti operatori del settore, imponendo loro un nuovo quadro lavorativo, un nuovo ritmo di vita e, soprattutto, un maggiore impegno finanziario - costituisce una sfida inedita, cui si accompagna tuttavia il rischio della scomparsa di numerose piccole e medie aziende. Il Comitato approva e sostiene qualsiasi iniziativa utile dell'Unione e ritiene indiscutibilmente necessario uno sforzo per garantire la sopravvivenza delle piccole sale cinematografiche sia nelle zone rurali che nelle grandi città, particolarmente importanti per la coesione sociale, come pure del settore di nicchia del cinema d'arte e d'essai.
1.4 Innovazione di straordinaria importanza, indispensabile per il futuro dell'Unione, componente essenziale della cultura europea, solido ponte atto ad unire i popoli e le culture dell'UE contribuendo all'incontro e ad una migliore conoscenza e scoperta reciproche, anzi - se del caso - alla rivelazione di come sia possibile una convivenza basata sulla mutua comprensione, il rispetto e persino l'ammirazione: il cinema digitale è tutto questo, è l'arcobaleno che annuncia una vita più intensamente declinata all'insegna dei legami sociali e della concorrenza e meno costosa.
1.5 Il CESE si pronuncia a favore della creazione a livello europeo di un quadro normativo specifico, stabile e ben definito. Gli Stati membri devono sforzarsi, adottando specifici provvedimenti, di riportare nelle sale cinematografiche quei milioni di spettatori che le disertano ormai da tempo. Dobbiamo infatti renderci conto di un aspetto fondamentale: oggi andare a vedere un film in una sala cinematografica è diventato un lusso, mentre la visione di un DVD grazie ad un'installazione di home cinema (con l'indispensabile schermo al plasma) è un bene di consumo quotidiano.
1.6 Occorre esaminare questo tema tenendo ben presente che le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) - ossia le nuove tecnologie, l'informazione in tempo reale e la comunicazione diretta e al di là delle frontiere tra le diverse lingue nazionali - comportano enormi vantaggi in termini di una distribuzione dell'ampio ventaglio di valori culturali e contenuti creativi dell'Europa che risulti meno costosa e non intralciata da barriere. Al tempo stesso, esse consentono un'ampia accessibilità alle persone con disabilità visiva o auditiva.
1.7 Tuttavia, sarà impossibile realizzare qualcosa di stabile e duraturo se l'Unione non metterà a disposizione le risorse finanziarie indispensabili per attuare e accompagnare in modo equo - a più livelli - questo progetto multiculturale unico al mondo. Una gestione inefficace del programma comporterà certamente delle spese difficilmente sostenibili per le piccole sale cinematografiche, per determinate categorie di professionisti del settore e soprattutto per gli spettatori, che sono i principali destinatari del presente parere. Tenendo presente che in materia di sostegno pubblico non è possibile adottare un approccio uniforme applicabile a ciascuno degli Stati e territori europei, il Comitato pone l'accento sull'esigenza di finanziamenti sufficienti per la digitalizzazione delle piccole sale cinematografiche, in particolare sia i cinema nelle aree rurali che quelli delle grandi città. Si dovrebbe fare ricorso ai fondi strutturali, assicurare un cofinanziamento nazionale adeguato e, in via prioritaria, rendere più accessibile agli esercenti il fondo di garanzia per la produzione del programma MEDIA. Malgrado ciò, non è possibile adottare un approccio unico nell'erogazione degli aiuti pubblici, valido cioè per tutti i paesi e le regioni dell'Unione, poiché ciascuno Stato membro ed ente territoriale europeo deve essere libero di introdurre un regime di aiuti in grado di funzionare correttamente nei mercati oggi dominanti.
1.8 Una volta concluso il passaggio alla tecnologia digitale (cosa che avverrà certamente nei prossimi anni), si raccomanda di provvedere alla digitalizzazione degli archivi cinematografici (sia di documentari che di immagini di repertorio o di classici), non solo per non privare le generazioni future del prezioso patrimonio del cinema europeo, ma anche per rendere tale patrimonio facilmente accessibile.
1.9 L'analisi della comunicazione della Commissione è strettamente incentrata sulla digitalizzazione delle sale cinematografiche e non, più genericamente, sul cinema europeo e la politica del settore audiovisivo in un contesto digitale. La digitalizzazione è un processo piuttosto complesso, certo non riconducibile alla semplice sostituzione di apparecchiature. Un approccio più integrato, che tenga conto non solo dell'aspetto tecnologico e industriale ma anche di considerazioni e obiettivi culturali (la creazione), sarà necessario per fare del cinema europeo una componente strategica essenziale dell'Agenda digitale europea. La possibilità di fruire del cinema digitale, a scopo ricreativo o di informazione, dovrebbe rientrare tra le misure previste dall'Agenda.
