ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2011.048.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 48

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

54o anno
15 febbraio 2011


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

465a sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010

2011/C 048/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La situazione dei Rom nell'Unione europea

1

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

465a sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010

2011/C 048/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La strategia dell'UE per la regione del Danubio

2

2011/C 048/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dell'immigrazione legale in un contesto di sfida demografica (parere esplorativo)

6

2011/C 048/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lavori verdi

14

2011/C 048/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Situazione e sfide della flotta dell'Unione europea per la pesca del tonno tropicale (parere esplorativo)

21

2011/C 048/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso uno spazio europeo della sicurezza stradale: orientamenti strategici per la sicurezza stradale fino al 2020 (parere elaborato su richiesta del Parlamento europeo)

27

2011/C 048/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Strutture di finanziamento per le PMI nel contesto dell'attuale situazione finanziaria (parere d'iniziativa)

33

2011/C 048/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Dopo la crisi: un nuovo sistema finanziario per il mercato interno (parere d'iniziativa)

38

2011/C 048/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Creatività e imprenditorialità: strumenti per uscire dalla crisi (parere d'iniziativa)

45

2011/C 048/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La risposta dell'UE al nuovo equilibrio del potere economico globale (parere di iniziativa)

51

2011/C 048/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete (parere d'iniziativa)

57

2011/C 048/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso un vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile nel 2012 (parere d'iniziativa)

65

2011/C 048/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migliorare i modelli di partenariati pubblico-privati partecipativi sviluppando i servizi online per tutti nell'UE-27 (parere d'iniziativa)

72

2011/C 048/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Di quali servizi di interesse generale abbiamo bisogno per far fronte alla crisi? (parere d'iniziativa)

77

2011/C 048/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La nuova politica energetica europea: applicazione, efficacia e solidarietà per i cittadini (parere d'iniziativa)

81

2011/C 048/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Relazioni tra l'UE e il Canada (parere d'iniziativa)

87

2011/C 048/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La situazione delle persone con disabilità nei paesi Euromed

94

2011/C 048/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La politica dell'UE per il multilinguismo (supplemento di parere)

102

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

465a sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010

2011/C 048/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Terzo esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea — COM(2009) 15 definitivo — al Documento di lavoro della Commissione — Riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea — Allegato al terzo esame strategico del programma per legiferare meglio — COM(2009) 16 definitivo — e al Documento di lavoro della Commissione — Terza relazione sullo stato d'avanzamento della strategia per la semplificazione del contesto normativo — COM(2009) 17 definitivo

107

2011/C 048/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Preparare il nostro futuro: elaborare una strategia comune per le tecnologie abilitanti fondamentali nell'UE — COM(2009) 512 definitivo

112

2011/C 048/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — L'interconnessione dei registri delle imprese — COM(2009) 614 definitivo

120

2011/C 048/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Semplificare l'attuazione dei programmi quadro di ricerca — COM(2010) 187 definitivo

129

2011/C 048/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/68/CE per quanto riguarda le disposizioni per i motori immessi sul mercato in regime di flessibilità — COM(2010) 362 definitivo — 2010/0195 (COD)

134

2011/C 048/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pedopornografia, che abroga la decisione quadro 2004/68/GAI — COM(2010) 94 definitivo — 2010/0064 (COD)

138

2011/C 048/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliore funzionamento della filiera alimentare in EuropaCOM(2009) 591 definitivo

145

2011/C 048/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Soluzioni per una visione e un obiettivo dell'UE in materia di biodiversità dopo il 2010 — COM(2010) 4 definitivo

150

2011/C 048/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — La protezione e l'informazione sulle foreste nell'UE: preparare le foreste ai cambiamenti climaticiCOM(2010) 66 definitivo

155

2011/C 048/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (Euratom) del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva (rifusione) — COM(2010) 184 definitivo — 2010/0098 (CNS)

160

2011/C 048/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (UE) n. xxxx/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (regolamento unico OCM) per quanto riguarda l'aiuto concesso nell'ambito del monopolio tedesco degli alcolici — COM(2010) 336 definitivo — 2010/0183 (COD)

163

2011/C 048/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 663/2009 che istituisce un programma per favorire la ripresa economica tramite la concessione di un sostegno finanziario comunitario a favore di progetti nel settore dell'energia — COM(2010) 283 definitivo — 2010/0150 (COD)

165

2011/C 048/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2008/9/CE che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dalla direttiva 2006/112/CE, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro — COM(2010) 381 definitivo — 2010/0205 (CNS)

167

2011/C 048/32

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (UE) … del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio per quanto riguarda il divieto di selezione qualitativa e le restrizioni applicabili alla pesca della passera pianuzza e del rombo chiodato praticata nel Mar Baltico, nei Belt e nell’Øresund — COM(2010) 325 definitivo — 2010/0175 (COD)

168

2011/C 048/33

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite (rifusione) — COM(2010) 359 definitivo — 2010/0194 (COD)

169

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo

465a sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010

15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La situazione dei Rom nell'Unione europea»

2011/C 48/01

Nel corso della sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato la seguente risoluzione con 151 voti favorevoli, 22 voti contrari e 28 astensioni.

1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condanna fortemente le azioni discriminatorie contro i Rom e contro qualsiasi minoranza etnica.

2.

Il CESE si è sempre adoperato per la difesa dei diritti umani fondamentali di tutte le persone che vivono nell'Unione europea e si è sempre mobilitato contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle minoranze nazionali, contro il razzismo e la xenofobia. L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha rafforzato il quadro normativo e politico di questo approccio, nonché gli strumenti per la sua attuazione.

3.

Il CESE, inoltre, ha sempre sostenuto con vigore il diritto alla libera circolazione e al soggiorno di tutti i cittadini comunitari e delle loro famiglie, in conformità del diritto dell'UE.

4.

Il CESE ha sempre reclamato con forza politiche attive d'inclusione sociale a favore delle minoranze e dei migranti, in particolare dei Rom.

5.

Il CESE desidera inoltre ribadire il proprio attaccamento al principio dello Stato di diritto secondo cui la responsabilità di ogni atto, compresi eventuali atti di natura criminale, deve essere sempre individuale.

6.

Il CESE, consapevole del fatto che i problemi legati all'integrazione dei Rom si pongono innanzi tutto a livello degli Stati membri interessati, sottolinea tuttavia la responsabilità dell'UE sulla base del nuovo Trattato e la necessità di fornire una risposta a livello dell'UE, sia per tener conto delle specificità delle popolazioni Rom sia per garantire parità di trattamento su tutto il territorio dell'Unione.

7.

Il CESE difende attivamente l'integrazione economica e sociale della popolazione Rom, come quella delle altre minoranze e dei migranti, e propone alle istituzioni dell'UE di definire una strategia globale e convincente nei confronti degli Stati membri per realizzare una vera integrazione basata sui diritti e i doveri che sono comuni a tutti i cittadini dell'UE. Una strategia di questa natura deve essere elaborata in modo partecipativo, coinvolgendo le comunità Rom, ed essere sostenuta da fondi proporzionati e adeguati alle grandi sfide da affrontare.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


PARERI

Comitato economico e sociale europeo

465a sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010

15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/2


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La strategia dell'UE per la regione del Danubio»

2011/C 48/02

Relatore: BARABÁS

Correlatore: MANOLIU

Il vicepresidente della Commissione europea Šefčovič, in data 26 febbraio 2010, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

La strategia dell'UE per la regione del Danubio.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il presente parere del Comitato economico e sociale europeo (CESE) vuole innanzi tutto approfittare dell'occasione offerta dalla Commissione europea alla società civile organizzata europea di formulare proposte pratiche e specifiche come contributo al piano d'azione, in fase di elaborazione, relativo alla strategia per il Danubio (1). Il CESE auspica che le sue proposte riflettano adeguatamente l'impegno del Comitato stesso e della società civile organizzata europea e il loro forte sostegno a tale strategia. Il CESE si attende che la futura strategia costituisca un autentico contributo al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutti i cittadini della regione danubiana, che esso considera come lo specchio dell'Europa.

1.2   A livello politico, la prevista strategia per il Danubio:

1.2.1

deve essere aperta e ricettiva, sensibile agli aspetti sociali, economici ed ambientali, deve essere attenta alle raccomandazioni delle organizzazioni della società civile e deve basarsi sulla loro esperienza;

1.2.2

data la complessità e l'interdipendenza delle questioni trattate, la strategia sarà efficace solo se seguirà costantemente un approccio integrato piuttosto che i punti di vista settoriali, e se si concentrerà sull'esigenza di realizzare gli obiettivi delle pertinenti parti in causa;

1.2.3

deve tenere presente e cercare di incoraggiare la cooperazione nei settori della «sicurezza cooperativa» (soft security), ad esempio l'attività congiunta dei servizi di emergenza in caso di catastrofi naturali, nel settore della mobilità dei lavoratori e delle imprese, ecc., o per lo sviluppo di piani di emergenza per far fronte a incidenti ecologici;

1.2.4

deve contribuire a un'utilizzazione più completa del potenziale offerto dal Trattato di Lisbona, e quindi, ad esempio, a un'applicazione coerente del principio della democrazia partecipativa;

1.2.5

deve essere uno strumento adeguato per:

a.

contribuire in modo sostanziale, in quanto politica di sviluppo macroregionale, all'approfondimento del processo di integrazione europea, specialmente nel quadro della strategia Europa 2020 (per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva);

b.

avvicinare all'UE i sei paesi terzi della regione, sostenendo le loro aspirazioni all'integrazione;

1.2.6

deve riflettere le politiche di livello macroregionale dell'UE, come pure il ruolo e il contributo attivi e costruttivi della società civile organizzata;

1.2.7

deve contribuire a coordinare il lavoro dei sistemi di cooperazione già presenti a vari livelli e in differenti parti della regione, a rendere più efficiente la loro attività e ad eliminare le sovrapposizioni;

1.2.8

deve avere una governance chiara, semplice, trasparente e strutturata secondo un approccio dal basso in relazione alla società civile organizzata; i risultati devono essere valutati mediante convegni annuali;

1.2.9

deve essere attuata sotto forma di un processo che consenta un certo grado di flessibilità, revisioni periodiche e, quando possibile, l'assegnazione di risorse finanziarie aggiuntive;

1.2.10

deve avere obiettivi realistici e, per garantire una realizzazione efficace, deve definire delle priorità; ai fini dell'attuazione di tali priorità occorre predisporre un piano di azione a medio termine, in cui sia specificato che una condizione essenziale per il successo consiste nella fattiva partecipazione di tutti gli attori, conformemente al principio del partenariato;

1.2.11

deve avere risultati visibili e tangibili per la società e per i cittadini, con l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei, in particolare dei giovani;

1.2.12

deve riflettere l'importanza del dialogo sociale e civile;

1.2.13

deve riconoscere l'importanza della connettività nella regione del Danubio;

1.2.14

deve tener conto dell'esperienza di applicazione della strategia UE per la regione del Mar Baltico.

1.3   Proposte pratiche, a livello della società civile, in merito al programma di azione relativo alla prevista strategia per la regione del Danubio:

1.3.1

occorre costituire una rete delle organizzazioni della società civile della regione (forum della società civile del Danubio), che renda possibili, tra l'altro, interventi e progetti comuni; i membri di tale rete dovrebbero incontrarsi ogni anno in uno dei paesi della regione;

1.3.2

si devono organizzare programmi (incontri, festival, visite, esposizioni, fiere, ecc.) per rafforzare il senso di appartenenza comune dei popoli della regione del Danubio, per promuovere la formazione di una coscienza regionale e per preservare la diversità culturale, in particolare nei settori che riguardano più da vicino i giovani; anche la pubblicazione di un periodico culturale regionale contribuirebbe alla realizzazione di tale obiettivo;

1.3.3

occorre organizzare annualmente, in località di volta in volta diverse, una settimana del Danubio, che potrebbe costituire la sede adatta per discutere questioni di attualità concernenti la strategia del Danubio e per illustrarne i risultati;

1.3.4

per garantire un sostegno continuo da parte dei cittadini e della società civile organizzata, sia nell'UE che nei paesi terzi vicini, occorre un piano efficace e a lungo termine di comunicazione della strategia;

1.3.5

nell'elaborare i programmi della strategia del Danubio occorre rivolgere particolare attenzione ai gruppi svantaggiati e marginalizzati, primi fra tutti i Rom;

1.3.6

nella regione danubiana occorre rafforzare le relazioni e la cooperazione regolari tra i vari soggetti, nonché intensificare il dialogo sociale e civile; in tale processo possono svolgere un ruolo importante i consigli economici e sociali nazionali;

1.3.7

la creazione del Forum d'affari del Danubio (Danube Business Forum), che comprenderebbe attori sociali ed economici, può costituire uno strumento importante per la collaborazione e la coesione economica, sociale e territoriale nella regione; le organizzazioni dei datori di lavoro della regione danubiana dovrebbero avere accesso e, anzi, essere incoraggiate a partecipare a programmi di finanziamento volti all'organizzazione del Forum d'affari;

1.3.8

per rafforzare i rapporti tra le persone sarebbe utile ridurre o rimuovere del tutto i residui ostacoli alla libera circolazione e applicare i principi del lavoro dignitoso e della retribuzione equa;

1.3.9

ai fini dell'attuazione della strategia per il Danubio si dovrebbe fare ricorso ai progressi realizzati dalla società dell'informazione e ai servizi da essa offerti;

1.3.10

occorre istituire un gruppo di ricerca internazionale per analizzare e studiare scientificamente le questioni strategiche della regione del Danubio; le sue attività dovrebbero essere coadiuvate anche mediante un programma di borse di studio;

1.3.11

bisogna esaminare in che modo i vari Anni europei e programmi tematici dell'UE possano essere messi in relazione con la strategia per il Danubio;

1.3.12

occorre sostenere le iniziative che vertono sull'insegnamento delle lingue utilizzate nella regione;

1.3.13

il CESE dovrebbe istituire un osservatorio o un gruppo di studio permanente sulla strategia per il Danubio;

1.3.14

gli elementi della strategia per il Danubio e il suo piano d'azione dovrebbero essere attuati e monitorati da un comitato di gestione, comprendente rappresentanti delle organizzazioni della società civile, il quale redigerà relazioni annuali in merito alle proprie conclusioni;

1.3.15

parallelamente all'adozione della strategia per il Danubio, la Commissione europea dovrebbe promuovere alcuni progetti pilota adeguati per la sperimentazione e per raccogliere le prime esperienze maturate;

1.3.16

l'attuazione della strategia per il Danubio e del relativo piano d'azione può essere finanziata ricorrendo a varie fonti: a parte i finanziamenti dell'UE (specialmente i fondi strutturali), si possono prendere in considerazione gli Stati della regione, il settore privato e le istituzioni finanziarie internazionali. Contando sul loro contributo, raccomandiamo la creazione di un fondo apposito;

1.3.17

il CESE ritiene che la strategia per il Danubio, la cui adozione è prevista per la prima metà del 2011, durante la presidenza ungherese, sarà uno strumento decisivo per sviluppare una regione danubiana dinamica, competitiva, inclusiva e fiorente.

2.   Orientamento della strategia per il Danubio

2.1   Nell'elaborare la strategia per il Danubio è importante definire la base teorica che sorreggerà la strategia di cooperazione nella regione e il programma d'azione inteso a realizzarla.

2.2   Pertanto, ai fini dell'elaborazione della strategia, va tenuto a mente quanto segue:

gli aspetti della coesione economica, sociale e territoriale,

il ruolo svolto dal Danubio nel contesto dei trasporti e delle infrastrutture (con particolare riferimento al settimo corridoio paneuropeo, che riguarda il Danubio) e il relativo potenziale di sviluppo delle attività economiche in generale; l'esigenza di sostenere misure di manutenzione del canale navigabile in tutti i tratti in cui sia necessario per garantire il trasporto e rimuovere le strozzature di cui al progetto prioritario 18 delle TEN-T (in tale contesto la dichiarazione comune redatta sotto l'egida della Commissione internazionale per la protezione del Danubio (ICPDR), andrebbe considerata una guida e applicata nella pratica; la necessità di proseguire l'attuazione di progetti di trasporto intermodale (realizzazione di un terminale per container nei porti) e di trasporto su strada nelle aree limitrofe della regione danubiana (costruzione di ponti che servirebbero a rendere molto più fluido il trasporto merci); inoltre, l'esigenza di portare avanti progetti che avrebbero un impatto considerevole nel campo dello sviluppo, ad esempio il canale Danubio-Bucarest, la cui realizzazione andrebbe a vantaggio dell'economia europea nel suo complesso,

il Danubio come fonte di acqua potabile e di energia e come ambiente naturale da salvaguardare - il fattore essenziale è lo sviluppo sostenibile; è necessario sostenere la realizzazione di progetti nel settore delle infrastrutture per l'energia, ad esempio la costruzione di centrali idroelettriche,

il ruolo svolto nella regione dall'innovazione, dalla ricerca e dall'istruzione,

le esigenze del turismo nella regione danubiana e il potenziale di sviluppo rurale; per quanto riguarda quest'ultimo settore, occorrerebbe considerare il finanziamento di progetti in grado di promuovere attività nei paesi con un'importante tradizione agricola; il finanziamento di progetti per la costruzione di infrastrutture per il carico e scarico di cereali contribuirebbe a valorizzare il potenziale dell'agricoltura locale, soprattutto nei paesi di consolidata tradizione agricola,

il ruolo del fiume nella formazione di una coscienza e di un'identità comuni «danubiane», a integrazione della formazione in tutta l'UE di una coscienza e di un'identità europee; il dialogo interculturale e la solidarietà, anche tra Stati membri e non membri dell'UE presenti nella regione, sono di primaria importanza in tale contesto,

l'esigenza di fare in modo che qualsiasi incremento del volume dei trasporti avvenga nel rispetto dell'ambiente,

necessità di un potenziale di risoluzione dei conflitti capace di affrontare le tensioni tuttora vive nella regione e che affondano le loro radici nella storia.

2.3   Data la presenza di valori e di interessi complessi e spesso in concorrenza tra loro, è importante che prenda forma una strategia per il Danubio integrata e fondata su principi comuni, che tenga conto, oltre che delle logiche economiche, anche delle esigenze e dei fattori sociali, compresi i punti di vista e i contributi della società civile.

2.4   Un'efficace strategia per il Danubio, fondata sulla coesione economica, territoriale e sociale, rappresenta l'elemento fondante di una regione danubiana dinamica, competitiva e fiorente.

3.   Contesto

3.1   Nella riunione del 18 e 19 giugno 2009, il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a presentare entro la fine del 2010 una strategia europea per la regione del Danubio. Nel corso dei lavori preparatori numerosi soggetti interessati hanno espresso il proprio parere, tra l'altro nel quadro della consultazione pubblica promossa dalla Commissione.

3.2   Il CESE sostiene univocamente e fermamente la nuova concezione dell'UE in materia di politica macroregionale e, in tale contesto, l'elaborazione di una strategia per la regione del Danubio. Nella sua qualità di rappresentante istituzionale della società civile organizzata europea, il CESE è pronto a svolgere un ruolo attivo e a prendere l'iniziativa nell'elaborazione e nell'attuazione di tale strategia.

3.3   L'interesse e l'impegno del CESE per le questioni relative alla strategia per il Danubio non sono un fatto nuovo. Negli ultimi anni il Comitato ha adottato vari documenti, in cui trattava specificamente questioni come i trasporti o la tutela dell'ambiente. Tali documenti illustrano le ragioni dell'interesse del CESE per la regione del Danubio e sostengono l'elaborazione di una strategia per tale regione.

3.4   Va notato che gli ultimi allargamenti hanno spostato sensibilmente più a Est il centro geografico dell'UE, mentre il suo baricentro economico è rimasto fermo nell'Europa occidentale. La coesione economica, territoriale e sociale, in quanto elemento decisivo della strategia per il Danubio, e le idee concrete che servono alla sua realizzazione, sembrano costituire un contributo appropriato all'eliminazione di tali squilibri.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  La futura strategia per il Danubio comprenderà i seguenti Stati membri dell'UE: Germania, Austria, Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca, Slovenia, Bulgaria e Romania, e i seguenti Stati non appartenenti all'UE: Croazia, Serbia, Ucraina, Moldova, Bosnia-Erzegovina e Montenegro.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/6


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo dell'immigrazione legale in un contesto di sfida demografica» (parere esplorativo)

2011/C 48/03

Relatore: PARIZA CASTAÑOS

Con lettera datata 16 febbraio 2010, Joëlle MILQUET, vice primo ministro e ministro dell'Occupazione e delle pari opportunità, responsabile della politica di immigrazione e asilo, a nome della futura presidenza belga e conformemente al disposto dell'articolo 304 del TFUE, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Il ruolo dell'immigrazione legale in un contesto di sfida demografica.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene necessario affrontare le sfide demografiche con un approccio olistico, intervenendo in numerosi ambiti economici, sociali e politici. L'immigrazione legale fa parte della risposta dell'UE a questa situazione demografica.

1.2

La mobilità interna dei cittadini europei è ridotta, minore dell'immigrazione di cittadini di paesi terzi. Il CESE ritiene che si debbano eliminare gli ostacoli e facilitare la mobilità interna dei lavoratori europei.

1.3

Il CESE accoglie con favore l'obiettivo della strategia Europa 2020, di innalzare al 75 % il livello di occupazione della fascia di età compresa tra 20 e 64 anni grazie a una maggiore partecipazione delle donne e dei lavoratori anziani e a una migliore integrazione degli immigranti nel mercato del lavoro.

1.4

La politica comune di immigrazione deve fondarsi su un approccio strategico, con una visione di medio e di lungo periodo, che tenga conto di aspetti quali: il contesto demografico, l'evoluzione dei mercati del lavoro, l'integrazione, la diversità culturale, i diritti fondamentali, la parità di trattamento, la non discriminazione e la cooperazione con i paesi d'origine.

1.5

Spetta a ciascuno Stato membro decidere in merito all'ammissione di nuovi immigrati sul suo territorio. L'UE può apportare un significativo valore aggiunto attraverso una politica comune e una legislazione improntata a un elevato livello di armonizzazione.

1.6

Nonostante alcune differenze nazionali, l'UE e gli Stati membri devono poter disporre di una legislazione aperta, che permetta un'immigrazione per motivi di lavoro mediante canali legali e trasparenti, sia per i lavoratori altamente qualificati che per quelli che svolgono lavori meno qualificati.

1.7

Il CESE ritiene che, alla luce delle sfide demografiche, occorra modificare le direttive in vigore ed elaborare nuovi strumenti legislativi.

1.8

Con la ratifica del Trattato di Lisbona è entrata in vigore la Carta dei diritti fondamentali, che renderà più equilibrato l'approccio dell'UE in materia di legislazione sull'immigrazione e promuoverà un maggiore rispetto dei diritti umani.

1.9

In Europa, ciononostante, stanno crescendo l'intolleranza, il razzismo e la xenofobia nei confronti degli immigrati e delle minoranze. È necessario che i responsabili politici, i leader sociali e i mezzi di comunicazione agiscano con un alto senso di responsabilità e di pedagogia politica e sociale per prevenire questi comportamenti. Le istituzioni dell'UE, dal canto loro, devono agire con decisione, e le organizzazioni della società civile devono essere molto attive nella lotta contro queste ideologie e questi comportamenti.

1.10

La legislazione europea in materia di immigrazione deve garantire la parità di trattamento, sulla base del principio di non discriminazione.

1.11

La cooperazione con i paesi di origine non dovrebbe riguardare esclusivamente la lotta all'immigrazione irregolare, il rimpatrio e il controllo delle frontiere. I relativi accordi devono tenere conto anche dell'interesse di tutte le parti: gli immigrati, che devono veder rispettati i loro diritti fondamentali; i paesi d'origine, perché l'immigrazione possa avere effetti positivi sul loro sviluppo economico e sociale; e le società europee di accoglienza.

1.12

La politica comune di immigrazione deve tenere conto dell'integrazione, un processo sociale bidirezionale di reciproco adattamento tra emigranti e società di accoglienza, che dev'essere favorito nell'Unione europea attraverso una buona gestione a livello nazionale, regionale e locale. Un approccio comune europeo presenta un grande valore aggiunto in quanto vincola l'integrazione ai valori e ai principi del Trattato, alla parità di trattamento e alla non discriminazione, alla Carta dei diritti fondamentali, alla Convenzione europea dei diritti umani e alla strategia Europa 2020.

1.13

Il CESE invita la Commissione europea a chiedere l'elaborazione di un parere esplorativo in merito all'utilità di costituire una piattaforma europea di dialogo per la gestione dell'immigrazione per ragioni di lavoro.

2.   La popolazione dell'Unione europea

2.1

L'Unione europea conta attualmente poco meno di 500 milioni di abitanti  (1). Negli ultimi dieci anni si è registrata una variazione positiva, e la popolazione è aumentata di oltre 18 milioni di unità (2).

2.2

Si osservano tuttavia grandi differenze nazionali. La popolazione è diminuita in vari Stati membri, e in particolare in Ungheria, Polonia, Bulgaria e Romania, mentre è rimasta stabile o è cresciuta negli altri, in particolare in Spagna, Francia, Italia e Regno Unito. In alcuni Stati membri si osservano inoltre notevoli differenze tra le varie regioni.

2.3

La crescita naturale ha aggiunto oltre 3 milioni di abitanti alla popolazione complessiva dell'UE (3). I paesi nei quali la crescita naturale è stata più forte in termini assoluti sono stati Francia, Regno Unito, Spagna e Paesi Bassi, ma anche altri paesi hanno fatto registrare valori positivi. I paesi con il saldo naturale negativo più significativo sono stati Germania, Bulgaria, Romania e Ungheria.

2.4

La popolazione dell'UE sta invecchiando. La percentuale di abitanti di età inferiore ai 15 anni è scesa dal 17,7 % del 1998 al 15,7 % del 2008.

2.5

La percentuale di abitanti di età pari o superiore a 65 anni è invece cresciuta dal 15,3 % del 1998 al 17 % del 2008. Questa percentuale è leggermente diminuita in Irlanda e Lussemburgo, mentre si avvicina al 20 % in Germania e Italia e supera il 18,5 % in Grecia.

2.6

Il tasso di dipendenza demografica  (4) dell'UE si è mantenuto praticamente stabile negli ultimi dieci anni, passando dal 49,2 % del 1998 al 48,6 % del 2008. In questi anni detto tasso è aumentato in Danimarca, Germania, Grecia, Italia e Paesi Bassi, è rimasto stabile in Francia e Finlandia ed è calato negli altri Stati membri, in particolare in quelli dove è diminuita maggiormente la percentuale di bambini e ragazzi.

2.7

Nel 2006 l'indice sintetico di fecondità  (5) era di 1,53 figli per donna, e tra il 1999 e il 2008 è aumentato in tutti gli Stati membri. Rimane tuttavia sotto il valore 1,5 in molti Stati membri. Soltanto in Francia si raggiungono i 2 figli per donna.

2.8

Aumenta la speranza di vita alla nascita della popolazione europea, che si situa su un valore medio di oltre 82 anni per le donne e di 76 anni per gli uomini.

2.9

La mortalità infantile  (6) è in calo nella maggior parte degli Stati membri, e nel 2006, nell'insieme dell'UE, era al di sotto dei 5 decessi per ogni 1 000 nati vivi.

3.   Le migrazioni nell'Unione europea

3.1

L'Europa è il luogo di destinazione di una piccola parte delle migrazioni internazionali, da anni la sua popolazione comprende numerosi immigrati.

3.2

Nel Trattato, e pertanto nei pareri del CESE, il termine immigrazione si riferisce ai cittadini di Stati terzi.

3.3

L'immigrazione ha costituito nel periodo 1999-2008 il fattore principale dell'aumento della popolazione dell'UE. La migrazione netta ha aggiunto infatti quasi 15 milioni di persone alla popolazione dell'UE (7). Il saldo migratorio è negativo soltanto in Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania, ed è leggermente positivo in vari Stati membri, mentre il saldo migratorio più alto si riscontra in Germania, Spagna, Francia, Italia e Regno Unito. Tra il 1999 e il 2008 la maggior parte degli Stati membri ha avuto un saldo migratorio positivo, ad eccezione della Bulgaria (- 215 600), della Lettonia (- 24 700), della Lituania (- 88 100), della Polonia (- 566 100) e della Romania (- 594 700).

3.4

I flussi migratori contribuiscono all'aumento della popolazione dell'UE. L'immigrazione è all'origine di più dell'80 % dell'aumento della popolazione registrato negli ultimi 10 anni.

3.5

In alcuni paesi (Italia, Malta, Austria e Portogallo) il saldo migratorio è stato superiore al 4 % della popolazione media del periodo; in altri ha superato il 10 %: Cipro (11,64 %), Spagna (12,62 %), Irlanda (10,66 %) e Lussemburgo (11,08 %). All'altro estremo, le perdite di popolazione dovute al saldo migratorio oscillano tra lo 0,75 % della Lettonia e il 2,62 % della Romania.

3.6

Nel 2008, il numero di residenti stranieri (compresi sia i cittadini europei che quelli di paesi terzi) era di quasi 31 milioni. Il paese con la più grande popolazione straniera è la Germania, con oltre 7 milioni, seguita da Spagna (5,3 milioni), Regno Unito (4 milioni), Francia (3,7 milioni) e Italia (3,4 milioni), con un aumento generalizzato, nel 2009, in tutti questi paesi a eccezione della Germania. La Grecia e il Belgio si avvicinano al milione di stranieri, mentre Irlanda, Paesi Bassi, Austria e Svezia superano il mezzo milione.

3.7

Nel quarto trimestre del 2009 (8) quasi 11 milioni di cittadini europei risiedevano in un altro Stato membro. Di questi, 2,5 milioni vivevano in Germania, 1,8 milioni nel Regno Unito, 1,6 milioni in Spagna, 1,2 milioni in Francia e 1,1 milioni in Italia. In quantità minori se ne trovano anche in Belgio (642 900), Irlanda (350 500), Lussemburgo (191 000), Austria (322 200), Paesi Bassi (272 100), Grecia (142 500) e Svezia (185 700).

3.8

Dal quarto trimestre del 2005 il numero dei cittadini di uno Stato membro che risiedono in un altro è aumentato di oltre 2,7 milioni; le principali destinazioni di questi spostamenti interni all'UE sono stati Italia, Regno Unito e Spagna, con oltre 1,7 milioni di nuovi residenti.

3.9

Nel 2009 l'aumento del numero complessivo di stranieri è sceso sotto il milione, un valore simile a quello del 2006.

4.   Il futuro della popolazione dell'Unione europea

4.1

Secondo le proiezioni demografiche di Eurostat, nel 2018 la popolazione dell'UE oscillerà tra i 495 e i 511 milioni, laddove la differenza tra le due cifre è legata alla consistenza del fenomeno migratorio nei prossimi anni.

4.2

Tenendo conto dell'immigrazione di cittadini di paesi terzi, la proiezione per il 2020 sale a 514 milioni, e per il 2030 raggiunge i 520 milioni. La proiezione si basa sull'ipotesi per cui ogni anno vi sarà una migrazione netta di poco meno di 1,5 milioni di persone.

4.3

Pertanto la previsione di crescita della popolazione di qui al 2020, tenuto conto dell'immigrazione, si aggira sui 14 milioni di persone. Di queste, 5,3 milioni si troveranno in Spagna, 4 nel Regno Unito, 1,4 in Italia, 1,3 in Francia, quasi 1 milione in Irlanda, circa 500 000 in Svezia e Belgio e quasi 500 000 in Portogallo. All'estremo opposto, si verificheranno cali demografici di oltre 660 000 persone in Romania, 530 000 in Germania, 419 000 in Bulgaria e oltre 100 000 in Polonia, Ungheria, Lituania e Lettonia.

4.4

Nel 2020 la popolazione dell'UE farà registrare, rispetto ai valori del 2008, un aumento di quasi 845 000 persone di età inferiore a 15 anni, un calo di 2,8 milioni di persone tra i 15 e i 64 anni e un aumento di 18,1 milioni di persone di 65 anni o più. Inoltre la popolazione tra i 20 e i 59 anni si ridurrà di 4,7 milioni. La crescita prevista della popolazione dell'UE si concentrerà pertanto nella fascia di età di 65 anni o più, con un maggiore invecchiamento demografico: le persone di età superiore a 65 anni raggiungeranno il 20 %.

5.   Il mercato del lavoro nell'Unione europea

5.1

Nel contesto del mercato del lavoro, la variabile demografica va considerata assieme ad altre variabili di natura economica, sociale o politica, che esulano dal tema del presente parere.

5.2

Nel periodo 1998-2008 la popolazione potenzialmente attiva per motivi di età è cresciuta di 12,1 milioni di unità, di cui poco meno di 12 milioni tra i 20 e i 59 anni di età.

5.3

Nel 2009 l'UE aveva circa 218 milioni di occupati, con un calo di 3,8 milioni rispetto all'anno precedente. Oltre 24 milioni (l'11 %) avevano un lavoro temporaneo. L'età media della fine dell'attività lavorativa era di 61,4 anni.

5.4

Nel quarto trimestre del 2009, 5,8 milioni di cittadini dell'UE lavoravano in un altro Stato membro. Di questi, 1,4 milioni lavoravano in Germania, 1,1 milioni nel Regno Unito, 820 000 in Spagna, 650 000 in Italia, 540 000 in Francia, 280 000 in Belgio, 190 000 in Irlanda, 180 000 in Austria, 150 000 nei Paesi Bassi e 125 000 in Svezia.

5.5

Tra il 1998 e il 2008, nell'UE-15, il tasso di attività è aumentato per tutte le fasce d'età, ma con differenze che vanno dall'1 % della fascia 15-19 anni al 10 % della fascia 60-64. Il tasso di occupazione maschile è rimasto pressoché invariato, aumentando però per la fascia di età compresa tra i 50 e i 70 anni, con un massimo di 10 punti per la fascia 60-65. Il tasso di occupazione femminile è cresciuto per tutte le fasce di età e, in particolare, per le donne tra i 30 e i 65 anni, con valori massimi di oltre 10 punti percentuali tra i 50 e i 65 anni.

5.6

Negli ultimi anni è aumentata in modo notevole la presenza delle donne nel mercato del lavoro, nondimeno il tasso di occupazione femminile è ancora inferiore a quello maschile.

5.7

Nel 2020 la popolazione potenzialmente attiva sarà di 361 milioni di persone, delle quali circa 238 milioni saranno realmente attive (9), mentre un margine di 123 milioni di persone non avrà un'attività lavorativa. Ciò significa un tasso di occupazione del 74,2 % per la fascia 20-64 anni, in leggero calo rispetto al valore del 2008, a causa delle mutazioni nella struttura demografica.

5.8

Tenuto conto dei tassi di disoccupazione (10), nel 2020 gli occupati potrebbero essere 221,5 milioni, il che significherebbe un tasso di occupazione del 69,3 % per la fascia 20-64 anni.

5.9

Tuttavia la strategia Europa 2020 (11) punta a portare al 75 % il tasso di attività della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni, mediante una maggiore partecipazione delle donne e dei lavoratori anziani e una migliore integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro.

5.10

Pervenire a un tasso di occupazione del 75 % nel 2020 per la fascia di età da 20 a 64 anni significherebbe avere 17,5 milioni di occupati in più. Anche così, tuttavia, rimarrebbero oltre 76 milioni di persone non occupate appartenenti a questa fascia d'età, benché la cifra comprenda anche ammalati e disabili non in grado di lavorare.

5.11

Vi sono differenze significative tra i tassi di occupazione dei diversi paesi dell'UE, che nel 2009 andavano dal minimo di Malta (meno del 60 %) al massimo dei Paesi Bassi (quasi l'80 %), con paesi che superano già l'obiettivo del 75 %. Per questo motivo l'aumento del tasso di occupazione nei paesi dove esso è basso e si colloca al di sotto della media UE, ossia nella maggioranza degli Stati membri, o in quelli dove supera la media dell'UE senza tuttavia raggiungere il 75 %, potrebbe comportare spostamenti di popolazione interni all'UE.

5.12

Uno dei fattori di incremento del tasso di occupazione è l'aumento del livello di istruzione della popolazione. Nel 2008, nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati era dell'84 %, contro il 71 % dei diplomati e del 48 % di chi aveva un titolo di studio inferiore. Il tasso di occupazione di laureati e diplomati, inoltre, si colloca al di sopra del livello medio, che è del 66 %. Il miglioramento del livello di istruzione può inoltre essere un fattore di incremento della produttività e contribuire a equilibrare una domanda crescente di lavoratori con un livello di istruzione elevato.

5.13

Nell'attuale situazione di crisi economica, i mercati del lavoro non sono in grado di assorbire tutta la popolazione in età lavorativa (autoctoni e immigrati), e il tasso di disoccupazione si aggira sul 10 %. Nel febbraio 2010 nell'UE c'erano 23,01 milioni di disoccupati (uomini e donne) in età lavorativa, 3,1 milioni in più rispetto allo stesso mese del 2009.

5.14

L'invecchiamento della popolazione sta accelerando. Con il pensionamento della generazione del boom demografico degli anni '60, la popolazione attiva dell'UE diminuirà; il numero di persone che hanno più di 60 anni aumenterà a un ritmo doppio rispetto a quello del 2007, ossia di 2 milioni l'anno invece di 1.

5.15

Secondo la Commissione europea (12) a partire dal 2020 la scarsità di forza lavoro sarà più acuta, ragion per cui l'Europa avrà difficoltà a mantenere il suo livello di attività economica e di occupazione. Tale situazione potrebbe protrarsi per vari decenni.

5.16

In alcuni Stati membri le persone anziane sono incoraggiate a rimanere attive nel mercato del lavoro, avvicinando così l'età di pensionamento reale a quella legale. Vengono anche promosse riforme legislative intese a portare l'età della pensione oltre i 65 anni, come raccomanda il Libro verde della Commissione (13).

6.   Il ruolo dell'immigrazione in questo contesto demografico

6.1

Il CESE ritiene necessario affrontare le sfide demografiche con un approccio olistico, intervenendo in numerosi ambiti economici, sociali e politici. L'azione dell'UE deve riguardare tra l'altro le politiche di occupazione e di formazione, il miglioramento dei mercati del lavoro, i sistemi pensionistici, la conciliazione di attività professionale e vita familiare, le politiche attive per la famiglia ecc.

6.2

La politica di immigrazione rientra tra le decisioni politiche che l'UE deve adottare in questo contesto.

6.3

Il CESE ricorda le conclusioni del gruppo di saggi presieduto da Felipe González, riprese nel documento Europa 2030  (14), secondo le quali «la sfida demografica che si profila per l'Unione europea potrà essere vinta solo con due filoni d'azione complementari: innalzare i tassi di partecipazione al mercato del lavoro e attuare una politica dell'immigrazione equilibrata, equa e proattiva». «i lavoratori migranti contribuiranno a risolvere il problema della futura penuria di forza lavoro e di competenze in Europa e l'UE dovrà definire una linea proattiva in tema d'immigrazione».

6.4

Il CESE ha adottato numerosi pareri per promuovere una politica comune dell'immigrazione, affinché nuove persone possano sviluppare il loro progetto migratorio in Europa attraverso procedure legali e trasparenti.

6.5

L'Europa è la destinazione di una parte delle migrazioni internazionali, perché la relativa prosperità economica e la stabilità politica ne fanno, agli occhi di alcuni migranti, un luogo attraente e ricco di opportunità.

6.6

L'UE deve tenere conto del fatto che molti immigranti hanno un forte spirito imprenditoriale, e che essi avviano imprese in Europa e contribuiscono alla creazione di nuovi posti di lavoro.

6.7

La mobilità interna all'UE per motivi di lavoro è meno consistente dell'immigrazione. Negli ultimi anni i cittadini polacchi e romeni sono quelli che hanno esercitato in misura maggiore il diritto alla libera circolazione all'interno dell'UE. Il CESE ritiene che l'UE debba promuovere e agevolare la mobilità lavorativa dei cittadini europei e a tal fine rafforzare la rete EURES e promuovere il riconoscimento dei titoli accademici e professionali.

7.   La politica comune di immigrazione

7.1

La politica comune di immigrazione si sta sviluppando con molte difficoltà. È migliorata la collaborazione nella lotta all'immigrazione irregolare e al traffico di esseri umani, sono stati conclusi alcuni accordi con paesi terzi e si è delineato un approccio europeo all'integrazione, ma si sono fatti scarsi progressi in materia di legislazione sull'ammissione di nuovi immigrati per motivi economici, di condizioni di ingresso e di soggiorno e di diritti degli immigrati.

7.2

Nell'elaborare la politica comune di immigrazione si deve considerare che ciascuno Stato membro presenta caratteristiche specifiche per quanto riguarda il mercato del lavoro, il sistema giuridico, i vincoli storici con paesi terzi ecc.

7.3

La legislazione comune in materia di ammissione si sviluppa attraverso direttive diverse a seconda delle categorie professionali di lavoratori immigrati.

7.4

Le imprese europee vogliono procedure migliori per l'assunzione di lavoratori immigrati altamente qualificati. A questo fine l'UE ha adottato la direttiva (15) sulla Carta blu, che il CESE ha appoggiato pur presentando alcune proposte di modifica.

7.5

Per quanto riguarda altre attività lavorative, tuttavia, non si dispone ancora di una legislazione comune, anche se in avvenire l'UE accoglierà un gran numero di lavoratori immigrati per svolgere attività con qualifiche medie o basse.

7.6

Nel suo contributo al programma di Stoccolma, la Commissione ha proposto di creare una piattaforma europea per la migrazione dei lavoratori alla quale partecipino le parti sociali, ma il Consiglio ha respinto la proposta. Il CESE auspica che la Commissione lo consulti sull'utilità di creare la suddetta piattaforma.

8.   Legislazione

8.1

L'UE sta discutendo da due anni la proposta della Commissione per una direttiva quadro  (16) sui diritti degli immigrati, che prevede tra l'altro una procedura unica. Il CESE ritiene fondamentale che si approvi tale direttiva durante la presidenza belga.

8.2

Il 13 luglio 2010 la Commissione ha adottato due nuove proposte legislative: una riguardante i lavoratori immigrati stagionali (17) e una sui lavoratori immigrati distaccati temporaneamente in un altro Stato membro (18). Il CESE esaminerà l'impostazione di queste due proposte ed elaborerà i corrispondenti pareri.

8.3

Per il suo carattere de minimis, la direttiva 2003/86/CE sul diritto al ricongiungimento familiare consente che alcune legislazioni nazionali non garantiscano pienamente l'esercizio del suddetto diritto. Tale direttiva va modificata affinché, dopo un anno di residenza, gli immigrati possano richiedere alle autorità il ricongiungimento, esercitando il fondamentale diritto alla vita familiare. Il CESE ritiene anche che i coniugi o conviventi ricongiunti e i figli in età lavorativa debbano poter ottenere il permesso di lavoro. La Commissione presenterà in ottobre un Libro verde in materia.

8.4

Da alcuni anni è in vigore la direttiva  (19)«studenti». Il CESE ritiene che le persone che ai sensi di tale direttiva hanno un permesso di soggiorno, una volta che esso sia scaduto debbano poter beneficiare di una procedura accelerata per richiedere un permesso di lavoro e una proroga del precedente permesso di soggiorno. La Commissione elaborerà nel 2011 una relazione sull'applicazione della direttiva.

8.5

È in vigore anche la direttiva  (20)«ricercatori». A giudizio del CESE, va introdotta una procedura accelerata per consentire a queste persone, una volta concluso il loro progetto di ricerca, di accedere alla Carta blu per svolgere un'attività lavorativa. La Commissione elaborerà nel 2012 una relazione sull'applicazione di tale direttiva.

8.6

È necessario risolvere uno dei problemi più importanti di cui risentono molti immigrati e molte imprese europee: quello del riconoscimento dei titoli accademici e professionali.

8.7

Il CESE ritiene che, perché la maggior parte dell'immigrazione possa avvenire in modo legale e trasparente, la legislazione in materia di ammissioni deve tenere conto anche delle attività lavorative svolte nelle microimprese e nelle famiglie. Per questo motivo il CESE, in un altro parere (21), ha proposto l'introduzione di un permesso di ingresso e di soggiorno temporaneo per la ricerca di un lavoro, della durata di sei mesi.

8.8

Tenendo conto della Carta dei diritti fondamentali, l'UE deve assicurare a ciascun individuo la protezione dei diritti umani nel quadro degli ordinamenti giuridici europei e nazionali.

8.9

I diritti umani sono universali e irrevocabili, e valgono per tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione o dal loro status giuridico. Per questo motivo il CESE ha elaborato un parere d'iniziativa (22) nel quale propone che le politiche e la legislazione dell'UE in materia di immigrazione e frontiere rispettino adeguatamente i diritti umani.

8.10

La legislazione europea in materia di immigrazione deve garantire la parità di trattamento, sulla base del principio di non discriminazione (articolo 21 della Carta) e assicurare il rispetto dell'articolo 15, paragrafo 3, della Carta stessa, che recita: «i cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell'Unione».

8.11

La parità di trattamento nel lavoro riguarda le condizioni di lavoro, il salario, il licenziamento, la salute e sicurezza sul posto di lavoro e i diritti di associazione e di sciopero, nonché la parità di trattamento nel quadro di altri diritti sociali fondamentali come: l'assistenza sanitaria, i diritti pensionistici, la protezione in caso di disoccupazione e la formazione.

8.12

Il CESE osserva con preoccupazione che in Europa crescono il razzismo, la xenofobia e l'intolleranza. Esso valuta favorevolmente le attività dell'Unione dell'Agenzia europea dei diritti fondamentali.

8.13

Il CESE ritiene che una parte dei progetti migratori avrà carattere temporaneo, e in alcuni casi circolare, ma l'esperienza dimostra che i progetti migratori sono in gran parte definitivi o di lungo periodo. È quindi necessario che le politiche e la legislazione europea promuovano sempre il rispetto dei diritti umani, la sicurezza dello status giuridico degli immigrati, l'integrazione e il ricongiungimento familiare.

8.14

L'UE e gli Stati membri possono concordare con i paesi d'origine sistemi di immigrazione circolare che agevolino l'immigrazione attraverso procedure trasparenti. Il CESE appoggia i partenariati per la mobilità, che sono stati concordati con alcuni paesi d'origine, ma ritiene che detti accordi debbano essere equilibrati affinché tutte le parti (immigrati, paesi d'origine e paesi dell'UE) possano trarne beneficio.

8.15

Perché possa funzionare un sistema di immigrazione circolare è necessario che la legislazione europea preveda permessi di breve durata, molto flessibili, combinati con procedure di rimpatrio e garanzie di nuove assunzioni negli anni successivi. In questo modo molti immigrati utilizzeranno i canali legali e non permarranno in Europa in modo irregolare alla fine del loro periodo di soggiorno.

8.16

Il CESE propone di rilasciare permessi temporanei frequenti validi da 3 a 9 mesi e rinnovabili per 3, 4 o 5 anni. Queste procedure richiedono risorse finanziarie e logistiche e la collaborazione tra i datori di lavoro e le autorità degli Stati di origine e di accoglienza, nonché quella dei sindacati.

8.17

Il CESE desidera far osservare che l'immigrazione circolare rende più difficile il radicamento sociale e l'integrazione e non favorisce la creazione di legami tra i lavoratori e le imprese, né la partecipazione alle organizzazioni sindacali o alle attività di formazione.

8.18

Le procedure per l'ammissione temporanea possono includere convenzioni in materia di formazione e di riconoscimento delle qualifiche professionali, che consentono agli immigrati temporanei che lavorano in Europa di migliorare la propria qualificazione e, una volta rimpatriati, di ampliare le proprie opportunità di lavoro.

8.19

Gli immigrati che godono dello status di residenti permanenti ai sensi della direttiva soggiornanti di lungo periodo  (23) perdono il loro status se si assentano per un periodo di dodici mesi.

8.20

Per agevolare la circolazione degli immigrati e le iniziative imprenditoriali e lavorative nei paesi d'origine, la legislazione europea in materia di immigrazione deve consentire il mantenimento a lungo termine (per almeno tre anni) del diritto alla residenza permanente, e il ritorno nel paese d'origine non deve comportare automaticamente la perdita del permesso di lavoro e di soggiorno in Europa.

8.21

Occorre garantire i diritti pensionistici acquisiti nell'UE. A tal fine si dovranno negoziare convenzioni di reciprocità con i paesi d'origine e dovrà essere ratificata la convenzione n. 157 dell'OIL.

8.22

Il CESE propone che gli Stati membri dell'UE ratifichino le convenzioni n. 97 e n. 143 dell'OIL, riguardanti i lavoratori immigrati. Gli Stati membri dovrebbero inoltre sottoscrivere la convenzione internazionale (24) sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie, come già proposto dal CESE in un parere d'iniziativa (25).

9.   La collaborazione con i paesi d'origine

9.1

Il CESE ha proposto (26) che l'UE, nell'ambito della sua politica estera, promuova un quadro normativo internazionale per le migrazioni.

9.2

Attualmente l'UE ha sottoscritto diversi strumenti di vicinato e di associazione. Il CESE ritiene che nei suddetti accordi vadano rafforzati i capitoli riguardanti le migrazioni e la mobilità. È prioritario concludere accordi per la mobilità tra l'UE e i paesi vicini, con i quali già esistono legami di collaborazione economica e politica.

9.3

Il CESE ha adottato due pareri (27) in cui propone di intervenire affinché l'immigrazione in Europa favorisca lo sviluppo economico e sociale nei paesi d'origine.

9.4

La formazione nei paesi d'origine può agevolare la politica di immigrazione e contribuire alla gestione dell'immigrazione, tenendo conto delle esigenze professionali delle imprese europee.

9.5

Il CESE propone che siano firmate delle convenzioni tra l'UE e i paesi d'origine per agevolare il riconoscimento dei titoli professionali e la formazione nei paesi d'origine.

9.6

Va considerata la possibilità che l'UE e gli Stati membri finanzino i programmi di formazione nei paesi d'origine e in questo modo contribuiscano anche allo sviluppo di strutture formative di qualità. I titoli acquisiti attraverso questi programmi dovrebbero essere riconosciuti come titoli europei. Questi programmi di formazione devono essere accompagnati da una procedura accelerata per l'ottenimento del permesso di lavoro e di soggiorno.

10.   Le politiche di integrazione

10.1

L'agenda Europa 2020 include tra i suoi obiettivi quello dell'integrazione. L'integrazione è un processo sociale bidirezionale di reciproco adattamento che si sviluppa nelle complesse relazioni tra le persone e tra i gruppi. I processi di integrazione si realizzano lentamente nelle strutture della società (famiglia, scuola e università, quartieri e paesi, luoghi di lavoro, sindacati, organizzazioni imprenditoriali, istituzioni religiose, culturali e sportive, ecc.).

10.2

Grazie alla collaborazione tra la Commissione europea e il CESE, è stato istituito il Forum europeo dell'integrazione, che ha l'obiettivo di rendere possibile la partecipazione della società civile e delle organizzazioni degli immigrati alle politiche di integrazione dell'UE.

10.3

Il CESE ha elaborato diversi pareri per accelerare le politiche di integrazione, e ha creato un Gruppo permanente per promuovere l'integrazione e rafforzare i rapporti con le organizzazioni della società civile e con il Forum.

10.4

Il CESE ha adottato un nuovo parere d'iniziativa (28) dal titolo L'integrazione e l'agenda sociale in cui propone di rafforzare l'obiettivo dell'integrazione nel quadro della strategia Europa 2020, nella nuova agenda europea di politica sociale, tenendo conto in misura maggiore degli effetti sociali dell'immigrazione, della situazione occupazionale degli immigranti, dell'inclusione sociale, della parità di genere, della povertà, dell'istruzione e della formazione, della salute, della protezione sociale e della lotta alla discriminazione.

10.5

La presidenza spagnola ha inoltre chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo (29) sul tema Integrazione dei lavoratori immigrati, che esamina l'importanza dell'occupazione, della parità di condizioni di lavoro, di opportunità e di trattamento ai fini dell'integrazione. Il parere formula anche alcune raccomandazioni rivolte alle autorità europee e nazionali e alle parti sociali.

10.6

La conferenza ministeriale svoltasi a Saragozza il 15 e 16 aprile 2010 ha chiesto alla Commissione di elaborare una nuova agenda per l'integrazione. Il CESE contribuisce ai lavori attraverso una relazione informativa dal titolo Le nuove sfide dell'integrazione , nella quale propone che nella nuova agenda si rafforzi la partecipazione civica degli immigrati e il loro coinvolgimento nel processo democratico.

10.7

L'approccio bidirezionale impone ai governi di assumersi nuovi impegni affinché le leggi nazionali facilitino la concessione della cittadinanza agli immigrati che lo richiedano e le relative procedure siano trasparenti.

10.8

Il CESE ha elaborato un parere d'iniziativa (30) indirizzato alla Convenzione che ha elaborato il Trattato costituzionale, nel quale raccomanda di concedere la cittadinanza europea ai cittadini di paesi terzi che abbiano lo status di residenti di lungo periodo.

10.9

Oltre alla sfida demografica, l'UE e gli Stati membri devono affrontare la grande sfida politica e sociale relativa all'integrazione di nuovi cittadini con diritti e doveri uguali. Pertanto i diritti di cittadinanza nazionale ed europea devono includere gli immigranti, che apportano all'Europa una grande diversità etnica, religiosa e culturale.

11.   Gli immigrati in situazione irregolare

11.1

Il CESE desidera ricordare che nell'UE vivono diverse centinaia di migliaia di persone che si trovano in una situazione amministrativa irregolare. Esse svolgono la loro attività lavorativa nell'economia informale e nell'occupazione irregolare, sono «invisibili» nella società ufficiale e non possono godere dei diritti fondamentali.

11.2

Nel documento del gruppo dei saggi Europa 2030 si afferma che è necessario armonizzare «in tutta l'UE i diritti degli immigrati irregolari». Il CESE appoggia questa proposta.

11.3

Come il CESE ha già asserito in altri pareri (31), bisogna facilitare la regolarizzazione personale degli immigranti irregolari, tenendo conto del radicamento lavorativo e sociale, sulla base dell'impegno assunto dal Consiglio dell'UE nel quadro del Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo (32).

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Dati provvisori dell'Eurostat riferiti al 1o gennaio 2009.

(2)  Cifra calcolata sulla base dei dati Eurostat riferiti al periodo 1999-2009, al 1o gennaio di ogni anno.

(3)  Cifra calcolata sulla base dei dati Eurostat riferiti al periodo 1999-2008 (nascite meno decessi).

(4)  Definito come il rapporto tra la somma della popolazione di età inferiore a 15 o superiore a 65 anni e la popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni.

(5)  Numero medio di figli per donna nell'anno, ottenuto sommando i tassi di fecondità per età.

(6)  La mortalità infantile è riferita ai decessi di bambini nati vivi, che intervengono nel primo anno di vita.

(7)  Valore calcolato mediante l'equazione compensativa (saldo migratorio = popolazione 2009 - popolazione 1999 - crescita naturale 1999-2008).

(8)  Secondo le cifre dell'Inchiesta sulla forza lavoro.

(9)  Stima basata sui tassi di occupazione media del quarto trimestre 2007 e del primo trimestre 2008.

(10)  Cfr. nota 9.

(11)  COM(2010) 2020 definitivo.

(12)  COM(2009) 674 definitivo.

(13)  COM(2010) 365 definitivo.

(14)  Cfr. http://www.reflectiongroup.eu/wp-content/uploads/2010/06/project-europe-2030-it.pdf.

(15)  Direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati.

(16)  COM(2007) 638 definitivo.

(17)  COM(2010) 379 definitivo.

(18)  COM(2010) 378 definitivo.

(19)  Direttiva 2004/114/CE del Consiglio.

(20)  Direttiva 2005/71/CE del Consiglio.

(21)  GU C 80 del 3.4.2002, pag. 37.

(22)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 29.

(23)  Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

(24)  Approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990.

(25)  GU C 302 del 7.12.2004, pag. 49.

(26)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 91.

(27)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 82 e GU C 44 del 16.2.2008, pag. 91.

(28)  GU C 347 del 18.12.2010, pag. 9.

(29)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16.

(30)  Parere d'iniziativa, GU C 208 del 3.9.2003, pag. 76.

(31)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16.

(32)  Consiglio dell'UE 13440/08, 24 settembre 2008.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Lavori verdi»

2011/C 48/04

Relatore: IOZIA

Con lettera del 7 giugno 2010 Joëlle MILQUET, vice primo ministro e ministro dell'Occupazione e delle pari opportunità, responsabile della politica di immigrazione e asilo, a nome della futura presidenza belga del Consiglio dell'UE e conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Lavori verdi.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 3 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Proposte e raccomandazioni

1.1

Poiché ci si attende un contributo molto importante da tutti i settori per ridurre i gas a effetto serra (GES), il Comitato economico e sociale europeo (CESE) considera in via preliminare che sarebbe meglio parlare di «lavori da rendere più verdi» (greening jobs), piuttosto che di «lavori verdi» (green jobs).

1.2

L'Unione spesso si pone obiettivi ambiziosi, senza contestualmente indicare strumenti e risorse necessarie. Anche nel caso dei «lavori da rendere più verdi» molte parole sono state spese, ma poche iniziative concrete sono state assunte. Commissione, Consiglio e Parlamento dovrebbero programmare un piano europeo per la promozione dei lavori verdi, e il Comitato economico e sociale europeo accoglie molto favorevolmente l'iniziativa della presidenza belga, che ha posto il tema tra le sue priorità. Una risposta estremamente importante alla crisi dell'occupazione che sta attanagliando l'Europa intera.

1.3

Il CESE raccomanda alla Commissione di predisporre una specifica comunicazione sul tema Incentivi a rendere i lavori più verdi, partendo dall'analisi dei dati in corso di elaborazione dal Comitato FSE e dal documento di lavoro che la DG EMPL sta predisponendo. L'importanza strategica del tema è tale che merita un dibattito esteso ed approfondito.

1.4

Il CESE è convinto che l'Unione europea può dare un contributo fondamentale per individuare strumenti e obiettivi comuni e per aiutare gli Stati membri con minore potenziale economico e tecnologico a raggiungere insieme agli altri le mete prefissate. Tutte le politiche dell'Unione dovrebbero essere permeate di un'attenzione verso la creazione di lavori più verdi (mainstreaming).

1.5

I fondi strutturali e di coesione a tale scopo, una volta definiti gli spazi concreti di una loro utilizzazione e della loro trasferibilità, possono sicuramente aiutare a far fronte all'enorme fabbisogno finanziario. Una chiara politica in questo senso contribuirebbe a rendere più concrete le prospettive per i lavori verdi. Il prossimo programma finanziario (2014-2020) dovrà tenere in considerazione questa indifferibile esigenza e adeguare le risorse disponibili nei vari fondi strutturali, con una visione d'insieme, privilegiando l'effettività e l'efficacia dei programmi.

1.6

Un ruolo cruciale può essere giocato dal Fondo sociale europeo (FSE). Per sostenere la strategia Europa 2020, che ha come obiettivi «una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva», occorre riqualificare il FSE ed indirizzarlo maggiormente verso priorità concrete e coerenti con la nuova strategia. Il Comitato FSE, nel giugno di quest'anno, ha emesso un parere sul futuro del FSE, nel quale si sostiene la necessità di indirizzare il Fondo verso il rafforzamento dell'occupazione, con un esplicito riferimento ai lavori verdi. Il CESE non ritiene sia indispensabile costituire un VI pilastro del Fondo dedicato ai lavori verdi, ma piuttosto orientare l'allocazione delle risorse con particolare attenzione verso tutte le attività che possono contribuire a ridurre l'impronta di carbonio.

1.7

Per far fronte alle esigenze finanziarie collegate a programmi di sostegno alla riconversione professionale, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione - FEG (European Globalisation Adjustment Fund - EGF) può rappresentare un utile strumento da utilizzare, migliorando l'accessibilità, per ora limitata ad imprese con almeno 500 dipendenti, riducendo tale numero minimo a 50 dipendenti.

1.8

Il CESE ritiene che i consigli settoriali europei sull'occupazione e sulle competenze (CSE), siano un'ottima idea da sostenere, infatti essi «dovrebbero fornire un importante sostegno al processo di gestione delle trasformazioni in atto nei settori, contribuendo in particolare a prevedere i bisogni in materia di occupazione e competenze e adeguare le competenze all'offerta e alla domanda». Tali consigli dovrebbero basarsi sui risultati conseguiti da iniziative quali il quadro europeo delle qualifiche (EQF), il sistema europeo di trasferimento e accumulo dei crediti (ECTS), il sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET), il quadro europeo di riferimento per l'assicurazione della qualità dell'istruzione e della formazione professionali (EQARF) ed Europass, nonché contribuire al loro ulteriore potenziamento (1).

1.9

La creazione di un «Fondo sovrano europeo», affidato alla gestione della BEI, che già opera egregiamente nel campo del sostegno alle iniziative a favore dell'efficienza energetica, come il contributo finanziario agli investimenti decisi nel quadro del Patto dei sindaci (Covenant of Mayors), potrebbe essere una delle risposte ai problemi, oggi quasi irrisolvibili, legati alla enorme difficoltà di reperimento di capitali sui mercati.

1.10

Il CESE ritiene necessario lanciare un nuovo «piano Marshall» per l'ambiente e la sostenibilità sociale, per un nuovo sviluppo compatibile con la capacità del pianeta di mantenere il più possibile inalterato il suo livello di entropia, cioè il suo «invecchiamento». Un piano europeo straordinario evoca appunto il cambiamento epocale che dovremo affrontare prima possibile per produrre crescita, ma una crescita diversa, rispettosa dell'ambiente, sostenibile e creatrice di progresso in linea con l'obiettivo dei Trattati. In questo modo è possibile apportare un contributo alla riflessione sulla ricerca di indicatori «al di là del PIL».

1.11

È di estrema importanza far capire ai cittadini la necessità di una politica economica sostenibile, anche attraverso una corretta e puntuale informazione. Un buon esempio di sostegno all'informazione dei cittadini è il programma LIFE+, che il CESE chiede sia prolungato anche nel prossimo periodo finanziario 2014-2020.

1.12

Il governo della transizione tra il vecchio e il nuovo modello di sviluppo costituisce certamente l'impegno maggiore, che dovrà vedere coinvolte, a livello europeo, nazionale e territoriale, le autorità pubbliche e le parti sociali. Nell'ambito dei tavoli di dialogo sociale interconfederale e settoriale dovrebbero essere previsti specifici progetti di anticipazione del cambiamento sulle prevedibili ricadute nei sistemi produttivi, nei diversi settori interessati. A livello aziendale è necessario sviluppare un dialogo continuo tra parti sociali ed operare con obiettivi chiari rispetto ai fabbisogni professionali, all'innalzamento delle competenze, all'anticipazione dei processi. Una seria politica di valutazione d'impatto si impone nella valutazione dei piani energetici e climatici, connessi alla legislazione europea e nazionale.

1.13

Nella transizione si potranno perdere molti posti di lavoro a causa delle politiche di sviluppo delle attività a più basso contenuto di emissioni, politiche che, d'altro canto, creeranno nuove opportunità occupazionali. Vanno preparati per tempo adeguati strumenti di sostegno al reddito e di riconversione professionale. Essenziale a questo fine è il ruolo delle parti sociali e delle autorità locali. Inoltre, è importante promuovere con decisione le attività di R&S per capire in quale direzione si muova l'evoluzione della tecnica e dove si sviluppino nuovi ambiti occupazionali.

1.14

Le politiche di bilancio hanno ridotto, in qualche caso drasticamente, gli incentivi e i finanziamenti, provocando una regressione del numero degli occupati, com'è successo in Spagna nel settore eolico e fotovoltaico. È auspicabile che gli investimenti pubblici e il quadro normativo siano mantenuti stabili, con cambiamenti prevedibili e possibilmente concordati a livello globale, per consentire una programmazione altrettanto stabile alle imprese private.

1.15

Sviluppo e ricerca sono gli assi strategici su cui continua a fondarsi la strategia di crescita dell'Unione. La strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva rilancia l'obiettivo di investimenti pari almeno al 3 % del PIL annuo in R&S.

1.16

Almeno il 50 % dei fondi derivanti dalla vendita degli ETS dovrebbero essere investiti per sostenere l'efficienza energetica e la promozione dell'economia verde: un trasferimento di risorse dalle imprese più responsabili delle emissioni a quelle che, invece, contribuiscono alla diminuzione dei gas a effetto serra. Per i settori non coperti dagli ETS, quali il trasporto su gomma e via mare, vanno prese misure alternative.

1.17

La promozione dei lavori verdi (per il CESE è preferibile utilizzare il concetto di lavori sostenibili per un'economia sostenibile), deve avvenire attraverso un mix di misure di incentivazione e di penalizzazione, sul modello degli ETS, che dovrebbero fornire le risorse necessarie, senza gravare in modo sensibile sulle esauste casse pubbliche. La questione delle risorse finanziarie sarà fondamentale e rende necessaria la partecipazione di tutti, poiché la strategia Europa 2020 e i programmi d'aiuto non potranno funzionare se gli Stati membri non disporranno di un più ampio margine di manovra finanziario. Le imprese che si impegneranno a rafforzare la qualità dell'occupazione e a produrre in maniera più sostenibile dovrebbero essere facilitate e sostenute. Le imprese richiedono un quadro normativo chiaro, stabile e possibilmente con regole concordate a livello globale. Una soluzione condivisa ed urgente del problema del brevetto europeo andrebbe senz'altro nella giusta direzione.

1.18

Le risorse pubbliche dovrebbero essere convogliate preliminarmente verso il sostegno per chi si troverà senza occupazione nei cosiddetti black job, i lavori neri che producono elevati tassi di emissioni di GES e di inquinamento. Una quota significativa dovrà essere devoluta alla preparazione professionale, attraverso adeguati percorsi formativi, che dovranno caratterizzare la formazione lungo l'arco della vita.

1.19

Il CESE ritiene utile adottare il modello «CECA», che ha consentito la gestione di una transizione altrettanto importante, quella dal carbone al petrolio, ovviamente tenendo conto dell'evoluzione intercorsa. Quel modello prevedeva un forte coinvolgimento delle parti sociali - che il CESE ribadisce debbano essere protagoniste del cambiamento epocale atteso - nonché piani di aiuto sostenibili.

1.20

Particolare attenzione dovrà essere rivolta all'offerta di pari opportunità educative e formative per le donne, ma anche per quanto riguarda i livelli di retribuzione e di qualifiche. In particolare, si deve cominciare a parlare di istruzione primaria nell'economia verde e di greening education. E il dialogo sociale deve essere un «faro» per l'apprendimento permanente nell'economia verde.

1.21

Nel campo delle rinnovabili, ad esempio, se la presenza femminile nelle attività di amministrazione è sostanzialmente pari a quella degli uomini, essa scende drasticamente a percentuali minime nel campo delle attività a maggior contenuto professionale e in quelle tecniche di installazione e manutenzione.

1.22

Il CESE, in un suo parere, ha valorizzato il ruolo dell'educazione e della formazione in una società a basse emissioni di GES, sottoscrivendo a questo fine un protocollo di cooperazione con la Fondazione nazionale Carlo Collodi, il progetto Pinocchio, per l'utilizzo del burattino di legno come testimonial per campagne europee per l'educazione energetica ed ambientale (2).

1.23

L'offerta formativa deve iniziare dalla scuola e dai servizi pubblici all'impiego.

1.24

Occorre colmare il divario tra i fabbisogni professionali e l'offerta formativa, attraverso un più stretto collegamento tra tutti gli attori. Consulte permanenti, diffuse sul territorio, che vedano insieme gli esperti delle parti sociali nel campo della formazione professionale, le autorità pubbliche incaricate dei servizi all'impiego, le rappresentanze delle autorità territoriali: dovrebbero tutti lavorare insieme per individuare con congruo anticipo i fabbisogni professionali e formativi.

1.25

Un sistema europeo di certificazione delle competenze potrebbe rappresentare un ulteriore stimolo all'indirizzo verso le attività più sostenibili dei giovani, aprendo anche le prospettive di un mercato del lavoro europeo, rendendo effettivo il diritto alla mobilità, il più clamoroso esempio di diritto negato nei fatti dalla inadeguatezza e dalla mancata armonizzazione dei sistemi educativi e formativi. Il progetto ESCO (European Skill, Competencies and Occupations taxonomy) fornirà uno strumento fondamentale per l'incontro tra domanda ed offerta, in particolare nell'ambito dei cosiddetti nuovi lavori. Anche il coinvolgimento della rete EURES (mobilità intraeuropea) può svolgere un ruolo positivo al riguardo.

1.26

Imprese e sindacati hanno la responsabilità di orientare le attività formative e di collaborare costantemente per i migliori risultati. In molti paesi europei questa cooperazione è istituzionalizzata attraverso l'esperienza degli istituti bilaterali o degli istituti di formazione professionale distinti che collaborano costantemente tra loro. Questi esempi andrebbero diffusi attraverso uno specifico programma della strategia Europa 2020, che pone la conoscenza tra le tre priorità.

1.27

Il dialogo sociale e civile ha un ruolo da giocare. Senza il coinvolgimento della società civile nessun programma epocale di questo tipo potrà essere realizzato. Le parti sociali possono impegnarsi durevolmente nel «rendere più verdi» tutti i lavori. Obiettivi di efficienza energetica e di risparmio possono essere inclusi in accordi negoziali, per distribuire, sotto forma di premi collettivi, parte dei risparmi reali acquisiti. Ci sono già alcuni esempi nel Regno Unito e in altri paesi.

1.28

Per muovere l'insieme della società verso un'economia sostenibile occorrono obiettivi chiari, una informazione diffusa, una coesione sociale e politica di fondo, una condivisione degli strumenti da utilizzare. L'Unione può svolgere un ruolo estremamente importante, sia attraverso una legislazione di sostegno, quale di fatto è stato il pacchetto climatico, ma soprattutto proponendo un metodo coerente di dialogo e confronto che dovrebbe essere applicato ai livelli nazionali e locali. Si fa sempre più forte l'esigenza di rafforzare il ruolo di una politica comune nel campo energetico ed ambientale. Il CESE si è già espresso a favore di un «servizio pubblico europeo dell'energia» (3). Viste le grandi difficoltà, sarebbe auspicabile, in un primo tempo, un sistema di cooperazione rafforzata tra Stati membri in campo energetico, ad esempio partendo dall'interconnessione delle reti e dalla progressiva diffusione delle smart grid, cioè le reti intelligenti che possono aiutare molto a risolvere la gestione della distribuzione dell'energia. Su questo tema il CESE, il CNEL italiano e i CES di Francia e Spagna stanno lavorando per elaborare una proposta comune. Per quanto riguarda il crescente impiego delle energie rinnovabili, oltre a occuparsi del potenziamento delle reti occorre risolvere soprattutto la questione dello stoccaggio.

1.29

I cittadini devono essere convinti del grande affare loro proposto, che richiede una mobilitazione di energie e di risorse straordinarie, come straordinario è il periodo che viviamo, con la necessità di abbandonare progressivamente modelli di consumo e di sviluppo e di abbracciarne altri, più sobri, più rispettosi della natura, più umani.

1.30

Fondamentale è il ruolo svolto dall'informazione e il coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni. Una buona informazione potrà dare frutti straordinari, se accompagnata da chiarezza e trasparenza negli obiettivi.

1.31

Le politiche di adattamento vanno indirizzate oltre che alle persone, lavoratori e manager, alle imprese e alle autorità pubbliche. È necessario fare meglio con meno. In campo energetico significa diminuire l'intensità energetica (unità di energia per unità di prodotto interno lordo) e migliorare costantemente l'EROEI (il ritorno energetico sull'investimento energetico).

1.32

Un ruolo importante compete alle associazioni delle imprese, in particolare sul territorio, che possono diffondere informazioni e cultura d'impresa sostenibile. La costruzione di distretti energetici sostenibili ed integrati, ove si possano sviluppare sinergie importanti ad esempio nella cogenerazione, richiede un coordinamento ed una assistenza da parte del mondo associativo sia verso le imprese che verso i pubblici poteri.

1.33

L'esempio della geotermia è molto indicativo. In Svezia lo sviluppo della geotermia e una regolazione favorevole sono state possibili grazie al contributo determinante del mondo delle imprese e alla sensibilità dei pubblici poteri, che hanno deciso di sostenere la diffusione delle pompe di calore. Un esempio analogo si sta avendo in Lombardia, con una legislazione di favore, che ha indirizzato le imprese verso soluzioni a circuito chiuso, che non danneggiano l'ambiente e garantiscono un EROEI molto elevato.

1.34

Il ruolo del mondo agricolo nello sviluppo dei lavori verdi è di fondamentale importanza. La generazione di energia distribuita, l'utilizzo delle biomasse, la riduzione dell'uso di biocidi e di pesticidi sono le grandi sfide che il mondo agricolo deve saper affrontare.

1.35

Un quadro normativo stabile, il forte coinvolgimento della società civile, una mobilitazione straordinaria di capitali e di risorse intellettuali, il sostegno alla ricerca e allo sviluppo, programmi chiari di sostegno alla transizione, di educazione e formazione ad una società a basso contenuto di emissioni, il sostegno a politiche ecologiche di mobilità urbana ed extraurbana, il lancio di un piano straordinario per l'economia sostenibile, adeguatamente sostenuto da fondi europei, la creazione dei fattori di una nuova crescita: questi i capisaldi di un'azione europea per sostenere e promuovere l'economia sostenibile e lavori «verdi» rispondenti ai criteri europei di un «lavoro di qualità» enunciati dal Consiglio europeo già nel marzo 2007.

2.   Introduzione

2.1

La presidenza belga ha richiesto un parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema della promozione di politiche del lavoro utili nel quadro di una transizione verso un'economia a basso contenuto di emissioni di gas a effetto serra, intendendo inserire questo tema tra le priorità della presidenza belga dell'Unione europea.

2.2

Il CESE ha approvato un parere di iniziativa su un tema analogo (4): Promuovere lavori verdi sostenibili per il pacchetto clima ed energia; il presente parere completa e specifica quello precedente.

2.3

Nell'opinione pubblica è diffusa la consapevolezza che ormai è imprescindibile una sostanziale modifica nel modello di sviluppo.

2.4

Per sostenere le sfide poste:

dai programmi di efficienza energetica,

dal cambiamento climatico,

dalla progressiva riduzione della disponibilità di idrocarburi,

dalla necessità di aumentare l'indipendenza energetica,

dalla necessità di sostituire progressivamente centrali elettriche obsolete ed inquinanti,

dalla sostenibilità sociale, economica ed ambientale,

occorre preparare un programma strategico di lungo termine, che affronti complessivamente i problemi posti da questo cambiamento epocale.

2.5

Il mercato del lavoro sarà fortemente interessato dagli effetti di queste politiche. Costruzioni, trasporti, energia, reti, i settori maggiormente coinvolti, che dovranno radicalmente modificare gli attuali modelli produttivi.

2.6

Questi cambiamenti comporteranno dei seri problemi di adattamento e di riconversione, di mobilità professionale e territoriale, in particolare in quei paesi che hanno una maggiore dipendenza da fonti energetiche ad alte emissioni di gas a effetto serra (ad es. petrolio, carbone), una industria a forte componente energivora (ad es. cemento, alluminio), nella quale una disponibilità energetica a prezzi sostenibili è il principale fattore di sopravvivenza economica degli impianti esistenti.

2.7

Ci si attende in Europa, entro il 2030, un saldo positivo di oltre un milione di posti di lavoro, previsioni che dovranno essere aggiornate, considerando l'effetto negativo sulla crescita determinato dalle politiche di stabilizzazione dei deficit pubblici, che ritardano la ripresa economica. Finora lo sviluppo dei lavori verdi in particolare in campo energetico è stato sostenuto da politiche di sostegno alle energie rinnovabili, in particolare solare fotovoltaico, termico ed energia eolica; nell'autotrasporto, alle auto ibride, elettriche, alimentate a gas.

2.8

Incentivi nel campo delle costruzioni nuove e in quello delle ristrutturazioni hanno giocato un ruolo molto importante per sviluppare un'industria sostenibile, che oggi ha una chiara visione degli impegni futuri, ma anche delle opportunità di lavoro nella riqualificazione del patrimonio abitativo pubblico e privato, nella ristrutturazione ad alta efficienza energetica degli edifici pubblici destinati all'amministrazione e ai servizi, negli uffici e negli immobili a uso industriale.

2.9

Una nuova competitività va ricercata e promossa. Prodotti innovativi e più rispettosi dell'ambiente, processi produttivi più puliti, consumi più sobri, sono la chiave per una nuova stagione di sviluppo e progresso. L'Europa continua a voler occupare un posto di primo piano nel processo di cambiamento verso una economia a zero emissioni, ma per fare questo deve aiutare l'industria a mantenere la sua capacità di competere, in particolare le PMI, le più esposte ai rischi della perdita di capacità di stare sui mercati. Lo Small Business Act dovrebbe essere messo in pratica, in particolare nel campo dell'innovazione.

2.10

Le esigenze e i bisogni delle imprese e dei lavoratori dovrebbero essere presi in primaria considerazione (bottom-up): piuttosto che pensare a politiche di tipo dirigistico (top-down), la Commissione dovrebbe essere più orientata in questo senso e orientare le strategie dell'Unione con un'attenzione particolare a queste esigenze. L'obiettivo generale dovrebbe essere la creazione di fattori che favoriscano una nuova crescita sostenibile, rispettosa dell'ambiente e, allo stesso tempo, foriera di posti di lavoro e di possibilità di progresso.

2.11

Nell'ambito dei rapporti bilaterali e multilaterali con i paesi terzi, in particolare Cina, India e Brasile, sarebbe opportuno prevedere programmi di informazione e di scambio con questi paesi sulle buone pratiche adottate e da adottare.

3.   L'economia sostenibile, la promozione dei lavori verdi

3.1

La possibilità per l'Europa di continuare ad avere una prospettiva futura nel panorama economico mondiale consiste nella sua capacità di mantenere la leadership nel campo dello sviluppo delle energie rinnovabili, già messo in dubbio dalla crescita irruenta delle economie asiatiche, Cina e Taiwan in testa. La nuova amministrazione americana intende colmare il divario e rafforzare il suo enorme potenziale con investimenti importanti nel settore energetico. I recenti avvenimenti nel Golfo del Messico, con il disastro ecologico della piattaforma Deepwater Horizon, avvenuto per ironia del destino proprio nel «Giorno della Terra», stanno accelerando le decisioni di riconversione verso un'economia sostenibile.

3.2

Il fabbisogno professionale per far fronte alle sfide poste dalle politiche climatiche ed ambientali è enorme. Tutti i settori e tutte le attività sono potenzialmente interessati a queste politiche. Occorre un grandissimo lavoro di programmazione e coordinamento, di individuazione di priorità, di reperimento delle risorse finanziarie necessarie. Ma occorre soprattutto una buona politica, affiancata da una buona capacità tecnica e un buon livello di risorse umane.

3.3

Il mercato del lavoro sarà chiamato a raccogliere la sfida di questo cambiamento e dovrà contestualmente provvedere alla ricollocazione dei lavoratori addetti ad attività obsolete e alla preparazione delle nuove professionalità necessarie.

3.4

I servizi pubblici all'impiego dovranno impegnarsi a fondo per far fronte ad una transizione che investirà centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori. Programmi di formazione professionale di qualità, attenti ad offrire pari opportunità a donne e uomini, sono indispensabili. Il ruolo dei servizi pubblici sarà essenziale per garantire qualità di preparazione, il rispetto delle pari opportunità, l'avvio all'impiego.

3.5

Le imprese private dovranno impegnarsi altrettanto a fondo per sostenere il salto tecnologico necessario per passare da un'economia che utilizza principalmente idrocarburi come fonte energetica ad una economia a basse emissioni di GES, ad una economia sostenibile.

3.6

Le PMI, in particolare, avranno necessità di aiuti e di sostegni. L'accesso al credito, nonostante i buoni propositi del sistema bancario, è sempre più difficile e costoso, e il mercato dei capitali certamente non è in una fase tale da far prevedere a breve un'abbondanza di disponibilità di credito.

3.7

I posti di lavoro creati in un'economia verde devono essere, per definizione, buoni posti di lavoro, di qualità e adeguatamente retribuiti. Come riuscire a garantire che questo accada? Solo un continuo e costante confronto tra parti sociali ed autorità pubbliche può effettivamente rendere possibile questo scenario. L'utilizzo della leva fiscale, ad esempio, può aiutare a mantenere in equilibrio un sistema che deve scontare la concorrenza agguerrita dei detentori delle attuali fonti energetiche, che non sono disponibili a perdere mercati e profitti.

3.8

Non è pensabile trasferire sui prezzi finali l'intero costo della conversione, così come non è pensabile che esso sia interamente a carico della fiscalità generale. Almeno su questo terreno un'armonizzazione della fiscalità tra gli Stati membri si dovrebbe imporre. La recente crisi dell'euro testimonia ancora una volta della necessità di rafforzare l'armonizzazione dei sistemi e dei prelievi fiscali.

4.   Il ruolo dell'Unione: i fondi strutturali

4.1

La DG EMPL ha fornito alcune interessanti valutazioni ad una serie di domande poste dal CESE, che riportiamo qui sinteticamente.

4.2

Il regolamento generale dei fondi strutturali, all'art. 3, inserisce lo sviluppo sostenibile tra le priorità dell'Unione e stimola gli Stati membri ad integrare nei loro programmi la crescita, la competitività, l'impiego e l'inclusione sociale, proteggendo e migliorando la qualità dell'ambiente.

4.3

L'art. 3 del regolamento del FSE indica che esso deve sostenere le iniziative volte ad aumentare la capacità di adattamento dei lavoratori, delle imprese e dei capi d'impresa sostenendo in particolare lo sviluppo delle qualificazioni e delle competenze e la diffusione delle tecnologie rispettose dell'ambiente.

4.4

Non è possibile quantificare i numerosi interventi del FSE nel campo dei lavori verdi e dello sviluppo delle competenze, in quanto non sono né una priorità né una categoria di spesa (ai sensi dell'art. 2 del regolamento FSE). Il CESE, tenendo conto della estrema genericità della definizione dei lavori verdi (tutti i lavori possono essere resi più «verdi»), non ritiene essenziale costituire una sesta categoria specifica per i lavori verdi, piuttosto chiede di rafforzare le indicazioni relative ai programmi di adattamento e riconversione professionale.

4.5

Per un intervento dei fondi europei per una sorta di «piano Marshall europeo», nell'ambito dell'attuale programmazione finanziaria è molto difficile immaginare di modificare i programmi operativi esistenti. Si potrebbero prevedere azioni specifiche per il prossimo periodo di programmazione che, nel quadro della strategia Europa 2020, indirizzassero i diversi fondi strutturali nel loro campo d'intervento (il FESR e i fondi di coesione per le infrastrutture e per gli alloggi, il FSE per sostenere programmi di formazione professionale e di adeguamento delle competenze).

4.6

La prossima programmazione finanziaria (2014-2020) potrebbe inserire l'obiettivo di «rendere i lavori più verdi» tra le priorità specifiche delle strategie del FSE, al di là del principio orizzontale dello sviluppo sostenibile, che consentirebbe di promuovere in modo più concreto e di seguire meglio la realizzazione dei progetti relativi. Non è certo che questa sia l'opzione più efficace. Il CESE ritiene che siano da sostenere in maniera trasversale tutte le azioni che tendano a ridurre l'impatto ambientale e l'impronta di CO2. È indispensabile il contributo di tutte le attività produttive, dei servizi pubblici e privati per contribuire a raggiungere gli obiettivi relativi alla riduzione dei GES e al miglioramento della sostenibilità dell'inquinamento di origine antropica.

4.7

La Commissione è impegnata attivamente nell'attività di ricerca e di sviluppo, coerente con gli impegni assunti dall'Unione. La DG EMPL ha recentemente avviato un'inchiesta presso le autorità di gestione dei progetti finanziati dal FSE e legati alle competenze e all'obiettivo di «rendere i lavori più verdi», parallelamente ad uno studio su «FSE e sviluppo sostenibile»; questi documenti saranno diffusi e discussi nel quadro del Comitato FSE. Il CESE auspica che essi possano essere resi pubblici e trasfusi in una comunicazione ad hoc della Commissione, che tenga conto anche dei risultati del documento di lavoro della Commissione sui lavori verdi, in corso di elaborazione da parte della DG EMPL. Questa comunicazione dovrebbe esaminare le diverse possibilità legate alla «promozione dei lavori verdi», per preparare alcune decisioni correlate, nel prossimo programma finanziario.

5.   Lavori neri vs lavori verdi

5.1

La transizione comporterà anche la perdita di molti posti di lavoro. La nuova economia sociale di mercato dell'Unione non può prescindere dal dare risposte a quei lavoratori che saranno travolti dal cambiamento. Percorsi di riqualificazione professionale, interventi di sostegno al reddito, aiuti per sostenere una mobilità territoriale sono alcune delle iniziative che occorrerà assumere. Il dialogo sociale a livello europeo interconfederale e settoriale così come a livello nazionale e territoriale dovrà occuparsi della gestione anticipata dei cambiamenti per un modello inclusivo di sviluppo.

5.2

Si impone un modello cooperativo e partecipato nelle relazioni industriali, che devono porsi obiettivi alti e condivisi per rafforzare il sistema economico e renderlo sempre più sostenibile sotto il profilo sia sociale che ambientale.

5.3

Ma oltre ai lavori nuovi, occorrerà essenzialmente trasformare i vecchi lavori e renderli tutti un po' più «verdi», cioè sostenibili. Programmi di efficienza energetica dovrebbero essere fatti in tutte le imprese e in tutti i luoghi di lavoro pubblici e privati. Una nuova consapevolezza verso consumi più sobri libererà risorse da destinare ad altro. Accordi sindacali per obiettivi misurabili e distribuzione dei benefici tra imprese e lavoratori possono essere un sistema utile per poter realizzare una diffusa consapevolezza dell'importanza del risparmio energetico.

6.   Mobilità urbana ed extraurbana

6.1

Coerentemente con una politica di riduzione dei GES, andranno privilegiati i trasporti pubblici, tram, bus, metro e quelli ferroviari per il trasporto extraurbano. La disincentivazione dell'auto privata, in particolare in città, farà crescere l'offerta di lavoro sul trasporto pubblico, che occorrerà rendere sempre più pulito. Bus elettrici, a idrogeno verde, a idrocarburi a basse emissioni come il metano circolano già nelle capitali europee. I poteri pubblici hanno una responsabilità nel poter diffondere il trasporto pulito, attraverso gare di appalto che privilegino queste modalità.

6.2

Gli esperimenti di mobility manager nelle imprese hanno in alcuni casi dato risultati apprezzabili, sono esperienze da diffondere e rendere sempre più efficaci. Occorrerebbe pensare a diffondere il green manager, incaricato di ridurre l'impatto ambientale e le emissioni dell'impresa non solo nel ciclo produttivo, ma ad esempio negli uffici, nel trasporto dei beni prodotti, nell'approvvigionamento di materie prime o di semilavorati, possibilmente favorendo la prossimità.

6.3

Anche la nuova agenda europea del digitale proposta dalla Commissione può dare un contributo sostanziale ad una crescita e a un'economia verdi, nonché all'obiettivo di rendere i lavori più verdi. Il telelavoro potrebbe in molti casi aiutare a rendere più verdi i lavori, riducendo notevolmente il dispendio energetico dovuto agli spostamenti casa-lavoro. Le parti sociali europee hanno negoziato da tempo un accordo quadro in materia. La Commissione dovrebbe sostenere efficacemente il telelavoro, attraverso iniziative che possano portare alla sua diffusione. Campagne d'informazione, conferenze, studi sullo sviluppo delle attività e buone pratiche dovrebbero essere programmate nell'ambito delle azioni sul contenimento delle emissioni. Se le tecnologie odierne dovessero consentire ai lavoratori di esercitare a domicilio moltissime attività e se la prestazione lavorativa fosse allora incentrata più sulla qualità che sulla quantità, sarebbe necessario occuparsi delle condizioni di lavoro specifiche di questi lavoratori.

7.   La società civile e la promozione dei lavori verdi

7.1

È indubbio che la società civile abbia una funzione straordinariamente importante nel successo nell'imponente sfida che abbiamo di fronte a noi. Il CESE è convinto che se i poteri pubblici, a partire dall'Unione europea, non faranno tutto quello che è nelle loro possibilità per coinvolgere le parti sociali, per assegnare loro un ruolo attivo e propositivo, per associarle ad iniziative e progetti, per sostenerle nella loro organizzazione a favore di un'economia sostenibile, i risultati non saranno pari alle attese e l'Europa perderà definitivamente il suo appuntamento con il nuovo progresso.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 347 del 18.12.2010, pag. 1.

(2)  GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 15-19.

(3)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 43; GU C 128 del 18.5.2010, pagg. 65-68; GU C 306 del 16.12.2009, pagg. 51-55.

(4)  Cfr. il parere del CESE del 14 luglio 2010 sul tema Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto«Energia-clima»dell'UE, relatore: IOZIA, adottato nella sessione plenaria del 14 e 15 luglio 2010.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Situazione e sfide della flotta dell'Unione europea per la pesca del tonno tropicale» (parere esplorativo)

2011/C 48/05

Relatore: Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

La presidenza spagnola dell'UE, in data 20 gennaio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Situazione e sfide della flotta dell'Unione europea per la pesca del tonno tropicale (parere esplorativo).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è del parere che gli elevati standard sociali, sanitari, di sicurezza alimentare, ambientali, giuridici, di sicurezza della navigazione marittima, di buona governance e di controllo richiesti dal regime dell'UE siano un esempio eccellente di uno sfruttamento razionale e sostenibile delle risorse.

1.2

L'applicazione di tali principi incide tuttavia sul costo di un prodotto che deve competere con le produzioni di altri paesi, avvantaggiati da un regime meno rigido su tutti questi aspetti. L'UE deve continuare a promuovere l'applicazione di tutti questi elementi da parte delle altre flotte mondiali: l'armonizzazione deve essere fatta verso l'alto, prendendo gli standard dell'UE come riferimento per gli altri operatori.

1.3

Il CESE ritiene che la sfida principale per il settore del tonno tropicale dell'UE sia quella di sopravvivere in un contesto di concorrenza sleale da parte delle flotte dei paesi terzi e in un quadro giuridico rigido, creato dalla stessa UE.

1.4

L'applicazione di una normativa stabile in grado di promuovere una concorrenza libera ma leale costituisce l'obiettivo dell'UE a livello internazionale. È essenziale definire una politica dell'UE integrata e coerente in tutti i suoi elementi, che consenta di mantenere la competitività e la sostenibilità del settore del tonno tropicale dell'UE nei suoi tre aspetti: economico, sociale e ambientale, come afferma la Convenzione sulla diversità biologica firmata a Rio de Janeiro nel 1992.

1.5

Per quanto riguarda la pirateria, il Comitato chiede agli Stati membri e al Consiglio di fare il possibile affinché il mandato dell'operazione «Atalanta» di lotta contro la pirateria nell'Oceano Indiano faccia specifico riferimento alla protezione della flotta per la pesca del tonno.

1.6

Il CESE ritiene che il mantenimento degli accordi di partenariato nel settore della pesca sia fondamentale per il proseguimento delle attività della flotta dell'UE per la pesca del tonno tropicale. Chiede inoltre alla Commissione di ampliare la rete di accordi sulla pesca del tonno in funzione delle necessità della flotta dell'UE e di prevedere quanto prima la possibilità di derogare alla clausola di esclusiva contenuta in tali accordi, in modo che la flotta europea possa ottenere anche licenze private di pesca, a condizione che lo stato delle risorse lo consenta e basandosi sui più accurati dati scientifici a disposizione.

1.7

Ai fini di una gestione adeguata delle risorse mondiali è essenziale che l'UE abbia un ruolo guida all'interno delle organizzazioni regionali della pesca (ORP), onde promuovere i principi di pesca responsabile e sostenibile. Il Comitato ritiene che l'UE dovrebbe incrementare i propri sforzi in questo ambito.

1.8

Per garantire la sopravvivenza dell'industria del tonno nell'UE e il buon esito degli investimenti dell'UE nei paesi terzi è indispensabile mantenere i regimi preferenziali ACP e SPG+ senza modifiche, quali la recente concessione dell'origine universale a Papua Nuova Guinea e alle Isole Figi, che altera l'equilibrio del mercato mondiale del tonno. In vista di possibili perturbazioni nel settore della pesca del tonno dell'UE, il CESE giudica opportuno prendere in considerazione e, se del caso, applicare le misure di vigilanza e di salvaguardia previste dall'Accordo di partenariato economico interinale UE-Stati del Pacifico.

1.9

Il mantenimento dei dazi dell'UE sui prodotti trasformati a base di tonno è di importanza fondamentale per salvaguardare la competitività dell'industria dell'UE. Il CESE ritiene che, nel quadro sia dell'OMC sia dei negoziati commerciali dell'UE con i paesi terzi, occorra cercare di ottenere il livello di protezione più elevato possibile.

1.10

Sulla base di quanto precede, il CESE è del parere che le istituzioni europee debbano difendere il principio della preferenza dell'UE. Considera inoltre che l'indennità compensativa per i tonni tropicali forniti dalla flotta europea all'industria di trasformazione dovrebbe ritornare al suo valore iniziale, vale a dire al 93 % del prezzo di riferimento dell'UE. Negli ultimi anni, infatti, l'indennità è stata notevolmente svalutata, scendendo all'87 % del prezzo di produzione.

2.   Situazione attuale della flotta dell'UE per la pesca del tonno tropicale

2.1

In Europa, la pesca del tonno ha iniziato a svilupparsi a metà del ventesimo secolo, in Spagna e in Francia, per soddisfare la crescente domanda dell'industria conserviera che riforniva il mercato interno. Inizialmente si trattava di una pesca costiera dedicata alla cattura di alalunga (Thunnus alalunga). Col passar del tempo e grazie all'evoluzione tecnologica, l'attività di pesca si è estesa verso Sud per catturare le specie di tunnidi tropicali: il tonno pinna gialla (Thunnus albacares), il tonnetto striato (Katsuwonus pelamis) e, in misura minore, il tonno obeso (Thunnus obesus). All'inizio la pesca avveniva in acque vicine alle coste francesi, spagnole e portoghesi. In seguito, negli anni Sessanta e Settanta, i pescatori si sono diretti verso le coste dell'Africa occidentale. Negli anni Ottanta e Novanta, si sono poi spostati verso l'Oceano Indiano e l'Oceano Pacifico orientale per arrivare, all'inizio del ventunesimo secolo, all'Oceano Pacifico occidentale.

2.2

La pesca dei tunnidi tropicali realizzata da flotte dell'UE attrezzate con reti da circuizione è pelagica e selettiva. L'obiettivo è quello di catturare i grandi branchi di tonni concentrati nella fascia tropicale dei tre oceani principali. Le catture avvengono in alto mare o nelle zone economiche esclusive (ZEE) di paesi terzi.

2.3

I tunnidi, molto apprezzati per le loro proprietà nutritive, fanno parte dell'alimentazione di base in numerosi paesi del mondo, sono oggetto di importanti scambi commerciali e rappresentano una fonte importante di reddito per gli Stati che ne praticano la pesca, la trasformazione e la commercializzazione.

2.4

Queste circostanze hanno fatto sì che la pesca del tonno sia diventata un'attività economica molto importante per taluni paesi. Attualmente vengono pescati in tutto il mondo e con vari tipi di arnesi da pesca più di 4 milioni di tonnellate di tunnidi tropicali. Le catture effettuate con reti da circuizione ammontano a 2 milioni di tonnellate. In genere le popolazioni di queste specie sono in buono stato, e vengono sfruttate in base ad adeguati programmi di gestione elaborati per ciascun oceano da parte delle ORP.

