ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2011.051.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 51

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

54o anno
17 febbraio 2011


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

466a sessione plenaria del 19, 20 e 21 ottobre 2010

2011/C 051/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Partecipazione finanziaria dei lavoratori in Europa (parere d'iniziativa)

1

2011/C 051/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Mutamenti e prospettive dell'industria della lavorazione dei metalli (parere d'iniziativa)

8

2011/C 051/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE (parere d'iniziativa)

15

2011/C 051/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni transatlantiche e la promozione internazionale del modello sociale europeo (parere d'iniziativa)

20

2011/C 051/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il rinnovo del metodo comunitario (orientamenti) (parere d'iniziativa)

29

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

466a sessione plenaria del 19, 20 e 21 ottobre 2010

2011/C 051/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all'articolo 54, secondo comma, del trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa — COM(2010) 388 definitivo — 2008/0173 (COD)

35

2011/C 051/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni — COM(2010) 391 definitivo — 2008/0009 (COD)

36

2011/C 051/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Una strategia europea per i veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico — COM(2010) 186 definitivo

37

2011/C 051/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare — COM(2010) 183 definitivo

43

2011/C 051/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, che abroga la decisione quadro 2002/629/GAI — COM(2010) 95 definitivo — 2010/0065 (COD)

50

2011/C 051/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sull'Anno europeo dell'invecchiamento attivo 2012 — COM(2010) 462 definitivo

55

2011/C 051/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato — COM(2009) 615 definitivo

59

2011/C 051/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica, in relazione alla durata di applicazione dell'aliquota normale minima, la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto — COM(2010) 331 definitivo — 2010/0179 (CNS)

67

2011/C 051/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La politica internazionale sul clima dopo Copenaghen: intervenire subito per dare nuovo impulso all’azione globale sui cambiamenti climatici — COM(2010) 86 definitivo

69

2011/C 051/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sullo stato di attuazione della politica integrata di prodotto — COM(2009) 693 definitivo

75

2011/C 051/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti — COM(2010) 393 definitivo — 2009/0153 (COD)

80

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

466a sessione plenaria del 19, 20 e 21 ottobre 2010

17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Partecipazione finanziaria dei lavoratori in Europa» (parere d'iniziativa)

2011/C 51/01

Relatore: Alexander GRAF VON SCHWERIN

Correlatrice: Madi SHARMA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Partecipazione finanziaria dei lavoratori in Europa.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2010.

Tenuto conto del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di pronunciarsi sul presente parere nel corso della sessione plenaria di ottobre e ha nominato Alexander GRAF VON SCHWERIN relatore generale, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria del giorno 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, 9 voti contrari e 22 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1   La partecipazione finanziaria dei lavoratori (PFL) rappresenta un'opportunità di rendere partecipi, in misura maggiore e in modo migliore, imprese e lavoratori, oltre che la società in generale, al successo del processo di europeizzazione delle attività economiche. È per questo motivo che il Comitato economico e sociale europeo (CESE) intende sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema attraverso il presente parere d'iniziativa. L'obiettivo è incoraggiare l'Europa ad elaborare un quadro di riferimento che promuova la coesione economica e sociale europea facilitando il ricorso a forme di PFL a vari livelli (ad es. partecipazione agli utili, azionariato, risparmio salariale).

1.2   La crescente integrazione europea ha portato le imprese, non da ultimo quelle piccole e medie (PMI), ad espandere le proprie attività oltre confine. Una delle priorità della strategia Europa 2020 consiste nel mettere l'accento sull'attuazione dello Small Business Act, in particolare per quanto riguarda il miglioramento della situazione finanziaria delle PMI. In quest'ottica, la PFL può essere uno dei meccanismi che aiutano a realizzare quest'obiettivo e quindi a rafforzare la competitività delle PMI europee. I regimi di PFL devono rispettare le soluzioni adottate a livello dell'impresa indipendentemente dalle dimensioni di quest'ultima e tutelare i diritti dei lavoratori, per tener conto della diversità delle imprese e dei paesi interessati.

1.3   Il presente parere d'iniziativa si propone quindi di:

riprendere il dibattito sulla PFL e dare nuovo impulso alla discussione a livello europeo,

sensibilizzare in proposito l'opinione pubblica e incoraggiare le parti sociali, sia a livello europeo sia negli Stati membri, a interessarsi attentamente all'argomento,

individuare gli ostacoli alla PFL a livello transfrontaliero e indicare possibili soluzioni,

ove opportuno, invitare le istituzioni europee responsabili ad elaborare soluzioni,

chiarire le questioni ancora aperte che necessitano di un'ulteriore trattazione.

1.4   L'introduzione della PFL deve essere volontaria: non può sostituire la remunerazione prevista, dovendo invece costituire un'integrazione del sistema retributivo, e non può ostacolare la contrattazione salariale vera e propria. Deve essere comprensibile per i lavoratori e in questa misura completa altre forme di partecipazione dei lavoratori. La PFL dovrebbe rimanere separata dai sistemi pensionistici, ma può rappresentare una risorsa previdenziale aggiuntiva a livello individuale.

1.5   I vantaggi attesi dalla PFL sono:

il miglioramento del potere d'acquisto a livello locale e quindi l'aumento delle opportunità imprenditoriali in una data regione,

un contributo, in quanto elemento di una buona gestione aziendale con un alto valore qualitativo, all'aumento dei redditi, grazie alla partecipazione dei lavoratori al risultato aziendale,

un effetto motivante in quanto fattore di costituzione di un patrimonio individuale e contributo alla fidelizzazione dei lavoratori grazie a una maggiore identificazione con l'azienda.

1.6   Per questo il CESE chiede che sia formulata una nuova raccomandazione del Consiglio (come nel caso della 92/443/CEE del 27 luglio 1992) sulla promozione della partecipazione dei lavoratori agli utili e al risultato aziendale, e che siano presentate proposte sul modo di affrontare gli ostacoli ai piani transfrontalieri.

1.6.1   A tale proposito occorre adottare una serie di misure ad hoc su scala europea:

1)

facilitare il ricorso alla PFL in tutta l'UE sulla base di principi comuni;

2)

analizzare e presentare in maniera comprensibile a fini pratici le diverse forme di PFL, ormai sempre più diffuse, in modo da favorirne l'applicazione soprattutto nelle PMI;

3)

aiutare le imprese che operano su scala transfrontaliera a superare gli ostacoli, in particolare quelli fiscali imposti dai diversi Stati membri dell'UE e dello Spazio economico europeo (SEE), in modo che possano conseguire più facilmente l'obiettivo di migliorare la fidelizzazione dei lavoratori all'azienda e la loro identificazione con essa attraverso la PFL;

4)

elaborare forme di PFL che migliorino in particolare l'offerta da parte delle aziende, la partecipazione dei lavoratori, la costituzione di un patrimonio individuale, una crescente partecipazione dei lavoratori al risultato aziendale e il trasferimento dei diritti da un paese all'altro;

5)

il positivo coinvolgimento derivante dall'acquisizione di diritti di proprietà e dall'assunzione delle responsabilità ad essi connesse da parte dei lavoratori aderenti ai piani di partecipazione finanziaria potrebbe contribuire al rafforzamento della governance societaria;

6)

divulgare maggiormente gli esempi di buone pratiche in materia di PFL in modo da favorirne la diffusione - a tale scopo, l'UE dovrebbe prevedere una linea di bilancio dedicata a queste attività;

7)

la PFL, in quanto modello di successione aziendale (employee buy-outs), è uno strumento adatto per rafforzare la continuità, e quindi la competitività delle imprese europee, e contemporaneamente per legarle alla regione in cui si trovano;

8)

l'evoluzione dei salari e del potere d'acquisto dei lavoratori non ha tenuto il passo con gli aumenti di produttività e i guadagni degli azionisti (1). Gli effetti della crisi dei mercati finanziari avranno effetti negativi anche per i lavoratori dipendenti. La PFL potrebbe rappresentare, a seconda delle forme assunte, una compensazione (parziale) per la perdita di potere d'acquisto e un correttivo alle turbolenze ricorrenti, ma non dovrebbe sostituirsi alla progressione salariale;

9)

occorre incrementare le fonti d'informazione sugli effetti della PFL sia per le imprese che per i lavoratori, nonché l'offerta di formazione professionale e consulenza di organizzazioni indipendenti come le ONG;

10)

nei casi in cui la contrattazione collettiva è una pratica abituale, le condizioni della PFL devono essere regolate anche nel quadro dei contratti collettivi.

2.   Il quadro generale

2.1   Consiglio dell'Unione europea e Commissione europea

La raccomandazione del Consiglio (ora: Consiglio dell'Unione europea) concernente la promozione della partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell'impresa (2), già nel 1992 aveva formulato i principi generali, che il CESE condivide:

applicazione su base regolare,

calcolo secondo una formula predefinita,

applicazione complementare rispetto al sistema di retribuzione tradizionale,

variabilità della partecipazione in funzione dei risultati dell'impresa,

estensione della possibilità di beneficiare dei sistemi di partecipazione finanziaria alla totalità del personale,

applicabilità sia alle imprese del settore privato che a quelle del settore pubblico,

applicabilità alle imprese di qualunque dimensione,

semplicità degli schemi di partecipazione,

informazione e formazione dei lavoratori sui regimi offerti,

volontarietà dell'introduzione dei sistemi di partecipazione e dell'adesione agli stessi.

Nella comunicazione della Commissione dal titolo Quadro per la promozione della partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti  (3) del 2002 tali principi vengono confermati.

2.2   Le relazioni Pepper elaborate su incarico della Commissione europea

2.2.1   Risultati: dinamica positiva della PFL

Le relazioni Pepper sono una dimostrazione dell'importanza costante nel tempo che la partecipazione finanziaria dei lavoratori riveste per la politica europea: la relazione Pepper IV (4) ha infatti confermato che da dieci anni a questa parte il fenomeno è in continua espansione nell'UE a 27. Nel periodo 1999-2005 si è registrato un incremento di cinque punti della percentuale di imprese che offrono regimi di partecipazione al capitale dell'impresa aperti a tutti i dipendenti (passati da una media del 13 % a una media del 18 %) e di sei punti percentuali per quanto riguarda i piani di partecipazione agli utili (passati da una media del 29 % a una media del 35 %; fonte: Cranet, media ponderata di tutti i paesi). Anche la percentuale dei lavoratori che aderiscono ai citati regimi è aumentata, seppure in misura più modesta (fonte: Indagine sulle condizioni di lavoro in Europa - EWCS).

2.2.2   Raccomandazioni

Nella relazione Pepper IV si propone di formulare una raccomandazione del Consiglio relativa alla creazione di una piattaforma europea per la PFL. Al riguardo, l'«approccio modulare» transnazionale, in applicazione del principio della volontarietà, comprende tutte le diverse forme di partecipazione finanziaria esistenti:

1)

partecipazione agli utili (ripartizione in denaro, differita o su base azionaria);

2)

partecipazione individuale al capitale dell'azienda (azioni dei lavoratori e diritti d'opzione destinati ai dipendenti);

3)

ESOP, ovvero piani di partecipazione collettiva dei lavoratori al capitale dell'azienda finanziati attraverso una partecipazione agli utili spettante a titolo di prestazione complementare rispetto alla retribuzione.

Il citato approccio lascia altresì spazio a nuove forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori. I diversi moduli sarebbero infatti tra loro combinabili in modo da ottenere soluzioni ad hoc.

2.2.3   Promozione di incentivi fiscali opzionali

Pur non essendo un prerequisito essenziale per la partecipazione finanziaria dei lavoratori, gli incentivi fiscali mostrano effetti indiscutibilmente positivi nei paesi che li applicano. Gli Stati membri hanno competenza esclusiva in materia di tassazione, ma il coordinamento, l'armonizzazione e il riconoscimento reciproco aiutano a facilitare la PFL nelle imprese attive a livello transfrontaliero. Il calcolo di «aliquote fiscali effettive» applicabili a scenari standard consentirebbe un raffronto diretto tra i 27 Stati membri, e quindi anche una maggiore armonizzazione. Nella misura in cui hanno un carattere opzionale, gli incentivi non entrano in conflitto con il diritto nazionale.

2.2.4   Il panorama attuale

Parti sociali e responsabili politici necessitano di un quadro chiaro e dettagliato degli schemi già utilizzati a livello nazionale, della relativa offerta e della percentuale di adesioni. Ad oggi non esistono dati risultanti da studi specifici sulla partecipazione finanziaria dei lavoratori in un'ottica transfrontaliera. Si tratta di una lacuna che andrebbe colmata, ad esempio attraverso rilevazioni periodiche dei dati.

2.3   Lavori preparatori realizzati grazie a progetti finanziati dalla Commissione: un «approccio modulare» per l'elaborazione di un modello europeo

2.3.1   Al fine di collegare tra loro i numerosi sistemi di partecipazione finanziaria dei lavoratori, estremamente eterogenei, esistenti nei vari Stati membri dell'Unione europea, la Commissione europea ha finanziato i lavori preparatori necessari all'elaborazione del cosiddetto «approccio modulare» (Building Block Approach)  (5), che opera una distinzione fra le tre principali forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori presenti in Europa (partecipazione agli utili, partecipazione individuale al capitale dell'impresa e ESOP, cfr. anche allegato).

2.3.2   L'«approccio modulare»corrisponde ai requisiti della Commissione europea (trasparenza, non discriminazione ecc.). La concessione di vantaggi fiscali non è né prevista né esclusa. Tutti gli elementi sono facoltativi sia per le aziende che per i lavoratori e possono essere combinati in base alle particolare esigenze aziendali.

2.3.3   La relazione Pepper IV presenta l'ipotesi che un eventuale modello di PFL applicabile a livello transfrontaliero e promosso in maniera uniforme in tutti gli Stati membri renderebbe i regimi in questione più interessanti per tutti gli aderenti. In particolare le imprese con sedi in diversi paesi potrebbero trarre vantaggio dalla riduzione degli oneri amministrativi derivante dall'applicazione di un modello unico, che migliorerebbe in parallelo anche la portabilità da un paese all'altro. Infine le PMI si avvantaggerebbero dell'uniformità e della comparabilità completa dei vari regimi di PFL.

2.3.4   Occorre procedere nella direzione del mutuo riconoscimento delle diverse forme di partecipazione finanziaria esistenti a livello nazionale (anche sotto il profilo del trattamento fiscale), in attesa che sia elaborato un modello europeo di questo tipo.

3.   Vantaggi di una maggiore diffusione della partecipazione finanziaria dei lavoratori

3.1   Vantaggi per le imprese

I.

Per quanto riguarda la strategia Europa 2020, l'introduzione di forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori può contribuire a migliorare la competitività delle imprese europee, non da ultimo di quelle piccole e medie, in quanto accresce l'identificazione dei lavoratori qualificati con l'azienda e la loro fedeltà alla stessa sia nei periodi di prosperità che in quelli di crisi. In questo modo la PFL si rivela uno strumento positivo anche per un futuro sicuro.

II.

Una parte del risultato finanziario delle imprese viene distribuita ai lavoratori in loco, circostanza che a sua volta contribuisce ad incrementare il potere di acquisto a livello regionale.

III.

La PFL può in certa misura contribuire a risolvere la questione dell'evoluzione demografica permettendo ai tanto richiesti lavoratori altamente qualificati di trovare un ambiente interessante in cui costruirsi una vita professionale e privata. In questo modo è anche più facile per le aziende attirare personale qualificato.

IV.

La PFL contribuisce ad accrescere la motivazione dei lavoratori, a tutto vantaggio della produttività aziendale e della qualità della gestione d'impresa.

V.

La PFL, a seconda della sua configurazione come capitale di terzi o capitale proprio può accrescere la redditività del capitale proprio o la quota di capitale proprio dell'impresa. In questo modo aumentano le possibilità di accesso al capitale di terzi e migliora il rating dell'azienda.

VI.

La PFL per la successione aziendale, sotto forma di vendita totale o parziale dell'azienda al suo personale, può essere uno strumento adatto per assicurare un futuro all'attività, soprattutto nel caso delle PMI e delle imprese a conduzione familiare (6).

3.2   Vantaggi per i lavoratori

I.

La PFL garantisce ai lavoratori un beneficio aggiuntivo volontario rispetto alla retribuzione stabilita dal contratto collettivo e/o di lavoro.

II.

Essa dà l'opportunità al lavoratore di costituire in modo più semplice e a lungo termine un patrimonio personale che può contribuire all'acquisizione di una risorsa integrativa per la vita post lavorativa.

III.

I dipendenti che hanno la possibilità di acquisire una partecipazione nell'impresa per cui lavorano sentono che grazie al loro contributo al risultato di quest'ultima godono di maggiore considerazione e si sentono quindi più valorizzati.

IV.

Attraverso la PFL il lavoratore gode di maggiore autonomia e può intervenire nella strategia dell'azienda per il futuro contribuendo così a garantire il proprio posto di lavoro nel lungo termine.

V.

In quanto componente aggiuntiva del reddito accanto a quella fissa, la PFL migliora la situazione finanziaria e aiuta a superare eventuali periodi di crisi o di instabilità occupazionale.

VI.

Nel contesto di un mercato del lavoro a dimensione sempre più europea sarebbe tuttavia opportuno garantire nel caso ci si sposti in un altro paese per motivi di lavoro il riconoscimento e il trasferimento delle forme di PFL da un paese ad un altro.

VII.

In caso di ristrutturazione o di crisi, accertata e affrontata dalle parti sociali, i lavoratori che mantengono il proprio impiego e la propria remunerazione possono temporaneamente sostenere la propria azienda, in vista della conservazione del posto di lavoro.

3.3   Successione aziendale/conservazione dell'impresa e partecipazione azionaria

3.3.1   La Commissione (7) afferma che, in conseguenza dell'invecchiamento demografico in Europa, un terzo dei capi di impresa dell'Unione europea, per la maggior parte alla guida di imprese familiari, si ritirerà nei prossimi dieci anni. Si prospetta quindi un cospicuo aumento dei trasferimenti di proprietà delle imprese, un fenomeno che potrebbe riguardare fino a 690 000 imprese non quotate in borsa e 2,8 milioni di posti di lavoro ogni anno. Un fattore essenziale da considerare nelle politiche in materia di mercato del lavoro è il fatto che le piccole e medie imprese sono il principale datore di lavoro. Occorre quindi chiedersi se le aziende interessate dal cambio generazionale e i relativi posti di lavoro possano essere mantenuti. A fronte di questa crescente esigenza di garantire la successione aziendale, un sistema di PFL specifico potrebbe funzionare come modello.

3.3.2   Per la successione aziendale possono essere utili soprattutto i modelli ESOP (cfr. allegato). Un aspetto fondamentale del modello ESOP è il suo essere concepito specificamente per le imprese non quotate in borsa: esso incoraggia gli imprenditori a cedere l'attività ai dipendenti anziché venderla a terzi e prevede il raggiungimento graduale anche del 100 % della proprietà da parte delle maestranze. In questo modo si consente agli imprenditori intenzionati a vendere di disfarsi delle proprie quote senza obbligare alla vendita anche i soci rimasti. Dal canto loro, i dipendenti non devono apportare capitale proprio, dal momento che la loro acquisizione dell'impresa è finanziata da una partecipazione agli utili che si aggiunge al reddito da lavoro. In sostanza, dunque, questo concetto non comporta rischi aggiuntivi neanche per i lavoratori. Per rilevare in tempi brevi una quota significativa di capitale, si può ricorrere a un credito della durata media di 7 anni, che viene rimborsato grazie agli utili dell'impresa.

3.3.3   Per quanto riguarda la successione aziendale, in vista dell'elaborazione di un quadro europeo è opportuno fare espressamente riferimento anche al già collaudato sistema delle cooperative. Ci sono esempi di buone pratiche (cfr. allegato) di rilevamenti collettivi da parte dei lavoratori sotto forma di cooperative che hanno evitato la chiusura di un'impresa nei casi in cui non si trovavano imprenditori che volessero continuare l'attività. Il CESE ritiene che una questione così specifica come quella del legame tra la partecipazione finanziaria e la successione aziendale dovrebbe essere trattata in un testo separato.

3.4   Crisi dell'azienda e partecipazione al capitale

3.4.1   Le imprese possono attraversare periodi di crisi finanziaria, e quando ciò accade occorre dare priorità alla conservazione dell'impresa. Se una ristrutturazione o una situazione di crisi viene affrontata insieme dalle parti sociali dovrebbe essere possibile acquisire una partecipazione finanziaria nell'impresa, ma bisogna anche considerare i possibili svantaggi di questa partecipazione. Occorre in questo contesto una soluzione sostenibile che consenta ai lavoratori dipendenti che mantengono il proprio impiego e la propria remunerazione (tenuto conto anche della flessicurezza e dei periodi di disoccupazione e/o riqualificazione) di prendere parte, nel lungo termine, alla ripresa aziendale ed economica. In questo modo i lavoratori avrebbero un fondato interesse nella sostenibilità economica dell'impresa e nel suo successo a lungo termine, a tutto vantaggio dell'impresa stessa.

3.4.2   La partecipazione finanziaria nella società datrice di lavoro viene spesso vista come una duplicazione del rischio. Infatti, coloro che si oppongono alla partecipazione finanziaria dei lavoratori da sempre sostengono che in caso di insolvenza sarebbe a rischio non solo il posto di lavoro ma anche il capitale investito dai dipendenti. In tale contesto occorre operare una netta distinzione tra le partecipazioni azionarie che non intaccano la retribuzione ( on top ) e quelle in cui i risparmi dei lavoratori vengono investiti nell'azienda che dà loro lavoro. In quest'ultimo caso i crediti dei lavoratori dovrebbero essere privilegiati rispetto a quelli di altri creditori in caso di liquidazione e/o fallimento. Si dovrebbero inoltre sviluppare maggiormente soluzioni come la messa in comune dei rischi o la riassicurazione per i casi transfrontalieri.

3.5   Governance societaria e partecipazione azionaria

3.5.1   Senza considerare altre forme di cogestione e intervento nelle decisioni aziendali, la partecipazione al capitale, a seconda di com'è strutturata, può portare ad un coinvolgimento nei processi decisionali, ad esempio attraverso l'esercizio del diritto di voto riservato agli azionisti. Nel caso la partecipazione avvenga sotto forma di azioni, i diritti degli azionisti possono essere esercitati o in modo individuale o collettivo, ad es. mediante una società di partecipazione.

3.5.2   Le aziende che ricorrono in maniera massiccia all'azionariato dei dipendenti possono contare su un gruppo di azionisti esigenti, ma pazienti e fedeli, cioè i propri lavoratori. Ciò le aiuta a resistere meglio all'orientamento a breve termine oggi dominante sui mercati finanziari. Questa forma di PFL ha due effetti indotti e ben accetti che sono la sostenibilità delle decisioni aziendali e l'assunzione di una responsabilità sociale a lungo termine da parte delle imprese, in contrasto con l'eccessiva propensione al rischio dei dirigenti.

3.5.3   La partecipazione dei lavoratori in qualità di azionisti promuove un interesse duraturo nei confronti dell'azienda. Un simile interesse porta verosimilmente con sé una buona governance societaria, elemento che a sua volta favorisce la continuità aziendale a lungo termine.

3.5.4   Chi è legato all'impresa attraverso il suo posto di lavoro ovviamente auspica la più totale trasparenza sulle informazioni finanziarie dell'impresa nonché la partecipazione alle decisioni aziendali. Da questo punto di vista la partecipazione fondata su diritti di comproprietà è sinonimo di partecipazione basata sui diritti di informazione, consultazione e cogestione.

3.6   Partecipazione al capitale e ai processi decisionali

3.6.1   A dispetto dei timori espressi da molti, soprattutto nell'ambito delle imprese che finora non prevedono forme di partecipazione finanziaria, il coinvolgimento dei lavoratori non limita l'autonomia dell'imprenditore, ma piuttosto gli garantisce un appoggio nell'ambito dei processi decisionali.

3.6.2   Per gli azionisti di una società è positivo sapere che essi hanno accanto, insieme con gli altri detentori di quote dell'impresa, anche i dipendenti della stessa, che perseguono i medesimi obiettivi. Il positivo coinvolgimento derivante dall'acquisizione di diritti di proprietà, con tutte le responsabilità ad essi connesse per i lavoratori aderenti ai piani di partecipazione finanziaria, può contribuire al rafforzamento della governance societaria (8), e la possibilità di scambiare proposte relative alla strategia aziendale è in grado di arricchire il ventaglio delle scelte imprenditoriali, nei limiti sopra ricordati. I lavoratori che detengono azioni devono avere gli stessi diritti degli altri azionisti.

3.6.3   È infine opportuno precisare che i diritti di proprietà conferiti attraverso la PFL non possono in alcun modo modificare né i diritti di codecisione preesistenti negli Stati membri interessati né il rapporto di lavoro contrattuale, che restano quindi impregiudicati.

4.   Un approccio europeo: moduli per i problemi pratici e le soluzioni concrete

Lo sviluppo e la promozione di regimi europei di PFL facilmente comprensibili e applicabili rivestono una grande rilevanza politica per la realizzazione dello spazio economico e sociale europeo. In linea di principio l'adesione a tali regimi deve rimanere facoltativa sia per le aziende che per i lavoratori. Il loro finanziamento è aggiuntivo rispetto alla retribuzione stabilita dal contratto collettivo e/o di lavoro o la partecipazione agli utili.

4.1   Una combinazione di partecipazione al capitale e partecipazione agli utili: la tendenza del futuro in tema di partecipazione finanziaria dei lavoratori

4.1.1   Nel caso di una partecipazione agli utili su base azionaria e in cui è previsto un periodo prestabilito di detenzione delle azioni, in considerazione dell'imposizione differita bisogna distinguere tre fasi:

la fase iniziale della partecipazione dei lavoratori agli utili dell'azienda,

una fase intermedia in cui le risorse accumulate vengono investite in una partecipazione all'azienda,

la fase finale, in cui le quote di partecipazione acquisite vengono messe a libera disposizione dei lavoratori.

4.1.2   Esistono già forme di partecipazione al capitale nell'ambito delle quali l'acquisizione delle quote attraverso un fondo fiduciario è finanziata mediante una partecipazione agli utili spettante a titolo di prestazione complementare rispetto alla retribuzione. Solitamente, in questi casi ci si avvale di una società di partecipazione indipendente (9) che amministra le quote dei lavoratori in qualità di fondo fiduciario. L'amministrazione della società di partecipazione dovrebbe avvenire su base democratica mediante il voto, espressione della volontà di tutti i lavoratori azionisti, senza interferenze della direzione. Esempi di buone pratiche in questo senso sono Auchan (10) (Francia), HOMAG AG (11) (Germania), Pfalz Flugzeugwerke PFW Aerospace AG (12) (Germania), Voestalpin AG (13) (Austria), Fondazione Oktogonen (14) (Svezia), Herend-ESOP (15) (Ungheria), Tullis Russel ESOP (16) (Regno Unito); Eircom-ESOP (17) e Aerlingus-ESOP (18) (Irlanda).

4.1.3   Ai fini di una maggiore diffusione delle società di partecipazione in esame si dovrebbe lavorare sugli esempi di buone pratiche individuabili (cfr. allegato).

4.2   Incentivi fiscali e mutuo riconoscimento dei regimi di partecipazione finanziaria dei lavoratori

4.2.1   È ormai assodato che (19), pur non essendo un prerequisito essenziale per la partecipazione finanziaria dei lavoratori, gli incentivi fiscali rappresentano uno strumento efficace per favorirne la diffusione nei paesi che li applicano. Essi rappresentano il sistema più utilizzato per promuovere la PFL; tuttavia l'introduzione di un modello europeo che ne rendesse obbligatoria l'applicazione andrebbe oltre le competenze dell'UE e risulterebbe in contrasto con le competenze legislative degli Stati membri. Tuttavia, poiché nella realtà si moltiplicano attività imprenditoriali e carriere transfrontaliere, la PFL non riesce, attraverso le sue forme tuttora limitate all'ambito nazionale, a raggiungere la diffusione auspicata. Pertanto la PFL nelle sedi estere può essere realizzata nella maggior parte dei casi solamente avvalendosi di costose consulenze che rendono l'operazione così onerosa che il più delle volte vi si rinuncia. Un sistema di incentivi opzionale, semplice ed omogeneo, con la stessa configurazione fiscale e incentivi della stessa entità in tutta l'UE, potrebbe far impennare le cifre dei casi di disponibilità a introdurre la PFL facilitando la creazione di strutture valide per interi gruppi aziendali (20).

4.2.2   Il minimo comune denominatore su cui basare l'eventuale regime proposto potrebbe essere costituito dal differimento delle imposte.

4.2.3   In attesa di arrivare ad un regime europeo caratterizzato da incentivi fiscali uniformi l'obiettivo dovrebbe essere il mutuo riconoscimento dei regimi esistenti nei singoli Stati membri. In questo modo la PFL risulterebbe più interessante e facile da gestire anche in assenza di una soluzione unitaria a livello europeo.

4.2.4   Oltre agli incentivi fiscali, le imprese possono anche fornire incentivi sotto forma di riduzioni del prezzo delle azioni offerte ai lavoratori.

4.3   La PFL nelle cooperative

4.3.1   Le cooperative di produzione forniscono un buon esempio di PFL, soprattutto se i lavoratori sono in maggior parte sia comproprietari sia dipendenti. In linea coi valori e i principi internazionalmente riconosciuti in materia di cooperative, tutti i lavoratori soci hanno un diritto illimitato alla partecipazione al processo decisionale (21). L'esperienza dimostra che, se i lavoratori posseggono, controllano e gestiscono la propria impresa, questi diritti garantiti portano a risultati economici migliori e a una maggiore capacità di sopravvivere alle crisi, con un effetto a lungo termine di conservazione dei posti di lavoro locali. Una rappresentanza degli interessi garantita dalla legge stimolerà la creazione di un quadro atto a rafforzare la partecipazione finanziaria.

4.4   Partecipazione finanziaria dei dipendenti pubblici

4.4.1   La PFL è un fenomeno che riguarda principalmente le imprese costituite nella forma giuridica della società per azioni o della società a responsabilità limitata, vale a dire quelle in cui l'attuazione è relativamente semplice. Alcuni tipi di impresa, e quindi i relativi dipendenti (soprattutto nell'ambito delle attività non commerciali), sono per loro stessa natura esclusi dalla possibilità di usufruire dei regimi in questione (settore pubblico, organizzazioni senza fini di lucro) oppure possono realizzare un tale regime solo con estrema difficoltà (associazioni, fondazioni, ecc.). Il numero di imprese attive in tali settori è tuttavia molto elevato, come lo è quello dei relativi dipendenti, che attualmente sono esclusi dalla possibilità di aderire a sistemi di partecipazione finanziaria.

4.4.2   Fatto salvo il principio di sussidiarietà, l'obiettivo dovrebbe quindi essere quello di elaborare una soluzione che consenta a tutte le categorie professionali e a tutti i tipi di imprese di attuare forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori, tenuto conto della situazione particolare del settore pubblico.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. D. Vaughan-Whitehead, The Minimum Wage Revisited in the Enlarged EU, 2010, Edward Elgar-ILO.

(2)  92/443/CEE.

(3)  COM(2002) 364 definitivo.

(4)  Relazione Pepper IV - Assessing and Benchmarking Financial Participation of Employees in the EU-27, Berlin, 2009; http://www.eurofound.europa.eu/areas/participationatwork/pepperreports.htm; riassunto consultabile in tedesco, francese e inglese alla pagina http://www.intercentar.de/en/research/focus-financial-participation-of-employees/.

(5)  Cfr. J. Lowitzsch et al., La partecipazione finanziaria per una nuova Europa sociale, Berlino/Parigi/Bruxelles 2008; Roma 2009, Cracovia 2010; consultabile in tedesco, francese e inglese alla pagina http://www.intercentar.de/en/research/focus-financial-participation-of-employees.

(6)  Quest'aspetto è già stato sottolineato dalla Commissione nella raccomandazione 94/1069/CE sulla successione nelle piccole e medie imprese e rafforzato dalla comunicazione della Commissione relativa alla trasmissione delle piccole e medie imprese (GU C 93 del 28.3.1998, pag. 2).

(7)  Nella comunicazione dal titolo Attuazione del programma comunitario di Lisbona per la crescita e l'occupazione (COM(2006) 117 definitivo).

(8)  Ad esempio, in Austria la PFL si può esercitare sotto forma di società di partecipazione comune.

(9)  Srl, fondazione o associazione nell'Europa continentale oppure trust nei paesi di tradizione angloamericana.

(10)  Obiettivo: promuovere la lealtà e la motivazione del personale, cfr. http://www.groupe-auchan.com/emploi.html.

(11)  Obiettivo: finanziare la crescita, cfr. http://www.homag.com/de-de/career/Seiten/mitarbeiterkapitalbeteiligung.aspx.

(12)  Obiettivo: scioglimento del gruppo EADS, cfr. http://www.netz-bund.de/pages/mitarbges.pdf, pag. 32 e ss.

(13)  Obiettivo: privatizzazione e partecipazione strategica, cfr. http://www.voestalpine.com/annualreport0809/en/management_report/employees.html.

(14)  Obiettivo: promuovere la lealtà e la motivazione del personale, cfr. Handelsbanken, Annual Report 2009, http://www.handelsbanken.se/shb/inet/icentsv.nsf/vlookuppics/investor_relations_en_hb_09_eng_ar_rev/$file/hb09eng_medfoto.pdf, pagg. 53, 56.

(15)  Obiettivo: privatizzazione e promozione della lealtà e motivazione del personale, cfr. http://www.herend.com/en/manufactory/story/, senza indicazioni sull'ESOP, vedere anno 1992.

(16)  Obiettivo: successione aziendale, cfr. http://www.tullis-russell.co.uk/group/about/.

(17)  Obiettivo: privatizzazione e partecipazione strategica, cfr. http://www.esop.eircom.ie/.

(18)  Obiettivo: privatizzazione e partecipazione strategica, cfr. http://www.aerlingus.com/aboutus/investorrelations/shareregister/.

(19)  Cfr. relazione Pepper IV, parte I, capitolo IV, pagg. 56-58.

(20)  Cfr. Thyssen Krupp http://www.thyssenkrupp.com/de/investor/belegschaftsaktie.html

(21)  Cfr. ad es. la raccomandazione n. 193 dell'OIL relativa alla promozione delle cooperative.


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Mutamenti e prospettive dell'industria della lavorazione dei metalli» (parere d'iniziativa)

2011/C 51/02

Relatore: José Isaías RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO

Correlatore: Enrico GIBELLIERI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Mutamenti e prospettive dell'industria della lavorazione dei metalli.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 settembre 2010.

In vista del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di pronunciarsi sul parere nel corso della sessione plenaria di ottobre e ha nominato RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO relatore generale, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria del 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 72 voti favorevoli e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Importanza strategica

Il settore della lavorazione dei metalli è d'importanza vitale per la transizione verso un'economia efficiente sul piano delle risorse e a basso consumo di carbonio, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020. L'obiettivo di aumentare l'efficienza nell'utilizzo delle risorse rappresenta una sfida per il settore e, al tempo stesso, un'opportunità economica: un'economia efficiente nell'uso delle risorse non può esistere senza un'industria della lavorazione dei metalli. Il settore è solido, crea numerosi posti di lavoro e rappresenta un'industria fondamentale nella creazione di valore aggiunto; esso rafforza la catena di valore europea e costituisce un anello nella catena di valore verso un'economia efficiente sul piano delle risorse.

1.2   Il settore della lavorazione dei metalli è d'importanza vitale anche in quanto settore innovativo e di approvvigionamento, specialmente in rapporto all'iniziativa faro Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse, per contribuire a slegare la crescita economica dall'uso delle risorse, a sostenere la transizione verso un'economia a basso consumo di carbonio, ad aumentare l'utilizzo di fonti di energia rinnovabile, a modernizzare il settore dei trasporti e a promuovere l'efficienza energetica.

1.3   Visibilità

L'industria della lavorazione dei metalli risente di un problema di mancanza di visibilità.

1.4   È importante ricordare che il settore della lavorazione dei metalli non deve essere confuso con il settore della produzione dei metalli. In una delle pubblicazioni statistiche della collana European Business: facts and figures di Eurostat, la produzione di ferro, acciaio e leghe ferrose (codice NACE: 27), è esaminata congiuntamente alle attività di manifattura di prodotti metallici, ossia la lavorazione dei metalli (codice NACE: 28). Ciò rende molto difficile esaminare in modo corretto l'occupazione e le tendenze industriali del settore della lavorazione dei metalli. La scarsa visibilità del settore diventa manifesta nelle valutazioni d'impatto che difficilmente tengono conto delle importantissime implicazioni microeconomiche che su di esso avranno i prossimi regolamenti. È fondamentale sostenere lo sviluppo del potenziale del settore, in particolare per quanto riguarda l'aumento delle esportazioni, e trarre insegnamenti pratici dalla sua cultura di imprenditorialità e di innovazione.

1.4.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede pertanto che la Commissione europea, nell'organizzare e nel ripartire le proprie risorse umane, tenga nella giusta considerazione questo comparto industriale, dandogli una rappresentanza maggiore e intensificando la comunicazione con esso a livello della DG Imprese e industria e della DG Commercio, proporzionatamente al suo peso specifico e al suo carattere di industria che, con 4300000 posti di lavoro, contribuisce a creare occupazione nell'UE. Il Comitato raccomanda alla Commissione di dare all'industria della lavorazione dei metalli una rappresentanza formale più ampia nei propri servizi e nelle proprie attività (ad esempio, nel dialogo UE-Cina).

1.5   Il quadro corretto per agire in questo modo sarebbe dato dall'applicazione del principio «pensare anzitutto in piccolo».

Il considerevole lavoro amministrativo necessario per fornire alle autorità i dati previsti dalle normative locali e dell'UE non facilita l'attività delle piccole e medie imprese. Inoltre, dato il clima generale degli investimenti in numerosi paesi, per le aziende diviene sempre più facile, conveniente e remunerativo acquistare fuori dell'UE una parte dei loro prodotti piuttosto che aumentare la produzione, sviluppare tecnologia e investire in innovazione. Questa pratica comprometterà la competitività di lungo termine e allontanerà i giovani tecnici.

Il CESE auspica che si tenga conto realmente ed effettivamente del principio «pensare anzitutto in piccolo» al momento di applicare la strategia Europa 2020, definita nei termini stabiliti dal Consiglio europeo di giugno 2010, alla politica industriale e alla prossima comunicazione della Commissione sull'agenda della politica industriale per l'Europa, che si basa sull'iniziativa faro Una politica industriale per l'era della globalizzazione.

1.5.1   Il CESE invita inoltre le autorità degli Stati membri a provvedere al compito essenziale di appoggiare gli imprenditori a tutti i livelli, semplificando i meccanismi per la creazione di imprese e incoraggiando lo spirito imprenditoriale.

Le politiche sociali e occupazionali costituiscono un altro aspetto vitale delle condizioni generali in cui operano le imprese. Il CESE invita gli Stati membri a compiere sforzi congiunti per contribuire, in particolare nel campo della politica sociale, a migliorare l'ambiente in cui si alimenta lo sviluppo di imprese concorrenziali e redditizie; tali sforzi devono essere tesi a permettere la creazione di posti di lavoro sostenibili nell'industria europea della lavorazione dei metalli. È importante garantire che l'industria possa prevedere possibili cambiamenti sia di modello imprenditoriale o di strategia nelle imprese clienti, sia di produzione dei materiali, attraverso il dialogo sociale e un'informazione e consultazione puntuali ed efficaci. In tale contesto si potrebbe prevedere di sostenere gli scambi tra Stati membri e tra gli interlocutori sociali dell'UE destinati a favorire il reciproco apprendimento, ad individuare strumenti efficaci e a promuovere il ruolo svolto dalla flessicurezza.

1.6   Personale qualificato, adeguata previsione dei bisogni di formazione e avvicinamento del settore ai giovani

Tenendo conto delle dimensioni medie delle imprese del settore, è ancor più importante avere una disponibilità adeguata di personale qualificato. Pertanto in tale contesto occorre riconoscere la massima importanza alle misure rivolte a rimediare alla scarsità di personale qualificato e a provvedere alla sua istruzione e formazione formale e professionale, che si tratti di apprendisti di alto livello, di lavoratori specializzati, di tecnici, di ingegneri o di ricercatori.

1.6.1   Il CESE sottolinea l'importanza fondamentale di stimolare a tutti i livelli delle iniziative tese a migliorare l'immagine del settore e ad attrarre i giovani verso questo comparto industriale. È essenziale che questo settore ad intensità relativamente alta di manodopera possa mantenere e, se possibile, migliorare in termini sia numerici che qualitativi la propria forza lavoro. Il CESE invita la Commissione a valutare la possibilità di predisporre uno studio su scala europea riguardante l'istruzione e le qualificazioni tecniche richieste nell'industria della lavorazione dei metalli allo scopo di prevedere i bisogni di formazione. Detto studio potrebbe costituire un importante documento di riferimento per intensificare la cooperazione tra il settore, i politecnici e gli istituti di formazione professionale. Il CESE raccomanda che tale studio sia condotto e animato dal recentemente costituito dialogo sociale europeo per il settore dei metalli e che, in tale contesto, vengano esplorate tutte le possibilità di scambi di informazioni che si ritengono opportune per migliorare la situazione delle PMI e dei loro addetti.

1.7   Innovazione

Per il successo della ricerca e dello sviluppo, la cooperazione tra i produttori di metalli e l'industria della lavorazione dei metalli è di particolare importanza. Nel complesso, un numero maggiore di fondi di ricerca europei dovrebbe essere dedicato ai comparti della produzione e della lavorazione dei metalli e, in particolare, alle tecnologie e nanotecnologie dei materiali, per migliorare le proprietà meccaniche dei materiali metallici nella ricerca aziendale e, quindi, rafforzare e promuovere la capacità concorrenziale e innovativa del settore. Il CESE raccomanda che, al momento di determinare la struttura dell'8PQ, le autorità europee - e in particolare la Commissione europea - non lesino gli sforzi nel facilitare un accesso generale ai progetti. In particolare, andrebbe sostenuta la cooperazione con le PMI, in quanto esse dispongono di risorse umane limitate con le quali individuare, presentare e portare avanti possibili progetti d'innovazione.

1.7.1   Poiché le innovazioni industriali non si basano in larga misura soltanto su nuove conoscenze scientifiche, ma anche su una gamma di forme d'innovazione (ad esempio, nuovi concetti per la logistica o la commercializzazione, innovazione sul piano organizzativo o nel modello commerciale, progettazione di prodotto), il CESE chiede che le politiche dell'UE per l'innovazione tengano conto in modo più adeguato di questo aspetto.

1.7.2   Poiché la progettazione e lo sviluppo dei prodotti vengono trasferiti verso le fasi iniziali o finali della produzione, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e la questione della falsificazione costituiscono una sfida sempre più ardua. Anche in questo caso, ben poche aziende del settore possono destinare alla protezione della proprietà intellettuale le stesse risorse che vi dedicano imprese più grandi.

1.8   Mancanza di immagine

Il settore della lavorazione dei metalli soffre di una «mancanza di immagine». Uno dei compiti che incombono a tale settore consiste proprio nell'offrire un'immagine adeguata di sé e delle proprie opportunità. In tale contesto risulterebbe utile il sostegno fornito dalle autorità. Il CESE raccomanda pertanto alle autorità nazionali ed europee di analizzare la situazione del settore sotto il profilo della sua condizione di barometro industriale e di indicatore affidabile dello «stato di salute» della catena di produzione industriale, e del contributo delle PMI a tale settore.

Inoltre, la generale mancata accettazione dell'industria e dei relativi progetti industriali è fonte di problemi e deriva dal quadro negativo che si è tracciato di questo settore nei decenni. Bisogna raggiungere una nuova cooperazione tra politica, industria e pubblica amministrazione per creare un'immagine migliore delle imprese che rispettano tutti i requisiti di legge.

1.9   Politica commerciale

Sia la DG Commercio che la DG Imprese e industria dovrebbero avere una conoscenza adeguata del settore della lavorazione dei metalli e applicare un approccio equilibrato quando adottano misure che si ripercuotono sulle imprese di questo settore. Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione europea di adottare le misure opportune e, quando prende decisioni riguardanti uno specifico settore, di tenere conto dell'interesse dell'UE e del corrispondente impatto su tutta la catena del valore e sul tessuto industriale nel suo complesso. La Commissione europea dovrebbe difendere, nelle sue relazioni con i paesi terzi, il principio della reciprocità specialmente nella politica commerciale.

1.10   Poli

Riveste particolare interesse sviluppare una concezione del settore della lavorazione dei metalli basata su una varietà di poli (cluster) industriali, che sono presenti in tutta l'Unione europea. Sono stati individuati in particolare i seguenti: i Paesi Baschi (Spagna), la provincia di Brescia (Italia), le Fiandre (Belgio), la Lituania, la regione della Loira (Francia), la Slesia (Polonia), la Vestfalia meridionale (Germania), il Land di Vorarlberg (Austria) e la provincia di Valencia (Spagna). Tuttavia sarebbe opportuno eseguire ulteriori ricerche per valutare le implicazioni, le principali tendenze, i mutamenti del settore industriale e le possibilità di valutazione comparativa («benchmarking») nelle diverse zone.

1.11   Finanziamento

Il CESE accoglierebbe con favore una maggiore attenzione alla necessità di offrire meccanismi di liquidità all'industria della lavorazione dei metalli, in particolare per le PMI di questo settore; ciò potrebbe dare origine a pratiche migliori in tutta l'Europa.

2.   Introduzione

2.1   Il Trattato di Lisbona offre all'UE un nuovo quadro operativo; una nuova Commissione europea è entrata in funzione e si è insediata una nuova legislatura al Parlamento europeo nel 2009. Al contempo l'UE in generale, e la sua base industriale in particolare, sono confrontate con le dinamiche mondiali e con sfide che non hanno precedenti dalla creazione dell'UE.

2.2   Tali sfide dovrebbero essere affrontate con determinazione, se si vuole porre un freno alla disoccupazione, all'ulteriore distruzione del tessuto imprenditoriale e industriale e alla crescente sfiducia dei cittadini.

2.3   Con il presente parere d'iniziativa sul settore europeo della lavorazione dei metalli, il CESE intende fornire alcune possibili risposte alle domande che nel lungo periodo determineranno il mantenimento della forza d'innovazione, della capacità di resistenza economica e della posizione concorrenziale globale di tale settore. A questo fine, la CCMI valuta le sfide e le opportunità per il settore che sono originate dalla transizione verso un'economia sostenibile e verso una gestione più efficiente delle risorse, nei termini stabiliti nella strategia Europa 2020 dell'Unione europea.