2. Introduzione
2.1 Il cinema digitale è una modalità di distribuzione e proiezione dei film nelle sale cinematografiche mediante il ricorso alla tecnologia digitale. La tecnologia digitale comporta: la registrazione digitale, la postproduzione digitale, la produzione del master digitale (Digital Cinema Distribution Master, DCDM), la proiezione di film in tecnica digitale (DCI), che può essere realizzata in due livelli di definizione: a 2K e a 4K. Il sistema di cinema digitale deve garantire la più alta fedeltà possibile della riproduzione di suono e immagine.
2.2 La distribuzione digitale dei film consente ai distributori cinematografici di realizzare enormi risparmi. 80 minuti distribuiti su pellicola standard hanno un costo compreso tra i 1 500 e i 2 500 USD, somma che, moltiplicata per milioni di copie, raggiunge un importo elevatissimo. Su supporto digitale, con un massimo di 250 Mb al secondo, un film standard può essere registrato su un hard disk di soli 300 Gb a costi molto ridotti, senza considerare poi che il supporto digitale ha un volume che lo rende materialmente semplice da usare, stoccare e trasportare, oltre ad essere riutilizzabile (fonte: Wikipedia).
2.3 La distribuzione digitale (il cinema digitale) non potrà esistere senza la produzione di film, che però registra ancora un notevole ritardo per quanto riguarda l'adeguamento delle apparecchiature alla tecnologia digitale. Occorre uno sforzo finanziario specifico per recuperare il ritardo accumulato e registrare rapidamente dei progressi rispetto alla concorrenza.
Oggi la situazione è infatti piuttosto paradossale: se da un lato si cerca di realizzare una rete di cinema digitali, dall'altro la maggior parte dei produttori cinematografici continua ad utilizzare la pellicola di celluloide quale supporto per la distribuzione dei film prodotti.
Come avviene anche nel settore dei film in 3D, molto spesso i distributori o gli esercenti vendono agli spettatori europei, con una maggiorazione di qualche euro sul prezzo del biglietto, una sorta di surrogato privo delle qualità richieste dalle norme in materia di digitale. Se il master digitale non è stato girato in digitale, è impossibile che il film venga proiettato con una tecnologia autenticamente digitale. Ad esempio, il film Avatar è stato girato in 3D, il che spiega il suo formidabile successo presso milioni di spettatori.
3. Presupposti
3.1 La comunicazione prende in considerazione tutta una serie di concetti chiave intesi a favorire la creazione di uno spazio culturale europeo comune, nella cui prospettiva il processo di digitalizzazione dovrà svolgersi secondo le modalità descritte di seguito ed essere accompagnato dal necessario sostegno finanziario.
3.1.1 L'AGENDA EUROPEA PER LA CULTURA, tra le cui priorità figura la promozione del cinema europeo in quanto forza propulsiva del processo di formazione delle identità europee e di avvicinamento tra le culture dell'Unione.
3.1.2 L'AGENDA DIGITALE EUROPEA, che è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva nel quadro di un mercato digitale unico.
3.1.3 Il mercato unico: un crocevia strategico che, malgrado tutte le difficoltà, garantisce la libera circolazione attraverso le frontiere interne dell'UE dei contenuti culturali, delle relazioni sociali e dei servizi commerciali, offrendo ai cittadini europei la possibilità di beneficiare pienamente dei vantaggi dell'era digitale grazie alla creazione di un mercato digitale unico.
3.1.4 La convenzione Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, ratificata dall'Unione europea nel 2006, è di grande utilità per determinare le azioni indispensabili e l'obiettivo che l'Unione deve tradurre in realtà in materia di digitalizzazione dei cinema.
3.1.5 Il Libro verde Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare. Al di là del loro contributo diretto al PIL, le industrie culturali e creative sono anche un motore importante dell'innovazione economica e sociale in numerosi altri settori.
3.1.6 MEDIA 2007 è un programma di vasta portata, comprendente anche una componente di formazione destinata ai professionisti dell'industria audiovisiva europea che punta all'adeguamento delle loro competenze alla dimensione europea e internazionale del mercato audiovisivo mettendo l'accento sulla formazione professionale permanente e l'impiego delle nuove tecnologie.
3.1.7 Mancano i finanziamenti necessari per la digitalizzazione delle sale cinematografiche, in particolare nelle aree rurali; per rimediare a tale carenza, si deve ricorrere ai fondi strutturali e ad un cofinanziamento nazionale adeguato, nonché rendere più accessibile agli esercenti il fondo di garanzia per la produzione del programma MEDIA.