2.5

La flotta dell'UE si compone di 54 pescherecci, dotati di reti da circuizione e di congelatore (34 spagnoli e 20 francesi). Le catture operate da tali imbarcazioni ammontano a circa 400 000 tonnellate l'anno, ossia a circa il 10 % delle catture mondiali.

2.6

La maggior parte di questi pescherecci lavora in base a 13 appositi accordi di partenariato stabiliti tra l'UE e paesi terzi (6 paesi dell'Oceano Atlantico, 4 dell'Oceano Indiano e 3 dell'Oceano Pacifico).

2.7

La pesca di tunnidi tropicali viene praticata da circa 30 paesi mediante 580 imbarcazioni specializzate, per una stazza lorda complessiva di 650 000 tonnellate (1). La flotta da circuizione dell'UE, che in tutto stazza 97 500 tonnellate, rappresenta il 9 % delle imbarcazioni e il 15 % della capacità mondiale di cattura di tunnidi.

2.8

La principale zona di pesca dei tunnidi tropicali è l'Oceano Pacifico, dove si effettua il 67 % delle catture mondiali, seguito dall'Oceano Indiano con il 22 % e dall'Atlantico con l'11 %.

2.9

Le catture del tonno tropicale sono gestite da quattro specifiche organizzazioni regionali per la pesca:

2.9.1

la ICCAT (Commissione internazionale per la conservazione dei tunnidi dell'Atlantico), organizzazione fondata nel 1969, che copre l'Oceano Atlantico e i mari adiacenti, tra cui il Mediterraneo.

2.9.2

La IOTC (Commissione dei tunnidi dell'Oceano Indiano), fondata nel 1997, che copre l'Oceano Indiano.

2.9.3

La IATTC (Commissione interamericana per i tunnidi tropicali), fondata nel 1949, che copre il Pacifico orientale (Americhe).

2.9.4

La WCPFC (Commissione dei tunnidi del Pacifico occidentale e centrale), fondata nel 2004, che copre la zona occidentale e centrale dell'Oceano Pacifico.

2.10

La flotta dell'UE è soggetta a numerosi controlli amministrativi che dipendono da vari ministeri nazionali e da diverse direzioni generali della Commissione europea. Per poter navigare e commercializzare i propri prodotti battendo la bandiera di uno Stato membro dell'UE, le imbarcazioni debbono rispettare i requisiti burocratici richiesti per ottenere i certificati relativi alla stazza, allo scafo, ai motori, agli impianti frigoriferi, alle attrezzature di bordo, alla navigabilità, al salvataggio marittimo, alla sicurezza e all'igiene sul lavoro e al registro sanitario, nonché i permessi speciali di pesca, le licenze di pesca dei diversi paesi in cui si lavora, o ancora i certificati relativi al controllo via satellite, al controllo da parte di osservatori a bordo, al controllo delle catture attraverso il diario elettronico di bordo, al controllo delle vendite ecc. Per mantenere i certificati, i permessi e le licenze citati bisogna eseguire una gestione quotidiana, rinnovarli ogni anno e sottoporsi a revisioni periodiche cui nessun'altra flotta peschereccia mondiale è assoggettata con altrettanta frequenza. Tutti questi requisiti fanno notevolmente aumentare i costi di esercizio delle flotte europee.

2.11

Inoltre, contrariamente alle flotte dei paesi terzi, la flotta peschiera dell'UE è soggetta alle disposizioni previste dalla politica comune della pesca. L'applicazione dei principi di tale politica basata sulla pesca responsabile, sulle raccomandazioni delle ORP, sull'osservanza delle norme igieniche, di navigazione, di sicurezza, dei requisiti ambientali e delle regole di previdenza sociale dei lavoratori, comporta costi elevati per gli armatori europei e rende le nostre flotte meno competitive rispetto ai pescherecci dei paesi in cui tali obblighi non esistono o sono applicati con meno severità.

2.12

Da alcuni anni, inoltre, la flotta europea risente dei problemi generati dalla pirateria nell'Oceano Indiano. Questa situazione, oltre a provocare il panico e l'insicurezza tra gli equipaggi imbarcati sui pescherecci nell'esercizio della loro legittima attività imprenditoriale, determina una riduzione delle catture e un incremento dei costi di esercizio dovuti al mantenimento di servizi di sicurezza a bordo dei pescherecci.

2.13

La produzione di tunnidi tropicali è destinata principalmente all'industria conserviera, considerata la maggiore industria mondiale della trasformazione del pesce. L'Europa è il primo mercato mondiale, con un consumo di tonno tropicale inscatolato pari a 800 000 tonnellate l'anno, importate per oltre la metà da paesi terzi.

3.   Evoluzione della flotta per la pesca del tonno tropicale

3.1

La flotta dell'UE per la pesca del tonno tropicale ha percorso negli ultimi 50 anni un cammino parallelo a quello dell'industria della trasformazione del tonno tropicale.

3.2

Il tonno è stato il primo prodotto ittico totalmente esente da dazi dell'UE, al fine di proteggere l'industria di trasformazione. L'allora CEE stabilì un'indennità compensativa a beneficio dell'armatore, pari alla differenza tra il prezzo di vendita e il 93 % del prezzo di riferimento fissato ogni anno. Dato che tale percentuale è stata poi ridotta all'87 %, negli ultimi anni gli armatori dell'UE non hanno più ricevuto l'indennità, la quale risulta oggi totalmente inefficace.

3.3

La flotta e l'industria conserviera dell'UE favoriscono da molti anni lo sviluppo economico dei paesi terzi, attraverso la politica commerciale dell'UE. In tale contesto gli accordi di Yaoundé, Lomé e Cotonou hanno favorito la costituzione di un quadro stabile per il commercio tra i paesi ACP e l'UE. Inoltre l'SPG+ ha promosso il commercio tra l'UE e i suoi partner nell'America centrale e nella Comunità andina.

3.4

Grazie agli accordi di partenariato economico, i paesi ACP beneficiano del libero accesso ai mercati dell'UE per i prodotti derivati da tunnidi tropicali (interi, in filetti o conservati) con un dazio dello 0 %. Queste condizioni hanno permesso all'industria dell'UE di trasformazione del tonno di realizzare investimenti diretti in Costa d'Avorio, Ghana, Madagascar, Seychelles e Maurizio, nonché indirettamente in Kenya e in Senegal. Tali investimenti hanno contribuito a creare più di 40 000 posti di lavoro nei paesi citati e hanno favorito il trasferimento di tecnologie.

3.5

L'UE ha inoltre elaborato il Sistema di preferenze generalizzate plus (SPG+) per garantire condizioni commerciali ancora più favorevoli ai paesi dell'America centrale e meridionale, applicando ai prodotti della pesca un dazio ridotto allo 0 %. L'UE ha investito in paesi come Ecuador, El Salvador, Guatemala, Brasile (SPG generale o paesi terzi con dazio del 24 % per le conserve) e Cile (mediante l'accordo di libero scambio con l'UE) e, indirettamente, Colombia e Venezuela, contribuendo a mantenere i 50 000 posti di lavoro diretti nel settore del tonno.

3.6

Grazie a questi accordi le imprese comunitarie hanno trasferito in paesi terzi dell'Africa, dell'America e dell'Oceania parte delle loro imbarcazioni da pesca, le quali battono adesso la bandiera di paesi che l'UE riconosce come partner preferenziali. L'UE raccomanda inoltre l'integrazione o la formazione di società miste con imprese di tali paesi.

3.7

Una parte delle 400 000 tonnellate catturate dalla flotta tropicale dell'UE sono sbarcate e trasformate in fabbriche impiantate in paesi terzi. Ciò comporta un livello elevato di occupazione nel porto, il pagamento di diritti portuali per lo sbarco o il trasbordo del pesce, l'approvvigionamento della flotta nei vari porti dei paesi terzi interessati e un sensibile contributo allo sviluppo di tali paesi.

3.8

Da un esame generale del settore del tonno emerge che la flotta e l'industria della trasformazione si sono evolute di pari passo, costituendo l'unico comparto della pesca dell'UE ad avere una struttura interprofessionale e transnazionale, grazie alla quantità di interessi comuni ai vari imprenditori dell'UE. Tale settore, come è stato anticipato nei punti precedenti, ha effettuato una serie di investimenti e ha creato, seguendo gli orientamenti dell'UE, attività economiche in quei paesi terzi che godono dei sistemi preferenziali concessi dall'UE.

4.   Sfide per la flotta dell'UE per la pesca del tonno tropicale

4.1

La principale sfida cui devono far fronte la flotta e l’industria del tonno dell'UE è costituita dalle distorsioni della concorrenza con altri operatori, i quali perseguono l'obiettivo di accrescere la loro presenza sul mercato europeo, che da solo consuma il 50 % della produzione mondiale (UE più paesi terzi) di conserve di tonno tropicale.

4.2

La produzione mondiale di tonno in scatola ammonta approssimativamente a 1 600 000 tonnellate, circa 330 000 delle quali vengono prodotte nell'UE (2).

4.3

I principali concorrenti della flotta per la pesca al tonno dell'UE sono le flotte asiatiche che pescano con reti da circuizione e che operano nella zona di pesca più ricca del mondo, l'Oceano Pacifico, in cui si cattura più del 60 % del tonno tropicale mondiale. Queste flotte riforniscono per lo più la principale area mondiale di trasformazione del tonno tropicale, vale a dire il triangolo composto da Tailandia, Filippine e Indonesia. I loro prodotti sono di minore qualità ma sono estremamente competitivi a livello di prezzo sul mercato europeo, del quale già detengono una quota del 35 % pur essendo soggette ad un dazio del 24 %.

4.4

Anche il settore della trasformazione dei prodotti derivati dal tonno ha subito, nei confronti dei paesi terzi non ACP né SPG+, una perdita di competitività analoga a quella delle flotte. Nella maggior parte dei casi, l'acquisto di materie prime a minor prezzo, un'imposizione fiscale più leggera, la differenza dei costi salariali e di protezione sociale dei lavoratori e infine le minori garanzie sanitarie dei prodotti trasformati sono aspetti che indubbiamente fanno abbassare i costi di produzione e permettono di vendere i prodotti ad un prezzo inferiore a quello dei prodotti dell'UE.

4.5

In linea di massima, esistono al mondo due sistemi diversi di produzione del tonno. Il primo è quello che fa capo alla flotta dell'UE o agli investimenti dell'UE nei paesi terzi (ACP o SPG) che riforniscono l'industria di trasformazione europea o degli stessi paesi ACP/SPG. Questo sistema si basa sugli standard più elevati in materia di sicurezza sul lavoro, previdenza sociale, sicurezza alimentare, protezione ambientale e rispetto delle norme di una pesca responsabile. Il secondo sistema, in espansione, è quello praticato da alcune flotte e industrie poco sensibili alla sostenibilità, le quali operano in base a norme in materia sociale, di lavoro e sanitarie notevolmente inferiori a quelle in vigore nell'UE.

4.6

Per godere del sistema di preferenze dell'UE è necessario che i paesi ACP e SPG aderiscano ad una serie di convenzioni internazionali che regolano tutti questi aspetti. Allo stesso modo gli altri paesi che esportano verso l'UE, per poter accedere al mercato, dovrebbero mantenere gli stessi standard, garantendo una concorrenza equa con la produzione dell'UE e quella dei paesi partner preferenziali dell'Unione.

4.7

Un'altra minaccia importante per il mantenimento dell'attività di pesca del tonno in Europa è rappresentata dalle modifiche alla legislazione dell'UE che disciplina il delicato equilibrio del mercato mondiale del tonno. Questa legislazione ha svolto, attraverso gli accordi di partenariato economico, un ruolo chiave nel dirigere gli investimenti e lo sviluppo del settore del tonno dell'UE verso i paesi designati dalla stessa UE come partner prioritari.

4.8

Tale quadro di sviluppo, rivelatosi particolarmente efficace per il settore del tonno, è minacciato dai negoziati in seno all'OMC, dai possibili negoziati con altri paesi o gruppi di paesi nell'ambito di trattati di libero scambio e dalla recente modifica delle norme di origine che concedono l'origine universale (3) a Papua Nuova Guinea e alle Isole Figi.

4.9

Tanto nel quadro dell'OMC che nell'ambito di negoziati bilaterali, il rischio maggiore che corre il settore del tonno è l'eliminazione dei dazi doganali sui prodotti trasformati a base di tonno. Il tonno intero congelato è da più di 30 anni totalmente liberalizzato (a dazio zero) con l'obiettivo di garantire l'approvvigionamento dell'industria della trasformazione dell'UE, e per tale motivo la flotta dell'UE è obbligata a concorrere apertamente con altre flotte che esportano tonno intero congelato sul mercato europeo. Tuttavia, ulteriori passi avanti nella liberalizzazione dei prodotti trasformati a base di tonno porterebbero solo ad un progressivo peggioramento della situazione nell'industria europea e alla perdita di posti di lavoro e di attività economica, a favore di concorrenti esterni all'UE che operano a costi minori.

4.10

La concessione del regime di origine universale ai prodotti ittici di Papua Nuova Guinea e delle Isole Figi nel quadro dell'Accordo di partenariato economico del Pacifico altera l'equilibrio del mercato mondiale del tonno, con conseguenze disastrose per l'industria europea e quella degli altri paesi ACP e SPG. L'eliminazione del requisito di origine ACP o UE al tonno trasformato in Papua Nuova Guinea o nelle Isole Figi per assicurare un dazio zero sul mercato dell'UE induce i principali concorrenti, in maggioranza asiatici, a costruire nuovi impianti di trasformazione in Papua Nuova Guinea.

4.11

Con tale concessione, l'UE sta provocando un eccessivo sfruttamento delle risorse di tonno del Pacifico, le cui popolazioni sono già soggette a una forte pressione. Inoltre, le imprese che conseguiranno l'accesso al mercato dell'UE a dazio zero sono essenzialmente quelle asiatiche, le quali vengono incoraggiate ad aumentare la loro capacità di produzione di conserve in un mercato caratterizzato da prezzi bassi per un eccesso di offerta. Per volontà politica dei paesi del Forum Fisheries Agency, guidati da Papua Nuova Guinea, la presenza di operatori dell'UE nella zona del Pacifico occidentale e centrale è limitata a quattro imbarcazioni per la pesca del tonno.

4.12

La concessione presuppone uno svantaggio comparativo per gli altri paesi ACP e SPG, in quanto concede esclusivamente a Papua Nuova Guinea e alle Isole Figi la possibilità di ottenere facilmente materia prima a basso costo: i primi devono rispettare le norme d'origine, i secondi no. Questo inoltre potrebbe rappresentare una forma di riciclaggio di prodotti provenienti dalla pesca di frodo.

4.13

Un'altra sfida cui deve far fronte la flotta dell'UE per la pesca del tonno tropicale è il mantenimento della rete di accordi di partenariato nel settore della pesca. Tale rete è fondamentale in quanto garantisce l'accesso della flotta dell'UE a risorse altamente migratorie in un quadro di certezza del diritto e di trasparenza unico al mondo. Il tonno tropicale non risponde, sul piano spaziale e temporale, ad uno schema fisso di movimento e per tale ragione la flotta per la pesca del tonno ha bisogno, per poter operare, del maggior numero possibile di accordi di pesca nei tre oceani principali.

4.14

Le navi frigorifero impegnate nella pesca del tonno nell'Oceano Atlantico soffrono attualmente di un grave deficit di licenze di pesca dovuto, tra le altre cose, alla diminuzione degli accordi negli ultimi anni e in particolare alla pirateria nell'Oceano Indiano. Tale fenomeno ha fatto sì che alcuni pescherecci operativi in quella zona abbiano cercato rifugio nell'Atlantico, oceano in cui si può ancora pescare in condizioni minime di sicurezza. È dunque indispensabile che l'UE chieda ai paesi atlantici di aumentare il contingente di licenze previste in tutti gli accordi di partenariato con i paesi di tale zona, a condizione che lo stato delle risorse lo consenta e basandosi sui più accurati dati scientifici a disposizione.

4.15

Dato che l'aumento del contingente potrebbe durare più del necessario, in quanto la cosa non dipende esclusivamente dall'UE, il CESE propone di introdurre urgentemente la possibilità di derogare alla clausola di esclusiva prevista negli accordi di partenariato (clausola che impedisce agli armatori europei di ottenere licenze private di pesca nei paesi in cui sia in vigore un accordo di partenariato), in modo che la flotta europea possa ottenere licenze private di pesca a condizione che lo stato delle risorse lo consenta e basandosi sui più accurati dati scientifici a disposizione.

4.16

La flotta per la pesca del tonno tropicale ritiene che, conformemente alle conclusioni del Consiglio del 2004, l'UE debba dare maggior rilievo a tali accordi nell'ambito della riforma della PCP e avviare una politica che estenda la rete di accordi ai paesi più importanti di ciascun oceano, negoziando più precisamente nuovi accordi con i seguenti:

Atlantico: Senegal, Guinea Conakry, Sierra Leone, Liberia, Ghana, Guinea equatoriale e Angola,

Oceano Indiano: Kenya, Tanzania, isole francesi del canale del Mozambico, territori britannici dell'Oceano Indiano e Yemen,

Pacifico: Ecuador, Colombia, Perù, Panama, Costa Rica, e un accordo regionale con la Forum Fisheries Agency.

4.17

D'altro canto la flotta dell'UE per la pesca al tonno tropicale considera indispensabile che l'UE mantenga la propria presenza nelle ORP del settore del tonno e continui a dettare, appoggiandosi sul comportamento della propria flotta per la pesca del tonno, i canoni di una pesca responsabile.

4.18

L'UE è, insieme al Giappone e alla Corea, l'unica parte che sia, al tempo stesso, membro di tutte e quattro le ORP (ICCAT, IOTC, IATTC, WCPFC) e deve disporre di mezzi che le consentano di promuovere, in modo coerente e obiettivo, i principi della pesca responsabile.

4.19

Il CESE ritiene che l'UE dovrebbe favorire un sistema di gestione il più possibile omogeneo e coerente a livello mondiale, che risponda chiaramente alla realtà di un mercato totalmente globalizzato come quello del tonno tropicale, e prevedere in futuro un organismo internazionale che gestisca le questioni orizzontali concernenti la pesca del tonno sul piano mondiale. Questo sistema di gestione globale ha cominciato a muovere i primi passi nell'ambito del processo di Kobe concernente la revisione del funzionamento delle ORP del tonno.

4.20

Per quanto concerne la pirateria nell'Oceano Indiano, la flotta dell'UE per la pesca del tonno è estremamente preoccupata per la portata degli attacchi alle imbarcazioni per la pesca del tonno verificatisi nel 2009 e nel 2010. Tali attacchi si verificano sempre più lontano dalle acque territoriali della Somalia, alcuni di essi a mille miglia marine dalla costa somala e addirittura dentro la zona economica esclusiva delle Seychelles e di altri paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano (Kenya, Tanzania).

4.21

La flotta per la pesca al tonno è particolarmente vulnerabile agli attacchi dei pirati. A differenza delle navi mercantili, che navigano costantemente, le imbarcazioni per la pesca del tonno restano immobili per due o tre ore nel corso del loro lavoro, con le reti gettate in acqua, il che rende il rischio di attacchi e di arrembaggio da parte dei pirati ben più elevato. Inoltre, il bordo libero ridotto di tali imbarcazioni e la rampa situata a poppa facilitano ulteriormente l'assalto dei pirati.

4.22

Per tutti questi motivi, è necessario modificare urgentemente il mandato dell'operazione «Atalanta» (azione comune 2008/851/PESC del Consiglio del 10 novembre 2008 relativa all'operazione militare dell'Unione europea volta a contribuire alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione degli atti di pirateria e delle rapine a mano armata al largo della Somalia), al fine di garantire in modo specifico la protezione della flotta per la pesca del tonno che opera nell'Oceano Indiano evitando inseguimenti e sequestri come quello del peschereccio Playa de Bakio (2008) o del peschereccio Alakrana (2009).

4.23

Le imbarcazioni per la pesca del tonno incontrano attualmente diverse difficoltà se desiderano andare a pescare in zone diverse dall'Oceano Indiano, dato il numero limitato di licenze nell'Atlantico e dato che le ORP che regolano tale pesca nel Pacifico hanno introdotto misure di contingentamento. Dall'attività della flotta nell'Oceano Indiano inoltre dipendono numerosi lavoratori delle società armatrici, delle industrie conserviere e dei porti dove approda la flotta. Per tale motivo, l'abbandono dell'attività comporterebbe anche la soppressione di numerosi posti di lavoro non solo nell'UE ma anche nelle Seychelles, in Madagascar, Kenya, Maurizio ecc.

4.24

La flotta dell'UE per la pesca al tonno tropicale, l'industria di trasformazione del tonno e quella conserviera fanno fronte alle sfide summenzionate nell'interesse della propria stabilità e della propria presenza nel contesto mondiale, il cui mantenimento non comporta alcun costo per il Fondo europeo per la pesca e richiede solo decisioni politiche da parte dell'UE.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  La stazza è la misura dei volumi interni delle imbarcazioni.

(2)  FAO 2007.

(3)  Regolamento (CE) n. 1528/2007 del Consiglio, del 20 dicembre 2007, recante applicazione dei regimi per prodotti originari di alcuni Stati appartenenti al gruppo degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) previsti in accordi che istituiscono, o portano a istituire, accordi di partenariato economico – Allegato II, articolo 4.3, lettera a).


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Verso uno spazio europeo della sicurezza stradale: orientamenti strategici per la sicurezza stradale fino al 2020» (parere elaborato su richiesta del Parlamento europeo)

2011/C 48/06

Relatore: RANOCCHIARI

Il Parlamento europeo, in data 2 giugno 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Verso uno spazio europeo della sicurezza stradale: orientamenti strategici per la sicurezza stradale fino al 2020.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 4 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ribadisce che l'obiettivo del terzo Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale, ossia dimezzare il numero di morti sulle strade nell'arco del periodo 2001-2010, era estremamente ambizioso. In base alle statistiche ufficiali, infatti, nel 2008 la diminuzione dei decessi causati da incidenti stradali nell'UE a 27 è stata del 28,4 % rispetto al 2001. Dati recenti pubblicati dalla Commissione, tuttavia, danno conto di un sorprendente progresso, che potrebbe portare, in definitiva, ad un calo delle vittime della strada superiore al 40 % nel 2010.

1.2   Le ragioni per cui non sarà possibile pervenire ad una riduzione del 50 % dei decessi dovuti ad incidenti vanno ricercate nella seguente combinazione di fattori:

1.2.1

il fatto che soltanto il programma d'azione e gli orientamenti di attuazione sono di competenza del livello europeo, mentre l'attuazione di tutte le misure previste dal programma spetta ai diversi livelli di governo degli Stati membri;

1.2.2

le differenze da uno Stato membro all'altro per quanto riguarda l'attuazione e l'applicazione delle misure di sicurezza stradale;

1.2.3

la mancanza di un'interpretazione uniforme dei dati statistici relativi alla sicurezza stradale in tutti gli Stati membri;

1.2.4

la preminenza data negli ultimi dieci anni alle misure repressive rispetto all'educazione e alla formazione di tutti gli utenti della strada;

1.2.5

il fatto che non siano stati assegnati obiettivi intermedi agli Stati membri e che non sia stata dedicata un'attenzione particolare ai differenti tassi di rischio tra uno Stato e l'altro, il che impone l'adozione di una tabella di marcia su misura per ciascun paese.

1.3   Per quanto riguarda le misure di «sicurezza attiva e passiva», il CESE conclude che negli ultimi dieci anni si è verificato un miglioramento sostanziale dovuto in particolare all'introduzione, da parte dell'industria, di una vasta gamma di innovazioni tecniche in materia di sicurezza sia nelle autovetture che nei veicoli pesanti. In avvenire le norme di sicurezza potrebbero essere più severe, e sarebbe opportuno adottare ulteriori misure alla luce della recente immissione sul mercato di autovetture a basso prezzo che rispettano a malapena le norme di sicurezza.

1.3.1   La situazione è ancora peggiore nel caso dei ciclomotori e dei motocicli a basso costo, importati soprattutto dal Sud-Est asiatico, che non soddisfano i requisiti europei in fatto di omologazione. Si tratta di una questione della massima importanza, considerando che gli utilizzatori di veicoli a due ruote hanno probabilità 18-20 volte maggiori di rimanere feriti in caso di incidente stradale rispetto agli automobilisti, e che il numero delle persone che si spostano abitualmente con i veicoli a due ruote per evitare il traffico congestionato delle città è in costante aumento.

1.4   Da un esame dei progressi registrati negli ultimi dieci anni sul fronte della sicurezza dell'infrastruttura stradale, il CESE è incline a concludere che si sarebbe potuto fare molto di più. Il passo in avanti più significativo in questo campo è stata l'adozione della direttiva del Consiglio sulla sicurezza nelle gallerie, che ha avuto un impatto molto positivo in tutta Europa. Non vi sono stati, invece, miglioramenti di rilievo per quanto riguarda le strade rurali e le reti secondarie, sulle quali si verifica il 50 % dei decessi causati da incidenti.

1.5   Perché il Quarto programma d'azione europeo per la sicurezza stradale possa dare risultati migliori, il CESE raccomanda di tenere conto dei seguenti aspetti:

1.5.1

visto che si tratta di una responsabilità condivisa dall'UE e dagli Stati membri, è necessaria una forte leadership politica;

1.5.2

vi è bisogno di dati statistici armonizzati e dettagliati in materia di sicurezza stradale per tutta l'UE a 27;

1.5.3

vanno fissati degli obiettivi riguardo ai casi di lesioni gravi a utenti della strada, con una definizione comune del concetto di lesioni gravi;

1.5.4

è necessario adottare una politica più severa in materia di armonizzazione e regolamentazione delle misure di sicurezza stradale, da combinare con l'assistenza agli Stati membri, per garantire che questi ultimi attuino dette misure in maniera sia più efficace che più rapida; se l'approccio volontario non funziona, bisogna rendere obbligatoria l'attuazione del sistema eCall a livello paneuropeo;

1.5.5

va attribuita maggiore attenzione a un'educazione e a una formazione differenziate per tutti gli utenti della strada, in particolare per i più giovani e i più anziani nonché per altri utenti particolarmente vulnerabili quali i motociclisti e i ciclomotoristi, i ciclisti e i pedoni;

1.5.6

tutti i datori di lavoro (in particolare quelli del settore privato) che gestiscono parchi di veicoli dovrebbero essere coinvolti nei progetti attuali e futuri su tematiche quali la promozione delle buone pratiche volte a ridurre le collisioni sui percorsi casa-lavoro, l'incentivazione dei dipendenti a utilizzare i mezzi pubblici e lo sviluppo di politiche di sicurezza per i parchi di veicoli. A questo fine uno strumento importante sarà rappresentato dalla prevista norma ISO 39001 in materia di sicurezza stradale dei lavoratori;

1.5.7

occorre rafforzare la normativa UE a tutela delle categorie più vulnerabili di utenti della strada. Per esempio, nel caso dei motociclisti e dei ciclomotoristi è necessario adottare nuove norme in materia di omologazione dei veicoli che prevedano l'obbligo di dotare dei sistemi di frenata ABS e CBS, nonché di un sistema di accensione automatica dei fari (automatic headlights on, AHO) i ciclomotori e motocicli con cilindrata superiore ai 150 cc e prevedano inoltre l'introduzione di controlli tecnici e di una seconda fase di formazione (formazione avanzata ovvero «di secondo livello») nella revisione della direttiva sulle patenti di guida;

1.5.8

per quanto riguarda lo sviluppo dell'infrastruttura, il CESE raccomanda di includere nel nuovo programma d'azione l'obiettivo di migliorare il livello di sicurezza della rete stradale transeuropea (Trans-European Road Network, TERN) e di portare almeno il 25 % della rete non TERN alle medesime condizioni della rete TERN;

1.5.9

il programma d'azione dovrebbe comprendere obiettivi ambiziosi ma realistici, con la proposta non soltanto di un obiettivo globale - ossia una riduzione del numero complessivo dei decessi - ma anche di obiettivi specifici quanto al numero di vittime di incidenti che riportano lesioni gravi e al numero di utenti particolarmente vulnerabili, quali i pedoni, i ciclisti e i motociclisti e ciclomotoristi, coinvolti in incidenti stradali. Per quanto riguarda l'obiettivo globale, il CESE osserva che il tasso di rischio varia notevolmente tra i diversi paesi dell'UE e quindi raccomanda vivamente di stabilire per il 2020 obiettivi differenziati in materia di riduzione dei decessi, sulla base dei dati forniti dagli Stati membri per il 2010;

1.5.10

per garantire il conseguimento degli obiettivi definiti dal programma d'azione, il CESE ritiene che sia necessario un monitoraggio annuale da parte dell'UE, e a tal fine suggerisce di istituire un'agenzia europea ad hoc per la sicurezza stradale che controlli e segua l'attuazione del programma d'azione in coordinamento con responsabili della sicurezza stradale nominati da ciascuno Stato membro.

1.6   Da ultimo, ma non per importanza, l'UE deve stabilire un collegamento forte e permanente con il progetto per un «decennio di azione per la sicurezza stradale» lanciato dalle Nazioni Unite, e moltiplicare gli sforzi per diventare il leader mondiale in fatto di sicurezza stradale.

2.   Introduzione

2.1   Il 28 aprile 2010, Brian SIMPSON, presidente della commissione per i Trasporti e il turismo (TRAN) del Parlamento europeo, ha inviato una lettera al Presidente del CESE Mario SEPI in cui, conformemente all'articolo 124 del Regolamento interno del Parlamento europeo, chiede al CESE di elaborare un parere esplorativo sulla sicurezza stradale.

2.2   Nella sua lettera, SIMPSON fa riferimento al nuovo programma di lavoro della Commissione per il 2010, pubblicato il 31 marzo 2010, che propone tra l'altro di elaborare un nuovo pacchetto per la sicurezza stradale, con l'obiettivo di creare uno «spazio europeo della sicurezza stradale».

2.3   SIMPSON chiede al CESE di rispondere a una serie di quesiti fondamentali sul decennio appena concluso: qual è stato il grado di efficacia delle politiche adottate a livello dell'UE nell'indurre gli utenti della strada a modificare il loro comportamento e nel migliorare la sicurezza passiva dei veicoli e l'infrastruttura stradale? Queste politiche sono state attuate correttamente dagli Stati membri? E infine: cosa occorre per creare un vero e proprio «spazio della sicurezza stradale» in tutti e 27 gli Stati membri?

2.4   Nel 2001 la Commissione ha pubblicato il Libro bianco sui trasporti, seguito nel 2003 dal programma d'azione. Entrambi i documenti ponevano l'obiettivo di dimezzare il numero dei decessi causati da incidenti stradali entro il 2010.

2.5   Secondo i dati disponibili più recenti (2008), rispetto al 2001 si è verificato un calo dei decessi del 36,8 % nell'UE a 15 e del 28,4 % nell'UE a 27. Si tratta di una riduzione notevole, ma che rimane purtroppo al di sotto dell'obiettivo del 50 % di decessi in meno stabilito dalla Commissione. La stessa Commissione, tuttavia, ha pubblicato proprio di recente dati per il 2009 e previsioni per il 2010 che risultano di poco inferiori rispetto a tale obiettivo iniziale, poiché danno conto di un calo totale delle vittime della strada di oltre il 40 % entro la fine del 2010.

2.5.1   Il CESE è convinto che, se tali importanti risultati verranno effettivamente confermati, lo si dovrà alla recente entrata in vigore della legislazione sulla sicurezza stradale e ai miglioramenti ottenuti quanto al livello di sicurezza dei veicoli piuttosto che a un diverso comportamento degli utenti della strada, poiché sotto questo aspetto molto resta ancora da fare.

2.6   Per sapere quali misure vadano introdotte in una nuova strategia, è essenziale comprendere quali politiche e iniziative abbiano dato buoni frutti negli ultimi dieci anni e quali invece si siano rivelate inefficaci.

2.7   Il programma d'azione della Commissione per l'ultimo decennio si è concentrato su tre dimensioni fondamentali:

i cambiamenti nei comportamenti individuali, per esempio per quanto riguarda l'uso delle cinture di sicurezza e dei dispositivi di ritenuta per bambini, l'uso dei telefoni cellulari al volante o la guida sotto gli effetti dell'alcol,

il sostegno alle iniziative dell'industria per lo sviluppo e la commercializzazione di veicoli più sicuri,

le misure volte a migliorare l'infrastruttura, per esempio una più attenta progettazione di strade e gallerie e l'armonizzazione dei sistemi di soccorso in tutti gli Stati membri.

2.8   Tra l'aprile e il luglio del 2009 la Commissione europea ha effettuato consultazioni pubbliche allo scopo di coinvolgere i cittadini e le autorità pubbliche a livello nazionale, regionale e locale, nonché il mondo imprenditoriale e delle professioni, nell'individuazione dei problemi più importanti che dovrebbe affrontare il programma d'azione per la sicurezza stradale 2011-2020 e delle azioni prioritarie da intraprendere per porre rimedio ai livelli di decessi e lesioni gravi dovuti agli incidenti stradali, livelli che in tutta l'UE sono tuttora inaccettabili e fonte di costi molto elevati.

2.9   Il CESE concorda con la commissione TRAN sul fatto che, prima di adottare un nuovo programma d'azione in materia di sicurezza stradale, bisognerebbe procedere a una valutazione dell'efficacia delle politiche attuate in passato, del Libro bianco sui trasporti del 2001 e del programma d'azione del 2003.

2.10   Detta valutazione si potrà realizzare, tra l'altro, avvalendosi di informazioni recenti e delle opinioni espresse nei pareri adottati negli ultimi anni dal CESE su questo tema, che indicano chiaramente come il CESE ritenga il miglioramento della sicurezza stradale un elemento chiave della politica dei trasporti, degno di figurare in cima all'agenda degli Stati membri anche in un periodo di difficoltà economiche.

2.11   A livello mondiale, nel frattempo, ci sono stati sviluppi importanti. Dopo la prima conferenza ministeriale mondiale sulla sicurezza stradale (Time for Action), tenutasi a Mosca nel novembre 2009, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il periodo 2011-2020 «decennio di azione per la sicurezza stradale», con l'obiettivo di stabilizzare e successivamente ridurre il numero delle vittime di incidenti stradali in tutto il mondo. Oggi si tratta di una vera e propria epidemia, che ogni anno provoca oltre un milione di morti e circa 20 milioni di feriti gravi, nella stragrande maggioranza (90 %) in paesi con un reddito pro capite basso o medio. Secondo le stime, le conseguenze economiche di questa sorta di pandemia incidono sul PIL dei vari paesi, a livello globale, in misura variabile dall'1 al 3 %. Nella sola Europa, i costi sociali di questo flagello ammontavano a circa 130 miliardi di euro nel 2009.

2.12   A proposito di quanto sopra ricordato, il CESE ritiene che, approfittando dello slancio dovuto a queste iniziative, l'UE abbia la possibilità, grazie al suo nuovo programma d'azione in materia di sicurezza stradale, di essere all'avanguardia mondiale in questo campo, e che non debba lasciarsi sfuggire questa opportunità.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il CESE tiene a far notare che, per poter valutare l'efficacia delle precedenti politiche in materia di sicurezza stradale, è essenziale disporre di dati statistici quantitativi e qualitativi documentati relativi a tutta l'UE a 27, di modo da poterli raffrontare. Oggi tutti gli Stati membri forniscono all'UE le cifre essenziali relative alla sicurezza stradale, ma la qualità e la completezza delle informazioni presentate da alcuni di loro lascia ancora a desiderare e non consente di differenziare tra i tipi di utenti della strada, le diverse categorie di strade, le condizioni atmosferiche e la gravità delle lesioni riportate.

3.2   Considerando che negli ultimi 30 anni il traffico sulle strade europee è triplicato, il CESE si rallegra dei notevoli passi avanti fatti nell'UE verso l'obiettivo di dimezzare i decessi entro il 2010. Questo obiettivo, già di per sé ambizioso in un'UE con 15 Stati membri - come sottolineato dal CESE nel suo parere del 10 dicembre 2003 sul tema Sicurezza dei trasporti 2003-2010 - sarebbe stato ancora più difficile da realizzare in un'Europa allargata.

3.3   Il CESE fa notare che, se l'UE si è posta un obiettivo molto ambizioso per quanto riguarda la riduzione dei decessi dovuti agli incidenti stradali, non ha fatto altrettanto per le lesioni gravi. Tra il 2001 e il 2008, il numero di utenti della strada vittime di lesioni gravi è diminuito soltanto del 18 % nell'UE a 27. Per conseguire una riduzione drastica, il nuovo programma d'azione della Commissione dovrà quindi prevedere misure ad hoc, che dovranno essere applicate dagli Stati membri non appena sarà possibile pervenire a una definizione concordata di «lesioni gravi» e «lesioni lievi».

3.4   Rispetto alla questione dell'efficacia delle politiche UE dell'ultimo decennio nell'indurre gli utenti della strada a modificare il loro comportamento, va tenuto presente che soltanto il programma d'azione e gli orientamenti di attuazione vengono adottati dall'UE, mentre l'applicazione vera e propria di tutte le misure previste dal programma è di competenza dei diversi livelli di governo degli Stati membri, conformemente al principio di sussidiarietà.

3.5   Se gli Stati membri applicassero le misure contenute nel programma d'azione in modo uniforme incontrerebbero meno problemi, ma purtroppo l'esperienza dimostra che le cose non stanno così, in quanto permangono grandi disparità tra i paesi dell'Unione per quanto concerne il livello di sicurezza stradale. L'attuazione e l'applicazione delle misure in questo campo varia molto da un paese all'altro, e a giudizio del CESE non vi è dubbio che una politica UE più rigorosa darebbe risultati migliori.

3.6   Per questo motivo il CESE sottolinea l'importanza dello sviluppo e dell'attuazione di un programma di armonizzazione e regolamentazione più ambizioso, accompagnato dall'assistenza agli Stati membri, per garantire che questi ultimi applichino in maniera sia più efficace che più rapida le misure di sicurezza stradale. A questo fine, la soluzione potrebbe essere l'istituzione di un'agenzia europea per la sicurezza stradale.

3.6.1   Esiste già, infatti, un'agenzia europea responsabile della sicurezza per ciascuno degli altri modi di trasporto, ad eccezione appunto del trasporto su strada. L'agenzia europea per la sicurezza stradale dovrebbe essere un organo esecutivo, di piccole dimensioni, assistito da rappresentanti permanenti per la sicurezza stradale nominati dagli Stati membri.

3.6.2   Il CESE ritiene che la nuova agenzia, avvalendosi del lavoro di organi già esistenti come l'ERSO (European Road Safety Observatory - Osservatorio europeo della sicurezza stradale), dovrebbe svolgere in modo più efficiente la funzione esecutiva nel settore della sicurezza stradale. Ad esempio, potrebbe effettuare una valutazione annuale dei punti ad alto rischio di incidenti (black spot) della rete, individuando le strade poco sicure e divulgando i risultati di questo monitoraggio presso gli utenti delle strade europee – una proposta già avanzata dal CESE in un precedente parere (1). L'agenzia potrebbe inoltre sostenere l'azione dei gruppi nazionali e locali responsabili della sicurezza stradale, promuovendo e diffondendo le migliori pratiche in tutta l'Unione.

3.6.3   Oltre a ciò, la nuova agenzia potrebbe garantire l'integrazione della politica in materia di sicurezza stradale nelle altre politiche dell'UE pertinenti (istruzione, salute, ambiente) e predisporre una tabella di marcia con priorità a breve e medio termine, ponendo così rimedio a uno dei principali punti deboli del piano precedente.

3.7   Considerando i cambiamenti avvenuti negli ultimi dieci anni nel comportamento degli utenti della strada, si deve concludere che oltre metà dei decessi è imputabile direttamente a fattori legati al comportamento, come il mancato rispetto dei limiti di velocità, la presenza di conducenti giovani e inesperti e la guida in stato di ebbrezza. A giudizio del CESE, i tre pilastri dell'educazione, della repressione e della formazione hanno pari importanza e si influenzano reciprocamente, ma in ultima analisi lo strumento ottimale su cui puntare rimane l'educazione.

3.8   Il CESE fa notare che una delle tre dimensioni chiave del programma d'azione della Commissione per gli ultimi dieci anni consisteva nei «cambiamenti del comportamento individuale». Visto l'aumento del numero di veicoli in circolazione verificatosi negli ultimi dieci anni, l'azione in questo ambito andrebbe intensificata.

3.9   Bisogna tener presente, inoltre, che alcune categorie particolarmente vulnerabili di utenti della strada, come i motociclisti, i ciclisti e i pedoni, sono tuttora esposte a rischi sproporzionati. Il CESE raccomanda di potenziare l'educazione stradale, combinandola con una regolamentazione quadro esaustiva sull'omologazione di motocicli e ciclomotori e con una formazione avanzata per i conducenti di questi veicoli, in modo da modificare in meglio il comportamento di queste categorie di utenti della strada.

3.10   È inoltre importante rendersi conto che la popolazione dell'UE sta invecchiando e che pertanto la politica di sicurezza stradale dovrebbe concentrarsi su misure specifiche, come i sistemi di trasporto intelligenti, l'adeguamento dei veicoli e delle infrastrutture, la sensibilizzazione e l'educazione.

3.11   Per i prossimi dieci anni, il CESE raccomanda di concentrare la politica sull'educazione, sulla formazione e sui controlli tecnici differenziati per tutti gli utenti della strada, in particolare i gruppi «a rischio» - i più giovani e i più anziani - e le categorie più vulnerabili come motociclisti, ciclisti e pedoni.

3.12   La politica a livello di UE dovrebbe essere delineata in un programma d'azione per la sicurezza stradale che comprenda proposte chiare e rigorose e orientamenti di attuazione altrettanto chiari e stringenti per gli Stati membri. Si dovrebbe inoltre disporre di un feedback sotto forma di dati statistici ben precisi forniti alla Commissione con cadenza annuale, per darle la possibilità di reagire tempestivamente. Dal canto suo, la Commissione dovrebbe esortare gli Stati membri ad attuare quanto prima le normative vigenti (quelle già adottate e quelle che lo saranno in futuro) in materia di sicurezza stradale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   La grande sfida per una politica di sicurezza stradale riuscita è quella della cooperazione tra le autorità a livello UE, nazionale e locale. Se il progresso sul fronte della tecnologia può essere realizzato mediante l'adozione e l'attuazione della normativa europea, i cambiamenti nel comportamento degli utenti della strada possono essere conseguiti soltanto a livello nazionale. Per questo motivo, sono essenziali sia orientamenti rigorosi da parte dell'UE che un feedback annuale dagli Stati membri alla Commissione.

4.2   Quanto all'efficacia delle politiche UE adottate nell'ultimo decennio per indurre gli utenti della strada a modificare il loro comportamento, il CESE è incline a concludere che, per ragioni legate alla sussidiarietà e alla carenza di strumenti di monitoraggio, esse non hanno avuto pieno successo. La formazione e l'educazione permanenti sono lo strumento più importante per influenzare in modo positivo i comportamenti, in particolare quelli dei conducenti più giovani e degli utenti della strada più anziani. Gli Stati membri hanno introdotto questi strumenti in modo diverso e a volte inadeguato.

4.3   Il CESE è convinto che, per quanto riguarda i tipi di comportamento, nel prossimo decennio la politica in materia dovrebbe concentrarsi sulla formazione e sull'educazione di tutte le categorie di utenti della strada in tutti gli Stati membri. Per esempio, l'introduzione di un livello minimo obbligatorio di educazione stradale nelle scuole e, su base volontaria, l'incentivazione di un apprendimento in questo campo lungo tutto l'arco della vita dei cittadini.

4.4   Gli Stati membri dovrebbero realizzare campagne mirate e periodiche di sensibilizzazione per influenzare il comportamento degli utenti della strada, trattando temi legati alla sicurezza tra cui il rispetto reciproco, i dispositivi di protezione, la velocità e il consumo di alcol e droga, con un parallelo rafforzamento delle misure repressive.

4.5   Il nuovo programma d'azione dovrebbe dedicare un'attenzione particolare alle differenze nei tassi di rischio legati alla sicurezza stradale che esistono tra gli Stati membri. Nel 2008, il tasso di rischio più alto era fino a quattro volte superiore a quello più basso. Per quei paesi che hanno un tasso di rischio nettamente superiore alla media UE, l'obiettivo dovrebbe essere una più forte riduzione del numero di decessi e lesioni gravi tra gli utenti della strada, e quindi in quest'ambito andrebbero stabiliti obiettivi differenziati per il 2020 sulla base dei dati del 2010.

4.6   Negli ultimi dieci anni si è verificato un miglioramento sostanziale nell'ambito della «sicurezza attiva e passiva», dovuto in particolare all'introduzione, da parte dell'industria, di una vasta gamma di misure tecniche in materia di sicurezza sia nelle autovetture che nei veicoli pesanti. I progetti di R&S finanziati attraverso i programmi quadro dell'UE potrebbero fungere da traino per ulteriori miglioramenti delle tecnologie ITS (Intelligent Transport Systems).

4.7   La crisi economica ha fatto emergere un fenomeno nuovo e sempre più pericoloso, ossia l'immissione sul mercato di autovetture a prezzo molto basso, che rispettano a malapena le norme minime di sicurezza. Per garantire e migliorare il livello di sicurezza del parco veicoli esistente, si potrebbero installare, nella misura del possibile, i più recenti dispositivi di sicurezza sulle autovetture in circolazione. È inoltre necessario prevedere controlli periodici e ispezioni annue degli autoveicoli. Ancora peggiore è la situazione del settore motocicli e ciclomotori, nel quale è essenziale rafforzare la vigilanza sul mercato ed effettuare controlli periodici (2). Secondo il CESE, l'UE deve reagire a questo fenomeno fissando le norme di sicurezza a un livello più alto.

4.8   Alla luce di quanto sopra esposto, è necessario introdurre nuove norme UE in materia di omologazione di motocicli e ciclomotori che prevedano l'obbligo di dotare quelli al di sopra dei 150 cc di ABS e CBS, come pure l'introduzione di controlli tecnici e di una seconda fase di formazione per i conducenti di questi veicoli nella revisione della direttiva sulle patenti di guida. L'UE dovrebbe inoltre appoggiare le campagne di sensibilizzazione per garantire la conformità con le più importanti regole di sicurezza.

4.9   La progettazione delle strade e dei bordi delle strade ha un ruolo importante in caso di incidenti. Gli studi realizzati in quest'ambito dimostrano che l'infrastruttura stradale è uno dei fattori causali nel 30 % circa degli incidenti. Si tratta quindi di un ambito dove si possono compiere notevoli progressi. Secondo questi studi, i principali ostacoli a una maggiore sicurezza stradale non sono esclusivamente quelli legati ai vincoli finanziari, ma anche quelli connessi a una scarsa sensibilizzazione generale. Le statistiche dimostrano che le strade rurali sono spesso le più pericolose. L'erogazione dei sussidi UE (TERN, fondi strutturali) dovrebbe essere subordinata alla realizzazione di strade sicure. In ogni caso è essenziale che la progettazione, la costruzione e la manutenzione dell'infrastruttura stradale vengano effettuate tenendo conto anche della sicurezza dei veicoli a due ruote.

4.10   Il CESE è giunto alla conclusione che, tra le iniziative adottate negli ultimi dieci anni per rendere più sicura l'infrastruttura, la più efficace è stata una delle proposte del Terzo programma d'azione per la sicurezza stradale: la direttiva per la sicurezza nelle gallerie (2004/54/CE), la cui introduzione ha avuto un forte impatto in tutta Europa.

4.11   Per i prossimi dieci anni, per quanto riguarda lo sviluppo dell'infrastruttura, il CESE raccomanda di includere nel nuovo programma d'azione l'obiettivo di migliorare il livello di sicurezza della rete stradale transeuropea (TERN) e di portare almeno il 25 % della rete non TERN alle medesime condizioni di quella TERN. Un altro notevole contributo alla sicurezza stradale potrebbe venire da una decisione del Consiglio di modificare la direttiva sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali includendovi degli allegati tecnici vincolanti ed estendendone il campo d'applicazione alle strade non TERN, nonché dall'adozione di orientamenti europei in materia di sicurezza dell'infrastruttura stradale urbana. A breve termine, l'UE deve incoraggiare tutti gli Stati membri ad adottare rapidamente le quattro misure della direttiva infrastrutture riguardanti le valutazioni d'impatto sulla sicurezza stradale, i controlli della sicurezza stradale, la gestione della sicurezza della rete e le ispezioni di sicurezza.

4.12   Dal momento che si tratta di un settore di responsabilità condivisa, il CESE è convinto che una forte leadership politica sia un requisito imprescindibile per la creazione di un vero e proprio «spazio della sicurezza stradale» in tutti e 27 gli Stati membri. I responsabili decisionali a livello di UE, ma anche a livello nazionale e regionale nei singoli Stati membri, devono essere persuasi dell'importanza di collaborare all'attuazione di modifiche legislative sia a breve che a lungo termine e alla realizzazione di campagne di informazione di vaste proporzioni. Avvalendosi delle competenze di alcuni soggetti privati fondamentali, esperti in materia di sicurezza stradale in Europa, si riuscirà a generare consenso e a garantire un migliore rapporto costi-benefici.

4.13   Per quanto riguarda il settore privato, considerando che gli spostamenti per motivi di lavoro e i percorsi dei pendolari rappresentano un'importante fonte di rischio, un passo importante nella direzione giusta può essere fatto dai datori di lavoro che gestiscono parchi di veicoli aziendali. Le misure volte a ridurre il numero di vittime della strada dovrebbero infatti riguardare qualsiasi uso di veicoli a fini di lavoro, e non soltanto il settore del trasporto di merci su strada.

4.13.1   I datori di lavoro - del settore privato come di quello pubblico - dovrebbero promuovere le buone pratiche per ridurre le collisioni sui percorsi casa-lavoro, incoraggiare i dipendenti a utilizzare quando possibile i mezzi pubblici, definire linee guida in materia di sicurezza per i parchi di veicoli e monitorare le prestazioni di questi ultimi in fatto di sicurezza. Un buon esempio in quest'ambito è il progetto Praise (3), cofinanziato dalla Commissione europea e diretto a promuovere la gestione della sicurezza stradale connessa all'attività lavorativa e a fornire il relativo know-how ai datori di lavoro. Queste tematiche potrebbero inoltre interessare anche l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA).

4.13.2   Nella stessa prospettiva, è in fase di elaborazione una nuova norma internazionale ISO 39001 per la sicurezza stradale dei lavoratori, che dovrebbe essere emanata entro la fine del 2011. La Commissione europea dovrebbe invitare tutti i firmatari della Carta europea per la sicurezza stradale a ottenere quanto prima la certificazione ISO 39001.

4.14   Altre condizioni per la creazione di uno «spazio della sicurezza stradale» sono: una maggiore ricchezza di dati statistici comparabili sugli Stati membri, un feedback con informazioni fornite dagli Stati membri alla Commissione con cadenza annuale, la creazione di un sistema di monitoraggio e di follow-up a livello di UE attraverso un'agenzia europea per la sicurezza stradale, la corretta e rapida attuazione della normativa UE da parte di tutti gli Stati membri, una maggiore enfasi sulla formazione e sull'educazione permanente e un'attenzione particolare per gli utenti della strada più giovani e più anziani.

4.15   Il CESE raccomanda l'adozione di un piano d'azione che preveda obiettivi ambiziosi ma realistici. Per motivi politici, come in passato, anche l'obiettivo stabilito per i prossimi dieci anni deve essere globale. Il CESE non intende interferire nel dibattito in corso proponendo una determinata percentuale di riduzione del numero di decessi, ma caldeggia fortemente la definizione di una serie di obiettivi specifici relativi alla riduzione del numero di vittime di incidenti che riportano lesioni gravi nonché del numero di utenti della strada particolarmente vulnerabili - pedoni, ciclisti e conducenti di motocicli e ciclomotori - feriti o comunque coinvolti in incidenti stradali.

4.16   Oltre a ciò, l'UE dovrebbe stabilire non solo l'obiettivo a lungo termine, ma anche obiettivi intermedi, avviando un programma di assistenza tecnica per fornire sostegno agli Stati membri che non sono ancora a buon punto nell'elaborazione di una strategia nazionale per la riduzione del numero di vittime della strada. Questo potrebbe essere un compito della nuova agenzia per la sicurezza stradale, una volta entrata in funzione.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 80 del 30.3.2004, pagg. 77-80.

(2)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 30.

(3)  Praise: Preventing Road Accidents and Injuries for the Safety of Employees («Prevenire gli incidenti stradali e le conseguenti lesioni per la sicurezza dei lavoratori») (www.etsc.eu/PRAISE.php).


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Strutture di finanziamento per le PMI nel contesto dell'attuale situazione finanziaria» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/07

Relatrice: Anna Maria DARMANIN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Strutture di finanziamento per le PMI nel contesto dell'attuale situazione finanziaria.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha adottato il proprio parere in data 8 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli, un voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) invita la Commissione a rafforzare gli strumenti di finanziamento per le PMI, rinnovando il regime di garanzia del Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) dopo la fine dell'attuale periodo di finanziamento, rendendo i fondi strutturali facilmente accessibili alle PMI e enunciando chiaramente le priorità di finanziamento. Nell'attuale contesto di minori fondi propri, gli organismi di garanzia offrono agli istituti bancari partner la possibilità di beneficiare di un utile effetto di mitigazione nel quadro di Basilea II. In tale contesto andrebbero incoraggiati gli organismi di mutua garanzia.

1.2   Il CESE raccomanda la creazione di piattaforme di negoziazione per le microimprese e le PMI. La maggior parte delle borse valori riconosciute prevede troppi obblighi di segnalazione e procedure troppo lunghe perché una PMI sia in grado di quotarsi in borsa. Inoltre i costi sono in genere proibitivi, compresi quelli connessi alle quotazioni alternative e/o secondarie. L'istituzione di minipiattaforme regionali coordinate da una rete europea creerebbe un nuovo strumento da utilizzare per raccogliere nuovo capitale per le piccole aziende. Ciò incoraggerebbe ulteriormente il finanziamento proveniente da capitale di rischio e dagli investitori informali (business angel) e inoltre aiuterebbe i piccoli investitori di capitali di rischio ad assistere le piccole imprese.

1.3   Le PMI, in particolare le microimprese, stanno incontrando più problemi a finanziarsi. Inoltre per la collettività in generale non è affatto chiaro dove sia finito tutto il denaro utilizzato per i salvataggi delle banche. Potrebbe non essere opportuno imporre alle banche di rendere pubblici questi dati ma, d'altro canto, il CESE ritiene che sarebbe più giusto che le banche destinassero una percentuale concordata dei fondi stanziati per il loro salvataggio (nei paesi in cui siano stati usati) per offrire linee di credito alle piccole imprese e alle microimprese, in particolare per progetti innovativi.

1.4   Il CESE incoraggia lo sviluppo di un quadro che faciliti la creazione di istituti di microfinanza partecipativa ed etica. Questo approccio finanziario può sicuramente rivelarsi positivo per le PMI essendo basato sulla condivisione del rischio e degli utili, su un finanziamento stabile e sulla rinuncia ad attività speculative. Un fenomeno come quello dell'attività bancaria partecipativa dovrebbe essere esaminato in modo approfondito dalla Commissione. Il CESE invita quest'ultima a preparare un Libro verde che serva di base per lanciare il dibattito sull'attività bancaria partecipativa a livello europeo. Le iniziative separate intraprese da Stati membri dell'UE quali Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Malta sono positive, ma possono ostacolare l'ulteriore integrazione del settore dei servizi finanziari all'interno dell'UE. Inoltre, iniziative separate e non coordinate possono non dare i risultati più efficienti che questo tipo di finanza potrebbe conseguire, come la condivisione del rischio e degli utili e un approccio sociale alla finanza. L'incentivazione della microfinanza islamica potrebbe anche stimolare la nascita di nuove attività imprenditoriali e, allo stesso tempo, contribuire alla lotta contro la povertà in determinate regioni. In tale contesto bisognerebbe lavorare a una direttiva che preveda, inquadri e incoraggi metodi alternativi di finanziamento, garantendo che tali metodi si trovino su un piano di parità con altri sistemi di finanza come la finanza convenzionale.

1.5   Il CESE raccomanda agli Stati membri di concedere direttamente prestiti alle PMI o di offrire garanzie totali o parziali agli enti finanziari per incentivarli a concedere finanziamenti. Durante la crisi finanziaria alcuni Stati membri hanno adottato questa pratica che si è dimostrata capace di attenuare i problemi di accesso ai finanziamenti delle PMI.

1.6   Il CESE ritiene che il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) dovrebbe investire nelle PMI direttamente oppure mediante un sub-fondo per un settore specifico, come il Fondo per giovani imprenditori, che avrebbe anche l'effetto di incoraggiare una cultura imprenditoriale. Inoltre i fondi della Banca europea per gli investimenti (BEI) dovrebbero essere allocati a intermediari che diano pieno sostegno alle PMI. Il CESE propone inoltre che, al fine di incoraggiare le banche intermediarie a utilizzare i fondi della BEI per finanziare le PMI, il rischio dovrebbe essere ripartito tra queste banche e la BEI.

1.7   Il CESE raccomanda che le banche concedano forme differenti di finanziamento, compreso il finanziamento a carattere partecipativo, innovativo ed etico. Un tipo di finanziamento come quello erogato dalla Grameen Bank in Bangladesh può essere molto limitato a causa dell'Accordo di Basilea II. Gli istituti finanziari non sono in condizione di iniziare dal problema invece che dalla soluzione: un sistema di credito deve essere basato su un'indagine del contesto sociale invece che su una tecnica bancaria prestabilita. Pertanto è necessaria una celere revisione di Basilea II oppure un accordo che preveda forme di finanziamento che si discostano dall'approccio convenzionale.

1.8   Nell'UE stanno facendo la loro comparsa le reti di investitori informali (business angel). Purtroppo tali reti non sembrano essere regolamentate e potrebbero esistere casi di rilevante abuso che dissuaderebbero gli imprenditori dall'utilizzare questa importante forma di finanziamento alternativo. Andrebbe promosso un quadro giuridico che incentivi l'azione delle reti di investitori informali oppure attività simili.

1.9   Il CESE raccomanda l'applicazione negli Stati membri di incentivi fiscali che siano rivolti agli investitori informali e alle loro reti, compresi gli investitori che appartengono alla famiglia dell'imprenditore, come i genitori. Molti giovani imprenditori fanno assegnamento sui fondi delle loro famiglie dato che nessun'altro fondo è disponibile e questi investitori andrebbero premiati e incoraggiati con crediti d'imposta.

2.   Introduzione e contesto

2.1   Gli Stati membri dell'UE si sono trovati alle prese con una sfida importante, ossia la necessità di incoraggiare e rafforzare l'imprenditoria. Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha fissato questo come obiettivo per far progredire l'occupazione, la riforma economica e la coesione sociale. Il 21 gennaio 2003 la Commissione europea ha pubblicato il Libro verde L'imprenditorialità in Europa, che rivolgeva la sua attenzione al fatto che il numero di europei che avviano una impresa propria fosse troppo modesto e all'assenza di una crescita continua delle imprese in essere.

2.2   Lo sviluppo dell'imprenditorialità arreca importanti benefici in termini sia economici che sociali. L'imprenditorialità non è soltanto una forza propulsiva per la creazione di posti di lavoro, per la competitività e la crescita, ma contribuisce anche alla realizzazione personale e al raggiungimento di obiettivi sociali (1).

2.3   La correlazione tra imprenditorialità e performance economica nazionale può essere ricondotta alla sopravvivenza delle imprese, all'innovazione, alla creazione di posti di lavoro, al progresso tecnologico e agli aumenti della produttività e delle esportazioni. Pertanto l'imprenditorialità è vantaggiosa non soltanto per le persone coinvolte, ma anche per la società nel suo complesso.

2.4   In un'indagine realizzata dal Centre for Enterprise and Economic Development Research (Centro per la ricerca nel campo dello sviluppo aziendale ed economico), i fondi per l'avviamento rappresentavano uno dei problemi menzionati più di frequente tra quelli che i giovani imprenditori devono affrontare (insieme a quello degli obblighi normativi di natura amministrativa). Tuttavia soltanto il 40 % circa delle organizzazioni di sostegno specializzate che hanno risposto all'indagine riteneva che tale problema fosse maggiore di quello dei vincoli finanziari che agiscono su altre piccole imprese. Molte aziende di nuova costituzione hanno difficoltà a procurarsi la garanzia richiesta per ottenere un prestito per l'avviamento dell'attività, ma per i giovani imprenditori tali difficoltà possono rappresentare un ostacolo più rilevante in quanto essi hanno minori opportunità di accumulare attivi che possono essere utilizzati come garanzia. Ovviamente fino a che punto ciò costituisca un vincolo reale varia a seconda dei settori e delle attività imprenditoriali.

2.5   L'attuale crisi economica è un disincentivo per l'imprenditorialità, specie per il modo in cui colpisce le PMI. Il CESE ha trattato estesamente la genesi e le conseguenze della crisi finanziaria e il ruolo centrale che vi ha avuto il sistema bancario. La realtà è che le PMI sono ancora gravemente colpite dalla crisi e continuano ad incontrare problemi di accesso ai finanziamenti.

2.6   Ad ogni modo, nell'attuale scenario il credito bancario rimane estremamente scarso (malgrado le considerevoli riduzioni dei tassi d'interesse di riferimento) a causa:

delle perdite derivanti da prassi contabili basate sul valore corrente di mercato (mark-to-market, ossia il processo mediante il quale le banche riducono il valore contabile dei titoli iscritti in bilancio perché non esiste mercato per questi titoli nel prossimo futuro),

della inesigibilità o dubbia esigibilità dei debiti della clientela, a causa, ancora una volta, dalla recessione,

dell'assenza di finanziamenti sul mercato interbancario, un fenomeno ancora sotto i nostri occhi che sinora non si è corretto malgrado l'intervento di numerosi governi,

del persistente fattore paura (i banchieri che temono per il proprio posto di lavoro sono meno propensi a correre il rischio di prendere decisioni in materia di credito che possono sembrare rischiose).

2.7   Pertanto il capitale delle banche viene razionato e dato in prestito alla clientela già esistente che le banche difficilmente possono permettersi di perdere, oppure investito in strumenti a reddito fisso di qualità superiore, come i titoli di Stato. Poiché i governi stanno aumentando i loro fabbisogni di finanziamento per iniettare fondi nelle rispettive economie, la disponibilità di titoli di debito sovrano è cresciuta e ciò, a sua volta, porta a meno fondi disponibili per l'erogazione di credito a imprese e consumatori.

3.   Una breve panoramica, basata sull'osservazione, della natura delle PMI, al di là delle statistiche ufficiali

3.1   Le PMI sono speciali sotto vari aspetti. Elencare tutte le specifiche caratteristiche non renderebbe giustizia al dinamismo delle PMI; ciononostante vale la pena ricordare alcune di queste caratteristiche in modo conciso.

3.2   Le PMI sono generalmente imprese familiari in cui la proprietà passa di generazione in generazione; la famiglia è pertanto un investitore importante per l'impresa, ma spesso non sufficiente. Le PMI tendono ad avere un radicamento locale e ciò influisce sui loro metodi di esternalizzazione e sul loro modo di assumere personale (spesso molto prudente). Non c'è una netta distinzione tra chi gestisce l'impresa e chi ne detiene la proprietà; inoltre spesso esiste uno stretto rapporto tra personale e proprietari (ciò accresce la fedeltà di entrambe le parti). Le PMI sono flessibili, dinamiche e rapide nell'incorporare l'innovazione. Le PMI sono contraddistinte dalla riluttanza a correre rischi nella gestione dei flussi di cassa, a utilizzare i loro fondi di riserva prima di rivolgersi ad istituti di credito e dalla necessità di superare numerosi passaggi burocratici per chiedere prestiti e riceverli.

3.3   La percezione che prestare alle PMI comporti rischi maggiori è in parte dovuta alla stessa natura di tale categoria di aziende, che spesso sono imprese di recente creazione, restie ad accettare le lungaggini di sistemi di finanziamento burocratizzati, prive di garanzie sufficienti e, in genere, sprovviste di strumenti di gestione del rischio a causa della loro dimensione.

3.4   Occorre rilevare che i problemi incontrati dalle PMI sono ancora più accentuati nelle microimprese.

4.   Strumenti di finanziamento

4.1   Quotazione pubblica in borse valori riconosciute - Le offerte iniziali al pubblico riguardano in genere imprese consolidate che cercano di raccogliere capitale a lungo termine sotto forma di titoli rappresentativi di una quota del capitale nominale (azioni) o di titoli di debito (obbligazioni) ammessi al listino ufficiale. Questa raccolta generalmente ha luogo prima della fase di espansione, quando i proprietari dell'impresa e/o i finanziatori con capitali di rischio cercano di uscire dall'azienda. Esistono anche mercati secondari, che in genere non sono adatti per le microimprese, e solo le aziende più grandi del settore delle piccole imprese saranno in grado di seguire questa strada. Sebbene i listini alternativi siano generalmente più scarni di quelli del mercato primario, essi sono soggetti agli stessi obblighi sulla pubblicità delle informazioni. Il costo dell'ammissione al listino può andare da 500 000 euro in su.

4.2   Nuove fonti di finanziamento: i prestiti partecipativi delle banche - Un nuovo fenomeno sta facendo la sua comparsa in tutta l'Europa sotto forma di prestiti partecipativi ed etici, noti anche con il nome di finanza islamica. Il suo modus operandi è interessante e probabilmente appropriato per le PMI e i loro fabbisogni finanziari visto l'attuale contesto. Essa offre vari strumenti, molti dei quali non sono nuovi per i paesi europei. Tuttavia una parte della legislazione, specie quella in materia fiscale, sta ostacolando l'evoluzione di questo tipo di finanziamento. Purtroppo vari Stati membri dell'UE (come Regno Unito, Francia, Lussemburgo, Germania, Malta e Italia) stanno adottando misure unilaterali con il rischio di creare problemi per quanto riguarda l'attività all'estero delle banche nell'ambito mercato interno. È possibile il sorgere di un fenomeno consistente nella possibilità che gli istituti finanziari che concedono prestiti partecipati trovino strumenti legislativi alternativi per penetrare nel mercato dell'UE (2).

4.2.1   Questo sistema di finanza può senz'altro essere vantaggioso per le PMI, essendo basato sulla condivisione del rischio e del profitto, su un finanziamento stabile, sulla rinuncia ad attività speculative e a certi tipi di investimenti.

4.2.2   Un campo particolarmente nuovo e in evoluzione è quello noto come microfinanziamento islamico. La microfinanza è costituita da un ventaglio di servizi finanziari per persone che sono tradizionalmente considerate come non finanziabili dalle banche, soprattutto perché prive delle garanzie che possono proteggere un istituto finanziario contro un rischio di perdita.

4.2.3   La vera rivoluzione della microfinanza consiste nel fatto che essa dà una possibilità a persone a cui era negato l'accesso al mercato finanziario, apre nuove prospettive e mette in grado le persone di poter finalmente realizzare i loro progetti e le loro idee con risorse proprie, evitando l'assistenza, i sussidi e la dipendenza. Le esperienze di microfinanza realizzate in tutto il mondo hanno ormai definitivamente provato che i poveri hanno bisogno di un'ampia gamma di servizi finanziari, che sono disposti a sopportare le relative spese e che sono assolutamente idonei a usufruire dei servizi bancari. La microfinanza ha come destinatari specifici coloro che vivono al limite della cosiddetta soglia di povertà, persone che potrebbero raggiungere più facilmente una qualità di vita dignitosa e che hanno idee imprenditoriali, ma sono prive di accesso alla finanza formale.

4.2.4   Su questo argomento sono stati condotti alcuni studi e l'esperienza in questo campo è ancora relativamente limitata, ma la microfinanza dimostra di possedere un enorme potenziale sia nella lotta alla povertà e all'esclusione finanziaria e sociale, sia nell'ampliare e accrescere la base della clientela degli istituti finanziari nei paesi in via di sviluppo con un substrato culturale islamico. Pertanto l'attività bancaria partecipativa ha dimostrato di concentrarsi non solo sui risultati finanziari, ma anche sulla massimizzazione dei benefici sociali attraverso la creazione di istituti finanziari più sani che possono erogare servizi finanziari efficaci, anche a livello di base.

4.3   Regimi di finanziamento dei governi e dell'UE - I governi, tramite i loro intermediari, sono stati coinvolti nella promozione delle imprese attraverso varie misure, come gli incentivi fiscali, i regimi di finanziamento e le sovvenzioni accordate nel quadro del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo europeo per gli investimenti.

4.3.1   Il ricorso a talune iniziative concernenti il capitale di avviamento e il capitale iniziale può non avere raggiunto i livelli sperati.

4.4   I business angel , noti anche come investitori privati o investitori informali, sono classificati come fonti di finanziamento non tradizionali e forniscono capitale azionario alle imprese dalla fase di avviamento a quella della prima crescita.

5.   Un possibile quadro d'azione da adottare per frenare il tracollo di investimenti e finanziamenti e per agevolare l'accesso delle PMI al credito

5.1   Nell'attuale scenario economico è cruciale una rapida attuazione della legislazione sulle piccole imprese (Small Business Act - SBA). Il CESE ha accolto con favore lo SBA preparato dalla Commissione, ma ribadisce che è fondamentale attuare le iniziative in esso proposte.

5.1.1   Considerato che attualmente la liquidità rappresenta una merce di lusso per le PMI, occorre modificare la direttiva sui ritardi di pagamento per garantire che le PMI vengano pagate puntualmente per tutte le operazioni commerciali e che venga rispettato il termine di pagamento di 30 giorni. È tuttavia necessario che l'attuazione della direttiva sia realmente fattibile e che incontri il consenso dei fornitori (sia pubblici che privati).

5.1.2   Occorre inoltre attuare con celerità la direttiva sulle aliquote IVA ridotte applicabili ai servizi che sono prestati a livello locale e sono ad alta intensità di lavoro, servizi che sono principalmente forniti dalle PMI. Malgrado alcune controversie sorte in proposito, si ritiene che tale direttiva potrebbe stimolare le pratiche commerciali delle PMI, rendendole più interessanti per il consumatore finale.

5.2   Secondo i dati delle camere di commercio europee, il 30 % delle PMI deve far fronte a problemi di liquidità, un quarto dei quali è dovuto alla mancata concessione di credito da parte delle banche. In un momento in cui gli istituti bancari sono sottoposti ad attento esame e stanno seguendo un approccio estremamente prudente nell'erogazione del credito, il fatto che le PMI siano oggetto di una linea di condotta così prudente avrà effetti negativi per l'economia.

5.2.1   I fondi bancari per le PMI sono stati aumentati dall'UE attraverso l'aumento dei fondi della BEI per effetto del piano di ripresa economica. Tuttavia l'esperienza delle PMI è che l'accesso al credito tramite le banche è ancora molto difficile. Pertanto, sebbene sembri che il denaro sia stato destinato al finanziamento delle PMI, esso in realtà non sta raggiungendo le PMI. Di conseguenza è importante che le banche intermediarie selezionate per gestire i fondi della BEI siano banche che sostengono pienamente le PMI. Quando un intermediario non riesce sistematicamente a far confluire questi fondi verso le PMI, la BEI dovrebbe cessare di utilizzarlo. Infine, allo scopo di incoraggiare gli intermediari a prestare veramente i fondi della BEI alle PMI, il rischio del prestito dovrebbe essere ripartito tra la BEI e gli intermediari e non sopportato solo da questi ultimi.

5.3   Una questione importante, in particolare per le imprese appena avviate, è l'accesso al capitale di rischio. In Europa il mercato del capitale di rischio per l'avviamento delle imprese rappresenta all'incirca soltanto 2 miliardi di euro l'anno, il che equivale solo a circa il 25 % del corrispondente mercato statunitense. Non più di una PMI su 50 si rivolge a una società di capitale di rischio per ottenere dei finanziamenti. Le informazioni sui finanziamenti di questo tipo sono facilmente disponibili, tuttavia molto spesso le PMI tradizionali non si rendono conto della possibilità di ottenere effettivamente del capitale di rischio. Ciò è anche legato all'approccio prudente in rapporto al rischio seguito dagli imprenditori europei, che sembrano ricorrere più ai servizi offerti dalle banche che ai capitali di rischio.

5.4   Gli appalti pubblici rappresentano un'opportunità importante per le PMI che, tuttavia, sono meno competitive in questo settore a causa non solo dell'esperienza già accumulata dalle società più grandi, ma anche delle rigorose normative in materia di garanzie bancarie e rendiconti finanziari sul fatturato. Negli appalti pubblici si dovrebbero introdurre misure più attente alla situazione delle PMI, come ridurre il capitale legato alle garanzie bancarie, favorire la presentazione di offerte da parte delle PMI e sostenere i raggruppamenti (cluster) di PMI.

5.5   La priorità fondamentale per le PMI è la riduzione degli adempimenti burocratici, perché esse sostengono oneri normativi e amministrativi sproporzionati rispetto alle imprese più grandi. È assodato che, se una grande società spende mediamente 1 euro per dipendente per adempiere agli obblighi di legge, una piccola azienda deve spenderne fino a 10. La Commissione ha imboccato la giusta direzione nel ridurre gli adempimenti burocratici, però siamo ancora lontani dal raggiungere quel livello che aiuterebbe effettivamente le PMI.

5.6   La concorrenza sostenibile rappresenta il futuro della nostra economia. Le PMI che aderiscono ai principi dello sviluppo sostenibile e che operano secondo i criteri dell'economia «verde» dovrebbero quindi essere agevolate nel loro processo di finanziamento.

5.7   I finanziamenti dell'UE sono abbondanti e ad ampio raggio, e sostengono utilmente le PMI che operano nel settore delle nuove tecnologie. Tuttavia, occorre incoraggiare le PMI più tradizionali che si occupano della fornitura di prodotti e/o servizi, in modo che adottino impostazioni innovative nel proprio ambito di attività. Sarebbe necessario un ulteriore rafforzamento degli strumenti di finanziamento, per sostenere anche queste attività diffuse a livello delle PMI.

5.8   Il CESE riconosce che organismi come quelli che fanno parte dell'Associazione europea di mutua garanzia (European Mutual Guarantee scheme, AECM) sono stati utili durante la crisi. Invita la Commissione a continuare a creare un ambiente favorevole al mantenimento del sostegno da parte di tali organismi alle PMI per quanto riguarda le garanzie offerte per il loro finanziamento.

5.9   Il Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) è stato uno strumento utile per le PMI, e il CESE invita pertanto la Commissione a mantenere dopo il 2013 lo strumento delle garanzie in favore delle PMI previsto da tale programma.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Flash Eurobarometro n.192, Entrepreneurship Survey of the EU (25 Member States), United States, Iceland and Norway - Analytical Report (Indagine sull'imprenditoria nell'UE (25 Stati membri), negli Stati Uniti, in Islanda e in Norvegia - Relazione analitica).

(2)  Cfr. «Islamic Finance in a European Union Jurisdiction Workshops Report» (Relazione sui seminari sul tema La finanza islamica in un ambito giurisdizionale europeo) pubblicata da: Malta Institute of Management, Malta Employers Association e Malta Union of Bank Employees.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Dopo la crisi: un nuovo sistema finanziario per il mercato interno» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/08

Relatore: IOZIA

Correlatore: BURANI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Dopo la crisi: un nuovo sistema finanziario per il mercato interno.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 8 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) con questo parere d'iniziativa si propone di indicare alcune possibili riforme del sistema finanziario europeo: come dovrebbe essere regolamentato, come dovrebbe funzionare meglio, per ridurre i rischi sistemici. La crisi ancora può riprendere vigore ed intensità, se non si porrà un argine alla speculazione selvaggia e se i governi non daranno quelle risposte attese ormai da troppo tempo.

1.2   Dopo la crisi quale sistema finanziario per il mercato interno? BCE/SEBC, banche commerciali, di investimento, istituzioni finanziarie mutue e cooperative, etiche, assicurazioni, fondi pensione, fondi di investimento, private equity, hedge fund, società di rating; produttori, distributori e venditori di prodotti finanziari e titoli; borse, mercati non regolamentati; regolatori, autorità di vigilanza, agenzie di rating di credito: questi gli attori principali del sistema finanziario che saranno chiamati a modificare i loro comportamenti, ad adeguarsi ad una normativa più stringente, ad adeguare la propria organizzazione ai nuovi compiti che saranno loro assegnati.

1.3   Non tutti gli attori del mercato debbono essere considerati in modo generalizzato responsabili. Fortunatamente alcuni settori importanti, come alcuni importanti gruppi transnazionali non sono stati direttamente coinvolti dalla crisi, perché le loro attività erano ben lontane dal grande casinò della finanza. Assicurazioni, banche cooperative e popolari, casse di risparmio, ma anche primarie banche commerciali europee e globali, non hanno dovuto rettificare i loro conti a causa delle perdite finanziarie, né chiedere aiuti ai propri governi.

1.4   «Motivo della crisi è la miseria morale», il CESE condivide questa sintesi di Tomáš Baťa del 1932, purtroppo registrando che nulla è cambiato! Lavoratori e pensionati, imprese, cittadini, organizzazioni della società civile, consumatori ed utenti sono tutti fortemente interessati a poter contare su un sistema finanziario efficiente e sicuro, a costi ragionevoli, cui affidare i propri risparmi con fiducia, cui rivolgersi per sostenere un'iniziativa economica, cui guardare come un indispensabile strumento di crescita economica e di presidio di importanti funzioni sociali quali le pensioni, le assicurazioni contro le malattie e gli infortuni, i danni. La gravissima crisi finanziaria ha messo in pericolo tutto questo, attraverso una generalizzata perdita di fiducia.

1.5   Occorre ricostruire un capitale di fiducia verso le istituzioni finanziarie, ma anche verso le istituzioni politiche e le autorità regolatrici e di vigilanza, che non hanno saputo e potuto evitare questa catastrofe che è costata fino ad ora 2300 miliardi di euro secondo le stime più recenti dell'FMI.

1.6   L'opinione pubblica è stata scossa profondamente. La crisi di liquidità conseguente alla crisi finanziaria ha investito l'economia reale che ha subito un contraccolpo enorme: la disoccupazione è arrivata ad oltre il 10 %, con punte del 22 % in Lettonia e del 19 % in Spagna, con un totale di oltre 23 milioni di disoccupati a dicembre. Cifra che è destinata ancora a salire. Tutti i bilanci pubblici hanno registrato deficit enormi, che dovranno essere ripianati con manovre di rientro, che certamente non aiuteranno la crescita, ma agiranno da freno ad una ripresa che già si preannunciava fredda, cioè senza effetti positivi sull'occupazione.

1.7   Il CESE nel corso di questi anni ha elaborato una serie di pareri proponendo alcune riflessioni, spesso ignorate, che avrebbero certamente aiutato, se ascoltate, ad evitare o quanto meno a ridimensionare gli effetti devastanti della crisi.

1.8   Il CESE chiede alle istituzioni europee di accelerare il processo di riforma. Trascorso circa un anno e mezzo dalla presentazione delle conclusioni della commissione de Larosière, il processo decisionale europeo non è ancora entrato nella fase conclusiva. I governi, purtroppo, hanno indebolito il disegno di riforma, escludendo, ad esempio, la possibilità d'intervento di un'authority europea su istituzioni finanziarie transnazionali.

1.8.1   Il CESE prende atto con favore della comunicazione della Commissione sulle iniziative legislative che saranno prese per rafforzare la regolazione e la trasparenza del mercato finanziario. Tali proposte, intervenute durante la redazione del presente parere, vanno nella direzione auspicata. Potenziare la vigilanza sulle agenzie di rating del credito, aprire il dibattito sulla governance societaria sono gli aspetti più importanti. Le relazioni sui compensi agli amministratori e sulle politiche retributive compendiano il pacchetto. Entro sei-nove mesi la Commissione si è impegnata a presentare ulteriori proposte per migliorare il funzionamento dei mercati dei derivati, misure adeguate sulle vendite allo scoperto e sui CDS e miglioramenti alla direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID).

1.8.2   Il CESE attende con molto interesse le altre iniziative preannunciate nel campo della responsabilità: la revisione della direttiva relativa ai regimi di garanzia dei depositi e della direttiva relativa ai sistemi di indennizzo degli investitori. La direttiva sugli abusi di mercato e quella sui requisiti patrimoniali (CRD IV) saranno sottoposte a modifica; mentre è in preparazione una nuova proposta sui prodotti di investimento al dettaglio preassemblati (PRIP). Per diminuire l'arbitraggio regolamentare, la Commissione emanerà una comunicazione sulle sanzioni nei servizi finanziari.

1.9   Il CESE ritiene che occorra lavorare più intensamente per preparare il sistema finanziario del dopo crisi, che dovrà essere trasparente, socialmente ed eticamente responsabile, meglio controllato e innovativo e che dovrà avere una crescita equilibrata, compatibile con il resto del sistema economico, orientata alla creazione di valore nel medio e lungo periodo, una crescita sostenibile.

1.10   Alcuni milioni di persone lavorano nel mondo della finanza. La larghissima maggioranza è fatta di persone per bene, che lavorano con professionalità e che meritano il rispetto di tutti. Una piccola minoranza di irresponsabili e di senza scrupoli ha messo a repentaglio la reputazione di un'intera categoria di lavoratrici e di lavoratori.

1.11   Il CESE raccomanda maggiore trasparenza in particolare nella identificazione dei rischi. I mercati OTC non dovrebbero essere aperti a scambi bilaterali, ma funzionare esclusivamente con controparte centrale, che monitorando il livello di rischio complessivo può limitare l'accesso alle transazioni per quelle parti eccessivamente esposte. Gli scambi dovrebbero avvenire su un'unica piattaforma, o al massimo su un insieme definito di piattaforme, migliorando così la trasparenza dei mercati.

1.12   La responsabilità sociale d'impresa, nel settore finanziario dovrebbe essere declinata in tutte le attività e in ogni comportamento Sono stati privilegiati volumi di vendite piuttosto che idonei consigli di investimento. Il ritorno ad un'etica professionale alta, una esplicita condanna delle associazioni di categoria che dovrebbero indurre a comportamenti corretti, attraverso un'opera di prevenzione e sanzionare quelle imprese giudicate colpevoli di episodi di malafede, di truffe, di comportamenti penalmente perseguibili.

1.13   Una governance più aperta e democratica delle authority nazionali ed europee, che includa gli stakeholder nelle attività regolatorie e di vigilanza. Lavoratori, imprese, consumatori ed utenti dovrebbero avere un ruolo riconosciuto nella governance d'impresa. Il CESE raccomanda un maggior coinvolgimento della società civile nella consultazione e nella valutazione d'impatto. Recenti decisioni della Commissione in merito alla scelta di gruppi di esperti continuano a privilegiare esclusivamente l'industria, senza coinvolgere adeguatamente consumatori e lavoratori. Il CESE non si stanca di continuare a raccomandare una rappresentanza bilanciata della società civile nell'ambito dei gruppi di esperti e dei comitati organizzati dalla Commissione.

1.14   Una governance delle imprese per le quali i requisiti di onorabilità e di trasparenza si estendano dagli amministratori agli azionisti, il cui capitale ad oggi è considerato per definizione di origine lecita, quando esempi clamorosi hanno dimostrato che non sempre è così.

1.15   Il ruolo dei manager è diventato esorbitante, come alcuni dei loro compensi stratosferici, che sono stati mantenuti perfino dopo le nazionalizzazioni intervenute per salvare alcuni istituti dal fallimento. Una seria politica di contenimento di bonus, da distribuire eventualmente solo in presenza di risultati stabili nel medio termine e migliori della media di sistema; incentivazioni al personale legate a vendite responsabili, non a campagne per prodotti bancari non basate sul dovuto rispetto per i bisogni dei consumatori, incentivazioni dirette alla valorizzazione della qualità del capitale umano in termini di contributo professionale, di soddisfazione della clientela, di migliore professionalità.

1.16   Il CESE raccomanda l'adozione di serie ed efficaci misure da parte delle autorità nazionali di vigilanza, che non sembrano molto convinte della opportunità di un'azione che non è solo moralizzatrice, ma che tende a preservare per il futuro il profilo di rischio, esplicito od occulto. Molte operazioni ad altissimo rischio, assunte per moltiplicare profitti e bonus, si sarebbero potute evitare.

1.17   Il CESE chiede che sia eliminato dalla legislazione europea il riferimento al rating per quanto riguarda la classificazione degli investimenti e la conseguente copertura nei fondi rischi, adottata con i principi di Basilea II e chiede che le autorità nazionali rivedano la politica di investimento.

1.18   La classificazione del debito sovrano degli Stati membri, dovrebbe essere fatta esclusivamente attraverso una nuova agenzia indipendente europea. Gli annunci di downgrading del debito sovrano di un paese, come recentemente nel caso della Grecia e di altri paesi europei in difficoltà, hanno causato serie difficoltà sui mercati, incitando la speculazione ad attaccare vistosamente le emissioni, amplificando la percezione di una crisi grave.

1.19   Gli aiuti concessi alla Grecia serviranno a mettere al riparo il sistema finanziario internazionale che ha sottoscritto per centinaia di miliardi di euro il debito greco, fidandosi anche della più importante banca d'affari del mondo, che ha nascosto importanti finanziamenti che non sono apparsi sui conti ufficiali di Atene. Solo le banche francesi (76,45 miliardi) e quelle tedesche (38,57) assommano prestiti per 115 miliardi: ancora una volta i contribuenti europei saranno chiamati a pagare per i comportamenti illegali. Il pesantissimo conto economico e sociale che i cittadini greci dovranno sostenere è enorme.

1.20   Il CESE ritiene opportuno approfondire il tema della tassazione di alcune attività finanziarie, in particolar modo quelle a carattere eminentemente speculativo. Un parere sull'argomento è stato recentemente adottato.

1.21   Il CESE raccomanda la messa a punto di sistemi integrati di gestione della crisi, che prevedano criteri efficaci di pre-allarme, di prevenzione e di uscita dalla crisi. È necessario sviluppare meccanismi affidabili di reciproca responsabilità tra le autorità degli Stati membri, soprattutto per quello che riguarda i grandi gruppi europei: in Europa centrale e dell'Est, ad esempio, i mercati finanziari sono quasi esclusivamente nelle mani di assicurazioni e banche dell'Ovest.

2.   Introduzione

2.1   «Motivo della crisi è la miseria morale

Punto di svolta della crisi economica? Io non credo in punti di svolta spontanei. Quello che noi siamo abituati a chiamare la crisi economica è solo un nome diverso per la miseria etica.

Miseria morale è la causa, la crisi economica è solo la conseguenza. Ci sono molte persone nel nostro paese che pensano che sia possibile salvarci dal declino economico con il denaro. Io temo le conseguenze di questo errore. Nel caso in cui ci troviamo ora, non abbiamo bisogno di colpi di scena brillanti o di combinazioni.

Abbiamo bisogno di un atteggiamento morale nei confronti delle persone, del lavoro e della proprietà pubblica.

Mai più sostegno per le bancarotte, mai più debiti, mai più gettare via i valori per niente, mai più sfruttamento dei lavoratori; avremmo meglio dovuto fare altre cose per risollevarci dopo la povertà del periodo di guerra e rendere il lavoro e il risparmio più efficace, desiderabile e più onesto, piuttosto che darci alla pigrizia e allo spreco. Hai ragione, è necessario superare la crisi di fiducia, tuttavia non la sconfiggeremo con mezzi tecnici, finanziari o di credito. La fiducia è un fatto personale e può essere ristabilita solo attraverso un comportamento morale e l'esempio personale». Tomáš Baťa 1932.

2.2   Nulla è cambiato

2.2.1   La citazione, inusuale nei pareri del Comitato, serve ad introdurre il tema molto più di una dotta e ripetuta analisi della crisi, degli errori della politica, dei controllori, delle società di rating, della finanza ed anche degli investitori e degli azionisti. Sono stati spesi fiumi di inchiostro: è sufficiente dire che le misure attuate, in corso di esame o progettate in materia di vigilanza macro e microprudenziale sono sostanzialmente valide e razionali, ma ancora manca un collegamento organico e strutturale fra vigilanza del mercato (banche, assicurazioni, mercati finanziari) e controllo dei sistemi di pagamento; questi ultimi possono fornire preziosi segnali - se debitamente interpretati - di défaillance individuali o di minacce sistemiche. Occorre che le autorità prendano in esame l'opportunità di dotarsi di questo sistema di controlli incrociati.

2.2.2   A differenza del passato, la società civile non intende lasciare il dibattito sul futuro del sistema finanziario agli specialisti, ai tecnici e ai politici, ma intende partecipare attivamente alla costruzione di un sistema finanziario sostenibile, visto che inesorabilmente le conseguenze delle scelte ricadono su lavoratori, imprese e cittadini. Il denaro pubblico impegnato nei salvataggi delle banche più esposte, prima, e nel necessario ossigeno all'economia, strangolata da una crisi di liquidità senza precedenti, dopo, è andato ad incrementare i deficit e i debiti pubblici, che dovranno essere risanati con ulteriori manovre correttive che scaricheranno di nuovo sui cittadini oneri e tasse, di cui non si sentiva certamente il bisogno.

2.2.3   Il sistema finanziario dopo la crisi non dovrà e non potrà essere più quello che si è andato a formare nel corso degli ultimi 20 anni. Rinunciando a percentuali di crescita che una politica di breve termine ha fatto esplodere.

2.2.4   Una redditività molto elevata, infatti, ha spinto le imprese più motivate ad iniziare una fase di concentrazione considerata impensabile fino a pochi anni fa.

2.2.5   Queste concentrazioni sono state facilitate dalla liberalizzazione, dalla privatizzazione in molti paesi, ma soprattutto dall'impulso derivante dalle direttive sul mercato unico, che hanno cancellato non solo i confini territoriali, ma anche quelli che separavano le diverse categorie specialistiche: banche commerciali, investment bank, società finanziarie, società di borsa, depositari di titoli, gestori di sistemi di pagamento, assicurazioni, ecc.

2.2.6   I conglomerati finanziari che si sono costituiti sono caratterizzati da una forte eterogeneità, da una complessità di articolazioni, incroci azionari, golden share (per le banche ex pubbliche in particolare) rendendo estremamente difficile, se non impossibile, una vigilanza globale sulle strutture. Solo ora, dopo la bufera che ha sconvolto i mercati, ci si rende conto della necessità di dotarsi di forme di vigilanza transnazionale. I processi decisionali, però, avanzano troppo lentamente. Le potenti organizzazioni finanziarie cercano di limitare l'azione regolatrice delle autorità, riuscendo a convincere alcuni governi europei a sostenere le loro ragioni. La relazione de Larosière, le conseguenti direttive, la revisione degli accordi di Basilea II e la modifica degli IASB stanno procedendo con grande fatica e molte delle promesse di cambiamento sembra si stiano perdendo per strada.

2.3   La redditività

2.3.1   Redditività e crescita

2.3.1.1   Un'elevata redditività è da sempre considerata un indice di salute di un'impresa. È anche un elemento che ne sostiene la crescita dimensionale attraverso il reinvestimento dei profitti. Un'impresa con il cui ROE è il 10 % reinvestendo tutti i suoi profitti può crescere del 10 % all'anno, se mantiene costante il suo rapporto tra debiti e mezzi propri: se cresce più velocemente significa che aumenta il peso del debito oppure che fa ricorso a nuovi apporti di capitale proprio.

2.3.1.2   Ne consegue che le imprese più redditizie hanno maggiori possibilità di crescita e sviluppo.

2.3.2   Redditività e rischio

2.3.2.1   Spesso per migliorare la redditività si devono sopportare maggiori rischi: a tale proposito si sostiene che ciò che conta è la redditività aggiustata per il rischio. Solo l'aumento della redditività aggiustata per il rischio configura una reale creazione di nuovo valore (per gli azionisti, sia inteso, non necessariamente per gli altri stakeholder).

2.3.2.2   Chi è arbitro di questo giudizio di redditività corretta per il rischio? Il mercato finanziario, ovviamente.

2.3.2.3   Cosa ci ha insegnato al riguardo la crisi? Che sebbene sia migliorata la capacità di interpretare e stimare molti rischi, il mercato non è sempre in grado di quantificarli correttamente.

2.3.2.4   Ne consegue che certi modelli di redditività e sviluppo, sia delle imprese che delle intere economie, sembravano vincenti semplicemente perché non se ne stimavano correttamente i rischi.

2.3.2.5   La più importante lezione che ci deve insegnare la crisi è che non saremo mai capaci di stimare correttamente tutti i rischi.

2.3.3   I driver della redditività

2.3.3.1   I due principali driver di redditività, non solo per le imprese finanziarie sono:

il miglioramento dell'efficienza, reso possibile dalle economie di scala (crescita dimensionale) ed economie di scopo (crescita dell'ampiezza di offerta dei prodotti e servizi),

l'innovazione: offrire prodotti e servizi nuovi su cui i margini di profitto, grazie a una concorrenza meno ampia, sono maggiori.

2.3.3.2   Per questi motivi, «grande è bello» e «l'innovazione finanziaria è un bene» sono stati per lungo tempo gli slogan di molti attori del mercato finanziario. Il fatto è che sono stati sottostimati i rischi collegati a questi fattori. Richiamiamoli:

2.3.3.3   Dimensione - economie di scala: il rischio principale è il rischio sistemico del «too big to fail».

2.3.3.4   Ampiezza dell'offerta - economie di scopo: il rischio principale è sempre di natura sistemica, ma potrebbe essere riassunto da questa affermazione: «too interconnected to fail».

2.3.3.5   Innovazione finanziaria: innovazione finanziaria significa introdurre nuovi prodotti/servizi per gestire nuovi rischi o per gestire in modo nuovo rischi noti. Se fossero attività banali, le avrebbero già fatte altri. I rischi che ciò comporta sono spesso stimati con notevoli approssimazioni.

2.4   I rischi male stimati dell'innovazione finanziaria sono all'origine della crisi finanziaria. Ma l'innovazione è essenziale per conseguire una redditività elevata, troppo elevata alla luce dei tassi di crescita delle economie sviluppate. Bisogna andare alla causa del problema, piuttosto che agli effetti: dobbiamo accettare tassi di redditività e crescita più ridotti dei numeri a 2 cifre a cui si riteneva non solo legittimo, ma anche doveroso, aspirare. Questo perché per definizione è molto probabile che una redditività molto elevata, in un'economia che non può più crescere come 50 anni fa, comporti rischi che non possono essere trascurati. Se non diremo che in un'economia sviluppata non ha senso ed è insano aspirare ad avere dai propri investimenti ritorni a due cifre continueremo ad alimentare i semi che ci hanno portato a un passo dal collasso del sistema.

2.5   Il business delle banche e degli intermediari finanziari

Il sistema finanziario intermedia attività monetarie e finanziarie e rischi. L'intermediazione di rischi è condotta soprattutto con i contratti derivati, in larga parte OTC. La politica monetaria può influenzare direttamente l'intermediazione monetaria e finanziaria, ma ha le armi spuntate verso i derivati. I derivati infatti impiegano ammontari minimi di liquidità.

2.6   Il rischio dei derivati: ovvero i rischi della gestione dei rischi

I derivati sono stati il principale strumento d'innovazione finanziaria. Il mercato OTC è stato l'arena del risk sharing dove i rischi originariamente assunti da un unico attore venivano trasferiti e frazionati in innumerevoli transazioni. In teoria ciò dovrebbe portare a un frazionamento e quindi a un depotenziamento delle originali caratteristiche destabilizzanti dei rischi. Ma si è trascurato che le innumerevoli interconnessioni che queste transazioni comportano introducono un rischio controparte difficilmente controllabile, di fatto facendo perdere il senso del rischio globale, e un fenomeno del tipo «too interconnected to fail».