2.4   Fra tali domande figurano le seguenti: come affrontare queste sfide? Le istituzioni dell'UE sapranno fornire una risposta? In quali campi possono fornire un valore aggiunto? La strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva rappresenta la formula giusta per il successo?

3.   Il settore della lavorazione dei metalli ha radici dappertutto

3.1   Le imprese della lavorazione dei metalli sono insediate ovunque nell'Unione europea, in quasi tutte le città e regioni europee. Esse sono flessibili, innovative, spesso (relativamente) piccole, pragmatiche, orientate al servizio, capaci di creare (e di mantenere) posti di lavoro, e sono profondamente inserite nella catena di approvvigionamento industriale che conosciamo. Queste imprese sono talmente sotto gli occhi di tutti che spesso diamo per scontata la loro esistenza. Anche se sono stati fatti dei primi passi, di cui il Comitato si compiace - in particolare la recente pubblicazione di un primo studio su scala europea da parte della Commissione -, alcune imprese del settore della lavorazione dei metalli vantano, probabilmente a causa delle loro dimensioni, una certa diversità, versatilità e resistenza, ma - in contrasto con la rappresentanza degli interessi dell'intero settore - sono rimaste in grande misura nascoste alla vista dell'occhio politico e non sono al centro della sua attenzione.

3.2   Tale invisibilità emerge, per esempio, da una delle pubblicazioni statistiche della collana European Business: facts and figures di Eurostat, nella quale la produzione di ferro, acciaio e leghe ferrose (codice NACE: 27) è esaminata congiuntamente alle attività di manifattura di prodotti metallici, ossia la lavorazione dei metalli (codice NACE: 28). Ciò rende molto difficile esaminare in modo distinto e corretto l'occupazione e le tendenze industriali nel settore della lavorazione dei metalli.

3.3   Tuttavia tale invisibilità non è più giustificata: il settore della lavorazione dei metalli costituisce il fondamentale anello «nascosto» che sta al centro della catena di approvvigionamento industriale dell'UE e, malgrado le dimensioni relativamente piccole delle singole imprese, vanta, nel contesto dell'economia europea, cifre davvero impressionanti.

3.4   I dati che seguono possono illustrare sinteticamente le dimensioni e l'importanza strategica del settore della lavorazione dei metalli per l'economia e la forza lavoro europee.

3.4.1

L'industria della lavorazione dei metalli conta un gran numero di piccole e medie imprese (400 000) in tutta Europa, la maggior parte delle quali (circa il 95 %) ha meno di 50 occupati.

3.4.2

Offre posti di lavoro in tutta Europa: vi lavorano 4200000 persone, ossia circa il 12 % del totale del settore manifatturiero!

3.4.3

Crea lavoro: è significativo che, contrariamente alla maggior parte degli altri settori, nell'industria europea della lavorazione dei metalli i tassi di occupazione nel corso dell'ultimo decennio siano stati in costante ascesa fino alla recente recessione economica. Per esempio, tra il 2000 e il 2006 l'occupazione nel settore è cresciuta di circa l'8 %.

3.4.4

È un settore economico di grandi dimensioni: il valore della produzione (nel 2008) viene stimato in 530 miliardi di euro.

3.4.5

Svolge un ruolo centrale nel tessuto industriale dell'UE, producendo componenti che vengono forniti ad altri settori produttivi.

4.   Importanza strategica del settore della lavorazione dei metalli

4.1   Un anello fondamentale della catena di approvvigionamento

Il settore europeo della lavorazione dei metalli costituisce un anello fondamentale della catena di approvvigionamento industriale, in quanto produce componenti e prodotti finiti per tutti gli altri settori manifatturieri:

i componenti vengono forniti per lo più all'industria automobilistica, aerospaziale, dei trasporti e dei macchinari, in particolare a quella meccanica; di per sé, ciò rende il settore un elemento fondamentale nella transizione verso un'economia con una gestione più efficiente delle risorse,

i profilati e le lamiere di acciaio sono essenziali per il settore delle costruzioni (edifici con struttura in metallo, barre di rinforzo, infrastrutture a traliccio in acciaio, rivestimenti per edifici, materiali, ecc.),

contenitori per le industrie della trasformazione, ad esempio alimentare, farmaceutica, chimica, petrolchimica ecc.,

prodotti per il fissaggio (viti, dadi e bulloni) e attrezzi usati dall'industria e dai consumatori.

4.2   Un'industria solida

Il settore della lavorazione dei metalli è strutturalmente robusto e non soffre di un'enorme sovraccapacità produttiva.

4.3   Un settore che crea posti di lavoro

Il settore della lavorazione dei metalli dà lavoro a circa il 12 % della forza lavoro complessiva dell'industria manifatturiera dell'UE-27 e comprende circa un quinto delle imprese manifatturiere che vi operano.

4.4   Un settore che genera valore aggiunto

Nel 2006 il settore europeo della lavorazione dei metalli ha creato il 10 % del valore aggiunto industriale complessivo dell'UE-27, con una quota di produzione industriale pari al 7,4 %. A tale riguardo, il settore della lavorazione dei metalli (produzione lorda e volume di fabbricazione) rappresenta uno dei campioni europei del valore aggiunto, con prestazioni di gran lunga superiori a quelle di altri settori manifatturieri.

4.5   Un grande settore composto da «piccoli»

Il settore europeo della lavorazione dei metalli è di per sé un importante comparto industriale, anche se (o forse, grazie al fatto che) è composto prevalentemente di una grande varietà di imprese generalmente di piccole dimensioni (per oltre il 90 % si tratta di piccole e medie imprese di proprietà familiare) (1). Inoltre in numerosi paesi, con la Germania come principale eccezione, tale settore è composto prevalentemente da microimprese (fino a 10 dipendenti). Queste ultime rappresentano circa l'80 % del totale (nel 2006).

4.6   Un settore che rafforza la catena di approvvigionamento europea

4.6.1   Il settore della lavorazione dei metalli deve probabilmente la propria struttura industriale non a circostanze casuali ma ad un adattamento pratico alle esigenze di mercato, che hanno finito per dare forma alla catena di approvvigionamento manifatturiera in Europa, rendendola capace di offrire la necessaria flessibilità e le funzioni di innovazione e di nicchia che l'industria della lavorazione dei metalli vanta tuttora. Sotto questo profilo, il fatto che le imprese del settore siano in genere piccole o medie non va interpretato come un segno di debolezza ma piuttosto come un vantaggio relativo.

4.6.2   Ciò è ancor più vero perché dagli studi effettuati risulta che l'industria europea della lavorazione dei metalli è - e in genere vuole rimanere - un'industria composta da piccole e medie imprese. Già oggi tali imprese stanno diventando in proporzione ancora più piccole rispetto ai loro partner nella catena di approvvigionamento, i quali, a differenza dell'industria della lavorazione dei metalli, sono impegnati in importanti processi di concentrazione. Tuttavia in genere le opportunità di concentrazione nel settore della lavorazione dei metalli sono molto limitate per ragioni strutturali.

4.6.3   Esigenza di una stretta collaborazione nella catena di approvvigionamento. In relazione alla catena di approvvigionamento, il CESE invita la Commissione europea e gli Stati membri a studiare l'importante questione del miglioramento del partenariato e di un approfondimento della collaborazione lungo tale catena, e in particolare a creare canali che permettano al settore della lavorazione dei metalli di identificare e di influenzare lo sviluppo di nuove qualità e classi di acciai adeguati ai requisiti domandati.

4.7   Un settore collocato in una posizione intermedia

Per quanto riguarda le dimensioni e le economie di scala, le relazioni tra l'industria della lavorazione dei metalli e i propri clienti e fornitori diventeranno sempre più asimmetriche nei prossimi anni. L'industria della lavorazione dei metalli si trova pertanto (sempre di più) in una posizione intermedia, il che riduce le sue possibilità di controllare il proprio futuro e di influire sul proprio ambiente d'affari. Tale situazione comporta una pressione crescente sui costi fissi e sulla qualità dell'occupazione nel settore.

4.8   Risposte per il futuro basate su analisi precise

Sulla base di questi elementi strategici, il presente parere di iniziativa elabora risposte basate sull'esperienza pratica del settore della lavorazione dei metalli, un settore nel quale le imprese e i poli industriali (cluster) contribuiscono alla vitalità di tutte le principali regioni europee attraverso posti di lavoro, formazione e opportunità. Un settore versatile, tenace, innovativo, dotato di una straordinaria capacità di adattarsi e di mantenere l'occupazione nelle circostanze più varie, che potrebbe fare da modello indicando le risposte appropriate alle sfide future e in particolare alla sfida di come promuovere il cambiamento.

5.   Azioni da intraprendere a livello europeo

5.1   Il settore della lavorazione dei metalli: un modello per le PMI

5.1.1   Sebbene sussistano differenze regionali in termini assoluti (le imprese tedesche del settore tendono per esempio ad avere dimensioni maggiori rispetto a quelle del resto dell'UE), il settore della lavorazione dei metalli è chiaramente caratterizzato, a paragone di altri settori dell'economia, dalla presenza diffusa e prevalente di piccole e medie imprese.

5.1.2   Il CESE ritiene che i responsabili politici non dovrebbero limitarsi a prendere atto di tale aspetto senza prevedere interventi. Analisi recenti mostrano che questo aspetto distintivo, legato alle PMI, non deve essere considerato un tratto marginale del settore della lavorazione dei metalli oppure una sua caratteristica accidentale, ma piuttosto un elemento fondamentale della forza del settore.

5.1.3   Il CESE invita l'Unione europea a continuare ad esaminare in modo esaustivo le caratteristiche principali del settore e a individuare con chiarezza e precisione quali aspetti del settore della lavorazione dei metalli risultano ad esso vantaggiosi, costituiscono i suoi principali punti forti e, di conseguenza, rappresentano fattori di creazione di valore aggiunto nel quadro della catena manifatturiera dell'UE.

5.1.4   Successivamente l'UE dovrebbe predisporre politiche ad hoc per le piccole e medie imprese, rivolte a far fronte a tali esigenze concrete. Bisognerebbe individuare politiche ottimali e buone prassi, eventualmente ricorrendo a strumenti di valutazione comparativa («benchmarking»), per far fronte alle specifiche esigenze delle piccole e medie imprese europee del settore della lavorazione dei metalli. Ciò rafforzerebbe e promuoverebbe le qualità e i punti forti del settore, aiutandolo a rimanere il campione delle piccole e medie imprese industriali europee.

5.1.5   Inoltre, degli studi basati sui punti di forza del settore servirebbero anche ad attestare che esso è una delle forze trainanti dell'innovazione industriale in Europa, per metterne in evidenza i vantaggi e migliorarne l'immagine. L'immagine di questo settore ha infatti bisogno di essere rilanciata, specialmente se si vuole attrarre mano d'opera (in particolare giovane). Occorre una visione politica per mettere il settore industriale europeo al centro dell'attenzione politica in quanto creatore di posti di lavoro e innovatore all'interno della catena industriale.

In un periodo in cui vari organi amministrativi in tutta Europa fanno dichiarazioni talvolta teoriche, retoriche e spesso vaghe sull'importanza delle PMI europee, sarebbe importante, invece di elaborare approcci incerti e generici, definire con precisione e accuratezza misure realistiche e pratiche rivolte a comprendere, rafforzare e promuovere questo settore essenziale.

5.1.6   A causa della dimensione media delle imprese del settore, la maggior parte dei lavoratori del settore della lavorazione dei metalli non ha accesso a comitati aziendali europei o a reti europee equivalenti che rappresentino i loro interessi. Sebbene la maggioranza delle imprese del settore sia attiva in una catena di valore europea, queste imprese hanno come concorrenti altre aziende situate all'esterno dell'Unione europea. Di conseguenza i salari, l'orario e le condizioni di lavoro sono soggetti in molti casi a una concorrenza diretta. Per evitare squilibri nel livello d'informazione, il CESE caldeggia un'informazione effettiva e puntuale, la consultazione dei lavoratori e la promozione del dialogo sociale. Vista l'importanza dell'occupazione nelle PMI d'Europa, la politica europea dovrebbe essere in grado di dare una risposta ai bisogni di questi lavoratori.

5.2   Disponibilità di materie prime e, in particolare, di acciaio

5.2.1   Un elemento essenziale per l'industria della lavorazione dei metalli è la garanzia della disponibilità di materie prime a prezzi equi, perché in un mercato sempre più trasformato e globalizzato l'impatto delle materie prime è considerevole.

5.2.2   Le imprese del settore della lavorazione dei metalli dell'UE non possono sperare né di competere nell'UE in termini di costi di lavoro, né, a causa delle loro piccole dimensioni, di realizzare le economie di scala che sono invece alla portata dei loro fornitori, per esempio le acciaierie. Ciò rende essenziale ottenere i prodotti di base, e in special modo le materie prime e l'energia, a un prezzo competitivo.

5.2.3   Il CESE raccomanda inoltre alla Commissione europea di insistere, nelle sue relazioni con paesi terzi, sul rispetto del principio della reciprocità, e a tal fine di valutare una serie di fattori che comportano uno squilibrio nell'accesso alle materie prime a sfavore delle imprese europee rispetto a quelle di altri paesi, come per esempio la Cina. Le imprese di tale paese acquistano rottami ferrosi in Europa a condizioni di libera concorrenza, mentre le imprese europee non hanno un accesso altrettanto libero all'acquisto di rottami ferrosi cinesi, a causa del carattere chiuso di tale mercato.

5.2.4   Occorre inoltre promuovere la capacità di pianificare e di gestire la volatilità dei differenti scenari possibili (gestione dei rischi), e garantire che il contesto normativo imposto alla siderurgia europea non disincentivi gli operatori ad investire nell'acciaio europeo. Il passaggio dai contratti pluriennali o annuali ai contratti a scadenza sempre più breve o, in maniera sempre più generalizzata, a operazioni di acquisto immediate (spot) accentuerà probabilmente tale tendenza e renderà progressivamente più difficile per le imprese del settore eseguire la propria programmazione. Il CESE raccomanda alle istituzioni europee di tenere conto di tale tendenza per strutturare delle misure che consentano alle PMI del settore di gestire la crescente volatilità dei prezzi. In particolare il CESE raccomanda di tenere conto di tale importante aspetto nell'elaborazione della prossima comunicazione sulla strategia europea per le materie prime.

5.2.5   Il CESE fa inoltre notare la crescente concentrazione del settore minerario del ferro e chiede alla Commissione di tenere conto dei rischi che possono derivare per l'industria europea dalla creazione di monopoli virtuali a livello mondiale, rischi che sono stati sottolineati dai settori europei della siderurgia, dell'ingegneristica e dell'automobile nelle prese di posizione elaborate in occasione dell'annunciata fusione delle compagnie minerarie BHP Billiton Plc e Rio Tinto Plc.

5.3   Energia

5.3.1   La garanzia di un approvvigionamento stabile di energia riveste vitale importanza per l'industria della lavorazione dei metalli dell'UE, la quale ha bisogno di assicurarsi la fornitura di tutte le fonti energetiche a condizioni di mercato competitive.

5.3.2   La creazione e il finanziamento di infrastrutture e le necessarie connessioni transfrontaliere, come pure la soppressione delle barriere alle frontiere nazionali, in particolare per la trasmissione di elettricità, costituiscono questioni di assoluta importanza per garantire una reale concorrenza tra i fornitori e i distributori di elettricità.

5.3.3   Quando si adottano decisioni di politica energetica è importante anche trovare il giusto equilibrio tra gli aspetti ambientali e i relativi effetti economici sulla stabilità dell'offerta e sui prezzi; tale equilibrio rappresenta un fattore essenziale per la competitività in questo settore.

5.4   Concorrenza su un piano di parità

5.4.1   Le imprese con sede nell'UE devono anche far fronte ad una maggiore concorrenza internazionale, sia sul mercato interno, attraverso i prodotti importati, che sui mercati di esportazione. Inoltre le condizioni assai diversificate all'interno dell'UE (in termini - ad esempio - di prezzi dell'energia, di procedure di autorizzazione per strutture/impianti, di condizioni operative) rendono la situazione più difficile. Il CESE esorta la Commissione europea ad assicurare che la concorrenza all'interno dell'UE e a livello internazionale si svolga su un piano di parità.

5.4.2   Il CESE chiede alla Commissione europea di vigilare per garantire una concorrenza su un piano di parità con gli altri paesi sullo scenario internazionale.

5.4.3   Infine le autorità garanti della concorrenza dovrebbero vigilare molto più attentamente sui possibili abusi derivanti dalle dimensioni relative dell'industria rispetto a quelle dei suoi clienti e, in particolare, dei suoi fornitori.

5.5   Finanziamento

5.5.1   Attraverso la decisione di assumere o non assumere rischi, e grazie al loro grado di accessibilità, gli istituti finanziari hanno un ruolo di primo piano nella realizzazione degli obiettivi di politica industriale. La crisi finanziaria che ha offuscato le prospettive per l'economia reale sin dagli ultimi mesi del 2008 non ha risparmiato l'industria della lavorazione dei metalli. Se da un lato la domanda di finanziamenti è stata relativamente debole nel quadro delle avverse condizioni economiche del 2009, dall'altro la ripresa più forte del previsto nel 2010 sta sempre più portando a una rarefazione del credito alle imprese nel momento in cui la domanda di finanziamenti si sta rinvigorendo. Questa rarefazione del credito è avvertita in modo più acuto dalle PMI, le quali dipendono quasi esclusivamente dal finanziamento bancario. Il settore della lavorazione dei metalli, con la sua alta percentuale di PMI, sta attraversando una fase di ristrettezze che minaccia di trasformarsi in una pesante contrazione del credito.

5.5.2   Le banche non hanno esitato a correre dei rischi al momento di investire negli hedge fund e in altri prodotti finanziari, ma sembrano avere riscoperto il timore del rischio quando si tratta di fare il loro lavoro fondamentale, che è quello di fornire finanziamenti all'economia reale. È importante sottolineare che il settore finanziario dovrebbe costituire il mezzo per raggiungere un fine. Nell'attuale congiuntura il settore bancario si sta preparando all'applicazione della direttiva dell'UE sui requisiti patrimoniali, che eserciterà ulteriori pressioni sulle banche affinché riducano la leva finanziaria e costringerà a un atteggiamento molto più prudente nell'assunzione di rischi. È necessario vigilare più attentamente sul rispetto delle regolamentazioni per evitare effetti secondari negativi sulla disponibilità di credito per l'intero settore.

5.5.3   Il CESE accoglierebbe con favore una maggiore attenzione alla necessità di offrire meccanismi di liquidità all'industria della lavorazione dei metalli, in particolare per le PMI di questo settore; ciò potrebbe dare origine a pratiche migliori in tutta l'Europa.

5.5.4   L'industria della lavorazione dei metalli europea rappresenta un settore importante per le esportazioni europee. Il CESE accoglierebbe con compiacimento delle misure di sostegno tese a sviluppare il potenziale di questo settore, in particolare nel quadro della crescita delle esportazioni. Alcune di queste misure dovranno indubbiamente riguardare il miglioramento dell'accesso, da parte delle imprese del settore, alle risorse finanziarie e ai crediti all'esportazione.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  FWC Sector Competitiveness Studies (studio commissionato dalla DG Imprese e industria della Commissione europea) - Competitiveness of the EU Metalworking and Metal Articles Industries («Competitività delle industrie europee della lavorazione dei metalli e degli articoli in metallo»), relazione finale, 18 novembre 2009. Pagina 91, capitolo 2.7 – Struttura industriale e distribuzione per dimensione delle società, Diffusione e ruolo delle PMI nel settore della lavorazione dei metalli e degli articoli in metallo: «Un esame del settore della lavorazione dei metalli e degli articoli in metallo in rapporto alla dimensione delle imprese (in termini di occupati) … mostra che nel settore predominano le microimprese (con meno di 10 dipendenti), le quali rappresentavano l'80 % di tutte le imprese del settore nel 2006. Allo stesso tempo, nel 2006 circa il 17 % di tutte le imprese del settore poteva essere considerato di piccola dimensione (cioè con un numero di dipendenti compreso tra le 10 e le 49 unità). Di conseguenza, oltre il 95 % di tutte le imprese del settore aveva alle proprie dipendenze meno di 50 persone nel 2006. Per quanto concerne le imprese restanti, il 3 % poteva essere considerato di medie dimensioni (cioè con un numero di dipendenti compreso tra le 50 e le 249 unità), mentre soltanto lo 0,5 % circa delle imprese era di grandi dimensioni (ossia con più di 250 dipendenti)».


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE» (parere d'iniziativa)

2011/C 51/03

Relatore: SMYTH

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 settembre 2010.

In vista del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di pronunciarsi sul parere nel corso della sessione plenaria di ottobre e ha nominato SMYTH relatore generale, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria, del giorno 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli, 7 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La crisi del debito pubblico - innescata da una crisi finanziaria e di bilancio - mette a rischio la stessa esistenza dell'Unione economica e monetaria (UEM) e rende quindi necessaria una risposta efficace a livello finanziario, economico e politico. Essa ha messo in luce che il Patto di stabilità e di crescita non è un meccanismo adeguato ad assicurare la responsabilità fiscale degli Stati membri.

1.2   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva le azioni finora intraprese dal Consiglio e dall'Ecofin per sostenere, grazie al meccanismo europeo di stabilizzazione e all'European Financial Stability Facility - EFSF (Strumento europeo per la stabilità finanziaria), gli Stati membri che attraversano una crisi finanziaria. Si tratta di soluzioni provvisorie che possono però costituire la base di una procedura e di un quadro più permanenti per un sostegno finanziario condizionato attraverso l'istituzione di un vero fondo monetario europeo. Si potrebbe inoltre valutare la creazione di un'agenzia europea di gestione dei debiti pubblici che emetta eurobbligazioni.

1.3   Il CESE raccomanda che, per non compromettere gli obiettivi del programma europeo di ripresa economica, siano avviati piani di riduzione del debito pubblico nell'area dell'euro in grado di garantire la stabilità economica e monetaria dell'area. Ciò dovrebbe essere fatto in modo compatibile con gli obiettivi di rilancio economico ed occupazionale - gravemente compromessi dalla crisi - richiamati nella comunicazione della Commissione Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

1.4   La crisi del debito ci ha lasciato diversi insegnamenti di cui tenere conto nell'ambito della futura governance dell'UE. Le proposte iniziali in materia di vigilanza e sanzioni elaborate dal gruppo di lavoro sulla politica economica rappresentano un primo passo nella giusta direzione. Tuttavia il CESE ritiene che le sanzioni dovrebbero avere come contropartita una maggiore solidarietà europea per quel che concerne la gestione dei debiti pubblici. Il Comitato rileva che a tutt'oggi non esiste un meccanismo ufficiale per affrontare il caso di insolvenza di uno Stato. Si tratta di una carenza strutturale nell'architettura dell'UEM che i responsabili politici devono assolutamente colmare. Sarebbe auspicabile, comunque che le sanzioni avessero un carattere sia politico che economico, per evitare di aggravare ancor di più il debito dei paesi interessati.

1.5   La responsabilità della crisi del debito sovrano può essere addossata in parte notevole alle politiche fiscali irresponsabili condotte da alcuni Stati membri dell'UE, in parte ad un'attività di prestito imprudente da parte delle banche che ha alimentato la bolla edilizia e quella dei valori mobiliari ed in parte al comportamento imprudente delle agenzie di rating del credito. Le somme enormi, sborsate dai contribuenti, per il salvataggio delle banche in alcuni Stati membri e la conseguente fragilità del sistema finanziario globale sono stati un ulteriore fattore di crisi. Sono necessarie riforme efficaci del settore bancario globale che permettano di evitare in futuro il ripetersi di comportamenti simili.

1.6   Il CESE auspica che il rafforzamento della governance economica europea, che sarà avviato nel gennaio 2011 con il semestre europeo attraverso il migliore coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri (1), abbia come obiettivo la salvaguardia dell'occupazione in Europa seriamente minacciata dalla crisi.

1.7   Il CESE ritiene, comunque, che almeno per i paesi dell'area dell'euro non sia sufficiente il solo coordinamento delle politiche economiche; occorre piuttosto una vera e propria politica economica comune, così come si rende opportuno, almeno nella prima fase, il coordinamento della politica di bilancio.

2.   Il contesto in cui si è sviluppata la crisi - le politiche fiscali alla base dell'Unione economica e monetaria

2.1   La disciplina di bilancio è uno degli elementi fondamentali della stabilità macroeconomica. Ciò è tanto più vero nel contesto di un'unione monetaria come l'area dell'euro, formata da Stati sovrani che conservano la competenza in materia di politica fiscale. All'interno dell'area dell'euro i singoli Stati non possono più ricorrere a politiche monetarie o dei tassi di cambio a livello nazionale per far fronte a shock specifici. Di conseguenza le politiche fiscali sono uno strumento molto importante che tuttavia può rispondere meglio a tali shock se si parte da una situazione sana.

2.2   Sono stati messi in atto diversi meccanismi e sistemi atti a garantire politiche fiscali sane e a limitare i rischi per la stabilità dei prezzi. Si tratta di disposizioni sancite dagli articoli 121, 123, 124, 125 e 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che comprendono: il Patto di stabilità e di crescita (cfr. articoli 121 e 126), la procedura per i disavanzi eccessivi (articolo 126), il divieto di finanziamento monetario (articolo 123), il divieto di accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie (articolo 124) e la «clausola di non salvataggio» (no-bail-out) di cui all'articolo 125.

2.3   La norma fondamentale della politica di bilancio delineata nel Trattato è quella secondo cui gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. Per rispettare tale norma essi hanno l'obbligo di mantenere il disavanzo pubblico globale annuo al di sotto del 3 % del PIL e il rapporto tra il debito pubblico lordo e il PIL ad un livello inferiore o uguale al 60 %.

2.4   In circostanze eccezionali un temporaneo superamento del livello massimo consentito può non essere considerato un «disavanzo eccessivo» se il valore non si discosta troppo dalla soglia. Decidere se uno Stato membro presenti o meno una situazione di disavanzo eccessivo spetta al Consiglio Ecofin che agisce su raccomandazione della Commissione. In caso di decisione affermativa del Consiglio, l'apposita procedura per i disavanzi eccessivi stabilisce le misure da adottare, che possono portare in ultima istanza all'imposizione di sanzioni allo Stato interessato.

2.5   La ratio del Patto di stabilità e di crescita è garantire l'adozione di politiche fiscali sane su base permanente. Il Patto sancisce l'obbligo degli Stati membri di aderire all'obiettivo a medio termine consistente nel raggiungimento di un «saldo del bilancio vicino al pareggio o positivo», quale definito tenendo conto della situazione specifica di ciascun paese. In questo modo gli Stati membri dovrebbero teoricamente essere in grado di affrontare le normali fluttuazioni cicliche senza superare il valore di riferimento per il disavanzo pubblico fissato al 3 % del PIL. In realtà il funzionamento del Patto di stabilità e di crescita si è sensibilmente discostato dall'idea originaria. Anche la Banca centrale europea (BCE) ha recentemente espresso la seguente osservazione in proposito:

«Tuttavia il livello di conformità alle norme in materia di bilancio previste dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e di crescita non è lo stesso nei vari Stati membri. In alcuni di essi i superamenti del valore di riferimento del 3 % del PIL per il disavanzo pubblico sono stati frequenti e persistenti, al punto che, almeno nei casi in questione, l'attuazione del Patto non sembra aver beneficiato del rigore e della volontà politica necessari. Nei vari paesi si sono registrati, seppur a diversi livelli, deviazioni dai documenti di programmazione finanziaria dovute a stime sulla crescita eccessivamente ottimistiche, revisioni dei dati ex post, fluttuazioni del reddito più ampie del previsto e continui sforamenti di spesa» (articolo contenuto nel bollettino mensile della BCE dell'ottobre 2008 dal titolo Ten years of the Stability and Growth Pact - Dieci anni di Patto di stabilità e di crescita).

2.6   Il mancato rispetto delle disposizioni finanziarie alla base dell'UEM è un fenomeno che si era già manifestato prima dell'attuale crisi finanziaria globale; si può tuttavia affermare che il rischio di insolvenza di uno o più Stati appartenenti all'unione monetaria rappresenta una sorta di seconda fase di tale crisi. Dopo (oltre) un decennio di credito facile che ha portato a bolle immobiliari ed edilizie, l'implosione economica che ne è derivata ha determinato per alcuni Stati membri problemi di crescita vertiginosa del debito. E, ironia della sorte, sono proprio paesi come la Grecia, la Spagna e il Portogallo, che durante la crisi del settore bancario non hanno dovuto ricorrere alle tasche dei contribuenti per salvare il sistema nazionale degli istituti di credito, a registrare problemi di debito pubblico che rischiano di minare la stabilità delle banche addirittura in tutta l'Unione. Ciò conferma l'idea che i salvataggi bancari con i fondi pubblici non sono stati la causa principale dell'aumento dei debiti pubblici.

2.7   Durante la crisi del settore bancario sono state numerose le voci che affermavano che alcuni istituti erano «troppo grandi per esser lasciati fallire»; ora il discorso si trasferisce agli Stati membri che, sebbene si trovino ad affrontare debiti pubblici sempre più elevati, «sono troppo importanti per essere dichiarati insolventi». Se prima i contribuenti hanno dovuto accettare a malincuore la necessità di salvare certe banche negligenti, ora sono i mercati internazionali dei titoli di Stato a chiedere, a loro volta, un risanamento delle finanze pubbliche di alcuni Stati membri potenzialmente ancora più doloroso. L'incertezza generata dalla questione dell'insolvenza sui debiti pubblici non solo ha iniziato a compromettere la moneta unica, ma ha anche suscitato il timore che il rischio di insolvenza possa coinvolgere diversi Stati dell'area dell'euro.

2.8   La crisi del debito pubblico è una crisi della fiducia per l'UE in generale, e per l'area dell'euro in particolare, che rende necessaria una soluzione sia sul piano politico che su quello finanziario. Essa ha messo in dubbio la capacità delle summenzionate norme di bilancio di garantire la stabilità della moneta unica. È in certa misura lecito affermare che il Patto di stabilità e di crescita si è rivelato fallimentare e che l'Europa deve a questo punto elaborare un nuovo quadro monetario e fiscale in grado di far fronte più efficacemente alle situazioni di grave crisi economica o addirittura di bancarotta di uno Stato membro. Se effettivamente la situazione è quella descritta, quali caratteristiche dovrebbe avere il nuovo quadro?

3.   Quadri fiscali e monetari alternativi

3.1   Negli ultimi mesi vi sono stati degli sviluppi sia a livello teorico che di attuazione della politica. Una proposta interessante, tra quelle avanzate per risolvere la crisi del debito pubblico e la questione dell'insolvenza degli Stati, è quella relativa alla creazione di un Fondo monetario europeo (FME) (2). La proposta si basa sulla convinzione che il Fondo monetario internazionale (FMI) non abbia l'esperienza necessaria per affrontare il rischio di insolvenza di uno Stato che fa parte di un'unione monetaria e che l'UE disporrebbe di strumenti esecutivi più efficaci se potesse contare su un FME.

3.2   L'idea di un Fondo monetario europeo va considerata come analoga a quella che ha ispirato le risposte politiche al recente tracollo finanziario, tutte volte a evitare il fallimento dei grandi istituti di credito. Ora che l'UE inizia a uscire dalla crisi del settore bancario, il dibattito politico è incentrato su riforme che creino i presupposti per un «fallimento controllato» degli istituti di credito e per l'autofinanziamento di fondi di garanzia in grado di salvare le grandi banche con problemi di solvibilità. In altre parole, dopo aver stabilizzato i sistemi finanziari, i responsabili politici europei stanno ora lavorando per garantire che in futuro siano le banche e non i contribuenti a pagare il prezzo più alto in tempi di crisi. Le proposte di riforma del settore bancario comprendono coefficienti patrimoniali più elevati, una vigilanza più stretta, un limite ai bonus dei banchieri e la redazione di «testamenti in vita» per le banche (living wills). Spostandosi sul piano dell'UEM, se l'obiettivo è tutelare la moneta unica, occorre anche rafforzare il sistema in modo che possa resistere all'insolvenza o al fallimento di uno dei suoi membri.

3.3   Secondo i fautori della proposta, l'istituzione di un FME sarebbe in linea con il concetto di cooperazione rafforzata definito nel Trattato e quindi non sarebbe nemmeno necessaria una modifica di quest'ultimo. L'eventuale FME, se costruito in modo appropriato, potrebbe ovviare ai problemi nell'architettura dell'UEM causati dal fallimento del Patto di stabilità e dall'evidente mancanza di credibilità della cosiddetta clausola di non salvataggio (no-bail-out).

3.4   Per quanto riguarda il finanziamento del Fondo, al fine di limitare al massimo il problema del cosiddetto azzardo morale che si pone attualmente a Germania e Francia a seguito della decisione di cofinanziare il pacchetto di misure urgenti per la Grecia, l'FME dovrebbe ricevere contributi solo dagli Stati membri che non rispettano i criteri di Maastricht. I tassi di partecipazione dovrebbero risultare da un duplice criterio:

1 % annuo dello stock di «indebitamento eccessivo», definito come la differenza tra il debito pubblico effettivo (alla fine dell'esercizio finanziario precedente) e la soglia pari al 60 % del PIL imposta dai criteri di Maastricht; nel caso della Grecia, che ha un rapporto debito/PIL pari al 115 %, la partecipazione all'FME sarebbe dello 0,55 %,

1 % del disavanzo eccessivo, ovvero della parte del disavanzo registrato in un dato esercizio che supera la soglia del 3 % del PIL imposta dai criteri di Maastricht; nel caso della Grecia, il cui disavanzo è pari al 13 % del PIL, la partecipazione all'FME sarebbe pari allo 0,10 % del PIL.

In sostanza la partecipazione complessiva della Grecia per il 2009 sarebbe stata pari allo 0,65 % del PIL, considerevolmente inferiore ai sacrifici ora richiesti.

3.5   L'FME potrebbe altresì contrarre prestiti sui mercati per poter integrare le risorse raccolte attraverso i contributi e quindi essere in grado di far fronte ad ogni evenienza. Il Fondo potrebbe intervenire per fornire aiuto finanziario trasformando in liquidità una parte delle sue attività oppure concedendo garanzie a fronte dell'emissione di titoli del debito da parte di uno Stato membro. Per rendere l'idea, con il senno di poi si può affermare che se il sistema di finanziamento descritto fosse stato introdotto fin dall'inizio dell'UEM, l'FME avrebbe ormai accumulato riserve per 120 miliardi di euro. Un tale volume di risorse, unito a livelli adeguati di ricorso ai mercati, sarebbe sufficiente a salvare uno qualunque degli Stati più piccoli dell'area dell'euro.

3.6   Per quanto riguarda gli strumenti esecutivi, l'UE ha a propria disposizione tutta una serie di opzioni che vanno dai tagli ai fondi strutturali al ritiro delle garanzie prestate in occasione di nuovi finanziamenti fino ad arrivare all'esclusione dal mercato monetario dell'euro. Le sanzioni appena citate dovrebbero essere modulate in maniera progressiva, in quanto ognuna di esse presa singolarmente è in grado di esercitare una pressione rilevante sugli Stati membri che non rispettano i programmi di riforma concordati.

3.7   Uno dei vantaggi potenzialmente offerti dall'FME sarebbe la possibilità di gestire, attraverso di esso, il «fallimento controllato» di uno Stato membro dell'area dell'euro che non rispetti un determinato programma di riforme. Al posto delle incertezze legate alla ristrutturazione del debito sui mercati obbligazionari internazionali, l'FME potrebbe offrire ai detentori di titoli del debito dello Stato membro insolvente la possibilità di convertirli a un tasso di sconto standard in crediti nei confronti dell'FME. In questo modo non solo i disagi causati dallo stato di insolvenza sarebbero limitati, ma anche le perdite subite dagli istituti di credito sarebbero ridotte.

3.8   I fautori dell'FME sostengono che esso offre importanti vantaggi rispetto alla richiesta di intervento dell'FMI. L'FME potrebbe gestire le procedure di «fallimento controllato» di uno Stato in modo tale da limitare al massimo le ripercussioni negative sui mercati obbligazionari e su altri mercati finanziari. La crisi del settore bancario ci ha insegnato che ora sono necessari strumenti politici atti non solo a prevenire crisi future ma anche a creare le condizioni per affrontarle; analogo discorso vale per il debito pubblico. Se e quando l'attuale crisi sarà superata, l'Europa dovrà porre in essere tutte le misure necessarie per essere in grado di reagire qualora la situazione si dovesse ripresentare.

3.9   Altre riflessioni interessanti sono quelle incentrate sulla dialettica tra due processi ugualmente indispensabili per l'Europa: la ripresa economica e la riduzione del debito. Alcuni studi dimostrano che le politiche fiscali ispirate ai criteri di Maastricht e al Patto di stabilità e di crescita hanno in certa misura rallentato la crescita economica dell'area dell'euro se paragonata a quella degli USA o del Regno Unito (3). Paradossalmente proprio negli Stati Uniti, il paese in cui ha avuto inizio la crisi, la politica scelta è stata quella di un'enorme espansione fiscale e monetaria anticiclica. La politica macroeconomica dell'area dell'euro è invece rimasta vittima dell'inerzia indotta da una orientamento pregiudiziale favorevole alla stabilità monetaria piuttosto che alla crescita. Un simile atteggiamento è sicuramente comprensibile se l'obiettivo è dare credibilità alla moneta unica e alla BCE, ma nel contesto attuale potrebbe essere considerato un potenziale ostacolo alla ripresa economica. In realtà vi sono ragioni per sostenere che un allentamento dei vincoli del Patto di stabilità e di crescita potrebbe aiutare a stimolare la ripresa economica e porre fine alla crisi del debito.

3.10   Secondo l'opinione comune, qualunque risposta, politica o istituzionale, alla crisi del debito pubblico dovrebbe proporre soluzioni per la riduzione del debito stesso senza mettere a repentaglio gli obiettivi del programma europeo di ripresa economica. Ad esempio si potrebbe abbinare il processo di riduzione del debito ad un'espansione degli investimenti in modo da compensare gli effetti deflazionistici della citata riduzione. Si tratta di una proposta basata sul Libro bianco di Delors del 1993 Crescita, competitività, occupazione ed è imperniata su un'opzione di trasferimento del debito, ossia la conversione di una certa quota del debito pubblico di ciascuno Stato membro in obbligazioni dell'Unione europea. Con il trasferimento gli Stati membri manterrebbero l'obbligo del servizio della loro quota di debito convertita in eurobbligazioni. Non si procederebbe quindi ad una cancellazione del debito propriamente detta e non aumenterebbe l'indebitamento dello Stato membro in difficoltà, ma si ridurrebbe l'onere del servizio del debito per la quota trasferita. I fautori della citata proposta sostengono che la stessa potrebbe essere attuata sulla base degli orientamenti già contenuti nel Trattato. Oltre al trasferimento del debito la proposta prevede l'espansione delle attività di emissioni di prestito della Banca europea per gli investimenti (BEI) e degli istituti di credito nazionali in modo da finanziare il programma europeo di ripresa economica e ridurre il rischio di contrazione dell'occupazione, del reddito e degli scambi commerciali a seguito di una energica riduzione del debito (4).

3.11   La risposta ufficiale alla crisi del debito è stata definita in seguito alla riunione straordinaria del Consiglio del 9 maggio 2010. Essa comporta l'istituzione di un meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (European financial stability mechanism - EFSM), basato sull'articolo 122, par. 2, del TFUE (circostanze eccezionali) e su un accordo intergovernativo degli Stati membri dell'area dell'euro. Tale meccanismo dispone di 60 miliardi e opera secondo modalità analoghe a quelle dell'FMI. In aggiunta è stata istituita una società veicolo (Special Purpose Vehicle - SPV) chiamata European Financial Stability Facility (EFSF). La SPV avrà una durata di tre anni e disporrà di fondi fino a concorrenza di 690 miliardi di euro per sostenere gli Stati membri dell'area dell'euro che devono affrontare gravi difficoltà finanziarie. Inoltre, la Banca centrale europea (BCE) ha iniziato a intervenire nei mercati obbligazionari acquistando titoli del debito dei governi in difficoltà finanziarie.

3.12   Vi sono diversi aspetti importanti di questi nuovi dispositivi. In primo luogo non costituiscono un'opzione di finanza a basso costo; il capitale di prestito e tutti gli interessi saranno rimborsati dallo Stato membro in questione attraverso la Commissione. In questo senso l'ESFM non procederà a salvataggi ed è pertanto compatibile con l'articolo 125. In secondo luogo, l'ESFM e l'ESFS rappresentano linee di credito, non linee di bilancio e quindi rientrano nei limiti della decisione sulle risorse proprie. In terzo luogo, l'EFSF opererà per un periodo di un anno, ma i suoi effetti potranno estendersi per diversi anni al di là di questo limite temporale se esso emette obbligazioni con scadenze a più lungo termine. In quarto luogo, si prevede che l'EFSF emetterà obbligazioni garantite fino al 120 % da tutti gli Stati membri; è inteso che tali titoli obbligazionari avranno un rating AAA, fatto che ne minimizzerà i costi (5). Infine l'ESFM rappresenta una prova tangibile che la solidarietà dell'UE rimane il fondamento ultimo dell'UEM.

3.13   Se le proposte sull'EFSM affrontano con efficacia la presente crisi del debito risulterà chiaro nei mesi futuri e dipenderà dalla misura in cui i singoli Stati membri intraprenderanno gli aggiustamenti di bilancio richiesti dall'UE e dall'FMI. L'UE ha riaffermato la sua intenzione di rafforzare la disciplina di bilancio e di definire un quadro permanente di soluzione della crisi. Quest'ultimo aspetto ha fatto pensare che l'EFSM e l'EFSF potrebbero diventare dispositivi permanenti, ma ciò potrebbe essere un obiettivo difficile da raggiungere perché richiederebbe l'approvazione unanime di tutti gli Stati membri. L'assenza di proposte significative riguardanti la possibilità di un'insolvenza su un debito sovrano segnala implicitamente che i responsabili politici non permetteranno che una tale eventualità si realizzi. Ciò, se è perfettamente comprensibile, non elimina però la possibilità di un'insolvenza del genere.

4.   Gli insegnamenti impartiti dalla crisi

4.1   È ormai sempre più chiaro che la crisi del debito avrebbe potuto essere evitata grazie a una migliore governance sia a livello di Stati membri che di Unione europea; è pertanto fondamentale non ripetere, da questo punto di vista, gli errori del passato. A tale scopo il gruppo di lavoro sul coordinamento delle politiche economiche ha annunciato una serie di misure volte a rafforzare la vigilanza di bilancio in linea con il Patto di stabilità e di crescita. Si tratta di misure che riguardano il controllo tra pari dei progetti di bilancio degli Stati membri, la più rapida imposizione di sanzioni in caso di superamento delle soglie del 3 % e del 60 %, l'avvio della procedura per i disavanzi eccessivi in caso di adozione non sufficientemente tempestiva di piani di riduzione del debito e la maggiore indipendenza degli istituti nazionali di statistica dai rispettivi governi.

4.2   Il ruolo e il comportamento delle principali agenzie di rating durante l'intera crisi, finanziaria e del debito, sono stati a dir poco discutibili (6). La cancelliera Angela Merkel ha proposto l'istituzione di una nuova agenzia di rating europea indipendente e in grado di competere con le tre grandi agenzie già esistenti (7). Altra proposta formulata è stata quella relativa alla possibilità di conferire all'Eurostat la facoltà di emettere un rating delle finanze pubbliche degli Stati membri. Se l'Eurostat avesse avuto una simile competenza avrebbe forse segnalato con maggiore tempestività il rischio di una crisi del debito in Grecia (8).

4.3   La Commissione è stata criticata per non avere esercitato un'adeguata vigilanza e per un atteggiamento scarsamente proattivo al momento di garantire l'attendibilità delle finanze pubbliche dei vari Stati. Si tratta di un aspetto che rinvia a problemi più ampi di vigilanza, controllo e conformità alle norme che sono all'origine del fallimento dei meccanismi del Patto di stabilità e di crescita. Si tratta di problemi che vanno affrontati in maniera efficace se si vuole arrivare a una soluzione duratura.

4.4   Mentre non vi sono stati salvataggi di banche con i soldi dei contribuenti in Grecia, Spagna e Portogallo, la portata di tali interventi in altri paesi dell'UE e negli USA ha contribuito a cerare un livello mai raggiunto prima di pressione sui mercati dei titoli di Stato e ha fatto precipitare la crisi. È fondamentale attuare riforme efficaci del settore bancario globale che evitino il ripetersi di un tale fenomeno di instabilità finanziaria, economica e sociale.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 367 definitivo - Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e l'occupazione - Gli strumenti per rafforzare la governance economica dell'UE.

(2)  La proposta è illustrata in dettaglio nel documento programmatico n. 202 del Centre for European Policy Studies (CEPS - Centro europeo di studi politici), del maggio 2010, dal titolo How to deal with sovereign debt default in Europe: Towards a Euro(pean) Monetary Fund (Come affrontare la crisi del debito pubblico in Europa: verso un Fondo monetario euro(peo)). Molte argomentazioni contenute nel presente documento sono tratte da questa eloquente pubblicazione.

(3)  Cfr. Fitoussi, J.P. e Saraceno F. Europe: How deep is a Crisis? Policy Responses and Structural Factors Behind Diverging Performances (Europa: quanto è profonda una crisi? Risposte politiche e fattori strutturali alla base della disparità dei risultati) in Journal of Globalisation and Development (Rivista della globalizzazione e dello sviluppo), volume I, n. 1, Berkeley Electronic Press, 2010.

(4)  Per una descrizione dettagliata di queste proposte cfr. Holland, S.: A European Monetary Fund, Recovery and Cohesion (Un Fondo monetario europeo, ripresa e coesione) in Insight http://www.insightweb.it/web/node/136 (ultimo accesso 10.6.2010).

(5)  Il 21 settembre 2010 ognuna delle tre principali agenzie di rating ha dichiarato che avrebbe assegnato la nota AAA al debito emesso dall'EFSF.

(6)  Per un'esposizione dettagliata delle carenze mostrate dalle agenzie di rating cfr. U.S. Securities and Exchange Commission (Commissione della borsa valori statunitense - SEC): Summary Report of Issues Identified in the Commission Staff's Examinations of Select Credit Rating Agencies (Sintesi delle problematiche individuate dal personale della SEC in sede di esame di una selezione di agenzie di rating del credito) http://www.sec.gov/news/studies/2008/craexamination070808.pdf (ultimo accesso 10.6.2010).