4. Analisi del quadro attuale
4.1 La rivoluzione digitale solleva una serie di questioni politiche a livello regionale, nazionale ed europeo:
— |
la competitività e la circolazione delle opere europee, |
— |
il pluralismo e la diversità linguistica e culturale. |
Questi problemi vanno indubbiamente affrontati e risolti di concerto tra tutti gli attori interessati dell'UE, con criteri uniformi e improntati ad equità.
4.2 Per quanto riguarda gli aiuti concessi dalle autorità degli Stati membri, si osserva che sino ad oggi il sostegno finanziario è stato riservato alla creazione e alla produzione cinematografiche - una politica, a nostro avviso, assolutamente encomiabile ed indispensabile alla promozione della cultura cinematografica nazionale di ciascun paese, a condizione che si realizzi la transizione verso la produzione digitale.
4.3 La comunicazione mette altresì l'accento sull'esigenza di introdurre aiuti finanziari supplementari destinati sia alla produzione di copie master che all'installazione di schermi digitali, per assicurare la distribuzione di massa dei film e la loro visione da parte del vasto pubblico - a condizione tuttavia che venga finanziata la riqualificazione professionale di quanti avranno perso il posto di lavoro a causa del passaggio alla nuova tecnologia.
4.4 Il testo della Commissione mette anche in risalto la questione di un coinvolgimento ad ampio raggio dei distributori e degli esercenti delle sale, che è una condizione imprescindibile per garantire la circolazione delle opere europee e la diversità dell'offerta cinematografica dell'Europa. Il fatto che i distributori siano anche produttori di film non deve rappresentare un problema, a condizione che il prezzo del biglietto non diventi proibitivo. È importante sfruttare gli interessi commerciali di questi produttori/distributori a vantaggio del cinema digitale degli Stati membri e dell'intera UE.
4.5 Già nella primavera del 2008 la Commissione europea e gli Stati membri hanno avviato un'iniziativa permanente istituendo un gruppo di esperti in materia di cinema digitale. Dalla discussione è emersa con chiarezza la necessità di un'alternativa all'attuale modello del contributo alle spese di copia virtuale (Virtual Print Fee, VPF), come pure l'importanza di un sostegno finanziario delle autorità nazionali e dell'Unione europea per completare il processo di digitalizzazione.
4.6 Gli «investitori intermedi» finanziano a monte tutti i costi dell'apparecchiatura di proiezione digitale necessaria per le sale cinematografiche. Il distributore è tenuto a rimborsare, fin dalla prima proiezione del film, tale finanziamento, ossia il contributo alle spese di copia virtuale, il che in pratica equivale ad acquistare l'apparecchiatura digitale.
4.7 Se la comunicazione fornisce alcuni esempi di finanziamento che ci inducono a ritenere che la transizione al digitale sia già ben avviata, non disponiamo però di una visione precisa della velocità di crociera e dell'efficienza di tale processo, né abbiamo un quadro per quanto riguarda la stabilità delle apparecchiature e, soprattutto, le dimensioni di questa rete federativa di cinema digitali - uno dei pilastri del nostro progetto europeo inteso a garantire una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
4.8 Alla consultazione pubblica su opportunità e sfide per il cinema europeo nell'era digitale, lanciata dalla Commissione europea il 16 ottobre 2009, sono pervenute oltre 300 risposte da esercenti, distributori, produttori, agenti di vendita, agenzie cinematografiche, agenzie professionali e società di servizi digitali.
4.9 Il Comitato ritiene che, se si vuole riuscire nell'intento, l'opera di monitoraggio vada realizzata a lungo termine e adattata alla grande diversità offerta dal panorama dei contenuti culturali dell'Unione.
4.10 Nel corso della sua storia il cinema ha dovuto affrontare tutta una serie di difficili trasformazioni: il cinema muto, il Technicolor, il sistema Dolby Sound, ecc. La sfida maggiore dell'epoca attuale è quella della rivoluzione digitale.
4.11 Il CESE sottolinea che la digitalizzazione pone inoltre tutta una serie di problemi di rilievo sul piano tecnico e finanziario in termini di stoccaggio, conservazione a lungo termine e accesso, problemi che non trovano spazio nella comunicazione. Il documento della Commissione non prevede alcun piano sostenibile per lo stoccaggio digitale né propone alcuna tecnica di consolidata efficacia per stoccare i contenuti digitali nel lungo periodo e poterli in seguito recuperare. Le informazioni o i dati stoccati su supporto digitale hanno una durata di vita inferiore a quella di un film e costi molto più elevati; il contenuto digitale, inoltre, registra una crescita in progressione geometrica. Non solo: si pongono al tempo stesso anche le questioni dell'accesso, dell'originalità e dell'autenticità.