2.7   Un percorso verso un sistema finanziario più stabile

È sbagliato affermare che l'innovazione finanziaria, poiché ha contribuito a creare i presupposti per la crisi, debba essere vista con connotati negativi. Non si può però pensare che quello che è accaduto sia semplicemente un incidente di percorso: mostra invece che il sistema, così come è stato, non è accettabile.

Un'architettura integrata di controllo dei rischi deve muoversi lungo tre dimensioni: strumenti, mercati e istituzioni.

2.7.1   Gli strumenti

Piuttosto che proibire la creazione di nuovi strumenti, bisognerebbe applicare una sorta di meccanismo di registrazione che stabilisca a chi possono essere offerti. Gli strumenti non registrati possono essere usati solo da operatori qualificati. Si dovrebbe applicare il principio dei medicinali: alcuni possono essere venduti quasi liberamente, altri dietro la presentazione di una ricetta, altri solo in strutture particolari.

2.7.2   Le istituzioni

La tradizionale supervisione microprudenziale che dovrebbe controllare la stabilità stand-alone di un intermediario è insufficiente. Per costruire un quadro macroprudenziale si deve tenere conto di due importanti esternalità:

l'interconnessione. Le istituzioni finanziarie hanno esposizioni comuni che ampliano le conseguenze negative dei rischi. Qui ci rifacciamo ai due problemi «too big to fail» e «too interconnected to fail»,

la prociclicità. Il sistema finanziario dovrebbe gestire i rischi del sistema reale. In realtà accade spesso che le dinamiche dell'uno rinforzino quelle dell'altro, con la conseguenza che boom e crisi sono esasperati, invece che attenuati.

2.7.2.1   Attraverso il cosiddetto «shadow banking system» si sono perseguiti non solo scopi legittimi di maggiore flessibilità, ma anche scopi elusivi rispetto alle regole prudenziali. I soggetti regolati, come le banche, lo hanno usato per il cosiddetto «arbitraggio prudenziale», in altre parole per aumentare la leva finanziaria a dispetto di quanto richiesto funzionalmente dalla normativa. Questo sistema deve essere inquadrato nel perimetro regolamentare. Le banche non devono potere usare questo sistema per eludere gli obblighi patrimoniali.

2.7.3   I mercati

La crisi ha mostrato inequivocabilmente che i mercati finanziari non hanno una autonoma capacità di autocorreggersi, raggiungendo nuove condizioni di equilibrio, in tutte le situazioni. La possibilità che si passi abbastanza rapidamente dall'abbondanza di transazioni all'illiquidità è pertanto un'evenienza possibile.

2.7.3.1   Quando le transazioni avvengono bilateralmente, come negli OTC, il fallimento di un'istituzione può rapidamente contagiare molte controparti, con conseguente rischio sistemico. Per limitare i rischi sistemici dei mercati è necessario che gli scambi con controparte centrale si sostituiscano agli scambi bilaterali: inoltre gli scambi dovrebbero avvenire o sulla stessa piattaforma, o su un insieme definito di piattaforme, per assicurare una maggiore trasparenza. È verosimile che queste condizioni implichino una maggiore standardizzazione dei contratti scambiati: questo non è un effetto collaterale indesiderato, ma una conseguenza positiva che migliorerà la trasparenza dei mercati.

3.   La governance

3.1   Se è difficile controllare i mercati, ancora più difficile è controllare la governance: se in apparenza il controllo appartiene a chi detiene la maggioranza, effettiva o attraverso patti, in pratica le differenti legislazioni, alcune più permissive di altre, permettono la creazione di entità finanziarie di non chiara origine. Oltre ad un generale problema di trasparenza, entra in gioco un complesso argomento: quello della penetrazione nel mondo della finanza di poteri occulti o della criminalità finanziaria. La materia comprende i fondi sovrani o sotto controllo pubblico, il riciclaggio, l'evasione fiscale, i paradisi fiscali; in altri termini, la presenza - non necessariamente maggioritaria - di interessi «opachi». Il problema non riguarda soltanto i grandi gruppi; si estende, fors'anche in misura maggiore, alla moltitudine di imprese finanziarie e di fondi d'investimento, non necessariamente di grandi dimensioni. Le direttive prevedono regole per l'ammissione di persone negli organi direttivi e di azioni nelle trattazioni di borsa, ma tacciono sulla natura ed origine di capitali, implicitamente ammettendo che essa sia riconosciuta come lecita. Non si tratta qui di introdurre nuove regole, ma di istituire collegamenti operativi fra le autorità investigative e quelle di vigilanza.

3.2   Il tallone d'Achille dei grandi gruppi, spesso è proprio una governance debole e costruita a loro uso e consumo dai manager, diventati i veri dominus dell'impresa. La diluizione del capitale dovuta alle progressive integrazioni tra attori del mercato, ha determinato un progressivo indebolimento degli azionisti di riferimento, in alcuni casi al punto di non poter sostenere un'OPA ostile. Grandi gruppi a livello internazionale sono stati prima acquisiti e poi spolpati dai concorrenti, con conseguenze molto negative per l'economia reale e per i lavoratori.

3.3   «… un avvenire relativamente prossimo troverà la società organizzata in un sistema del tutto diverso di istituti fondamentali, economici, sociali e politici, e nella quale saranno affatto diverse anche le principali credenze sociali, o ideologie. Nella nuova struttura sociale un diverso gruppo o classe - i manager - sarà la classe dominante o dirigente» (James Burnham, The Managerial Revolution: What is Happening in the World. New York: John Day Co., 1941).

3.4   Il potere politico, piuttosto succube dei grandi manager bancari, ha assecondato questa trasformazione. Neanche nelle recenti, forzose, acquisizioni di banche da parte di alcuni Stati, ha avuto la capacità di rimettere un po' di ordine nei rapporti tra manager ed azionisti. La clamorosa sconfitta del Presidente Obama contro i vertici AIG, che hanno incassato 165 milioni di dollari, prelevandoli direttamente dai 170 miliardi messi a disposizione dal Tesoro americano, dà la misura del potere smisurato, in questo caso sfacciato ed arrogante, dei manager. Negli Stati Uniti, le grandi banche si sono rimesse in piedi grazie ai 787 miliardi di stimulus pagati dal contribuente. Poi hanno ricoperto i loro manager di bonus (49,5 miliardi solo tra Goldman Sachs, JpMorganChase e Morgan Stanley). E ora sempre grazie ai magici bonus risparmiano proprio sulle tasse: visto che i compensi sono detraibili, tutto il sistema (calcola la Robert Willens LLC) risparmierà qualcosa come 80 miliardi. In Europa le cifre sono più modeste, ma RboS ha distribuito 1,3 miliardi di sterline. Nulla cambia!

3.5   Occorre un serio ripensamento dei meccanismi di governance, ridistribuendo il potere aziendale tra azionisti e manager e riconducendo ognuno nel suo proprio alveo.

3.6   La partecipazione degli stakeholder alla governance, una democrazia economica più avanzata, possono contribuire a riequilibrare il potere e a orientare dal brevissimo termine al lungo termine le strategie di impresa, con un evidente vantaggio per l'economia tutta.

3.7   Profitti duraturi e stabili, una gestione accorta dei rischi, una politica prudenziale degli investimenti dovrebbe caratterizzare il nuovo indirizzo del sistema finanziario, dopo la stagione spensierata dei tassi di crescita a due cifre.

4.   Il credito: fattore di sviluppo e funzione sociale

4.1   Il ruolo insostituibile del sistema finanziario per convogliare risorse verso attività produttive ha una evidente e positiva ricaduta sociale. Il lavoro, la ricchezza generata dalle imprese, anche grazie al sostegno ricevuto dalle banche, ridistribuiscono benessere, servizi alla collettività. La condivisione del rischio da parte delle assicurazioni produce stabilità e tranquillità all'attività economica.

4.2   La funzione sociale non deve essere, però, confusa con la valutazione «sociale» del rischio. La banca è un'azienda come qualsiasi altra, e deve rispondere dei fondi che le sono affidati: una banca che finanzi un'azienda sulla via del fallimento si espone ad azioni penali, e nel caso di privati verrà accusata di averli spinti al sovraindebitamento.

4.3   L'unico criterio valido per concedere credito è quello di una severa, obiettiva e responsabile valutazione del rischio unita, questo sì, ad un apprezzamento dei fini sociali dei fondi messi a disposizione: c'è differenza nella scelta fra chi chiede fondi per incrementare la produzione o per evitare licenziamenti e chi vorrebbe trasferire le proprie attività all'estero. Questi sono criteri universali che valgono in tutte le banche, grandi o piccole, società per azioni o cooperative o casse di risparmio; anche per quelle che esercitano funzioni dichiarate «sociali», come il microcredito, il credito etico o socialmente responsabile.

5.   Quale sistema finanziario dopo la crisi?

5.1   Tomáš Baťa quasi 80 anni fa indicava la strada giusta: un forte ritorno all'etica professionale; la riscoperta di valori e di principi che si sono molto indeboliti nel tempo; l'accettazione da parte degli investitori di tassi di profitto più sobri, ma più stabili, con una politica di lungo termine; la separazione delle attività a carattere meramente speculativo, che devono essere separate dal resto delle attività finanziarie e meglio regolamentate.

5.2   Un sistema finanziario trasparente, che dia un'informazione sufficiente a far comprendere il rischio connesso alle operazioni che vengono proposte: dalle carte revolving (a grandissimi emittenti recentemente è stato vietato di continuare a vendere i loro prodotti in violazione alle leggi antiusura e antiriciclaggio!), ai prodotti finanziari semplici, a quelli più complessi.

5.3   Un sistema finanziario socialmente responsabile. La ricerca del profitto a breve ha spinto molte imprese finanziarie a privilegiare la quantità, i volumi di vendita, rispetto alla qualità del servizio reso al cliente. Molte persone si sono fatte influenzare da proposte di acquisto di prodotti finanziari che si sono dimostrati assolutamente inidonee a soddisfare i bisogni dei risparmiatori. In questi casi si sono verificate vendite contro consigli, buon senso e norme deontologiche di base piuttosto che vendite dopo consigli sensati. Per ottenere risultati maggiori queste vendite sono state spinte da pressioni commerciali quotidiane, pressanti, in cambio di premi e bonus, ma anche di azioni paragonabili al mobbing per coloro che non riuscivano a raggiungere i risultati richiesti, sempre più importanti. Anche per il sistema finanziario dovrebbe valere il principio stabilito dalla legge in materia di frode in commercio e vizi nascosti.

5.4   Un sistema finanziario eticamente responsabile. Le associazioni di categoria dovrebbero adottare iniziative per prevenire fenomeni patologici ed assumere la responsabilità di sanzionare esemplarmente quelle imprese che sono state giudicate colpevoli di episodi di malafede, di truffe, di comportamenti penalmente perseguibili; queste prese di posizione sono finora mancate.

5.5   Un sistema finanziario meglio regolato e controllato. Gli attori del sistema finanziario stanno moltiplicandosi, mentre si riducono le capacità delle autorità di vigilanza di seguire capillarmente le evoluzioni del mercato e di quelle legislative di dare un ordine e tenere alla larga soggetti inappropriati se non organizzazioni criminali. Uno sforzo di razionalizzazione, pulizia ed ordine si impone. La finanza, che pure deve seguire i modelli gestionali più avanzati, non è propriamente un'industria come tutte le altre. Maneggia un capitale specifico che è la fiducia dei risparmiatori e dei clienti, indispensabile alla sua attività. Bastava una tripla A data ad un titolo per far sentire il risparmiatore assolutamente tranquillo. La realtà ha dimostrato che i meccanismi di certezza sono ben lungi dall'essere raggiunti.

5.6   Un sistema finanziario innovativo. La ricerca di nuovi strumenti finanziari, volti a servire meglio le esigenze del mercato deve continuare ad essere il motore dell'economia. Ridurre le leve finanziarie, moltiplicare le opportunità di protezione dai rischi, accontentandosi del giusto ritorno è un modo giusto di declinare: il ritorno al futuro. Due passi indietro dall'avventurismo, tre passi in avanti per un futuro di sviluppo sostenibile.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Creatività e imprenditorialità: strumenti per uscire dalla crisi» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/09

Relatrice: SHARMA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Creatività e imprenditorialità: strumenti per uscire dalla crisi.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Premessa - «il ponte»

Per uscire dalla crisi finanziaria e affrontare le sfide poste da disoccupazione, povertà, disuguaglianza, globalizzazione e cambiamenti climatici, l'Europa deve incoraggiare l'apertura di spirito dei suoi cittadini.

1.1   Il presente parere esamina il valore aggiunto della creatività e dell'imprenditorialità, in quanto strumenti per uscire dalla crisi concentrandosi sugli investimenti in capitale umano tramite il rafforzamento e la promozione di un atteggiamento positivo.

1.2   Per imprenditorialità, in Europa, si intendono di norma la creazione di un'impresa, le PMI, le imprese private e l'imprenditoria sociale. L'imprenditorialità è, più in generale, «la capacità di una persona di tradurre le idee in azione», e dunque il valore di tale caratteristica per la società, particolarmente in tempo di crisi, non può essere sottovalutato o trascurato. Essa comprende i seguenti aspetti:

creatività, innovazione e assunzione di rischi,

capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi,

utilità per tutti nella vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società,

consapevolezza dei lavoratori rispetto al contesto in cui operano,

capacità di cogliere le opportunità,

un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno gli imprenditori che avviano un'attività sociale o commerciale (1).

2.   Conclusioni e raccomandazioni

2.1   Il presente parere intende identificare delle modalità per valorizzare il potenziale dei cittadini europei e fare in modo che si realizzi. Si è scelto di ricorrere ad un approccio inclusivo al fine di creare opportunità per un maggior numero di persone, indipendentemente da fattori quali l'età, il genere, la razza, le capacità o le condizioni sociali. Ciò premesso, i programmi regionali, nazionali ed europei specifici volti a promuovere la creatività e l'imprenditorialità devono prestare attenzione ai gruppi svantaggiati per affrontare le diseguaglianze nella società.

2.2   Nel parere vengono affrontati i seguenti punti:

come riuscire a preservare la diversità dell'Europa trasformandola al tempo stesso in un'identità comune,

come fare dell'Europa un FACILITATORE e rafforzare i poteri dei suoi cittadini,

come creare un'Europa basata su orgoglio, ambizione e valori, nella quale i cittadini svolgano il ruolo di ambasciatori e possano celebrare i successi delle loro realizzazioni.

2.3   Come conseguenza della crisi finanziaria il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce la necessità di stimolare la creazione di posti di lavoro e sviluppare economie sane e sostenibili negli Stati membri. Per essere competitiva a livello internazionale, una forza lavoro di qualità elevata ha bisogno di attività imprenditoriali di qualità elevata come pure di investimenti nel settore pubblico e privato. L'imprenditorialità è uno strumento idoneo per fronteggiare questa sfida, infondere speranze realistiche di successo in tutti i gruppi sociali e aiutare l'Europa ad acquisire un'identità più dinamica.

2.4   La strategia Europa 2020 propone dei fattori di stimolo tematici imperniati sulle seguenti priorità:

una crescita basata sulla conoscenza come fattore di ricchezza,

il coinvolgimento dei cittadini in una società partecipativa. L'acquisizione di nuove competenze, l'accento sulla creatività e l'innovazione, lo sviluppo dell'imprenditorialità e la possibilità di cambiare facilmente lavoro saranno fattori essenziali in un mondo che offrirà più occupazione in cambio di maggiore adattabilità,

creazione di un'economia competitiva, interconnessa e più verde.

2.5   La crisi permette di creare nuovi modelli di sviluppo, crescita e governance. Condizioni quadro migliori e coerenti sono essenziali per il cambiamento, e ciò offre alle parti sociali e alla società civile l'opportunità di contribuire tramite strumenti concreti e tangibili.

2.6   Il capitale umano dell'Europa potrebbe essere sfruttato rapidamente creando un ambiente «FACILITATORE» attraverso l'ATTUAZIONE delle seguenti raccomandazioni che prevedono obiettivi semplici e realizzabili:

10 percorsi fondamentali per favorire il cambiamento

1.

VISIONE: sviluppare una visione unica per l'Europa

2.

EDUCAZIONE: promuovere l'ambizione

3.

MOBILITÀ: creare opportunità per un apprendimento strutturato

4.

CONSAPEVOLEZZA DEI RISCHI: aiutare gli europei a superare l'avversione al rischio

5.

STIMOLO: incoraggiare lo spirito imprenditoriale

6.

RESPONSABILITÀ: dei progetti europei

7.

COMUNITÀ: promuovere la cittadinanza attiva

8.

ATTUAZIONE: della politica a favore di imprenditori e PMI

9.

CONSULTAZIONE: una piattaforma di discussione tra le parti interessate

10.

PROMOZIONE: di una nuova cultura nei media e tramite una rete di ambasciatori.

2.7   L'attuazione di queste raccomandazioni non spetta ad una sola delle parti interessate, ma deve essere responsabilità di tutte. Per evitare l'esclusione, in un mondo complesso e in rapida evoluzione, gli individui devono acquisire nuove capacità e competenze. Il dialogo sociale può influire sui cambiamenti necessari per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020 e per sviluppare un'imprenditorialità sostenibile. Occorre creare, in tutta Europa, una tradizione che favorisca l'imprenditorialità degli individui e delle organizzazioni.

2.8   Il valore europeo derivante dall'investire nell'imprenditorialità:

 

se ti do 1 €, e tu mi dai 1 €, ciascuno di noi ha 1 €,

 

ma se ti do un'idea, e tu mi dai un'idea, abbiamo due idee.

Imprenditorialità in Europa = 500 milioni di persone + 500 milioni di idee + 500 milioni di azioni.

Quante di queste idee potrebbero farci uscire dalla crisi?

3.   L'Europa di oggi

3.1   Nel 2008 l'Europa è stata colpita da una crisi finanziaria, iniziata negli Stati Uniti, che ha avuto serie ripercussioni sulla dimensione economica e sociale della società. Le cause della crisi sono ampiamente documentate, e l'Europa è stata tra le regioni maggiormente colpite nel medio e lungo termine.

3.2   Nel 2010 l'UE conta oltre 20 milioni di disoccupati: un capitale umano inutilizzato composto principalmente da giovani, donne, lavoratori anziani, migranti e altri gruppi vulnerabili. Né il settore pubblico, alle prese con enormi disavanzi, né le grandi imprese, che devono affrontare le sfide poste dalla crisi e dalla globalizzazione, saranno in grado di creare, a breve termine, i posti di lavoro necessari. Il mito di un rapido ritorno ad una forte crescita dell'UE non può realizzarsi a meno che non intervenga un mutamento nelle condizioni strutturali, poiché la disoccupazione è principalmente un problema di tipo strutturale e non un fenomeno legato ai cicli economici.

3.3   L'UE deve concentrarsi sull'economia, l'imprenditoria sostenibile, l'occupazione e la politica sociale, ma il ritmo della globalizzazione non le consentirà di colmare il ritardo accumulato, nonostante la sua grande capacità di contribuire allo sviluppo degli altri. La dimensione europea è una fonte di opportunità per lo scambio di esperienze e uno strumento per creare un'identità europea più forte all'interno e all'esterno dell'Europa.

3.4   Oggi l'Europa è un'Unione coesa di 27 Stati membri produttivi e di talento, alla quale i nostri vicini sono impazienti di aderire. L'UE può contare su molti punti di forza: pace, stabilità, diversità, sistemi normativi, buona governance e solidarietà. Nutre un profondo rispetto per i valori sociali e per i propri territori. Economicamente può contare su un mercato di 500 milioni di persone, e le sue imprese hanno buone potenzialità di crescita.

3.5   È giunto quindi il momento per noi europei di potenziare al massimo le nostre forze collettive.

4.   L'imprenditorialità - una forza europea e uno strumento per uscire dalla crisi

4.1   L'imprenditorialità è associata alla creazione di ricchezza che condurrà l'Europa fuori dalla crisi. Il Trattato di Lisbona riconosce l'imprenditorialità e la diversità dei soggetti economici: vi è ora l'esigenza di trovare nuove modalità di imprenditorialità sostenibile che possano rappresentare il motore principale per guidare la crescita e mantenere l'Europa competitiva.

4.2   A questo proposito sarà necessario cercare nuove idee e dare un nuovo slancio per ripristinare la fiducia e la credibilità, garantendo una crescita costante nel futuro. La ricchezza prodotta servirà a sostenere gli investimenti nell'istruzione, nell'occupazione, nelle competenze, nella produttività, nella sanità e nelle condizioni sociali. In tale contesto l'imprenditorialità, la creatività e l'innovazione sono strumenti fondamentali per il progresso della società.

4.3   Un ampio numero di studi - teorici, empirici e pratici realizzati da ricercatori e imprese - ha confermato che esiste un'evidente correlazione tra imprenditorialità e crescita (2). Le associazioni di imprese, le confederazioni sindacali, le agenzie internazionali per lo sviluppo, la Banca mondiale, l'OIL, l'OCSE e le ONG sostengono la promozione dell'imprenditorialità come strumento chiave per la crescita, lo sviluppo, il superamento della povertà e l'inclusione sociale. In molti pareri il CESE ha formulato delle raccomandazioni a sostegno del valore dell'imprenditorialità nella società, e numerosi Stati membri hanno messo a punto delle «migliori pratiche» in materia di imprenditorialità.

4.4   L'imprenditorialità è considerata in tutto il mondo come un veicolo di innovazione, investimento e cambiamento e come tale è chiamata a svolgere un ruolo essenziale per uscire dall'attuale congiuntura economica, caratterizzata da un elevato grado di incertezza. In questo contesto il riconoscimento di capacità e di competenze attraverso l'imprenditorialità è uno degli strumenti che consentono di risolvere i problemi basandosi su nuove idee.

4.5   Le attività imprenditoriali devono essere integrate nella vita quotidiana, affinché venga mantenuto quell'equilibrio tra sviluppo economico e forte impegno a favore della dimensione sociale che da sempre caratterizza l'UE. Ciò vale anche per i settori non commerciali:

l'inclusione sociale e il superamento della povertà sono obiettivi sostenuti dall'imprenditorialità «poiché la società è al centro dell'analisi dell'innovazione» (3), in quanto cambia le sue idee, pratiche e istituzioni,

la tutela dell'ambiente dipende dalle fonti energetiche sostenibili e dall'adattamento ai cambiamenti climatici, da cui deriveranno nuovi metodi operativi, l«ecologizzazione» dei posti di lavoro, la creazione di nuovi posti di lavoro «verdi» e di tecnologie pulite,

il turismo, il risanamento e la migrazione, compreso il recupero delle aree rurali e meno favorite, richiederanno di realizzare attività imprenditoriali finalizzate alla creazione di posti di lavoro e all'adeguamento delle infrastrutture, specialmente in settori quali il risanamento urbano, l'agricoltura, la silvicoltura, il turismo insulare (4) e l'agriturismo,

l'istruzione utilizza la creatività per individuare i motori adatti ad avviare una ricerca di conoscenza in grado di assicurare il coinvolgimento dei cittadini nell'apprendimento a tutti i livelli e a tutte le età,

la sanità impiega nuovi metodi operativi e nuove tecnologie allo scopo di creare un ambiente ottimale per la prestazione delle cure, la ricerca e la somministrazione di farmaci e trattamenti,

le tendenze demografiche in atto renderanno necessari adeguamenti sociali e soluzioni innovative e creative in materia di infrastrutture, servizi, occupazione, famiglia e protezione sociale,

le attività delle ONG, compresi i progetti di sensibilizzazione e di formazione, sono efficaci e innovative in numerosi settori in cui occorrono nuove soluzioni per superare le sfide della società,

per quanto riguarda le capacità del settore pubblico, bisognerà trovare soluzioni che consentano di offrire gli stessi servizi e migliorarne la prestazione con risorse finanziarie ridotte.

4.6   Ciascuno di noi possiede talento, creatività e spirito imprenditoriale, qualità che possono però svilupparsi soltanto in un ambiente favorevole alla promozione di tali attività. È essenziale porre l'accento sull'individuo, tenendo conto della diversità, poiché l'esclusione e la discriminazione costituiscono un circolo vizioso, una spirale negativa che alimenta le disparità in termini di opportunità: tanto meno gli individui realizzano le proprie potenzialità tanto più essi risultano demotivati ad autosvilupparsi (5). L'imprenditorialità, soprattutto nell'Europa di oggi, può offrire nuove soluzioni per far fronte all'alto numero di persone senza qualifiche e senza occupazione. Inoltre, un approccio orientato alla diversità può contribuire a creare opportunità per un maggior numero di individui, indipendentemente da età, genere, razza, capacità o condizioni sociali.

4.7   Alcuni fattori collettivi contribuiscono a creare un ambiente favorevole al successo in tutte le dimensioni della vita, anche per quanto riguarda l'uscita dalla crisi:

una VISIONE chiara, accompagnata da una MISSIONE fattibile e da OBIETTIVI realizzabili,

un PROGETTO con una FINALITÀ/IDENTITÀ COMUNE,

un APPROCCIO MIRATO e un «ATTEGGIAMENTO POSITIVO»,

una CLASSE DIRIGENTE promotrice di individualità e allo stesso tempo di VALORI comuni forti.

5.   I 10 PERCORSI - Un elenco di possibili azioni da realizzare per creare un ambiente «facilitatore»

La crescita non avviene nel vuoto: essa ha infatti bisogno di un insieme di persone con idee affini, di reti e di parti interessate. La diffusione di una tradizione nella società, sul posto di lavoro e tra le mura domestiche finirà per diffondere l'imprenditorialità tra gli individui e le organizzazioni, favorendo altresì la creazione di posti di lavoro attraverso piccole imprese e aumentando l'offerta di lavoratori specializzati. Le parti interessate - datori di lavoro, sindacati, ONG, settore pubblico e responsabili politici - dovranno unire i loro sforzi per innescare una trasformazione culturale e favorire l'affermarsi di una cultura dell'imprenditorialità, che sarebbe utile a TUTTI, non soltanto per agevolare l'uscita dalla crisi ma anche per superare le sfide a lungo termine del pianeta.

5.1   Occorre comunicare una visione unica e chiara per l'Europa  (6), dotata di una strategia e di obiettivi concreti. Ciò presuppone l'esistenza di una classe dirigente tenuta a rendere conto del proprio operato, responsabile e dotata di senso della realtà. Occorre rivitalizzare e completare il progetto del mercato unico, affinché possa apportare benessere economico per tutti, una maggiore mobilità, nuove competenze, opportunità commerciali e una più ampia scelta. L'imprenditorialità per tutti deve essere un elemento trasversale a ciascun settore della politica.

5.2   L'educazione all'imprenditorialità in tutta Europa nell'ambito di tutti i programmi scolastici e come parte dell'apprendimento permanente richiede ancora un impegno concreto da parte dei responsabili politici. Occorre attribuire il giusto valore alla promozione dell'ambizione e all'importanza della creatività e dell'imprenditorialità, che non devono essere considerate unicamente come attività commerciali e lucrative. La creatività si sviluppa attraverso l'apprendimento nel quadro di sistemi formali e informali. Gli educatori devono essere pienamente coinvolti per riuscire a comunicare correttamente questi concetti. Gli insegnanti devono contrastare una concezione ristretta dell'imprenditorialità che la vede unicamente come creazione di un'impresa, bensì favorirne una visione più ampia come competenza chiave per affrontare la vita. Per sviluppare le attività e l'insegnamento può essere utilizzata una «scala dell'imprenditorialità» (entrepreneurial staircase) al fine di diffondere lo spirito imprenditoriale nelle classi (7).

5.2.1   Gli insegnanti devono adottare stili innovativi, metodi di apprendimento sperimentali e meccanismi che consentano agli studenti di acquisire le nuove competenze e di imparare a utilizzare le tecnologie più moderne, al passo con la globalizzazione. Devono considerarsi alla stregua di «facilitatori», che permettono agli studenti di assumere una maggiore indipendenza e di prendere iniziative per la loro stessa formazione. Una formazione efficace degli insegnanti, lo scambio di buone prassi e la creazione di reti (8), così come la disponibilità di metodi e strumenti, sono altrettanti elementi in grado di aiutare l'insegnante ad adattarsi a tutti gli stili di apprendimento. Si potrebbe valutare l'ipotesi di creare partenariati con i datori di lavoro, i sindacati e le ONG per sostenere il trasferimento delle conoscenze.

5.3   La creazione di opportunità per una mobilità strutturata a fini di apprendimento dovrà diventare una caratteristica naturale della condizione di cittadino europeo. L'accesso all'apprendimento è un aspetto determinante della coesione sociale, della partecipazione politica e dell'esercizio della cittadinanza (9). Si potrebbe lanciare l'ambiziosa iniziativa di creare un sistema di istruzione europeo per il XXI secolo, che il CESE potrebbe discutere con le parti interessate e successivamente proporre ai responsabili politici dell'UE.

5.3.1   Il triangolo della conoscenza (istruzione, ricerca e innovazione) svolge un ruolo essenziale nel promuovere la crescita e l'occupazione nel futuro. Erasmus, Leonardo, Socrates e altri programmi analoghi devono essere aperti a tutti: in particolare, devono risultare più accessibili, prevedere procedure amministrative più snelle e incentivi adeguati alla partecipazione. Il CESE raccomanda l'introduzione di un modello Europass in cui registrare tutti i periodi di studio svolti in Europa.

5.4   Aiutare gli europei a superare l'avversione al rischio e ad assumere un atteggiamento «positivo» e una cultura di «valutazione del rischio» dovrebbe essere un requisito indispensabile per lo sviluppo di una società produttiva. Si dovrebbero evidenziare i benefici e i vantaggi della creatività e dell'innovazione per la società, compiendo uno sforzo consapevole per allontanarsi dalla cultura negativa del fallimento imperante oggi in Europa.

5.4.1   Occorre contemplare sistemi innovativi di accesso ai finanziamenti, che potrebbero comprendere meccanismi di microcredito (Progress, FSE, Jasmine, Jeremie e CIP) e microprestiti per cooperative di credito e progetti comunitari (10). Questi strumenti possono non solo favorire gli imprenditori ma anche garantire la sostenibilità delle iniziative a favore delle comunità e dello sviluppo, in particolare quelle intraprese dalle ONG.

5.4.2   Gli strumenti esistenti a sostegno dell'innovazione vanno adeguati affinché rispecchino la natura evolutiva dell'innovazione stessa (innovazione aperta ai servizi e incentrata sugli utenti). La gestione e la riduzione della complessità, il rafforzamento della flessibilità dei sistemi, la facilitazione della collaborazione e la velocizzazione dell'accesso ai fondi sono tutti meccanismi in grado di accelerare la trasformazione delle conoscenze in prodotti commerciabili.

5.5   Incoraggiare le grandi imprese a svolgere un ruolo creativo e di stimolo allo spirito imprenditoriale. È importante sfruttare le competenze e i talenti di tutti i lavoratori, i quali dispongono di molte abilità pratiche e intellettuali. Si dovrebbe incoraggiare l'identificazione delle competenze e dei beni immateriali mediante lo sviluppo di nuovi strumenti destinati a tale scopo.

5.5.1   Le opportunità di tirocinio e apprendistato per studenti e disoccupati dovrebbero essere più ampiamente promosse e incentivate.

5.5.2   Si potrebbe mettere a punto un quadro di imprese inteso a favorire la creazione di spin-off, nell'ambito del quale le grandi imprese potrebbero offrire sostegno, consulenza e opportunità di mercato alle imprese innovatrici. Tale quadro potrebbe anche essere utilizzato per immettere sul mercato brevetti già registrati ma non ancora noti. Nel quadro dello sviluppo delle relazioni e della promozione del miglior ambiente di lavoro possibile, devono essere contemplate misure intese ad aiutare i comitati di dialogo sociale e le parti sociali a intraprendere e contribuire alle valutazioni d'impatto per quanto riguarda la strategia europea per l'occupazione e la strategia Europa 2020.

5.6   Per giustificare gli investimenti occorre eseguire una valutazione degli obiettivi a lungo termine dei progetti europei. Questa valutazione dovrebbe tenere conto della sostenibilità del progetto nonché della possibilità di commercializzare le innovazioni di maggior successo e di utilizzarle a beneficio dell'intera società.

5.6.1   A questo scopo si potrebbe ricorrere a progetti intergenerazionali e transettoriali, tra cui anche i raggruppamenti (cluster), per proporre di riunire esperienze e nuove idee allo scopo di condividere nuove competenze, abilità, conoscenze e reti tramite relazioni di «mentoraggio e tutoraggio». La promozione di progetti in materia di economia sostenibile, con il coinvolgimento di imprenditori ecologici consapevoli delle sfide del cambiamento climatico e dell'esaurimento delle fonti di energia fossile, contribuirà a richiamare l'attenzione sul tema della tutela ambientale.

5.7   Occorre incoraggiare iniziative comunitarie e la cittadinanza attiva per promuovere progetti di portata europea a favore della comunità e/o avviati da quest'ultima. Questa misura, che dovrebbe tener conto della diversità e dei gruppi più vulnerabili, potrebbe essere accompagnata da un sistema europeo di certificazione volontaria in materia di responsabilità sociale delle imprese (RSI) e dalla possibilità di un riesame delle iniziative comunitarie.

5.8   È essenziale un forte impegno per attuare politiche intese a promuovere un ambiente favorevole agli imprenditori intenzionati ad avviare un'attività. Il 98 % di tutte le imprese dell'UE sono PMI, ed è quindi importante che, nel quadro dell'UE, questa lunga tradizione di creazione di PMI venga mantenuta e addirittura migliorata (11):

è ancora necessario un forte impegno per la realizzazione dello Small Business Act for Europe e del principio «Pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) (PMI) in molti Stati membri, che attualmente si dedicano a questo obiettivo in misura inferiore a quanto ci si aspetterebbe in un periodo di crisi. Occorre ampliare l'accesso e la partecipazione delle PMI ai progetti e agli appalti pubblici dell'UE, promuovendo mercati aperti favorevoli alla crescita degli imprenditori. Il sostegno ad ambienti interattivi può essere creato utilizzando incubatori, raggruppamenti, parchi scientifici e tecnologici e partenariati con le università. A questo proposito si potrebbe creare uno SPORTELLO UNICO DELL'UE, in grado di fornire informazioni sull'imprenditorialità in tutti i settori,

si deve poi valutare l'opportunità di creare una rete di sicurezza sociale per i lavoratori autonomi, che tenga conto di alcuni aspetti specifici della gestione aziendale, che riguardano in particolare la maternità, la custodia dei bambini e la chiusura delle attività,

il Consiglio dovrà approvare lo statuto di società europea per le PMI, sostenendo in tal modo il progetto di mercato unico e facilitando le operazioni transfrontaliere per le PMI. Questo progetto, promosso su iniziativa del CESE, crea un'identità europea per i nuovi imprenditori,

diffondere la conoscenza e fornire un più ampio sostegno al programma Erasmus per i giovani imprenditori  (12). Per far sì che il programma abbia un impatto reale, devono essere studiate delle soluzioni in grado di attrarre un maggior numero di società disponibili a ospitare giovani imprenditori e riconoscere il loro contributo. Si potrebbe, ad esempio, assegnare a tali imprese un Premio per gli imprenditori europei, un marchio UE oppure offrire loro l'opportunità di acquisire maggiore visibilità. La certificazione delle competenze degli imprenditori, a differenza di quella dei lavoratori, viene effettuata raramente, e i contributi che gli imprenditori recano alla società sono conseguentemente ignorati.

5.9   Utilizzare le esperienze creando una piattaforma di discussione tra le parti interessate su come rafforzare lo spirito e la cultura dell'UE in materia di «innovazione e creatività». Intensificando la cooperazione tra le parti interessate si potrebbero formulare raccomandazioni politiche concordate e trasversali su temi quali il miglioramento delle relazioni tra università e industria, l'innovazione negli ambienti commerciali e non commerciali, la mobilità dei ricercatori, l'utilizzo dei fondi strutturali, le buone pratiche a livello mondiale e la creazione di un quadro per affrontare le questioni urgenti. Un dialogo civile inteso a facilitare la promozione dello spirito imprenditoriale a livello regionale può promuovere un profilo dell'imprenditore europeo adeguato alle sfide del XXI secolo.

5.10   Promozione della nuova cultura attraverso i media, avvalendosi di una rete di ambasciatori e di modelli. Occorre favorire una cultura che riconosca la forma mentis imprenditoriale e sostenga le iniziative a sostegno delle nuove imprese e di quelle in crescita, degli imprenditori sociali, dell'innovazione nel settore pubblico, della creatività sul posto di lavoro, della pianificazione delle successioni e della partecipazione dei lavoratori. La nuova cultura dell'imprenditorialità in Europa necessita di impegno e di capacità di persuasione da parte di portavoce e «ambasciatori».

6.   La crisi deve fungere da stimolo per far sì che l'Europa non solo riconosca il potenziale dei suoi cittadini ma contribuisca altresì a promuovere tra loro lo spirito e la cultura imprenditoriali.

6.1   La crisi attuale non sarà l'unica che l'Europa dovrà affrontare. Per garantire che l'Europa sia pronta per le sfide future è necessario dare un nuovo slancio tramite i 10 percorsi fondamentali in quanto strumenti di progresso, in combinazione con le seguenti misure:

Piano d'azione

Gruppo di lavoro europeo sull'imprenditorialità

Piattaforma delle parti interessate

Vertice europeo e G20 sull'imprenditorialità

Innovare l'Europa (Europa 2020).

6.1.1   Il CESE potrebbe sviluppare queste idee insieme con le parti interessate in un prossimo futuro.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2005) 548 definitivo, punto 7 dell'allegato.

(2)  Audretsch, D. B; Thurik, R. (2001). Linking Entrepreneurship to Growth, OECD Science, Technology and Industry Working Papers, 2001/2, OECD Publishing. doi: 10.1787/736170038056.

(3)  Eucis-LLL. Barcellona, 2010.

(4)  Bornholme, Danimarca.

(5)  Hillman, 1997.

(6)  I cittadini devono poter comprendere il significato dei seguenti concetti:

I.

La visione per l'Europa: gli Stati Uniti d'Europa, rispettosi di tutte le culture e lingue e aperti al mondo.

II.

La forza dell'Europa: la creazione di un'entità comune e pacifica dopo secoli di guerre civili e di conflitti.

III.

L'UE: un'entità politica prospera che offre le migliori opportunità per la realizzazione dei desideri individuali e collettivi.

IV.

Essere europeo: condividere valori comuni e in particolare una buona combinazione di valori individuali (prestazione) e collettivi.

V.

Il vantaggio di essere cittadino dell'UE: utilizzare la dimensione dell'UE a livello culturale, economico e scientifico, per sviluppare le abilità e le qualificazioni proprie degli individui per il loro futuro e per quello degli altri.

(7)  GU C 309 del 16.12.2006, pag. 110.

(8)  Towards Greater Cooperation and Coherence in Entrepreneurship Education, Commissione europea, marzo 2010.

(9)  BIG ISSUE, ACAF Spagna.

(10)  www.european-microfinance.org: esempi di progetti comunitari e di inclusione sociale basati sull'imprenditorialità.

(11)  Le PMI sono spesso considerate come il gruppo più importante di imprenditori, e raccomandazioni a favore della loro crescita figurano in molti documenti della CES e dell'Ueapme, nonché in numerosi pareri del CESE.

(12)  Programma Erasmus per i giovani imprenditori, Commissione europea, DG Imprese e industria.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La risposta dell'UE al nuovo equilibrio del potere economico globale» (parere di iniziativa)

2011/C 48/10

Relatore: Brian CALLANAN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

La risposta dell'UE al nuovo equilibrio del potere economico globale (parere d'iniziativa).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1   Gli Stati membri dell'Unione europea hanno vissuto la peggiore crisi economica dagli anni '30 e la ripresa resta debole, irregolare e vulnerabile. Dopo la crisi più profonda dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli equilibri globali sono mutati e l'Europa deve ridefinire la sua posizione e le sue strategie nel nuovo contesto. Poiché l'85 % del commercio dell'Europa si svolge nel suo mercato, alcune risposte alle nuove sfide verranno trovate internamente. L'espansione della domanda interna è cruciale per un'Unione sostenibile se l'UE vuole fare fronte alle sfide globali. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha elaborato diversi pareri su questo tema. Il presente parere studia la dimensione esterna della risposta dell'Unione europea alla crisi economica mondiale: il nuovo posizionamento dell'Europa nel mercato globale. Esso si sofferma sull'evoluzione dei risultati economici dell'UE sul mercato mondiale e gli effetti internazionali della recente ascesa della Cina e di altre economie in via di sviluppo; solleva alcuni interrogativi volti a stimolare un'analisi di queste tematiche e avviare una discussione sulle relative implicazioni per i rapporti politici e commerciali che l'UE intrattiene con il resto del mondo; presenta le riflessioni e le idee della società civile per un dibattito politico le cui conclusioni avranno conseguenze di vasta portata.

1.2   L'Europa si trova ad affrontare problemi di enorme portata nel rispondere agli sconvolgimenti nelle relazioni economiche, politiche e commerciali mondiali che la recessione ha ulteriormente accelerato. Pertanto deve adattare le proprie politiche stimolando la crescita; migliorando quantitativamente e qualitativamente l'occupazione; facendo diventare l'economia più verde e più innovativa; conseguendo l'obiettivo di un tasso d'occupazione del 75 % previsto dalla strategia 2020 e assicurando che esso includa i gruppi a rischio come i giovani, le donne, le persone di mezza età e i diversamente abili.

1.3   Il progetto europeo ha concentrato la maggior parte delle proprie energie sugli affari interni; lo sviluppo del mercato unico, l'architettura istituzionale, le dispute monetarie, gli interminabili negoziati sui Trattati. Per emergere da questa recessione e riorganizzarsi con successo per affrontare le sfide del ventunesimo secolo, nel prossimo decennio l'Europa dovrà invece rivolgere decisamente il suo sguardo all'esterno. In particolare, dovrà essere più consapevole e attenta agli sviluppi derivanti in particolare dalla nuova interazione tra gli Stati Uniti e la Cina e dall'influenza di potenti gruppi di paesi in via di sviluppo come i BRIC (Brasile, Russia, India, Cina).

1.4   Se agisce in questo senso, l'Europa, come dice il Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, possiede tutti gli strumenti necessari per riuscirvi, ossia: «risorse, intelligenza, senso critico, retaggio storico, risorse umane, intellettuali e culturali».

1.5   La Commissione nel suo programma di lavoro si impegna a: ridurre le barriere ai flussi internazionali di scambi e investimenti; concludere i negoziati bilaterali in corso; migliorare l'applicazione degli accordi esistenti; promuovere iniziative finalizzate ad aprire il commercio ai settori in crescita come l'alta tecnologia, i servizi e i servizi ambientali.

1.6   Una tendenza preoccupante è il fatto che non vi sia alcun comparto nel settore delle alte tecnologie in cui l'Europa abbia un ruolo di punta a livello mondiale e che nell'UE non esistano abbastanza imprese ad alta tecnologia di punta per sfruttare adeguatamente le tecnologie abilitanti fondamentali del futuro.

1.7   Il CESE sottolinea l'importanza di aspetti che vanno al di là dell'oggetto in senso stretto del presente parere, ossia il protezionismo dannoso e la risposta al cambiamento climatico; tali aspetti riguardano, ad esempio, le seguenti misure: incoraggiare le nuove imprese caratterizzate da spirito imprenditoriale e da un approccio globale; promuovere l'innovazione nelle industrie consolidate; fornire sostegno ai settori strategicamente vitali per l'Europa; tenere conto del potenziale di esportazione dei servizi pubblici come la sanità e l'istruzione; incoraggiare le città dell'UE a «fare squadra» con le loro omologhe nel resto del mondo.

1.8   Una conseguenza della recessione mondiale è stata la maggiore attrattiva delle politiche protezionistiche. Il direttore generale dell'Organizzazione mondiale per il commercio Pascal Lamy ha invitato i paesi a rifuggire da questa tentazione.

1.9   Sul piano esterno occorre portare a termine con successo il ciclo di negoziati di Doha, obiettivo che si sta rivelando di non facile realizzazione. Nel frattempo l'UE sta sviluppando una nuova matrice di relazioni e accordi bilaterali, sia con i paesi industrializzati che con quelli in via di sviluppo, che influenzeranno in maniera crescente le politiche commerciali globali.

1.10   Tra gli altri importanti obiettivi della politica dell'UE figurano: l'inclusione della reciprocità in questi nuovi accordi bilaterali dell'UE, privilegiando, dove possibile, la sicurezza energetica; l'introduzione di regole flessibili e adattabili alle circostanze spesso in rapida evoluzione; l'eliminazione di barriere non tariffarie, anche «oltre le frontiere»; la trasparenza delle norme relative al lavoro e alla qualità conformemente alle regole dell'OIL; gli accordi di libero scambio (ALS) per i beni e i servizi ambientali.

1.11   Gli accordi ambientali multilaterali devono potersi integrare facilmente con gli accordi nell'ambito del sistema commerciale internazionale, in modo da potersi sostenere reciprocamente, senza disturbarsi.

1.12   La sicurezza energetica è al centro della sfida del cambiamento climatico che si trova ad affrontare l'UE. A titolo di esempio si possono citare: la negoziazione comune di accordi di fornitura esterni (come già avviene nell'ambito degli accordi commerciali bilaterali); la vendita di competenze e tecnologie per i miglioramenti infrastrutturali, come le reti intelligenti o la nuova generazione di tecnologie per la produzione di elettricità che utilizzano materie prime diverse dai combustibili fossili; la condivisione delle nuove tecnologie sviluppate per contribuire a raggiungere gli attuali obiettivi del «20 %» che l'UE si è fissata in materia di energie alternative; la ricerca di opportunità di esportazione delle competenze necessarie per sviluppare e adottare gli incentivi per ridurre le emissioni di carbonio.

1.13   In un mondo sempre più interdipendente e interconnesso, i responsabili politici devono sviluppare un modus operandi comune. L'interazione reciproca tra il mercato unico europeo e la politica commerciale non è mai stata così importante, così come il fatto di assicurare che la consultazione richiesta in seno all'UE, tra le sue istituzioni e con i suoi Stati membri sostenga e rafforzi lo sviluppo, l'accordo e l'attuazione efficaci di una politica commerciale più flessibile.

1.14   Da un punto di vista più vicino agli aspetti umani, c'è bisogno di affrontare e superare i timori e le incertezze che derivano dai nuovi equilibri del potere economico. La società civile organizzata ha l'opportunità e il dovere di aiutare gli individui, i politici e le economie ad affrontare il cambiamento.

1.15   La nuova strategia Europa 2020 della Commissione rappresenta la risposta politica strategica iniziale dell'UE alla recessione e ai nuovi equilibri del potere economico globale. Il successo di tale strategia dipende da una risposta europea coordinata con la partecipazione delle parti sociali e della società civile (come ha affermato il Presidente Barroso nella comunicazione sulla strategia Europa 2020). Per adattarsi ai cambiamenti nel potere economico globale, l'UE deve basarsi sulle forme di partenariato tra Stato e società civile organizzata che le sono proprie e che le consentono di ottenere importanti risultati economici e di raggiungere la coesione sociale.

1.16   Tuttavia la Commissione europea dispone solo di un numero limitato di strumenti diretti per influenzare i progressi; la responsabilità principale continua a incombere ai governi degli Stati membri che ora sono anche sottoposti a crescenti pressioni finanziarie, politiche e sociali.

2.   Introduzione

2.1   «Gli Stati membri dell'Unione europea hanno vissuto la peggiore crisi economica dagli anni '30… e la ripresa resta debole, irregolare e vulnerabile» (1). Dopo la crisi più profonda dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli equilibri globali sono mutati e l'Europa deve ridefinire la sua posizione e le sue strategie nel nuovo contesto. Poiché l'85 % del commercio dell'Europa si svolge nel suo mercato, alcune risposte alle nuove sfide verranno trovate internamente. L'espansione della domanda interna è cruciale per un'Unione sostenibile se l'UE vuole fare fronte alle sfide globali. Il CESE ha elaborato diversi pareri su questo tema (2). Il presente parere studia la dimensione esterna della risposta dell'Unione europea alla crisi economica mondiale: il nuovo posizionamento dell'Europa nel mercato globale. Esso si sofferma sull'evoluzione dei risultati economici dell'UE sul mercato mondiale e sugli effetti internazionali della recente ascesa della Cina e di altre economie in via di sviluppo; solleva alcuni interrogativi volti a stimolare un'analisi di queste tematiche e avviare una discussione sulle relative implicazioni per i rapporti politici e commerciali che l'UE intrattiene con il resto del mondo; presenta le riflessioni e le idee della società civile per un dibattito politico le cui conclusioni avranno conseguenze di vasta portata.

2.2   L'Europa dipende dall'economia globale e gode attualmente di una posizione di predominio in molti mercati mondiali, ma per quanto tempo ancora durerà questa situazione? Nel 1800 l'Europa, comprese le sue propaggini nel nuovo mondo, rappresentava il 12 % della popolazione mondiale e circa il 27 % del suo reddito complessivo. Dopo un picco raggiunto nel 1913 (quando queste economie «sviluppate» rappresentavano solo il 20 % della popolazione mondiale ma oltre il 50 % del reddito) è iniziata un'inversione di tendenza e attualmente la popolazione europea rappresenta il 12 % di quella mondiale e continua a diminuire, mentre la sua quota sul reddito mondiale è pari al 45 % circa (3).

Il CESE ritiene che, per gestire efficacemente l'impatto dei cambiamenti attualmente in corso sui mercati globali, i responsabili politici dell'UE potrebbero dover prestare maggiore attenzione alle nuove realtà delle relazioni commerciali dell'Europa con il resto del mondo e soprattutto alle sue esportazioni.

3.   Contesto

3.1   Il commercio europeo

3.1.1   Il valore totale delle esportazioni europee ammonta a circa 1300 miliardi di USD. Se si escludono gli scambi tra gli Stati membri, nel 2008 l'UE rappresentava il 16 % delle esportazioni mondiali e in questo stesso anno i suoi principali partner commerciali erano gli Stati Uniti, la Russia, la Svizzera, la Cina e la Turchia.

3.1.2   In un mondo globalizzato in cui gli Stati dell'UE figurano tra i maggiori operatori sui principali mercati, le politiche che guidano le relazioni intereuropee devono tenere conto degli sviluppi globali, ad esempio dell'impatto sulle relazioni politiche del crescente potere economico di partner commerciali come la Cina, l'India e il Brasile. Ma quali azioni dovrà intraprendere l'Europa per adeguarsi a tali sviluppi? Rafforzare il proprio ruolo sulla scena mondiale? O viceversa accettare la rapida diffusione di un nuovo paradigma globale che prevede che un nuovo G2 (Stati Uniti e Cina) si imponga come soggetto predominante?

3.1.3   La Commissione nel suo programma di lavoro riconosce che il commercio internazionale è un motore di crescita per l'occupazione e gli investimenti nell'Unione e si impegna a: ridurre le barriere ai flussi internazionali di scambi e investimenti; concludere i negoziati bilaterali in corso; migliorare l'applicazione degli accordi esistenti; promuovere iniziative finalizzate ad aprire il commercio ai settori in crescita come l'alta tecnologia, i servizi e i servizi ambientali. Un'importanza centrale verrà annessa al miglioramento delle relazioni bilaterali con Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia.

3.2   Il commercio europeo nell'economia globale

3.2.1   La recessione sta modificando l'assetto del potere economico globale. Tra il 2000 e il 2007, le economie emergenti, prima tra tutte la Cina, hanno ampliato la loro base di investimenti e guidano attualmente la ripresa mondiale, indotta principalmente dalla crescita delle esportazioni (ad es. +17,7 % nel dicembre 2009). Durante lo stesso periodo nell'UE le esportazioni sono state caratterizzate da un andamento irregolare, con perdite significative su alcuni mercati dinamici, specie in Asia e in Russia.

3.2.2   Se in Cina la ripresa guidata dalle esportazioni è già iniziata, in tutta l'economia, nell'UE essa resta ancora prevalentemente un'aspirazione. La Commissione prevede che le esportazioni dell'UE cresceranno del 5 % nel 2010 e del 5,1 % nel 2011, grazie principalmente a una diminuzione del valore relativo dell'euro per i nostri principali partner commerciali. Ma ciò non costituisce, né è considerato, un incentivo alla ripresa economica «nazionale» al di fuori di paesi come la Germania e l'Irlanda, già fortemente impegnati nel commercio internazionale (4).

3.2.3   Secondo una relazione pubblicata dalla Commissione europea l'andamento delle esportazioni UE di prodotti di alta tecnologia risulta deludente e suscita preoccupazioni circa la capacità dell'Europa di continuare a sfornare prodotti all'avanguardia sotto il profilo della qualità e dell'innovazione (5). Si nota un peggioramento anche nei servizi, dove si è registrata una diminuzione della quota di mercato dell'UE tra il 2004 e il 2006. Si tratta di una tendenza preoccupante, tanto quanto il fatto che non vi sia alcun comparto nel settore delle alte tecnologie in cui l'Europa abbia un ruolo di punta a livello mondiale e che nell'UE non esistano abbastanza imprese ad alta tecnologia di punta per sfruttare adeguatamente le tecnologie abilitanti fondamentali del futuro.

3.2.4   Malgrado queste debolezze, l'UE resta la più importante potenza commerciale nel settore terziario, nonché il primo esportatore e il secondo importatore di merci. Inoltre svolge un ruolo di primo piano sia come fonte che come destinataria di investimenti diretti esteri. Per l'Europa è quindi fondamentale mantenere e addirittura rafforzare la propria posizione nell'arena commerciale mondiale ma per conseguire questo obiettivo serve un nuovo approccio solidamente ancorato alle realtà di un ambiente commerciale mondiale diverso e molto più complesso.

3.2.5   Il CESE sottolinea l'importanza di aspetti che vanno al di là dell'oggetto in senso stretto del presente parere, ossia il protezionismo dannoso e la risposta al cambiamento climatico; tali aspetti riguardano, ad esempio, le seguenti misure: incoraggiare le nuove imprese caratterizzate da spirito imprenditoriale e da un approccio globale; promuovere l'innovazione nelle industrie consolidate; fornire sostegno ai settori strategicamente vitali per l'Europa; tenere conto del potenziale di esportazione dei servizi pubblici come la sanità e l'istruzione; incoraggiare le città dell'UE a «fare squadra» con le loro omologhe nel resto del mondo.

3.3   Riequilibrio del potere economico e della politica economica

3.3.1   Il fallimento della Lehman Brothers, una delle più antiche banche d'investimento di Wall Street e il conseguente caos nei mercati, che ha visto il declino più marcato dell'economia manifatturiera mondiale dalla Seconda guerra mondiale, hanno fatto precipitare l'economia mondiale in caduta libera. Gli interventi statali hanno impedito un effetto domino nel sistema bancario mondiale ma non sono riusciti a evitare la brusca e rapida diminuzione dei flussi di capitale.

3.3.2   L'impatto sul commercio è stato immediato poiché il credito era limitato e la spesa dei consumatori aveva subito un tracollo, costringendo le società a ridurre la produzione. Tuttavia la gravità di questo adeguamento ha assunto dimensioni estremamente varie nei diversi blocchi commerciali: la Cina ha fatto registrare la ripresa più rapida, grazie soprattutto alla decisione del proprio governo di adottare una politica di bilancio basata sull'iniezione di 580 miliardi di USD nell'economia nazionale, allo scopo di stimolarne la rapida ripresa.

3.3.3   Nel marzo 2009 sono state adottate misure politiche a Pechino, Londra, Washington e Francoforte. I leader del G20 hanno promesso 1000 miliardi di USD di aiuti dall'FMI e dalla Banca mondiale come replica a livello mondiale degli sforzi intrapresi individualmente dai singoli Stati. L'incontro del G20 è stato caratterizzato dalla maturazione e dall'entrata in scena di nuovi attori potenti e/o capaci di influire sulla scena internazionale, immagine di un nuovo ordine economico mondiale e di una svolta radicale nelle relazioni economiche con implicazioni potenzialmente profonde per la politica commerciale dell'UE.

3.3.4   I paesi caratterizzati da consumi eccessivi, come gli Stati Uniti, sono stati sollecitati a ridurre la spesa, mentre i paesi con surplus a livello di credito e riserve valutarie sono stati incoraggiati ad alimentare la domanda dei consumatori. È stato posto l'accento sulla necessità che l'economia mondiale segua traiettorie sostenibili ed equilibrate, nonché sull'interesse proprio dell'UE di cooperare più strettamente con il resto del mondo.

3.3.5   Malgrado la recente ripresa della crescita la cautela è d'obbligo per diverse ragioni. Gli economisti esprimono ancora incertezza riguardo alla futura direzione dell'economia mondiale. Ci si interroga infatti su quando e come sopprimere gli incentivi fiscali, sugli effetti che hanno prodotto finora e sulla loro sostenibilità a lungo termine. Sebbene sia possibile osservare segnali di ritorno della crescita bisogna considerare che è in atto anche una recessione umana  (6). A causa dell'elevato tasso di disoccupazione è diventato difficile per i leader mondiali difendere il regime commerciale liberista a livello politico, intellettuale e interno .

3.3.6   A seguito di questo spostamento nell'equilibrio globale del potere, il processo decisionale dell'UE deve rapidamente adattarsi alle sue implicazioni e sviluppare le capacità di riflessione necessarie per tale scopo; agire collettivamente in maniera più coerente, ponderata e tempestiva; incentivare le opportunità di creazione di posti di lavoro, ad esempio nell'ambito dell'economia verde; aiutare le imprese a riqualificare il personale; fornire a quanti hanno perso il lavoro gli strumenti necessari per riaggiustarsi e adattarsi a queste nuove possibilità; in effetti gli aggiustamenti strutturali passati hanno mostrato che aiutare i singoli individui per favorire il loro adattamento e riaggiustamento sono la risposta politica più efficace (7).

4.   Due temi chiave

4.1   Il protezionismo

4.1.1   Una conseguenza della recessione mondiale è stata la maggiore attrattiva delle politiche protezionistiche. Il direttore generale dell'Organizzazione mondiale per il commercio Pascal Lamy ha invitato i paesi a rifuggire da questa tentazione (8). L'UE ha tratto enormi benefici dall'adozione di norme trasparenti e facilmente applicabili, che sostengono e facilitano, in maniera equa e obiettiva, lo sviluppo di un ambiente commerciale competitivo. Eppure secondo il commissario UE responsabile per il commercio Karel De Gucht, dall'inizio dell'attuale crisi economica i principali partner commerciali dell'Unione hanno introdotto 280 misure restrittive degli scambi. Si teme quindi che queste misure finiscano per diventare un nuovo elemento permanente del quadro globale degli scambi commerciali.

4.1.2   Una delle principali barriere commerciali è rappresentata dal tasso di cambio artificialmente basso del renminbi o yuan cinese, che il governo considera uno strumento utile per rendere le esportazioni cinesi più competitive, ma che invece nuoce gravemente allo sviluppo di un commercio libero ed equo. Pertanto le misure adottate recentemente per alleviare questa situazione sono accolte con favore anche se occorro cambiamenti decisivi e a lungo termine nelle politiche sui tassi di cambio perseguite dal governo cinese.

4.1.3   I pacchetti di incentivi stimolano la crescita economica aumentando la domanda anche se il loro obiettivo primario è aiutare le imprese locali. Un effetto collaterale potrebbe però essere il sostegno dei settori non competitivi. Ma la normativa in materia di concorrenza e aiuti di Stato attribuisce all'UE gli strumenti necessari per coordinare gli sforzi volti a impedire che si verifichi questa eventualità e un mercato unico perfettamente funzionante impedisce l'applicazione di un protezionismo potenzialmente dannoso.

4.1.4   Sul piano esterno occorre portare a termine con successo il ciclo di negoziati di Doha, obiettivo che si sta rivelando di non facile realizzazione. Nel frattempo l'UE sta sviluppando una nuova matrice di relazioni e accordi bilaterali, sia con i paesi industrializzati che con quelli in via di sviluppo, che influenzeranno in maniera crescente le politiche commerciali globali.

4.1.5   Tra gli altri importanti obiettivi della politica dell'UE figurano: l'inclusione della reciprocità in questi nuovi accordi bilaterali dell'UE, privilegiando, dove possibile, la sicurezza energetica; l'introduzione di regole flessibili e adattabili alle circostanze spesso in rapida evoluzione; l'eliminazione di barriere non tariffarie, anche «oltre le frontiere»; la trasparenza delle norme relative al lavoro e alla qualità conformemente alle regole dell'OIL; gli accordi di libero scambio (ALS) per i beni e i servizi ambientali (9).

4.1.6   Con l'adozione del Trattato di Lisbona i processi decisionali dell'Unione subiscono alcune modifiche, che comprendono l'estensione della codecisione con il Parlamento ad alcuni settori chiave, compreso il commercio. È importante che le modalità di questi nuovi processi decisionali che coinvolgono il Consiglio, il Parlamento e la Commissione si traducano in risposte più rapide e flessibili, in grado di migliorare la capacità dell'Unione di reagire con efficacia e coerenza tanto alle necessità strategiche ad alto livello, quanto ai piccoli bisogni «quotidiani» del commercio.

4.2   I cambiamenti climatici

4.2.1   In Europa è stato raggiunto un consenso sulla necessità di intraprendere un'azione immediata in materia di lotta al cambiamento climatico. Una conseguenza singolare del processo di globalizzazione è l'interdipendenza che esso alimenta. Un cambiamento climatico incontrollato sarà un'ipoteca pesante sulle generazioni future e intralcerà il processo di globalizzazione, causando impennate nei prezzi delle risorse e disastri ambientali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Il cambiamento climatico è quindi un problema economico con un'importante dimensione commerciale.

4.2.2   L'Unione europea ha assunto la guida dell'azione internazionale volta a limitare il riscaldamento globale nel quadro del protocollo di Kyoto. L'esito negativo del vertice di Copenaghen sul cambiamento climatico ha segnato una battuta d'arresto nell'attività promossa dall'Europa per rafforzare la cooperazione internazionale, specialmente con le economie emergenti, le cui emissioni, entro il 2020, avranno superato quelle delle nazioni sviluppate. L'UE teme altresì che le popolazioni più povere del mondo saranno quelle che soffriranno maggiormente a causa dell'attuale fase di cambiamento climatico che l'UE deve contrastare con una risposta politica generale, pratica e realistica, per evitare il rischio che le future generazioni si trovino a subire conseguenze negative sociali ed economiche che avrebbero potuto essere evitate.

4.2.3   Integrando il cambiamento climatico nelle sue politiche in materia di commercio e sviluppo, l'Unione europea si troverebbe a sostenere dei costi e ad imporre delle restrizioni per conseguire un obiettivo che non può essere raggiunto senza la collaborazione degli altri grandi blocchi commerciali (10). Gli accordi ambientali multilaterali devono potersi integrare facilmente con gli accordi nell'ambito del sistema commerciale internazionale, in modo da potersi sostenere reciprocamente, senza disturbarsi. È sensato che l'UE assuma il comando nella lotta al cambiamento climatico se gli altri non saranno, o addirittura non potranno, essere costretti a seguire il suo esempio? Ad esempio, per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di carbonio, si può «costringere» la Cina a sostituire il suo modello basato sul principio «chi consuma paga» con il modello europeo del «chi produce paga»? (11) Oppure si può arrestare il tentativo di Wall Street di assicurarsi, con il sostegno di Washington, una posizione di leader in un mercato internazionale di scambio dei diritti di emissione di CO2 in forte espansione?

4.2.4   La sicurezza energetica è al centro della sfida del cambiamento climatico che si trova ad affrontare l'UE. Sebbene i singoli Stati membri siano in primo piano nel rispondere a questa sfida, essa presenta una vera e propria dimensione europea, soprattutto nel contesto degli scambi commerciali. A titolo di esempio si possono citare: la negoziazione comune di accordi di fornitura esterni (come già avviene nell'ambito degli accordi commerciali bilaterali); la vendita di competenze e tecnologie per i miglioramenti infrastrutturali, come le reti intelligenti o la nuova generazione di tecnologie per la produzione di elettricità utilizzando materie prime diverse dai combustibili fossili; la condivisione delle nuove tecnologie sviluppate per contribuire a raggiungere gli attuali obiettivi del «20 %» che l'UE si è fissata in materia di energie alternative; la ricerca di opportunità di esportazione delle competenze necessarie per sviluppare e adottare gli incentivi per ridurre le emissioni di carbonio.

5.   Risposta

5.1   Affrontare le sfide e cogliere le opportunità

5.1.1   Per creare opportunità per il commercio europeo, è importante essere onesti circa le sfide che un diverso ambiente mondiale pone all'UE, alle sue istituzioni e ai suoi Stati membri. Secondo il CESE, le riforme istituzionali introdotte dal Trattato di Lisbona devono essere applicate ancora più efficacemente e più a stretto contatto, per riuscire a individuare soluzioni innovative per sostenere le realizzazioni passate dell'UE e conseguirne di nuove (12). Per intervenire efficacemente occorre disporre di ottime conoscenze aggiornate, di un'ottima capacità di percezione e di comprensione.

5.1.2   In un mondo sempre più interdipendente e interconnesso, i responsabili politici devono sviluppare un modus operandi comune. L'interazione reciproca tra il mercato unico europeo e la politica commerciale non è mai stata così importante, cosi come il fatto di assicurare che la consultazione richiesta in seno all'UE, tra le sue istituzioni e con i suoi Stati membri sostenga e rafforzi lo sviluppo, l'accordo e l'attuazione efficaci di una politica commerciale più flessibile.

5.1.3   Da un punto di vista più umano c'è bisogno di affrontare e superare i timori e le incertezze che derivano dai nuovi equilibri del potere economico. La società civile organizzata ha l'opportunità e il dovere di aiutare gli individui, i politici e le economie ad affrontare il cambiamento. Perseguire politiche protezionistiche in presenza di spostamenti nel potere globale può rivelarsi un'impresa velleitaria. Aiutare gli individui, le imprese e i governi ad adattarsi alle nuove realtà è invece un modo efficace per affrontare e superare questi timori e incertezze. Ad esempio il basso tasso di natalità e l'invecchiamento della popolazione in Europa impongono il superamento di numerose sfide strutturali profonde e di ampia portata.

5.1.3.1   La politica più importante, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, è quella che punta ad incrementare il tasso di partecipazione della forza lavoro. Una misura ovvia è l'offerta a tutti i genitori che lo desiderino di un servizio di custodia dei bambini a costi accessibili. Ciò significa in pratica che un maggior numero di donne può restare nel mercato del lavoro. Questa misura dovrebbe essere associata a congedi parentali lunghi e retribuiti in misura sufficiente. Queste misure dovrebbero risultare in un aumento del tasso di natalità al ridursi degli oneri economici a carico dei genitori.

5.1.3.2   Inoltre, in assenza di politiche di immigrazione volte ad accrescere sensibilmente l'offerta di lavoro, le singole imprese che esportano verso paesi terzi devono confrontarsi con un serio dilemma: limitare l'espansione delle proprie attività oppure trasferirle dove l'offerta di manodopera è abbondante (13)? Per questo motivo sarebbe prudente, giustificato e urgente adottare una politica europea dell'immigrazione organica e inclusiva per rispondere alla sfida demografica dell'Europa.

5.1.4   La nuova strategia Europa 2020 della Commissione rappresenta la risposta politica strategica iniziale dell'UE alla recessione e ai nuovi equilibri del potere economico globale. Il successo di tale strategia dipende da una risposta europea coordinata con la partecipazione delle parti sociali e della società civile (come ha affermato il Presidente Barroso nella comunicazione sulla strategia Europa 2020). Per adattarsi ai cambiamenti nel potere economico globale, l'UE deve basarsi sulle forme di partenariato tra Stato e società civile organizzata che le sono proprie e che le consentono di ottenere importanti risultati economici e di raggiungere la coesione sociale.

5.1.5   Questa iniziativa tuttavia incontrerà molti degli stessi problemi con cui si è dovuta confrontare la strategia di Lisbona: ad esempio, le priorità possono risultare troppo diverse e l'attuazione può rivelarsi problematica; la Commissione europea dispone solo di un numero limitato di strumenti diretti per influenzare i progressi; la responsabilità principale continua a incombere ai governi degli Stati membri che ora sono anche sottoposti a crescenti pressioni finanziarie, politiche e sociali (14).

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Così scrive l'ex Presidente del Parlamento europeo Pat Cox in un recente editoriale intitolato Europe must raise its game now and not later (http://www.irishtimes.com/newspaper/opinion/2010/0407/1224267827518.html).

(2)  Cfr. tra gli altri: La crisi finanziaria e il suo impatto sull'economia reale, (ECO/255) GU C 255 del 22.9.2010, pag. 10; Piano europeo di ripresa economica (supplemento di parere), GU C 228 del 22.9.2009, pag. 149; Un piano europeo di ripresa economica, GU C 182/2009 del 4.8.2009, pag. 71; La strategia di Lisbona dopo il 2010, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 3.

(3)  È quando osserva lo storico Niall Ferguson in un articolo sul Financial Times (del 10 aprile 2010) in merito alla riforma dell'insegnamento della storia nella scuola secondaria nel Regno Unito.

(4)  European Economic Forecast - Primavera 2010, European Economy 2, 2010.

(5)  Commissione europea, direzione generale Commercio. Global Europe: EU Performance in the global economy. Cfr. http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2008/october/tradoc_141196.pdf (visitato il 4 febbraio 2010).

(6)  Falling Flat: More Evidence that America is Experiencing a Jobless Recovery. The Economist. Cfr: http://www.economist.com/world/united-states/displaystory.cfm?story_id=15473802 (6 febbraio 2010).

(7)  Ad esempio il parere del CESE sul tema Un piano europeo di ripresa economica (GU C 228 del 22.9.2009, pag. 149) propone che «anche alla luce dell'andamento demografico previsto, una ristrutturazione intelligente dell'economia deve quindi cercare di trattenere i dipendenti in azienda, invece di licenziarli, e migliorare le loro qualifiche per disporre di una manodopera sufficientemente qualificata quando l'economia ricomincerà a crescere. Il sostegno per i disoccupati dovrebbe essere collegato a programmi di riqualificazione professionale e di miglioramento del livello delle qualifiche dei lavoratori ».

(8)  Lamy warns against protectionism amid financial crisis. WTO News. In: http://www.wto.org/english/news_e/sppl_e/sppl101_e.htm.

(9)  Sebbene non figurino attualmente in agenda, meritano comunque di essere esaminate anche le norme relative alla proprietà intellettuale (PI).

(10)  Il gruppo Datori di lavoro di CESE ha recentemente osservato ad esempio che «l'aumento del numero di centri di gravità rivali tra gli attori mondiali ha dato luogo a un'interazione molto complessa di relazioni bilaterali e multilaterali (che richiedono tra l'altro) politiche di limitazione del carbonio e di risparmio energetico e azioni di salvaguardia dei mercati aperti contro il protezionismo surrettizio». Fonte: A New Phase Ahead: Need for a Political and Economic Impetus, pag. 10. Opuscolo disponibile al seguente indirizzo: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.group-1-statements&itemCode=9894.

(11)  Da un punto di vista strettamente logico, la posizione cinese è in realtà difficile da confutare interamente: perché, infatti, la Cina dovrebbe accettare una tassa sulla produzione di beni che sono poi consumati nei paesi industrializzati, dove non sono soggetti ad alcuna imposta sui consumi specifica per le emissioni di carbonio?

(12)  Un buon esempio di innovazione necessaria è la recente formazione da parte del Presidente BARROSO di un gruppo di commissari responsabili del finanziamento della ricerca e dello sviluppo, un settore nel quale le diverse direzioni hanno ruoli, bilanci e responsabilità distinti ma suscettibili di sovrapporsi e/o di sostenersi reciprocamente.

(13)  In realtà, molte imprese hanno già fatto le proprie scelte e quelle che hanno lasciato l'Europa beneficiano anche di dazi ridotti su numerosi beni importati nell'UE, un aspetto che dà origine a considerazioni riguardanti la necessità di procedere a un riequilibrio di queste imposte/dazi.

(14)  Essendo una delle economie di dimensioni più ridotte, più dipendenti dal commercio e più aperte d'Europa, l'Irlanda può essere considerata come un laboratorio in cui osservare come queste sfide vengono affrontate in piccolo, dato che per sostenere una ripresa alimentata dagli scambi commerciali il governo sta incoraggiando le seguenti misure: investimenti nell'istruzione universitaria e postuniversitaria volti a promuovere la scienza, la tecnologia e l'innovazione; un sistema di ricerca competitivo a livello mondiale in grado di trasferire le conoscenze dai centri di ricerca al mercato; il miglioramento della competitività delle imprese con sede in Irlanda che operano sui mercati internazionali; la riduzione delle emissioni di carbonio del 20 %; il sostegno ai paesi in via di sviluppo che stanno subendo gli effetti del cambiamento climatico.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/11

Relatore: Lars NYBERG

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 marzo 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete (parere d'iniziativa).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre 2010), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 45 voti contrari e 16 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La crisi finanziaria del 2008 e la crisi economica che ne è derivata sono state le più gravi mai registrate dalla Seconda guerra mondiale. Quando, all'inizio del 2010, sono apparsi i primi segnali di ripresa dalla recessione, improvvisamente ci si è trovati di fronte ad una crisi del mercato delle obbligazioni di Stato, questa volta non più di dimensioni mondiali, ma ristretta ai confini dell'Europa. L'esigenza di alleggerire i bilanci pubblici dai costi derivanti dal sostegno fornito alle banche e da altre misure discrezionali, l'aumento della disoccupazione e le ulteriori misure di austerità adottate in molti paesi sono fattori che, considerati nel loro insieme, minacciano la crescita economica. In un simile contesto, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) reputa necessario mettere in campo misure politiche destinate non soltanto a conseguire la ripresa economica, ma anche a impedire che l'Europa entri in una nuova fase di recessione.

1.2   Nel 2009 l'UE ha registrato una crescita negativa (-4,1 %). Prima della crisi del mercato delle obbligazioni di Stato, scoppiata nella primavera di quest'anno, la crescita prevista per il 2010 era dello 0,7 %. Nel 2010 il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi sul 10 %, accompagnato da una riduzione del tasso di attività del 2 % nello stesso periodo. Il disavanzo di bilancio medio, pari al 2,3 % del PIL nel 2008, è salito al 6,8 % nel 2009 e dovrebbe arrivare al 7,5 % nel 2010. Durante la crisi la liquidità del mercato finanziario è stata garantita da ingenti finanziamenti pubblici. L'espansione del credito ai privati precedente alla recessione è venuta meno ed è stata sostituita da un ampio fabbisogno di credito del settore pubblico. Al tempo stesso, il credito continua a essere indispensabile al settore privato per stimolare la domanda. Il quadro della situazione economica degli Stati membri dell'UE è assai variegato: i disavanzi di bilancio di maggiore entità si registrano in Grecia e in altri paesi dell'area mediterranea, oltre che in Irlanda e nel Regno Unito, mentre la Spagna e i paesi baltici hanno i tassi di disoccupazione più elevati. È anche vero, però, che i paesi baltici sono riusciti in un lasso di tempo molto breve a ridurre disavanzi pubblici di vaste proporzioni e a invertire la tendenza alla crescita negativa grazie a misure economiche improntate al massimo rigore.

1.3   Una «strategia di entrata»

I mutamenti economici in profondità intervenuti negli ultimi decenni rendono inadeguata l'idea di una strategia di uscita dalla crisi. Dobbiamo riflettere invece ad una strategia di entrata, ossia a nuove iniziative sul piano economico e politico che servano ad elaborare una tabella di marcia per la società del prossimo futuro.

1.4   I consumi privati sono di primaria importanza per la domanda aggregata

La proposta di ridurre i deficit pubblici più elevati ha un effetto restrittivo sull'economia europea nel suo complesso, rimandando quindi il conseguimento di una crescita in grado di autosostenersi. Il CESE pone l'accento sull'importanza che riveste la domanda aggregata per alimentare il processo di crescita, e attira soprattutto l'attenzione sul ruolo dei consumi privati. Perché possa incidere in misura sostanziale sulla crescita, il sostegno economico deve essere destinato principalmente alle fasce di popolazione a più basso reddito: poiché queste ultime consumano una quota più elevata dei loro redditi, minore sarà la percentuale di tale sostegno che verrà assorbita dall'aumento del risparmio. È la premessa di una fonte di crescita in futuro, a condizione che si riesca ad invertire la tendenza - in atto ormai da parecchi decenni - allo spostamento della composizione del PIL dal lavoro al capitale. Naturalmente gli investimenti e le esportazioni hanno pur sempre un notevole peso, ma l'andamento dei consumi privati - che rappresentano circa il 60 % del PIL - è essenziale per la crescita, e ancora di più nel periodo di recessione che stiamo attraversando.

1.4.1   Valutare l'impatto dei programmi di austerità

Un livello di disoccupazione elevato e la riduzione del tasso di attività, insieme con aumenti salariali contenuti, tagli alla spesa pubblica, un incremento dell'imposizione fiscale e i nuovi programmi di austerità avranno l'effetto di ridurre il potenziale di crescita. In un simile quadro economico, la Commissione dovrebbe provvedere quanto prima a valutare l'effetto di contrazione dovuto a tutti questi fattori e proporre contromisure idonee a preservare la crescita. La crescita è una condizione imprescindibile per il conseguimento di tutti gli altri obiettivi di politica economica. Quello che certamente non possiamo permetterci di fare è attendere passivamente che i programmi di austerità producano i loro effetti restrittivi.

1.5   Misurare l'andamento della competitività

Tra gli obiettivi di politica economica, la bilancia delle partite correnti sinora non è mai stata considerata con l'attenzione che merita. I disavanzi di bilancio e le eccedenze delle partite correnti consolidatisi in alcuni paesi nel corso degli anni rendevano inevitabile, prima o poi, l'insorgere di una crisi economica nell'UE come quella della primavera 2010. Il CESE intende porre l'accento sull'esigenza di ridurre le notevoli differenze tra le bilance delle partite correnti degli Stati membri. Questo rende determinante l'obiettivo della competitività, misurata dal costo unitario del lavoro in termini reali, un indicatore che riunisce l'andamento dei salari e quello della produttività. Nell'ultimo decennio la competitività di Irlanda, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo è diminuita, in media, del 10 %: un calo di questa entità non poteva non comportare dei problemi di bilancio.

1.5.1   Il patto di stabilità e di crescita dovrebbe prevedere una verifica delle bilance delle partite correnti

Se un'area monetaria presenta andamenti salariali e di produttività diversi da uno Stato all'altro, vi sono soltanto due alternative: variare i salari relativi tra i paesi o aumentare la produttività dei paesi che registrano risultati meno positivi su questo fronte. Il CESE propone quindi che la Commissione svolga una verifica delle bilance delle partite correnti degli Stati membri, analogamente a quanto già avviene con il monitoraggio del disavanzo e del debito pubblici. La proposta potrebbe essere formalmente adottata con una modifica dei regolamenti che disciplinano il patto di stabilità e di crescita. Il controllo delle bilance delle partite correnti e la valutazione degli indicatori sottostanti, ossia gli andamenti dei salari e della produttività, dovrebbero essere realizzati in tutti i 27 Stati membri, prevedendo tuttavia un margine di azione maggiore per la Commissione nei paesi della zona euro. Con queste nuove disposizioni, l'economia reale troverebbe spazio nel patto di stabilità e di crescita.

1.5.2   Statistiche sul credito ai privati e sulla quota del debito pubblico detenuta da soggetti esteri

Il dibattito sul patto di stabilità e di crescita dovrebbe affrontare anche il tema della pubblicazione di dati statistici supplementari relativi al credito ai privati e alla quota del debito pubblico degli Stati membri detenuta da soggetti esteri.

1.6   Una regolamentazione e pratiche di vigilanza più efficaci del settore finanziario

Un fattore di efficienza nel settore finanziario potrebbe consistere nel mantenere parzialmente pubblico il capitale bancario, affinché le autorità pubbliche possano mantenere un certo controllo degli sviluppi nel settore degli istituti di credito. Le turbolenze registrate nel mercato finanziario nel 2010 dimostrano che le proposte di vigilanza e di regolamentazione del settore finanziario che sono state avanzate non sono sufficienti. Soprattutto dopo l'atteggiamento dimostrato dal settore finanziario durante la crisi greca, si rendono necessarie una regolamentazione e pratiche di vigilanza più efficaci per modificare tali comportamenti e individuare nuove modalità di finanziamento del debito pubblico.

1.7   Investimenti pubblici nelle infrastrutture e nel settore dell'energia

Occorre concentrare gli investimenti nei settori della tutela dell'ambiente e delle misure di lotta al cambiamento climatico. Il CESE ritiene che la fiscalità possa essere la leva su cui agire per fare in modo che il mercato riduca le emissioni nocive. In un periodo in cui le imprese realizzano ben pochi investimenti, è necessario che il settore pubblico supplisca con investimenti nelle infrastrutture e nel settore dell'energia. In base al patto di stabilità e di crescita riveduto, gli investimenti non vanno inclusi nel calcolo del disavanzo eccessivo.

1.8   Politiche attive del mercato del lavoro

In aggiunta alla ricerca di nuove competenze per nuovi posti di lavoro, su cui dovrebbero essere incentrate le politiche occupazionali, occorre anche incrementare il livello generale di istruzione. La strategia Europa 2020 è di fondamentale importanza per conseguire questi obiettivi. Misure di politica che servirebbero con tutta evidenza a incrementare il tasso di occupazione consistono nell'offerta di servizi di assistenza all'infanzia di qualità elevata e nella possibilità di usufruire di congedi parentali di durata sufficiente e adeguatamente retribuiti.

1.9   Una strategia di entrata che promuova una politica a favore della famiglia e dello sviluppo di competenze

Quando sarà possibile ridurre la spesa destinata alle indennità di disoccupazione, le stesse risorse pubbliche dovrebbero essere riorientate verso politiche a favore della famiglia e dello sviluppo di competenze. Una strategia concepita per uscire dalla crisi si trasforma in una strategia di entrata. L'organizzazione dei sistemi sociali deve offrire maggiore protezione sociale e posti di lavoro, pur nel rispetto dei limiti consentiti dalle risorse finanziarie.

1.10   Una nuova fonte di entrate: l'imposizione fiscale sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di CO2

Una nuova fonte di entrate per i bilanci pubblici potrebbe venire da un'imposizione fiscale sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di biossido di carbonio: oltre a incrementare entrambe il gettito fiscale, queste due nuove tasse consentirebbero, la prima, di contrastare la logica del breve termine prevalente sul mercato finanziario e, la seconda, di migliorare l'ambiente.

1.11   Consentire alla BEI l'emissione di eurobbligazioni

L'emissione da parte della BEI di eurobbligazioni (Eurobonds) - o, meglio, di obbligazioni dell'UE - che comprenderebbero tutti i 27 Stati membri, consentirebbe di reperire capitale fresco per il settore pubblico senza dover dipendere interamente dal settore finanziario privato. Le risorse finanziarie dovrebbero essere trovate a monte, ad esempio negli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP), in modo che la BEI diventi un'interfaccia tra queste risorse di capitale e i suoi investimenti. Le eurobbligazioni sono anche possibili strumenti a lungo termine per il risparmio privato.

2.   Quadro della situazione attuale  (1)

2.1   La crisi finanziaria del 2008 e la crisi economica che ne è derivata sono state le più gravi mai registrate dalla Seconda guerra mondiale. Quando, all'inizio del 2010, sono apparsi i primi segnali di ripresa dalla recessione, improvvisamente ci si è trovati di fronte ad una crisi del debito pubblico, questa volta non più di dimensioni mondiali, ma ristretta ai confini dell'Europa. L'esigenza di alleggerire i bilanci pubblici del peso del sostegno fornito alle banche e ad altri settori dell'economia, come pure dei costi di altre misure discrezionali, l'aumento della disoccupazione e le ulteriori misure di austerità adottate in molti paesi sono fattori che, considerati nel loro insieme, minacciano la crescita economica. In un simile contesto, il Comitato economico e sociale europeo reputa necessario mettere in campo misure politiche destinate non soltanto a conseguire la ripresa economica, ma anche ad impedire che l'Europa entri in una nuova fase di recessione.

2.2   Crescita negativa

2.2.1   Nel dicembre del 2008, al momento dell'adozione del piano europeo di ripresa economica, la crescita economica prevista per il 2009 era intorno allo 0 %. Si è registrata invece una crescita negativa pari al -4,1 %. Se è vero che il piano era basato su previsioni eccessivamente ottimistiche, senza incentivi di bilancio il quadro sarebbe stato persino più negativo.

2.2.2   Gli Stati membri hanno fornito sostegno economico in misura superiore a quanto previsto dal piano - ossia l'1,2 % del PIL - al punto che, per il biennio 2009-2010, l'aiuto all'economia potrebbe ammontare al 2,7 % del PIL. Benché le esigenze di sostegno negli Stati membri fossero superiori al sostegno programmato, le misure sono state in realtà persino troppo contenute se confrontate all'andamento negativo della crescita.

2.2.3   Gli incentivi economici non sono venuti unicamente dai bilanci pubblici, poiché la Banca centrale europea (BCE) ed altre banche centrali dell'UE hanno ridotto i tassi d'interesse fin quasi allo zero, e iniettato liquidità nel sistema economico a livelli sinora mai raggiunti. Non solo, ma alcuni Stati membri hanno fatto ricorso a ingenti quantitativi di denaro pubblico per procedere al salvataggio di alcune banche. Eppure, a ulteriore dimostrazione della gravità dell'attuale crisi economica e finanziaria, tutte queste misure non sono state in grado di impedire la crescita negativa registrata nel 2009.

2.2.4   Prima della crisi della primavera di quest'anno, la crescita prevista per il 2010 era pari allo 0,7 %, inferiore cioè a quella dei principali concorrenti dell'UE a livello mondiale. Tra gli elementi positivi vanno segnalati l'aumento degli indicatori della fiducia, una crescita sostenuta in altre regioni del mondo e il ritorno del commercio mondiale a un livello più o meno comparabile al periodo precedente la crisi. Fattori negativi sono invece l'ulteriore riduzione degli investimenti realizzati dalle imprese anche nell'ultimo trimestre del 2009, l'assenza di un sostanziale miglioramento della produzione industriale - i recenti incrementi della domanda si devono probabilmente soltanto alla formazione delle scorte -, il tasso di utilizzo degli impianti estremamente basso, che non offre incentivi al rilancio degli investimenti, la situazione del settore bancario che, anch'essa, non lascia alcun margine per incrementare gli investimenti e, soprattutto, la turbolenza sul mercato delle obbligazioni di Stato.

2.3   Commercio

Il commercio mondiale ha subito un tracollo nell'ultimo trimestre del 2008, con un calo del 12 %, quando invece nel 2007 aveva registrato un incremento di circa il 20 %. La tendenza è proseguita nei trimestri successivi, e il dato trimestrale peggiore ha fatto registrare una contrazione - del 30 % circa - rispetto al valore dello stesso trimestre dell'anno precedente. Nell'ultimo trimestre del 2009 si è tuttavia constatata un'inversione di tendenza, con un incremento del 4 %. I dati relativi all'UE sono pressoché identici, con un calo lievemente più pronunciato per gli scambi intra-UE rispetto al commercio con i paesi terzi.

2.4   Il mercato del lavoro

2.4.1   L'aumento del numero di disoccupati in conseguenza della crisi dovrebbe continuare ancora, dato che di regola le ripercussioni sul mercato del lavoro si avvertono con un certo ritardo rispetto all'andamento dell'economia reale. Nel 2010 il tasso di disoccupazione medio nell'UE - con percentuali molto diverse da uno Stato membro all'altro - si attesterà sul 10 %, il che equivale ad un incremento del 3 % su base annua.

2.4.2   Se la crisi incide da un lato sul livello di disoccupazione, dall'altro comporta anche una diminuzione del tasso di attività, con un calo pari a circa il 2 % della forza lavoro. Per di più, molti hanno scelto di ridurre le ore lavorative prestate per mantenere il posto di lavoro, il che corrisponde a un'ulteriore riduzione dell'1 % della forza lavoro. In un contesto di ripresa economica, quest'ultimo indicatore è probabilmente il primo a tornare a livelli di normalità. Il tasso di crescita deve essere sufficientemente elevato: in caso contrario, infatti, la crescita non è accompagnata dalla creazione di nuovi posti di lavoro (la cosiddetta «crescita senza occupazione»).

2.5   Disavanzi pubblici

Secondo le stime il disavanzo di bilancio medio, pari al 2,3 % del PIL nel 2008, è salito al 6,8 % nel 2009 e dovrebbe toccare il 7,5 % nel 2010. Il deterioramento dei conti pubblici non dipende soltanto dall'introduzione di misure attive di sostegno, ma anche dall'aumento della spesa e dal minor gettito fiscale dovuti al meccanismo degli stabilizzatori automatici. Secondo l'analisi dell'OCSE queste misure di protezione sociale hanno permesso di preservare un maggior numero di posti di lavoro in Europa rispetto ad altre economie.

2.6   Il mercato finanziario

2.6.1   Anche nel 2010 la situazione del mercato finanziario continua a rimanere piuttosto confusa. Non disponiamo di elementi che consentano di stabilire se la costante scarsità di investimenti sia dovuta a una persistente mancanza di liquidità, alla politica di prevenzione del rischio adottata dagli istituti di credito o a una domanda insufficiente del settore industriale.

2.6.2   Per una ripresa economica sostenibile è indispensabile che il mercato del credito torni a concentrare la sua attività sul lungo termine invece che su operazioni a brevissimo termine. Questo aspetto è oggetto di un'elaborazione più approfondita in un parere del CESE in merito alla proposta di una tassa sulle operazioni finanziarie (2).

2.6.3   A partire dal 2006 e fino all'insorgere della crisi finanziaria il settore del credito ai privati ha registrato una crescita eccezionale nell'arco di pochi anni (3). Il debito privato è raddoppiato sia nella zona euro che negli Stati Uniti, la spesa privata era elevata e ha determinato un forte disavanzo delle partite correnti in alcuni paesi. Nel 2009 questa forte espansione del credito è venuta meno ed è stata in parte sostituita dal debito pubblico. Nei prossimi anni continueranno a registrarsi deficit pubblici elevati, mentre sarà nel contempo necessario stimolare la domanda del settore privato per dare slancio alla ripresa: sia in un caso che nell'altro il credito è indispensabile.

2.6.4   I fondi pensione hanno sofferto per il drastico ridimensionamento del valore dei loro investimenti azionari, stimato al 24 % in termini reali nel 2009 (4). Il livello di reddito dei pensionati è a rischio, il che avrà delle conseguenze sulla possibilità di incrementare la domanda privata. I diritti per chi sottoscrive un fondo pensione maturano a lunghissimo termine, mentre questi fondi investono in portafogli di titoli molto più a breve termine. Pertanto, nel mercato finanziario si constata la necessità di aumentare la quota di strumenti finanziari a lungo termine, sia per i fondi pensione sia per gli altri enti che operano in campo pensionistico, come le compagnie di assicurazione.

2.7   Panoramica della situazione negli Stati membri

2.7.1   Il calo più marcato del PIL tra gli Stati membri di maggiori dimensioni si è registrato in Germania e nel Regno Unito, mentre tra gli Stati membri più piccoli la flessione più pronunciata si è avuta - dopo un lungo periodo di forte crescita del PIL - nel 2009 nei tre paesi baltici. In questi anni di boom economico anche la dinamica salariale è stata molto elevata, superiore agli incrementi di produttività, ma i paesi baltici, in particolare la Lituania, hanno reagito prontamente alla crisi riducendo i salari. I maggiori aumenti salariali nel corso del 2009 si sono registrati in Grecia, senza però un corrispondente incremento della produttività. Nello stesso anno l'unica eccezione è rappresentata dalla Polonia, paese il cui tasso di crescita ha segnato +1,7 % grazie, tra l'altro, a maggiori investimenti pubblici e a un incremento dei consumi privati, oltre che a un andamento piuttosto soddisfacente sul fronte dell'occupazione.

2.7.2   Sempre nel 2009 il calo più drastico del tasso di occupazione si è registrato nei tre paesi baltici, seguiti da Bulgaria e Spagna. Va osservato che in nessuno Stato membro tale tasso è rimasto invariato, benché in Germania sia diminuito soltanto dello 0,4 %. Lo Stato membro con il tasso di disoccupazione più alto nel 2009 era la Lettonia (21,7 %), seguita da Lituania, Estonia, Spagna, Slovacchia e Irlanda.

2.7.3   Durante le turbolenze registrate nel 2010 sul mercato delle obbligazioni di Stato è emerso che il disavanzo pubblico della Grecia è pari a circa il 13 % del PIL, una rivelazione che ha innescato attacchi speculativi contro l'euro. Si è appreso inoltre che il deficit del Regno Unito è più o meno delle dimensioni di quello greco. Quanto al deficit pubblico spagnolo, si è scoperto «dall'oggi al domani» che è ormai a livelli insostenibili. Questi tre paesi, imitati da Portogallo, Italia e Irlanda, nonché da altri Stati membri, hanno messo in campo una serie di politiche di austerità per ridurre disavanzi di vaste proporzioni e abbassare livelli elevati di debito pubblico.

3.   Iniziative concrete per il rilancio dell'economia

3.1   Non serve una strategia di uscita (exit strategy), ma una strategia di entrata (entry strategy)

3.1.1   Si è molto discusso di una strategia di uscita dalla crisi, ossia delle modalità con cui riassorbire il sostegno pubblico straordinario all'economia, dato che i vincoli giuridici da rispettare continuano ad essere le due regole secondo cui il disavanzo di bilancio non deve essere superiore al 3 % del PIL e il debito pubblico deve rimanere entro il limite del 60 % del PIL. Nella comunicazione sulla strategia Europa 2020 la Commissione europea ha giustamente fatto osservare che «le misure di sostegno possono essere abbandonate solo quando la ripresa economica avrà una propria autonomia» (5). Tuttavia, considerato il clima di incertezza che grava sulle nostre economie, è assai difficile stabilire quando tale ripresa «avrà una propria autonomia». La proposta di ridurre i deficit pubblici più elevati ha un effetto restrittivo sull'economia europea nel suo complesso, rimandando quindi ulteriormente il conseguimento di una crescita in grado di autosostenersi. Non solo, ma adottare una simile strategia di uscita significa poter tornare, una volta cessate le misure di sostegno, al quadro economico precedente alla crisi, il che non è accettabile.

3.1.2   In primo luogo, sono in fase di attuazione o di preparazione numerose riforme del settore finanziario che, secondo le aspettative, dovrebbero servire a rafforzarne la trasparenza e la resistenza alle crisi. In secondo luogo, è necessario riformare anche altri settori dell'economia, altrimenti corriamo senz'altro il rischio che i problemi affrontati in questi ultimi anni si profilino di nuovo all'orizzonte.

3.1.3   La riflessione sui mutamenti economici intervenuti negli scorsi decenni dovrà esserci d'aiuto per elaborare nuovi provvedimenti in campo economico e politico che contribuiscano a ridurre la vulnerabilità dell'economia. Non si tratta quindi di proporre una strategia di uscita dalla crisi, poiché elaborare una tabella di marcia per una strategia di uscita significa prendere delle decisioni sulla società del prossimo futuro, ossia, in altri termini, definire una strategia di entrata.