(7)  L'Irish Times riferisce che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato che la nuova agenzia «non sarebbe ovviamente politicamente dipendente», ma «opererebbe in un'ottica di economia sostenibile meno spiccatamente orientata al breve termine» (cfr. Irish Times del 21 maggio 2010).

(8)  Durante la nostra visita a Eurostat siamo stati informati che Eurostat aveva ripetutamente e tempestivamente segnalato il rischio di una crisi dovuta all'alto disavanzo e debito pubblico della Grecia, ma che questi avvertimenti sono caduti nel vuoto.


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le relazioni transatlantiche e la promozione internazionale del modello sociale europeo» (parere d'iniziativa)

2011/C 51/04

Relatrice: BATUT

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le relazioni transatlantiche e la promozione internazionale del modello sociale europeo.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 settembre 2010.

In vista del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea ha deciso di votare il parere in occasione della sessione plenaria di ottobre e ha nominato BATUT relatrice generale, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria, del 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, 34 voti contrari e 16 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si colloca nel quadro dell'integrazione progressiva del libero mercato euroatlantico, auspica un approfondimento delle relazioni tra Europa ed America e pone soprattutto l'accento sul piano sociale per anticipare le conseguenze di quest'integrazione economica transatlantica, una volta che essa sarà completata, in modo che le due società, americana ed europea, ne beneficino nella stessa misura risultando insieme più competitive, in particolare nei confronti delle economie emergenti.

1.2   Considerando che le realtà economiche e sociali che fanno capo al concetto di «modello sociale europeo» (MSE) rappresentano un sistema unico al mondo che sta alla base di uno sviluppo prospero (1) e, nell'attuale contesto mondiale, funge da potente ammortizzatore per le popolazioni colpite dalla crisi, il CESE ricorda che i firmatari del Trattato di Lisbona hanno scelto di garantire la promozione di tale modello e auspica che, nell'ambito del dialogo transatlantico, venga sviluppata la legittimità:

1)

dell'identità europea;

2)

dei valori e della cultura dell'Europa, compresa la protezione ambientale;

3)

del CESE che tramite i suoi membri rappresenta la società civile organizzata dell'Unione europea.

1.3   I sistemi di protezione sociale collettiva, i servizi pubblici e il dialogo sociale formano insieme il «modello sociale europeo». Il CESE invita tutte le istituzioni dell'UE non solo a rappresentare, ma anche a promuovere in qualunque circostanza e soprattutto nel dialogo transatlantico questo modello con il quale i cittadini europei si identificano.

1.3.1   Se la dimensione sociale nel suo complesso figurasse tra le priorità dell'UE gli europei potrebbero del resto partecipare, avendo a disposizione gli strumenti per farlo, ai fori di dialogo già esistenti, sia nell'ambito del CET che nel quadro del DTL (2).

1.3.2   Affinché i valori sociali dell'Unione siano meglio conosciuti negli Stati Uniti e si realizzi gradualmente, grazie a una migliore comprensione tra le due sponde dell'Atlantico, la convergenza nel progresso dei loro interessi sociali, nonché per una maggiore comprensione sociale, il CESE auspica che l'UE fornisca informazioni sull'MSE alla società civile americana. Il CET e il DTL potrebbero in questo caso servire da tramite. Secondo il CESE la «promozione» dell'MSE (3) non può prescindere dall'acquisizione da parte dell'UE di una maggiore visibilità negli Stati Uniti.

1.4   Il CESE raccomanda che la zona euroatlantica si doti, oltre che di nuove regolamentazioni finanziarie, anche di norme comuni sulle agenzie di rating e di nuove regole di concorrenza che tengano maggiormente conto degli interessi dei cittadini. Il CESE si aspetta che l'UE adotti posizioni forti, tali da garantire la qualità di vita dei cittadini, e che il dialogo transatlantico si ponga all'ascolto delle società civili sulle due sponde dell'Atlantico.

1.5   Occorre valorizzare il dialogo delle organizzazioni della società civile, ma anche il dialogo nel mondo del lavoro, sia all'interno che nel quadro delle relazioni industriali, a cominciare dagli organi euroamericani esistenti. La Commissione europea potrebbe favorire tale dialogo, e ha già aumentato il sostegno finanziario dedicatogli da 600 000 a 800 000 euro per il biennio 2011-2012. Il CESE sarebbe disponibile ad occuparsi, insieme a suoi omologhi americani, dell'organizzazione di un consiglio euroamericano della società civile. Tra le due società civili occorre trovare un modo per dare la parola ai lavoratori dipendenti e sviluppare l'informazione-consultazione, soprattutto in questo periodo di crisi che segue il crac finanziario del 2008. Il CESE ritiene che più dialogo civile e sociale, e una maggiore trasparenza, avrebbero potuto evitare questa crisi, che dura ormai da tre anni.

1.5.1   Tra gli obiettivi del dialogo transatlantico devono figurare l'apprendimento reciproco e quello di contribuire concretamente alla promozione dei diritti umani, politici e civili, ma anche economici e sociali. I diritti economici e sociali dei cittadini dovrebbero essere presentati dall'UE quali elementi costitutivi delle sue posizioni nel quadro del dialogo transatlantico.

1.5.2   Il CESE ritiene che il dialogo Europa-Stati Uniti troverebbe arricchimento grazie ad una riflessione su questioni sociali fondamentali per la coesione delle società delle due sponde, ad esempio l'istruzione iniziale e quella permanente - di competenza non solo nazionale, ma anche «federale» - così necessarie per l'economia di servizi fondata sulla conoscenza di entrambe le società. In primo luogo, sarebbe opportuno, ai fini della creazione di posti di lavoro e dell'innalzamento del tenore di vita degli europei, assegnare un posto prioritario nell'agenda politica alla questione degli investimenti produttivi e dell'innovazione, ambito nel quale gli Stati Uniti hanno sviluppato una capacità di creazione e promozione molto più avanzata rispetto all'Europa.

1.5.3   Il CESE ritiene che indicatori stabiliti congiuntamente consentirebbero di valutare e confrontare le situazioni sociali e lavorative dei due partecipanti al DTL.

1.6   Il CESE ritiene che l'immigrazione sia una questione importante per le democrazie e auspica che essa venga affrontata nell'ambito del dialogo sociale transatlantico, con il possibile coinvolgimento del Forum europeo dell'integrazione (FEI).

1.7   Il CESE ritiene che il dialogo transatlantico possa accelerare l'opera di sensibilizzazione ai fini di una maggiore sostenibilità e in difesa dell'ambiente, e che in questo contesto le due società civili e i consumatori abbiano un ruolo da svolgere.

1.8   Il CESE vuole essere innovativo, integrando in modo istituzionale i rappresentanti della società civile organizzata nel dialogo transatlantico. A suo avviso, in tale dialogo all'UE manca una dimensione veramente «europea» sul piano sociale. Il CESE raccomanda di prendere in considerazione la dimensione sociale in tutte le fasi dei dialoghi transatlantici.

1.9   Tramite l'adozione di un programma di cooperazione e l'istituzione del CET (4), le due parti si sono impegnate ad accelerare l'attuazione di una vera integrazione «per realizzare entro il 2015 un mercato transatlantico unificato» (5). Gli ostacoli, soprattutto di ordine legislativo, sono numerosi, ma l'obiettivo è fissato e il CESE intende giocare d'anticipo per assicurarsi che le scelte storiche che hanno forgiato il modello sociale dell'Europa (6) non risultino vanificate. Le società europea e americana, i cui valori di riferimento sono tra loro simili, non sono poi così «integrabili» dal punto di vista sociale. Se gli europei riconoscono la necessità di adattare alcuni aspetti del loro modello per tener conto della crisi economica in corso, è per salvaguardarne meglio i principi sul lungo periodo.

2.   Integrazione economica

2.1   Gli Stati Uniti sono il motore del complesso economico nordamericano creato dall'accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA). Gli Stati membri dell'UE e gli Stati Uniti insieme producono il 60 % del PIL mondiale, assicurano il 40 % del commercio mondiale e il 62 % degli investimenti diretti. In un modo o nell'altro, 7 milioni di posti di lavoro dipendono dalle relazioni transatlantiche.

2.2   In uno studio (7) pubblicato prima che UE e Stati Uniti entrassero entrambi in recessione, l'OCSE aveva calcolato che l'integrazione totale delle due economie potrebbe produrre una crescita individuale del 3 %, assegnando loro una posizione di leadership su quasi tutti gli altri paesi della Terra.

2.3   Il CESE ritiene che la crisi potrebbe trasformare le relazioni euroamericane e che sia urgente promuovere, nel quadro del CET e del DTL, un dibattito sui modelli tra le parti sociali. La crisi potrebbe ritardare l'integrazione e darci il tempo di riflettere insieme su temi come l'utilità delle istituzioni di dialogo, poco presenti negli Stati Uniti, o la questione dell'immigrazione, cui entrambi i blocchi devono far fronte sia sul piano sociale che su quello occupazionale, e che rappresenta un rimedio lenitivo all'invecchiamento demografico (in quanto riserva di manodopera).

2.4   È opinione generale che tra il piano di rilancio dell'Unione europea e quello degli Stati Uniti non si possa fare un confronto, ma che le loro conseguenze nei rispettivi contesti siano state le stesse: hanno fatto aumentare i deficit pubblici, rafforzato l'azione dei governi e reso più pressante la domanda di controlli e di riorientamento della redistribuzione della ricchezza. Queste differenze e convergenze potrebbero alimentare il DTL, come pure il dialogo dell'organo consultivo bilaterale che dovrebbe essere istituito.

2.4.1   Le conseguenze della crisi sono oggetto di discussioni ad alto livello (ai vertici UE/USA), insieme a tutta una serie di altri argomenti, nel quadro dei dialoghi in corso fra la Commissione e i suoi interlocutori dell'amministrazione statunitense e delle relative agenzie in materia di finanza, economia e mercati interni. La società civile in Europa risente della mancanza di regolamentazione sulle pratiche adottate dagli istituti finanziari e dalle agenzie di rating  (8), così come della loro mancanza di trasparenza. Inoltre, il cittadino paga di tasca propria i piani di rilancio e, nonostante uno degli obiettivi del Trattato sia «promuovere il progresso economico e sociale» dei popoli europei, si vede ridurre la protezione sociale, giudicata troppo costosa. Sono stati i sistemi finanziari a fallire e a provocare gravi danni all'economia reale. Hanno aggiunto nuove difficoltà a quelle che già affliggevano i sistemi sociali per effetto della mancanza di crescita e di occupazione. Il CESE, consapevole del fatto che il protezionismo non è sinonimo di occupazione, è favorevole agli scambi commerciali e agli investimenti senza ostacoli, purché non siano trascurati i diritti sociali. Tuttavia, il ripristino della fiducia, cui va attribuita un'elevata priorità, deve avvenire attraverso regolamentazioni nuove e intelligenti dei mercati finanziari. Il CESE considera inoltre prioritaria, nell'ambito del dialogo transatlantico, la promozione della dimensione sociale nell'economia e nel commercio. Il Comitato spera che i rappresentanti dell'UE in sede di dialogo transatlantico, nella loro veste di rappresentanti dei cittadini, continuino a garantire la promozione dell'MSE nelle questioni economiche e commerciali. La Commissione da parte sua agisce nel rispetto del Trattato e garantisce l'attuazione delle sue disposizioni.

2.4.2   Il CESE ritiene utile rafforzare i legami economici tra le due sponde dell'Atlantico e instaurare la solidarietà economica tra Stati membri dell'Unione. Pensa infatti che questi due elementi favorirebbero il ritorno della crescita e dello sviluppo economico, di pari passo con lo sviluppo della dimensione sociale europea. Gli europei avrebbero così di che discutere in sede di dialogo tra le organizzazioni della società civile.

2.5   Il progetto d'integrazione del mercato transatlantico (9) è poco noto ai cittadini: l'esperienza dell'integrazione nordamericana nel quadro del NAFTA aveva riservato solo un'attenzione marginale alle dimensioni sociale ed ambientale, senza cercare di promuovere l'impiego né da una parte né dall'altra. Una conclusione s'impone: l'ambiente negli USA, in Canada e in Messico si è degradato, i salari sono precipitati, i posti di lavoro prendono la strada della Cina. L'integrazione europea dal canto suo ha prodotto ricchezza (aumento del PIL), pur avendo chiuso miniere e cantieri navali, perduto l'industria metallurgica e tessile e ristrutturato settori interi come la pesca, l'agricoltura, l'automobile: fin dal mercato comune, tuttavia, erano previsti dei sistemi di compensazione. Il CESE auspica di riuscire a prevedere le conseguenze ambientali (ad es. per quanto riguarda gli OGM) e sociali dell'integrazione in corso e di poter intavolare un dialogo in proposito. Alcune di queste conseguenze sono già sotto gli occhi di tutti: posti di lavoro nel cinema, protezione dei dati personali in ambito SWIFT.

3.   I possibili effetti dell'integrazione transatlantica

3.1   Le strutture economiche e commerciali dell'UE e degli Stati Uniti sono piuttosto simili. Come primo effetto dell'integrazione si potrebbe verificare un intensificarsi della concorrenza più in termini di quantità, qualità e diversificazione dei prodotti che non di costi. Il tasso di cambio del dollaro consente agli Stati Uniti di recuperare competitività nelle esportazioni. Negli Stati Uniti i tassi d'interesse sono inferiori e la Riserva federale (FED) si mostra più reattiva rispetto alla Banca centrale europea (BCE). In assenza di un cambiamento radicale, la zona euro non avrebbe al momento la capacità di reazione necessaria per svilupparsi in un vasto mercato transatlantico.

3.2   L'integrazione potrebbe gravare sui costi e sulle condizioni di lavoro, accrescere la precarietà, tanto più probabile in un mercato del lavoro reso flessibile, con una maggiore moderazione salariale e delocalizzazioni frequenti, in una strategia di disinflazione competitiva. L'Europa teme l'effetto di queste pressioni al ribasso sulle proprie norme in materia sociale, di salute e di ambiente, oltre che sul livello di occupazione e sul tenore di vita, mentre l'integrazione dovrebbe apportare un beneficio ad entrambe le parti. Tra le soluzioni figurano l'aumento delle prestazioni economiche e della produttività, ma una parte di quelli che hanno perso il lavoro non lo ritroverà. Gli Stati membri - che, nel dopoguerra, avevano fondato la loro ricostruzione su un forte consenso socioeconomico interno - soffrono già delle tensioni derivanti dalle differenze dei loro sistemi rispettivi, rese sempre più drammaticamente evidenti, dal maggio 2010, dalla speculazione contro la moneta comune.

3.3   Di fronte all'accresciuta frammentazione dei processi produttivi (10), potrebbero essere i paesi emergenti a trarre maggior vantaggio dall'integrazione transatlantica, che accentuerebbe la concorrenza tra le due maggiori economie della zona OCSE. Il CESE ritiene che questo sia uno dei temi da discutere in via prioritaria nei dialoghi transatlantici.

4.   Le modalità d'integrazione

4.1   La creazione di un blocco euroatlantico non può effettuarsi all'insaputa delle popolazioni interessate. L'UE potrebbe fare esercizio di democrazia e valorizzare il dialogo civile e il dialogo tra i soggetti del mondo del lavoro sia al suo interno che negli organi euroamericani creati a questo scopo. La Commissione europea potrebbe favorire tale dialogo dedicandogli risorse ancor maggiori rispetto a quelle che ha appena aumentato (11); il CESE sarebbe disponibile ad occuparsi, insieme ai suoi omologhi americani, della strutturazione di un consiglio euroamericano della società civile.

4.2   Il CESE ritiene che l'integrazione transatlantica debba, in applicazione del Trattato di Lisbona, essere sottoposta ad una consultazione pubblica. In assenza di una posizione chiara da parte delle istituzioni riguardo alla decisione di promuovere il modello sociale europeo a livello internazionale, l'integrazione euroatlantica comporta il rischio di demolire il «patto sociale» europeo e i cittadini devono pertanto essere consultati.

4.3   Il CESE auspica che nell'ambito del dialogo transatlantico venga sviluppata la legittimità:

1)

dell'identità europea;

2)

dei valori e della cultura dell'Europa, compresa la protezione ambientale;

3)

del CESE che tramite i suoi membri rappresenta la società civile organizzata dell'Unione europea.

5.   Regolamentazioni bancarie

5.1   L'economia globalizzata ha bisogno di riforme urgenti. Il CESE deplora che la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali proceda così lentamente, a scapito della concorrenza leale e del mantenimento dei grandi equilibri sociali.

5.2   Insieme, occorre definire con urgenza norme comuni sulle agenzie di rating per evitare che la loro azione abbia conseguenze negative (12): agenzie che attribuivano una buona votazione alle banche che si sono rese responsabili della crisi e che, oggi, stigmatizzano gli Stati a causa del debito e dei deficit prodotti dai piani di salvataggio di queste stesse banche, debito e deficit posti a carico dei cittadini. L'azione delle banche e delle agenzie di rating sono due punti che la società civile dell'UE e quella degli USA potrebbero discutere nel quadro del dialogo transatlantico.

6.   Libertà e diritti dell'uomo

6.1   Ammessi in quanto principi, la libertà e i diritti dell'uomo non sono rispettati dalle due parti nella stessa maniera: la libertà di circolazione, ad esempio, non trova un trattamento uniforme in tutti gli Stati dell'UE e dell'America. Le questioni relative ai visti, ai passaporti e ai controlli di sicurezza dovrebbero orientarsi verso una maggiore armonizzazione secondo un modello definito congiuntamente.

6.2   L'esempio di SWIFT (13) è illuminante: nella sua risoluzione legislativa dell'11 febbraio 2010 (14), il Parlamento europeo si era opposto al rinnovo di un accordo relativo al trattamento e al trasferimento di dati finanziari dell'UE verso gli Stati Uniti operati dalla società SWIFT. L'oggetto del contendere era se dare o no un accesso diretto ai server europei per i fini di sorveglianza del terrorismo. Le nuove competenze del PE hanno permesso a tale istituzione di mettere in discussione questo trasferimento in blocco verso gli USA di dati riservati riguardanti i movimenti bancari degli europei, che comporta di fatto la rinuncia a diverse garanzie e tutele contenute nei vari ordinamenti nazionali degli Stati membri e nel diritto dell'UE. Gli eurodeputati hanno auspicato che l'Unione precisasse la sua visione del mercato transatlantico in materia di tutela dei diritti: hanno preferito orientarsi verso un sistema caratterizzato da più Europa, da un ruolo nuovo per Europol e dalla necessità di un diritto al risarcimento per i cittadini. Anche se oggi le garanzie sono incomplete, l'accordo firmato l'8 luglio 2010 potrà essere riveduto ogni anno, come auspicato dal commissario BARNIER, secondo cui il mercato interno dovrebbe essere al servizio di un progetto di società, definito collettivamente dalle istituzioni europee (15). È appunto quello che il CESE auspica anche nel presente parere, vale a dire che l'Unione affermi la propria concezione del mercato transatlantico e promuova l'MSE nel rispetto del grande vicino americano.

6.3   Il diritto alla vita, la bioetica, i settori in cui l'UE presenta posizioni progressiste vanno protetti e mantenuti, secondo un'intesa comune, al di fuori degli accordi commerciali.

6.4   Il CESE auspica che il partenariato transatlantico contribuisca al rispetto dei diritti dell'uomo, siano essi politici e civili, ma anche economici e sociali. Gli Stati Uniti hanno alle spalle un passato secolare di lotta in difesa dei diritti civili e politici, che l'UE ha integrato con lo sviluppo dei diritti economici e sociali. L'interesse dei due continenti risiede nella volontà politica di fare beneficiare tutti i loro cittadini e residenti dell'intera gamma di diritti e di possibilità di ciascuna entità.

7.   Diritti sociali

7.1   Il CESE ha già rilevato che la componente «sociale» del dialogo transatlantico è scarsamente sviluppata (16). I diritti sociali sembrano compresi tra i diritti «fondamentali», ma nell'accezione effettiva di diritti «civili e politici».

7.2   Il CESE ritiene che non basti ricordare periodicamente che gli Stati Uniti e l'UE condividono gli stessi valori e che, oltre all'economia, essi hanno in comune la difesa della libertà, della democrazia e dei diritti dell'uomo. L'Unione dovrebbe sempre ricordare, nella sua azione esterna, che gli altri diritti «fondamentali», che sono i diritti sociali, sono elementi costitutivi delle sue posizioni. I suoi testi fondamentali contemplano una «clausola sociale orizzontale» che prevede si tenga conto, nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche, delle «esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana» (17).

7.3   Sono infatti lo «Stato sociale», i sistemi sociali e il rispetto dei diritti sociali, intrinseci ai diritti dell'uomo, che caratterizzano l'Europa agli occhi degli altri continenti.

L'MSE, che riunisce protezione delle libertà pubbliche, meccanismi dell'economia sociale di mercato e volontà di intervento dei poteri pubblici, poggia su tre pilastri: i sistemi di protezione sociale collettiva, i servizi pubblici e il dialogo sociale. Esso riassume in un certo senso il «modello di vita europeo». Il CESE si rammarica che questo modello non venga promosso in quanto tale dall'UE. Tutti questi aspetti figurano nel Trattato di Lisbona. Il modello europeo dev'essere valorizzato in termini politici secondo l'approccio Europa = benessere per tutti, non da ultimo nei negoziati transatlantici. Il CESE ritiene che l'UE dovrebbe chiedere che gli elementi caratterizzanti di questo Stato sociale assumano una posizione centrale nel dialogo euroatlantico, poiché non farlo danneggerebbe i cittadini, l'identità e la diversità dell'Europa.

8.   Sistemi di protezione sociale

8.1   Gli europei hanno accettato un certo livello di ridistribuzione delle ricchezze nazionali da parte dei sistemi di protezione sociale collettiva degli Stati membri, la quale è minacciata dall'intensificarsi della globalizzazione degli scambi. Non difendendo il modello sociale europeo, l'UE rischia di permetterne lo smantellamento. Quando un orario di lavoro limitato consente di trascorrere più tempo in famiglia, questo pilastro sociale dell'Europa, quando sono previsti lunghi congedi di maternità e parentali per un migliore sviluppo dei bambini, quando le cure più onerose sono garantite e gli anziani non autosufficienti vengono aiutati è la società nel suo complesso a trarne vantaggio: non sono dei regali dello Stato, perché gli ingenti esborsi che vengono evitati in quel momento sono stati ripartiti nel corso degli anni sotto forma di contributi e/o imposte pagate dai beneficiari.

8.2   Oggigiorno le relazioni transatlantiche in materia sociale non sono paritarie. Gli Stati Uniti sono una federazione di Stati in cui manca uno Stato sociale (a livello federale o statale), ma dove è in corso una riflessione su eventuali cambiamenti di ordine sociale da apportare (legge federale sull'assicurazione malattia). All'interno dell'UE ciascuno Stato membro dispone di uno Stato sociale, che non esiste invece ancora per i tre pilastri a livello «federale». Quest'ultimo raccomanda obiettivi di convergenza tramite il metodo aperto di coordinamento. Il CESE ritiene che questo divario tra UE e Stati Uniti non debba essere livellato a scapito del modello sociale europeo. Ci si chiede quanto tempo potranno resistere i diritti degli Stati membri nel quadro dell'integrazione transatlantica se manca un'azione comune dell'Unione e la volontà politica di promuovere il modello europeo, in particolare in questo periodo di crisi.

8.3   Il CESE ritiene che il dialogo sociale transatlantico - di cui auspica fortemente la nascita - dovrebbe porre la sfida «apertura/sicurezza» al centro degli sviluppi in corso. Si tratta pur sempre del benessere di 300 milioni di cittadini da una parte e di 500 milioni dall'altra.

8.4   I sistemi sociali in Europa spesso rappresentano l'equivalente dei bilanci statali. Il 16 % del PIL americano serve a coprire le spese sanitarie: si tratta di una cifra importante, ma che garantisce ai cittadini americani una copertura inferiore a quella degli europei, ottenuta per giunta a costi più bassi (media dei paesi OCSE: 8,9 % del PIL). La loro massa fa funzionare l'economia reale e costituisce un ammortizzatore essenziale in tempi di crisi per lo Stato e per i cittadini, tranne nei casi in cui il sistema previdenziale sia individuale e si basi su fondi finanziari privati soggetti all'imprevedibilità dei mercati. Il CESE ritiene che le autorità responsabili delle decisioni dovrebbero impedire che la totale apertura alla concorrenza all'interno di una vasta zona economica euroamericana integrata riduca il livello di protezione dei cittadini. A questo proposito il CESE non può che rallegrarsi per il successo ottenuto dall'attuale presidenza americana al fine di istituire un nuovo sistema di assicurazione sanitaria negli Stati Uniti.

8.4.1   Salute

8.4.1.1   L'obiettivo UE di una convergenza sociale verso l'alto associata a un principio di conservazione dei diritti sociali conquistati suscita l'approvazione dei cittadini e va quindi mantenuto. Le donne europee non accetterebbero mai, ad esempio, una riduzione del loro congedo di maternità, che negli Stati Uniti è molto breve e a volte non retribuito.

8.4.1.2   Il CESE ritiene che il dialogo Europa-Stati Uniti troverebbe arricchimento grazie ad una riflessione su queste questioni fondamentali per la coesione tra le società delle due sponde dell'Atlantico. La società americana si è fortemente divisa riguardo alla proposta di un'assicurazione sanitaria regolamentata e socializzata, finanziata dalle tasse e soggetta al controllo dei rappresentanti eletti. A giudizio del CESE mancano forse in questo caso informazioni sul modello europeo che, senza essere centralizzato a livello di continente, offre garanzie solidali e collettive a tutti, compresi i cittadini non residenti, tramite regimi di copertura sanitaria universale che contribuiscono al PIL. Il CESE auspica che l'UE garantisca alla società civile americana questo tipo di informazione, di cui potrebbe farsi tramite il dialogo tra le organizzazioni della società civile.

8.4.2   Pensioni

8.4.2.1   Come nel caso delle altre componenti dei sistemi di protezione sociale, esistono delle differenze tra i regimi pensionistici dei diversi Stati membri dell'UE, con ripercussioni significative sull'economia generale. A tale proposito, i rappresentanti della società civile dovrebbero essere ascoltati nell'ambito del dialogo euroamericano, in quanto degli accordi commerciali volti ad integrare le due comunità potrebbero ripercuotersi sul tenore di vita dei cittadini.

8.4.3   Disoccupazione

8.4.3.1   Gli Stati membri dell'UE dispongono tutti di sistemi pubblici di indennizzo della disoccupazione. L'integrazione euroamericana comporta il rischio globale, per motivi di competitività, di produrre una maggiore flessibilità non accompagnata da una maggiore sicurezza. Gli europei possono temere, al pari degli americani, un peggioramento della loro situazione (18). La vita dei lavoratori statunitensi è peggiorata dal 1970. Con la crisi, la precarietà aumenta su entrambe le sponde dell'Atlantico, e così il numero dei lavoratori poveri (working poor). Di fronte a una crisi economica di portata storica, da entrambe le sponde dell'Atlantico si teme che un aumento della flessibilità comporti un peggioramento della situazione. Il CESE è del parere che la flessicurezza possa talvolta giovare ai lavoratori, quando la sicurezza promessa viene effettivamente assicurata, ma che niente possa sostituire un impiego stabile che dia accesso a una retribuzione e a una pensione decenti. L’Unione europea ha una tradizione di dialogo sociale che sa tenere conto degli interessi rispettivi dei partecipanti. Essa dispone di testi in materia e di istituzioni. Tale dialogo sociale presuppone l'esistenza di organizzazioni datoriali e sindacali rappresentative e combattive per condurre i negoziati.

9.   Servizi pubblici  (19)

9.1   Istruzione

9.1.1   Le università degli Stati Uniti, tutte a pagamento, sono riconosciute come le migliori al mondo e sono molto ricercate dagli europei sia per effettuarvi gli studi che per insegnarvi. Gli americani, al pari dei loro omologhi europei, ritengono che il futuro dell'occupazione sia più facilmente aperto ai lavoratori adeguatamente formati e altamente qualificati:

«Questi si troveranno nella posizione migliore per ottenere posti di lavoro ben remunerati, alimentando così la prosperità americana.

Il numero di posti di lavoro che richiedono un titolo di studi superiori dovrebbe aumentare molto più rapidamente rispetto a quello dei posti per lavoratori meno qualificati; la crescita maggiore dovrebbe essere registrata dai posti che richiedono un diploma universitario o professionale post secondario.»

[Gabinetto del Presidente degli Stati Uniti - Consiglio dei consulenti economici (CEA), Jobs of the Future].

9.1.2   La formazione è un ponte proteso verso il futuro. Nell'UE, dove l'insegnamento in genere è gratuito, i tagli ai servizi pubblici e l'adozione di politiche di bilancio nazionali più stringenti hanno condotto a un incremento delle disparità in termini di opportunità offerte. Con la strategia di Lisbona l'UE consiglia agli Stati membri di adeguare, prima, le università (ciclo di studi superiori) e, poi, eventualmente i licei (ciclo di studi secondari) alle esigenze delle imprese.

9.1.3   Il CESE è dell'avviso che l'istruzione aperta a tutti, la parità tra i sessi che ne deriva e la possibilità di conciliare vita familiare e professionale dovrebbero essere in grado di offrire ai cittadini opportunità a 360 gradi. Potrebbero altresì essere al centro di scambi e di un dialogo tra le società che si affacciano sulle due sponde, al pari dell'istruzione permanente e delle relative modalità di finanziamento, in modo tale che l'economia dei servizi fondata sulla conoscenza vada a beneficio di entrambe le società, trovando allo stesso tempo il modo per tener conto di quanti non possono accedervi.

9.2   Accordo generale sugli scambi di servizi (GATS)

9.2.1   Sono stati i cittadini dell'UE a battersi per salvare la loro industria cinematografica e per salvaguardare la specificità della cultura europea di fronte ai pericoli derivanti dalla liberalizzazione mondiale dei servizi. La difesa dell'identità europea presuppone un rafforzamento del dialogo tra le culture per conservare la ricchezza che nasce dalla diversità: numerosi sono gli aspetti collegati, come l'occupazione, la tutela del patrimonio, lo sviluppo dell'innovazione e della creatività.

9.2.2   La cultura non è solo una merce. A giudizio del CESE essa dovrebbe trovare spazio nel dialogo transatlantico delle organizzazioni della società civile.

9.3   Il caso specifico dell'immigrazione e dell'integrazione

9.3.1   Le due società, entrambe interessate dal fenomeno dell'invecchiamento, devono gestire i rispettivi flussi migratori. La sfida consiste nel conciliare l'invecchiamento con il bisogno di manodopera, individuando un limite di tolleranza per la coesione sociale. Questo dipende dalle politiche d'integrazione, che vanno viste a lungo termine, in un'ottica globale e bidirezionale immigrati-società d'accoglienza. Le pressioni interne ed esterne sono forti. Il CESE ritiene che la questione dell'immigrazione sia importante per le democrazie e auspica che essa diventi oggetto del dialogo sociale transatlantico, con il possibile coinvolgimento del FEI su questo tema.

10.   Dialogo sociale

10.1   Il dialogo sociale rappresenta uno dei punti sui quali le due società si discostano maggiormente. Il dialogo sociale che si è imposto nella storia europea ha acquisito valore di cultura; esso invece manca ai cittadini americani, che non dispongono così degli strumenti per essere ascoltati. Tra le due società occorre trovare canali diversi per dare la parola ai lavoratori dipendenti e sviluppare l'informazione-consultazione, soprattutto in questo periodo di crisi dopo il crac finanziario del 2008. Il CESE ritiene necessario stabilire norme comuni per valutare e confrontare le situazioni sociali e lavorative dei due blocchi, in particolare l'orario di lavoro e i benefici sociali, allo scopo di disporre di una visione chiara della competitività di ciascuno, fintanto che la globalizzazione degli scambi continuerà ad utilizzare i salari come variabile d'aggiustamento.

10.2   Nella sua risoluzione del 2009 il Parlamento europeo prevedeva un coordinamento delle attività politiche con il Congresso americano e uno stretto ravvicinamento tra le banche centrali USA e UE. Le convenzioni dell'OIL non sono state però ratificate dagli Stati Uniti. Uno studio (20) mette in rilievo l'esistenza di un mercato del lavoro americano in cui le protezioni fondamentali, come il diritto ad un salario minimo, alla retribuzione delle ore di lavoro straordinario, alla pausa pranzo, ad indennità in caso d'incidente o a condizioni di lavoro migliori non sono riconosciute a numerose categorie di lavoratori dipendenti.

10.3   Il CESE ritiene che, nel quadro del dialogo sociale transatlantico, la parte attualmente dedicata all'ascolto dei rappresentanti della società civile - e in particolare dei lavoratori - sia troppo esigua.

11.   Ambiente

11.1   Una politica americana impegnata a favore dell'ambiente avrebbe ripercussioni sulle scelte in materia di bilancio e sull'occupazione. Il CESE ritiene che il dialogo transatlantico possa accelerare la sensibilizzazione in termini di maggiore sostenibilità e che in questo caso la società civile e i consumatori abbiano un ruolo da svolgere per rendere più verde l'economia.

11.2   L'UE e gli Stati Uniti dovrebbero - insieme - poter inventare nuove industrie in risposta al bisogno di energie rinnovabili. California e Portogallo hanno operato le medesime scelte sull'importanza da attribuire all'energia solare e a quella eolica. Il CESE ritiene che sarebbe disastroso per il futuro delle due potenze avere delle idee innovative per poi ricorrere alle tecnologie cinesi (ad es. nel caso del fotovoltaico).

12.   Sul piano istituzionale

12.1   Il precedente parere del CESE sulle relazioni transatlantiche individuava diversi scenari possibili per il DTL e il CET.

12.2   Il CESE vorrebbe essere innovativo e integrare in modo istituzionale i rappresentanti della società civile in un dialogo transatlantico delle organizzazioni della società civile. In qualunque dialogo, relazione, studio o accordo realizzato nel quadro delle relazioni transatlantiche dovrebbe figurare un capitolo sulle ripercussioni sociali delle misure previste, al di là della sola creazione di nuova occupazione. Gli Stati membri non hanno ancora dotato l'Unione di una politica sociale integrata, nonostante l'Europa nella pratica disponga di un autentico modello comune, il che le permetterebbe di far valere il proprio punto di vista nel dialogo con gli Stati Uniti. Essa deve promuovere l'MSE, accentuando la propria visibilità negli Stati Uniti.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Come dimostra l'aumento del PIL degli Stati membri dalla creazione dell'UE in poi; cfr. anche la nota 6.

(2)  CET/TEC: Consiglio economico transatlantico; DTL: dialogo transatlantico sul lavoro (dialogo delle organizzazioni sindacali).

(3)  GU C 309 del 16.12.2006, pagg. 119-125.

(4)  Accordo siglato alla Casa Bianca da G. W. Bush, A. Merkel e J. M. Barroso.

(5)  Risoluzione del PE Stato delle relazioni transatlantiche all'indomani delle elezioni negli Stati Uniti, 26 marzo 2009, GU C 117E del 6.5.2010, pag. 198.

(6)  Sul modello sociale europeo si rimanda a: Preambolo del Trattato di Lisbona «Confermando il proprio attaccamento ai diritti sociali fondamentali quali definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989…»; cfr. anche TUE, articoli 3, 6 e 32; TFUE, articolo 9 e Titolo X; Trattato di Lisbona - Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, articoli 28, 34, 35 e 36.

(7)  OCSE, dipartimento Affari economici, Les bénéfices de la libéralisation des marchés de produits et de la réduction des barrières aux échanges et aux investissements internationaux: le cas des États-Unis et de l'Union européenne (I vantaggi della liberalizzazione dei mercati dei prodotti e della riduzione delle barriere agli scambi e agli investimenti internazionali: il caso degli Stati Uniti e dell'Unione europea), 2005.

(8)  Sezione 1, GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 117-124.

(9)  Questo progetto, presentato congiuntamente dai commissari Leon Brittan (Commercio estero), Martin Bangemann (Industria e telecomunicazioni) e Mario Monti (Mercato interno) nel marzo 1998, riguardava le relazioni UE-USA e proponeva: 1) una zona di libero scambio per i servizi, 2) l'eliminazione delle barriere tecniche al commercio, tramite in particolare accordi di mutuo riconoscimento, 3) la liberalizzazione degli appalti pubblici, della proprietà intellettuale e degli investimenti e 4) eventualmente la soppressione progressiva dei dazi doganali sui prodotti industriali entro il 2010 (termine spostato poi al 2015).

(10)  Prosegue la deindustrializzazione, in Europa come negli Stati Uniti, dove nel settore manifatturiero l'occupazione si è ridotta del 30 % nel corso del decennio in esame; la partecipazione degli USA agli scambi mondiali è passata dal 13 % (un decennio fa) al 9 %; intanto i paesi dell'UE seguitano a delocalizzare la produzione. Riguardo alla durata dell'orario di lavoro, si rimanda allo studio condotto da Rones & al., 1997, citato in: Revue Internationale de l'IRES, n. 54-01.2001.

(11)  Nel 2009 la direzione generale RELEX della Commissione europea ha lanciato un invito a presentare proposte (per un ammontare di 800 000 euro) di progetti della società civile che incoraggino il dialogo UE-USA.

(12)  GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 117-124.

(13)  SWIFT: Society for Worldwide Interbank Financial Communications, società americana di diritto belga che gestisce gli scambi internazionali di dati finanziari relativi a più di 200 paesi.

(14)  PE (05305/1/2010REV1-C7-0004/2010-2009/0190(NLE). Accordo SWIFT II, PE 8.7.2010 (11222/1/2010/REV1 e COR1-C7-0158/2010-0178-(NLE)).

(15)  Dibattito organizzato in data 17 marzo 2010 da Euractiv.fr con la rappresentanza permanente della Commissione a Parigi e il sostegno del DTCC, Depositary Trust and Clearing Corporation, in Questions d'Europe n. 165 del 6 aprile 2010, Fondazione Robert Schuman.

(16)  GU C 228 del 22.9.2009, pagg. 32-39.

(17)  TFUE, articolo 9.

(18)  Middle Class in America.

(19)  GU C 128 del 18.5.2010, pagg. 97-102.

(20)  A cura di Annette Bernhardt, dottorato, codirettrice politica del National Employment Law Project (NELP - progetto di legge sull'occupazione).


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento è stato respinto nel corso del dibattito, ma ha ottenuto più di un quarto dei voti espressi.

Punto 1.4

Modificare come segue:

Il CESE raccomanda che la zona euroatlantica si doti, oltre che di nuove regolamentazioni finanziarie, anche di norme comuni sulle agenzie di rating e di nuove regole di concorrenza che tengano maggiormente conto . Il CESE .

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

66

Voti contrari

:

76

Astensioni

:

21


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il rinnovo del metodo comunitario (orientamenti)» (parere d'iniziativa)

2011/C 51/05

Relatore generale: MALOSSE

Correlatore: DASSIS

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 17 dicembre 2009, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Il rinnovo del metodo comunitario (orientamenti).

Il sottocomitato Rinnovo del metodo comunitario, incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 maggio 2010.

Tenuto conto dell'imminente rinnovo del proprio mandato, nella sua 466a sessione plenaria, dei giorni 19, 20 e 21 ottobre 2010 (seduta del 21 ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha nominato MALOSSE relatore generale, ed adottato il seguente parere con 187 voti favorevoli, 5 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   L'Unione europea, pur avendo ottenuto successi importanti e pur vedendo ampliarsi il suo raggio di azione, non cessa di dubitare e far dubitare di se stessa. L'unione economica e monetaria, pur potendo fregiarsi del successo dell'euro, è oggi scossa duramente dalla crisi finanziaria più di qualsiasi altra parte del mondo. La strategia di Lisbona, da parte sua, non è riuscita a far conquistare all'Unione la posizione di leader mondiale nell'economia della conoscenza. Di fronte a queste difficoltà, i cittadini avvertono una crescente insofferenza, e molti di loro si chiedono se l'UE si mostrerà in grado di affrontare con successo le grandi sfide dei nostri tempi: la globalizzazione, i cambiamenti climatici, l'uscita dalla crisi economica e finanziaria.

1.2   Nei momenti di dubbio come questi, è sempre bene rifarsi ai «fondamentali» della costruzione europea. Il metodo comunitario, che ha «fatto la fortuna» dell'Unione europea, deve essere rinnovato e rilanciato.

1.3   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda di applicare il metodo comunitario agli ambiti che oggi suscitano le aspettative dei cittadini: il rilancio dell'economia europea, la dinamizzazione dei nostri sistemi di istruzione, innovazione e ricerca, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, lo sviluppo sostenibile e la lotta contro le calamità naturali, la promozione delle pari opportunità e dello spirito d'impresa, la libertà di circolazione e la mobilità delle persone nel rispetto dei diritti sociali, lo sviluppo di servizi di interesse generale di dimensione europea, segnatamente in materia di comunicazioni, ambiente, sanità, sicurezza e protezione civile.

1.4   Questo rilancio del metodo comunitario potrà rivelarsi efficace solo se accompagnato dalle risorse necessarie, quali un aumento adeguato del bilancio europeo, lo sviluppo di partenariati pubblico-privati, un migliore coordinamento tra i bilanci nazionali e quello dell'UE, il consolidamento di un vero e proprio Fondo monetario europeo.

1.5   Il CESE reputa infine che il metodo comunitario degli anni Dieci del Duemila non possa essere quello degli anni Sessanta od Ottanta del secolo scorso. Oggi, infatti, è necessario coinvolgere e far partecipare i cittadini, in particolare attraverso la democrazia partecipativa e gli attori della società civile. Il CESE rivendica così per la società civile europea un ruolo sempre più importante riguardo all'iniziativa delle politiche dell'Unione ma anche alla valutazione del loro impatto al fine di garantirne l'effettiva attuazione o di correggerne i possibili effetti negativi.

1.6   Così adeguato alle sfide del presente e alle attese dei cittadini, dotato di risorse effettive per la sua applicazione e rinnovato da una migliore partecipazione della società civile, il metodo comunitario può e deve tornare ad essere la leva per il rilancio dell'integrazione europea.

2.   Perché rinnovare il metodo comunitario

2.1   Fin dagli inizi dell'avventura europea, il metodo comunitario ha fatto l'originalità e il successo di quel processo di «costruzione dell'Europa» che ha condotto all'odierna Unione europea. Tale metodo è caratterizzato da:

risorse comuni poste al servizio di obiettivi comuni,

progetti nel segno dell'interesse generale,

dibattiti aperti e democratici che coinvolgono la società civile,

decisioni adottate a maggioranza nel rispetto del diritto,

un controllo amministrativo e giurisdizionale effettivo della loro attuazione,

un impatto immediato sugli ambienti economici e sociali e un collegamento diretto con tali ambienti.

È basandosi su questo metodo comunitario che si è garantito l'essenziale dei progressi europei.

2.2   Gli Stati membri hanno mantenuto competenze ampiamente prevalenti o addirittura esclusive nei settori non direttamente disciplinati dai Trattati: da quelli tradizionalmente rientranti nella sovranità statale, come la difesa o la pubblica sicurezza, a quelli contraddistinti da specifiche caratteristiche politiche, culturali e storiche, come la fiscalità o le relazioni sociali. La cooperazione intergovernativa in tali settori è a sua volta un aspetto importante della costruzione europea, che meriterebbe anch'esso di essere analizzato per misurare il suo impatto reale e valutare la sua adeguatezza alle realtà e alle sfide dell'odierna Unione europea.

2.3   La buona riuscita dell'approccio comunitario riguardo ai principali obiettivi comuni è andata di pari passo con lo sviluppo economico e l'approfondimento politico del processo di integrazione europea. Questi risultati positivi hanno assicurato a questo approccio una potente forza di attrazione, rivelandosi un metodo privo di vere alternative sul continente europeo con i successivi allargamenti dell'UE, dapprima ad Ovest, a Nord e a Sud e poi, dopo la fine della cortina di ferro, anche ad Est.

2.4   Negli ultimi anni, tuttavia, il metodo comunitario ha perso in parte il suo vigore e la sua forza di trascinamento. La Commissione non è sempre parsa avere i mezzi e la volontà di assumere iniziative che fossero all'altezza delle sfide e delle aspettative. Oggi, per di più, l'Unione europea è chiamata ad affrontare sfide di tipo nuovo, dovendo fare i conti con una crescente globalizzazione che non lascia scampo e con una crisi finanziaria ed economica che, oltre a mettere in difficoltà molte imprese, in particolare piccole e medie, accresce le disparità sociali, con il risultato che un numero sempre maggiore di persone si ritrova escluso dal benessere o quantomeno in gravi difficoltà. I cittadini europei diventano sempre più diffidenti nei confronti di una costruzione europea che sembra creare loro più problemi di quanti riesca a risolvere.

2.5   La mancanza di un impatto europeo al vertice mondiale di Copenaghen del 2009 sui cambiamenti climatici e l'incapacità dell'Unione di reagire da sola alle difficoltà finanziarie di uno degli Stati membri della zona euro non hanno fatto che aggravare questa sensazione di disagio, che ha agitato anche gli ambienti finanziari.

2.6   Di fronte all'accelerazione del processo di globalizzazione, l'UE appare assai lenta e bloccata nelle sue contraddizioni, nelle sue complessità e nelle sue lentezze. Sull'onda dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il CESE raccomanda perciò di rinnovare il metodo comunitario, sì da realizzare un rilancio indispensabile per ricollocare l'Europa nel posto che le compete sulla scena economica e politica mondiale. Le raccomandazioni del CESE riguardano in particolare le seguenti questioni principali:

la valorizzazione dell'identità e dell'interesse generale europei,

l'adeguatezza degli obiettivi e delle risorse,

l'impegno della società civile.

3.   La valorizzazione dell'identità e dell'interesse generale europei

3.1   Se si vuol rilanciare il metodo comunitario, è indispensabile affermare ulteriormente l'identità comune europea onde promuoverla al di là degli interessi nazionali e delle diversità. Così, non serve a nulla moltiplicare le prescrizioni giuridiche per l'apertura degli appalti pubblici, se gli Stati membri e le rispettive amministrazioni nazionali non hanno alcun incentivo reale ad acquistare prodotti e servizi europei poiché, per la sensibilità dei «loro» contribuenti e della pressione delle «loro» imprese, il concetto di «europeo» resta analogo a quello di «straniero». Di fronte alla globalizzazione, infatti, solo un'Europa ricompattata intorno ai propri obiettivi comuni essenziali sarà in grado di realizzare quegli stessi obiettivi.