4.12 Il CESE raccomanda di affrontare i problemi sopra elencati grazie ad una cooperazione a livello settoriale che riunisca tutti i soggetti interessati, al fine di realizzare sistemi di stoccaggio e di archiviazione adeguati, definire norme comuni e stabilire modalità di finanziamento stabili e affidabili. Tra i criteri raccomandati per un quadro coerente in materia di stoccaggio e archiviazione digitali figurano: garanzia di accesso per un periodo di 100 anni, protezione in caso di periodi prolungati di abbandono o di difficoltà finanziarie, capacità di produrre copie per soddisfare le future esigenze di distribuzione, qualità dell'immagine e del suono pari o superiore a quella dell'opera originale, e misure di salvaguardia dalla dipendenza da piattaforme tecnologiche in costante evoluzione.
4.13 La comunicazione della Commissione sottolinea una possibilità offerta dalla distribuzione digitale: garantire la sopravvivenza degli archivi cinematografici e, quindi, distribuire su larga scala i classici minacciati dall'oblio a causa di una tecnologia ormai obsoleta.
4.14 La tecnica digitale permette inoltre di ridurre notevolmente i costi nelle fasi di produzione e di postproduzione. Una copia master digitale (Digital Source Master, DSM) può infatti essere utilizzata in numerosi settori: cinema, VOD (video-on-demand = video su richiesta), DVD, TV digitale.
4.15 La distribuzione digitale offre anche un'altra, preziosa opportunità: consente di superare con facilità le frontiere fisiche, come pure le barriere culturali e soprattutto linguistiche, semplicemente presentando il film originale tradotto nella lingua del paese in cui viene distribuito. I DVD reperibili sul mercato dispongono sempre più spesso di sottotitoli in più lingue.
4.16 Il processo di produzione in tecnica digitale consente al regista di avere fino all'ultimo momento il controllo sulla qualità della copia master digitale: l'immagine, gli effetti speciali, la fotografia, la musica, gli effetti sonori, ecc.
4.17 Il Comitato si compiace del fatto che la Commissione esorti gli Stati membri che sostengono la propria produzione cinematografica nazionale ad avvalersi delle possibilità offerte dalla distribuzione digitale raccogliendo la sfida di garantire, con la loro costante partecipazione alla rivoluzione digitale, un sicuro avvenire al cinema digitale, il quale consente ai cittadini europei una conoscenza di prima mano di un vasto panorama multiculturale.
4.18 Il CESE mette l'accento sul potenziale di occupazione di questo settore e sottolinea la specificità dei posti di lavoro che esso offre. Investire oggi nelle risorse umane è la chiave per riuscire a diffondere il cinema digitale in tutta Europa, garantendo così anche in futuro la qualità e l'originalità dell'industria cinematografica europea. È importante inoltre contenere per quanto possibile i costi sociali legati alla transizione verso il digitale - come gli esuberi tra i proiezionisti e/o tra i tecnici di laboratorio del settore cinematografico - ad esempio mediante adeguate azioni di formazione e misure di sostituzione.
4.19 L'articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della decisione n. 1718/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006, relativa all'attuazione di un programma di sostegno al settore audiovisivo europeo (MEDIA 2007) sostiene una formazione professionale che tenga conto «a monte del ricorso alle tecnologie digitali per la produzione, postproduzione, distribuzione, commercializzazione e archiviazione dei programmi audiovisivi europei». Il programma MEDIA 2007 andrebbe riveduto e ampliato per definire nuove priorità e individuare nuovi obiettivi oltre a quelli già stabiliti.
4.20 L'articolo 5 della citata decisione MEDIA 2007 sostiene inoltre l'altra componente del cinema digitale, ossia il settore della distribuzione e diffusione.
4.21 Gli aiuti di Stato, concessi in conformità delle disposizioni dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera d), del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), costituiscono un'altra fonte di finanziamento. Si possono citare parecchi esempi in materia, comprensibili nel loro contesto.
4.22 Normazione: nel 2002 sei grandi produttori cinematografici statunitensi (le major) hanno stabilito una serie di specifiche tecniche del digitale, il Digital Cinema Initiative (DCI).
4.23 Queste specifiche tecniche DCI sono state pubblicate nel 2005 dalla Society of Motion Picture and Television Engineers (SMPTE) e sono in seguito diventate norme per il cinema digitale, oggi adottate come norme internazionali dall'Organizzazione internazionale di normazione (International Organization for Standardization, ISO) di Ginevra. La Commissione intende adottare nel 2011 una raccomandazione, attesa con grande interesse, sulla promozione di norme europee specifiche per il cinema digitale europeo.
4.24 In Europa la percentuale di film realizzati in digitale, sia in fase di produzione che di postproduzione, è inferiore in misura preoccupante rispetto agli Stati Uniti: la potenza mondiale concorrente ha un significativo vantaggio su di noi. Un esempio eloquente: sul totale dei film digitali proiettati in Francia (30 film nel 2007,50 nel 2008), 35 erano produzioni nordamericane, 10 produzioni europee e 5 erano film di produttori indipendenti.