3.2   Domanda aggregata

3.2.1   In teoria due sono i metodi per conseguire la crescita economica: aumentare la produzione utilizzando la stessa tecnologia o migliorare la tecnologia per sfruttare maggiormente le risorse produttive disponibili. La preferenza per l'uno o l'altro metodo dipende dal contesto economico. In una fase di espansione economica vengono sfruttate tutte le risorse produttive, e l'unico modo per ottenere un incremento della crescita è investire in metodi di produzione innovativi; al contrario, in una recessione - come quella che ha avuto inizio nel 2008 - vi sono molte risorse inutilizzate che è necessario impiegare. La politica da adottare consiste perciò nello stimolare la domanda. Purtroppo, però, la domanda aggregata non viene più riconosciuta quale autentico motore della crescita economica.

3.2.2   Per riuscire a stimolare la domanda, le misure devono non solo incidere direttamente sui consumi e gli investimenti, ma anche rafforzare la fiducia di consumatori e investitori. Proprio come gli stabilizzatori automatici sono efficaci in situazione di crisi, una maggiore fiducia può funzionare in un contesto di rilancio dell'economia, poiché può moltiplicare l'effetto degli interventi pubblici per far sì che la ripresa si autoalimenti. Perché questo avvenga, è essenziale non solo l'importo del sostegno erogato, ma anche a quali gruppi di popolazione esso viene destinato. Le fasce a più basso reddito consumano una quota più elevata dei loro redditi rispetto ai gruppi a reddito più elevato: appunto per questo, maggiore sarà il sostegno destinato alla prima categoria, minore sarà la percentuale di tale sostegno che verrà assorbita dall'aumento del risparmio.

3.2.3   Gli effetti del piano di ripresa economica nella sua versione iniziale potrebbero essere inferiori alle aspettative, dato che gran parte delle misure introdotte dagli Stati membri erano già in programma e non sono servite di ulteriore stimolo alla crescita. Nella primavera del 2010 la Commissione ha opportunamente posto l'accento sulla necessità che le misure destinate a stimolare la crescita fossero efficaci anche sul piano sociale. La crescita prevista per il 2010 è inferiore all'1,5 %, un tasso che secondo numerosi economisti corrisponde alla crescita potenziale dell'UE. Ma anche con una crescita attestata su questo valore, non si registrerebbe una riduzione del tasso di disoccupazione e dei disavanzi di bilancio sufficientemente rapida.

3.2.4   Il CESE desidera sottolineare l'importanza che riveste la domanda aggregata per dare impulso al processo di crescita, e attira soprattutto l'attenzione sul ruolo fondamentale dei consumi privati.

3.2.5   Altrettanto importante è incrementare gli investimenti. Il patto di stabilità e di crescita riveduto prevede la possibilità di rimandare l'aggiustamento di un disavanzo di bilancio superiore alla soglia stabilita se la spesa in eccesso è destinata agli investimenti. Non bisogna però credere che gli investimenti costituiscano in assoluto l'unico strumento utile per rafforzare la crescita.

3.2.6   D'altra parte, neppure incrementare le esportazioni è un rimedio sufficiente. Gli scambi commerciali dell'UE si svolgono principalmente tra gli Stati membri. La quota del commercio esterno - ossia le esportazioni verso altre regioni dell'economia mondiale - si è attestata a lungo sul 10 % del PIL dell'Unione europea. Se è vero che gli scambi dell'UE rappresentano un terzo del commercio mondiale, sottraendone gli scambi intra-UE la percentuale si riduce però al 16 %. L'importanza degli scambi risiede anche nel fatto che essi sono un indicatore della competitività globale di un'economia. I segnali di un aumento delle esportazioni dall'UE verso il resto del mondo sono ovviamente un elemento positivo, ma non abbastanza confortante in un contesto di investimenti insufficienti e di deterioramento del mercato del lavoro.

3.2.7   Secondo l'OIL (6), da oltre un decennio nell'economia mondiale è in atto uno spostamento della composizione del PIL dal lavoro al capitale. Nel periodo compreso tra il 1999 e il 2007 la quota parte dei profitti sul PIL nell'UE a 27 è aumentata dal 37 al 39 %; nel secondo semestre del 2008 ha registrato un netto calo, scendendo al 36 %, ma nel corso del 2009 è risalita al 37 % (7). Si tratta di un segnale di accresciute disuguaglianze nella distribuzione dei redditi.

3.2.8   La maggior parte del PIL è costituita dai consumi privati, la cui quota, tuttavia, può variare sensibilmente a seconda delle azioni dei soggetti pubblici o privati nel quadro del sistema politico proprio a ciascun paese. Ciononostante, una variazione della quota di PIL attribuibile ai consumi privati potrebbe anche indicare una diversa configurazione della distribuzione dei redditi. Nel 2008 la quota del PIL dell'UE rappresentata dai consumi era scesa al 58 % rispetto al 60 % del 2005 e al 61 % del 2000. Per quanto si tratti soltanto di una modesta variazione su un arco di tempo piuttosto lungo, è però indicativa del margine di manovra esistente per incrementare i consumi privati quale strumento per stimolare la domanda aggregata (8), la quale riveste un'importanza particolare nell'attuale contesto economico.

3.2.9   Nel 2010, tuttavia, il tasso di disoccupazione elevato e la riduzione del tasso di attività, accompagnati da aumenti salariali molto contenuti, non sono certo indicatori di un incremento dei consumi ma sembrano, anzi, andare in direzione opposta. In un simile contesto, quindi, ridurre le misure di sostegno pubblico non è la politica più adeguata da applicare. Una volta tratta questa conclusione, tuttavia, va detto che la situazione attuale (nel 2010), caratterizzata da ampi tagli alla spesa pubblica e da un aumento del gettito fiscale, appare estremamente problematica sotto il profilo della politica economica. Queste inevitabili riduzioni della domanda aggregata determinate dai tagli ai bilanci pubblici sono certamente procicliche, in quanto si tradurranno in minori possibilità di crescita. L'effetto più importante di queste misure, cioè la diminuzione del reddito dei dipendenti del settore pubblico, sarà avvertito sotto forma di contrazione della domanda in tutti i settori dell'economia. Non sarà quindi possibile conseguire il tasso di crescita potenziale.

3.2.9.1   È interesse precipuo dell'Unione europea disporre di stime circa i potenziali effetti restrittivi di questi nuovi tagli ai bilanci pubblici. Si tratta di misure ispirate al massimo rigore e adottate d'urgenza. Dovrebbe essere altrettanto urgente per l'UE fare in modo che i paesi che non versano in una situazione economica così grave adottino delle contromisure, vale a dire si adoperino per incrementare il livello di domanda aggregata. Spetta alla Commissione valutare prima possibile l'entità delle ripercussioni delle misure di austerità e formulare proposte adeguate in proposito. La Commissione si propone di illustrare le conclusioni di una valutazione di questo tipo nel documento di previsione economica che pubblicherà nel novembre 2010. Sarebbe invece opportuno non aspettare tanto a lungo: è vero che la crescita del primo trimestre del 2010 si è avvicinata alle previsioni (+0,7 %), ma il dato è precedente all'adozione dei programmi di austerità da parte di alcuni Stati membri. Quello che certamente non possiamo permetterci di fare è attendere passivamente che il probabile impatto restrittivo dei programmi di austerità si traduca in realtà.

3.2.9.2   Il CESE è dell'opinione che la congiuntura economica richieda l'avvio di un dibattito su nuove basi. La soglia del 3 % del PIL per il disavanzo pubblico va mantenuta, ma occorre associare questo criterio ad una discussione sulle notevoli differenze tra i disavanzi pubblici dei vari Stati membri, poiché è necessario che i paesi che presentano disavanzi di grande entità consolidino definitivamente i loro bilanci pubblici. Gli obblighi imposti agli Stati membri il cui disavanzo rientra nel limite del 3 % (o è di poco superiore a tale soglia) dovrebbero essere meno stringenti. Laddove è ancora possibile finanziare i disavanzi a tassi di interesse relativamente bassi, sembra opportuno non adottare per il momento misure di bilancio eccessivamente restrittive. Se si rilegge il patto di stabilità e di crescita riveduto dal 2005 in poi, ci si rende conto che queste proposte sono assolutamente in linea con le modifiche introdotte all'epoca, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti pubblici e i periodi di pressione recessiva.

3.3   La bilancia delle partite correnti di nuovo al centro dell'agenda politica

3.3.1   Da tempo ormai la politica economica è incentrata su tre obiettivi principali volti a conseguire benessere e prosperità: stabilità dei prezzi, crescita economica e piena occupazione. I criteri intermedi dell'equilibrio di bilancio e del debito pubblico servono a garantire la realizzazione delle vere finalità di tale politica. Tuttavia, due obiettivi non vengono più considerati da molto tempo: l'equa distribuzione dei redditi e la bilancia delle partite correnti. Si è ritenuto - ed è un errore - che quest'ultimo indicatore avesse perduto d'importanza: in realtà in un mercato unico con una moneta unica tale obiettivo è fondamentale.

3.3.2   L'analisi della bilancia delle partite correnti, ossia della bilancia degli scambi commerciali con gli altri paesi, avrebbe permesso di capire esattamente quello che sarebbe accaduto nella zona euro. La Grecia presenta attualmente un forte disavanzo delle partite correnti che si è andato accumulando nel corso degli anni. Germania, Paesi Bassi e Svezia hanno a lungo registrato un'eccedenza delle partite correnti, mentre gran parte dei paesi dell'area mediterranea presenta un disavanzo delle partite correnti, benché il primato del paese con il più ampio disavanzo spetti alla Bulgaria.

3.3.3   Disavanzi o eccedenze delle partite correnti anche di vaste proporzioni non sono preoccupanti, se limitati al breve periodo. Il problema nasce se lo squilibrio persiste per molti anni di seguito o se i capitali importati non vengono investiti in modo adeguato e, di conseguenza, non si realizzano potenziali incrementi di produttività. Tra i paesi della zona euro, Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda registrano forti disavanzi praticamente sin dall'introduzione della moneta unica. Tra gli Stati membri che non appartengono all'area dell'euro, disavanzi molto elevati contraddistinguono la Bulgaria e si sono registrati in passato nei tre paesi baltici. La lotta a disavanzi delle partite correnti di vaste dimensioni può essere condotta soltanto mediante una politica economica estremamente rigorosa, come quella adottata dai governi di Estonia, Lettonia e Lituania nel 2009.

3.3.4   Avendo constatato il quadro assai variegato della situazione economica nei diversi Stati membri, il CESE intende insistere sull'esigenza di ridurre tali disparità. Questo ci induce a ritenere determinante l'obiettivo della competitività, che è misurata dal costo unitario del lavoro in termini reali, un valore che rappresenta gli effetti combinati dell'andamento dei salari e di quello della produttività. Nella zona euro sono soprattutto Germania ed Austria ad aver incrementato la loro competitività grazie ad un costo unitario del lavoro in termini reali più basso. D'altro canto, dal 2008 in avanti il livello salariale in Germania è cresciuto più in fretta della produttività, determinando quindi una perdita di competitività. Nell'ultimo decennio la competitività di Irlanda, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo è diminuita, in media, del 10 % (9). Un prolungato deterioramento della competitività può essere all'origine di problemi di bilancio, un fenomeno che con ogni evidenza si è verificato nel corso del 2010 ma la cui causa principale - vale a dire le variazioni del livello di competitività - non è stata adeguatamente messa in luce.

3.3.5   Dal momento che i paesi della zona euro non hanno più a disposizione lo strumento delle variazioni dei tassi di cambio, la variazione della competitività relativa - con un livello di prezzi più alto rispetto ad altri paesi va cercata nei «tassi di cambio reali». Se un'area monetaria presenta andamenti salariali e di produttività divergenti, vi sono solo due rimedi: modificare i salari relativi tra i paesi o aumentare, grazie agli investimenti, il livello di produttività dei paesi che registrano risultati meno positivi su questo fronte. Sarebbe assurdo, infatti, chiedere ai paesi con un buon indice di produttività di arrestare tale crescita.

3.3.6   Una conclusione che si può trarre dalla crisi della primavera 2010 è che ad Eurostat dovrebbe essere affidato il compito di verificare i dati degli istituti statistici degli Stati membri. Poter disporre di statistiche corrette e accurate avrà un'importanza ancora maggiore se i dati relativi alla bilancia delle partite correnti e all'andamento dei salari e della produttività serviranno da punto di partenza per un nuovo dibattito politico in ambito europeo.

3.3.7   Il CESE propone di integrare gli obiettivi relativi all'equilibrio di bilancio e al debito pubblico con un terzo obiettivo relativo alla bilancia delle partite correnti. Tuttavia, è impossibile ricorrere a un dato unico in questo caso, poiché a una situazione positiva delle partite correnti di alcuni paesi corrisponde sempre una situazione negativa in altri paesi. Le difficoltà sorgono quando il divario è troppo ampio o si verifica in un arco temporale troppo ristretto o, ancora, quando i capitali importati non vengono impiegati per realizzare investimenti produttivi.

3.3.8   Il CESE propone quindi che la Commissione svolga una verifica delle bilance delle partite correnti degli Stati membri, analogamente a quanto già avviene con il monitoraggio del disavanzo e del debito pubblici. Oggi anche la Commissione fa sua questa ipotesi di lavoro negli indirizzi di massima per le politiche economiche e in un documento sul consolidamento della ripresa economica. Inoltre, queste questioni sono attualmente oggetto di discussione in seno alla task force sulla governance economica guidata dal Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy.

3.3.9   Il CESE intende rafforzare ulteriormente il contenuto delle proposte citate. Il nuovo obiettivo relativo alla bilancia delle partite correnti dovrebbe avere lo stesso rilievo assegnato ai due obiettivi già previsti dal patto di stabilità e di crescita. La Commissione dovrebbe quindi svolgere un controllo delle bilance delle partite correnti e una valutazione degli indicatori sottostanti (ossia gli andamenti dei salari e della produttività) in tutti i 27 Stati membri, con maggiori poteri di adottare provvedimenti in caso di mancato rispetto dell'obiettivo - secondo il metodo già in uso per il disavanzo e il debito pubblici - nei confronti dei paesi che appartengono alla zona euro. L'iniziativa a livello delle istituzioni UE dovrebbe limitarsi a stabilire degli orientamenti per la riforma delle politiche e non riguardare la loro attuazione concreta, che, in base al principio di sussidiarietà, rimane di competenza degli Stati membri. Una semplice modifica dei regolamenti che disciplinano il patto di stabilità e di crescita consentirebbe all'economia reale o, per meglio dire, agli aspetti macroeconomici di trovare spazio nel patto stesso.

3.3.10   La crisi ha dimostrato che occorre approfondire ulteriormente anche altri aspetti del patto di stabilità e di crescita. Oltre alla pubblicazione delle statistiche normalmente richieste dal patto, dovrebbero essere divulgati i dati statistici sul credito ai privati e sulla quota del debito pubblico degli Stati membri detenuta da soggetti esteri. La pubblicazione di queste nuove statistiche potrebbe servire sia da «sistema di preallarme» che come strumento di pressione nei confronti degli Stati membri che versano in una difficile situazione economica.

3.4   Altri settori chiave per il rilancio dell'economia europea

3.4.1   Sostegno finanziario pubblico e regolamentazione finanziaria

3.4.1.1   Per impedire che la crisi avesse ripercussioni catastrofiche su interi settori dell'economia europea - e in primo luogo sull'industria automobilistica - sono stati accordati ingenti finanziamenti pubblici. Considerato il contesto, le norme dell'UE in materia di aiuti di Stato non sono state applicate, come di regola sarebbe dovuto avvenire, all'erogazione di questo sostegno.

3.4.1.2   Aiuti di consistenza davvero eccezionale sono stati concessi al settore finanziario e in qualche paese dell'UE, così come negli Stati Uniti, alcune banche sono state in parte nazionalizzate. Certamente questa politica registrerà prima o poi un cambio di rotta, che richiederà però qualche anno, dal momento che anche nel lungo periodo un fattore di efficienza delle politiche finanziarie degli Stati membri potrebbe consistere nel mantenere parzialmente pubblico il capitale bancario affinché le autorità pubbliche possano mantenere un qualche controllo sugli sviluppi nel settore degli istituti di credito.

3.4.1.3   Durante la crisi che ha coinvolto la Grecia alcuni operatori del settore finanziario, dopo che quest'ultimo aveva ricevuto un sostegno senza precedenti da parte dei bilanci pubblici, hanno partecipato ad attacchi speculativi mirati al mercato delle obbligazioni di Stato all'interno della zona euro. Si è trattato di un tentativo del mercato finanziario di sottrarre alla sfera politica il potere decisionale, potere che i politici, a conclusione di una gravissima crisi, sono però riusciti a riprendere in mano. La critica che si può muovere al mondo politico è di non aver preso alcun provvedimento fino all'insorgere di una recessione di vaste proporzioni, dando prova di inerzia sia di fronte alla crisi finanziaria sia durante la tempesta che ha agitato il mercato delle obbligazioni di Stato. Questo dimostra che le proposte di regolamentazione e di vigilanza del settore finanziario che sono state avanzate non sono sufficienti. Sono necessarie misure di regolamentazione e di vigilanza più efficaci per modificare il comportamento degli istituti finanziari e trovare nuove modalità di finanziamento del debito pubblico.

3.4.2   Un'economia più rispettosa delle preoccupazioni ambientali

A lungo termine, gli investimenti dovranno concentrarsi sulla tutela dell'ambiente e le misure di lotta al cambiamento climatico. È opportuno avviare fin da ora il processo che porterà a una nuova composizione del portafoglio di investimenti. Secondo la Commissione, diversi segnali portano a credere che i nostri concorrenti internazionali siano già avviati lungo questa strada. Modificare il mix di investimenti è di vitale importanza, non solo per ragioni ambientali, ma anche per la competitività globale dell'Europa. La scomparsa di determinati posti di lavoro sarà compensata dalla creazione di nuova occupazione. In questo modo, alla sostenibilità sul piano economico potrà accompagnarsi la sostenibilità sul piano sociale e ambientale. Sulla scia delle proposte formulate dalla Commissione negli indirizzi di massima per le politiche economiche, anche il CESE ritiene che la fiscalità possa essere la leva su cui agire per fare in modo che il mercato riduca le emissioni nocive.

3.4.3   Infrastrutture ed energia

In un periodo in cui gli investimenti realizzati dalle imprese scarseggiano, è necessario che il settore pubblico supplisca con investimenti propri, necessari sia per stimolare la crescita che per soddisfare il forte fabbisogno di investimenti in infrastrutture ed energia. Il fatto che le banche siano ben poco disposte ad assumersi dei rischi erogando crediti alle imprese costituisce un elemento di novità, che crea difficoltà soprattutto alle PMI. Nella maggior parte dei paesi il tasso di interesse sulle obbligazioni di Stato è ancora vantaggioso, il che - malgrado le turbolenze che attualmente si registrano su questo mercato - favorisce gli investimenti pubblici. In base al patto di stabilità e di crescita riveduto, gli investimenti non vanno inclusi nel calcolo del disavanzo eccessivo.

3.4.4   Politiche attive del mercato del lavoro

Le politiche rivolte al mercato del lavoro devono essere attive e non limitarsi a fornire un sostegno economico ai disoccupati. Numerosi programmi di vario tipo sono stati messi in campo per riqualificare sia questi ultimi sia i lavoratori in attività. L'obiettivo di conseguire una «istruzione per tutti», inserito nel programma di lavoro del trio delle presidenze di turno dell'UE (Spagna, Belgio e Ungheria), appare incoraggiante. Una politica inclusiva non consiste soltanto nell'offrire ai cittadini l'opportunità di un posto di lavoro, ma anche nel promuoverne una più fattiva partecipazione in seno alla società.

3.4.4.1   Prefiggersi l'obiettivo di aumentare il tasso di occupazione, come prevede la strategia Europa 2020, non è sufficiente. Per migliorare il tasso di occupazione occorre infatti mettere in campo alcune politiche fondamentali:

tra queste, politiche di sviluppo delle competenze, di cui l'apprendimento permanente è una componente indispensabile. Un problema di rilievo è decidere chi deve pagare: la società, i datori di lavoro o i lavoratori? Tutti e tre questi soggetti devono, in qualche modo, partecipare al finanziamento delle attività di formazione,

la base di partenza è costituita dal grado di istruzione generale dei cittadini europei: l'UE deve innalzare il livello complessivo delle conoscenze,

misure ovvie volte a incrementare il tasso di occupazione consistono nello sviluppo di servizi di assistenza all'infanzia di qualità elevata e a prezzo ragionevole, unitamente alla possibilità di usufruire di congedi parentali di durata sufficiente e adeguatamente retribuiti per offrire un vero incentivo ad avere figli,

gli ostacoli che possono impedire di candidarsi per un posto di lavoro sono molteplici. Nel tentativo di incrementare il tasso di attività della popolazione, può rivelarsi necessario adottare una politica ad hoc per ciascuno svantaggio specifico.

3.4.5   Politiche sociali

3.4.5.1   In una relazione sulla protezione e l'inclusione sociali (10), la Commissione riconosce il ruolo di primo piano che hanno svolto i sistemi di welfare nell'attenuare gli effetti della crisi sul piano socioeconomico. Secondo le stime, la spesa sociale durante la crisi attuale dovrebbe aver registrato un aumento, passando dal 28 al 31 % del PIL degli Stati membri. Quando sarà possibile ridurre la spesa destinata alle indennità di disoccupazione, le stesse risorse pubbliche dovrebbero essere riorientate verso politiche a favore della famiglia e dello sviluppo di competenze. È questo un valido esempio di come una strategia di uscita possa diventare una strategia di entrata.

3.4.5.2   A giudizio della Commissione, i cittadini europei dovrebbero disporre di un adeguato sostegno al reddito, di accesso al mercato del lavoro e di servizi sociali di qualità. L'azione delle istituzioni UE sulle questioni sociali può soltanto integrare, in modesta misura, le politiche sociali attuate a livello nazionale. L'UE ha messo in campo tutta una serie di strumenti destinati a incoraggiare gli Stati membri all'apprendimento reciproco: analisi comparata (bench-marking), valutazione inter pares (peer review), metodo di coordinamento aperto, ecc. Nessuno di questi metodi ha dato però i risultati auspicati. Se è vero che le istituzioni europee non possono obbligare gli Stati membri a imitare gli esempi di buone pratiche, «segnare a dito» esplicitamente i paesi meno virtuosi potrebbe però rivelarsi utile affinché l'opinione pubblica si renda conto della grande disparità tra le politiche sociali applicate nell'Unione.

3.4.5.3   Le misure di austerità devono essere attentamente calibrate: non possiamo permettere che i sistemi di protezione sociale vengano sacrificati sull'altare dell'equilibrio di bilancio. La crisi ha portato allo scoperto le carenze che ancora ostacolano il buon funzionamento dei sistemi sociali. L'organizzazione di tali sistemi deve offrire maggiore protezione sociale e posti di lavoro; al tempo stesso, occorre delineare per questi sistemi un quadro ben preciso, che tenga conto dei limiti consentiti dalle risorse finanziarie.

3.4.6   Nuove fonti di reddito  (11)

3.4.6.1   In un parere sulla strategia post Lisbona il CESE ha indicato quale nuova fonte di entrate pubbliche l'imposizione fiscale sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di biossido di carbonio: queste due tasse sarebbero doppiamente vantaggiose (cosiddetto «doppio dividendo»), poiché, oltre a incrementare entrambe il gettito fiscale, consentirebbero, la prima, di contrastare la logica del breve termine prevalente sul mercato finanziario e, la seconda, di migliorare l'ambiente. Nuove fonti di finanziamento sono oggi necessarie per ridurre i disavanzi di bilancio di vaste proporzioni degli Stati membri. È preferibile introdurre nuove tasse sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di biossido di carbonio piuttosto che aumentare altri tipi di imposizione, ad esempio il prelievo fiscale sui redditi da lavoro o l'IVA: simili aumenti avrebbero infatti come conseguenza una diminuzione della domanda globale, il che non è certo auspicabile nell'attuale contesto di recessione.

3.4.6.2   Tra gli altri nuovi metodi di finanziamento pubblico si possono citare le eurobbligazioni (Eurobonds), uno strumento capace di rifornire di nuovo capitale il settore pubblico senza dover dipendere interamente dal settore finanziario privato. Le eurobbligazioni sarebbero un catalizzatore diretto di risorse finanziarie, poiché attirerebbero, ad esempio, i fondi pensione desiderosi di realizzare investimenti finanziari a lungo termine. Si può inoltre valutare la possibilità di offrire ai risparmiatori privati investimenti finanziari a lungo termine presso la Banca europea per gli investimenti (BEI) per trovare nuove fonti di finanziamento per la Banca stessa. La Banca diventerebbe così un'interfaccia tra queste nuove risorse di capitale e i suoi investimenti. Il risparmio a lungo termine servirebbe quindi per realizzare investimenti pubblici di lungo periodo, ad esempio in infrastrutture. Le eurobbligazioni costituiscono un «concetto», ma esso andrebbe esteso a tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Anche in questo caso si avrebbe infatti un doppio vantaggio, poiché, oltretutto, si ridurrebbe il margine per operazioni speculative sul mercato finanziario contro il debito pubblico degli Stati.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Delineato sulla base dei documenti della Commissione Progress report on the implementation of the European Economic Recovery Plan (Relazione sullo stato di avanzamento del piano europeo di ripresa economica) e Interim forecast February 2010 (Previsioni intermedie, febbraio 2010) (NdT: documenti non disponibili in italiano).

(2)  Cfr. Tassa sulle operazioni finanziarie.

(3)  Centre for European Policy Studies (CEPS - Centro europeo di studi politici), n. 202 del febbraio 2010.

(4)  OCSE: Pensions at a glance, 2009 (trad. italiana dell'OCSE: Uno sguardo sulle pensioni - I sistemi pensionistici nei paesi dell'OCSE, edizione 2009).

(5)  COM(2010) 2020 definitivo, punto 4.1.

(6)  ILO/OIL: Global Wage Report - 2009 Update (Relazione mondiale sui salari - Aggiornamento 2009), novembre 2009.

(7)  Eurostat, Euroindicatori 61/2010, 30 aprile 2010.

(8)  Le percentuali riportate si basano sui dati di Eurostat. Le variazioni da uno Stato membro all'altro sono sorprendentemente pronunciate, ad esempio tra il 46 % della Svezia e il 75 % della Grecia. Se è vero che la maggior parte dei paesi hanno registrato una leggera riduzione della quota del PIL rappresentata dai consumi privati, in alcuni casi il calo è stato nettissimo. È difficile, ad esempio, spiegare la diminuzione dal 72 % al 60 % constatata nel Regno Unito nell'arco di otto anni.

(9)  Crisis in the euro area and how to deal with it. Centre for European Policy Studies (CEPS - Centro europeo di studi politici), febbraio 2010.

(10)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Proposta di relazione congiunta per il 2010 sulla protezione e sull'inclusione sociale, COM(2010) 25 definitivo.

(11)  Cfr. i pareri del CESE sul tema Tassa sulle operazioni finanziarie e sul tema Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Verso un vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile nel 2012» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/12

Relatore: OSBORN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Verso un vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile nel 2012.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, un voto contrario e 7 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), nella sua qualità di portavoce della società civile dell'UE, raccomanda alle istituzioni competenti dell'Unione di svolgere un ruolo di primo piano nei preparativi del nuovo vertice dell'ONU sullo sviluppo sostenibile, che si terrà a Rio de Janeiro nel 2012.

1.2

L'UE dovrebbe propugnare con forza un programma ambizioso per questo nuovo vertice, tale da imprimere nuovo slancio e nuovo vigore all'agenda per lo sviluppo sostenibile in tutto il mondo, sia presso i governi che nella società civile in genere.

1.3

Il nuovo vertice di Rio dovrebbe ritrovare lo spirito del precedente (1992) e farne rivivere i principi, nonché rilanciare quelli dell'Agenda 21, in quanto strumenti per coinvolgere soggetti di ogni tipo e condurre il mondo sulla strada di uno sviluppo più sostenibile.

1.4

Il nuovo vertice dovrebbe inoltre offrire un punto di riferimento e un termine preciso per intraprendere e portare a compimento i prossimi passi avanti nell'ambito degli attuali negoziati sui cambiamenti climatici e la biodiversità, per concludere i negoziati in corso sul mercurio e per avviarne di nuovi volti a integrare la sostenibilità nella governance delle imprese e nel mandato dei governi regionali e locali.

1.5

Il vertice dovrebbe altresì riconoscere e appoggiare la Carta della Terra in quanto fonte di ispirazione per l'impegno e l'azione degli uomini e delle organizzazioni di ogni parte del mondo.

1.6

L'UE dovrebbe utilizzare il vertice per infondere nuova vita nei propri processi e nelle proprie strutture, così da compiere passi avanti in tema di sviluppo sostenibile, e nel contempo per sollecitare un analogo rilancio delle attività svolte in questo campo nel resto del mondo. In particolare, il Comitato raccomanda vivamente alle istituzioni dell'Unione di:

definire e attuare diversi aspetti dell'economia «verde» in Europa, nonché creare e finanziare nuovi canali di assistenza finanziaria e trasferimento di tecnologie e know-how per aiutare i paesi in via di sviluppo a effettuare la transizione verso la sostenibilità,

rafforzare diversi aspetti della governance dello sviluppo sostenibile in Europa, e

coinvolgere la società civile di tutta Europa affinché contribuisca al processo di Rio 2012 rinnovando la visione di Rio 1992 e il sostegno politico e popolare che l'ha accompagnata.

1.7

Per rendere l'economia ancora più «verde», nei prossimi 12 mesi l'Unione europea dovrebbe:

riesaminare e rafforzare la sua strategia per lo sviluppo sostenibile, integrandone gli obiettivi chiave nell'attuazione della strategia Europa 2020, nonché elaborare proposte parallele da avanzare al vertice nell'ambito dei negoziati per la creazione di un quadro internazionale più solido e marcato per la promozione e il coordinamento delle strategie nazionali in tema di sostenibilità,

completare il lavoro in corso per misurare meglio i passi avanti della sostenibilità e incorporarli espressamente nel quadro di monitoraggio principale della strategia Europa 2020, nonché elaborare proposte parallele da avanzare al vertice nell'ambito dei negoziati per stilare ed osservare una tabella di marcia internazionale più compatta e coerente per la misurazione e il monitoraggio dei progressi in materia di sviluppo sostenibile,

completare gli studi che da tempo conduce sul consumo e sulla produzione sostenibili, integrarne le conclusioni negli obiettivi dell'iniziativa faro della strategia Europa 2020 intitolata Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse, ed elaborare proposte parallele da presentare al vertice nell'ambito dei negoziati,

raccogliere e sintetizzare le diverse esperienze europee in materia di «ecologizzazione» degli strumenti fiscali e di bilancio (compresi la fissazione del prezzo del carbonio e lo scambio delle quote di emissione di CO2) e integrarle in una nuova iniziativa paneuropea in tema di fiscalità «verde», nonché elaborare proposte parallele per l'adozione, da parte dell'ONU, di orientamenti o quadri di riferimento in questo campo,

raccogliere e sintetizzare le diverse esperienze europee in materia di dimensione sociale dello sviluppo sostenibile, compresi il margine esistente per la creazione di nuovi posti di lavoro «verdi» che compensino in parte quelli perduti a causa della crisi e gli strumenti utilizzabili per ridurre le diseguaglianze, nonché presentare tali esperienze al vertice nell'ambito dei colloqui in materia di aspetti sociali dell'economia «verde»,

stabilire meccanismi efficaci per promuovere lo sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo e offrire loro un adeguato sostegno finanziario e tecnico.

1.8

Per rafforzare la governance per lo sviluppo sostenibile, l'UE dovrebbe:

appoggiare il potenziamento del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (PNUA) e della Commissione per lo sviluppo sostenibile (CSS),

caldeggiare l'inclusione dello sviluppo sostenibile nel mandato della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale (FMI), dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e degli altri organismi internazionali pertinenti,

promuovere il rafforzamento delle strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile e dei sistemi nazionali di elaborazione, attuazione e monitoraggio di tali strategie, nonché di meccanismi come la strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile, per rafforzare e armonizzare questa attività a livello sovranazionale, sia in Europa che nelle sedi negoziali internazionali,

promuovere il potenziamento delle strategie di sviluppo sostenibile regionali e locali e i relativi meccanismi di attuazione, sia in Europa che nelle sedi negoziali internazionali,

promuovere l'inclusione dello sviluppo sostenibile nelle norme e negli orientamenti in materia di governance delle imprese, sia in Europa che nelle sedi negoziali internazionali.

1.9

Per garantire il pieno coinvolgimento e la partecipazione della società civile, l'UE dovrebbe:

caldeggiare la piena partecipazione dei soggetti interessati al processo in sede ONU,

lavorare insieme con il CESE e gli altri organi di rappresentanza della società civile organizzata per assicurarsi del pieno coinvolgimento della società civile nei processi preparatori a livello europeo e dei singoli Stati membri,

sostenere processi preparatori indipendenti in settori specifici della società civile - imprese, sindacati, ONG, comunità scientifiche e accademiche, agricoltori, organizzazioni femminili, giovani, ecc. - sia in ambito europeo che in sede di negoziati internazionali.

2.   Introduzione e contesto

2.1

Con risoluzione del 24 dicembre 2009 l'Assemblea generale dell'ONU ha deciso di tenere nel 2012 una conferenza dell'ONU sullo sviluppo sostenibile (UN Conference on Sustainable Development - UNCSD). L'UNCSD 2012 si svolgerà a Rio de Janeiro 40 anni dopo la conferenza dell'ONU sull'ambiente umano svoltasi a Stoccolma, 20 anni dopo la conferenza dell'ONU sull'ambiente e sullo sviluppo (Environment and Development - UNCED) svoltasi a Rio e 10 anni dopo il vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile (World Summit on Sustainable Development - WSSD) svoltosi a Johannesburg.

2.2

Secondo la risoluzione dell'Assemblea generale, l'UNCSD 2012 perseguirà tre obiettivi e verterà su due temi principali. Gli obiettivi saranno:

garantire un rinnovato impegno politico per lo sviluppo sostenibile,

valutare i progressi finora compiuti e le lacune ancora esistenti nell'attuazione delle conclusioni dei principali vertici sullo sviluppo sostenibile,

affrontare le nuove sfide che si profilano,

e i due temi principali saranno:

un'economia «verde» (green economy) nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eradicazione della povertà,

il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile.

2.3

Il CESE accoglie con favore questa iniziativa. Negli ultimi anni lo slancio globale per tale sviluppo si è chiaramente smorzato ed è ora necessario un nuovo impulso per rinvigorire l'agenda per lo sviluppo sostenibile. In Europa lo sviluppo sostenibile continua a compiere progressi in quanto quadro complessivo per l'elaborazione delle politiche, ma negli ultimi anni è stato messo in ombra dagli effetti della crisi economica e dalla necessità di concentrarsi sulla ripresa. Il nuovo vertice di Rio potrebbe offrire l'opportunità di riportare lo sviluppo sostenibile nella posizione che gli spetta in quanto motore fondamentale per l'UE e i suoi Stati membri.

2.4

Prima del vertice, il comitato preparatorio (PrepCom) si sarà riunito tre volte. La prima riunione si è già svolta dal 17 al 19 maggio 2010, mentre le altre si terranno rispettivamente nel 2011 e nel 2012.

La prima riunione del PrepCom ha elaborato procedure, processi e calendari dei lavori per la conferenza e ha tenuto discussioni preliminari sui suddetti temi principali. In essa si è concordato che il segretariato dell'ONU chieda il contributo degli Stati membri, degli organismi internazionali pertinenti e dei principali gruppi di interesse («Gruppi principali» o Major Groups – MG) su un ristretto numero di questioni specifiche.

2.5

La società civile è stata rappresentata nel PrepCom dai 9 MG riconosciuti dall'ONU, ai quali è anche stato chiesto di effettuare preparativi e di apportare il loro contributo per le fasi ulteriori del processo preparatorio e per la conferenza stessa. Diversi MG hanno dichiarato di voler cogliere l'opportunità del processo UNCSD 2012 per effettuare le proprie valutazioni sui progressi dello sviluppo sostenibile nei rispettivi settori di attività. Nel corso del processo UNCSD 2012 essi desiderano richiamare l'attenzione su risultati, opportunità e sfide, ottenere un maggiore riconoscimento e sostegno da parte dei governi e infine rivolgere a questi ultimi raccomandazioni circa la configurazione e gli obiettivi dei negoziati ufficiali.

2.6

L'Unione europea ha contribuito attivamente a elaborare, nella prima riunione del PrepCom, un'agenda concreta e gestibile per i lavori del vertice, ed è tuttora impegnata nel proprio processo di preparazione al vertice insieme agli Stati membri. Il CESE è stato lieto di partecipare, per conto della società civile, a quella prima riunione in quanto membro della delegazione dell'UE, e intende continuare a svolgere un ruolo attivo in questo processo, innanzi tutto con l'elaborazione di questo primo parere e poi nei lavori futuri via via che i preparativi si fanno più serrati (cfr. il punto 7.2).

3.   La visione e i livelli di ambizione

3.1

Il vertice di Rio del 1992 ha fatto registrare un elevato livello di ambizioni e di risultati, ed è riuscito a suscitare in tutto il mondo sostegno e azioni a favore dello sviluppo sostenibile. Tutto ciò è stato possibile coniugando un programma sostanzioso e concreto con una visione convincente e ispirata che ha animato il sostegno popolare e la volontà politica.

3.2

La sfida della sostenibilità è urgente come sempre, anzi, per molti aspetti, è più pressante che mai. Tuttavia, il grado di energia e di ambizione dei governi presenti alla prima riunione del PrepCom è in generale stato deludente. Molti di loro sono sembrati più ansiosi di scoraggiare aspettative eccessive che di rafforzare la determinazione a realizzare cambiamenti positivi.

3.3

La società civile è più ambiziosa. Esponenti di molte categorie diverse da essa si sono attivati già alla prima riunione del PrepCom, esortando i delegati ufficiali a formulare proposte concrete ed avviando, parallelamente a quello ufficiale, dei propri processi di preparazione alla Conferenza del 2012. Per quanto riguarda l'Europa, il CESE è convinto che gli esponenti di molte categorie della società civile abbiano la volontà e la capacità di innalzare il profilo del processo di Rio 2012 e di esercitare pressioni affinché esso produca risultati positivi. Il Comitato esorta le istituzioni europee e gli Stati membri a sfruttare appieno il loro potenziale e a dar vita ad un processo pluralistico, aperto ed ambizioso al fine di trarre il massimo vantaggio possibile dall'esperienza delle diverse parti interessate.

3.4

Se ai negoziatori impegnati sui temi dei cambiamenti climatici e della biodiversità si potesse assegnare l'obiettivo di raggiungere accordi sostanziali in tempo utile per farli approvare dai leader mondiali all'UNCSD 2012, detta concomitanza potrebbe rivelarsi vantaggiosa per entrambi questi processi. Un'analoga combinazione di obiettivi ha del resto già funzionato egregiamente per accelerare l'avanzamento dei negoziati nei due anni di preparazione all'UNCED 1992. L'UNCSD 2012 potrebbe fissare una scadenza per far giungere i negoziati sui cambiamenti climatici e sulla biodiversità a un ulteriore passo avanti di grande rilievo.

3.5

L'opportunità offerta dal nuovo vertice di Rio potrebbe essere sfruttata anche per accelerare le decisioni nei negoziati in corso sul mercurio e in quelli sul Programma cooperativo dell'ONU per la riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale nei paesi in via di sviluppo (Reduction Emissions from Deforestation and Forest Degradation - REDD). Potrebbe inoltre costituire l'occasione per il lancio di nuovi negoziati volti a integrare la sostenibilità nella governance delle imprese (cfr. il punto 6.8) e nell'azione pubblica a livello locale (cfr. il punto 6.9).

3.6

L'UNCED 1992 ha generato una visione nuova e ispirata di un futuro armonioso per il pianeta, espressa nel nuovo concetto dello sviluppo sostenibile. È ora necessario esprimere in modo nuovo questa visione affinché essa animi il vertice di Rio 2012. A tal fine il CESE raccomanda di focalizzare l'attenzione sulla Carta della Terra e di cogliere l'occasione del vertice di Rio 2012 per attribuire (come già fatto dall'Unesco) un riconoscimento formale a questo documento, che costituisce un'indubbia fonte di ispirazione. Negli ultimi anni la Carta della Terra ha riscosso consensi sempre più ampi a livello mondiale; la sua adozione da parte dell'intera Organizzazione delle Nazioni Unite rafforzerebbe la sua influenza in ogni parte del pianeta e contribuirebbe a riaccendere quello spirito costruttivo e ambizioso che ha animato il mondo nel 1992.

4.   Lo stato dell'attuazione e le lacune ancora esistenti

4.1

Nella sua prima riunione, il PrepCom ha osservato che l'attuazione degli obiettivi della conferenza di Stoccolma del 1972 e dei vertici del 1992 e del 2002 sullo sviluppo sostenibile è stata incompleta e disomogenea. Malgrado i risultati raggiunti, perlopiù in materia di crescita del reddito e riduzione della povertà, di miglioramento dell'accesso all'istruzione e dell'assistenza sanitaria, principalmente nei paesi con economie emergenti, restano ancora da affrontare sfide di grande portata.

4.2

Permangono infatti delle lacune nell'attuazione degli obiettivi di eradicazione della povertà, sicurezza alimentare, diseguaglianza di reddito, conservazione della biodiversità, lotta contro i cambiamenti climatici, riduzione della pressione su ecosistemi e stock ittici o accesso ad acqua pulita e servizi igienici, nonché di piena partecipazione delle donne all'attuazione degli obiettivi concordati a livello internazionale. Tutto ciò rispecchia un approccio frammentario alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Dall'UNCED ad oggi non sono stati apportati cambiamenti di rilievo nei modelli di consumo e produzione, benché, per realizzare gli obiettivi globali di sviluppo sostenibile, fosse indispensabile trasformare radicalmente tali modelli.

4.3

Gli sforzi tesi a conseguire detti obiettivi, compresi gli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), sono stati ulteriormente ostacolati dalle recenti crisi finanziarie ed economiche, che hanno influito negativamente sulla performance economica, eroso le conquiste faticosamente raggiunte e fatto aumentare il numero delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà.

4.4

Negli ultimi 20 anni, in Europa così come nel resto del mondo sviluppato sono stati compiuti passi avanti riguardo a taluni obiettivi ambientali, ma riguardo alle questioni cruciali del consumo di risorse e delle emissioni di CO2 vi è ancora molto da fare, mentre l'impronta di carbonio dell'UE sul resto del pianeta, in termini di esaurimento delle risorse ed esportazione dell'inquinamento, continua a situarsi a livelli insostenibili. Sul piano sociale, i livelli di disoccupazione e le crescenti diseguaglianze tra le comunità e all'interno di ciascuna di esse denotano anch'essi il ricorso a modelli insostenibili.

4.5

Per quanto attiene alla sostenibilità, il PrepCom non ha rilevato alcun problema del tutto nuovo, ma ha osservato che molti dei problemi già rilevati nel corso dell'UNCED 1992 stanno facendosi più acuti, come evidenziato dalle recenti e non ancora superate crisi finanziaria ed economica, energetica, idrica ed alimentare. Altri problemi, quali i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, si stanno anch'essi rivelando più immediati e più gravi di quanto si pensasse in precedenza. A tutti gli altri fattori di pressione si somma poi la continua crescita della popolazione mondiale.

4.6

Nei paesi in via di sviluppo sta delineandosi una distinzione tra le economie emergenti, la cui rapida crescita pone una pressione sempre maggiore sulle risorse mondiali e sui livelli d'inquinamento, e i paesi meno sviluppati, in cui povertà e degrado ambientale continuano a rappresentare fattori di rischio cruciali per la sostenibilità. Salvo qualche eccezione, i paesi sviluppati sono ancora lontani dal garantire i livelli di aiuto pubblico allo sviluppo (official development assistance - ODA) da loro frequentemente promessi per aiutare i paesi in via di sviluppo a progredire in maniera più sostenibile.

4.7

A fronte di tutte queste sfide, il compito specifico che si profila per l'UE è quello di trovare i modi di migliorare la sostenibilità delle nostre economie e di mobilitare un sostegno finanziario e tecnico sufficiente per aiutare i paesi in via di sviluppo, e in particolare i meno sviluppati, a rispondere in modo più efficace alle sfide che sono chiamati ad affrontare in materia di sviluppo sostenibile. L'UE dovrebbe utilizzare il vertice di Rio per infondere nuova vita nei propri processi e nelle proprie strutture e compiere così dei passi avanti su tali questioni. In particolare, il Comitato raccomanda vivamente alle istituzioni dell'Unione di:

definire e attuare diversi aspetti dell'economia «verde» in Europa, e creare e finanziare nuovi canali di assistenza finanziaria e trasferimento di tecnologie e know-how per aiutare i paesi in via di sviluppo a effettuare la transizione verso la sostenibilità (sezione 5),

rafforzare diversi aspetti della governance dello sviluppo sostenibile in Europa (sezione 6),

coinvolgere la società civile di tutta Europa affinché contribuisca al processo di Rio 2012 rinnovando la visione di Rio 1992 e il sostegno politico e popolare che l'ha accompagnata (sezione 7).

5.   Un'economia «verde» nel quadro dello sviluppo sostenibile e dell'eradicazione della povertà

5.1

L'economia «verde» sarà uno dei temi principali della conferenza di Rio 2012. Sul concetto di «economia verde» esistono ancora molteplici punti di vista, ma tutti concordano sul fatto che debba essere concepito nel quadro dello sviluppo sostenibile. L'economia verde, o il processo di rendere «verde» l'economia, si può intendere come uno degli strumenti decisivi per tracciare un percorso verso un modello futuro di sviluppo maggiormente sostenibile.

5.2

Promuovendo una maggiore efficienza nell'uso delle risorse naturali e dell'energia nonché l'impiego di nuove tecnologie per l'energia pulita e una produzione più rispettosa dell'ambiente, l'economia verde può creare nuove opportunità di crescita economica e nuova occupazione. Sarà necessario instaurare quadri politici nazionali appropriati per guidare la transizione verso l'economia verde, promuovere modelli di consumo e produzione sostenibili e portare l'attività economica entro le capacità di carico degli ecosistemi.

5.3

Per essere sostenibili, lo sviluppo e il cambiamento devono rispettare i limiti naturali e proteggere le risorse naturali e il patrimonio culturale. Sviluppo sostenibile, tuttavia, non significa stagnazione: al contrario, esso implica un cambiamento e uno sviluppo continui. Per fare un esempio, nel campo dell'energia nei prossimi 40 anni sarà necessario un enorme cambiamento nei metodi di produzione e consumo energetici, come illustrato dal recente rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia sugli scenari tecnologici per il 2050. Per fare un altro esempio, nel settore chimico si è già fatto molto per trasformare i modelli di produzione in direzione di una maggiore efficienza e sostenibilità e per far sì che tale trasformazione si risolva in un vantaggio commerciale.

5.4

Gli strumenti di politica cui si potrebbe far ricorso nel quadro dell'economia verde possono ricondursi ad alcune categorie:

adeguamento dei prezzi (in modo che riflettano i costi),

politiche in materia di appalti pubblici,

riforme fiscali «ecologiche» (ecotassazione),

investimenti pubblici in infrastrutture sostenibili,

sostegno pubblico mirato alla R&S nelle tecnologie rispettose dell'ambiente,

politiche sociali intese a riconciliare gli obiettivi sociali con le politiche economiche.

5.5

A livello globale l'ONU ha già avviato alcune iniziative in questo campo, delle quali l'UNCSD 2012 potrebbe far tesoro. In particolare l'iniziativa Green Economy del PNUA mira ad aiutare i governi a ridefinire e riorientare le politiche, gli investimenti e gli interventi finanziari verso una serie di settori quali le tecnologie pulite, le energie rinnovabili, i servizi idrici, i trasporti «verdi», la gestione dei rifiuti, l'edilizia «ecologica» e l'agricoltura e la silvicoltura sostenibili. L'Economia degli ecosistemi e della biodiversità e il Nuovo corso verde globale sono progetti chiave di tale iniziativa.

5.6

Attualmente i paesi in via di sviluppo contribuiscono in misura prevalente al problema dei cambiamenti climatici producendo livelli più elevati di emissioni pro capite di gas a effetto serra. Sono quindi soprattutto questi paesi a dover affrontare l'immane sfida di trasformare il loro attuale modello economico in uno che produca minori emissioni di carbonio. Nel contempo, però, essi hanno il vantaggio di disporre delle tecnologie avanzate e delle risorse di capitali necessarie per guidare tale transizione, a patto che si pongano tempestivamente all'opera per vincere questa sfida.

5.7

Tra i paesi in via di sviluppo serpeggia una certa preoccupazione che l'«economia verde» sia un concetto «del Nord del mondo» che potrebbe di fatto rallentare il loro processo di sviluppo e fungere da pretesto per politiche protezionistiche. Sarà quindi di cruciale importanza dimostrare come questi paesi trarranno vantaggio dall'economia verde e come quest'ultima contribuirà a condurli verso lo sviluppo. In proposito, un aspetto essenziale sarà costituito dalla serietà con cui i paesi sviluppati terranno fede al loro impegno a sostenere l'economia verde nei paesi in via di sviluppo.

5.8

Per garantire un risultato significativo in termini di ecologizzazione dell'economia globale entro il 2012, i paesi sviluppati dovranno dimostrare sia di star mettendo in pratica questo tipo di approccio nelle rispettive economie sia di esser pronti a offrire un aiuto concreto, in termini di risorse finanziarie, trasferimento di tecnologie e capacity building, ai paesi in via di sviluppo.

5.9

L'UE ha già compiuto alcuni progressi in direzione dell'ecologizzazione dell'economia, ma ciò non è ancora abbastanza. Secondo il CESE, infatti, non sarebbe sufficiente che a Rio 2012 l'UE si limitasse a basarsi sui modesti passi avanti da essa compiuti nell'ultimo ventennio e sui diversi elementi della strategia Europa 2020 che vanno in direzione di una maggiore sostenibilità. In particolare, affinché in sede di UNCSD 2012 l'UE possa muoversi sulla base di una posizione più solida, il Comitato raccomanda alle competenti istituzioni europee che nei prossimi 12 mesi l'Unione:

riesamini e rafforzi la sua strategia per lo sviluppo sostenibile, integrandone gli obiettivi chiave nell'attuazione della strategia Europa 2020,

completi il lavoro in corso per misurare meglio i passi avanti della sostenibilità e incorporarli espressamente nel quadro di monitoraggio principale della strategia Europa 2020,

completi gli studi che da tempo conduce sul consumo e sulla produzione sostenibili e ne integri le conclusioni negli obiettivi dell'iniziativa faro della strategia Europa 2020 intitolata Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse,

raccolga e sintetizzi le diverse esperienze europee in materia di «ecologizzazione» della fiscalità e degli strumenti di bilancio (compresi la fissazione del prezzo del carbonio e lo scambio delle quote di emissione di CO2) e formuli proposte per l'adozione, da parte dell'ONU, di orientamenti o quadri di riferimento in questo campo,

raccolga e sintetizzi le diverse esperienze europee in materia di dimensione sociale dello sviluppo sostenibile, compresi il margine esistente per la creazione di nuovi posti di lavoro «verdi» che compensino quelli perduti a causa della crisi e gli strumenti utilizzabili per ridurre le diseguaglianze.

Azioni simili sono necessarie a livello dei singoli Stati membri. Forte dei progressi compiuti in Europa su questi temi, l'UE si troverebbe in posizione favorevole per propugnare l'adozione a livello mondiale di una «agenda per un'economia verde» che preveda azioni analoghe.

5.10

Sul piano finanziario, vi è la chiara necessità di compiere un grande sforzo per mobilitare le risorse pubbliche e private necessarie per portare a termine il lavoro non ancora concluso nel quadro dell'agenda per gli OSM e portare avanti quello della nuova agenda per un'economia verde. Gli obiettivi di Rio in materia di ODA non sono stati raggiunti. Le istituzioni finanziarie internazionali, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS), l'OMC e l'Unctad, nonché i ministeri delle Finanze, dell'Economia e del Commercio di tutti i paesi del mondo, devono essere coinvolti appieno sia in questo sforzo di mobilitazione che in tutti gli altri aspetti della transizione verso un'economia globale più «verde». L'UE deve elaborare una proposta appropriata e coerente in merito agli ambiziosi obiettivi di questa azione internazionale per l'ecologizzazione e al mantenimento degli impegni da tempo assunti riguardo ai livelli di sostegno finanziario.

6.   Il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile

6.1

È ampiamente riconosciuto che la governance internazionale dello sviluppo sostenibile non è molto efficace e che per rilanciarla saranno necessari profondi cambiamenti. Da questo nuovo slancio trarrebbe vantaggio anche la governance nazionale, regionale e locale di tale sviluppo.

6.2

A livello internazionale vi è chiaramente una pressante esigenza di rafforzare le competenze del PNUA e di accrescere la capacità della CSS, o di un organismo che le subentri, di diffondere il messaggio dello sviluppo sostenibile in tutti i diversi settori dell'economia globale e in tutte le organizzazioni internazionali. Si è a lungo discusso della possibilità di promuovere il PNUA al rango di una vera e propria Organizzazione mondiale per l'ambiente dotata di un mandato più ampio. Il PNUA deve disporre di una base scientifica più solida, nonché credibile e accessibile; deve avere una maggiore capacità di interagire in maniera creativa con le altre componenti del sistema ONU, per coordinare il gran numero di accordi multilaterali sull'ambiente e sostenere lo sviluppo di capacità in materia ambientale nei paesi in via di sviluppo e in altri Stati membri; deve, infine, disporre di una base di risorse più ampia e più sicura. L'UNCSD 2012 potrebbe essere l'occasione giusta per tradurre in pratica queste idee.

6.3

È necessario che allo sviluppo sostenibile sia riservato un organo con maggior voce in capitolo e maggiore influenza all'interno del sistema ONU. Una prima possibilità consisterebbe nel trasformare la CSS in un vero e proprio consiglio delle Nazioni Unite. Un'altra opzione potrebbe essere quella di far confluire la CSS in un Ecosoc allargato, cui assegnare un mandato più incisivo per la promozione dello sviluppo sostenibile in tutta la «famiglia» dell'ONU nonché presso la Banca mondiale e l'FMI. Soluzioni più ambiziose al riguardo potrebbero tuttavia venir proposte alla luce dei lavori del nuovo gruppo ad alto livello sui cambiamenti climatici e lo sviluppo appena istituito dal Segretario generale dell'ONU.

6.4

In vista delle ulteriori discussioni su questo tema, il CESE raccomanda alle istituzioni dell'UE di tener presenti tre obiettivi di carattere generale:

integrare lo sviluppo sostenibile nel mandato di alcune delle principali organizzazioni internazionali, ad iniziare dalla stessa ONU e dal suo Ecosoc, dalla Banca mondiale, dall'FMI e dall'OMC, nonché degli organismi che si occupano in modo più specifico di tale sviluppo quali la CSS, il PNUA, il PNUS, ecc.,

rafforzare la CSS e la sua capacità di coordinare i lavori nel campo dello sviluppo sostenibile in tutto il sistema ONU, in particolare conferendo a tale commissione uno status e una missione che consentano di portare i ministri delle Finanze e dell'Economia intorno al tavolo dei colloqui con il compito specifico di integrare lo sviluppo sostenibile nella gestione delle politiche economiche globali, rafforzare il PNUA e la sua capacità di seguire i cambiamenti decisivi nell'ambiente mondiale e di promuovere misure efficaci di tutela.

6.5

È poi necessario rafforzare la governance dello sviluppo sostenibile a livello nazionale, regionale e locale nonché delle singole imprese. Le strategie nazionali, regionali e locali in materia di sviluppo sostenibile devono essere rilanciate o rafforzate, mentre la governance delle imprese deve porre maggiormente l'accento su tale sviluppo. È necessario istituire consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile od organismi analoghi oppure rafforzare quelli esistenti, onde imprimere un maggiore impulso a questo tipo di sviluppo. La società civile deve impegnarsi in maniera più concreta. All'interno dell'UE, la «strategia europea per lo sviluppo sostenibile» ha instaurato un quadro di riferimento per progredire in tutti questi campi, ma in seguito non è stata perseguita con sufficiente vigore. Gli elementi cardine di tale strategia devono essere rafforzati, integrati nella strategia generale dell'UE «Europa 2020» e poi sottoposti a un rigoroso monitoraggio.

6.6

I grandi gruppi della società civile, che hanno visto rafforzato il loro ruolo all'interno del sistema ONU grazie all'UNCED 1992, riesamineranno le rispettive esperienze in materia di sviluppo sostenibile e presenteranno all'UNCSD 2012 esempi pertinenti di buone prassi, in vista di un riconoscimento e consolidamento delle migliori pratiche in questo campo attraverso strumenti quali le strategie nazionali e locali di sostenibilità, le iniziative in materia di responsabilità delle imprese, ecc.

6.7

Il CESE raccomanda alle istituzioni dell'UE di adoperarsi con decisione affinché la società civile e gli MG rechino un contributo sostanziale al processo di Rio 2012. Occorre incoraggiare i gruppi a dare il giusto risalto ai risultati già ottenuti e ad avanzare ogni proposta utile ai fini del potenziamento e consolidamento del loro ruolo.

6.8

Nel settore dell'industria, le responsabilità in materia di sviluppo sostenibile dovrebbero essere sancite espressamente nelle nuove normative che disciplinano la responsabilità sociale delle imprese. Negoziati per una nuova convenzione internazionale su questo tema potrebbero essere avviati proprio in sede di UNCSD 2012.

6.9

I governi regionali e le altre autorità infranazionali svolgono un ruolo sempre più importante nell'attuazione di molti aspetti dello sviluppo sostenibile, e lo stesso vale per molti comuni e altri enti locali. Questi sviluppi potrebbero essere formalizzati in un nuovo accordo che conferisca espressamente agli enti substatali i poteri (e le risorse) necessari per attuare determinate parti dell'agenda per lo sviluppo sostenibile, in modo che il fulgido esempio dei pochi «pionieri» possa trasformarsi nella prassi normale di molti.

7.   Il possibile ruolo dell'UE e del CESE

7.1

L'UE sarà senza dubbio chiamata a svolgere un ruolo chiave nella definizione di una strategia per il vertice 2012. Essa dovrebbe mostrare alla comunità internazionale come il passaggio a un'economia verde sia vantaggioso tanto per il Nord quanto per il Sud del mondo e promuovere i cambiamenti istituzionali necessari per favorire la governance dello sviluppo sostenibile. L'UE e i suoi Stati membri dovrebbero inoltre cogliere l'occasione costituita dall'UNCSD 2012 per far avanzare ancora la loro transizione verso un'economia più verde e migliorare la loro governance e gestione dello sviluppo sostenibile nonché il loro impegno a coinvolgere la società civile in questi processi.

7.2

Il CESE è pronto a svolgere un ruolo di rilievo in tale contesto, aiutando la società civile a elaborare i suoi contributi al processo tanto europeo che internazionale ed esercitando pressioni affinché si ottengano risultati ambiziosi. Un impegno forte della società civile è essenziale per suscitare lo slancio ed esercitare le pressioni necessari per indurre i leader mondiali a venire a Rio e a sottoscrivere un risultato ambizioso. In quest'ottica, nei prossimi 12 mesi il CESE intende intraprendere le seguenti attività:

l'organizzazione a Bruxelles di ulteriori consultazioni con le parti interessate in merito agli obiettivi di Rio 2012 e, se possibile, la creazione di una piattaforma comune,

attività esterne per assicurarsi che la società civile degli Stati membri rechi il suo contributo attraverso i consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile, la loro rete europea (Rete dei consigli consultivi europei per l'ambiente e lo sviluppo sostenibile, European Environment and Sustainable Development Advisory Councils – EEAC) e i CES nazionali,

il lancio di una serie di studi settoriali sui requisiti necessari per un'applicazione efficace dei principi dell'economia verde in settori chiave quali l'energia, i trasporti, l'edilizia, l'agricoltura e la politica economica generale,

attività esterne, attraverso delegazioni permanenti regionali e bilaterali, per comparare e coordinare i contributi della società civile europea con le azioni della società civile del resto del mondo.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Migliorare i modelli di “partenariati pubblico-privati partecipativi” sviluppando i servizi online per tutti nell'UE-27» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/13

Relatore: CAPPELLINI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Migliorare i modelli di «partenariati pubblico-privati partecipativi» sviluppando i servizi online per tutti nell'UE-27.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 102 voti favorevoli, un voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l'agenda digitale della Commissione europea e le proposte della relazione sul mercato interno volte a produrre vantaggi socioeconomici sostenibili grazie a un mercato digitale unico e a connessioni Internet superveloci, in grado di rendere disponibili le applicazioni ai cittadini e alle PMI nelle aree rurali e remote. Il CESE concorda inoltre con la Commissione, con il Parlamento europeo e con il Comitato delle regioni sulla necessità di intensificare le attività di monitoraggio per assicurare che entro il 2013 tutti possano beneficiare di connessioni a banda larga via linea fissa e senza filo. Sono inoltre necessari maggiori investimenti a tutti i livelli e va esaminata anche la possibilità di utilizzare partenariati pubblico-privati (PPP) per le aree rurali e remote e per l'ammodernamento delle reti.

1.2

Il CESE apprezza il quadro di intervento comune UE e nazionale per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 e chiede quindi alla Commissione di istituire un gruppo consultivo ad hoc per aiutare gli Stati membri, i paesi candidati e gli operatori privati interessati a monitorare meglio l'accesso alla banda larga nelle aree rurali e remote.

1.3

Si riscontrano gravi carenze del mercato nella fornitura di reti a banda larga ad alta velocità a prezzo contenuto nelle aree remote. La Commissione deve quindi promuovere una gamma completa di politiche atte a facilitare lo sviluppo di reti aperte grazie a iniziative dello Stato e del settore pubblico. L'UE deve sfruttare appieno le potenzialità dei servizi online, nel settore pubblico come in quello privato, per contribuire a migliorare, in ambito locale e regionale, i servizi sanitari, l'istruzione, i servizi di emergenza di interesse generale, la sicurezza e i servizi sociali. L'adozione dei PPP da parte di tutte le autorità può consentire di offrire un sostegno strategico alle PMI specializzate in servizi pubblici di tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e al potenziamento delle competenze dei giovani imprenditori in materia di TIC.

1.4

Gli investimenti privati e i PPP nelle aree remote, rurali e a basso reddito andrebbero promossi attraverso i fondi strutturali e gli strumenti della Banca europea per gli investimenti (BEI) e del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) al fine di rendere disponibili connessioni a Internet a prezzi equi ai cittadini più vulnerabili e alle PMI. La Commissione dovrebbe introdurre programmi e misure ad hoc per promuovere e moltiplicare i PPP locali nell'ambito di progetti pilota interregionali e transfrontalieri, nonché lanciare una «Giornata europea dei servizi online per tutti».

1.5

Il CESE considera molto importante creare, tra i fornitori pubblici e privati di servizi pubblici online, partenariati più forti, che forniscano un servizio migliore e più efficiente. Occorre maggiore trasparenza e una partecipazione attiva dei cittadini, mentre dev'essere mantenuta la titolarità degli investimenti nell'infrastruttura pubblica e della supervisione delle prestazioni. I servizi pubblici sono spesso forniti a livello regionale e locale, dove le PMI e le loro associazioni potrebbero stringere partenariati con il settore pubblico, come fornitori diretti oppure, se sono necessarie notevoli risorse finanziarie o una competenza più globale, entrare a far parte di consorzi, come già avviene in alcune regioni della Francia (Alvernia), dell'Italia (Trentino-Alto Adige, Lombardia) e di altri Stati membri.

1.6

L'accesso senza filo alla banda larga di alta qualità a prezzi ragionevoli può aumentare l'accessibilità e la qualità dei servizi forniti dalle autorità e consentire alle PMI di essere più competitive sul mercato. Le regioni e le comunità remote saranno quelle che più beneficeranno dell'accesso a servizi a banda larga più veloci.

1.7

Il CESE sottolinea la necessità di investimenti straordinari per garantire a tutti i cittadini e i consumatori l'accesso universale e ad alta velocità alle reti di banda larga fisse e mobili. A tal fine sarebbe utile definire a livello dell'UE un quadro più favorevole in materia di aiuti di Stato, che rispetti le normative dell'UE in materia di concorrenza, e migliorare il coordinamento tra differenti politiche e programmi dell'UE, in modo che la scelta dei consumatori contribuisca alla realizzazione degli obiettivi previsti in materia di accesso ai servizi online per tutti i cittadini e in ogni luogo.

1.8

Il CESE concorda con l'idea che entro il 2013 ogni famiglia debba avere accesso a Internet a banda larga a un prezzo competitivo. Occorre promuovere il dividendo digitale e utilizzarlo per estendere la copertura della banda larga mobile e migliorare la qualità dei servizi. Gli Stati membri devono aggiornare gli obiettivi nazionali per la copertura della banda larga ad alta velocità, al fine di stimolare gli enti regionali e gli attori privati a sostenere coerentemente una strategia europea per la banda larga ad alta velocità. In particolare bisogna coinvolgere fin dall'inizio gli enti regionali, gli organi consultivi a livello UE e/o nazionale, le PMI, le organizzazioni e altri attori privati nell'iniziativa Internet del futuro della Commissione europea.

1.9

Il CESE è favorevole a soluzioni basate sui PPP, i cui modelli di finanziamento possono permettere di fornire ai cittadini delle regioni rurali e frontaliere l'accesso alla banda larga a costi contenuti e in tempi brevi. A questo fine, il CESE sottolinea che le competenze digitali, soprattutto quelle delle PMI e dei giovani imprenditori delle aree rurali e remote, sono essenziali per una società digitale inclusiva, specialmente là dove l'accesso ai servizi online crea un divario digitale a danno degli anziani, dei gruppi svantaggiati e dei cittadini con redditi bassi. Vanno inoltre risolti i problemi di accesso esistenti.

1.10

Le istituzioni dell'UE dovrebbero sfruttare appieno lo sviluppo dei servizi online nel settore pubblico e in quello privato per contribuire a migliorare i servizi locali e regionali nel campo della salute, dell'istruzione, i servizi di emergenza e di sicurezza, come pure i servizi di interesse generale e i servizi sociali di più ampia portata.

2.   Motivazione e contesto generale

2.1

Sul piano strategico, Internet è diventato una delle infrastrutture più importanti del XXI secolo ed è un obbligo essenziale per l'attuazione da parte dell'UE del servizio universale previsto dal Trattato di Lisbona. Tuttavia, la situazione nelle aree rurali e remote non è migliorata molto, e non è ancora possibile parlare di un mercato europeo dei servizi online (1). Dato che il settore privato non sembra interessato a soddisfare la domanda di servizi e i governi non sono in grado di assolvere il compito da soli, una soluzione adeguata potrebbe venire dal coinvolgimento di entrambe le parti (pubblico e privati), che in questo ambito condividerebbero vantaggi e rischi attraverso i PPP. Il coinvolgimento attivo e il ruolo della società civile organizzata nei PPP nel quadro dello sviluppo di servizi online potrebbe svolgere una funzione essenziale in questo processo.

2.2

Il presente parere d'iniziativa intende esaminare la questione e mettere in rilievo il dibattito sulla ricerca di soluzioni sostenibili per la diffusione di servizi online ovunque e per tutti i cittadini europei, e in particolare nelle zone meno accessibili e per i gruppi più vulnerabili.

2.3

In questo contesto, le finalità generali del presente parere sono le seguenti:

analizzare, con l'assistenza del CESE e di gruppi di interesse pubblici e privati, in che modo i PPP possano essere adottati nell'ambito della promozione dei servizi online per tutti, che si tratti di persone, imprese o, in particolare, di enti regionali/locali,

evidenziare il potenziale di una maggiore inclusione sociale dei gruppi vulnerabili e di integrazione economica delle zone remote attraverso un'applicazione sostenibile ed efficiente dei PPP alla diffusione di servizi online in Europa (2),

fornire assistenza alle istituzioni, ai responsabili delle politiche europee, ai soggetti pubblici e privati interessati che intendono impegnarsi nei PPP per i servizi online, individuando i problemi e le possibili soluzioni e realizzando analisi d'impatto della domanda e dell'offerta di servizi online rispetto alle esigenze della società civile, nell'ottica di studiare i requisiti pertinenti in materia di occupazione e competenze, nonché le buone pratiche in materia di politica e di programmazione che possono essere trasferite dal livello UE a quello nazionale o regionale.

2.4

Le TIC toccano ormai molti aspetti della nostra società. Le frontiere tra telefonia fissa, Internet, televisione, telefonia mobile e altri servizi di comunicazione si fanno più indistinte, e lo stesso vale per la distinzione tra il settore industriale e quello pubblico e tra le politiche europee e quelle nazionali. Le politiche nazionali e regionali, di fatto, non sono state in grado di garantire a tutti l'accesso ai suddetti servizi.

2.5

In questo contesto la commissaria europea Neelie KROES, nuova responsabile dell'Agenda digitale, ha aperto la discussione per delle consultazioni pubbliche finalizzate a verificare se si debbano aggiornare le regole vigenti per garantire che tutti i cittadini e tutte le imprese dell'UE abbiano accesso ai servizi di comunicazione essenziali, compresa una connessione veloce a Internet, riconoscendo la necessità di fare in modo che nessuno rimanga escluso dalla società digitale. La recente comunicazione Europa 2020, inoltre, ha confermato l'obiettivo di realizzare benefici economici e sociali sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull'Internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili, con l'accesso alla banda larga garantito a tutti entro il 2013.

2.6

La strategia di Lisbona aveva già preso atto della necessità di poter accedere ai moderni strumenti digitali (per esempio Internet, GPS) e ai cosiddetti servizi online. Tenendo presente tutto ciò, l'ammodernamento dei servizi pubblici deve tra l'altro:

fornire servizi migliori e più sicuri alla popolazione,

rispondere alla richiesta avanzata dalle imprese, e in particolare dalle PMI, di ridurre la burocrazia e di aumentare l'efficienza,

garantire la continuità transfrontaliera dei servizi di interesse generale (compresa la protezione civile), essenziale per sostenere la mobilità in Europa e la coesione sociale negli Stati membri.

2.7

L'attuale quadro normativo dell'UE (ai sensi della direttiva sui servizi universali (3) del 2002) obbliga gli Stati membri ad assicurarsi che tutti i cittadini possano collegarsi alla rete pubblica di telefonia da una postazione fissa e accedere ai servizi pubblici di telefonia per la trasmissione voce e dati che abbiano un accesso funzionale a Internet. I consumatori devono avere accesso ai servizi d'informazione sui numeri degli abbonati, agli elenchi e ai posti telefonici pubblici, e a misure speciali qualora siano disabili.

2.8

Una recente comunicazione della Commissione ha inoltre indicato nei PPP una delle opzioni per affrontare l'«accelerazione» dell'uso di Internet in Europa e il problema della fornitura di servizi online ai cittadini dell'UE. I PPP sono considerati una soluzione per consentire ai cittadini di utilizzare meglio le tecnologie affermate e quelle emergenti in un approccio più olistico. Essi possono inoltre contribuire a individuare gli ostacoli dovuti a problemi non tecnici e favorire l'elaborazione di una strategia per risolverli (4). Nel concetto di PPP rientra tutta una serie di situazioni diverse e, di conseguenza, nella letteratura esistono numerose definizioni, ad esempio nelle linee guida dell'ONU (5) o nelle pratiche della BEI.

2.9

La Commissione europea ha svolto una serie di consultazioni pubbliche con il coinvolgimento del CESE su diversi temi, tra i quali:

le reti di accesso della prossima generazione,

la trasformazione del dividendo digitale in benefici per la società e in crescita economica per l'Europa,

i principi di servizio universale nelle comunicazioni elettroniche.

2.10

La comunicazione della Commissione sul tema Un partenariato pubblico-privato per l'Internet del futuro (COM(2009) 479 definitivo) intende fornire un quadro nell'ambito del quale prepararsi all'avvento di una società «intelligente» e rafforzare nel contempo la competitività del settore europeo delle TIC. La preparazione dell'avvio di un PPP per l'Internet del futuro come auspicano alcuni Stati membri e parte dell'industria richiederà un maggiore coinvolgimento della società civile e degli enti regionali.

3.   Osservazioni generali: i PPP e la diffusione dei servizi online

3.1

Così come nella nostra società sono garantiti la fornitura e l'accessibilità di beni e servizi quali il cibo, l'acqua, l'istruzione, l'assistenza sanitaria, la mobilità e gli enti pubblici, è importante individuare e adottare le soluzioni più sostenibili e le politiche più efficaci per garantire la parità di trattamento ai cittadini e alle imprese dell'UE nella società dell'informazione, in particolare nelle aree rurali e remote dell'UE.

3.2

Finora, tuttavia, non è stato possibile raggiungere questo obiettivo in tutta l'UE, e ci sono ancora aree geografiche e gruppi sociali a rischio di «esclusione digitale». L'esclusione può essere collegata a fattori demografici (età, genere, situazione familiare ecc.), socioeconomici (istruzione, occupazione, posizione sociale, reddito) o geografici (tipo di alloggio, ubicazione, caratteristiche regionali o locali, fattori geopolitici ecc.). Le ragioni delle carenze del mercato nel campo dei servizi online variano a seconda dei casi e possono includere aspetti quali un territorio poco favorevole, la bassa densità di popolazione, un'imposizione fiscale elevata o una combinazione di questi fattori. Dato che la domanda è spesso scarsa e le transazioni sono insufficienti, spesso gli operatori privati decidono di non investire in queste zone.

3.3

Non ci si può tuttavia concentrare unicamente sull'esclusione geografica, ma si deve anche tenere conto dell'esclusione sociale, che si accompagna con lo scarso potere di acquisto o con le limitate competenze di determinati gruppi di utenti (6). I servizi online dovrebbero pertanto essere estesi in modo da garantirne l'accessibilità a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro situazione geografica, finanziaria o sociale.

3.4

Sono necessari sforzi politici straordinari e misure appropriate per produrre risultati a favore dei gruppi vulnerabili e, soprattutto, delle aree non urbane.

3.5

Il CESE ha dedicato numerosi pareri e importanti raccomandazioni alle tematiche relative ai sevizi online, alla loro interoperabilità e alle infrastrutture per le TIC (7).

3.6

Il CESE ritiene che i PPP possano essere un mezzo per lo sviluppo nell'UE dei servizi online, che rappresentano un nuovo campo molto promettente e che operano in ambiti d'importanza critica.

3.7

L'analisi ha evidenziato alcune argomenti a sostegno di questo approccio, tra cui:

miglioramenti nella qualità dei servizi online ai gruppi vulnerabili,

un migliore rapporto tra costo ed efficacia grazie all'innovazione, all'esperienza e alla flessibilità del settore privato,

un aumento degli investimenti nelle infrastrutture pubbliche per estendere la fornitura di servizi online,

la sostenibilità legata alla maggiore flessibilità e al più agevole accesso alle risorse dei partner privati,

un incremento della qualità della spesa pubblica,

guadagni d'efficienza e convergenza dei servizi di interesse generale.

3.8

Gli investimenti in progetti urgenti di infrastrutture, inoltre, rappresentano un mezzo importante per mantenere l'attività economica, in particolare in questo periodo di crisi, e potrebbero contribuire a stimolare un rapido ritorno a una crescita economica sostenuta. In questo contesto, i PPP possono rappresentare una soluzione efficace per la realizzazione di progetti infrastrutturali e per la fornitura dei servizi di interesse generale e dei servizi di sostegno alle imprese che garantirebbero lo sviluppo locale e la ripresa economica in alcune regioni dell'UE (8).

3.9

I PPP per i servizi online presentano anche alcuni rischi, tra cui quello di non garantire la copertura delle aree remote, in quanto essa spesso comporta perdite per i fornitori di servizi privati. Tutti i PPP dovrebbero quindi prevedere l'obbligo di fornire questi servizi anche nelle aree remote.

4.   Questioni critiche per la diffusione dei servizi online

4.1

Il presente parere tratta anche la questione dello sviluppo dei servizi online, ossia dell'estensione delle strutture e delle pari opportunità di accesso alle stesse in tutta l'UE. Ciò comporta, ove necessario, la creazione di nuove infrastrutture «intelligenti», o altrimenti il miglioramento di quelle esistenti. È una questione che solleva alcuni aspetti fondamentali riguardanti:

l'efficienza. Il solo fatto di esistere non implica necessariamente che un'infrastruttura funzioni in modo efficiente e sia pienamente accessibile a tutti i gruppi sociali che vi avrebbero diritto. L'esempio più recente è fornito dallo studio dell'Eurobarometro sulla conoscenza del numero telefonico di emergenza 112. Sebbene il servizio esista già e funzioni in 20 paesi dell'UE, la percentuale di cittadini che lo conosce è molto bassa: solo il 32 % degli intervistati (9). È quindi possibile fare dei passi avanti con una migliore informazione e un maggior coinvolgimento dei cittadini e una più efficace applicazione delle tecnologie per l'eLearning,

aree rurali. Nell'UE persistono disparità per quanto riguarda l'accesso ai servizi online (10). Nelle aree rurali le possibilità di accesso alle TIC sono ancora piuttosto scarse, e il 23 % degli abitanti non ha accesso alle reti a banda larga (11).

4.2

Nel quadro di un approccio realmente basato sul mercato aperto, i partenariati pubblico-privati dovrebbero essere coinvolti fin dall'inizio, con l'effettiva partecipazione a tutti i livelli delle autorità dell'UE, di quelle nazionali e regionali, delle parti sociali, dei soggetti della società civile organizzata, delle organizzazioni delle PMI, delle associazioni dei consumatori e degli altri soggetti interessati (operatori, commercianti, fornitori di tecnologie dell'informazione, mercati verticali e mercati delle applicazioni, ecc.).

4.3

Un punto di partenza adeguato potrebbe essere rappresentato dagli attuali fondi strutturali UE, dalla BEI, dal FEI e da alcuni programmi specifici come i meccanismi del programma quadro nei futuri programmi di lavoro per le TIC (2011-2013), con un bilancio di circa 300 milioni di euro.

4.4

In questo contesto, i PPP potrebbero trarre grande beneficio dal lavoro di cinque piattaforme tecnologiche europee (PTE), con una fertilizzazione incrociata delle questioni legate a Internet e dei rispettivi programmi di ricerca strategica. Una caratteristica essenziale di un PPP di questo tipo sarebbe lo sviluppo di piattaforme di servizio aperte, standardizzate e intersettoriali.

4.5

Dal punto di vista della politica europea, settori quali l'assistenza sanitaria, la mobilità, l'ambiente e la gestione dell'energia sono quelli che più potranno beneficiare di infrastrutture rinnovate, «intelligenti», basate su Internet, che agevoleranno la diffusione e l'adozione rapida dei servizi da parte di milioni di utenti e di consumatori.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2009) 479 definitivo: Un partenariato pubblico-privato per l'Internet del futuro.

(2)  Il principale problema dei servizi online nell'UE è che non esiste una definizione comune del termine. Di norma i servizi online sono considerati in senso stretto come delle TIC, includendovi servizi quali eGovernment, eBusiness, eHealth, eLearning, l'informazione del settore pubblico, eInclusioned eProcurement.

(3)  GU L 108, del 24.4.2002, pagg. 51-77.

(4)  Libro bianco sulla definizione dei PPP per l'Internet del futuro, gennaio 2010.

(5)  Guide book on promoting good governance in Public-Private Partnership (Guida sulla promozione della buona governance nei partenariati pubblico-privati) - Nazioni Unite, New York e Ginevra 2008.

(6)  GU C 139 dell'11.5.2001, pag. 15; GU C 123 del 25.4.2001, pag. 53; GU C 108 del 30.4.2004, pag. 86.

(7)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 60; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 92; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 8; GU C 317 del 23.12.2009, pag. 84; GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 36; GU C 224 del 30.8.2008, pag. 50; parere del CESE sul tema Trasformare il dividendo digitale in benefici per la società e in crescita economica, relatrice: DARMANIN (TEN/417).

(8)  Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato (COM(2009) 615 definitivo).

(9)  Flash Eurobarometro n. 285 - Il numero di emergenza unico europeo 112, Relazione analitica, Wave 3, febbraio 2010.

(10)  Telecomunicazioni: consultazione sul futuro del servizio universale nell'era digitale, IP/10/218, Bruxelles, 2 marzo 2010 (cfr. http://ec.europa.eu/information_society/policy/ecomm/doc/library/public_consult/universal_service2010/index_en.htm).

(11)  COM(2009) 103 definitivo: Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo- Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle zone rurali.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Di quali servizi di interesse generale abbiamo bisogno per far fronte alla crisi?» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/14

Relatore: HENCKS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 marzo 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Di quali servizi di interesse generale abbiamo bisogno per far fronte alla crisi?

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, 11 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Se è vero che la recente crisi - in un primo momento soltanto finanziaria, poi anche economica - inciderà in misura assai diversa in ciascuno Stato membro, è però indubbio che essa ha effetti duraturi in campo sociale sotto forma di aumento della disoccupazione, della precarietà, dell'esclusione e della povertà, la quale oggi colpisce già un cittadino europeo su sei.

1.2

Nell'Unione europea quasi 80 milioni di persone, pari al 16 % dell'intera popolazione, vivono al di sotto della soglia di rischio di povertà e devono affrontare gravi ostacoli per conseguire un impiego, ottenere un alloggio o dei sussidi e accedere a servizi essenziali, in particolare all'assistenza sanitaria e ai servizi sociali. Sono soprattutto i gruppi svantaggiati (disabili, immigrati) a subire le conseguenze più gravi della recessione, e continueranno a subirle anche in futuro, dal momento che vedono rimessi in discussione i progressi compiuti negli ultimi vent'anni sul piano del lavoro e dell'integrazione sociale.

1.3

Il fenomeno in espansione della violenza, i problemi delle periferie urbane, l'aumento della delinquenza e dei comportamenti asociali, accompagnati da un certo affievolimento dello spirito di solidarietà, sono ulteriori indizi del fatto che la crisi finanziaria ed economica si sta trasformando in vera e propria crisi sociale.

1.4

I deboli segnali di ripresa economica non sono sufficienti per arrestare questa crisi sociale. Si può addirittura prevedere che, alla luce delle esperienze maturate nel corso delle precedenti crisi (1993-1996 e 2002-2004), l'impatto a livello sociale si farà sentire a lungo anche dopo la ripresa economica.

1.5

L'aumento della povertà e dell'esclusione sociale comporterà una domanda crescente di servizi sociali, soprattutto nei settori della sanità, dell'edilizia abitativa, dell'istruzione, dell'energia, dei trasporti e dei mezzi di comunicazione.

2.   Il ruolo dei servizi di interesse generale in periodo di crisi

2.1

La crisi ha confermato che l'esistenza di servizi di interesse generale moderni ed efficaci costituisce un fattore di stabilizzazione economica: si contano infatti oltre 500 000 imprese (pubbliche, private o a capitale misto pubblico-privato) che forniscono servizi di interesse generale, impiegano 64 milioni di dipendenti (più del 30 % dei posti di lavoro nell'UE) e rappresentano oltre il 26 % del PIL dell'Unione [cfr. lo studio Mapping of the Public Services («Mappatura dei servizi pubblici»), pubblicato nel maggio 2010 dallo European Centre of Employers and Enterprises providing Public services (CEEP - Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica)].

2.2

I servizi di interesse generale (SIG) hanno inoltre una funzione di ammortizzatore delle conseguenze sociali e territoriali, ma anche ambientali, più negative, in quanto si prefiggono obiettivi di garanzia dell'accesso di ogni cittadino a beni e servizi essenziali e ai diritti fondamentali; tali servizi sono un fattore chiave di promozione della coesione economica, sociale e territoriale, nonché di sviluppo sostenibile.

2.3

Nel corso della storia, nel contesto della realizzazione del progetto europeo e in nome dell'interesse comune o generale - adottando, del resto, forme e modalità organizzative estremamente diverse - gli Stati membri hanno emanato per i servizi di interesse generale una serie di norme particolari, che integrano il diritto comune della concorrenza e i principi dell'economia di mercato e che possono periodicamente formare oggetto di una revisione o di una ridefinizione, in particolare nel quadro del Trattato di Lisbona.

2.4

Conformemente alla loro funzione di pilastro del modello sociale europeo e di un'economia sociale di mercato, i SIG devono, interagendo con il progresso economico e sociale e completandolo:

garantire il diritto di ogni cittadino ad accedere a beni e servizi fondamentali,

assicurare la coesione economica, sociale, territoriale e culturale,

garantire la giustizia e l'inclusione sociale, organizzare forme di solidarietà tra territori, generazioni e/o categorie sociali, promuovere l'interesse generale della collettività,

garantire parità di trattamento a tutti i cittadini e a tutti i residenti,

creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile.

2.5

La crisi ha posto in evidenza l'incapacità dei soli meccanismi di mercato di garantire a tutti i cittadini l'accesso universale a questi diritti, a tal punto che oggi l'intervento pubblico è non solo unanimemente accettato ma addirittura raccomandato a livello internazionale.

3.   Il rischio di tagli ai bilanci in periodo di crisi

3.1

In seguito alla crisi finanziaria ed economica, alcuni Stati membri si trovano di fronte a crescenti difficoltà nel raggiungere l'equilibrio di bilancio, il che potrebbe metterne a rischio la capacità di assolvere ai loro compiti di interesse generale.

3.2

Le risorse di bilancio destinate dagli Stati membri ai servizi di interesse generale sono quindi sottoposte ad una forte pressione, anche se occorre osservare che la capacità di soddisfare la domanda in costante aumento di SIG differisce notevolmente da un paese dell'Unione all'altro.

3.3

Questi vincoli di bilancio potrebbero quindi comportare una riduzione delle prestazioni e delle conquiste sociali, come pure dei tagli ai sistemi di protezione sociale e ai regimi di sussidi, con gravi ripercussioni per le fasce di popolazione più vulnerabili, il che andrebbe a detrimento dei passi in avanti realizzati sino ad oggi per ridurre la povertà e le disuguaglianze e per rafforzare la coesione sociale.

3.4

È indispensabile che la Commissione prenda posizione sui fabbisogni di finanziamento, non solo attraverso un approccio a breve termine e fondato unicamente sulle regole di concorrenza (aiuti di Stato), ma con l'intento di garantire la sostenibilità finanziaria dei servizi di interesse generale e l'assolvimento dei loro compiti, come stabilito dal Trattato di Lisbona.

3.5

Pertanto, è importante che gli Stati membri, con il sostegno dell'Unione europea, provvedano ad adeguare i loro bilanci con le opportune modifiche per preservare o ampliare i loro SIG, al fine di rispondere in modo efficace alle sfide poste dalla crisi sociale.

3.6

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza il fatto che la Commissione abbia offerto un sostegno agli strumenti di formazione previsti dagli Stati membri rendendo meno rigide le modalità di cofinanziamento del Fondo sociale europeo (FSE). Si dovrebbe inoltre ricorrere in misura maggiore alle risorse del Fondo di coesione per rafforzare la dimensione sociale delle economie degli Stati membri, allo scopo di ridurre le disuguaglianze sociali e di stabilizzare il quadro economico complessivo.

4.   Il ruolo dell'Unione europea

4.1

In virtù del principio di sussidiarietà e secondo quanto fermamente sancito dal Trattato di Lisbona, ciascuno Stato membro deve avere piena facoltà di definire, organizzare e finanziare, a partire da - e con riferimento a - un'azione sociale e civica, tutti quei servizi che rispondono a un interesse generale e soddisfano dei bisogni fondamentali.

4.2

Tutti i servizi di interesse generale - sia economici che non economici -, per loro stessa natura e per la missione loro assegnata, concorrono all'attuazione degli obiettivi dell'Unione europea, in particolare il costante miglioramento del tenore di vita dei cittadini europei, la garanzia per questi ultimi di poter fruire dei loro diritti e delle condizioni di esercizio dei diritti stessi.

4.3

Essendo responsabile della realizzazione di questi obiettivi, l'Unione europea è quindi responsabile anche dei relativi strumenti di attuazione.

4.4

Di conseguenza, l'UE deve adoperarsi per garantire - nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità e nell'ambito di una condivisione di competenze con gli Stati membri - l'esistenza di SIG efficienti e facilmente accessibili, a prezzi ragionevoli e di buona qualità.

4.5

Il fatto che la definizione dei SIG competa in linea di principio agli Stati non pregiudica in alcun modo le competenze dell'Unione europea di definire dei SIEG (servizi di interesse economico generale) al proprio livello, nel momento in cui ciò risulti necessario per l'attuazione degli obiettivi dell'UE.

4.6

Difatti, già in diversi pareri adottati in precedenza il Comitato ha auspicato che le istituzioni dell'Unione, senza pregiudicare lo status degli operatori, riconoscano l'esistenza e la necessità di servizi di interesse generale europei nei settori in cui l'azione dell'UE risulta più efficace, per conseguire i propri obiettivi, di quanto non lo sia l'intervento individuale di ciascuno degli Stati membri. In tale contesto, il CESE aveva proposto, in particolare, che venissero realizzati degli studi di fattibilità in merito ad un SIG europeo dell'energia.

5.   Obblighi di servizio pubblico e servizio universale

5.1

Benché l'accesso ai servizi di interesse economico generale debba, in linea di principio, essere garantito, da un lato, dalle forze di mercato e dalla libera concorrenza, l'articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) stabilisce che l'Unione e gli Stati membri provvedono, secondo le rispettive competenze, affinché tali servizi funzionino in modo da poter assolvere ai loro compiti.

5.2

Di conseguenza, per evitare che la semplice applicazione dei principi dell'economia di mercato induca gli operatori a preoccuparsi esclusivamente dei servizi economicamente redditizi a scapito di quelli a scarso rendimento, dei territori densamente popolati a scapito delle zone isolate o svantaggiate, dei consumatori più agiati a scapito del principio della parità di trattamento, nel corso del processo di liberalizzazione delle industrie di rete (telecomunicazioni, energia, trasporti, servizi postali) sono emersi a livello dell'Unione europea due nuovi concetti: gli obblighi di servizio pubblico e il servizio universale.

5.3

Questi due concetti sono complementari, in quanto si prefiggono di offrire agli utenti dei servizi una serie di garanzie, ossia: un complesso, più o meno ampio, di servizi che devono essere forniti su tutto il territorio dell'UE, in base a norme di qualità e a prezzi ragionevoli, nei settori che prevedono la prestazione di un servizio universale (telecomunicazioni, servizi postali, elettricità); nel caso degli obblighi di servizio pubblico, garanzie, da parte dell'UE o degli Stati membri, su aspetti specifici che possono riguardare non solo i servizi agli utenti (compresa la protezione dei consumatori), ma anche questioni di sicurezza, inclusi l'approvvigionamento, l'indipendenza dell'UE, la programmazione di investimenti a lungo termine, la tutela dell'ambiente, ecc. In entrambi i casi, vi è la possibilità di derogare alle regole di concorrenza, se la loro applicazione va a scapito della prestazione di detti servizi.

5.4

L'idea di un accesso universale a condizioni ragionevoli dovrebbe costituire una sorta di «base» di regole comuni a tutti i servizi di interesse generale nell'UE, rappresentare cioè il minimo comun denominatore degli obblighi che gli Stati membri e le autorità locali sono tenuti a rispettare. Non ne consegue, tuttavia, che i paesi dell'Unione debbano limitare la portata dei loro compiti di interesse generale, ma essi devono, anzi, ampliarla, considerando nel contempo un obiettivo prioritario il finanziamento di tali compiti.

5.5

Il concetto di accesso universale non è pertanto incompatibile con la possibilità per gli Stati membri di garantire, anche al di là degli standard minimi stabiliti, la prestazione di altre componenti dei servizi di interesse generale, con particolare riguardo agli obblighi di servizio pubblico.

6.   Provvedimenti da adottare

6.1

Con il Trattato di Lisbona l'Unione ha avviato un processo, nell'ambito dei diritti fondamentali e della garanzia del loro esercizio, che dovrebbe definire una «base» di principi comuni per una regolamentazione più sociale attraverso l'applicazione pratica di tutti i diritti (e non solamente l'accesso ai servizi di interesse economico generale) che la Carta dei diritti fondamentali dell'UE conferisce a ogni cittadino europeo.

6.2

Il diritto di accesso universale ai SIG non si limita quindi alle sole prestazioni fornite dalle industrie di rete, bensì comprende tutto ciò che permette di condurre una vita dignitosa, di intrattenere rapporti sociali e di garantire l'esercizio dei diritti fondamentali.

6.3

Occorre pertanto esaminare, da un lato, se, nel contesto della crisi attuale e ai fini della sostenibilità, le disposizioni attualmente in vigore (nei settori delle telecomunicazioni, dei servizi postali, dell'elettricità) siano sufficienti per evitare il deterioramento della qualità dei servizi offerti e l'insorgere di fenomeni di esclusione, divario sociale e povertà, e, dall'altro, se sia necessario che gli ambiti nuovi siano garantiti da «un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, [dalla] parità di trattamento e [dalla] promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente», che, in base al Protocollo 26 allegato al Trattato di Lisbona, costituiscono principi dell'UE.

6.4

È evidente che i cittadini europei aspirano a un livello più elevato di sicurezza nei percorsi professionali e di fronte al rischio di disoccupazione e povertà, a una maggiore parità di trattamento nell'accesso all'istruzione, all'apprendimento permanente e ai servizi sociali, nonché a una migliore protezione dei grandi equilibri ecologici per le generazioni attuali e future.

6.5

È quindi possibile concepire un diritto universale relativo all'accesso a:

conti bancari e strumenti di pagamento,

prestiti a costi ragionevoli grazie a microcrediti o tramite garanzie statali,

un alloggio dignitoso,

assistenza domiciliare,

mobilità,

servizi sociali,

misure specifiche per i disabili e altre categorie,

energia,

modalità sicure di utilizzo delle tecnologie digitali.

6.6

La crisi in atto e la ricerca dei metodi più efficaci per uscirne, unitamente all'attuazione del Trattato di Lisbona (articolo 14 del TFUE, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione e Protocollo n. 26), devono indurre le istituzioni europee a riesaminare, valutare e aggiornare il ruolo e la missione dei SIG in questo nuovo contesto.

6.7

Il CESE propone di avviare una riflessione con tutte le parti interessate e la società civile sull'utilità potenziale di nuovi «obblighi di servizio pubblico», o addirittura di servizi di interesse generale di nuovo tipo, per far fronte alla crisi, per coordinare e mettere in sinergia le tre dimensioni - economica, sociale e territoriale - della coesione, ancora troppo isolate tra di loro, e per proporre misure che garantiscano uno sviluppo equilibrato.

6.8

Alla luce di queste considerazioni, il Comitato caldeggia l'elaborazione di una relazione sulla promozione dell'accesso universale ai diritti fondamentali dell'Unione europea e ai servizi di interesse generale e auspica la definizione di nuovi obiettivi che potrebbero essere stabiliti per tali servizi nel quadro della lotta alla povertà e all'esclusione sociale e, più in generale, della strategia Europa 2020, nonché ai fini della promozione dello sviluppo sostenibile e di un'economia verde.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La nuova politica energetica europea: applicazione, efficacia e solidarietà per i cittadini» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/15

Relatore: HERNÁNDEZ BATALLER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 marzo 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

La nuova politica energetica europea: applicazione, efficacia e solidarietà per i cittadini.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 44 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il funzionamento del mercato unico dell'energia deve essere rafforzato per tutto quanto riguarda le infrastrutture, il regime di appalti pubblici, la corretta operatività del mercato e la protezione dei consumatori. A tal fine il Comitato economico e sociale europeo (CESE) insiste sul fatto che lo sviluppo delle infrastrutture energetiche e delle reti transeuropee è l'elemento fondamentale per la realizzazione del mercato unico dell'energia.

Occorre in particolare articolare meccanismi volti a identificare i criteri di formazione dei prezzi al fine di evitare gravi e ingiustificabili disparità, spesso falsamente basate sulla natura dell'energia consumata, sulle fonti di approvvigionamento o sui mezzi di distribuzione.

Allo stesso modo bisogna definire criteri e mezzi per razionalizzare la produzione di energia sul territorio degli Stati membri tenendo conto di un uso sostenibile delle risorse e basandosi su elementi geografici e climatici, quali la determinazione dei periodi di maggiore attività di produzione fotovoltaica o eolica, oppure l'intensità delle maree.

1.1.1   Il corretto funzionamento dei mercati dell'energia richiede trasparenza affinché le imprese concorrenti abbiano accesso alle reti e ai clienti. A tal fine, le autorità devono prevenire i comportamenti di esclusione, gli abusi di sfruttamento e la collusione da parte delle imprese. La politica di concorrenza deve puntare inoltre al benessere e al miglioramento delle condizioni dei consumatori, tenendo conto di caratteristiche specifiche quali la necessità di garantire la sicurezza dell'approvvigionamento, il trasporto dell'energia e la sua distribuzione finale. Il CESE fa riferimento ai suoi pareri precedenti sul servizio universale e sui servizi di interesse generale, nei quali ha già preso posizione in modo netto sulla questione della protezione dei consumatori, insistendo sulla necessità di definire chiaramente il concetto di servizio universale, al fine di introdurre regole comuni per l'esecuzione dei compiti di interesse generale.

1.1.2   Per quanto riguarda, in particolare, le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, è necessario evitare che le amministrazioni aggiudicatrici abusino delle loro prerogative, ricorrendo a interpretazioni tendenziose dei diritti di sovranità di cui all'articolo 194, paragrafo 2, del TFUE (1), per la possibile determinazione di condizioni più onerose o discriminatorie per l'accesso alle reti di trasporto del gas naturale (2) o alla rete per il commercio transfrontaliero di energia elettrica (3). L'UE, infine, dovrebbe agire con il massimo zelo istituzionale per rafforzare e migliorare le procedure che garantiscono la trasparenza dei prezzi applicabili ai consumatori industriali finali di gas e di energia elettrica (4).

1.1.3   In questo contesto, è prevedibile che si verifichi una ridefinizione del ruolo dei servizi di interesse economico generale nel funzionamento del mercato interno. Alla luce del Trattato di Lisbona, questi servizi possono realizzare in modo più efficace i compiti che possano essere assegnati loro dalle autorità nazionali, regionali o locali (5). Ciò è particolarmente rilevante nel settore dell'energia, visto il ruolo preponderante dei servizi prestati dalle grandi industrie di reti.

1.1.4   Risulterà difficile, in questo senso, articolare un quadro giuridico equilibrato tra, da un lato, l'ampia discrezionalità riconosciuta alle autorità degli Stati membri (cfr. l'articolo 1 del protocollo n. 26 allegato al TUE e al TFUE e l'articolo 194, paragrafo 2, del TFUE) e, dall'altro, il libero gioco della concorrenza nel mercato unico. Ciò è vero in particolare in quanto la giurisprudenza della Corte di giustizia precedente all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, fatta salva la competenza degli Stati membri per garantire l'accesso ai servizi di interesse economico generale (6), ha sottolineato la necessità che quest'ultimo sia conforme ai Trattati (7), e ha stabilito che, in ogni caso, le possibili eccezioni alle disposizioni dei Trattati derivate dall'esercizio interno di competenze in quest'ambito vanno interpretate in modo restrittivo (8).

2.   Introduzione

2.1   Nei prossimi quarant'anni, il settore energetico europeo dovrà far fronte a numerose sfide che renderanno necessarie trasformazioni essenziali in materia di approvvigionamento, distribuzione e consumo di energia. Per far fronte su scala europea a tali sfide, la Commissione sta elaborando una nuova strategia energetica per il periodo 2011-2020 e un piano d'azione per il 2050, consultando in proposito le parti interessate. Dal canto suo, il Comitato sta elaborando un parere su ciascuna di queste due iniziative.

2.2   Per sviluppare una strategia europea completa e integrale, che possa far fronte alle sfide future, è evidente che l'Unione europea dovrà sfruttare al massimo le nuove competenze conferite dal Trattato di Lisbona nell'ambito dell'energia e dovrà spingere gli Stati membri ad avviare un'ampia cooperazione e collaborazione su tutta una serie di questioni che giuridicamente rientrano tra le competenze nazionali o condivise. Alcune delle sfide attuali potrebbero esigere ulteriori modifiche ai Trattati o addirittura un nuovo Trattato (ad esempio la proposta, presentata da Jacques Delors, di un nuovo Trattato che istituisca una Comunità europea dell'energia). In qualsiasi caso, nel quadro del presente parere ci si limiterà al Trattato di Lisbona e alle misure necessarie per garantire che le competenze condivise in esso stabilite vengano esercitate in modo da consentire un approccio integrato e il rispetto non solo dei diritti dei consumatori ma anche delle competenze assegnate all'Unione e agli Stati membri.

2.3   L'articolo 194 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) (9) stabilisce una nuova base per l'azione sovranazionale in materia di energia, la quale, tuttavia, è sottoposta a determinati condizionamenti derivati sia dallo stesso quadro normativo - ossia espressamente stabiliti dal diritto originario e dal diritto istituzionale vigenti - sia dalla sua futura interazione con alcuni diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in appresso «la Carta»).

2.4   In questo senso, la politica energetica dell'Unione potrà perseguire le sue finalità - funzionamento del mercato dell'energia, sicurezza dell'approvvigionamento energetico, risparmio, efficienza e innovazione nel settore energetico e interconnessione delle reti - soltanto se esse saranno pienamente compatibili con il funzionamento del mercato unico e con il miglioramento dell'ambiente (articolo 194, paragrafo 1, del TFUE). A tal fine, la Commissione punta in particolare a conseguire gli obiettivi della sicurezza dell'approvvigionamento, di un uso sostenibile delle risorse energetiche e di un accesso all'energia a prezzi accettabili per i consumatori e competitivi. L'integrazione del mercato dell'energia, infatti, non è fine a se stessa, ma è una misura essenziale per il raggiungimento degli obiettivi indicati.

2.5   Inoltre, le misure che l'Unione adotterà in futuro, secondo la procedura legislativa ordinaria, per conseguire i suddetti obiettivi non incideranno sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti di energia e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico (articolo 194, paragrafo 2, del TFUE).

2.6   Quest'ultima disposizione, che preserva espressamente ambiti di sovranità per gli Stati membri, garantisce inoltre agli stessi un ampio margine di manovra, conformemente al dettato dell'articolo 2, paragrafo 6, del TFUE (10), fatto salvo che le loro azioni, come stabilito dal già citato articolo 194, paragrafo 1, del TFUE, devono essere improntate a «uno spirito di solidarietà».

2.7   Tenendo conto del fatto che l'energia è inclusa tra le competenze condivise (articolo 4, paragrafo 2, lettera i), del TFUE), e al fine di prevenire, per quanto possibile, futuri conflitti tra l'interesse generale dell'Unione, gli interessi nazionali degli Stati membri (11), gli interessi specifici delle imprese del settore, i diritti dei cittadini e i diritti dei consumatori e degli utenti, è opportuno che il Comitato prenda una posizione istituzionale al riguardo.

2.8   La Commissione ha presentato una serie di proposte di ampio respiro al fine di consentire all'Unione europea di rispettare gli impegni assunti in materia di lotta al cambiamento climatico e di promozione delle energie rinnovabili entro il 2020. Il Consiglio e il Parlamento si sono infatti impegnati a ridurre del 20 % le emissioni di gas a effetto serra, a raggiungere un livello del 20 % di energia ottenuta da fonti rinnovabili e a migliorare del 20 % l'efficienza energetica. La Commissione ha quindi adottato un nuovo regolamento generale di esenzione per categoria, secondo il quale gli aiuti di Stato per le energie rinnovabili e l'efficienza energetica sono esentati dalla notifica, purché soddisfino determinati requisiti.

2.9   Nell'elaborazione della Nuova strategia energetica per l'Europa 2011-2020 della Commissione, oltre alla protezione dei cittadini come consumatori, all'accesso ai servizi energetici e all'occupazione generata dall'economia a basso tenore di carbonio, vengono tenute in considerazione le seguenti tematiche:

l'attuazione delle politiche già stabilite dal pacchetto per la liberalizzazione del mercato dell'energia, dal pacchetto «energia e clima» e dal piano strategico per le tecnologie energetiche (piano SET),

la tabella di marcia per la «decarbonizzazione» del settore energetico entro il 2050,

l'innovazione tecnologica,

il rafforzamento e il coordinamento della politica estera,

la riduzione del fabbisogno energetico (piano d'azione per l'efficienza energetica), in particolare la necessità di sviluppare le infrastrutture energetiche in modo da conseguire un approvvigionamento e una distribuzione conformi alle richieste del mercato interno dell'energia.

2.10   Queste iniziative della Commissione, alcune delle quali sono ancora in attesa di adozione da parte del Consiglio e del Parlamento, nonché di attuazione da parte degli Stati membri (per esempio la distribuzione del gas naturale, la generalizzazione dell'uso delle energie rinnovabili, le misure di efficienza energetica applicate ai trasporti, all'edilizia, ecc.), rispondono a una logica volta a portare a termine con successo la strategia Europa 2020.

3.   Osservazioni generali

3.1   È comunque opportuno individuare le iniziative che, in mancanza di un'adeguata base giuridica stabilita dai Trattati, risultano necessarie per la creazione, a breve termine, di un'autentica politica energetica adeguata alle sfide che l'UE deve affrontare nel XXI secolo. In questo senso già si prevedono alcune iniziative, come quella di Jacques Delors per la conclusione di un nuovo Trattato sulla Comunità europea dell'energia, che attribuirebbe all'UE competenze per promuovere, tra l'altro, un incremento nel numero e nella qualità delle reti di connessione transnazionali delle infrastrutture dell'energia e l'istituzione di risorse e fondi comuni per l'R&S&I nel settore dell'energia o di strumenti commerciali per operare congiuntamente sui mercati internazionali dei prodotti energetici (12).

3.2   D'altro canto, e tenendo presente il già citato articolo 194 del TFUE, è il caso di aprire una riflessione sull'estensione di tre ambiti sui quali incideranno le politiche pubbliche a livello sia nazionale che sovranazionale, ossia: la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dei cittadini dell'Unione, la coerenza dell'applicazione delle eccezioni per ragioni di sicurezza nazionale degli Stati con la sicurezza energetica sovranazionale e la compatibilità delle misure nazionali con la creazione e il funzionamento del mercato unico dell'energia per quanto riguarda, in particolare, le infrastrutture di trasporto e distribuzione, le reti di interconnessione, il regime degli appalti pubblici e i diritti dei consumatori.

3.3   Il nucleo di diritti più strettamente legati alle future misure energetiche dell'UE è certamente riconosciuto al Capo IV (Solidarietà) della Carta, e più precisamente agli articoli 36 (Accesso ai servizi d'interesse economico generale), 37 (Tutela dell'ambiente) e 38 (Protezione dei consumatori). Sarebbe opportuno esaminare le possibili conseguenze della ratifica da parte di tutti gli Stati membri del Protocollo 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), che, con il Trattato di Lisbona, apre la porta per l'adesione dell'UE alla CEDU.

3.3.1   Si tratta, tuttavia, di disposizioni che sanciscono principi di azione istituzionale dell'UE, senza però riconoscere espressamente diritti soggettivi (13), anche se nel caso della tutela dell'ambiente e della protezione dei consumatori esiste un solido quadro giuridico europeo di salvaguardia degli interessi individuali e dei cosiddetti «interessi diffusi». Ciononostante, è probabile che l'applicazione del Protocollo sui servizi d'interesse generale, allegato al TUE e al TFUE, rafforzerà l'accessibilità dei cittadini alle diverse fonti di consumo energetico, facendo in particolare attenzione alla situazione dei gruppi sociali maggiormente svantaggiati.

3.3.2   Per le ragioni sopra esposte, è presumibile che si verifichino tensioni normative tra l'UE e gli Stati membri, data la difficile coesistenza tra il compito sovranazionale di liberalizzare e/o armonizzare gli elementi chiave del funzionamento del mercato dell'energia in Europa e quello statale di salvaguardare il benessere sociale (14). La Commissione, tuttavia, ritiene invece che la cooperazione tra gli Stati membri aumenterà la sicurezza a livello nazionale.

3.3.3   Questo accadrà soprattutto perché, com'è noto, la Carta stabilisce soltanto livelli minimi di salvaguardia dei diritti e delle libertà da essa riconosciuti (15), e in alcuni Stati membri la sua applicazione è soggetta a limitazioni (16). Si tratta di preservare, per quanto possibile, la coesione sociale, al fine di garantire i diritti di solidarietà per quanto riguarda l'accesso all'energia sia alle fasce della popolazione meno favorite economicamente che ai gruppi vulnerabili e ai disabili.

3.3.4   Ciò è vero soprattutto perché gli effetti devastanti dell'attuale crisi economica mondiale sull'occupazione (perdita di posti di lavoro), sui salari (riduzioni) e sulla capacità delle autorità pubbliche di sostenere le prestazioni sociali minacciano di escludere ampie fasce della popolazione dall'accesso all'energia, generando «povertà energetica».

3.4   Un'altra questione da risolvere è quella della coerenza tra le strategie di sicurezza nazionale degli Stati membri e la necessità di garantire la sicurezza energetica a livello sovranazionale.

3.4.1   Le rotte e le fonti energetiche dell'Unione europea devono sostenere la sicurezza degli approvvigionamenti sia dell'UE nel suo insieme che dei singoli Stati membri. In futuro la sicurezza di approvvigionamento dipenderà dall'evoluzione del mix di combustibili, dallo sviluppo della produzione nell'UE e nei paesi terzi che la riforniscono, dagli investimenti negli impianti di stoccaggio e dalle rotte all'interno e all'esterno dell'UE.

3.4.2   Dato che l'articolo 4, paragrafo 2, del TUE riconosce come «funzione essenziale» degli Stati la sicurezza nazionale, attribuendo loro espressamente e in forma esclusiva la competenza della sua salvaguardia, occorrerà stabilire ambiti di concertazione politica e normativa tra l'UE e i suoi Stati membri per conseguire le sinergie e le complementarietà previste dall'articolo 194, paragrafo 1, del TFUE.

3.4.3   A tal fine, si dovrebbero esplorare formule per il rafforzamento istituzionale dell'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia (17), che ha, tra l'altro, il compito di promuovere lo scambio di buone pratiche e la cooperazione tra le autorità di regolamentazione e gli attori economici, di esprimere pareri sulla conformità agli obblighi sovranazionali di qualsiasi decisione adottata dai regolatori nazionali e, in determinate circostanze, di decidere sulle modalità e condizioni dell'accesso e della sicurezza operativa delle infrastrutture dell’energia elettrica e del gas che collegano almeno due Stati membri. Diventano quindi necessari il coordinamento e la cooperazione tra gli Stati membri, con la supervisione dell'Agenzia. Ciononostante, qualsiasi aggiunta o modifica alle competenze dell'Agenzia dovrà essere conforme ai limiti generali stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e in particolare dalla sentenza pronunciata nella causa Meroni (18).

3.4.4   È opportuno garantire l'applicazione del quadro normativo dell'UE in materia di sicurezza energetica - che è stato elaborato e adottato prima del già citato articolo 4, paragrafo 2, del TUE, e che disciplina situazioni strettamente sovranazionali (19) quali l'ambito della politica estera e di sicurezza comune, e la posizione «ad hoc» del Consiglio europeo di primavera del 2010 sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico (20) - e di conformità con alcune disposizioni della Carta europea dell'energia riguardanti l'utilizzo di infrastrutture di trasporto dell'energia e il transito di materie e prodotti energetici (21).

3.4.5   Al fine di rafforzare la sicurezza dell'approvvigionamento e la solidarietà tra gli Stati membri in caso di emergenza a livello europeo e, in particolare, di sostenere quelli tra loro che si trovino in situazioni geografiche o geologiche meno favorevoli, gli Stati membri dovranno stabilire piani congiunti con misure preventive o di emergenza a livello sovranazionale o anche transnazionale. Questi piani dovrebbero essere resi pubblici e aggiornati periodicamente. Il Fondo di coesione e i fondi strutturali potrebbero costituire in futuro un elemento importante del sostegno finanziario a tali piani.

3.4.6   Per garantire una migliore salvaguardia dei suddetti obiettivi, sarebbe opportuno, sulla base dell'articolo 122 o dell'articolo 194 del TFUE, adottare quanto prima le misure per regolamentare l'approvvigionamento di determinati prodotti energetici, in caso di difficoltà gravi in cui possano trovarsi gli Stati membri, e le misure che stabiliscano la procedura per determinare l'aiuto finanziario agli Stati membri che subiscano catastrofi naturali o debbano affrontare eventi eccezionali. Inoltre, bisognerà prendere in considerazione la possibilità di utilizzare l'articolo 149 del TFUE come base complementare per il raggiungimento degli obiettivi sopraccitati, a condizione che le circostanze specifiche, giustificando l'adozione di misure sovranazionali, lo rendano opportuno.

3.4.7   Alla luce delle sfide e degli obiettivi che deve affrontare l'Unione europea nel settore energetico, appare necessario pervenire alla definizione di un vero «servizio pubblico europeo dell'energia» il quale, nel rispetto del principio di sussidiarietà, abbia tra l'altro il compito di stabilire un registro pubblico relativo alle abitudini di consumo energetico negli Stati membri, ai tipi di energia consumata in ciascun paese, ai mezzi per prevenire i disastri legati all'uso e al trasporto dell'energia e al coordinamento della protezione civile a questo fine, ecc.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Il quadro giuridico sovranazionale è attualmente determinato dalla direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004 (GU L 134), modificata dalla direttiva 2005/51/CE (GU L 257) e dal regolamento (CE) n. 2083/2005 (GU L 333).

(2)  Al fine di agevolare la libera concorrenza, a partire dal 2011 saranno in vigore le condizioni di cui al regolamento (CE) n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13.7.2009 (GU L 211).

(3)  A partire dal 2011 saranno in vigore anche le condizioni di cui al regolamento (CE) n. 714/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 211).

(4)  Conformemente agli obiettivi delle direttive 90/377/CEE del Consiglio, del 29 giugno 1990 (GU L 185), 2003/54/CE e 2003/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003 (GU L 176) e della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 novembre 2007 (COM(2007) 735 definitivo).

(5)  Il protocollo n. 26 riguardante i servizi di interesse generale, allegato al TUE e al TFUE, completa l'articolo 14 del TFUE e offre alla Corte di giustizia una nuova base interpretativa dell'articolo 36 della Carta su questa questione.

(6)  Conseguentemente, la Corte ha riconosciuto agli Stati membri, tra l'altro, il diritto di condizionare ai loro obiettivi di politica nazionale la definizione dei servizi di interesse economico generale affidati a determinate imprese. Sentenza del 23 ottobre 1997, causa C-159/94, Commissione/Francia, Racc. 1997, pag. I-5815, punto 49.

(7)  Sentenza della CGUE del 23 maggio 2000, causa C-209/98, Sydhavnens Stens, Racc. 2000, pag. I-3743, punto 74.

(8)  Sentenza della CGUE del 17 maggio 2001, causa C-340/99, TNT Traco, Racc. 2001, p. I-4109, punti 56-58.

(9)  Pubblicato nella GU C 83 del 30.3.2010, pag. 47.

(10)  

Che recita: «La portata e le modalità d'esercizio delle competenze dell'Unione sono determinate dalle disposizioni dei trattati relative a ciascun settore».

(11)  Potrà risultare particolarmente complesso il rapporto tra regimi normativi e prassi amministrative alla luce delle disposizioni dell'articolo 2, paragrafo 2, del TFUE, che attribuisce la facoltà di legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in quest'ambito sia all'Unione che agli Stati membri, e riconosce a questi ultimi il diritto di esercitare la loro competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di esercitarla. L'articolo unico del protocollo n. 25 (sull'esercizio della competenza concorrente) allegato al TUE e al TFUE, stabilisce inoltre che «… quando l'Unione agisce in un determinato settore, il campo di applicazione di questo esercizio di competenza copre unicamente gli elementi disciplinati dall'atto dell'Unione in questione e non copre pertanto l'intero settore».

(12)  Cfr. il parere esplorativo CESE 990/2010 La povertà energetica nel contesto della liberalizzazione e della crisi economica.

(13)  Cfr. F. Benoît Rohmer, in AAVV: Commentary of the Charter of Fundamental Rights of the European Union, Bruxelles 2006, pag. 312 e segg.; A. Lucarelli, in AAVV: L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bologna 2002, pag. 251 e segg.

(14)  Cfr. C. J. Moreiro González, El objetivo del bienestar social en el contexto de crisis económica mundial, Gaceta Jurídica de la UE y de la Competencia, Nueva Época, 11 maggio 2009, pag. 7 e segg.

(15)  Cfr. gli articoli 51 e 52 della Carta e la Dichiarazione n. 1 degli Stati membri relativa alla Carta, allegata all'Atto finale della CIG che ha adottato il Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007, GU C 83 del 30.3.2010, pag. 337, nonché le spiegazioni relative alla Carta elaborate dal Presidium della Convenzione che l'ha redatta e aggiornate dal Presidium della Convenzione europea, GU C 303 del 14.12.2007, pag. 17 e segg.

(16)  Come stabilito nel protocollo n. 30, allegato al TUE e al TFUE, sull'applicazione della Carta alla Polonia e al Regno Unito, e nelle dichiarazioni n. 61 e n. 62 della Repubblica di Polonia e n. 53 della Repubblica ceca, allegate all'Atto finale della CIG che ha adottato il Trattato di Lisbona.

(17)  Creata con il regolamento (CE) n. 713/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, GU L 211 del 14.8.2009.

(18)  È necessario a tale proposito ricordare che la giurisprudenza della Corte di giustizia non consente alla Commissione di delegare poteri regolamentari o esecutivi, a meno che questo non sia previsto espressamente dal Trattato (sentenza pronunciata nella causa Meroni del 17 giugno 1959, Racc. pag. 331).

(19)  Per esempio la comunicazione della Commissione Secondo riesame strategico della politica energetica - Piano d'azione dell'UE per la sicurezza e la solidarietà nel settore energetico, COM(2008) 781 definitivo, nella quale si propone, tra le altre misure rilevanti, la modifica della direttiva 2006/67/CE sulle riserve strategiche di petrolio e che ha portato all'adozione della direttiva 2009/119/CE del Consiglio del 14 settembre 2009, GU L 265, e della direttiva 2004/67/CE sulla sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale; il Libro verde Verso una rete energetica europea sicura, sostenibile e competitiva, COM(2008) 782 definitivo, ecc.

(20)  Bruxelles, 26 marzo 2010, doc. Co EUR 4, CONCL. 1.

(21)  Decisione 98/181/CE, CECA ed Euratom del Consiglio e della Commissione (GU L 69 del 23.9.1997) e decisione 2001/595/CE del Consiglio (GU L 290 del 13.7.2001).


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti brani del parere della sezione sono stati respinti in favore degli emendamenti adottati dall'Assemblea, ma hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 1.1

«Il funzionamento del mercato unico dell'energia deve essere rafforzato per tutto quanto riguarda le infrastrutture, il regime di appalti pubblici, la corretta operatività del mercato e la protezione dei consumatori. A tal fine il Comitato economico e sociale europeo (CESE) insiste sul fatto che lo sviluppo delle infrastrutture energetiche e delle reti transeuropee è l'elemento fondamentale per la realizzazione del mercato unico dell'energia.

Occorre in particolare articolare meccanismi volti a identificare i criteri di formazione dei prezzi al fine di evitare gravi e ingiustificabili disparità, spesso falsamente basate sulla natura dell'energia consumata, sulle fonti di approvvigionamento o sui mezzi di distribuzione.

Allo stesso modo bisogna definire criteri e mezzi sopranazionali per razionalizzare la produzione di energia sul territorio degli Stati membri tenendo conto di un uso sostenibile delle risorse e beneficiando di elementi geografici e climatici, quali la determinazione dei periodi di maggiore attività di produzione fotovoltaica o eolica, oppure l'intensità delle maree.»

Esito della votazione

27 voti favorevoli all'eliminazione del termine «sopranazionali» (nella quarta frase), 17 contrari e 2 astensioni.

Punto 1.1.5

«A tal fine, si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di adottare un regolamento che incorpori i diritti sanciti dalla Carta dei diritti dei consumatori di energia (COM(2007) 386 definitivo, CESE 71/2008, relatore: IOZIA) e tenga conto delle specificità dei servizi di interesse generale che gli Stati membri possano invocare in quest'ambito, attraverso norme minime comuni sugli obblighi di servizio pubblico, che andrebbero definiti chiaramente ed essere trasparenti, obiettivi e non discriminatori. Si sottintende infatti che occorre distinguere tra i diritti dei cittadini e le possibilità degli Stati membri di introdurre o mantenere gli obblighi di servizio pubblico derivanti dalla prestazione di servizi economici d'interesse generale.

Il regolamento è uno strumento più appropriato della direttiva per i seguenti motivi:

è direttamente applicabile alle autorità competenti degli Stati membri, alle imprese dell'energia e ai consumatori,

non comporta tempi lunghi per il suo recepimento nel diritto interno,

garantisce la chiarezza e la coerenza delle norme e degli obblighi in tutta l'UE,

definisce direttamente la partecipazione delle istituzioni europee.»

Esito della votazione

28 voti favorevoli alla soppressione dell'intero punto, 16 contrari e 2 astensioni.

Punto 3.4.5

«Al fine di rafforzare la sicurezza dell'approvvigionamento e la solidarietà tra gli Stati membri in caso di emergenza a livello europeo e, in particolare, di sostenere quelli tra loro che si trovino in situazioni geografiche o geologiche meno favorevoli, gli Stati membri dovranno stabilire piani congiunti con misure preventive o di emergenza a livello sovranazionale o anche transnazionale (accordi commerciali tra le imprese, aumento delle esportazioni, meccanismi di compensazione, ecc.). Questi piani dovrebbero essere resi pubblici e aggiornati periodicamente. Il Fondo di coesione e i fondi strutturali potrebbero costituire in futuro un elemento importante del sostegno finanziario a tali piani.»

Esito della votazione

30 voti favorevoli all'eliminazione dei termini tra parentesi, 11 contrari e 3 astensioni.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Relazioni tra l'UE e il Canada» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/16

Relatore: José Isaías RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Relazioni tra l'UE e il Canada.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Le società civili dell'UE e del Canada condividono valori comuni, anche economici, sui quali poggia l'identità delle rispettive società nel XXI secolo. Mettere in comune tali principi può apportare un valore aggiunto all'UE e al Canada e quindi all'intera comunità internazionale.

1.2   Per questa ragione il Canada dev'essere un partner di riferimento per l'UE. Le relazioni attuali sono adeguate, ma potrebbero essere definite timide. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie quindi con soddisfazione l'avvio dei negoziati intesi a realizzare un accordo economico e commerciale globale. Tale accordo suscita grandi aspettative non solo per quanto riguarda il futuro delle relazioni UE-Canada, ma anche per le relazioni transatlantiche. Ricordiamo che gli Stati Uniti e il Canada, insieme con il Messico, sono parti contraenti dell'Accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA), e che quindi il Canada può costituire un non disprezzabile canale di accesso al mercato statunitense.

1.3   Il CESE accoglie con soddisfazione i risultati del vertice UE-Canada svoltosi il 6 maggio 2010. Si compiace del fatto che i dirigenti si siano impegnati a risolvere le divergenze in materia di visti e ritiene che il proposito espresso dal Canada, di rivedere la propria politica di asilo, dovrebbe contribuire a facilitare la concessione di visti a tutti i cittadini dell'UE in un regime di piena reciprocità.

1.4   Considera essenziale inserire nell'accordo, ai fini di una sua attuazione efficace, specifiche modalità di partecipazione e di consenso delle province, dei territori e della società civile. Uno dei punti più importanti per l'UE è l'apertura dei mercati degli appalti pubblici. Le province canadesi hanno competenze molto ampie in materia, per cui devono essere coinvolte anche nei negoziati su questo punto. Date le divergenze che sussistono tra i differenti attori socioeconomici su tale questione, il CESE ritiene essenziale che le parti sociali partecipino ai relativi negoziati.

1.5   Il CESE auspica che il Parlamento europeo intervenga in questo processo con un'adeguata attività di monitoraggio e di informazione nel corso dei negoziati, e non già limitandosi ad approvare e ratificare la versione finale, come previsto dal Trattato di Lisbona.

1.6   Sarebbe auspicabile che, una volta stipulato l'accordo, il comitato congiunto di cooperazione UE-Canada svolgesse funzioni analoghe a quelle esercitate dal consiglio economico transatlantico insediato dall'UE e dagli Stati Uniti, al fine di favorire, tra l'altro, l'avanzamento verso la convergenza normativa tra l'UE e il Canada.

1.7   L'UE deve negoziare un accordo ambizioso che comprenda tutti gli aspetti delle relazioni commerciali con il Canada, compresi gli appalti pubblici. In quest'ottica è particolarmente importante affrontare con urgenza gli ostacoli reali cui devono far fronte le imprese, armonizzando la regolamentazione ed eliminando le barriere non commerciali.

1.8   L'accordo deve contemplare anche gli aspetti dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.

1.9   Il CESE ritiene che l'UE e il Canada non possano farsi sfuggire l'opportunità di intensificare le loro relazioni, cosa che avrebbe ricadute positive sulle rispettive società. Sarebbe pertanto opportuno che entrambe le parti mantenessero un dialogo fluido con i rappresentanti della società civile organizzata, non soltanto durante i negoziati, ma anche ad accordo concluso, per seguirne l'applicazione e i risultati al fine di migliorarlo.

1.10   Il CESE propone che nel quadro dell'accordo venga istituito un organo consultivo misto della società civile organizzata UE-Canada. Esso eserciterebbe una funzione consultiva nei confronti dell'organismo congiunto che sarà istituito in quanto principale soggetto di direzione politica dell'accordo e potrebbe formulare pareri sulla base di consultazioni provenienti da tale organismo congiunto in merito agli argomenti oggetto dell'accordo. Il comitato consultivo potrebbe essere configurato sul modello di altri organi consultivi misti della società civile, il cui esempio più recente è dato dal comitato consultivo misto incluso nell'accordo di associazione tra l'UE e l'America centrale del 2010.

2.   Introduzione

2.1   Il CESE ha esaminato le relazioni tra UE e Canada nel 1996 (1). Da allora vi sono stati sviluppi che hanno di fatto modificato il contesto di tali relazioni e che, di conseguenza, hanno reso necessario elaborare il presente parere.

2.2   Le società civili dell'Europa e del Canada condividono valori comuni sui quali poggia l'identità delle rispettive società nel XXI secolo. La messa in comune dei loro principi può apportare un valore aggiunto sia all'UE che al Canada e, di conseguenza, all'intera comunità internazionale, in relazione ad aspetti come l'economia, la politica ambientale, la sicurezza, l'immigrazione ecc. Sarebbe inoltre auspicabile che nel contesto multilaterale vi fosse una maggiore collaborazione in merito a temi come la governance economica, il cambiamento climatico e la risoluzione dei conflitti.

2.3   Le due aree hanno economie altamente complementari in numerosi settori, e condividono valori economici comuni, che potrebbero facilitare il raggiungimento di un accordo. Il 6 maggio 2009 si è svolto a Praga un vertice tra UE e Canada, il cui risultato principale è stato l'avvio di negoziati per un accordo economico e commerciale globale (Comprehensive Economic and Trade Agreement - CETA) tra le due parti.

2.4   Il CESE si compiace dell'apertura di negoziati intesi a concludere un accordo e si augura che esso segni l'inizio di una nuova tappa nelle relazioni tra l'UE e il Canada, stimolando la cooperazione a vantaggio di entrambe le parti. L'accordo implicherà anche un chiaro messaggio per la comunità internazionale, dato che sia l'UE che il Canada dimostrano di respingere il protezionismo in questo periodo di crisi economica e finanziaria. D'altro canto, la promozione delle relazioni transatlantiche non può essere concepita senza la piena partecipazione del Canada.

2.5   Va sottolineato che l'accordo, una volta concluso, costituirà il primo accordo commerciale degli ultimi anni tra un gruppo di Stati appartenenti in maggioranza all'OCSE e tutti ugualmente attenti alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro. Si spera pertanto che l'accordo getti delle basi solide sia per quanto riguarda gli aspetti dello sviluppo economico, sociale e ambientale sostenibile che per la consultazione della società civile e per la supervisione dell'attuazione dell'accordo commerciale.

3.   La società civile in Canada

3.1   Il sistema canadese di consultazione della società civile differisce da quello europeo. La società civile viene consultata su specifici temi sia dalle commissioni parlamentari che dai ministri federali. Quest'ultimo tipo di consultazione è obbligatorio negli iter parlamentari canadesi, nel cui ambito è necessario dimostrare che tale consultazione ha avuto luogo. La consultazione della società civile è una pratica diffusa anche a livello delle province.

3.2   I lavoratori iscritti a un sindacato sono circa 4 600 000 (2), ossia il 26,1 % del totale. Sebbene negli ultimi anni il numero di lavoratori iscritti a un sindacato sia cresciuto di oltre mezzo milione di unità, di pari passo con la proporzionale crescita del numero di occupati, la percentuale di lavoratori sindacalizzati ha subito variazioni minime nel periodo considerato.

3.3   A livello nazionale la principale voce del movimento sindacale è il Congresso canadese del lavoro (Congrès du travail du Canada CTC - Canadian Labour Congress CLC) (3). La maggior parte dei sindacati nazionali presenti in Canada è affiliata al CTC, il quale consiste di dodici federazioni provinciali e territoriali e di 136 consigli del lavoro. Il CTC rappresenta circa tre milioni di iscritti. La sua attività ha per obiettivo retribuzioni e condizioni di lavoro dignitose, il miglioramento delle norme in materia di salute e sicurezza, l'equità del regime fiscale, programmi sociali comprendenti i servizi di custodia dei bambini, l'assicurazione sanitaria e le pensioni, oltre al miglioramento dei programmi di formazione e di creazione di posti di lavoro.

3.4   Il Consiglio degli imprenditori canadesi (4) è la principale organizzazione imprenditoriale del paese. Esso si compone di circa 150 amministratori delegati dalle principali imprese canadesi e di imprenditori di particolare rilievo appartenenti a tutti i settori produttivi. Il principale obiettivo di questa organizzazione è rappresentare le posizioni imprenditoriali a tre livelli: canadese, nordamericano e mondiale. A livello canadese l'attività del Consiglio si incentra su questioni nazionali come la politica monetaria e fiscale, l'ambiente, la competitività, il diritto delle società e la legislazione. A livello nordamericano il Consiglio si occupa principalmente dell'interdipendenza economica tra Stati Uniti e Canada e dell'Accordo nordamericano di libero scambio NAFTA. A livello mondiale la sua attività verte su questioni di fiscalità internazionale, di commercio, di investimenti, di politica dello sviluppo e di relazioni bilaterali e multilaterali.

3.5   Inoltre, la Federazione canadese delle imprese indipendenti (5) conta a livello nazionale 105 000 associati, provenienti da tutti i settori. Il suo obiettivo è rappresentare gli interessi delle piccole e medie imprese a livello sia federale che provinciale e territoriale. Un altro organo influente a livello nazionale è la Camera di commercio del Canada (6).

3.6   Tra le associazioni dei consumatori la più rappresentativa è probabilmente l'Associazione dei consumatori del Canada (7), i cui obiettivi principali sono informare i consumatori (8) e rappresentarli di fronte al governo e alle imprese nel quadro della risoluzione di controversie in materia di consumo.

3.7   In Canada sono presenti anche alcune organizzazioni di agricoltori, di cui la maggiore è la Federazione canadese dell'agricoltura (9), che conta oltre 200 000 membri. Essa è stata fondata nel 1935 come organo di espressione delle posizioni degli agricoltori canadesi. È un organismo centrale che rappresenta le organizzazioni provinciali e i gruppi produttivi nazionali e promuove gli interessi dell'agricoltura e del settore agroalimentare del Canada.

3.8   Il settore della pesca è rappresentato principalmente dal Consiglio canadese della pesca (10). Esso fa da portavoce dell'industria della pesca a livello nazionale e conta tra i suoi membri circa 100 imprese, che lavorano la maggior parte della produzione canadese di pesce e di prodotti del mare.

4.   Un nuovo impulso alle relazioni UE-Canada: scambi economici e relazioni politiche

4.1   L'economia canadese è la quattordicesima del mondo per dimensioni, con un PIL pari a 1510 miliardi (11) di dollari USA. Il principale settore dell'economia canadese è quello dei servizi, che nel 2008 contava per oltre il 69,6 % del PIL (12) e per i tre quarti dell'occupazione complessiva in Canada (13).

4.2   Il saldo della bilancia commerciale canadese presenta un deficit stimato di 34,309 miliardi di dollari USA per il 2009, contro un attivo di 7,606 miliardi di dollari nel 2008. Le principali voci dell'export sono le automobili e i componenti per auto, i macchinari industriali, gli aerei, gli apparecchi di telecomunicazione, i prodotti chimici, i prodotti in plastica e i fertilizzanti. Secondo il documento congiunto UE-Canada del marzo 2009, un posto di lavoro su cinque in Canada è legato al commercio.

4.3   Le relazioni formali tra UE e Canada risalgono al 1959, allorché è stato firmato l'accordo di cooperazione per l'uso pacifico dell'energia nucleare. Da allora tra le due zone sono stati siglati vari accordi e dichiarazioni. In linea con la nuova agenda transatlantica, stipulata con gli Stati Uniti nel 1995, il vertice UE-Canada del dicembre 1996 ha adottato una dichiarazione politica e un piano di azione con il doppio obiettivo di sviluppare le relazioni politiche ed economiche bilaterali e di facilitare la cooperazione su temi multilaterali. Tale piano di azione prevedeva, inoltre, che si svolgessero con cadenza semestrale dei vertici intesi a fare il punto delle relazioni bilaterali e a stimolarle.

4.4   Le relazioni economiche tra il Canada e l'UE sono molto intense. Nel 2009 gli scambi di beni tra le due zone sono ammontati a 40,2 miliardi di euro (14), e quelli di servizi commerciali (ad esclusione dei servizi pubblici) a 18,8 miliardi. Inoltre la tendenza degli ultimi anni è stata abbastanza positiva, dato che tra il 2000 e il 2009 il controvalore delle esportazioni di beni dall'UE al Canada è aumentato da 21,1 a 22,4 miliardi, e quello delle esportazioni canadesi verso l'UE è diminuito da 19 a 17,8 miliardi. Pertanto nello scorso decennio l'attivo della bilancia commerciale per l'UE è aumentato da 2,1 a 4,7 miliardi di euro. Le esportazioni dell'UE in Canada consistono principalmente di medicinali, veicoli a motore e motori di aerei. Le esportazioni canadesi nell'UE consistono principalmente di aerei, diamanti, minerali ferrosi, medicinali e uranio. Nel 2009 l'UE ha registrato un attivo della sua bilancia commerciale con il Canada anche per quanto riguarda i servizi, con un saldo positivo pari a 2,5 miliardi di euro.

4.5   Uno dei punti di maggiore interesse economico per l'UE è la liberalizzazione del mercato degli appalti pubblici. Mentre le imprese canadesi godono del libero accesso agli appalti pubblici europei, grazie al fatto che sia il Canada che l'UE hanno ratificato l'accordo sugli appalti pubblici del 1994 dell'Organizzazione mondiale del commercio, le imprese europee non beneficiano della reciprocità di trattamento in Canada. Poiché le province hanno competenze in merito a settori come l'energia, l'ambiente, i trasporti e la salute, è evidente che occorre coinvolgerle nei negoziati al fine di ottenere un accordo soddisfacente ed economicamente vantaggioso per l'UE. All'inizio di quest'anno il Canada ha siglato con gli Stati Uniti un accordo commerciale concernente l'apertura dei rispettivi mercati degli appalti pubblici a livello subregionale. Il Canada ha avanzato la proposta come reazione alle misure protezionistiche «Buy America», introdotte dagli Stati Uniti per stimolare la propria economia. L'accordo dimostra la volontà delle province di aprire alla concorrenza internazionale i rispettivi mercati degli appalti pubblici.

4.6   I precedenti delle relazioni bilaterali tra UE e Canada si basano in sostanza sui seguenti strumenti:

l'accordo quadro di cooperazione economica e commerciale del 1976,

la dichiarazione transatlantica del 1990, che istituisce il quadro istituzionale sia dei vertici UE-Canada che delle riunioni ministeriali,

il piano d'azione e la dichiarazione politica delle relazioni UE-Canada del 1996, che racchiude tre capitoli fondamentali e cioè le relazioni economiche e commerciali, la politica estera e di sicurezza e le questioni transnazionali,

il vertice di Ottawa del marzo 2004 ha adottato una nuova Agenda per l'associazione, la quale ha consentito di inserire nei rapporti bilaterali una serie di nuovi ambiti (coordinamento internazionale, partecipazione congiunta a missioni di pace, cooperazione allo sviluppo, collaborazione scientifica, giustizia e affari esteri ecc.), e ha approvato il quadro negoziale dell'accordo per la promozione degli scambi e degli investimenti (TIEA).

4.7   Va sottolineato che le relazioni tra Canada e UE sono in generale eccellenti. I principali elementi di attrito politico sono le questioni riguardanti l'Artico, il divieto europeo di commerciare prodotti ricavati dalle foche e l'imposizione da parte canadese dell'obbligo di visto per taluni Stati membri dell'UE.

Da un lato l'imminente apertura di rotte navigabili nell'Artico comporta una serie di questioni di sovranità da risolvere, perché finora non era stata presa in considerazione la possibilità di sfruttare commercialmente tale zona. Si ritiene che la regione artica potrebbe contenere il 20 % delle riserve mondiali di petrolio e di gas, oltre ad offrire nuove ed attraenti rotte commerciali alternative. A medio termine bisognerebbe rimediare all'assenza di normative o regolamentazioni multilaterali, prima che sorgano divergenze o dispute per la sovranità su tale territorio. Nel dicembre 2009 il Consiglio dell'UE ha indicato i tre obiettivi principali della politica dell'UE per l'Artico: 1) tutelare e preservare l'Artico di concerto con la sua popolazione, 2) promuovere l'uso sostenibile delle risorse, 3) contribuire a una governance multilaterale dell'Artico basata sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos).

Il Canada richiede il visto di ingresso ai cittadini della Repubblica ceca, della Romania e della Bulgaria, citando a giustificazione abusi nella richiesta di asilo da parte di cittadini di tali paesi. Poiché la politica di visti dell'UE si basa sulla reciprocità, occorre trovare urgentemente una soluzione, prima che l'UE si veda costretta ad adottare a sua volta misure analoghe. La Bulgaria e la Romania stanno lavorando per conformarsi ai criteri stabiliti dal Canada per l'esenzione dal visto. Nel caso della Repubblica ceca, il Canada non ha ancora definito misure concrete per rimuovere l'obbligo di visto. Il Canada giustifica la propria azione con la mancanza di difesa nei confronti di richieste di asilo ingiustificate. Attualmente sta predisponendo una riforma della legislazione, che però richiederà del tempo per essere adottata dal Parlamento.

4.8   Il CESE accoglie pertanto con soddisfazione i risultati del vertice UE-Canada svoltosi il 5 maggio 2010, nel quale i leader si sono impegnati a risolvere la questione e hanno osservato che l'intenzione del Canada di rivedere la propria politica di asilo dovrebbe facilitare la questione del visto per tutti i cittadini dell'UE.

5.   Valutazione dell'accordo commerciale globale tra l'UE e il Canada

5.1   Il 6 maggio 2009, durante il vertice UE-Canada svoltosi a Praga, è stato deciso di avviare dei negoziati intesi a stipulare un accordo economico e commerciale globale.

5.2   Da uno studio eseguito congiuntamente dall'UE e dal Canada, e riguardante i costi e i benefici di un'associazione economica più stretta tra l'UE e il Canada, risulta che eliminare le tariffe doganali, liberalizzare gli scambi di servizi e ridurre le barriere non tariffarie per i beni e gli investimenti sarebbe vantaggioso per entrambe le parti.

5.3   Secondo tale studio gli ambiti più adeguati per l'accordo saranno gli scambi di beni, le questioni sanitarie e fitosanitarie, le barriere tecniche al commercio, l'agevolazione degli scambi, le procedure doganali, gli scambi transfrontalieri di servizi, gli investimenti, gli appalti pubblici, la cooperazione normativa, la proprietà intellettuale, la circolazione delle persone, la politica di concorrenza, gli accordi istituzionali, la risoluzione delle controversie e lo sviluppo sostenibile. Le più importanti questioni che verranno trattate nel corso dei negoziati saranno le barriere non commerciali e la regolamentazione.

5.4   La liberalizzazione del commercio di beni e servizi tra le due zone potrebbe comportare un aumento del 20 % dell'interscambio commerciale. Si è inoltre stimato che, a sette anni dall'entrata in vigore di un accordo avente le caratteristiche sopra indicate, l'aumento del reddito reale sarebbe quantificabile in 11,6 miliardi di euro per l'UE e in 8,2 miliardi di euro per il Canada. Da qui al 2014 le esportazioni complessive dell'UE in Canada aumenterebbero del 24,3 %, a 17 miliardi di euro, mentre le esportazioni canadesi crescerebbero del 20,6 %, a 8,6 miliardi.

5.5   Lo studio suggerisce che esistono margini per ampliare la cooperazione attraverso una collaborazione nel campo della scienza e della tecnologia basata su un'agenda comune di ricerca, principalmente in aree strategiche come l'energia e l'ambiente, il carbone pulito, la cattura e lo stoccaggio del carbonio, le bioenergie, la generazione di elettricità e le reti elettriche intelligenti.

5.6   Altri campi in cui potrebbe accrescersi la collaborazione nell'ambito dell'accordo sarebbero tra l'altro la sicurezza, le questioni previdenziali, un sistema di cooperazione per l'equiparazione delle qualifiche e la cooperazione nell'Organizzazione della pesca nell'Atlantico nord-occidentale.

5.7   Dal punto di vista commerciale gli aspetti tariffari non sembrano essere fonte di problemi nei negoziati. Un aspetto importante dei negoziati consisterà nell'armonizzazione legislativa, dato che la tendenza dell'economia a concentrarsi sui servizi e sugli investimenti esteri fa sì che il quadro normativo sia più importante che mai. Ciò nonostante il sistema di competenze legislative condivise tra lo Stato federale, le province e i territori potrebbe comportare un ostacolo nei negoziati per l'accordo in questo campo.

5.8   In quest'ottica è stato ammesso, in via eccezionale, un coinvolgimento diretto delle province nei negoziati, che è stato accolto con favore dall'UE. Il responsabile dei negoziati è il rappresentante del governo federale, ma potrebbero sorgere divergenze, sia tra le province che tra esse e il governo federale, in settori di competenze condivise o esclusive.

5.9   Il Canada non dispone di un autentico mercato unico. Tanto il governo federale quanto le province sono consapevoli della necessità di creare un mercato interno, ma al momento esiste soltanto una forte volontà politica. Tuttavia la crisi economica mondiale incoraggia il Canada a stipulare al più presto un accordo che gli consenta di diversificare i suoi mercati esteri al di là degli Stati Uniti.

5.10   Per quanto riguarda i settori più delicati, quello che causa maggiori divergenze di tipo commerciale tra l'UE e il Canada è il settore automobilistico. Al contrario esistono buone relazioni in materia di pesca, e questo settore non costituirà un tema dominante nei negoziati. In campo energetico l'UE vuole diversificare i propri fornitori. Pertanto si prevede di negoziare un accordo speciale sull'energia, sebbene al momento non si sia andati oltre lo stadio della proposta. Altri settori nei quali le imprese europee hanno difficoltà a concludere affari in Canada sono il settore dell'aviazione, il settore bancario e gli appalti pubblici. Sussistono inoltre divergenze tra le due parti in merito alla concezione delle indicazioni geografiche e all'impostazione delle questioni agricole.

5.11   In merito alle questioni ambientali i governi federali e provinciali devono ancora sviluppare una posizione comune, specie per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra. Le province hanno posizioni differenti: mentre il Québec, l'Ontario, la Columbia britannica e il Manitoba fanno parte di un'iniziativa regionale in materia di clima denominata Western Climate initiative e applicano misure intese ad attenuare il cambiamento climatico e ad adattarvisi, l'Alberta e la Terranova, province la cui economia dipende fortemente dalla produzione di petrolio, non vi aderiscono. In merito a tale questione non si registrano passi in avanti, ed è improbabile che questa parte dei negoziati conduca ad un accordo vincolante, che in ogni caso non dovrebbe comportare condizioni svantaggiose che pregiudichino la competitività delle imprese europee. Nondimeno il Canada si è impegnato a investire in tecnologie energetiche pulite e a istituire una cooperazione bilaterale in materia di strategia per l'energia nucleare.

6.   Posizione della società civile in relazione all'accordo tra UE e Canada

6.1   I datori di lavoro

6.1.1   I datori di lavoro europei (BusinessEurope) chiedono l'eliminazione delle barriere tariffarie e non tariffarie, senza escludere alcuna voce, un accesso molto più libero agli appalti pubblici a tutti i livelli (nazionale e subnazionale), un impegno a realizzare la convergenza normativa nei settori prioritari, una più forte tutela della proprietà intellettuale, compresa la tutela delle denominazioni di origine, specialmente per le bevande alcoliche, un meccanismo di risoluzione delle controversie e una maggiore mobilità della forza lavoro, compreso il riconoscimento reciproco delle qualificazioni del personale delle imprese e di alcune professioni, come infermiere o avvocato.

6.1.2   L'accordo apre la porta a nuove opportunità di affari tra due partner che hanno livelli di sviluppo simili e approcci di politica commerciale analoghi. La prosperità è stata strettamente legata a una politica economica rivolta a liberalizzare gli scambi e ad attirare investimenti esteri diretti. Adesso è più importante che mai mantenere aperti i mercati, dato che ciò costituisce uno stimolo importante per competere, innovare e crescere.

6.1.3   Il mondo imprenditoriale crede nella preminenza delle norme commerciali multilaterali ai fini della regolamentazione del commercio internazionale, ma ritiene anche che si possa andare oltre, grazie ad accordi bilaterali più ambiziosi, che permettano di avanzare più rapidamente nell'eliminazione delle barriere, specie non tariffarie, al commercio, agli scambi di servizi e agli investimenti.

6.1.4   Un accordo ambizioso e approfondito tra l'UE e il Canada avrà un impatto favorevole sul rafforzamento delle relazioni economiche tra le due parti, relazioni che si stanno intensificando negli ultimi anni grazie non soltanto alle esportazioni, ma anche a operazioni più complesse nel settore dei servizi e nello stabilimento di imprese.

6.1.5   L'accordo darà impulso a un aumento dei flussi economici e commerciali bilaterali. Il negoziato deve condurre alla creazione di opportunità di affari in settori in cui le imprese hanno dimostrato abbondantemente la loro capacità di competere nel mercato globale, come il settore dell'energia, specie nel segmento delle energie rinnovabili, la gestione delle infrastrutture, i servizi finanziari, le costruzioni, i servizi e le tecnologie ambientali e le telecomunicazioni.

6.1.6   L'obiettivo generale è creare possibilità maggiori con minori ostacoli, vale a dire offrire alle imprese nuove opportunità di affari grazie all'eliminazione di barriere all'esportazione di beni, servizi e capitali.

6.1.7   L'accordo contribuirà in modo decisivo a una maggiore integrazione tra le economie dell'Unione europea e del Canada, favorendo il rilancio economico di entrambe le parti in un periodo di crisi, grazie all'espansione dei flussi commerciali e degli investimenti.

6.1.8   Il commercio internazionale può e deve svolgere un ruolo essenziale come propulsore della crescita e dello sviluppo a livello mondiale, ragion per cui la politica commerciale, attraverso l'apertura dei mercati, deve costituire una parte importante della politica economica dell'UE.

6.2   I sindacati

6.2.1   I sindacati europei e internazionali (FSESP - Federazione sindacale europea dei servizi pubblici e dell'energia; CES - Confederazione europea dei sindacati; CIS - Confederazione internazionale dei sindacati) hanno formulato le loro raccomandazioni in merito ai diritti dei lavoratori, al rispetto delle convenzioni fondamentali sul lavoro dell'OIL n. 98 (negoziazione collettiva), 138 (età minima), 94 (clausole di lavoro - contratti pubblici) e 29 (lavoro forzato) e ad altri elementi del lavoro dignitoso. Essi richiedono che entrambe le parti presentino relazioni regolari in merito ai progressi nell'attuazione di tali accordi. In tale contesto ricordano che il Congresso canadese del lavoro denuncia frequentemente all'OIL casi di infrazione delle convenzioni sul lavoro verificatisi in Canada a livello provinciale. Sebbene le leggi federali garantiscano il diritto dei lavoratori all'attività sindacale, regimi giuridici differenti in vigore nelle province comportano limitazioni dei diritti sindacali in tutto il paese, suscitando quindi le critiche dell'OIL.

6.2.2   Entrambe le parti devono inoltre impegnarsi a rispettare le linee guida dell'OCSE sulle imprese multinazionali e la dichiarazione tripartita dell'OIL sulle imprese multinazionali e la politica sociale; esse non devono inoltre abbassare il livello delle norme sul lavoro al fine di attirare investimenti esteri.

6.2.3   La Confederazione europea dei sindacati auspica che venga incluso nell'accordo un ambizioso capitolo sullo sviluppo sostenibile, comprendente un meccanismo vincolante che garantisca l'attuazione delle convenzioni fondamentali sul lavoro.

6.2.4   D'altro canto la FSESP chiede che l'accordo protegga i servizi pubblici attuali e futuri, e che a tal fine venga garantita una regolamentazione nazionale.

6.2.5   Per quanto riguarda i sindacati canadesi, il Congresso canadese del lavoro sostiene con forza il ricorso agli appalti pubblici per raggiungere gli obiettivi sociali, ambientali e di sviluppo economico e si oppone quindi all'estensione dell'apertura degli appalti pubblici per includervi le società pubbliche e i livelli di governo subordinati a quello federale.

6.2.6   Il Congresso canadese del lavoro inoltre è profondamente preoccupato per il fatto che possibili conflitti di interesse fra investitori e Stato potrebbero pregiudicare i servizi pubblici e le normative interne; esprime inoltre preoccupazione per gli effetti dell'eccessiva tutela della proprietà intellettuale, in particolare sui prezzi dei farmaci.

6.2.7   Deve esistere un meccanismo vincolante mediante il quale le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori di entrambe le parti possano richiedere interventi dei governi.

6.2.8   I sindacati chiedono che venga istituito un forum commerciale e dello sviluppo sostenibile, che consulti in modo equilibrato i lavoratori, i datori di lavoro e le altre organizzazioni della società civile. Le organizzazioni dei lavoratori ritengono che al momento il processo consultivo abbia un orientamento favorevole agli interessi delle imprese.

6.2.9   Essi chiedono inoltre che vengano previste clausole rigorose in materia di rispetto degli accordi multilaterali in materia ambientale, compreso il protocollo di Kyoto. Ritengono che occorrerebbe includere in tale capitolo il rispetto per le convenzioni in materia di diritti umani, compresi i diritti politici e civili, che rivestono grande importanza per la dimensione sociale dello sviluppo sostenibile.

6.3   Le attività diverse

6.3.1   Il settore agricolo chiede che i negoziatori dell'UE tengano conto dei prodotti sensibili di tale comparto. Per quanto riguarda le norme sull'origine dei prodotti, raccomandano di prendere a modello l'accordo con la Corea del Sud. Il settore lattiero viene considerato cruciale e si spera che l'accordo crei nuove opportunità commerciali per i produttori europei. Nel comparto delle carni gli interessi dell'UE sono difensivi e vengono richieste quote per le carni suine, il pollame, le uova e i prodotti derivati dalle uova. Il settore agricolo europeo ha inoltre interessi dichiaratamente offensivi per quanto riguarda i cereali, in particolare il grano, e si oppone ad un aumento della quota del Canada. Sarebbe inoltre opportuno che il governo canadese notificasse all'Organizzazione mondiale del commercio le normative che possono costituire ostacoli al commercio, in modo che il comitato sugli ostacoli tecnici al commercio possa verificarne la compatibilità, ad esempio nel caso della legge canadese C-32 relativa agli ingredienti dei prodotti a base di tabacco.

6.3.2   In merito all'istruzione e alla formazione, il CESE ricorda che già nella dichiarazione comune del novembre 1990 veniva menzionata la possibilità di cooperazione tra l'UE e il Canada in questo campo. Nel 2006 le due parti hanno esteso l'accordo, per il periodo 2006-2013, all'ambito dell'istruzione superiore, della formazione e della gioventù. Si tratta quindi del primo accordo bilaterale siglato dall'UE che menziona la cooperazione in favore dei giovani al di fuori dell'istruzione superiore. Non sembra tuttavia che per tale accordo sia stato previsto il corrispondente finanziamento. Il CESE chiede che tali misure vengano finanziate in modo appropriato e che venga inoltre fornita un'assistenza finanziaria ai numerosi lavoratori dei servizi sociali che operano con bambini e giovani nell'UE e che sarebbero disposti a lavorare nel quadro di scambi di esperienze e di attività congiunte con organizzazioni simili in Canada.

7.   La posizione del CESE sull'accordo economico e commerciale globale

7.1   Il CESE è favorevole all'incremento e alla liberalizzazione degli scambi commerciali ed esprime quindi compiacimento per l'avvio dei negoziati dell'accordo UE-Canada. Si rammarica tuttavia del fallimento dei negoziati di Doha e ribadisce la propria preferenza per la via multilaterale e il proprio rifiuto del protezionismo commerciale.

7.2   Il CESE appoggia tutte le misure intese a risolvere i pochi elementi di attrito che ancora rimangono nelle questioni bilaterali (accesso all'Artico, visti, commercio di prodotti ricavati dalle foche) e ricorda l'importanza dell'accordo per favorire l'interscambio tra l'UE e l'intera regione nordamericana nell'ambito del NAFTA. Chiede quindi che il Parlamento europeo provveda a un adeguato monitoraggio di tutte le fasi del negoziato, affinché possa procedere più facilmente all'approvazione finale dell'accordo.

7.3   Il CESE esprime compiacimento per le eccellenti relazioni tra l'UE e il Canada e invita entrambe le parti a fare in modo che tali relazioni servano a rafforzare alleanze con finalità multilaterali in ambito politico, e in particolare azioni risolute e misure concrete in favore della ripresa economica mondiale e di altri obiettivi come la non proliferazione delle armi nucleari, la lotta contro il cambiamento climatico o la gestione congiunta delle crisi (missioni di pace, crisi naturali).

7.4   Il CESE sostiene con decisione il modello europeo di dialogo sociale e civile e sottolinea che occorre consultare, implicare e coinvolgere le parti sociali e la società civile organizzata sia nella negoziazione dell'accordo che nella sua successiva applicazione.

7.5   Il CESE ritiene che il futuro accordo dovrebbe prevedere la costituzione di un comitato consultivo misto UE-Canada, comprendente rappresentanti della società civile organizzata, e incaricato di promuovere il dialogo e la cooperazione in merito agli aspetti economici, sociali e ambientali delle relazioni UE-Canada che emergeranno nel quadro dell'applicazione dell'accordo. In assenza di una controparte istituzionale rappresentativa della società civile organizzata canadese, il CESE propone di esaminare, insieme alle organizzazioni della società civile canadese, il modo migliore di definire la partecipazione a tale futuro comitato.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere EXT/142 Le relazioni tra l'Unione europea e il Canada, Bruxelles, 27 novembre 1996.

(2)  Labour Force Survey («Statistica sulla forza lavoro»), 2008.

(3)  http://canadianlabour.ca.

(4)  http://www.ceocouncil.ca/en/.

(5)  http://www.cfib.org.

(6)  http://www.chamber.ca.

(7)  http://www.consumer.ca.

(8)  Altre organizzazioni canadesi dei consumatori sono il Consiglio dei consumatori del Canada, l'Associazione di professionisti consumatori del Canada, l'Opzione consumatori e l'Unione dei consumatori.

(9)  http://www.cfa-fca.ca/.

(10)  http://www.fisheriescouncil.ca/.

(11)  La cifra stimata per il 2009 è di 1300 miliardi di dollari, quella per il 2008 di 1400 miliardi di dollari. Fonte FMI World Economic Outlook Database, ottobre 2009.

(12)  https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/ca.html.

(13)  Fonte: Istituto spagnolo del commercio estero - ICEX.

(14)  Fonte: Eurostat.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/94


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La situazione delle persone con disabilità nei paesi Euromed»

2011/C 48/17

Relatore: Meelis JOOST

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

La situazione delle persone con disabilità nei paesi Euromed.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace del fatto che numerosi paesi del partenariato Euromed abbiano ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, creando così le basi per migliorare la qualità della vita di queste persone.

1.2

Osserva che le organizzazioni della società civile che rappresentano le persone con disabilità nei paesi Euromed dovrebbero partecipare più efficacemente alla collaborazione nel quadro del partenariato euromediterraneo. Per far sì che queste organizzazioni partecipino attivamente allo sviluppo della società civile è necessario assicurare il loro finanziamento.

1.3

Il CESE esorta i paesi Euromed a promuovere, nell'organizzazione dello spazio vitale, il principio della cosiddetta «progettazione universale» (Design for all) intesa a garantire l'accessibilità ai disabili, dato che un ambiente privo di barriere e di facile accesso per tutti contribuisce anche allo sviluppo del potenziale turistico.

1.4

Il CESE chiede alla Commissione europea di garantire che i fondi destinati ai paesi Euromed siano accessibili anche alle organizzazioni della società civile che rappresentano le persone con disabilità e che i fondi destinati ai programmi della politica europea di vicinato vengano utilizzati evitando di creare ulteriori barriere alla partecipazione, in condizioni di parità, delle persone disabili alla vita sociale.

1.5

Alla luce del contesto culturale dei paesi Euromed e dei miglioramenti della qualità della vita delle persone con disabilità realizzati grazie al modello fondato sulle «azioni caritative», il CESE sollecita ora le parti interessate a impegnarsi a favore di un approccio imperniato sui diritti, affinché la società assuma le proprie responsabilità riguardo al benessere delle persone con disabilità e alla loro sussistenza quotidiana, e crei un ambiente e dei servizi che tengano conto delle esigenze di tutti gli utenti. Questo approccio è conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

1.6

I paesi Euromed devono investire maggiormente in percorsi di formazione adatti alle persone con disabilità, in modo da creare posti di lavoro di qualità e garantire la presenza di una forza lavoro rispondente ai requisiti del mercato. Occorre inoltre limitare gli effetti negativi dell'esodo rurale sull'occupazione e sui flussi migratori.

1.7

Poiché è statisticamente dimostrato che le persone con disabilità rappresentano almeno il 10 % della popolazione, si può stimare che nei paesi Euromed esse siano circa 25 milioni. Il CESE sollecita i responsabili politici di questi paesi ad adoperarsi a favore delle pari opportunità e, in particolare, a promuovere l'integrazione delle persone con disabilità nel mercato del lavoro.

1.8

Occorre coinvolgere i paesi Euromed nel maggior numero possibile di iniziative che permettano di migliorare la coesione tra i paesi di entrambe le sponde del Mediterraneo, come ad esempio gli anni tematici europei (1), la capitale europea della cultura e la più recente iniziativa che si propone di designare ogni anno la capitale europea dell'accessibilità universale (2).

2.   Introduzione

2.1

In alcuni precedenti pareri il CESE ha affrontato il tema dell'evoluzione sociale nei paesi partner Euromed.

2.2

Il Comitato ha deciso di procedere all'elaborazione del presente parere di iniziativa per sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica sulle difficoltà delle persone con disabilità nel bacino del Mediterraneo e contribuire a migliorare le loro condizioni di vita. Attualmente il settore sociale sta attraversando una fase di sviluppo decisiva, contraddistinta da grandi sfide globali.

2.3

Il Processo di Barcellona, avviato nel 1995, ha ridato slancio alle relazioni tra l'UE e i suoi vicini dell'ambito mediterraneo (3) e ha introdotto nuove condizioni per la creazione di una zona di pace e prosperità economica nella regione. Eppure, a quindici anni dall'adozione della dichiarazione di Barcellona, i progressi compiuti rimangono limitati.

2.4

L'iniziativa dell'Unione per il Mediterraneo, lanciata nel 2008, ha dato un nuovo impulso alla cooperazione, impulso di cui i paesi partner possono avvalersi per promuovere uno sviluppo equilibrato della regione. In questo contesto, l'evoluzione degli interessi sociali, che comprende anche il miglioramento della situazione delle persone con disabilità, potrebbe rivestire un'importanza particolare.

2.5

Nel quadro degli accordi di partenariato la Commissione europea potrebbe sviluppare maggiormente l'aspetto dell'evoluzione del settore sociale e richiamare ancora più decisamente l'attenzione sull'urgente necessità di rafforzare la coesione sociale.

2.6

Nell'ottobre 2002 in Libano è stato proclamato il decennio arabo delle persone con disabilità che si concluderà nel 2012. Al lancio dell'iniziativa hanno partecipato diciannove paesi arabi, nonché i rappresentanti di oltre un centinaio di organizzazioni della società civile araba che militano a favore delle persone con disabilità. La dichiarazione adottata in questa occasione è stata frutto di un lungo processo di consultazione tra i ministri degli Affari sociali dei paesi partecipanti.

2.7

Alcuni dei paesi Euromed (4) hanno ratificato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, finalizzata a garantire i diritti di tali persone e a migliorare la loro qualità di vita. Nel contesto dell'UE il processo di ratifica della Convenzione è legato a una proposta di direttiva contro la discriminazione in merito alla quale il CESE ha elaborato un parere. Anche se questa direttiva, intesa a contrastare la discriminazione in ambiti diversi, non è ancora stata adottata, il processo è già stato avviato, consentendo così all'Unione europea di avanzare a grandi passi verso la protezione giuridica delle persone con disabilità.

2.8

La cooperazione nell'ambito dello sviluppo delle risorse umane ha dato risultati positivi. L'indice dello sviluppo umano è passato dallo 0,694 nel 1995 allo 0,736 nel 2007 (5). Visto che la crisi attuale ha ripercussioni negative sullo sviluppo, è importante prestare un'attenzione particolare alle pari opportunità nello sviluppo socioeconomico dei paesi Euromed.

2.9

Nei paesi partner mediterranei la situazione relativa ai diritti e alla qualità di vita delle persone con disabilità varia da uno Stato all'altro. L'obiettivo del presente parere è richiamare l'attenzione dei diversi paesi sulla necessità di migliorare la situazione dei disabili e l'efficienza delle organizzazioni della società civile operanti in questo ambito, nonché coinvolgere più attivamente che in passato i rappresentanti di tali organizzazioni nella regolare cooperazione della società civile tra l'UE e i paesi Euromed. Gli esempi di alcuni Stati e le ricerche in essi condotte, nonché i dati raccolti al riguardo, indicano chiaramente che tali Stati hanno assunto seriamente l'impegno di coinvolgere i disabili e hanno adottato delle misure intese a migliorare la coesione sociale.

3.   Inclusione sociale e pari opportunità

3.1

Il processo di Barcellona (1995) si proponeva un maggiore ravvicinamento globale dei diversi livelli di evoluzione socioeconomica delle due sponde del Mediterraneo. In tale contesto, tuttavia, non si è tenuto conto delle esigenze specifiche di determinati gruppi di persone. La politica di coesione dell'UE ha dimostrato che la promozione delle pari opportunità per i gruppi vulnerabili nonché il rafforzamento della coesione sociale apportano benefici alla società nel suo insieme.

3.2

Nella creazione di una zona comune di libero scambio è particolarmente importante assicurare alle persone con disabilità condizioni di vita e mezzi di sussistenza sempre più simili a quelli abitualmente riscontrabili nell'UE. A tal fine occorre integrare più efficacemente le persone con disabilità nel processo decisionale a livello nazionale, regionale e locale.

3.3

Un sistema di istruzione inclusivo, la politica occupazionale, lo sviluppo regionale equilibrato e la partecipazione ai processi decisionali contribuiscono alla riduzione della povertà, accrescendo, tra l'altro, la capacità di attrazione dei paesi partner Euromed come luoghi di residenza e di lavoro e contrastando così l'emigrazione. In fin dei conti, l'inclusione sociale migliora la mobilità delle persone. In molti paesi Euromed, tuttavia, ai bambini con disabilità viene negato l'indispensabile accesso all'istruzione. Di conseguenza, il mercato del lavoro e le possibilità che esso offre rimangono loro in gran parte inaccessibili quando raggiungono l’età lavorativa.

3.4

La maggior parte delle scuole dei paesi Euromed non offre opportunità di formazione ai bambini con disabilità. Circa la metà di questi bambini vivono separati dalla famiglia in centri di assistenza. Nei paesi Euromed le persone con disabilità non riescono ad avvalersi del diritto di partecipare al mercato del lavoro, benché siano state promulgate leggi specifiche che prevedono l'obbligo di sostenere queste persone e di garantire loro opportunità lavorative. Uno studio realizzato nel 2003 dall'Unione libanese dei disabili (LPHU - Lebanese Physically Handicapped Union) rileva che le istituzioni che ricevono la maggior parte dei fondi pubblici destinati alle persone con disabilità non offrono loro la formazione necessaria per l'inserimento nel mercato del lavoro.

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità nell'area Euromed

3.5

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è stata ratificata dai seguenti paesi non UE del partenariato mediterraneo: Algeria, Bosnia-Erzegovina, Marocco, Tunisia, Turchia, Egitto, Siria, Giordania, Croazia e Montenegro. Non è stata finora ratificata da Israele, Autorità nazionale palestinese, Libano, Albania, Mauritania, Monaco e Libia (che detiene lo statuto di osservatore). Tra i paesi che non hanno ancora ratificato la Convenzione figurano anche alcuni Stati membri dell'UE.

3.6

Le disposizioni della Convenzione garantiscono alle persone con disabilità protezione contro la discriminazione in tutti gli ambiti della vita: nel mondo del lavoro, nell'accesso ai mezzi di trasporto, agli edifici pubblici e agli alloggi. Esse sottolineano esplicitamente la necessità di garantire i servizi necessari e un'adeguata protezione sociale, sia nelle aree urbane che in quelle rurali.

3.7

Nella Convenzione si attribuisce un'importanza particolare all'accesso all'istruzione, al diritto alla libera scelta del luogo di residenza, al diritto a una vita familiare e alla partecipazione alla vita politica. Alcuni articoli sono dedicati in particolare alle donne e ai bambini con disabilità, due gruppi estremamente importanti per il miglioramento della coesione sociale nella cooperazione tra l'UE e l'ambito mediterraneo.

3.8

Il testo di base della Convenzione è inoltre accompagnato da un protocollo opzionale. Gli Stati che abbiano sottoscritto e ratificato la Convenzione si impegnano a istituire un osservatorio per verificarne il rispetto. Allo stesso tempo, con la ratifica gli Stati parte si impegnano anche a informare le Nazioni Unite circa il grado di corrispondenza tra la situazione delle persone con disabilità e le disposizioni della Convenzione.

3.9

La ratifica della Convenzione rappresenta la prima tappa di un lungo percorso verso la modifica del comportamento della società nei confronti delle persone con disabilità e il loro ambiente di vita, tanto negli Stati membri dell'UE quanto nei paesi Euromed. Attualmente, nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo meridionale, la situazione socioeconomica di alcuni gruppi della popolazione, tra cui anche le persone con disabilità, non è conforme alle disposizioni della Convenzione.

La dimensione della parità di genere nello sviluppo regionale

3.10

La cooperazione regionale tra i paesi Euromed costituisce un fattore importante per il miglioramento della vita quotidiana delle persone con disabilità. Occorre promuovere più efficacemente di quanto si sia fatto finora aspetti come l'accessibilità, la diffusione delle informazioni, la creazione di servizi destinati alle persone con disabilità e la realizzazione di progetti comuni. La coesione regionale su scala nazionale, che si manifesta con uno sviluppo sostenibile delle zone rurali e l'offerta di servizi per persone con disabilità (non solo nelle zone urbane), rafforza la competitività dei paesi Euromed.

3.11

La comprensione reciproca, che comprende anche la tolleranza tra i diversi gruppi della popolazione e la lotta contro la discriminazione, dovrebbe contraddistinguere i rapporti tra i paesi partner Euromed nonché le relazioni nel quadro del partenariato euromediterraneo.

3.12

La vulnerabilità sociale delle zone rurali dell'area mediterranea si traduce in povertà, disoccupazione, carenza di infrastrutture, degrado del suolo e in un esodo rurale incessante. Gli Stati dovrebbero adoperarsi per porre fine a questa evoluzione negativa.

Organizzazioni della società civile che rappresentano le persone con disabilità, e loro ruolo nella società

3.13

Nella maggior parte degli Stati membri dell'UE esistono associazioni all'interno delle quali confluiscono le varie organizzazioni delle persone con disabilità. L'esistenza di queste associazioni aiuta i diversi gruppi di persone con disabilità a comprendere meglio le necessità degli altri gruppi e ad esprimersi con un'unica voce in sede di definizione delle politiche. Occorre sostenere la creazione e il rafforzamento di associazioni delle persone con disabilità nei paesi Euromed.

3.14

Delle associazioni di persone con diversi tipi di disabilità sono state costituite nei seguenti paesi partner Euromed: Marocco, Giordania, Tunisia ed Egitto.

3.15

Handicap International ha indetto un concorso destinato alle organizzazioni senza scopo di lucro per promuovere la partecipazione di persone con disabilità alle sue attività.

La Tunisia e la Giordania sono state integrate nel Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP). In questo contesto, come partner dell'UNDP, in Giordania è stata fondata la Al Hussein Society for the Habilitation and Rehabilitation of the Physically Challenged, un'organizzazione di persone affette da disabilità fisiche. Il suo obiettivo è permettere alle persone con disabilità fisiche di avvalersi delle possibilità offerte dalle tecnologie dell'informazione, predisponendo a tal fine locali informatici con la disponibilità di programmi informatici specifici, in particolare applicazioni grafiche, e offrendo corsi di formazione in informatica.

3.16

Sul suo sito Internet, l'Organizzazione mondiale delle persone con disabilità (DPI - Disabled Peoples' International) conferma che al suo interno si sta sviluppando una sesta area regionale in cui rientrano i paesi arabi. In base ai dati dell'organizzazione, dieci paesi avrebbero già espresso il desiderio di aderire e, in linea di principio, i lavori preparatori potrebbero concludersi tra due o tre mesi.

4.   Migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità associando le azioni caritative a un approccio basato sul rispetto dei diritti

4.1

Alla luce del contesto culturale del bacino del Mediterraneo, il trattamento riservato alle persone con disabilità e il loro ruolo nella società sono fortemente influenzati dalla fede. Le diverse opinioni in merito alle cause della disabilità vanno sostituite con informazioni scientificamente fondate, cosa che contribuirebbe all'adozione di un approccio basato sui diritti. Tendenzialmente, nei paesi Euromed l'atteggiamento della società nei confronti delle persone con disabilità innate o acquisite varia sensibilmente, però le persone affette da una disabilità innata oppure visibile sono quelle che soffrono maggiormente. È quindi fondamentale compiere un'opera di informazione sui diversi tipi di disabilità e mettere in evidenza le competenze e le capacità delle persone disabili.

4.2

In Marocco, ad esempio, il 25 % circa delle famiglie subisce gli effetti dell'immagine negativa associata alla disabilità. La presenza di una disabilità visibile pregiudica sensibilmente l'accesso ai servizi. Il ruolo fondamentale svolto in Marocco dalla religione e dalla famiglia è all'origine della diffusione di un approccio caritativo nella società. Ciononostante, il nobile principio di prestare assistenza alle persone bisognose di aiuto non è di per sé sufficiente a garantire che le persone affette da diverse forme di disabilità o da malattie croniche siano in grado di gestire la propria vita.

4.3

Oltre a migliorare la qualità della vita dei disabili con azioni caritative, ci si potrebbe anche adoperare per un costante miglioramento dei servizi e delle condizioni di vita. Le associazioni dei disabili e le altre organizzazioni della società civile impegnate socialmente potrebbero - con il sostegno della società - integrare con successo le azioni caritative adottando un approccio fondato sul diritto. È essenziale che le persone con disabilità partecipino ai processi decisionali che riguardano lo sviluppo del sistema sociale. In Marocco, ad esempio, si osserva la tendenza a sostituire il modello imperniato sulle azioni caritative con un approccio maggiormente basato sul rispetto dei diritti.

4.4

Come esempio positivo di questo approccio in uno dei paesi Euromed in cui lo Stato o un'autorità locale ha applicato tale modello, si possono citare i progetti che Handicap International (HI) ha realizzato in Marocco. Handicap International è un'organizzazione non governativa che opera in Marocco dal 1993. Un'inchiesta, condotta nel 2004 con il sostegno finanziario del ministero degli Affari sociali sulla situazione delle persone con disabilità, tra cui anche i bambini affetti da disabilità e le loro famiglie, ha rivelato che il 70 % dei disabili non hanno accesso alla formazione e che solo il 30 % dei bambini con disabilità frequentano la scuola. Dall'inchiesta è risultato che il problema principale è costituito dalla carenza di servizi sociali e dall'assenza di specialisti, nonché dal fatto che nel 50 % circa dei casi l'esclusione dal sistema scolastico provoca un atteggiamento negativo della società nei confronti dei bambini con disabilità. A conclusione dell'inchiesta sono state formulate le seguenti raccomandazioni:

la società nel suo insieme deve modificare il suo atteggiamento nei confronti delle persone con disabilità,

per il periodo 2006-2011 è stata predisposta una strategia governativa, che interessa il Marocco e la Tunisia ed è intesa ad ampliare la gamma dei servizi offerti alle persone disabili nella regione collegando i centri locali in un'unica rete. In Marocco esistono attualmente un centinaio di associazioni impegnate a favore delle persone con disabilità,

la strategia insiste in particolare sul tema della formazione dei fornitori di servizi (ad esempio la creazione di una rete di fisioterapisti in cooperazione con il ministero della Salute),

tutti i gruppi di interesse presenti sul territorio dovranno partecipare ai lavori della rete per le persone con disabilità,

oltre a sviluppare le strutture per la riabilitazione clinica occorre impegnarsi maggiormente a favore della diffusione delle conoscenze necessarie al livello più vicino possibile alle comunità locali (community-based).

4.5

La situazione dei bambini con disabilità e delle famiglie in cui vivono disabili nei paesi Euromed merita particolare attenzione. Le persone con disabilità e le famiglie che se ne occupano, in particolare se si tratta di bambini, dovrebbero partecipare direttamente alle decisioni riguardanti i nuovi servizi che si rendono necessari e la creazione di valide possibilità di riabilitazione e di altri servizi. Nel quadro dell'attuale sistema di assistenza sociale e di riabilitazione, la famiglia svolge il ruolo di partner dell'amministrazione locale e dei rappresentanti delle autorità nazionali, nonché dei fornitori di servizi. La famiglia propone nuovi servizi destinati ai disabili, partecipa alla loro progettazione e offre consigli preziosi su tutte le questioni legate alla disabilità. In mancanza di una rete di servizi sviluppata è possibile applicare l'approccio fondato sulle comunità locali (community-based rehabilitation, CBR) menzionato in precedenza e coinvolgere gruppi informali di sostegno alle persone con disabilità nonché associazioni (persone giuridiche) senza scopo di lucro che perseguono il medesimo obiettivo.

Lo sviluppo sociale ed economico e le misure intese a migliorare le condizioni di vita delle persone con disabilità

4.6

Solo un'assistenza sistematica e continua permette alle persone con disabilità di gestire la propria vita quotidiana e di far valere i propri diritti. Considerato che le differenze nello sviluppo socioeconomico dei singoli paesi Euromed e la crisi attuale lasciano solo un margine molto limitato per la creazione di servizi, sarebbe opportuna un'attiva partecipazione dei disabili alla ricerca di soluzioni in quest'ambito.

4.7

Il modo migliore per garantire l'inclusione sociale è quello di promuovere l'occupazione. In proposito occorre prendere in considerazione tanto le opportunità di lavoro disponibili sul mercato del lavoro principale e aperto quanto l'esercizio di un'occupazione protetta e sovvenzionata. Nell'Unione europea sono state intraprese diverse iniziative per migliorare la situazione delle persone con disabilità attraverso strumenti legislativi e l'applicazione di buone pratiche. In occasione dell'Anno europeo dei disabili 2003 le organizzazioni europee delle parti sociali hanno adottato una dichiarazione comune sulla promozione dell'occupazione delle persone con disabilità. L'idea ispiratrice della dichiarazione, basata più sulle attitudini che sulla disabilità, costituisce un valido strumento per avviare le azioni necessarie a promuovere l'occupazione delle persone disabili nei paesi Euromed, in particolare tramite le imprese dell'economia sociale.

4.8

L'inserimento delle persone con disabilità nel mercato del lavoro dei paesi Euromed può essere supportato anche dall'accordo sottoscritto nel 1993 dagli Stati arabi per la promozione dell'occupazione e della riabilitazione dei disabili. Esso sottolinea la necessità di migliorare l'accessibilità dell'ambiente di lavoro e di rendere più agevole l'uso dei trasporti pubblici per i disabili. Propone inoltre una misura già diffusa in alcuni Stati membri dell'UE, ossia l'introduzione di un tasso di occupazione per le persone con disabilità al fine di migliorare la situazione dei disabili sul mercato del lavoro.

4.9

Le persone con disabilità desiderano dare il loro contributo alla società: a tal fine occorre però creare un ambiente adeguato, fondato sul rispetto dei diritti nonché su una piena integrazione nella società. È inoltre importante sostenere il lavoro svolto dalle associazioni dei disabili. Lo Stato dovrebbe preoccuparsi in maniera sistematica dei cittadini, in particolare delle persone con disabilità, che rappresentano l'elemento più vulnerabile della società.

4.10

In linea generale, le donne partecipano attivamente all'applicazione delle misure volte a migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità, sia a titolo privato (all'interno della famiglia) sia nel quadro delle azioni sociali. Il loro ruolo nello svolgimento di questi compiti merita di essere riconosciuto. Al tempo stesso, l'attuazione delle misure sociali non deve gravare esclusivamente sui familiari. Nelle famiglie dei paesi Euromed in cui vivono bambini disabili, le donne, vale a dire le madri, svolgono spesso la maggior parte dei compiti di assistenza, tendenza che viene ulteriormente rafforzata dalle convinzioni religiose e dalle specificità culturali.

La situazione generale delle donne, dei bambini e delle minoranze nei paesi Euromed viene illustrata in una relazione sullo sviluppo umano nel mondo arabo (Arab Human Development Report) redatta nel 2002, in base alla quale nel 2000 il 53 % circa delle donne erano analfabete. Secondo le previsioni, nel 2015 questo valore dovrebbe attestarsi al 37 %.

4.11

Tra i buoni esempi di programmi per la sicurezza sociale nella regione mediterranea si possono citare i progetti di Handicap International realizzati in Tunisia nel campo dello sviluppo della sicurezza sociale e della solidarietà, ai quali hanno partecipato sia specialisti collegati in rete che utilizzatori finali, vale a dire persone con disabilità e le rispettive famiglie. Nel periodo 1998-2002 HI ha realizzato il progetto «Prevenzione della disabilità infantile», volto a migliorare la qualità dei servizi offerti ai bambini disabili attraverso la formazione del personale addetto alla riabilitazione e la fornitura dell'attrezzatura necessaria ai centri specializzati. Nel quadro di un progetto specifico avviato in quest'ambito, tra il 1998 e il 2003 sono state allestite due cliniche di riabilitazione e sono stati costruiti un centro di riabilitazione, un laboratorio di assistenza tecnica nonché due centri mobili per la riparazione di ausili tecnici. Il progetto «Promozione dell'autonomia delle persone con disabilità nel Maghreb», realizzato da Handicap International in Marocco, Algeria e Tunisia tra il 2004 e il 2006, era inteso a favorire le iniziative locali, allo scopo di promuovere l'integrazione sociale delle persone con disabilità, aiutarle ad avere più fiducia in se stesse e conferire loro maggiore dignità. Al progetto hanno partecipato anche il ministero tunisino degli Affari sociali e diverse associazioni di disabili.

4.12

Un esempio concreto di progetto realizzato dall'Unione europea in un paese Euromed con l'obiettivo di modificare l'atteggiamento nei confronti delle persone con disabilità è il Programma Euromed Youth, che costituisce uno dei pilastri delle attività realizzate dalla Commissione europea a favore dei giovani del terzo mondo. Si tratta di uno dei programmi regionali istituiti nel quadro del terzo capitolo del processo di Barcellona, che si propone di sviluppare la formazione informale e il dialogo interculturale nei 27 paesi Euromed. Il numero dei partecipanti al programma aumenterà prossimamente fino a comprendere 37 paesi. Il Programma Euromed Youth costituisce un'iniziativa concreta che si inserisce nel partenariato euromediterraneo. I fondi disponibili nel quadro di questa iniziativa possono essere utilizzati per promuovere la comprensione reciproca tra i giovani dei paesi Euromed, far avanzare il processo di democratizzazione della società civile, sviluppare il coraggio civile dei giovani, soprattutto delle giovani donne, aiutare le organizzazioni giovanili a far sentire la loro voce, nonché favorire lo scambio di informazioni ed esperienze tra di loro. È proprio grazie a queste misure che si può indurre un cambiamento nell'atteggiamento nei confronti delle persone affette da disabilità o malattie croniche. Lanciato nel 1999, il programma può essere visto come un'estensione del programma Gioventù della Commissione europea in questa regione.

5.   Progettazione universale (Design for all) - Creazione di un ambiente privo di barriere nel bacino del Mediterraneo

5.1

Nei paesi Euromed la struttura degli edifici e il settore dei trasporti non sono ancora adeguati alle esigenze delle persone con disabilità. Occorre tenere presente che, oltre ai disabili, anche altri gruppi sociali traggono beneficio da un ambiente accessibile e privo di barriere, ad esempio le famiglie con bambini, gli anziani e le persone la cui mobilità è temporaneamente ridotta a seguito di un incidente.

5.2

Per «progettazione universale» si intende la progettazione di prodotti e ambienti utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza bisogno di adattamenti o di soluzioni specifiche. La progettazione universale risulta efficace se interagisce con altri obiettivi sociali e se è parte integrante di un approccio olistico.

5.3

I principi fondamentali della progettazione universale di cui occorre tenere conto nell'organizzazione del nostro ambiente di vita sono i seguenti:

utilizzo equo da parte dei diversi gruppi della popolazione,

centralità della tematica dei diritti umani nel concetto di «progettazione universale»,

facilità d'uso/impiego flessibile: possibilità di apportare modifiche agevolmente,

semplicità e intuitività: tiene conto del punto di vista dell'utente,

informazioni comprensibili per l'utente,

solidità: l'ambiente creato è resistente alla distruzione e all'usura,

l'ambiente e i dispositivi di sostegno non richiedono grossi sforzi fisici,

l'ambiente creato è spazioso e adatto a persone che fanno uso di diversi ausili per la mobilità.

5.4

In questo contesto, oltre alla progettazione dell'ambiente fisico, anche l'atteggiamento delle persone riveste un'importanza particolare. La sicurezza dei trasporti nelle aree urbane dipende in larga misura dall'attenzione degli utenti della strada nei confronti degli altri utenti. Nella creazione di un ambiente privo di barriere e di facile accesso le azioni di sensibilizzazione sono essenziali.

5.5

Alcuni paesi Euromed, tra cui la Giordania, il Marocco e la Tunisia, hanno già provveduto ad istituire un quadro giuridico sull'accessibilità degli spazi pubblici. Nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità si afferma esplicitamente che il mancato rispetto del principio di accessibilità per le persone con disabilità costituisce un atto di discriminazione. Particolarmente importante è anche garantire l'accessibilità ai posti di lavoro e la sicurezza sul lavoro.

5.6

I trasporti pubblici risultano più accessibili ai disabili in quei paesi che hanno promosso e ammodernato il trasporto su rotaia. In Marocco, ad esempio, dove il trasporto ferroviario è ben sviluppato, le persone con disabilità possono spostarsi in treno se hanno modo di accedere agli edifici della stazione e ai marciapiedi.

5.7

Sarebbe opportuno mettere in evidenza esempi validi di rimozione delle barriere nel settore dei trasporti o altri progetti realizzati in un paese Euromed nel quadro dell'iniziativa «Progettazione universale».

5.8

In Giordania, ad esempio, sono state adottate diverse misure volte a far rispettare anche nella vita quotidiana le disposizioni giuridiche che garantiscono ai disabili l'accesso agli spazi pubblici. A questo fine l'amministrazione comunale di Amman ha organizzato un'audizione di due giorni in collaborazione con il Consiglio delle persone con disabilità. Sarebbe auspicabile che iniziative analoghe fossero avviate in tutta la regione.

Un ambiente privo di barriere: un volano per il settore turistico

5.9

Ogni anno oltre 40 milioni di turisti si recano nei paesi Euromed. Un ambiente privo di barriere e il rispetto dei principi di base del concetto di progettazione universale sono aspetti estremamente importanti per il settore del turismo. Fattori quali la comodità e l'accessibilità, infatti, influenzano notevolmente i turisti nella scelta della destinazione delle loro vacanze. Si tende pertanto a preferire le regioni già impegnate nella creazione di un ambiente privo di barriere.

5.10

I principi di base del concetto di progettazione universale vanno applicati alla realizzazione di progetti comuni, in particolare a tutti i progetti finanziati dall'UE. È inoltre importante promuovere l'accessibilità nel settore dei trasporti (http://www.euromedtransport.org).

5.11

Il rapporto del Consiglio d'Europa sulla piena integrazione attraverso l'applicazione dei principi della progettazione universale riporta una serie di buoni esempi su come trarre beneficio da un ambiente accessibile a tutti per favorire l'integrazione delle persone con disabilità. I paesi Euromed potrebbero ispirarsi a questi esempi positivi.

5.12

Il riconoscimento del fatto che un ambiente accessibile e fondato sui principi della progettazione universale incide positivamente sullo sviluppo economico della società è un argomento importante che dovrebbe indurre i responsabili politici ad adoperarsi a favore della creazione di un ambiente accessibile a tutti, anche alle persone con disabilità.

5.13

Nell'applicare la progettazione universale occorre esaminare le molteplici barriere cui sono confrontate le persone con ridotta capacità visiva e uditiva. Questo tipo di barriere vanno eliminate in modo da garantire a tutti pari diritti di accesso ai beni e ai servizi in tutti gli ambiti della vita.

6.   Intensificare la cooperazione tra l'UE e i paesi Euromed sul tema delle persone con disabilità

6.1

In tutti i paesi Euromed vi sono rappresentanze dell'Unione europea. È pertanto più facile familiarizzarsi con gli ambiti tematici settoriali e la politica dell'UE. Le rappresentanze dell'UE dovrebbero dare il buon esempio e dimostrarsi aperte rispetto alle associazioni dei disabili. Occorre inoltre adoperarsi affinché negli edifici di queste rappresentanze che sono aperti al pubblico vengano rispettati i principi della progettazione universale.

6.2

Dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, nel 1999, la lotta contro la discriminazione delle persone con disabilità figura tra i temi più importanti per l'UE. Attualmente è all'esame la direttiva dell'UE sulla lotta alla discriminazione, in merito alla quale il CESE ha elaborato un parere (6). Il 2010 è l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, e - alla luce della situazione sociale dei paesi Euromed - bisognerebbe approfittare di questa occasione per sviluppare ulteriormente la cooperazione con questi Stati. La società civile e i governi dei paesi Euromed potrebbero essere maggiormente coinvolti nelle attività portate avanti nel quadro di questi anni tematici.

6.3

Gli anni tematici proclamati dall'Unione europea, assieme ad altre iniziative intese a far conoscere le priorità dell'UE a un pubblico più ampio, potrebbero essere utilizzati a fini di sensibilizzazione da parte delle organizzazioni della società civile dei paesi Euromed che svolgono attività nell'ambito sociale e si occupano di questioni relative ai diritti umani e alla lotta contro la discriminazione. Queste azioni di informazione rivestono una grande importanza per riuscire a modificare l'atteggiamento prevalente nella società e migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità e di altri gruppi svantaggiati.

6.4

La recente proposta di attribuire, sul modello della capitale europea della cultura, anche il titolo di «capitale europea dell'accessibilità universale» dovrebbe in ogni caso essere integrata nel processo Euromed, in modo da permettere anche alle città dei paesi partner di candidarsi a tale titolo.

6.5

Il CESE ritiene altresì che investendo in ricerca e sviluppo si potrebbe promuovere la creazione di nuovi dispositivi di sostegno nonché di prodotti e servizi basati sulle TIC, contribuendo così a migliorare la qualità della vita dei disabili, a ridurre i costi sociali e sanitari, a facilitare l'accesso al mercato del lavoro e a favorire la creazione di posti di lavoro.

6.6

La promozione della cooperazione tra il Forum europeo per le disabilità (EDF) e le associazioni dei disabili nei paesi Euromed, come pure l'intensificarsi dei contatti diretti tra le organizzazioni di persone con disabilità degli Stati membri dell'UE e dei paesi Euromed, inciderebbe positivamente sulla creazione di confederazioni nei paesi che tuttora non dispongono di organi di questo genere.

6.7

Il Forum europeo per le disabilità collabora con l'Organizzazione araba delle persone con disabilità, fondata al Cairo nel 1989 come confederazione indipendente delle associazioni della società civile che rappresentano i disabili in vari paesi. Il presidente di questa organizzazione, Naser Al-Mahmood, ha partecipato in veste di capo delegazione all'assemblea generale del Forum europeo per le disabilità, organizzata a Madrid nel 2010. Questa cooperazione riveste una grande importanza per il miglioramento della situazione delle persone con disabilità nei paesi Euromed.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Il 2010 è stato proclamato Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

(2)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 8.

(3)  Attualmente fanno parte dell'Unione per il Mediterraneo i 27 Stati membri dell'UE e i seguenti paesi del bacino del Mediterraneo: Algeria, Marocco, Tunisia, Turchia, Egitto, Israele, Autorità nazionale palestinese, Siria, Libano, Giordania, Croazia, Albania, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Monaco, Mauritania, nonché la Libia che detiene lo statuto di osservatore.

(4)  http://www.un.org/disabilities.

(5)  Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP).

(6)  GU C 182 del 04.08.2009, pag. 19.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La politica dell'UE per il multilinguismo» (supplemento di parere)

2011/C 48/18

Relatrice: Ls NOUAIL MARLIÈRE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità d'applicazione del suo Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

La politica dell'UE per il multilinguismo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Negli ultimi anni il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha rivolto due pareri alle istituzioni dell'UE sulla strategia europea in materia di multilinguismo:

1)

il primo, intitolato Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo, riguardava l'elaborazione di una nuova strategia presentata dalla Commissione europea nel 2005 (1);

2)

il secondo rispondeva a una richiesta di parere esplorativo formulata dal commissario europeo ORBAN il 4 febbraio 2008, in vista dell'elaborazione, da parte della Commissione, di una comunicazione dal titolo Il multilinguismo: una risorsa per l'Europa e un impegno comune  (2).

1.2

La politica del multilinguismo fa parte delle priorità politiche del CESE e del programma della sua presidenza 2008-2010, in quanto contribuisce a migliorare la competitività dell'economia, a realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona e a rafforzare l'integrazione europea mediante il dialogo interculturale («unità nella diversità»).