3.2   Ciò presuppone segnatamente la determinazione di un interesse generale dell'Unione europea. La Commissione dovrebbe stimolare maggiormente il dibattito in questo campo anziché restare in disparte come ha fatto ancora di recente di fronte alla crisi finanziaria e alle difficoltà incontrate da uno dei paesi della zona dell'euro. Essa sembra troppo spesso preoccupata di gestire le suscettibilità immediate dei singoli Stati membri e delle rispettive amministrazioni nazionali, laddove, se correttamente inteso, l'interesse comune di tutti avrebbe spesso imposto di adottare soluzioni che facciano appello alla solidarietà e alla nozione di comunanza di interessi.

3.3   La Commissione, tuttavia, sembra incontrare difficoltà sempre maggiori nel definire e rappresentare questo interesse generale europeo, mentre sarebbe proprio questo il suo ruolo. Bisogna quindi che questa istituzione ritrovi lo slancio degli anni Sessanta ed Ottanta. Oggi la Commissione non deve più agire da sola, e la creazione di un nuovo triangolo istituzionale - con un Parlamento europeo rafforzato e un Consiglio europeo il cui Presidente è nominato per cooptazione - dovrebbe incoraggiarla a svolgere pienamente il suo ruolo di organo propositivo e di controllo.

3.4   In quanto rappresentante dei cittadini, il Parlamento europeo è ormai chiamato a svolgere un ruolo preponderante nella determinazione dell'interesse generale europeo. Affiancandosi a questa istituzione, i due Comitati consultivi dell'UE (il CESE e il CdR) dovrebbero poter svolgere un ruolo moltiplicatore per stimolare e confortare le iniziative della Commissione europea, senza trascurare nemmeno il diritto di iniziativa dei cittadini nonché tutti gli altri collegamenti con la società civile.

3.5   Il rinnovo del metodo comunitario avrà però un senso soltanto se sarà accompagnato da una revisione del concetto di «sussidiarietà», il quale è stato interpretato solo a senso unico, ossia come uno strumento per frenare l'applicazione di tale metodo e l'adozione di nuove politiche comunitarie. Occorre infatti dare a questo concetto un'impostazione nuova e più dinamica, fondata sul principio per cui, per motivi di efficacia e di economie di scala, sempre più spesso risulterà preferibile trasferire al livello europeo tutto ciò che, per essere realizzato, richiede risorse importanti: infrastrutture, ricerca e sviluppo, politica industriale, difesa, politica estera, sicurezza, lotta contro le emergenze sanitarie, ecc. I cittadini europei sono perfettamente in grado di comprendere questa esigenza, a patto però che i leader politici dei singoli Stati membri cessino di celare loro la verità.

3.6   Di fronte al fossato sempre più ampio che divide i cittadini dalle istituzioni europee, occorre che l'Unione definisca nuovi campi di applicazione del metodo comunitario che corrispondano ad aspettative forti dei cittadini.

3.6.1   È dunque giunto il momento di realizzare dei servizi europei di interesse generale nei campi in cui l'evoluzione delle situazioni e delle sfide li rende oggi necessari: protezione civile, aiuto internazionale d'emergenza, servizi doganali, trasporti, centri di ricerca, reti ad alta velocità ecc. Su queste nuove basi si potrebbero promuovere concessioni europee di interesse generale, attraverso partenariati pubblico-privati, per sviluppare le reti transeuropee (trasporti, energia, telecomunicazioni) e accrescere così la coesione e la competitività dell'Unione europea.

3.6.2   Per facilitare la vita dei cittadini e delle imprese e far loro prendere coscienza della realtà del mercato unico, occorrerebbe inoltre adottare senza indugio un certo numero di misure di cui si è da tempo accertata l'utilità per l'interesse generale: una politica industriale europea contraddistinta da sinergie in grado di far fronte alla globalizzazione, uno statuto europeo per le PMI, le fondazioni e le associazioni, uno sportello fiscale unico per le attività transfrontaliere delle PMI, un brevetto comunitario. Bisognerà inoltre sviluppare una serie di strumenti normativi che garantiscano la libera circolazione delle persone nel rispetto dei diritti sociali e dei contratti collettivi. Altre misure potrebbero poi vedere la luce in seguito a iniziative dei cittadini, riprese in particolare dal Parlamento europeo e dal CESE, specie in materia di sicurezza dell'approvvigionamento energetico, sviluppo sostenibile e protezione dei consumatori.

3.6.3   Come il CESE ha più volte sottolineato, la scelta di disciplinare con direttive un settore cruciale come quello degli appalti pubblici si è risolta in un gravissimo fallimento, molto probabilmente il più grave mai sperimentato nell'ambito della realizzazione del mercato unico. A più di 30 anni dall'entrata in vigore dell'Atto unico europeo, gli appalti pubblici continuano ad essere troppo frammentati. L'accumularsi di direttive europee molto dettagliate e di normative interne che si aggiungono ad esse, nonché di molteplici deroghe, ha finito per perpetuare, in mancanza di uno spirito comunitario, la compartimentazione di un settore che rappresenta il 15 % del PIL europeo. In questo campo, così come negli altri in cui ciò appaia opportuno, la Commissione dovrebbe privilegiare la forma del regolamento, che ha applicazione diretta, rispetto a quella della direttiva, la cui attuazione suppone un recepimento nell'ordinamento nazionale.

3.6.4   L'Unione europea deve investire maggiormente nel «triangolo della conoscenza»: istruzione, ricerca e innovazione. L'istruzione, di cui è nota la cruciale importanza per la ripresa dell'Europa, non può rimanere estranea all'Unione europea. Sulla scia del successo dell'iniziativa Erasmus e in virtù di un nuovo approccio ispirato all'interesse generale, dovrebbero vedere la luce a livello europeo programmi più ambiziosi di mobilità, scambi sostenuti mediante una rete europea di università, iniziative specifiche volte a promuovere competenze chiave e a sviluppare lo spirito d'impresa, e azioni a favore di determinati gruppi destinatari. In materia di ricerca e innovazione, l'Ottavo programma quadro dell'UE deve diventare il simbolo della nuova Europa e concentrarsi su settori come le nanotecnologie, con centri di ricerca europei, un autentico progetto industriale europeo e risorse umane e finanziarie adeguate.

3.6.5   L'unione economica e monetaria dovrebbe affermarsi come il «nocciolo duro» dell'identità e della coesione europee. Oggi tutto ciò è ancora lontano dalla realtà, come dimostrato dalla dispersione delle politiche nazionali degli Stati membri della zona dell'euro di fronte alla crisi economica e finanziaria. I paesi della zona dell'euro dovrebbero diventare un laboratorio avanzato dell'integrazione economica e finanziaria, sviluppando tra loro cooperazioni rafforzate che creino un effetto di trascinamento positivo ai fini del dinamismo e dell'efficacia dell'UE nel suo insieme. Il CESE appoggia la proposta della Commissione volta a instaurare un «monitoraggio» delle politiche economiche degli Stati membri. Ad avviso del CESE, questo ruolo deve essere di gran lunga più incisivo di quello meramente contabile svolto ad esempio dall'OCSE e tener conto delle priorità politiche dei cittadini dell'Unione, segnatamente in termini di coesione sociale, lotta contro l'esclusione, creazione di posti di lavoro e sviluppo della creatività e dello spirito d'impresa.

3.6.6   L'Unione europea, forte della sua moneta unica, deve parlare con una sola voce anche nel quadro delle concertazioni economiche e finanziarie internazionali, in particolare in sede di G20, e consolidare a livello europeo le sue partecipazioni all'FMI e alla Banca mondiale.

3.6.7   Il rafforzamento della politica esterna europea è un elemento chiave del Trattato di Lisbona. Esso comporta in particolare la creazione di un servizio diplomatico, di un posto di alto rappresentante (cumulato con la funzione di vicepresidente della Commissione) e di delegazioni dell'UE presso i paesi terzi in sostituzione di quelle della Commissione europea. Occorre applicare tale Trattato in maniera ambiziosa, affinché l'Europa parli effettivamente con una sola voce, si esprima all'esterno in modo più fermo e più coerente e nel contempo organizzi in maniera strutturata, sul piano politico, economico, culturale, scientifico e commerciale, un autentico coordinamento delle sue azioni esterne, ponendo fine alle piccole rivalità che servono solo a indebolire la posizione dell'UE.

4.   L'adeguatezza degli obiettivi e delle risorse

4.1   Se molti degli obiettivi dell'UE sono stati realizzati solo in parte, spesso ciò è dovuto alla mancanza della determinazione sufficiente per realizzarli pienamente nonché al mancato utilizzo delle risorse comuni necessarie.

4.1.1   Così, per quanto attiene al rilancio del mercato interno, la relazione di Mario Monti (1) contiene raccomandazioni molto pertinenti per garantirne finalmente l'effettiva attuazione: dinamizzazione della rete Solvit, valutazione del recepimento delle direttive, coinvolgimento delle amministrazioni nazionali, dei parlamenti nazionali e della società civile, rimozione delle ultime «strozzature» specie in materia di mobilità delle persone. Il CESE raccomanda dunque che a tale relazione faccia seguito, previa adeguata consultazione delle componenti della società civile, un piano d'azione preciso che includa anche un calendario di attuazione.

4.1.2   Per fornire risposte adeguate nei nuovi ambiti di applicazione del metodo comunitario, sarà necessario un sostegno finanziario da parte dell'Unione, da accordare nella forma appropriata (allocazioni di bilancio, prestiti, partenariati pubblico-privati, ecc.). Il successo della CECA istituita nel 1951 si fondava proprio sull'adeguatezza dei mezzi disponibili rispetto ai suoi obiettivi. Il bilancio attuale dell'Unione (pari a meno dell'1 % del PIL europeo) è invece davvero troppo esiguo per realizzare gli obiettivi attesi dai cittadini in tutti i campi in cui essa dovrebbe intervenire per garantire una maggiore efficacia. Un aumento costante di tale bilancio tra il 2013 e il 2020, al fine di portarlo al 2 % del PIL europeo, appare un obiettivo del tutto realistico e niente affatto in contrasto - tenuto conto delle economie di scala - con l'esigenza di ridurre il debito pubblico dei singoli Stati membri, anche nella misura in cui il principio dei trasferimenti di bilancio dal livello nazionale a quello europeo sarà compreso dai governi e spiegato correttamente ai cittadini. Ciò consentirebbe in particolare di finanziare il fabbisogno di investimenti e di grandi reti, di sostenere finanziariamente il «triangolo della conoscenza» (istruzione, ricerca, innovazione), di rafforzare la politica di coesione e di fornire all'Unione le risorse umane e finanziarie necessarie per la sua politica esterna.

4.1.3   Per finanziare questo sforzo da qui al 2020, l'UE avrà bisogno di risorse proprie, nonché di un migliore coordinamento tra i bilanci nazionali e il bilancio europeo. Considerato che dopo la crisi finanziaria del 2008 i deficit dei bilanci nazionali sono in continuo aumento, sarà facile dimostrare come, mettendo in comune le risorse per finanziare spese pubbliche come la difesa, la sicurezza delle frontiere, gli aiuti esterni, la ricerca o la politica industriale, si riuscirà a ridurre più rapidamente il debito pubblico senza peraltro penalizzare la crescita. Gli Stati membri devono dar prova della loro volontà politica di impegnarsi su questa strada.

4.1.4   Di fronte alla crisi finanziaria, un primo significativo passo avanti sarebbe stato l'istituzione di un vero e proprio Fondo monetario europeo di intervento e stabilizzazione della zona euro (una sorta di «Federal Reserve» europea) che consentisse di affrontare in maniera solidale le difficoltà incontrate da un membro di tale zona. Solo in seguito al crollo del valore dell'euro e all'aggravarsi della crisi in uno Stato membro gli Stati dell'eurozona si sono decisi a creare un embrione di tale fondo e a intervenire non più sul piano bilaterale bensì in maniera collettiva - pur continuando peraltro a invocare l'aiuto supplementare dell'FMI.

4.1.5   Per di più, risulta chiaro che il conseguimento degli obiettivi di integrazione e di coesione necessiterebbe di una migliore allocazione delle risorse europee per sostenere maggiormente i programmi transfrontalieri, ai quali è destinato appena l'1 % del bilancio quando costituiscono invece snodi indispensabili per il buon funzionamento del mercato unico. Vero ciò, il successo della strategia Europa 2020 riposa non tanto sulla disponibilità dei mezzi necessari quanto piuttosto su un'effettiva adesione dei cittadini ai suoi obiettivi, che purtroppo non si riscontra ancora.

4.2   L'Europa dei 27 non può più essere governata come quella dei 6. Il triangolo istituzionale riserva giustamente un ruolo più importante al Parlamento europeo. Occorre inoltre dare al più presto consistenza, sul piano istituzionale così come nella prassi, al diritto di iniziativa dei cittadini, che deve diventare un autentico strumento di democrazia.

4.2.1   L'ampliamento delle competenze dell'UE è andato di pari passo con l'estensione dell'applicazione della procedura di codecisione Parlamento-Consiglio. Per contro, i vari Trattati che hanno via via introdotto queste nuove norme non hanno adeguato di conseguenza le procedure di consultazione. Oggi il CESE viene consultato in merito alle proposte della Commissione all'avvio della procedura di codecisione, mentre dovrebbe esserlo ben prima che questa inizi.

4.2.2   Il CESE assolverebbe il suo ruolo consultivo in maniera più efficace se fosse consultato prima dei codecisori, non appena fosse stata elaborata la valutazione preliminare d'impatto. Il concetto di parere esplorativo acquisterebbe in tal modo tutto il suo significato. Il parere del Comitato potrebbe così essere allegato, insieme con la valutazione d'impatto, alla proposta trasmessa dalla Commissione ai codecisori. Il relatore del CESE dovrebbe poi poter essere ascoltato dalla commissione competente del Parlamento europeo.

4.2.3   La Commissione dovrebbe inoltre effettuare sempre consultazioni appropriate qualora preveda di ritirare una proposta già presentata, in particolare quando tale proposta riguardi direttamente gli attori della società civile. La Commissione non avrebbe così dovuto ritirare senza consultazione la sua proposta di statuto europeo delle associazioni.

4.2.4   In materia di governance l'Unione deve garantire in maniera più attiva il principio della parità tra i sessi, permettendo anche alle donne di accedere in posizione di uguaglianza ai centri di decisione e consultazione.

4.3   Il Trattato di Lisbona ha nuovamente ampliato il campo delle decisioni adottate a maggioranza qualificata, che diventano così la regola del funzionamento dell'UE a 27. L'unanimità resta comunque necessaria in determinati settori, peraltro strettamente connessi agli affari europei: ad esempio in materia di fiscalità. L'esperienza indica chiaramente che tale requisito blocca sovente il funzionamento dell'UE nei settori in cui l'unanimità è ancora necessaria. È dunque quantomeno paradossale che l'Unione europea, che pure ambiva a diventare l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, non sia riuscita, malgrado le intenzioni più volte ribadite del Consiglio europeo, a sbloccare l'adozione del brevetto europeo, che era e resta soggetta alla regola dell'unanimità.

4.3.1   Numerosi precedenti indicano tuttavia che il metodo comunitario ha talora consentito di trovare, quando fosse necessario, gli strumenti necessari per aggirare l'ostacolo rappresentato dalla regola dell'unanimità. Così, il protocollo sociale e la Carta dei diritti sociali fondamentali hanno potuto essere adottati già da 11 Stati membri, ai quali il Regno Unito si è aggiunto solo in un secondo momento. Non si potrebbe trarre ispirazione da un tale esempio di flessibilità in altri settori in cui si pone tuttora il problema di una paralisi decisionale, ad esempio in materia di brevetto europeo o di armonizzazione della base imponibile delle società?

4.3.2   L'UEM è molto probabilmente un buon esempio di una cooperazione rafforzata ben riuscita, avviata da un gruppo ristretto di paesi ma aperta anche agli altri che abbiano la capacità di integrarvisi. Tuttavia, l'Eurogruppo non è ancora riuscito, a fronte di una Banca centrale europea di carattere federale, a sviluppare una governance economica comune all'altezza dell'Unione monetaria. Il ritardo accumulato nel corso degli anni 2000 ha ormai assunto proporzioni preoccupanti. Se non verrà gradualmente riassorbito nel corso del decennio 2010, tale ritardo porrà a repentaglio la coesione, la competitività e l'occupazione della zona dell'euro, nonché ovviamente la stessa sostenibilità a lungo termine della moneta unica. Per rimediare a questa situazione, sarebbe necessario e urgente rivedere il funzionamento dell'Eurogruppo per accrescerne l'efficacia e la trasparenza, in particolare facendo sì che i capi di Stato o di governo dei paesi dell'eurozona si riuniscano regolarmente (e non soltanto nelle situazioni di crisi) e allarghino la partecipazione alle loro riunioni agli altri ministri (come quelli agli Affari sociali o all'Industria) interessati alla «tenuta» dell'euro.

4.4   Con un'UE di 27 Stati membri, la questione del corretto recepimento delle direttive e dell'eurocompatibilità delle politiche nazionali assume evidentemente un rilievo cruciale. A nulla vale agevolare l'adozione delle direttive se poi gli Stati membri stentano ad attuarle nei termini stabiliti o vi aggiungono disposizioni superflue di diritto interno.

4.4.1   La Commissione dovrebbe migliorare i suoi quadri di valutazione del recepimento delle direttive, i quali consentono spesso di esercitare una pressione efficace sugli Stati membri inadempienti. Le diverse componenti della società civile organizzata andrebbero consultate in merito a queste situazioni.

4.4.2   Gli aiuti dell'UE dovrebbero focalizzarsi maggiormente, laddove necessario, sul miglioramento delle condizioni in cui gli Stati membri recepiscono ed applicano la normativa comune e sulla rimozione degli ostacoli e degli attriti tuttora esistenti al riguardo.

5.   Promuovere l'impegno della società civile

5.1   Si tende troppo spesso a dimenticare l'obiettivo della costruzione europea citato da Jean Monnet: «noi non coalizziamo Stati: noi uniamo uomini». La sfiducia manifestata dagli elettori nel corso delle consultazioni effettuate negli ultimi anni riguardo al futuro dell'Europa deve indurre a interrogarsi sulle modalità di partecipazione della società civile, che oggi sono chiaramente insufficienti.

5.2   La normativa UE continua ad essere elaborata in condizioni troppo lontane dai cittadini, le cui legittime attese in termini di libertà, sicurezza e semplificazione sono troppo spesso deluse dalle paralisi decisionali o dai compromessi, eccessivamente modesti, degli Stati membri e delle loro amministrazioni nazionali. Per questo bisognerebbe rafforzare la partecipazione di rappresentanti della società civile, e in particolare degli utenti, in seno ai comitati di regolamentazione, sulla scia dei metodi sperimentati dai progetti di semplificazione SLIM; questa volta, però, ciò dovrebbe avvenire a monte, ossia già nella fase di elaborazione della normativa, anziché a valle, ossia a normativa già adottata, quando ci si sforza di correggere i difetti peggiori percepiti dagli utenti!

5.3   È inoltre assolutamente necessario riconoscere agli attori della società civile degli spazi europei di libertà e di responsabilità che consentano loro di definire regole comuni che li riguardano, mediante pratiche autonome di autoregolamentazione, o di specificare determinati aspetti della disciplina eteronoma del loro settore, mediante inviti del legislatore a elaborare misure di coregolamentazione. L'autonomia contrattuale delle parti sociali europee è stata loro riconosciuta dal Trattato di Maastricht, su loro espressa richiesta. Senza che il Trattato l'abbia espressamente previsto, pratiche di questo tipo hanno preso piede anche in altri settori: normalizzazione tecnica, riconoscimento di qualifiche professionali, prestazione di servizi, commercio - specie elettronico -, sicurezza delle consegne e dei pagamenti, diritti dei consumatori, energia, ambiente. Il Comitato ha censito e dato il suo appoggio a queste pratiche in una relazione informativa. Un accordo interistituzionale europeo del 2003 ne ha disciplinato le modalità. Adesso bisogna che il legislatore europeo preveda nella sua legislazione spazi di libertà che incoraggino queste pratiche, sotto il suo controllo e in maniera complementare alla sua attività. Tale sostegno dovrebbe estendersi altresì ai modi alternativi di risoluzione delle controversie, quali la conciliazione e la mediazione.

5.4   Non si farà progredire l'Europa se non si incoraggeranno gli europei a sentirsi tali e ad agire come tali. Ciò presuppone che si diano loro gli strumenti comuni che ancora gli mancano: diritti economici e sociali più chiari, procedure più semplici, strumenti giuridici più autonomi, veri e propri statuti comuni (ad esempio per le associazioni, le società, le fondazioni). È innanzitutto a livello locale (dei cittadini, delle associazioni, degli amministratori locali) che l'Europa deve essere «sentita» come una necessità e diventare un'aspirazione e un motivo d'orgoglio comuni.

5.5   Bisogna dunque avviare un programma pluriennale, con un calendario preciso che copra tutto il decennio 2010, per dare agli europei stessi gli strumenti necessari per svolgere insieme un ruolo motore, senza il quale non sarà possibile rinnovare il metodo comunitario.

5.6   Il CESE, il CdR e le grandi organizzazioni europee della società civile legate ai tre gruppi rappresentati nel Comitato («Datori di lavoro», «Lavoratori» e «Attività diverse») potrebbero, con l'indispensabile appoggio del Parlamento europeo, considerare la possibilità di lanciare un'ampia consultazione sui principali temi di interesse generale per il prossimo decennio che potrebbero beneficiare di un rilancio del metodo comunitario, cioè in pratica di nuove politiche comuni.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Relazione di Mario Monti al Presidente della Commissione europea José Manuel BARROSO, Una nuova strategia per il mercato unico al servizio dell'economia e della società europee, 9 maggio 2010.


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

466a sessione plenaria del 19, 20 e 21 ottobre 2010

17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all'articolo 54, secondo comma, del trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa»

(versione codificata)

COM(2010) 388 definitivo — 2008/0173 (COD)

2011/C 51/06

In data 9 settembre 2010 il Parlamento europeo ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 50, paragrafi 1 e 2, e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all'articolo 54, secondo comma, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa (versione codificata)

COM(2010) 388 definitivo — 2008/0173 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 466a sessione plenaria del 21 ottobre 2010, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 123 voti favorevoli e 2 astensioni.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni»

(versione codificata)

COM(2010) 391 definitivo — 2008/0009 (COD)

2011/C 51/07

In data 16 settembre 2010 il Parlamento europeo ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 50, paragrafi 1 e 2, e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni

COM(2010) 391 definitivo — 2008/0009 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 466a sessione plenaria del 21 ottobre 2010, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 114 voti favorevoli e 4 astensioni.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Una strategia europea per i veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico» —

COM(2010) 186 definitivo

2011/C 51/08

Relatore generale: MORGAN

La Commissione, in data 28 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo - Una strategia europea per i veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico

COM(2010) 186 definitivo.

In vista del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di pronunciarsi sul parere nel corso della sessione plenaria di ottobre e ha nominato MORGAN relatore generale, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria, del 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli e 14 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia lo sviluppo di una strategia europea in materia di veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico, che risponda alle preoccupazioni da esso manifestate per l'esaurimento degli idrocarburi, le emissioni di CO2 e l'inquinamento atmosferico. È essenziale che detta strategia sia globale: non vi sarà infatti alcun progresso se l'inquinamento e le emissioni verranno semplicemente trasferite alla produzione di elettricità e alla fabbricazione di veicoli elettrici o se le biostrategie porteranno a danni ambientali quali la deforestazione. Il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto da parte dell'UE è stato compromesso dai trasporti su strada; una strategia siffatta risulta quindi più che mai necessaria.

1.2   Nei prossimi vent'anni i veicoli con motore a combustione interna continueranno ad essere il principale mezzo di trasporto. Il CESE si aspetta pertanto che la strategia incentivi anche la messa a punto di tecnologie rivoluzionarie concernenti tali veicoli come anche le forme più innovative di propulsione. È troppo presto per effettuare scelte definitive quanto alla tecnologia da adottare: in questa fase non bisogna precludersi alcuna possibilità.

1.3   La strategia deve accrescere la competitività globale del settore automobilistico europeo. La normativa deve far sì che i veicoli diventino sempre più «puliti e poveri di emissioni», ma la competitività futura dipenderà anche da innovazioni radicali nei motori a combustione interna di autovetture, autobus e automezzi pesanti, oltre che dallo sviluppo di veicoli elettrici.

1.4   Lo sviluppo dei veicoli elettrici rappresenta da oltre un secolo un obiettivo ambizioso, ma problemi di vario tipo, in particolare la durata di vita delle batterie, hanno finora impedito che tali veicoli costituissero un'alternativa valida ai motori a combustione interna. La questione ambientale ha modificato le regole di base. Quanto maggiore sarà il numero dei veicoli elettrici in circolazione, tanto più elevate saranno le prestazioni ambientali sia dei produttori che degli utilizzatori. Nel frattempo, i piccoli veicoli a combustione interna possono contribuire a ridurre il congestionamento del traffico urbano.

1.5   Nel luglio scorso il CESE ha adottato il parere sul tema Verso una più ampia diffusione dei veicoli elettrici (CESE 429/2010, relatore: OSBORN). La strategia risponde in modo adeguato alle raccomandazioni formulate in quel parere.

1.6   Si tratta di una strategia europea, il cui successo dipende tuttavia dalle politiche adottate a livello nazionale e locale dagli Stati membri e dalla capacità industriale di questi ultimi, nonché dal potere d'acquisto e dai comportamenti dei consumatori. Com'è inevitabile, l'attuazione della strategia procederà a ritmi diversi, dato che i punti di partenza variano da paese a paese. È essenziale che le città e gli Stati più avanzati siano all'altezza delle sfide poste dagli Stati Uniti e dai paesi asiatici.

1.7   Se si vuole che la strategia sia efficace, è necessario coinvolgere la società europea. La direttiva 2009/33/CE impegna il settore pubblico, mentre le imprese private devono essere soggette a obblighi di informazione in materia di rendimento ambientale. Sono i privati a decidere quali vetture acquistare, vuoi per uso personale vuoi per le loro imprese: per orientarli verso veicoli puliti ed efficienti, occorre rivolgere loro un mix di incentivi e disincentivi finanziari.

1.8   Il CESE è convinto che le istituzioni dell'UE, le quali utilizzano la maggior parte dei loro mezzi di trasporto per spostamenti brevi a Bruxelles, Lussemburgo o Strasburgo, dovrebbero cogliere questa occasione per elaborare un piano trasporti esemplare in termini di pulizia ed efficienza.

1.9   Il CESE tiene a sottolineare la portata degli investimenti che sarà necessario effettuare nelle future reti di distribuzione e nelle infrastrutture materiali al fine di sostituire le migliaia di miliardi di dollari investiti nell'economia degli idrocarburi.

1.10   Le raccomandazioni che seguono sono riprese dalla sezione 5 di questo parere.

1.10.1

L'UE e i suoi Stati membri dovrebbero sostenere la ricerca e lo sviluppo nel campo dei veicoli a combustione interna, promuovendo veicoli piccoli e innovativi nonché sistemi di produzione totalmente rivoluzionari, ed eliminare le barriere all'accesso al mercato.

1.10.2

Obiettivi di portata analoga a quella degli obiettivi concernenti la produzione di autovetture dovrebbero essere applicati anche agli automezzi pesanti.

1.10.3

L'UE dovrebbe assicurare un costante sostegno a programmi che promuovano l'uso di automezzi pesanti e autobus puliti ed efficienti, fino a quando tali veicoli non saranno competitivi sul mercato globale.

1.10.4

Entro il 2010 i biocarburanti dovrebbero giungere a coprire il 7 % del fabbisogno europeo di carburante. Il CESE esorta pertanto la Commissione a confermare questo obiettivo oppure a modificare la sua politica.

1.10.5

Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare l'industria automobilistica e i potenziali utilizzatori ad innovare utilizzando carburanti gassosi alternativi.

1.10.6

Gli Stati membri dovrebbero incentivare quanto prima la diffusione dei veicoli elettrici nell'UE affinché questa non resti indietro rispetto alle altre regioni del mondo.

1.10.7

Le principali industrie automobilistiche dovrebbero essere incoraggiate ad avviare e potenziare la produzione di batterie in Europa.

1.10.8

La Commissione deve assicurarsi che gli organismi di standardizzazione agiscano rapidamente nel campo dei veicoli elettrici.

1.10.9

La Commissione e gli Stati membri devono collaborare per garantire l'approvvigionamento futuro di terre rare e di metalli nobili.

1.10.10

La strategia a lungo termine per i veicoli alimentati da pile a combustibile all'idrogeno dovrebbe prevedere altre possibilità qualora l'opzione di diffondere l'uso di tali veicoli si rivelasse impraticabile.

1.10.11

Enti pubblici, aziende erogatrici di pubblici servizi e grandi imprese pubbliche e private dovrebbero operare in base a orientamenti e obiettivi concernenti il consumo di carburante e le emissioni.

1.10.12

Dovrebbero essere emanate linee guida in merito ai diversi criteri da utilizzare per gli appalti ai sensi della direttiva 2009/33/CE.

1.10.13

Le imprese pubbliche e private dovrebbero modificare le loro modalità di comunicazione riguardo all'uso di idrocarburi e alle emissioni di CO2, in modo da consentire l'individuazione del contenuto dei carichi trasportati.

1.10.14

Nel Piano d'azione globale manca l'aspetto relativo all'OMC.

1.10.15

Rappresentanti della società civile che dimostrino il loro impegno in materia di questioni ambientali dovrebbero essere inclusi nel nuovo gruppo di alto livello CARS21.

1.10.16

Nel ridefinire il suo approccio nei confronti della strategia industriale, l'UE dovrebbe rivolgersi innanzitutto ad alcuni settori, tra i quali figura proprio l'industria automobilistica. È necessario che l'UE crei una struttura di governance forte, con l'impellente obiettivo di promuovere riforme normative e misure di incentivazione, mobilitare gli investimenti necessari e stimolare la creazione di mercati.

1.10.17

L'UE non può permettersi di restare indietro. I commissari interessati devono agire di concerto tra loro, mentre gli Stati membri, le imprese e gli istituti di ricerca che dispongono delle risorse necessarie devono intervenire con urgenza. Il Piano d'azione proposto deve essere considerato una chiamata alle armi.

2.   Introduzione

2.1   La strategia della Commissione mira a creare un quadro politico adeguato e tecnologicamente neutrale. A breve termine si tratta di una strategia «a doppio binario» in quanto promuove sia i motori a combustione interna (Internal Combustion Engine Vehicles - ICV), sia i veicoli elettrici a batteria (Electric Vehicles - EV).

2.2   La strategia ICV è a sua volta a doppio binario, in quanto promuove, da un lato, l'ulteriore miglioramento dei motori «convenzionali» a benzina o diesel e, dall'altro, l'introduzione di carburanti alternativi quali i biocarburanti liquidi e i carburanti gassosi. L'uso di questi ultimi richiede, contrariamente ai biocarburanti, una modifica dei veicoli a combustione interna, un apposito serbatoio per carburante a bordo del veicolo e un'adeguata rete di distribuzione.

2.3   La strategia EV comprende i veicoli elettrici a batteria (EV) quali la Nissan Leaf, i veicoli elettrici ibridi (Hybrid Electric Vehicles - HEV) quali la Toyota Prius e i veicoli elettrici ibridi ricaricabili o «plug-in» (Plug-in Hybrid Electric Vehicle - PHEV) quali la Chevrolet Volt. L'HEV non è un veicolo elettrico nel vero senso del termine perché non può essere collegato ad una fonte di energia elettrica.

2.4   Se la ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie a idrogeno daranno buoni risultati, i veicoli elettrici di ultima generazione saranno alimentati da pile a combustibile all'idrogeno(i cosiddetti Fuel Cell Vehicle - FCV).

3.   Il piano d'azione della Commissione per i veicoli verdi (Piano d'azione)

3.1   Quadro normativo

omologazione dei veicoli a due e a tre ruote e dei quadricicli,

attuazione del regolamento sulle emissioni di CO2 dei veicoli leggeri entro il 2011,

commercializzazione della «addizionalità verde» dei veicoli,

riduzione del consumo di carburante degli impianti mobili di condizionamento dell'aria,

misure aggiuntive in materia di emissioni di CO2 e di inquinanti,

revisione del ciclo di prova per la misura delle emissioni,

inventario delle misure che offrono benefici ambientali,

modifica della direttiva sulle emissioni di rumore dei veicoli,

criteri di sostenibilità per i biocarburanti,

strategia a favore di veicoli pesanti puliti ed efficienti.

3.2   Ricerca e innovazione

miglioramento dei motori convenzionali, gruppi motopropulsori elettrici, tecnologie di propulsione elettrica a batteria e a idrogeno,

semplificazione delle norme in materia di erogazione di sussidi alla ricerca,

strategia a lungo termine per la ricerca,

sostegno da parte della BEI.

3.3   Assorbimento da parte del mercato

linee guida sugli incentivi finanziari offerti dagli Stati membri,

revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici («direttiva sulla tassazione dell'energia», anche detta «direttiva DTE»),

orientamenti per gli Stati membri in materia di promozione fiscale dei veicoli «verdi»,

monitoraggio dell'attuazione della direttiva sui veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico,

studi sulle aspettative e sui comportamenti d'acquisto dei consumatori,

modifica della direttiva sull'etichettatura delle automobili,

progetto dimostrativo in materia di mobilità elettrica.

3.4   Questioni di portata globale

cooperazione internazionale, specie in materia di standardizzazione,

regolamentazioni armonizzate della Commissione economica dell'ONU per l'Europa (UNECE),

iniziativa «Materie prime» per quanto concerne le terre rare e i metalli nobili.

3.5   Occupazione

Consiglio europeo delle competenze settoriali,

Fondo sociale europeo.

3.6   Riesame di medio termine della normativa sulle emissioni

raggiungimento degli obiettivi fissati per le nuove autovetture entro il 2020 e in una prospettiva a lungo termine (2030),

riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli commerciali leggeri entro il 2013 e in una prospettiva a lungo termine (2020).

4.   Azioni specifiche per i veicoli elettrici

4.1   Sicurezza

requisiti di sicurezza elettrica,

requisiti di sicurezza in caso di collisione.

4.2   Standardizzazione dell'interfaccia di ricarica

Messa a punto e applicazione di tale standard,

monitoraggio dell'evoluzione globale degli standard.

4.3   Infrastruttura

infrastruttura di ricarica,

investimenti nelle infrastrutture e nei servizi.

4.4   Produzione e distribuzione di energia elettrica

impostazione basata sull'analisi del ciclo di vita,

fonti di energia a basso contenuto di carbonio,

gestione del carico.

4.5   Batterie

veicoli a fine vita/riciclaggio delle batterie,

ricerca sulle batterie,

trasporto delle batterie.

4.6   Governance

rilancio del gruppo di alto livello CARS21 al fine di rimuovere gli ostacoli all'assorbimento di tecnologie alternative da parte del mercato,

attuazione della strategia di riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli stradali nel quadro del programma europeo per il cambiamento climatico (European Climate Change Programme - ECCP),

Libro bianco sulla politica europea dei trasporti,

mercato interno: evitare la dispersione degli sforzi e garantire la massa critica sufficiente.

5.   Il punto di vista del CESE in merito al Piano d'azione

5.1   Miglioramento dei veicoli convenzionali a combustione interna

5.1.1   Il CESE appoggia il miglioramento dei veicoli a combustione interna, e in particolare le misure riguardanti le emissioni di CO2 e l'inquinamento, la revisione del ciclo di prova per misurare le emissioni, il potenziamento della R&S sui motori convenzionali, l'estensione ai furgoni dell'ambito di applicazione della normativa e la revisione intermedia della disciplina in materia di emissioni.

5.1.2   I materiali avanzati offrono notevoli possibilità di innovazione nella concezione e nella fabbricazione di autovetture piccole. Oggi stanno emergendo processi di produzione nuovi e rivoluzionari basati sull'uso di questi materiali, e nel settore automobilistico viene incoraggiata la creazione di nuove imprese che rappresentano una sfida per gli operatori già esistenti. Tali innovazioni meritano di essere promosse attraverso un sostegno alla R&S. I nuovi operatori del mercato dovrebbero essere aiutati mediante una rigorosa applicazione delle regole di concorrenza al settore automobilistico.

5.1.3   Il CESE si compiace del fatto che il Piano d'azione comprenda anche lo sviluppo di una strategia in materia di consumo di carburante ed emissioni di CO2 degli automezzi pesanti. Qualsiasi piano di questo tipo deve puntare a questo segmento del mercato, a cominciare dagli autobus, dai veicoli commerciali pesanti e dai veicoli per usi speciali, ad esempio per la raccolta dei rifiuti urbani. Obiettivi analoghi a quelli stabiliti per la produzione di auto andrebbero applicati anche agli automezzi pesanti ed estesi anche agli utenti di questi ultimi, come previsto per quelli delle autovetture.

5.1.4   Dato che numerosi costruttori di automezzi pesanti hanno sede in Europa, vi è spazio per una cooperazione costruttiva tra questi costruttori e gli utenti interessati al fine di sviluppare veicoli nuovi e innovativi. In Asia, in America e nella stessa Europa esistono già esempi di progetti avveniristici, ad esempio autobus a basse emissioni di carbonio (Low Carbon Emission Buses - LCEB) che consumano il 30 % in meno di carburante e producono il 35 % in meno di emissioni di CO2. I veicoli ibridi idraulici (Hydraulic Hybrid Vehicles - HHV), alimentati dalla frenata, possono garantire un 30 % in più di efficienza e funzionano molto bene nei casi in cui i conducenti devono ripetutamente fermarsi e ripartire (stop-start), ad esempio per la raccolta dei rifiuti urbani. Esistono inoltre molti progetti di veicoli ibridi elettrici. Alcuni Stati membri concedono capitali iniziali per sostenere questo tipo di innovazioni, spesso sovvenzionando il costo dei veicoli sperimentali. Il CESE auspica che programmi di questo genere vengano sostenuti costantemente fino a quando non verranno prodotti veicoli competitivi e non vi saranno commesse extraeuropee per veicoli fabbricati nell'UE.

5.2   Carburanti alternativi per i veicoli a combustione interna

5.2.1   Il CESE pone l'accento sulla confusione che, a quanto gli risulta, domina il programma della Commissione sui biocarburanti. La situazione attuale è caratterizzata da una guerra che contrappone, all'interno della Commissione, gli esperti in materia di agricoltura a quelli in materia di clima e, al suo esterno, le lobby europee dei settori automobilistico e agricolo agli ambientalisti. Il dibattito è incentrato sul concetto, relativamente nuovo, di «cambiamento indiretto nella destinazione d'uso dei terreni», concernente il potenziale impatto sull'ambiente globale di un cambio nell'uso del suolo dovuto all'esigenza di produrre il raccolto necessario per soddisfare gli obiettivi dell'UE in materia di biocarburanti. Dato che questi ultimi dovrebbero coprire il 7 % del fabbisogno di carburante dell'UE entro il 2020, il CESE esorta la Commissione a confermare o a modificare quanto prima la sua politica. Tale politica potrà rivelarsi pienamente attuabile solo quando la tecnologia metterà finalmente a punto la seconda generazione di biocarburanti.

5.2.2   La comunicazione della Commissione in oggetto mette in rilievo le restrizioni applicabili ai carburanti gassosi alternativi quali l'LPG, il CNG e il biogas. È necessario apportare modifiche ai motori dei veicoli e ai serbatoi di carburante, nonché garantire un facile accesso agli impianti di rifornimento, tenendo comunque presente che queste condizioni possono essere soddisfatte qualora le flotte multi-veicoli operino entro il raggio di autonomia di un pieno effettuato presso un deposito di veicoli. Alcune imprese private, nonché molti enti pubblici e aziende erogatrici di pubblici servizi, sono in grado di soddisfare dette condizioni. Per conseguire i loro obiettivi, gli Stati membri dovrebbero, da un lato, richiedere a enti pubblici ed imprese di introdurre programmi a favore di veicoli puliti ed efficienti e, dall'altro, offrire incentivi alle case automobilistiche e ai potenziali utenti che desiderano innovare in questo campo.

5.3   EV, HEV, PHEV

5.3.1   Il parere elaborato da OSBORN anticipa i tempi, in quanto definisce i presupposti per un vero e proprio passaggio dai veicoli a combustione interna a quelli elettrici sul mercato delle autovetture private. In realtà un tale passaggio non avverrà in tempi brevi, e quindi la campagna per i veicoli «verdi» deve poggiare su basi più ampie.

5.3.2   Come è emerso dalla consulenza della Bain & Company, i veicoli elettrici sono «gli iPhone dell'industria automobilistica». Prima dell'iPhone, gli utenti dei telefoni cellulari erano preoccupati circa la durata della batterie. Dato che le applicazioni per iPhone costituiscono una vera e propria rivoluzione nel loro campo, gli utenti accettano il fatto che i loro telefoni debbano essere ricaricati quotidianamente. Guidare un veicolo elettrico è un'esperienza talmente diversa rispetto ad un veicolo a combustione interna che i primi acquirenti non dovrebbero essere preoccupati per la limitata autonomia degli EV e dei PHEV, che entreranno sul mercato rispettivamente nel 2011 e 2012.

5.3.3   I primi acquirenti compreranno i veicoli elettrici come seconde auto e li useranno per recarsi al lavoro, per parcheggiare nella stazione ferroviaria più vicina oppure per spostarsi all'interno del proprio quartiere. L'autonomia di tali veicoli è sufficiente per una giornata di guida. La batteria degli EV può essere ricaricata durante la notte con una presa di corrente domestica nel garage di casa.

5.3.4   L'autonomia quotidiana può aumentare se vi è la possibilità di ricaricare la batteria sul posto di lavoro. Non sono necessarie infrastrutture di ricarica di particolare complessità. E gli attuali limiti in fatto di autonomia non richiedono praticamente alcuna standardizzazione internazionale. Il carico sulle reti elettriche dovrebbe essere limitato dal fatto che la ricarica avviene di notte, sfruttando l'elettricità che normalmente non verrebbe utilizzata.

5.3.5   Numerosi Stati membri, tra i quali il Regno Unito, la Francia e la Germania, offriranno notevoli incentivi a chi acquista veicoli elettrici. Anche se, pur tenendo conto degli incentivi, questi veicoli avranno comunque un prezzo più elevato rispetto a quelli a combustione interna, il richiamo della nuova tecnologia e l'impegno dell'acquirente a modificare il proprio stile di vita dovrebbero essere sufficienti a garantire l'assorbimento dei volumi iniziali di produzione. Il proprietario potrà inoltre godere di altri vantaggi, ad esempio parcheggi gratuiti, esenzione dalla tassa di congestione e altri incentivi offerti nell'ambiente urbano.

5.3.6   Il CESE appoggia la proposta di emanare linee guida in materia di incentivi fiscali offerti dagli Stati membri. Sollecita tuttavia questi ultimi a promuovere quanto prima la diffusione degli EV nell'UE affinché questa non resti indietro rispetto alle altre regioni del mondo in cui si offrono analoghi incentivi.

5.3.7   In un veicolo elettrico, la componente più importante in termini di costo è la batteria. Per chi usa l'auto, gli aspetti principali di cui tener conto sono le dimensioni, il peso, la capacità, la sicurezza, l'efficienza, l'affidabilità e la durata.

5.3.8   Il problema strategico dell'UE è che sul suo territorio non esistono grossi fabbricanti di batterie, anche se la Nissan prevede di aprire stabilimenti nel Regno Unito e in Portogallo. La tecnologia delle batterie è destinata a diventare estremamente sofisticata e acquisirà un'importanza sempre maggiore in quanto costituirà il fattore principale ai fini delle prestazioni e della competitività di un veicolo. L'Europa deve essere presente in questo settore. Il CESE raccomanda pertanto che i principali costruttori automobilistici collaborino tra loro al fine di avviare e potenziare la produzione di batterie in Europa. Il nuovo gruppo CARS21 dovrebbe prendere in considerazione questo aspetto.

5.3.9   Il settore della produzione di batterie presenta diverse ramificazioni di cui bisognerà occuparsi: garanzie, sostituzione, cambio e leasing, nonché procedure relative alla fine del ciclo di vita, recupero, smaltimento e riutilizzo. Bisogna che le imprese dell'UE siano presenti in questi comparti.

5.3.10   A lungo termine, i veicoli elettrici dovranno poter accedere a delle reti di ricarica. I primi sistemi messi in atto in alcune grandi città quali Londra e Parigi oppure in interi paesi quali la Danimarca e Israele dovrebbero fornire un valido contributo ai piani d'azione menzionati ai precedenti punti 4.2 e 4.3. Considerando l'impegno della Cina a promuovere l'uso di veicoli elettrici in cinque sue città, è assolutamente indispensabile che l'UE agisca rapidamente, specie per quanto concerne gli standard.

5.3.11   La questione dell'approvvigionamento di materie prime figura nel Piano d'azione della Commissione. Il Giappone e la Corea del Sud stanno negoziando concessioni e joint ventures in Sudamerica. La Corea del Sud in particolare ha effettuato investimenti per 12 miliardi di dollari legati ad aiuti alla Bolivia. Nulla dimostra che l'Europa stia facendo altrettanto. La Commissione e gli Stati membri dovrebbero collaborare con le compagnie minerarie europee per assicurare i futuri approvvigionamenti.

5.4   FCV

5.4.1   L'UE sta finanziando la ricerca per una futura economia a idrogeno e per lo sviluppo dei FCV. In alcuni precedenti pareri, il CESE ha espresso il suo appoggio alla strategia della Commissione relativa all'idrogeno. Tuttavia, alcuni osservatori sostengono che l'idea di un'economia a idrogeno non può funzionare. Essi sottolineano che non esiste una vera e propria fonte di idrogeno e non esistono metodi adeguati né per immagazzinarlo né per distribuirlo. Molti dei problemi legati all'idrogeno derivano dalle sue caratteristiche fisiche e chimiche. È possibile che la tecnologia non possa fare nulla per modificare la situazione. Di conseguenza, la strategia dell'UE dovrebbe prevedere possibilità alternative, qualora l'opzione dei FCV si rivelasse impraticabile anche a più lungo termine. È troppo presto per effettuare scelte definitive quanto alla tecnologia da adottare. In questa fase è necessario non precludersi alcuna possibilità.

5.5   Settore pubblico, settore privato e impegno personale

5.5.1   Le case automobilistiche perseguono obiettivi di risparmio di carburante e di riduzione delle emissioni applicabili a tutta la gamma dei veicoli da esse prodotti. Il CESE raccomanda agli enti pubblici, alle aziende erogatrici di pubblici servizi e alle grandi imprese private di operare in base ad orientamenti e obiettivi in materia di consumo di carburante e riduzione delle emissioni. Questo è solo uno dei modi per incentivare l'uso dei carburanti gassosi alternativi, ma le opportunità in questo settore sono molto più numerose.