4.25 Adoperarci per lo sviluppo delle sale cinematografiche digitali senza sostenere al tempo stesso la produzione europea di film digitali equivale ad uccidere con le nostre stesse mani le creazioni del cinema europeo: sarebbe la resa definitiva di fronte alle produzioni digitali straniere.
4.26 Qualora questo programma europeo di ampio respiro a sostegno del cinema digitale non dovesse avere successo, ciò significherebbe la condanna a morte dell'idea di una coesione europea sorta nel processo di formazione del contenuto multiculturale dell'Unione europea.
4.27 In conclusione: l'Europa del cinema digitale deve recuperare un ritardo che è già considerevole.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Incontro tra il Presidente del CESE Staffan NILSSON e il commissario europeo Michel BARNIER del 6 gennaio 2011.
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/149 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Riforma delle norme UE in materia di aiuti di Stato relativamente ai servizi di interesse economico generale
COM(2011) 146 definitivo
2011/C 248/26
Relatore generale: Raymond HENCKS
La Commissione, in data 23 marzo 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Riforma delle norme UE in materia di aiuti di Stato relativamente ai servizi di interesse economico generale
COM(2011) 146 definitivo.
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 3 maggio 2011, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori (articolo 59 del Regolamento interno), il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 472a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), ha nominato relatore generale Raymond HENCKS e ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli, 6 voti contrari e 16 astensioni.
1. Raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva che la Commissione, nel portare avanti il dialogo con le parti interessate, abbia avviato una serie di riflessioni concernenti un riesame e un chiarimento delle regole di finanziamento dei servizi d'interesse economico generale. |
1.2 |
Il CESE è pienamente d'accordo che venga adottato un nuovo approccio maggiormente diversificato e proporzionato in merito ai diversi tipi di servizi pubblici e approva l'esenzione dall'obbligo di notifica per i servizi pubblici su scala ridotta e per alcuni servizi sociali. |
1.3 |
In tale contesto, chiede alla Commissione di chiarire ciascuna delle modalità di finanziamento delle compensazioni degli obblighi di servizio pubblico concesse, specificando se ad esse si applicano i criteri della sentenza Altmark e se, pertanto, non rientrano tra gli «aiuti di Stato». |
1.4 |
Per non dover più dipendere da un approccio esclusivo caso per caso, legislativo o contenzioso, il Comitato dunque non può che approvare l'intenzione della Commissione di chiarire la distinzione tra i servizi d'interesse economico generale (SIEG) e i servizi non economici d'interesse generale (SNEIG). Viste le difficoltà di dare una definizione di SNEIG/SIEG, il CESE resta quindi convinto che l'accento debba essere posto non sul carattere economico o non economico dei servizi in questione bensì sulla loro missione specifica e sugli obblighi di servizio pubblico. |
1.5 |
Il CESE ritiene quindi che, in tale quadro, le regole per l'attuazione delle compensazioni degli obblighi di servizio pubblico in relazione agli aiuti di Stato potrebbero rivestire un carattere più democratico agli occhi delle decine di migliaia di autorità pubbliche che dovranno attuarle se rientrassero nel campo di applicazione della procedura legislativa ordinaria prevista all'articolo 14 del TFUE, fatta salva la conformità alle disposizioni del Trattato. |
1.6 |
Il Comitato giudica molto positivamente l'invito rivolto agli Stati membri ad attribuire maggiore importanza alle considerazioni legate all'efficienza. Tuttavia non bisogna concentrarsi esclusivamente sui criteri economici ma prendere in considerazione anche gli aspetti sociali, territoriali e ambientali, nonché criteri quali la qualità, i risultati e la sostenibilità. |
1.7 |
Il CESE teme invece che l'introduzione della nozione di efficienza finisca per allineare i criteri di valutazione contenuti nella decisione e nella disciplina comunitaria al quarto criterio della sentenza Altmark. Si corre inoltre il rischio che tale criterio si applichi a tutte le compensazioni, comprese quelle concesse per la prestazione di servizi pubblici esenti dall'obbligo di notifica. |
1.8 |
Per quanto concerne infine l'intenzione della Commissione di chiarire i limiti cui sono soggetti gli Stati membri al momento di definire una determinata attività economica come SIEG, si ricorda che da anni il CESE chiede di precisare le condizioni di applicazione dell'articolo 106, paragrafo 2, che è oggetto di interpretazioni divergenti. |
2. Introduzione
2.1 |