1.3

La politica del multilinguismo definita nel 2006 è attualmente in fase di sviluppo e attuazione; il presente supplemento di parere punta pertanto a seguire gli sviluppi in materia e le misure adottate dalla Commissione, nello specifico dalla DG EAC, nonché a completare e aggiornare le raccomandazioni del CESE, in particolare per quanto riguarda la formazione permanente, la formazione degli adulti, l'occupazione e gli effetti economici, culturali e sociali sostenibili.

2.   Il multilinguismo in Europa: un bilancio della situazione

2.1

Il Consiglio Istruzione, gioventù e cultura del 21 novembre 2008 aveva adottato conclusioni sulla promozione della diversità culturale e del dialogo interculturale nelle relazioni esterne dell'Unione e dei suoi Stati membri, nonché una risoluzione relativa a una strategia europea per il multilinguismo (3).

2.2

La Commissione e il Consiglio avevano accolto diverse proposte formulate dal Comitato economico e sociale europeo:

promuovere la diversità degli impieghi e dell'offerta d'insegnamento,

promuovere l'interculturalità e le lingue degli immigrati,

diffondere le lingue europee nelle relazioni culturali coi paesi terzi,

promuovere l'apprendimento permanente e la diversità nel settore economico e nelle imprese,

sostenere la traduzione e l'interpretazione.

2.3

Da allora, la Commissione ha varato due piattaforme di consultazione: una rivolta alle associazioni e alle ONG attive nel settore dell'istruzione e della cultura, l'altra rivolta agli interessi economici, cui partecipano parti sociali e università (4), nonché il CESE in qualità di osservatore.

2.4

Da parte loro, a partire dal 2006 i sindacati hanno promosso o partecipato a diverse iniziative: convegni sull'utilizzo delle lingue di lavoro, cause giudiziarie per far rispettare il diritto di lavorare nella propria lingua e contro le discriminazioni, cooperazioni indirizzate verso la francofonia (apertura di un portale elettronico francofono coi lavoratori del Québec nel settore dell'aeronautica).

2.5

La Commissione si è avvalsa di diverse risposte di organizzazioni sindacali (8) locali e professionali alle sue consultazioni pubbliche, ma fino al 2009 non aveva mai interpellato la Confederazione europea dei sindacati (CES/ETUC) con una consultazione vera e propria.

2.6

Il CESE ha partecipato alle Assise europee del plurilinguismo organizzate a Berlino nel giugno 2009 dall'Osservatorio europeo del plurilinguismo, una rete associativa che riunisce imprese ed università. Anche la CES/ETUC e varie parti sociali settoriali hanno partecipato alle assise.

2.7

A livello nazionale si può citare la relazione annuale sull'uso della lingua francese presentata al parlamento di Parigi dal ministero francese della Cultura e della comunicazione in conformità della legge n. 94-665 (5), che prevede la stesura di un bilancio della situazione del francese a livello nazionale e della presenza di tale lingua in seno alle organizzazioni internazionali. La relazione del 2009 illustra la situazione del francese presso le istituzioni dell'UE e le organizzazioni internazionali che hanno la loro sede centrale in Africa e tratta dell'uso del francese e del plurilinguismo nei servizi pubblici, nel mondo del lavoro e nelle strategie linguistiche delle imprese, nella vita sociale e nella comunità scientifica, nonché dell'analfabetismo, dell'integrazione degli immigrati e della formazione dei dipendenti di settori pubblici e privati diversi.

2.8

La CES/ETUC avvierà un progetto per il finanziamento di uno studio di valutazione, e in tale contesto costituirà un gruppo di lavoro (task force) sul tema «lingue e condizioni di lavoro» per occuparsi di diversi aspetti dell'utilizzo delle lingue sul lavoro:

coinvolgere i lavoratori della conoscenza, gli insegnanti e i professionisti dell'istruzione degli adulti, ma anche gli interpreti, i traduttori e gli scienziati con le rispettive rivendicazioni specifiche e d'interesse generale,

difendere l'utilizzo della lingua nazionale sul lavoro e il rispetto, proporzionato e non discriminatorio, dei criteri di conoscenza delle lingue straniere in ambito lavorativo,

esaminare il vantaggio economico di cui beneficiano i paesi la cui lingua è la più utilizzata a livello internazionale,

rafforzare i diritti di enti come i comitati aziendali europei, che attualmente dispongono soltanto di una ventina d'ore all'anno per la formazione linguistica,

privilegiare gli aspetti legati alla sicurezza dei lavoratori e degli utenti per quanto riguarda gli strumenti messi a loro disposizione e i criteri stabiliti dai datori di lavoro in materia di riconoscimento delle qualifiche, competenze linguistiche e relative retribuzioni.

2.9

La Commissione (DG EAC) ha indetto una licitazione privata riservata ai partecipanti alle piattaforme di consultazione da lei istituite, al fine di:

sostenere i progetti di servizio alle imprese,

inventariare i tipi di formazione necessari per rafforzare le competenze linguistiche ed elaborare buone pratiche e proposte concrete,

sviluppare progetti che consentano di rafforzare l'integrazione di categorie svantaggiate come gli immigrati, coloro che non hanno terminato gli studi e gli anziani,

diffondere metodi di apprendimento e modelli basati sulle nuove tecnologie,

più in generale, dare attuazione alle misure presentate nella sua strategia e nelle raccomandazioni del Consiglio.

2.10

C'è da rammaricarsi che i documenti di lavoro delle piattaforme consultive e del bando di gara sulla promozione del multilinguismo siano stati pubblicati in una sola lingua. Raccomandazione n. 1 alla Commissione: la Commissione dovrebbe dare l'esempio e dare prova di efficacia e di una certa coerenza con la propria strategia di difesa e promozione del multilinguismo presso il maggior numero possibile di cittadini, rispettando i diritti fondamentali dei partecipanti alle piattaforme consultive che essa stessa ha istituito e che sono composte dai rappresentanti di organizzazioni della società civile e/o delle parti sociali, consentendo loro di lavorare, esprimendosi sia oralmente che nei documenti scritti nelle rispettive lingue o in una delle lingue dell'Unione  (6); a tal fine la Commissione dovrebbe avvalersi di almeno tre o quattro lingue ponte, compresa almeno una lingua di uno dei paesi entrati nell'UE in seguito agli allargamenti del 2004 e del 2007.

2.11

La Commissione ha anche pubblicato la guida 2010 del Programma di apprendimento permanente (7), il cui obiettivo specifico n. 7 mira a promuovere l'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica. Il programma comprende quattro programmi settoriali: Comenius, relativo all'insegnamento scolastico; Erasmus, che riguarda l'insegnamento universitario; Leonardo da Vinci, per la formazione professionale, e Grundtvig, sull'istruzione degli adulti, con diverse dimensioni trasversali in cui l'attività prioritaria n. 2 riguarda le lingue. Oltre agli Stati membri dell'UE, il programma è aperto agli altri paesi dello Spazio economico europeo, alla Turchia, ai paesi e territori d'Oltremare, alla Croazia e all'ex Repubblica iugoslava di Macedonia per quanto attiene alle azioni rientranti nella fase delle misure preparatorie, nonché a soggetti dei paesi terzi interessati dalla politica europea di vicinato o che rappresentano una priorità particolare per lo sviluppo di una strategia di dialogo nel settore dell'istruzione e della formazione, o ancora del multilinguismo. Il Comitato attribuisce grande importanza a un quadro europeo integrato di riferimento e garanzia della qualità della formazione permanente, e invita le organizzazioni della società civile a consultare la prima parte della guida già disponibile. Esso poi attende con interesse la seconda parte, per prendere conoscenza delle risorse assegnate al multilinguismo, in termini relativi e assoluti. Raccomandazione n. 2: il Comitato una volta di più fa presente alla Commissione che, malgrado indubbi miglioramenti rispetto ai precedenti programmi, serve ancora una visione globale che contribuisca a facilitare la comprensione della guida d'accesso ai programmi e alle procedure; queste ultime, infatti, rimangono complesse e non aiutano affatto la partecipazione degli organismi più piccoli e con minori capacità amministrative, nonostante questi possano risultare interessanti per i destinatari in ragione della loro esperienza e del loro carattere innovativo. Anche alcuni istituti d'insegnamento pubblici si lamentano dei vincoli procedurali e organizzativi poco compatibili con l'attuale carenza di risorse amministrative, e dell'insufficienza degli importi assegnati dai programmi per la formazione dei giovani interpreti (mobilità, immersione nella lingua) e dei loro istruttori.

2.12

La relazione annuale della Corte dei conti europea (8) sull'esercizio finanziario 2008 riporta che sono stati assegnati 1060 milioni di euro a carico dei fondi europei per l'istruzione e la cultura, multilinguismo compreso, con modalità di gestione centralizzata (agenzia europea) e decentrata (agenzie nazionali), e illustra i diversi controlli diretti e di secondo livello effettuati in ragione del gran numero di operatori diretti beneficiari, senza però specificare quale parte sia assegnata al multilinguismo. Per questo, è poco agevole, per non dire impossibile, conoscere le rispettive quote europee e nazionali, e nel complesso gli sforzi finanziari prodotti all'insegna dei diversi filoni di una strategia europea per il multilinguismo. Per questo, la strategia non può essere valutata né ex ante né a posteriori: un punto debole cui la Commissione potrebbe prevedere di rimediare fin d'ora. Raccomandazione n. 3: stabilire un quadro chiaro della situazione relativa agli sforzi specificamente dedicati al multilinguismo, messi a bilancio e realizzati, compiuti rispettivamente dal livello europeo e da quello nazionale.

3.   Politica e multilinguismo al CESE

3.1

Il CESE e il CdR, nel quadro dei loro Servizi congiunti, dispongono di un proprio servizio di traduzione (con un tasso di esternalizzazione attestato al momento a quota 4-6 %), mentre fanno uso dei servizi interistituzionali della Commissione per quanto riguarda l'interpretazione (SCIC); questi ultimi ricorrono a interpreti liberi professionisti (non funzionari) nella misura del 49-52 %, per rispondere alle variazioni stagionali e tener conto della frequenza di utilizzo del servizio da parte di ciascuna istituzione.

3.2

Sia il CESE sia il CdR hanno firmato un accordo di servizio (Service Level Agreement - SLA) che fissa le condizioni alle quali lo SCIC mette a disposizione gli interpreti, i criteri di fatturazione di questi servizi e le responsabilità delle due parti. Le condizioni di lavoro e le retribuzioni degli interpreti liberi professionisti sono disciplinate da una convenzione interistituzionale negoziata fra le istituzioni europee interessate da una parte e l'Associazione internazionale degli interpreti di conferenza (AIIC) dall'altra.

3.3

Dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, i Servizi congiunti dei due Comitati hanno istituito un regime di lingue ponte  (9) per far fronte ai bisogni linguistici supplementari dovuti alle 11 nuove lingue ufficiali (462 combinazioni possibili). Inoltre, il 25 maggio 2010 i Segretari generali dei due comitati hanno adottato un codice di condotta in materia di traduzione che consente fra l'altro, tenuto conto del carattere specifico dei documenti prodotti dalle rispettive assemblee e amministrazioni, di stabilire priorità e date di consegna.

3.4

I servizi linguistici hanno preparato un primo opuscolo informativo rivolto ai membri e ai relatori, per rafforzare la cooperazione in materia di lingue fra i servizi e i membri. L'opuscolo segnala fra l'altro l'esistenza di un servizio linguistico personalizzato che assiste i relatori nella redazione della versione originale dei documenti, in particolare quando questi ultimi non vengono redatti nella lingua materna dell'autore. Questo sistema, unito alla possibilità di far rileggere i documenti prima che siano trasmessi al servizio di traduzione, consente di migliorare la qualità dei documenti e quindi le condizioni di lavoro dei traduttori, nonché di abbreviare i tempi di consegna della traduzione finita.

3.5

A medio termine questa cooperazione migliorata, che punta a ottenere un miglior servizio e migliori condizioni di lavoro per i relatori, i membri e i traduttori, dovrebbe portare alla costituzione di un gruppo di contatto formato da membri o loro rappresentanti, che si sommerebbe ai contatti già esistenti fra il servizio di traduzione, i servizi amministrativi e i segretariati generali per condurre la necessaria riflessione globale, trasparente e di lungo termine su una politica linguistica propria dei Comitati, che tenga conto di vari aspetti qualitativi e quantitativi (raccomandazione n. 4).

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Dalla consultazione dell'AIIC e del sindacato dei funzionari europei Union syndicale risulta che, oltre a difendere gli interessi dei dipendenti e dei liberi professionisti del settore linguistico in materie come la copertura degli organici e gli orari di lavoro o per quanto riguarda le condizioni materiali (spazi di lavoro, cabine), queste organizzazioni hanno anche la funzione di regolamentare la professione. Gli interpreti e i traduttori esterni beneficiano, in virtù degli accordi negoziati con le istituzioni europee, degli stessi diritti e dello stesso trattamento dei loro omologhi che sono funzionari, ma solo in rapporto ai giorni lavorati e alle singole missioni, il che in pratica implica già delle differenze. Gli accordi peraltro prevedono anche delle norme di qualità dei servizi prestati, inoltre gli interpreti aderenti all'AIIC negoziano abitualmente per una squadra, se le istituzioni ricorrono per una certa missione a dei colleghi iscritti all'associazione. Finora le istituzioni europee, in ragione del loro ruolo di regolatrici principali, hanno svolto un ruolo positivo e complementare a quello dell'AIIC in materia di norme sociali e professionali del lavoro d'interprete.

4.2

Data la diversificazione della domanda, accade che si stabilisca un certo numero di pratiche e che alcuni clienti tendano a guardare meno all'accreditamento e alla qualità, fino ad accettare delle formule «cabine attrezzate» in cui un operatore noleggia il materiale (cabine e cuffie) e fornisce la prestazione degli interpreti in un'unica fattura, con un doppio effetto:

da una parte, un noleggio illegale di personale e il prelievo di una commissione illegale (l'impresa non è abilitata come agenzia di distacco del personale, e non è permesso prelevare commissioni sulle retribuzioni, né dal diritto europeo né dalle convenzioni internazionali),

dall'altra, una mancanza di controllo della qualità dei servizi prestati, che si autodefiniscono di livello «europeo» lasciando intendere illegittimamente che si tratti del ricorso a servizi di interpreti qualificati dalle istituzioni.

4.3

In seno alle istituzioni, l'AIIC aveva attirato l'attenzione della direzione generale dell'Interpretazione su alcuni bandi di gara occasionalmente lanciati dalle DG della Commissione e finalizzati a ottenere servizi di conferenza a volte comprensivi di servizi di interpretazione ma non rispettosi delle disposizioni della convenzione. Dopo aver consultato il Servizio giuridico, la DG Interpretazione ha informato della cosa le altre direzioni generali della Commissione.

4.4

Quella d'interprete non è una professione regolamentata. In questo contesto, l'AIIC fa osservare che, tenuto conto della diversificazione della domanda (imprese, settore sociale, ecc.), può risultare necessario avviare una riflessione su una promozione della professione mediante la definizione di criteri chiari sull'utilizzo del titolo di interprete (diploma di studi di livello universitario, criteri professionali e d'esperienza, ecc.), per evitare effetti negativi sull'intera categoria e proteggere gli utenti o i clienti dalle pratiche illegittime (come la fatturazione elevata di prestazioni di qualità inferiore a quella pattuita). A tal fine, la Commissione potrebbe avviare una consultazione europea delle parti sociali (raccomandazione n. 5). Inoltre, tutti gli interpreti e traduttori interpellati (dipendenti delle istituzioni e liberi professionisti) concordano sulla necessità di promuovere un'immagine positiva e attraente delle due professioni per consentire, a medio e lungo termine, di rinnovare gli effettivi.

4.5

Il Parlamento europeo dispone di servizi propri nei due settori e si è dotato di un codice di condotta (10) in materia, ma anch'esso può ricorrere a liberi professionisti, nell'ordine (per il 2010) del 40 % e di 22 milioni di euro.

4.6

Relativamente al regime linguistico delle istituzioni, la Corte dei conti europea ha prodotto due relazioni speciali (11) sulle spese d'interpretazione (RS 5/2005) e traduzione (RS 9/2006) del PE, della Commissione e del Consiglio.

5.   Regime linguistico e diversità culturale dopo il Trattato di Lisbona

5.1

Al di là del numero delle lingue, e del regime linguistico per la trasmissione dei progetti di atti legislativi ai parlamenti nazionali (protocollo n. 1, articolo 4), il Trattato di Lisbona non ha modificato in modo sostanziale il regime linguistico dell'UE, e ha anzi confermato fra gli obiettivi il rispetto della diversità culturale e linguistica europea (12).

5.2

Il regime linguistico delle istituzioni dell'Unione è fissato, senza pregiudizio delle disposizioni previste dallo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, dal Consiglio, che delibera all'unanimità mediante regolamenti (articolo 342 TFUE, ex articolo 290 TCE). Anche il regime linguistico della Corte di giustizia dell'Unione europea è fissato da un regolamento del Consiglio, che delibera all'unanimità (protocollo n. 3, articolo 64). L'articolo 3 TUE (ex articolo 2 TUE) stabilisce fra l'altro che l'Unione «rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo».

5.3

L'articolo 55 TUE (ex articolo 53 TUE) stabilisce in quali lingue è redatto e tradotto il Trattato. La dichiarazione n. 16, relativa all'articolo 55, paragrafo 2, TUE, stabilisce che «La conferenza ritiene che la possibilità di tradurre i Trattati nelle lingue di cui all'articolo 55, paragrafo 2 (13), contribuisca a realizzare l'obiettivo di rispettare la ricchezza della diversità culturale e linguistica dell'Unione di cui all'articolo 3, paragrafo 3, quarto comma. In questo contesto la conferenza conferma l'importanza che l'Unione annette alla diversità culturale dell'Europa e la particolare attenzione che essa continuerà a prestare a queste e alle altre lingue».

5.4

Al capitolo relativo alla non discriminazione e alla cittadinanza dell'Unione (parte seconda del TFUE), si dice che i cittadini dell'Unione hanno il diritto di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue dei Trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua (articolo 20 TFUE, ex articolo 17 TCE).

5.5

Al titolo XII, Istruzione, formazione professionale, gioventù e sport, «L'Unione contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche» (articolo 165 TFUE, ex articolo 149 TCE).

5.6

Nel settore della politica commerciale comune: l'articolo 207 TFUE (ex articolo 133 TCE), paragrafo 4, stabilisce che «Il Consiglio delibera all'unanimità anche per la negoziazione e la conclusione di accordi: a) nel settore degli scambi di servizi culturali e audiovisivi, qualora tali accordi rischino di arrecare pregiudizio alla diversità culturale e linguistica dell'Unione».

5.7

La Carta dei diritti fondamentali elenca la lingua fra i motivi di discriminazione e stabilisce che «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale» (articolo 21) e ricorda, all'articolo 22, che «L'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica».

5.8

In proposito, anche il CESE dovrebbe privilegiare il contenuto sulla forma e, prima di ogni modifica del suo sito web, assicurarsi che tutte le pagine e i documenti siano accessibili e già tradotti nelle lingue europee; gli stanziamenti dedicati alle modifiche della presentazione potrebbero essere condivisi coi servizi linguistici, che hanno anch'essi e prima di tutto una funzione di comunicazione (raccomandazione n. 6).

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2005) 596 definitivo del 22 novembre 2005. GU C 324 del 30.12.2006, pag. 68.

(2)  COM(2008) 566 definitivo del 18 settembre 2008. GU C 77 del 31.3.2009, pag. 109.

(3)  GU C 320 del 16.12.2008, pag. 1.

(4)  Piattaforma delle imprese per il multilinguismo.

(5)  Legge del 4 agosto 1994 sull'impiego della lingua francese.

(6)  Articolo 22 della Carta dei diritti fondamentali: «L'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica» (corsivo aggiunto).

(7)  http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-programme/doc78_fr.htm - Programma di apprendimento permanente.

(8)  GU C 269 del 10.11.2009.

(9)  2009-106 del 23 novembre 2009.

(10)  PE 413.599/BUR del 18 novembre 2008.

(11)  GU C 291 del 23.11.2005 e GU C 284 del 21.11.2006.

(12)  Cfr. anche: PE 431.591.0, Studio sulle politiche strutturali e di coesione dopo il Trattato di Lisbona, del 15 febbraio 2010.

(13)  Cioè: “qualsiasi altra lingua determinata da uno Stato membro che, in base all'ordinamento costituzionale dello Stato in questione, sia lingua ufficiale in tutto il suo territorio o in parte di esso”.


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

465a sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2010

15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/107


Parere

del Comitato economico e sociale europeo

in merito alla

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Terzo esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea»

COM(2009) 15 definitivo

al

«Documento di lavoro della Commissione — Riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea — Allegato al terzo esame strategico del programma per legiferare meglio»

COM(2009) 16 definitivo

e al

«Documento di lavoro della Commissione — Terza relazione sullo stato d'avanzamento della strategia per la semplificazione del contesto normativo»

COM(2009) 17 definitivo

2011/C 48/19

Relatore: Claudio CAPPELLINI

Correlatrice: Milena ANGELOVA

La Commissione, in data 15 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito ai seguenti documenti:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Terzo esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea

COM(2009) 15 definitivo

Documento di lavoro della Commissione - Riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea - Allegato al terzo esame strategico del programma per legiferare meglio

COM(2009) 16 definitivo

Documento di lavoro della Commissione - Terza relazione sullo stato d'avanzamento della strategia per la semplificazione del contesto normativo

COM(2009) 17 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 103 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni

1.1

Le imprese e la società civile hanno bisogno di un quadro giuridico di facile comprensione e di agevole applicazione. Una migliore regolamentazione contribuisce a rafforzare la competitività eliminando i costi e gli oneri superflui di tale quadro giuridico.

Il CESE sostiene fermamente questa strategia, che considera un modo per sostenere le imprese, specialmente in questi tempi di crisi economica, senza incorrere in costi e dover effettuare investimenti supplementari.

1.2

Il programma per legiferare meglio dovrebbe comportare un incremento della qualità e della coerenza, e permettere di dare una risposta giuridica proporzionata e mirata alle disfunzioni del mercato e all'agenda Europa 2020. Una migliore legislazione si può ottenere eliminando le disposizioni non necessarie, ma non equivale a una completa deregolamentazione (1), in quanto il suo scopo è quello di rendere tali disposizioni semplici, funzionali e meno dispendiose per gli utenti e i contribuenti. Il programma dovrebbe promuovere le decisioni rapide ed efficaci, un'efficace attuazione e le procedure dovrebbero essere monitorate per garantire la piena responsabilità.

1.3

Il programma per legiferare meglio dovrebbe essere considerato una strategia unica e coerente che abbraccia una gamma esaustiva di principi, ad esempio quello del «pensare anzitutto in piccolo» dello Small Business Act (Quadro fondamentale per la piccola impresa), ricorrendo al test della piccola impresa (SME Test) più regolarmente e sistematicamente di quanto non si sia fatto finora. Il CESE propone che questa strategia sia onnicomprensiva e coerente, e che a questo fine si rivolga in modo più sistematico alle parti interessate. Le consultazioni dovrebbero seguire priorità trasparenti ed essere accurate, inclusive e consequenziali.

1.4

Il programma per legiferare meglio sarebbe molto più efficace se fosse meno tecnocratico e più informato attraverso un ampio coinvolgimento della società civile a tutti i livelli dell'attività di regolamentazione. Le valutazioni d'impatto dovrebbero essere trasmesse ai CES a livello nazionale e comunitario in modo tempestivo e bisognerebbe rendere disponibile una base completa di dati validi. La regolamentazione dell'UE trarrebbe beneficio dalle soluzioni innovative, dalla maggiore consapevolezza e dalla legittimità derivanti da queste discussioni.

1.5

Privilegiare i regolamenti rispetto alle direttive consentirebbe di migliorare notevolmente la trasparenza, l'attuazione e l'applicazione. Molti problemi legati alla regolamentazione sorgono durante il recepimento nel diritto interno. Gli Stati membri non dovrebbero creare doppioni della legislazione dell'UE né renderla più complessa e a questo fine andrebbero attentamente controllati dalla Commissione e dalle parti sociali (2).

1.6

Il CESE incoraggia la Commissione ad applicare il principio del legiferare meglio all'utilizzo e all'amministrazione dei fondi europei da parte degli Stati membri, evitando in particolare l'imposizione di regole e procedure amministrative nazionali superflue o ingiustificate che ostacolino l'assegnazione rapida e corretta di quelle risorse (3).

1.7

Il CESE potrebbe sostenere il programma per legiferare meglio illustrando i successi e le sfide di questa strategia alla società civile e ad altri organismi. Ciò rappresenterebbe una prova tangibile del ruolo del CESE nella democrazia partecipativa descritta nell'articolo 11 del Trattato di Lisbona (4).

2.   Legiferare meglio: presentazione

2.1

L'attività normativa è uno strumento fondamentale della politica dell'Unione europea. Gli atti giuridici dell'UE hanno consentito di istituire il mercato unico europeo, di rafforzare la concorrenza, di ampliare le possibilità di scelta e la protezione dei consumatori, di abbassare i costi delle transazioni, di tutelare l'ambiente e di introdurre un gran numero di altri benefici per le imprese e i cittadini dell'UE. Hanno inoltre garantito certezza giuridica sul mercato, sostituendo un gran numero di regolamentazioni nazionali con un insieme chiaro di regole comuni a cui le imprese possono adattarsi e conformarsi e che vanno a beneficio dei cittadini, dei consumatori e dei dipendenti delle imprese stesse in tutta l'Europa.

2.2

Il successo della riforma normativa ha accresciuto la richiesta di regolamentazione per gestire anche rischi non economici. Se il ricorso alla regolamentazione per conseguire obiettivi sociali non è nuovo negli Stati membri, lo sviluppo di un comportamento normativo a livello UE presenta problemi di attuazione, sovrapposizione, gold-plating ed errata interpretazione. Le regolamentazioni possono anche ostacolare l'utilizzo di strumenti di diversa natura. La credibilità dell'UE dipende dall'attuazione coordinata delle sue politiche, perciò la strategia del legiferare meglio è ormai vitale.

2.3

Il programma per legiferare meglio dovrebbe comportare un incremento della qualità e della coerenza, e permettere di dare una risposta giuridica proporzionata alle disfunzioni del mercato, giacché i mercati non sempre forniscono risultati ottimali e spesso non tengono conto di tutti i costi esterni. L'allocazione inadeguata delle risorse che ne consegue deve essere affrontata proteggendo efficacemente gli interessi degli utenti principali (come i consumatori, i lavoratori e le piccole e medie imprese) gestendo i rischi principali (l'ambiente, la salute, la sicurezza e i bisogni sociali) e preservando al contempo la competitività e lo spirito imprenditoriale. Pertanto il programma per legiferare meglio non dovrebbe essere mai considerato equivalente alla deregolamentazione, anche se il suo scopo è quello di rendere le norme semplici, funzionali e meno costose per gli utenti e i contribuenti. Lo Stato di diritto è il fondamento di qualsiasi società organizzata; se però è concepito in modo inadeguato, può ostacolarne il corretto funzionamento e portare a una disparità di trattamento dei cittadini, dei lavoratori e delle imprese.

2.4

È essenziale che vi sia un'adeguata consultazione. Una regolamentazione ben concepita e mirata garantisce la certezza attraverso la chiarezza e la coerenza delle norme, agevolando nel contempo la conformità e l'applicazione. La regolamentazione deve indicare chiaramente i propri obiettivi e individuare la via più efficace, meno onerosa e più conveniente per conseguirli. Un miglioramento della base di dati validi, che si avvale di una serie di indicatori più estesa, può davvero dare un contributo in questo senso, ma la maggior parte delle politiche non può essere valutata secondo questo unico parametro. Un'ampia consultazione delle parti interessate e degli esperti ha un ruolo essenziale nella ricerca dell'equilibrio tra il raggiungimento degli obiettivi strategici e la limitazione degli oneri amministrativi per le imprese e i cittadini. Senza questo equilibrio, si rischia di ritrovarsi con regole complesse, difficili da applicare e da rispettare, e con costi sproporzionati. Una migliore consultazione incrementerà la consapevolezza e, in questo modo, migliorerà l'applicazione delle norme.

3.   Le azioni della Commissione

3.1

La terza relazione della Commissione sull'attuazione della sua comunicazione del 2005 (5) passa in rassegna i progressi realizzati per migliorare la legislazione esistente, ridurre gli oneri amministrativi per le imprese e per i cittadini, nonché consolidare nuove iniziative che promuovono una migliore cultura della regolamentazione.

3.2

La relazione presenta i risultati ottenuti e i nuovi obiettivi per l'attività di aggiornamento, rinnovamento e semplificazione (6). Nella comunicazione si stima che, nei 13 settori prioritari individuati nel 2007, la semplificazione consentirà di tagliare costi amministrativi pari a circa 115-130 miliardi di euro e che l'esclusione delle PMI dagli obblighi statistici farà risparmiare oltre 200 miliardi di euro a partire dal 2010. Anche l'abbattimento delle barriere alla fatturazione elettronica, previsto dalla direttiva IVA, e la creazione di un sistema doganale nell'UE privo di supporti cartacei permetteranno notevoli risparmi.

3.3

L'esame strategico evidenzia in quale modo le valutazioni integrate d'impatto migliorano la qualità e coerenza del quadro legislativo dell'UE. Il meccanismo delle valutazioni d'impatto sarà ulteriormente migliorato e rafforzato. La relazione sottolinea la necessità che legiferare meglio diventi una priorità a tutti i livelli e in tutte le istituzioni e gli organi dell'UE. È anche essenziale cooperare con gli Stati membri per migliorare l'applicazione del diritto comunitario, malgrado i limitati progressi compiuti sinora. La relazione ricorda anche la necessità di una più stretta collaborazione con i partner commerciali dell'UE e di una convergenza nell'elaborazione della regolamentazione mondiale tramite una ridefinizione dell'agenda del G20 in questo campo.

3.4

Il CESE accoglie con favore i risultati raggiunti dalla Commissione e le sue nuove priorità tese a migliorare l'efficacia. L'impegno a perseguire questa strategia contribuisce alla competitività e alla creazione di posti di lavoro e aiuta così la ripresa economica. Tale impegno deve però tendere anche a un confronto urgente e più esteso con i soggetti che beneficiano di questa strategia.

4.   Legiferare meglio nei processi decisionali europei

4.1

L'iniziativa Legiferare meglio è una strategia dell'UE a pieno titolo che, attraverso un'azione globale e coordinata, punta a ridurre gli oneri gravanti sulle imprese e a trasformare l'attività normativa in uno strumento efficace, in grado di rispondere in modo proporzionato e funzionale alle esigenze della società. L'iniziativa dovrebbe fondarsi su un insieme esaustivo di principi - ad esempio il principio «pensare anzitutto in piccolo» dello Small Business Act -, scegliere le priorità in modo trasparente e attraverso una stretta collaborazione e un'ampia consultazione delle parti interessate, prendere decisioni rapide ed efficaci e monitorare l'attuazione e le procedure per garantire la piena responsabilità.

4.2

L'obiettivo di legiferare meglio deve essere perseguito in modo più coerente e globale, perché le iniziative isolate non apportano alcun valore aggiunto. La comunicazione descrive le azioni e i piani specifici previsti, ma non presenta un quadro d'insieme delle interazioni tra questi piani e delle possibilità da essi offerte per rimediare alle carenze riscontrate nell'agenda originaria (7). Per essere coerente l'iniziativa Legiferare meglio deve indicare più chiaramente come è stata configurata. Il CESE ritiene che, le istituzioni dell'UE - e in particolare la Commissione dove i risultati possono variare - dovrebbero risolvere assieme questa questione.

4.3

Migliorare la legislazione esistente comporta qualcosa di più che ridurre il numero di pagine della Gazzetta ufficiale e la quantità di atti legislativi. Il CESE si rallegra quindi dell'impegno della Commissione a orientarsi verso un approccio più integrato, che si concentri su sovrapposizioni, norme superflue, lacune e incoerenze e soprattutto sulla riduzione degli oneri amministrativi (8). In questo contesto l'elemento essenziale è un'effettiva riduzione dei requisiti di informazione e comunicazione soprattutto a carico delle PMI in ambiti quali le statistiche, l'IVA o il diritto societario. Il CESE sostiene l'impostazione generale alla base delle nuove iniziative tese a semplificare, aggiornare e migliorare la legislazione esistente.

4.4

Il CESE approva l'esame approfondito realizzato mediante la procedura di valutazione d'impatto, in quanto quest'ultima consente una valutazione più esauriente della necessità di adottare nuove regole. Il CESE si rallegra inoltre della qualità del lavoro svolto dal comitato per la valutazione d'impatto, il cui esame, condotto in piena indipendenza e associato a un clima di trasparenza, e a un'ampia consultazione delle parti interessate, è fondamentale per legiferare meglio. Il CESE concorda quindi con i miglioramenti previsti nell'ambito di questa linea d'azione.

4.5

Tuttavia il completamento del lavoro di analisi della Commissione impone chiaramente di giungere a una conclusione politica su questo tema (9). La comunicazione però non ne fa menzione e ciò fa sorgere il dubbio che la Commissione ritenga di aver già messo mano a questo compito.

5.   Una migliore regolamentazione negli Stati membri

5.1

Il CESE constata con una certa preoccupazione che i piani per il coordinamento degli sforzi con gli Stati membri accusano ritardi e ciò va a scapito dell'efficacia dell'iniziativa. È necessario che gli Stati membri realizzino delle valutazioni d'impatto prima dell'adozione delle regolamentazioni, ove possibile ogni qualvolta vengano introdotti cambiamenti radicali, e che gli organismi nazionali incaricati di realizzare tali valutazioni partecipino di più alle discussioni a livello dell'UE. Il coordinamento dei programmi nazionali tesi a ridurre gli oneri burocratici è fondamentale e il fatto di rendersene conto in ritardo mette a rischio la competitività dell'economia UE. La promozione di quest'agenda deve essere considerata una questione di interesse comune.

5.2

Legiferare meglio non dovrebbe ridursi solo a un miglioramento nella produzione normativa o alla prevenzione dell'inflazione legislativa, ma deve comportare una riflessione su soluzioni alternative che permettano di conseguire risultati analoghi promuovendo la coregolamentazione e un più esteso utilizzo dei codici di condotta attraverso metodi deliberativi (10). La standardizzazione dei requisiti tecnici fornisce esempi di buone pratiche per la gestione di questa complessa questione senza il ricorso a direttive di armonizzazione macchinose, che non sono in grado di tenere il passo con le esigenze dei consumatori e delle imprese. I risultati conseguiti nel settore dei prodotti industriali dovrebbero essere imitati anche in altre attività, in particolare nei servizi (11).

5.3

Fintantoché la Commissione non riesce a promuovere questa attività complementare, il vuoto legislativo viene colmato da un numero crescente di disposizioni nazionali che compromettono la coerenza del mercato interno. Le legislazioni nazionali che si prestano ad ambiguità andrebbero evitate. In questo caso si dovrebbero incoraggiare lo scambio di buone prassi e l'analisi comparativa tra Stati membri. L'iniziativa Legiferare meglio può portare a vantaggi tangibili per i cittadini soltanto con il pieno coinvolgimento delle autorità nazionali. Il recepimento deve avvenire nel rispetto dello spirito di semplificazione e di miglioramento normativo, evitando quindi di reintrodurre barriere e oneri dalla porta di servizio.

5.4

Le realizzazioni del mercato interno sono fin troppo spesso vanificate dalle barriere innalzate a livello nazionale. I risultati dell'inventariazione mostrano che «una quota molto consistente di oneri amministrativi sembra essere il risultato di attività amministrative inefficienti, sia pubbliche che private (tra il 30 e il 40 %)» (12). La comunicazione tuttavia non presenta alcuna indicazione riguardo a queste pratiche ingiustificate, né prevede misure per prevenirle. Il CESE esprime preoccupazione per il rischio che l'imposizione di ulteriori requisiti al momento di recepire le direttive nella legislazione nazionale comprometta l'applicazione di norme comuni in tutto il mercato interno. A giudizio del CESE è necessario fare di più a livello UE per ridurre i margini per l'introduzione di possibili oneri da parte delle autorità nazionali. Appare essenziale adottare un approccio più globale nel programma per legiferare meglio, coinvolgendo direttamente le autorità nazionali, i soggetti privati e le parti interessate. Le direttive non devono stabilire soltanto requisiti minimi, ma anche i limiti della discrezionalità legislativa concessa agli Stati membri. Le regole in materia di telecomunicazioni sono un esempio dell'imposizione di limitazioni al fine di prevenire azioni unilaterali di questo tipo.

5.5

Il CESE ritiene inoltre che gli Stati membri dovrebbero evitare di recepire disposizioni UE nelle rispettive legislazioni nazionali qualora ciò non sia necessario in quanto il recepimento introduce elementi di incertezza e può portare a incoerenza giuridica. Nel suo programma originario del 2005, la Commissione proponeva di modificare le direttive trasformandole in regolamenti quando ciò fosse utile e fattibile ai sensi del Trattato, ma l'idea non ha avuto seguito e la comunicazione non vi fa riferimento alcuno. I regolamenti garantiscono maggiore certezza, creano condizioni uniformi per tutti e permettono l'attuazione immediata delle misure, il che spesso non avviene con le direttive. Laddove i regolamenti e gli orientamenti sugli aiuti di Stato siano convertiti in norme di diritto interno con un linguaggio e un significato differenti, la Commissione dovrebbe fornire un orientamento agli Stati membri. In alcuni casi si potrebbe considerare di adottare, in alternativa, il 38o regime (13).

6.   Rafforzare il ruolo della società civile e delle parti sociali nel programma per legiferare meglio

6.1

Il CESE ha dedicato ampi spazi di analisi e discussione all'agenda Legiferare meglio. Su questo tema ha elaborato pareri generali e specifici e ha messo in discussione le proposte della Commissione. Ha avanzato proposte precise, tese a rafforzare il quadro giuridico dell'UE, sul modo di migliorare le procedure legislative, la legislazione e l'attuazione delle normative dell'UE (14). Ha promosso un approccio integrato alla produzione normativa, sottolineando l'importanza di un approccio proattivo, di una maggiore trasparenza e consultazione e della responsabilizzazione delle istituzioni (15). Ha anche esteso l'iniziativa Legiferare meglio al diritto nazionale quale necessario complemento ai lavori a livello dell'UE (16).

6.2

L'Osservatorio del mercato unico (OMU), in seno al CESE, ha raccolto le opinioni e studiato le iniziative delle parti interessate al fine di dare risalto alle buone pratiche nel legiferare meglio. Come canale istituzionale di espressione della società civile organizzata, ha collaborato strettamente con le istituzioni dell'UE - e in particolare con la Commissione -, offrendo consulenza e sostegno per le tematiche connesse con una migliore legiferazione. Il presente parere si fonda su contributi precedenti, sulla collaborazione quotidiana e sulle buone pratiche.

6.3

L'articolo 11 del Trattato sull'UE conferisce un ruolo speciale al CESE nella realizzazione del dialogo verticale e orizzontale (17). La consultazione delle parti interessate al fine di ridurre gli oneri amministrativi non ha ancora raggiunto un livello soddisfacente. Se da un lato il gruppo ad alto livello delle parti interessate sta fornendo un valido contributo, dall'altro anche le associazioni e organizzazioni europee che rappresentano le principali parti in causa - datori di lavoro, lavoratori, consumatori, interessi ambientali ed altri - dovrebbero essere maggiormente coinvolte nel processo di consultazione. Sono pervenuti on-line soltanto 148 suggerimenti e sono state proposte, via lettera o sotto forma di relazioni, solo 237 idee per ridurre la burocrazia (18). È necessario che le organizzazioni della società civile siano più coinvolte nell'agenda Legiferare meglio, in quanto la portata del loro impegno è più ampia, riescono a comunicarne il valore a cittadini, imprese e lavoratori e mettono in risalto l'impegno dell'UE nel concepire politiche facili da comprendere ed applicare.

6.4

A questo proposito, la comunicazione appare troppo tecnocratica nella sua presentazione. Essa non trasmette in modo sufficiente i benefici che l'iniziativa Legiferare meglio apporta ai cittadini e alle imprese dell'UE. La società civile organizzata può aiutare in questo senso divulgando i risultati e formulando la richiesta di una politica che dovrà sia monitorare che promuovere l'attuazione dei principi del legiferare meglio a livello nazionale e dell'UE (19).

6.5

Il CESE ritiene opportuno un più stretto coinvolgimento della società civile e delle parti sociali, al fine di presentare una visione d'insieme più equilibrata. Le parti interessate rappresentano fin troppo spesso degli interessi particolari, che devono essere combinati con quelli più generali della società civile nel suo complesso. L'OMU e il Comitato delle regioni hanno già un ruolo attivo in questo senso e il CESE ribadisce la sua disponibilità a un maggiore coinvolgimento nella raccolta di una base di dati validi al fine di prendere decisioni informate.

6.6

Il CESE è dell'avviso che tutte le istituzioni dell'UE dovrebbero coordinare i loro approcci tesi a legiferare meglio. Se è essenziale che gli organi legislativi adottino rapidamente le misure semplificate, lo stesso vale per gli emendamenti alle proposte originarie che presentano chiaramente i loro costi e benefici in termini di conformità.

6.7

Le valutazioni d'impatto andrebbero quindi realizzate in modo sistematico e comparativo, indipendentemente dall'istituzione che le effettua. Esse dovrebbero sviluppare una serie di dati di base validi per sondare l'impatto delle normative sull'intero ventaglio di interessi economici, sociali e ambientali.

6.8

Il CESE propone che l'iniziativa Legiferare meglio si avvalga maggiormente del mondo dell'istruzione superiore per espandere la sua base di dati validi durante la realizzazione delle valutazioni d'impatto. I professori universitari realizzano ricerche e insegnano ai loro studenti a ricavare dati oggettivi di alta qualità che sono spesso validati con verifiche inter pares. Molto di questo materiale non viene però utilizzato nei dibattiti sulle politiche, mentre invece il suo impiego accrescerebbe la capacità di legiferare meglio, coinvolgendo inoltre una fascia più ampia della società europea.

7.   Questioni specifiche

7.1

L'efficacia dell'utilizzo dei fondi UE è spesso ostacolata da norme nazionali in materia di aiuti di Stato o di appalti pubblici che vanno ben al di là dei requisiti comunitari. Per risolvere tale questione, il CESE invita la Commissione a dare la priorità al miglioramento del quadro giuridico che disciplina i fondi comunitari. Il basso tasso di assorbimento e l'inadeguata allocazione delle risorse dimostrano che i fondi UE risentono delle barriere innalzate dalle legislazioni nazionali.

7.2

Il CESE accoglie con favore il desiderio, espresso nella comunicazione, di configurare una regolamentazione globale, nonché le misure concrete adottate al fine di garantire una migliore cooperazione con i partner commerciali dell'UE. L'Europa dovrebbe assumere un ruolo guida in questo campo, offrendo le sue competenze per lo sviluppo di un contesto normativo globale più integrato e coerente. Essa già oggi influenza in modo decisivo le riforme in atto nel settore finanziario, e dovrebbe intensificare i suoi sforzi in tutti gli ambiti, in particolare agevolando gli scambi con l'introduzione di standard comuni e rafforzando la certezza giuridica per le imprese e gli investimenti diretti in tutto il mondo.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 26, punto 4.4, GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39 e GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25.

(2)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 6; GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52; GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9; GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25.

(3)  Per quanto riguarda, ad esempio, gli aiuti di Stato o la partecipazione delle imprese agli appalti pubblici.

(4)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 59.

(5)  COM(2005) 535 definitivo del 25 ottobre 2005.

(6)  Compresi, tra l'altro, il programma modulato di semplificazione, l'esame analitico dell'acquis, la codificazione, la rifusione e l'abrogazione degli atti obsoleti.

(7)  COM(2005) 535 definitivo del 25 ottobre 2005, COM(2007) 23 definitivo del 24 gennaio 2007.

(8)  COM(2009) 16 definitivo.

(9)  Cfr. il punto 6.2 del documento COM(2009) 17 definitivo.

(10)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 26.

(11)  Cfr. il punto 3, lettera d), del COM(2005) 535 definitivo del 25 ottobre 2005.

(12)  Cfr. il punto 2.3 del documento COM(2009) 16 definitivo.

(13)  CESE 758/2010 (INT/499, non ancora pubblicato nella GU).

(14)  GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39, e GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52.

(15)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 26.

(16)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 6.

(17)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 59. (articolo 11 TUE).

(18)  Secondo quanto indicato al punto 5.1 del COM(2009) 16 definitivo.

(19)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/112


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Preparare il nostro futuro: elaborare una strategia comune per le tecnologie abilitanti fondamentali nell'UE»

COM(2009) 512 definitivo

2011/C 48/20

Relatore: MORGAN

La Commissione, in data 30 ottobre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Preparare il nostro futuro: elaborare una strategia comune per le tecnologie abilitanti fondamentali nell'UE

COM(2009) 512 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha adottato il proprio parere in data 8 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia la proposta di porre l'accento sulle tecnologie abilitanti fondamentali (Key Enabling Techniques - KET). Sottolinea inoltre la necessità di incentrare decisamente sulle KET le attività di ricerca e sviluppo (R&S) delle università e dei centri di ricerca, al fine di promuovere lo sviluppo e sostenere l'applicazione commerciale e industriale di queste tecnologie.

1.2   Tuttavia, allo stato attuale, la proposta in esame sembra l'ennesima iniziativa dell'UE volta a incrementare l'intensità di innovazione e di R&S nel mercato interno. I sistemi precedenti, come risulta dallo scenario descritto nell'analisi della Commissione (cfr. punto 3.8 del presente parere), si sono rivelati inefficaci, ed è quindi necessario un nuovo approccio.

1.3   Nella comunicazione si legge che «mentre svolgere la R&S necessaria e realizzarne le specifiche applicazioni spetta principalmente alle imprese, la politica deve creare le condizioni quadro adatte e sostenere gli strumenti di rafforzamento delle capacità industriali dell'UE per lo sviluppo delle KET». È pur vero che questo compito spetta agli Stati membri, ma il CESE ritiene che l'approccio descritto sia problematico in quanto, come illustrato nel capitolo 5 del presente parere, gli Stati membri dell'UE non dispongono di un numero sufficiente di società leader nel campo dell'alta tecnologia per sfruttare adeguatamente le KET.

1.4   All'interno dell'UE le PMI si trovano ad affrontare problemi particolari dovuti al fatto che il ventaglio di grandi società ad alta tecnologia è incompleto: ad esempio alcune PMI cominciano ad operare in piccolo per poi trasformarsi in leader a livello mondiale; inoltre la maggior parte delle nuove imprese ad alta tecnologia ha bisogno di appoggiarsi a una grande società per poter garantire la crescita e la sopravvivenza delle proprie attività, e molte PMI finiscono per essere incorporate da società più grandi che utilizzano le acquisizioni per potenziare le proprie attività di R&S. In assenza di società europee ad alta tecnologia, le PMI dell'UE fanno riferimento a imprese partner e controllanti statunitensi o asiatiche.

1.5   La comunicazione è implicitamente basata sul presupposto che gli interessi dell'UE siano chiari e definiti, mentre in realtà non è così: la maggior parte delle società tecnologiche opera su scala multinazionale o globale; la sede della società, come pure la borsa in cui è quotata, possono essere ubicate ovunque; gli azionisti sono organizzazioni globali; i diversi anelli della catena del valore, come la ricerca di base, lo sviluppo del prodotto, la fabbricazione e l'assemblaggio possono trovarsi in continenti diversi; le acquisizioni si possono effettuare ovunque si trovino le tecnologie necessarie; marchi e vendite hanno una portata globale, in quanto qualunque prodotto è reperibile ovunque.

1.6   Dove si situa l'interesse europeo in questa rete intricata di interessi? Esso dipende dal successo o dal fallimento ottenuto dagli Stati membri nel promuovere le imprese. È necessario un numero maggiore di imprese in grado di sfruttare le KET. Occorre quindi incoraggiare la creazione di tali imprese, sostenerne l'espansione e attirare gli investimenti esteri. È fondamentale rimettere in discussione l'attuale cultura imprenditoriale europea. Infatti, dopo il Trattato di Roma e il successivo Atto unico europeo, l'UE non è riuscita a tenere il passo con il resto del mondo via via che le tecnologie si sviluppavano. Le KET rappresentano forse l'ultima possibilità per l'Europa di assumere la guida nel settore dei prodotti e dei servizi ad alta tecnologia.

1.7   Perché l’approccio in esame dia risultati positivi, occorre potenziare le attività manifatturiere in Europa modificando però totalmente il modello adottato. L'idea di subappaltare la produzione ai paesi in via di sviluppo non è più accettabile. L'ingegneria e le tecniche di produzione sono fattori determinanti per il carattere innovativo insito nei prodotti ad alta tecnologia, e l'Europa deve tornare a beneficiare di questa fonte di vantaggi competitivi. Le nuove aziende del settore tecnologico devono essere aiutate a crescere in Europa. L'Europa, per di più, ha bisogno dei posti di lavoro.

1.8   Il CESE sottolinea che è necessario un giusto equilibrio tra ricerca applicata e ricerca di base. La ricerca di base crea infatti il terreno di coltura da cui, nel lungo periodo, nascono e si sviluppano in maniera durevole le innovazioni, comprese le nuove KET. Un giusto equilibrio tra ricerca applicata e ricerca di base è importante anche per attirare ricercatori altamente qualificati.

1.9   Nel contesto di un mercato globale non è facile realizzare una strategia eurocentrica. Il CESE rileva che la comunicazione non contiene né indicatori, né obiettivi di performance (e nessuna specificazione delle date previste) applicabili ai risultati di questa iniziativa. Il primo compito del gruppo ad alto livello dovrebbe essere proprio quello di dare una qualche forma al programma.

1.10   Le proposte in materia di KET sono commentate singolarmente al capitolo 4. In sintesi i punti principali sono i seguenti:

far fronte all'incapacità del mercato interno di incentivare le imprese e sviluppare una strategia industriale che consenta di colmare il grave deficit europeo in termini di società ad alta tecnologia,

riportare la produzione in Europa e aiutare le nuove imprese a crescere,

rendere più accessibili per le imprese i finanziamenti a favore delle tecnologie innovative,

istituire incentivi finanziari che consentano di trasformare l'UE in un luogo vantaggioso per l'innovazione e le attività imprenditoriali nel settore delle KET,

avviare una riforma radicale della scuola e dell'università in modo da formare i talenti necessari,

promuovere la creazione, attorno alle università e ai centri di ricerca, di consorzi (cluster) di imprese innovative ad alta tecnologia,

riconoscere che il mondo ormai è cambiato e adottare politiche commerciali aggressive sul piano internazionale,

garantire che l'iniziativa sia onnicomprensiva e integri tutte le altre azioni correlate intraprese dalle varie DG della Commissione.

1.11   La Commissione, da parte sua, teme a giusto titolo che il pubblico, fuorviato dalla mancanza di un'informazione corretta, possa erroneamente opporsi all'introduzione di prodotti e servizi basati sulle KET. Il CESE è pronto a sostenere l'impegno della società civile perché si possano compiere i progressi necessari in tal senso. Occorre dare elevata priorità alle iniziative volte a suscitare l'interesse del pubblico in generale, e dei giovani in particolare, per le meraviglie scientifiche e tecnologiche che ci circondano nella vita di tutti i giorni, e che vanno dalla straordinaria convergenza di TMT (1) rappresentata dalla gamma di prodotti iPhone, alla catena di processi biologici, chimici, fisici e logistici che ci consente di portare in tavola un piatto preparato con il forno a microonde. L'Europa ha bisogno di un più folto stuolo di scienziati desiderosi di cambiare il mondo.

1.12   Al tempo stesso il CESE insiste affinché sia adottato un approccio precauzionale nei confronti degli sviluppi KET in modo che, anche se è inevitabile che sussistano dei rischi, i problemi climatici, sanitari e sociali siano attenuati e gli sviluppi diventino sostenibili. È pur vero che i progressi e le scoperte non sono possibili senza correre dei rischi nella fase di ricerca; quando però le applicazioni KET entrano nella produzione di massa, secondo il CESE è doveroso non compromettere il benessere della popolazione e la sostenibilità ambientale.

2.   Introduzione

2.1   Nella prima parte della comunicazione si legge che «l'UE deve poter raggiungere eccelsi risultati nell'ambito dell'innovazione per potersi dotare di tutti gli strumenti necessari ad affrontare le principali sfide sociali del futuro». La Commissione invita gli Stati membri a raggiungere un accordo sull'importanza di impiegare le KET nell'UE. Tale accordo costituisce una condizione essenziale affinché l'UE possa diventare terreno fertile per l'innovazione. Esso è inoltre necessario perché l'Europa possa assumere un ruolo da protagonista sulla scena mondiale, traducendo il proprio impegno in vantaggi in termini di benessere al suo interno e nel resto del mondo.

2.2   La Commissione aveva proposto di istituire un gruppo di esperti ad alto livello competente per gli ambiti di intervento di cui al capitolo 4 del presente testo; ora tale gruppo è una realtà. Esso è composto da esperti in campo industriale e universitario provenienti dagli Stati membri. Al fine di creare sinergie, esso collaborerà con altri gruppi di esperti ad alto livello, con gruppi di esperti della Commissione, nonché con organismi attivi nel settore delle tecnologie.

2.3   Il gruppo ha il compito di:

valutare la situazione concorrenziale delle tecnologie in questione all'interno dell'UE, con particolare attenzione per la loro applicazione a livello industriale e la loro rilevanza per le problematiche sociali,

analizzare in modo approfondito le capacità di R&S a livello pubblico e privato disponibili per le KET nell'UE,

presentare raccomandazioni strategiche specifiche ai fini di una maggiore efficienza nell'applicazione industriale delle KET nell'UE.

Il CESE auspica che il gruppo adotti un approccio proattivo, lungimirante ed onnicomprensivo.

3.   Le tecnologie abilitanti fondamentali

3.1   Sono di seguito elencate le KET considerate le più importanti da un punto di vista strategico.

3.2   Nanotecnologia è un termine generale per indicare l'elaborazione, la caratterizzazione, la produzione e l'applicazione di strutture, dispositivi e sistemi attraverso il controllo della forma e delle dimensioni su scala nanometrica.

3.3   La micro e nanoelettronica si occupa di componenti semiconduttori e sottosistemi elettronici altamente miniaturizzati, nonché della loro integrazione in prodotti e sistemi più grandi.

3.4   La fotonica è un ambito multidisciplinare che si occupa della luce e della sua generazione, rilevazione e gestione.

3.5   Le tecnologie avanzate dei materiali hanno permesso di sostituire alcuni materiali già esistenti con altri più economici e di ideare nuovi prodotti e servizi a più elevato valore aggiunto. Al tempo stesso esse consentiranno in futuro di ridurre sia la dipendenza dalle risorse che i rischi ambientali e i rifiuti prodotti.

3.6   La biotecnologia industriale prevede l'utilizzo di microrganismi o di loro componenti, ad esempio gli enzimi, per la realizzazione di prodotti e sostanze utili per la lavorazione industriale e di componenti chimici dotati di potenzialità che i tradizionali processi petrolchimici non possono offrire.

3.7   La comunicazione della Commissione è incentrata sulla ricerca di un accordo a livello di UE in merito alla scelta delle KET da sviluppare. I programmi da utilizzare per tali tecnologie e le relative applicazioni dipenderanno da questa scelta. Il CESE ritiene opportuno lasciare al gruppo di esperti ad alto livello il compito di perfezionare l'elenco. Il CESE suggerisce inoltre di prendere in considerazione i sistemi di calcolo e simulazione ad alte prestazioni.

3.8   La Commissione afferma che nell'UE notevoli ostacoli si frappongono ad una maggiore diffusione delle KET. L'UE è stata meno efficiente degli Stati Uniti e di alcuni paesi asiatici nella commercializzazione e nello sfruttamento delle nanotecnologie, di taluni aspetti della fotonica, della biotecnologia e dei semiconduttori. In tutti questi settori le iniziative di R&S del settore pubblico sono considerevoli, ma non si traducono in vantaggi economici e sociali sufficienti. I motivi sono diversi:

l'UE non capitalizza in maniera efficace i risultati delle proprie attività di R&S,

spesso il pubblico non conosce né comprende le KET,

mancano risorse umane qualificate, adeguate alla natura multidisciplinare delle KET,

i livelli di capitale di rischio e gli investimenti privati disponibili per le KET restano relativamente modesti,

la frammentazione delle iniziative politiche dell'UE è spesso causata dalla mancanza di una prospettiva e di un coordinamento a lungo termine,

in alcuni paesi terzi le KET beneficiano di aiuti di Stato spesso non trasparenti che l'UE dovrebbe invece comprendere meglio.

4.   Le proposte di azioni

4.1   In vista di un'efficace applicazione industriale delle KET, sono state individuate dieci aree di intervento. Nei paragrafi che seguono il testo in corsivo costituisce una sintesi delle proposte della Commissione.

4.2   Maggiore accento sulle tecnologie abilitanti fondamentali

Uno dei principali obiettivi del sostegno pubblico alle attività di R&S e all'innovazione dovrebbe essere quello di mantenere il flusso di innovazione, soprattutto nei periodi di recessione economica, e di agevolare l'applicazione della tecnologia.

4.2.1   Il CESE approva pienamente la proposta di potenziare i programmi che beneficiano di aiuti pubblici in modo da compensare gli effetti della crisi sullo sviluppo tecnologico. La contrazione dei profitti aziendali costituisce di certo un freno per le attività di R&S all'interno delle imprese. Il fatto che i regimi di finanziamento dell'UE pongano l'accento sulla cooperazione spesso costituisce un ostacolo insormontabile per le piccole aziende ad alta tecnologia di nuova creazione, le quali perseguono con fervore le loro missioni aziendali. La concessione di finanziamenti pubblici non dovrebbe essere sottoposta a simili condizioni, così da garantire a innovatori e imprenditori un capitale di avviamento nella fase in cui svolgono le verifiche teoriche.

4.3   Maggiore attenzione al trasferimento di tecnologia e alle catene di approvvigionamento a livello di UE

Il trasferimento di tecnologia tra gli istituti di ricerca e l'industria deve essere rafforzato (2). Per creare e mantenere un'innovazione di livello mondiale è necessario facilitare l'accesso delle PMI alle alte tecnologie abilitanti elaborate in Europa nonché promuovere cluster e reti d'innovazione regionali.

4.3.1   L’azione proposta si basa sul rapporto tra istituti di ricerca e imprese, specie se piccole o medie. Essa non prende in considerazione i cluster industriali formatisi attorno alle università e ai centri di ricerca. La differenza è grande tra le PMI già inserite nella catena di approvvigionamento del settore di competenza, le quali devono accedere alle tecnologie più moderne pertinenti alla loro posizione nella suddetta catena, e le PMI create da poco per portare avanti le nuove scoperte scientifiche o tecnologiche effettuate da un istituto, un'università o il dipartimento di ricerca di un'azienda. Il CESE approva la proposta così come è formulata, ma chiede di effettuare uno sforzo più significativo per incrementare non solo le attività degli atenei in materia scientifica e tecnologica, ma anche il capitale di rischio a sostegno dei cluster che ruotano attorno a tali atenei.

4.3.2   Affinché l'azione in esame dia risultati positivi, occorre potenziare le attività manifatturiere in Europa modificando però totalmente il modello adottato. L'idea di subappaltare la produzione ai paesi in via di sviluppo non è più accettabile. L’ingegneria e le tecniche di produzione sono fattori determinanti per il carattere innovativo insito nei prodotti ad alta tecnologia, e l'Europa deve tornare a beneficiare di questa fonte di vantaggi competitivi. Ciò offre inoltre l'opportunità di creare occupazione. Man mano che le piccole imprese acquistano dimensioni maggiori, dovrebbero essere incentivate a produrre in Europa.

4.4   Maggiore attenzione alla programmazione strategica comune e ai progetti dimostrativi

La Comunità, ma anche gli Stati membri e le regioni, dovrebbero adottare un approccio più coordinato e strategico per evitare duplicazioni antieconomiche e per trarre veramente profitto dai risultati delle attività di R&S relative alle KET.

I programmi di innovazione finanziati dagli Stati membri dovrebbero incentivare maggiormente le iniziative comuni di programmazione frutto della collaborazione tra Stati membri. In questo modo si trarrebbe vantaggio dalle economie di scala e dalla portata delle iniziative, promuovendo altresì alleanze strategiche tra le imprese europee.

Dato che i costi dei progetti dimostrativi sono a volte molto superiori rispetto a quelli della R&S a monte, con una maggiore collaborazione nell'UE ed un coinvolgimento più ampio dell'industria e degli utenti si potrebbero realizzare i progetti in modo efficiente e accessibile.

4.4.1   L’azione descritta potrebbe costituire una soluzione per completare il ventaglio di imprese dell'UE ad alta tecnologia. Lo sviluppo e la dimostrazione di prodotti e servizi orientati alle reali esigenze del mercato potrebbero servire ad ingrandire le aziende più piccole ad alta tecnologia. Il CESE ritiene che l’azione in questione si adatti meglio alle applicazioni in ambito scientifico e tecnologico, piuttosto che alla ricerca di base. Il CESE auspica una concentrazione di finanziamenti nazionali e UE per realizzare il potenziale di mercato di queste tecnologie che figurano in così tanti documenti programmatici e strategici. È necessario uno sforzo concertato per incoraggiare la formazione di nuove aziende e la loro successiva trasformazione in imprese più grandi, con una presenza e una competitività globali.

4.4.2   Ulteriori sinergie potrebbero essere create grazie alle iniziative della Commissione a favore di una programmazione comune della ricerca e della cooperazione macroregionale. Si potrebbero mettere a punto incentivi destinati specificamente alla cooperazione congiunta nell'ambito di progetti KET.

4.5   Politiche in materia di aiuti di Stato

Gli aiuti pubblici, se ben orientati e volti a colmare le lacune del mercato, sono uno strumento adeguato per incrementare le attività di R&S e promuovere l'innovazione nell'UE. La Commissione intende procedere a una revisione del quadro 2006 per gli aiuti di Stato a favore delle attività di R&S in modo da verificarne l'adeguatezza.

4.5.1   È ovvio che le imprese con sede nell'UE non vogliono trovarsi a dover competere con altre aziende europee che beneficiano di aiuti di Stato. Il CESE ritiene tuttavia che il problema più grave sia l'esiguità del numero di grandi imprese europee ad alta tecnologia (cfr. capitolo 5). Il CESE è dell’avviso che esista un margine di intervento pubblico nei settori in questione per incentivare il buon funzionamento del mercato.

4.5.2   Sarebbe opportuno elaborare misure specifiche atte a favorire in alcuni paesi dell'Europa meridionale e orientale un più rapido sviluppo di infrastrutture ad alta tecnologia, integrate dalle opportune strutture universitarie per le discipline scientifiche. Potrebbe infatti esistere un potenziale di ricerca che non viene sfruttato a causa della mancanza di risorse.

4.5.3   La Commissione dovrebbe innanzitutto cercare di comprendere i motivi delle già citate lacune presenti nel ventaglio di aziende UE ad alta tecnologia, individuando altresì le possibili soluzioni per colmarle. In tutte le più importanti regioni del mondo le imprese ad alta tecnologia sono frutto di un mix di forze di mercato e di intervento pubblico. Apple, Google, Microsoft e Dell sono semplicemente un prodotto del mercato, mentre la massiccia presenza nell'UE di imprese aerospaziali dipende da interventi pubblici (Agenzia spaziale europea, gruppo aerospaziale EADS). Le forze di mercato dell'UE hanno dato vita a Nokia, ma non esistono sostanzialmente altre realtà imprenditoriali paragonabili. Il gruppo di esperti deve trovare un percorso che consenta all'UE di riaffermarsi nel settore mondiale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Inoltre, se l'UE vuole ottenere risultati nel campo delle energie rinnovabili, deve individuare con precisione le aziende in grado di espandersi e di proporre nuovi combustibili e fonti energetiche alternative, e aiutare tali aziende a crescere.

4.6   Combinare l'applicazione delle KET e la politica in materia di cambiamento climatico

Combinando la promozione delle KET e la lotta al cambiamento climatico si potrebbero generare importanti opportunità economiche e sociali; inoltre si agevolerebbe notevolmente il finanziamento della quota UE dell'onere che deriverà dagli accordi internazionali.

4.6.1   Secondo il CESE si dovrebbe dare priorità allo sviluppo di tecnologie e combustibili alternativi per i trasporti oltre che per la produzione di calore e di luce. La miglior strategia per contrastare il cambiamento climatico consiste nello sviluppo di alternative energetiche (3).

4.7   Mercati guida e appalti pubblici

L'UE deve disporre di un contesto favorevole per poter capitalizzare con efficacia i risultati della ricerca sui prodotti. Essa deve altresì promuovere la domanda attraverso l'organizzazione di appalti pubblici e l'introduzione di iniziative, come quella dei mercati guida. Gli Stati membri possono avvalersi delle gare pubbliche d'appalto precommerciali e degli appalti per innovazioni su vasta scala e vicine al mercato al fine di promuovere i mercati delle tecnologie abilitanti emergenti.

4.7.1   Il CESE condivide nella sostanza la proposta in esame. Auspica la definizione di progetti prioritari da parte del gruppo di esperti ad alto livello in modo da garantire alle iniziative in questione la massima efficacia possibile.

4.8   Confronto internazionale delle politiche dell'alta tecnologia e migliore cooperazione internazionale

La Commissione intende effettuare un confronto internazionale delle varie politiche dell'alta tecnologia in altri paesi all'avanguardia ed emergenti come gli Stati Uniti, il Giappone, la Russia, la Cina e l'India, individuando altresì le possibilità di sviluppare una più intensa cooperazione.

4.8.1   Il CESE è favorevole all'attuazione di un vasto programma di analisi comparative a livello internazionale su cui basare le future politiche in materia di KET (4). La cooperazione internazionale potrebbe rivelarsi uno strumento prezioso per i processi di sviluppo su larga scala, soprattutto nel contesto del cambiamento climatico; la questione della competitività dovrebbe tuttavia essere una priorità. La Commissione dovrebbe prendere spunto dalle strategie industriali applicate in altre parti del mondo.

4.9   Politica commerciale

Particolare attenzione va riservata alle soluzioni per garantire condizioni commerciali favorevoli per le KET, attraverso strumenti bilaterali e multilaterali, al fine di evitare le distorsioni del mercato a livello internazionale, agevolare l'accesso al mercato e le possibilità d'investimento, migliorare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e ridurre il ricorso alle sovvenzioni e agli ostacoli tariffari - e non - a livello globale.

4.9.1   Il CESE ritiene che l'UE debba abbandonare il modello precedente che operava una distinzione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo; esso costringeva infatti i responsabili politici a tollerare la presenza di aiuti di Stato e di altre distorsioni del mercato nei paesi terzi nel corso di negoziati annosi per porre rimedio a tale situazione. Nel caso di numerose tecnologie l’Europa è più indietro rispetto all'Asia. Il CESE è dell’avviso che a questo punto l'UE dovrebbe essere pronta a rispondere agli aiuti e alle distorsioni del mercato con strumenti analoghi, mantenendo però, ovviamente, la disponibilità a stipulare accordi in materia laddove le controparti si mostrino pronte al dialogo. Nel frattempo l'UE dovrebbe attuare una strategia industriale per ristrutturare le proprie aziende e recuperare la propria leadership tecnologica.

4.10   Strumenti di finanziamento della BEI e capitale di rischio

La Commissione fornirà ulteriori incentivi agli investimenti nell'alta tecnologia e inviterà la BEI a dare priorità al settore sia facendo ricorso ai sistemi già esistenti sia elaborando nuovi strumenti in grado di agevolare gli investimenti, tenendo conto dell'attuale crisi economica e finanziaria.

È necessario potenziare i fondi di capitale di rischio specializzati nell'investimento nelle fasi iniziali di un'attività. La disponibilità di capitale di rischio in misura sufficiente può essere garantita attraverso partenariati tra settore pubblico e privato, che svolgono un ruolo fondamentale nella creazione e nell'espansione delle imprese ad alta intensità di R&S.

4.10.1   Tra le forze di mercato la disponibilità di mezzi finanziari è sicuramente l'elemento più importante. Il programma relativo alle KET presuppone quindi fonti di finanziamento dello sviluppo più numerose e abbondanti.

4.10.2   Secondo il CESE non bisogna permettere che i cavilli burocratici legati agli attuali sistemi di investimento e finanziamento dell'UE determinino il dirottamento dei fondi necessari allo sviluppo delle KET o ne impediscano l'utilizzo per gli scopi previsti.

4.10.3   Gli investimenti nell'alta tecnologia comportano un rischio di perdita elevatissimo. La Commissione deve valutare anche ipotesi che vanno al di là delle varie forme di capitale di rischio e capitale bancario. È necessario incoraggiare in ogni modo le persone con elevato patrimonio netto (High Net Worth Individuals - HNWI) a rischiare investendo nelle nuove aziende ad alta tecnologia prima che intervengano i capitali di rischio. Le attività di R&S nel campo dell'alta tecnologia dovrebbero beneficiare per quanto possibile di sgravi fiscali. Occorre garantire un trattamento fiscale agevolato delle plusvalenze realizzate attraverso la vendita di nuove imprese ad alta tecnologia. I risultati ottenuti in caso di riuscita dovranno essere sufficienti a compensare le perdite subite per altri investimenti. Rispetto ad altre regioni l'UE si presenta come un contesto meno favorevole per investitori e imprenditori.

4.11   Competenze, istruzione superiore e formazione

Le scienze naturali e l'ingegneria devono ottenere il posto che meritano all'interno dei sistemi d'istruzione. Occorre aumentare la percentuale di laureati in queste materie attirando anche talenti internazionali.

4.11.1   L'entità degli investimenti asiatici nell'istruzione e nell'acquisizione di competenze è ormai ben nota. Il numero di dottorati di ricerca ottenuti presso le università asiatiche supera di gran lunga quello registrato nell'UE, e le migliori università europee sono frequentate da un'elevata percentuale di studenti asiatici. Visto che nel XXI secolo la ricchezza nazionale si decide sostanzialmente nelle aule scolastiche di tutto il mondo, il rendimento scolastico rilevato nella maggior parte degli Stati membri dell'UE, sia a livello di istruzione universitaria che nei gradi inferiori, è nettamente al di sotto degli standard richiesti. Per averne la prova, basta fare riferimento alle tabelle che confrontano i risultati scolastici a livello mondiale e la graduatoria internazionale delle università.

4.11.2   Occorre dare priorità al miglioramento degli standard di insegnamento nelle scuole, soprattutto per la matematica e le scienze, incentivando gli studenti a scegliere un indirizzo scientifico sia a scuola che all'università e incoraggiando i laureati qualificati a intraprendere la carriera dell'insegnamento. È altresì necessario non solo individuare un ristretto gruppo di atenei in cui sia possibile rendere gli standard di insegnamento e di ricerca competitivi sulla scena mondiale, ma anche sviluppare infrastrutture attorno alle università (parchi scientifici) che possano dare vita a nuove PMI frutto di spin out e fornire gli indispensabili finanziamenti per l'avviamento.

4.11.3   In numerosi Stati membri la portata delle sfide nel settore dell’istruzione è talmente grande e l'incapacità da parte delle classi politiche di risolvere in passato il problema è talmente evidente che la società dovrà dispiegare le proprie risorse come se fosse sul piede di guerra, per poter raggiungere i risultati voluti.

4.11.4   Occorre inoltre creare condizioni generali di lavoro molto più interessanti per docenti e ricercatori nelle università e nei centri di ricerca. L'UE ha bisogno di attirare i migliori cervelli dalle altre regioni, anche se al momento avviene il contrario: molti dei migliori cervelli dell'UE si trasferiscono in altri continenti alla ricerca di condizioni più allettanti (5). In ogni caso è importante favorire la mobilità internazionale (6), che è ormai un requisito essenziale per una brillante carriera.

4.11.5   È ugualmente necessario un giusto equilibrio nella promozione della ricerca applicata e di quella di base. La ricerca di base crea infatti il terreno di coltura da cui, nel lungo periodo, nascono e si sviluppano in maniera durevole le innovazioni, comprese le nuove KET. Inoltre, un giusto equilibrio di questo tipo è importante anche per attirare ricercatori altamente qualificati.

5.   Imprese ad alta tecnologia

5.1   Il CESE esprime profonda preoccupazione per la carenza in Europa di imprese ad alta tecnologia. Le due tabelle che seguono, elaborate in base all'elenco delle prime 500 aziende a livello globale e macroregionale per valore di mercato, pubblicato dal Financial Times e relativo al 2010, riportano i dati relativi ai settori industriali in cui le KET possono più facilmente trovare applicazione.

5.2   La prima tabella contiene i dati estratti dalla lista relativa alle prime 500 aziende a livello mondiale (Global 500). Dall'analisi delle informazioni si deduce che non esiste alcun settore ad alta tecnologia in cui l'Europa sia leader mondiale, con l'unica eccezione dell'industria chimica.

Financial Times Global 500 - settori tecnologici

Settore

Numero di aziende

 

 

Mondo

USA

ASIA

EUR

 

Industria farmaceutica e biotecnologie

20

10

3

6

Novartis*, Roche*, GSK, Sanofi-Aventis, Astra Zeneca, Novo Nordisk

Apparecchi tecnologici

21

13

5

2

Nokia, Ericsson

Programmi e servizi informatici

12

6

5

1

SAP

Automobili e ricambi

11

2

6

3

Daimler, VW, BMW

Industria chimica

13

4

1

5

Bayer, BASF, Air Liquide, Syngenta*, Linde

Attrezzature mediche

12

11

0

1

Fresenius

Prodotti e servizi per l'industria generale

13

4

6

2

Siemens, ThyssenKrupp

Ingegneria industriale

11

3

4

4

ABB*, Volvo, Atlas Copco, Alstom

Industria aerospaziale e difesa

10

7

0

3

BAE Systems, Rolls Royce, EADS

Attrezzature e servizi petroliferi

7

4

0

1

Saipem

Articoli per il tempo libero

4

0

3

1

Phillips Electrical

Industria elettronica ed elettrica

6

2

3

1

Schneider Electric

Energie alternative

1

1

0

0

 

Tra i settori esclusi dall'analisi figurano la produzione di petrolio e gas, l’industria estrattiva e metallurgica, l’edilizia e i materiali nonché l'industria alimentare e la produzione di bevande e tabacco.

Inoltre l'elenco non comprende servizi operativi quali la telefonia mobile e fissa, i trasporti industriali e la distribuzione di elettricità, gas e acqua, nonché le aziende multiservizi.

Per Asia si intende prevalentemente il Giappone, ma l'analisi include anche società con sede a Taiwan, in Corea del Sud, a Hong Kong, in Cina, in India e in Australia.

L'Europa comprende gli Stati membri dell'Unione europea e i paesi EFTA. Le società contrassegnate da un asterisco (*) sono svizzere.

5.3   La seconda tabella contiene invece i dati estratti dagli elenchi delle prime 500 aziende negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa (Regional 500). Essa illustra altresì il valore di mercato a livello macroregionale dei singoli settori. Sui tredici settori ad alta tecnologia l'Europa è all'avanguardia nei seguenti campi: chimica, ingegneria industriale ed energie alternative, anche se quest'ultimo è ancora un settore emergente. L'Europa occupa inoltre una posizione di tutto rispetto nei settori farmaceutico e biotecnologico. Il Giappone è invece in testa nei settori automobilistico, elettronico, elettrico e degli articoli per il tempo libero, ovverosia gli stessi in cui anche altri paesi asiatici sono saldamente posizionati. Gli Stati Uniti, dal canto loro, dominano i seguenti settori: industria farmaceutica, biotecnologie, apparecchi tecnologici, programmi e servizi informatici, attrezzature e servizi medici, beni e servizi per l'industria in generale, industria aerospaziale e difesa nonché attrezzature e servizi petroliferi, vale a dire tutti ambiti importanti per lo sfruttamento delle KET.

Financial Times Regional 500 - settori tecnologici

Settore

Numero di aziende (#) e valore di mercato (miliardi di $)

 

USA

Giappone

Europa

 

#

$

#

$

#

$

Industria farmaceutica e biotecnologie

21

843

24

147

18

652

Apparecchi tecnologici

34

1 049

18

164

8

140

Programmi e servizi informatici

25

884

12

58

8

98

Automobili e ricambi

5

81

37

398

9

186

Industria chimica

12

182

36

134

18

293

Attrezzature mediche

31

511

4

24

11

94

Prodotti e servizi per l'industria generale

9

344

8

38

6

127

Ingegneria industriale

11

165

36

185

18

210

Industria aerospaziale e difesa

12

283

7

84

Attrezzature e servizi petroliferi

17

271

9

62

Articoli per il tempo libero

5

42

14

181

1

31

Industria elettronica ed elettrica

10

124

29

159

6

54

Energie alternative

1

10

2

16

La tabella si riferisce all'elenco del Financial Times relativo alle prime 500 aziende di ciascuna delle tre regioni geografiche. Ognuna di esse presenta una composizione e un equilibrio diversi a livello di settori; tuttavia il paragone tra i valori di mercato dei singoli settori in ciascuna macroregione è un parametro utile per misurare l'intensità tecnologica relativa.

5.4   L'analisi porta a concludere che l'UE necessita di una strategia industriale per consolidare la propria posizione nel settore delle KET nel 2020 ed oltre.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Telecomunicazioni, media e tecnologie (dell'informazione).

(2)  Cfr. GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 8.

(3)  Cfr. parere CESE 766/2010 del 27 maggio 2010.

(4)  Cfr. GU C 306 del 16.12.2009, pag. 13.

(5)  Cfr. GU C 110 del 30.4.2004, pag. 3.

(6)  Cfr. GU C 224 del 30.8.2008.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde — L'interconnessione dei registri delle imprese»

COM(2009) 614 definitivo

2011/C 48/21

Relatrice: Ana BONTEA

La Commissione europea, in data 4 novembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde - L'interconnessione dei registri delle imprese

COM(2009) 614 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 65 voti favorevoli, 13 voti contrari e 18 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) dà il proprio sostegno allo sviluppo e al rafforzamento della cooperazione tra i registri delle imprese di tutti gli Stati membri dell'UE, sulla base dei principi di trasparenza, rapidità, riduzione dei costi, semplificazione amministrativa, protezione adeguata dei dati personali e interoperatività. La cooperazione transfrontaliera tra i registri delle imprese deve garantire una migliore qualità e attendibilità delle informazioni ufficiali destinate a creditori, partner commerciali, azionisti e consumatori. Ciò darà maggiore certezza giuridica al mercato interno e ne sveltirà il funzionamento.

1.2   Gli obiettivi dell'interconnessione dei registri delle imprese devono essere in linea con i documenti strategici Europa 2020 (1) e Small Business Act (SBA) (2). L'interconnessione dei registri delle imprese deve garantire l'aumento della trasparenza e una più agevole cooperazione tra le imprese, nonché la diminuzione delle barriere allo sviluppo delle attività transfrontaliere e la riduzione degli oneri amministrativi, specialmente per le PMI. Questi aspetti sono essenziali per rafforzare il mercato unico e per promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo, come è stato evidenziato anche nella comunicazione della Commissione dal titolo Pensare anzitutto in piccolo - Uno «Small Business Act» per l'Europa (COM(2008) 394 definitivo).

1.3   Il CESE raccomanda di integrare gli obiettivi del Libro verde con nuovi obiettivi:

la creazione di uno strumento obbligatorio di cooperazione che faciliti e rafforzi l'interconnessione elettronica dei registri centrali degli Stati membri e in particolare l'interconnessione con il portale e-Justice, che verrebbe trasformato nel principale punto di accesso all'informazione giuridica dell'UE, per conseguire una più efficace applicazione delle direttive in materia di diritto societario, e

la garanzia di un incremento della cooperazione transfrontaliera, specialmente per quel che concerne le fusioni transfrontaliere e le succursali in altri Stati membri, sfruttando i vantaggi dell'IMI.

1.4   Il CESE giudica favorevolmente le linee generali tracciate dal Libro verde, a condizione che si realizzi una valutazione d'impatto approfondita in questo campo e che non vengano imposti adempimenti supplementari alle imprese.

1.5   Il CESE ritiene che l'interconnessione dei registri delle imprese avrà un valore aggiunto reale soltanto se comprenderà non solo i registri centrali, ma anche tutti i registri locali e regionali dei 27 Stati membri e se le informazioni trasmesse per mezzo della rete, indipendentemente dallo Stato di origine, saranno aggiornate, certe, standardizzate e rapidamente disponibili attraverso una procedura semplice, preferibilmente in tutte le lingue ufficiali dell'UE e gratis (almeno per le richieste riguardanti le informazioni di base).

1.6   In caso di applicazione di misure legislative a livello europeo, il CESE ritiene necessario cogliere quest'occasione per modificare le norme in materia di pubblicità, allo scopo di ridurre gli adempimenti amministrativi delle imprese - specialmente quelli delle PMI - senza ridurre la trasparenza, visto che la pubblicazione nelle Gazzette ufficiali nazionali comporta costi supplementari significativi per le imprese senza apportare un valore aggiunto reale, in quanto esiste la possibilità di accedere online alle informazioni contenute nei registri delle imprese.

1.7   Un accordo in materia di governance può rappresentare una soluzione per la definizione dei dettagli tecnici della cooperazione tra registri delle imprese.

1.8   Per realizzare gli obiettivi indicati nel Libro verde, il CESE propone di attuare una soluzione che consenta di integrare e valorizzare tutti i meccanismi e tutte le iniziative di cooperazione attualmente esistenti - specialmente EBR (3), BRITE (4), IMI ed e-Justice -, attraverso l'estensione di EBR e il suo sviluppo quale sistema interoperativo avanzato e innovativo (sotto forma di piattaforma informatica di servizi) e quale strumento efficace e previsionale di gestione, capace di assicurare l'interconnessione e l'interoperatività dei registri delle imprese di tutta l'UE, nonché l'incremento della cooperazione tra le imprese e la valutazione della loro evoluzione; questo strumento dovrebbe inoltre essere accessibile sul portale europeo Giustizia elettronica (e-Justice).

1.9   Per quel che concerne la connessione tra la rete dei registri delle imprese e la rete elettronica istituita con la direttiva 2004/109/CE, il CESE ritiene necessario realizzare una valutazione di impatto, un obiettivo che va tuttavia subordinato all'interconnessione di tutti i registri delle imprese.

1.10   Per le succursali estere il CESE è favorevole all'uso dell'IMI, in quanto si tratta di un sistema di informazione che offre un quadro di cooperazione amministrativa utilizzabile a sostegno dell'applicazione di qualsiasi atto legislativo riguardante il mercato interno.

1.11   L'istituzione di un organismo incaricato della gestione, dell'estensione e dello sviluppo della rete EBR - che dovrà avere carattere obbligatorio e non volontario - e la garanzia dell'adeguato finanziamento di questo progetto attraverso fondi europei contribuiranno sia ad accelerare la costruzione di una rete di cooperazione transfrontaliera che comprenda i registri delle imprese di tutti gli Stati membri, sia a realizzare nel breve-medio termine questi obiettivi.

1.12   L'interconnessione dei registri delle imprese deve assolvere molteplici compiti e garantire maggiori strumenti per facilitare la comunicazione.

1.13   La cooperazione in questo campo tra, da un lato, le istituzioni nazionali ed europee e, dall'altro, le parti sociali e la società civile è particolarmente importante.

2.   Contesto

2.1   Nell'UE esistono 27 registri delle imprese che hanno portata nazionale o regionale e assicurano la registrazione, l'esame e l'archiviazione delle informazioni relative alle imprese costituite nel rispettivo territorio nazionale o regionale, nel rispetto dei requisiti minimi dei servizi di base stabiliti dalla legislazione europea.

2.2   Le informazioni ufficiali sulle imprese sono facilmente accessibili nel paese di registrazione (dal 1o gennaio 2007 i registri delle imprese sono in formato elettronico in quasi tutti gli Stati membri e disponibili online), ma l'accesso alle stesse informazioni da un altro Stato membro può essere ostacolato da barriere di tipo tecnico (diversità delle condizioni di ricerca delle informazioni e delle strutture) o linguistico.

2.3   Si osserva una richiesta crescente di accesso alle informazioni sulle imprese in un contesto transfrontaliero sia a fini commerciali che per facilitare l'accesso alla giustizia, visto che le opportunità offerte dal mercato unico hanno agevolato l'espansione delle attività commerciali oltre i confini nazionali, che numerose fusioni o scissioni vedono coinvolte imprese di Stati membri diversi - specialmente a partire dall'entrata in vigore della direttiva 2005/56/CE, che impone la cooperazione tra i registri delle imprese - e che esiste la possibilità di esercitare, in tutto o in parte, l'attività commerciale in uno Stato membro diverso da quello di registrazione.

2.4   L'attività delle imprese in un contesto transfrontaliero ha reso necessaria la cooperazione quotidiana delle autorità e/o dei registri delle imprese nazionali, regionali o locali con l'attuazione di un numero maggiore di strumenti e d'iniziative di cooperazione su base volontaria in questo campo.

3.   Sintesi del Libro verde

3.1   Il Libro verde - L'interconnessione dei registri delle imprese illustra il quadro esistente ed esamina le possibili modalità per migliorare l'accesso alle informazioni sulle imprese di tutta l'UE e per garantire una più efficace applicazione delle direttive sul diritto societario.

3.2   Il Libro verde mette in evidenza due obiettivi distinti, ma tra loro collegati, dell'interconnessione dei registri delle imprese:

facilitare l'accesso a informazioni ufficiali e affidabili sulle imprese a livello transfrontaliero, per accrescere sia la trasparenza nel mercato unico che la protezione degli azionisti e dei terzi, e

rafforzare la cooperazione tra i registri delle imprese nelle procedure transfrontaliere - quali fusioni, trasferimenti di sedi o procedure d'insolvenza -, in quanto tale cooperazione è prevista esplicitamente dalla direttiva sulle fusioni transfrontaliere, dallo statuto della società europea e dallo statuto della società cooperativa europea.

3.3   Il Libro verde illustra i meccanismi e le iniziative di cooperazione attualmente esistenti, ossia:

EBR, che è stato realizzato su base volontaria dai registri delle imprese di 18 Stati membri e di 6 paesi terzi, con il sostegno della Commissione europea. L'EBR è una rete dei registri delle imprese creata allo scopo di garantire informazioni affidabili sulle imprese, ma presenta alcuni limiti per quanto concerne l'estensione della rete stessa e la cooperazione nelle procedure transfrontaliere,

BRITE, che è un progetto di ricerca completato nel marzo 2009, finanziato in larga parte dalla Commissione europea e realizzato da alcuni membri della rete EBR. Questo progetto aveva come obiettivo lo sviluppo e l'attuazione di un modello di interoperabilità avanzato e innovativo, di una piattaforma informatica di servizi e di uno strumento di gestione per consentire l'interazione dei registri delle imprese in tutta l'UE, con particolare attenzione ai trasferimenti di sede e alle fusioni transfrontaliere e a un migliore controllo delle succursali di imprese registrate in altri Stati membri,

il sistema d'informazione del mercato interno (IMI), creato nel marzo 2006 come applicazione web sicura gestita dalla Commissione, è una rete chiusa che fornisce alle autorità competenti degli Stati membri uno strumento semplice per individuare gli interlocutori pertinenti in altri Stati membri e per comunicare con essi in modo rapido ed efficace. L'IMI è utilizzato ai fini dell'applicazione della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali e della direttiva sui servizi,

la giustizia elettronica (e-Justice), un'iniziativa avviata nel giugno 2007 allo scopo di fornire assistenza alle autorità giudiziarie e agli operatori del settore e di facilitare l'accesso dei cittadini alle informazioni di tipo legale e giudiziario. Questa iniziativa prevede come risultato tangibile la realizzazione del portale europeo Giustizia elettronica, che costituirà il punto di accesso principale alle informazioni di tipo legale, alle istituzioni giuridico-amministrative, ai registri, alle banche dati e ad altri servizi. Il piano europeo d'azione in materia di giustizia elettronica per il periodo 2009-2013 prende in esame la questione dell'integrazione dell'EBR nel suddetto portale e presenta un approccio in più fasi (come la creazione di un link nella prima fase, per poi passare a valutare la possibilità di una parziale integrazione dell'EBR).

3.4   Le vie da seguire proposte dal Libro verde per il futuro sviluppo degli attuali meccanismi di cooperazione tra i registri delle imprese sono principalmente:

l'opzione di utilizzare i risultati del progetto BRITE e di designare o istituire un organismo incaricato di gestire i necessari servizi estesi a tutti gli Stati membri,

l'opzione di utilizzare l'IMI, che è già operativo e che potrà essere esteso negli anni a venire ad altri ambiti della legislazione dell'UE,

una combinazione di queste due opzioni.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE dà il proprio sostegno allo sviluppo e al rafforzamento della cooperazione tra i registri delle imprese di tutti gli Stati membri dell'UE per aumentare l'accesso a informazioni ufficiali e affidabili sulle imprese e per garantire la trasparenza nel mercato unico attraverso una maggiore protezione degli azionisti e dei terzi (creditori, partner commerciali, consumatori, ecc.), specialmente nel caso di procedure transfrontaliere (quali fusioni, trasferimenti di sedi o procedure d'insolvenza).

4.2   L'iniziativa della Commissione europea di esaminare le modalità per migliorare l'accesso alle informazioni sulle imprese di tutta l'UE e per garantire una più efficace applicazione delle direttive sul diritto societario è certamente lodevole. Al riguardo il CESE giudica favorevolmente le linee generali tracciate dal Libro verde - in questo campo è necessaria la realizzazione di una valutazione d'impatto approfondita -, a condizione che non vengano imposti adempimenti supplementari alle imprese.

4.3   Gli obiettivi d'interconnessione dei registri delle imprese devono essere in linea con i documenti strategici Europa 2020 (che prevede il rafforzamento della cooperazione transfrontaliera) e Small Business Act (che stabilisce di ridurre «al minimo spese e oneri per le imprese» per «contribuire fortemente al successo e alla crescita delle PMI facendo risparmiare a quest'ultime tempo e denaro e liberando risorse a favore dell'innovazione e la creazione di posti di lavoro» attraverso una valutazione rigorosa dell'impatto delle prossime iniziative legislative e amministrative).

4.4   L'interconnessione dei registri delle imprese deve garantire l'aumento della trasparenza e il miglioramento sia dell'accesso alle informazioni ufficiali relative alle imprese che della cooperazione tra di esse. Questi aspetti sono essenziali per rafforzare il mercato unico e per promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo.

5.   Risposte alle domande del Libro verde

5.1   È necessario migliorare la rete dei registri delle imprese negli Stati membri

5.1.1   In rapporto alla situazione di fatto, il CESE sottolinea la necessità di sviluppare e rafforzare la cooperazione tra i registri delle imprese di tutti gli Stati membri dell'UE sulla base dei principi di trasparenza, rapidità, riduzione dei costi, semplificazione amministrativa, protezione adeguata dei dati personali e interoperatività (comunicazione automatica con i registri locali e regionali).

5.1.2   Il CESE ritiene che l'interconnessione dei registri delle imprese avrà un valore aggiunto reale soltanto se comprenderà tutti i registri locali e regionali dei 27 Stati membri e se le informazioni trasmesse per mezzo della rete, indipendentemente dallo Stato di origine, saranno aggiornate, certe, standardizzate e rapidamente disponibili attraverso una procedura semplice, preferibilmente in tutte le lingue ufficiali dell'UE e gratis (almeno per le richieste riguardanti le informazioni di base).

5.2   I dettagli della cooperazione potranno essere definiti mediante la conclusione di un «accordo in materia di governance» tra i rappresentanti degli Stati membri e i registri delle imprese

5.2.1   Nell'attesa che si realizzi un'analisi costi-benefici nel quadro di una valutazione d'impatto globale, il CESE sottolinea la necessità di estendere e di rafforzare l'attuale cooperazione tra i registri delle imprese. A questo fine, tutti gli Stati membri devono assumersi l'obbligo di sviluppare il loro partenariato in questo campo, garantendo la loro attiva partecipazione sia all'effettiva realizzazione di tale partenariato che al processo decisionale volto a definirne i termini e le condizioni.

5.2.2   Qualora la valutazione d'impatto sottolinei la necessità di applicare misure legislative a livello europeo per garantire l'obbligatorietà della cooperazione tra i registri delle imprese, il CESE ritiene necessario cogliere quest'occasione per modificare le norme in materia di pubblicità dei registri, allo scopo di ridurre gli adempimenti amministrativi delle imprese - specialmente quelli delle PMI - senza ridurre la trasparenza, visto che la pubblicazione nei bollettini nazionali dei registri comporta costi supplementari significativi per le imprese senza apportare un valore aggiunto reale, in quanto esiste la possibilità di accedere online alle informazioni contenute nei registri delle imprese.

5.2.3   Potrebbe essere utile creare una base giuridica più solida per alcuni elementi della rete, ma i dettagli della cooperazione dovrebbero essere determinati in virtù di un accordo sulla governance della rete elettronica dei registri delle imprese. Sarebbe quanto meno necessario includere aspetti quali le condizioni di adesione alla rete, la designazione di un organo di gestione di tale rete, le questioni legate alla responsabilità e al finanziamento, la risoluzione delle controversie, la manutenzione del server centrale e la garanzia dell'accesso in tutte le lingue ufficiali dell'UE, oltre agli standard minimi di sicurezza e protezione dei dati.

5.3   A lungo termine la connessione della rete dei registri delle imprese con la rete elettronica istituita in virtù della direttiva 2004/109/CE sulla trasparenza potrà comportare un valore aggiunto

5.3.1   Per quel che concerne la connessione tra la rete dei registri delle imprese e la rete elettronica (istituita dalla direttiva 2004/109/CE sulla trasparenza) nella quale sono contenute informazioni regolamentate sulle società quotate, il CESE ritiene che questo obiettivo sia subordinato al completamento dell'interconnessione di tutti registri delle imprese e che sia necessario realizzare una valutazione d'impatto che esamini le difficoltà tecniche di interconnessione, l'efficienza delle misure, il reale valore aggiunto e le spese connesse. Forse sarebbe più opportuno ricorrere alle disposizioni della direttiva 2003/58/CE, che ha introdotto i registri elettronici delle imprese.

5.3.2   Una maggiore cooperazione tra i registri delle imprese apporterà dei benefici per quanto riguarda la comunicazione di informazioni sulle società da parte di altri enti (per migliorare la trasparenza dei mercati finanziari e la disponibilità delle informazioni finanziarie sulle società quotate in Europa, nonché per assicurare il funzionamento efficace delle procedure transfrontaliere di insolvenza).

5.4   La soluzione più adeguata per facilitare la comunicazione tra i registri delle imprese nel caso di fusioni o trasferimenti di sedi a livello transfrontaliero

5.4.1   Per realizzare gli obiettivi indicati nel Libro verde, il CESE propone di attuare una soluzione che consenta di integrare e valorizzare tutti i meccanismi e tutte le iniziative di cooperazione attualmente esistenti - specialmente EBR, BRITE, IMI ed e-Justice -, attraverso l'estensione di EBR a livello di tutti gli Stati membri e il suo sviluppo quale sistema interoperativo avanzato e innovativo (sotto forma di piattaforma informatica di servizi) e quale strumento previsionale di gestione, capace di assicurare l'interconnessione e l'interoperatività dei registri delle imprese di tutta l'UE, nonché l'incremento della cooperazione tra le imprese e la valutazione della loro evoluzione; questo strumento dovrebbe inoltre essere accessibile sul portale europeo Giustizia elettronica (e-Justice).

5.4.2   La soluzione proposta dal CESE (ossia di estendere la rete EBR a tutti gli Stati membri e, allo stesso tempo, di migliorare il funzionamento della rete - attraverso la valorizzazione dei risultati del progetto BRITE e il possibile ricorso al sistema IMI - e d'integrarla nel portale Giustizia elettronica) consentirà di continuare ad accumulare esperienza nella gestione e amministrazione di piattaforme informatiche analoghe, di mantenere il livello di visibilità, di evitare la confusione che potrebbe sorgere dalla creazione di uno strumento nuovo che offra informazioni simili o persino identiche a quelle della rete EBR, nonché di moltiplicare i risultati degli investimenti già realizzati - compresi quelli con il contributo dei fondi europei - con costi di attuazione minori, in particolare nel caso di ricorso all'IMI o dell'integrazione della rete nel portale Giustizia elettronica.

5.5   Soluzione proposta per la comunicazione di informazioni sulle succursali

5.5.1   I requisiti in materia di pubblicità per le succursali estere, stabiliti dalla direttiva 89/666/CEE, rendono di fatto indispensabile la cooperazione tra i registri delle imprese per garantire la pubblicità delle informazioni e dei documenti all'apertura della succursale. A questo riguardo, il CESE è favorevole alla valorizzazione e allo sviluppo dei risultati del progetto BRITE e alla soluzione che prevede la notifica automatica tra i registri delle imprese allo scopo di verificare che i dati pertinenti siano corretti e aggiornati, tutelando così gli interessi dei creditori e dei consumatori che sono in contatto con la succursale.

6.   Osservazioni specifiche

6.1   Per realizzare appieno l'interoperatività dei registri delle imprese, bisogna individuare le soluzioni migliori per rimuovere le attuali barriere di tipo tecnico (diversità delle condizioni di ricerca e delle strutture dei registri delle imprese) o linguistico (nella rete EBR si è individuata la soluzione che garantisce di poter effettuare ricerche in tutte le lingue dell'UE e di fornire le informazioni richieste nella lingua in cui è stata realizzata la ricerca).

6.2   L'istituzione di un organismo incaricato della gestione, dell'estensione e dello sviluppo della rete EBR e la garanzia dell'adeguato finanziamento di questo progetto attraverso fondi europei contribuiranno sia ad accelerare la costruzione di una rete che comprenda i registri delle imprese di tutti gli Stati membri, sia a realizzare nel breve-medio termine questi obiettivi. In futuro bisognerà superare i limiti rappresentati dalle alte tariffe chieste per accedere al software EBR e utilizzarlo, oppure per abbonarsi a questo servizio, e bisognerà eliminare le barriere a livello nazionale che ostacolano la partecipazione.

6.3   L'interconnessione dei registri delle imprese non deve limitarsi alla manutenzione, allo sviluppo, alla gestione e all'aggiornamento della rete e del software, ma deve anche garantire una gestione efficace delle relazioni tra partecipanti, l'adeguata promozione a livello dei cittadini e delle imprese, la partecipazione ai programmi finanziati dall'UE, l'estensione dei servizi a nuovi paesi, nonché la realizzazione di servizi commerciali in grado di generare entrate da investire unicamente nel potenziamento della rete.

6.4   L'interconnessione dei registri delle imprese deve garantire maggiori strumenti per facilitare la comunicazione: criteri di ricerca, un complesso di procedure trasparenti concordate tra tutti gli Stati membri per la ricezione delle domande e la trasmissione delle risposte, la possibilità di ricevere documenti certificati e in formato elettronico, strumenti per gestire le domande/risposte e per monitorare i progressi, procedure per la presentazione e la composizione dei reclami, sistemi di ricerca multilingue, domande e risposte predefinite ma anche aperte, un responsabile (con informazioni su come contattarlo), ecc.

6.5   L'interconnessione dei registri delle imprese dovrebbe includere tutte le informazioni che devono essere rese pubbliche, garantire che si possa accedere a queste informazioni nel file elettronico dei registri nazionali, e assicurare la riduzione degli oneri amministrativi delle imprese senza imporre tasse supplementari, specialmente per le PMI. L'IMI sembra offrire uno strumento atto a facilitare la comunicazione tra registri delle imprese dei diversi Stati membri.

6.6   Nel realizzare la valutazione d'impatto si raccomanda di esaminare anche gli aspetti legati all'introduzione di:

un punto unico di accesso alla rete dei registri delle imprese,

un codice unico d'identificazione per le società a livello europeo,

un sistema di fatturazione uniforme,

un attestato europeo estratto dal registro delle imprese standardizzato a livello europeo,

un insieme minimo di parametri che andrebbero armonizzati e applicati a livello europeo, anche per i servizi di informazione di uguale qualità in ogni Stato membro.

6.7   La cooperazione in questo campo tra, da un lato, le istituzioni nazionali ed europee e, dall'altro, le parti sociali e la società civile è particolarmente importante.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Comunicazione della Commissione Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(2010) 2020 definitivo.

(2)  Comunicazione della Commissione Pensare anzitutto in piccolo («Think Small First») - Uno«Small Business Act»per l'Europa, COM(2008) 394 definitivo.

(3)  EBR = European Business Register - Registro delle imprese europee.

(4)  BRITE = Business Register Interoperability Throughout Europe - Interoperabilità dei registri delle imprese in Europa.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, che ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso delle deliberazioni (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 2.1

Modificare come segue:

Nell'UE esistono 27 registri delle imprese che hanno portata nazionale o regionale e assicurano la registrazione, alla legislazione europea.

Motivazione

Esposta oralmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

22

Voti contrari

:

24

Astensioni

:

2

Le seguenti parti del testo del parere della sezione respinte in seguito all'adozione di emendamenti da parte dell'Assemblea hanno ottenuto un numero di voti favorevoli al loro mantenimento pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 2.2

Le informazioni ufficiali sulle imprese sono facilmente accessibili nel paese di registrazione (dal 1o gennaio 2007 i registri delle imprese sono in formato elettronico in tutti gli Stati membri e disponibili online), ma l'accesso alle stesse informazioni da un altro Stato membro può essere ostacolato da barriere di tipo tecnico (diversità delle condizioni di ricerca delle informazioni e delle strutture) o linguistico.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

44

Voti contrari

:

29

Astensioni

:

2

Punto 4.1

Il CESE dà il proprio sostegno allo sviluppo e al rafforzamento della cooperazione tra i registri delle imprese di tutti gli Stati membri dell'UE per aumentare l'accesso a informazioni ufficiali e affidabili sulle imprese e per garantire la trasparenza nel mercato unico attraverso una maggiore protezione degli azionisti e dei terzi (creditori, partner commerciali, consumatori, ecc.), specialmente nel caso di procedure transfrontaliere (quali fusioni, trasferimenti di sedi o procedure d'insolvenza).

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

49

Voti contrari

:

29

Astensioni

:

5

Punto 4.4

L'interconnessione dei registri delle imprese deve garantire l'aumento della trasparenza e della cooperazione tra le imprese, l'eliminazione delle barriere allo sviluppo delle attività transfrontaliere e la riduzione degli oneri amministrativi. Questi aspetti sono essenziali per rafforzare il mercato unico e per promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

50

Voti contrari

:

40

Astensioni

:

6

Punto 4.5

Il CESE ritiene che i due obiettivi stabiliti nel Libro verde siano limitati e raccomanda di integrarli con due nuovi obiettivi. Lo scopo principale dell'interconnessione dei registri delle imprese dovrebbe essere la creazione di uno strumento previsionale (quale modalità gestionale di valutazione dell'evoluzione e dei risultati delle imprese dell'UE) sul quale basare le strategie e le politiche in questo settore a tutti i livelli (europeo, regionale, locale). Un altro obiettivo importante dell'interconnessione dei registri delle imprese dovrebbe inoltre essere quello di assicurare l'incremento della cooperazione tra le imprese dell'UE.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

54

Voti contrari

:

44

Astensioni

:

7

Punto 5.3.1

Per quel che concerne la connessione tra la rete dei registri delle imprese e la rete elettronica (istituita dalla direttiva 2004/109/CE sulla trasparenza) nella quale sono contenute informazioni regolamentate sulle società quotate, il CESE ritiene che questo obiettivo sia subordinato al completamento dell'interconnessione di tutti registri delle imprese e che sia necessario realizzare una valutazione d'impatto che esamini le difficoltà tecniche di interconnessione, l'efficienza delle misure, il reale valore aggiunto e le spese connesse.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

61

Voti contrari

:

31

Astensioni

:

8

Punto 5.4.1

Per realizzare gli obiettivi indicati nel Libro verde, il CESE propone di attuare una soluzione che consenta di integrare e valorizzare tutti i meccanismi e tutte le iniziative di cooperazione attualmente esistenti - specialmente EBR, BRITE ed e-Justice -, attraverso l'estensione di EBR a livello di tutti gli Stati membri e il suo sviluppo quale sistema interoperativo avanzato e innovativo (sotto forma di piattaforma informatica di servizi) e quale strumento previsionale di gestione, capace di assicurare l'interconnessione e l'interoperatività dei registri delle imprese di tutta l'UE, nonché l'incremento della cooperazione tra le imprese e la valutazione della loro evoluzione; questo strumento dovrebbe inoltre essere accessibile sul portale europeo Giustizia elettronica (e-Justice).

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

51

Voti contrari

:

37

Astensioni

:

7

Punto 5.4.2

La soluzione proposta dal CESE (ossia di estendere la rete EBR a tutti gli Stati membri e, allo stesso tempo, di migliorare il funzionamento della rete - attraverso la valorizzazione dei risultati del progetto BRITE - e d'integrarla nel portale Giustizia elettronica) consentirà di continuare ad accumulare esperienza nella gestione e amministrazione di piattaforme informatiche analoghe, di mantenere il livello di visibilità, di evitare la confusione che potrebbe sorgere dalla creazione di uno strumento nuovo che offra informazioni simili o persino identiche a quelle della rete EBR, nonché di moltiplicare i risultati degli investimenti già realizzati - compresi quelli con il contributo dei fondi europei - con costi di attuazione minori.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

55

Voti contrari

:

33

Astensioni

:

7

Punto 6.5

Nella scelta della soluzione definitiva, bisogna tener presente gli aspetti legali concernenti la protezione dei diritti d'autore, la trasmissione delle informazioni e la protezione dei dati personali, conformemente alle norme in vigore a livello nazionale ed europeo.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

53

Voti contrari

:

42

Astensioni

:

3

Punto 6.6

L'interconnessione dei registri delle imprese dovrebbe puntare a includere tutte le informazioni che si chiede di rendere pubbliche, a garantire che si possa accedere a queste informazioni nel file elettronico dell'impresa conservato nei registri nazionali, e ad assicurare la riduzione degli oneri amministrativi delle imprese senza imporre tasse supplementari, specialmente per le PMI.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

56

Voti contrari

:

33

Astensioni

:

3

Punto 6.7

È auspicabile promuovere la cooperazione e il partenariato tra le imprese che offrono servizi simili a quelli assicurati dalla nuova rete dei registri delle imprese.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

53

Voti contrari

:

40

Astensioni

:

1

Punto 1.3

Il CESE raccomanda di integrare gli obiettivi del Libro verde con due nuovi obiettivi:

la creazione di uno strumento previsionale (quale modalità gestionale di valutazione dell'evoluzione e dei risultati delle imprese dell'UE) sul quale basare le strategie e le politiche in questo settore a tutti i livelli, e

la garanzia di un incremento della cooperazione transfrontaliera.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

54

Voti contrari

:

38

Astensioni

:

1

Punto 1.8

Per realizzare gli obiettivi indicati nel Libro verde, il CESE propone di attuare una soluzione che consenta di integrare e valorizzare tutti i meccanismi e tutte le iniziative di cooperazione attualmente esistenti - specialmente EBR  (1) , BRITE  (2) ed e-Justice -, attraverso l'estensione di EBR e il suo sviluppo quale sistema interoperativo avanzato e innovativo (sotto forma di piattaforma informatica di servizi) e quale strumento efficace e previsionale di gestione, capace di assicurare l'interconnessione e l'interoperatività dei registri delle imprese di tutta l'UE, nonché l'incremento della cooperazione tra le imprese e la valutazione della loro evoluzione; questo strumento dovrebbe inoltre essere accessibile sul portale europeo Giustizia elettronica (e-Justice).

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

51

Voti contrari

:

37

Astensioni

:

7

Punto 1.10

Per le succursali estere il CESE è favorevole alla valorizzazione e allo sviluppo dei risultati del progetto BRITE e alla soluzione che prevede la notifica automatica tra i registri delle imprese.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

56

Voti contrari

:

33

Astensioni

:

3

Punto 1.11

L'istituzione di un organismo incaricato della gestione, dell'estensione e dello sviluppo della rete EBR e la garanzia dell'adeguato finanziamento di questo progetto attraverso fondi europei contribuiranno sia ad accelerare la costruzione di una rete che comprenda i registri delle imprese di tutti gli Stati membri, sia a realizzare nel breve-medio termine questi obiettivi.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

54

Voti contrari

:

38

Astensioni

:

1


(1)  EBR = European Business Register - Registro delle imprese europee.

(2)  BRITE = Business Register Interoperability Throughout Europe - Interoperabilità dei registri delle imprese in Europa.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/129


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Semplificare l'attuazione dei programmi quadro di ricerca»

COM(2010) 187 definitivo

2011/C 48/22

Relatore: Gerd WOLF

In data 29 aprile 2010, la Commissione europea ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Semplificare l'attuazione dei programmi quadro di ricerca

COM(2010) 187 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 1o settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15. e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1   L'efficienza e l'attrattiva dei programmi di ricerca dell'UE devono essere migliorate. Per questo è necessario facilitarne l'esecuzione.

1.2   Pertanto, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione e approva la sostanza delle proposte ivi contenute.

1.3   Inoltre, il Comitato accoglie con favore le conclusioni del Consiglio Competitività del 26 maggio 2010 sullo stesso tema.

1.4   La crescente diversificazione dei vari sottoprogrammi e dei rispettivi strumenti, con norme e procedure in parte molto differenti, è ormai diventata un problema cruciale del finanziamento europeo alla ricerca. Per i richiedenti e i beneficiari degli aiuti ne è risultata una complessità quasi ingestibile, resa ancora peggiore dalla diversità delle normative degli Stati membri e dei rispettivi organismi di erogazione degli aiuti.

1.5   Il CESE raccomanda pertanto un'armonizzazione graduale delle norme e procedure del settore, inizialmente per i finanziamenti dell'UE, ma a lungo termine anche per i rapporti fra Stati membri e con la Commissione. Solo in questo modo si potrà completare lo Spazio europeo della ricerca.

1.6   Il finanziamento europeo della ricerca necessita di un migliore equilibrio fra autonomia e controllo. Ciò vale sia per l'elaborazione delle norme che per la loro applicazione pratica. Il Comitato raccomanda di seguire un approccio all'insegna della fiducia, che dovrebbe diventare il punto centrale del finanziamento europeo alla ricerca. In quest'ottica, il CESE sostiene la proposta della Commissione di innalzare il livello di rischio di errore tollerabile nel settore della ricerca  (1).

1.7   Il Comitato inoltre, nello spirito della comunicazione della Commissione, propone altre misure concrete, quali:

il riconoscimento, ai sensi delle norme interne vigenti nei singoli Stati membri, delle pratiche contabili dei beneficiari degli aiuti,

un'applicazione pratica delle norme adeguata ed efficiente,

la possibilità di ricorrere a importi forfettari, ma non come foglia di fico per nascondere una riduzione dei finanziamenti: come base di calcolo si devono considerare i costi effettivi,

la massima coerenza e trasparenza possibile delle procedure,

la massima continuità e stabilità possibile delle norme giuridiche e delle procedure,

funzionari responsabili del coordinamento che siano esperti specializzati e riconosciuti a livello internazionale ed abbiano un'autonomia decisionale sufficiente,

una strategia di audit coerente e definita con procedure trasparenti,

il perfezionamento degli strumenti informatici,

la rimborsabilità dell'IVA,

semplificazioni specifiche per le PMI,

orientamenti (istruzioni operative) affidabili, chiari e tempestivi per i programmi e gli strumenti di finanziamento.

1.8   Riguardo alla proposta della Commissione di passare eventualmente, nel prossimo programma quadro, a un «finanziamento basato sui risultati» come metodo di finanziamento alternativo, il Comitato rimarrà sostanzialmente scettico fino a che non potrà giudicare in modo obiettivo, sulla base di una spiegazione dettagliata ed eloquente da parte della Commissione, cosa ciò debba o possa significare ad esempio dal punto di vista procedurale. Al di là di tutto, l'obiettivo primario che anima ogni finanziamento alla ricerca dovrebbe essere quello di ottenere conoscenze importanti e innovative e, a tal fine, scegliere la via migliore e più efficiente, nonché subordinare a tale obiettivo la formulazione delle norme e la loro applicazione.

1.9   Accanto alla semplificazione delle norme e delle procedure amministrative e finanziarie è però altrettanto importante semplificare anche le procedure scientifiche e tematiche di richiesta, valutazione e monitoraggio, per ridurre e armonizzare l'eccessiva sovraregolamentazione e la pletora di obblighi di rendicontazione, procedimenti di richiesta, procedure di analisi, valutazione, approvazione ecc., esistenti a livello europeo, nazionale, regionale e istituzionale.

2.   La comunicazione della Commissione

2.1   La comunicazione della Commissione ha l'obiettivo di semplificare ulteriormente l'attuazione del programma quadro di ricerca europeo e riguarda principalmente questioni di carattere finanziario.

2.2   La comunicazione individua tre direttrici per l'ulteriore semplificazione:

—   direttrice 1: razionalizzare la gestione delle proposte e delle sovvenzioni nell'ambito delle norme esistenti,

—   direttrice 2: adeguare le norme nell'ambito del sistema attuale basato sui costi,

—   direttrice 3: passare da un finanziamento basato sui costi a uno basato sui risultati.

2.3   La prima direttrice presenta i miglioramenti pratici dei processi e degli strumenti che la Commissione ha già iniziato ad attuare.

2.3.1   La seconda direttrice prevede cambiamenti delle norme esistenti per consentire un'accettazione più diffusa delle pratiche contabili correnti (tra cui i costi medi del personale), la riduzione delle disposizioni per diversi tipi di attività e di soggetti, una disposizione relativa agli amministratori-titolari delle PMI e una modifica del processo di selezione delle sovvenzioni. La maggior parte delle proposte di questa direttrice riguarda la concezione dei programmi quadro futuri.

2.3.2   La terza direttrice illustra opzioni per passare da un finanziamento basato sui costi a uno basato sui risultati. In questo modo si dovrebbe riuscire a concentrare le relazioni e i controlli maggiormente sul lato tecnico-scientifico anziché su quello finanziario.

3.   Osservazioni generali

3.1   Importanza, efficienza e attrattiva del programma quadro di R&S. Il programma quadro di R&S è uno degli strumenti più importanti volti a garantire e rafforzare la competitività e il benessere dell'Europa, a realizzare la nuova strategia Europa 2020 e a dare forma allo Spazio europeo della ricerca. È quindi necessario attuare il programma quadro di ricerca nel modo più efficiente possibile. Partecipare al programma deve essere interessante per i migliori scienziati e istituti, ma anche per l'industria e le PMI: occorre che valga la pena farne parte, e che sia un segno di distinzione. A tal fine sono indispensabili condizioni amministrative e finanziarie di efficienza e di interesse per i beneficiari degli aiuti.

3.2   Una semplificazione necessaria. Nel complesso vi è da tempo una chiara necessità di un miglioramento e di una semplificazione sostanziali di norme e procedure. Per questo il Comitato ha già più volte invocato una semplificazione delle procedure connesse con il ricorso al programma quadro di ricerca, e ha constatato con soddisfazione che le prime misure sono state attuate già nel Settimo programma quadro di R&S.

3.3   Le conclusioni del Consiglio. Per questi motivi, il Comitato accoglie con favore le conclusioni del Consiglio del 28 maggio 2010 (2). Le considerazioni e raccomandazioni del Comitato qui formulate dovrebbero servire anche ad approfondire e a corroborare le opinioni ivi espresse.

3.4   Un sostanziale accordo. In linea di principio, quindi, il Comitato accoglie con favore e sostiene l'iniziativa della Commissione e le intenzioni e le opzioni illustrate nella comunicazione. Molte delle misure proposte possono produrre significativi miglioramenti e hanno quindi il pieno appoggio del Comitato. Ciò vale ad esempio per la razionalizzazione della gestione delle proposte e delle sovvenzioni nell'ambito delle norme esistenti o per l'accettazione più diffusa delle pratiche contabili correnti dei beneficiari degli aiuti accettate a livello nazionale. Così, però, le cause fondamentali dell'attuale complessità non vengono eliminate, ma soltanto attenuate. Gli sforzi di lungo termine dovrebbero dunque puntare a rimuovere anche le cause fondamentali dei problemi nel quadro del mercato unico interno e dello Spazio europeo della ricerca.

3.5   La causa fondamentale dell'attuale complessità. Un problema cruciale del finanziamento europeo alla ricerca è la crescente diversificazione dei programmi e degli strumenti dell'UE. Gli strumenti e i programmi di sostegno sviluppati nel tempo seguono spesso norme e procedure proprie, a volte molto diverse (è il caso delle iniziative tecnologiche congiunte basate sull'articolo 187, delle iniziative di cui all'articolo 185, dell'IET, di ERA-Net, dei PPP, ecc.). Da ciò deriva una crescente complessità per i beneficiari degli aiuti, che a sua volta riduce non solo l'efficienza dei mezzi utilizzati, ma anche l'interesse del programma quadro per gli scienziati migliori e, in ultima analisi, compromette la buona riuscita del programma stesso.

3.5.1   Normative diverse da uno Stato membro all'altro. Questa complessità è resa ancora più grave dalla notevole diversità delle normative dei singoli Stati membri e dei rispettivi organismi di erogazione degli aiuti, che svolgono un ruolo essenziale, e spesso decisivo, nei progetti di sostegno. Per comprendere appieno la portata di questa problematica, va ricordato che, per quasi tutti i progetti finanziati dalla Commissione (con l'eccezione del Consiglio europeo della ricerca - CER), è necessaria la partecipazione di ricercatori ed organismi erogatori di almeno tre Stati membri!

3.6   Armonizzazione delle normative. Il Comitato raccomanda pertanto a tutti i soggetti responsabili per lo sviluppo dello Spazio europeo della ricerca di ridurre questa diversità e varietà di norme amministrative e finanziarie all'interno del programma quadro di R&S: abbiamo bisogno di un'armonizzazione/uniformazione e riduzione delle normative che disciplinano i programmi quadro di R&S. Bisogna individuare gli strumenti di sostegno del programma quadro che si sono dimostrati validi e portarli avanti in modo coerente. Per tutte le misure europee di sostegno della R&S all'interno dei programmi quadro è necessario giungere ad applicare un quadro giuridico unificato.

3.7   L'obiettivo successivo. L'obiettivo successivo sarebbe poi quello di muovere in direzione di un'unificazione degli strumenti di sostegno e delle procedure contabili (cfr. anche il punto 4.1) non soltanto all'interno del programma quadro di R&S, ma anche fra gli Stati membri e fra questi e la Commissione. In questo modo, fra l'altro, si potrebbero rimuovere alcuni dei noti ostacoli a una maggiore mobilità degli scienziati da un paese all'altro. Nel complesso si tratterebbe di un passo sostanziale verso il completamento dello Spazio europeo della ricerca. Anche se oggi quest'importante obiettivo sembra ancora un'utopia, occorre però lavorare con pazienza e costanza, eventualmente anche solo a piccoli passi, perché riuscirci sarebbe un progresso decisivo per arrivare a tale completamento.

3.7.1   Il pluralismo nella ricerca. Tali unificazioni non devono tuttavia limitare in alcun modo il pluralismo - che il Comitato reputa necessario - dei metodi, degli approcci e della scelta dei temi della ricerca (3). Il pluralismo (nella ricerca) non è uno spreco, ma uno strumento necessario per garantire l'ottimizzazione e l'evoluzione nella ricerca di nuove conoscenze e nuove capacità, nonché una condizione sine qua non per il progresso del sapere.

3.8   Equilibrio tra autonomia e controllo. Essenzialmente è necessario un rapporto adeguato fra autonomia e controllo, per quanto riguarda non solo la formulazione delle norme, ma anche la loro applicazione concreta. Anzi, non essendo ancora giunti a una semplificazione a livello normativo, una maggiore flessibilità e un certo pragmatismo nell'applicazione concreta delle norme diventano ancora più urgenti. Nell'applicazione e interpretazione delle norme, l'efficienza nell'esecuzione dei progetti e nell'uso delle risorse deve avere la precedenza rispetto alla prevenzione di qualunque rischio di errore. La formulazione astratta delle norme in materia di partecipazione e di quelle del regolamento finanziario crea infatti dei margini di discrezionalità, che andrebbero usati coerentemente con gli obiettivi di un sostegno ottimale alla ricerca e di una sana ed efficiente gestione delle risorse. Il Comitato richiama pertanto le sue precedenti raccomandazioni, che in sostanza invitavano a lasciare una maggiore autonomia decisionale ai responsabili in seno alla Commissione e quindi a garantire una maggiore tolleranza nei confronti di possibili errori. «Il timore di errori o di comportamenti sbagliati dei singoli non deve portare a una sovraregolamentazione e a una paralisi generalizzate. Questo vale ugualmente per il metodo di lavoro delle organizzazioni di sostegno alla ricerca e dei ricercatori».

3.9   Un approccio all'insegna della fiducia. Le omissioni o gli errori riscontrati nel calcolo dei costi sono perlopiù riconducibili alla complessità dei criteri di finanziamento e non perseguono in genere alcuno scopo fraudolento. Per questo, occorre distinguere più chiaramente fra omissioni, errori e frodi, e il CESE raccomanda al Consiglio, al Parlamento e alla Commissione di seguire un approccio all'insegna della fiducia e di farne il punto centrale del finanziamento europeo alla ricerca. In quest'ottica, il Comitato sostiene la proposta della Commissione di innalzare il livello di rischio di errore tollerabile per il settore della ricerca (4).

3.10   Funzionari competenti e impegnati. Per svolgere i suoi compiti in sede di attuazione del programma quadro di R&S, la Commissione necessita di funzionari esperti, la cui competenza specifica sia riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale (5). L'impegno di questi funzionari a ottenere risultati ottimali e a garantire un'attuazione efficiente del programma non deve pertanto essere ostacolato oltre misura dal timore di possibili errori di procedura e delle relative conseguenze, timore del tutto comprensibile vista la notevole complessità del sistema, il che significa anche che non si deve essere chiamati a rispondere oltre misura per gli errori commessi. Anche per questo è indispensabile arrivare a una semplificazione, a una certa flessibilità e a una maggiore chiarezza.

3.11   La trasparenza come meccanismo di controllo aggiuntivo. Il maggior margine di autonomia decisionale che il CESE raccomanda di concedere ai responsabili decisionali in seno alla Commissione ai fini di una maggiore efficienza comporta inevitabilmente la possibilità di ulteriori sviste o di favoritismi. Tuttavia, il Comitato ha sempre insistito sulla necessità di una completa apertura e trasparenza anche nel sostegno alla ricerca, in modo che il fatto che i soggetti interessati vengano informati e possano far udire la propria voce si risolva in un ulteriore correttivo contro eventuali degenerazioni.

3.12   L'importanza della continuità e della stabilità. La gestione di sistemi così complessi richiede un difficile processo di apprendimento e l'acquisizione di una pratica costante; ciò vale sia per i funzionari della Commissione che per i potenziali beneficiari degli aiuti, e in particolare per le PMI, che non possono permettersi di creare un proprio servizio giuridico solo per risolvere queste problematiche. La continuità affidabile della prassi, quindi, non soltanto aumenta la certezza del diritto, ma ha anche la funzione intrinseca di semplificare l'ulteriore gestione del sistema. Per questo, tutte le modifiche proposte, anche quando sono intese a perseguire fini di semplificazione, devono essere valutate in funzione della perdita di continuità e stabilità che potrebbero comportare: la semplificazione proposta deve apportare un chiaro valore aggiunto, a fronte della perdita di continuità e stabilità.

3.13   Semplificazione delle procedure scientifiche di richiesta e valutazione. Oltre alle norme e procedure amministrative e finanziarie (cfr. i punti 3.6 e 3.7), però, è altrettanto importante semplificare anche le procedure scientifiche e tematiche di richiesta, valutazione e monitoraggio, per «eventualmente condensare e ridurre allo stretto indispensabile l'eccessiva sovraregolamentazione e abbondanza di obblighi di rendicontazione, procedimenti di richiesta, procedure di analisi, valutazione, approvazione ecc., esistenti a livello europeo, nazionale, regionale e istituzionale». Il Comitato si rammarica che di questo aspetto non si faccia alcun cenno nella comunicazione della Commissione, e raccomanda una volta di più che quest'ultima, di concerto con gli Stati membri e i loro rappresentanti, si sforzi di «armonizzare ed unificare a livello istituzionale, nazionale ed europeo le molteplici, spesso ancora sovrapposte, procedure di richiesta, monitoraggio e valutazione». Si eviterebbe in questo modo un inutile impegno di ricercatori altamente qualificati, e più in generale di «capitale umano». Anche se, nell'ambito del Settimo programma quadro, sono già stati compiuti alcuni passi avanti in questa direzione, il più resta ancora da fare. Pensando alle possibili soluzioni, bisogna prestare attenzione a salvaguardare una partecipazione adeguata degli Stati membri ai diversi organi e comitati coinvolti nel processo decisionale in materia di finanziamenti.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Procedure contabili degli Stati membri. Il Comitato ritiene che l' accettazione più diffusa delle pratiche contabili correnti proposta dalla Commissione condurrebbe effettivamente a una notevole semplificazione, ma solo a condizione che ciò significhi - e che la Corte dei conti europea sia d'accordo - che in ciascuno Stato membro le norme nazionali vigenti in materia di finanziamenti alla ricerca siano applicabili anche alle procedure e ai calcoli nell'ambito del programma quadro di R&S. Il Comitato si rende ben conto che ciò può portare ad alcune disparità di trattamento, ma ritiene che si possa correre questo rischio in considerazione della semplificazione che ne deriverebbe. Il Comitato raccomanda quindi vivamente di dare attuazione effettiva, efficiente e illimitata a questa proposta della Commissione per tutte le categorie di costo, tenendo conto delle precisazioni qui fornite.

4.1.1   Rimborsabilità dell'IVA. In alcuni progetti di ricerca, anche l'IVA rientra nei costi sostenuti. In presenza di determinati presupposti, il regolamento finanziario dell'UE consente di riconoscere l'IVA tra le spese sovvenzionabili. Nella maggior parte dei programmi di finanziamento europei, questo principio viene già applicato. Per il futuro, quindi, il Comitato raccomanda di riconoscere l'IVA fra i costi rimborsabili anche nell'ambito dei programmi quadro di R&S.

4.2   Limitare la varietà di norme. Una limitazione della varietà di norme nei diversi programmi e strumenti appare necessaria e urgente (cfr. anche il punto 3.6). Tuttavia, non bisognerebbe adottare una soluzione unica per tutti i beneficiari degli aiuti, dato che un tale approccio non potrebbe tenere in debito conto le necessità dei vari partecipanti ai programmi quadro di R&S anche dal punto di vista della semplificazione. Per questo, almeno l'attuale distinzione fra organizzazioni dovrebbe rimanere inalterata. Il CESE raccomanda quindi di non introdurre il tasso di finanziamento unico per tutti i tipi di organizzazioni e di attività proposto a questo titolo dalla Commissione.

4.3   Autorizzare esperimenti. La limitazione della varietà di norme e la richiesta di continuità e stabilità delle normative (cfr. anche il punto 3.12) non devono però condurre a un irrigidimento del sistema. Nuovi strumenti dovrebbero innanzitutto essere ammessi a titolo sperimentale e messi alla prova prima di decidere se incorporarli nell'impianto normativo in vigore.

4.4   Definizioni e istruzioni univoche - «istruzioni per l'uso». Nei sistemi complessi, disporre di una definizione chiara e univoca di concetti, norme, procedimenti e processi è di decisiva importanza per consentire a tutti di lavorare con efficienza. Ciò vale anche per la possibilità di disporre per tempo di istruzioni e «istruzioni per l'uso» affidabili emesse dalla Commissione. Da una parte, tali istruzioni devono lasciare un margine di manovra sufficiente per tener conto in modo adeguato delle diverse situazioni dei beneficiari degli aiuti, dall'altra i beneficiari stessi devono potersi affidare a quanto indicato nelle istruzioni. Ciò non è in contraddizione con la necessaria flessibilità, ma anzi consente di utilizzarla al meglio. Sotto questo profilo, tuttavia, il Comitato ravvisa particolari problemi nell'ultima (e decisamente rivoluzionaria) parte delle proposte della Commissione (cfr. il successivo punto 4.8).

4.5   Una strategia di audit coerente. La futura strategia di audit della Commissione è un elemento essenziale del processo di semplificazione (cfr. anche i punti 3.9 e 4.1). Il Comitato raccomanda pertanto di ridefinire tale strategia, con l'obiettivo di aumentare l'efficienza del programma quadro di R&S e di semplificare le procedure amministrative. In tale contesto bisognerebbe anche esporre con chiarezza le condizioni in base alle quali vanno esaminate le pratiche contabili esistenti negli Stati membri, compreso il possibile calcolo dei tassi medi per le spese di personale.

4.6   Più elementi forfettari nell'approccio attuale basato sui costi. In linea di principio, il Comitato è favorevole a questa proposta della Commissione, che può riguardare tipi di costi anche molto diversi. La Commissione vede in quest'idea la possibilità di migliorare le condizioni di partecipazione per le PMI. Il Comitato, però, è d'accordo soltanto a condizione che l'assegnazione di importi forfettari copra le spese effettive, non sia una foglia di fico per nascondere una riduzione dei finanziamenti e rimanga sempre facoltativa.

4.6.1   I costi effettivi come base per il calcolo degli importi forfettari. In linea di principio, l'importo dell'aiuto finanziario, quindi anche degli elementi forfettari proposti, deve essere in linea coi costi effettivi sostenuti dal beneficiario. Solo un finanziamento del programma quadro di R&S di importo adeguato rende interessante anche per le organizzazioni più efficienti partecipare ai programmi europei di ricerca malgrado gli oneri amministrativi e di altro tipo che questo comporta, e solo così è possibile raggiungere gli obiettivi fissati in materia di concorrenzialità e capacità d'innovazione.

4.7   Strumenti informatici affidabili per la gestione dei progetti. L'impiego di sistemi su piattaforma web per l'intero svolgimento di un progetto, dalla fase di richiesta fino alla conclusione, può ridurre sensibilmente il lavoro amministrativo, sia per la Commissione sia per i richiedenti. Per questo, il Comitato accoglie con grande favore gli sforzi della Commissione in merito. Gli strumenti ideati dalla Commissione e quelli utilizzati dai richiedenti devono però poter interagire senza intoppi. Inoltre, anche se gli strumenti informatici ideati per il 7PQ facilitano i procedimenti all'interno della Commissione, l'onere non può essere scaricato sui richiedenti: software non maturi (come il NEF) e strutture incoerenti di documento (ad es. tra le diverse fasi dei progetti) causano un superfluo lavoro aggiuntivo per i richiedenti. Il Comitato raccomanda di tener conto di questo in ogni fase dei progetti ed in ciascuna delle direttrici, e di investire in futuro risorse maggiori nell'elaborazione degli strumenti informatici.

4.8   Passaggio da un finanziamento basato sui costi ad uno basato sui risultati. La Commissione propone una semplificazione di tipo nuovo e una modalità alternativa di finanziamento consistenti nel passare, già nell'Ottavo programma quadro di ricerca, da un sostegno basato orientato sui costi a uno basato sui risultati. Poiché l'obiettivo primario che anima ogni finanziamento alla ricerca deve essere quello di ottenere conoscenze innovative e conseguire risultati e, a tal fine, scegliere la via migliore e più efficiente, a prima vista l'idea sembra molto interessante: è chiaro che le norme e la loro applicazione dovrebbero servire ed essere subordinate proprio a quest'obiettivo.

4.8.1   Un iniziale scetticismo. La definizione a priori dei risultati di un progetto di ricerca appare peraltro problematica e presenta caratteri tipici della ricerca a contratto, il che solleva non soltanto problemi di assegnazione e fiscali, ma anche interrogativi sul concetto stesso di ricerca. Qual è il «risultato» della ricerca fondamentale? Per questo, il Comitato rimarrà scettico nei confronti di questa proposta fino a che non potrà giudicare in modo obiettivo, sulla base di una spiegazione dettagliata ed eloquente da parte della Commissione, cosa debba intendersi in concreto per «finanziamento basato sui risultati» e quali strumenti vadano applicati in tale contesto. Il Comitato vede una conferma del suo scetticismo nell'atteggiamento di prudenza della Commissione stessa, la quale spiega che «gli approcci basati sui risultati richiedono un'attenta definizione dei prodotti/risultati a livello dei singoli progetti e un'analisi organica allo scopo di fissare gli importi forfettari…». Il CESE raccomanda di procedere a una discussione attenta e ponderata fra tutte le parti potenzialmente interessate, da cui dovrebbe scaturire anche e innanzitutto una comunicazione chiarificatrice sul concetto di «finanziamento basato sui risultati», prima di adottare misure concrete in proposito.

4.8.2   Studio di fattibilità e definizioni. Per i motivi sopra esposti, il Comitato accoglierebbe con favore uno studio di fattibilità (cfr. anche il punto 4.3) sul «finanziamento basato sui risultati» che gli consentisse di valutare in modo obiettivo le opportunità concrete, i rischi, i problemi e le possibilità di semplificazione dell'eventuale passaggio, nei finanziamenti alla ricerca, a un'impostazione di questo tipo. Anziché il «finanziamento della ricerca basato sui risultati», forse sarebbero più adatti concetti come «finanziamento dei progetti basato sulla ricerca (6) (TRANS E science-based funding)» o «finanziamento della ricerca basato sui programmi».

4.8.3   Considerazione delle esigenze particolari delle PMI. Vincolare il finanziamento di un progetto a risultati da raggiungere in un secondo tempo e ancora non certi potrebbe causare problemi soprattutto alle piccole e medie imprese. Se la decisione della Commissione di concedere un finanziamento dovesse rimanere a lungo un'incognita, ottenere ad esempio un finanziamento aggiuntivo eventualmente necessario potrebbe rivelarsi difficoltoso.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. anche COM(2010) 261 definitivo.

(2)  Consiglio dell'Unione europea, 28 maggio 2010 - Programmi semplificati e più efficaci a sostegno della ricerca e dell'innovazione europee - Conclusioni del Consiglio 10268/10.

(3)  GU C 44 del 16.02.2008, pag. 1, punti 1.10 e 3.14.1.

(4)  Cfr. anche COM(2010) 261 definitivo.

(5)  Il CESE richiama il parere GU C 44 del 16.02.2008, pag. 1, al cui punto 1.12 esso raccomandava già quanto segue: «Il Comitato reputa necessario che negli organismi di sostegno alla ricerca, come pure, in particolare, in seno alla Commissione, lavorino anche funzionari competenti e di comprovata eccellenza scientifica che abbiano e mantengano una conoscenza ottimale e consolidata del settore in questione e delle sue particolarità, oltre che della relativa comunità scientifica (una costante rotazione del posto di lavoro è in questo caso controproducente)».

(6)  Proposta del gruppo di lavoro informale “Implementation FP7”, presieduto dall'eurodeputato Herbert REUL.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/134


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/68/CE per quanto riguarda le disposizioni per i motori immessi sul mercato in regime di flessibilità»

COM(2010) 362 definitivo — 2010/0195 (COD)

2011/C 48/23

Relatore unico: PEZZINI

Il Consiglio e il Parlamento europeo, in data 7 settembre 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/68/CE per quanto riguarda le disposizioni per i motori immessi sul mercato in regime di flessibilità

COM(2010) 362 definitivo - 2010/0195 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che l'obiettivo dell'immissione sul mercato europeo di motori mobili non stradali - NRMM - con emissioni di monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi e particolato  (1) sempre più ridotte e sempre più rispettosi dell'ambiente, sia ineludibile e risponda agli obiettivi di riduzione delle emissioni pericolose per la salute e climalteranti che l'UE si è posta, all'orizzonte del 2020.

1.2   Il Comitato è altrettanto convinto che, soprattutto in un periodo di crisi globale, nel campo finanziario, economico e occupazionale, occorra assicurare all'industria europea, produttrice di motori NRMM:

adeguati livelli di competitività,

possibilità e tempi per la ricerca e per lo sviluppo tecnologico,

adeguati livelli di flessibilità per le applicazioni produttive innovative e per le modifiche necessarie nelle installazioni (2), che permettano, senza rischi di crisi occupazionali, di raggiungere e rispettare i valori limite di emissioni previsti.

1.3   Il Comitato appoggia la proposta della Commissione, intesa a portare al 50 % la percentuale di flessibilità per i settori già coperti da meccanismi di flessibilità, previsti dalla direttiva NRMM (3), e di adattare il numero totale dei motori da immettere sul mercato ai meccanismi previsti, nonché di includere le automotrici ferroviarie e le locomotive nel meccanismo di flessibilità, riservando loro una percentuale di flessibilità del 20 %.

1.4   Come già sottolineato in precedenza dal Comitato (4), «L'omologazione di motori che funzionano con combustibili di riferimento garantisce un loro adeguamento ai valori limite della Fase III B ma le emissioni saranno conformi a tali valori solo se i carburanti adeguati saranno realmente presenti sul mercato».

1.4.1   Vista la tecnologia necessaria, per raggiungere i limiti previsti dalla Fase III B (5) delle emissioni di particolato e di NOx  (6), il tenore di zolfo del carburante deve scendere sotto i livelli attuali in numerosi Stati membri, e appare necessario definire le caratteristiche del carburante di riferimento.

1.5   Per poter centrare gli obiettivi, il Comitato ritiene necessaria non solo la fissazione di valori limite rigorosi, ma anche procedimenti di prova aderenti alle situazioni concrete, limitando l'uso di prove di laboratorio che diano risultati teorici, e metodologie contraddittorie di controllo delle emissioni. Risulta altresì necessario rilevare, in modo preciso, il comportamento dei gas di scarico delle macchine mobili non stradali durante il loro uso effettivo, e non il comportamento e le emissioni dei soli motori testati sul banco di prova.

1.6   Il Comitato sottolinea le proprie preoccupazioni per quanto concerne il rispetto delle date previste per l'entrata in vigore della Fase III B e della Fase IV, e delle relative procedure di omologazione, e si domanda se non sia opportuno ritardare di due anni la data di realizzazione della Fase III B e di tre anni quanto previsto per la Fase IV, con lo scopo di assicurare un concreto e pieno rispetto di quanto prescritto.

1.7   Il Comitato ritiene che i meccanismi flessibili di adeguamento ed i tempi di realizzazione del passaggio tra le diverse Fasi siano particolarmente gravosi e impegnativi per le PMI, dato che i costi previsti, per i macchinari e per i motori, e soprattutto quelli necessari per la RST e per la valutazione di conformità appaiono, evidentemente, assai più gravosi per l'impresa minore che per i grandi complessi industriali.

1.8   Secondo il Comitato, visto che «Il degrado meccanico delle macchine non stradali rischia di essere più rapido di quello dei rispettivi motori» (7), è importante considerare le emissioni prodotte durante tutta la vita utile dei motori, anche dopo la sostituzione delle parti meccaniche della macchina, e introdurre requisiti tecnici di durata, universalmente accettati, che consentano di evitare il deterioramento dei livelli di emissioni, che avviene con il passare del tempo.

1.9   Il Comitato ritiene che le schede di omologazione previste all'allegato I dovrebbero includere non solo un campione delle marcature di immissione sul mercato, in regime di flessibilità, e un campione della marcatura aggiuntiva, ma anche una descrizione particolareggiata dei dispositivi obbligatori, che consentano il rispetto dei valori limite previsti dalle disposizioni in virtù delle quali sono state omologate.

1.10   Il Comitato ritiene fondamentale la promozione di sforzi congiunti, a livello europeo e internazionale, per l'elaborazione di standard tecnici univoci e accettati da tutti, con lo scopo di promuovere scambi a livello globale nel settore, armonizzando sempre più i limiti di emissione vigenti nella Comunità con quelli applicati o previsti nei paesi terzi.

1.11   Il CESE raccomanda la redazione di linee guida applicative aggiornate al fine di agevolare l'applicazione delle disposizioni previste dalle varie fasi, non solo da parte dei produttori di motori ma anche e soprattutto da parte dei produttori dei macchinari, insieme con un esercizio di foresight partecipativo sugli orizzonti di tutela ambientale NRMM e sulle possibilità di incentivare l'uso di Ecolabel nel settore.

1.11.1   È necessario che la campagna informativa faccia comprendere, non solo ai produttori di NRMM e delle macchine in cui sono integrati i motori modificati, ma anche ai consumatori finali, l'esigenza di una corretta applicazione delle disposizioni previste dalle varie fasi di sviluppo delle attività a più basso contenuto di emissioni, sviluppando nuovi profili professionali e di utenza «verdi», anche con un sistema europeo di certificazione delle nuove competenze e adeguati meccanismi di sostegno, con l’aiuto delle parti sociali e delle autorità pubbliche.

2.   Introduzione

2.1   La direttiva 97/68/CE (NRMM - Non-Road Mobil Machinery) riguarda motori ad accensione per compressione di potenza compresa tra i 18 kW e i 560 kW. Essa fissa i limiti per le emissioni di monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi e particolato. La direttiva stabilisce valori limite sempre più contenuti, per diverse fasi, corrispondenti a diverse date, previste per l'adeguamento dei livelli massimi emessi dai gas di scarico dei:

motori diesel installati in macchine da cantiere,

macchine per uso agricolo e forestale,

automotrici ferroviarie e locomotive,

navi adibite alla navigazione interna,

motori a velocità costante,

piccoli motori a benzina, impegnati in diversi tipi di macchine.

2.2   Le normative NRMM, sulle quali il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi a più riprese (8), sono state nel tempo sottoposte a varie modifiche con la direttiva 2001/63/CE, con la direttiva 2002/88/CE e con la direttiva 2004/26/CE. Quest'ultima ha introdotto schemi di flessibilità per facilitare la transizione verso i differenti livelli di emissioni permesse.

2.3   Ultimamente, la direttiva 2010/26/UE della Commissione, del 31 marzo 2010, ha concesso alcune proroghe dei periodi di deroga previsti per i motori a benzina (con accensione comandata) utilizzati per determinate attrezzature portatili, spostandoli al 31 luglio 2013, e ha chiarito alcuni meccanismi tecnici di omologazione che sono necessari per rispettare i requisiti della fase III B. Essa ha inoltre semplificato la procedura amministrativa per le domande nel quadro del regime di flessibilità.

2.4   Normative similari esistono negli Stati Uniti ed in minor misura in Giappone, mentre altre importanti aree economiche come la Cina, l'India, la Russia o il Brasile non prevedono disposizioni in materia.

2.5   Gli schemi di flessibilità introdotti rispondono alle esigenze di permettere alla imprese di adeguarsi ai nuovi standard, dal momento che le soluzioni tecniche che permettano ai motori di rispettare i valori limite della Fase III B «Non sono generalmente ancora state completate» e «I costruttori di macchinari hanno bisogno di intensificare le loro attività di ricerca e sviluppo, per assicurare che i motori conformi alla Fase III B siano messi sul mercato nei tempi stabiliti» (9).

2.6   D'altra parte, l'industria europea produttrice di NRMM è stata colpita in modo rilevante, dall'autunno 2008, dalle ripercussioni della crisi economica e finanziaria globale, soprattutto nei settori dei macchinari per l'edilizia (10) e dei macchinari agricoli.

2.6.1   Per salvaguardare lo sviluppo dell'industria, in un quadro di tutela ambientale occorre:

mantenere la competitività dell'industria europea dei NRMM attenuando le pressioni immediate della crisi economica,

permettere all'industria di continuare a finanziare le attività di RST, a favore di tutti i tipi di prodotto, nel corso della Fase III B,

limitare le emissioni, sostituendo i NRMM vecchi con motori più puliti.

2.7   Il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da adottare contro l'emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante, prodotti dai motori a combustione interna destinati all'installazione su macchine mobili non stradali, è regolato da disposizioni comunitarie, con ridotti meccanismi di flessibilità, che stabiliscono valori limite di emissione sempre più contenuti nelle date già programmate per l'adeguamento.

2.8   La Commissione si è posta come obiettivo l'attenuazione, per quanto possibile, delle rigidità introdotte, per tener conto dell'impatto della crisi economica e delle necessità di moltiplicare gli sforzi necessari per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, per le innovazioni applicative e per la standardizzazione tecnica.

3.   La proposta di modifica della direttiva

3.1   La presente proposta prevede le seguenti modifiche alla direttiva 97/68/CE.

3.1.1

Un aumento della percentuale del numero di motori utilizzati su macchine operanti a terra, immesse sul mercato, nel quadro del regime di flessibilità, in ogni categoria di motore. Un incremento, dal 20 % al 50 %, delle vendite annue di macchinari degli OEM - Original Equipment Manufacturers - nonché, in alternativa, un adattamento del numero massimo di motori che possono essere immessi sul mercato, nel quadro del regime di flessibilità, durante il periodo che separa la Fase III A dalla Fase III B.

3.1.2

La possibilità di aggiungere i motori utilizzati per la propulsione di automotrici ferroviarie e di locomotive al regime di flessibilità. Ciò consente agli OEM di immettere sul mercato un numero minore di motori nel quadro del regime di flessibilità.

3.1.3

I termini di scadenza di tali misure sono indicati al 31 dicembre 2013.

3.2   L'opzione proposta prevede, quindi, il rafforzamento del regime di flessibilità esistente e la sua estensione a settori non ancora inclusi. Questa soluzione viene ritenuta la più adeguata, in termini di equilibrio tra l'impatto ambientale e i benefici economici conseguiti, grazie ad una riduzione dei costi necessari per consentire al mercato di conformarsi ai nuovi limiti di emissione.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE appoggia l'orientamento della Commissione, volto ad assicurare maggiore flessibilità nell'applicazione delle varie fasi di implementazione dei valori limite permessi pei i NRMM in termini di emissioni di monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi e particolato.

4.2   Il CESE condivide le preoccupazioni della Commissione di salvaguardare i livelli competitivi e occupazionali dell'industria europea dei NRMM di fronte alle ripercussioni della crisi finanziaria ed economica internazionale, ma, al contempo, la necessità di perseguire elevati livelli di tutela dell'ambiente e del benessere dei cittadini europei.

4.3   Come già in precedenti pareri sulle proposte legislative relative alla riduzione delle emissioni avanzate dalla Commissione, il Comitato conferma il suo sostegno a tutte le iniziative comunitarie che abbiano come scopo il raggiungimento di concreti traguardi nella riduzione dei gas ad effetto serra, considerando ciò un aspetto fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici e nella tutela dell'ambiente e della salute.

4.4   Il Comitato appoggia quindi la proposta della Commissione intesa a portare al 50 % la percentuale di flessibilità per i settori già coperti da meccanismi di flessibilità, previsti dalla direttiva NRMM del 1997 e successive modifiche, oltre a includere le automotrici ferroviarie e le locomotive nel meccanismo di flessibilità, con una percentuale di flessibilità del 20 % sulle vendite annue di macchinari dotati dei motori che fanno parte della categoria prevista.

4.5   Il CESE ribadisce ancora una volta (11) che le emissioni saranno conformi a tali valori solo se i relativi carburanti saranno realmente presenti sul mercato e avverte che - vista la tecnologia necessaria per raggiungere i limiti di Fase III B e IV delle emissioni di particolato e di NOx - il tenore di zolfo del carburante deve scendere sotto i livelli attuali in numerosi Stati membri e risulta necessario definire un unico carburante di riferimento, che sia coerente con la realtà del mercato dei carburanti (12).

4.6   Il Comitato sottolinea, altresì, la complessità e la delicatezza di questo riesame che, da una parte, deve, con validi motivi, mirare alla riduzione ulteriore delle emissioni di monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi e particolato; dall'altra, deve evitare di indebolire la competitività dei settori interessati che operano in un mercato globale estremamente concorrenziale e che sta attraversando una crisi di dimensioni impressionanti.

4.7   Al riguardo, il CESE ritiene fondamentale la promozione di sforzi congiunti, a livello europeo ed internazionale, per l'elaborazione di standard tecnici univoci e accettati da tutti per promuovere gli scambi globali, con lo scopo di armonizzare, sempre più, i limiti di emissione vigenti nella Comunità con quelli applicati o previsti nei paesi terzi.

4.8   Il CESE fa proprie le preoccupazioni, espresse da coloro che evidenziano i timori di un impatto eccessivamente elevato sui costi industriali, sui costi di RST e di valutazione di conformità dei NRMM. Tali costi potrebbero, se non preventivati e diluiti nel tempo, mettere a repentaglio i livelli occupazionali dei settori interessati.

4.9   Il CESE rileva che per poter centrare gli obiettivi è necessario non solo fissare valori limite rigorosi, ma anche procedimenti di prova aderenti alle situazioni concrete, impedendo l'uso di risultati acquisiti solo in laboratorio, di strategie contraddittorie nel controllo delle emissioni; mirando a rilevare, in modo preciso e univoco, il comportamento dei gas di scarico delle macchine mobili non stradali, nell'uso effettivo, e non solo la loro resa sul banco di prova (13).

4.10   Un'attenzione particolare meritano le PMI del settore, per le quali il Comitato ritiene che i meccanismi flessibili di adeguamento, i tempi di realizzazione e i tempi previsti per il passaggio tra le diverse fasi siano particolarmente onerosi, dati i costi per adeguare i macchinari e i motori, che sono sempre assai più gravosi per l'impresa minore rispetto a quelli affrontati dai grandi complessi industriali.

4.10.1   Il CESE raccomanda che vengano redatte linee guida applicative aggiornate al fine di agevolare l'applicazione delle disposizioni previste dalle varie fasi di realizzazione non solo da parte dei produttori di motori OEM, ma anche e soprattutto da parte dei produttori dei macchinari in cui tali motori devono essere inseriti, accompagnandole anche da manuali delle migliori pratiche, insieme con un esercizio di foresight partecipativo sugli orizzonti di tutela ambientale NRMM e sulle possibilità di incentivare l'utilizzo di Ecolabel nel settore.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Il Comitato sottolinea le proprie preoccupazioni per quanto concerne il rispetto delle date previste per l'entrata in vigore della Fase III B e della Fase IV, e delle relative procedure di omologazione.

5.1.1   Il CESE si domanda se non sia opportuna la proroga di due anni della data di implementazione per la Fase III B, e di tre anni per la Fase IV, e ciò per assicurare un concreto e pieno rispetto di quanto stabilito.

5.2   Per quanto riguarda l'Allegato I, il Comitato ritiene che le schede di omologazione previste dovrebbero includere non solo un campione delle marcature di immissione sul mercato, in regime di flessibilità, e della marcatura aggiuntiva, ma anche una descrizione particolareggiata dei dispositivi obbligatori, per il rispetto dei valori limite previsti dalle disposizioni in virtù delle quali sono state omologate.

5.3   Infine il Comitato ritiene opportuno che la Commissione presenti una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio ed al Comitato stesso, la quale, sulla base dei dati forniti dalle imprese produttrici, dagli utenti e dagli Stati membri, evidenzi lo stato di applicazione della direttiva proposta e il suo impatto, sia in termini di validità nel mercato del lavoro, sia in termini di riduzione concreta delle emissioni e del contributo dei NRMM alla tutela ambientale e alla realizzazione degli obiettivi UE «20-20-20».

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  CO; NOx; HC; PM.

(2)  I costruttori delle macchine devono rivedere integralmente il progetto delle strutture che devono contenere i nuovi motori.

(3)  Direttiva 97/68/CE.

(4)  GU C 220 del 16.9.2003, pag. 16.

(5)  Dal 1o gennaio 2011.

(6)  Cfr. nota 1.

(7)  Cfr. nota 4.

(8)  GU C 407 del 28.12.1998; GU C 260 del 17.9.2001, pag. 1; GU C 220 del 16.9.2003, pag. 16.

(9)  SEC(2010) 829 del 7 luglio 2010, che accompagna la proposta COM(2010) 362 definitivo.

(10)  http://ec.europa.eu/enterprise/sectors/mechanical/non-road-mobile-machinery/publications-studies/index_en.htm.

(11)  Cfr. nota 4.

(12)  Cfr. la direttiva 2003/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 marzo 2003 che modifica la direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel.

(13)  Cfr. in particolare i lavori in sede UNECE con riferimento al protocollo di prova delle emissioni di scarico delle macchine mobili non stradali (NRMM) – Progetto di regolamento tecnico globale sulla procedura di prova per i motori ad accensione spontanea destinati ad essere installati su trattori agricoli e forestali e su macchine mobili non stradali, per quanto riguarda le emissioni inquinanti dei motori.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/138


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pedopornografia, che abroga la decisione quadro 2004/68/GAI»

COM(2010) 94 definitivo — 2010/0064 (COD)

2011/C 48/24

Relatrice: SHARMA

Il Consiglio e il Parlamento europeo, in data 22 luglio 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pedopornografia, che abroga la decisione quadro 2004/68/GAI

COM(2010) 94 definitivo — 2010/0064 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, nessun voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condanna con forza l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e plaude alla Commissione per aver sostituito la decisione quadro 2004/68/GAI con una nuova direttiva più obiettiva che rafforza l'impegno europeo nella lotta contro gli abusi sui minori. La gravità dei reati, la portata dei danni arrecati e il livello di rischio e vulnerabilità dei bambini nel mondo non devono mai essere sottovalutati. La loro protezione a tutti i livelli deve essere una priorità, e deve essere data la massima assistenza alle vittime e agli autori degli abusi nel processo di riabilitazione, al fine di promuovere la futura protezione sociale.

1.2

Il CESE ribadisce l'invito rivolto agli Stati membri che non l'abbiano ancora fatto, e all'UE, nel quadro del nuovo Trattato di Lisbona, a sottoscrivere e ratificare urgentemente la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali e il Protocollo opzionale alla Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo concernente la vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, affinché l'UE possa rivedere in maniera efficace il trattamento da riservare ai cittadini europei colpevoli di abusi sui minori (1). Nel contesto degli accordi bilaterali l'UE avrebbe una certa influenza da usare per persuadere altri paesi europei, come la Russia e la Bosnia-Erzegovina, a firmare la Convenzione. L'integrazione di disposizioni della Convenzione nella legislazione dell'UE sarà più efficace, rispetto al processo nazionale di ratifica, nel facilitare un'adozione rapida delle misure nazionali, e garantirà un migliore monitoraggio dell'attuazione.

1.3

Certo è importante disporre di un quadro normativo per perseguire e condannare gli autori di atti di sfruttamento e di abusi sessuali, ma la prevenzione dev'essere messa al primo posto in tutta Europa e praticata in parallelo ai meccanismi legislativi. La prevenzione, che pure è uno degli obiettivi dichiarati della direttiva, non vi viene trattata in misura sufficiente. Il CESE potrebbe presentare un parere che esamini le azioni preventive in uso presso la società civile e i governi di tutto il mondo mettendo in evidenza le migliori pratiche.

1.4

Il CESE raccomanda di costituire una piattaforma per lo scambio di buone pratiche nel settore della repressione, utilizzando meccanismi legislativi e non legislativi per sviluppare gli strumenti metodologici e la formazione. In tale contesto si dovrebbe intensificare la cooperazione con le organizzazioni della società civile, le parti sociali e le ONG per promuovere l'informazione e la sensibilizzazione a livello locale.

1.5

Il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo, che si trovano in una posizione autorevole e privilegiata, ad esercitare congiuntamente la loro influenza su paesi terzi, in particolare nelle regioni sviluppate del mondo (ad esempio Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Russia) chiedendo l'eliminazione dei siti Internet che ospitano materiale che mostra abusi sessuali su minori. L'UE deve essere più ferma nel chiedere un'azione responsabile all'ICANN (2).

1.6

Per il CESE la priorità è l'eliminazione dei siti web contenenti materiale che mostra abusi sessuali su minori; ove tale eliminazione risulti impossibile si dovrebbe procedere al loro blocco. In tale contesto il CESE potrebbe elaborare, sulla base di una consultazione delle parti in causa e della società civile, un parere sulle implicazioni dell'eliminazione e del blocco.

1.7

Il CESE invita gli Stati membri a utilizzare l'opportunità offerta da questa nuova direttiva per aprire un dibattito sulla definizione di un'età minima del consenso sessuale in tutta Europa. Nel contesto della mobilità, dell'immigrazione e del cambiamento dei valori sociali in Europa bisognerebbe discutere l'impatto delle «tradizioni» su tale questione.

1.8

Il CESE invita la Commissione a fornire definizioni chiare di alcuni termini che potrebbero essere all'origine di ambiguità nel recepimento nelle legislazioni nazionali.

1.9

Il CESE chiede che la direttiva introduca tempi di prescrizione uniformi in tutti gli Stati membri e, quando ciò risulti appropriato, si spingerebbe fino a suggerire di far decorrere detti tempi di prescrizione dal momento in cui la vittima compie 18 anni.

1.10

Il CESE è stato assistito nel suo lavoro da numerose ONG e da esperti che lavorano nel settore della tutela dei minori. Le loro raccomandazioni riguardo la nuova direttiva figurano sui loro siti web (3). Il CESE riconosce il lodevole lavoro svolto da tutte le ONG che operano nel mondo per proteggere i bambini e si compiace con le istituzioni europee, con il Consiglio d'Europa e con le Nazioni Unite per i meccanismi legali che forniscono nel settore della tutela contro lo sfruttamento sessuale dei minori.

2.   Contesto e obiettivi della nuova direttiva

2.1

L'UE ha riconosciuto i diritti dei bambini nell'articolo 3 (TUE) del Trattato di Lisbona, come pure nella sua Carta dei diritti fondamentali, specie all'articolo 24 e nella sua base giuridica, che stabilisce l'obbligo attivo di intervenire per garantire la necessaria protezione del bambino. Secondo la Carta, in tutti gli atti relativi ai minori l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente, in linea con la Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo. Questo principio si è tradotto, nelle politiche interne ed esterne dell'UE, in una politica mirata di promozione, protezione e rispetto dei diritti dei minori che incorpora la strategia dell'UE per i giovani.

2.2

In linea con le proposte per la prevenzione e la lotta al traffico di esseri umani e per la protezione delle vittime, nonché col programma «Internet più sicuro», la nuova direttiva punta a introdurre nell'ordinamento degli Stati membri norme più concrete di procedura e di diritto penale riguardanti la protezione dei minori. L'efficacia delle misure di prevenzione sarà rafforzata in tutta l'UE, prevenendo i casi in cui gli autori dei reati decidono di commetterli negli Stati membri che hanno norme meno severe. L'esistenza di definizioni comuni consentirebbe di promuovere lo scambio di dati comuni utili, aumentare la comparabilità dei dati e facilitare la cooperazione internazionale.

2.3

La nuova direttiva riguarderà:

i nuovi reati tecnologici, compreso l'adescamento in rete (grooming),

l'assistenza nello svolgimento delle indagini e dell'azione penale,

il perseguimento dei reati commessi all'estero da cittadini e residenti abituali dell'UE, che dovranno rispondere alla giustizia anche se compiranno i propri crimini al di fuori dell'UE,

nuove disposizioni relative alla protezione delle vittime, per garantire loro un facile accesso ai mezzi di ricorso senza che debbano subire conseguenze per la loro partecipazione al procedimento penale,

la prevenzione dei reati mediante azioni incentrate sulle persone con precedenti specifici per prevenirne la recidiva e limitare l'accesso alla pedopornografia su Internet.

3.   Osservazioni generali sulla relazione

3.1

Considerato che, conformemente alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, nell'applicare qualsiasi misura di lotta contro questi reati deve essere considerato preminente l'interesse superiore del bambino, il CESE sostiene la decisione di rispettare il principio di sussidiarietà, aggiornando, estendendo e rafforzando la legislazione nazionale. Gli Stati membri devono poter escludere il requisito della doppia incriminabilità per stabilire la giurisdizione extraterritoriale sui reati e dovrebbero avere l'autorità di perseguire tutte le forme di abuso sessuale sui minori.

3.2

Le norme esistenti e quelle nuove devono essere applicate meglio e monitorate dalla Commissione, con il sostegno di Europol e delle agenzie responsabili dell'applicazione, per garantire che la protezione dei minori sia una priorità. Occorre stabilire principi e criteri comuni per determinare il livello di gravità dei reati di abuso e di sfruttamento sessuale. Il CESE raccomanda di costituire una piattaforma per lo scambio di buone pratiche nel settore della repressione, utilizzando meccanismi legislativi e non legislativi per sviluppare gli strumenti metodologici e la formazione. In tale contesto si dovrebbe intensificare la cooperazione con le organizzazioni della società civile, le parti sociali e le ONG per promuovere l'informazione e la sensibilizzazione a livello locale.

3.3

I casi di grande risonanza pubblica, soprattutto quelli con presunte implicazioni politiche o religiose o con ripetizione del reato, devono essere monitorati in modo trasparente a livello UE, per evitare ogni recidiva (4).

3.4

Per rafforzare i meccanismi di prevenzione e ridurre la vulnerabilità delle vittime, la direttiva dovrebbe inoltre essere coerente con altre politiche dell'UE, come quelle in materia di sicurezza sociale, istruzione, famiglia, occupazione e agenda digitale. Le categorie particolarmente vulnerabili di minori esposti ad alto rischio comprendono gli immigrati e i richiedenti asilo, i minori non accompagnati, quelli socialmente svantaggiati, emarginati, disabili, dati in affido o che vivono in famiglie con precedenti di violenze e abusi.

3.5

Le informazioni sull'applicazione della legge provenienti dagli USA e dall'Europa mostrano una forte correlazione tra lo scaricamento da Internet di materiale che mostra abusi sessuali su bambini in età preverbale e gli abusi sessuali inflitti ai minori nella realtà. Attribuendo le sanzioni solo sulla base dei contatti effettivi si rischia di esporre più bambini (in particolare i più piccoli) a gravi abusi.

3.6

Il 92 % del materiale che mostra abusi sessuali su minori è ospitato su server di America settentrionale, Europa e Russia (5). Il CESE ritiene che la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo si trovino in una posizione privilegiata e di forza per esercitare pressione sulle controparti internazionali, in particolare nelle regioni sviluppate del mondo, chiedendo l'eliminazione dei siti Internet che ospitano tale materiale.

3.7

Occorre promuovere maggiormente presso i cittadini una «cultura della cibersicurezza» e l'Agenda digitale europea (6). Con l'aumento della condivisione peer to peer di immagini che mostrano abusi su minori (7) e dell'adescamento sulle reti sociali diventa urgente adottare misure per individuare e perseguire i colpevoli di abusi, quanti visionano i siti o le immagini e i fornitori di servizi che li ospitano. Occorre parimenti ricostruire e bloccare il flusso di operazioni finanziarie effettuate per accedere alle immagini che mostrano abusi sessuali su minori. Esistono tecnologie che consentono di individuare tutti gli anelli della catena degli abusi, e l'UE deve essere più ferma nel chiedere un'azione responsabile all'ICANN (8).

3.8

La direttiva è chiaramente incentrata sull'interesse superiore del bambino e sulla protezione dei minori. Vi è però una generale mancanza di dettagli sulle misure «preventive» da applicare. La prevenzione dev'essere messa al primo posto in tutta Europa e praticata in parallelo ai meccanismi legislativi. La Commissione ha poche competenze in materia di prevenzione ma, attraverso la direttiva, dovrebbe promuovere e creare meccanismi per consentire agli altri soggetti di applicare misure preventive.

3.9

Si potrebbero chiedere ulteriori fondi per espandere i programmi della Commissione nel contesto della prevenzione (per esempio Daphne e il programma quadro) e per svilupparne di nuovi, che sarebbero realizzati dagli interlocutori della società civile. Il CESE ritiene che un efficace meccanismo preventivo potrebbe consistere nell'istruire l'opinione pubblica in merito all'esistenza di leggi specifiche rivolte a punire specifici comportamenti dannosi per i minori.

3.10

Per prevenire gli abusi sessuali sui minori è essenziale l'intervento, combinato all'applicazione di sanzioni giuridiche. Il CESE propone pertanto di modificare il testo della sezione intitolata «Motivazione e obiettivi», aggiungendo, dopo «Gli obiettivi specifici saranno: perseguire efficacemente i reati; tutelare i diritti delle vittime; impedire l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori» le parole «anche grazie alla rapida individuazione delle giovani vittime da parte di personale adeguatamente istruito e a un intervento incentrato sui bambini e destinato alle vittime e ai responsabili dei reati».

3.11

Occorre considerare se non sia il caso di introdurre azioni per la prevenzione e il perseguimento degli abusi peer to peer e del commercio di immagini. Con l'aumento della condivisione di file e dell'adescamento sulle reti sociali diventa urgente adottare misure per individuare e perseguire gli autori di abusi, quanti visionano i siti e i server che li ospitano.

3.12

La proposta sottolinea, nella sezione «Motivazione e obiettivi», che «in Europa una minoranza significativa di minori è esposta nell'infanzia al rischio di violenze sessuali». Va anche considerata la minaccia cui sono esposti i minori fuori dall'Europa: un bambino è un bambino dovunque si trovi nel mondo, e deve essere protetto dai delinquenti sessuali itineranti provenienti dall'Europa che abusano dei bambini europei e non europei.

3.13

Il termine «pedopornografia» andrebbe sostituito, nel titolo, nelle definizioni e nel testo, da «immagini o materiale che mostrano abusi sessuali su minori». Il termine «pornografia» è associato all'erotismo.

3.14

«Turismo»: la direttiva usa l'espressione «turismo sessuale» (considerando 9). Il termine usato ora dagli esperti e dalle ONG del settore è «delinquenti sessuali itineranti» (9). Come indicato nel precedente parere del CESE Protezione dei minori dai delinquenti sessuali itineranti  (10), il termine «turismo» fa pensare a vacanze e viaggi di piacere.

3.15

«Tradizioni»: (considerando 7) «La presente direttiva non intende disciplinare le politiche degli Stati membri in ordine agli atti sessuali consensuali che possono compiere i minori e che possono essere considerati la normale scoperta della sessualità legata allo sviluppo della persona, tenendo conto delle diverse tradizioni culturali e giuridiche». Il CESE fa presente che, nel contesto della mobilità, dell'immigrazione e del cambiamento dei valori sociali in Europa bisognerebbe discutere l'impatto delle «tradizioni» su tale questione. Tali discussioni, e le relative implicazioni giuridiche, dovrebbero estendersi a pratiche culturali, come per esempio la mutilazione genitale femminile, che possono essere considerate come abusi sessuali ai danni di minori.

3.16

«Pubblicamente accessibile»: (considerando 13) «La pedopornografia (…) è un tipo specifico di contenuto che non può essere interpretato come l'espressione di un'opinione. Per contrastare la pedopornografia è necessario ridurre la circolazione di materiale pedopornografico rendendo più complesso per gli autori del reato caricare questi contenuti sul web pubblicamente accessibile». La direttiva deve prevenire la presenza di materiale che mostra abusi sessuali su minori in qualunque mezzo di comunicazione  (11) e in qualsiasi forma. Il termine «visivamente» non copre tutto il materiale disponibile e la direttiva dovrebbe applicarsi anche al materiale che mostra, anche non visivamente, abusi su minori. Inoltre la direttiva dovrebbe tenere conto anche dei concetti di «libertà artistica» e di «espressione di un parere», garantendo che non possano essere interpretati erroneamente nel contesto del materiale che mostra abusi sessuali su minori. Occorre pertanto modificare come segue il testo dell'articolo 2, lettera b), che contiene la definizione di pedopornografia «i) il materiale che ritrae un minore »«ii) la rappresentazione per scopi prevalentemente …» (la versione italiana rimane invariata) «iii) il materiale che ritrae una persona che sembra un minore …».

3.17

Per quanto riguarda gli interventi rivolti a «sostenere e sollecitare i fornitori di servizi Internet a sviluppare, su base volontaria, codici di condotta e orientamenti per bloccare l'accesso a tali pagine» (considerando 13) il CESE sottolinea che la priorità dev'essere quella di rimuovere i contenuti all'origine, e solo quando ciò non sia possibile (al di fuori dell'UE) bisogna bloccare l'accesso ai siti. Questo principio dovrebbe diventare un obbligo giuridico in Europa se si vuole che l'industria, i fornitori di accesso a Internet e gli operatori economici e finanziari come le società emittenti di carte di credito s'impegnino sul serio a lottare contro tali reati.

4.   Osservazioni specifiche sugli articoli della direttiva

4.1

Articolo 1 («Oggetto») dovrebbe comprendere «sanzioni nel settore dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, come pure della presentazione di materiale che mostra abusi sessuali su minori».

4.2

Articolo 2, lettera b), comma iv) «immagini realistiche di un minore in atteggiamenti sessuali espliciti o raffigurato come se fosse in atteggiamenti sessuali espliciti».

4.3

Articolo 2, lettera b): il termine «prevalentemente» dovrebbe essere eliminato ovunque, perché distrae l'attenzione da «per scopi sessuali».

4.4

Articolo 2, lettera e): cancellare le eccezioni nel caso «degli Stati o di altre istituzioni pubbliche nell'esercizio dei pubblici poteri e delle organizzazioni internazionali pubbliche». Neanche per le persone giuridiche vi può essere alcuna impunità in relazione agli abusi sessuali su minori.

4.5

Articolo 3, paragrafo 3, e articolo 8: «consenso sessuale» - «Chiunque compie atti sessuali con un minore che non ha raggiunto l'età del consenso sessuale prevista dalla normativa nazionale». Va notato che la definizione di minore contenuta nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e nella legislazione europea è «persona di età inferiore agli anni 18», e che la terminologia utilizzata è pertanto contraddittoria. Se ne fa parzialmente carico l'articolo 8, «Atti sessuali consensuali tra minori». Inoltre, gli articoli 3, 4, 5 e 8 non riguardano gli atti sessuali consensuali tra minori di età pari o superiore all'età del consenso sessuale. Il CESE ritiene che questo punto necessiti di ulteriori discussioni e di maggiori chiarimenti. Il CESE invita gli Stati membri a utilizzare l'opportunità offerta da questa nuova direttiva per definire un'età minima del consenso sessuale valida per tutta l'Europa. Occorre inoltre chiarire meglio il concetto di «vicine per età».

Articolo 3, paragrafo 4, comma i): alla luce del numero di casi che si verificano all'interno della famiglia, occorrerebbe includere la «responsabilità parentale» tra le posizioni di fiducia. Ciò sarebbe in linea con l'articolo 5 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Occorrerebbe inoltre sopprimere l'aggettivo «riconosciuta» riferito alla «posizione di fiducia, autorità o influenza sul minore». Ciò è rilevante nel contesto degli eventi verificatisi in Europa non soltanto nei circoli pedofili, ma anche all'interno di famiglie, in istituti religiosi e di istruzione e in famiglie adottive. È essenziale che non possa esservi alcuna immunità dal perseguimento, dall'interrogatorio e dall'accesso ai documenti per chiunque occupi una posizione di autorità, politica o religiosa.

4.6

Articolo 3, paragrafo 5: tra i reati di abuso sessuale dovrebbe figurare anche quello di «esibizionismo» sulla base di un'adeguata definizione fornita dalla Commissione (12).

4.7

L'articolo 4, paragrafi 2, 3, 4 e 5 riguarda «spettacoli pornografici» e il coinvolgimento diretto di un determinato minore. Ciò potrebbe essere confuso con l'articolo 5, che riguarda i «reati di pedopornografia». Potrebbe essere utile inserire una nota esplicativa per evitare tale confusione.

4.8

Articoli 4-8: la direttiva deve fornire una definizione chiara dei termini «consapevolmente» e «intenzionale».

4.9

Articolo 4, paragrafo 1: occorrerebbe sopprimere la parola «intenzionale», perché offre agli autori dei reati la possibilità di affermare, per evitare di essere perseguiti, che non conoscevano l'età della vittima (13).

4.10

Articolo 4, paragrafo 8: «compie atti sessuali …» bisognerebbe inserire le parole «… o accetta di compiere» e bisognerebbe prevedere la possibilità di perseguire il reato «indipendentemente dal fatto che l'atto sessuale sia stato compiuto o no».

4.11

La formulazione dell'articolo 6 («Adescamento di minori per scopi sessuali») dovrebbe essere ampliata in modo da comprendere differenti forme di adescamento, compreso quello operato da adulti responsabili della protezione dei minori, o con mezzi diversi da quello informatico.

4.12

Articoli 7 e 9: in linea con il resto della direttiva, questi articoli dovrebbero definire la durata della condanna relativa al crimine in questione.

4.13

Articolo 7, paragrafo 3, lettera b): una parte dei delinquenti sessuali itineranti sono delinquenti «situazionali», nel senso che approfittano dell'occasione di compiere abusi sessuali ogni volta che si presenta. Il CESE raccomanda pertanto che sia resa punibile «l'organizzazione di viaggi e/o altri preparativi collegati ai reati di cui agli articoli da 3 a 7».

4.14

Articolo 8, la precisazione «purché tali atti non comportino abusi» dovrebbe essere sostituita da «purché tali atti non comportino coercizione».

4.15

All'articolo 9 («Circostanze aggravanti») si potrebbe aggiungere una lettera i) del seguente tenore «il reato è stato commesso ricorrendo a violenze gravi o ha causato o avrebbe potuto causare al minore un pregiudizio grave».

4.16

In considerazione del danno che tali atti criminali comportano per i minori che ne sono vittime, anche quando siano diventati adulti, il CESE raccomanda che per essi non sia prevista alcuna prescrizione, o che tale prescrizione sia comunque assoggettata a una durata minima.

4.17

Gli articoli 10 e 12 non tengono conto del fatto che i responsabili di abusi si possono trasferire, e non fanno abbastanza per impedire che gli stessi viaggino. In un precedente parere (14), il CESE di concerto con l'ECPAT (15) raccomandava:

controllo e interdizione,

accordi bilaterali di cooperazione,

accordi per l'espulsione dei criminali condannati,

limitazione della possibilità di recarsi all'estero.

4.18

Articolo 11 («Responsabilità delle persone giuridiche»): le persone giuridiche vanno considerate responsabili ogniqualvolta acconsentono a degli abusi, che ne traggano vantaggio o meno. Pertanto, la frase «a loro vantaggio» (di qualsiasi soggetto) va eliminata.

4.19

Articolo 12, lettera b) («Sanzioni applicabili alle persone giuridiche»): questo articolo dovrebbe essere modificato, in modo non solo da impedire ai colpevoli di abusi dall'esercitare un'attività commerciale, ma anche da escluderli da «qualunque attività» che li metta in contatto con minori.

4.20

L'articolo 13 («Mancato esercizio dell'azione penale») dovrebbe «garantire», e non solo prevedere «la possibilità», che i minori che sono stati coinvolti in attività illecite come conseguenza del reato subito non siano perseguiti né assoggettati a sanzioni penali.

4.21

L'articolo 14 riguarda le «indagini e l'azione penale». Affinché le indagini e l'azione penale siano pratiche ed efficaci occorre adottare misure adeguate sull'accesso ai fondi per la formazione, la consulenza e la ricerca sulle tecnologie nuove ed emergenti. Le indagini devono essere pienamente trasparenti. Questo articolo dovrebbe anche prevedere che alcuni tipi di reati non siano prescrittibili.

4.22

Articolo 14, paragrafo 2. Per quanto riguarda il «congruo periodo di tempo» bisognerebbe che gli Stati membri disponessero di un certo grado di flessibilità nell'applicazione delle disposizioni in materia di prescrizione, in modo da potere tenere conto della gravità dell'impatto sulla vita, la salute e/o il benessere della vittima.

4.23

Il CESE ritiene che la direttiva dovrebbe specificare che i tempi di prescrizione previsti dalle legislazioni nazionali dovrebbero decorrere dal momento in cui la vittima raggiunge la maggiore età. Osserva inoltre che la Commissione dovrebbe adoperarsi per promuovere l'armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di prescrizione, per evitare confusione o errori quando le autorità competenti eseguono indagini transfrontaliere.

4.24

L'articolo 14, paragrafo 3, specifica che devono essere disponibili «efficaci strumenti investigativi», occorre garantire anche la disponibilità di personale perfettamente addestrato per utilizzare detti strumenti.

4.25

L'articolo 15 promuove la «segnalazione», ma non specifica il meccanismo o i finanziamenti necessari per consentire davvero un rapido intervento da parte degli operatori che lavorano a contatto con i minori. Alla luce del fatto che i crimini sessuali contro i minori non vengono segnalati in misura sufficiente, occorrerebbe che in tutti gli Stati membri venissero introdotti meccanismi di segnalazione efficaci ed accessibili.

4.26

Al fine di incoraggiare una tempestiva denuncia dei sospetti o di casi effettivi di abuso e di sfruttamento sessuale è importante garantire che i professionisti che in buona fede segnalano dei casi vengano protetti da azioni penali o civili, da denunce a comitati etici o da azioni giudiziarie per violazione delle norme in materia di riservatezza.

4.27

L'articolo 16, paragrafo 1, lettera d), («Giurisdizione e coordinamento dell'azione penale»), non copre nessuno degli aspetti relativi all'estradizione dei sospetti. Tale questione è oggetto dell'articolo 5 del protocollo facoltativo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e dovrebbe essere considerata nella proposta della Commissione. Nella stessa lettera d), la frase «… una persona giuridica che ha sede nel suo territorio» andrebbe integrata con la seguente aggiunta: «… o che opera a partire da esso».

4.28

Articolo 16, paragrafo 2: la frase «… rientrino nella loro giurisdizione i casi in cui un reato contemplato …dagli articoli 3 e 7…», il CESE raccomanda di includere gli articoli 3, 4, 5, 6 e 7.

4.29

Articolo 16, paragrafo 3, non ci possono essere eccezioni se gli Stati membri intendono seriamente proteggere i minori in tutto il mondo. Per questo, la deroga «Uno Stato membro può decidere di non applicare o di applicare solo in situazioni o circostanze specifiche … purché il reato sia commesso al di fuori del suo territorio» dovrebbe essere soppressa.

4.30

Articolo 17, paragrafo 1: con riferimento alla frase «…ricevono assistenza …», il CESE raccomanda che ciascuno Stato membro debba garantire che i minori vittime dei reati di cui agli articoli da 3 a 7 ricevano un'adeguata assistenza specializzata, compresa la sistemazione in un luogo sicuro, cure mediche e psicosociali e istruzione. Gli Stati membri dovrebbero garantire che tali servizi siano forniti da personale addestrato e rispettino l'identità culturale/l'origine, il genere e l'età del minore (16). Tali misure ridurranno la vulnerabilità, e in tal modo rafforzeranno la prevenzione.

4.31

L'articolo 19 riguarda le «indagini penali», argomento trattato nell'articolo 8 del protocollo facoltativo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, che dovrebbe essere tenuto presente nella proposta della Commissione.

4.32

Il CESE raccomanda inoltre di fare riferimento alle linee guida contenute nella Risoluzione 2005/20 del Consiglio economico e sociale dell'ONU a favore dei minorenni coinvolti in reati in qualità di vittime o di testimoni (17).

4.33

Numerosi minori che hanno subito abusi da parte dei genitori che li hanno venduti, di trafficanti o di adulti coinvolti nella prostituzione, hanno perso la fiducia negli adulti, e quindi, prima che si possa eseguire un'indagine, occorre ristabilire una base di fiducia tra adulto e minore. Quindi, per applicare la legge e perseguire i reati in questione, gli Stati membri devono individuare i minori vittima di reati e ridare loro un'esistenza accettabile, ad esempio fornendo loro un alloggio, assistenza, protezione e servizi psicologici specializzati.

4.34

Articolo 19, lettera e), alla fine della frase «le audizioni si svolgano nel numero più limitato possibile e solo se strettamente necessarie ai fini del procedimento penale» occorre inserire le parole «o per garantire la sicurezza e il benessere del minore».

4.35

L'articolo 21: («Blocco degli accessi ai siti web») dovrebbe essere riformulato (18). La priorità dovrebbe andare all'eliminazione dei siti web piuttosto che al loro blocco. Quest'ultimo dovrebbe essere una misura secondaria cui ricorrere quando l'eliminazione non sia possibile. Il blocco può essere associato all'eliminazione come tattica di breve termine per interrompere l'accesso e proteggere utenti innocenti dall'esposizione a contenuti che mostrano abusi sessuali su minori (19). Questo articolo dovrebbe prevedere l'obbligo per gli Stati membri di agire immediatamente e oscurare il sito.

4.36

Laddove non è possibile un'eliminazione immediata, occorrerebbe cercare di seguire i movimenti e le attività sui siti web associati alla diffusione di contenuti che mostrano abusi sessuali su minori per fornire informazioni agli organi competenti ed alle autorità di repressione internazionali al fine di poter successivamente eliminare questo contenuto dalla rete e di indagare su coloro che lo diffondono. Il CESE raccomanda quanto segue:

uno sforzo internazionale da parte dei registri dei nomi di dominio e delle autorità interessate per eliminare i nomi di domini associati agli abusi sessuali sui minori,

maggiori sforzi d'indagine sulle attività di condivisione dei materiali, compreso il peer to peer.

4.37

Articolo 21, paragrafo 2: bisognerebbe fare degli sforzi anche per imporre, o garantire in altro modo, che gli istituti finanziari intervengano per ricostruire e bloccare i flussi di operazioni finanziarie eseguite attraverso i loro servizi e che facilitano l'accesso a materiale che mostra abusi sessuali su minori.

5.   Altri elementi di cui si potrebbe considerare l'inserimento nella direttiva

5.1

La direttiva non fa cenno alla protezione dei dati: la tutela dei minori dovrebbe avere la precedenza sulla protezione dei dati e sulla libertà di parola, in condizioni ben definite, secondo quanto previsto nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

5.2

A livello UE, occorre rafforzare la cooperazione in materia di contrasto, adottare sistemi nazionali e internazionali sul trattamento da riservare agli autori di abusi sui minori e mettere a punto un sistema di allerta per i minori scomparsi.

5.3

Non si fa menzione degli abusi su minori perpetrati da altri minori: tali abusi dovrebbero essere contemplati fra i casi speciali e potrebbero ricadere nel campo d'applicazione dell'articolo 9. Al momento la direttiva contiene soltanto un breve riferimento a questi casi nell'articolo dedicato ai programmi d'intervento (articolo 20) (20).

5.4

Pur rispettando pienamente il principio di sussidiarietà, il CESE invita gli Stati membri a considerare misure speciali volte a garantire che gli operatori impegnati nella protezione delle vittime beneficino dei necessari meccanismi di supervisione e di sostegno psicologico, allo scopo di evitare un deterioramento delle loro condizioni mentali. Dal punto di vista delle risorse umane dovrebbe trattarsi di un requisito obbligatorio e non di un'opzione facoltativa.

5.5

Il CESE plaude alla Commissione per aver riconosciuto l'impellente esigenza dello «scambio di informazioni e di esperienze per quanto riguarda l'azione penale, la protezione o la prevenzione, la sensibilizzazione, la cooperazione con il settore privato e la promozione dell'autoregolamentazione». Al riguardo il CESE sottolinea la necessità di considerare il luogo di lavoro: questo consentirebbe ai datori di lavoro e ai lavoratori di essere consapevoli della responsabilità di segnalare le attività illegali che potrebbero venire alla luce sul posto di lavoro o ad opera di clienti o fornitori (21).

5.6

Il CESE nota che l'attuazione della nuova direttiva non comporterà costi aggiuntivi. Vi è però la necessità di più risorse, tra l'altro per la ricerca, la pubblicità, la formazione, la consulenza e l'assistenza legale, per garantire l'eliminazione degli abusi sui minori nel più breve tempo possibile.

5.7

Infine, il CESE vorrebbe promuovere l'istituzione di un'autorità internazionale di repressione che dovrebbe indagare sugli abusi sessuali sui minori in tutto il mondo, individuare e punire chi distribuisce i relativi contenuti e salvare i minori dalla sofferenza. Vi sono diverse tattiche (22) potenzialmente efficaci per ridurre al minimo i contenuti disponibili: se adottate su scala mondiale, esse potrebbero garantire una risposta internazionale più efficace, veloce e dissuasiva a questi crimini.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. riferimento nel parere del CESE di cui alla GU C 317 del 23.12.2009, pag. 43. Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento sessuale e gli abusi sessuali, 25 ottobre 2007, disponibile in inglese e francese all'indirizzo http://conventions.coe.int/Treaty/EN/treaties/Html/201.htm. Non hanno ancora firmato tale Convenzione i seguenti Stati membri: Repubblica ceca, Ungheria, Lettonia e Malta.

(http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=201&CM=&DF=&CL=ENG).

Protocollo opzionale della Convenzione relativa ai diritti del fanciullo sulla vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, adottato nel maggio 2000 ed entrato in vigore nel gennaio 2002.

Cfr. http://www2.ohchr.org/english/law/crc-sale.htm. [Il testo in italiano è disponibile al seguente indirizzo http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3170]. Non hanno ancora ratificato il Protocollo i seguenti Stati membri: Repubblica ceca, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo e Malta. (http://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-11-c&chapter=4&lang=en).

(2)  The Internet Corporation for Assigned Names and Numbers.

(3)  IWF (www.iwf.org.uk), ECPAT International (http://www.ecpat.com), Save the Children (www.savethechildren.org), Missing Children Europe (www.missingchildreneurope.eu), Amnesty International (www.amnesty.org).

(4)  Una serie di casi di abusi denunciati recentemente e in alcuni casi scoperti grazie all'intervento dello Stato dimostrano l'esistenza di abusi su vasta scala e sistematici in istituti religiosi, circoli pedofili e scuole o orfanotrofi. Molti di questi casi sono stati coperti per decenni per proteggere l'immagine o la reputazione di singole persone o di istituzioni.

(5)  http://www.iwf.org.uk/documents/20100511_iwf_2009_annual_and_charity_report.pdf.

(6)  http://ec.europa.eu/information_society/digital-agenda/index_en.htm.

(7)  Il progetto ISIS ha accertato che nelle reti di scambio di contenuti tra utenti transitano ogni minuto migliaia di documenti contenenti immagini di abusi sessuali su minori. «Supporting Law Enforcement in Digital Communities through Natural Language Analysis», International Workshop on Computational Forensics, Springer Lecture Notes in Computer Science 5158 (2008), pp. 122-134.

(8)  The Internet Corporation for Assigned Names and Numbers.

(9)  CEOP.

(10)  Cfr. la nota 1.

(11)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 61.

(12)  Tale questione è stata recentemente messa in evidenza da un caso verificatosi in Portogallo.

(13)  L'ECPAT raccomanda di introdurre una specifica disposizione che inverta l'onere della prova relativa all'età della persona nel caso di materiale che mostra abusi sessuali su minori, in modo che tale onere ricada sulle persone che producono, distribuiscono e/o possiedono detto materiale. I Paesi Bassi hanno già effettuato questo adeguamento.

(14)  Cfr. la nota 1.

(15)  ECPAT - End Child Prostitution, Child Pornography and the Trafficking of Children for Sexual Purposes (Porre fine alla prostituzione minorile, alla pedopornografia e alla tratta di minori a scopi sessuali) - gode di uno speciale status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc).

(16)  Rio de Janeiro Declaration and Call for Action to Prevent and Stop the Sexual Exploitation of Children and Adolescence (Dichiarazione e invito ad agire per prevenire e arrestare lo sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti), Rio de Janeiro, novembre 2008.

(17)  Cfr. http://www.un.org/docs/ecosoc/documents/2005/resolutions/Resolution%202005-20.pdf.

(18)  Cfr. all'allegato 1 la relazione dell'IWF sul blocco e la rimozione dei contenuti.

(19)  http://www.iwf.org.uk/public/page.148.htm.

(20)  Si calcola che circa un terzo degli autori di abusi sui minori sia di età inferiore ai 18 anni (May-Chahal e Herzog, 2003).

(21)  Il CESE ha proposto un progetto europeo intitolato «L'Europa combatte lo sfruttamento sessuale dei minori». Cfr. parere citato alla nota 1.

(22)  Cfr. segnalazioni alla Internet Watch Foundation.


15.2.2011   

IT

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C 48/145


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa»

COM(2009) 591 definitivo

2011/C 48/25

Relatore: Pedro NARRO

Correlatore: József KAPUVÁRI

La Commissione europea, in data 28 ottobre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa

COM(2009) 591 definitivo.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere in data 31 agosto 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli, nessun voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Nelle relazioni e nelle comunicazioni elaborate dalla Commissione europea negli ultimi anni viene presentata un'analisi rivelatrice delle fragilità e delle disfunzioni nel funzionamento della catena del valore. La volatilità dei prezzi, la speculazione, la vendita sottocosto, l'assenza di trasparenza, il generalizzarsi di pratiche sleali e anticoncorrenziali o le disparità nel potere negoziale delle parti rappresentano problemi che si ripercuotono sul futuro di tutto il settore alimentare e minacciano la sopravvivenza del cosiddetto «modello agricolo europeo».

1.2   Nella comunicazione Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa la Commissione individua opportunamente i campi di azione prioritari. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rammarica tuttavia della lentezza nell'adozione delle proposte e invita la Commissione ad accelerare l'assunzione di decisioni in un settore che necessita di azioni urgenti, concrete e tangibili. Il rinnovato gruppo ad alto livello sulla competitività del settore agroalimentare dovrebbe riprendere i suoi lavori nel più breve tempo possibile e diventare un pilastro delle nuove politiche emergenti nel settore agroalimentare.

1.3   Il successo dipenderà in larga misura dal grado di coinvolgimento della Commissione europea, degli Stati membri e di tutti gli attori della filiera. È indispensabile lavorare in modo coordinato e congiunto in un settore in cui le differenze tra i diversi mercati nazionali e i diversi prodotti sono considerevoli. L'Unione europea deve farsi promotrice in modo deciso degli sforzi in questo settore e deve stimolare sia l'adattamento degli strumenti disponibili, sia l'adozione di nuove misure che facilitino uno sviluppo più equilibrato della filiera e un miglioramento della competitività.

1.4   L'esame delle iniziative portate avanti sinora in materia di filiera alimentare dimostra l'efficacia limitata dell'autoregolazione e degli accordi volontari. Il CESE approva lo sviluppo di meccanismi volontari ma fa osservare che, senza organi di controllo e senza sanzioni efficaci, non sarà possibile mettere fine alla violazione sistematica dei meccanismi stessi da parte degli anelli più forti della filiera.

1.5   I cambiamenti nel comportamento degli attori economici andrebbero accompagnati da una regolazione dei mercati che getti le basi di un nuovo orientamento per il settore agroalimentare. Al fine di favorire la trasparenza del sistema, è necessario rafforzare la contrattazione e studiare, in rapporto ad ogni settore, la possibilità di stabilire clausole vincolanti o l'obbligatorietà di stipulare contratti in forma scritta. Numerosi obiettivi segnalati dalla Commissione nella sua comunicazione potranno essere raggiunti solo grazie a misure legislative proporzionate e adeguate.

1.6   Per quel che concerne i codici di buone prassi, l'UE deve ispirarsi ad analoghe iniziative nazionali e prevedere un meccanismo efficace di controllo e sanzionamento attraverso la creazione di un difensore civico europeo. Al di là degli elementi che devono far parte dei codici di buone prassi, l'aspetto principale consiste nell'assicurarne l'efficacia e il livello di osservanza.

1.7   Il diritto della concorrenza, sia esso nazionale o europeo, deve essere adattato in modo sostanziale per favorire una solida organizzazione del settore, garantire un funzionamento flessibile delle filiere di approvvigionamento e fornire certezza giuridica agli operatori nell'interesse del consumatore. Le raccomandazioni del gruppo ad alto livello sul latte (1) e le conclusioni della presidenza spagnola in rapporto alla comunicazione sulla filiera alimentare (2) sono in linea con le proposte del CESE tese a rendere flessibile l'applicazione del diritto della concorrenza, tenuto conto delle specificità del settore agricolo.

1.8   Il CESE rileva, specie nel settore della grande distribuzione, una forte concentrazione della domanda che contrasta con la frammentazione dell'offerta e condiziona il corretto funzionamento della catena del valore. Lo sviluppo e il potenziamento del ruolo delle organizzazioni interprofessionali possono contribuire ad attenuare la mancanza di organizzazione del settore produttivo. Di fronte a questa sfida bisogna avviare una riflessione profonda, non sulla dimensione delle organizzazioni di produttori, ma sulla maniera per trasformare tali organizzazioni in efficaci strumenti di commercializzazione in mano agli agricoltori. Le associazioni dei produttori non possono essere il solo strumento valido per migliorare l'organizzazione economica dell'offerta agricola.

1.9   Il CESE invita la Commissione europea non solo a riflettere su come concentrare l'offerta, ma anche ad agire con decisione nel settore della domanda, controllando gli abusi di posizione dominante e determinate pratiche sleali e anticoncorrenziali che spesso non vengono sottoposte ad un'efficace vigilanza da parte delle autorità nazionali e comunitarie.

1.10   I consumatori europei hanno bisogno di prezzi e strutture di prezzi adeguati, prevedibili e stabili. Le misure proposte nella comunicazione potrebbero funzionare in modo più efficace se fossero oggetto di ampia divulgazione e se si evitasse di alterare la scelta del consumatore. Gli osservatori dei prezzi sarebbero strumenti utili soltanto se, invece di limitarsi ad una semplice opera di rilevamento, potessero reagire con rapidità di fronte a possibili distorsioni nell'evoluzione dei prezzi stessi.

2.   Sintesi della comunicazione della Commissione

2.1   La Commissione europea riconosce il ruolo particolarmente importante che la filiera alimentare - agricoltori, industria e distribuzione - svolge nell'economia europea (3). Difatti, il monitoraggio del funzionamento della filiera alimentare è diventato una priorità politica nell'agenda dell'UE. La pubblicazione della comunicazione Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa è una conseguenza di questa legittima preoccupazione del legislatore europeo ed essa ha la sua ragion d'essere nell'obiettivo di proporre misure concrete a livello nazionale ed europeo che possano contribuire a migliorare la situazione della filiera alimentare.

2.2   Nel testo della comunicazione viene illustrato un insieme di proposte concrete su ognuna delle tre sfide della filiera alimentare che sono trattate nel presente documento. Al fine di promuovere relazioni sostenibili, la Commissione intende lottare contro le prassi sleali e vigilare sulle questioni legate al settore della concorrenza. Una questione sempre prioritaria come quella dell'aumento della trasparenza nella filiera viene affrontata attraverso la lotta alla speculazione e l'istituzione dello strumento europeo di sorveglianza dei prezzi dei prodotti alimentari. Infine, per promuovere la competitività, la Commissione è decisa a rivedere la legislazione sull'etichettatura e la normativa ambientale, a limitare le pratiche di approvvigionamento territoriale e a rafforzare la posizione negoziale degli agricoltori attraverso strumenti come le organizzazioni dei produttori.

2.3   A novembre 2010 la Commissione dovrebbe pubblicare una relazione di follow-up sul grado di attuazione delle principali misure proposte, la quale sarà integrata con una nuova comunicazione sull’attività di sorveglianza sul mercato al dettaglio. La Commissione ha inoltre deciso di estendere il mandato e la composizione del gruppo ad alto livello sulla competitività del settore agroalimentare e di trasformare tale gruppo in un vero e proprio forum di discussione sulla filiera di approvvigionamento alimentare.

3.   Osservazioni generali

3.1   L'Unione europea, con la comunicazione in esame ed altre iniziative, ha dimostrato in questi ultimi anni che la situazione della filiera alimentare è diventata uno dei temi prioritari della sua agenda politica. La volatilità dei prezzi e lo squilibrio di forze all'interno della filiera hanno avuto ripercussioni negative sui consumatori e sul settore produttivo. Malgrado le numerose analisi e proposte formulate negli ultimi anni, la situazione continua a evidenziare parecchie distorsioni che mettono seriamente in dubbio l'auspicata sostenibilità del modello agroalimentare europeo.

3.2   Assieme alla necessità di garantire una fornitura adeguata di generi alimentari, il tema della qualità è un aspetto di importanza strategica; per questo motivo è indispensabile concedere una protezione adeguata alle produzioni tutelate attraverso marchi di qualità. Se la filiera alimentare presenta problemi di efficienza, la selezione dei prodotti può ridursi nel mercato unico, cosa che implicherebbe una minaccia per il modello agricolo europeo. La Commissione ha affrontato in numerosi documenti le contraddizioni che solleva il funzionamento della filiera alimentare nell'Unione europea, ma la comunicazione in esame non se ne fa portavoce.

3.3   Gli squilibri nella filiera alimentare europea rappresentano inoltre una grave minaccia per gli interessi dei cittadini europei. Le differenze di prezzo tra le materie prime e i beni di consumo hanno dato origine a strutture di prezzi poco legate alla realtà, le quali minacciano le prospettive a lungo termine degli elementi costituenti della catena del valore e di tutto l'ordine economico e sociale dell'UE. Il settore al dettaglio è molto concentrato e organizzato, e mantiene i prezzi al consumo degli alimenti sotto costante pressione. Le grandi catene di distribuzione di prodotti alimentari sono in grado di farlo perché, attraverso determinate pratiche commerciali, i loro margini di profitto derivano non solo dalle operazioni con i consumatori ma anche da quelle con i fornitori, come è stato dimostrato dall'impennata dei prezzi agricoli nel 2007 e 2008. Le politiche commerciali basate sulla tecnica del «margine di profitto raddoppiato» stanno causando gravi problemi a consumatori e fornitori.

3.4   La crescente tensione nelle relazioni tra gli attori della filiera alimentare porta a differenti dinamiche economiche, che sono particolarmente negative per un settore agricolo che sconta una crisi senza precedenti nel quadro di una profonda crisi economica generale.

3.5   Il CESE e la Commissione sono concordi, una volta di più, per quanto riguarda i settori di azione prioritari e la necessità di proporre con urgenza nuove misure e strumenti concreti che migliorino il funzionamento della filiera alimentare in Europa. Sono necessari cambiamenti sostanziali che permettano un nuovo orientamento. Secondo il CESE, per affrontare con successo le principali sfide che emergono nel settore agroalimentare, occorre puntare sullo sviluppo della diversificazione produttiva, sulla riduzione dei costi attraverso l'aumento della dimensione delle aziende e sul miglioramento delle strategie di commercializzazione.

3.6   Il CESE concorda con le principali conclusioni del gruppo ad alto livello sulla competitività del settore agroalimentare, le quali sono in linea con i recenti lavori elaborati dal Comitato in materia di agricoltura (4):

«La questione decisiva riguardo a chi detiene quale quota della catena della creazione del valore viene regolata attualmente - nel totale rispetto dell'ottica liberista - dal solo mercato. Ciò è tutt'altro che soddisfacente, specie per gli agricoltori, che spesso, malgrado i costi in molti casi crescenti, assistono ad un calo sempre più marcato dei prezzi alla produzione e sono costretti ad affrontarlo ricorrendo a misure che sono contrarie agli obiettivi del modello agricolo europeo. Dal momento che, nell'UE a 27, quindici catene della grande distribuzione controllano da sole il 77 % del mercato degli alimentari, il CESE chiede che venga verificato, al pari di quanto avviene attualmente negli Stati Uniti, se la legislazione in materia di concorrenza sia sufficiente a prevenire la formazione di strutture dominanti sui mercati e il ricorso a pratiche contrattuali discutibili. È importante che tutti i gruppi coinvolti vengano assoggettati al controllo.»

3.7   Il successo di tutte queste iniziative dipenderà in larga misura dal grado di coinvolgimento della Commissione, degli Stati membri e di tutti gli attori della filiera alimentare. Sono indispensabili uno sforzo coordinato tra le diverse autorità e un riesame dell'applicazione del diritto della concorrenza. La maggior parte delle misure proposte dalla Commissione europea è già stata applicata a livello nazionale (5). Si dovrebbe quindi analizzare il modo in cui si è affrontata una medesima problematica a partire da prospettive nazionali differenti e il risultato finale, frequentemente trascurabile, di molte delle iniziative attuate dagli Stati membri. È il caso, ad esempio, della creazione di osservatori dei prezzi o dell'introduzione di codici di buone prassi che, per l'assenza di strumenti efficaci di controllo e applicazione, non sono stati in grado di limitare gli abusi.

3.8   La comunicazione affronta in maniera generale alcuni aspetti della filiera alimentare che sono stati analizzati nel dettaglio a livello nazionale o settoriale. Gli sforzi della Francia per riequilibrare la filiera alimentare hanno rappresentato un punto di riferimento per altri Stati membri dell'UE. La legge francese sulla modernizzazione dell'agricoltura va oltre la comunicazione: essa definisce un quadro contrattuale giuridicamente vincolante per volumi e prezzi, impone l'inserimento di clausole giuridicamente vincolanti, amplia le funzioni delle organizzazioni interprofessionali e stabilisce un sistema di mediazione e di sanzioni per risolvere potenziali conflitti.

3.9   A livello settoriale, la Commissione ha riconosciuto che il settore lattiero-caseario è «un caso che richiede un'azione urgente». Per questo motivo il gruppo ad alto livello sul latte, creato nell'ottobre 2009, ha spinto le sue riflessioni al di là del contenuto della comunicazione e si è concentrato sull'elaborazione di un quadro contrattuale tipo, sulle possibilità di sviluppo delle organizzazioni interprofessionali e dei produttori, nonché sulla realizzazione del mercato dei futures nel settore lattiero-caseario. Di fronte a una simile proliferazione di iniziative europee, nazionali e settoriali, il CESE, consapevole della complessità e della portata di tali questioni, sottolinea la necessità di creare un solido quadro europeo di base, promuove lo scambio di esperienze e chiede un maggior coordinamento tra le autorità competenti.

3.10   L'opportunità di adattare la legislazione all'attuale situazione della filiera alimentare è stata evidenziata dal CESE a più riprese. I profondi cambiamenti che si devono operare nella normativa nazionale e in quella dell'UE vanno accompagnati dalla creazione di un nuovo quadro di relazioni all'interno della filiera che favorisca la cooperazione, la trasparenza e una giusta ripartizione dei benefici in tutta la catena del valore. L'autoregolazione del settore deve essere promossa contemporaneamente all'introduzione di strumenti vincolanti. L'efficace applicazione del sistema implica la necessità di puntare in modo deciso sulla trasparenza attraverso meccanismi di controllo che garantiscano il rispetto di eventuali accordi volontari conclusi tra i diversi anelli della filiera.

3.11   La Commissione presenta, sia nella comunicazione che nei documenti di lavoro che l'accompagnano, un'analisi corretta della volatilità dei prezzi. Sarebbe tuttavia necessario un esame critico del modo in cui le ultime modifiche apportate alla PAC, raccolte nella valutazione del suo stato di salute, hanno inciso sull'equilibrio della filiera alimentare. La soppressione degli strumenti di regolazione dei mercati agricoli (quote, prezzo d'intervento, immagazzinamento) ha avuto un impatto negativo sulla volatilità dei prezzi e sulla gestione del mercato, e tale impatto dovrebbe essere preso in considerazione nell'analisi dell'esecutivo dell'UE.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Promuovere relazioni di mercato sostenibili

4.1.1   La Commissione rileva nella sua analisi l'asimmetria esistente tra i differenti anelli della filiera. Questi squilibri si traducono in pratiche commerciali sleali e contrarie alla concorrenza. Nel caso dei prodotti deperibili, per i quali il margine di negoziazione è minore, gli squilibri si moltiplicano. Il CESE condivide l'orientamento illustrato nella comunicazione teso a rafforzare la contrattazione a partire da alcune regole comuni definite a livello europeo. Sebbene lo sviluppo dei contratti possa essere di natura facoltativa, sarebbe necessario valutare alcuni casi in cui si potrebbe stabilire giuridicamente l'obbligo di presentare un contratto e di inserire determinate clausole contrattuali.

4.1.2   In ogni caso, la Commissione dovrebbe impedire che le operazioni commerciali di prodotti agricoli vengano effettuate senza documenti che comprovino l'operazione realizzata, per porre fine a pratiche abituali e dannose come la vendita basata sull'andamento del mercato, in cui il prezzo di acquisto presso l'agricoltore è stabilito a posteriori in funzione del prezzo di vendita ottenuto dall'intermediario. Oltre al regime contrattuale, il CESE ritiene necessarie l'elaborazione di un codice di buone prassi (6) e la creazione di un comitato di monitoraggio che verifichi il rispetto di tale codice. Il codice di buona condotta commerciale dovrebbe assicurare la qualità della negoziazione tra tutti gli anelli della catena del valore nell'interesse del consumatore. Il legislatore europeo deve porre fine alla vendita in perdita quale strategia abituale di richiamo mirata al consumatore e deve analizzare l'impatto del crescente sviluppo del marchio del distributore sulla concorrenza, sulla scelta del consumatore e sulla valorizzazione dei prodotti di qualità dell'UE.

4.1.3   L'applicazione delle norme di concorrenza a livello nazionale presenta notevoli differenze. Un'identica azione di un'organizzazione interprofessionale riceve un trattamento differente a seconda dell'autorità nazionale competente a esaminare la questione in un determinato Stato. In molti paesi si tende a penalizzare qualsiasi iniziativa del settore produttivo volta a migliorare la gestione dell'offerta. La situazione non è nuova: malgrado i tentativi di rendere più stretta la collaborazione con la Rete europea della concorrenza (REC), non si è riusciti a coordinare in modo efficace l'azione delle autorità garanti della concorrenza.

4.1.4   Il CESE è favorevole a un nuovo modello di rapporto consumatore-produttore in cui si favoriscano i mercati locali (possibilità di introdurre quote minime obbligatorie) e l'eliminazione degli intermediari attraverso circuiti brevi o prodotti «a chilometro 0». La Commissione europea deve incoraggiare le iniziative dei produttori che vanno incontro al consumatore nella ricerca di un maggior valore aggiunto per le loro produzioni e nella salvaguardia della componente legata alla cultura e all'identità regionale degli alimenti.

4.1.5   La revisione della direttiva sui ritardi di pagamento ha aperto un interessante dibattito a livello europeo in riferimento all'opportunità di ridurre il periodo di pagamento per i prodotti agroalimentari. Nel caso dei prodotti deperibili sarebbe utile stabilire un limite di 30 giorni a partire dalla data di consegna della merce al cliente e non a partire dalla data di emissione della fattura. Oltre a un maggior controllo dei ritardi di pagamento, si deve includere una definizione chiara delle pratiche e clausole abusive, nonché stabilire strumenti efficaci per bandire tali pratiche e clausole dalle relazioni commerciali.

4.2   Trasparenza all'interno della filiera alimentare

4.2.1   Per il CESE la trasparenza nei prezzi è una necessità prioritaria (7). La creazione di un nuovo strumento europeo di sorveglianza del prezzo dei prodotti alimentari deve essere accompagnata da nuove competenze in materia di controllo e sanzionamento. Il CESE è dell'avviso che occorra passare dalla sorveglianza all'azione, in modo che gli opportuni organismi possano reagire con rapidità ed efficacia di fronte alle distorsioni nell'evoluzione dei prezzi.

4.2.2   Il CESE non condivide la tesi secondo la quale fornire un maggiore confronto tra i prezzi al consumo equivalga di per sé a dare maggiore trasparenza alla filiera alimentare. Una maggiore trasparenza e prevedibilità dei prezzi non sono che un fattore tra i molti che influiscono sulle tendenze e sui processi di formazione dei prezzi.

4.2.3   I pur lodevoli sforzi della Commissione europea tesi ad armonizzare e coordinare i differenti strumenti nazionali di sorveglianza dei prezzi sono condannati al fallimento se non si realizza un'omogeneizzazione delle basi di riferimento nella trasmissione dei prezzi. Si utilizza la stessa base di riferimento quando si raccolgono i dati? Esistono parametri comuni per la creazione e il funzionamento degli osservatori dei prezzi? L'UE dispone di organismi abilitati a intervenire quando si rilevino assenze di correlazione, anomalie o fluttuazioni ingiustificate nel comportamento dei prezzi? Frequentemente i dati che gli Stati membri comunicano alla Commissione europea non soddisfano gli stessi criteri. Ad esempio, nel caso degli agrumi si è rilevato che i dati che la Commissione pubblica con la dicitura di prezzi alla produzione corrispondono in realtà ai prezzi all'uscita dal magazzino, nei quali non sono inclusi i costi di commercializzazione. Questa discordanza nei dati può offrire una visione distorta della realtà, cosa che ostacola il raggiungimento dell'obiettivo della trasparenza.

4.2.4   Le misure proposte nella comunicazione funzioneranno soltanto se esse sono oggetto di una divulgazione adeguata. Questa condizione è fondamentale di fronte alla necessità di fornire un'informazione precisa ai consumatori. A causa dell'aumento della concentrazione nell'industria agroalimentare e nel settore della distribuzione, la reputazione di un marchio è adesso ancor più vulnerabile, con tutti i rischi che ciò implica per le imprese.

4.3   Miglioramento della competitività e dell'integrazione all'interno della filiera alimentare

4.3.1   La Commissione sta realizzando un lavoro molto importante per creare un mercato unico dei prodotti alimentari. Tuttavia le grandi differenze di prezzo tra gli Stati membri sono direttamente legate ai diversi livelli di potere d'acquisto. Non solo i nuovi Stati membri (UE-12) non stanno raggiungendo gli altri Stati, ma le differenze continuano pure ad allargarsi. Per questo motivo è necessario che la Commissione europea sostenga i nuovi Stati membri affinché si riducano le differenze e si ottenga il massimo vantaggio da un corretto funzionamento del mercato unico. Se non si inverte la tendenza, i prodotti provenienti dall'UE-15 perderanno gradualmente quote di mercato nei nuovi Stati membri.

4.3.2   La filiera alimentare è caratterizzata da una grande frammentazione del settore produttivo e da una forte concentrazione della grande distribuzione, cosa che implica grandi squilibri nelle relazioni tra produzione e distribuzione. Il CESE ritiene che molti dei problemi che minacciano il buon funzionamento della filiera alimentare siano una conseguenza dello sviluppo più rapido, costante e concentrato delle imprese che si trovano al termine della filiera. La Commissione europea, consapevole della situazione problematica, intende sostenere lo sviluppo delle organizzazioni di produttori (ispirandosi all'esempio dell'OCM del settore ortofrutticolo) per ridurre la frammentazione dell'offerta. Tuttavia il CESE sottolinea che l'importante non è creare un numero maggiore di organizzazioni di produttori e aumentare le loro dimensioni, ma migliorarne la gestione e la capacità di commercializzazione affinché si trasformino in uno strumento utile in mano all'agricoltore. Il CESE esorta la Commissione europea a varare nuove misure anticrisi e di stabilizzazione come, ad esempio, uno strumento di assicurazione dei redditi agricoli. Le esperienze positive del Canada e degli Stati Uniti in questo campo suffragano l'applicazione in Europa di una misura la cui legittimità è stata convalidata dall'OMC.

4.3.3   Le organizzazioni interprofessionali devono potenziarsi e acquisire maggiore dinamismo attraverso un quadro comune di azione. È necessaria una legislazione europea che armonizzi e favorisca lo sviluppo, nel quadro di regole uniformi, delle organizzazioni interprofessionali in ogni Stato membro, in modo che esse non siano soltanto dei meri tavoli settoriali incaricati di una promozione generica. È indispensabile eliminare gli ostacoli normativi che compromettono la certezza giuridica di queste organizzazioni impegnate nella stabilizzazione dei mercati attribuendo loro maggiori prerogative al momento di adottare accordi intersettoriali, in modo che non siano soggette a decisioni discrezionali delle autorità nazionali garanti della concorrenza

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Raccomandazioni del gruppo di esperti di alto livello sul latte incluse nel rapporto pubblicato il 15 giugno 2010.

(2)  Conclusioni della presidenza spagnola adottate a maggioranza dal consiglio Agricoltura e pesca in data 29 marzo 2010.

(3)  Il settore agroalimentare rappresenta il 7 % dell'occupazione nell'UE e il 5 % del suo valore aggiunto.

(4)  Cfr. il parere sul tema La riforma della politica agricola comune nel 2013, GU C 354 del 28.12.2010, pag. 35.

(5)  A questo proposito la Spagna è stata all'avanguardia con la creazione dell'osservatorio dei prezzi degli alimenti. La Francia ha approfondito la riflessione sui contratti giuridicamente vincolanti e il Regno Unito ha puntato sull'istituzione di un difensore civico per controllare il rispetto dei codici di buone prassi.

(6)  GU C 175 del 28.7.2009.

(7)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 111.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/150


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Soluzioni per una visione e un obiettivo dell'UE in materia di biodiversità dopo il 2010»

COM(2010) 4 definitivo

2011/C 48/26

Relatore: Lutz RIBBE

La Commissione europea, in data 19 gennaio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Soluzioni per una visione e un obiettivo dell'UE in materia di biodiversità dopo il 2010

COM(2010) 4 definitivo.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, 11 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) avrebbe preferito che la comunicazione all'esame non avesse dovuto essere scritta, e che invece i politici avessero mantenuto la promessa, fatta nel 2001, di mettere fine alla perdita di biodiversità entro il 2010 e di adoperarsi per il ripristino degli habitat perduti, due obiettivi purtroppo non realizzati.

1.2

Il CESE identifica a tale riguardo due problemi principali. Da un lato, la conservazione della biodiversità non è stata finora al centro dell'azione politica, dall'altro è evidente che la società, pur mostrando un atteggiamento positivo nei confronti della protezione della natura, ha una conoscenza estremamente limitata delle questioni ambientali. I due problemi sono tra loro collegati e vanno affrontati elaborando una visione nuova della biodiversità.

1.3

Inoltre, è opportuno chiedersi se la terminologia utilizzata tanto dai politici esperti del settore quanto dalle varie associazioni risulti comprensibile ai cittadini. «Biodiversità», «specie» o «servizi ecosistemici» sono concetti che, per la maggior parte delle persone, hanno uno scarso significato e risultano poco coinvolgenti.

1.4

Il CESE approva gli obiettivi ambiziosi formulati nell'opzione 4 della comunicazione della Commissione, opzione che è stata accolta favorevolmente anche dal Consiglio dei ministri dell'Ambiente e dal Consiglio europeo. Per garantire il raggiungimento di questi obiettivi in futuro, occorre intraprendere sforzi maggiori e determinare, sin dal principio, i mezzi finanziari e i cambiamenti politici necessari a tal fine (1).

1.5

Il CESE chiede pertanto alla Commissione e al Consiglio europeo di non limitarsi a presentare nuovi dati concernenti i vecchi obiettivi, bensì di elaborare finalmente un piano d'azione che sia vincolante per tutti i servizi della Commissione. Tale piano d'azione dovrebbe essere dotato di un calendario chiaramente definito, prevedere obiettivi intermedi e disporre di risorse finanziarie sufficienti. Chiede inoltre di presentare delle indicazioni sugli eventuali cambiamenti da effettuare a livello nazionale.

1.6

Mantenere la biodiversità è un compito che non rientra esclusivamente nell'ambito della politica ambientale. Si tratta anche di una questione economica a lungo termine, ed è per tale motivo che i ministri dell'Economia e delle Finanze dovrebbero finalmente occuparsi di questo tema.

1.7

Considerate le spaventose lacune presenti nella nostra società per quanto concerne la conoscenza delle questioni ambientali, occorre altresì intraprendere azioni per rafforzare la politica di educazione ambientale.

1.8

La riforma del bilancio e la ridefinizione della politica agricola comune, della politica comune della pesca, dei fondi strutturali e di altri importanti ambiti politici saranno il banco di prova della serietà della politica dell'UE in materia di tutela della biodiversità.

1.9

Le attuali disposizioni della nuova strategia Europa 2020 non sono all'altezza delle sfide poste dalla conservazione della biodiversità. La nuova visione del problema deve colmare tali lacune per poi diventare parte integrante di detta strategia.

1.10

Il CESE giudica i seguenti ambiti di intervento particolarmente importanti a livello dell'UE:

le modifiche della politica agricola e della pesca,

la conservazione e lo sviluppo della rete Natura 2000,

la creazione e lo sviluppo di «infrastrutture verdi» tramite una rete TEN della biodiversità,

l'inserimento della biodiversità in tutte le altre politiche dell'UE,

il lancio di una campagna di formazione incisiva a livello dell'UE.

1.11

È necessario trovare delle modalità per ricreare un collegamento tra l'agricoltura e la conservazione delle specie; in alcuni Stati membri si riscontrano approcci positivi che devono essere valutatati e notevolmente sviluppati. Occorre offrire agli agricoltori degli incentivi per lo svolgimento di questo tipo di compiti.

1.12

Il CESE si aspetta che l'Unione europea si prepari adeguatamente alla 10a Conferenza delle parti firmatarie della Convenzione sulla diversità biologica e apporti un contributo sostanziale al nuovo piano strategico globale per la conservazione della biodiversità dopo il 2010.

2.   La comunicazione della Commissione europea

2.1

La Commissione europea ha dovuto elaborare la comunicazione all'esame nella sua attuale formulazione perché l'UE non è riuscita a raggiungere uno dei principali obiettivi ambientali degli ultimi dieci anni. Nel 2001, infatti, nel quadro della strategia per lo sviluppo sostenibile, il Consiglio europeo di Göteborg si era posto l'obiettivo di mettere fine alla perdita di biodiversità entro il 2010 e di adoperarsi per il ripristino degli habitat perduti. Eppure, nonostante nel 2006 sia stato approvato il «Piano d'azione dell'UE per la tutela della biodiversità» e malgrado gli indiscussi successi riportati nella creazione della rete Natura 2000, tale obiettivo non è stato conseguito.

2.2

La comunicazione della Commissione in esame va intesa come un primo passo verso la realizzazione di questo obiettivo. Il testo presenta una serie di opzioni per l'elaborazione della visione e degli obiettivi post 2010.

2.3

Gli argomenti a favore della tutela della biodiversità vengono descritti, sottolineati e valutati in maniera dettagliata. La Commissione mette in particolare evidenza i costi e le perdite economiche globali che risultano dalla riduzione della biodiversità e dei servizi ecosistemici ad essa collegati: nello studio TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) la cifra globale annuale è stimata a circa 50 miliardi (!) di euro mentre si calcola che, nel 2050, le perdite cumulative in termini di benessere potrebbero essere equivalenti al 7 % del PIL (!).

2.4

La Commissione afferma chiaramente che la tutela della biodiversità, così come quella del clima, è un compito a lunga scadenza. Per tale motivo, la visione in materia deve essere a lungo termine (fino al 2050), ma occorre fissare, tanto a livello europeo quanto a livello internazionale, un obiettivo (intermedio) per il 2020.

2.5

Per rispettare l'obiettivo 2020 la Commissione presenta le seguenti quattro opzioni politiche, ciascuna con un livello diverso di ambizione:

—   Opzione 1: ridurre in maniera significativa, entro il 2020, il tasso di perdita della biodiversità e dei servizi ecosistemici nell'UE,

—   Opzione 2: arrestare, entro il 2020, la perdita della biodiversità e dei servizi ecosistemici nell'UE,

—   Opzione 3: arrestare, entro il 2020, la perdita della biodiversità e dei servizi ecosistemici nell'UE e, nei limiti del possibile, ripristinarli,

—   Opzione 4: arrestare, entro il 2020, la perdita della biodiversità e dei servizi ecosistemici nell'UE, nei limiti del possibile ripristinarli e incrementare il contributo dell'UE per evitare la perdita di biodiversità a livello mondiale.

3.   Osservazioni generali sull'attuale politica dell'UE in materia di biodiversità

3.1

Una valutazione della politica condotta sinora dall'UE in materia di biodiversità non può che avere un esito deludente.

3.2

Circa dieci anni fa, infatti, era stato promesso che nel giro di un decennio si sarebbe messo fine alla perdita della biodiversità e si sarebbe intrapreso il ripristino degli habitat e degli ecosistemi.

3.3

Quasi ogni anno i servizi della Commissione, i commissari oppure l'Agenzia europea per l'ambiente hanno sottolineato la necessità che, al di là delle misure già avviate, venissero effettuati sforzi maggiori per raggiungere l'obiettivo stabilito. Tali sforzi, tuttavia, non sono mai stati intrapresi.

3.4

Lo scorso anno è giunta l'ammissione che l'obiettivo prefissato non era stato realizzato: per il CESE non è stata una sorpresa. Quest'ultimo, infatti, aveva già affermato, in diversi pareri, che le misure politiche adottate erano del tutto insufficienti (2).

3.5

Se l'UE non è riuscita a realizzare i propri obiettivi in tema di biodiversità non è stato perché non si sapesse quali azioni intraprendere o perché la società civile non fosse pronta a fare anch'essa i passi necessari. Essenzialmente, il mondo politico privilegia gli interessi economici a breve termine piuttosto che gli effetti a lungo termine dei servizi ecosistemici. Anche in materia di biodiversità emerge chiaramente che il nostro sistema economico non è sostenibile, bensì fondato su uno sfruttamento eccessivo delle risorse naturali.

3.6

Il CESE si rallegra dunque che la Commissione abbia esaminato in dettaglio lo studio TEEB presentando così argomenti significativi in merito all'importanza economica della biodiversità. Il Comitato desidera tuttavia mettere in guardia dal porre l'accento unicamente sulla questione della valorizzazione economica della biodiversità, per i seguenti motivi:

per mantenere la biodiversità vi sono molte ragioni valide che non possono e non devono essere monetarizzate, come per esempio «il diritto proprio della natura», la «idea di creazione», l'importanza culturale della diversità o la semplice identificazione con la natura,

non si deve assolutamente arrivare ad una situazione in cui la necessità di preservare una singola specie dipenda dal calcolo del suo valore economico.

3.7

Il CESE teme inoltre che lo studio TEEB possa avere lo stesso destino della relazione Stern sulla protezione climatica, i cui avvertimenti in merito alle conseguenze economiche a lungo termine dei cambiamenti climatici sono stati ampiamente ignorati a livello politico. È significativo che, ad oggi, i ministri delle Finanze e dell'Economia non abbiano neppure iniziato ad esaminare tale studio.

3.8

Il CESE ritiene pertanto che in questa situazione non ci si possa limitare a riciclare i vecchi obiettivi del 2001, spostando sostanzialmente al 2020 gli obiettivi fissati per il 2010, e a definire una nuova visione per il 2050, per quanto una visione di ampio respiro possa essere importante. Occorre invece valutare gli strumenti e le politiche esistenti nonché elaborare ed attuare misure più adeguate ed efficaci nella pratica. La nuova strategia 2020 in materia di biodiversità, pertanto, deve non solo contenere obiettivi (finali e intermedi) concreti e quantificati ma soprattutto fissare un programma di attuazione preciso e vincolante e stabilire chiare responsabilità. Vanno infine messe a disposizione le risorse finanziarie adeguate.

4.   Osservazioni generali sulla comunicazione

4.1

A giudizio del CESE, l'obiettivo della comunicazione all'esame è quello di avviare un nuovo dibattito tra i leader politici europei, che dovrà dare un segnale chiaro alla società e conferire un mandato preciso ai servizi responsabili. Il CESE condivide questa impostazione.

4.2

Il Comitato accoglie favorevolmente la risoluzione del Consiglio Ambiente del 15 marzo 2010, il quale, nella sostanza, ha appoggiato l'opzione 4. Invita tuttavia a non passare all'ordine del giorno senza trarre le debite conseguenze, come è invece avvenuto nel 2001, pena il rischio che anche questo nuovo obiettivo abbia la stessa sorte di quello fissato nel 2001.

4.3

Per il CESE non basta che ad occuparsi di questo tema sia «solo» il Consiglio Ambiente e chiede pertanto che anche gli altri Consigli interessati affrontino l'argomento. Nella comunicazione all'esame la Commissione precisa molto chiaramente che la perdita di biodiversità presenta, accanto ad una dimensione ambientale ed etica, anche una dimensione economica. Il CESE pertanto si aspetta che soprattutto i ministri dell'Economia e delle Finanze si occupino del problema, che vengano stimate le risorse di bilancio da destinare a tale obiettivo nei prossimi anni e che siano indicate le altre modifiche a livello economico e politico da effettuare in parallelo.

4.4

Il Comitato è particolarmente deluso dal fatto che il Consiglio europeo, diversamente da quanto avvenne nel 2001, non abbia inviato alcun segnale concreto in proposito. Nella nuova strategia Europa 2020, il cui obiettivo dichiarato è quello di creare una «Europa verde», non vengono citati nemmeno una volta concetti come «biodiversità», «habitat», «protezione della natura», «protezione delle specie» o «protezione della diversità delle risorse genetiche». La «diversità delle specie» viene citata solo due volte all'interno di frasi che parlano di efficienza sotto il profilo delle risorse. Persino le conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2010 non dedicano un capitolo specifico a questo tema essenziale, limitandosi a confermare la decisione del Consiglio Ambiente del 15 marzo nel quadro delle questioni di politica climatica.

4.5

È evidente che la conservazione della biodiversità, in tutta la sua rilevanza, non è al centro delle preoccupazioni e dell'azione politica. Questo è un segnale pericoloso e inaccettabile rivolto all'opinione pubblica europea, la quale ha già una conoscenza estremamente limitata del tema e dispone di scarse possibilità d'intervento.

4.6

Nella nuova visione in materia di biodiversità occorre precisare le responsabilità di ciascuno, ad esempio definendo in modo più chiaro i rapporti tra l'UE, gli Stati membri, le regioni e gli enti locali, nonché tra il mondo economico, le associazioni e la società, ma anche all'interno degli stessi servizi della Commissione.

4.7

Il CESE condivide l'opinione della Commissione secondo cui la biodiversità è un compito intersettoriale e trasversale. Proprio per tale motivo la nuova strategia da elaborare in materia di biodiversità deve essere 1) obbligatoriamente integrata nella strategia Europa 2020 e 2) discussa seriamente e attuata con decisione da tutti i servizi della Commissione, ad esempio anche da quelli che si occupano di agricoltura, di energia, di trasporti. L'adozione di una strategia Europa 2020 comprendente un approccio integrato in materia di biodiversità impone a tutti i servizi della Commissione di collaborare alla sua attuazione. Questo significa anche che essi devono contribuire a rendere i loro programmi di sostegno e la corrispondente regolamentazione conformi all'obiettivo di protezione della natura, adeguandoli in maniera corrispondente.

4.8

Il CESE chiede pertanto alla Commissione di pubblicare, nell'autunno 2010, un elenco dettagliato dei settori politici in cui esistono lacune concrete nel campo dell'integrazione degli obiettivi in materia di biodiversità, lacune che vengono solo accennate in modo estremamente vago nella comunicazione. Bisognerà anche individuare le ragioni per le quali la strategia del 2006 in materia di biodiversità, che comprendeva pur sempre circa 160 diverse misure, non è stata sufficiente a realizzare dei miglioramenti.

4.9

Nella futura visione in materia di biodiversità va dunque precisato con quali strumenti e attraverso quali cambiamenti politici si pensa di colmare queste lacune analizzate.

4.10

L'imminente riforma del bilancio e la ridefinizione della politica agricola, della politica della pesca e dei fondi strutturali, in quanto settori politici fondamentali dell'UE, fungeranno quindi, in un certo qual modo, da banco di prova per la politica europea in materia di biodiversità, per quanto concerne sia la sua integrazione in altre politiche, richiesta ormai da anni, sia le necessarie risorse finanziarie (le azioni dell'UE a favore della biodiversità corrispondono allo 0,1 % del bilancio. D'altra parte vengono effettuati molti interventi che hanno conseguenze negative per la biodiversità).

4.11

A questo proposito il CESE fa rilevare il ruolo decisivo dell'agricoltura nella conservazione della biodiversità. Gran parte della biodiversità ha avuto origine nel quadro di pratiche agricole tradizionali, che tuttavia sono ormai divenute obsolete, soprattutto per ragioni economiche.

4.12

È quindi necessario trovare delle modalità per ricreare un collegamento tra l'agricoltura e la conservazione delle specie; in alcuni Stati membri si riscontrano approcci positivi che devono essere valutatati e notevolmente sviluppati. Occorre offrire agli agricoltori degli incentivi per lo svolgimento di questo tipo di compiti (3).

4.13

La tutela della biodiversità marina sta assumendo un'importanza particolare. Nella maggior parte delle società europee la conoscenza dei problemi dell'ecologia marina è piuttosto scarsa e la pressione esercitata sui governi e sulle istituzioni responsabili di detta tutela relativamente debole. Occorre valutare l'efficacia degli attuali sistemi di tutela delle risorse marine e sforzarsi di accordare a detta tutela una più alta priorità nei programmi di istruzione e nella gestione dell'economia.

4.14

Il CESE si aspetta che l'Unione europea si prepari adeguatamente alla 10a Conferenza delle parti firmatarie della Convenzione sulla diversità biologica e apporti un contributo sostanziale al nuovo piano strategico globale per la conservazione della biodiversità dopo il 2010.

5.   Osservazioni particolari

5.1

È evidente che le norme, regolamentazioni e misure esistenti non bastano a salvaguardare la biodiversità, ovvero, in altre parole, la perdita della biodiversità non è dovuta a costanti violazioni di tali norme bensì avviene nell'ambito delle norme stesse. Agire in modo ecologico si rivela spesso uno svantaggio in termini di competitività economica. D'altro canto, l'importanza economica della biodiversità viene sempre più spesso discussa nei circoli specializzati ma non è ancora accettata o riconosciuta in quanto tale. Il CESE auspica che la Commissione e il Consiglio si occupino in modo particolare di tali questioni ed elaborino un approccio su come affrontarle. L'internalizzazione dei costi esterni, spesso invocata ma ancora ad uno stato iniziale, potrebbe costituire un rimedio.

5.2

Il mantenimento della biodiversità deve svolgere un ruolo maggiore, in particolare nell'ambito della PAC. Con la riforma della politica agricola per il periodo successivo al 2013, i criteri di conservazione della biodiversità devono diventare un elemento essenziale di tale politica, in modo da risolvere l'attuale conflitto tra produzione economica e protezione della natura.

5.3

Il concetto di «infrastrutture verdi» contenuto nella comunicazione della Commissione dovrebbe essere sviluppato con decisione. Per conseguire gli obiettivi in materia di biodiversità non basta disporre di un sistema di singole zone protette, come quello attualmente in fase di creazione nell'ambito della rete Natura 2000. È necessario anche un sistema lineare europeo di collegamento tra i vari biotopi o, per dirla secondo il linguaggio europeo, una rete transeuropea «Natura» che comprenda i seguenti elementi:

corridoi di passaggio per le specie animali migratorie terrestri, come il lupo, la lince, l'orso o il gatto selvatico, formati ad esempio da strutture lineari per le specie che vivono nei boschi,

una rete formata dai bordi dei corsi d'acqua e dalle zone umide nell'ambito dell'attuazione della direttiva quadro in materia di acque. Questa rete risulterebbe utile per le specie che vivono in questi tipi di habitat (struttura ad aperta campagna),

bordi o delimitazioni di campi, boschetti e zone erbose ricche di specie (praterie e zone pianeggianti), viottoli per le specie di aperta campagna (in collegamento con il sostegno all'agricoltura).

5.4

Una rete TEN-Natura così concepita sarebbe utile per collegare tra loro le varie zone coperte dal programma Natura 2000 e per attuare la direttiva quadro in materia di acque. Essa potrebbe inoltre rappresentare, in parte, una risposta ai cambiamenti climatici e darebbe alle specie animali terrestri la possibilità di reagire a tali cambiamenti attraverso la migrazione. Non meno importante è però il fatto che una rete del genere consentirebbe gli scambi tra le popolazioni, finora isolate, di una determinata specie, cosa che costituisce un presupposto essenziale per garantire la loro sopravvivenza.

5.5

Per preservare e sviluppare ulteriormente i territori Natura 2000, vale a dire quello che è stato finora il cuore della politica europea in materia di biodiversità, l'UE deve finalmente garantire un sostegno adeguato allo sviluppo e alla sopravvivenza di tali zone.

5.6

La Commissione fa giustamente riferimento al fatto che la biodiversità è distribuita in modo disuguale. Vi sono regioni che presentano ancora un grado elevato di biodiversità e altre invece in cui essa è stata ridotta drasticamente, soprattutto per l'intervento dell'uomo. Da questo non bisogna tuttavia trarre conclusioni sbagliate: le misure politiche, comprese quelle finanziarie, non devono concentrarsi solo sui luoghi di punta della biodiversità. Una serie ampia e diversificata di strumenti politici risulta necessaria anche e soprattutto in quelle regioni in cui la biodiversità è ridotta, al fine di mantenere e/o ripristinare gli ecosistemi. D'altro canto, quegli Stati membri in cui il livello di protezione è, realmente o potenzialmente, ancora elevato non devono essere «puniti» ma semmai ricompensati.

5.7

La politica per il mantenimento della biodiversità non deve solo seguire un approccio di carattere generale. La nuova visione dell'UE in materia di biodiversità dovrebbe anche mettere in risalto il collegamento positivo tra protezione climatica e protezione delle specie e dunque migliorare in particolare la conservazione e lo sviluppo delle zone paludose, di quelle umide e delle praterie, nonché degli ecosistemi boschivi sostenibili. La politica in materia di sfruttamento della biomassa a fini energetici non deve essere in contrasto con tale approccio. Per scongiurare questo rischio, occorre introdurre dei criteri di sostenibilità da utilizzare anche in altri settori (ad esempio i mangimi).

5.8

Il CESE sottolinea tuttavia che sarà essenziale portare avanti un'efficace sensibilizzazione della società e degli ambienti economici sull'importanza di mantenere la diversità biologica. Questo compito, nonostante tutti i programmi esistenti e il lavoro delle associazioni ambientali, è ancora lungi dall'essere stato realizzato.

5.9

La stessa terminologia usata dai politici esperti del settore deve essere messa in discussione. Che cosa rappresenta, per il cittadino medio, la «biodiversità»? Che cosa immagina, sentendo parlare di «specie» o di «servizi ecosistemici»? Da numerosi sondaggi emerge una conoscenza spaventosamente limitata delle questioni ambientali. Anche da questo dato si evince che la protezione della natura non è compito solo dei ministri dell'Ambiente. Il settore dell'istruzione è chiamato anch'esso ad intervenire per diffondere le necessarie conoscenze di base.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 62 (punti 1.4 e 1.5).

(2)  GU C 195 del 18.8.2006, pag. 88 e pag. 96, GU C 161 del 13.9.2007, pag. 53, GU C 97 del 28.4.2007, pagg. 6-11, punto 1.3.

(3)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 35.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/155


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde — La protezione e l'informazione sulle foreste nell'UE: preparare le foreste ai cambiamenti climatici»

COM(2010) 66 definitivo

2011/C 48/27

Relatore: KALLIO

Correlatore: BURNS

La Commissione, in data 17 maggio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde - La protezione e l'informazione sulle foreste nell'UE: preparare le foreste ai cambiamenti climatici

COM(2010) 66 definitivo.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) osserva che:

si prevede che nei prossimi decenni aumenterà l'importanza delle foreste in quanto risorsa naturale rinnovabile, fonte di differenti servizi ecosistemici e fattore di benessere umano,

si ritiene inoltre che i cambiamenti climatici avranno ripercussioni sulle funzioni di base dell'ecosistema e, di conseguenza, sui servizi ecologici resi dalle foreste,

si prevede che i cambiamenti climatici accresceranno sia l'incertezza che una serie di fenomeni e di rischi transfrontalieri con varie ripercussioni sull'ambiente, come insetti nocivi, malattie, siccità, inondazioni, tempeste e incendi forestali,

in un contesto in cui la gestione forestale procede a degli adeguamenti diventa sempre più importante disporre di informazioni aggiornate sulle foreste, e la ricerca acquisisce un ruolo crescente nel processo decisionale riguardante le foreste.

1.2

Il CESE sottolinea che:

occorre occuparsi in maniera equilibrata delle differenti funzioni delle foreste, e non solo della loro protezione,

per preservare l'ecosistema, i servizi ecologici basati su di esso e altri beni pubblici occorre fornire incentivi economici e informazioni ai proprietari di foreste e ad altri soggetti, ad esempio coloro che eseguono in appalto lavori forestali o gli utilizzatori del legno, che nella pratica sono responsabili delle decisioni riguardanti le foreste,

è possibile attenuare le conseguenze a catena e l'effetto moltiplicatore dei mutamenti climatici prevenendo i rischi e preparandosi alle situazioni di crisi,

la cooperazione tra gli Stati e gli operatori costituisce uno strumento importante per controllare i fenomeni transfrontalieri e rafforzare la produzione di informazioni sulle foreste.

1.3

Il CESE auspica che il ruolo delle foreste e del settore forestale in un'economia verde coerente con la strategia Europa 2020 venga tenuto presente nelle varie politiche dell'UE nei seguenti modi:

facendo sì che le politiche dell'UE concernenti le foreste, tra cui la strategia e il piano d'azione per le foreste, promuovano la tutela e l'utilizzazione attive delle foreste e la concorrenzialità dell'utilizzo sostenibile ed ecocompatibile del legno e dei prodotti a base di legno,

provvedendo al coordinamento delle questioni forestali con altri settori e con le relative politiche, grazie al rafforzamento del ruolo del comitato forestale permanente e di altri organi e comitati consultivi competenti in materia forestale (1) nel processo decisionale dell'UE nelle questioni relative alle foreste,

tenendo conto, nel quadro della politica dell'UE per le aree rurali, della determinazione del prezzo dei vari servizi ecosistemici e dei beni pubblici.

1.4

Il CESE raccomanda che la Commissione:

offra un esempio agli Stati membri per quanto concerne il coordinamento delle questioni forestali con altri settori, politiche, paesi limitrofi e operatori nella prevenzione e nella gestione dei rischi e delle crisi,

promuova la produzione di dati obiettivi riguardanti il settore forestale, per esempio al fine di migliorare, nel quadro dell'Anno internazionale delle foreste 2011, il grado di accettazione del settore forestale presso i proprietari di foreste, i consumatori e i cittadini,

promuova la produzione di informazioni concernenti le caratteristiche del legno e dei prodotti a base di legno, ad esempio i vantaggi che ne derivano per il clima, al fine di incentivare il consumo e la produzione sostenibili,

faccia eseguire uno studio in merito ai soggetti che partecipano alla raccolta di informazioni sulle foreste dell'UE e alle informazioni da essi raccolte,

sviluppi, in collaborazione con la piattaforma tecnologica del settore forestale e con istituti di ricerca, organizzazioni nazionali e operatori del settore silvicolo, dei sistemi di raccolta di informazioni e di pianificazione, come pure delle buone prassi basate su tali sistemi, che aiutino ad individuare mutamenti improvvisi, come per esempio disastri, e a reagirvi,

rafforzi il sostegno fornito agli Stati membri e ad altri soggetti per l'attuazione e il monitoraggio della silvicoltura sostenibile, per la raccolta delle informazioni richieste a tal fine e per l'armonizzazione della raccolta di informazioni.

2.   Contesto e obiettivo

2.1

Il Libro verde in esame ha l’obiettivo di promuovere un dibattito pubblico in tutta l’UE, di sollecitare pareri sul futuro della politica di protezione e informazione sulle foreste e di fornire elementi per un eventuale aggiornamento della strategia forestale dell’UE, in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati al clima. Le questioni presentate nel Libro verde si basano sul precedente Libro bianco della Commissione L'adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d'azione europeo  (2).

2.2

Il Libro verde espone la situazione generale e illustra l'importanza delle foreste, presenta le specificità e le funzioni delle foreste europee, individua le principali sfide per le foreste e i rischi per la loro funzionalità derivanti dai cambiamenti climatici, e descrive gli strumenti a disposizione per la loro protezione e i sistemi di informazione sulle foreste.

2.3

In base al principio di sussidiarietà la competenza per le questioni riguardanti le foreste spetta principalmente agli Stati membri. Il compito dell'UE consiste essenzialmente nel creare un valore aggiunto per le politiche e i programmi forestali nazionali, tra l'altro richiamando l'attenzione degli Stati membri sulle sfide future e proponendo opzioni di intervento tempestivo a livello dell'UE.

2.4

Le riflessioni contenute nel presente parere vertono sulle modifiche che i cambiamenti climatici imporranno alle condizioni di gestione e protezione delle foreste in Europa, su come bisognerebbe che si evolvessero le politiche dell'UE per poter sostenere meglio che in passato le iniziative adottate in questo campo dagli Stati membri, su come l'UE possa contribuire a risolvere le sfide del futuro e su quali ulteriori informazioni siano necessarie. L'intervento di protezione delle foreste nell'UE dovrebbe puntare a garantire che esse, in futuro, continuino a svolgere tutte le loro funzioni produttive, socioeconomiche ed ambientali.

3.   Mantenimento, bilanciamento e potenziamento delle funzioni svolte dalle foreste (domanda 1)

3.1

Nelle convenzioni delle Nazioni Unite viene tra l'altro sottolineata l'importanza delle foreste nella prevenzione dei cambiamenti climatici (3) e nella protezione della biodiversità (4). A livello paneuropeo, e conformemente alla strategia forestale dell'UE, gli Stati membri si sono impegnati a bilanciare le varie funzioni delle foreste mediante un approccio basato sulla gestione sostenibile e sulla multifunzionalità di tali risorse naturali (5). A livello dell'UE le varie funzioni delle foreste sono considerate nella strategia forestale dell'UE, nel piano d'azione dell'UE per le foreste e nella comunicazione sulle industrie forestali (6). A livello nazionale e regionale le varie funzioni delle foreste sono prese in considerazione tra l'altro nei programmi forestali. Pertanto il quadro politico proprio del settore forestale contribuisce adeguatamente a mantenere, bilanciare e rafforzare le varie funzioni svolte dalle foreste, mentre il coordinamento delle questioni forestali con altri settori e con le relative politiche richiede sforzi ulteriori. Tale coordinamento può aver luogo ad esempio nel comitato forestale permanente, in altri organi e comitati consultivi competenti nelle questioni relative alle foreste (7) e nel gruppo interservizi sulla silvicoltura della Commissione europea. Occorrerebbe rafforzare il ruolo del comitato forestale permanente nel processo decisionale dell'UE in questo campo. Anche a livello nazionale si dovrebbe rendere più efficiente il coordinamento delle questioni relative alle foreste tra i differenti settori. Per i soggetti nazionali è importante l'esempio fornito dalla Commissione attraverso il suo approccio intersettoriale e orientato al futuro.

3.2

Si prevede che nei prossimi decenni aumenterà l'importanza delle foreste in quanto risorsa naturale rinnovabile, fonte di servizi ecosistemici e fattore di benessere umano. Ad esempio la quota dei mercati al consumo che corrisponde ai cosiddetti consumatori responsabili (8) è già considerevole in numerosi paesi europei. Lo sfruttamento diversificato e sostenibile delle foreste e dei prodotti e servizi che ne derivano, e gli interventi che contribuiscono a tale sfruttamento sono fonte di occupazione, di reddito e di prosperità in vari settori e a vari livelli. Per le comunità locali è molto importante il ruolo delle foreste e delle attività economiche basate sulle foreste, come la produzione di legno, i prodotti diversi dal legno e il turismo forestale. Conformemente alla strategia Europa 2020 è importante salvaguardare le condizioni di attività dei proprietari di foreste, di coloro che eseguono in appalto lavori forestali e dell'industria che utilizza il legno, perché si sta intensificando la concorrenza sia per le aree disponibili per la produzione di legno che per il legno disponibile per le varie lavorazioni e per la produzione di energia. Acquista importanza anche il ruolo della competenza in materia di informazione. L'Anno internazionale delle foreste 2011 offre un'opportunità di migliorare l'accettazione del settore forestale da parte dei consumatori e dei cittadini e di incentivare il consumo e la produzione sostenibili mettendo in risalto i vantaggi che il legno e i prodotti da esso derivati presentano rispetto ad altri materiali nella prevenzione dei cambiamenti climatici, ad esempio grazie alla loro capacità di immagazzinare carbonio, al fatto che richiedono poca energia per essere realizzati e alla loro prestazione termica.

3.3

Gli interventi relativi alla tutela e alla protezione dell'ambiente forestale sono stati tradizionalmente garantiti mediante obiettivi strategici e norme, orientamenti e raccomandazioni miranti alla loro realizzazione. Negli ultimi anni la responsabilità relativa ai servizi ecosistemici e agli altri beni pubblici è stata trasferita in misura maggiore ai proprietari di foreste e a coloro che eseguono lavori in appalto. Per la gestione degli aspetti ambientali tali soggetti necessitano di nuove conoscenze e informazioni in merito ai possibili interventi, ad esempio azioni congiunte rivolte ad accrescere l'efficacia rispetto ai costi o incentivi economici. Tra le sfide figura la determinazione del valore economico della tutela della biodiversità e dei bacini idrografici, dell'utilizzazione ricreativa dell'ambiente e del sequestro del carbonio.

3.4

Il ruolo delle foreste, del legno e dei prodotti in legno nella regolazione del clima è rilevante. Si considera particolarmente importante la capacità delle foreste e dei prodotti in legno di sequestrare carbonio. I prodotti in legno possono sostituire prodotti realizzati con altri materiali, meno efficaci ai fini della prevenzione dei mutamenti climatici. Per esempio il legno impiegato nell'edilizia, nel rivestimento di interni e nella produzione di mobili costituisce un serbatoio di carbonio a lungo termine. Inoltre utilizzando il legno per produrre bioenergia si può sostituire in una certa misura l'energia di fonte fossile. Si può incoraggiare con obiettivi e strumenti politici l'utilizzazione di materiali utili a contrastare i cambiamenti climatici, come legno e i prodotti lignei, nella prevenzione dei cambiamenti climatici.

3.5

I vasti danni provocati negli ultimi anni dalle tempeste e dagli incendi hanno comportato un'intensificazione del dibattito sulle conseguenze dei cambiamenti climatici per gli ecosistemi forestali e quindi per le funzioni svolte dalle foreste. L'incidenza delle foreste sulla regolazione del clima e nella protezione del suolo a livello locale e regionale varia da una zona all'altra. La loro importanza è stata maggiormente riconosciuta negli ultimi anni, man mano che è migliorata la conoscenza del ciclo idrico e si sono accresciute le esperienze relative ai problemi delle zone secche.

4.   Le ripercussioni dei cambiamenti climatici sulle foreste e sulla silvicoltura (domanda 2)

4.1

Si prevede che i cambiamenti climatici accresceranno sia l'incertezza che i rischi di impatti ambientali come insetti nocivi, malattie, siccità, inondazioni, tempeste e incendi forestali. Un'ulteriore sfida è costituita dalla globalizzazione e dal conseguente trasporto di legno e di materiale forestale da riproduzione, che accelera tra l'altro la diffusione degli insetti nocivi al di fuori della loro area naturale di distribuzione. Se i rischi ambientali per le foreste e il settore forestale si tradurranno in realtà ne deriveranno numerose conseguenze sociali ed economiche. Le conseguenze economiche possono essere dovute a modifiche del valore delle proprietà o del contesto operativo delle imprese. Le ripercussioni sociali possono essere dirette, ad esempio il mutamento dell'ambiente di vita in seguito alla distruzione di foreste, o indirette, come le conseguenze sociali a catena dei cambiamenti intervenuti nella situazione economica dei soggetti operanti nella regione interessata. La rapidità con cui i rischi ambientali si traducono in realtà comporta sfide specifiche, tra l'altro per il mercato e la logistica. Occorre approfondire le conoscenze relative alle possibili cause e conseguenze, al fine di limitare l'incertezza e di gestire i rischi nel contesto del cambiamento climatico.

4.2

Grazie all'abbondanza di risorse e alla buona gestione, le foreste europee sono in grado di adeguarsi a vari tipi di cambiamento. Tuttavia vi sono in Europa considerevoli differenze regionali, dovute alla diversità delle condizioni naturali e sociali. Ad esempio si prevede che nelle regioni secche dell'area mediterranea il rischio di incendi forestali crescerà sensibilmente a causa dell'effetto congiunto dei mutamenti climatici e delle attività umane. Se la siccità si dovesse diffondere altrove in Europa talune regioni, ad esempio quelle caratterizzate da una prevalenza di conifere, potrebbero soffrirne. In caso di inverni più miti e di assenza di gelo, la logistica relativa alle attività di taglio e raccolta del legname diverrà in alcuni casi più complessa. Anche il rischio di danni dovuti a funghi o a insetti è in aumento. Nelle zone dove le possibilità di prelievo di legname non sono state sfruttate pienamente si possono verificare distruzioni dovute alle tempeste e, come conseguenza, danni provocati da insetti nocivi. Le conseguenze economiche per i proprietari di foreste e per le economie locali possono essere considerevoli e la diversità forestale ne può risentire; i cambiamenti intervenuti nel quadro economico generale possono ripercuotersi anche sui vantaggi relativi delle varie zone e, di conseguenza, sulla distribuzione del lavoro tra le differenti regioni e sulle condizioni sociali.

4.3

Le conseguenze a catena negative dei cambiamenti climatici possono essere scongiurate adottando opportune misure precauzionali. Una sistematica attività di prevenzione è utile sia per scongiurare conseguenze indesiderate che ai fini della preparazione ai mutamenti improvvisi e alle catastrofi naturali. Acquista importanza il ruolo della pianificazione di azioni di adeguamento e di prevenzione a differenti livelli basate sul principio di precauzione. È inoltre importante che le politiche dell'UE relative al settore forestale e organi come la piattaforma tecnologica del settore forestale sostengano una gestione e un'utilizzazione attive delle foreste e promuovano la competitività dell'impiego sostenibile di materiali che hanno un impatto favorevole sul clima, come il legno.

4.4

È possibile attenuare le conseguenze a catena e ridurre l'effetto moltiplicatore preparandosi in anticipo alle situazioni di crisi, ad esempio predisponendo strumenti di reazione rapida, come piani di emergenza per le crisi, attrezzature e buone pratiche. Nelle fasi di transizione e di crisi è particolarmente importante avere cura degli aspetti relativi alla sicurezza, compresa la sicurezza sul lavoro.

5.   Strumenti disponibili per la tutela delle foreste (domanda 3)

5.1

La base giuridica e gli strumenti disponibili per la protezione delle foreste sono adeguati sia a livello nazionale che a livello dell'UE. Oltre alla tradizionale tutela dei siti sono in vigore limitazioni della gestione e requisiti in materia di autorizzazioni. Un problema del settore silvicolo è costituito dall'attuale frammentazione della regolamentazione e degli strumenti, e dalle duplicazioni e dalle possibili incongruenze che ne derivano.

5.2

Le misure di protezione su base volontaria si sono dimostrate efficaci rispetto ai costi, specie per le piccole proprietà silvicole. Tuttavia l'applicazione di tali misure presuppone la diffusione di competenze e di informazioni presso i proprietari di foreste, e la compensazione integrale dei costi e delle perdite di reddito derivanti dagli interventi facoltativi di tutela.

5.3

In questo momento le incertezze maggiori sono causate dalla diversità delle foreste che si trovano al di fuori delle aree protette, in merito alle quali non sono disponibili informazioni sufficienti. Inoltre gli obiettivi di aumento del ricorso alla biomassa come fonte energetica rinnovabile possono avere delle conseguenze sulle pratiche di gestione e di taglio, e di conseguenza sullo stato della diversità.

6.   Gestione e uso delle foreste (domanda 4)

6.1

La silvicoltura europea è caratterizzata da lunghi cicli di rotazione delle colture, tanto che, ad esempio, i risultati delle nuove procedure di gestione forestale possono essere conosciuti solo dopo alcuni decenni. Le condizioni socioeconomiche aumentano la richiesta di nuove tecniche di coltivazione e di cura delle foreste sfruttate a fini economici, come la produzione di alberi a rotazione rapida per uso energetico o il taglio di diradamento nelle foreste mature. Dal canto suo il contesto ecologico, ad esempio il mutamento climatico, può accrescere le ricadute ambientali dei nuovi metodi di gestione delle foreste. Nel quadro dell'adeguamento della gestione forestale, la situazione delle foreste e le relative variazioni vengono sorvegliate in modo continuo, e quindi la gestione può essere modificata all'occorrenza per realizzare meglio gli obiettivi perseguiti. Le misure di gestione e di utilizzazione delle foreste vengono decise dai proprietari, i quali, ai fini delle loro decisioni, hanno bisogno di informazioni sulle alternative disponibili in materia di gestione e sui relativi possibili impatti. Un possibile miglioramento consiste in una pianificazione forestale eseguita dai proprietari delle foreste.

6.2

Per garantire la conservazione del pool di geni del materiale forestale di moltiplicazione in tutta la sua diversità e il suo adattamento ai cambiamenti climatici si può per esempio adeguare di conseguenza il sistema di criteri e di indicatori della silvicoltura sostenibile.

7.   Adeguatezza e livello delle informazioni sulle foreste (domanda 5)

7.1

La produzione di informazioni sulle foreste in Europa è assicurata da tre soggetti principali:

la Commissione e gli istituti e i progetti da essa finanziati,

gli enti statistici e di ricerca nazionali,

gli operatori commerciali e gli operatori del settore forestale.

7.2

In base al principio di sussidiarietà gli Stati membri sono i principali responsabili dei settori di loro competenza e il compito dell'UE è quello di creare, attraverso l'azione comune, un valore aggiunto. Gli enti statistici e di ricerca nazionali, come l'inventario forestale nazionale o gli istituti di statistica, forniscono le informazioni sulle foreste necessarie per la concezione e l'attuazione della politica forestale nazionale. Attualmente le informazioni dell'UE in materia di foreste coprono tra l'altro la situazione delle foreste, compresi gli incendi, e altre statistiche riguardanti le foreste nonché, in parte, la produzione di legno e la sua utilizzazione finale, ad esempio i prodotti in legno. Inoltre gli istituti statistici nazionali hanno degli obblighi connessi alle statistiche internazionali. Eurostat è responsabile delle statistiche europee in materia di risorse forestali e di produzione di legno e del contributo dell'UE alle statistiche mondiali (9), nonché dell'integrazione e della normalizzazione dei dati nazionali. Nel quadro degli obblighi internazionali, la Commissione ha anche sostenuto gli enti nazionali nella normalizzazione dei loro dati (10). Nella normalizzazione occorre tenere conto sia dell'esigenza di statistiche uniformi che delle differenze nazionali e regionali nel contenuto dei dati (ad esempio gli indicatori della diversità). La Commissione ha tra l'altro realizzato sistemi di monitoraggio dei fenomeni caratterizzati da una dimensione transfrontaliera, come la salute delle foreste (11), gli incendi forestali (12) e i sistemi paneuropei di informazione e comunicazione (13).

7.3

In genere i proprietari di foreste e gli altri soggetti del settore silvicolo ricevono i dati riferiti alla propria attività o utili per essa da enti nazionali statistici e di ricerca o da operatori commerciali. I proprietari di foreste e gli altri soggetti del settore forestale producono e raccolgono inoltre informazioni nei propri sistemi di gestione dei dati in tempo reale. In un contesto in evoluzione, e in cui la gestione forestale procede a degli adeguamenti, diventa sempre più importante poter disporre di dati aggiornati sulle foreste.

7.4

La completezza, la precisione e il grado di aggiornamento dei dati sulle foreste varia da un paese all'altro. La maggior parte dei paesi riesce a riferire a livello nazionale con cadenza quasi annua in merito all'ammontare delle proprie risorse di alberi da legname. Una parte degli enti nazionali competenti è in grado di riportare annualmente in maniera particolareggiata e fedele anche i dati concernenti lo stato di salute, la situazione, la capacità di produzione, il bilancio del carbonio, le funzioni protettive, i servizi e la capacità di sopravvivenza delle foreste del rispettivo paese (14). In una parte degli Stati membri si riscontrano tuttora lacune per quanto riguarda il contenuto informativo, l'esattezza e il grado di aggiornamento. Al fine di normalizzare le statistiche a livello internazionale, la Commissione finanzia progetti di ricerca e sviluppo e reti di cooperazione (15). Le principali lacune nelle informazioni relative alle foreste, sotto il profilo della tutela delle foreste e dei cambiamenti climatici, sono la diversità delle foreste site al di fuori delle aree protette, l'utilizzazione sostenibile delle risorse di bioenergie, i depositi e i serbatoi di assorbimento del carbonio, compresi i prodotti ricavati dal legno, e la rapida localizzazione delle aree interessate da danni. Occorre accrescere il sostegno destinato alla raccolta e all'armonizzazione dei dati relativi alle foreste da parte dei soggetti nazionali.

7.5

La normalizzazione dei dati sulle foreste nell'UE è resa più difficile dal gran numero di soggetti che prendono parte alla raccolta di tali dati. È quindi importante realizzare uno studio esaustivo in cui vengano individuati i vari soggetti competenti e i dati che essi devono raccogliere.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Gruppo consultivo Foreste e sughero, comitato consultivo della politica comunitaria nel sistema legno; decisione 97/837/CE della Commissione, del 9 dicembre 1997, recante modificazione della decisione 83/247/CEE, GU L 346 del 17.12.1997, pag. 95.

(2)  COM(2009) 147 definitivo.

(3)  Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

(4)  Convenzione sulla biodiversità (CBD).

(5)  Forest Europe, precedentemente Conferenza ministeriale per la protezione delle foreste in Europa (MCPFE).

(6)  COM(2008) 113 definitivo.

(7)  Cfr. la nota 1.

(8)  Lifestyles of Health and Sustainability (LOHAS).

(9)  Ad esempio Joint Forest Sector Questionnaire (JFSQ), nel quadro di una cooperazione informale con FAO, ITTO e UNECE.

(10)  Cfr. tra l'altro COST E43 Harmonisation of National Forest Inventories in Europe: Techniques for Common Reporting.

(11)  Forest Focus Community Scheme 2003-2006/7.

(12)  European Forest Fire Information System (EFFIS).

(13)  European Forest Data Center (EFDAC) e European Forest Information and Communication Platform (EFICP).

(14)  Forest Europe o contributi regionali alla valutazione delle risorse forestali mondiali (Global Forest Resource Assessment, GFRA).

(15)  Futmon, progetto cofinanziato LIFE+ per lo sviluppo e l'attuazione di un sistema di monitoraggio delle foreste a livello dell'UE; contratto quadro del Centro comune di ricerca per le e-foreste; rete COST: migliorare i dati e le informazioni sull'approvvigionamento potenziale di legno: A European Approach from Multisource National Forest Inventories Usewood.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/160


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento (Euratom) del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva» (rifusione)

COM(2010) 184 definitivo — 2010/0098 (CNS)

2011/C 48/28

Relatrice: Pirkko RAUNEMAA

La Commissione, in data 27 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 31 del Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento (Euratom) del Consiglio che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva (rifusione)

COM(2010) 184 definitivo - 2010/0098 (CNS).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010, (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Le ricadute radioattive hanno quasi sempre carattere transfrontaliero. Esse causano un rilascio prolungato di sostanze radioattive, che si disperdono su lunghe distanze e interessano territori molto vasti. Gli incidenti di questo tipo possono quindi trasformarsi in catastrofi di dimensioni internazionali.

1.2   È perciò fondamentale disporre di normative chiare e aggiornate che le istituzioni dell'UE e gli Stati membri possano facilmente applicare nel caso di ricadute radioattive. Per questo motivo risulta sia opportuno che necessario procedere ad una riforma della legislazione in vigore.

1.3   Dal disastro nucleare di Chernobyl del 1986, la Comunità ha messo a punto delle norme che stabiliscono i limiti di contaminazione per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali a seguito di un incidente nucleare (1), come pure delle modalità per uno scambio rapido d'informazioni in caso di emergenza radioattiva (2). La validità dei livelli ammissibili è stata riveduta per l'ultima volta nel 1995 dal gruppo di esperti di cui all'articolo 31 del Trattato Euratom. Pertanto i livelli ammissibili andrebbero ora nuovamente sottoposti a verifica.

1.4   L'UE ha creato un organo di valutazione dei rischi efficiente e riconosciuto a livello internazionale, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) (regolamento (CE) n. 178/2002 del 28 gennaio 2002). Il compito dell'EFSA dovrebbe essere esteso alla valutazione sanitaria dei residui radioattivi nei prodotti alimentari e negli alimenti per animali, e la Commissione dovrebbe sottoporre a verifica i dispositivi esistenti.

1.5   Per garantire un grado elevato di controllo dei livelli di radioattività nei prodotti alimentari e negli alimenti per animali, le autorità nazionali per la sicurezza alimentare dovrebbero essere legalmente autorizzate - accanto alle agenzie nazionali di protezione dalla radioattività - a sorvegliare i livelli massimi ammissibili di radioattività e a controllare le importazioni di prodotti alimentari e alimenti per animali qualora tali livelli vengano superati, senza dover richiedere conferma all'autorità di monitoraggio della radioattività.

1.6   La Commissione dovrebbe anche cercare di garantire, nel quadro delle disposizioni e degli orientamenti del proprio Codex Alimentarius, che vengano adottate normative internazionali riguardanti la presenza di ricadute radioattive e i loro effetti sui prodotti alimentari e sugli alimenti per animali, nonché determinare quali istituzioni dovranno essere principalmente responsabili per il controllo alle frontiere delle importazioni e delle esportazioni nell'Unione europea in caso di incidente.

1.7   Dato che l'acqua è uno dei principali ingredienti dei prodotti alimentari e degli alimenti per animali, anch'essa avrebbe dovuto figurare negli allegati del regolamento. Inoltre le relative disposizioni dovrebbero applicarsi anche a tutti gli altri usi dell'acqua potabile e non solo a quella utilizzata nei prodotti alimentari e negli alimenti per animali.

1.8   Quando si verificano incidenti nucleari, è importante cercare di influire sul comportamento delle persone, inducendole a scegliere alimenti e bevande sicuri o meno pericolosi. Alle autorità nazionali e alle organizzazioni del settore spetta la responsabilità di fornire indicazioni ed effettuare azioni di sensibilizzazione.

2.   Introduzione

2.1   Contesto

2.1.1   A seguito dell'incidente verificatosi il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Chernobyl, sono stati immesse nell'atmosfera notevoli quantità di materiali radioattivi che hanno contaminato in numerosi paesi europei i prodotti alimentari e gli alimenti per animali, a un livello significativo sotto il profilo sanitario.

2.1.2   Per la prima volta furono adottate misure tempestive a livello comunitario per affrontare questo tipo di incidenti nucleari, che causano l'immissione prolungata di composti radioattivi in grado di disperdersi su lunghe distanze e di avere effetti potenziali su territori molto vasti.

2.1.3   In passato, solo una volta il Comitato si è espresso sulla questione della radioattività dei prodotti alimentari e degli alimenti per animali a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva (3). Quel parere, tuttavia, poteva costituire soltanto un punto di vista iniziale, dato che la Commissione doveva ancora proporre dei livelli massimi ammissibili di radioattività. La presente consultazione offre quindi al Comitato l'opportunità di formulare un parere più aggiornato su questo tema.

2.2   Quadro giuridico

2.2.1   Il regolamento (Euratom) n. 3954/87 del Consiglio, del 22 dicembre 1987, stabilisce la procedura per adottare i livelli massimi ammissibili di radioattività per i prodotti alimentari e per gli alimenti per animali a seguito di un incidente nucleare o in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva. Esso è stato modificato in modo sostanziale nel corso degli anni (4). I livelli massimi ammissibili «di riferimento» erano stati fissati in allegati separati nel quadro della seconda modifica al regolamento.

2.2.2   Qualora la Commissione venga informata di un incidente o di qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva nel corso del quale i livelli massimi ammissibili possono essere raggiunti o sono stati raggiunti, essa adotta un regolamento che rende applicabili detti livelli massimi ammissibili. Il periodo di validità di tale regolamento è per quanto possibile limitato e non deve superare i tre mesi.

2.2.3   La Commissione presenta al Consiglio una proposta di regolamento per adattare o confermare le disposizioni del primo regolamento entro un mese dalla sua adozione e previa consultazione del gruppo di esperti di cui all'articolo 31 del Trattato Euratom. Anche il periodo di validità di questo secondo regolamento è limitato. Ciò non pregiudica tuttavia la possibilità che a lungo termine, dopo l'incidente o l'emergenza radioattiva, si faccia ricorso ad altri atti normativi o a un'altra base giuridica per il controllo dei prodotti alimentari o degli alimenti per animali immessi sul mercato.

2.2.4   I livelli massimi ammissibili fissati negli allegati al regolamento possono essere rivisti o completati in base al parere di esperti ai sensi dell'articolo 31. La validità dei livelli massimi ammissibili stabiliti è stata esaminata per l'ultima volta nel 1995 dal gruppo di esperti di cui all'articolo 31, alla luce delle disposizioni della direttiva 96/29/Euratom del Consiglio, che impone agli Stati membri di fissare i livelli di intervento in caso di incidenti (5).

2.2.5   Per quanto riguarda le importazioni, l'UE ha adottato misure intese a garantire che i prodotti agricoli siano introdotti nell'Unione soltanto secondo modalità comuni che tutelino la salute dei consumatori, preservino l'unicità del mercato e impediscano deviazioni di traffico.

2.2.6   In caso di emergenza radioattiva gli Stati membri sono tenuti a scambiare informazioni tramite il sistema «Ecurie» (Sistema comunitario di scambio di informazioni radiologiche urgenti) (6). Il sistema impone che, se uno Stato membro decide di prendere misure di portata generale per proteggere la popolazione in caso di emergenza radioattiva, esso dovrà notificare immediatamente tali misure alla Commissione e agli Stati membri che siano o possano essere interessati da dette misure ed indicare i motivi per cui dette misure sono state prese. Tali informazioni devono comprendere la natura dell'evento, il momento e il luogo preciso in cui si è verificato, nonché l'installazione o l'attività di cui trattasi; la causa e lo sviluppo prevedibile dell'incidente; le misure protettive prese o previste, come pure i valori misurati sui generi alimentari, sui mangimi, sull'acqua potabile e sull'ambiente.

2.3   Il documento della Commissione

2.3.1   La Commissione ha avviato la codificazione del regolamento (Euratom) n. 3954/87 del Consiglio e delle successive modifiche.

2.3.2   Nel corso del procedimento legislativo, tuttavia, si è preso atto del fatto che una disposizione della proposta di codificazione prevedeva, a favore del Consiglio, una riserva di esercizio di competenze di esecuzione che non era stata motivata nei considerando del regolamento (Euratom) n. 3954/87.

2.3.3   Poiché l'inserimento di tale considerando rappresenta una modificazione sostanziale e va pertanto oltre la mera codificazione, è stato giudicato opportuno convertire la codificazione in una rifusione al fine di introdurvi le modifiche necessarie.

2.3.4   Nel considerando 15 della proposta viene menzionata la possibilità che, in talune circostanze, il Consiglio, invece della Commissione, si riservi la facoltà di adottare immediatamente misure adeguate che, in un arco di tempo molto limitato, rendano applicabili livelli massimi ammissibili prestabiliti di contaminazione radioattiva.

3.   Valutazione

3.1   È fondamentale disporre di normative chiare e aggiornate che le istituzioni dell'UE e gli Stati membri possano facilmente applicare nel caso di ricadute radioattive. Per questo motivo risulta sia opportuno che necessario procedere ad una riforma della legislazione in vigore. Inoltre, la probabilità che si verifichino incidenti nelle centrali nucleari o altri fenomeni di ricadute radioattive potrebbe aumentare nell'UE, tra l'altro per l'invecchiamento delle centrali esistenti, la costruzione di numerosi nuovi impianti e il rischio di altri incidenti imprevisti.

3.2   Le ricadute radioattive interessano quasi sempre territori molto vasti, e il trasporto su lunghe distanze non ne diminuisce necessariamente l'intensità in misura significativa. Questi eventi possono pertanto trasformarsi in catastrofi sanitarie e ambientali su scala internazionale.

3.3   Rispetto al 1986, l'UE dispone ora di un organo di valutazione dei rischi efficiente e riconosciuto a livello internazionale, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) (regolamento (CE) n. 178/2002). I residui radioattivi nei prodotti alimentari e negli alimenti per animali sono paragonabili ai contaminanti alimentari. Perciò ci si sarebbe potuti aspettare che all'EFSA venisse affidato il compito della valutazione sanitaria di tali residui. Nella proposta in esame, tuttavia, la Commissione mantiene i dispositivi già esistenti, in alcuni casi risalenti a qualche decennio fa, senza ulteriori considerazioni o giustificazioni.

3.4   Quando si verificano incidenti nucleari, è importante cercare di influire sul comportamento delle persone, inducendole a scegliere alimenti e bevande sicuri o meno pericolosi. Inoltre, i produttori agricoli devono in ogni caso essere informati sui livelli di radioattività dei prodotti alimentari e degli alimenti per animali nelle situazioni di crisi. A questo proposito le autorità nazionali e le organizzazioni del settore possono svolgere un ruolo guida nel fornire indicazioni ed effettuare azioni di sensibilizzazione.

3.5   È ora essenziale rifondere le disposizioni in materia di ricadute radioattive e livelli di radioattività in modo tale che la loro attuazione a livello dell'UE e degli Stati membri risulti più facile e più chiara.

3.6   I livelli massimi ammissibili di radioattività devono essere adeguati alle esigenze delle categorie più vulnerabili della popolazione: ad esempio, agli alimenti per l'infanzia andrebbero applicati valori più rigorosi di quelli vigenti per i prodotti alimentari destinati al consumo generale.

3.7   I materiali radioattivi possono contaminare le acque di superficie in occasione di test nucleari e anche nel quadro dell'utilizzo dell'energia nucleare e di sostanze radioattive in campo sanitario, industriale e della ricerca. Benché in circostanze normali si tratti di quantità trascurabili, la situazione può cambiare nel caso di un incidente radioattivo. Perciò, dato che l'acqua è uno dei principali ingredienti dei prodotti alimentari e degli alimenti per animali, essa avrebbe dovuto figurare negli allegati al regolamento.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Regolamento (Euratom) n. 3954/87 del Consiglio, del 22 dicembre 1987, e successive modifiche.

(2)  Decisione 87/600/Euratom del Consiglio, del 14 dicembre 1987.

(3)  CES 480/87, GU C 180 dell'8.7.1987, pagg. 20-25.

(4)  Regolamento (Euratom) n. 944/89 della Commissione e regolamento (Euratom) n. 770/90 della Commissione.

(5)  Articolo 50, paragrafo 2, della direttiva 96/29/Euratom del Consiglio, del 13 maggio 1996, che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti.

(6)  Cfr. nota 2.


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/163


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento (UE) n. xxxx/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (regolamento unico OCM) per quanto riguarda l'aiuto concesso nell'ambito del monopolio tedesco degli alcolici»

COM(2010) 336 definitivo — 2010/0183 (COD)

2011/C 48/29

Relatore: KIENLE

Il Parlamento europeo e il Consiglio, rispettivamente in data 7 e 8 luglio 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento (UE) n. xxxx/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (regolamento unico OCM) per quanto riguarda l'aiuto concesso nell'ambito del monopolio tedesco degli alcolici

COM(2010) 336 definitivo - 2010/0183 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2010.

Alla sua 465 a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di prolungare per un periodo limitato, che terminerà definitivamente il 31 dicembre 2017, la validità delle disposizioni concernenti gli aiuti concessi nell'ambito del monopolio tedesco degli alcolici. Non sono infatti state rilevate distorsioni del mercato e la proposta non ha ripercussioni sul bilancio comunitario.

1.2

Il CESE raccomanda di utilizzare il periodo di transizione per aiutare le famiglie impegnate nella tradizionale attività agricola di distillazione a dare alle proprie aziende un nuovo orientamento che sia socialmente accettabile, e soprattutto a mantenere in attività le coltivazioni di frutta, utili sotto il profilo ecologico.

2.   Introduzione

2.1

La Commissione europea propone di sopprimere, a partire dal 1o gennaio 2018, il monopolio tedesco dell'alcole etilico di origine agricola, in vigore dal 1918. Attualmente l'autorità nazionale assegna i diritti di distillazione e stabilisce un prezzo di acquisto, che deve coprire i costi di produzione della distilleria.

2.2

La produzione e la vendita del monopolio saranno progressivamente ridotte fino alla cessazione del monopolio stesso:

le distillerie agricole sotto sigillo, che si dedicano principalmente alla lavorazione di cereali e patate, devono uscire dal monopolio entro la fine del 2013. Fino ad allora dovranno ridurre ogni anno di un terzo la loro produzione (da 540 000 ettolitri nel 2011 agli ultimi 180 000 nel 2013),

le distillerie di piccole dimensioni in regime forfettario, i proprietari di materie prime e le distillerie cooperative di frutta, la cui produzione di alcol di frutta, essenzialmente locale, è molto limitata, possono produrre un volume totale di 60 000 hl annui fino alla fine del 2017.

2.3

La proposta non ha alcuna incidenza sul bilancio dell'UE.

3.   Osservazioni

3.1

Il CESE accoglie con favore il piano proposto per l'uscita progressiva dal monopolio tedesco degli alcolici, che prevede una deroga limitata nel tempo e una limitazione differenziata della produzione di alcole etilico di origine agricola.

3.2

Nel 2008 sono stati prodotti nei 27 Stati membri circa 40,5 milioni di ettolitri di alcole etilico di origine agricola, soprattutto a partire da cereali, barbabietole da zucchero e melassa, vino, patate, frutta e altri prodotti. I principali produttori di alcole agricolo nell'UE sono la Francia (15,4 milioni di ettolitri), la Germania (5,9 milioni), la Spagna (5,4 milioni) e la Polonia (1,9 milioni). Nello stesso anno gli Stati membri dell'UE hanno importato circa altri 13 milioni di ettolitri di alcole etilico da paesi terzi. L'alcole etilico di origine agricola viene utilizzato per il consumo umano (in bevande e aceto), nel settore dei biocarburanti e per altri impieghi industriali. Negli ultimi tempi è fortemente cresciuto l'utilizzo nel settore dei biocarburanti.

3.3

Tuttavia solo il 10 % circa della produzione tedesca di alcole agricolo è realizzata nel quadro del monopolio tedesco degli alcolici e beneficia di un aiuto nazionale. In base agli ultimi dati, 674 distillerie agricole hanno prodotto per il monopolio una quantità media di 800 ettolitri di alcole ciascuna. Le circa 28 000 piccole distillerie in regime forfettario, di cui circa 20 000 sono attive ogni anno, possono produrre nell'ambito del monopolio solo 300 litri di alcole all'anno ciascuna.

3.4

Sinora il monopolio ha reso possibile questa produzione tradizionale ed estremamente decentrata, che avviene in distillerie agricole di dimensioni ridotte e talvolta minime. Ma questa produzione riveste grande importanza a livello regionale, ad esempio ai confini di rilievi di media altitudine come quello della Foresta nera. L'economia a ciclo chiuso, compatibile con l'ambiente, delle distillerie agricole, e il contributo delle piccole distillerie e delle distillerie di frutta alla stabilizzazione del reddito, alla conservazione dei paesaggi culturali e al mantenimento della biodiversità, godono in generale di un elevato riconoscimento politico e sociale.

3.5

Il CESE ritiene che, dopo la cessazione del monopolio degli alcolici e la liberalizzazione del mercato dell'alcole agricolo, la produzione industriale di alcole non rappresenterà un'alternativa per le (piccole) distillerie agricole tradizionali. Pertanto, durante il periodo transitorio bisognerebbe da un lato ricercare le opportunità di aiutare queste famiglie di agricoltori a orientare la propria attività verso il futuro in maniera socialmente accettabile, e dall'altro preservare aree di grande valore ecologico come quelle destinate a frutteto e alla coltivazione mista di alberi da frutto e di altre colture.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/165


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 663/2009 che istituisce un programma per favorire la ripresa economica tramite la concessione di un sostegno finanziario comunitario a favore di progetti nel settore dell'energia»

COM(2010) 283 definitivo — 2010/0150 (COD)

2011/C 48/30

Relatore: BUFFETAUT

Il 15 giugno 2010 il Parlamento europeo e il 23 giugno 2010 il Consiglio dell'Unione europea hanno deciso, conformemente agli articoli 194, paragrafo 1, lettera c) e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 663/2009 che istituisce un programma per favorire la ripresa economica tramite la concessione di un sostegno finanziario comunitario a favore di progetti nel settore dell'energia

COM(2010) 283 definitivo - 2010/0150 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 2 voti contrari e un'astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide l'impostazione generale della proposta della Commissione e gli obiettivi che essa si prefigge. Esso approva in modo particolare l'idea di utilizzare i fondi europei per produrre un effetto leva in grado di accelerare l'attuazione degli investimenti nel campo dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili. Il CESE auspica che la ripartizione del sostegno finanziario tra l'assistenza tecnica e prestiti a tasso agevolato e garanzie bancarie venga motivata meglio. Inoltre, esso auspica che venga definito con maggior precisione l'ambito coperto dall'assistenza tecnica.

1.2   Il CESE si augura che ciò si realizzi effettivamente con le modalità espressamente indicate dalla Commissione: tutti gli intermediari finanziari interessati dovrebbero così essere abilitati a gestire lo strumento finanziario, e la selezione dei progetti dovrebbe essere effettuata dai gestori dei fondi sotto il controllo della Commissione. Il CESE auspica che le modalità di gestione e di accesso ai fondi vengano rese più perspicue e si traducano in istruzioni pratiche chiare per gli intermediari finanziari e i gestori dei progetti.

1.3   Il CESE reputa tuttavia necessario od utile che la Commissione fornisca alcuni chiarimenti riguardo a una serie di punti in appresso indicati.

1.3.1   In primo luogo è necessario conoscere quanto prima l'importo totale (effettivo o almeno stimato) della dotazione finanziaria disponibile da oggi alla fine del 2010, al di là dei 114 milioni di euro già annunciati: divisa tra 27 Stati membri, quest'ultima somma rappresenta infatti solo un contributo relativamente limitato. Si dovrà in ogni caso tener conto dell'effetto leva che sarà generato dall'apporto complementare degli investitori privati e dall'impulso dato ai progetti e agli investimenti veri e propri, se e non appena la fase di assistenza tecnica avrà ricevuto un sostegno significativo.

1.3.2   È inoltre opportuno definire chiaramente il concetto di «progetti redditizi»: per esempio, l'isolamento degli edifici, molto utile ai fini dell'efficienza energetica, ai fini del risparmio energetico è redditizio a lungo termine, specialmente negli edifici di maggiore vetustà. Il concetto di «progetto redditizio» va inteso nel senso di progetto finanziabile che non potrebbe essere realizzato senza il sostegno dell'UE. Tale concetto potrebbe essere definito espressamente nel regolamento come un «progetto che trova il suo equilibrio finanziario grazie all'aiuto fornito dagli strumenti europei».

1.3.3   Quanto ai criteri di ammissibilità:

il CESE comprende e condivide la scelta della Commissione di considerare tutti di pari importanza i diversi settori interessati e di applicare i criteri di investimento e di rispetto degli obiettivi europei in materia di efficienza energetica e di energie rinnovabili. In particolare, saranno ammissibili i progetti rientranti nel quadro di contratti di prestazione energetica, così come i progetti già sovvenzionati con fondi europei. Il CESE sottolinea che questo strumento mira a favorire le sinergie con i fondi strutturali e il Fondo di coesione,

non essendo stato ancora stabilito un elenco di progetti preselezionati (come nel quadro del regolamento (CE) n. 663/2009), il CESE presterà una particolare attenzione alla ripartizione dei fondi allocati tra il finanziamento dei progetti e l'assistenza tecnica; al riguardo esso reputa che la gran maggioranza dei finanziamenti dovrebbe essere riservata a investimenti o progetti concreti,

occorre chiedersi se la Commissione stabilirà un elenco di progetti preselezionati, come nel quadro del regolamento (CE) n. 663/2009, il Comitato fa notare che il regolamento non conterrà esso stesso un elenco di progetti preselezionati, ma detterà i criteri in base ai quali i progetti saranno selezionati ad opera del fondo. I progetti finanziati formeranno oggetto di una relazione,

il CESE precisa che questo sostegno finanziario a progetti di investimento deve rispettare il principio di neutralità di trattamento nei confronti dell'operatore, pubblico o privato. Tali progetti dovranno quindi poter essere realizzati nel quadro di partenariati pubblico-privato,

più in generale, il Comitato insiste sul fatto che i criteri di attribuzione dovrebbero riguardare principalmente l'affidabilità tecnica, la sicurezza finanziaria dei progetti e i risultati concreti previsti in termini di efficienza energetica e di uso di energie rinnovabili,

il CESE auspica che il criterio di ammissibilità relativo alle «misure che hanno un impatto rapido, quantificabile e sostanziale» venga precisato meglio.

1.4   Il Comitato, pur comprendendo l'auspicio della Commissione che le autorità locali interessate siano «politicamente impegnate nella lotta contro i cambiamenti climatici» e si siano inoltre «fissate obiettivi precisi», mette in guardia contro un'eccessiva fiducia in atteggiamenti che si riducono spesso a mere dichiarazioni d'intenti e a campagne di comunicazione politicamente corrette piuttosto che risolversi in azioni concrete basate su tecnologie solide e innovative o su sistemi di gestione efficaci e generalmente accettati nel campo dell'efficienza energetica, delle reti di calore o delle energie rinnovabili.

2.   Origine e principi del regolamento che istituisce un programma per favorire la ripresa economica tramite la concessione di un sostegno finanziario comunitario a favore di progetti nel settore dell'energia

2.1   Il programma energetico europeo per la ripresa (PEER) era provvisto di una dotazione finanziaria di 3,98 miliardi di euro, e la quasi totalità di tale dotazione doveva tradursi in impegno finanziario già a partire dal 2010. Tuttavia, 114 milioni di euro non verranno impegnati a titolo del PEER, e tale importo potrebbe finire per essere più elevato nel caso in cui alcuni progetti risultassero non conformi alle condizioni giuridiche, finanziarie o tecniche prescritte.

2.2   I fondi non impegnati a titolo del capo II del regolamento PEER saranno utilizzati per creare uno strumento finanziario specificamente destinato a promuovere iniziative in materia di energie rinnovabili e di efficienza energetica nell'ambito dell'iniziativa per il finanziamento delle energie sostenibili.

3.   Principi generali

3.1   Questo strumento finanziario dovrà consentire di sostenere lo sviluppo di progetti redditizi nel settore dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili e di facilitare il finanziamento degli investimenti in tale settore, soprattutto in ambiente urbano.

3.2   Al fine di promuovere un gran numero di investimenti decentrati, a beneficiare del programma saranno gli enti pubblici di livello comunale, locale e regionale, anche nel quadro di PPP.

3.3   I progetti da finanziare nel campo dell'energia sostenibile riguardano, tra l'altro, gli edifici pubblici e privati, la produzione combinata di calore e di elettricità (cogenerazione) e le reti di teleriscaldamento e/o di teleraffreddamento ad alto rendimento energetico, le fonti energetiche rinnovabili decentralizzate e integrate nel contesto locale, i trasporti urbani puliti e le infrastrutture locali, quali reti elettriche e contatori intelligenti e un'illuminazione stradale efficiente.

4.   Criteri di selezione e di ammissibilità

4.1   Per poter essere finanziate, le misure devono avere un impatto rapido, quantificabile e sostanziale sulla ripresa economica nell'UE, sul miglioramento della sicurezza energetica e sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra.

4.2   L'obiettivo è di far sì che il finanziamento europeo produca un effetto leva nei confronti degli altri contributi recati dagli enti territoriali o dalle imprese interessati, in funzione di precisi criteri attinenti, da un lato, alle politiche condotte da tali enti territoriali e, dall'altro, alle caratteristiche tecniche e finanziarie dei progetti.

4.3   Le disposizioni relative agli enti territoriali riguardano il loro impegno nella lotta contro i cambiamenti climatici, gli obiettivi precisi che essi si sono prefissi, la natura delle strategie da loro elaborate, il monitoraggio e la pubblicità dell'attuazione di tali strategie e dei risultati così ottenuti.

4.4   Le disposizioni tecniche e finanziarie mirano invece ad assicurarsi della fondatezza e dell'adeguatezza tecnica dell'approccio adottato, della solidità del pacchetto finanziario, della misura in cui il sostegno PEER stimolerà i finanziamenti pubblici e/o privati, delle ricadute socioeconomiche ed ambientali, dell'equilibrio geografico tra i progetti e della maturità di questi ultimi al fine di pervenire in tempi rapidi alla fase attuativa dell'investimento.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


15.2.2011   

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C 48/167


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2008/9/CE che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dalla direttiva 2006/112/CE, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro»

COM(2010) 381 definitivo — 2010/0205 (CNS)

2011/C 48/31

Il Consiglio, in data 4 agosto 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2008/9/CE che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dalla direttiva 2006/112/CE, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro

COM(2010) 381 definitivo — 2010/0205 (CNS).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 465a sessione plenaria dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


15.2.2011   

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C 48/168


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento (UE) … del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio per quanto riguarda il divieto di selezione qualitativa e le restrizioni applicabili alla pesca della passera pianuzza e del rombo chiodato praticata nel Mar Baltico, nei Belt e nell’Øresund»

COM(2010) 325 definitivo — 2010/0175 (COD)

2011/C 48/32

In data 6 luglio 2010, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento (UE)… del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio per quanto riguarda il divieto di selezione qualitativa e le restrizioni applicabili alla pesca della passera pianuzza e del rombo chiodato praticata nel Mar Baltico, nei Belt e nell’Øresund

COM(2010) 325 definitivo - 2010/0175 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 465a sessione plenaria dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


15.2.2011   

IT

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C 48/169


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite» (rifusione)

COM(2010) 359 definitivo — 2010/0194 (COD)

2011/C 48/33

Rispettivamente in data 8 luglio 2010 e 7 settembre 2010 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite (rifusione)

COM(2010) 359 definitivo — 2010/0194 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e avendo già espresso la propria posizione sull'argomento nei pareri CES 807/2000 e CESE 1360/2002, adottati rispettivamente il 13 luglio 2000 (1) e l'11 dicembre 2002 (2), il Comitato, nel corso della 465a sessione plenaria dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 15 settembre), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole sul testo proposto e di rimandare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Bruxelles, 15 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la Direttiva 68/193/CEE relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite, GU C 268 del 19.9.2000, pagg. 42-47.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica delle direttive 66/401/CEE relativa alla commercializzazione delle sementi di piante foraggere, 66/402/CEE relativa alla commercializzazione delle sementi di cereali, 68/193/CEE relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite, 92/33/CEE relativa alla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione di ortaggi, ad eccezione delle sementi, 92/34/CEE relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto e delle piante da frutto destinate alla produzione di frutti, 98/56/CE relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione delle piante ornamentali, 2002/54/CE relativa alla commercializzazione delle sementi di barbabietole, 2002/55/CE relativa alla commercializzazione delle sementi di ortaggi, 2002/56/CE relativa alla commercializzazione dei tuberi seme di patate, e 2002/57/CE relativa alla commercializzazione delle sementi di piante oleaginose e da fibra, per quanto riguarda le analisi comparative comunitarie, GU C 85 dell'8.4.2003, pagg. 43-44.