5.5.2   Il Comitato si compiace che la direttiva 2009/33/CE relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada entri in vigore già alla fine del 2010. Tuttavia, avrebbe auspicato la definizione di linee guida relative ai vari criteri da utilizzare in materia di appalti, nonché la messa a punto di una procedura che con il tempo rendesse tali criteri più rigorosi. Tali criteri dovrebbero pertanto essere introdotti il più presto possibile: il CESE auspica che vengano applicati prima della revisione della direttiva, prevista tra due anni.

5.5.3   Il CESE auspica inoltre che le imprese seguano l'esempio del settore pubblico e modifichino le loro modalità di comunicazione riguardo all'uso di idrocarburi e alle emissioni di CO2, in modo da dichiarare il contenuto dei carichi trasportati e rendere così possibile la misurazione dei graduali miglioramenti.

5.6   Competitività internazionale

5.6.1   La situazione internazionale si presenta difficile. Gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone e la Corea del Sud hanno ciascuno un solo governo determinato a sfruttare le opportunità offerte dai trasporti puliti ed efficienti. L'UE deve invece fare i conti con 27 governi differenti, ciascuno con capacità industriali e finanziarie ben diverse e con società che presentano livelli di benessere molto diversi. Essendo una novità totale rispetto alla situazione precedente, il trasporto «verde» riporta di fatto il vantaggio industriale a zero, consentendo in tal modo alla Cina, la cui industria è oltretutto protetta da dazi sulle importazioni, di superare il Giappone. L'UE non può permettersi di restare indietro. I commissari interessati devono agire di concerto e, dal canto loro, gli Stati membri, le imprese e gli istituti di ricerca che dispongono delle risorse necessarie devono intervenire urgentemente. In tale contesto, il Piano d'azione proposto deve essere visto come una chiamata alle armi.

5.6.2   Il punto 2.4, concernente le questioni di portata globale, è di vitale importanza, ma omette di considerare gli aspetti legati all'OMC. Nelle attuali circostanze che stanno rivoluzionando il mostro modo di vivere, le imprese europee hanno bisogno di accedere ai mercati libere da barriere protezionistiche.

5.7   Governance

5.7.1   La Commissione rilancerà il gruppo di alto livello CARS21. La relazione elaborata dal gruppo originario è stata approvata dall'industria automobilistica ma criticata dai gruppi ambientalisti, secondo i quali non è riuscita a definire una strategia per nuovi veicoli «puliti e poveri di emissioni». Nel nuovo gruppo di alto livello dovrebbero figurare anche rappresentanti della società civile impegnati nelle questioni ambientali, i quali faranno da contrappeso agli interessi dell'industria.

5.7.2   La Cina, la Corea del Sud e gli Stati Uniti portano avanti i loro programmi di innovazione, sviluppo e investimento in questo settore. L'Europa corre il rischio di restare indietro, vittima di un conservatorismo poco lungimirante, di una certa titubanza da parte degli operatori del settore già affermati e di una mancanza di visione politica e di leadership da parte dei governi. Per evitare che l'industria europea vada incontro a questo destino, l'UE deve creare una struttura di governance forte che coinvolga le imprese più avanzate nonché i leader politici e della società civile, con un unico impellente obiettivo: promuovere le riforme normative e le misure d'incentivazione necessarie, mobilitare gli investimenti e stimolare la creazione di mercati.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde — Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare»

COM(2010) 183 definitivo

2011/C 51/09

Relatore: CAPPELLINI

Correlatore: LENNARDT

La Commissione europea, in data 27 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde - Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare

COM(2010) 183 definitivo.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 settembre 2010.

In considerazione del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di pronunciarsi sul parere nella sessione plenaria di ottobre e ha nominato relatore generale Joost VAN IERSEL a norma dell'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria, del 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 71 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Raccomandazioni e proposte

Sullo stimolo delle questioni proposte dalla Commissione nel Libro verde (COM(2010) 183 definitivo, del 27 aprile 2010) e sulla scorta delle raccomandazioni già proposte dalla Platform on the Potential of Cultural and Creative Industries e del dialogo avviato al suo interno - anche nel corso di audizioni ad hoc -, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) formula raccomandazioni e proposte concrete a supporto delle industrie culturali e creative (ICC) europee.

1.1   Raccomandazioni

Il CESE:

a)

invita la Commissione a proseguire gli sforzi per una migliore definizione del settore e una sua più adeguata rappresentazione statistica, con particolare riguardo per la situazione sociale ed economica delle attività artistiche. Non esiste, infatti, una definizione univoca e condivisa di «industria culturale e creativa», requisito fondamentale per:

i.

favorire il riconoscimento della specificità delle ICC;

ii.

analizzarne gli impatti sulla crescita di lungo periodo, la competitività internazionale, lo sviluppo regionale e la coesione territoriale;

iii.

favorire l'adozione di politiche che tengano conto delle specificità culturali del settore tramite un'effettiva attuazione dell'articolo 151, paragrafo 4, del Trattato CE, ora articolo 167, paragrafo 4, del TFUE.

b)

Raccomanda alla Commissione di moltiplicare gli sforzi per l'implementazione di uno «spazio europeo della creatività», favorendo un quadro regolatorio europeo fondato su un equo accesso al mercato, la libera concorrenza, la lotta all'abuso di posizione dominante, il sostegno alle PMI e all'artigianato, la promozione della diversità culturale, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e la lotta alla pirateria, con particolare attenzione alle potenzialità digitali del settore.

c)

Auspica l'adozione di una fiscalità agevolata e di nuovi modelli e strumenti per favorire il finanziamento della progettazione di settore, nonché la costituzione di Partnership Privato Pubbliche Partecipate dai cittadini (PPPP); in altri termini si tratta, in tale ambito, di affiancare ai tradizionali modelli di PPP forme di partecipazione diretta dei cittadini (1).

d)

Sottolinea il contributo delle ICC agli obiettivi strategici della «coesione europea» e raccomanda che gli enti locali (comuni, regioni, ecc.), in collaborazione con gli altri enti territoriali (università, banche, associazioni, fornitori di contenuti pubblici e/o privati, ecc.) favoriscano la promozione delle ICC e la loro integrazione nello sviluppo regionale.

e)

Rileva la necessità di misure adeguate per contrastare la vulnerabilità delle imprese del settore, in particolare delle PMI, e la precarietà delle attività artistiche e, nel contempo, l'esigenza di favorire una «massa critica» di investimenti nel settore, sfruttando le c.d. «economie di agglomerazione», al fine di contrastare la penetrazione sul mercato europeo di prodotti culturali che inducano modelli di comportamento che vadano a detrimento della cultura europea o che possano tradursi in una vera e propria colonizzazione culturale.

f)

Pone l'accento sul ruolo delle ICT (ad es. delle iniziative dell'UE relative a Internet nel futuro) nell'offrire nuove opportunità (banda larga o servizi di supporto alla creatività, in particolare nelle aree svantaggiate o a basso reddito), sia in termini di realizzazione dei prodotti e servizi creativi, sia nell'ambito della loro distribuzione e fruizione da parte degli utenti finali.

g)

Sottolinea la necessità di promuovere una maggiore conoscenza dell'industria creativa nei percorsi dell'istruzione di base e della formazione professionale come già segnalato, in sede europea, dalla Carta internazionale dell'artigianato artistico.

h)

Afferma l'esigenza di studiare gli strumenti più appropriati per favorire l'accesso al credito delle imprese creative o delle figure professionali del settore, favorendo, da un lato, una maggiore attenzione agli aspetti di sostenibilità economica e finanziaria dei progetti/opere da parte delle imprese e, dall'altro, lo sviluppo delle capacità degli istituti di credito nel valutare le potenzialità economiche e finanziarie dei progetti culturali e creativi.

i)

Ribadisce, infine, la necessità di favorire, all'interno delle istituzioni dell'UE, una maggiore riflessione sul tema degli impatti sociali dello sviluppo dei cluster della creatività e sul tema del miglioramento delle condizioni di lavoro di chi opera nel settore.

1.2   Proposte

Tutto ciò considerato, il CESE pone all'attenzione delle istituzioni europee e della Commissione, globalmente intesa (non solo le sue unità specializzate), un insieme di proposte operative a supporto delle ICC:

a)

avviare un «dialogo strutturato» con tutte le parti interessate e, in collaborazione fra tutte le istituzioni comunitarie interessate, una campagna di iniziative di riflessione e sensibilizzazione sul ruolo delle ICC sul «territorio europeo», con particolare attenzione alle aree svantaggiate e ai territori interessati dalla politica di coesione. Il CESE dà piena disponibilità a favorire tale dialogo strutturato e a collaborare con le altre istituzioni comunitarie mettendo a disposizione le proprie competenze tecniche e la sua rete di relazioni.

b)

Creare, a partire da progetti pilota avviati in alcuni territori dell'Unione, luoghi fisici di incontro e sperimentazione di natura informale (sul modello di science shop, future centre, multimedia park, ecc.) capaci di promuovere la partecipazione diretta di gruppi target composti di cittadini/utenti/associazioni e della società civile organizzata. L'obiettivo è favorire la partecipazione dell'intero territorio dell'UE allo sviluppo del potenziale dell'industria creativa, non solo in grandi centri urbani sovente considerati gli unici promotori di processi di sviluppo creativo. In quest'ambito, le comunità locali e regionali, le associazioni delle PMI e dell'artigianato possono svolgere un ruolo fondamentale per favorire l'integrazione delle ICC nello sviluppo regionale (applicando il principio del Think small first previsto nello Small Business Act europeo).

c)

Favorire il «mercato interno» della creatività, promuovendo:

i.

la circolazione;

ii.

l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento;

iii.

il mutuo riconoscimento delle professionalità, delle qualifiche e delle competenze certificabili;

iv.

lo sviluppo di un reale sistema agevolativo di settore (una fiscalità armonizzata per la tutela dell'attività creativa e del patrimonio creativo, accordi contro la doppia tassazione, ecc.);

v.

lo scambio delle migliori pratiche e lo sviluppo di coproduzioni e partnership transnazionali oltre a quelle pubbliche-private (ad es. convenzioni multiple tra fruitori e content provider), anche con l'ausilio di nuovi modelli partecipativi PPPP, a livello regionale e locale.

d)

Intensificare il dialogo degli istituti di livello universitario con le PMI e le imprese artigiane con le rispettive associazioni rappresentative; il miglioramento delle competenze informatiche e tecnologiche degli studenti e l'avvio di iniziative per la creazione di nuove imprese di settore, anche attraverso forme di peer-coaching.

e)

Sostenere il finanziamento della creatività attraverso, da un lato, l'elaborazione a livello europeo di «linee guida» di business plan per i progetti/servizi/opere creative e culturali, nonché specifici indicatori di performance capaci di agevolare la valutazione tecnico-economica degli investimenti nel settore; dall'altro, credito agevolato, fondi misti pubblico-privati di garanzia alle PMI e fondi rotativi, e nuove forme associate e di partnership tra i diversi stakeholder dei comparti interessati (ICT, editoria, filmografia, musica, ecc.).

2.   Cosa sono le industrie culturali e creative?

2.1   Le industrie culturali e creative europee, come riconosciuto dalla strategia Europa 2020, svolgono un ruolo centrale per la crescita, la competitività e il futuro dell'UE e dei suoi cittadini. Esse sono intrinsecamente portatrici d'innovazione, creatrici di posti di lavoro e svolgono il ruolo di interfaccia fra le diverse attività industriali. Sono altresì motori di vantaggio comparato non altrove riproducibile, fattori di sviluppo locale e driver del cambiamento industriale.

2.2   Il CESE sottolinea anche il ruolo che le ICC rivestono all'interno della «società europea», a supporto del pluralismo e della diversità culturale, nonché quale strumento di promozione dell'«identità europea». Esse contribuiscono, inoltre, al miglioramento della qualità della vita, alla tolleranza e alla prevenzione di comportamenti contrari alla dignità delle persone, all'integrazione e all'accoglienza.

2.3   Il presente parere si pone l'ambizioso obiettivo di svelare il pieno potenziale delle ICC, elemento portante della nuova strategia Europa 2020, come sottolineato anche dal Consiglio europeo e da attori chiave nell'ambito dei mutamenti dell'industria europea. Ciò presuppone, in primo luogo, un'adeguata conoscenza dei fenomeni oggetto di studio, distinguendo fra concettualizzazione, analisi dei processi di produzione e consumo, governance.

2.4   Sebbene si parli generalmente di ICC, va tuttavia mantenuta una distinzione fra «cultura» e «creatività». Mentre, infatti, per «cultura» s'intende, in termini generali, l'insieme di conoscenze, usi e gradi di sviluppo artistico e scientifico in una determinata epoca o all'interno di un certo gruppo sociale (2), la «creatività» è intesa, specificamente, come abilità di pensare in maniera innovativa, ovvero di produrre nuove idee che combinano in maniera inedita elementi della realtà (siano essi processi, oggetti, conoscenze, ecc.). Essa non va, a sua volta, confusa con il termine «innovazione», che fa, più in generale, riferimento a processi e prodotti evolutivi delle conoscenze, delle tecniche e degli strumenti (3).

Tale distinzione è fondamentale, perché, da un lato, permette di separare concetti spesso confusi nel linguaggio corrente; dall'altro, evidenzia le profonde interconnessioni fra cultura, creatività e innovazione (vedi anche le conclusioni del Consiglio dell'UE sul contributo della cultura allo sviluppo regionale e locale, del 29 aprile 2010).

2.5   La natura multidimensionale di cultura e creatività rende difficile individuare un unico approccio di analisi: a un estremo, c'è chi circoscrive la creatività all'ambito delle sole attività culturali; all'opposto, chi ritiene che tutte le industrie siano, per natura, creative. Pertanto nell'identificazione dei c.d. «settori creativi» si rischia un certo grado di arbitrarietà, che potrebbe ripercuotersi sull'efficacia delle politiche a sostegno di Europa 2020.

2.6   Il problema di delimitare i confini del settore è legato anche a un problema di «percezione», sia «interna» (attori del settore che non si percepiscono come facenti parti di una medesima «industria» specifica), che «esterna» (società che non riconoscono la settorialità specifica di chi opera nelle industrie culturali e creative).

3.   Il quadro d'insieme delle ICC in Europa

3.1   Secondo la definizione della Commissione europea, le ICC contribuiscono, nel complesso, per circa il 2,6 % al PIL dell'UE-27 e forniscono occupazione a circa 5 milioni di persone (fonte: Libro verde COM(2010) 183 definitivo). Altre fonti evidenziano un peso ancora più rilevante. La diversità delle statistiche riflette naturalmente la diversità di valutazione circa i raggruppamenti settoriali compresi all'interno della definizione di ICC (vedi raccomandazione punto 1.1.a).

3.2   La bilancia commerciale dell'UE-27 nei principali settori legati alla «creatività» ha registrato (dati del 2007) un surplus di 3 000 milioni di euro. Secondo l'Unctad (Creative Economy Report, 2008), l'industria creativa rimane uno dei principali settori del commercio mondiale in termini di crescita. Nel periodo 2000-2005, il commercio di beni e servizi legati alla creatività è cresciuto di quasi il 9 % a livello mondiale, confermando le prospettive favorevoli di crescita a lungo termine.

3.3   Figure professionali tipiche del settore sono gli artisti, i portatori di idee, i produttori, gli editori, i performer; rimangono però essenziali anche figure standard sia di natura tecnica sia di natura imprenditoriale quali l'artigianato. Da rilevare, tuttavia, l'assenza di normative adeguate di settore, l'assenza di un riconoscimento specifico delle professionalità di settore e di una protezione sociale a esse mirata (ad es. a tutela di termini contrattuali molto brevi, di natura previdenziale o per favorire la mobilità internazionale).

3.4   Le ICC presentano, tuttavia, potenzialità rilevanti per la crescita e l'occupazione dell'UE. La creatività è infatti universalmente considerata il motore della crescita sostenibile, intelligente e inclusiva, così come la cultura esercita un ruolo fondamentale nello sviluppo di una società dell'informazione e della conoscenza. Entrambe, inoltre, non solo sono strumenti di un'offerta più competitiva e articolata, ma stimolano anche la domanda di contenuti, educano alla diversità culturale e aiutano nello stesso tempo a combattere l'esclusione e la discriminazione.

3.5   La creatività svolge, inoltre, un ruolo chiave nell'ambito della competitività internazionale, fornendo «valore immateriale» ai «prodotti» e trasformandoli in una particolare forma di «esperienza». Attualmente, sempre più attività economiche, pur non rientranti nei settori creativi in senso stretto, dedicano risorse sempre più ingenti alle attività creative quali input per i loro prodotti. Il settore creativo, oltre a essere fondamentale per la competitività internazionale delle imprese, presenta quindi ricadute positive sul resto dell'economia (4).

3.6   Altro elemento da non sottovalutare è l'apporto dato dallo sviluppo di tale settore alla «qualità della vita» del territorio di riferimento: l'influenza sul sistema formativo, sui modelli comportamentali dei giovani e sull'aumento di interesse per la cultura cui le attività delle ICC fanno da veicolo di diffusione, contribuendo ad attivare il «dinamismo» delle città e dei territori coinvolti.

3.7   Da sottolineare, infine, le potenzialità offerte dall'applicazione delle nuove tecnologie nel settore, basti pensare al fenomeno dei social media: pratiche di condivisione di contenuti testuali, immagini, video e audio da parte degli utenti. È un settore dal quale possono scaturire, nel contempo, idee interessanti, dialoghi produttivi e confronti fruttuosi (si pensi per esempio alla Wikinomics), ma che evidenziano anche difficoltà di gestione, ad esempio in materia di diritti di proprietà intellettuale dei contenuti condivisi. Le nuove tecnologie possono contribuire, infine, a combattere la pirateria digitale.

3.8   Il settore rimane, tuttavia, vulnerabile. Esso è, da un lato, dominato dalle PMI, dall'altro è soggetto alla formazione di regimi oligopolistici che uccidono la competizione (il c.d. effetto «best seller»), basti pensare alle società del multimedia o della pubblicità che operano a livello globale.

3.9   Il ruolo svolto dalle PMI rimane fondamentale. Sono tali imprenditorialità che si assumono il «rischio» connesso all'innovazione non tecnologica, all'investire in nuovi talenti e nuove forme estetiche e al tentativo di assicurare un'offerta varia e diversificata ai consumatori. Si pone, tuttavia, un problema di «massa critica» di investimenti capace di contrastare la penetrazione sul mercato europeo di prodotti che inducono modelli di comportamento e valori estranei alla cultura europea. In tale senso, sarebbe utile adottare misure specifiche di supporto e aiuto alla promozione di «sistemi locali di PMI», allo sviluppo di «cluster regionali» e di «economie di agglomerazione».

3.10   Le politiche per l'industria culturale e creativa in Europa rimangono eterogenee. In alcuni Stati membri il settore beneficia di rilevanti investimenti pubblici, mentre in altri Stati è principalmente di natura privata (5). Al di là della valutazione sull'efficacia di tali politiche, è innegabile che la frammentazione delle normative e dei mercati nazionali in materia costituisce, de facto, un'alterazione della concorrenza all'interno del mercato europeo. Lo stesso Libro verde evidenzia l'importanza di moltiplicare gli sforzi per favorire una maggiore concorrenza europea nel settore, favorendo così la diversità culturale. Un adeguato stimolo al benchmarking rimane, inoltre, fondamentale per favorire politiche europee di settore.

3.11   A livello dell'UE, sia la Commissione (comunicazione del 10 maggio 2007 su un'Agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione), sia il Consiglio (Piano di lavoro per la cultura 2008-2010 del 10 giugno 2008), sia il Parlamento (vedi Risoluzione del Parlamento sulle industrie culturali in Europa del 10 aprile 2008) si pongono come obiettivo l'ottimizzazione del potenziale delle ICC, in particolare le PMI. Fra le attività programmate va menzionata la European Creative Industries Alliance, che sarà lanciata nel 2011 nell'ambito dell'Entrepreneurship and Innovation Program (EIP) del «Programma competitività e innovazione» (6). Altre iniziative riguardano la creazione di un gruppo di lavoro relativo alle ICC che includa esperti degli Stati membri stessi; la realizzazione di studi sul contributo della cultura alla creatività, sulla dimensione imprenditoriale delle industrie culturali e creative, sul contributo della cultura allo sviluppo economico locale e regionale, oltre alla realizzazione del Libro verde sulle ICC.

4.   I temi del dibattito e le priorità emerse nella consultazione con gli stakeholder

4.1   La Commissione, con la pubblicazione del Libro verde del 27 aprile 2010, ha aperto il dibattito sul potenziale di crescita delle ICC sottolineando il ruolo della diversità culturale, della globalizzazione e della digitalizzazione quali motori del «processo», nonché la necessità di dotare le industrie del settore di strumenti adeguati - quali la possibilità di sperimentare e investire, facilitando l'accesso al credito - e di promuoverne lo sviluppo, attraverso il riorientamento delle politiche territoriali.

4.2   L'azione della Commissione intende articolarsi su tre macro linee di policy: un'Agenda europea per il digitale, una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, nell'ambito della quale la Commissione prevede di creare un mercato unico dei contenuti e dei servizi on-line; azioni specifiche per rafforzare il ruolo delle ICC come catalizzatori dell'innovazione e del cambiamento strutturale nel contesto dell'iniziativa faro L'Unione dell'innovazione e una strategia in materia di proprietà intellettuale, tesa a favorire il necessario equilibrio fra protezione e diffusione di nuovi modelli di business.

4.3   Il Libro verde pone, tuttavia, anche delle questioni aperte al fine di stimolare una discussione allargata a tutti gli stakeholder europei della creatività (in senso ampio). Con il presente parere il CESE intende fornire il proprio contributo al dibattito sollevato dalla Commissione, fornendo suggerimenti e proposte operative concrete. In quest'ambito, il principale riferimento del CESE rimangono le raccomandazioni proposte dalla Platform on the Potential of Cultural and Creative Industries. Ulteriori elementi sono, tuttavia, emersi dal dialogo fra le parti interessate e nel corso di audizioni ad hoc presso il Comitato.

4.4   Gli «spazi fisici» della creatività, i cluster e il loro ruolo nello sviluppo territoriale

4.4.1   Un primo elemento di dibattito evidenziato nel Libro verde concerne il tema degli «spazi per la sperimentazione, l'innovazione e l'imprenditorialità della creatività» e il ruolo svolto dalle nuove tecnologie dell'informazione. In pratica, creare l'opportunità di luoghi di incontro per collaborazioni interdisciplinari, atti anche alla sperimentazione delle soluzioni più innovative dell'industria creativa, dove esplorare con i cittadini/utenti nuovi linguaggi e forme di espressione come, ad esempio, la fruizione multisensoriale dei contenuti artistici digitali (Future e/o Business Centre dei prodotti e servizi dell'industria creativa, Virtual Reality e Multimedia Park).

4.4.2   Tali luoghi fisici, caratterizzati dalla «tensione al cambiamento», possono agire anche da stimolo per contrastare la marginalità di alcuni territori rispetto ai grandi centri urbani di sviluppo creativo (generalmente si considerano quali principali cluster della creatività europea i principali contesti urbani, come ad esempio, l'Ile de France, l'Inner London, la provincia di Milano, Amsterdam, Madrid, ecc. (7) (vedi rapporto Priority Sector Report: Creative and Cultural Industries dello European Cluster Observatory).

4.4.3   Esistono molteplici ragioni che portano alla formazione di cluster industriali di natura «creativa» quali lo sviluppo economico di città e regioni, lo sviluppo dell'economia della conoscenza, il turismo creativo, l'efficacia delle catene di produzione, gli effetti di spillover in termini di innovazione, ecc. Sulla scorta di tali conoscenze, specifici progetti andrebbero avviati per favorire l'ampliamento di tali cluster, la loro maggiore diffusione su tutto il territorio dell'Unione e l'avvio di network di livello europeo.

4.4.4   Ciò si ricollega (vedi conclusioni del Consiglio dell'UE del 29 aprile 2010) al ruolo centrale dell'industria creativa - le sue reti e cluster - quale volano per lo sviluppo regionale. Il Priority Sector Report: Creative and Cultural Industries dello European Cluster Observatory evidenzia empiricamente un diretto collegamento tra localizzazione dell'industria creativa e sviluppo territoriale. Il problema riguarda la scelta delle forme di cooperazione più adatte a favorire l'integrazione delle ICC nello sviluppo strategico regionale.

4.4.5   Caratteristica saliente dei cluster culturali e creativi è la dipendenza, soprattutto nelle fasi di start-up, da interventi di natura pubblica e la necessità di azioni positive d'integrazione capaci di coinvolgere l'insieme di attori territoriali: la pubblica amministrazione, l'imprenditorialità, il sistema formativo e l'università, gli operatori culturali, le professioni intellettuali e la società civile. Non va, infatti, sottovalutato il legame fra tali cluster e la comunità territoriale di origine. Tali cluster traggono origine dal «sapere comune» del luogo e s'intrecciano con un ambiente favorevole, non riproducibile, favorendo innovazione e cambiamento (vedi casi studio quali Bilbao, Valencia, Amsterdam, Ruhr, ecc.).

4.4.6   Gli enti locali (comuni, regioni, ecc.) in collaborazione con gli altri enti territoriali (università, banche, associazioni, fornitori di contenuti pubblici e/o privati, ecc.) svolgono, pertanto, un ruolo fondamentale per l'integrazione delle ICC nello sviluppo regionale, mirando a realizzare gli obiettivi strategici di settore. La politica di coesione dell'UE riconosce, ad esempio, il molteplice contributo delle ICC ai suoi obiettivi strategici (convergenza, competitività, occupazione, cooperazione territoriale e inclusione delle fasce più deboli della società), pur se con impatti specifici di difficile determinazione.

4.4.7   Tra gli esempi concreti di luoghi di aggregazione e confronto della cultura e della creatività al di fuori dei grandi poli urbani, spesso in aree svantaggiate e/o transfrontaliere, il CESE sottolinea, oltre alla consolidata esperienza di Valencia, anche la recentissima esperienza dei «laboratori urbani» della regione Puglia in cui immobili dismessi, edifici scolastici in disuso, palazzi storici abbandonati, ex monasteri, mattatoi, mercati e caserme, in tutta la regione, vengono ristrutturati e dotati di attrezzature, arredi e strumenti per diventare, con il supporto della regione, veri e propri «contenitori» culturali e creativi per i giovani.

4.5   Lo «spazio europeo» della creatività: il quadro regolatorio

4.5.1   Altro tema chiave per contrastare «la marginalità» è la mobilità degli artisti e degli operatori dell'industria creativa. Lo scambio delle migliori pratiche rimane, infatti, necessario per aprire nuove prospettive e stimolare i cittadini europei a conoscere e comprendere meglio le culture reciproche.

4.5.2   Gli ostacoli alla mobilità sono però numerosi, per lo più legati alle norme in materia di visto, ai regimi fiscali e ad altri ostacoli amministrativi connessi alla differente regolamentazione del settore nei diversi paesi europei e spesso anche tra diverse amministrazioni regionali.

4.5.3   Proposte operative per favorire la mobilità sono: promuovere le coproduzioni europee e/o lo scambio di esperienze e competenze, sia nelle fasi di produzione che di progettazione, di natura intrasettoriale e intersettoriale; garantire fondi per la traduzione nelle lingue meno parlate ed extraeuropee; promuovere azioni specifiche per il mutuo riconoscimento delle attività, delle professionalità e delle competenze certificabili e la sottoscrizione di accordi contro la doppia tassazione. Ad un'«economia culturale creativa» concorrono le professioni intellettuali; queste possono contribuire ad un progetto pilota a rete in grado di attrarre i contributi creativi che pervengono anche dall'esterno dell'Unione europea.

4.5.4   In quest'ambito le ICT offrono nuove opportunità, sia in termini di realizzazione dei prodotti creativi, sia nell'ambito della loro distribuzione e fruizione da parte degli utenti finali. La Commissione europea nel maggio 2010 ha presentato un'ambiziosa Agenda europea del digitale (la prima delle sette azioni faro della strategia Europa 2020). Tra i sette obiettivi in cui si articola, essa prevede un nuovo mercato unico per sfruttare i benefici apportati dall'era digitale, un aumento significativo della possibilità di accedere a Internet veloce e superveloce per i cittadini europei e l'intento di fornire a tutti i cittadini europei competenze digitali e servizi on-line accessibili.

4.5.5   Ostacolo principale alle potenzialità digitali del settore è, tuttavia, l'assenza di un quadro regolamentare a tutela della proprietà intellettuale dei contenuti culturali e creativi in forma digitale (le cui attuali regole sono spesso orientate alle esigenze dei soli grandi operatori), nonché il diritto di accesso ai contenuti da parte di tutti i fruitori/cittadini e le PMI, in particolare di quelli residenti in aree svantaggiate (spesso costretti a subire regole di accesso limitanti e vessatorie).

4.5.6   La questione dei diritti di proprietà intellettuale va letta in connessione al problema della pirateria e contraffazione, che si stima abbia determinato, solo nel 2008, un impatto sull'industria creativa (cinema, serie televisive, produzione musicale e software) pari a 10 miliardi di euro di mancati introiti e 185 000 posti di lavoro in meno (vedi studio TERA Costruire un'economia digitale: l'importanza di salvaguardare i livelli occupazionali nelle industrie creative dell'UE). La pirateria digitale è un reato che affligge tanto le piccole quanto le grandi imprese e richiede, a livello europeo, misure più incisive e coordinate per favorire anche la tutela dei consumatori e contrastare il fenomeno delle produzioni illegali su più ampia scala.

4.5.7   Da valutare, in quest'ambito, le potenzialità offerte dal paradigma dell'open source e della Wikinomics, in considerazione della loro specifica capacità di valorizzare il lavoro delle piccole realtà, caratterizzato da processi produttivi frammentati, contributi creativi caratterizzati da forti individualità, cicli produttivi variabili, risorse economiche limitate.

4.5.8   Il CReATE Project  (8) Report on ICT and CI evidenzia quattro trend principali attraverso i quali le ICT possono fare da volano allo sviluppo economico delle ICC: distribuzione digitale per agevolare la condivisione dei contenuti in rete; sviluppo delle esperienze visuali; riduzione dell'effetto «barriera» e sviluppo durevole di nuove imprenditorialità, in particolare nelle aree svantaggiate dell'UE; capacità di adattare l'organizzazione del lavoro a risorse distribuite sul territorio e messe in contatto semplicemente dalla tecnologia e dai fornitori dei contenuti nell'ambito di PPPP.

4.5.9   Una seconda questione posta dalla Commissione concerne il tema della promozione della collaborazione fra scuole d'arte e design e imprese, in particolare quelle artigiane, nonché lo sviluppo delle competenze digitali, soprattutto dove queste sono assenti o ancora fragili. Già il Manifesto della creatività UE per l'anno 2009 ha sottolineato la necessità di «reinventare l'insegnamento» affinché questo prepari alla società della conoscenza. Esiste, tuttavia, un problema specifico di mancata integrazione fra istruzione e mondo imprenditoriale, con particolare riferimento allo sviluppo delle creatività, dei c.d. e-skill e, più in generale, della capacità di adattamento delle risorse umane allo straordinario sviluppo del settore.

4.5.10   Proposte operative in tale ambito sono:

a)

la promozione di una maggiore conoscenza dell'industria creativa nei percorsi di istruzione di base; la promozione di una maggiore «imprenditorialità creativa», anche favorendo maggiori occasioni di collaborazione fra istruzione di base e istituti d'arte e design (ad es. stage e seminari);

b)

l'adozione di processi competitivi e award per i giovani talenti e per quegli istituti che ne promuovono le competenze;

c)

la promozione dell'educazione artistica e culturale e, più in generale, dell'interesse per il lavoro e i prodotti dell'industria creativa nei percorsi di istruzione primaria e secondaria;

d)

azioni di supporto per i neolaureati nel settore attraverso facilitazioni economiche dirette o alle imprese che danno loro impiego;

e)

il supporto alla «occupabilità» attraverso processi di formazione continua e il riconoscimento europeo dei titoli;

f)

lo sviluppo delle conoscenze informatiche e tecnologiche negli studenti degli istituti d'arte e design;

g)

l'avvio di partnership con l'associazionismo delle PMI e dell'artigianato nell'UE, volte a contribuire efficacemente al processo di trasmissione dei saperi, dell'imprenditorialità e di tutti quei valori «immateriali» che sono alla base dello sviluppo creativo.

4.6   Il finanziamento della creatività

4.6.1   Una terza questione posta dalla Commissione concerne il tema del finanziamento della creatività, ossia di come stimolare gli investimenti privati e le PPPP e migliorare l'accesso al credito per le ICC. A tale proposito va sottolineato, da un lato, che una maggiore cura agli aspetti di sostenibilità economica e finanziaria dei progetti/opere da parte delle imprese aumenterebbe innegabilmente l'accesso al credito e, dall'altro, che le istituzioni creditizie dimostrano scarsa competenza nel valutare le ricadute economiche e finanziarie di «idee inedite».

4.6.2   Proposte concrete, in tale ambito, sono:

a)

condividere «linee guida» di business plan per i progetti/servizi/opere creative e culturali, così come specifici indicatori di qualità dei processi e di performance economico-finanziaria capaci di agevolare la valutazione tecnico-economica degli investimenti nel settore, evitando inutili oneri economici e amministrativi sulle PMI;

b)

implementare una formazione appropriata dei valutatori, sviluppare politiche e programmi mirati di aiuto alle ICC con un approccio «olistico»;

c)

garantire, con poche risorse, finanziamenti agevolati per la progettazione e lo start-up o per la verifica preliminare della fattibilità e sostenibilità dei progetti (ad es. una certificazione di fattibilità), consentendo di attrarre risorse aggiuntive per le fasi di produzione e per la diffusione dei risultati a una più vasta platea di imprese interessate;

d)

adottare sistemi fiscali non penalizzanti per le ICC, in particolare le PMI in forma singola od aggregata, attraverso crediti d'imposta e/o esenzioni fiscali (ad es. l'IVA ridotta per i prodotti off-line e on-line del settore, così come avviene negli USA);

e)

sviluppare forme di credito agevolato, tramite fondi misti pubblico-privati di garanzia alle PMI (rete europea dei consorzi fidi PMI) e rotativi;

f)

promuovere nuove forme associate e partnership tra i diversi stakeholder nei settori interessati (ad es. ICT, musica, case editrici, ecc.).

4.6.3   Tema correlato è quello del supporto europeo agli investimenti nel settore. Le politiche europee di indirizzo e sostegno dovrebbero contribuire anche a favorire l'armonizzazione dei regolamenti nazionali e regionali e delle politiche di promozione del settore in materia di supporto pubblico e accesso al credito, privato e agevolato con l'obiettivo di creare partnership e progetti fra i territori a diverso livello di sviluppo (vedi rapporto di KEA Business Innovation Support Services for Creative Industries) (9).

4.7   La dimensione sociale della creatività

4.7.1   Da sottolineare, infine, il tema degli impatti sociali dello sviluppo dei cluster della creatività. Intrinseco allo sviluppo delle ICC vi è, infatti, uno stretto legame tra crescita economica e crescita sociale delle comunità interessate. Il settore rimane cioè intrinsecamente legato all'ambiente di riferimento: i cluster si alimentano delle relazioni socioeconomiche locali non altrove riproducibili, il radicamento territoriale degli operatori del settore, lo stretto rapporto con il settore dell'istruzione e della formazione. Ciò richiede l'adozione di un dialogo strutturato fra ICC e amministrazioni locali adeguando le competenze istituzionali/amministrative attraverso una formazione mirata e il coinvolgimento attivo delle comunità locali.

4.7.2   Il CESE ribadisce, pertanto, la necessità di favorire, all'interno delle istituzioni dell'UE, un dialogo strutturato sul tema degli impatti sociali dello sviluppo dei cluster della creatività e sul tema del miglioramento delle condizioni di lavoro di chi opera nel settore. Il settore richiede, infatti, interventi mirati di protezione sociale in considerazione del fatto che è caratterizzato da peculiarità specifiche come, ad esempio, la diffusione del precariato, la presenza di contratti di breve e brevissimo termine, l'assenza di una tutela adeguata dei diritti di proprietà intellettuale, l'assenza di una normativa a favore della mobilità dei lavoratori e degli artisti.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr., in un altro contesto, il parere sul tema Migliorare i modelli di «partenariati pubblico-privati partecipativi» sviluppando i servizi online per tutti nell'UE-27 (TEN/402, adottato dal CESE nella sessione plenaria di settembre 2010, non ancora pubblicato nella GU).

(2)  Cfr. il parere del CESE sul tema Le industrie culturali in Europa (GU C 108 del 30.4.2004, pag. 68).

(3)  Cfr. il parere del CESE sul tema Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione (GU C 325 del 30.12.2006, pag. 16; cfr. in particolare il punto 4.12 e la nota 55).

(4)  In uno studio realizzato dalla società KEA su richiesta della Commissione europea si sottolineano, in quest'ambito, tre canali fondamentali (http://www.keanet.eu/report/BISScreativeindustries.pdf): il link con lo sviluppo locale/regionale; i rapporti intrasettoriali (per esempio tra contenuti creativi e ICT, o tra cultura e turismo); le interconnessioni fra settori «creativi» e «non creativi». Questo rapporto è stato preparato in occasione del workshop organizzato ad Amsterdam dalla DG Imprese e industria, nel corso del quale è stata elaborata anche la «Dichiarazione di Amsterdam» (http://www.europe-innova.eu/creative-industries).

(5)  Naturalmente una disamina puntuale dei modelli di politica industriale adottati nei vari Stati membri richiederebbe, ancora una volta, la condivisione di una definizione univoca di ICC. I finanziamenti pubblici sono, comunque, generalmente volti alla promozione del settore culturale (teatro, cinema, arte, fondazioni, ecc.) con impatti significativi su tutto il settore, data l'interrelazione esistente fra investimenti culturali e sviluppo delle industrie creative.

(6)  L'iniziativa avrà un budget di 7,5 milioni di euro e si prevede abbia un elevato leverage finanziario (circa 100 milioni di euro in tre anni).

(7)  Tali «concentrazioni territoriali» riguardano, principalmente, specifici sub-settori come computer media, sound recording e video recording.

(8)  Per maggiori informazioni sul progetto CreATE: http://www.lets-create.eu/.

(9)  Cfr. nota 4.


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, che abroga la decisione quadro 2002/629/GAI»

COM(2010) 95 definitivo — 2010/0065 (COD)

2011/C 51/10

Relatore: SIBIAN

Il Consiglio, in data 22 luglio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, che abroga la decisione quadro 2002/629/GAI

COM(2010) 95 definitivo - 2010/0065 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2010.

Tenuto conto del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di pronunciarsi sul presente parere nel corso della sessione plenaria di ottobre e ha nominato SIBIAN relatore generale, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria del giorno 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene l'impegno dell'UE a prevenire e combattere la tratta di esseri umani e a tutelare i diritti delle vittime. Inoltre, esso accoglie con favore l'approccio globale e integrato adottato dalla direttiva proposta.

1.2

La tratta di esseri umani costituisce una grave violazione dei diritti umani, un crimine che presenta molteplici aspetti i quali devono essere tutti presi in considerazione. La definizione di «tratta di esseri umani» proposta dalla Commissione contempla diverse categorie di vittime e diverse forme di sfruttamento, compresi l'accattonaggio e lo sfruttamento di attività criminali - due fattispecie coperte per la prima volta da una normativa europea. Nell'ambito di questa definizione rientra anche la tratta di esseri umani perpetrata ai fini del prelievo di organi, che costituisce una gravissima violazione dell'incolumità fisica e dei diritti umani. Il CESE condivide pienamente questa ampia definizione dei reati di tratta di esseri umani.

1.3

Il CESE condivide il giudizio secondo cui le sanzioni penali per i reati di tratta devono essere commisurate alla estrema gravità di queste attività criminali. Esso raccomanda pertanto l'adozione di sanzioni detentive e pecuniarie più severe, abbinate alla misura della confisca dei proventi di questi reati. Le attività investigative sulla tratta di esseri umani devono comprendere anche indagini finanziarie. Inoltre, è assolutamente necessaria l'armonizzazione delle pene detentive e pecuniarie comminate dai singoli Stati membri.

1.4

Oltre che nella comminazione di sanzioni adeguate ai responsabili di questi reati, un altro aspetto di primaria importanza nella lotta contro questa flagrante violazione dei diritti umani consiste nell'assicurarsi che le pene detentive irrogate dai giudici vengano effettivamente scontate. Il CESE raccomanda pertanto di stabilire che, in caso di condanna a pena detentiva per un reato di tratta di esseri umani, non vi sia alcuna possibilità di commutazione della pena o di liberazione anticipata.

1.5

Il CESE condivide il giudizio secondo cui le vittime della tratta di esseri umani si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità e dovrebbero essere protette dalla vittimizzazione secondaria e da ogni altro trauma per tutta la durata del procedimento penale. In quest'ottica, il CESE raccomanda di riformulare l'art. 7 della proposta di direttiva - che attualmente recita: «Gli Stati membri stabiliscono […] la possibilità di non perseguire né imporre sanzioni alle vittime […]» - sostituendo il termine «possibilità» con uno più forte, in modo che il non perseguire penalmente e il non infliggere sanzioni diventi la regola piuttosto che l'eccezione.

1.6

Considerata la particolare situazione in cui si trovano le vittime della tratta, il CESE propone che esse, fin dal momento in cui sono riconosciute come tali, beneficino di assistenza legale gratuita e di qualità.

1.7

Se la vittima è minorenne, l'assistenza e il sostegno nei suoi confronti dovrebbero consistere principalmente nel suo ricongiungimento con la famiglia, sempre che i membri di quest'ultima non risultino coinvolti nella tratta.

1.8

Per riuscire a reintegrare pienamente le vittime della tratta ed evitare che al loro rientro possano tornare a esserne oggetto, esse dovrebbero beneficiare di un periodo di riflessione (1), durante il quale, oltre a fruire dell'assistenza medica, dovrebbero poter seguire corsi di istruzione e/o di formazione professionale.

1.9

Il principio del non respingimento deve essere applicato anche nei casi di tratta di esseri umani, onde evitare che le vittime della tratta siano rimandate al paese di origine se ciò può mettere a repentaglio la loro vita o la loro libertà.

1.10

Il CESE condivide il giudizio secondo cui le ulteriori misure e decisioni da adottare in materia di tratta di esseri umani dovrebbero comprendere la prevenzione. In quest'ottica, una conoscenza e un'analisi approfondite delle cause alla radice di tale tratta sono un presupposto necessario per combatterle con efficacia e ridurre così l'incidenza di quest'attività criminale.

1.11

La tratta di esseri umani è al tempo stesso una questione mondiale e un problema locale. Il CESE è convinto che le politiche repressive - giudiziarie e di polizia - possano essere efficaci solo in presenza di un ampio partenariato che coinvolga le ONG, le organizzazioni datoriali, il settore privato, i sindacati e tutti i livelli di governo. Si deve infatti creare un contesto ostile per i trafficanti di esseri umani.

1.12

Anche la società civile svolge un ruolo di vitale importanza nell'attività di contrasto alla tratta di esseri umani. Il CESE, quindi, si rallegra del fatto che la direttiva preveda la cooperazione con le organizzazioni della società civile. È fondamentale, infatti, che questi attori siano coinvolti in ogni fase di tale processo, dall'identificazione delle vittime alla prestazione dell'assistenza. Le organizzazioni della società civile potrebbero svolgere un ruolo cruciale nella reintegrazione sociale delle vittime potenziali della tratta e potrebbero dunque assumere una funzione di prevenzione indiretta e contribuire a impedire l'ulteriore vittimizzazione e coinvolgimento nella tratta di esseri umani.

1.13

Il CESE concorda nel ritenere che in materia di tratta di esseri umani vi sia carenza di dati comparabili. È quindi necessario raccogliere dati di qualità su questo fenomeno nei diversi Stati membri e procedere in modo armonizzato, istituendo a tal fine dei relatori nazionali.

1.14

La nomina di relatori nazionali in questo campo dovrebbe diventare la regola, e il loro compito dovrebbe essere definito in modo chiaro. In base alla direttiva proposta, gli Stati membri hanno il diritto di nominare dei relatori nazionali o di istituire dei meccanismi equivalenti. Il CESE reputa che la direttiva dovrebbe prevedere un solo tipo di istanza e che ciascuna di tali istanze nazionali dovrebbe coordinare le politiche e le azioni condotte a livello regionale nel rispettivo Stato membro e coordinarsi con le istanze omologhe degli altri paesi dell'UE, in modo da evitare che si creino forti discrepanze da uno Stato membro all'altro.

1.15

Il CESE si augura che l'accordo raggiunto dagli Stati membri sulla nomina di un coordinatore europeo per la lotta contro la tratta di esseri umani si traduca presto in un'azione coerente, soddisfacente e decisiva in questo campo.

2.   Proposta della Commissione

La proposta di direttiva sviluppa la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, riprendendone l'approccio globale che include la prevenzione, l'azione penale, la protezione delle vittime e il monitoraggio. La proposta offre tuttavia un valore aggiunto riguardo ai seguenti elementi principali:

misure volte a rendere le sanzioni proporzionate alla gravità dei reati,

una norma di giurisdizione extraterritoriale più ampia e più cogente, che obbliga gli Stati membri a perseguire i loro cittadini e residenti abituali che abbiano commesso reati di tratta al di fuori del loro territorio,

l'estensione del campo di applicazione della norma sulla possibilità di non perseguire né sanzionare le vittime coinvolte in attività criminali, a prescindere dal mezzo illecito utilizzato dai trafficanti, conformemente al protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale («protocollo di Palermo»),

una migliore assistenza alle vittime, specialmente in relazione alle cure mediche, nonché misure di protezione nei loro confronti,

garanzie di tutela delle vittime eventualmente rimandate nel paese di origine,

misure di protezione specifiche per i minori, le donne e le altre persone particolarmente vulnerabili che sono vittime della tratta di esseri umani,

inoltre, l'incorporazione di disposizioni di contenuto analogo nell'acquis dell'Unione europea presenta i vantaggi legati ai più forti vincoli imposti dall'ordinamento giuridico di questa, in particolare l'entrata in vigore immediata e il monitoraggio dell'attuazione.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE sostiene l'impegno dell'UE a prevenire e combattere la tratta di esseri umani e a tutelare i diritti delle vittime. La proposta di direttiva mira a stabilire norme minime per le sanzioni applicabili ai reati di tratta di esseri umani e a intensificare gli sforzi volti a prevenire questo fenomeno e a proteggerne le vittime.