Gli Stati membri erogano una vasta serie di aiuti finanziari pubblici di diversa natura, che vanno dagli aiuti di Stati all'occupazione, alla formazione, agli investimenti, alla ricerca, alla tutela dell'ambiente, alle piccole e medie imprese, al salvataggio e alla ristrutturazione di imprese in situazione precaria, alle famiglie, alle persone in difficoltà, ecc., fino ai servizi d'interesse generale (SIG). |
2.2 |
Nel quadro delle regole di concorrenza e del mercato interno, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea considera aiuto di Stato un vantaggio, di qualsiasi natura, concesso dalle autorità nazionali a una o più imprese su base selettiva. |
2.3 |
Pertanto, perché sia considerato aiuto di Stato, è indispensabile che un aiuto soddisfi tutti i criteri seguenti:
|
2.4 |
In linea di principio, gli aiuti di Stato citati in precedenza sono vietati dal Trattato (articoli 107 e 108 del TFUE). Possono essere tuttavia consentiti in alcuni casi, ad esempio se perseguono il raggiungimento di obiettivi d'interesse comune (servizi d'interesse generale, coesione sociale e regionale, occupazione, ricerca e sviluppo, sviluppo sostenibile, promozione della diversità culturale, ecc.) oppure se sono volti a rimediare alle carenze del mercato. Essi non devono però distorcere la concorrenza in una misura che risulti contraria agli interessi dell'UE. |
2.5 |
La possibilità concessa agli Stati membri di attribuire aiuti di Stato è limitata da una serie di atti legislativi e da una giurisprudenza ricca ed evolutiva della Corte di giustizia europea, che hanno definito norme vincolanti per i paesi che intendono applicare meccanismi di questo genere. |
2.6 |
Generalmente, pertanto, gli Stati membri devono, salvo alcune eccezioni (aiuti de minimis, aiuti non superiori ad una soglia prestabilita, aiuti destinati a determinati settori specifici), seguire una procedura volta a notificare alla Commissione gli aiuti che intendono concedere. Tali aiuti potranno essere attribuiti solo dopo autorizzazione ufficiale da parte della Commissione. |
2.7 |
Quest'ultima, essendo il solo organo abilitato a valutare la compatibilità degli aiuti di Stato con le disposizioni del Trattato (con possibilità di ricorso alla Corte di giustizia europea), dispone pertanto di importanti poteri d'indagine, decisione e sanzione in materia. |
2.8 |
La normativa sugli aiuti di Stato non riguarda gli SNEIG. |
2.9 |
Per quanto concerne i SIEG, le autorità pubbliche devono pertanto chiedersi se la compensazione dell'obbligo di servizio pubblico sia un aiuto di Stato compatibile con il Trattato nel quadro delle regole di concorrenza e del mercato interno. |
2.10 |
Conformemente alla sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia (causa C280/00 Altmark Trans GmbH), per un SIEG non si può parlare di aiuto di Stato quando tutte le seguenti condizioni sono rispettate:
|
2.11 |
Sulla base di questa sentenza (Sentenza Altmark), la Commissione ha tenuto conto del fatto che poche compensazioni soddisfacevano le quattro condizioni sopra indicate e che tutte le altre compensazioni, invece, dovevano essere considerate «aiuti di Stato». La Commissione ha dunque adottato il pacchetto «Monti-Kroes» che precisa:
|
2.12 |
La disciplina, che stabilisce mediante regole e principi le condizioni alle quali le compensazioni di servizio pubblico risultano compatibili con il mercato comune in base all'articolo 106, paragrafo 2, del TFUE, scade nel novembre 2011. |
2.13 |
Inoltre, dato che sia la disciplina sia la decisione prevedono una valutazione delle norme che esse stesse stabiliscono, la Commissione ha avviato un riesame del pacchetto Monti-Kroes; nel 2008 e nel 2009 ha infatti invitato gli Stati membri a presentare una relazione sull'applicazione del pacchetto attuale e nel 2010 ha lanciato una consultazione pubblica in materia. |
2.14 |
Sulla base di queste due iniziative, la Commissione ha elaborato una serie di orientamenti, illustrati nella comunicazione oggetto del presente parere. L'obiettivo è quello di avviare un dibattito politico con le istituzioni europee e le altre parti interessate entro il prossimo luglio, prima dell'elaborazione di nuove proposte. |
3. Sintesi della comunicazione
3.1 |
La comunicazione, che persegue l'obiettivo di definire strumenti più chiari, semplici e proporzionati prevede di:
|
4. Osservazioni generali
4.1 |
Il CESE sostiene le iniziative degli Stati membri e delle altre parti direttamente interessate che, vuoi nella relazione sull'applicazione dell'attuale pacchetto Monti-Kroes vuoi nel corso della pubblica consultazione in materia, hanno chiesto di riesaminare le regole sugli aiuti di Stato applicabili ai SIEG al fine di eliminare le incertezze giuridiche e di giungere ad un riequilibrio più armonioso tra gli interessi economici e quelli sociali e ambientali. |
4.2 |
Il CESE è pienamente d'accordo con un approccio maggiormente diversificato e proporzionato in merito ai diversi tipi di servizi pubblici, che serva anche a chiarire le regole di finanziamento. Approva inoltre l'esenzione dall'obbligo di notifica per i servizi pubblici su scala ridotta e per alcuni servizi sociali, che tuttavia sono ancora da definire. È particolarmente importante mantenere le esenzioni esistenti in alcuni ambiti (ad esempio per quanto riguarda l'occupazione di persone che appartengono a gruppi vulnerabili come i disabili). |
4.3 |
In tale contesto, si chiede per quale motivo la Commissione abbia deciso di circoscrivere al livello locale l'esenzione dall'obbligo di notifica per i servizi su scala ridotta; il fatto di non avere incidenza sugli scambi tra Stati membri dovrebbe essere sufficiente per quanto concerne sia il livello locale sia quello regionale o addirittura nazionale. |
4.4 |
Secondo la comunicazione, la revisione del pacchetto rientra tra gli obiettivi più ampi della Commissione in materia di servizi pubblici, definiti in particolare nella comunicazione Verso un atto per il mercato unico e nella strategia Europa 2020. |
4.5 |
Il CESE coglie l'occasione per ricordare che nel suo parere in merito alla comunicazione della Commissione Verso un atto per il mercato unico (INT/548 del 15 marzo 2011), ha affermato che l'obiettivo della comunicazione e di altre misure riguardanti i servizi pubblici dovrebbe essere quello di aiutare gli Stati membri a sviluppare e migliorare tali servizi in linea con il protocollo sui SIG. |
4.6 |
In tale contesto, chiede alla Commissione di chiarire ciascuna delle modalità di finanziamento delle compensazioni degli obblighi di servizio pubblico concesse, specificando se ad esse si applicano i criteri della sentenza Altmark e se, pertanto, non rientrano tra gli «aiuti di Stato». Al momento attuale persiste una certa mancanza di consapevolezza sulle procedure di notifica e sulle varie esenzioni. Tale situazione determina un mercato ridotto poiché le organizzazioni che fanno affidamento sulle compensazioni per fornire un servizio efficace sono incapaci di competere, il che si ripercuote direttamente sulla vita dei cittadini dell'UE i quali sono privati di servizi accessibili e di qualità. |
4.7 |
A giudizio del CESE, il fatto di avere inserito nel protocollo sui SIG la distinzione tra servizi economici e non economici senza tuttavia risolvere il problema di specificare in che cosa consista la differenza tra le due categorie, dimostra la necessità di chiarire i concetti e i regimi in causa, compreso il ruolo delle organizzazioni senza fini di lucro e la nozione di «utile ragionevole» onde non dover più dipendere da un approccio esclusivo caso per caso, legislativo o contenzioso. In ragione del duplice obiettivo di politica sociale e di politica della concorrenza, occorre definire in modo più chiaro il concetto di «utile ragionevole». Sarebbe più opportuno pertanto se il livello europeo potesse fornire un orientamento sul piano regolamentare e un'interpretazione sulle considerazioni pertinenti. |
4.8 |
Il Comitato dunque non può che approvare l'intenzione della Commissione di chiarire la distinzione tra i SIEG e gli SNEIG. Come già sottolineato dal CESE nel suo parere sul tema Il futuro dei servizi d'interesse generale (CESE 976/2006), la distinzione tra carattere economico e non economico del servizio resta vaga e incerta. |
4.9 |
Viste le difficoltà di dare una definizione esaustiva di SNEIG/SIEG e considerando i rischi di un approccio restrittivo, il CESE resta convinto che l'accento debba essere posto non sul carattere economico o non economico dei servizi in questione bensì sulla loro missione specifica e sulle esigenze ad essi imposte da una pubblica autorità per portarla a compimento (obblighi di servizio pubblico), esigenze che devono essere stabilite con precisione. |
4.10 |
Con il protocollo sui servizi d'interesse generale, il Trattato di Lisbona ha previsto le modalità d'uso delle norme relative agli stessi SIG, siano essi economici o non economici. Lo stesso Trattato ha introdotto, al suo articolo 14, una nuova base giuridica per i servizi d'interesse economico generale e ha dato al Consiglio e al Parlamento europeo la facoltà di stabilire, mediante regolamenti conformemente alla procedura legislativa ordinaria, i principi e le condizioni, in particolare sul piano economico e finanziario, che consentono a tali servizi di assolvere i propri compiti. |
4.11 |
Il CESE ritiene quindi che, in tale quadro, le regole per l'attuazione delle compensazioni degli obblighi di servizio pubblico in relazione agli aiuti di Stato potrebbero rivestire un carattere più democratico agli occhi delle decine di migliaia di autorità pubbliche che dovranno attuarle se rientrassero nel campo di applicazione della procedura legislativa ordinaria prevista all'articolo 14 del TFUE, fatta salva la conformità alle disposizioni del Trattato. |
4.12 |
Il CESE approva l'intenzione della Commissione di invitare gli Stati membri ad attribuire maggiore importanza agli aspetti legati all'efficienza. Tuttavia, considerando le missioni specifiche di ciascun SIEG, definite dalle pubbliche autorità, non bisogna concentrarsi esclusivamente sui criteri economici ma occorre prendere in considerazione anche gli aspetti sociali, territoriali e ambientali. La Commissione non dovrebbe definire i criteri di «efficienza» in modo restrittivo in base a considerazioni di breve termine, ma dovrebbe tener conto anche della qualità, dei risultati e della sostenibilità dei servizi, specie quando si tratta della prestazione di servizi sociali e sanitari. Bisogna inoltre tenere conto anche delle specificità delle imprese dell'economia sociale (società cooperative, mutue, associazioni e fondazioni). |
4.13 |
Difatti, molti dei servizi d'interesse generale, ad esempio i servizi sociali o sanitari, si basano su una relazione asimmetrica tra prestatario e beneficiario, diversa da una relazione commerciale come quella esistente tra fornitore e consumatore. I servizi d'interesse generale costituiscono spesso soluzioni su misura che tengono conto della situazione particolare e delle esigenze degli utenti; tali servizi possono funzionare solo in base al principio di solidarietà e dipendono fortemente da finanziamenti pubblici. Il CESE invita la Commissione a lanciare una consultazione per esaminare quali siano, tra i servizi sociali d'interesse generale, i servizi pubblici per i quali si possa prevedere un'esenzione per categoria, nella misura in cui essi non incidano in misura significativa sulla concorrenza e non offrano opportunità transfrontaliere. |
4.14 |
Il criterio dell'efficienza finirebbe per allineare i criteri di valutazione contenuti nella decisione e nella disciplina al quarto criterio della sentenza Altmark. Tale criterio rischierebbe inoltre di applicarsi a tutte le compensazioni, comprese quelle concesse ai servizi pubblici di carattere locale su scala ridotta e aventi un impatto limitato sugli scambi tra Stati membri e a taluni servizi sociali d'interesse generale, servizi che però la Commissione intende esentare dall'obbligo di notifica e considerare compatibili con il mercato interno. Questo significa che tali servizi restano soggetti ad un controllo a posteriori, il che dà luogo ad una nuova incertezza giuridica. |
4.15 |
La stessa incertezza esiste per quanto concerne la competenza che la Commissione si attribuisce nel valutare l'efficienza, ma che le è stata negata dal Tribunale nella causa M6/TF1 (T-568/08 e T 573/08). |
4.16 |
Per quanto concerne infine l'intenzione della Commissione di chiarire i limiti cui sono soggetti gli Stati membri al momento di definire una determinata attività economica come SIEG, il CESE chiede da anni di precisare le condizioni di applicazione dell'articolo 106, paragrafo 2. Tale articolo è oggetto di interpretazioni divergenti nella misura in cui, da un lato, viene presentato come una deroga o un'eccezione alle regole generali del Trattato (cfr. la comunicazione del 20 novembre 2007) mentre, dall'altro, nel Libro bianco del 2004 si afferma che «l'effettiva prestazione di un compito di interesse generale prevale, in caso di controversia, sull'applicazione delle norme del Trattato». |
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/153 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai pneumatici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi nonché al loro montaggio (versione codificata)
COM(2011) 120 definitivo — 2011/0053 (COD)
2011/C 248/27
Il Consiglio, in data 1 ° aprile 2011, e il Parlamento europeo, in data 24 marzo 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai pneumatici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi nonché al loro montaggio (versione codificata)
COM(2011) 120 definitivo — 2011/0053 (COD).
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 472a sessione plenaria dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 157 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
25.8.2011 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 248/154 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al progetto di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (versione codificata)
COM(2011) 189 definitivo — 2011/0080 (COD)
2011/C 248/28
Il Parlamento europeo, in data 10 maggio 2011, e il Consiglio, in data 3 maggio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 192, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:
Progetto di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (codificazione)
COM(2011) 189 definitivo — 2011/0080 (COD).
Avendo concluso che il contenuto del progetto è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere CES 23/81 fin, adottato il 29 aprile 1981 (1), il Comitato, nel corso della 472a sessione plenaria dei giorni 15 e 16 giugno 2011 (seduta del 15 giugno), ha deciso, con 154 voti favorevoli, 2 voti contrari e 10 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.
Bruxelles, 15 giugno 2011
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Parere del CESE in merito ad una proposta di direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinate opere pubbliche e private, GU C 185 del 27.7.1981, pag. 8.