3.2

Il CESE accoglie con favore l'approccio globale e integrato adottato dalla direttiva. Dato che la tratta di esseri umani rappresenta una forma moderna di schiavitù e costituisce, per la criminalità organizzata, un'attività altamente lucrativa, peraltro in aumento in Europa (secondo le valutazioni di Europol riferite al 2009), è fondamentale che in questa materia l'UE adotti un approccio globale e orientato ai diritti umani, focalizzato sulle relazioni esterne, le politiche di rimpatrio e di reintegrazione, gli affari sociali, l'inclusione sociale, la migrazione e l'asilo.

3.3

Il CESE rileva che la direttiva affronta con decisione gli sviluppi recenti del fenomeno della tratta di esseri umani, fornendone quindi una definizione che è in linea con le norme riconosciute a livello internazionale come quelle stabilite dal protocollo di Palermo e quelle sancite nella Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani.

3.4

Nel suo preambolo, la direttiva fornisce indicazioni precise riguardo a ciò che in essa si intende per «vittime particolarmente vulnerabili». Poiché i minori sono più vulnerabili e corrono maggiori rischi di rimanere vittime della tratta di esseri umani, a questa categoria occorre prestare un'attenzione particolare. Il CESE ritiene che si debba tenere conto in primo luogo dell'interesse superiore del minore, conformemente alle disposizioni contenute nella Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

3.5

È tuttavia importante che la definizione della tratta di esseri umani contempli tutti i tipi di vittime, sia donne che uomini, riconoscendo che possono trovarsi in una condizione di vulnerabilità.

3.6

Tutti gli aspetti di questa attività criminale vengono presi in considerazione dalla proposta. La definizione di «tratta di esseri umani» contempla infatti diverse categorie di vittime e diverse forme di sfruttamento, compresi l'accattonaggio e lo sfruttamento di attività criminali - due fattispecie coperte per la prima volta da una normativa europea. Nell'ambito di questa definizione rientra anche la tratta di esseri umani perpetrata ai fini del prelievo di organi, che costituisce una gravissima violazione dell'incolumità fisica e dei diritti umani. Il CESE condivide pienamente questa ampia definizione dei reati di tratta di esseri umani.

3.7

Il CESE è dell'avviso che gli Stati membri dovrebbero introdurre una definizione più ampia di «tratta di esseri umani» (nonché norme formulate in modo più ampio) nelle rispettive legislazioni. Ciò al fine di instaurare un quadro normativo adatto ad affrontare questo fenomeno - complesso e in continua evoluzione - nelle sue diverse forme. Per esempio, bisognerebbe prendere in considerazione anche le forme di tale attività criminale eventualmente basate sull'uso di Internet e più in generale delle tecnologie dell'informazione.

3.8

La direttiva segna un importante passo avanti poiché stabilisce chiari livelli di sanzioni. Il documento mira infatti a garantire l'armonizzazione del livello delle sanzioni comminate nei singoli Stati membri.

3.9

Il CESE è consapevole delle difficoltà incontrate nell'elaborazione della proposta di direttiva riguardo alla determinazione di livelli sanzionatori massimi uniformi. È tuttavia importante che le sanzioni siano armonizzate, poiché presentano notevoli variazioni da uno Stato membro all'altro: da tre a venti anni di reclusione per reati semplici e da dieci anni fino all'ergastolo in caso di circostanze aggravanti. Al di là delle differenze esistenti tra gli ordinamenti penali e le politiche criminali dei singoli Stati membri, il CESE reputa che un approccio basato su sanzioni severe per tipo ed entità, applicate in maniera rigorosa, rappresenti la risposta adatta all'aumento dell'incidenza dei reati in questione.

3.10

In base ai dati attualmente disponibili, si stima che ogni anno diverse centinaia di migliaia di persone siano vittime della tratta di esseri umani verso l'UE o all'interno del suo territorio. Inoltre, nel 2008 il numero di casi di tratta di esseri umani aperti da Eurojust è aumentato di oltre il 10 % rispetto al 2007. Oggi questo fenomeno criminale è presente, in una forma o in un'altra, in tutti i 27 Stati membri, e la sua incidenza è in aumento.

3.11

Il livello delle sanzioni detentive e pecuniarie per i soggetti che sfruttano la tratta di esseri umani dovrebbe riflettere la gravità di questo tipo di reati e fungere da deterrente efficace. Le sanzioni proposte potrebbero dunque essere rivedute verso l'alto, poiché ad avviso del CESE una pena di cinque anni di reclusione non rispecchia realmente la gravità di questi reati. L'applicazione di sanzioni più pesanti, infatti, risponderebbe meglio agli obiettivi della direttiva in esame, e, in caso di circostanze aggravanti, le sanzioni dovrebbero essere adeguate di conseguenza. Inoltre, la prassi di commutare o ridurre - per buona condotta, celebrare festività nazionali o altri motivi - le pene detentive già irrogate con condanna definitiva non dovrebbe essere applicata ai reati di questo tipo.

3.12

La certezza della pena costituisce infatti un altro aspetto al quale gli Stati membri devono attribuire un'importanza prioritaria. Data la gravità dei reati di tratta, in questi casi la prassi di commutare la pena detentiva già irrogata con condanna definitiva o di concedere la liberazione anticipata non dovrebbe essere accettabile.

3.13

Oltre alle sanzioni stabilite nella direttiva in esame, gli Stati membri dovrebbero introdurre anche la misura della confisca dei proventi dei reati in questione, che colpirebbe in maniera diretta le motivazioni economiche alla base di queste attività (2), il divieto di lasciare il paese e restrizioni all'esercizio di determinati diritti civili e politici. Le attività investigative sulla tratta di esseri umani dovrebbero comprendere anche indagini finanziarie.

3.14

Il CESE condivide il giudizio secondo cui le vittime della tratta di esseri umani si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità e dovrebbero essere protette dalla vittimizzazione secondaria e da ogni altro trauma per tutta la durata del procedimento penale. Esse devono inoltre poter esercitare effettivamente i loro diritti e ottenere l'assistenza e il sostegno necessari a tal fine.

3.15

Il CESE concorda pienamente sulla necessità di tutelare le vittime della tratta di esseri umani dall'azione penale e dalle sanzioni per reati commessi come conseguenza diretta dell'essere vittime di tale tratta (ad esempio utilizzo di documenti falsi, prostituzione, immigrazione clandestina ecc.). Questa tutela è necessaria per evitare che le vittime siano sottoposte a un'ulteriore vittimizzazione e per incoraggiarle a deporre come testimoni nei procedimenti penali. L'art. 7 della proposta di direttiva recita: «Gli Stati membri stabiliscono […] la possibilità di non perseguire né imporre sanzioni alle vittime […]». Il CESE raccomanda di sostituire la parola «possibilità» con un termine più forte, in modo che il non perseguire penalmente e il non infliggere sanzioni diventi la regola piuttosto che l'eccezione.

3.16

Le vittime della tratta di esseri umani dovrebbero essere tutelate dalla vittimizzazione secondaria e da ogni altro trauma per tutta la durata del procedimento penale. Tutte le vittime dovrebbero pertanto poter rendere testimonianza dietro uno schermo o in una stanza separata, in modo da non essere esposte al confronto diretto con i trafficanti/gli autori dei reati, confronto che potrebbe indurre tensione o paura.

3.17

Il CESE reputa che le vittime della tratta di esseri umani, fin dal momento in cui sono riconosciute come tali, debbano beneficiare di assistenza legale gratuita e di qualità. Fornire tale assistenza è anche nell'interesse dello Stato, poiché essa garantisce alla vittima di beneficiare al più presto della protezione necessaria e assicura la sua collaborazione volontaria alle indagini e al procedimento penale.

3.18

Il CESE giudica fondamentale riaffermare il principio del non respingimento, per garantire che le vittime non siano rimandate al paese di origine se ciò può mettere a repentaglio la loro vita o la loro libertà.

3.19

Il CESE reputa che la norma di giurisdizione extraterritoriale proposta nella direttiva possa creare conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.

3.20

Se la vittima è minorenne, l'assistenza e il sostegno nei suoi confronti dovrebbero consistere principalmente nel suo ricongiungimento con la famiglia, sempre che i membri di quest'ultima non risultino coinvolti nella tratta.

3.21

Per riuscire a reintegrare pienamente le vittime della tratta ed evitare che al loro rientro possano tornare a esserne oggetto, esse dovrebbero beneficiare di un periodo di riflessione (3), durante il quale, oltre a fruire dell'assistenza medica, dovrebbero poter seguire corsi di istruzione e/o di formazione professionale. Il periodo di riflessione dovrebbe essere concesso alle vittime indipendentemente dalla loro disponibilità a testimoniare contro gli autori dei reati e a rientrare volontariamente nel loro paese di origine.

3.22

Il CESE condivide il giudizio secondo cui le ulteriori misure e decisioni da adottare in materia di tratta di esseri umani dovrebbero comprendere la prevenzione, la tutela e l'assistenza delle vittime nonché il rafforzamento della cooperazione tra tutte le parti interessate.

3.23

Gli Stati membri dovrebbero tenere conto delle cause che sono alla radice della tratta di esseri umani, rappresentate dalla povertà e dalle disparità esistenti su scala mondiale nell'applicazione dello Stato di diritto. Gli squilibri nella distribuzione della ricchezza, la mancanza di istruzione, la discriminazione, il malgoverno, gli alti tassi di disoccupazione, la debolezza dei sistemi di applicazione della legge, i conflitti armati e la corruzione creano un terreno fertile per la tratta di esseri umani. La lotta contro tutti questi fattori dovrebbe portare quindi anche a una riduzione dell'incidenza di tale fenomeno.

3.24

Anche se, nel definire le persone giuridiche che possono essere ritenute responsabili di reati di tratta di esseri umani, la direttiva esclude gli Stati o altre istituzioni pubbliche nell'esercizio dei pubblici poteri, è importante che gli Stati compiano ogni sforzo necessario per individuare e porre fine al coinvolgimento o alle complicità del settore pubblico in queste attività. I funzionari pubblici coinvolti in atti criminosi o comunque illegali di questo tipo dovrebbero essere perseguiti e condannati senza alcuna eccezione.

3.25

Gli Stati membri devono tenere conto del fatto che anche la tratta di esseri umani è governata dalla legge della domanda e dell'offerta. In quest'ottica, l'adozione di misure volte a diminuire la domanda contribuirebbe a ridurre la tratta stessa. Se gli Stati membri adottassero misure adeguate a scoraggiare la domanda che favorisce ogni forma di sfruttamento e prendessero inoltre provvedimenti volti a ridurre al minimo il rischio che le persone rimangano vittime della tratta di esseri umani, si compierebbe un importante passo avanti per ridurre l'incidenza di questi reati.

3.26

La tratta di esseri umani è al tempo stesso una questione mondiale e un problema locale. Il CESE è convinto che le politiche repressive - giudiziarie e di polizia - possano essere efficaci solo in presenza di un ampio partenariato che coinvolga le ONG, le organizzazioni datoriali, il settore privato, i sindacati e tutti i livelli di governo. Occorre infatti creare un contesto ostile per i trafficanti di esseri umani.

3.27

In base alla direttiva, le misure che gli Stati membri devono adottare sono costituite da campagne di informazione e sensibilizzazione e da programmi di ricerca e istruzione, ove opportuno in cooperazione con le organizzazioni della società civile, miranti a ridurre il rischio che le persone, soprattutto i minori, diventino vittime della tratta di esseri umani. Al riguardo il CESE reputa che non sia sufficiente lanciare campagne sporadiche e propone quindi di effettuare campagne di istruzione sistematiche a livello europeo.

3.28

Il CESE si compiace che la direttiva preveda la cooperazione con le organizzazioni della società civile. È fondamentale, infatti, che questi attori siano coinvolti in ogni fase di tale processo, dall'identificazione delle vittime alla prestazione dell'assistenza.

3.29

Le organizzazioni della società civile potrebbero svolgere un ruolo cruciale nella reintegrazione sociale delle vittime potenziali della tratta e potrebbero dunque assumere una funzione di prevenzione indiretta e contribuire a impedire l'ulteriore vittimizzazione e coinvolgimento nella tratta di esseri umani. Gli Stati membri dovrebbero cooperare strettamente con le ONG per fornire assistenza. Congiuntamente con le ONG, gli Stati membri potrebbero sostenere la messa a punto di «hotline» di informazione e di altre risorse informative per le persone «a rischio» (perché appartenenti a determinate categorie) o vittime della tratta e per le loro famiglie.

3.30

Il CESE sottolinea che la Commissione europea (4) ha lanciato un invito mirato a presentare proposte nell'ambito del programma specifico intitolato Prevenzione e lotta contro la criminalità, quale parte del programma generale sulla sicurezza e tutela delle libertà. Questa iniziativa mira a intensificare le politiche dell'UE in materia di lotta alla tratta di esseri umani e dovrebbe portare a un miglioramento delle misure non legislative destinate a combattere questo fenomeno. In tale contesto, le priorità fissate per il 2010 comprendono: la prevenzione, la tutela delle vittime, il perseguimento e le indagini sugli autori dei reati, i meccanismi di coordinamento e cooperazione, nonché la raccolta di dati affidabili. Per il programma sono stati stanziati 4 milioni di euro, destinati a finanziare 12 progetti. Si tratta di un buon inizio, ma le ONG impegnate nella lotta contro la tratta di esseri umani hanno bisogno di molto sostegno, e gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per sostenere le organizzazioni della società civile attive su questo fronte.

3.31

Il CESE reputa che l'introduzione nel mondo delle imprese dell'autoregolamentazione (ad esempio sotto forma di codici di condotta) di prassi commerciali eque e della gestione della catena di approvvigionamento potrebbe far sì che le vittime della tratta di esseri umani non siano costrette a lavorare e non siano quindi coinvolte nella produzione dei prodotti e nella fornitura dei servizi di un'impresa. Anche l'elaborazione di orientamenti in materia di buone pratiche sul reclutamento di lavoratori migranti e la cooperazione bilaterale tra paesi di origine e paesi di accoglienza nel controllo delle condizioni di assunzione e di lavoro dei lavoratori migranti rappresentano ottimi metodi per prevenire questo fenomeno.

3.32

Dato che le misure di contrasto alla tratta di esseri umani non possono limitarsi all'adozione di strumenti legislativi e poiché è necessario attuare misure - non legislative - supplementari, come la raccolta e la trasmissione di dati, la cooperazione, lo sviluppo di partenariati e lo scambio di buone pratiche, il CESE desidera sottolineare la necessità di adottare un approccio unico e coerente a livello europeo.

3.33

Il CESE concorda nel ritenere che in materia di tratta di esseri umani vi sia carenza di dati comparabili. È quindi necessario raccogliere dati di qualità su questo fenomeno nei diversi Stati membri e procedere in modo armonizzato, istituendo a tal fine dei relatori nazionali.

3.34

La nomina di relatori nazionali in questo campo dovrebbe diventare la regola, e il loro compito dovrebbe essere definito in modo chiaro. In base alla direttiva proposta, gli Stati membri hanno il diritto di nominare dei relatori nazionali o di istituire dei meccanismi equivalenti. Il CESE reputa che la direttiva dovrebbe prevedere un solo tipo di istanza e che ciascuna di tali istanze nazionali dovrebbe coordinare le politiche e le azioni condotte a livello regionale nel rispettivo Stato membro e coordinarsi con le istanze omologhe degli altri paesi dell'UE, in modo da evitare che si creino forti discrepanze da uno Stato membro all'altro.

3.35

Benché la tratta di esseri umani rientri nell'oggetto di numerosi accordi tra l'Unione europea e paesi terzi (figura ad esempio tra quelli del partenariato strategico Africa-Unione europea e del partenariato orientale, e rappresenta una delle priorità degli accordi di stabilizzazione e di associazione conclusi tra l'Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali), il CESE è dell'avviso che la lotta contro questo fenomeno debba diventare uno degli obiettivi prioritari di tali accordi. Inoltre, l'UE dovrebbe impegnarsi attivamente per concludere accordi analoghi anche con altri paesi terzi.

3.36

Il CESE si augura che l'accordo raggiunto dagli Stati membri sulla nomina di un coordinatore europeo per la lotta contro la tratta di esseri umani si traduca presto in un'azione coerente, soddisfacente e decisiva in questo campo.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  La cui durata potrebbe essere di almeno sei mesi, sull'esempio della Norvegia.

(2)  Dalla relazione Europol 2009 sulla tratta di esseri umani nell'Unione europea risulta che il giro d'affari di tale attività ammonta a parecchi milioni di euro l'anno.

(3)  La cui durata potrebbe essere di almeno sei mesi, sull'esempio della Norvegia.

(4)  Direzione generale Giustizia, libertà e sicurezza, Direzione F: Sicurezza, unità F4: Sostegno finanziario - Sicurezza.


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sull'Anno europeo dell'invecchiamento attivo 2012»

COM(2010) 462 definitivo

2011/C 51/11

Relatrice: Renate HEINISCH

Correlatore: José Isaías RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO

Il Consiglio dell'Unione europea e il Parlamento europeo, in data 7 settembre 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sull'Anno europeo dell'invecchiamento attivo 2012

COM(2010) 462 definitivo.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 14 settembre 2010, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 466a sessione plenaria del 21 ottobre 2010, ha nominato Renate HEINISCH relatrice generale e José Isaías RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO correlatore generale e ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) valuta positivamente la proposta di proclamare il 2012 Anno europeo dell'invecchiamento attivo. A suo giudizio, però, da questo titolo e dal concetto che vi sottende non risultano chiari i temi di cui dovrebbe occuparsi l'Anno: l'invecchiamento deve sì poter essere attivo, ma anche sano, dignitoso e pieno di gioia di vivere. Per questo, il concetto di invecchiamento «attivo» non dovrebbe essere inteso soltanto come una possibilità di prolungare l'attività lavorativa o la partecipazione alla società. Il CESE invita quindi la Commissione a formulare un titolo meno restrittivo, che tenga conto di questi ulteriori aspetti della qualità della vita.

1.2

Lo svolgimento e il contenuto degli Anni europei fin qui celebrati non appaiono, nella forma attuale, del tutto soddisfacenti, e le attività che vengono di volta in volta portate avanti devono diventare più visibili e più rilevanti.

1.3

La proposta attuale della Commissione non prevede un coordinamento chiaro a livello dell'Unione europea. Un'opera di coordinamento da parte di un organismo centrale e responsabile è però indispensabile affinché l'iniziativa risulti incisiva e abbia effetti duraturi.

1.4

Un coordinamento centrale è necessario anche ai fini dell'istituzione di un bilancio e della ripartizione delle risorse. Il CESE sente in questo caso la mancanza di un quadro finanziario concreto.

1.5

Perché l'Anno europeo 2012 sia coronato da successo, è necessaria un'armonizzazione a livello europeo dei termini «invecchiamento», «attivo», «sano» e «dignitoso». Solo un'interpretazione condivisa di questi concetti fondamentali potrà portare a misure tra loro comparabili.

1.6

Il CESE guarda con favore al coinvolgimento, previsto all'articolo 5, del Parlamento europeo, degli Stati membri, del Comitato delle regioni e del CESE stesso. Ritiene infatti di essere in una posizione particolarmente adatta per assumere un ruolo di punta per quanto riguarda le misure di sensibilizzazione e la conduzione di dibattiti costruttivi fra le parti sociali e la società civile organizzata e per far conoscere ulteriormente i contenuti di tali iniziative. Ci si riferisce in particolare alla creazione di un osservatorio incaricato di valutare gli sviluppi a livello europeo e nazionale, e quindi di sostenere la proposta Alleanza europea per l'invecchiamento attivo, che dovrebbe preoccuparsi di coordinare le azioni a livello dell'UE. Il CESE potrebbe anche assumere il ruolo di ambasciatore dell'Anno. Inoltre, sarebbe opportuno organizzare un convegno sui contenuti più importanti di questo Anno europeo, le cui conclusioni dovrebbero confluire in un parere d'iniziativa elaborato dall'osservatorio.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Da alcuni anni, le sfide che il cambiamento demografico pone agli Stati membri sono oggetto di attenzione da parte sia della Commissione europea sia del CESE. Fra i temi trattati figurano la solidarietà tra le generazioni, i lavoratori anziani, l'assistenza sanitaria, l'assistenza agli anziani e quella di lungo periodo, la violenza contro gli anziani, l'apprendimento permanente, le esigenze degli anziani e gli effetti dell'invecchiamento demografico sui sistemi sanitari e sociali (1).

2.2

In connessione con gli obiettivi delle ultime presidenze del Consiglio, della strategia Europa 2020 e degli Anni europei 2010 (Lotta alla povertà e all'esclusione sociale) e 2011 (Volontariato) è stato proposto di dichiarare il 2012 Anno europeo dell'invecchiamento attivo. Il CESE è d'accordo sulla pregnanza dell'espressione invecchiamento attivo come titolo breve e sul fatto che questa formulazione comprenda anche, pur senza nominarlo espressamente, il principio della «solidarietà fra le generazioni». È però del parere che il titolo breve non renda giustizia alla varietà dei temi da trattare.

2.3

L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce l'invecchiamento attivo come un processo in cui le opportunità di salute, partecipazione e sicurezza vengono ottimizzate per migliorare la qualità della vita delle persone nel processo di invecchiamento (2). Questa definizione raccomanda di promuovere l'invecchiamento attivo anzitutto nel quadro di un invecchiamento in buona salute e autonomia. Le opportunità di partecipazione degli anziani possono quindi essere incrementate da un lato sul mercato del lavoro, grazie a migliori condizioni lavorative, dall'altro nella società, combattendo l'esclusione sociale e mediante attività volontarie. È possibile parlare di invecchiamento attivo solo in presenza di un livello minimo di sicurezza. Per questi motivi il CESE è convinto che sarebbe molto più eloquente un titolo come Anno europeo dell'invecchiamento attivo, in salute e dignità.

2.4

Durante la preparazione dei pareri sopra citati (3), il CESE ha coinvolto costantemente le direzioni generali competenti nelle sue discussioni. Il Comitato pertanto si rallegra del fatto che la Commissione preveda, anche per il 2012, di coinvolgere tutte le direzioni generali competenti con le rispettive risorse strutturali e finanziarie, e ritiene importante che ciò avvenga in modo coordinato.

2.5

Al riguardo il CESE valuta positivamente l'ulteriore discussione del tema dell'Anno europeo 2012 nel quadro sia del seminario Invecchiare in salute: preparare i consumatori all'invecchiamento attivo  (4) che del Terzo forum sulla demografia  (5).

2.6

Il CESE accoglie favorevolmente anche la prevista tabella di marcia triennale (dal 2011 all'inizio del 2014). Questo periodo abbastanza prolungato contribuirà infatti ad integrare l'argomento in tutti i settori d'intervento più importanti.

2.7

Il Comitato accoglie infine con favore le tre priorità tematiche citate nella proposta. Le necessarie integrazioni contenutistiche sono esposte al punto 3.3 Contenuto delle misure.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Articolo 1 Oggetto

3.1.1

Nel pubblico dibattito incentrato sul mutamento demografico, l'invecchiamento della popolazione è stato a lungo considerato un peso per la società in generale e per i sistemi sociali e sanitari in particolare. Questo atteggiamento negativo comincia lentamente a cambiare. Il potenziale degli anziani viene sempre più spesso messo in evidenza, al pari delle opportunità offerte da una società che invecchia.

3.1.2

Affinché si concretizzino gli aspetti positivi del cambiamento demografico sia per gli anziani che per la società in generale, occorre però che sia soddisfatta una premessa fondamentale, ossia che i cittadini possano invecchiare in buone condizioni di salute e sicurezza. Solo così potranno dispiegare attivamente il proprio potenziale e metterlo al servizio della solidarietà fra le generazioni. Solo un titolo come quello proposto al punto 2.3 può tener conto di queste premesse.

3.1.3

Perché l'Anno europeo 2012 sia coronato da successo, è necessaria un'armonizzazione a livello europeo dei termini «invecchiamento», «attivo», «sano» e «dignitoso». Solo un'interpretazione condivisa di questi concetti fondamentali potrà portare a misure tra loro comparabili.

3.2   Articolo 2 Obiettivi

3.2.1

Il concetto di invecchiamento «attivo» non dovrebbe essere inteso soltanto come possibilità di prolungare l'attività lavorativa o partecipazione alla società mediante iniziative di volontariato. Ancor più importante è riconoscere e apprezzare i tantissimi contributi apportati dagli anziani all'insieme della società ed evitare l'esclusione sociale. In questo quadro rientrano anche il sostegno finanziario e/o sociale ai familiari più giovani, l'assistenza fornita a compagni e amici, la creatività intellettuale e artistica e la capacità di innovare e di trasmettere le proprie esperienze e i propri valori, nonché moltissimi altri elementi. Queste attività possono essere esercitate, in una certa misura, anche in presenza di limiti imposti dalle condizioni di salute o di altro tipo, e il loro esercizio in condizioni più difficili merita un apprezzamento ancor maggiore.

3.2.2

In quest'ottica, il Comitato approva e sostiene gli obiettivi indicati dalla Commissione, ossia i) creare condizioni di lavoro più favorevoli per i lavoratori anziani, ii) favorire l'impegno sociale, iii) promuovere un invecchiamento sano. Ritiene però che occorra aggiungere l'obiettivo di un invecchiamento in condizioni di sicurezza e dignità.

3.2.3

Il CESE considera adeguate le misure previste per raggiungere i suddetti obiettivi. È opportuno realizzare, in successione temporale, interventi mirati di

sensibilizzazione,

promozione della cooperazione e delle sinergie fra gli Stati membri,

creazione di condizioni quadro favorevoli per misure e impegni concreti.

3.3   Articolo 3 Contenuto delle misure

3.3.1

Le misure indicate all'articolo 3 della proposta sono sensate, ma formulate in modo troppo generale, in quanto riprendono le formulazioni degli Anni europei precedenti e sono utilizzabili per qualunque campagna. Inoltre, dovrebbero acquisire una dimensione che coinvolga i cittadini anziché restare nella cerchia degli addetti ai lavori. Alcune delle proposte avanzate durante le precedenti consultazioni potrebbero avere una maggiore efficacia tra il pubblico. Inoltre il CESE propone, sulla base dei pareri precedentemente emessi, di inserire nella discussione i seguenti temi:

3.3.1.1

per consentire agli anziani di rimanere più a lungo nella vita lavorativa occorrono vari miglioramenti e misure di ampio respiro (6).

3.3.1.2

Per facilitare e al tempo stesso riconoscere il contributo volontario e multiforme degli anziani a favore della società nel suo complesso e in particolare delle giovani generazioni occorre definire a livello europeo lo status di volontario, armonizzare questo concetto, riconoscere e qualificare le attività di volontariato (7), definire le condizioni quadro per lo svolgimento di queste attività affinché non si ripercuotano negativamente sulle opportunità di lavoro dei giovani.

3.3.1.3

Per mantenere il potenziale di attività degli anziani occorre rafforzare la prevenzione, promuovere la salute e l'educazione sanitaria in tutte le fasce d'età (8).

3.3.1.4

È inoltre auspicabile aprire il sistema educativo formale agli anziani per favorirne l'aggiornamento e l'inclusione sociale, consentendo loro, qualunque sia il gruppo sociale di appartenenza, l'accesso anche alle nuove TIC (ad es. mediante il programma europeo Invecchiare bene nella società dell'informazione) (9).

3.3.1.5

Occorre considerare che il cambiamento demografico offre anche novità positive, come nuove carriere e nuovi posti di lavoro in settori come le cure, il coordinamento di attività diverse, la consulenza politica, ecc. Per l'economia, la nuova categoria di consumatori costituita dagli anziani rappresenta una ulteriore opportunità, ad esempio in settori come il «design per tutti» o la domotica per categorie deboli (Ambient Assisted Living, AAL), o ancora la consulenza nelle questioni di consumo. È necessario, inoltre, sostenere i consumatori e rafforzarne i diritti (10).

3.3.1.6

Per le misure adottate in tutti i settori sopra menzionati occorre seguire un approccio improntato all'uguaglianza che si rivolga in modo equanime a tutte le fasce della popolazione: uomini e donne, sani e malati, popolazione locale e immigrata. Va poi rivolta un'attenzione particolare alle persone che vivono in condizioni di povertà (11).

3.3.2

Per realizzare gli obiettivi in questi settori sono necessarie varie strategie e azioni:

3.3.2.1

continue campagne di sensibilizzazione sul potenziale degli anziani, per un loro maggior riconoscimento e per motivarli a partecipare attivamente alla società locale, regionale e nazionale, comprese campagne sui mezzi d'informazione per diffondere una nuova prospettiva di invecchiamento;

3.3.2.2

promozione di progetti europei, come Transage e la rete europea LILL (Learning in Later Life), per consentire l'incontro e lo scambio d'esperienze fra gli anziani di diversi paesi europei e per invogliarli a seguire la formazione permanente (compresa l'iniziativa Learning for a long life);

3.3.2.3

sostegno ai progetti di interazione fra le generazioni, ad es. costituzione di reti e di centri plurigenerazionali, incontri per raccontare le proprie esperienze, festival cinematografici europei delle generazioni ecc., per moltiplicare le opportunità di apprendimento reciproco e combattere l'isolamento degli anziani.

3.3.2.4

In quest'ottica è particolarmente importante tener conto delle differenze regionali e locali. Le attività a livello locale si sono dimostrate particolarmente efficaci in questo senso.

3.4   Articolo 4 Coordinamento con gli Stati membri

3.4.1

Per garantire un coordinamento adeguato delle attività nazionali è assolutamente necessario nominare con tempestività dei coordinatori nazionali (al più tardi entro il marzo 2011). Ogni Stato membro deve includere nell'organismo di coordinamento nazionale un ampio spettro di parti interessate a livello nazionale, regionale e locale, ed anche soggetti e organizzazioni minori, nonché informarli riguardo alle diverse modalità di presentazione, procedure e possibilità di finanziamento.

3.5   Articolo 5 Coordinamento a livello dell'Unione

3.5.1

Il CESE approva le attività, a cura della Commissione, per il coordinamento a livello dell'Unione indicate all'articolo 5. Esso teme però che quanto proposto dalla Commissione manchi di un coordinamento chiaro fra le diverse direzioni generali e sul territorio dell'UE. Un'opera di coordinamento da parte di un organismo centrale e responsabile è indispensabile affinché l'intera iniziativa risulti incisiva e abbia effetti duraturi.

3.5.2

Inoltre, le seguenti misure sono da considerarsi indispensabili:

3.5.2.1

creazione dell' Alleanza europea per l'invecchiamento attivo già proposta (12) dal CESE sulla falsariga dell'Alleanza europea per la famiglia, per far rientrare il tema invecchiamento attivo, in salute e dignità in tutti i settori d'intervento e garantire il coordinamento delle misure dopo il 2012.

3.5.2.2

Stanziamento delle risorse finanziarie necessarie per l'attuazione delle misure suddette: il CESE ritiene infatti difficile e forse anche insufficiente un finanziamento a carico dei fondi e dei programmi esistenti. Per gli Anni europei dedicati al volontariato (2011) e alla lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010) sono stati stanziati rispettivamente 6 e 17 milioni di euro; anche per il 2012 si rende quindi necessaria una dotazione sufficiente. Data la crisi economica, il CESE può concordare sulla necessità di utilizzare fino in fondo le risorse messe a disposizione dai programmi esistenti, ma in questo caso occorre chiarire anche in che misura e per quali progetti verranno concessi finanziamenti dai fondi e dai programmi proposti, e come questi saranno coordinati.

3.5.2.3

Nel suo ruolo di «ponte fra le istituzioni europee e la società civile organizzata», il CESE è pronto a svolgere un ruolo importante nel 2012. Ci si riferisce in particolare alla creazione di un osservatorio incaricato di valutare gli sviluppi a livello europeo e nazionale, e quindi di sostenere la proposta Alleanza europea per l'invecchiamento attivo. Il CESE potrebbe altresì assumere il ruolo di ambasciatore dell'Anno. Inoltre, sarebbe opportuno organizzare un convegno relativo ai contenuti più importanti di questo Anno europeo, le cui conclusioni dovrebbero confluire in un parere d'iniziativa.

3.6   Articolo 6 Coerenza e complementarità

3.6.1

Il tema dell'invecchiamento attivo, in salute e dignità deve essere sviluppato tenendo conto dei due Anni europei precedenti ed essere considerato in questo contesto più ampio, poiché sia la lotta alla povertà sia il sostegno al volontariato sono direttamente legati a questo tema.

3.7   Articolo 7 Valutazione

3.7.1

L'idea di redigere, entro l'inizio del 2014, una relazione di valutazione dell'Anno europeo è accolta con grande favore. In quest'ottica, come anche nel caso di altri programmi, occorre elaborare procedure che consentano di porre fine alle misure risultate inefficaci.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. l'elenco dei pareri all'indirizzo http://www.eesc.europa.eu/sections/soc/index_en.asp.

(2)  «(…) as the process of optimizing opportunities for health, participation and security in order to enhance quality of life as people age», Organizzazione mondiale della Sanità (2002) Active Ageing - A Policy Framework, pag. 12.

(3)  Cfr. punto 2.1 e nota 1.

(4)  Healthy Ageing: Consumer empowerment for active ageing, 18 ottobre 2010.

(5)  Third Demography Forum, 22-23 novembre 2010.

(6)  Cfr. ad es. il parere d'iniziativa del CESE, del 25 marzo 2009, sul tema La situazione dei lavoratori anziani di fronte alle trasformazioni industriali: assicurare il sostegno e gestire la diversità d'età nei settori e nelle imprese, relatore: KRZAKLEWSKI (GU C 228 del 22.9.2009, pag. 24).

(7)  Cfr. ad es. il parere del CESE, del 13 dicembre 2006, sul tema Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto, relatrice: KOLLER, correlatrice: EULENBURG (GU C 325 del 30.12.2006, pag. 46).

(8)  Cfr. ad es. il parere esplorativo del CESE, del 15 luglio 2010, sul tema Le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari e di protezione sociale, relatrice: HEINISCH (GU C …).

(9)  Cfr. ad es. il parere del CESE, del 13 marzo 2008, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Piano d'azione in materia di educazione degli adulti - È sempre il momento di imparare, relatrice: HEINISCH, correlatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE, correlatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 204 del 9.8.2008, pag. 89).

(10)  Cfr. parere di cui alla nota 8.

(11)  Nel 2008, il numero delle persone anziane (dai 65 anni in poi) a rischio di povertà nell'UE a 27 era pari al 19 %. Cfr. http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/living_conditions_and_social_protection/data/database.

(12)  Cfr. parere di cui alla nota 8.


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/59


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato»

COM(2009) 615 definitivo

2011/C 51/12

Relatore: HUVELIN

La Commissione europea, in data 19 novembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato

COM(2009) 615 definitivo.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 settembre 2010.

In considerazione del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di votare il parere nella sua sessione di ottobre e ha nominato HUVELIN relatore generale, a norma dell'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria del 21 ottobre 2010 il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Introduzione

1.1   Il 19 novembre 2009 la Commissione ha pubblicato una comunicazione intitolata Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato (partenariati pubblico-privato = PPP) nella quale delinea gli orientamenti della sua azione per il futuro.

Il documento costituisce un'iniziativa lodevole e può essere considerato una riflessione di fondo interessante sui PPP, oltre che di grande attualità, data la necessità di mobilitare gli investimenti pubblici e privati, in particolare in questo periodo di crisi finanziaria, e visto il notevole calo dei partenariati pubblico-privato registrato nel 2009, sia in termini numerici che di volume: difatti, da un lato ne elenca i vantaggi e le caratteristiche, e, dall'altro, offre un'analisi delle cause che, negli ultimi anni, potrebbero aver impedito un incremento del ricorso a questo tipo di partenariati. Vanno però considerati anche alcuni possibili svantaggi che si accompagnano ai PPP e l'esperienza maturata nell'ambito di talune operazioni condotte in passato (costo delle operazioni, rischio di rinegoziazioni, riduzione della concorrenza a medio e lungo termine, frequenti aumenti dei costi sul lungo periodo, condizioni contrattuali a lungo termine svantaggiose per la parte pubblica nascoste in convenzioni complesse, perdita di controllo democratico), nonché alcuni problemi, dovuti alle disposizioni di Eurostat, di mancata dichiarazione dei deficit di bilancio con i conseguenti incentivi fittizi (e con i relativi aumenti dei costi).

La Commissione dichiara in particolare di voler «cercare nuovi modi per favorire lo sviluppo dei PPP». La comunicazione della Commissione dovrebbe essere integrata con proposte per sviluppare un quadro istituzionale capace di ridurre i problemi e gli svantaggi di questi partenariati.

La comunicazione elenca i seguenti argomenti a favore dei PPP:

ridurre le spese per le infrastrutture, sfruttando l'efficienza economica e il potenziale di innovazione di un settore privato competitivo,

ripartire il costo del finanziamento dell'infrastruttura sulla sua intera durata di vita,

consentire una migliore condivisione dei rischi tra settore pubblico e privato,

favorire le iniziative nei settori della sostenibilità, dell'innovazione e della ricerca e sviluppo,

offrire al settore privato la possibilità di ricoprire un ruolo centrale e propulsivo nell'elaborazione dei programmi industriali, commerciali e relativi alle grandi infrastrutture,

infine, accrescere le quote di mercato delle società dell'Unione europea nel settore degli appalti pubblici nei paesi terzi.

È utile ricordare, inoltre, che, secondo l'impostazione della Commissione, nel concetto di PPP rientrano sia le situazioni riconducibili ai contratti di concessioni (pagamenti garantiti dall'utente dell'opera) sia quelle riguardanti i contratti di partenariato pubblico-privato (pagamento corrisposto, in tutto o in parte, dall'ente pubblico).

1.2   I cinque obiettivi indicati dalla Commissione per il 2010

Nella comunicazione la Commissione formula le seguenti proposte:

creare un gruppo PPP in cui le parti interessate possano discutere le proprie preoccupazioni e definire degli orientamenti per aiutare gli Stati membri a ridurre gli oneri amministrativi e i ritardi nell'attuazione dei PPP,

collaborare con la Banca europea per gli investimenti (BEI) al fine di rafforzare le risorse finanziarie disponibili per i PPP, elaborando o migliorando gli strumenti finanziari nelle aree strategiche,

garantire che, quando sono coinvolti fondi europei, i finanziamenti pubblici siano concessi senza discriminazioni basate sulla gestione del progetto (pubblica o privata),

realizzare un quadro normativo per l'innovazione più efficace, compresa la possibilità per l'UE di partecipare a soggetti di diritto privato e di investire direttamente in progetti specifici,

infine, studiare l'opportunità di proporre strumenti legislativi specifici relativi alle concessioni, sulla base dei risultati della valutazione di impatto attualmente in corso.

1.3   L'esame della comunicazione induce tuttavia a sottolineare alcuni aspetti meno positivi, registrati in alcuni paesi o per determinati contratti, sui quali il testo della Commissione non si sofferma, vale a dire gli insuccessi riscontrati nello svolgimento di determinate operazioni: è infatti opportuno evidenziarli, soprattutto per trarne le dovute conseguenze nella formulazione delle proposte caldeggiate dal Comitato economico e sociale europeo (CESE). Le cause principali di insuccesso constatate riguardano soprattutto:

l'insufficiente trasparenza constatata in alcuni paesi o per alcuni contratti, o degli studi di redditività, dei rapporti sui risultati ecc., fra le parti pubbliche e private, compresi i subappalti - un fattore che limita il controllo democratico,

i possibili incentivi per i politici a realizzare determinati PPP che faranno registrare aumenti dei costi. È certo infatti che nel caso dei PPP in cui, all'inizio del periodo contrattuale, gli investimenti nell'opera vengono finanziati soprattutto con capitale privato, i progetti (infrastrutturali) possono essere realizzati anticipatamente, in confronto con un'opera tradizionale finanziata dai bilanci pubblici, a causa delle attuali disposizioni finanziarie di Eurostat. Tuttavia nei PPP in cui il compenso dell'operatore viene dal bilancio pubblico, il finanziamento privato aumenta indirettamente l'indebitamento dello Stato, dato che, proprio come per l'indebitamento pubblico, il finanziamento privato si traduce in impegni futuri di pagamento, che riducono i margini di manovra del legislatore per gli esercizi successivi,

l'assenza, in alcuni casi, di una vera e propria valutazione ex ante che consenta di scegliere sulla base di criteri oggettivi sia la procedura di PPP che l'aggiudicatario del contratto,

in alcuni casi, una condivisione dei rischi tra il settore pubblico e il settore privato che non corrisponde ai principi di un autentico partenariato tra i soggetti interessati,

infine, in alcuni casi, le carenze dei controlli effettuati dalle autorità pubbliche competenti.

Le proposte avanzate dal CESE prendono in considerazione tutti questi punti.

1.3.1   Le proposte formulate dal CESE nel presente parere sono pertanto imperniate su tre idee fondamentali:

1.3.2   in primo luogo, il CESE dovrebbe essere consapevole che un'analisi seria e approfondita da parte sua gli consentirebbe di incidere concretamente sugli sviluppi in questo campo, che è di grande rilievo per il futuro delle infrastrutture in generale (e, di conseguenza, anche per la crescita economica e la gestione pubblica), senza mai dimenticare che lo scopo è quello di contribuire - conservando tuttavia il necessario senso critico - a mettere a punto uno strumento ad uso dei committenti pubblici, i quali, naturalmente, sono comunque assolutamente liberi di utilizzarlo o meno.

Il Comitato si prefigge l'ambizioso obiettivo di avere un effettivo ruolo propulsivo, contribuendo allo sviluppo e alla promozione delle buone pratiche osservate, ma anche alla riduzione degli incentivi fittizi, all'individuazione e alla risoluzione dei problemi relativi al controllo democratico e sociale e a un'adeguata considerazione degli effetti a lungo termine dei PPP, in un settore in cui il lavoro da fare è ancora molto, affinché lo strumento proposto risulti il più possibile perfezionato.

1.3.3   In secondo luogo, è opportuno, tenendo conto delle buone pratiche osservate ma anche degli insuccessi riscontrati in alcuni casi, proporre di inserire nuovi punti nel documento della Commissione in modo da dotare lo strumento dei PPP di una base che possa essere accettata da tutti gli Stati membri, anche allo scopo di prendere in considerazione tanto i risultati positivi quanto le difficoltà incontrate nella sua applicazione e di mettere in atto tutte le misure atte ad evitare tali difficoltà in futuro.

1.3.4   Il CESE chiede che le disposizioni contrattuali dei PPP si applichino nel rispetto dell'intero corpus normativo in materia sociale in vigore per i settori di attività interessati (progettazione, costruzione, manutenzione). Le autorità competenti devono avere la possibilità di insistere affinché il personale preesistente venga impiegato alle condizioni di prima. Il Comitato raccomanda agli enti pubblici che stipulano contratti di PPP di inserire nei capitolati d'oneri l'obbligo di osservare le normative in materia sociale, esortandoli inoltre a valutare attentamente le risposte fornite in merito dagli aggiudicatari nel corso delle trattative. Inoltre, le infrastrutture realizzate nel quadro di PPP dovranno essere conformi alle norme sull'accessibilità per i disabili in vigore nell'Unione europea.

1.3.5   Poiché nei progetti realizzati mediante PPP vengono impiegati fondi pubblici in base a una libera decisione del committente pubblico, il CESE chiede:

che i contratti relativi ai progetti realizzati mediante PPP vengano pubblicati,

che si prenda in considerazione una modifica delle regole di Eurostat in modo che, nella verifica del rispetto delle disposizioni in materia di bilancio, i capitali di terzi impiegati nel quadro dei progetti realizzati mediante PPP vengano eventualmente considerati alla stessa stregua dei capitali pubblici impiegati nei progetti realizzati in modo convenzionale nel quadro di finanziamenti a carico del bilancio pubblico.

2.   Ruolo dei PPP nell'economia dell'UE e argomenti a favore di questo strumento

Secondo Business Europe, attualmente solo il 4 % dei progetti di infrastrutture in tutto il mondo vengono realizzati mediante PPP. Lo Stato membro dell'Unione in cui viene firmato il maggior numero di contratti di partenariato pubblico-privato è il Regno Unito (58 % del totale UE), cui si aggiungono quali principali utilizzatori dello strumento la Germania, la Spagna, la Francia, l'Italia e il Portogallo.

Dal momento che, secondo i dati dell'OCSE, i costi annui relativi a reti stradali e ferroviarie, fornitura di acqua ed elettricità ammonteranno, nel 2030, al 2,5 % del PIL mondiale, è indispensabile che le autorità pubbliche facciano ricorso a tutte le forme possibili di contratto capaci di rispondere alle aspettative e ai fabbisogni nel settore dei servizi e delle infrastrutture pubblici: in questo contesto, l'impatto dell'attuazione di contratti di concessioni e di PPP realizzati in passato è un dato che non può essere ignorato, poiché dimostra che, mobilitando competenze, energie e capitali, i PPP possono costituire una solida base per la crescita economica - ancor più nella situazione attuale, in cui occorre tener conto dei tagli previsti degli investimenti imposti dai programmi di austerità adottati da quasi tutti gli Stati europei.

2.1   Gli argomenti a favore dei PPP sono illustrati in dettaglio nella comunicazione della Commissione. Tale documento non mette in evidenza, tuttavia, gli insuccessi di taluni progetti realizzati mediante PPP, che sono riconducibili alle seguenti cause:

vengono realizzati attraverso l'approccio del PPP progetti che non sono adatti a tale strumento; in tale contesto va segnalato che un'assegnazione di tutti i livelli di creazione del valore a imprese private, con attribuzione a tali imprese del rischio (dei costi), non comporta necessariamente dei vantaggi in termini di efficienza che potrebbero essere possibili in particolare in presenza di una serie di condizioni (limitata incertezza ambientale, elevato potenziale di ottimizzazione tra i differenti livelli di creazione di valore, concorrenza presente in misura adeguata, capacità da parte del settore pubblico di definire, assegnare e controllare il contratto e altro ancora),

sono stati realizzati anche alcuni PPP che danno luogo ad aumenti dei costi; a causa infatti delle vigenti disposizioni di Eurostat in materia di bilancio, nel caso di PPP in cui gli investimenti nei lavori vengono finanziati anzitutto mediante capitale privato all'inizio del contratto, i progetti (infrastrutturali) possono essere realizzati in maniera anticipata rispetto a progetti che beneficiano di un finanziamento tradizionale a carico del bilancio pubblico. Nel caso dei PPP in cui l'operatore viene pagato a carico del bilancio, tuttavia, l'indebitamento dello Stato può indirettamente aumentare. Infatti, come nel caso in cui lo Stato ricorre al credito, nel quadro di alcuni PPP si creano obblighi di pagamenti futuri, che limitano il margine di manovra a disposizione delle autorità per l'esercizio di bilancio successivo. La realizzazione di PPP che aggirano il principio fondamentale dei limiti di legge all'aumento dell'indebitamento pubblico è da respingere per ragioni di economia pubblica. Essa fa sì inoltre che i responsabili politici e le altre parti in causa perdano interesse a una verifica obiettiva dell'economicità,

la trasparenza di alcuni contratti tra i partner pubblici e privati, compresi i subappalti affidati ad altre imprese private, è insufficiente,

la frequente carenza di trasparenza dei contratti, verifiche di redditività, rapporti sui risultati ecc. fa sì che i differenti problemi di opportunismo che si accompagnano a questi contratti complessi e a lungo termine, caratterizzati da possibilità di prefinanziamento, non possano essere adeguatamente gestiti e assoggettati al controllo democratico,

in alcuni casi manca un'autentica valutazione ex ante che consenta di scegliere sulla base di criteri oggettivi sia la procedura di PPP che i partner contrattuali,

in alcuni casi vi è una condivisione dei rischi tra il settore pubblico e il settore privato senza che vi sia un effettivo partenariato tra tali soggetti,

infine, in alcuni casi vi sono delle lacune nei controlli eseguiti dalle autorità competenti, in particolare per quanto riguarda gli effetti per il bilancio pubblico e la qualità delle prestazioni.

Per definire meglio il contributo da elaborare nel parere, il CESE opta per una presentazione leggermente diversa dei medesimi argomenti, che tenga conto di una graduatoria probabilmente più realistica dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal ricorso ai PPP.

2.1.1   Troppo spesso si tende a ritenere che il fattore decisivo alla base della scelta di un contratto di PPP sia quello finanziario: senza per questo sottovalutarlo (cfr. il prosieguo del testo), da un'analisi approfondita e dall'esperienza maturata sembra invece emergere che - nel bilancio generale di tutti i fattori in causa - non si tratti della motivazione più importante.

L'argomento principale per giustificare l'eventuale ricorso ai PPP è l'ottimizzazione del fattore tempo. Qualsiasi osservatore attento e imparziale delle operazioni realizzate mediante PPP constata infatti che:

il ricorso ai PPP consente di avviare la realizzazione di infrastrutture pubbliche molto più rapidamente rispetto alle procedure usuali: questo guadagno in termini di tempo è una componente di «utilità sociale», per il momento difficile da misurare ma di evidente rilevanza. Questa utilità sociale si riflette in generale in un aumento dell'attività economica, generatrice a sua volta di entrate fiscali che alleviano lo sforzo finanziario della collettività,

rispetto alle normali procedure di appalto pubblico i tempi di preparazione e di studio sono spesso più brevi, dal momento che il committente pubblico provvede già a operare tutte le scelte che sono di sua competenza,

infine, si constata un maggiore rispetto dei tempi di esecuzione, grazie a un'accresciuta assunzione di responsabilità dei soggetti incaricati delle operazioni.

Questi potenziali guadagni in termini di scadenze dovrebbero quindi essere considerati il vantaggio principale dei contratti di PPP, sebbene talvolta possano essere in contrasto con le abitudini consolidate dei committenti e con il ricorso pressoché automatico alle procedure tradizionali da parte loro.

Proprio in un periodo come l'attuale, in cui si elaborano piani di ripresa e strategie di uscita dalla crisi, il PPP può rappresentare uno strumento di eccezionale utilità per accelerare l'esecuzione delle decisioni adottate, in grado di imprimere alla ripresa economica la velocità che servirà a moltiplicarne i risultati.

2.1.2   Il secondo argomento a favore del PPP è che si tratta di uno strumento intrinsecamente capace di accrescere la coerenza di un progetto, e, quindi, di ottimizzarne l'efficienza economica per la collettività.

Come viene sottolineato nel documento della Commissione, ciò è dovuto alla più completa integrazione della catena produttiva, a partire dalla progettazione dell'infrastruttura in questione, alla realizzazione vera e propria, fino ad arrivare alla manutenzione e alla gestione dell'opera finita.

Date queste premesse, il responsabile del progetto è conscio di dover ottimizzare le procedure e la qualità dell'opera progettata, poiché dovrà in seguito farsi carico della sua gestione a lungo termine e restituire alla collettività, al termine del contratto, un'opera funzionante a pieno regime e realizzata nel rispetto delle norme e del capitolato d'oneri. Ne discende una visione del progetto per sua stessa natura globale, molto più difficile da conseguire con la ripartizione dei compiti e delle relative responsabilità tipica del settore degli appalti pubblici.

2.1.3   Il terzo degli argomenti principali a favore del ricorso ai PPP è ovviamente quello del finanziamento.

Si può facilmente immaginare che un decisore pubblico, che gestisce un bilancio con limiti a lui ben noti e che si propone di realizzare un'infrastruttura necessaria all'ente che dirige, possa cercare nel contratto di PPP la soluzione finanziaria a un problema che sa di non poter risolvere nel quadro delle normali procedure di bilancio.

Prima di esaminare più avanti le proposte che potrebbero servire ad ampliare le soluzioni finanziarie offerte in generale dal PPP, è utile interrogarsi, davanti a un'ipotesi come quella illustrata sopra, sui limiti - a tutti noti da molto tempo, ma su cui non si osa intervenire - delle norme di contabilità pubblica in quasi tutti i paesi dell'UE, e in particolare insistere sul fatto che è impossibile, sotto il profilo contabile, ripartire lungo il periodo normale di utilizzazione i costi di un investimento pubblico.

Il finanziamento mediante contratto di PPP, che permette all'ente pubblico di ripartire gli oneri su un normale periodo di ammortamento, non costituirebbe forse un primo passo in direzione di una riforma - auspicata da molti - delle norme di contabilità pubblica, che rappresentano sempre più un ostacolo alle decisioni e non rispecchiano mai adeguatamente realtà patrimoniali spesso evidenti?

Promuovere, attraverso il modello del PPP, l'avvio di un dibattito politico sul tema potrebbe essere per l'Unione europea un'occasione per dar prova di pragmatismo. D'altro canto, in alcuni paesi l'introduzione dei PPP è stata presentata come un passo in avanti verso la necessaria riforma della gestione pubblica e dei relativi strumenti.

2.2   Prima di adottare delle decisioni politiche rilevanti, il CESE invita a realizzare uno studio d'impatto globale e una valutazione indipendente in merito ai vantaggi e agli svantaggi dei progetti PPP, nonché a consultare le parti sociali - comprese le organizzazioni rappresentative delle PMI - e a valorizzarne le proposte. In tale contesto andrebbero esaminate la rapidità delle procedure, la questione dei costi, la qualità delle prestazioni e le conseguenze sociali per i lavoratori e gli utenti. Il CESE reputa importante che anche le piccole e medie imprese beneficino di migliori opportunità di partecipare ai PPP.

3.   Spunti di riflessione proposti dal CESE

Gli spunti di riflessione del Comitato devono rimanere in linea sia con i tre argomenti illustrati sopra (tempi, coerenza interna del progetto, soluzioni finanziarie) che con le proposte della Commissione e con il quadro legislativo e regolamentare in vigore.

Le proposte sono ripartite in due categorie:

proposte relative al finanziamento in generale,

proposte riguardanti le strutture giuridiche, cercando di distinguere tra le norme vigenti:

quelle che sono da conservare,

quelle che vanno modificate,

quelle che richiedono un'ulteriore elaborazione.

Esse devono anche tenere ben presenti le tre esigenze fondamentali di questo tipo particolare di procedura, come avviene per tutte le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, vale a dire:

la valutazione ex ante, che consente di giustificare sia la realizzazione del progetto d'investimento sia la scelta della procedura da parte del committente,

la trasparenza, nella consultazione e nella scelta iniziale nonché nello svolgimento dell'operazione,

infine il controllo, esercitato sia dalle autorità amministrative preposte sia dagli organi politici elettivi, responsabili dei bilanci in questione.

3.1   Sul piano finanziario

Il Comitato presenta quattro proposte sostanziali sul piano finanziario.

3.1.1   L'attuale definizione del PPP contenuta nelle procedure di Eurostat deve essere riformulata in modo che le spese pubbliche legate a progetti di PPP figurino nell'ambito dell'indebitamento pubblico in modo simile a quelle relative agli obblighi di pagamento nel settore degli appalti pubblici tradizionali.

3.1.2   Il ruolo dei fondi strutturali non è stato finora preso sufficientemente in considerazione nel contesto del finanziamento dei PPP, il che è paradossale se si pensa che, per natura, vi è una perfetta corrispondenza di obiettivi tra i due strumenti.

Benché si segnalino già alcune esperienze in questa direzione (sono sette i paesi che hanno fatto ricorso ai fondi strutturali), probabilmente si potrebbe fare di più e meglio, anche grazie ad un'opera di sensibilizzazione presso gli Stati membri e gli enti pubblici potenzialmente interessati affinché pervengano a una visione globale dello strumento dei PPP, il quale può essere associato a qualsiasi tipo di finanziamento pubblico, e in primo luogo - naturalmente - ai fondi europei.

3.1.3   Sembra del tutto evidente - così come proposto dalla Commissione - che alla BEI, considerate le sue competenze, debba spettare un ruolo centrale nella politica di finanziamento dei PPP nell'Unione europea, non solo in termini di coordinamento e di consulenza per le iniziative intraprese nel settore, ma anche in una funzione di supporto degli accordi finanziari necessari, i quali, nell'attuale contesto di crisi, richiedono competenze e conoscenze sempre più vaste.

La BEI presenta, in questo campo, il duplice vantaggio di disporre della competenza tecnica e della necessaria neutralità politica: potrebbe quindi svolgere un ruolo permanente d'interfaccia con gli organi nazionali o locali di controllo.

Queste caratteristiche fanno sì che alla Banca venga chiesta un'assistenza specifica per:

un auspicabile rafforzamento del ruolo operativo del Centro europeo di consulenza per i partenariati pubblico-privato (European PPP Expertise Centre - EPEC, istituito presso la BEI con il compito specifico di controllare le operazioni di PPP in Europa), che costituirebbe la base di partenza adeguata per l'istituzione dell'organismo pubblico europeo incaricato di monitorare la politica comune nel settore dei PPP e definirne gli orientamenti, oltre che per la fornitura di un'assistenza concreta agli Stati membri. Tra i nuovi compiti dell'EPEC dovrebbero figurare anche l'organizzazione e il monitoraggio degli aiuti a favore degli enti pubblici di piccole dimensioni e privi di risorse adeguate,

la creazione e la direzione di un gruppo di esperti del settore privato (composto, in base a criteri di parità, da rappresentanti dei datori di lavoro, dei sindacati e della società civile, comprese organizzazioni rappresentative delle PMI, operatori del settore finanziario, giuristi, ecc.), che potrebbe servire, in funzione consultiva, da utile interfaccia con le competenze degli esperti provenienti dal settore pubblico riuniti nell'EPEC,

il monitoraggio sistematico di tutti i contratti di PPP a livello europeo,

infine, l'introduzione di meccanismi di rifinanziamento dei PPP al di là del periodo di costruzione, segnatamente mediante il ricorso al mercato obbligazionario, come proposto al punto 3.1.4.

3.1.4   Dall'analisi del PPP emerge che le caratteristiche di base di questo tipo di partenariati (lunga durata di vita - partecipazione di enti pubblici di prima qualità) lo rendono, sotto il profilo finanziario, uno strumento potenzialmente eccezionale per la raccolta del risparmio sul mercato, compreso quello legato alla costituzione delle pensioni.

In alcuni paesi ci si adopera già attivamente per istituire uno o più fondi specializzati capaci di accedere al mercato finanziario e destinati, al di là del solo periodo di costruzione (e, quindi, degli eventuali rischi legati a scadenze e costi) al rifinanziamento delle operazioni di PPP. Sarebbe probabilmente utile creare a livello dell'UE uno strumento di questo genere, la cui gestione tecnica, perlomeno nella fase di avvio, potrebbe essere affidata alla BEI.

Al tempo stesso, il Comitato sottolinea tuttavia che numerosi progetti PPP riguardano servizi di interesse (economico) generale. La qualità, l'accessibilità e l'abbordabilità dei prezzi di tali servizi devono prevalere sulle considerazioni di natura puramente finanziaria.

3.2   Sul piano giuridico e normativo

Su questo piano, il CESE intende adoperarsi nel lungo periodo affinché le operazioni di PPP vengano applicate solo se comportano una riduzione dei costi, nel rispetto di determinate condizioni-quadro politiche (norme sociali, qualità dei servizi, ecc.), in una prospettiva di lungo termine e in considerazione dei costi di transazione, dei problemi di rinegoziazione ecc. Al tempo stesso occorre sopprimere gli incentivi ai prefinanziamenti, il che rimanda all'urgente necessità di una riflessione sulla riforma dei criteri di Eurostat. Dall'analisi dei PPP emerge che, a causa della loro complessità associata, in alcuni paesi o per determinati contratti, ad una scarsa trasparenza (dei contratti, dell'analisi di redditività, ecc.), alcuni di essi sfuggono ad un controllo democratico. In questo contesto, il CESE sollecita con urgenza la Commissione europea a sensibilizzare gli Stati membri riguardo a tali problemi.

Le proposte sono illustrate ai tre punti seguenti: tra i testi esistenti,

Quali norme occorre mantenere in vigore senza modifiche?

Quali norme occorre modificare?

Quali norme richiedono un'ulteriore elaborazione?

3.2.1   Quali norme contenute nei testi esistenti vanno mantenute in vigore?

Sotto il profilo giuridico e dei testi normativi manca, in realtà, una precisa definizione del concetto di «partenariato pubblico-privato» elaborata alla luce dell'insieme delle disposizioni che disciplinano gli appalti pubblici, le concessioni e l'intero settore della realizzazione di infrastrutture.

L'analisi dei PPP, tenendo anche conto dell'esperienza acquisita nei numerosi paesi che già vi ricorrono, sembrerebbe però indicare che la mancanza di una loro definizione precisa a livello dell'UE non costituisce affatto un ostacolo per le autorità europee né per quanto attiene allo sviluppo delle operazioni relative ai PPP né per il loro monitoraggio.

Se l'assenza di un orientamento al riguardo nel testo della Commissione sembra significare che essa non avverte la necessità di una definizione più precisa, probabilmente il CESE può e deve sottoscrivere tale punto di vista, che rimanda al potere discrezionale di ciascuno Stato membro una definizione di PPP che meglio si adatti al suo contesto specifico e ai suoi usi.

Questa prospettiva lascia quindi aperta la questione del mantenimento, senza alcuna modifica, di determinati testi in vigore, tenendo presente che il Parlamento europeo ha recentemente votato un documento in cui raccomanda che, invece di cercare di elaborare nuovi testi nel settore degli appalti pubblici, si privilegi l'applicazione delle normative già esistenti.

Il Comitato raccomanda, in tale contesto, il mantenimento della direttiva 2004/18/CE, relativa alla sola concessione di lavori, per le norme riguardanti la procedura di aggiudicazione della concessione di lavori, senza completarla con una definizione dei PPP, la cui regolamentazione rimane di competenza delle pubbliche autorità di ciascuno Stato membro. La direttiva fornisce la seguente definizione della concessione di lavori: «la “concessione di lavori pubblici” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo».

La definizione della concessione di servizi è quasi identica (il termine «lavori» è sostituito dal termine «servizi»), ma la direttiva non contiene disposizioni relative alle condizioni di assegnazione dei servizi, mentre consacra un intero capitolo alle procedure di aggiudicazione delle concessioni di lavori.

Le definizioni citate non prevedono volutamente alcun riferimento preciso ad eventuali ambiti o contesti nazionali che renderebbero, di fatto, impossibile pervenire ad un testo comune.

Alla luce di queste osservazioni pragmatiche, il CESE non reputa necessaria una definizione più accurata del concetto di concessione (ossia: un contratto a lungo termine che comprende la progettazione, la realizzazione, il finanziamento e la gestione e/o la manutenzione di un'opera o di un servizio pubblico), dal momento che l'attuale situazione copre efficacemente tutti i tipi di contratti pubblici, diversi dagli appalti pubblici tradizionali, disciplinandoli sulla base di un numero minimo di norme europee di aggiudicazione.

Il Comitato ritiene più opportuno non legiferare in questo settore che può diventare rapidamente di una estrema complessità, dato che attualmente i soggetti interessati di tutti gli Stati membri dispongono già di contratti di PPP in senso lato (concessioni con pagamento privato corrisposto dall'utente, contratti di partenariato pagati dall'ente pubblico e altri contratti di partenariato pubblico-privato) che non solo soddisfano adeguatamente le loro esigenze, ma sono anche basati su consolidate tradizioni nazionali.

3.2.2   Quali norme occorre modificare?

Per quanto riguarda la direttiva 2004/18/CE, il CESE, in occasione dell'elaborazione del presente parere sui PPP, propone di riflettere - ai fini di una maggiore coerenza dei testi di riferimento - su un chiarimento delle disposizioni relative all'aggiudicazione delle concessioni di servizi: la direttiva in questione, infatti, pur dando una definizione ben precisa delle concessioni di servizi, trascura completamente le disposizioni in materia.

A tale proposito, il CESE ritiene utile chiarire il delicato problema dei partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI), affrontato in parte dalla Commissione in una comunicazione interpretativa del 2008 il cui obiettivo era sottolineare l'esigenza del rispetto delle norme di concorrenza da parte delle persone giuridiche di diritto pubblico che ricorrono ad enti parastatali.

Di fatto, gli enti di diritto pubblico ignorano, volutamente o meno, il contenuto di tale comunicazione interpretativa. Qualora la Commissione intenda esplorare ulteriormente l'ipotesi di una legislazione specifica per le concessioni, sarà opportuno prevedere espressamente delle norme sulla creazione e il rinnovo delle attività dei PPPI: queste nuove disposizioni dovrebbero servire a migliorare la legislazione, per evitare quegli abusi di cui la giurisprudenza dell'UE offre un vasto campionario e che contrastano talvolta con la trasparenza auspicata.

3.2.3   Quali norme richiedono un'ulteriore elaborazione?

In materia di applicazione delle procedure, il CESE raccomanda un quadro più adeguato per tre procedure riguardanti i PPP in generale, ossia:

la valutazione ex ante, cui si ricorre molto spesso per misurare l'impatto in termini di costo totale del PPP rispetto alle normali procedure di appalto pubblico; anche il public sector comparator (PSC - analisi comparata con il settore pubblico) costituisce un indicatore di grande utilità,

il dialogo competitivo, che però talvolta è all'origine di eccessi in termini di deontologia, di scadenze e di richieste imposte alle imprese private,

il monitoraggio delle operazioni di PPP per misurarne quanto più precisamente possibile l'interesse e migliorare in tal modo la valutazione ex ante delle operazioni successive.

3.2.3.1   La valutazione ex ante

Questo tipo di analisi iniziale che, in linea di principio, serve a giustificare la scelta di una determinata procedura piuttosto che di un'altra, dovrebbe diventare una regola inderogabile per qualsiasi procedura di aggiudicazione di appalti pubblici.

L'autorità aggiudicatrice non potrebbe infatti disporre di uno strumento migliore per misurare l'impatto - o meglio, le molteplici ripercussioni - della decisione che si prepara ad adottare. Rendere obbligatoria la pubblicazione delle conclusioni della valutazione ex ante rappresenterebbe in molti casi un notevole passo in avanti in direzione di una maggiore trasparenza - un elemento indispensabile se si è alla ricerca di soluzioni ottimali e di un più rigoroso rispetto delle norme di concorrenza.

Tale valutazione deve costituire anche l'occasione per misurare correttamente, nell'ambito del concetto di costo totale, l'incidenza degli eventuali scarti nei finanziamenti tra il tasso applicabile dai mercati ai mutuatari pubblici e quello applicabile al progetto PPP, tenendo presente che questo elemento della valutazione ex ante è già obbligatorio nei paesi più avanzati in materia di PPP.

In Francia la valutazione ex ante viene realizzata in base a quattro criteri: il costo totale, il trasferimento dei rischi, lo sviluppo sostenibile e il rendimento garantito dal contratto. Il CESE propone di rendere sistematici questi criteri e di introdurne altri due: la pubblicazione dei contratti e la rigorosa applicazione della legislazione sociale dei paesi interessati, come si è già ricordato sopra (cfr. il punto 1.3.4).

3.2.3.2   Il dialogo competitivo

Questa impostazione, che differisce dalla semplice trattativa bilaterale cui si ricorre per la conclusione delle normali procedure, è oggi ampiamente utilizzata - anzi, in taluni paesi è persino obbligatoria - per l'aggiudicazione di contratti di PPP in senso lato. Il metodo consiste nel mettere a punto il contratto definitivo - dopo una prima selezione preliminare operata dal cliente - per mezzo di un dialogo con il partner unico o i due partner prescelti grazie ad un processo iterativo di miglioramenti successivi degli elementi del contratto.

Un attento esame delle attuali modalità di utilizzo di questa procedura consente tuttavia di trarre alcune conclusioni:

poco abituati allo strumento, alcuni enti di diritto pubblico avviano un dialogo competitivo senza un'adeguata preparazione, il che porta a rimettere in discussione nel corso del dialogo elementi fondamentali del contratto, a dilatare i tempi oltremisura e a imporre talvolta alle imprese richieste troppo specifiche proprio nella fase conclusiva,

i committenti pubblici sono talvolta tentati di utilizzare questa procedura in modo scorretto per venir meno al doveroso rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e di tutela delle idee innovative.

Se è vero che, in teoria, le idee presentate sono tutelate dalla riservatezza delle offerte, nella pratica si riscontra che questo non è affatto garantito, e che è facile giustificare determinati modi di procedere contrari alla deontologia con «fughe di notizie» di origine incerta.

Una certa armonizzazione del quadro contrattuale europeo dovrebbe tener conto di meccanismi di tutela della proprietà intellettuale, che è di per sé garante dei progressi compiuti nel campo dell'innovazione.

3.2.3.3   Il monitoraggio delle operazioni di PPP

Ai fini del rispetto della trasparenza e delle esigenze di controllo, è necessario effettuare un censimento sistematico delle operazioni di PPP e un monitoraggio della loro esecuzione a livello sia nazionale che dell'UE. Questo compito - distinto rispetto al ruolo, già ricordato sopra, che potrebbe spettare alla BEI e all'EPEC - deve essere affidato ad un organismo neutrale, che non presenti alcuna tendenza a preferire o a sfavorire sistematicamente i PPP nelle valutazioni, e potrebbe essere attribuito al gruppo di esperti.

4.   Conclusioni

La comunicazione della Commissione è un testo interessante e di grande attualità, data la necessità di mobilitare gli investimenti pubblici e privati, soprattutto in un periodo di crisi finanziaria come quello attuale. È opportuno proseguire lo sviluppo del quadro istituzionale, per migliorare i PPP e sfruttare i vantaggi e le opportunità che essi offrono, ma anche per limitare i problemi riscontrati nel caso di parecchi di questi partenariati e ricordati in precedenza nel presente parere (problemi di prefinanziamento e aumenti dei costi spesso riscontrabili nei rapporti contrattuali a lungo termine che i PPP comportano).

Il Comitato invita semplicemente a non trascurare le possibilità offerte dallo strumento dei PPP per contribuire allo sviluppo delle infrastrutture pubbliche (sia di piccole che di grandi dimensioni) e, quindi, al progresso economico dell'Unione europea.

Per quanto concerne i PPP, l'Europa dovrebbe dotarsi degli strumenti per trarre i dovuti insegnamenti dalle difficoltà incontrate talvolta in passato, migliorando i meccanismi di controllo esistenti ed effettuando un censimento sistematico dei risultati finali delle operazioni di PPP. Il CESE reputa importante che anche le piccole e medie imprese beneficino di migliori opportunità di partecipare ai PPP.

Poiché si dispone già di un gran numero di strumenti giuridici a livello nazionale e dell'UE, il CESE non reputa necessario ripartire da zero per creare un quadro uniforme e teoricamente perfetto. Al dispendio di tempo ed energie necessario non corrisponderebbero benefici adeguati e il risultato potrebbe, anzi, rivelarsi controproducente. Dal momento che l'azione quotidiana degli operatori si inscrive in questi quadri normativi, rimetterli in discussione renderebbe più farraginose le procedure di appalto pubblico, senza dire che potrebbe persino ostacolare gravemente il funzionamento dello strumento PPP. Pertanto, le definizioni esistenti contenute nella direttiva 2004/18/CE non devono essere modificate o integrate, in modo da consentire a ciascuno Stato membro di stabilire definizioni normative dei PPP in funzione dello specifico contesto e delle buone pratiche osservate.

Il CESE raccomanda di ottimizzare gli strumenti esistenti, con gli opportuni chiarimenti e correzioni, utilizzando le competenze già disponibili, segnatamente la piattaforma della BEI nel settore del finanziamento: il Comitato propone infatti di rafforzare il ruolo dell'EPEC e del gruppo di esperti affinché essi contribuiscano ancor di più alla diffusione dei metodi contrattuali, alla raccolta, alla promozione e alla valorizzazione delle buone pratiche e al dialogo con il settore privato a livello dell'UE mediante l'istituzione di un gruppo «interfaccia» di esperti provenienti da tale settore.

Quali spunti di riflessione per analisi future si possono indicare: una maggiore trasparenza, un accresciuto ricorso alla valutazione ex ante basata sul costo totale, l'esame dei successi e degli insuccessi, il rispetto delle normative.

Il Comitato invita a riflettere sulla possibilità di introdurre un meccanismo di rifinanziamento dei PPP al di là del solo periodo di costruzione, meccanismo che dovrebbe servire a mobilitare il mercato obbligazionario, cui in questo contesto non si fa abbastanza ricorso.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio che modifica, in relazione alla durata di applicazione dell'aliquota normale minima, la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto»

COM(2010) 331 definitivo — 2010/0179 (CNS)

2011/C 51/13

Relatore: Edgardo IOZIA

Il Consiglio, in data 24 giugno 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio che modifica, in relazione alla durata di applicazione dell'aliquota normale minima, la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto

COM(2010) 331 definitivo — 2010/0179 (CNS).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2010, ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 466a sessione plenaria del 21 ottobre 2010, ha nominato relatore generale IOZIA e ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Sintesi ed osservazioni del Comitato

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) prende atto che è necessario prorogare, auspicabilmente per l'ultima volta, di altri 5 anni il regime cosiddetto transitorio, che scadrà il 31 dicembre 2010, adottato nel lontano 1992, per l'applicazione della aliquota minima standard dell'IVA, fissata nel 15 % ed esprime parere favorevole all'adozione della direttiva proposta.

1.2

La mancata proroga, infatti, potrebbe determinare un effetto ulteriormente distorsivo sul funzionamento del mercato interno. Già oggi la differenza tra i diversi regimi di aliquote standard presente in Europa è di 10 punti percentuali. Si passa dal 15 % di Cipro e Lussemburgo al 25 % di Danimarca, Ungheria e Svezia. La Commissione, giustamente, già per due volte ha proposto di inserire un limite massimo, ma il Consiglio non ha dato il suo consenso, tenuto conto che su questa materia i trattati prevedono l'unanimità.

1.3

Il CESE valuta molto positivamente la decisione della Commissione di lanciare entro la fine del corrente anno un Libro verde sulla nuova strategia IVA e la possibilità di procedere progressivamente ad una armonizzazione delle aliquote. È negli auspici del Comitato, che a suo tempo sarà specificamente consultato sul Libro verde, arrivare al più presto a un regime completamente armonizzato in materia di tassazione europea e al superamento definitivo del regime transitorio.

1.4

Il CESE in molti dei suoi pareri sull'argomento ha sostenuto l'esigenza di arrivare ad un regime di tassazione indiretta armonizzato, semplice, con una riduzione dei carichi amministrativi, con benefici evidenti per le imprese e i cittadini, che garantisca una tassazione equa, un gettito certo per le finanze pubbliche, che faccia diminuire i rischi di frode fiscale, che aiuti il completamento e lo sviluppo del mercato interno.

1.5

Il CESE è consapevole che aver mantenuto la decisione all'unanimità per la materia fiscale ha compromesso la possibilità di una rapida approvazione del regime definitivo che contempla la tassazione nel paese di origine. Il mancato accordo nella modifica dei trattati comporterà un penoso allungamento dei tempi per una decisione in materia. Dopo quarantatré anni dall'inizio dell'iter per un sistema europeo di tassazione indiretta, a causa del principio dell'unanimità, siamo allo stesso punto.

1.6

«È un atto di accusa nei confronti degli Stati membri il fatto che la realizzazione di un concetto, accettato in linea di principio trentatré anni fa, sembra ancora tanto lontana quanto lo era all'epoca. La storia della normativa IVA in Europa è un catalogo di fallimenti, non imputabili alla Commissione che ha agito con coerenza encomiabile e non risparmiando gli sforzi per tentare di far avanzare la situazione, ma agli Stati membri che hanno costantemente frustrato tali sforzi» (1). Queste le parole usate dal CESE nel 2001: sono tuttora drammaticamente attuali!

1.7

Il CESE ritiene non più rinviabile l'adozione di un nuovo sistema di tassazione che garantisca: lotta efficace alla frode fiscale che comporta un aumento delle entrate per gli Stati membri e l'Unione, diminuzione degli oneri amministrativi e sviluppo del mercato interno.

2.   Premessa

2.1

Il Consiglio su proposta della Commissione e dopo consultazione del PE e CESE fissa all'unanimità il livello di aliquota dell'IVA a norma dell'art. 12 par. 3, lettera a), secondo comma, della direttiva 77/388/CEE.

2.2

Non trovando l'unanimità necessaria, la Commissione si è vista costretta a ben quattro proroghe basate sull'unico risultato raggiunto all'unanimità, quello di un'aliquota minima del 15 % fissato dalla direttiva 92/77/CEE. Tutte le proposte miranti al raggiungimento di un'armonizzazione fiscale definitiva non hanno mai raggiunto la necessaria unanimità.

3.   La proposta della Commissione

3.1

In vista della prossima scadenza del 31 dicembre 2010 prevista dalla direttiva 2006/112/CE la Commissione propone l'ennesima proroga che fissa l'aliquota normale che non può essere inferiore al 15 % a decorrere dal 1o gennaio 2011 fino al 31 dicembre 2015.

3.2

La Commissione, al punto 9 della proposta in esame, prevede di pubblicare a breve un Libro verde su una nuova strategia IVA che darà avvio ad una consultazione sulla futura armonizzazione fiscale dal cui risultato di consultazione fra gli Stati membri la Commissione stessa potrà prendere una decisione appropriata circa il livello di aliquote IVA normali nell'UE.

4.   Osservazioni del Comitato

4.1

Alla luce della situazione attualmente esistente nei 27 Stati membri in materia fiscale, e particolarmente nel campo dell'IVA, il Comitato non può che dichiararsi d'accordo considerando, come già nel passato, tale proposta «un atto dovuto».

4.2

La decisione della Commissione di emanare un Libro verde sull'intera materia, con l'obiettivo di superare definitivamente il regime transitorio ed avviare un processo di armonizzazione nella giungla delle aliquote, delle deroghe, dei regimi ridotti, in quelli di parcheggio e in tutto il complesso della normativa, trova il Comitato fortemente motivato a sostenere la realizzazione di tale progetto, anche se le esperienze passate in materia hanno visto prevalere i piccoli interessi nazionali, che di fatto si sono contrapposti alla semplificazione e alla realizzazione completa del mercato interno.

4.3

L'ammontare delle frodi fiscali a livello europeo viene valutato tra i 200 e i 250 miliardi di euro. Il Comitato è d'accordo con il Parlamento europeo che occorra contrastare molto più efficacemente la frode, che «incide non solo sul finanziamento dei bilanci degli Stati membri, ma anche sull'equilibrio complessivo delle risorse proprie dell'Unione europea, in quanto le riduzioni delle risorse proprie basate sull'IVA vanno compensate mediante un aumento delle risorse proprie del reddito nazionale lordo» (2).

4.4

Il CESE ritiene indispensabile, a questo fine un'azione coordinata e convergente degli Stati membri, che consenta di ottenere diversi obiettivi contestualmente: semplificazione amministrativa, incremento delle entrate derivanti dall'imposta, attraverso un'efficace lotta all'evasione, armonizzazione delle aliquote, che consentano lo sviluppo del mercato interno, senza offrire a nessuno vantaggi o svantaggi competitivi derivanti dall'ammontare dell'imposta.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Parere CESE sul tema Strategia volta a migliorare il funzionamento del regime IVA nel mercato interno (GU C 193 del 10.7.2001, pag. 45).

(2)  Risoluzione legislativa del Parlamento europeo, del 4 dicembre 2008, in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, per combattere la frode fiscale connessa alle operazioni intracomunitarie.


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La politica internazionale sul clima dopo Copenaghen: intervenire subito per dare nuovo impulso all’azione globale sui cambiamenti climatici»

COM(2010) 86 definitivo

2011/C 51/14

Relatore: BUFFETAUT

La Commissione europea, in data 9 marzo 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La politica internazionale sul clima dopo Copenaghen: intervenire subito per dare nuovo impulso all’azione globale sui cambiamenti climatici

COM(2010) 86 definitivo.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2010.

Alla sua 466a sessione plenaria, del 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 7 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

In un primo tempo l'accordo di Copenaghen ha suscitato grande delusione in quanto non è stato raggiunto un accordo generale sugli obiettivi e le misure per combattere il riscaldamento globale. Tutto sommato, esso fa comunque segnare progressi non solo per quanto concerne l'obiettivo di mantenere l'aumento delle temperature al di sotto dei 2 °C rispetto al periodo preindustriale, ma anche perché consente di fare passi avanti per quanto concerne sia i trasferimenti di tecnologia e il finanziamento dei paesi in via di sviluppo, che in materia di accordi più specifici sull'uso delle terre e delle foreste. Le sue conclusioni ora devono servire da punto di partenza nei prossimi cicli di negoziati che si terranno a Cancún e in Sud Africa.

1.2

Ciononostante, è difficile considerare questo accordo come un successo diplomatico dell'Unione europea, che dovrà studiare un riorientamento della sua strategia diplomatica. La creazione del nuovo servizio diplomatico, in conseguenza dell'adozione del Trattato di Lisbona, potrà avere l'effetto di modificare gli equilibri politici interni alla Commissione. Comunque sia, l'impegno unilaterale di ridurre le emissioni dell'Unione europea del 20 %, o persino del 30 %, entro il 2020 non è riuscito a ottenere l'effetto sperato né ha reso possibile giungere a un accordo vincolante. I nostri partner sono estremamente pragmatici e diffidano di tutto ciò che suona come grandi petizioni di principio dietro cui si celano regolamentazioni e possibili vincoli, anche se alla fine il principio di limitare l'aumento della temperatura a 2 °C è stato accettato.

1.3

L'Unione europea non ha conseguito risultati concreti nei negoziati di Copenaghen né ha avuto modo di influenzarli, in parte perché le sue ambizioni erano troppo grandi e numerosi paesi non potevano farle proprie in questo momento, in parte perché le altre parti interessate nutrivano un certo scetticismo circa la realizzabilità degli obiettivi europei. Ora l'UE dovrebbe puntare sui mezzi concreti per conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 che essa stessa si è posta e dare al tempo stesso (anche grazie a questa iniziativa) nuovo slancio alla sua economia. Un successo tangibile in questo duplice sforzo rafforzerebbe la credibilità dell'UE e avrebbe un impatto sui negoziati internazionali.

Pur tenendo fede alle decisioni adottate, segnatamente nel pacchetto energia/clima, l'Unione europea dovrebbe:

impegnarsi, in linea con le proposte dei ministri dell'Ambiente di Germania, Francia e Regno Unito, a ridurre le emissioni di CO2 entro il 2020 secondo un obiettivo più rigoroso di quello attuale, in modo da conseguire entro quella data una riduzione del 30 % anziché del 20 %, purché le condizioni economiche e sociali lo permettano senza perdita di competitività e purché quest'iniziativa sia effettivamente accompagnata dalle misure e dagli investimenti necessari per tradurla in pratica. Il fatto che, per la crisi economica, le emissioni dell'UE siano calate drasticamente non è di per sé una ragione sufficiente per perseguire un obiettivo di riduzione ancor maggiore, dal momento che le emissioni possono aumentare nuovamente in caso di ripresa,

mobilitare e coordinare gli strumenti di ricerca comunitari e nazionali nel campo delle nuove tecnologie a basse emissioni di CO2 e nel campo dell'efficienza energetica. L'obiettivo è quello di conseguire una migliore assegnazione delle risorse e una maggiore efficienza, dimostrando che dietro le dichiarazioni politiche e le norme legislative esiste la volontà di mobilitare i mezzi necessari per un'azione concreta. È anche fondamentale garantire una stretta cooperazione tra il mondo della ricerca e settori dell'economia come l'industria e l'agricoltura, affinché le tecnologie promettenti possano essere immesse rapidamente sul mercato,

adottare un approccio più modesto in materia di comunicazione, per non dare ai nostri partner l'impressione di voler imporre loro un modello europeo considerato esemplare,

in attesa di un accordo globale, concentrare gli sforzi diplomatici su accordi più settoriali, ad esempio sulla gestione del suolo e delle foreste, sul trasferimento di tecnologie (facendo in modo di conservare il vantaggio comparativo in questo settore), sul sistema di verifica e di valutazione degli impegni, sul sostegno finanziario e sulle sue modalità di assegnazione. La conferenza internazionale sul clima e le foreste, tenutasi a Oslo lo scorso maggio, costituisce un esempio di iniziativa riuscita,

sviluppare con il sostegno degli Stati membri, un'attività diplomatica energica nei confronti degli Stati Uniti, della Russia e del gruppo BASIC (Brasile, Sud Africa, India e Cina), considerando che senza gli USA e gli altri grandi paesi nessun accordo mondiale è possibile,

fungere da forza propulsiva nei negoziati bilaterali o multilaterali in sedi diverse dall'ONU in vista della preparazione di un accordo mondiale. Tutto questo deve avvenire nella massima trasparenza per evitare che in taluni paesi cresca il timore di vedersi imposte soluzioni precostituite,

portare avanti, visti i grandi investimenti compiuti sia dalla Cina che dagli Stati Uniti o dalla Corea del Sud in tema di «economia verde», una politica europea ambiziosa, affinché l'Unione europea sia uno dei motori dell'economia di domani, non perda i suoi vantaggi competitivi e non debba dipendere da brevetti, know-how e tecniche altrui. Gli obiettivi riguardanti la riduzione delle emissioni possono sì costituire uno strumento utile, ma non bastano a ottenere il salto tecnologico necessario per addivenire a uno sviluppo veramente sostenibile.

1.4

A sostegno dei suoi sforzi diplomatici, l'Unione europea dovrebbe inoltre mobilitare la società civile organizzata al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di far evolvere la nostra società verso un modello caratterizzato da un minore spreco di risorse naturali, da un uso accresciuto di fonti rinnovabili e da comportamenti personali improntati al senso civico.

2.   Introduzione

2.1

La conclusione del vertice di Copenaghen ha suscitato reazioni varie e divergenti.

2.2

Per taluni Stati e partecipanti al dibattito l'accordo di Copenaghen rappresenta il primo passo incoraggiante, visto che è stato approvato da numerosi Stati, fra cui la Cina, l'India e gli Stati Uniti, i quali hanno sottoscritto l'obiettivo di mantenere l'aumento delle temperature al di sotto dei 2 °C rispetto all'era preindustriale. Per altri è profondamente deludente in quanto non ha dato luogo ad un accordo particolareggiato sulle misure da adottare per conseguire tale obiettivo o su come condividere le responsabilità tra i diversi paesi.

2.3

Anche il livello di ambizione e impegno nazionale confluito nell'accordo è risultato deludente, come si vede dal fatto che gli obiettivi volontari nazionali di riduzione dei gas a effetto serra presentati in risposta all'accordo stesso sono insufficienti a mantenere sotto i 2 gradi l'aumento della temperatura, e sono al di sotto di quanto l'UE e altri speravano di far approvare.

2.4

La conferenza è stata chiaramente, dal punto di vista diplomatico, una delusione per l'Unione europea e in particolare la Commissione. In particolar modo, l'annuncio del suo impegno unilaterale di ridurre le emissioni di CO2 del 20 %, o persino del 30 %, entro il 2020 non ha avuto l'effetto diplomatico atteso di incoraggiare altri paesi sviluppati ad assumersi impegni analoghi e di indurre i paesi in via di sviluppo a formulare impegni più specifici. Pertanto, occorre esaminare perché la strategia diplomatica dell'Unione europea abbia fallito e come si possa darle un nuovo orientamento che la renda più efficace.

3.   Un approccio più pragmatico e più modesto

3.1

Nonostante le relazioni fra gli Stati Uniti e la Cina siano complesse, pare che l'accordo di Copenaghen sia in realtà il risultato dell'accordo intervenuto fra gli Stati Uniti e i paesi del cosiddetto gruppo BASIC (Brasile, Sud Africa, India e Cina).

3.2

Al riguardo s'impongono varie osservazioni:

al pari degli Stati Uniti, molti paesi emergenti e alcuni altri paesi sviluppati danno ancora al mantenimento (o al ripristino) delle proprie prospettive di crescita economica a breve termine la precedenza sulla lotta al riscaldamento del clima (anche se un riscaldamento fuori controllo potrebbe causare molti più danni a tutte le economie sul medio termine se le emissioni di gas serra non saranno abbattute). Questo gruppo di paesi potrebbe continuare ad essere la voce determinante nel definire i limiti degli obiettivi nei prossimi anni, a meno che, o fino a che, nuovi eventi climatici, prove scientifiche ancor più schiaccianti o una pressione crescente sui combustibili fossili non li costringano a un drastico ripensamento. L'UE dovrà adattare la propria strategia a questo nuovo equilibrio di forze,

l'approccio americano poggia maggiormente sulla fiducia nei progressi scientifici e tecnici e ha un carattere più pragmatico che normativo. Nei prossimi anni, gli USA (e la Cina) concentreranno chiaramente i propri sforzi sulla creazione delle industrie a basse emissioni di CO2 del futuro più forti del mondo. L'Europa deve garantire uno sforzo almeno altrettanto determinato per trasformare la propria economia nella stessa direzione,

i paesi in via di sviluppo e quelli emergenti temono peraltro che l'atteggiamento zelante dei paesi industrializzati sia un sistema per frenare o ritardare il loro sviluppo, tanto più che alcuni paesi industrializzati sono ancora lungi dall'aver raggiunto gli obiettivi che si erano prefissi.

Indubbiamente, il motivo per cui l'Unione europea - pur volendo dare l'esempio - non sembra avere affatto convinto il resto del mondo della fondatezza della sua politica, sta nel fatto che essa si è affidata troppo ai calcoli astratti sugli obiettivi di riduzione chiesti a ciascuno e al proprio sistema di scambio delle emissioni, ancora imperfetto, e non ha fatto abbastanza dal punto di vista pratico per dimostrare la raggiungibilità degli obiettivi investendo a sufficienza nella ricerca, nell'innovazione e nelle tecniche di trasformazione che consentono l'emergere di una nuova economia a basse emissioni di carbonio e più efficace sul piano energetico, per sé e per gli altri. C'è da sperare che la strategia Europa 2020 si riveli uno strumento utile su questo fronte. Dobbiamo riuscire a dimostrare che un rapido passaggio a un'economia a basse emissioni di CO2 in Europa è un successo pratico capace di darci un crescente vantaggio competitivo che obbligherà gli altri a fare altrettanto. Tutto ciò avrà un effetto molto più convincente sul resto del mondo che non discorsi cupi su obiettivi all'apparenza enormemente difficili da raggiungere, sugli oneri che comporta il conseguirli e sull'importanza morale di ripartire tali oneri.

3.3

In questo contesto, non è il caso di riporre tutte le speranze nella situazione internazionale per arrivare a un accordo definitivo su tutti i punti prima della fine del 2011. È meglio non avere alcun accordo definitivo piuttosto che averne uno con obiettivi inadeguati che indurrebbe a dormire sugli allori all'ombra della minaccia climatica incombente. È dunque più opportuno presentare tali obiettivi inadeguati come una misura temporanea o intermedia che è meglio di niente, in attesa di un accordo adeguato con obiettivi più stringenti in un secondo momento, quando alcuni dei paesi e dei gruppi maggiori avranno compiuto progressi verso un'economia a basse emissioni di CO2 e potranno impegnarsi con fiducia verso obiettivi più ambiziosi e appropriati e potranno spingere gli altri a fare lo stesso.

3.4

Nel frattempo, occorre evitare che la mancanza di un accordo generale impedisca alla comunità internazionale di compiere progressi graduali nei negoziati concreti e di portare avanti accordi settoriali, ad esempio sulle foreste, l'efficienza energetica, i trasferimenti di tecnologie, i contributi finanziari o la cooperazione in materia di veicoli elettrici. L'accordo di Oslo sulle foreste tropicali, concluso lo scorso maggio al termine di una conferenza internazionale sul clima e le foreste, è un esempio di un'iniziativa coronata da successo che ha portato ad un partenariato tra nove paesi donatori (Norvegia, Stati Uniti, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito, Danimarca, Giappone e Australia) più l'Unione europea e una quarantina di paesi ricchi di foreste. L'obiettivo di questo nuovo partenariato è di creare nell'immediato un meccanismo finanziario destinato ad aiutare gli Stati a salvaguardare le loro foreste. Per il periodo 2010-2012 sono stati autorizzati stanziamenti per 4 miliardi di dollari. In tal modo, il meccanismo di riduzione delle emissioni causate dal disboscamento e dal degrado forestale (REDD), meccanismo che premette di rivalorizzare le foreste, ha ottenuto nuovo impulso.

3.5

Questo approccio potrebbe essere riassunto con il motto Meno parole e più fatti e concretarsi in una maggiore modestia, non tanto negli obiettivi, quanto piuttosto nel modo di presentarli.

3.6

L'accordo di Copenaghen va attuato in quanto tale e come punto di partenza per creare una dinamica generale senza fermarsi a prese di posizione ideologiche. L'UE deve invece proporre progetti concreti e riunire intorno a sé gruppi di paesi pronti a impegnarsi in taluni di essi evitando che l'accordo di Kyoto si trasformi in una sorta di mito intoccabile, anche se dobbiamo rimanere aperti al desiderio di molti paesi in via di sviluppo di mantenere alcuni elementi fondamentali dell'approccio di Kyoto.

3.7

Oltre al problema dei paesi emergenti, è cruciale quello dei paesi poveri. Non possiamo dar loro l'impressione che la lotta contro il cambiamento climatico sia una scusa per continuare a tenerli sotto tutela. Occorre mantenere i principi dell'equità ambientale incorporati nel programma «Giustizia/clima» del governo francese per mostrare l'impegno e la buona volontà dei paesi ricchi.

3.8

In questo senso occorre tener fede agli impegni finanziari assunti a Copenaghen stanziando rapidamente nuovi fondi. Il contributo dell'UE per il periodo 2010-2012 è stato fissato a 2,4 miliardi di euro all'anno. Occorre pertanto provvedere quanto prima al finanziamento. Per quanto riguarda gli Stati Uniti è chiaro che essi terranno fede ai loro impegni finanziari solo se anche la Cina e l'India si attiveranno, soprattutto riguardo al sistema di misura, controllo e verifica.

4.   Per sapere che cosa fare occorre conoscere la situazione di partenza. Al di là delle prese di posizione ideologiche o politiche, qual è la vera natura dell'accordo di Copenaghen?

4.1

Negli ultimi 20 anni, le discussioni internazionali sul clima si sono basate sul lavoro scientifico del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC), che riunisce scienziati di punta di tutte le discipline interessate e di tutte le parti del mondo col compito di esaminare e valutare i dati relativi ai cambiamenti climatici indotti dall'uomo e i loro effetti. Le valutazioni dell'IPCC succedutesi negli anni hanno dimostrato un grado sempre crescente di sicurezza e consenso scientifici sulla realtà dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo e delle loro conseguenze.

4.2

Purtroppo, in alcuni dei lavori più recenti dell'IPCC ci sono stati alcuni difetti procedurali, che sono stati sfruttati dai mezzi di informazione e dagli scettici di professione per cercare di diffondere il dubbio circa i dati sopra citati e la necessità di agire immediatamente contro i cambiamenti climatici all'epoca del vertice di Copenaghen. L'IPCC deve evidentemente migliorare le proprie procedure, per garantire la totale trasparenza del suo lavoro e per assicurarsi che tutti i dati e le conclusioni siano sottoposti a un approfondito esame da parte di esperti esterni, come raccomandato nella recente relazione dell'InterAcademy Council.

4.3

Nessuno degli esami cui il lavoro dell'IPCC è stato sottoposto ne ha confutato le conclusioni fondamentali e, nonostante gli errori procedurali, il consenso scientifico internazionale sulla realtà dei cambiamenti climatici e le loro cause è in costante crescita. I governi di tutte le parti del mondo sono ancora convinti dell'assoluta necessità di agire e si sono impegnati, con l'accordo di Copenaghen, a mantenere l'aumento medio della temperatura mondiale sotto i 2 °C. Il CESE appoggia con forza quelle conclusioni e questa espressione di volontà politica.

4.4

L'accordo di Copenaghen stabilisce un quadro in cui registrare gli impegni nazionali di riduzione dei gas serra e i piani per realizzare tali impegni. Dopo Copenaghen, molti paesi hanno presentato nei particolari i rispettivi piani e impegni. Ciò è utile perché dimostra che in molte parti del mondo si propongono o si realizzano azioni concrete. Gli impegni assunti finora, però, non sarebbero sufficienti a imboccare una strada che consenta al mondo di mantenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C. Gli attuali impegni dei paesi sviluppati prevedono al massimo una riduzione del 18 % entro il 2020, che non arriva nemmeno al minimo delle raccomandazioni dell'IPCC, il quale ha chiesto una riduzione del 25-40 % entro quella data. A giudizio del CESE, l'UE dovrebbe pertanto impostare i negoziati internazionali sulla premessa che gli attuali impegni nazionali vanno considerati niente più di un punto di partenza, e dovrebbe puntare a chiarire e rafforzare il più possibile gli impegni stessi.

4.5

La procedura che finora è stata seguita in sede ONU corre il rischio adesso di girare a vuoto. In un primo tempo per i negoziati multilaterali potranno risultare importanti altre sedi o altri sistemi: G20, accordi multilaterali, ecc., che potranno imprimere nuovo impulso ai negoziati ONU offrendo basi più solide e più realistiche. Essi non si sostituiranno affatto all'ONU, bensì serviranno a preparare degli accordi sotto l'egida delle Nazioni Unite. Occorre pervenire ad accordi concreti che si traducano in misure e fatti, anche se questi accordi si limiteranno a un aspetto dei cambiamenti climatici o delle innovazioni riguardanti l'energia pulita o a basse emissioni di carbonio. L'Unione europea potrebbe svolgere un ruolo chiave in proposito assicurando la trasparenza dei negoziati e mobilitando le iniziative diplomatiche nei confronti dei paesi in via di sviluppo e dei piccoli paesi.

4.6

In proposito bisognerà seguire attentamente l'attuazione concreta degli impegni assunti dagli Stati nel quadro dell'accordo di Copenaghen, come pure del piano quinquennale cinese e di un'eventuale legislazione americana.

4.7

Questo deve indurre l'Unione europea a rivedere il suo approccio, più particolarmente là dove dà l'impressione di voler imporre un accordo vincolante sulla falsariga dell'impegno che essa stessa si è assunta. Ci si può del resto chiedere quale sia la natura di un tale accordo. Chi parla di accordo vincolante presuppone la possibilità di imporne il rispetto: è però chiaro che non disponiamo dei mezzi per farlo, e che i nostri partner respingono una tale ipotesi. Sarebbe indubbiamente più opportuno parlare di un accordo che comporti obblighi precisi e verificabili.

4.8

Manifestamente molti dei grandi paesi non sono ancora disposti ad accettare un accordo vincolante su obiettivi generali. Nell'ottica di una politica dei piccoli passi, questi paesi troverebbero indubbiamente più accettabile l'idea di obblighi precisi e controllabili.

4.9

Occorrerà indubbiamente passare per accordi settoriali, più concreti e a carattere tecnico: accordi di cooperazione scientifica e di ricerca, e beninteso degli accordi in materia di trasferimenti tecnologici e di aiuti ai paesi meno sviluppati, nel rispetto della loro sovranità, ma anche con la garanzia che i fondi e gli aiuti concessi verranno utilizzati in maniera corretta.

5.   In questo contesto, come preparare in maniera efficace la conferenza di Cancún?

5.1

L'Europa deve innanzitutto fare ordine in casa propria, dimostrando come sia possibile fare di una più rapida transizione a una società sostenibile e a basse emissioni di carbonio un successo economico. Oggi vi è il rischio che i programmi volti a diffondere l'uso di energie rinnovabili e a promuovere l'efficienza energetica in tutti i settori segnino il passo e che le nostre nuove industrie che innovano in quei settori perdano terreno nei confronti delle imprese straniere concorrenti, fortemente incoraggiate in Cina, Corea del Sud e altri paesi. L'Europa deve adottare misure più incisive per assicurare alle sue industrie chiave a basse emissioni di carbonio lo stimolo e gli investimenti necessari per mantenere la loro posizione concorrenziale nel mondo. Questo settore dovrebbe ricevere un sostegno particolare nel quadro dell'attuazione della strategia Europa 2020 e dei programmi nazionali di ripresa economica.

5.2

La commissaria europea per l'Azione per il clima e i ministri dell'Ambiente di Germania, Francia e Regno Unito hanno proposto che l'UE si impegni unilateralmente a ridurre le emissioni di CO2 entro il 2020 secondo un obiettivo più rigoroso di quello attuale, in modo da conseguire entro quella data una riduzione del 30 % anziché del 20 %, principalmente al fine di suscitare la volontà politica e l'impegno a intraprendere le misure necessarie e a effettuare i necessari investimenti in energie rinnovabili ed efficienza energetica. Il fatto che, per la crisi economica, le emissioni dell'UE siano calate drasticamente non è di per sé una ragione sufficiente per perseguire un obiettivo di riduzione ancor maggiore, dal momento che le emissioni possono aumentare nuovamente in caso di ripresa. Tuttavia, il CESE è disposto a sostenere un obiettivo di riduzione del 30 %, purché le condizioni economiche e sociali lo permettano senza perdita di competitività e purché quest'iniziativa sia effettivamente accompagnata dalle misure e dagli investimenti necessari per tradurla in pratica. L'UE deve soprattutto essere credibile: bisogna che gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 siano non solo ambiziosi, ma anche effettivamente perseguiti.

5.3

Sul fronte internazionale sembra importante compiere un intenso lavoro preparatorio nell'ambito di un consesso come il G20, che riunisce i paesi che producono il 90 % delle emissioni, in modo da disporre preliminarmente delle basi di un accordo. I risultati conseguiti con il lavoro diplomatico serviranno poi nei lavori delle Nazioni Unite. Si dovrà procedere in modo trasparente e associare al meglio i paesi meno sviluppati.

5.4

Nel contesto delle Nazioni Unite occorre poi mettere a punto un processo negoziale meno complesso. Com'è noto, i negoziati di Copenaghen erano estremamente complessi e si svolgevano in sei sessioni, spesso in parallelo.

5.5

Occorre assolutamente disporre di una struttura negoziale semplificata, abbandonando se necessario il riferimento al protocollo di Kyoto, che comunque contempla solo il 30 % delle emissioni. Beninteso, questo dovrebbe essere presentato e spiegato in maniera diplomatica, evitando di dare l'impressione che i principali paesi produttori di emissioni tentino di sfuggire alle loro responsabilità a scapito degli altri paesi.

5.6

Occorrerebbe concentrarsi su elementi chiave: limitazione e riduzione delle emissioni prefiggendosi obiettivi chiari, assistenza scientifica, tecnica e finanziaria ai paesi meno sviluppati, sistema di monitoraggio, rendicontazione e verifica (MRV) degli accordi stipulati, nonché problema specifico delle foreste, evitando di perdersi in sistemi giuridici complessi che rischiano di essere respinti da taluni e di far fallire i negoziati.

5.7

Il CESE condivide altresì gli obiettivi negoziali specifici indicati nelle sezioni 3.2 e 3.3 della comunicazione della Commissione, ossia creare un quadro solido e trasparente per contabilizzare le emissioni e le prestazioni, coordinare la mobilitazione dei finanziamenti rapidi, garantire finanziamenti a lungo termine per i paesi in via di sviluppo, ampliare e rafforzare il mercato internazionale del carbonio e riformare il meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism - CDM), attualmente incapace di realizzare i suoi obiettivi in modo soddisfacente.

5.8

Invece, la comunicazione in esame, che riguarda la politica internazionale sul clima dopo Copenaghen, presenta proposte più pertinenti e realistiche. Giustamente la Commissione insiste sulla necessità di attuare l'accordo di Copenaghen. Essa sottolinea che la strategia Europa 2020 è impostata in funzione della sostenibilità: definisce infatti la crescita sostenibile come una priorità centrale nella visione di un'Europa che utilizza le risorse in maniera efficiente, crea nuovi posti di lavoro verdi e dà un forte impulso all'efficacia e alla sicurezza energetiche.

5.9

La Commissione sottolinea altresì l'importanza di compiere progressi nella definizione del sistema di monitoraggio, rendicontazione e verifica, pur essendo consapevole che questo punto ha suscitato notevoli difficoltà nel corso dei negoziati, in particolare con la Cina. Occorrerà quindi trovare un quadro chiaro e trasparente che non leda il senso d'indipendenza e di dignità nazionali. L'Unione europea potrebbe svolgere un ruolo proponendo ai paesi terzi interessati delle procedure di misura e di controllo.

5.10

Le disposizioni finanziarie immediate previste dall'accordo di Copenaghen dovranno essere attuate quanto prima. Questo sarebbe il modo migliore per dimostrare la buona fede dei paesi industrializzati nei confronti dei paesi in via di sviluppo, se del caso portando come prova le iniziative già avviate.

5.11

Per i finanziamenti di lungo periodo la Commissione ritiene di poter mobilitare vari tipi di risorse:

quelle generate dal mercato internazionale del carbonio. Sinora, però, questo è stato assai deludente, sia perché non è a livello mondiale, sia perché è un mercato fittizio, visto che in sé la CO2 non ha alcun valore reale, e potrebbe degenerare in un mercato speculativo dei «diritti a inquinare»,

i contributi dei settori dei trasporti marittimi e aerei,

i fondi pubblici, ma tutti sono al corrente dello stato delle finanze pubbliche nei vari Stati membri.

Detto ciò, e malgrado le difficoltà, mantenere e rispettare i nostri impegni finanziari testimonia anche la nostra fiducia nei confronti dei paesi terzi, specie quelli più poveri. Permane il difficile problema dei criteri per l'assegnazione di tali fondi e della valutazione circa l'opportunità dei progetti e la loro conclusione positiva.

5.12

Occorrerà compiere maggiori sforzi per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo delle energie rinnovabili e la promozione dell'efficienza energetica, non da ultimo a causa della diminuzione delle risorse fossili (petrolio e gas). È importante conseguire una più adeguata assegnazione delle risorse per garantire una migliore efficacia, dimostrando che dietro le dichiarazioni politiche e le norme giuridiche c'è la volontà di mobilitare i mezzi necessari per un'azione concreta. È preoccupante che progetti innovativi essenziali quali Galileo e ITER debbano costantemente far fronte a difficoltà di finanziamento.

5.13

Per garantire un sostegno ai propri sforzi diplomatici, l'Unione europea dovrebbe inoltre mobilitare la società civile organizzata al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di far evolvere la nostra società verso un modello caratterizzato da un minore spreco di risorse naturali, da un uso più importante di fonti rinnovabili e da comportamenti personali improntati al senso civico.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sullo stato di attuazione della politica integrata di prodotto»

COM(2009) 693 definitivo

2011/C 51/15

Relatore: ZBOŘIL

La Commissione europea, in data 21 dicembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sullo stato di attuazione della politica integrata di prodotto

COM(2009) 693 definitivo.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 luglio 2010.

Alla sua 466a sessione plenaria, del 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la relazione della Commissione europea sull'attuazione della politica integrata di prodotto (IPP), che contiene una presentazione approfondita del processo di applicazione dei principi dell'IPP. La relazione si inserisce perfettamente nel quadro più ampio del piano d'azione Produzione e consumo sostenibili e Politica industriale sostenibile (piano d'azione SCP/SIP).

1.2   La strategia di approccio integrato tiene debito conto del principio di sussidiarietà e delle specificità di ciascuno Stato membro. Il CESE desidera richiamare l'attenzione sul fatto che l'intervento concreto si realizza in primo luogo ai livelli sussidiari e grazie all'interazione, sul mercato, tra il fornitore e il consumatore.

1.3   Sebbene l'IPP tenga conto del fattore rappresentato dalle forze di mercato, il CESE ritiene che resti ancora molto da fare per quanto riguarda l'utilizzo degli strumenti di regolazione del mercato (come la tassazione e gli incentivi ambientali) per progredire in modo coordinato nell'applicabilità di tali strumenti. Il CESE raccomanda di attribuire maggiore attenzione allo scambio di esperienze tra gli Stati membri, concentrandosi in particolare sugli incentivi, sulla loro applicazione e sul ruolo degli accordi volontari a lungo termine.

1.4   Il CESE è convinto che la normalizzazione potrebbe avere ricadute positive su un gran numero di prodotti, poiché potrebbe favorirne, ad esempio, la riciclabilità, l'efficacia ed efficienza sul piano ambientale e altri aspetti. La normalizzazione svolge un ruolo fondamentale nell'applicazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile e in futuro sarebbe bene rafforzarla.

1.5   Il CESE ritiene che una maggiore convergenza tra i due sistemi di gestione ambientale (lo strumento EMAS e lo standard ISO 14001) potrebbe contribuire ad assicurare un'applicazione più sistematica dell'EMAS nel quadro del piano d'azione SCP/SIP.

1.6   Qualsiasi disposizione, politica o strumento, anche quando riguardi l'attuazione del piano d'azione SCP/SIP, deve essere elaborato e applicato in maniera tale da non creare distorsioni della concorrenza o del funzionamento del mercato interno. Deve inoltre rispettare pienamente il principio del miglioramento normativo (Legiferare meglio) e l'obiettivo della sostenibilità. È fondamentale garantire che le nuove misure che sono state adottate per ragioni pratiche non creino sovrapposizioni o conflitti con gli strumenti e le politiche già in atto nell'UE.

1.7   Un altro aspetto fondamentale per il successo del piano d'azione SCP/SIP è l'efficacia in termini di costi. La valutazione di impatto iniziale dovrebbe essere integrata da una valutazione degli effetti macro e microeconomici, che nella realtà economica sono spesso assai divergenti.

1.8   La procedura di valutazione dovrebbe inoltre tenere conto, sin dalle primissime fasi e con la massima trasparenza, delle principali catene del valore aggiunto. La legislazione in vigore in materia di progettazione ecocompatibile ed etichettatura non deve diventare un ostacolo per i prodotti europei, ma dovrebbe anzi contribuire al loro successo sui mercati sia interni che internazionali. Qualsiasi iniziativa, in particolare quelle che riguardano l'etichettatura dei prodotti e quelle che mirano a favorire un cambiamento nei consumi, dovrebbe fondarsi su una base scientifica solida e dimostrata, e dovrebbe essere avviata soltanto nei settori nei quali può essere ottenuto un cambiamento dei modelli di consumo.

1.9   In linea con suoi precedenti pareri in materia (1), il Comitato esprime il suo appoggio al concetto dell'IPP e al piano d'azione SCP/SIP, volti a favorire lo sviluppo di prodotti e di processi di produzione più sostenibili. Questo approccio porterà a un valore aggiunto maggiore sia per l'ambiente che per la competitività dell'economia europea.

1.10   Il CESE è convinto che occorra quindi dare la priorità ai programmi europei esistenti come il piano SET (Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche), il piano ETAP (Piano d'azione per le tecnologie ambientali) o le attività delle piattaforme tecnologiche. Occorre garantire in particolare un buon coordinamento e un sufficiente livello di ambizione.

1.11   Il miglioramento della cooperazione tra gli attori impegnati nelle attività di ricerca e sviluppo nel campo delle innovazioni «verdi», il mondo dell'economia e dell'impresa, i centri di ricerca e il settore dell'istruzione superiore dovrebbe favorire le innovazioni, che in questo ambito sono assolutamente fondamentali.

1.12   Se in futuro si scinderà il concetto dell'IPP dal piano d'azione SCP/SIP, si rischierà di generare contraddizioni e incertezze giuridiche. Il CESE concorda pertanto pienamente sulla necessità che ogni futura attività inerente all'IPP sia ora valutata e intrapresa nel quadro del piano d'azione SCP/SIP.

1.13   L'attuazione dell'IPP e del piano d'azione SCP/SIP deve rappresentare un processo continuo, basato sul dialogo permanente e sulla cooperazione tra le diverse parti interessate (dalle imprese e dai responsabili politici fino alle organizzazioni dei consumatori e alle ONG ambientali), onde rafforzare gli strumenti di comunicazione rivolti ai consumatori, la produzione pulita e la promozione degli appalti e degli acquisti sostenibili della pubblica amministrazione.

2.   Il documento della Commissione

2.1   Il 18 giugno 2003 la Commissione ha adottato la comunicazione Politica integrata dei prodotti - Sviluppare il concetto di «ciclo di vita ambientale»  (2). Il concetto dell'IPP si basa sulle seguenti osservazioni:

la produzione e l'utilizzo di beni e servizi (cioè i prodotti) costituiscono la causa principale degli impatti negativi complessivi sull'ambiente; la situazione sta peggiorando a causa del costante aumento del numero di prodotti consumati nell'UE e nel mondo,

le pressioni e gli impatti ambientali dei prodotti si verificano in varie fasi del ciclo di vita di questi ultimi (lungo il ciclo di produzione, nella fase di utilizzo e all'atto dello smaltimento finale dei prodotti). Le azioni correttive vanno concepite in modo tale da evitare che il carico ambientale venga semplicemente trasferito ad altre fasi del ciclo dei prodotti, o ad altre zone geografiche,

a causa dell'enorme varietà di prodotti e del loro impatto, non è possibile sviluppare un singolo strumento politico che possa contemplarli tutti; si dovrà scegliere e utilizzare, caso per caso e in modo coordinato lo strumento politico o la combinazione di strumenti politici più appropriati, spesso trasversali rispetto ai vari settori delle politiche.

2.2   La comunicazione definisce nei dettagli l'obiettivo dell'IPP e fissa cinque «principi» fondamentali: (1) considerazione del ciclo di vita (life-cycle thinking), (2) collaborazione con il mercato, (3) ampio coinvolgimento delle parti interessate, (4) miglioramento continuo dei prodotti e (5) utilizzo coordinato degli strumenti d'azione. La IPP doveva essere applicata tramite tre azioni strategiche:

contribuendo ad affrontare i problemi ambientali individuati in particolare nella strategia per lo sviluppo sostenibile (3), nel Sesto programma di azione per l'ambiente (4) e nel quadro decennale di programmi a sostegno di modelli sostenibili di produzione e consumo (5),

integrando le politiche di prodotto esistenti, grazie a un quadro più ampio nell'ambito del quale i problemi ambientali possano essere valutati tenendo conto del ciclo di vita dei prodotti,

rafforzando il coordinamento e la coerenza tra i vari strumenti ambientali della politica di prodotto.

2.3   I principi dell'IPP sono stati incorporati nel quadro complessivo Produzione e consumo sostenibili e Politica industriale sostenibile (SCP/SIP) attraverso il Piano d'azione 2008 SCP/SIP  (6), che ingloba e prosegue con efficacia il processo avviato con la comunicazione sull'IPP.

2.4   La direttiva sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia integra i principi dell'IPP nella normativa sulla progettazione dei prodotti. Il suo campo di applicazione è stato ampliato nel 2009 con l'aggiunta di ulteriori categorie di prodotti (prodotti connessi al consumo energetico) nel contesto del piano d'azione SCP/SIP (7).

2.5   La nuova direttiva quadro sui rifiuti  (8) rende vari elementi dell'IPP giuridicamente vincolanti, in particolare essa prevede l'obbligo di tener conto dell'intero ciclo di vita dei materiali nello sviluppo delle politiche sui rifiuti.

2.6   Le strategie tematiche per l'uso sostenibile delle risorse naturali e per la prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti hanno fatto proprio il concetto di ciclo di vita e di miglioramento continuo (9), nonché il principio della collaborazione con il mercato (10). L'obiettivo di potenziare i mercati europei del riciclaggio contenuto nella strategia dei rifiuti ne è un esempio.

2.7   Subito dopo l'adozione della comunicazione sull'IPP, la Commissione ha avviato lo sviluppo della piattaforma europea sulla valutazione del ciclo di vita (LCA), una banca dati europea di riferimento sul ciclo di vita, di qualità controllata, e un manuale LCA.

2.8   Nell'insieme, a livello comunitario sono stati compiuti importanti progressi verso la realizzazione di politiche dei prodotti ecocompatibili. Tuttavia, poiché l'IPP è un processo piuttosto che un punto d'arrivo, vi sono ancora ampi margini di manovra per ulteriori attività.

2.9   Questo concetto può essere applicato anche al miglioramento ambientale dei prodotti non industriali e dei servizi. Gli «strumenti» dell'IPP costituiti da misure fiscali e da sovvenzioni non sono ancora messi in atto a livello comunitario.

2.10   L'attuazione dell'IPP in termini di integrazione delle politiche è difficile da documentare, in quanto è raro che le nuove politiche facciano esplicito riferimento all'IPP; tuttavia, complessivamente si sono registrati importanti progressi nell'adozione del concetto di ciclo di vita da parte dei principali settori industriali e dei responsabili politici, e sia la disponibilità di dati sul ciclo di vita che il consenso sulla metodologia sono aumentati notevolmente. Si è registrato inoltre un buon risultato anche nell'individuazione dei prodotti con il maggior margine di miglioramento e delle possibili misure in tal senso.

2.11   L'informazione dei consumatori, la legislazione sulla progettazione ecocompatibile, la produzione pulita e gli appalti/acquisti verdi della pubblica amministrazione sono oggi al centro del piano d'azione SCP/SIP. Esso porta avanti il processo avviato con la comunicazione IPP nell'intento di stimolare ulteriormente la richiesta di prodotti più sostenibili da parte del mercato e di promuovere un consumo più intelligente e informato. La comunicazione conclude osservando che la revisione del piano d'azione, prevista per il 2012, fornirà un'eccellente opportunità per valutare ulteriormente gli sviluppi dell'IPP.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il Comitato accoglie con favore la relazione della Commissione europea sull'attuazione della politica integrata di prodotto e il documento di lavoro che la accompagna, nei quali i servizi della Commissione forniscono una presentazione approfondita del processo di applicazione dei principi dell'IPP. Tale presentazione comprende non solo le iniziative e la loro attuazione concreta a livello della Commissione, ma anche un utile raffronto delle situazioni esistenti nei diversi Stati membri e delle loro caratteristiche specifiche. La relazione si inserisce correttamente nel quadro più ampio del piano d'azione Produzione e consumo sostenibili e Politica industriale sostenibile (piano d'azione SCP/SIP).

3.2   La comunicazione iniziale sull'IPP pubblicata dalla Commissione europea nel 2003 è stata particolarmente utile nell'avviare un dibattito fruttuoso. Essa valutava il ruolo delle istituzioni dell'UE e degli Stati membri nonché delle diverse parti interessate con lo scopo di ridurre al massimo l'impatto dei prodotti sull'ambiente. Il dibattito da essa avviato ha inoltre cambiato la percezione della questione nel suo insieme e contribuito a intensificare gli sforzi per sviluppare strumenti politici e giuridici atti a consentire di ridurre in modo generale l'impatto dei prodotti sull'ambiente.

3.3   L'obiettivo era quello di creare un quadro concettuale basato sul principio di valutazione del ciclo di vita di un prodotto, il quale può contribuire a migliorare il coordinamento e la coerenza tra i diversi strumenti politici che trattano l'impatto ambientale dei prodotti.

3.4   In generale, i cinque principi alla base dell'IPP sono stati integrati con successo nei lavori degli organismi amministrativi e legislativi, nonché nell'attività delle parti interessate. Tali principi costituiscono inoltre la base del piano d'azione SCP/SIP, che è diventato la prosecuzione logica del processo avviato dalla comunicazione sull'IPP.

3.5   Il CESE si compiace che tutti questi cinque principi fondamentali abbiano trovato traduzione concreta in direttive e documenti politici dell'UE: (1) la considerazione del ciclo di vita è servita da base per la direttiva europea sulla progettazione ecocompatibile; (2) per rafforzare la cooperazione con il mercato a livello nazionale ed europeo sono stati proposti il piano d'azione SCP/SIP e gli incentivi; (3) il coinvolgimento delle parti interessate, sia a livello europeo che nazionale, trova applicazione concreta attraverso una serie di iniziative; (4) il miglioramento continuo della funzionalità dei prodotti rappresenta anch'esso una parte integrante del piano d'azione SCP/SIP; infine, (5) il coordinamento e la coerenza tra gli strumenti adottati sono migliorati al fine di garantire il pieno sfruttamento delle sinergie potenziali offerte dall'approccio integrato del piano d'azione SCP/SIP.

3.6   La strategia di approccio integrato tiene in debita considerazione il principio di sussidiarietà e le specificità di ogni Stato membro cercando di non danneggiare il contesto competitivo del mercato interno. Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che l'applicazione concreta dei principi e degli strumenti politici si realizza in primo luogo ai livelli sussidiari, grazie all'interazione, sul mercato, tra il fornitore e il consumatore. Questa constatazione dovrebbe tradursi nell'utilizzo di strumenti efficaci che siano largamente accettati da tutte le parti interessate.

3.7   Sebbene la politica integrata di prodotto abbia dato i suoi frutti e sia stata realizzata attraverso numerose politiche e vari strumenti concreti, il CESE ritiene che sia giunto il momento di prestare maggiore attenzione all'efficacia di attuazione dell'IPP. Andrebbero valutati in particolare il grado di riuscita dell'attuazione, nonché gli ostacoli e gli insuccessi incontrati, in modo tale che nella valutazione del piano d'azione SCP/SIP che si svolgerà nel 2012 si possano adottare le eventuali misure correttive necessarie a garantire il livello di efficacia richiesto.

3.8   Il CESE è inoltre convinto che tale politica orientata al prodotto possa esplicare appieno i suoi effetti solo se le misure sono attuate a livello globale tenendo conto di tutte le differenze economiche e culturali. Il Sistema di preferenze generalizzate (SPG), incentrato su accordi commerciali regionali e sull'impegno dei paesi in via di sviluppo a favore dello sviluppo sostenibile, costituisce un buon esempio di un meccanismo utile ad attuare efficacemente i cinque principi dell'IPP su scala mondiale.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Sebbene l'IPP tenga conto del fattore rappresentato dalle forze di mercato, che è fondamentale per il successo di questa politica e degli altri strumenti messi in campo, il CESE ritiene che vi sia ancora molto da fare per quanto riguarda l'utilizzo degli strumenti di regolazione del mercato (come la tassazione e gli incentivi ambientali) per progredire in modo coordinato nell'applicabilità di tali strumenti, anche se è innegabile che in questo campo l'UE svolgerà un ruolo meno importante degli Stati membri. Il Libro verde adottato dalla Commissione nel 2007 e l'ampia consultazione dei soggetti interessati da essa realizzata hanno messo in evidenza, in una certa misura, il ruolo degli strumenti di regolazione del mercato. Tuttavia, il CESE raccomanda di attribuire maggiore attenzione allo scambio di esperienze tra gli Stati membri, concentrandosi in particolare sugli incentivi, sulla loro applicazione e sul ruolo degli accordi volontari a lungo termine.

4.2   I prodotti e il loro impatto ambientale sono anche strettamente collegati alla questione della normalizzazione. Il CESE è convinto che la normalizzazione potrebbe avere ricadute positive non solo sugli standard in materia di emissioni dei veicoli a motore, ma anche su un gran numero di prodotti. Essa potrebbe favorire, ad esempio, la loro riciclabilità e la loro efficienza sul piano ambientale, nonché molti altri aspetti ambientali. Inoltre, la normalizzazione svolge un ruolo fondamentale nell'applicazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile e in futuro sarebbe bene rafforzarla. La normalizzazione offre il vantaggio di consentire il coinvolgimento di tutte le parti interessate.

4.3   I sistemi di gestione ambientale EMAS e ISO 14001 sono strumenti facoltativi che sostengono il concetto dell'IPP e le politiche connesse. Senza dubbio, i requisiti amministrativi e di controllo più rigorosi imposti dall'EMAS non favoriscono la sua diffusione e sono proibitivi per le piccole e medie imprese. L'applicazione della norma ISO 14001 è più diffusa, in particolare a causa del suo ampio campo d'applicazione, ma soprattutto perché è lo strumento più adatto per le società che operano a livello mondiale. Il CESE ritiene che una maggiore convergenza tra i due sistemi potrebbe contribuire ad assicurare un'applicazione più sistematica dell'EMAS nel quadro del piano d'azione SCP/SIP.

4.4   Qualsiasi disposizione, politica o strumento, anche quando riguardi l'attuazione del piano d'azione SCP/SIP, deve essere elaborato e applicato in maniera tale da non creare distorsioni della concorrenza o del funzionamento del mercato interno. Deve inoltre rispettare pienamente il principio di una migliore regolamentazione e l'obiettivo della sostenibilità.

4.5   Diversi strumenti politici sono già stati messi in campo e stanno dando risultati positivi che rappresentano un passo avanti verso un consumo e una produzione sostenibili nell'UE. Occorre perciò garantire che le nuove misure non creino sovrapposizioni o conflitti con le politiche e gli strumenti già esistenti nell'UE, altrimenti si rischia di compromettere fortemente la competitività dell'economia europea: la scelta finale deve spettare sempre al consumatore informato.

4.6   Il CESE è convinto che soltanto politiche coerenti, prive di inutili gravami burocratici e amministrativi, possano fornire un quadro giuridico positivo per gli investimenti nell'UE. Solo all'interno di questo quadro si possono creare nuovi posti di lavoro, salvaguardare quelli esistenti e ridurre in modo sistematico la pressione sull'ambiente. Il quadro giuridico in materia di sostanze chimiche e materiali da costruzione, nonché le norme sugli apparecchi elettrici ed elettronici limitano il rischio di conflitti tra le diverse misure. L'incertezza e l'incoerenza giuridica che prevalgono in questi casi sono considerevoli e dovrebbero essere affrontate con cautela. Il prossimo riesame del regolamento REACH (11) offre un'eccellente occasione per cercare di raggiungere una maggiore coerenza e per studiare la possibilità di fondere diverse misure settoriali nel quadro giuridico orizzontale per le sostanze chimiche adottato di recente dall'UE.

4.7   Un altro aspetto fondamentale per il successo del piano d'azione SCP/SIP è l'efficacia in termini di costi. La valutazione iniziale dell'impatto e dei vantaggi dovrebbe essere integrata da studi sul potenziale sia del settore economico nel suo insieme che delle singole imprese, dato che nella realtà economica i risultati delle valutazioni macro e microeconomiche sono spesso assai divergenti.

4.8   La procedura di valutazione dovrebbe inoltre tenere conto, sin dalle primissime fasi e con la massima trasparenza, delle principali catene del valore aggiunto. La legislazione in vigore in materia di progettazione ecocompatibile ed etichettatura non deve diventare un ostacolo per i prodotti europei in termini di concorrenza da parte di altre regioni economiche o di una reazione insufficiente del mercato verso prodotti più sostenibili. Essa dovrebbe anzi contribuire al loro successo sui mercati interni e internazionali. Qualsiasi iniziativa, in particolare quelle che riguardano l'etichettatura dei prodotti e quelle che mirano a favorire un cambiamento nei consumi, dovrebbe fondarsi su una base scientifica solida e dimostrata. L'etichettatura ha un'utilità limitata nei prodotti rivolti alle aziende (business to business). Inoltre, non è l'unico strumento che consente di informare i consumatori sulle prestazioni ambientali di un prodotto. Sarebbe opportuno esaminare anche altri strumenti di informazione, tra i quali le norme internazionali.

4.9   Il contesto economico deve rimanere sufficientemente flessibile affinché lo sviluppo dei prodotti possa essere adattato in modo da soddisfare meglio le esigenze dei consumatori in un dato mercato. L'applicazione dei principi dello sviluppo sostenibile in tutta l'UE si basa sostanzialmente su un approccio volontario da parte del settore economico.

4.10   Il Comitato esprime quindi il suo appoggio all'IPP e al piano d'azione SCP/SIP, volti a favorire lo sviluppo di prodotti e di processi di produzione più sostenibili. Questo approccio porterà a un valore aggiunto maggiore sia per l'ambiente che per la competitività dell'economia europea. Potrebbe inoltre aprire nuovi mercati, a livello dell'UE e su scala mondiale. Questi nuovi mercati dovrebbero favorire le innovazioni ecologiche ed essere efficaci: saranno quindi necessari finanziamenti europei e investimenti pubblici nazionali per sostenere le attività di ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie sostenibili. Si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di indirizzare i proventi derivanti dagli strumenti finanziari collegati al CO2 verso gli investimenti nelle tecnologie sostenibili.

4.11   Il CESE è convinto che occorra quindi dare la priorità ai programmi europei esistenti come il piano SET (Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche), il piano ETAP (Piano d'azione per le tecnologie ambientali) o le attività delle piattaforme tecnologiche. Sarà tuttavia necessario un maggiore sforzo finanziario per trainare il necessario cambiamento nel mercato. Occorre prestare particolare attenzione a garantire un buon coordinamento e un sufficiente livello di ambizione, soprattutto per quanto riguarda le azioni finanziate con i fondi pubblici erogati dagli enti regionali o locali e dall'UE.

4.12   In questo contesto, la tavola rotonda europea sul consumo e la produzione sostenibili dei prodotti alimentari, copresieduta dalla Commissione europea e sostenuta dal programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) e dall'Agenzia europea dell'ambiente, rappresenta un'iniziativa riuscita. La partecipazione dei soggetti interessati a livello europeo consente di adottare un approccio armonizzato fondato sul ciclo di vita e favorisce un dialogo aperto e finalizzato al conseguimento di risultati concreti lungo la catena alimentare. Lo scopo è quello di promuovere un approccio scientifico coerente e di fare in modo che la catena alimentare contribuisca in maniera fondamentale al consumo e alla produzione sostenibili in Europa, tenendo conto anche dell'agenda SCP mondiale (12).

4.13   L'attuazione dell'IPP e del piano d'azione SCP/SIP deve rappresentare un processo continuo, basato sul dialogo permanente e sulla cooperazione tra le diverse parti interessate (dalle imprese e dai responsabili politici fino alle organizzazioni dei consumatori e alle ONG ambientali), onde rafforzare gli strumenti di comunicazione rivolti ai consumatori, la produzione pulita e la promozione degli appalti e degli acquisti sostenibili della pubblica amministrazione.

4.14   Il miglioramento della cooperazione tra i soggetti responsabili della ricerca e dello sviluppo nel campo delle innovazioni ecologiche, il mondo economico e imprenditoriale, i centri di ricerca e gli istituti di istruzione superiore dovrebbe non solo promuovere le innovazioni necessarie nel settore, ma anche contribuire a garantire il trasferimento di know-how in materia di diritti di proprietà intellettuale e lo sviluppo di conoscenze e di nuove competenze, senza di cui l'IPP sarebbe destinata a rimanere un progetto irrealizzabile.

4.15   Scindendo il concetto dell'IPP dal piano d'azione SCP/SIP, si rischierebbe di generare contraddizioni e incertezze giuridiche. Il CESE concorda pertanto pienamente sulla necessità che tutte le future attività dell'IPP siano valutate e intraprese nel quadro del piano d'azione SCP/SIP.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 80 del 30.3.2004, pag. 39 e GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 46.

(2)  COM(2003) 302 definitivo.

(3)  Riesame della strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile, del 9 maggio 2006 (doc. del Consiglio n. 10117/06).

(4)  COM(2001) 31 definitivo.

(5)  Cfr. http://www.un.org/esa/dsd/dsd_aofw_scpp/scpp_tenyearframprog.shtml.

(6)  COM(2008) 397 definitivo.

(7)  Direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia.

(8)  Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive.

(9)  COM(2005) 670 definitivo.

(10)  COM(2005) 666 definitivo.

(11)  Regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche. In conformità con l'articolo 131, la Commissione ha la possibilità di rivedere e modificare gli allegati di tale regolamento, mentre l'articolo 138 e altre disposizioni del regolamento rendono obbligatorie più revisioni specifiche.

(12)  www.food-scp.eu.


17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti»

COM(2010) 393 definitivo — 2009/0153 (COD)

2011/C 51/16

Relatore generale: ESPUNY MOYANO

Il Parlamento europeo, in data 2 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti

COM(2010) 393 definitivo — 2009/0153 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 14 settembre 2010, la sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 466a sessione plenaria del 21 ottobre 2010, ha nominato relatore generale ESPUNY MOYANO e ha adottato il seguente parere con 177 voti favorevoli, 2 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la nuova e più precisa definizione dei cosiddetti «impianti di acquacoltura chiusi», basata sui contributi del progetto Impasse (Environmental impacts of alien species in aquaculture), e il chiarimento sulla collocazione degli impianti stessi, ossia sulla loro distanza dalle acque aperte, nonché altri miglioramenti redazionali apportati al regolamento (CE) n. 708/2007, che coincidono in ampia misura con le raccomandazioni formulate nel parere CESE 453/2010.

1.2   A giudizio del CESE, purché si adottino le misure necessarie a evitare qualsiasi alterazione degli ecosistemi e della biodiversità, l'acquacoltura deve poter continuare a trarre beneficio dall'introduzione di specie esotiche o dai movimenti di specie localmente assenti nell'Unione europea, e in tal modo favorire lo sviluppo sostenibile di questa attività.

1.3   Il CESE sottolinea l'importanza di stabilire chiaramente le condizioni che gli impianti di acquacoltura chiusi dovranno soddisfare per ridurre gli oneri burocratici a loro carico.

1.4   Il CESE appoggia inoltre le modifiche apportate al regolamento (CE) n. 708/2007 in conseguenza dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la cui finalità principale è autorizzare la modifica degli allegati I, II, III e IV mediante la procedura di comitato.

2.   Introduzione

2.1   L'acquacoltura è un'attività in continua evoluzione che deve offrire soluzioni alle richieste del mercato, anche attraverso la diversificazione delle specie allevate e commercializzate.

2.2   In passato, l'acquacoltura europea, così come le altre attività agricole e zootecniche, ha offerto alla società i benefici derivanti dall'introduzione di specie esotiche. Quattro delle dieci specie principali attualmente prodotte in acquacoltura nell'Unione europea possono essere considerate esotiche (la trota arcobaleno, l'ostrica giapponese, la carpa comune e la vongola verace) e la loro presenza è oggi considerata abituale e necessaria.

2.3   Attualmente, tuttavia, l'introduzione di specie esotiche invasive è ritenuta una delle principali cause dell'alterazione della biodiversità a livello globale. I principali canali di entrata indesiderata di specie acquatiche esotiche nell'Unione europea sono rappresentati dalle acque di zavorra delle grandi navi, dalla pesca sportiva e dall'acquariofilia. Anche i cambiamenti climatici sono responsabili dell'arrivo spontaneo di specie esotiche negli ecosistemi europei.

2.4   Il regolamento (CE) n. 708/2007 sull'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti è stato recentemente oggetto di alcune modifiche sulle quali il Comitato ha già elaborato il parere CESE 453/2010 (relatore: SALVATORE), adottato ad ampia maggioranza e tuttora pienamente valido. Alcuni dei suggerimenti formulati nel suddetto parere, come quelli riguardanti il chiarimento a proposito della collocazione sulla terraferma degli impianti di acquacoltura chiusi, la distanza minima di sicurezza, la protezione dai predatori, ecc. sono stati accolti nella proposta di modifica (in particolare all'articolo 3), il che dimostra che si trattava di raccomandazioni fondate.

3.   Osservazioni generali

3.1   L'Unione europea deve adeguare il quadro legislativo destinato alla regolamentazione dell'acquacoltura per quanto riguarda l'impiego di specie esotiche e localmente assenti, nonché di possibili specie non bersaglio associate, in conseguenza sia dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che dei contributi e dei suggerimenti di diversi organismi, tra i quali il CESE.

3.2   L'obiettivo del suddetto quadro giuridico deve essere quello di ridurre il più possibile il rischio di effetti negativi per la biodiversità, in particolare per le specie, gli habitat e le funzioni degli ecosistemi. La normativa dovrà basarsi sul principio di precauzione, includere procedure per la valutazione dei rischi potenziali e prevedere l'elaborazione di piani di emergenza.

3.3   Le specie esotiche dell'acquacoltura introdotte già da molto tempo nell'Unione europea e allevate abitualmente devono beneficiare di un trattamento differenziato che agevoli la continuità della loro coltivazione senza imporre oneri amministrativi supplementari, purché i loro movimenti non interessino anche specie non bersaglio.

3.4   Il regolamento (CE) n. 708/2007 del Consiglio ha istituto il quadro volto a disciplinare le pratiche dell'acquacoltura rispetto alle specie esotiche e alle specie localmente assenti al fine di valutare e ridurre al minimo l'eventuale impatto di tali specie sugli habitat acquatici.

3.5   La riduzione dei rischi ambientali comporta l'adozione di misure quali i protocolli di attuazione negli impianti recettori, l'analisi previa del rischio ambientale e la quarantena.

3.6   La corretta gestione dei rischi nell'impiego di specie esotiche e localmente assenti impone a tutte le parti coinvolte, e in particolare agli Stati membri, di assumersi le loro responsabilità.

3.7   Per migliorare la normativa in materia occorre trarre profitto dal progresso delle conoscenze sull'impiego delle specie esotiche in acquacoltura, e in particolare dalle nuove conoscenze scientifiche frutto di iniziative di ricerca finanziate dall'Unione europea come il progetto Impasse.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Il regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti deve essere adeguato alle nuove disposizioni dell'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardo ai poteri delegati, nonché a quelle dell'articolo 291 riguardo alle competenze di esecuzione. In questo modo il suddetto regolamento sarà pienamente coerente con il nuovo assetto decisionale previsto dal nuovo Trattato.

4.2   Qualora siano considerati sicuri e caratterizzati da un rischio di fuga di esemplari particolarmente basso, gli impianti di acquacoltura chiusi devono poter beneficiare di un'esenzione, tra l'altro, dall'obbligo di realizzare analisi previe dell'impatto ambientale.

4.3   In considerazione delle esenzioni di cui beneficeranno gli impianti di acquacoltura chiusi, assume particolarmente importanza la definizione delle caratteristiche di sicurezza biologica che dovranno avere le strutture di questo tipo.

4.4   I requisiti di sicurezza degli impianti di acquacoltura chiusi devono tenere conto del fatto che l'acqua di allevamento non è l'unico possibile mezzo di fuga di esemplari delle specie allevate. Vanno presi in considerazione invece aspetti quali la collocazione sulla terra ferma, la sicurezza dai predatori, gli effetti di possibili inondazioni, le misure di prevenzione dei furti e del vandalismo, l'effetto «barriera» contro gli agenti patogeni e la gestione degli organismi morti.

4.5   La relazione sugli impianti di acquacoltura chiusi di tutta l'Unione europea deve essere consultabile in qualsiasi momento da parte di tutti gli Stati membri. Gli elenchi devono essere redatti senza indugio, sottoposti ad aggiornamenti periodici e resi disponibili su Internet.

4.6   Il trasporto di specie esotiche o di specie localmente assenti da o verso gli impianti di acquacoltura chiusi è un processo critico che pertanto va realizzato in modo da impedire la fuga di esemplari.

4.7   I movimenti di specie acquatiche esotiche attraverso il commercio di animali da compagnia, i centri di giardinaggio, gli stagni di giardino e gli acquari comportano un rischio per la biodiversità simile a quello dell'acquacoltura, e pertanto devono essere soggetti a norme e a un monitoraggio uguali a quelli previsti per l'acquacoltura.

4.8   Pur trattandosi di una questione non affrontata nella modifica del regolamento (CE) n. 708/2007, non è corretto definire «impianto di acquacoltura aperto» un impianto in cui l'acquicoltura si realizza in un mezzo acquatico non separato dal mezzo acquatico naturale da barriere atte a impedire la fuga di esemplari allevati. Negli impianti di acquacoltura aperti esistono barriere fisiche che garantiscono la cattività degli esemplari allevati. Quello che manca invece sono garanzie sufficienti che in determinate circostanze (temporali, inondazioni, predatori, ecc.) alcuni esemplari non possano fuggire e diffondersi nelle acque aperte.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON