ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2010.347.ita

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 347

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

53o anno
18 dicembre 2010


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

460a sessione plenaria del 17 e 18 febbraio 2010

2010/C 347/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'adeguamento delle competenze alle esigenze dell'industria e dei servizi in trasformazione — Il contributo dell'eventuale istituzione a livello europeo di consigli settoriali sull'occupazione e sulle competenze (parere esplorativo)

1

2010/C 347/02

Pareredel Comitato economico e sociale europeosul tema L'agenda di Lisbona e il mercato interno (parere d'iniziativa)

8

2010/C 347/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'integrazione e l'agenda sociale (parere di iniziativa)

19

2010/C 347/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto degli accordi di partenariato economico sulle regioni ultraperiferiche (regione dei Caraibi) (parere di iniziativa)

28

2010/C 347/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Strategia futura per il settore lattiero-caseario europeo per il periodo 2010-2015 e oltre (parere d'iniziativa)

34

2010/C 347/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'agricoltura nel partenariato Euromed (compresa l'importanza del lavoro delle donne nel settore agricolo e il ruolo delle cooperative) (parere d'iniziativa)

41

2010/C 347/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La promozione degli aspetti socioeconomici delle relazioni UE-America Latina (parere d'iniziativa)

48

2010/C 347/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni tra l'Unione europea e il Marocco (parere d'iniziativa)

55

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

460a sessione plenaria del 17 e 18 febbraio 2010

2010/C 347/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'immissione sul mercato e all'uso dei biocidiCOM(2009) 267 def. — 2009/0076 (COD)

62

2010/C 347/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di attrezzature a pressione trasportabiliCOM(2009) 482 def. — 2009/0131 (COD)

68

2010/C 347/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiuntoCOM(2009) 427 def. — 2009/0118 (CNS)

73

2010/C 347/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e 2004/109/CE sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentatoCOM(2009) 491 def. — 2009/0132 (COD)

79

2010/C 347/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Riesame della politica ambientale 2008COM(2009) 304 def.

84

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

460a sessione plenaria del 17 e 18 febbraio 2010

18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/1


460aSESSIONE PLENARIA DEL 17 E 18 FEBBRAIO 2010

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'adeguamento delle competenze alle esigenze dell'industria e dei servizi in trasformazione — Il contributo dell'eventuale istituzione a livello europeo di consigli settoriali sull'occupazione e sulle competenze»

(parere esplorativo)

(2010/C 347/01)

Relatore: Marian KRZAKLEWSKI

Correlatore: András SZŰCS

Con lettera del 29 giugno 2009 la vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

L'adeguamento delle competenze alle esigenze dell'industria e dei servizi in trasformazione - Il contributo dell'eventuale istituzione a livello europeo di consigli settoriali sull'occupazione e sulle competenze.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 febbraio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 149 voti favorevoli, 6 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con grande interesse l'idea di creare dei consigli settoriali sull'occupazione e sulle competenze a livello europeo. Il Comitato ritiene che dei consigli settoriali adeguatamente organizzati e amministrati, nelle cui attività siano coinvolte diverse parti interessate, dovrebbero fornire un importante sostegno al processo di gestione delle trasformazioni in atto nei settori, contribuendo in particolare a prevedere lo sviluppo della situazione per quanto riguarda i bisogni in materia di occupazione e competenze e ad adeguare le competenze all'offerta e alla domanda.

1.2   Il Comitato è convinto che i consigli settoriali europei (CSE) potrebbero facilitare la gestione delle trasformazioni settoriali e contribuire al conseguimento degli obiettivi dell'iniziativa «Nuove competenze per nuovi posti di lavoro». Reputa inoltre che essi risulterebbero utili nel processo decisionale europeo concernente le trasformazioni settoriali.

1.3   Sulla base dell'analisi dei vantaggi e degli inconvenienti delle opzioni politiche esaminate nello studio di fattibilità riguardante le diverse concezioni dei consigli, il Comitato è incline a sostenere la concezione ispirata al dialogo sociale europeo (DSE). I consigli settoriali potrebbero beneficiare in modo significativo dei contatti (di tipo collaborativo) con le strutture del dialogo sociale settoriale europeo (DSE) e le loro attività politiche.

A giudizio del Comitato, l'attività dei comitati europei di dialogo sociale settoriale potrebbe servire da modello per il funzionamento dei CSE.

1.4.1   Va tuttavia sottolineato che rispetto ai comitati europei di dialogo sociale settoriale i CSE possono avere un più ampio campo d'azione per quanto riguarda il numero di parti interessate che concorrono alla loro formazione e svolgere un ruolo più autonomo, più incentrato sulle competenze e sul mercato del lavoro che sul dialogo sociale.

1.4.2   Il Comitato ritiene che anche i settori sprovvisti delle strutture del DSE dovrebbero avere la possibilità di istituire dei CSE. La creazione di un CSE potrebbe allora incitare alla formazione di un nuovo comitato europeo di dialogo sociale settoriale.

1.5   Il Comitato ritiene che i futuri CSE dovrebbero collaborare strettamente e regolarmente con i consigli nazionali analoghi. Raccomanda che i CSE sostengano l'istituzione di consigli nazionali laddove non esistono, fornendo consigli ed esempi di buone pratiche.

1.6   Il Comitato ritiene che, oltre al sostegno apportato alla gestione delle trasformazioni settoriali, i compiti più importanti che potrebbero essere svolti dai nuovi CSE siano i seguenti:

analizzare le tendenze quantitative e qualitative del mercato del lavoro di un determinato settore,

formulare delle raccomandazioni che consentano di colmare ed eliminare le lacune quantitative e qualitative esistenti sul mercato del lavoro e introdurre programmi e misure a tal fine,

sostenere la cooperazione tra le imprese e i fornitori di VET (1).

1.7   Il Comitato sostiene che, per un efficace funzionamento dei CSE, è importante che questi:

costituiscano una piattaforma comprendente le parti sociali, le organizzazioni e istituzioni che si occupano di istruzione e formazione, le istituzioni, le organizzazioni e autorità pubbliche, le associazioni professionali e le organizzazioni che forniscono VET e istruzione e formazione professionale iniziale (IVET),

abbiano un orientamento settoriale, vale a dire siano focalizzati sui settori intesi in senso lato e possano occuparsi delle professioni specifiche del settore in questione,

tengano conto dei cambiamenti dinamici nell'ambito dei settori e della creazione di nuovi settori,

assicurino la partecipazione dei rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori e, ove necessario, degli organizzatori delle formazioni e delle autorità politiche alla loro gestione,

dispongano di un partenariato strategico forte, il che significa intrecciare relazioni con le scuole secondarie, le istituzioni che forniscono servizi di formazione post-secondaria, gli istituti di istruzione superiore, le imprese, i consigli settoriali e le autorità a livello territoriale,

applichino strategie di lavoro razionali e produttive, concentrandosi sulla realtà industriale e sui bisogni urgenti, come il bisogno di informazioni sul mercato del lavoro e gli strumenti per attirare e mantenere i lavoratori all'interno del settore. Devono inoltre tenere conto delle esigenze delle PMI,

tengano conto, in primo luogo, della situazione e delle esigenze del mercato del lavoro, in un'ottica europea,

incoraggino lo sviluppo di un approccio che utilizzi una metodologia comune basata sui compiti svolti all'interno delle imprese (risultati) allo scopo di creare una pista di controllo chiara che vada dalle attività sul posto di lavoro fino alla formazione, all'istruzione e alle qualifiche.

1.8   Al fine di rafforzare l'influenza dei CSE sulle trasformazioni settoriali, il Comitato propone che essi prendano in considerazione la questione della formazione continua a tutti i livelli, ivi compresa in particolare l'istruzione e formazione professionale continua (CVET), unita all'istruzione e formazione professionale iniziale (IVET), e altre forme di sviluppo e di riconoscimento delle competenze acquisite dai cittadini lungo tutto l'arco della vita.

1.9   Il Comitato propone di dedicare particolare attenzione ai settori dotati di componenti forti e basate sulla conoscenza, di preferenza in collegamento con aspetti come l'«economia verde».

Secondo il Comitato, l'istituzione dei consigli settoriali dovrebbe basarsi sui risultati ottenuti con processi politici come il quadro europeo delle qualifiche (EQF), il sistema europeo di trasferimento e accumulo dei crediti (ECTS), il sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET), il quadro europeo di riferimento per l'assicurazione della qualità dell'istruzione e della formazione professionali (EQARF) ed Europass e contribuire al loro ulteriore potenziamento.

1.10.1   È importante mirare all'armonizzazione delle politiche di formazione continua utilizzando il metodo aperto di coordinamento.

1.11   Il Comitato chiede che i previsti CSE operino in collaborazione costante con le università europee e gli istituti di istruzione superiore, onde creare un collegamento tra l'industria e la ricerca scientifica in materia di formazione. In questo campo, il forum università-imprese ha mostrato quali vantaggi possano trarre l'industria e la formazione superiore dalla cooperazione (2).

1.12   Esaminando le relazioni tra, da un lato, i CSE e, dall'altro il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop) e la Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofund), il Comitato osserva che il sostegno strutturale e informativo, da parte del Cedefop e di Eurofund, al lavoro dei consigli settoriali dovrebbe figurare tra i compiti di tali istituzioni. Ciò presuppone che esse siano dotate di risorse aggiuntive.

1.13   Il Comitato raccomanda vivamente che i consigli settoriali, tanto a livello europeo quanto a livello nazionale, collaborino e anche creino dei collegamenti con gli osservatori dell'occupazione e delle competenze e le loro reti nazionali ed europee. Ciò vale per i consigli la cui struttura interna non prevede un osservatorio. Negli Stati membri in cui saranno organizzati dei consigli settoriali, si raccomanda di promuovere la creazione di tali osservatori, laddove non esistono ancora, e la loro collaborazione in rete con gli osservatori territoriali.

Per quanto riguarda il finanziamento del processo di creazione dei consigli settoriali e del loro funzionamento a livello europeo, il Comitato ritiene che le risorse necessarie a questo fine debbano essere individuate fin dall'inizio del processo di creazione. Occorre inoltre prevedere risorse a sostegno dei consigli e per lo sviluppo degli osservatori del mercato del lavoro e delle competenze che con loro collaborano o che sono integrati nelle loro strutture.

1.14.1   Il Comitato raccomanda che, nell'elaborare il progetto pilota concernente i CSE, la Commissione consideri l'ipotesi di crearne, in un primo tempo, un numero limitato, anziché istituirli fin dall'inizio per una ventina di settori. Ciò è motivato dai vincoli di bilancio. Sarà più facile assicurare il finanziamento per l'avvio di 4-5 consigli all'anno. Questa sorta di garanzia finanziaria a medio termine per il progetto CSE sembra essere un aspetto critico.

1.15   Il Comitato chiede una migliore gestione professionale dell'innovazione in materia di istruzione. Il miglioramento dei sistemi di istruzione e formazione europei è essenziale per aumentare l'occupabilità e ridurre le disuguaglianze. I cambiamenti istituzionali nel campo dell'istruzione non riescono a stare al passo con le esigenze della società. Le istituzioni devono tener conto della necessità di uno stretto collegamento tra trasformazioni, innovazione, istruzione e formazione.

1.16   Il Comitato chiede che l'istruzione e la formazione siano reintegrate nella vita reale, in modo da avvicinarle alle esigenze dei cittadini e alle abitudini della nuova generazione che si accosta all'apprendimento.

2.   Contesto del parere esplorativo

In una lettera datata 29 giugno 2009, la vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema L'adeguamento delle competenze alle esigenze dell'industria e dei servizi in trasformazione - Il contributo dell'eventuale istituzione a livello europeo di consigli settoriali sull'occupazione e sulle competenze.

2.1.1   Nella lettera si fa riferimento alla crisi attuale e alle misure che possono essere adottate sul mercato del lavoro al fine di adeguarlo ai bisogni della produzione e gestire le trasformazioni in atto nei servizi e nell'industria secondo criteri più sociali.

2.1.2   Secondo la Commissione, per conseguire questo obiettivo occorre dotare i lavoratori attuali e futuri delle competenze necessarie alle imprese, in modo tale da consentire loro di adeguarsi ai cambiamenti. A questo tema essa ha dedicato una recente comunicazione intitolata Nuove competenze per nuovi lavori - Prevedere le esigenze del mercato del lavoro e le competenze professionali e rispondervi (COM(2008) 868 def.), intesa a individuare e valutare il fabbisogno di competenze in Europa fino al 2020 e a sviluppare nell'UE la capacità di anticipare meglio le esigenze e di adeguare le competenze al mercato del lavoro.

2.1.3   Il 4 novembre 2009 il Comitato ha adottato un parere sulla suddetta comunicazione (3).

2.2   A seguito della pubblicazione della comunicazione, è attualmente in corso, su richiesta della Commissione, uno studio di fattibilità in merito alla creazione, a livello europeo, di consigli settoriali sull'occupazione e le competenze. Nell'elaborazione del presente parere il Comitato ha avuto a disposizione una versione provvisoria di tale studio di fattibilità (4).

3.   Tendenze e innovazioni in materia di istruzione e formazione nell'Unione europea

a)   Bisogno di innovazione nei sistemi di istruzione e formazione

3.1   Per sfruttare pienamente le potenzialità della forza lavoro europea, è fondamentale rafforzare il capitale umano. Questo è importante dal punto di vista dell'occupabilità e dei posti di lavoro, della capacità di adeguarsi ai cambiamenti - in particolare nel contesto dell'attuale crisi economica - e anche della coesione sociale.

3.2   La necessità di aumentare la mobilità dei cittadini all'interno dell'Europa rappresenta un obiettivo importante sancito dal Trattato di Lisbona. Per assicurare ai lavoratori la mobilità transfrontaliera e intersettoriale, occorre che i datori di lavoro possano confrontare e stabilire se le competenze di un nuovo lavoratore da assumere (risultati) corrispondano alle esigenze dellimpresa. Questo è il principio fondamentale al quale si ispira la richiesta della Commissione nella comunicazione sul tema «L'adeguamento delle competenze alle esigenze dell'industria».

3.3   I CSE da istituire dovrebbero incoraggiare lo sviluppo di un approccio che utilizza un metodo comune basato sui compiti (risultati) eseguiti all'interno delle imprese, allo scopo di creare una pista di controllo chiara che vada dalle attività sul posto di lavoro fino alla formazione, all'istruzione e alle qualifiche.

3.4   Il Comitato chiede una migliore gestione professionale dell'innovazione in materia di istruzione. Il miglioramento dei sistemi di istruzione e formazione europei è essenziale per aumentare l'occupabilità e ridurre le disuguaglianze. I cambiamenti istituzionali nel campo dell'istruzione non riescono a stare al passo con le esigenze della società. Le istituzioni devono tener conto della necessità di uno stretto collegamento tra trasformazioni, innovazione, istruzione e formazione.

3.5   L'innovazione nell'istruzione è intrinsecamente collegata con la società della conoscenza e dell'informazione. Le istituzioni che si occupano di formazione dovrebbero prendere in considerazione le nuove forme di apprendimento e dare loro importanza. I nuovi metodi, ivi compresi i modelli di apprendimento collettivo basati sulle TIC, dovrebbero facilitare il coordinamento tra i settori dell'apprendimento permanente - come la formazione degli adulti, l'istruzione superiore, l'istruzione scolastica e l'apprendimento informale - riducendo così la separazione istituzionale.

3.6   É d'importanza strategica dare maggiore valore alle conoscenze pregresse e alla loro certificazione, specialmente per motivare i lavoratori a sfruttare le opportunità di apprendimento permanente. I sistemi di riconoscimento e le qualifiche professionali dovrebbero essere collegati sempre più strettamente ai risultati dell'apprendimento, mentre gli ostacoli burocratici dovrebbero essere ridotti.

3.7   Le politiche dovrebbero integrare l'apprendimento informale e non formale, riconoscendo che l'apprendimento permanente sta diventando una realtà grazie, fra l'altro, al ruolo svolto dalle reti sociali e virtuali in materia di apprendimento.

b)   Necessità di un maggiore coinvolgimento delle parti interessate

3.8   L'attuale processo di globalizzazione e i rapidi cambiamenti tecnologici che lo accompagnano generano problemi legati al deficit di competenze della forza lavoro e alla necessità di una migliore integrazione tra istruzione, formazione e lavoro. Una maggiore partecipazione dei soggetti interessati all'apprendimento permanente dovrebbe contribuire a creare condizioni più favorevoli all'elaborazione, l'attuazione e la valutazione delle innovazioni nel sistema di istruzione, al fine di gestire efficacemente il ventaglio di abilità e competenze in continua evoluzione. È imperativo potenziare la conoscenza, la consapevolezza e il coinvolgimento delle imprese in questo processo.

3.9   I datori di lavoro dovrebbero non solo accettare maggiormente il fatto che la formazione della forza lavoro contribuisce a soddisfare le esigenze dell'economia reale, bensì sostenere la formazione in quanto strumento per potenziare il capitale umano a medio e lungo termine.

3.10   Occorre tenere in maggiore considerazione il valore dello sviluppo dell'imprenditorialità. Bisognerebbe riconoscere maggiormente l'importanza della libera circolazione dei lavoratori e dell'incentivazione della mobilità della manodopera nel promuovere i mercati del lavoro. Inoltre, sarebbe bene disporre di più informazioni sui mercati del lavoro, le tendenze che vi si manifestano e le competenze richieste, nonché di migliori servizi di orientamento e sostegno alle persone in cerca d'impiego.

c)   Un'istruzione e una formazione più vicine alla vita reale

3.11   Il Comitato chiede che l'istruzione e la formazione siano reintegrate nella vita reale, in modo da avvicinarle alle esigenze dei cittadini e alle abitudini della nuova generazione che si accosta all'apprendimento. Le forme innovative di insegnamento offrono l'opportunità di investire efficacemente nell'istruzione e di avvicinare le possibilità di apprendimento alle esigenze delle imprese.

3.12   Occorre passare da una formazione basata sull'erogazione di corsi a una formazione e a qualifiche professionali orientate ai risultati dell'apprendimento.

3.13   Nella società della conoscenza, in cui lavoro e apprendimento si sovrappongono sempre più, tutte le forme di apprendimento sul posto di lavoro vanno incoraggiate. Il rafforzamento della motivazione individuale all'apprendimento e l'impegno delle imprese a motivare i lavoratori dovrebbero essere delle priorità in questo senso.

4.   Contesto dei consigli settoriali e trasversali (5) a diversi livelli

4.1   I consigli settoriali e trasversali (6) hanno come obiettivo quello di fornire una visione del probabile sviluppo della situazione per quanto concerne i bisogni in materia di occupazione e competenze al fine di apportare un contributo alla definizione della politica. Il lavoro dei consigli può limitarsi all'analisi oppure comprendere anche le politiche di adattamento e di attuazione.

4.2   Questi consigli funzionano in modo organizzato e permanente e costituiscono inoltre una piattaforma per diverse parti interessate impegnate nella loro direzione. I soggetti interessati sono in primis gli organi, le istituzioni e le autorità pubbliche, le parti sociali e gli istituti di istruzione, di formazione e di ricerca.

I consigli settoriali possono essere organizzati a diversi livelli geografici. Essi hanno lo scopo di studiare i cambiamenti nel fabbisogno di competenze riguardanti una o più categorie professionali, rami industriali o cluster settoriali. In alcuni casi il consiglio settoriale nazionale dispone di sezioni regionali.

4.3.1   Secondo la Fondazione di Dublino (Eurofund), fondamentale per la concezione dei consigli è il livello regionale o settoriale. La Fondazione sottolinea che i consigli a livello nazionale ed europeo dovrebbero operare in base al principio di sussidiarietà. Per facilitare la comunicazione tra gli organi che gestiscono i consigli regionali/settoriali occorre cercare di sfruttare le possibili sinergie, ad esempio per quanto riguarda il monitoraggio e la ricerca scientifica.

4.4   I consigli a livello nazionale si suddividono in due gruppi: quelli relativi all'istruzione e alla formazione professionale iniziale (IVET) e quelli attivi nel ramo dell'istruzione e della formazione professionale continua (CVET). In alcuni paesi essi possono occuparsi di entrambe: ciò dà luogo a sinergie e consente di evitare i doppioni.

4.5   I consigli esaminati nello studio di fattibilità hanno un obiettivo generale analogo: fare in modo che vi sia una migliore corrispondenza, sul mercato del lavoro, tra domanda e offerta sia dal punto di vista quantitativo (posti di lavoro) che qualitativo (qualifiche e competenze). Vi sono tuttavia differenze riguardanti il modo in cui tale obiettivo generale viene realizzato nonché il fatto che i consigli si concentrino sulla IVET oppure sulla CVET (quest'ultima osservazione riguarda quei paesi in cui viene fatta una distinzione tra questi due tipi di formazione).

4.6   Nella maggior parte degli Stati membri, l'obiettivo principale dei consigli trasversali nazionali (intersettoriali) è individuare, analizzare dal punto di vista quantitativo e anticipare le tendenze di lungo periodo che si manifestano sul mercato del lavoro e proporre interventi attivi in risposta ai processi in atto.

4.7   In molti casi i consigli trasversali si concentrano non solo sulle questioni quantitative, ma anche su quelle qualitative. Sulla base delle tendenze in atto sul mercato del lavoro, i membri di tali consigli, ad esempio i membri del comitato consultivo per l'istruzione e la formazione in Danimarca, forniscono consigli al ministro dell'Istruzione non soltanto per quanto riguarda la definizione di nuove qualifiche e la fusione o abolizione delle qualifiche esistenti, ma anche per quanto concerne aspetti generali della formazione professionale, come il coordinamento dei programmi di formazione.

4.8   In alcuni Stati i consigli trasversali regionali hanno i medesimi obiettivi dei loro equivalenti nazionali: essi forniscono dati regionali agli istituti di ricerca al fine di valutare il numero dei futuri posti di lavoro e i bisogni in materia di competenze. È interessante notare che alcuni consigli trasversali regionali si adoperano in ogni modo per arrivare a una corrispondenza tra il futuro fabbisogno qualitativo di competenze e i dati quantitativi attuali relativi all'afflusso dei giovani verso la IVET.

4.9   I consigli settoriali nazionali in materia di IVET si pongono come obiettivo principale quello di assicurare che i nuovi lavoratori che entrano nel mercato del lavoro siano in possesso di competenze di base adeguate.

4.10   I consigli settoriali nazionali in materia di formazione professionale continua sono finalizzati al miglioramento delle competenze dei lavoratori già presenti sul mercato del lavoro. A questo fine essi definiscono i bisogni dei lavoratori in materia di formazione e rendono inoltre possibile lo svolgimento di formazioni o organizzandole direttamente oppure finanziando i corsi offerti da enti esterni.

I consigli nazionali e regionali si differenziano per quanto riguarda i compiti da essi svolti. Tra i compiti svolti dai consigli settoriali e trasversali si citeranno a titolo di esempio i seguenti:

analizzare le tendenze quantitative sul mercato del lavoro,

analizzare le tendenze qualitative sul mercato del lavoro,

proporre politiche per colmare le carenze quantitative,

proporre politiche per eliminare le carenze qualitative,

proporre aggiornamenti delle qualifiche e delle certificazioni,

sostenere la cooperazione tra le imprese e i fornitori di VET,

attuare programmi e attività finalizzati a eliminare le carenze (quantitative e qualitative).

4.11.1   Soltanto alcuni dei consigli settoriali presenti negli Stati membri svolgono la totalità di questi compiti. Se praticamente tutti i consigli settoriali e orizzontali conducono analisi delle tendenze qualitative e quantitative del mercato del lavoro, sono invece un po' meno numerosi quelli che preparano proposte politiche, mentre la maggior parte di loro conduce oppure commissiona ricerche.

4.11.2   Molto più spesso i consigli analizzano le tendenze qualitative sul mercato del lavoro e formulano proposte riguardanti le politiche, ad esempio in materia di sviluppo dei profili professionali nel campo dell'insegnamento, e delineano il modo di colmare le carenze qualitative. Molti consigli sostengono la cooperazione tra le imprese e i fornitori di VET.

4.11.3   Alcuni consigli nazionali si occupano della realizzazione di programmi e attività finalizzate a ridurre le carenze in materia di qualifiche sul mercato del lavoro. In particolare nei consigli trasversali regionali dei nuovi Stati membri vengono formulate proposte riguardanti la politica volta a rimediare alle carenze qualitative.

Gli strumenti utilizzati dai diversi consigli sono strettamente collegati ai loro obiettivi e compiti. Per tali consigli sono fondamentali i dati relativi alle tendenze qualitative e quantitative sul mercato del lavoro. In generale i dati vengono raccolti e analizzati da organizzazioni esterne, ad eccezione dei casi in cui all'interno della struttura del consiglio è presente, ad esempio, un osservatorio del mercato del lavoro.

4.12.1   Occorre distinguere il processo di raccolta e analisi dei dati relativi al mercato del lavoro dall'adozione delle decisioni politiche riguardanti la risposta alle tendenze in atto.

Gli organi di gestione dei consigli settoriali attivi oggi negli Stati membri dell'UE e al di fuori dell'UE comprendono rappresentanti dei datori di lavoro (solitamente con un ruolo direttivo a pieno titolo), dei lavoratori dipendenti e, se del caso, rappresentanti degli enti di formazione e del governo (nel caso di consigli di livello regionale, le autorità locali). L'organo di gestione istituito può avere una composizione limitata (onde rafforzare i processi decisionali) oppure piuttosto numerosa, in modo da garantirne la massima rappresentatività. I membri provengono in generale dall'industria e devono godere di grande prestigio nel settore e di credibilità.

4.13.1   Nel valutare la gestione del consiglio si sottolinea che nella sua agenda non devono figurare le questioni concernenti le relazioni industriali, che sono di competenza della commissione per il dialogo settoriale. D'altro canto, affrontando molte altre questioni fondamentali per i datori di lavoro e per i lavoratori, il consiglio contribuisce ad attenuare le tensioni che si manifestano nel dialogo sociale.

4.13.2   I consigli settoriali spesso collaborano tra loro nel quadro di un'organizzazione. In Canada questa funzione è svolta dall'Alleanza dei consigli settoriali, in cui vengono scambiati informazioni e strumenti e progettate procedure comuni, ad esempio per quanto riguarda lo sviluppo di standard professionali nazionali.

5.   Osservazioni specifiche

Gli osservatori del mercato del lavoro come importanti strumenti per un efficace funzionamento dei consigli settoriali

Negli Stati membri dell'UE sono attivi numerosi osservatori del mercato del lavoro a livello nazionale, settoriale e regionale. Talvolta le strutture dell'osservatorio operano all'interno di consigli esistenti in materia di occupazione oppure sotto un altro nome.

5.1.1   Gli osservatori hanno il compito di:

monitorare le tendenze e le politiche riguardanti il mercato del lavoro,

raccogliere, analizzare e interpretare i dati,

trasmettere i dati agli utenti in base alle loro esigenze.

5.1.2   È di importanza fondamentale che gli osservatori siano collegati fra loro all'interno di reti nazionali e internazionali. In un mercato europeo e mondiale caratterizzato dalla flessibilità gli osservatori non possono operare ignorandosi reciprocamente.

5.1.3   Ciascun osservatorio, in quanto strumento per l'elaborazione di previsioni che consentano di anticipare meglio i cambiamenti sul mercato del lavoro, si svilupperà e acquisirà un'importanza molto maggiore se, pur concentrandosi sui propri obiettivi, manterrà contatti regolari e coerenti con altri osservatori.

5.2   Compito degli osservatori in materia di occupazione e competenze è fornire informazioni strategiche ai diversi soggetti che partecipano alle trasformazioni: si tratta, oltre che delle parti sociali e degli organi del governo, delle piccole e medie imprese (PMI), degli istituti di formazione, degli enti e delle amministrazioni locali, delle agenzie di collocamento e dei servizi di sostegno alle imprese.

5.3   Tra le attività dell'osservatorio del mercato del lavoro dovrebbero essere comprese le seguenti:

individuare le priorità in materia di formazione e assicurare un'interazione più efficace tra lo sviluppo delle competenze e la creazione di posti di lavoro,

monitorare i cambiamenti e il fabbisogno sul mercato del lavoro,

analizzare le statistiche relative al lavoro e all'istruzione,

fornire servizi di informazione e assicurare la presenza, all'interno della struttura dell'osservatorio, di un servizio che sostenga il passaggio «dall'istituto di istruzione o di formazione al lavoro», il cui compito principale consiste nel:

monitorare i percorsi educativi e formativi che conducono all'occupazione,

definire i cambiamenti e la correlazione tra offerta e domanda nei settori economici e nelle diverse professioni,

coordinare le ricerche e le indagini e partecipare alla promozione dell'innovazione e della politica di sviluppo,

diffondere le informazioni relative all'occupazione e alle competenze tra i diversi gruppi destinatari.

5.4   L'osservatorio può fornire analisi sistematiche del mercato del lavoro a livello nazionale, locale e settoriale. Esso conduce analisi comparative a livello settoriale ed esamina il fabbisogno in diverse professioni e specializzazioni a livello territoriale, settoriale e locale al fine di definire la futura domanda di competenze.

5.5   L'osservatorio può svolgere le seguenti funzioni al fine di sostenere o completare il funzionamento dei consigli settoriali e trasversali relativi al mercato del lavoro e alle competenze:

elaborare e analizzare le previsioni in materia di cambiamenti sociali ed economici a livello nazionale, settoriale o regionale, consentendo di individuare e definire i nuovi posti di lavoro che emergono nei settori e nelle regioni particolarmente a rischio,

aggiornare le definizioni relative agli schemi dei settori tradizionali per adeguare meglio le competenze dei lavoratori,

incoraggiare lo sviluppo di partenariati nell'ambito delle trasformazioni e delle attività innovative tramite:

la creazione di reti comprendenti altri osservatori e parti interessate,

lo sviluppo di strategie in materia di formazione continua,

la fornitura di servizi di consulenza professionale,

l'elaborazione di formazioni con il coinvolgimento delle imprese, dei settori e delle iniziative locali riguardanti l'occupazione.

5.6   Gli osservatori del mercato del lavoro che riuniscono diversi stakeholder dovrebbero anche partecipare al dibattito tra i soggetti interessati, ad esempio i consigli settoriali e trasversali in materia di occupazione riguardanti l'evoluzione dell'economia europea, nazionale, settoriale, regionale e locale. Gli osservatori sono particolarmente importanti per l'individuazione di nuovi posti di lavoro e la comprensione delle nuove attività economiche, dei nuovi modelli di occupazione e delle nuove competenze.

Per quanto concerne le attuali relazioni tra i consigli settoriali e gli osservatori del mercato del lavoro, in diversi paesi dell'UE (ad esempio Francia e Svezia) vi sono osservatori settoriali del mercato del lavoro incaricati di individuare le esigenze di formazione nel settore per conto dei consigli settoriali nazionali in materia di CVET (in Francia l'osservatorio effettua tali ricerche per conto della commissione per i fondi di formazione settoriali (5)).

5.7.1   Su richiesta dei consigli orizzontali regionali, in taluni Stati membri gli osservatori regionali del mercato del lavoro hanno il compito di individuare i settori in crescita o in declino. Da questo processo di individuazione derivano informazioni ampie e coerenti che vengono prese in considerazione dagli enti regionali, dalle parti sociali e dai fornitori di formazione nel valutare quali tipi di corsi IVET e VET siano necessari nella gamma offerta dagli istituti regionali di formazione.

5.7.2   Nel caso dei CSE previsti, il Comitato ritiene che il ruolo di osservatori europei che cooperano con essi potrebbe essere svolto dalla Fondazione di Dublino (Eurofound) e dal Cedefop, specialmente nell'ambito di progetti pilota. Nel futuro i CSE potrebbero collaborare con reti sovranazionali di osservatori del mercato del lavoro.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Istruzione e formazione professionale (Vocational education and training).

(2)  Comunicazione della Commissione «Un nuovo partenariato per la modernizzazione del luniversità: il forum dell'UE sul dialogo università-imprese», COM(2009) 158 def., 2 aprile 2009.

(3)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 74.

(4)  Feasibility Study on the Setup of Sectoral Councils on Employment and Skills at the European Level (Studio di fattibilità sulla creazione di consigli settoriali per l'occupazione e le competenze a livello europeo), condotto da Ecorys/KBA per la Commissione europea, DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità.

(5)  In base allo studio di fattibilità di cui alla nota 4.

(6)  Si parla di consigli trasversali (o intersettoriali) quando tutti i lavoratori o tutte le imprese di un dato territorio partecipano alle attività del consiglio stesso.


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/8


Pareredel Comitato economico e sociale europeosul tema «L'agenda di Lisbona e il mercato interno»

(parere d'iniziativa)

(2010/C 347/02)

Relatore: Edwin CALLEJA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

L'agenda di Lisbona e il mercato interno.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o febbraio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio 2010), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 184 voti favorevoli, 16 voti contrari e 34 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

La strategia di Lisbona mira a fare dell'Europa, entro il 2010, l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, capace di garantire una crescita economica sostenibile, posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità, una migliore coesione sociale e un maggiore rispetto per l'ambiente. Dopo la revisione della strategia nel 2005, i governi nazionali hanno cominciato a gestire direttamente i loro programmi nazionali di riforma e ogni anno effettuano una valutazione dei progressi compiuti in direzione degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti. Anche se gli obiettivi in questione non saranno raggiunti entro la scadenza fissata (2010), una governance migliore a livello europeo dovrebbe contribuire a realizzare le azioni di breve termine necessarie. È ora giunto il momento di rivedere nuovamente la strategia di Lisbona, e il Consiglio intende dedicare il vertice di primavera all'adozione di decisioni al riguardo. Il documento della Commissione Consultazione sulla futura strategia«UE 2020» (1) costituisce una valida base per tali decisioni.

1.1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esorta pertanto la Commissione e gli Stati membri ad adottare le necessarie misure importanti e decisive per il completamento del mercato unico, salvaguardando e sviluppando ulteriormente, al tempo stesso, le norme economiche, sociali e ambientali. Il CESE sottolinea il legame intrinseco che intercorre tra la strategia di Lisbona e il mercato unico, malgrado i differenti modelli di governance a cui sono improntati. L'esistenza di un mercato unico dinamico è al contempo una condizione e un contributo per la realizzazione della strategia «UE 2020».

1.2   Il CESE raccomanda agli Stati membri di modificare la loro strategia e il loro atteggiamento nei confronti delle regole del mercato unico e auspica la realizzazione dei seguenti miglioramenti:

regole migliori: è fondamentale disporre di regole più trasparenti e meno ambigue, che possano essere applicate meglio, a un costo minore e senza perdite di tempo da parte delle imprese e dei cittadini in generale. Il rispetto di questi principi consentirà di agevolare le attività transfrontaliere. Nello stesso tempo è evidente che i problemi sui mercati finanziari, il bisogno di un'economia più rispettosa dell'ambiente e il rafforzamento del settore industriale e dei servizi alla luce delle tendenze demografiche impongono di adottare un nuovo approccio. Il concetto di regole migliori non equivale automaticamente a meno regole oppure a mercati deregolamentati, bensì significa creare le condizioni necessarie per contribuire ad eliminare gli atteggiamenti protezionistici e i regimi in conflitto che distorcono la concorrenza a favore di alcuni Stati membri. Le regole dovrebbero tenere conto delle diverse situazioni socioeconomiche, assicurando pari condizioni di concorrenza per le imprese, realizzando una maggiore coesione, garantendo la giustizia sociale e promuovendo la libera circolazione delle persone e delle risorse finanziarie.

Migliore attuazione: le regole dovrebbero essere recepite in modo uniforme in tutti gli Stati membri, con un'interpretazione coerente e un numero minimo di eccezioni. Negli ambiti non armonizzati va migliorato il riconoscimento reciproco.

Migliore supervisione: in quanto garante del mercato unico, la Commissione europea dovrebbe veder rafforzata la sua autorità. La supervisione e l'attuazione potrebbero essere coordinate meglio attraverso la creazione, in ciascuno Stato membro, di un unico punto di riferimento che eserciti l'autorità e sia responsabile nei confronti della Commissione dell'applicazione uniforme delle regole del mercato unico.

Più cooperazione transfrontaliera, più informazione e un sistema più rapido per la gestione dei reclami: è necessario rafforzare la fiducia e la comprensione reciproca tra le autorità responsabili degli Stati membri instaurando rapporti di collaborazione più stretti. Le reti già create dalla Commissione dovrebbero essere la base di questa cooperazione, purché naturalmente diventino operative in tutti gli Stati membri per tutelare e informare i cittadini. Una rete pienamente funzionante consente una vigilanza efficace e contribuirà a ridurre drasticamente le importazioni da paesi terzi di beni non conformi alle norme europee, con l'obiettivo sia di migliorare la qualità dei prodotti, sia di rafforzare la sicurezza dei consumatori e garantire condizioni di concorrenza uniformi all'industria europea.

Più giustizia per i cittadini: l'applicazione per via giudiziaria delle regole del mercato unico sarà rafforzata se i giudici avranno accesso a una formazione adeguata in diritto dell'Unione europea. Le parti sociali stanno attualmente analizzando varie alternative per risolvere le tensioni tra le libertà del mercato interno da una parte e i diritti fondamentali dall'altra. Occorre fissare dei principi chiari per evitare che si crei un conflitto tra le quattro libertà e i diritti collettivi dei lavoratori.

Continuazione e rafforzamento dell'esercizio di monitoraggio del mercato unico: l'esercizio dovrebbe far emergere le migliori soluzioni per l'elaborazione e l'attuazione di una regolamentazione e di una politica più efficaci. Dovrà trattarsi di soluzioni pragmatiche dirette a problemi specifici al livello dei singoli paesi e mercati. L'esercizio dovrà inoltre servire a individuare e rimuovere gli ostacoli agli scambi nel mercato unico (2).

Prioritarizzazione delle questioni inerenti al mercato unico: le priorità dell'UE per i prossimi anni devono essere riesaminate, perché le questioni ancora in sospeso nell'agenda del mercato unico rischiano di ostacolare i progressi verso il conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

In particolare, è importante che la direttiva «servizi» sia applicata rispettando pienamente lo spirito e le regole del mercato unico. Un problema importante a tale proposito è dato dal fatto che non vi è ancora libertà di circolazione per i lavoratori provenienti da alcuni degli Stati membri che hanno aderito all'UE con l'ultimo allargamento. Occorrono regole nazionali chiare ed efficaci per assicurare una corretta attuazione della direttiva sul distacco dei lavoratori e il conseguimento degli obiettivi da essa stabiliti, ossia una concorrenza leale tra le imprese, il rispetto dei diritti dei lavoratori e la lotta al dumping sociale.

Uno dei problemi del mercato unico e dell'UE è dato dal fatto che i salari e le condizioni di lavoro sono diventati un fattore concorrenziale. La protezione degli standard nel mercato del lavoro acquisterà maggiore importanza e dovrà far parte della nuova strategia «UE 2020».

Il mercato unico stimola i trasporti su lunghe distanze, superflui e dannosi per l'ambiente. Ciò è in contraddizione con le accresciute esigenze in materia di politica ambientale e di sviluppo sostenibile.

Il CESE condivide le conclusioni del Consiglio dei ministri dell'Ambiente (3) e ha avuto l'occasione di presentare un parere (4) in cui sottolinea la necessità di internalizzare i costi esterni per fissare un livello di prezzo appropriato e riconosce il costo del mancato intervento e il valore dei servizi ecosistemici.

1.3   La strategia«UE 2020»dipende da un efficace funzionamento del mercato unico. Con la prossima revisione del processo di Lisbona, l'UE dovrà muoversi con coraggio e assumere un ruolo guida nel contesto degli sviluppi economici e sociali globali. A tal fine si dovranno sfruttare al meglio i diversi vantaggi competitivi economici che esistono nelle regioni dell'Unione, agendo nel contesto di un mercato unico efficiente e correttamente funzionante.

1.4   La strategia «UE 2020» deve affrontare le questioni più urgenti:

attuare il piano di rilancio per fare uscire l'UE dalla recessione e aiutare gli Stati membri a conseguire i traguardi e gli obiettivi già adottati. La strategia deve appoggiare i cambiamenti necessari per indirizzare l'industria verso un approccio più rispettoso dell'ambiente, e nello stesso tempo indurre un cambiamento nelle abitudini dei consumatori che favorisca un'economia più «verde».

Individuare misure concrete e definire degli orientamenti per l'ecoefficienza accanto ad una strategia integrata e a un piano di azione per la promozione dell'innovazione ecologica nel corso di quest'anno; far sì che il prossimo piano di innovazione europeo sia inteso a creare un mercato interno competitivo e armonizzato in questo settore.

Mettere a punto un'autentica strategia intesa ad escludere l'intervento statale dal settore bancario, assicurativo e finanziario, rafforzando al tempo stesso il controllo e la regolamentazione. Ciò dovrebbe comprendere l'adozione di un approccio strategico inteso a ridurre gradualmente la partecipazione dello Stato al sostegno della redditività del settore finanziario, con l'evidente obiettivo di assicurare l'efficienza di tale settore e ridurre gli oneri derivanti dal debito pubblico, salvaguardando al tempo stesso il contributo delle attività finanziarie alla stabilità e alla crescita economica.

Concentrarsi maggiormente sui necessari cambiamenti strutturali che tengano conto degli sviluppi demografici e dei problemi da essi derivanti. È ora tempo di adottare azioni concrete per applicare lo Small Business Act negli Stati membri.

1.5   Una strategia per il futuro allargamento dell'UE. Sarà possibile procedere a ulteriori allargamenti soltanto se i nuovi paesi aderenti avranno già realizzato il necessario avvicinamento giuridico all'acquis comunitario, rispetteranno tutti i requisiti in materia di buona governance e Stato di diritto e avranno un'economia sostenibile.

1.6   Superare la crisi finanziaria

La crisi finanziaria, che ha scosso le fondamenta stesse del progresso economico e sociale, deve essere risolta al più presto e nel modo meno traumatico possibile. Per mantenere i livelli di occupazione e di benessere economico è essenziale trovare le risorse per finanziare le imprese e per incoraggiare gli investimenti in R&S.

Una parte integrante della soluzione è rappresentata dal ripristino della fiducia nel settore finanziario europeo. Ciò sarà possibile soltanto attraverso una ristrutturazione completa della vigilanza pubblica e della regolamentazione, che devono diventare più rigorose per tenere il passo della dimensione globale delle operazioni sui mercati finanziari. È inoltre fortemente auspicabile che una regolamentazione finanziaria e un controllo vincolante siano coordinati a livello mondiale, visto il massiccio effetto «di contagio» che possono avere le crisi finanziarie di un paese in un mondo sempre più interdipendente.

Gli Stati membri devono sostenere l'approccio adottato dalla Banca centrale europea (BCE), che tiene conto della dimensione economica e occupazionale accanto alla stabilità dei prezzi e che le attribuisce la responsabilità di tenere sotto controllo costante l'economia dell'area dell'euro e di presentare raccomandazioni al Consiglio Ecofin. Sarebbe anche opportuno esaminare il campo d'azione e l'efficacia dell'Eurogruppo, come pure il suo contributo alla definizione della politica monetaria dell'euro.

Per evitare che la crisi finanziaria ed economica determini un ulteriore aggravamento della situazione sociale e occupazionale, è necessario adottare, a livello nazionale e dell'UE, tutti i provvedimenti necessari per adattare le misure sociali alle circostanze attuali. Al tempo stesso bisogna evitare di intaccare la protezione sociale e il potere d'acquisto dei lavoratori come pure mantenere la coesione nel mercato interno, tenendo conto della sostenibilità dei sistemi sociali e della necessità di una politica fiscale sana. È essenziale inoltre stabilizzare i mercati del lavoro in vista della ripresa economica, attraverso ulteriori azioni intensive e di ampio respiro in materia di formazione dei lavoratori, e con misure nell'ambito della formazione continua basata sulla conoscenza, che dovrebbero generare posti di lavoro più produttivi e di più alta qualità.

Metodi migliori per valutare i progressi in campo sociale, economico e ambientale. È necessario mettere a punto indicatori aggiuntivi, diversi dal PIL, che consentano di comprendere meglio i progressi compiuti in materia di sviluppo sostenibile e benessere.

1.7   Migliorare la posizione dell'Europa nel mercato globale

1.7.1   L'Europa deve affermarsi maggiormente sulla scena internazionale. Perché ciò sia possibile, è necessario affrontare le sfide interne sul piano economico, sociale e ambientale, rafforzando nel contempo l'integrazione europea e la cooperazione internazionale.

1.7.2   L'industria europea va incoraggiata a espandersi nei settori ad alta tecnologia caratterizzati da un approccio strategico a basso impatto climatico. In questo modo l'UE otterrà un netto vantaggio competitivo, migliorerà la sua bilancia commerciale e creerà posti di lavoro «ecologici», contribuendo all'obiettivo della sostenibilità economica a lungo termine.

1.7.3   Per conseguire questo delicato equilibrio, è necessario pensare in modo innovativo, affinché il progresso sociale e ambientale possa contribuire alla competitività.

1.7.4   L'ulteriore riduzione delle barriere economiche e giuridiche dovrebbe contribuire in modo significativo ad intensificare ancora di più l'integrazione intra-mercato e a rafforzare complessivamente la competitività dell'Europa (5). Un maggiore coinvolgimento delle parti sociali e della società civile organizzata nella nuova strategia «UE 2020» contribuirà ad accelerare i progressi.

1.7.5   La dimensione globale impone di compiere ulteriori sforzi comuni. Ciascuno Stato membro deve gestire la propria agenda nazionale e al tempo stesso collaborare con gli altri al raggiungimento degli obiettivi comuni stabiliti. Tra questi ultimi dovrebbero figurare:

l'impegno a recitare un ruolo di primo piano sulla scena mondiale, tenendo conto dello spostamento del centro di gravità verso l'Asia e i paesi emergenti,

una strategia energetica che si basi su accordi bilaterali tra l'UE e altri paesi, accompagnata dallo sviluppo di una nuova infrastruttura energetica intelligente, decentrata e a basse emissioni di carbonio,

l'UE deve insistere presso i paesi con i quali intrattiene rapporti commerciali affinché aderiscano e rispettino i Trattati e le convenzioni internazionali pertinenti nel contesto dell'ONU e delle sue agenzie quali ad esempio l'OIL, nonché di altri organismi internazionali, che stabiliscono norme in materia di protezione dell'ambiente e diritti dei lavoratori, ivi compresi il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro e il divieto del lavoro minorile.

2.   Introduzione

2.1   Gli obiettivi di Lisbona

2.1.1   Con il lancio dell'agenda di Lisbona, il Consiglio europeo di primavera del 2000 ha assegnato all'UE un obiettivo strategico da conseguire entro il 2010, ossia quello di diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro, una maggiore coesione sociale e un più forte rispetto per l'ambiente. L'Europa ha confermato il suo impegno ad adeguare alcune delle sue politiche, il suo assetto istituzionale e i suoi strumenti finanziari alle nuove priorità strategiche. Il CESE ha sottolineato l'importanza della strategia di Lisbona, che considera un fattore benefico, utile a mantenere lo slancio delle riforme che rafforzerebbero il mercato unico e favorirebbero il suo ulteriore sviluppo e consolidamento (6). Le riforme dei mercati dei beni, dei servizi, del lavoro e dei capitali dovrebbero contribuire a realizzare un mercato unico pienamente funzionante ed efficiente, nonché a integrare gli Stati membri, dopo il 2010, in un'area economica più competitiva e più vicina a conseguire gli obiettivi dell'agenda di Lisbona, sempre salvaguardando un equilibrio tra i tre pilastri (economico, sociale e ambientale) dello sviluppo sostenibile.

2.2   La seconda fase dell'agenda di Lisbona

2.2.1   La seconda fase si è aperta con la revisione intermedia del 2005, che ha assegnato ad ogni Stato membro la responsabilità dell'attuazione a livello nazionale. Si è deciso di definire più chiaramente le priorità e sono stati lanciati nuovi strumenti politici e finanziari. Sono stati inoltre adottati nuovi orientamenti integrati per la politica economica e occupazionale, da inserire nei programmi nazionali di riforma.

2.3   L'agenda di Lisbona dopo il 2010

2.3.1   Il Consiglio europeo del marzo 2008 ha definito un mandato per dare il via a una riflessione sul futuro dell'agenda di Lisbona dopo il 2010, con particolare attenzione per:

gli investimenti nel capitale umano e la modernizzazione dei mercati del lavoro,

la liberazione del potenziale delle imprese,

gli investimenti nella conoscenza e nell'innovazione,

i cambiamenti climatici, l'energia e i conseguenti investimenti nelle infrastrutture.

2.4   L'Europa nel pieno della crisi finanziaria

2.4.1   L'Unione europea è oggi nel pieno della crisi finanziaria mondiale che, nata negli Stati Uniti, ha ormai assunto le dimensioni di una pandemia, si è trasmessa all'economia globale e ha danneggiato gli investimenti, privando le imprese di quelle linee di credito di cui avevano bisogno e contribuendo a un calo degli scambi mondiali mai visto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Le conseguenze sociali, sul piano della perdita di posti di lavoro e della riduzione del potere d'acquisto dei lavoratori, stanno raggiungendo proporzioni allarmanti in tutta l'Unione, e non sembrano esserci prospettive immediate di ripresa. Finora la Banca centrale europea ha adottato misure volte a difendere l'euro dall'inflazione e dalla deflazione. Gli Stati membri devono sostenere l'approccio adottato dalla BCE, che tiene conto della dimensione economica e sociale accanto alla stabilità dei prezzi e che le attribuisce la responsabilità di tenere sotto costante controllo l'economia dell'area dell'euro e di presentare raccomandazioni al Consiglio Ecofin. In quest'ottica gli Stati membri dovrebbero riesaminare il campo d'azione e l'efficacia dell'Eurogruppo, come pure il suo contributo alla definizione della politica monetaria dell'euro. La liberalizzazione dei mercati nel settore finanziario rappresenta un passo positivo, ma l'evoluzione delle modalità di sorveglianza e di regolamentazione da parte delle autorità non ha tenuto il passo della globalizzazione dei mercati stessi. Si tratta di ulteriori sfide che l'Europa deve affrontare con successo attraverso la riforma e il rafforzamento delle regole.

2.5   Le conseguenze per il mercato unico e per l'agenda di Lisbona

2.5.1   Le sfide della globalizzazione. In considerazione della situazione sopra descritta, è evidente che il mercato unico e l'agenda di Lisbona subiranno le conseguenze della crisi. La globalizzazione, con tutte le sue sfide, sarà una realtà anche dopo la fine della crisi. L'Europa deve quindi riuscire a migliorare la sua posizione sulla scena internazionale, realizzando dei progressi nel superamento delle sfide interne sul piano economico, sociale e ambientale e rafforzando nel contempo la propria integrazione e la cooperazione internazionale. Perché questa strategia abbia successo, in sintonia con le priorità rivedute dell'agenda di Lisbona, è necessario raggiungere un equilibrio tra le tre dimensioni dello sviluppo (economica, sociale e ambientale).

2.5.2   La coesione sociale

2.5.2.1   Nel 2000, al momento del lancio della strategia di Lisbona, la coesione sociale costituiva un fattore importante e lo è ancor oggi. Tuttavia, i progressi conseguiti sul fronte della povertà e dell'ineguaglianza appaiono piuttosto deludenti sia nel confronto tra Stati membri che all'interno dei singoli paesi. La povertà e l'ineguaglianza sono ancora considerate tra i maggiori problemi in Europa. Nella revisione della strategia di Lisbona bisogna prestare maggiore attenzione alla povertà e alla coesione sociale, prefiggendosi obiettivi più ambiziosi per lo sviluppo economico e sociale che siano in grado di portare a una netta riduzione dei problemi di povertà e di ineguaglianza.

2.5.2.2   Le disparità nei sistemi di sicurezza sociale all'interno dell'UE sono manifeste. Alcune dipendono dalla presenza di sistemi fiscali completamente diversi e dalla concorrenza fiscale. Le imposte sulle società e sui dividendi e tassi d'interesse sono elevate in alcuni paesi e più basse in altri. I modelli d'imposta ad aliquota unica hanno acuito le differenze fra gli Stati membri sotto il profilo dell'imposizione sul reddito e del gettito fiscale. La spesa sociale in percentuale del PIL è superiore al 30 % in alcuni Stati membri e inferiore al 15 % in altri, che applicano un'aliquota unica molto contenuta. In tutti gli Stati membri si prospettano problemi per il futuro dei sistemi di sicurezza sociale.

2.5.2.3   Livelli di istruzione più elevati, competenze migliori e più spendibili sul mercato, un maggior numero di ricercatori dovrebbero essere i fattori chiave per rafforzare la competitività di un'industria europea più ecologica che svolga un ruolo guida nell'innovazione, con un livello tecnologico più elevato, una maggiore produttività e un più forte valore aggiunto. In questo modo dovrebbe essere possibile creare un numero maggiore di posti di lavoro di qualità e innescare un'accelerazione dello sviluppo economico e sociale, riducendo quindi la povertà e le ineguaglianze.

2.5.2.4   È opportuno ricorrere al metodo aperto di coordinamento (MAC) e mettere l'accento sull'importanza di lanciare azioni simultanee e interattive a livello dell'UE, nazionale e regionale. A livello degli Stati membri, il coinvolgimento dei parlamenti nazionali, delle parti sociali e degli altri soggetti della società civile organizzata dovrebbe aumentare la comprensione e il senso di appropriazione dei principali ambiti problematici e delle azioni da intraprendere.

2.5.2.5   I fornitori di servizi pubblici formano parte della necessaria risposta ai problemi della coesione sociale e della crisi economica e finanziaria in atto perché svolgono un compito importante nel quadro degli sforzi dei governi intesi a stabilizzare sia l'economia che i mercati del lavoro. Il settore pubblico funge da catalizzatore della crescita economica e mette a disposizione le infrastrutture necessarie alla prosperità delle imprese private. Servizi pubblici migliori (ad esempio: istruzione, assistenza sanitaria e sociale, ecc.) dovrebbero avere un posto centrale nella nuova strategia europea per la crescita economica e l'occupazione nell'interesse di tutti i cittadini europei.

2.6   Invertire le tendenze recessive

2.6.1   Un mercato unico più efficiente dovrebbe contribuire allo sviluppo a medio termine dell'UE e anche ad una più rapida uscita dall'attuale crisi economica e finanziaria. Le riforme strutturali vanno concepite in modo da permettere una ripresa solida e duratura. Senza perdere di vista il necessario equilibrio sociale, tali riforme dovrebbero anche puntare a invertire le attuali tendenze recessive e a evitare qualsiasi ulteriore deterioramento delle capacità produttive dell'UE. Sarà possibile arrivare alla necessaria determinazione e chiarezza d'intenti solo se gli Stati membri troveranno le necessarie sinergie e si decideranno ad agire di concerto per reindirizzare le loro economie verso la crescita sostenibile. Gli Stati membri dovranno essere pronti a incoraggiare la domanda sul mercato interno e a ripristinare il potere d'acquisto dei consumatori, in linea con i passi avanti compiuti per porre fine all'attuale crisi finanziaria ed economica e alla recessione che l'accompagna.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il presente parere ha individuato alcuni ambiti nei quali il mercato unico può contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona dopo il 2010. Detti ambiti sono discussi qui di seguito.

3.2   Dimensioni del mercato interno

3.2.1   In conseguenza degli sforzi di integrazione compiuti nel corso degli anni, oggi gli scambi di beni nel mercato interno dell'UE sono quasi il doppio di quelli con il resto del mondo (7). Secondo gli osservatori, il mercato unico dei beni presenta un forte vantaggio competitivo e offre agli Stati membri un'ottima base per agire con successo sui mercati esterni e per creare ricchezza e posti di lavoro per i loro cittadini. È probabile che vi saranno ulteriori allargamenti dell'UE, con un conseguente aumento delle dimensioni del mercato interno.

3.3   I progressi sul fronte del completamento del mercato unico

3.3.1   Il progetto del mercato unico è per sua natura un «lavoro in corso», ma alcuni problemi cruciali impongono un'azione urgente. È di fondamentale importanza che l'acquis comunitario riguardante il mercato unico sia attuato correttamente, ed è necessario mantenere equilibrio e coerenza tra i diversi interessi in gioco. La concorrenza tra Stati membri nel mercato unico, inoltre, dovrebbe essere gestita in modo da offrire al consumatore prodotti più sicuri e di più alta qualità al miglior prezzo possibile, dando contemporaneamente all'industria una base più forte e più efficiente per l'espansione degli scambi con i paesi terzi. Una relazione pubblicata nel gennaio 2009 (8) segnala quali elementi del programma per il mercato interno del 1992 non sono ancora stati realizzati. La relazione sostiene che le regolamentazioni attuali generano differenze di interpretazione e di attuazione e ostacolano la piena armonizzazione, mette in risalto gli elevati costi amministrativi e spiega come si potrebbe pervenire all'eliminazione completa degli ostacoli all'attività delle imprese.

3.3.2   L'UE ha presentato un nuovo progetto per l'internalizzazione dei costi esterni di tutti i modi di trasporto. Il CESE ha già avuto occasione di presentare le sue osservazioni al riguardo (9), e ribadisce che l'effetto ricercato potrà essere conseguito unicamente applicando questo principio in eguale misura a tutti i settori che generano costi esterni. Nelle conclusioni del 23 ottobre 2009 il Consiglio ha sottolineato l'esigenza di applicare tale principio come metodo per fissare prezzi equi e ha invitato gli Stati membri a intensificare il dibattito su come utilizzare strumenti economici efficienti in termini di costi per rispecchiare meglio i costi e i vantaggi ambientali effettivi e assegnare un prezzo prevedibile alle emissioni di CO2. Inoltre, il Consiglio ha invitato la Commissione a individuare misure concrete e a definire degli orientamenti per l'ecoefficienza nella nuova strategia «UE 2020», a presentare una strategia integrata e un'azione per la promozione dell'ecoinnovazione nel corso di quest'anno nonché a far sì che il prossimo piano di innovazione europeo sia inteso a creare un mercato interno competitivo e armonizzato in questo settore. Attualmente i costi esterni non si ripercuotono sui modi di trasporto individuali e sui loro utilizzatori: questo può conferire un vantaggio competitivo a quei modi di trasporto che impongono costi elevati alla società. L'internalizzazione eliminerebbe tali distorsioni della concorrenza, determinando il passaggio a modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente. È importante che tale principio venga applicato in modo più efficace, poiché esso potrebbe indurre anche modifiche nella struttura dei gestori e degli utenti del settore dei trasporti.

3.4   Il settore dei servizi

3.4.1   Si riscontrano ancora segni di debolezza nel mercato interno dei servizi, ma la speranza è che possano essere compiuti progressi con l'attuazione della direttiva «servizi», che dovrebbe entrare in vigore all'inizio di quest'anno. Le questioni transfrontaliere rappresentano ancora un ambito molto sensibile, in particolare nei settori dell'energia, delle poste e dei servizi finanziari. In alcuni casi una soluzione europea non è concepibile a causa delle resistenze degli Stati membri, e certe tensioni rischiano di portare verso un aumento del protezionismo. È essenziale che i governi resistano alla tentazione di adottare misure di questo genere, forse efficaci sul breve periodo ma sicuramente poco lungimiranti. Essi dovrebbero tuttavia seguire da vicino l'andamento della situazione e fare in modo che non vi sia uno scadimento delle norme che riguardano gli aspetti sociali, la qualità, l'ambiente e la sicurezza nei settori sopramenzionati. Il CESE invita gli Stati membri a prevedere la necessaria formazione per il personale amministrativo in modo da garantire una transizione senza problemi nell'attuazione della direttiva «servizi». Il settore dei servizi va sviluppato anche per affrontare le sfide poste dai cambiamenti demografici - che creeranno dei problemi anche al mercato unico - tenendo però conto del fatto che alcuni servizi sociali non rientrano nella suddetta direttiva.

3.5   L'unione monetaria

3.5.1   L'unione monetaria e il successo dell'euro sono fondamentali per una più profonda integrazione e per il rafforzamento del mercato interno dei capitali. In periodi di rallentamento dell'economia, infatti, il mercato interno e l'area dell'euro hanno dimostrato di poter garantire stabilità alle imprese, in quanto il calo degli scambi intracomunitari è risultato inferiore a quello del commercio con i paesi terzi. Queste indicazioni fanno intuire il potenziale di un'ulteriore integrazione.

3.6   Effetti esterni dell'euro

3.6.1   Secondo le stime, dall'introduzione dell'euro gli scambi sono aumentati quasi del 5 % (10). I mercati trarranno ulteriore beneficio da un approfondimento dell'area dell'euro che comprenda tra l'altro il coordinamento delle politiche macroeconomiche, una rappresentanza esterna e la regolamentazione dei mercati finanziari, soprattutto alla luce dell'attuale crisi economica.

3.7   Ostacoli all'esercizio delle quattro libertà

3.7.1   La libertà di circolazione ha contribuito a rafforzare l'economia degli Stati membri perché migliora la concorrenza e offre ai consumatori una più ampia scelta e prodotti di miglior qualità a prezzi più bassi. Un altro effetto positivo è l'aumento della competitività delle imprese europee sui mercati dei paesi terzi. Tuttavia sono stati accertati casi in cui le regole di attuazione nel quadro della direttiva sul distacco dei lavoratori erano poco chiare, il che ha determinato distorsioni della concorrenza tra le imprese, un minore rispetto dei diritti dei lavoratori e il dumping sociale.

3.7.2   Negli ultimi anni gli orientamenti in materia di occupazione si sono concentrati principalmente sulla mobilità dei lavoratori come mezzo per migliorare la struttura del mercato del lavoro. La promozione dei principi di un mercato del lavoro attivo e di regimi di flessicurezza basati su accordi tra le parti sociali e i governi, l'incoraggiamento dell'apprendimento e della formazione lungo tutto l'arco della vita, la creazione di sistemi di sicurezza sociale solidi, adeguati e sostenibili nonché l'agevolazione delle pari opportunità al fine di salvaguardare la parità tra i sessi, conciliare meglio il lavoro con la vita privata e familiare ed eliminare ogni forma di discriminazione, sono essenziali perché il mercato del lavoro possa contribuire in modo più incisivo al conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

3.8   Vincoli normativi

3.8.1   Fin dagli anni '80 le normative UE si sono concentrate sulla libertà di circolazione di beni, servizi, lavoratori e capitali. L'ambiente normativo in cui operano le imprese è un elemento cruciale della loro competitività e della loro capacità di crescere e di creare posti di lavoro. Oltre a stabilire condizioni di concorrenza eque, le regole possono però anche ostacolare l'instaurarsi di un clima favorevole all'imprenditoria, e quindi vanno riesaminate e semplificate per consentire alle imprese di adattarsi rapidamente ai cambiamenti, mantenendo nel contempo condizioni di mercato eque e relativamente sicure. Per stabilizzare con efficacia il sistema di mercato europeo, tutti e 27 gli Stati membri devono agire in modo coordinato. Occorre adottare celermente misure volte a garantire che le banche si concentrino con maggiore efficacia sulla loro attività fondamentale di fornire liquidità all'economia reale, utilizzando fonti stabili di finanziamento create da risparmi prodotti dalla stessa economia, lasciando le attività speculative e più rischiose sui mercati finanziari ad operatori separati specializzati nel settore.

3.8.2   Negli ultimi cinque anni il mercato unico ha beneficiato di significativi miglioramenti apportati al quadro legislativo in materia di libera circolazione dei beni e dei servizi. Questi miglioramenti erano dovuti principalmente al regolamento sul riconoscimento reciproco, fonte di quelle regole tecniche comuni che oggi consentono di ridurre i costi aggiuntivi, sia amministrativi che di produzione. Anche il regolamento sulle attività di accreditamento e di vigilanza del mercato ha, in linea di principio, favorito la libera circolazione, promuovendo standard migliori a beneficio dei consumatori e migliorando la sicurezza dei prodotti.

3.8.3   È importante che la libera circolazione di beni, servizi, lavoratori e capitali sia accompagnata dall'introduzione di norme armonizzate. Esistono tuttora una serie di vincoli che ostacolano il corretto funzionamento del mercato unico.

3.8.4   Le reti già istituite dalla Commissione europea dovrebbero essere operative in tutti gli Stati membri ed essere dotate delle risorse sufficienti a esercitare le loro funzioni. Il CESE si riferisce in particolare al sistema di informazione del mercato interno (IMI), al sistema di allarme rapido sui prodotti di consumo pericolosi (RAPEX), al sistema di allarme rapido per i prodotti alimentari (RASFF) e alla rete Solvit per la risoluzione online di problemi. Questi strumenti di informazione e di protezione degli interessi dei cittadini garantiscono una più regolare applicazione e un più attento monitoraggio delle regole del mercato unico. A sua volta, una migliore informazione dell'opinione pubblica dovrebbe agevolare l'attuazione di riforme utili al miglioramento del mercato unico.

3.9   Costi esterni ambientali

3.9.1   Sul medio e lungo periodo, l'UE deve «diventare, come Comunità, lo spazio economico più efficiente in materia di energia e uso delle risorse», e la politica del clima deve essere orientata alla sostenibilità. Vanno esaminate tutte le possibilità di risparmiare energia, e si deve puntare sulle strutture locali, rinnovabili e regionali. Il miglioramento dell'efficienza nell'utilizzo dell'energia e delle risorse sarà uno degli elementi centrali di una nuova strategia.

3.9.2   Per un migliore sviluppo economico sostenibile, è necessario creare un legame più saldo con l'azione esterna dell'UE, che deve contribuire all'evoluzione della globalizzazione e promuovere una convergenza strategica internazionale per lo sviluppo sostenibile.

3.9.3   A questo proposito, perché il mercato interno dei beni possa contribuire in modo più incisivo al conseguimento degli obiettivi di Lisbona, in occasione dei negoziati internazionali l'UE deve parlare sempre e coerentemente con una voce sola.

3.9.4   È necessario investire di più nella ricerca nel campo dell'energia e dei cambiamenti climatici. I futuri investimenti industriali nell'UE dovrebbero basarsi su una politica strategica per il settore dell'energia fondata su accordi bilaterali tra l'UE e altri paesi. Altrettanto importante è lo sviluppo di una nuova infrastruttura dell'energia che sia intelligente, decentrata e a basse emissioni di carbonio.

3.10   Sicurezza degli approvvigionamenti di energia e di materie prime

3.10.1   È essenziale che l'economia dell'UE abbia un accesso costante e sicuro alle fonti di energia e alle materie prime, il che comporta la necessità di conseguire un livello sempre più alto di autosufficienza.

3.10.2   Nel contesto delle ampie fluttuazioni dei prezzi dell'energia e delle materie prime cui abbiamo assistito negli ultimi anni, l'euro ha protetto l'UE dalle turbolenze dei mercati finanziari, e la sua solidità ha permesso di alleviare alcuni effetti degli aumenti dei prezzi verificatisi due anni or sono sui mercati internazionali dei prodotti alimentari e dell'energia in seguito all'aumento della domanda.

3.10.3   In questo senso è importante anche la liberalizzazione dei mercati di capitali, in particolare tra gli Stati membri, che va incoraggiata al fine di finanziare gli scambi di forniture energetiche e di promuovere gli investimenti nel settore dell'energia.

3.10.4   Anche il mercato interno dell'energia deve essere trasformato in un sistema veramente coeso, funzionante secondo una politica unificata, pienamente interconnessa e interoperabile, che garantisca una concorrenza leale e tuteli i diritti e gli interessi dei consumatori. La politica dell'UE in materia di concorrenza, il rafforzamento delle autorità nazionali di regolamentazione e una politica in materia di servizi d'interesse generale garantirebbero ai consumatori un approvvigionamento adeguato, sicuro e costante di un mix energetico al tempo stesso sostenibile e a buon mercato.

3.11   Le infrastrutture per i trasporti e le comunicazioni

3.11.1   Nel contesto della globalizzazione, i trasporti sono essenziali per il corretto funzionamento del mercato interno e rafforzano la cooperazione transfrontaliera e gli scambi tra gli Stati membri. Sistemi di trasporto efficaci rendono possibile l'efficienza economica, poiché consentono di offrire una più ampia varietà di prodotti a prezzi competitivi. L'infrastruttura ferroviaria intraeuropea è un mezzo per trasportare le merci più efficiente ed ecologico del trasporto su strada, responsabile di più elevate emissioni di carbonio.

3.11.2   Anche la strategia europea per i trasporti marittimi 2009-2018 contribuirà allo sviluppo economico sostenibile dell'UE. Tuttavia, con l'aumentare del numero delle navi che operano sia sulle rotte commerciali brevi che su quelle internazionali, sarà necessario affrontare i problemi legati ai cambiamenti climatici e all'ambiente in generale.

3.11.3   Il sistema europeo di trasporto dovrà cambiare per ridurre la saturazione delle infrastrutture e al contempo aiutare l'economia dell'UE ad adeguarsi alle sfide poste dalla globalizzazione. Un sistema di trasporto efficiente rafforza le imprese e crea opportunità di occupazione, garantendo al tempo stesso la competitività a lungo termine, sia all'interno che all'esterno dell'UE. I trasporti possono inoltre promuovere l'innovazione e incoraggiare la crescita economica.

3.11.4   Vanno affrontati e risolti i problemi di interoperabilità e di connettività tra gli Stati membri, specialmente per quanto riguarda le reti dell'energia e l'accesso a Internet a banda larga per tutti i cittadini, aspetti che toccano in particolare le regioni periferiche.

3.11.5   Le regioni periferiche sono tuttora fortemente svantaggiate per quanto riguarda i servizi di trasporto aereo. L'UE dovrebbe affrontare il problema in modo innovativo, al fine di offrire ai cittadini di queste regioni servizi equivalenti a quelli esistenti nell'Europa continentale.

3.12   La competitività nel mercato unico

3.12.1   La strategia di Lisbona ha dato ottimi risultati per quanto riguarda alcuni aspetti del mercato delle merci. Il mercato unico europeo ha reso più facili gli scambi di merci, e i consumatori hanno accesso a una più ampia varietà di prodotti a prezzi molto competitivi. È necessario tuttavia che vi siano condizioni di concorrenza eque, da realizzare attraverso un'efficace vigilanza a livello nazionale e la cooperazione tra gli Stati membri.

3.12.2   Sembra però che esista un divario tra gli impegni presi, a livello nazionale ed europeo, e i risultati conseguiti. Con l'aumentare della concorrenza internazionale sui mercati dei beni e dei servizi, diventa sempre più urgente migliorare la performance competitiva delle imprese europee. Molti elementi inducono a ritenere che un migliore coordinamento delle iniziative di R&S tra raggruppamenti (cluster) di PMI e grandi aziende possa portare a un miglioramento della competitività che si estenda anche al di là del mercato interno.

3.12.3   È altresì importante notare che la creazione dell'UEM ha rafforzato la competitività del mercato dell'UE riducendo e rendendo più trasparenti i costi delle attività transfrontaliere. In questo modo si è agevolato anche l'accesso di nuove imprese al mercato europeo, mentre quelle meno efficienti hanno chiuso o sono state rilevate. Ci sono però ancora margini di miglioramento per quanto riguarda la flessibilità nel mercato interno e la mobilità dei lavoratori. In effetti, la maggiore debolezza individuata in tutti i mercati è rappresentata dalle barriere interne che ancora esistono nel mercato unico, e che devono essere rimosse.

3.13   La dimensione esterna del mercato unico

3.13.1   L'apertura al resto del mondo è uno dei fattori che hanno contribuito alla prosperità dell'Europa. È quindi nel suo interesse sviluppare la sua agenda esterna, al fine di proteggere e rafforzare il benessere dei suoi cittadini. Le future politiche dovranno abbandonare la «sindrome di introspezione» che ha impostato l'azione dell'UE fin dal Trattato di Roma del 1957. Oggi l'Unione deve guardare piuttosto all'economia globalizzata ed essere decisa a svolgere un ruolo di primo piano, tenendo conto dello spostamento del centro di gravità verso l'Asia e i paesi emergenti, in particolare i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). L'UE deve inoltre sviluppare la cooperazione economica con i paesi vicini nel quadro della politica europea di vicinato, che comprende il partenariato orientale e l'Unione per il Mediterraneo, al fine di estendere la sua area di libero scambio. I principi di apertura del mercato devono essere una condizione imprescindibile di questi accordi di partenariato. Allo stesso tempo, l'approfondimento e il perfezionamento del mercato interno sono fondamentali se l'UE vuole mantenere il suo ruolo di leader sul mercato mondiale.

3.13.2   L'Europa ha anche il dovere di affrontare i problemi mondiali e di contribuire a impostare le modalità e i ritmi della globalizzazione. Seguendo l'esempio di altri grandi blocchi commerciali, l'UE punta alla liberalizzazione degli scambi sul mercato globale dei beni e dei servizi, e sta negoziando accordi bilaterali di libero scambio con la Corea, l'ASEAN e l'India. Anche i progressi realizzati in sede di Consiglio economico transatlantico si possono considerare positivi. In parte, però, questa strategia riflette una scarsa fiducia nella possibilità che i negoziati del ciclo di Doha possano giungere a felice conclusione in tempi brevi. Il fatto è che proprio gli accordi bilaterali di questo tipo rischiano di minare alla base i negoziati commerciali multilaterali. È quindi necessario insistere sull'importanza politica della reciprocità nell'apertura dei mercati internazionali, e la conclusione del ciclo di Doha deve continuare a rappresentare una priorità. Il CESE esorta la Commissione europea e i capi di governo degli Stati membri ad insistere, in sede di negoziati sulla liberalizzazione del commercio, affinché i governi dei paesi terzi rispettino i diritti dell'uomo, le convenzioni dell'OIL e gli impegni in materia di salvaguardia delle risorse naturali, economiche e culturali.

3.13.3   La messa a punto di uno strumento comune di tutela del brevetto comunitario è un'iniziativa più che auspicabile, o meglio inderogabile. È necessario far rispettare rigorosamente i diritti di proprietà intellettuale e contrastare efficacemente il commercio di prodotti di marca contraffatti (11).

3.13.4   Negli ultimi anni la mancanza di efficaci misure di monitoraggio e sorveglianza del mercato nell'UE è stata messa in evidenza da casi di prodotti alimentari e giocattoli, importati da paesi terzi, che non soddisfacevano gli standard minimi. Proprio per l'inadeguatezza dei controlli sulle importazioni dai paesi terzi, i consumatori dell'UE rischiano di acquistare prodotti pericolosi per la salute, di qualità inferiore e non conformi agli standard minimi. Ciò comporta anche distorsioni della concorrenza nel mercato e può avere conseguenze negative per gli investimenti futuri e per l'occupazione in Europa.

3.13.5   Si dovrebbe prendere in considerazione anche una strategia ferma e concertata volta a proteggere i consumatori europei dalle importazioni di beni e di servizi da paesi terzi che non rispettano le norme tecniche, sociali e ambientali e quelle riguardanti le condizioni di lavoro. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi affinché nei paesi con cui intrattengono rapporti commerciali siano rispettate le norme stabilite dall'OIL, dall'ONU e dalle sue agenzie, nonché le altre convenzioni internazionali riguardanti i diritti individuali, la libertà sindacale, il diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, l'abolizione del lavoro minorile e del lavoro forzato.

3.13.6   L'attuale crisi economica ha dimostrato la crescente interdipendenza tra i paesi nel contesto dei mercati finanziari e commerciali globali. I sistemi finanziari mondiali devono essere rafforzati mediante regole che non solo promuovano la prudenza, migliorino il coordinamento e la comunicazione tra le autorità di controllo e le banche centrali e aumentino la trasparenza, ma consentano anche di controllare con maggior rigore i movimenti di denaro riciclato connessi al traffico di droga e di armi e ad altre attività criminali.

3.13.7   In questo contesto, il modello europeo di dialogo sociale dovrebbe essere imitato dai paesi terzi, e il CESE dovrebbe intensificare gli sforzi al fine di promuovere questo concetto.

3.14   La dimensione sociale

3.14.1   L'ulteriore sviluppo del mercato interno deve essere accettato dai cittadini europei. La dimensione sociale del mercato interno è ora rafforzata dalla Carta dei diritti fondamentali incorporata nel Trattato di Lisbona: questo dovrebbe accrescere l'importanza della società civile organizzata nello sviluppo del mercato interno.

3.14.2   La strategia dell'UE dopo il 2010 dovrà promuovere una società più giusta e più equa, salvaguardando e rafforzando il suo modello sociale secondo una politica di sviluppo integrata. Tutti gli Stati membri devono tenere il passo della globalizzazione e del progresso tecnologico migliorando la qualità e la disponibilità dell'istruzione e della formazione permanente. Bisogna approfittare di questo momento di crisi per incoraggiare il progresso della conoscenza e quindi preparare la forza lavoro alle sfide del futuro. Ai disoccupati occorre offrire opportunità di formazione e riconversione mediante l'accesso a programmi di istruzione, compresa l'istruzione superiore, che consentano loro di reinserirsi nel mercato del lavoro. In questo modo potranno avere la prospettiva di condizioni di occupazione migliori, mentre i datori di lavoro saranno incoraggiati a investire nelle nuove forme di domanda che saranno generate in futuro dalle nuove tecnologie. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione e il Fondo sociale europeo devono essere utilizzati meglio e adeguati alle nuove sfide del mercato interno. In vista delle conseguenze della crisi economica, andrebbe considerata con urgenza l'eventualità di riformulare i programmi specifici di lotta alla povertà.

4.   Conclusioni

4.1   Nell'attuale situazione di crisi, l'UE deve adeguare le misure a medio e lungo termine previste dalla strategia di Lisbona. All'agenda delle riforme strutturali vanno aggiunte anche azioni a breve termine, senza però smettere di investire nel futuro. Per far ciò si dovrà essenzialmente continuare a investire in R&S, nell'innovazione e nell'istruzione, incoraggiando attivamente il libero scambio di conoscenze tra gli Stati membri e il sostegno alle imprese (in particolare alle PMI) che così potranno dare il loro contributo a un mercato unico più dinamico. Anche le azioni volte a promuovere un'economia più verde sono importanti per creare nuovi posti di lavoro, sviluppare nuove tecnologie e nel contempo reperire fonti di energia alternative e raggiungere gli obiettivi in materia di protezione dell'ambiente. Ciò sarà possibile se verrà rafforzata la governance europea, in modo da migliorare la dimensione collettiva dell'Unione ed evitare la sovrapposizione di azioni e di risorse.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM (2009) 647 def. del 24.11.2009.

(2)  Per una panoramica degli ostacoli che ancora si frappongono al mercato unico, cfr. lo studio CESE-OMU disponibile (in inglese) all'indirizzo http://www.eesc.europa.eu/smo/news/index_en.asp.

(3)  14891/09 del 23.10.2009.

(4)  GU C 317 del 23.12.2009, pag. 80.

(5)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 6.

(6)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 15.

(7)  Quadro di valutazione del mercato interno, dicembre 2008.

(8)  When will it really be 1992? - Specific Proposals for Completing the Internal Market («Quando sarà davvero il 1992? - Proposte specifiche per il completamento del mercato interno»), pubblicato da VNO - NCW e MKB, organizzazioni olandesi dei datori di lavoro (cfr. http://www.eesc.europa.eu/smo/prism/moreinformation/literature/7/index_en.asp).

(9)  GU C 317 del 23.12.2009, pag. 80 e CESE 1947/2009 del 17 dicembre 2009 (TEN/356).

(10)  Study on the Impact of the Euro on Trade and Foreign Direct Investment («Studio sull'impatto dell'euro sugli scambi e sugli investimenti diretti esteri») (http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication12590_en.pdf).

(11)  GU C 116 del 28.4.1999, pag. 35 e GU C 221 del 7.8.2001, pag. 20.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 1.2, ottavo, nono e decimo trattino:

Modificare come segue:

«In particolare, è importante che la direttiva “servizi” sia applicata rispettando pienamente lo spirito e le regole del mercato unico. Un problema importante a tale proposito è dato dal fatto che non vi è ancora libertà di circolazione per i lavoratori provenienti da alcuni degli Stati membri che hanno aderito all'UE con l'ultimo allargamento. Occorrono regole nazionali chiare ed efficaci per assicurare una corretta attuazione della direttiva sul distacco dei lavoratori e il conseguimento degli obiettivi da essa stabiliti, ossia una concorrenza leale tra le imprese, il rispetto dei diritti dei lavoratori .

salari e le condizioni di lavoro un fattore concorrenziale. La protezione degli standard nel mercato del lavoro, , acquisterà maggiore importanza e dovrà far parte della nuova strategia “UE 2020”.

mercato unico trasporti su lunghe distanze, .

Motivazione

In generale, il termine «dumping» viene ora impiegato soltanto nel quadro delle normative che disciplinano il commercio internazionale, nel cui ambito si parla di dumping quando un produttore di un determinato paese esporta un prodotto in un altro paese ad un prezzo che è inferiore a quello che applica sul mercato nazionale o ai costi di produzione. Il termine «dumping sociale» è quindi utilizzato erroneamente se, come nel punto in questione, si fa riferimento alla direttiva sul distacco dei lavoratori, poiché i prezzi applicati dall'impresa (di solito proveniente da uno degli Stati membri meno sviluppati economicamente) che fornisce i suoi prodotti e servizi ad altri Stati membri non sono inferiori ai costi che sostiene. L'impiego del termine «dumping sociale» nei confronti dei nuovi Stati membri è offensivo e andrebbe evitato.

Sostenere che le differenze dei salari e delle condizioni di lavoro siano un problema del mercato unico è in contraddizione con il semplice fatto che i salari costituiscono sempre un fattore concorrenziale tra le imprese, il che è alla base di un'economia libera di mercato e reca vantaggi ai consumatori. Riguardo alla protezione degli standard nel mercato del lavoro, occorre indicare a quali standard si faccia riferimento. Tali standard vengono definiti in alcune convenzioni OIL firmate da gran parte degli Stati membri.

Attribuire al mercato unico la responsabilità dell'incremento dei trasporti dannosi denota una mancanza di obiettività. Allo stesso modo, infatti, dovremmo sostenere che la libera circolazione delle persone aumenta gli oneri ambientali. Occorre tenere conto degli aspetti relativi all'ambiente e allo sviluppo sostenibile nella definizione della strategia «UE 2020».

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 93

Voti contrari: 131

Astensioni: 8

Punto 3.7.1

Modificare come segue:

«La libertà di circolazione ha contribuito a rafforzare l'economia degli Stati membri perché migliora la concorrenza e offre ai consumatori una più ampia scelta e prodotti di miglior qualità a prezzi più bassi. Un altro effetto positivo è l'aumento della competitività delle imprese europee sui mercati dei paesi terzi.  »

Motivazione

Esistono ancora restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico, nonostante sia stato dimostrato che la rimozione delle restrizioni da parte di alcuni paesi non ha peggiorato la situazione del mercato del lavoro in tali paesi.

In generale, il termine «dumping» viene ora impiegato soltanto nel quadro delle normative che disciplinano il commercio internazionale, nel cui ambito si parla di dumping quando un produttore di un determinato paese esporta un prodotto in un altro paese ad un prezzo che è inferiore a quello che applica sul mercato nazionale o ai costi di produzione. Il termine «dumping sociale» è quindi utilizzato erroneamente se, come nel punto in questione, si fa riferimento alla direttiva sul distacco dei lavoratori, poiché i prezzi applicati dall'impresa (di solito proveniente da uno degli Stati membri meno sviluppati economicamente) che fornisce i suoi prodotti e servizi ad altri Stati membri non sono inferiori ai costi che sostiene. L'impiego del termine «dumping sociale» nei confronti dei nuovi Stati membri è offensivo e andrebbe evitato.

Esito della votazione:

L'emendamento 5 (punto 3.7.1) era collegato all'emendamento 3 (punto 1.2, ottavo, nono e decimo trattino) ed è risultato caduco a seguito della votazione su quest'ultimo.

Punto 3.8.1

Modificare come segue:

«Fin dagli anni'80 le normative UE si sono concentrate sulla libertà di circolazione di beni, servizi, lavoratori e capitali. L'ambiente normativo in cui operano le imprese è un elemento cruciale della loro competitività e della loro capacità di crescere e di creare posti di lavoro. Oltre a stabilire condizioni di concorrenza eque, le regole possono però anche ostacolare l'instaurarsi di un clima favorevole all'imprenditoria, e quindi vanno riesaminate e semplificate per consentire alle imprese di adattarsi rapidamente ai cambiamenti, mantenendo nel contempo condizioni di mercato eque e relativamente sicure. Per stabilizzare con efficacia il sistema di mercato europeo, tutti e 27 gli Stati membri devono agire in modo coordinato. »

Motivazione

La prima parte della frase cancellata non è realistica. Quali misure possono essere adottate? O si precisa di quali misure si parla o è meglio non farvi riferimento, per non creare confusione e incertezza. D'altro canto, il problema attuale non riguarda le fonti di finanziamento ma la fiducia nell'economia reale.

Il punto 1.6 del parere illustra perfettamente i problemi finanziari attuali e le relative soluzioni.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 82

Voti contrari: 127

Astensioni: 19


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'integrazione e l'agenda sociale»

(parere di iniziativa)

(2010/C 347/03)

Relatore: Luis Miguel PARIZA CASTAÑOS

Correlatore: Pedro ALMEIDA FREIRE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'integrazione e l'agenda sociale.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 gennaio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 158 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e proposte

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), in quanto istituzione fortemente impegnata sia nell'impulso e nell'elaborazione dell'agenda sociale che nella promozione dell'integrazione degli immigrati e delle minoranze etniche, ha deciso di elaborare il presente parere d'iniziativa al fine di incoraggiare l'UE a rafforzare i legami tra le politiche di integrazione e l'agenda per la politica sociale.

1.2   Il 2010 sarà un anno molto importante per le politiche sociali dell'UE: oltre a essere l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, esso vedrà infatti l'elaborazione della strategia UE 2020 e l'approvazione di una nuova agenda sociale.

1.3   Il CESE ritiene che nella revisione dell'agenda sociale a partire dal 2010 si dovrà tenere conto in modo più rilevante degli effetti sociali dell'immigrazione.

1.4   Considerando che l'immigrazione e l'integrazione da un lato e l'agenda sociale dall'altro sono di competenza di commissari e direzioni generali diverse, il CESE suggerisce di migliorare la cooperazione politica e amministrativa in seno alla Commissione europea.

1.5   Le politiche di integrazione devono essere strettamente legate agli obiettivi principali della politica sociale dell'UE. In questo modo tutte le persone, ivi compresi i cittadini dei paesi terzi, i cittadini europei provenienti da un contesto migratorio e quelli appartenenti alle minoranze potranno beneficiare delle opportunità che esse offrono. Allo stesso modo, la lotta all'esclusione sociale deve riguardare tutte le persone, compresi gli immigrati, che siano cittadini dell'UE o di paesi terzi.

1.6   Secondo il CESE la priorità va data al rafforzamento dell'integrazione a livello europeo, tenendo conto di fattori quali la crisi economica, la situazione degli immigrati e delle minoranze rispetto all'occupazione, l'inclusione sociale, l'uguaglianza di genere, la povertà, l'istruzione e la formazione, la salute, la protezione sociale e la lotta alla discriminazione.

1.7   La prospettiva della diversità derivante dall'immigrazione deve essere incorporata in modo trasversale nella formulazione e nell'esecuzione delle politiche sociali, parallelamente allo sviluppo di politiche e misure specifiche volte all'integrazione degli immigrati e delle minoranze etniche.

1.8   Di conseguenza, e in considerazione dell'esperienza accumulata nel contesto di altre politiche, il CESE propone che si strutturi un processo di incorporazione sistematica (mainstreaming) dell'integrazione degli immigrati e delle minoranze nei diversi strumenti politici, legislativi e finanziari dell'UE, per promuovere, insieme all'integrazione, la parità di trattamento e la non discriminazione.

2.   Presentazione

2.1   L'Unione europea si sta dotando di una politica comune in materia di immigrazione, alla cui elaborazione, attraverso i suoi pareri, contribuisce anche il Comitato economico e sociale europeo, che mette in rilievo l'importanza dell'integrazione come «chiave per il successo dell'immigrazione» e riconosce la necessità che le società europee migliorino la capacità di gestire la diversità derivante dall'immigrazione, al fine di aumentare la coesione sociale.

2.2   Nel corso degli ultimi dieci anni, gli immigrati hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo economico e sociale dell'Europa (1). Molte persone - sia uomini che donne - provenienti da paesi terzi sono entrate nei mercati del lavoro europei, collaborando alla crescita dell'economia e all'incremento dell'occupazione, dei contributi sociali e del gettito fiscale.

2.3   Il CESE ha proposto la cosiddetta «integrazione civile» la quale si basa sulla «progressiva equiparazione degli immigranti al resto della popolazione, per quanto riguarda diritti e doveri, l'accesso ai beni, ai servizi e alle basi di partecipazione civile in condizioni di parità di opportunità e di trattamento» (2).

2.4   Nell'anno 2010 si dovranno rinnovare tanto la strategia di Lisbona, attraverso la strategia UE 2020, quanto l'agenda sociale, e sarà sottoposto a valutazione il Fondo per l'integrazione. Inoltre l'UE potrà disporre del Trattato di Lisbona e della Carta dei diritti fondamentali, la nuova Commissione sarà entrata in carica (3) e il Parlamento sarà nella prima fase dell'attuale legislatura.

2.5   Il 2010 sarà anche l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, contesto ideale per il rinnovo dell'impegno per la solidarietà, la giustizia sociale e una migliore inclusione.

2.6   Le politiche di integrazione devono essere strettamente legate agli obiettivi principali della politica sociale dell'UE. Il CESE suggerisce di migliorare la cooperazione politica e amministrativa in seno alla Commissione europea.

2.7   Di fronte alla crisi economica, molti immigrati si trovano a far parte dei gruppi sociali più vulnerabili, e sono le prime vittime: sono i primi a perdere l'impiego, hanno gravi difficoltà a reintegrarsi nel mercato del lavoro e sono esposti al rischio povertà, situazione questa che risulta ancora più grave nel caso delle donne immigrate (4).

2.8   In molti casi, inoltre, i figli e le figlie degli immigrati hanno più probabilità di non portare a termine con successo gli studi.

2.9   Il CESE ritiene necessario intensificare la lotta alla discriminazione, sviluppando gli strumenti legislativi esistenti e rafforzando le politiche pubbliche e gli impegni sociali finalizzati all'integrazione.

2.10   Nell'attuale situazione di crisi economica, nel dibattito politico e sociale di alcuni Stati membri si registrano attacchi verbali sempre più intensi contro i diritti degli immigrati, che portano a un irrigidimento della legislazione e alimentano la xenofobia.

2.11   Alcuni governi stanno inoltre tagliando i fondi pubblici destinati alle politiche di integrazione quando, proprio in tempo di crisi, sarebbe invece opportuno aumentare la spesa per le politiche sociali.

2.12   Il CESE ritiene che un'adeguata politica di integrazione sia uno dei fattori che favoriscono l'efficienza economica e la coesione sociale, nel quadro di una politica comune di integrazione appropriata.

2.13   Le politiche di integrazione in Europa sono molto diverse, in quanto rispecchiano la diversità delle culture sociali e politiche e dei sistemi giuridici. In tutti gli Stati membri, però, gli obiettivi dell'integrazione sono legati alle politiche sociali.

2.14   Nell'Unione europea sono diversi anche i ritmi di assorbimento degli immigrati. Attualmente i flussi migratori interessano in misura minore i nuovi Stati membri dell'Europa centrale e orientale, mentre sono più significativi nei paesi del Sud e dell'Ovest. L'esperienza fa tuttavia supporre che in futuro tutti i paesi europei conosceranno elevati tassi di immigrazione.

2.15   Il CESE ritiene necessario, nel contesto di una strategia globale della politica europea di immigrazione, rafforzare i legami tra l'immigrazione e lo sviluppo. Questo è stato l'approccio adottato da due pareri elaborati dal Comitato (5).

3.   L'integrazione

3.1   Il processo sociale di integrazione si sviluppa in diversi ambiti della vita personale: nella famiglia, nel quartiere e nella città, nel lavoro, nel sindacato, nell'organizzazione imprenditoriale, nella scuola, nel centro di formazione, nelle associazioni, nelle istituzioni religiose, nelle società sportive, nelle forze armate, ecc.

3.2   Considerando che l'integrazione è un processo che si realizza nelle strutture sociali, è necessario che vi sia una buona governance perché le autorità pubbliche appoggino e accompagnino questo processo sociale attraverso politiche adeguate. Gli enti regionali e locali, nel quadro delle competenze di cui sono investiti nei rispettivi Stati membri, dispongono di strumenti politici, normativi e finanziari che devono utilizzare in modo appropriato nelle politiche di integrazione.

3.3   Il decimo principio fondamentale comune (allegato 1) prevede l'inclusione delle politiche e misure di integrazione in tutte le agende politiche e a tutti i livelli di governo (mainstreaming).

3.4   Il CESE ha elaborato diversi pareri d'iniziativa (6) volti a promuovere nell'UE politiche di integrazione a carattere proattivo, basate su un approccio bidirezionale rivolto sia alle società di accoglienza che agli immigrati, con l'obiettivo di pervenire ad una società in cui tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro origine, abbiano gli stessi diritti e doveri e condividano i valori delle società democratiche, aperte e pluraliste.

3.5   Secondo il CESE, le parti sociali e le organizzazioni della società civile hanno un ruolo essenziale da svolgere in tal senso. Sia gli immigrati che le società di accoglienza devono manifestare un atteggiamento favorevole all'integrazione. Le parti sociali e le organizzazioni della società civile devono anch'esse impegnarsi nelle politiche di integrazione e nella lotta contro la discriminazione.

3.6   L'integrazione è un processo sociale che coinvolge tanto gli immigrati quanto la società di accoglienza e nei cui confronti le diverse amministrazioni pubbliche e gli attori sociali hanno il dovere di impegnarsi. Le autorità europee, nazionali, regionali e locali devono elaborare dei programmi nell'ambito delle rispettive competenze. Detti programmi devono integrarsi e coordinarsi in modo adeguato, affinché sia garantita la loro efficacia e la loro coerenza globale.

3.7   In un precedente parere (7), il CESE ha chiesto un maggior impegno da parte degli enti locali, in quanto l'integrazione è una sfida che riguarda soprattutto il livello locale e regionale. Le politiche di integrazione daranno risultati migliori se coinvolgeranno direttamente gli enti regionali e locali e si avvarranno della collaborazione attiva delle organizzazioni della società civile.

3.8   L'integrazione è un processo bidirezionale, fondato su diritti e obblighi per i cittadini dei paesi terzi e per la società d'accoglienza, e volto a garantire agli immigrati una piena partecipazione. In un suo precedente parere il CESE ha definito l'integrazione come «la progressiva equiparazione degli immigranti al resto della popolazione, per quanto riguarda diritti e doveri, l'accesso ai beni, ai servizi e alle basi di partecipazione civile in condizioni di parità di opportunità e di trattamento» (8).

3.9   A giudizio del CESE, gli immigrati devono avere un atteggiamento favorevole all'integrazione, e l'approccio bidirezionale significa che essa non riguarda soltanto gli immigrati ma anche la società di accoglienza.

3.10   Le politiche di integrazione e di inclusione sociale devono riguardare ambiti diversi, tra cui la prima accoglienza, l'insegnamento della lingua, delle leggi e dei costumi, la lotta alla discriminazione, le politiche di occupazione e formazione, l'uguaglianza di genere, l'insegnamento per i minori, la politica familiare, quella per la gioventù e quella degli alloggi, l'assistenza sanitaria, la lotta alla povertà, l'estensione dei servizi sociali e la promozione della partecipazione civica delle persone provenienti da un contesto migratorio.

3.11   Queste politiche devono consentire alle persone che provengono da un contesto di immigrazione di vivere in armonia nelle società europee di accoglienza, società che diventano sempre più differenziate dal punto di vista etnico e culturale.

3.12   Nel 2002, nel corso di un convegno (9) organizzato in collaborazione con la Commissione, il CESE ha proposto alle istituzioni UE di elaborare un programma europeo per l'integrazione e di creare un fondo comunitario apposito. La Commissione ha lanciato un programma pilota nell'ambito dell'integrazione (INTI) e nel 2006 ha proposto di creare il Fondo per l'integrazione, approvato dal Consiglio e attualmente iscritto nel bilancio 2007-2013.

3.13   Nel novembre 2004, il Consiglio ha adottato alcuni «principi fondamentali comuni per una politica di integrazione degli immigrati nell'Unione europea» (10). Questi principi sono complementari ai quadri normativi in materia di diritti umani, non discriminazione e pari opportunità, e inclusione sociale.

3.14   Il CESE mette in rilievo l'importanza di disporre di un approccio comune europeo, in grado di apportare alle politiche e ai processi di integrazione un importantissimo valore aggiunto rappresentato dal rapporto trasversale con le altre politiche dell'UE, per esempio la strategia UE 2020, l'agenda sociale e la politica di coesione. Un tale approccio sarebbe inoltre utile per rafforzare i legami tra l'integrazione e i valori e i principi dell'UE, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

3.15   Il Fondo per l'integrazione è uno strumento finanziario per lo sviluppo delle politiche di integrazione con un approccio e un valore aggiunto europei, nel quadro dei principi fondamentali comuni. Le politiche di integrazione hanno come base giuridica l'articolo 63 del Trattato, e riguardano i cittadini di paesi terzi, mentre il Fondo sociale europeo (FSE) interessa tutta la popolazione dell'UE, ivi compresi gli immigrati. Per questo motivo il Fondo per l'integrazione e l'FSE sono complementari.

3.16   Il CESE fa propri i sei obiettivi politici del Fondo per l'integrazione e attende di conoscere la valutazione intermedia del Fondo nel 2010 per proporre alcuni cambiamenti.

3.17   Di recente è stato istituito il Forum europeo dell'integrazione, che ha l'obiettivo di rendere possibile la partecipazione della società civile e delle organizzazioni degli immigrati alle politiche di integrazione dell'UE. Il CESE è fortemente coinvolto nelle attività del Forum.

3.18   Il Consiglio europeo, come indicato nelle conclusioni in materia di integrazione adottate nel giugno 2007, ritiene necessario fare progressi rispetto all'agenda comune per l'integrazione del 2005, partendo dai principi fondamentali comuni.

3.19   Il CESE intende perfezionare questo approccio e a tal fine considera prioritario il rafforzamento dell'integrazione a livello europeo, tenendo conto della situazione degli immigrati e delle minoranze per quanto riguarda l'occupazione, l'inclusione sociale, l'uguaglianza di genere, la povertà, l'istruzione e la formazione, la salute, la protezione sociale e la lotta alla discriminazione.

4.   L'agenda della politica sociale

4.1   In conseguenza della crisi finanziaria internazionale, l'Unione europea sta attraversando una grave crisi economica, che provoca un profondo deterioramento della situazione sociale. La crisi sta avendo ripercussioni estremamente negative sui processi di integrazione.

4.2   Per ovvie ragioni, l'agenda sociale rinnovata (11), essendo stata elaborata nel 2008, non ha potuto tenere conto dell'evoluzione estremamente negativa della crisi economica, dell'aumento della disoccupazione e del deterioramento delle finanze pubbliche e della situazione sociale.

4.3   La Commissione europea prevede che la ripresa economica sarà lenta e che la creazione di nuovi posti di lavoro si farà attendere.

4.4   Il CESE ritiene che sul piano sociale la ripresa sarà in ogni caso molto più lenta che su quello economico. In questo contesto, il contributo della politica sociale europea sarà fondamentale.

4.5   Il 2010 sarà un anno molto importante per le politiche sociali dell'UE: oltre a essere l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, vedrà l'elaborazione della strategia UE 2020 e l'approvazione di una nuova agenda sociale, che dovrà prevedere le misure e gli strumenti necessari.

4.6   L'agenda sociale rinnovata (2008), che riconosce l'importante contributo dell'immigrazione all'occupazione europea, propone di migliorare l'integrazione e l'attuazione delle politiche sociali negli ambiti dell'insegnamento, della sanità e dell'edilizia abitativa.

4.7   Nel suo parere del gennaio 2009 (12) sull'agenda sociale rinnovata, il CESE ha riconosciuto la fondatezza di questo nuovo approccio e ha proposto alcune riflessioni sui problemi derivanti dall'aumento dei flussi migratori e dall'insufficienza delle politiche sociali.

4.8   La presidenza francese dell'UE ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo (13) sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale, parere adottato nel giugno 2008. Il CESE ritiene che il nuovo programma di azione sociale debba essere utile per affrontare la difficile situazione economica e sociale, e ha proposto che esso tenga conto delle politiche di integrazione, della parità di trattamento e dello sviluppo del metodo aperto di coordinamento, e che preveda un aumento delle risorse destinate al Fondo per l'integrazione.

4.9   Il 6 maggio 2009, il Parlamento ha approvato una risoluzione (14) sull'agenda sociale in cui afferma che la politica di immigrazione deve fondarsi sui diritti umani, contribuire a rafforzare la legislazione antidiscriminazione e promuovere una strategia per l'integrazione e le pari opportunità.

4.10   Le persone che si trovano in situazione amministrativa irregolare («migranti irregolari») sono molto vulnerabili e possono diventare vittime dello sfruttamento, della povertà e delle forme più estreme di esclusione sociale. Pertanto, come proposto dal CESE, la situazione amministrativa di queste persone può essere regolarizzata nel quadro del Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo, tenendo conto della loro integrazione sociale e nel mercato del lavoro. D'altro canto, il CESE ritiene che le politiche sociali dell'UE non debbano escludere i migranti irregolari dagli obiettivi e dai programmi di inclusione sociale e dell'FSE.

4.11   Nei prossimi anni cresceranno sia la mobilità interna dei cittadini europei che l'immigrazione verso l'Europa di numerosi cittadini di paesi terzi. Questi fenomeni porteranno a un aumento della diversità di origine nazionale, etnica, religiosa e culturale dell'Unione europea.

4.12   Tuttavia l'agenda sociale rinnovata tiene conto solo in maniera limitata di elementi quali le diversità tra le società europee, l'integrazione degli immigrati e delle minoranze, la parità di trattamento e la lotta contro la discriminazione. Il CESE ritiene che nella revisione dell'agenda sociale a partire dal 2010 si dovrà tenere conto in misura maggiore degli effetti sociali dell'immigrazione, tanto per gli immigrati quanto per le società di accoglienza.

4.13   Andrebbero conseguentemente rafforzati i legami tra l'agenda sociale e l'integrazione. Per tale motivo il CESE propone, con l'obiettivo di promuovere l'integrazione, che questa venga sistematicamente incorporata (mainstreaming) nei diversi strumenti politici, legislativi e finanziari dell'UE.

5.   Alcuni ambiti politici

5.1   Infanzia e gioventù

5.1.1   Le politiche per la gioventù dovrebbero tenere conto delle necessità e delle circostanze dei giovani immigrati nel loro processo di transizione alla vita adulta e di integrazione sociale.

5.1.2   Molti giovani, figli e figlie di immigrati, raggiungono il successo professionale e diventano cittadini molto attivi in seno alle loro comunità. Sono però numerosi i giovani, anche di seconda e terza generazione, che si trovano in situazioni di forte vulnerabilità o di esclusione sociale, presentano indici di dispersione scolastica elevati e sono quindi esposti maggiormente al rischio disoccupazione.

5.1.3   È fondamentale l'appoggio alle famiglie; come proposto dal Comitato (15), la politica familiare dell'UE deve essere più attiva.

5.1.4   Il metodo aperto di coordinamento in materia di gioventù deve comprendere indicatori riguardanti la prospettiva della diversità, dell'immigrazione e della non discriminazione.

5.1.5   Per superare gli ostacoli specifici cui si trovano di fronte i giovani immigrati e promuovere lo scambio di esperienze, si dovrebbero cogliere le opportunità offerte dai programmi europei che promuovono l'apprendimento permanente, la mobilità, l'imprenditorialità e la cittadinanza a beneficio dei giovani.

5.2   Istruzione e formazione

5.2.1   Le politiche di integrazione degli Stati membri comprendono l'istruzione e la formazione come elementi fondamentali del processo. Tuttavia, i bambini e i giovani immigrati, così come quelli appartenenti alle minoranze, devono affrontare sfide e ostacoli specifici ai quali va dedicata un'attenzione particolare.

5.2.2   In molti casi gli istituti scolastici incontrano problemi e sfide che non sono in grado di affrontare adeguatamente. È necessario incrementare le risorse delle scuole, rafforzare il loro spirito di apertura e sostenere gli insegnanti nella formazione interculturale e nella gestione della diversità.

5.2.3   Sarà opportuno individuare indicatori della qualità dell'istruzione sufficientemente flessibili per adeguarsi alle necessità degli allievi, la cui diversità è in costante aumento.

5.2.4   Il quadro offerto dal metodo aperto di coordinamento nel settore dell'istruzione dovrà servire a individuare buone pratiche in materia di lotta alla dispersione scolastica dei giovani provenienti da un contesto di immigrazione.

5.2.5   A tal fine sarà necessario definire indicatori quali: la situazione socioeconomica; il completamento degli studi (assolvimento dell'obbligo scolastico) da parte dei giovani; la diversità del corpo docente; le competenze interculturali del personale docente; la capacità del sistema scolastico di promuovere la mobilità sociale; la concentrazione di alunni di origine immigrata; la promozione del multilinguismo nel sistema scolastico; l'apertura dei sistemi di istruzione a tutti i bambini e i giovani, ecc.

5.2.6   Nel suo parere sul tema Migrazione e mobilità: le sfide e le opportunità per i sistemi d'istruzione europei  (16), il CESE sottolinea le ripercussioni che ha sull'istruzione degli adulti la situazione di svantaggio in cui si trovano le persone che provengono da un contesto migratorio: queste persone prendono parte in misura minore alle azioni di formazione continua e i corsi che vengono loro proposti si limitano all'acquisizione di competenze linguistiche. Per migliorare l'integrazione, si dovrà allargare l'offerta di formazione continua a tutta la popolazione, insistendo sulla parità di accesso per le persone provenienti da un contesto migratorio.

5.2.7   Nei programmi di istruzione e formazione in Europa devono essere inclusi programmi che trasmettano gli usi, la storia, i valori e i principi delle democrazie europee, così come la conoscenza della cultura e dei valori delle società di origine della popolazione immigrata (quando i numeri lo consentano).

5.3   Occupazione

5.3.1   Su richiesta della presidenza spagnola, il CESE sta elaborando un parere esplorativo (17) sul tema Integrazione dei lavoratori immigrati che contiene altre proposte riguardanti l'agenda sociale europea.

5.3.2   L'accesso al mercato del lavoro è un elemento chiave, e rappresenta una parte fondamentale del processo di integrazione. Il lavoro in condizioni dignitose è infatti la chiave dell'autosufficienza economica degli immigrati e facilita le relazioni sociali e la conoscenza reciproca tra questi ultimi e la società di accoglienza.

5.3.3   In molte occasioni, tuttavia, i lavoratori immigrati si trovano in situazione svantaggiata e subiscono discriminazioni dirette o indirette. Incontrano inoltre difficoltà giuridiche per il riconoscimento dei loro titoli di studio, mentre alcune legislazioni in materia di immigrazione limitano le possibilità di promozione professionale o di cambiamento di attività.

5.3.4   Di conseguenza, i lavoratori e le lavoratrici immigrati hanno spesso impieghi di scarsa qualità, con stipendi più bassi e condizioni precarie. Questa situazione difficile riguarda in special modo le donne.

5.3.5   Coloro che sono sprovvisti di documenti e si trovano in situazione irregolare si trovano nelle condizioni più precarie: svolgono la loro attività di lavoro nell'economia informale e a volte sono vittime dello sfruttamento.

5.3.6   La nuova generazione di politiche dell'occupazione, così come le azioni del Fondo sociale europeo e del programma Progress, dovrebbero prevedere criteri e indicatori specifici per migliorare l'accesso degli immigrati all'offerta di itinerari integrati di inserimento sociale e lavorativo anche per i lavoratori autonomi. Questi itinerari potrebbero comprendere, accanto alla formazione linguistica e culturale, misure per il rafforzamento della formazione degli immigrati in materia di nuove tecnologie e di prevenzione degli incidenti sul lavoro.

5.3.7   Il CESE ritiene che alla legislazione e alle politiche pubbliche vada affiancata la collaborazione delle parti sociali, perché l'integrazione in ambito lavorativo è anche una questione di atteggiamento sociale e di impegno dei sindacati e delle imprese.

5.3.8   I lavoratori immigrati sono più disponibili alla mobilità, ma in questo sono ostacolati e limitati da alcune legislazioni nazionali. La direttiva sullo status di residente di lungo periodo (18) (mal recepita in alcune normative nazionali) può avere effetti positivi per la mobilità. La rete EURES può essere utilizzata più efficacemente per favorire la mobilità dei lavoratori immigrati all'interno dell'UE.

5.4   L'imprenditorialità degli immigrati

5.4.1   Molte persone sviluppano il loro progetto migratorio attraverso il lavoro autonomo o la creazione di imprese. Sono sempre più numerose le imprese i cui promotori provengono da un contesto d'immigrazione.

5.4.2   Il CESE ritiene che l'imprenditorialità degli immigrati debba essere appoggiata dall'UE, e a questo fine gli strumenti dell'FSE volti alla promozione dell'imprenditorialità devono tenere conto della popolazione proveniente da un contesto d'immigrazione.

5.4.3   Anche le organizzazioni degli imprenditori e le camere di commercio dovranno aprire le porte agli imprenditori immigrati e promuovere attivamente il loro accesso alle strutture direttive.

5.4.4   Inoltre, molte iniziative imprenditoriali degli immigrati si sviluppano nell'ambito dell'economia sociale e quindi, secondo il CESE, devono essere appoggiate attraverso gli strumenti dell'FSE e quelli a disposizione delle autorità nazionali.

5.5   Protezione sociale

5.5.1   In Europa esistono sistemi pensionistici nazionali diversi. È necessario garantire che i lavoratori immigrati contribuiscano ai sistemi pensionistici e godano delle prestazioni corrispondenti senza discriminazioni.

5.5.2   Al fine di migliorare la mobilità, va garantita inoltre la trasferibilità dei diritti a pensione, che devono essere rispettati anche nelle procedure di rientro.

5.5.3   Il metodo aperto di coordinamento dovrà integrare indicatori atti a valutare se i lavoratori immigrati partecipano ai sistemi pensionistici senza esclusioni o discriminazioni.

5.6   Alloggi

5.6.1   In conseguenza della crisi economica, in molte città cresce il numero di persone prive di un alloggio, gran parte delle quali provengono da contesti migratori.

5.6.2   Attualmente molte persone, soprattutto giovani, hanno problemi e difficoltà nell'accedere a un alloggio.

5.6.3   Gli immigranti e le minoranze incontrano inoltre gravi difficoltà specifiche nell'accedere ad alloggi dignitosi. Pertanto, a giudizio del CESE, la politica degli alloggi degli Stati membri deve far parte delle politiche di integrazione e di lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

5.6.4   La città, e in essa il quartiere, è il luogo in cui vive la maggioranza degli europei e anche degli immigrati e delle minoranze. In un suo precedente parere (7), il CESE ha messo in rilievo il ruolo degli enti regionali e locali nelle politiche di integrazione. Una corretta politica urbana può favorire l'integrazione ed evitare i ghetti urbani degradati nati in alcune città.

5.6.5   Le politiche degli alloggi dovrebbero quindi includere criteri, misure e indicatori tali da eliminare gli ostacoli esistenti, e a tal fine si dovrebbe adottare un approccio proattivo che coinvolga tutta la società, insieme alle autorità pubbliche e alle parti sociali.

5.7   Salute e altri servizi

5.7.1   In alcuni Stati membri, le legislazioni nazionali negano a molti immigrati l'accesso ai sistemi sanitari e pertanto costoro si trovano in situazione di estrema vulnerabilità.

5.7.2   Il sistema di coordinamento in materia di assistenza sanitaria e la legislazione europea sull'immigrazione devono garantire che la popolazione immigrata abbia accesso alle prestazioni del sistema sanitario pubblico e all'assistenza sanitaria di qualità in condizioni di uguaglianza. Analogamente, i sistemi sanitari dovrebbero essere adeguati alla diversità sociale.

5.7.3   Il CESE sottolinea che in alcuni Stati membri gran parte del personale sanitario e di assistenza alle persone non autosufficienti è costituito da immigrati.

5.7.4   È inoltre necessario intensificare gli sforzi in materia di salute sul luogo di lavoro, perché in molti casi i lavoratori immigrati sono esposti a rischi maggiori e non conoscono bene le norme e i programmi di prevenzione.

5.7.5   In alcuni Stati membri gli immigrati non hanno pieno accesso ai servizi sociali, e detti servizi non sono preparati per la diversità delle persone che a loro si rivolgono. Il CESE propone alla Commissione di valutare la qualità dei servizi pubblici dal punto di vista dell'integrazione, della diversità e della non discriminazione.

5.7.6   Il CESE ritiene che gli immigrati non debbano essere oggetto di discriminazione nelle politiche sanitarie e sociali, in quanto pagano le imposte e i contributi sociali come il resto della popolazione. Nell'attuale contesto di crisi economica e di difficoltà di bilancio, è necessario far sì che tutti paghino le imposte e i contributi sociali per garantire la sostenibilità dei servizi pubblici.

5.8   Povertà ed esclusione sociale

5.8.1   Molti immigrati si trovano o rischiano di trovarsi in condizioni di povertà. L'attuale crisi economica e l'aumento della disoccupazione e della sottoccupazione stanno aggravando questo fenomeno. È essenziale che gli immigrati e le minoranze possano accedere ai programmi di riconversione professionale, alla protezione in caso di disoccupazione, agli alloggi e agli altri servizi sociali pubblici.

5.8.2   Nel 2010 l'UE celebra l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Il Comitato ritiene necessario migliorare l'inclusione attiva degli immigrati e delle minoranze, al fine di garantire i redditi minimi e favorire il loro accesso alle risorse, ai servizi pubblici e al mercato del lavoro.

5.8.3   Il CESE richiama l'attenzione sull'esistenza di reti criminali che sfruttano i migranti irregolari in particolare nei casi di tratta e prostituzione di donne e di minori. La lotta a queste organizzazioni di stampo mafioso attraverso le attività delle forze dell'ordine e della magistratura deve essere accompagnata da politiche di assistenza e protezione delle vittime.

5.9   La lotta contro la discriminazione

5.9.1   Il Parlamento europeo ha recentemente adottato una risoluzione (19) sulla nuova direttiva in materia di lotta alla discriminazione, che completa le tre direttive già esistenti (20). Anche il CESE ha espresso il suo parere (21), appoggiando la proposta della Commissione e propone di tenere conto del fenomeno della discriminazione multipla.

5.9.2   Quando sarà finalmente adottata, la nuova direttiva, che sviluppa l'articolo 19 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, estenderà il principio della non discriminazione ad ambiti quali l'istruzione, la salute, la protezione sociale e gli alloggi. Il CESE esorta il Consiglio ad adottare la direttiva tenendo conto del suo parere.

5.9.3   In numerose occasioni gli immigrati, uomini e donne, anziani e minori, subiscono situazioni di discriminazione aggravate dal fatto che, essendo cittadini di paesi terzi, hanno uno stato giuridico che comporta una tutela minore rispetto ai cittadini comunitari. Molti di loro subiscono situazioni di discriminazione multipla.

5.9.4   Il CESE propone che la Commissione europea metta a punto un piano d'azione contro la discriminazione multipla e si offre di collaborare alla sua elaborazione.

5.9.5   L'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (22) deve continuare a elaborare le sue relazioni sulle situazioni di discriminazione diretta o indiretta che subiscono molti immigrati.

5.10   L'uguaglianza di genere

5.10.1   Le donne immigrate incontrano difficoltà specifiche proprio in quanto donne e pertanto è necessario che le politiche di integrazione abbiano un'adeguata prospettiva di genere.

5.10.2   Il CESE ritiene che, tanto nei principi fondamentali comuni per l'integrazione quanto nell'agenda sociale, sia necessario rafforzare l'approccio di genere, affinché le donne immigrate e quelle appartenenti alle minoranze etniche godano di pari opportunità e non siano oggetto di discriminazione.

5.11   Immigrazione e sviluppo

5.11.1   In altri suoi pareri (23), il CESE ha proposto che la politica di immigrazione possa contribuire allo sviluppo economico e sociale dei paesi d'origine; a tal fine l'UE deve rendere più flessibile la legislazione in materia.

5.11.2   L'UE, nell'ambito della politica estera, deve promuovere, nell'ambito dell'ONU, un quadro normativo internazionale per le migrazioni e firmare la convenzione (24) attualmente in vigore.

6.   Strumenti dell'agenda sociale

6.1   Mainstreaming

6.1.1   Il mainstreaming dell'integrazione comporterà l'organizzazione (o riorganizzazione), lo sviluppo e la valutazione dei processi politici, di modo che la prospettiva dell'integrazione, la parità di opportunità e di trattamento e la non discriminazione nei confronti degli immigrati siano incorporate in tutti gli obiettivi, gli interventi e gli strumenti dell'agenda sociale, a tutti i livelli e in tutte le fasi, da parte di tutti gli attori coinvolti nella loro adozione.

6.1.2   Tenendo conto del fatto che nell'Unione europea i modelli culturali sono diversi tra loro, l'applicazione del mainstreaming dovrà garantire, in un quadro globale, l'inclusione delle esperienze, delle competenze, degli interessi e delle necessità delle persone, nell'ottica dell'integrazione e della diversità, in tutte le iniziative di qualsiasi tipo e portata sociale, nonché nella valutazione degli interventi.

6.1.3   Il processo dovrebbe cominciare con una valutazione d'impatto che consenta di anticipare le necessità, per garantire una corretta incorporazione della diversità sociale in tutti gli ambiti previsti. A tal fine, sarebbe opportuno accelerare il processo di definizione di indicatori di integrazione, che siano complementari a quelli previsti dal metodo aperto di coordinamento per l'inclusione sociale. Il Forum europeo dell'integrazione potrà collaborare all'elaborazione degli indicatori.

6.1.4   I criteri chiave per l'applicazione del mainstreaming sono il ruolo guida assunto dai responsabili politici e la partecipazione di tutti gli attori pubblici e privati interessati. A tal fine si dovrebbe delineare un quadro di cooperazione attraverso il quale si articolino i processi decisionali necessari a permettere il cambiamento.

6.2   La legislazione

6.2.1   Il CESE ritiene necessario migliorare la qualità della legislazione comune in materia di immigrazione di modo che le direttive proteggano adeguatamente gli immigrati. A tal fine ha elaborato un parere d'iniziativa (25) in cui propone che le politiche e la legislazione dell'UE in materia di immigrazione rispettino adeguatamente i diritti umani.

6.2.2   A giudizio del CESE, l'adozione del programma di Stoccolma renderà più facile compiere progressi sul fronte dell'armonizzazione legislativa in materia di immigrazione e asilo.

6.2.3   Al momento di elaborare la legislazione europea in materia di immigrazione si dovrà tenere conto della nuova legislazione contro la discriminazione in fase di elaborazione sulla base dell'art. 13 del Trattato.

6.3   Il dialogo sociale

6.3.1   Attraverso il dialogo e il negoziato, le parti sociali hanno la responsabilità di promuovere la parità di trattamento all'interno delle imprese. Nell'ambito dell'elaborazione di un parere (7), il CESE e la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro con sede a Dublino hanno organizzato un'audizione, le cui conclusioni, riportate nell'Allegato 3, possono risultare molto utili alle parti sociali e alla Commissione per conseguire l'obiettivo di un inserimento professionale in condizioni di parità di trattamento, senza discriminazioni tra lavoratori autoctoni e immigrati.

6.3.2   Il dialogo sociale nei diversi settori può promuovere l'inclusione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati e delle minoranze. Nell'ambito dell'impresa è più facile conseguire la partecipazione attiva dei lavoratori immigrati.

6.3.3   Le parti sociali europee devono essere adeguatamente consultate e devono esprimere il loro parere sull'elaborazione della nuova agenda sociale.

6.3.4   La presidenza spagnola dell'UE ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo (26) sul tema Integrazione dei lavoratori immigrati, nel quale il Comitato propone numerose iniziative per migliorare l'integrazione dal punto di vista dell'occupazione.

6.4   Il dialogo civile

6.4.1   Con il dialogo sociale, il dialogo civile è un'ottima procedura di governance che fa parte del modello sociale europeo e a giudizio del CESE è uno strumento imprescindibile per lo sviluppo dell'agenda sociale europea e per l'integrazione.

6.4.2   A livello europeo, nella politica di integrazione e nell'agenda sociale, è necessario coinvolgere maggiormente le organizzazioni della società civile specializzate nel campo dei diritti umani e dell'assistenza agli immigrati e alle minoranze.

6.4.3   Il Forum europeo dell'integrazione deve essere consultato e deve partecipare attivamente all'elaborazione della nuova agenda sociale dell'UE.

6.4.4   L'Unione europea deve continuare a promuovere il dialogo interculturale, che è complementare all'integrazione e agli obiettivi della politica sociale.

6.5   Metodo aperto di coordinamento

6.5.1   Deve essere introdotto un metodo aperto di coordinamento nella politica di integrazione, come proposto dalla Commissione e dal CESE nell'ambito della politica in materia di immigrazione.

6.5.2   Il Consiglio ha deciso di migliorare l'attuale coordinamento e di assegnare alla Commissione un ruolo più rilevante. Il CESE appoggia questa decisione, ma ritiene che essa non sia sufficientemente ambiziosa.

6.5.3   Questo metodo di coordinamento dovrebbe disporre di indicatori qualitativi e quantitativi specifici, alla cui elaborazione possono collaborare il CESE e il Forum europeo dell'integrazione.

6.5.4   I diversi metodi aperti di coordinamento esistenti nell'ambito della politica sociale devono migliorare i loro obiettivi e gli indicatori di integrazione nelle politiche in materia di occupazione, protezione sociale, assistenza sanitaria e lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

6.6   Finanziamento

6.6.1   Il CESE ritiene opportuno migliorare le sinergie e la complementarietà tra il Fondo sociale europeo e il Fondo per l'integrazione.

6.6.2   Il Fondo sociale europeo si rivolge alle persone che hanno particolari difficoltà a trovare un lavoro, come le donne, i giovani e i lavoratori più anziani. Il Fondo aiuta inoltre le imprese e i lavoratori ad adattarsi ai cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie e dall'invecchiamento della società. L'FSE deve incorporare in modo più rilevante la prospettiva della diversità derivante dall'immigrazione nei suoi obiettivi e programmi, sia nell'attuale periodo di programmazione (2007-2013) che in futuro.

6.6.3   Dopo il 2013 sarà necessario aumentare le risorse finanziarie del Fondo per l'integrazione e dotare la Commissione di una maggiore capacità di gestione.

6.6.4   Anche il programma Progress, il cui fine è contribuire con aiuti finanziari al conseguimento degli obiettivi dell'Unione europea in materia di occupazione e affari sociali, deve rafforzare l'integrazione e la diversità nei suoi cinque ambiti di azione principali: occupazione, protezione sociale e integrazione, condizioni di lavoro, diversità e lotta contro la discriminazione e uguaglianza di genere.

7.   Una cittadinanza europea più inclusiva

7.1   Le democrazie europee sono società libere e aperte e devono basarsi sull'inclusione di tutte le persone. Le politiche di integrazione e la legislazione in materia di immigrazione non devono mai essere utilizzate come alibi politici per escludere gli immigrati e le minoranze dal diritto di cittadinanza.

7.2   Il CESE ritiene che la base delle nostre democrazie debba essere allargata e accogliere nuovi cittadini con gli stessi diritti e doveri. I diritti di cittadinanza nazionale ed europea devono includere tutte le diversità, senza discriminazioni.

7.3   Il CESE ricorda la proposta, da esso stesso formulata in un precedente parere (27), di concedere la cittadinanza europea ai cittadini di paesi terzi in possesso dello status di residenti di lungo periodo. Il CESE invita la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio a inserire tale proposta tra gli obiettivi della nuova legislatura.

7.4   La Commissione europea deve adottare una nuova iniziativa per la promozione della cittadinanza civica dei cittadini di paesi terzi e favorire la loro partecipazione sociale e politica.

8.   La nuova Commissione europea

8.1   Tenendo conto dell'obiettivo dell'integrazione, il CESE reputa inopportuno che nel nuovo collegio dei commissari le questioni riguardanti l'immigrazione rientrino nello stesso portafoglio della sicurezza, mentre se ne crea un altro per la giustizia e i diritti fondamentali.

8.2   Associare l'immigrazione alla sicurezza significa trasmettere alla società europea e agli stessi immigrati un messaggio negativo, violando in questo modo il primo dei principi fondamentali comuni per l'integrazione, quello del carattere bidirezionale. Sono già troppi i messaggi che in Europa criminalizzano l'immigrazione.

8.3   Per dare invece un messaggio di integrazione, l'immigrazione e l'asilo dovrebbero rientrare nel portafoglio Giustizia e diritti fondamentali, come proposto dal Comitato.

8.4   In questo contesto, rafforzare il mainstreaming dell'integrazione nell'agenda sociale e nelle altre politiche comunitarie è particolarmente necessario, soprattutto per la difesa e la protezione dei diritti fondamentali degli immigrati.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2008) 758 def.

(2)  GU C 125 del 27.5.2002.

(3)  L'integrazione e l'agenda sociale sono di competenza di commissari e direzioni generali diverse.

(4)  Fonte: Eurostat.

(5)  Cfr. i seguenti pareri del CESE:

GU C 44 del 16.2.2008, pag. 91

GU C 120 del 16.5.2008, pag. 82.

(6)  Cfr. i seguenti pareri del CESE:

GU C 27 del 3.2.2009, pag. 95

GU C 125 del 27.5.2002, pag. 112

GU C 80 del 30.3.2004, pag. 92

GU C 318 del 23.12.2006, pag. 128.

(7)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 128.

(8)  GU C 125 del 27.5.2002, punto 1.4 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(9)  Convegno sul tema Immigrazione: il ruolo della società civile nell'integrazione, Bruxelles, 9 e 10 settembre 2002.

(10)  Documento 14615/04 del 19 novembre 2004.

(11)  COM(2008) 412 def.

(12)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 65.

(13)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 99.

(14)  2008/2330(INI).

(15)  GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66 e GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66.

(16)  GU C 218 dell’11.9.2009, pag. 85.

(17)  Parere esplorativo del CESE sul tema Integrazione dei lavoratori immigrati.

(18)  Direttiva 2003/109/CE.

(19)  Risoluzione legislativa del Parlamento europeo, del 2 aprile 2009, in merito alla proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente da religione o convinzioni personali, disabilità, età o tendenze sessuali.

(20)  Direttive 2000/43/CE, 2004/113/CE e 2000/78/CE.

(21)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 19 e GU C 77 del 31.3.2009, pag. 102.

(22)  L'indagine UE-MIDIS (Indagine dell’Unione europea sulle minoranze e la discriminazione) ha consultato oltre 23 000 persone appartenenti a minoranze etniche e a gruppi di immigrati sulle loro esperienze di discriminazione nellUE, di reati a sfondo razzista e di azione delle forze dell'ordine nellUE.

(23)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 91.

(24)  Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti.

(25)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 29.

(26)  Parere esplorativo del CESE sul tema Integrazione dei lavoratori immigrati, relatore: PARIZA CASTAÑOS.

(27)  Parere d'iniziativa, GU C 208 del 3.9.2003.


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'impatto degli accordi di partenariato economico sulle regioni ultraperiferiche» (regione dei Caraibi)

(parere di iniziativa)

(2010/C 347/04)

Relatore: Hervé COUPEAU

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

L'impatto degli accordi di partenariato economico sulle regioni ultraperiferiche (regione dei Caraibi).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il campo di applicazione dell'Accordo di partenariato economico (APE), firmato il 15 ottobre 2008 tra l'UE e i 15 Stati membri del Forum dei paesi ACP (1) dei Caraibi (2) (Cariforum), è particolarmente vasto. Permangono tuttavia diversi fattori che, pur essendo menzionati nell'APE, ostacolano gli obiettivi di integrazione regionale, sviluppo sostenibile e cooperazione tra i paesi del Cariforum e le regioni ultraperiferiche (RUP). Pur avendo una lunga tradizione europea, le RUP sono geograficamente, storicamente, culturalmente ed economicamente legate agli Stati del Cariforum. La loro posizione strategica consente di stabilire relazioni commerciali durevoli con le isole vicine. Esse sono quindi le prime regioni europee interessate dall'APE.

1.2   Oltre che della complessità dei negoziati, il CESE tiene conto dei potenziali rischi e delle opportunità che l'APE rappresenta sia per gli Stati del Cariforum che per le RUP, e più generalmente, per l'UE.

1.3   Il CESE raccomanda vivamente di consultare gli enti locali delle RUP in tutti i negoziati sugli APE UE-Cariforum. Benché queste RUP siano anche dipartimenti francesi d'America (DFA), cosa che li differenzia dagli Stati del Cariforum, esse sono in grado di apportare il proprio contributo a una vera e propria integrazione regionale.

1.4   Il CESE ritiene altresì importante coinvolgere maggiormente la società civile e gli enti locali delle RUP nei dibattiti e nei comitati di monitoraggio preposti all'attuazione dell'accordo. Ciò consentirebbe di realizzare l'obiettivo di integrazione regionale su cui si fonda questo APE.

1.5   L'integrazione progressiva degli Stati del Cariforum nell'economia mondiale sarà possibile soltanto se saranno risolte le difficoltà legate ai trasporti (infrastrutture e mezzi di trasporto). Il CESE raccomanda alla Commissione d'inquadrare la questione del trasporto in un contesto più ampio, e di interessarsi più da vicino alle soluzioni concrete previste di concerto dagli Stati del Cariforum e dalle RUP.

1.6   Per favorire le relazioni commerciali nella zona caraibica, il CESE raccomanda alle parti interessate di prevedere una riduzione anticipata dei dazi doganali tra le RUP e gli Stati del Cariforum.

1.7   Il CESE si compiace che l'APE tenga debitamente conto della necessità di stabilire una procedura chiara in materia di misure sanitarie e fitosanitarie (SPS). Il CESE raccomanda tuttavia che le RUP facciano parte dell'autorità competente per l'applicazione delle misure SPS intese ad agevolare il commercio intraregionale e che esse partecipino ai negoziati relativi agli accordi bilaterali. Raccomanda inoltre che queste regioni beneficino di una denominazione RUP, che consentirebbe di contraddistinguere i loro prodotti sotto il profilo della qualità e del rispetto delle norme UE.

1.8   Il CESE raccomanda espressamente di gestire le zone di pesca e di acquacoltura delle RUP di concerto con gli Stati del Cariforum.

1.9   Raccomanda infine di strutturare meglio i servizi, per creare un vero e proprio turismo caraibico.

1.10   Il CESE è attento all'integrazione nell'APE di nozioni che attengono alla tutela ambientale e alla protezione sociale, e deve avere la possibilità di fornire una visione di prospettiva per tutta la zona interessata.

2.   Introduzione e osservazioni di carattere generale

2.1   Gli articoli 349 e 355 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riconoscono la specificità delle regioni ultraperiferiche. Nel 1986 la Commissione europea ha creato un gruppo interservizi per le RUP, incaricato di coordinare le azioni comunitarie a favore di queste regioni e di fungere da tramite con le amministrazioni nazionali e regionali competenti. Dal 1989 queste regioni beneficiano di un programma specifico inteso a sostenere misure di sviluppo socioeconomico per favorire la convergenza con il resto dell'Unione europea.

L'articolo 239 dell'APE UE-Cariforum tiene conto della vicinanza geografica tra le RUP della zona caraibica (Martinica e Guadalupa) e gli Stati del Cariforum e «al fine di rafforzare i legami socioeconomici tra queste regioni e gli Stati del Cariforum, le parti si adoperano in particolare per facilitare la cooperazione in tutti i settori oggetto del presente accordo, agevolare gli scambi di beni e servizi, promuovere gli investimenti e favorire i collegamenti di trasporto e comunicazione tra le regioni ultraperiferiche e gli Stati del Cariforum». L'articolo 239 prevede anche la partecipazione congiunta degli Stati del Cariforum e delle RUP a programmi quadro ed azioni specifiche riguardanti settori oggetto dell'APE.

2.2.1   Il CESE desidera ribadire l'importanza dei cosiddetti «Territori esterni dei Paesi Bassi», situati nella regione dei Caraibi, che comprendono le Antille Olandesi (Bonaire, Curaçao, Saba, Sint Eustatius, Sint Maarten) e Aruba. Dal punto di vista dell'Unione europea, tuttavia, queste isole sono considerate paesi e territori d'oltremare (PTOM), ossia realtà giuridicamente distinte dalle RUP della zona caraibica. Il CESE tiene però a sottolineare che ai fini dell'integrazione regionale prevista dall'APE occorre tener conto dei territori legati agli Stati membri dell'UE (Paesi Bassi, Regno Unito, Francia).

2.3   Il CESE ha cercato di analizzare gli effetti economici e sociali di tale accordo sulla regione dei Caraibi, e in particolare sulle RUP. Si tratta dunque di determinare l'efficacia, nel breve e nel lungo periodo, degli sforzi di integrazione regionale sul piano delle merci, dei servizi, della cooperazione e del buon governo economico nei settori legati al commercio (concorrenza, investimenti, proprietà intellettuale, ecc.).

L'integrazione regionale «in senso lato» (strategia europea per le RUP), oltre ad essere uno dei principali obiettivi dell'APE, è anche un obiettivo cruciale per le RUP, inteso ad assicurarne un'efficace integrazione nella regione. L'Accordo comporta tuttavia una serie di elementi che pregiudicano da una parte l'integrazione regionale e dall'altra l'efficacia dell'APE stesso.

2.4.1   Il fatto di non aver consultato i consigli regionali e generali delle RUP nel quadro dei negoziati dell'APE ha sminuito il ruolo di tali regioni nell'area caraibica. Tali consigli hanno una certa esperienza sia nei settori offensivi che in quelli difensivi (3) delle RUP e grazie all'esistenza di comitati direttivi regionali sono in grado di presentare in qualsiasi momento i risultati dei propri studi. Gli Etats généraux de l'Outre-mer (gli «Stati generali», ovvero, l'Assemblea dei territori d'oltremare), nati su iniziativa del governo francese, apportano poi molti contributi per il superamento delle difficoltà con cui si confronta l'APE. Inoltre, grazie alla loro prossimità geografica e culturale, questi enti territoriali hanno già relazioni frequenti con gli Stati del Cariforum.

2.4.2   L'assenza delle RUP nel comitato Cariforum-CE per il commercio e lo sviluppo, nel comitato parlamentare Cariforum-CE e soprattutto nel comitato consultivo Cariforum-CE riduce la loro influenza nell'UE. Il CESE raccomanda quindi che parlamentari, membri della società civile e rappresentanti degli enti locali delle RUP siano inclusi, a seconda dei casi, nei diversi comitati di monitoraggio sopracitati.

2.4.3   Gli scambi commerciali diretti con gli Stati della regione dei Caraibi sono ostacolati dalla mancata consultazione della società civile delle RUP, la quale incontra difficoltà quotidiane nelle attività commerciali con gli Stati del Cariforum (infrastrutture, quote, liste negative).

2.4.4   Il CESE incoraggia le parti interessate a favorire l'inclusione delle RUP, con lo status di osservatori, nelle istituzioni regionali dell'area caraibica, quali il Cariforum e l'OECS (4). In effetti diverse decisioni relative alla regione caraibica vengono prese in seno a queste istanze, e fin tanto che le RUP saranno assenti, anche solo in qualità di osservatori, non potrà esserci una vera a propria integrazione regionale.

2.5   Trasporti

2.5.1   Il CESE sottolinea che la liberalizzazione dei beni e dei servizi sarà possibile solo disponendo di mezzi di trasporto e di infrastrutture adeguate. E nella regione dei Caraibi i mezzi di trasporto non sono sufficienti. Esistono sì due compagnie aeree e due compagnie marittime che assicurano il trasporto di passeggeri tra le varie isole, ma il servizio non è regolare e non prevede il trasporto di merci. Inoltre, nonostante i 275,6 milioni appositamente stanziati per aiutare le RUP (Guadalupa, Martinica e Guyana) a compensare i costi aggiuntivi legati alla loro situazione geografica, le RUP della zona caraibica sono penalizzate dal costo molto elevato del trasporto di merci, nonché da una legislazione europea in materia di cabotaggio inadatta alle regioni insulari.

2.5.2   Per ovviare a queste difficoltà, le RUP e gli Stati del Cariforum hanno pensato a un sistema di navi cargo o di navi traghetti. Non è stato però possibile realizzare tali progetti per mancanza dei fondi necessari.

2.5.3   L'articolo 37 dell'APE fa riferimento ai trasporti in un capitolo riservato all'agricoltura e alla pesca, senza dare soluzioni chiare, mentre le RUP e gli Stati del Cariforum avevano già previsto soluzioni comuni.

2.5.4   Nel quadro del prossimo programma FES sarebbe opportuno prevedere una politica strutturale ambiziosa intesa a dotare tutta la regione caraibica di un sistema di trasporto adattato alle regioni insulari.

2.6   L'APE non menziona la risoluzione di controversie di natura civile e commerciale. In caso di controversia tra un'impresa del Cariforum e una delle RUP, nessuna disposizione consente di risolvere i conflitti di giurisdizione, i conflitti di leggi o la procedura di exequatur. L'accordo prevede soltanto soluzioni per le controversie relative all'interpretazione e all'applicazione dell'APE. Nel quadro di un APE sarebbe invece opportuno prevedere opzioni giuridiche all'altezza di un accordo di questo tipo.

3.   Osservazioni specifiche - Analisi della regione caraibica

3.1   Agricoltura

La regione dei Caraibi produce grandi quantità di banane, che costituiscono una delle principali risorse economiche delle RUP. Con oltre 10 000 posti di lavoro, le esportazioni di banane costituiscono rispettivamente il 14 e il 24 % delle esportazioni della Guadalupa e della Martinica verso l'Unione europea. Nelle RUP il settore delle banane ha un peso economico e sociale preponderante. L'Unione europea è sempre stata consapevole dell'importanza strategica della produzione di banane: il programma di aiuti POSEI (programma di soluzioni specifiche per ovviare alla lontananza e all'insularità), approvato dalla Commissione europea il 22 agosto 2007, assegna a queste RUP una dotazione finanziaria annuale di 129,1 milioni di euro. Questo aiuto, tuttavia, sembra essere insufficiente, dato che, oltre che dai problemi legati alle condizioni meteorologiche, la banana delle RUP è minacciata dai fornitori di banane dollaro, la cui quota di mercato nell'UE, dopo la liberalizzazione del mercato, tocca il 73,4 % secondo i dati dell'Ufficio per lo sviluppo dell'economia agricola d'oltremare (Odeadom (5)). Inoltre, il 15 dicembre 2009 l'UE ha siglato un accordo con i paesi produttori dell'America Latina inteso a ridurre i dazi doganali sulle banane dagli attuali 176 euro/t a 114 euro/t entro il 2017, il che rende ancora più precaria la situazione delle RUP e di alcuni Stati del Cariforum.

3.1.1.1   La banana ha un'importanza speciale anche per gli altri Stati del Cariforum. Ad esempio, in Dominica la banana rappresenta, da sola, il 18 % del PIL, e assorbe il 28 % della manodopera. La crisi del settore delle banane non riguarda solo le RUP: a Santa Lucia sono ormai rimasti solo 2 000 coltivatori di banane, rispetto ai 10 000 del 1990.

3.1.1.2   Il CESE ritiene che sarebbe interessante costituire un'organizzazione professionale intercaraibica mirante ad aumentare la quota dell'UE nella distribuzione della banana dei Caraibi, tanto più che alcuni Stati del Cariforum (Santa Lucia, Dominica, ecc.) forniscono le banane ad altri paesi (ad esempio il Canada) che hanno norme sanitarie e di tracciabilità analoghe a quelle dell'UE.

3.1.2   Canna da zucchero - Rum: nelle RUP è molto importante anche il settore della canna da zucchero, che in Guadalupa e in Martinica assorbe rispettivamente il 32 e il 13 % della superficie agricola utilizzata (SAU), e impiega oltre 6 500 persone a tempo pieno. Per la campagna di commercializzazione 2006-2007 la produzione di zucchero è stata pari a 5 849 t in Martinica e 80 210 t in Guadalupa. La produzione di rum (79 352 HAP (6) in Martinica e 74 524 HAP in Guadalupa) riveste un'importanza strategica non trascurabile sul piano della commercializzazione fuori dalle RUP.

Vista la loro fertilità, i terreni di queste RUP non sono sfruttati a sufficienza per la coltivazione dei prodotti ortofrutticoli. Ad ogni modo, le RUP hanno optato per una diversificazione della loro produzione agricola. Nel 2006 la Guadalupa ha prodotto 17 218 t di frutta, e la Martinica 8 666. Nello stesso anno, la Guadalupa ha prodotto 43 950 t di ortaggi freschi, e la Martinica 37 892. Inoltre la Guadalupa produce piante aromatiche e aromi (vaniglia), caffè, cacao, spezie, piante medicinali (attività orticola: 179 ha), mentre la Martinica produce soprattutto ananas e alcune spezie (attività orticola: 105 ha). Si tratta quindi di un settore agricolo promettente, tanto più che queste RUP desiderano intensificare gli scambi con gli altri paesi caraibici per quanto riguarda sia il commercio regionale e internazionale, sia la ricerca e lo sviluppo.

3.1.3.1   Questa diversificazione mira a soddisfare interamente la domanda alimentare interna (autosufficienza), visto che l'agricoltura delle RUP si caratterizzava per la predominanza delle colture di banane e di canna destinate all'esportazione. Ad esempio, nel 2008 le importazioni di carni suine hanno registrato una crescita del 10 % in Martinica e del 68,2 % in Guadalupa. Gli ortaggi rappresentano inoltre il 67 % delle importazioni totali di prodotti freschi in Guadalupa. Per conseguire questa autosufficienza, gli agricoltori delle RUP hanno recentemente scelto di riunirsi in organizzazioni interprofessionali che consentono di raggruppare gli attori della produzione, della agrotrasformazione, della fornitura e della distribuzione. In questo modo tutta la catena è rappresentata, e ciascuna componente svolge un ruolo importante nel processo decisionale dell'organizzazione interprofessionale (Iguaflhor) (7). Ciononostante, questo sistema giuridico non esiste nelle isole vicine, dove l'assenza di una struttura organizzativa penalizza il commercio di prodotti agricoli con le RUP.

3.1.4   Ostacoli al commercio di prodotti agricoli tra le RUP e gli Stati del Cariforum

3.1.4.1   L'agricoltura costituisce il nucleo dei mezzi di sussistenza e di sviluppo della regione caraibica, e per le RUP rappresenta quindi un settore «difensivo». Le principali preoccupazioni della regione sono la sicurezza alimentare, l'assenza di infrastrutture e i dazi doganali che limitano il commercio regionale e la protezione sociale.

3.1.4.2   Sul piano della sicurezza alimentare, la produzione ortofrutticola degli Stati del Cariforum non ottempera appieno alla legislazione europea, malgrado vengano utilizzati metodi HACCP (8). Ciò è complicato dal fatto che gli Stati del Cariforum producono in grandi quantità taluni prodotti di cui le RUP non dispongono.

3.1.4.3   L'articolo 40 dell'APE prevede che in materia di sicurezza alimentare le parti possono ricorrere alla clausola di salvaguardia in situazioni che provochino o rischino di «provocare gravi difficoltà». Le RUP possono tuttavia avere difficoltà ad avvalersi di questa clausola in tempi rapidi. Inoltre, le misure sanitarie e fitosanitarie dell'Accordo (9) (SPS) prevedono l'introduzione di misure SPS intraregionali, in linea con le norme OMC, al fine di pervenire a misure armonizzate con quelle dell'UE, attraverso accordi bilaterali sul riconoscimento dell'equivalenza delle misure SPS. Tuttavia, le RUP che sono soggette alla normativa europea non godono ancora della denominazione RUP per quanto riguarda i prodotti agricoli e del mare, benché ciò sia stato ripetutamente richiesto dal CESE (10), dagli enti locali (11) e dai membri del Parlamento europeo (12). Infine le RUP non fanno parte dell'autorità competente per l'applicazione delle misure SPS intese ad agevolare il commercio intraregionale, né partecipano ai negoziati relativi agli accordi bilaterali.

3.1.4.4   Il CESE condivide dunque il desiderio espresso nell'APE di sviluppare la «capacità di marketing all'esportazione […] per quanto concerne sia gli scambi tra Stati del Cariforum sia gli scambi tra le parti, nonché l'individuazione delle alternative per migliorare le infrastrutture di commercializzazione e i trasporti» (articolo 43, paragrafo 2, lettera b)). L'Accordo precisa altresì che tra i principali obiettivi in materia di agricoltura e di pesca rientra l'individuazione di opzioni di finanziamento e di cooperazione per i produttori e i commercianti.

3.1.4.5   Diversi prodotti trasformati (confetture, caffè, ecc.) provenienti dalle RUP sono penalizzati dalla loro iscrizione in liste negative (dazi doganali) presso le dogane di alcuni altri Stati della regione caraibica, una pratica che ne rende difficile la vendita in questi paesi. Nonostante gli articoli 9 e seguenti dell'APE in materia di dazi doganali, e tenuto conto della situazione particolare delle RUP in seno ai Caraibi e delle loro specificità (riconosciute dagli articoli 349 e 355 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea), il CESE raccomanda alle parti interessate di contemplare delle riduzioni anticipate dei dazi doganali tra le RUP e gli Stati del Cariforum per favorire le loro relazioni commerciali nella zona caraibica.

3.2   Pesca

3.2.1   In materia di pesca, dopo un iniziale disaccordo sull'opportunità di trattare l'argomento in un accordo separato o di integrarlo in un APE, resta ancora molto da fare. La Comunità europea ha rifiutato di trattare le questioni relative alla pesca regionale in un accordo separato, preferendo concludere accordi bilaterali sull'accesso alla pesca.

3.2.2   L'articolo 43, paragrafo 2, lettera e), dell'APE prevede di aiutare gli operatori degli Stati del Cariforum a conformarsi alle «norme tecniche, sanitarie e di qualità di livello nazionale, regionale e internazionale relative ai pesci e ai prodotti ittici»

3.2.3   L'obiettivo dell'Unione europea è privilegiare una visione a lungo termine della gestione della pesca, tramite la politica comune della pesca (PCP). Quest'ultima si basa sul principio di precauzione, il cui scopo è proteggere e conservare le risorse bioacquatiche e ridurre il più possibile l'impatto delle attività di pesca sugli ecosistemi marini. Tuttavia la regione dei Caraibi, nel suo insieme, non è nella stessa situazione, perché le RUP restano soggette a una legislazione molto rigida (zone di divieto totale di pesca, regolamentazione della pesca all'aragosta, allo strombo gigante e ai ricci di mare, dispositivo di concentrazione dei pesci (13), ecc.), che non ha eguali negli altri Stati del Cariforum. La gestione della pesca è delegata a ciascuno Stato membro senza tenere conto delle peculiarità della regione caraibica, cosa che penalizza la pesca di altura in questa zona.

3.2.4   Il CESE raccomanda quindi che la pesca nell'area dei Caraibi sia gestita di concerto con gli Stati del Cariforum.

3.3   Acquacoltura

3.3.1   Nella regione dei Caraibi la pesca riguarda in primo luogo le specie vicine al litorale: lo strombo gigante (grosso gasteropode marino la cui polpa viene utilizzata in molte ricette locali), la cernia, l'aragosta, il lutiano e numerose altre specie che vivono nelle aggregazioni coralline. Lo sfruttamento delle risorse marine pelagiche è solo agli inizi, vista la mancanza di navi da altura e le carenze legate alle acque tropicali.

3.3.2   In questi ultimi anni la domanda dei mercati locali è cresciuta grazie all'industria del turismo. Se a questo si aggiungono gli incentivi all'esportazione verso i mercati americano ed europeo, il risultato è uno sfruttamento eccessivo che, nel lungo periodo, porterà a una forte riduzione delle risorse alieutiche in tutta la regione.

3.3.3   Oggi quasi tutti i paesi della regione caraibica importano prodotti del mare. In precedenza, l'abbondanza delle risorse faceva sì che l'acquacoltura non presentasse alcun interesse, e la maggior parte dei paesi della regione hanno una scarsa tradizione in materia di allevamento di pesci. Pertanto, nonostante la crescita dell'acquacoltura in tutto il mondo, la regione dei Caraibi ha sviluppato ben poco la propria produzione acquicola.

3.3.4   È solo a partire dal 2000 che si osserva un netto miglioramento dell'acquacoltura. Nel 2004 la produzione acquicola della Martinica ha raggiunto le 97 t (10 t di scampi di fiume, 12 t di pesce San Pietro e 75 t di ombrine ocellate).

3.3.5   Gli aiuti erogati alle RUP per la produzione acquicola sono soprattutto quelli provenienti dai consigli regionali e dallo SFOP (14). Tuttavia, questo aiuto appare insufficiente, sia rispetto al vantaggio di cui godono alcuni Stati della regione dei Caraibi (stando alla FAO, nel 2002 la produzione della Giamaica ammontava a 6 000 t), sia perché non ha neutralizzato la necessità delle RUP di importare prodotti del mare dal Venezuela, dall'Unione europea e da alcuni paesi asiatici.

3.3.6   Il CESE raccomanda vivamente di promuovere uno sviluppo acquicolo comune nella zona caraibica attraverso aiuti come il FES e il FEASR.

3.4   Turismo

3.4.1   Per le RUP il turismo rappresenta un'importante fonte di reddito. La regione caraibica parte da una posizione di vantaggio: per il turismo, il suo ambiente naturale non ha eguali nel mondo. Grazie alla sua speciale posizione geografica è uno dei mercati turistici più importanti del mondo. Inoltre, se si considera il mercato globale del turismo, i prodotti turistici di entrambe le sponde dell'Atlantico stanno portando a standard più elevati, per rispondere alle aspettative dei turisti che visitano la zona dei Caraibi.

3.4.2   Il CESE sottolinea tuttavia le differenze tra le infrastrutture turistiche delle RUP e quelle degli altri Stati della regione dei Caraibi: questi ultimi puntano su un turismo di massa e più diversificato (crociere, turismo nautico e, in misura inferiore, ecoturismo), mentre le RUP possono solo limitarsi a offrire un turismo di nicchia, più stagionale e prevalentemente francofono. Questa disparità è dovuta a una certa precarietà sociale di cui soffrono i lavoratori degli Stati del Cariforum.

3.4.3   Il CESE sottolinea poi che il turismo tra le isole è molto limitato. In effetti, a parte il turismo di crociera, il servizio di trasporto tra le isole della regione dei Caraibi è assicurato soltanto da due compagnie aeree e due compagnie marittime. Inoltre, per recarsi nelle RUP vicine, gli abitanti di uno Stato del Cariforum necessitano di un visto che potrebbe richiedere diversi mesi di attesa. L'insieme di questi due elementi ostacola non solo il turismo, ma anche le relazioni commerciali regionali.

3.4.4   Il CESE si compiace che l'APE abbia prestato attenzione ai servizi turistici, fissando una serie di norme in materia di prevenzione delle pratiche anticoncorrenziali, PMI, norme ambientali e di qualità, cooperazione e assistenza tecnica. L'APE non prevede tuttavia alcuna disposizione per il turismo nei Caraibi, in particolare nelle RUP, e contempla soltanto la presenza temporanea di persone fisiche a scopi professionali.

3.4.5   Secondo la definizione del Segretariato dell'ONU (15), lo spazio caraibico conta 250 milioni di abitanti, di cui 41 milioni sulle sole isole. Questo spazio è però anche caratterizzato dai difficili collegamenti tra le isole, che non favoriscono lo sviluppo di un turismo regionale. Di conseguenza, perdere l'opportunità di creare un mercato turistico caraibico in senso ampio nuocerebbe sia alle RUP che agli Stati del Cariforum.

3.4.6   Il CESE è dell'avviso che sarebbe vantaggioso creare una zona di turismo caraibico strutturando meglio i servizi.

3.5   Servizi

3.5.1   Il commercio dei servizi è in piena espansione. Si tratta di un settore che vanta un successo reale, e rappresenta dunque un settore offensivo per le RUP. Mentre l'economia dei Caraibi ha visto diminuire la quota relativa alle esportazioni di merci, quella relativa alle esportazioni di servizi è aumentata, in gran parte grazie al turismo. La regione è pienamente consapevole del potenziale rappresentato dal commercio di servizi. Il turismo, le assicurazioni, le costruzioni, i servizi ambientali, le energie rinnovabili, la consulenza (qualità e marketing), la manutenzione qualificata, le comunicazioni, i trasporti, sono tutti settori che favoriscono il commercio e la crescita economica della regione.

3.5.2   Il CESE ritiene che le RUP abbiano un ruolo importante da svolgere nell'esportazione di servizi nella regione dei Caraibi, dato che paesi come Haiti e la Repubblica dominicana, i quali contano, da soli, poco meno di 20 milioni di abitanti, desiderano acquistare servizi sanitari o servizi alle imprese secondo il modello delle RUP. Inoltre, in materia di telefonia mobile, alcuni operatori sono già presenti in alcuni Stati della regione dei Caraibi (Repubblica dominicana), ma potrebbero - e vorrebbero - avere un ruolo più importante.

3.5.3   Benché gli articoli 75 e seguenti dell'APE si riferiscano esclusivamente al commercio tra gli Stati del Cariforum e l'UE continentale, la liberalizzazione accelerata dei servizi nella regione dei Carabi (Repubblica dominicana), RUP comprese, consentirebbe a tutte le parti dell'Accordo di trarre vantaggi da determinate opportunità, secondo una logica di massimo vantaggio comune (win-win).

3.6   PMI/PMInd

3.6.1   Le PMI e le PMInd hanno bisogno di un ambiente stabile, con regole trasparenti e accesso ai processi più avanzati. Dal 2000, i tre quarti delle imprese che compongono il tessuto economico delle RUP sono piccole entità, senza dipendenti (fonte: INSEE (16)). Nel 2007, la creazione di imprese ha registrato un forte sviluppo: l'industria (18 %), il commercio all'ingrosso e al dettaglio (12,8 %) ma soprattutto i servizi (poco più della metà delle imprese create) hanno compiuto un importante balzo in avanti.

3.6.2   Le PMI/PMInd dei dipartimenti d'oltremare presentano inevitabilmente costi e prezzi superiori rispetto a quelli dei paesi vicini, ma offrono anche le stesse garanzie di qualità previste dalle norme UE. Queste garanzie imposte alle RUP, e sconosciute agli Stati del Cariforum, devono formare oggetto di una denominazione RUP (cfr. anche punto 3.1.4.3).

3.6.3   Il CESE ritiene che, nell'insieme, per garantire il corretto funzionamento del mercato caraibico, sarebbe particolarmente utile prevedere maggiormente questo tipo di strutture. Sulla base dei lavori svolti sia dalla Commissione (17) che dal CESE (18) in seno all'UE, sarebbe quindi opportuno proporre soluzioni concrete a favore della creazione di piccole e medie unità produttive. La definizione di termini di pagamento, la riduzione degli oneri burocratici, la creazione di reti, gli investimenti o ancora la formazione permanente nelle piccole e medie imprese costituirebbero degli strumenti utili atti a conferire una competitività permanente alla regione caraibica.

3.6.4   Nel quadro del programma di sviluppo regionale e/o del prossimo FES sarebbe pertanto opportuno attuare una politica ambiziosa intesa a favorire la creazione di PMI/PMInd collegate in rete con l'intera regione caraibica.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  I paesi ACP comprendono i 79 Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico che hanno sottoscritto l'accordo di Lomé (1975) e successivamente l'accordo di Cotonou (2000).

(2)  L'11 dicembre 2009 ha aderito all'accordo anche Haiti.

(3)  I comitati consultivi delle RUP hanno individuato un certo numero di settori per i quali le RUP detengono quote di mercato importanti, e che sostengono la loro economia (settori sensibili), e altri settori che sono in pericolo e che, senza l'aiuto dell'UE, potrebbero scomparire rapidamente (settori difensivi).

(4)  Organizzazione degli Stati caraibici orientali (Organisation of the Eastern Caribbean States), un'organizzazione regionale che riunisce nove Stati della zona caraibica.

(5)  Office de développement de l'économie agricole des Départements d'Outre-Mer.

(6)  Ettolitri di alcol puro.

(7)  Iguaflhor, Organizzazione interprofessionale degli ortofrutticoli della Guadalupa.

(8)  L'HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point) è un sistema di autocontrollo d'origine americana, utilizzato nel settore agroalimentare e basato su sette principi fondamentali. Si tratta dunque di un sistema che identifica, valuta e controlla le minacce significative per la sicurezza degli alimenti. Il sistema HACCP è stato integrato in alcune norme europee (direttiva 93/43/CESE sull'igiene degli alimenti) mentre non figura in altri (regolamento (CE) n.178/2002).

(9)  Articoli 52 e seguenti dell'APE.

(10)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 72.

(11)  Etats généraux de l'Outre-mer (Stati generali dei territori d'oltremare).

(12)  Ad esempio l'eurodeputata Madeleine Degrandmaison.

(13)  Nota della DG per le Politiche interne: La pesca in Martinica, gennaio 2007.

(14)  Si tratta dello strumento finanziario di orientamento della pesca, di cui dispone la Commissione per adattare e modernizzare le strutture del settore.

(15)  Lo spazio caraibico comprende l'arco delle Antille (Grandi Antille e Piccole Antille), la penisola dello Yucatán, la costa caraibica dell'America centrale, le pianure costiere della Colombia e del Venezuela e il massiccio della Guyana.

(16)  Institut National de la Statistique et des Etudes Economiques («Istituto nazionale della statistica e degli studi economici»).

(17)  COM(2007) 724 def. e COM(2008) 394 def.

(18)  Parere sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese, GU C 27 del 3.2.2009, pag. 7; parere sul tema Gli appalti pubblici internazionali, GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32; parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - «Pensare anzitutto in piccolo»(Think Small First) - Uno«Small Business Act»per l'Europa, GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30.


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Strategia futura per il settore lattiero-caseario europeo per il periodo 2010-2015 e oltre»

(parere d'iniziativa)

(2010/C 347/05)

Relatore: Frank ALLEN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Strategia futura per il settore lattiero-caseario europeo per il periodo 2010-2015 e oltre.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 gennaio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 6 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il settore lattiero-caseario è di importanza strategica a lungo termine, in quanto fornisce prodotti caseari sicuri e di alta qualità ai cittadini europei. L'UE deve assolutamente evitare di dipendere dalle fonti di approvvigionamento extracomunitarie e deve continuare a garantire i più elevati livelli di benessere animale, igiene, tracciabilità, medicina veterinaria, tutela ambientale e produzione sostenibile.

1.2   I produttori agricoli continueranno a produrre latte di qualità a condizione che il loro lavoro risulti redditizio (ma non a lungo termine se ciò non dovesse risultare vantaggioso). La produzione europea di latte è destinata a subire un declino e progressivamente a scomparire da alcune regioni, a meno che i prezzi non si stabilizzino garantendo un profitto. Occorre altresì tenere conto, in particolare, delle zone svantaggiate (ZS). I produttori lattieri devono inoltre ricevere una compensazione finanziaria in quanto offrono un modello di agricoltura multifunzionale, vale a dire «servizi pubblici non commerciali», come la conservazione e lo sviluppo del paesaggio rurale, della biodiversità, degli habitat naturali, dell'arte e della cultura rurale. Nei nuovi Stati membri dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità di prevedere pagamenti diretti accoppiati per i produttori lattieri.

1.3   Per accrescere l'efficienza del settore lattiero-caseario a livello tanto delle aziende agricole che delle industrie di trasformazione, occorre destinare ingenti risorse alla ricerca, all'innovazione, allo sviluppo e alla zootecnia. Ciò richiede un migliore utilizzo di foraggi e mangimi a livello aziendale nonché nuovi prodotti al livello della trasformazione. Entrambi i livelli hanno bisogno di tecnologie nuove e più efficienti. È essenziale investire massicciamente nello sviluppo del settore affinché l'UE possa affermarsi come leader mondiale in quest'ambito.

1.4   È fondamentale scongiurare la volatilità dei prezzi registrata nel periodo 2007-2008. Per raggiungere questo obiettivo risultano necessarie adeguate misure di sostegno e un attento monitoraggio del mercato, al fine di garantire un giusto equilibrio tra l'offerta e la domanda.

1.5   L'UE ha la possibilità di rispondere alla situazione del mercato attraverso il sistema delle quote e altri strumenti di organizzazione dei mercati (almeno fino al 2015).

1.6   In linea con quanto sostenuto nella comunicazione elaborata dalla Commissione nel luglio 2009, è necessario definire e attuare una tabella di marcia per cercare di comprendere i motivi per cui i prezzi al consumo sono rimasti più alti del 14 % rispetto al periodo precedente all'aumento dei prezzi. È essenziale che vi sia trasparenza all'interno della catena alimentare.

1.7   Per garantire la sostenibilità del settore lattiero-caseario dell'UE oltre il 2015, continuerà ad essere necessario ricorrere a varie misure di politica agricola, combinate con un sistema di reti di sicurezza, allo scopo di sostenere e stabilizzare i prezzi di produzione, evitando che scendano al di sotto di un certo livello, limitare eccessive fluttuazioni dei prezzi, costituire riserve sufficienti per coprire penurie impreviste o intervenire in caso di calamità naturali. Un sistema con misure di mercato che agiscano sull'offerta e sulla domanda è essenziale per garantire un settore lattiero-caseario sostenibile e rispettoso dell'ambiente nel periodo successivo al 2015. L'alimentazione in generale e il latte in particolare sono troppo importanti per il benessere dei cittadini perché vengano lasciati alla mercé di un sistema di mercato libero e non regolamentato.

2.   Introduzione

2.1   L'allevamento di bovini da latte è una delle principali attività agricole dell'UE. Nel 2008, un milione di agricoltori hanno prodotto 150 milioni di tonnellate di latte, per un valore di oltre 40 miliardi di euro, il che corrisponde al 14 % del valore della produzione agricola comunitaria. Oltre il 60 % dei manzi allevati nell'UE proviene da mandrie da latte. In base alle cifre fornite dalla Federazione internazionale dei produttori lattieri (International Dairy Federation, IDF), l'UE è il maggior produttore di latte del mondo. Essa contribuisce alla produzione mondiale per un 27 %, ed è seguita dall'India con il 20 % e dagli USA con il 16 %.

2.2   Il settore lattiero-caseario, dalla raccolta alla trasformazione, dà lavoro a circa 400 000 persone nell'UE.

2.3   La produzione e trasformazione di latte svolge un ruolo importantissimo nella conservazione del tessuto economico e sociale delle zone svantaggiate. In effetti, il 60 % delle aziende lattiero-casearie dell'UE a 25 sono situate nelle ZS. Oltre all'allevamento bovino e ovino, la produzione di latte è una delle attività imprenditoriali più adatte per mantenere le famiglie in queste zone e svolge una funzione essenziale nella conservazione e nello sviluppo del paesaggio e dell'ambiente.

3.   Contesto

3.1   Negli ultimi due anni, si è assistito ad importanti oscillazioni dei prezzi dei prodotti lattiero-caseario sul mercato mondiale. Nel 2007 e all'inizio del 2008 c'è stato un aumento record dei prezzi globali delle materie prime lattiero-casearie, che ha dato luogo ad un incremento sostanziale dei prezzi del latte e dei prodotti lattiero-caseari. A questo ha fatto seguito, nel secondo semestre del 2008, una caduta ancor più vertiginosa dei prezzi di tali prodotti.

3.2   Gran parte dei prodotti lattiero-caseari viene consumato nelle regioni di produzione. Circa l'8 % della produzione mondiale di prodotti lattiero-caseari viene commercializzato sul mercato mondiale e di conseguenza un minimo cambiamento nella produzione globale può avere una grande influenza sul mercato mondiale. Ad esempio, un divario del 2 % tra la produzione globale e il consumo globale equivale a circa il 25 % del commercio mondiale di prodotti lattiero-caseari.

3.3   L'UE è il maggior esportatore di formaggi, ma sono i prodotti di base, ad esempio latte in polvere e burro, a costituire la maggior parte delle esportazioni di prodotti lattiero-caseari al di fuori dell'UE. In effetti, il mercato lattiero-caseario mondiale può essere descritto essenzialmente come un mercato di prodotti di base.

3.4   Dato che l'UE è autosufficiente al 109 % per quanto concerne i prodotti lattiero-caseari, il 9 % in eccedenza può essere esportato sul mercato mondiale. I principali prodotti esportati dall'UE sono burro/butteroil, latte scremato in polvere, formaggi, latte intero in polvere e latte condensato.

3.5   Dal 2000, il consumo globale di prodotti lattiero-caseari ha registrato un aumento medio del 2,5 % annuo. Questa percentuale è attualmente scesa all'1 % annuo.

3.6   Dal 2004 al 2006, il consumo globale di prodotti lattiero-caseari ha superato la produzione il che ha imposto di utilizzare tutte le riserve. Questa è la ragione principale dell'improvviso aumento dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari di base sul mercato mondiale. Dal 2008, il rapporto si è capovolto col risultato che attualmente la produzione supera la domanda.

3.7   Tale aumento improvviso del prezzo del latte ha infine provocato una caduta della quota di mercato, in quanto i consumatori hanno iniziato a preferire prodotti di sostituzione più economici, in particolare per quanto concerne gli ingredienti dei prodotti lattieri. La recessione mondiale e la caduta del prezzo del petrolio hanno contribuito a ridurre ulteriormente le vendite di prodotti lattiero-caseari. I paesi produttori di petrolio sono grossi importatori di prodotti lattiero-caseari e una caduta del prezzo del petrolio comporta una riduzione delle importazioni di tali prodotti che può determinare a sua volta il crollo dei prezzi delle materie prime lattiero-casearie mondiali.

3.8   Le oscillazioni di prezzo dei prodotti lattiero-caseari più pregiati sono più difficili da individuare rispetto ai prodotti di base ma è ovvio che anche le vendite di prodotti lattiero-caseari a valore aggiunto sono diminuite man mano che i consumatori hanno iniziato a comprare prodotti più economici.

3.9   Nella sua comunicazione al Consiglio del luglio 2009, la Commissione afferma che l'aumento dei prezzi nella seconda metà del 2007 ha provocato un repentino incremento dei prezzi del latte e un forte aumento dei prezzi al consumo. Invece la caduta dei prezzi registrata nella seconda metà del 2008 e nel 2009, che ha visto scendere i prezzi del burro (-39 %), del latte scremato in polvere (-49 %), del formaggio (-18 %) e del latte (-31 %), ha determinato a livello UE solo una riduzione media del 2 % dei prezzi al consumo. In realtà i prezzi al consumo sono, di media, rimasti più alti del 14 % rispetto al periodo precedente all'aumento dei prezzi. Tuttavia, in quei paesi che registrano grosse vendite di prodotti lattiero-caseari ai dettaglianti che vendono i loro prodotti a basso prezzo, nel 2009 si è assistito ad una «guerra dei prezzi» dato che tali prodotti vengono usati per fare concorrenza ad altri punti vendita (1).

3.10   La razionalizzazione e la crescente concentrazione all'interno del settore del commercio al dettaglio nell'UE ha dato a quest'ultimo un potere negoziale che non ha riscontro in altri settori della catena di approvvigionamento alimentare. I produttori agricoli subiscono i prezzi e non li fissano, soprattutto quando l'offerta di latte supera la domanda. Nel complesso, sembra che le autorità della concorrenza e le norme in materia abbiano arrecato maggiori benefici alla grande distribuzione piuttosto che ad un milione di allevatori di bovini da latte. Questi ultimo devono avere una posizione negoziale più forte per quanto riguarda i prezzi di produzione del latte in modo da riportare l'equilibrio nella catena alimentare.

3.11   L'Agenda 2000 e, successivamente, la revisione intermedia e la valutazione dello stato di salute della PAC, che erano intese a preparare l'agricoltura UE a un eventuale accordo OMC, hanno sancito una riduzione del prezzo d'intervento che, assieme a restrizioni quantitative agli interventi stessi, ha indebolito il meccanismo di sostegno dei prezzi. Di conseguenza, i prezzi di produzione del latte sono scesi a livelli inferiori a quelli precedenti l'introduzione di meccanismi di sostegno, uno dei quali è appunto l'intervento.

4.   Le prospettive del mercato

4.1   L'Unione europea

4.1.1   Nel mercato lattiero-caseario dell'UE la produzione supera il consumo del 9 %.

4.1.2   L'UE importa anche prodotti lattiero-caseari da paesi terzi a tariffe ridotte. Le importazioni sono relativamente basse rispetto al consumo totale dell'UE. Ad esempio, nel 2007 e nel 2008 l'UE ha importato rispettivamente circa 330 000 e 300 000 tonnellate di prodotti lattiero-caseari. I prodotti lattiero-caseari importati nell'UE comprendono formaggi (1,1 % della produzione UE), burro (4,3 % della produzione UE) e latte in polvere scremato (2,4 % della produzione UE). Le importazioni di prodotti lattiero-caseari oscillano tra il 2 e il 3 % dell'equivalente latte della produzione lattiera dell'UE.

4.1.3   Fino al 40 % del latte europeo è trasformato in formaggio e circa il 30 % viene usato per prodotti lattiero-caseari freschi. Questi due tipi di prodotti sono stati i motori principali della crescita del consumo all'interno dell'UE negli ultimi dieci anni. Il rimanente 30 % è usato per produrre burro, latte in polvere e caseina.

4.1.4   Le scorte d'intervento di burro e di latte scremato in polvere hanno registrato un aumento a causa del consumo più limitato nell'UE, della contrazione dei prezzi sul mercato mondiale e della recessione internazionale. La quota UE è aumentata del 2 % nel 2008 e dell'1 % nel 2009 il che, tenendo conto del futuro incremento delle quote già deciso, potrebbe portare ad un incremento della produzione di latte nell'UE.

4.1.5   Il ricorso alle restituzioni alle esportazioni ha evitato che le scorte d'intervento diventassero ancora maggiori, mentre l'intervento era aperto.

4.1.6   Le azioni intraprese dalla Commissione hanno fatto in modo che i prezzi del latte dell'UE non scendessero a livello dei prezzi sul mercato mondiale (14-15 centesimi di euro il litro). Nell'UE il prezzo si è mantenuto al di sopra dei prezzi del mercato mondiale. Nei diversi Stati membri i prezzi vanno da un minimo di 16 centesimi in Lettonia a 25/27 centesimi al litro in molti altri Stati membri, prezzo che resta comunque inferiore al costo di produzione. Quale altra categoria lavora senza essere retribuita o addirittura per una retribuzione inferiore al minimo previsto dalla legge?

4.1.7   La produzione di latte è attualmente inferiore alla quota (–4,2 %) e dovrebbe rimanerlo anche nel periodo 2009-2010.

4.1.8   La ripresa dei prezzi UE (già iniziata) sarà, con ogni probabilità, molto graduale. L'esistenza di notevoli scorte d'intervento che incombono sul mercato potrebbe ritardare la ripresa a seconda di quando la Commissione decide di immettere le scorte d'intervento nel mercato.

4.1.9   Secondo i dati dell'UE, la macellazione delle vacche è aumentata. È probabile che sempre più vacche da latte vengano macellate, il che ridurrà la produzione lattiero-casearia nel prossimo futuro. Tuttavia, il progressivo aumento dei prezzi del latte porterà a breve scadenza ad un incremento della produzione in un numero limitato di paesi.

4.1.10   Dato che vi sarà una ripresa dei prezzi del latte nel medio termine, la produzione di latte aumenterà entro il 2015 e potrà procedere di pari passo con l'aumento delle quote stabilito nella valutazione dello stato di salute della PAC.

4.1.11   È probabile che la tendenza alla diminuzione della produzione di latte che si registra nell'Europa meridionale e in alcuni Stati membri dell'Europa settentrionale prosegua ulteriormente.

4.1.12   Il consumo di formaggio e di prodotti lattiero-caseari freschi europei probabilmente rimarrà basso a causa delle limitate prospettive di crescita del reddito.

4.1.13   La Commissione prevede un calo delle eccedenze di burro entro il 2015, a causa di una riduzione della produzione di burro e di una maggiore produzione di formaggi. Questo faciliterebbe la diminuzione, che è stata richiesta, delle restituzioni alle esportazioni, che sono attualmente oggetto di negoziati nell'ambito dell'OMC.

4.1.14   Alcuni esperti ritengono che le eccedenze di burro potrebbero sussistere a causa di una maggiore produzione di prodotti lattiero-caseari a basso contenuto di grasso e della mancata crescita del consumo di formaggi.

4.1.15   Le prospettive di mercato nell'UE entro il 2015 restano incerte ma è poco probabile che si verifichi una crescita pari a quella registrata negli ultimi dieci anni.

4.1.16   Negli ultimi anni il mercato del latte dell'UE è stato interessato in modo particolare dal problema della grande volatilità dei prezzi. Questa comporta gravi problemi per le aziende produttrici e provoca anche incertezza nei consumatori per via dei ripetuti cambiamenti dei prezzi. Occorrerebbe pertanto cercare di contenere, attraverso misure adeguate, tale elevata volatilità.

4.2   Gli Stati Uniti

4.2.1   Negli Stati Uniti, nei cinque anni precedenti il 2008, la produzione lattiero-casearia è aumentata ad un ritmo del 2,5 % annuo mentre il consumo è cresciuto di circa l'1 % annuo. Gli USA hanno registrato un'eccedenza esportabile annua che ha raggiunto i 5 milioni di tonnellate. La debolezza del dollaro ha favorito le esportazioni.

4.2.2   Le prospettive a breve scadenza per il settore lattiero-caseario statunitense non sono buone. C'è stata una diminuzione della produzione dell'1 % nel 2009 e si prevede un'ulteriore riduzione dell'1 % nel 2010. A medio termine, attraverso la ripresa dei prezzi del latte e grazie alla disponibilità di foraggi a costi abbordabili, è probabile che si registri una crescita della produzione che potrebbe concernere il formaggio ed essere destinata al consumo interno.

4.2.3   Secondo il servizio per la ricerca economica del ministero dell'Agricoltura degli Stati Uniti, nel 2010 i prezzi del latte dovrebbero salire negli USA a seguito di un aumento della macellazione delle vacche da latte e dell'esportazione di prodotti lattiero-caseari.

4.3   La Nuova Zelanda

4.3.1   La Nuova Zelanda è il principale esportatore di prodotti lattiero-caseari del mondo. La produzione è scesa di circa il 3 % nel 2007-2008, riducendo così le esportazioni, mentre nel 2008-2009 è aumentata dell'8 %. Gli esperti prevedono una crescita media del 3 % l'anno, seguita però da una nuova diminuzione entro il 2015. Dato che la produzione neozelandese dipende dal foraggio, le condizioni atmosferiche possono avere un grosso impatto sui livelli di produzione.

4.3.2   L'abbassamento dei prezzi non ha finora determinato una caduta nella produzione neozelandese. In futuro, a causa del sempre maggiore uso dei mangimi concentrati e dei fertilizzanti, è probabile che il ripetersi di una situazione caratterizzata da prezzi bassi possa portare ad una crescita più limitata nella produzione di latte.

4.3.3   Le questioni ambientali stanno assumendo sempre più importanza in Nuova Zelanda e anche questo potrebbe ostacolare la crescita a lungo termine.

4.3.4   È probabile che in Nuova Zelanda le esportazioni di prodotti lattiero-caseari continuino a crescere.

4.4   L'America meridionale

4.4.1   L'America meridionale diventa sempre più importante come esportatrice di prodotti lattiero-caseari ed è più probabile che entri in concorrenza con l'UE sui mercati africani piuttosto che con la Nuova Zelanda sui mercati asiatici. Il Brasile in particolare potrebbe registrare eccedenze esportabili fino al 2015.

4.5   La Cina

4.5.1   Lo sviluppo della produzione lattiero-casearia cinese è stato estremamente rapido negli ultimi dieci anni ma il ritmo di crescita probabilmente rallenterà nel prossimo decennio. La produzione cinese non è stata pari al consumo e tuttavia le importazioni di prodotti lattiero-caseari in Cina non sono state così importanti come ci si aspettava.

4.5.2   A medio termine si prevede un aumento sia delle importazioni cinesi di formaggi e di latte scremato in polvere sia delle esportazioni cinesi di latte intero in polvere.

4.5.3   A dicembre 2009 sono stati scoperti due nuovi casi di contaminazione del latte da melamina e ciò potrebbe pregiudicare seriamente le esportazioni di prodotti lattiero-caseari cinesi.

4.6   La Russia

4.6.1   In Russia la produzione lattiera molto probabilmente segnerà una ripresa nei prossimi cinque anni, visto che le vacche a basso rendimento vengono sostituite da vacche importate a più elevato rendimento. Per motivi di sicurezza alimentare la Russia intende passare dal 70 % al 95 % di autosufficienza in materia di prodotti lattiero-caseari. Per quanto concerne la produzione lattiera, l'obiettivo da raggiungere entro il 2012 è di 37 milioni di tonnellate. Di conseguenza è possibile che nel lungo periodo le importazioni russe di burro registrino un declino e le importazioni di formaggio un aumento.

4.7   Le prospettive del mercato mondiale indicano una crescita lenta e questo determinerà, a seconda della portata che avrà la ripresa economica globale, la crescita del consumo, specie nei paesi del terzo mondo.

4.8   Nei prossimi trent'anni, la crescita demografica si concentrerà soprattutto nei paesi del terzo mondo e questo dovrebbe comportare una maggiore domanda di prodotti lattiero-caseari. Tuttavia, senza un'adeguata crescita economica, i paesi poveri non potranno acquistare maggiori quantità di detti prodotti. Questi ultimi non fanno infatti parte dell'alimentazione tradizionale di base nei paesi asiatici e in alcuni paesi del terzo mondo.

4.9   Questioni quali le indicazioni nutrizionali e sulla salute per quanto concerne i prodotti lattiero-caseari saranno essenziali per il mantenimento e lo sviluppo della quota di mercato di tali prodotti. È essenziale promuovere la ricerca e l'innovazione in questi ambiti.

4.10   È importante che l'etichetta indichi l'autenticità del prodotto lattiero-caseario e che ne illustri adeguatamente le caratteristiche nutrizionali e gli effetti sulla salute dei consumatori. Il rispetto delle norme ambientali assumerà in futuro maggiore importanza per la produzione lattiero-casearia.

5.   Il gruppo ad alto livello

5.1   Il commissario FISCHER BOEL ha creato un gruppo ad alto livello sul latte, gruppo che pubblicherà la sua relazione conclusiva entro la fine di giugno 2010.

5.2   Il gruppo ad alto livello discuterà le seguenti questioni:

le relazioni contrattuali tra i produttori di latte e i caseifici al fine di garantire un maggiore equilibrio tra offerta e domanda sul mercato lattiero-caseario,

le azioni eventuali da prendere per rafforzare il potere negoziale dei produttori di latte,

la trasparenza e le informazioni da fornire ai consumatori, la qualità, le questioni relative alla salute e all'etichettatura,

l'innovazione e la ricerca al fine di rendere il settore più competitivo,

un possibile mercato dei future nel settore lattiero-caseario.

6.   L'iniziativa franco-tedesca

6.1   Il ministro francese dell'Agricoltura Le Maire ha evidenziato tre obiettivi chiave per l'agricoltura europea:

l'esigenza di disporre di strumenti regolamentari forti per garantire agli agricoltori un reddito stabile e adeguato,

una maggiore trasparenza dei prezzi in tutta la catena di approvvigionamento alimentare, con l'eventuale nomina di un'autorità europea di vigilanza, e

l'innovazione e gli investimenti nel settore agroalimentare al centro dell'agenda di Lisbona.

6.2   L'iniziativa franco-tedesca prevede, da parte dell'UE, maggiori interventi per proteggere gli allevatori di bovini da latte. Si propone di aumentare temporaneamente il prezzo minimo d'intervento UE, prezzo al quale la stessa UE si impegna ad acquistare le eccedenze dai produttori.

7.   La politica di qui al 2015

7.1   La Commissione si oppone fermamente a qualsiasi modifica all'aumento delle quote deciso nella valutazione dello stato di salute della PAC. Attualmente tale incremento ha un impatto limitato in quanto l'UE è al 4,5 % al di sotto della quota ed è probabile che lo sarà anche nel prossimo anno. Tuttavia, una crescita del prezzo del latte a medio termine farà aumentare la produzione accrescendo il divario tra la produzione e il consumo di latte e tenderà così a ridurre i prezzi di produzione in funzione della situazione del mercato mondiale.

7.2   I prezzi dei prodotti lattiero-caseari di base sui mercati mondiali sono generalmente più bassi di quelli europei. Ciò dipende dalle differenti normative (e quindi dai diversi costi di produzione) che vigono all'interno e all'esterno dell'UE. Il modello europeo di produzione lattiero-casearia non sarà mai in grado di competere con la Nuova Zelanda e con altri paesi in quanto la struttura dei costi di produzione e la dimensione dei caseifici sono completamente diverse.

7.3   Le esportazioni di formaggi UE sono generalmente competitive ma un aumento del consumo al di fuori dell'UE dipende da una crescita economica globale costante per un certo periodo di tempo.

7.4   L'idea di aumentare le quote indipendentemente dal livello della domanda per conseguire il cosiddetto atterraggio morbido, in assenza di misure complementari, è contraddittoria se si vuole sviluppare il modello europeo di produzione agricola ed assicurare il mantenimento della produzione lattiera nelle zone svantaggiate. È necessario promuovere un ambiente rurale dinamico e in alcune zone la produzione lattiera costituisce il motore del futuro sociale, economico e culturale. In alternativa vi è la possibilità di abbandonare il territorio il che avrebbe conseguenze sociali ed ambientali nefaste.

7.5   Incrementare le quote latte a prescindere dalle condizioni del mercato e, in ultima istanza, procedere alla completa deregolamentazione del settore lattiero sarebbe logico qualora l'UE volesse seguire i modelli di produzione agricola neozelandese o americano. La presenza di grandi allevamenti di bestiame negli Stati Uniti che possono contare oltre 2 000 vacche è vista come la strada da seguire. Al ritmo attuale, tra breve basteranno 500 imprese agricole per produrre un terzo del latte degli Stati Uniti. Una politica del genere provocherebbe rischi notevoli per il patrimonio culturale, il paesaggio e lo sviluppo delle zone rurali dell'UE, pregiudicandone l'ambiente e la biodiversità, oltre a comportare l'abbandono delle aree montane e delle zone umide. Si assisterebbe pertanto alla eliminazione del modello europeo di agricoltura multifunzionale.

7.6   Il concetto di agricoltura multifunzionale significa che, oltre a produrre beni alimentari, l'agricoltura svolge altre funzioni come sviluppare i paesaggi rurali, accrescere il patrimonio naturale e culturale, sostenere l'economia rurale e garantire una maggiore sicurezza alimentare. La visione dell'OCSE di un'agricoltura multifunzionale prevede l'esistenza di un settore agricolo che produce una serie di beni commerciali (alimenti e fibre) insieme a tutta una serie di prodotti non commerciali come ad esempio prodotti e servizi ambientali e sociali.

7.7   La produzione lattiero-casearia su larga scala basata su questo sistema degli allevamenti di bestiame che non rispetta alcune normative, come ad esempio quella in materia di gestione dell'azoto nel suolo, provoca un grosso impatto sull'ambiente.

7.8   Attualmente, il 50 % della produzione lattiera dell'UE avviene sull'11 % del suo territorio. Indipendentemente dalle decisioni politiche adottate, in futuro la dimensione media delle mandrie comunitarie continuerà ad aumentare. Tuttavia, non è affatto auspicabile adottare soluzioni politiche che favoriscano allevamenti di bovini da latte importanti ed intensivi in zone che presentano un particolare vantaggio dal punto di vista dei costi di produzione. Una tale politica potrebbe comportare notevoli rischi ambientali.

7.9   Gli allevatori di bovini da latte contribuiscono alla sopravvivenza del modello europeo di agricoltura multifunzionale. Anche se la multifunzionalità aiuta gli allevatori a sopportare le difficoltà temporanee, in caso di costante volatilità dei prezzi di produzione, tale modello non sarebbe più sostenibile per loro. La stabilità dei prezzi di produzione, che consente ai produttori di ottenere un reddito adeguato, fa del bene non solo agli allevatori ma anche ai consumatori.

8.   La politica dopo il 2015

8.1   Per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo della produzione lattiero-casearia in tutta l'UE, occorre assicurare agli allevatori di bovini da latte un reddito equo che consenta loro non solo di vivere una vita normale ma anche di investire nel loro futuro di produttori. Per reddito equo si intende un reddito equiparabile a un reddito non agricolo medio.

8.2   L'articolo 33 del Trattato CE fissa gli obiettivi della PAC tra cui: a) assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, b) stabilizzare i mercati, c) garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, e d) assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori.

8.3   Per accrescere l'efficacia del settore è essenziale destinare molte più risorse alla zootecnia, alla profilassi delle malattie del bestiame, nonché alla ricerca e all'innovazione al livello delle aziende agricole. È possibile rendere il settore lattiero-caseario più competitivo mediante un'utilizzazione più efficiente del foraggio e di altri mangimi. Occorre promuovere maggiormente la ricerca e l'innovazione a livello di trasformazione per sviluppare nuovi prodotti e quindi aumentare la quota di mercato. Le istituzioni educative e sanitarie e le organizzazioni della società civile dovrebbero promuovere il consumo di prodotti lattiero-caseari perché il latte è un alimento, una «medicina» e una bevanda rinfrescante. Si tratta di un settore in cui occorre intervenire con cambiamenti radicali. L'UE deve salvaguardare la sicurezza e la propria autosufficienza nell'approvvigionamento di latte sul proprio territorio. Sarebbe un grosso errore dipendere dalle importazioni di prodotti lattiero-caseari, come è avvenuto per la produzione europea di carne bovina a seguito dell'abbassamento dei prezzi di produzione.

8.4   Nella relazione speciale 14/2009, la Corte dei conti europea ha affermato (raccomandazione 1) quanto segue: «La Commissione deve continuare a vigilare sull'evoluzione del mercato del latte e dei prodotti lattiero-caseari, attuando le misure necessarie per evitare che la deregolamentazione del settore finisca col ricreare una situazione di sovrapproduzione. In mancanza di ciò, l'obiettivo della Commissione di attenersi ad un livello di regolamentazione minimo, che funga da rete di sicurezza, potrebbe rapidamente rivelarsi impossibile da conseguire». Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che interventi del tipo rete di sicurezza e stoccaggio richiedano anche varie misure di stabilizzazione dei mercati nel contesto della domanda e dell'offerta.

8.5   Il Comitato giudica essenziale garantire le condizioni per la futura sostenibilità del settore lattiero-caseario in tutta l'UE.

8.6   Un sistema comprendente misure riguardanti sia il settore della domanda che quello dell'offerta e appropriati sistemi di sostegno diretto è essenziale per far sì che il settore lattiero-caseario comunitario risponda alle esigenze sociali, economiche e ambientali della società e si trasformi in un vero e proprio sistema multifunzionale dando nuovo impulso alle zone rurali dell'UE. Questo cambiamento apporterebbe innumerevoli vantaggi sociali, culturali ed economici allo sviluppo complessivo dell'UE.

9.   Osservazioni specifiche

9.1   La possibilità di ricorrere ad un mercato dei future nel settore lattiero va valutata con estrema attenzione, tenendo conto della crisi finanziaria mondiale causata da un uso improprio dei prodotti finanziari. In un precedente parere il CESE afferma quanto segue: «Il valore dei prodotti alimentari si misura di conseguenza in modo completamente diverso rispetto ad es. ai prodotti industriali, il cui sito di produzione viene scelto primariamente in funzione di criteri di costo».

9.2   La maggior parte degli allevatori di bovini da latte si è organizzata in cooperative, e può pertanto influire in una certa misura sulla commercializzazione dei propri prodotti. Gli allevatori di latte che appartengono a una cooperativa alla quale vendono il proprio latte sono tutelati meglio rispetto a quelli che vendono il proprio prodotto a un caseificio privato. Sebbene i contratti volontari tra il singolo allevatore e gli acquirenti già esistano, nel caso di un caseificio privato il potere negoziale dell'allevatore è limitato. Tali contratti specificano le condizioni di fornitura, ma non possono influire sullo sviluppo complessivo del mercato nell'UE. Inoltre l'esperienza ha mostrato che bisogna migliorare, nell'ambito della filiera alimentare, la posizione di mercato dei produttori e delle cooperative che li rappresentano; pertanto occorre verificare anche le possibilità di cooperazione concesse dalla legislazione in materia di concorrenza.

9.3   Nei nuovi Stati membri, tuttavia, molti allevatori vendono il latte direttamente ai caseifici privati. Poiché il settore lattiero-caseario è sempre più concentrato, non vi è praticamente alcuna possibilità di scelta e i prezzi di produzione diminuiscono. Per rimanere competitivi nel settore del latte fresco, gli allevatori devono potersi organizzare autonomamente in cooperative in grado di vendere il latte all'industria.

9.4   La maggior parte dei produttori di latte nei nuovi Stati membri (Bulgaria e Romania) beneficia in maniera estremamente limitata dei pagamenti diretti, che sono completamente disaccoppiati e accordati per ettaro. Questo limitato sostegno, a cui si aggiungono una scarsa produttività, l'inadeguatezza del reddito ricavato dal mercato e le difficoltà di accesso al credito, impedisce ai produttori di realizzare gli investimenti necessari per rispettare le norme di igiene previste dall'UE.

9.5   Tutte le importazioni di prodotti lattiero-caseari nell'UE devono rispettare gli standard europei in particolare per quanto concerne la tracciabilità, il benessere animale, l'igiene, la somministrazione di farmaci per uso veterinario, la tutela ambientale, la sicurezza alimentare e i metodi di produzione sostenibili. La questione del contenuto di carbonio sta cominciando ad assumere una certa importanza.

9.6   Occorre assicurarsi che gli organismi esistenti come i comitati consultivi e i comitati di gestione dispongano di risorse sufficienti per analizzare l'offerta e la domanda sul mercato del latte. Bisogna inoltre mettere a punto gli strumenti necessari per assicurare ai produttori un prezzo adeguato che copra i costi e garantisca loro un utile. L'UE deve salvaguardare la sua capacità di produrre un'offerta adeguata di prodotti lattieri. Non possiamo permetterci di dipendere dall'offerta proveniente dai paesi extracomunitari. Ma se perseguiamo le politiche sbagliate, questa potrebbe essere un'eventualità a lungo termine.

9.7   Il mantenimento e lo sviluppo del lavoro a tempo pieno e a tempo parziale nel settore lattiero-caseario devono essere un obiettivo prioritario, soprattutto nelle aree rurali.

9.8   Non si possono ignorare la fame e la mancanza di sufficienti risorse alimentari nei paesi del terzo mondo. A livello mondiale, questioni quali il cambiamento climatico, i prezzi dei prodotti alimentari e l'offerta di prodotti alimentari sono tutte strettamente collegate. È nostra responsabilità aiutare i paesi in via di sviluppo.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 111 e il parere GU C 255 del 14.10.2005, pag. 44.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, che ha ottenuto oltre un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso della discussione:

Punto 7.7

Sopprimere il punto:

«7.7

Esito della votazione

Voti favorevoli: 56

Voti contrari: 76

Astensioni: 25


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'agricoltura nel partenariato Euromed (compresa l'importanza del lavoro delle donne nel settore agricolo e il ruolo delle cooperative)»

(parere d'iniziativa)

(2010/C 347/06)

Relatore: Pedro NARRO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

L'agricoltura nel partenariato Euromed (compresa l'importanza del lavoro delle donne nel settore agricolo e il ruolo delle cooperative).

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 febbraio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, nessun voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   L'agricoltura mediterranea presenta una notevole eterogeneità. Alle differenze nei sistemi produttivi va aggiunto il diverso livello di sviluppo, di sostegno pubblico all'agricoltura o di strutture economiche. Tuttavia in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo l'agricoltura ha una funzione di perno delle zone rurali ed è un fattore trainante delle loro economie.

1.2   L'inarrestabile processo di liberalizzazione commerciale in corso nel settore agricolo condizionerà la sostenibilità dell'agricoltura del Mediterraneo. La liberalizzazione in sé e per sé non deve costituire l'obiettivo del partenariato Euromed, bensì uno strumento per raggiungere l'obiettivo prioritario dello sviluppo economico, sociale e regionale su entrambe le sponde del Mediterraneo.

1.3   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che debba esserci una fase di transizione che consenta di introdurre i cambiamenti opportuni nell'agricoltura dei paesi interessati e permetta loro di affrontare con le dovute garanzie le sfide che caratterizzano il versante agricolo del processo di globalizzazione dell'economia, degli scambi commerciali e della conoscenza.

1.4   Gli studi d'impatto elaborati dalla Commissione europea sulle conseguenze per l'agricoltura derivanti da una zona di libero scambio nel Mediterraneo indicano chiaramente i «grandi perdenti» di questo processo. In Europa le regioni del Sud specializzate nella produzione ortofrutticola non potranno sostenere la concorrenza dei paesi mediterranei vicini e, dal canto loro, i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo assisteranno al progressivo abbandono della loro produzione continentale (cereali, latte, carne, ecc.). Nell'attuale processo di liberalizzazione bisogna aver cura di difendere i prodotti sensibili.

1.5   Questa fase di trasformazione dell'agricoltura del Mediterraneo, caratterizzata dalla crisi alimentare e dalla liberalizzazione, richiede che le pubbliche autorità elaborino una strategia solida e a lungo termine che consenta il mantenimento e la sostenibilità dell'attività agricola. Tale strategia deve essere basata su tre fattori, vale a dire, formazione, tecnologia e ricerca, per facilitare la transizione verso un'agricoltura che privilegi la qualità, il valore aggiunto e il miglioramento del processo di commercializzazione.

1.6   Le politiche pubbliche nel Mediterraneo devono essere rivolte a una gestione efficace delle conseguenze derivanti dalla liberalizzazione. A giudizio del CESE, sono necessarie politiche a breve e medio termine che prevedano compensazioni effettive, mediante linee di sostegno supplementare, per i produttori dell'UE più colpiti dalla liberalizzazione del commercio. D'altra parte, devono istituirsi politiche di diversificazione dell'attività nell'ambiente rurale e di sostegno agli agricoltori e alle loro imprese, in modo da facilitare l'adattamento al nuovo contesto produttivo.

1.7   I paesi del Mediterraneo devono attuare politiche di formazione rivolte al settore agricolo per favore l'occupazione di qualità, per adeguare la manodopera alle necessità del nuovo modello produttivo, nonché per limitare gli effetti negativi dell'esodo rurale sull'occupazione e sui flussi migratori.

1.8   Allo scopo di appoggiare il processo di sviluppo agricolo del bacino del Mediterraneo, il CESE considera un compito prioritario il rafforzamento del ruolo delle organizzazioni agricole locali attraverso progetti di sviluppo tesi a facilitare la capacità di rappresentanza degli agricoltori e la loro partecipazione al processo decisionale.

1.9   Per migliorare la competitività del settore agricolo nel Mediterraneo è necessario dar vita a una strategia di commercializzazione più dinamica. Un pilastro della nuova strategia sarà costituito dalle cooperative e da altre forme di organizzazione dei produttori, che dovranno trasformarsi in strumenti che consentano agli agricoltori di concentrare l'offerta e di migliorare la loro posizione sui mercati. Il CESE è favorevole ad iniziative che migliorino il funzionamento della catena alimentare e la distribuzione dei benefici tra tutti i suoi anelli.

1.10   Il CESE ritiene fondamentale valorizzare il ruolo della donna e dei giovani nelle aziende agricole e nel mondo rurale. Nei paesi della sponda meridionale del Mediterraneo il contributo della donna all'agricoltura è molto rilevante, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di un lavoro non riconosciuto, non remunerato e soggetto a forti condizionamenti sociali. Si avverte la necessità di nuove politiche strutturali e di nuovi incentivi che valorizzino il lavoro della donna e le consentano di uscire dall'economia informale e che promuovano l'associazionismo come strumento per sviluppare uno spirito imprenditoriale, che è altrettanto necessario nel campo dell'agricoltura.

1.11   Un fattore determinante nello sviluppo dell'agricoltura dell'area mediterranea è la gestione dell'acqua. Uno degli effetti più negativi dei cambiamenti climatici in tale area sarà la diminuzione delle risorse idriche disponibili per l'agricoltura. Il CESE è consapevole dell'urgenza di attuare nuove politiche di controllo e modernizzazione che permettano non soltanto di economizzare l'acqua, ma anche di ottimizzare l'uso di questa preziosa risorsa. Tutte queste politiche dovrebbero basarsi sull'applicazione di nuove tecnologie che garantiscano la sostenibilità sociale, economica e ambientale dell'irrigazione.

1.12   La cooperazione istituzionale deve essere accompagnata da una cooperazione più stretta tra le componenti della società civile. È prioritario che l'UE agevoli la cooperazione regionale e un maggior coinvolgimento dei rappresentanti della società civile, allo scopo di condividere esperienze ed elaborare progetti concreti che servano alle organizzazioni agricole dei paesi del Mediterraneo per promuovere un modello agricolo multifunzionale. In ogni caso, bisogna rafforzare il capitolo agricolo dell'Unione per il Mediterraneo e progredire nella creazione della Banca del Mediterraneo.

2.   Introduzione

2.1   L'avvio del processo di Barcellona nel 1995 ha dato un impulso alle relazioni tra l'Unione europea e i paesi limitrofi del Mediterraneo (1) e ha posto le basi per l'istituzione in questa regione di un'area di pace e prosperità economica. Tuttavia, a distanza di 15 anni dalla dichiarazione di Barcellona, si può dire che i progressi siano stati moderati e che sia presente una certa delusione nei nostri paesi partner del Sud del Mediterraneo.

2.2   La recente iniziativa politica dell'Unione per il Mediterraneo (2008), promossa da Francia e Germania, rappresenta la prova che, dopo alcuni anni di stasi, la questione mediterranea torna ad occupare un posto prioritario nell'agenda comunitaria, con la conseguente ripresa del dibattito su un settore strategico per il XXI secolo qual è l'agricoltura.

2.3   Il CESE ha deciso di elaborare il presente parere d'iniziativa per contribuire al necessario dibattito sul ruolo che il settore agricolo deve svolgere nel bacino del Mediterraneo. Siamo giunti ad una tappa fondamentale per lo sviluppo di questo settore che sarà contrassegnata da grandi sfide condivise a livello mondiale.

2.4   L'enorme complessità del capitolo agricolo nel Mediterraneo impedisce di esaminare in modo approfondito i problemi settoriali nella loro quotidianità. Ciononostante, il Comitato intende avviare una riflessione strategica sul futuro dell'agricoltura mediterranea partendo dalle conseguenze che potrebbero derivare per entrambe le sponde del Mediterraneo dalla creazione di una zona di libero scambio per i prodotti agricoli. Le conseguenze della liberalizzazione non sono unicamente circoscritte alla sfera commerciale, ma incidono in misura significativa anche sullo sviluppo economico, sociale e ambientale di un determinato paese.

2.5   Tradizionalmente i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo hanno criticato aspramente l'UE per il suo eccessivo protezionismo agricolo; dal canto suo, l'UE si è allarmata per l'impatto negativo, in molte regioni europee, dell'importazione di determinati prodotti, in particolare di quelli ortofrutticoli provenienti dal Marocco che, per il suo potenziale agricolo e la sua vicinanza geografica e culturale all'Europa, è uno dei portabandiera dell'agricoltura mediterranea. L'altro grande rappresentante dell'agricoltura nel Mediterraneo è la Turchia, paese candidato all'adesione all'UE; in questo paese l'agricoltura costituisce il settore più importante dell'economia nazionale ed essa racchiude un immenso potenziale quale riserva verde dell'Europa. Negli ultimi anni anche l'Egitto è diventato uno dei paesi con maggiore potenziale agricolo del bacino del Mediterraneo.

2.6   È urgente superare una visione tradizionale delle relazioni in materia di agricoltura nel Mediterraneo e approfondire una visione strategica a lungo termine dell'agricoltura mediterranea che consenta la ricerca di sinergie e promuova la sostenibilità economica e sociale del settore agricolo su entrambe le sponde del Mediterraneo.

2.7   L'esperienza dell'Unione europea, che ha scommesso sulla produzione di qualità, la valorizzazione dell'origine del prodotto, la modernizzazione delle infrastrutture e la formazione, deve servire da esempio ed evidenziare alcuni orientamenti utili per affrontare i cambiamenti all'orizzonte nel Sud del Mediterraneo. Tuttavia, le esperienze positive non sono le uniche da cui traiamo un insegnamento importante. Purtroppo in Europa la mancanza di coerenza nelle politiche a sostegno dell'agricoltura, l'assenza di una pianificazione a lungo termine e gli squilibri in una catena alimentare caratterizzata da un'offerta parcellizzata, di cui beneficia la grande distribuzione, evidenziano alcuni rischi di cui bisogna tener conto in ciò che possiamo considerare la «grande fase di transizione dell'agricoltura mediterranea»".

2.8   Nei paesi del Sud l'agricoltura presenta una notevole dicotomia: da un lato, un settore dinamico orientato all'esportazione e in mano a grandi operatori commerciali, dall'altro, un'agricoltura incentrata sui mercati locali e praticata da piccoli agricoltori con una scarsa organizzazione economica.

3.   Il processo di liberalizzazione commerciale

3.1   Secondo la tabella di marcia stabilita all'avvio del processo di Barcellona (1995), ai prodotti dell'agricoltura verrà riservato un trattamento preferenziale. La progressiva liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli mediante un sistema di accesso preferenziale e reciproco tra le parti tiene in considerazione i flussi commerciali tradizionali e le politiche agricole dei paesi coinvolti (2). L'obiettivo prioritario dal 2005 è stato la creazione di una zona di libero scambio nel 2010. Si tratta di una data indicativa che in nessun caso deve costituire un termine ultimo: difatti, i paesi procedono con velocità diverse verso questa zona di libero scambio.

3.2   Negli ultimi anni l'Unione europea ha concluso nuovi e ambiziosi accordi in materia di agricoltura con Israele, Giordania ed Egitto. I lunghi e complessi negoziati con il Marocco proseguono e, malgrado le scarse informazioni fornite dai negoziatori europei, tutto lascia supporre, vista la recente conclusione dei negoziati, che l'accordo verrà firmato nel 2010. Dei restanti paesi del Mediterraneo, solo la Tunisia e - di recente - l'Algeria hanno avviato nuove tornate negoziali.

I negoziati sull'agricoltura tra l'UE e i paesi del Mediterraneo

3.3   La protezione nell'UE è stata strutturata in molteplici strumenti che vengono solitamente combinati: contingenti, dazi doganali, calendari di produzione e commercializzazione, licenze di importazione, prezzi di entrata, ecc. Si può quindi dedurre che l'UE ha tradizionalmente concesso un sostegno ai suoi agricoltori attraverso misure tariffarie, in quanto i tradizionali aiuti della PAC hanno, nel caso dei prodotti agricoli mediterranei, una funzione molto marginale (3). Oltre a questa protezione tariffaria sempre più marginale, nel commercio dei prodotti agroalimentari hanno un'importanza cruciale fattori quali la distanza, i costi di produzione e le infrastrutture.

3.4   Il COPA-Cogeca, l'organizzazione che raggruppa le principali organizzazioni e cooperative agricole dell’Unione europea, ha messo in evidenza, nella sua posizione sugli accordi euromediterranei, la necessità che l'UE rispetti alcuni principi basilari in fase di negoziato. Tra questi principi basilari spiccano il mantenimento del concetto di prodotto sensibile e di un prezzo di entrata per i prodotti ortofrutticoli, il rafforzamento dei controlli doganali per evitare le frodi, l'introduzione di un sistema efficace di controllo fitosanitario e il rispetto del carattere stagionale delle produzioni, grazie alla promozione di una gestione comune dei calendari di produzione e commercializzazione (4).

3.5   I produttori del Sud del Mediterraneo incontrano difficoltà nell'applicare le norme sanitarie europee. Di fatto, i requisiti applicabili ai prodotti agricoli importati dai paesi del Mediterraneo sono meno rigorosi rispetto alle condizioni imposte ai prodotti comunitari in materia di benessere degli animali, tracciabilità e standard ambientali. Il CESE esorta l'UE a fornire ai paesi partner del Mediterraneo la necessaria assistenza tecnica al commercio, a trasferire tecnologia e a sostenere la creazione di sistemi di tracciabilità e allerta precoce.

3.6   Il CESE ha segnalato in numerose occasioni l'importanza della tracciabilità e della certificazione della qualità come pilastro basilare del modello agricolo comunitario. Questo sistema, già consolidato nellUE, permette di disporre di informazioni su un dato alimento «dall'azienda agricola alla tavola» e implica la possibilità di rintracciarne e seguirne il percorso durante tutte le tappe della sua produzione, trasformazione e distribuzione. Il principio della tracciabilità dovrebbe essere affrontato in via prioritaria nei negoziati agricoli con i paesi del bacino del Mediterraneo.

3.7   Attualmente la liberalizzazione agricola nel Mediterraneo, sebbene incompleta, interessa già il 90 % degli scambi commerciali. L'Unione europea è il grande importatore mondiale di derrate alimentari ed è impegnata in un processo di apertura commerciale senza precedenti. Malgrado questa ampia apertura, esistono alcuni prodotti sensibili per i quali sono state previste disposizioni specifiche, allo scopo di non penalizzare determinati produttori la cui attività potrebbe risentire in modo molto pesante di un aumento significativo delle importazioni di prodotti agricoli, in particolare di quelli ortofrutticoli.

3.8   Il settore ortofrutticolo svolge un ruolo di primo piano in questo processo di liberalizzazione: di fatto, quasi la metà delle esportazioni agroalimentari dei paesi terzi del Mediterraneo verso l'UE riguarda questo settore. Molte regioni dell'Europa meridionale si sono specializzate nella produzione ortofrutticola e la loro economia regionale dipende in gran parte da questa produzione. In 20 regioni dellUE, oltre la metà della produzione agricola finale è incentrata sulla coltivazione di frutta e ortaggi. Nella conclusione di accordi in materia di agricoltura con i paesi del Sud del Mediterraneo, l'UE dovrebbe vigilare sulla difesa di quelle produzioni che sono considerate «sensibili» e che risentirebbero in modo più negativo della firma di tali accordi.

3.9   Le valutazioni d'impatto sulla liberalizzazione commerciale nel Mediterraneo effettuate su richiesta della Commissione europea (5) mostrano chiaramente che, in uno scenario di liberalizzazione parziale o totale, l'UE moltiplicherebbe le sue esportazioni dei cosiddetti «prodotti continentali», vale a dire, cereali, latticini e carne. D'altro canto, queste produzioni subirebbero un forte regresso in paesi come il Marocco, dove nel giro di 14 anni la produzione di latte diminuirebbe del 55 %, quella di carne del 22 % e quella di frumento del 20 % (6). Il rischio della monocultura potrebbe tradursi in una mancanza di approvvigionamento e nella dipendenza dalle importazioni.

3.10   Il CESE ritiene che si dovrebbero introdurre nei corrispondenti accordi di associazione criteri e clausole che consentano di verificare l'impatto dell'apertura commerciale per entrambe le parti, soprattutto con lo scopo di comprovare la realizzazione dell'obiettivo ultimo della politica esterna comunitaria, vale a dire la realizzazione di progressi in materia di rispetto dell'ambiente, di diritti dei lavoratori e, soprattutto, di sviluppo economico e sociale della popolazione locale e, quindi, non solo di sviluppo delle grandi imprese locali o straniere. In questo senso è irrinunciabile condizionare l'apertura dei mercati europei al rispetto di alcuni standard minimi in materia sociolavorativa, ambientale e sanitaria, nell'interesse della sicurezza alimentare e dei consumatori europei, ma anche al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nei paesi del Sud del Mediterraneo.

3.11   Il CESE ritiene che si debbano istituire i meccanismi pertinenti e migliorare quelli esistenti per garantire l'osservanza delle clausole accettate da entrambe le parti nei punti degli accordi di associazione relativi alla liberalizzazione commerciale, dal punto di vista del rispetto degli importi doganali fissati e del rispetto dei contingenti.

Il ruolo delle autorità pubbliche di fronte alla liberalizzazione

3.12   Il Sud del Mediterraneo si trova attualmente di fronte ad alcuni importanti dilemmi che sono sorti anche all'interno dell'UE, in particolare in merito al ruolo che le autorità pubbliche devono avere in un processo di liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati. In questo campo l'UE e, in concreto, l'evoluzione della PAC hanno evidenziato cambiamenti di indirizzo sorprendenti, che dovrebbero servire da esempio ai paesi del Sud del Mediterraneo affinché essi, imparando dagli errori e dai successi della vicina UE, applichino politiche pubbliche efficaci e coerenti a medio e a lungo termine. Tali politiche devono consentire di affrontare con le dovute garanzie un processo di globalizzazione che in alcuni casi genera distorsioni negative in un settore come quello agricolo che in nessun caso può essere trattato nei negoziati internazionali come un settore economico qualsiasi in funzione del suo contributo al PIL di un paese.

3.13   Fino a tempi recenti l'agricoltura non rappresentava una priorità nelle politiche dei paesi terzi del Mediterraneo e i fondi di cooperazione dell'UE e di organismi internazionali sono stati convogliati verso altri settori (7), dando così prova di una visione miope che ha frenato lo sviluppo agricolo di questi paesi. In questi ultimi anni il modo di pensare dei responsabili politici sta cambiando.

3.14   La crisi alimentare del 2008, con l'aumento dei prezzi delle materie prime di base e l'insorgere di fondati timori sul processo di liberalizzazione, ha destato dalla loro letargia alcune autorità pubbliche a livello nazionale e regionale, che hanno iniziato a dare un nuovo indirizzo al loro tradizionale approccio in materia di agricoltura basato su una maggiore produzione e sulla concentrazione degli sforzi sull'agroesportazione.

3.15   La strategia agricola dei governi del Mediterraneo deve favorire un'agricoltura che privilegi la qualità, il valore aggiunto e il miglioramento del processo di commercializzazione. La filosofia è chiara ed anche pienamente condivisa da tutti gli attori del Mediterraneo, tuttavia la cruda realtà dimostra che la mancanza di risorse economiche è un ostacolo molto difficile da superare.

3.16   La formazione, il sostegno tecnologico e la ricerca sono gli ingredienti di base che devono essere presenti nelle future politiche agricole da realizzare nei paesi del Mediterraneo. L'unione di questi fattori dovrebbe contribuire a migliorare la posizione dell'agricoltura mediterranea e la sua sostenibilità, per garantire la sicurezza alimentare e la lotta contro la povertà e l'esodo rurale.

3.17   Malgrado le solenni dichiarazioni a favore della ricerca agronomica, molti paesi del Mediterraneo non hanno dato prova della volontà politica necessaria per creare un quadro legislativo favorevole. Vanno intensificati gli sforzi di ricerca per migliorare le tecniche di coltivazione e creare nuove nicchie di mercato attraverso un salto qualitativo. Oggigiorno, a causa della crescita demografica, un ettaro deve servire ad alimentare il triplo di persone rispetto a 40 anni fa. Bisogna mettere a disposizione i progressi tecnologici tesi ad aumentare la produttività e la biotecnologia può contribuire in modo decisivo allo sviluppo di un'agricoltura più produttiva e rispettosa dell'ambiente (8). Per il futuro, la ricerca deve rafforzare la cooperazione tra l'iniziativa pubblica e quella privata e migliorare il coordinamento tra gli organismi: in questo modo essa potrà essere posta al servizio delle necessità fondamentali e reali dell'agricoltura e degli agricoltori.

Uno strumento per affrontare la sfida agricola: il Piano verde del Marocco

3.18   Un esempio di questo cambiamento nel modo di pensare può essere osservato con chiarezza nel Piano verde presentato dal Marocco nell'aprile 2008, che mostra una nuova e interessante strategia agricola nel Maghreb. Il suddetto piano si prefigge di trasformare l'agricoltura, nell'arco di 10-15 anni, nel principale motore dell'economia marocchina mediante ingenti investimenti di denaro pubblico (9), allo scopo di arrivare a due grandi traguardi, che sono: un'agricoltura moderna, ad alto valore aggiunto, e l'innalzamento del reddito dei piccoli agricoltori.

3.19   Per realizzare questi obiettivi ambiziosi, il governo marocchino ha previsto l'elaborazione di piani su scala regionale che dovrebbero vertere su tre tipi di progetti. Il primo sarebbe volto ad agevolare la transizione da un'agricoltura cerealicola verso colture con maggior valore aggiunto e minor dipendenza dall'acqua. In secondo luogo, è previsto un processo di miglioramento della coltura intensiva, che dovrebbe mettere a disposizione degli agricoltori nuove tecniche di produzione. Infine, i piani regionali aiuteranno a diversificare la produzione e a valorizzare i prodotti regionali e locali.

I perdenti del processo di liberalizzazione su entrambe le sponde del Mediterraneo

3.20   A livello regionale gli effetti negativi del processo di liberalizzazione saranno particolarmente pesanti per le regioni europee specializzate nella produzione ortofrutticola. Si tratta invariabilmente di regioni europee che figurano tra le più arretrate e svantaggiate dell'UE. Tra queste, e a titolo di esempio, si possono citare le seguenti regioni: l'Andalusia (Spagna), la Tessaglia (Grecia), la Calabria (Italia) e la regione Norte-Douro (Portogallo). La valutazione d'impatto richiesta dalla Commissione europea nel 2007 ed elaborata dal Centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei (Ciheam) (10) afferma in modo risoluto che «le conseguenze negative del processo non riguarderanno tutta l'Europa, ma si concentreranno in alcune regioni ben specifiche, che rappresenteranno gli autentici perdenti del processo di liberalizzazione».

3.21   I piccoli produttori dei paesi del Sud del Mediterraneo risentiranno direttamente del processo di apertura delle frontiere, e saranno costretti ad abbandonare la produzione a causa della mancanza di competitività rispetto alle produzioni continentali dei paesi vicini del Nord del Mediterraneo. In questo contesto di liberalizzazione vanno previsti gli strumenti necessari affinché i piccoli produttori, che sono i soggetti più vulnerabili, possano trarre benefici dai nuovi accordi. Le politiche di sostegno al reddito e di organizzazione e modernizzazione della loro attività agricola devono avere la priorità.

3.22   Le autorità pubbliche devono impegnarsi a invertire l'attuale pericolosa tendenza che fa delle grandi aziende agricole, delle multinazionali e degli investitori esteri i principali beneficiari di questo processo. I benefici derivanti dall'apertura dei mercati devono essere ripartiti in modo equilibrato ed equo lungo la catena di produzione.

L'organizzazione del settore produttivo di fronte alle nuove strutture di commercializzazione

3.23   Nell'UE lo squilibrio esistente tra i vari operatori della catena alimentare sta pregiudicando seriamente il settore della produzione, che non può far fronte alla posizione dominante che la grande distribuzione è riuscita a conquistare. Questo rischio di concentrazione dei grandi operatori si ripresenterà anche nello sviluppo dell'agricoltura sull'altra sponda del Mediterraneo: gli agricoltori potrebbero perdere i loro legami con il mercato nazionale e dover sottostare alle imposizioni della grande distribuzione.

3.24   La competitività del settore agricolo non si fonda unicamente su una produzione migliore in termini di prezzi e qualità. Per dare un senso al concetto di «competitività», assume una particolare rilevanza la strategia di marketing e commercializzazione. Di fronte alla notevole parcellizzazione della produzione, il rafforzamento e lo sviluppo di forme di concentrazione dell'offerta - come associazioni di produttori, cooperative e altre forme di aggregazione - diventano indiscutibilmente dei pilastri della nuova strategia.

3.25   L'organizzazione dei produttori in movimenti cooperativi non è semplice. Nel Sud del Mediterraneo esistono tuttora molte barriere allo sviluppo del cooperativismo agricolo, malgrado l'avvio di una legislazione che intende creare le condizioni adeguate per lo sviluppo delle cooperative agricole. Tra i principali problemi affrontati dalle cooperative nell'area del Mediterraneo figurano: la mancanza di personale adeguato per realizzare una gestione di tipo imprenditoriale della cooperativa, la precarietà delle risorse economiche, l'eccessiva dipendenza dall'appoggio statale, la rigidità della legislazione e la difficoltà di accesso ai mercati. Il successo del movimento cooperativo si fonda sulla capacità di superare i suddetti problemi e sull'adesione a una nuova filosofia basata sulla comunanza. Tuttavia, in tutto il Mediterraneo il presupposto da soddisfare per primo sarà quello di permettere agli agricoltori di continuare la loro attività, senza che siano costretti ad abbandonare questo settore.

3.26   Attraverso la cooperazione e l'organizzazione, gli agricoltori possono migliorare la loro posizione per superare il notevole handicap costituito dalla loro parcellizzazione. Il successo della cooperativa lattiera marocchina COPAG, che produce 170 milioni di litri di latte all'anno e che è responsabile dell'11 % della produzione nazionale, si è trasformato in un modello da imitare in altri settori. Questa cooperativa genera valore aggiunto, ripartisce le sovvenzioni e garantisce un prezzo minimo ai suoi membri. Tuttavia, in paesi come il Libano si creano numerose cooperative soltanto perché questa forma di associazione rappresenta un requisito essenziale per accedere ai programmi di sviluppo gestiti dalle ONG; purtroppo, quando si smette di apportare fondi alle cooperative, queste si disgregano e scompaiono.

3.27   Nel Sud del Mediterraneo lo sviluppo di strutture associative e la promozione dell'associazionismo richiedono il fermo appoggio delle amministrazioni pubbliche. Si deve incentivare la partecipazione alle cooperative affinché queste si trasformino in uno strumento utile e redditizio per l'agricoltore. La mera costituzione di cooperative non è sinonimo di successo: esse devono essere dotate di dinamismo e di spirito imprenditoriale per poter competere in un mercato globalizzato, consolidando il reddito dei soci e migliorando la loro capacità di accedere a fattori produttivi, servizi e mercati.

4.   La trasformazione sociale nell'agricoltura mediterranea

4.1   Il libero scambio dei prodotti agricoli deve favorire lo sviluppo sociale e le specificità regionali, ed essere pienamente compatibile con entrambi. Il CESE reputa che il costo sociale dell'integrazione nei flussi commerciali mondiali dovrebbe essere analizzato in maniera dettagliata, in modo da poter quantificare l'impatto di questo inarrestabile processo e preparare le comunità più vulnerabili ad adattarvisi. Sebbene i nudi dati macroeconomici indichino il peso modesto dell'agricoltura negli scambi commerciali dei paesi mediterranei (7 % delle esportazioni e 9 % delle importazioni totali), in realtà il peso politico e sociale dei prodotti agricoli è molto maggiore.

4.2   La fragilità sociale nelle zone rurali del Mediterraneo si traduce in povertà, disoccupazione, carenze infrastrutturali, degradazione del territorio e in un continuo esodo rurale. Analogamente a quanto avvenuto negli Stati membri dell'UE, l'adattamento alla globalizzazione comporterà per i paesi partner del Mediterraneo la perdita di lavoratori agricoli, lo spopolamento delle zone rurali più svantaggiate e una maggiore pressione sui flussi migratori.

4.3   Per attenuare le conseguenze negative della liberalizzazione nell'ambiente rurale, le autorità pubbliche a livello nazionale e regionale devono attuare solide politiche di sviluppo rurale che migliorino la competitività delle piccole aziende agricole, creino reali alternative occupazionali per gli agricoltori che si vedono costretti ad abbandonare la loro attività e permettano alle zone rurali di affrontare con le dovute garanzie la riconversione di un settore fondamentale per il loro tessuto socioeconomico. Questa pericolosa tendenza allo spopolamento rurale potrà essere invertita solo se le donne e i giovani riusciranno ad integrarsi con successo nel settore agricolo.

Le donne e i giovani: fattori del cambiamento

4.4   Le donne e i giovani saranno fra pochi anni i veri artefici del cambiamento dell'agricoltura nel Sud del Mediterraneo. Nella strategia mediterranea per lo sviluppo sostenibile si raccomanda di sviluppare programmi che aiutino a rafforzare il ruolo delle donne nei processi decisionali, nonché di formare nuovi leader delle zone agricole e rurali che possano essere, con la loro capacità d'innovare e la loro preparazione, fattori del cambiamento.

4.5   Le donne si trovano ad essere sempre più coinvolte nel settore agricolo del Mediterraneo. Il ruolo che svolgono in agricoltura sta crescendo progressivamente e il potenziale che rappresentano è enorme a causa del notevole aumento della popolazione, dei cambiamenti climatici e dei flussi migratori degli uomini della regione verso nuclei urbani e altri territori più prosperi (11). Purtroppo le statistiche ufficiali sono scarse e non rendono sufficientemente giustizia al vero apporto delle donne all'agricoltura.

4.6   Nell'area mediterranea sono state sviluppate interessanti iniziative tese a migliorare la situazione della donna nell'ambiente rurale. I fondi del programma MEDA hanno permesso di finanziare in Marocco cooperative specializzate nella produzione di olio di argan che sono formate esclusivamente da donne, e questo modello di cooperativa è stato esteso ad altri territori del Mediterraneo. In Libano la creazione nel 2008 dell'Osservatorio nazionale per le donne in agricoltura e nelle zone rurali («National Observatory for Women in Agriculture and Rural Areas» - Nowara (12)) ha contribuito allo sviluppo di numerose iniziative volte a favorire la parità di genere nel settore agricolo, individuando programmi e attività per migliorare l'accesso della donna alle risorse produttive.

4.7   Il trattamento riservato alla donna che lavora in agricoltura presenta grandi differenze quando si esaminano i diversi contesti nazionali. In Libano solo il 3,4 % delle donne si dedica all'agricoltura, in Algeria la situazione è simile, la partecipazione delle donne ad attività economiche è molto ridotta. Al contrario in Egitto le donne rappresentano il 50 % del lavoro in agricoltura, sebbene non si permetta loro di amministrare i beni agricoli che hanno ereditato; in Siria la situazione è ancora peggiore in quanto, nella pratica, le convenzioni sociali le obbligano a rinunciare ai loro diritti sulla terra. Il Marocco spicca per la forte partecipazione delle donne alle mansioni agricole, vicina al 60 %, percentuale che in Turchia sale fino al 70 %. In questi paesi le donne si dedicano principalmente ad attività di manodopera intensiva non meccanizzata. Le donne sono responsabili della raccolta e dello stoccaggio dei prodotti alimentari, partecipando in modo significativo alla semina, all'irrigazione, al controllo dei parassiti e alla fertilizzazione.

4.8   Le donne che svolgono un'attività agricola nei paesi del Sud del Mediterraneo devono affrontare una serie di importanti handicap che influiscono sullo sviluppo della loro attività: elevato indice di analfabetismo e mancanza di formazione, lavoro non remunerato, limitato accesso alla proprietà, nessuna partecipazione al processo decisionale, condizioni di lavoro peggiori rispetto a quelle riservate agli uomini, difficile accesso al credito e, ovviamente, condizionamenti religiosi e sociali che privano la donna del suo diritto di decidere. Purtroppo rimane ancora molta strada da percorrere per raggiungere le pari opportunità tra uomini e donne nell'agricoltura e nell'ambiente rurale. Per questo motivo è necessario che i governi del Mediterraneo si pongano questo compito come una priorità (13).

5.   L'agricoltura mediterranea di fronte al cambiamento climatico

5.1   Tutti gli studi scientifici condotti sinora concordano nell'evidenziare che l'area mediterranea sarà quella più interessata dai cambiamenti climatici. Le condizioni geografiche e climatiche delle colture praticate nei territori di quest'area rendono l'agricoltura mediterranea un'attività particolarmente vulnerabile agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, soprattutto se si tiene conto della crescita demografica nel Mediterraneo e della necessità - sottolineata dalla FAO - di moltiplicare la nostra produzione di derrate alimentari. Alcuni di questi effetti potrebbero essere i seguenti:

scomparsa di colture e perdita di biodiversità,

avanzata della desertificazione e aumento delle zone aride,

comparsa di nuovi parassiti e di nuove malattie,

calo dei rendimenti agricoli e grande volatilità delle produzioni,

diminuzione delle risorse idriche.

5.2   Il lavoro di adattamento ai cambiamenti climatici richiede misure urgenti e strumenti validi che consentano di gestire meglio il rischio in agricoltura, di sviluppare nuove varietà vegetali più resistenti, di fornire consulenza tecnica nel lavoro quotidiano dell'agricoltore e, soprattutto, di mettere al servizio del settore agricolo la ricerca e le nuove tecnologie.

Il rapporto tra l'acqua e l'agricoltura

5.3   È indubbio che l'elemento più toccato dai cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, il fattore determinante nello sviluppo dell'agricoltura mediterranea sarà l'acqua. Il CESE ha già espresso in altre occasioni il proprio punto di vista sull'impatto della diminuzione delle risorse idriche in agricoltura (14) e ribadisce la necessità di focalizzare le politiche pubbliche verso un uso più sostenibile di questa risorsa. La sfida consiste nel continuare a produrre ricchezza sotto forma di produzione agricola, valore aggiunto, occupazione, ecc., avendo a disposizione una minore quantità di acqua.

5.4   Il Piano blu (15) ha già preannunciato che la domanda d'acqua nel Sud e nell'Est del Mediterraneo aumenterà del 25 % entro il 2025. Questo aumento della domanda dovrà essere gestito in un contesto contrassegnato dalla carenza idrica e dalla minore disponibilità di questa preziosa risorsa. Il CESE ritiene che la gestione sostenibile dell'acqua non possa consistere esclusivamente in una minore irrigazione, ma debba anche basarsi su migliori politiche di controllo e modernizzazione.

5.5   Nell'agricoltura mediterranea l'irrigazione ha una funzione strategica. La superficie agricola dell'Egitto è totalmente irrigata, il Marocco intende aumentare la sua superficie irrigua di 450 000 ettari entro il 2025, Israele è il paese con la maggior capacità tecnologica al mondo nella gestione dell'acqua per l'agricoltura e la Tunisia è stata in grado di attuare con successo un programma di gestione dell'acqua a fini di irrigazione che ha ricevuto il plauso della FAO e della Banca mondiale.

5.6   Il governo tunisino ha puntato sull'agevolazione dei partenariati pubblico-privati per applicare il suo piano strategico. Nel quadro di questa strategia sono stati concordati contratti agrari con incentivi per gli agricoltori, programmi di miglioramento della superficie irrigata che facilitano la transizione verso colture ad alto valore aggiunto e minor fabbisogno idrico, una ripartizione delle quote concesse in funzione del bacino o un sistema di tariffazione che ha consentito di recuperare i costi. La regione spagnola dell'Andalusia costituisce un esempio nella modernizzazione dei sistemi di irrigazione: in soli 30 anni è riuscita a ridurre del 50 % il fabbisogno idrico per ettaro.

5.7   Il CESE è consapevole dell'urgenza di applicare nuove tecnologie che consentano non soltanto di economizzare l'acqua, ma anche di ottimizzare l'uso di questa risorsa. Nella gestione dell'acqua in agricoltura vanno valutati vari strumenti, come sistemi di irrigazione localizzata, depurazione e desalinizzazione dell'acqua, nuove infrastrutture, varietà geneticamente più adatte a sopportare lo stress idrico, sfruttamento di acque non convenzionali, ecc.

Bruxelles, 18 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Attualmente l'Unione per il Mediterraneo comprende, oltre ai 27 Stati membri dell'UE, i seguenti paesi mediterranei: Algeria, Marocco, Tunisia, Turchia, Egitto, Israele, Autorità palestinese, Siria, Libano, Giordania, Croazia, Albania, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Principato di Monaco, Mauritania e la Libia in qualità di paese osservatore.

(2)  Le conferenze periodiche dei ministri del Commercio euromediterranei hanno il compito di dare l'impulso politico agli aspetti commerciali del processo di liberalizzazione. L'ultima conferenza ministeriale si è svolta nel novembre 2009 presso la sede del CESE a Bruxelles.

(3)  Il settore ortofrutticolo rappresenta il 16 % della produzione agricola finale nell'UE, ma l'ammontare degli aiuti non supera il 4,5 % della spesa a carico del FEAOG.

(4)  Parere del CESE sul tema La sicurezza sanitaria delle importazioni agricole e alimentari (GU C 100 del 30.4.2009, pag. 60).

(5)  Sustainability impact assessment, Eu-Med Ag Pol.

(6)  Questi dati sono esposti nello studio intitolato Defining a trade strategy for Southern Mediterranean Countries («La definizione di una strategia commerciale per i paesi del Sud del Mediterraneo») di Antoine Bouët, Istituto internazionale per la ricerca sulle politiche alimentari (IFPRI), 2006.

(7)  Dell'ammontare complessivo dei fondi MEDA accordati ai paesi partner del Mediterraneo, soltanto il 5 % è stato destinato all'agricoltura e allo sviluppo rurale.

(8)  Parere del CESE sul tema L'UE di fronte alla sfida alimentare mondiale (GU C 100 del 30.4.2009, pag. 44).

(9)  Nei prossimi dieci anni il Marocco stanzierà attraverso l'Agenzia di sviluppo agricolo circa 150 milioni di dirham per l'attuazione delle misure previste nel suo Piano verde.

(10)  Valutazione dell'impatto della liberalizzazione commerciale tra l'UE e i paesi partner del Mediterraneo, EU-MED AGPOL, elaborato dall'Istituto agronomico mediterraneo (IAM) di Montpellier del Ciheam.

(11)  Il contributo della donna alla produzione agricola riveste una particolare rilevanza in quelle zone che sono caratterizzate da una forte migrazione verso le zone urbane.

(12)  Per maggiori informazioni si consulti il sito web www.nowaralebanon.org.

(13)  Cfr. il parere del CESE sul tema Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea del 12 luglio 2007 (CESE 1004/2007). Questo tema è stato discusso anche nella seconda conferenza ministeriale dedicata al rafforzamento del ruolo delle donne nella società che si è tenuta a Marrakech l'11 e 12 novembre 2009.

(14)  Cfr. il parere esplorativo sul tema I rapporti tra il cambiamento climatico e l'agricoltura in Europa (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 59), il parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 67).

(15)  Il Piano blu è un centro di cooperazione in materia di ambiente e sviluppo nel Mediterraneo che fa parte del programma delle Nazioni Unite per il Mediterraneo (UNEP/PAM).


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La promozione degli aspetti socioeconomici delle relazioni UE-America Latina»

(parere d'iniziativa)

(2010/C 347/07)

Relatore: ZUFIAUR NARVAIZA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

La promozione degli aspetti socioeconomici delle relazioni UE-America Latina.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 febbraio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1   Fare un salto di qualità nel partenariato strategico biregionale. Secondo il CESE, nel nuovo contesto mondiale risultano indispensabili un rafforzamento del dialogo politico e definire un'agenda più consistente, che si occupi delle interdipendenze comuni e di questioni che richiedono una migliore regolamentazione internazionale, come l'ambiente, la diminuzione delle disuguaglianze, le migrazioni o la pace e la sicurezza. In ambito biregionale, le conclusioni dei vertici dovrebbero essere rese maggiormente operative.

1.2   Dare nuovo impulso alle politiche tradizionali. Il dialogo sulle migrazioni tra le due regioni deve essere inserito tra i temi centrali dell'agenda biregionale. La coesione sociale va affrontata in base ad un approccio globale che preveda una maggiore cooperazione nel conseguire tale obiettivo, la creazione di meccanismi di convergenza strutturale, la promozione di politiche settoriali e lo sviluppo delle condizioni che favoriscono un lavoro dignitoso. Gli accordi di associazione dovranno contemplare adeguatamente le asimmetrie esistenti, utilizzando a tal fine strumenti come le valutazioni di sostenibilità, il riconoscimento effettivo del principio di trattamento preferenziale e differenziato per i paesi meno sviluppati, la fissazione di deroghe e di periodi transitori nei settori in cui ciò risulti necessario e un approccio differenziato nell'ambito della cooperazione allo sviluppo. La cooperazione con i paesi dell'America Latina a medio reddito dovrebbe orientarsi verso obiettivi di stabilità macroeconomica, il potenziamento delle capacità istituzionali, il miglioramento della competitività e delle capacità commerciali, la riforma fiscale, l'innovazione e la cooperazione in campo educativo, scientifico e tecnologico.

1.3   Creare un'agenda dell'innovazione in quanto fattore di sviluppo e trasformazione produttiva, che affronti gli aspetti sociali dell'innovazione. Il CESE chiede di tener conto della dimensione sociale dell'innovazione nei suoi vari elementi: l'importanza dei contesti sociali e culturali dei processi d'innovazione tecnologica, gli ostacoli sociali (come la povertà) che frenano l'innovazione; le ripercussioni sociali delle politiche di innovazione, la capacità di creare tessuto sociale che è propria dell'innovazione; la necessità di prendere in considerazione e trasformare in politiche pubbliche le innovazioni sociali che nascono dalla società stessa e che provengono da conoscenze ancestrali, collettive o pratiche che si manifestano anche in ambito sociale e ambientale; l'importanza della partecipazione della società civile ai fini dell'accettazione e dell'integrazione delle attività e delle politiche d'innovazione.

1.4   Collocare la partecipazione della società civile organizzata al centro del partenariato strategico UE-America Latina. A tal fine, il CESE chiede che la politica di cooperazione dell'UE e il nuovo programma EurosociAL inseriscano tra le loro priorità il rafforzamento delle organizzazioni della società civile e degli organi o organismi che le rappresentano negli ambiti regionali latinoamericani. Chiede inoltre la creazione di un meccanismo di coordinamento biregionale degli organi rappresentativi della società civile organizzata di entrambe le regioni e la partecipazione del CESE al direttivo della futura Fondazione UE-ALC. Chiede inoltre che la società civile organizzata (SCO) partecipi agli accordi di associazione UE-AL mediante creazione di comitati consultivi misti e che in detti accordi si incorporino capitoli specifici di contenuto sociale, occupazionale e ambientale. Il CESE sostiene inoltre l'istituzionalizzazione della partecipazione della società civile al Partenariato strategico UE-Messico e la partecipazione delle organizzazioni della SCO alla definizione e allo sviluppo del programma EurosociAL e ai forum di coesione sociale AL-UE.

1.5   Per quanto concerne gli Accordi di libero scambio (ALS) che l'UE sta negoziando con le regioni e i paesi dell'America Latina, il CESE sottolinea che il rispetto dei diritti umani, dei diritti sociali e del lavoro fondamentali deve essere considerato una condizione necessaria per la firma di tali accordi da parte delle istituzioni europee. Il CESE ritiene necessario riconoscere meccanismi di monitoraggio, valutazione e consultazione relativi a tali accordi con la partecipazione della società civile organizzata. In particolare, il CESE chiede che la Commissione europea garantisca l'incorporazione di tali principi nella negoziazione degli Accordi di libero scambio che si stanno discutendo con la Colombia e il Perù. Il CESE insiste perché si svolgano dibattiti politici approfonditi nelle istituzioni prima dell'avvio, per non parlare della ratifica, di qualsiasi accordo, come promesso dal commissario designato De Gucht, e chiede di essere coinvolto in questi dibattiti e di associarvi anche le organizzazioni rappresentative della società civile.

2.   Un bilancio positivo delle relazioni UE-America Latina

2.1   Il sesto vertice dei capi di Stato e di governo dei paesi dell'Unione europea e dell'America Latina e Caraibi si svolgerà in un contesto internazionale, europeo e sudamericano, molto diverso da quello di dieci anni fa, quando, in occasione del vertice di Rio del 1999 (1), fu istituito il partenariato strategico euro-latinoamericano.

2.2   Le relazioni tra UE e America Latina hanno già alle spalle una lunga storia, dal varo del dialogo parlamentare PE-Parlatino negli anni '70, del processo di San José o del dialogo CE-Gruppo di Rio. Le organizzazioni della società civile avrebbero voluto progressi più netti, che alcuni accordi di associazione fossero firmati già anni addietro e che le conclusioni dei vertici fossero attuate nella realtà concreta in modo molto più puntuale, ma indubbiamente il bilancio di quanto realizzato ad oggi resta molto positivo. Negli anni '80, le relazioni UE-AL erano guidate dagli imperativi della pace e della democrazia e si sono concretizzate nell'importante contributo che la Comunità europea ha dato ai processi di pace in America centrale. Successivamente, l'UE ha promosso il regionalismo e il partenariato strategico biregionale, adottando un approccio diverso per ciascuna sottoregione, nonché la gestione di sfide comuni derivanti dalla globalizzazione, quali i rischi ambientali, l'energia, la sicurezza alimentare, le migrazioni o la risposta alla crisi economica e finanziaria. Nell'agenda biregionale è stato aggiunto l'obiettivo della coesione sociale e dell'offerta di beni pubblici mondiali e regionali. Inoltre, le relazioni biregionali hanno avuto un impatto sulla governance mondiale attraverso la difesa di un multilateralismo efficace. Come riportato nell'ultima comunicazione della Commissione europea (2), si sono creati strumenti concreti a partire dagli stessi vertici e si è avviato un processo per la creazione di una rete di accordi di associazione (accordi di questo tipo sono già stati firmati con Cile e Messico). Oltre a ciò, è stato possibile concludere partenariati strategici con Brasile e Messico e creare strumenti a sostegno delle politiche settoriali, quali i programmi EurosociAL, EurocLima e altri programmi legati all'insegnamento. Si è istituita altresì l'Assemblea parlamentare euro-latinoamericana (EuroLat) e l'Unione europea continua ad essere il primo investitore nella regione, il secondo partner commerciale e il principale donatore di aiuti allo sviluppo.

2.3   Per quanto concerne la società civile, si è tessuta una rete di relazioni con le istituzioni rappresentative della SCO nelle sottoregioni dell'America Latina, si è contribuito in modo efficace ad aumentare il coordinamento tra i diversi settori - imprenditoria, sindacati e terzo settore - di entrambi i continenti e si è migliorata la collaborazione con i parlamenti regionali. Il CESE gode dello status di osservatore in seno ad EuroLat, con cui ha firmato un protocollo di cooperazione aperto anche all'integrazione delle istituzioni omologhe del CESE in America Latina. Nel quadro del partenariato strategico UE-Brasile, il CESE e il Consiglio per lo sviluppo economico e sociale del Brasile (CDES) hanno istituito la tavola rotonda UE-Brasile. Inoltre, il CESE ha contribuito a rafforzare la partecipazione della società civile ai processi di integrazione subregionale in America Latina e si è progredito, seppur non abbastanza, verso la partecipazione della SCO ai negoziati, verso il riconoscimento del principio di istituzionalizzazione di meccanismi di monitoraggio e consultazione negli accordi di associazione e la necessità che tali accordi includano una dimensione sociale, lavorativa e ambientale.

3.   Fare un salto di qualità nel partenariato strategico biregionale

3.1   Il nuovo contesto politico è attualmente caratterizzato da una crisi economica mondiale, dalla sfida ambientale, dall'ascesa economica dell'Asia, dalla paralisi dei negoziati dell'OMC, dall'aumento dei flussi migratori, dall'intensificarsi in tutti i sensi delle relazioni Sud-Sud e dall'emergere di nuovi forum di governance internazionali - G20, BRIC. In questa situazione, i paesi in via di sviluppo stanno acquisendo un ruolo più importante, che dovrà estendersi ad altri organi, come le istituzioni finanziarie internazionali (3) o gli organismi del sistema delle Nazioni Unite. In considerazione di ciò, è necessario aggiornare l'agenda delle relazioni UE-AL e creare meccanismi più specifici e funzionali per sviluppare le conclusioni dei vertici e di tutti gli ambiti delle relazioni bilaterali.

3.2   Al contempo, in America Latina stanno nascendo nuovi progetti di integrazione, come l'Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), che danno maggiore rilevanza alla dimensione politica, di sicurezza e di difesa, alle infrastrutture o al coordinamento delle politiche energetiche o finanziarie. Parallelamente a ciò, la crescente necessità di una politica di cooperazione su scala internazionale, emersa in particolare in seguito alla crisi, fa sì che questioni non commerciali quali i rischi ambientali, l'energia, la sicurezza degli alimenti e degli approvvigionamenti alimentari, le migrazioni, la povertà e le disuguaglianze, la stabilità finanziaria internazionale acquistino maggiore peso nell'agenda biregionale.

3.3   Il CESE ritiene che questa nuova tappa richieda un rafforzamento del dialogo politico e un'agenda rinnovata, incentrata sulle interdipendenze comuni su questioni che richiedono una maggiore e migliore regolamentazione internazionale, come l'ambiente, le migrazioni, l'aumento delle disuguaglianze o la pace e la sicurezza. Ciò dovrebbe implicare l'elaborazione di piani comuni per fronteggiare le conseguenze sociali della crisi economica e finanziaria e una maggiore cooperazione in materia di cambiamento climatico e dei suoi effetti negativi, cambiamento del modello energetico, ricerca e sviluppo e governance mondiale. Al contempo, continua ad essere necessario mantenere gli obiettivi tradizionali delle relazioni biregionali: la promozione della coesione sociale, l'integrazione regionale, l'adeguamento e l'intensificazione dei programmi di cooperazione e un nuovo slancio agli accordi di associazione avviati, tramite l'adozione di formule che tengano in maggiore considerazione le asimmetrie e che garantiscano meglio la coesione sociale. A questo proposito il CESE, pur non negando la possibilità di miglioramenti, accoglie favorevolmente l'annuncio della Commissione di creare un Fondo investimenti per l'America Latina (LAIF), che favorirà l'integrazione e l'interconnettività regionali e lo sviluppo di politiche settoriali, rafforzerà la componente di coesione sociale degli accordi - parallelamente ad altre misure di carattere economico e sociale - e darà slancio alle iniziative in atto per l'istituzione di fondi di coesione, come il Fondo per la convergenza strutturale del Mercosur (FOCEM) o il già previsto Fondo di coesione nell'ambito della Convenzione dell'Unione doganale adottata dall'America centrale nel 2007.

4.   Favorire il coinvolgimento della società civile organizzata negli obiettivi e nei programmi del partenariato strategico

4.1   Il CESE, in base alla propria esperienza di integrazione europea, ritiene che per rafforzare il partenariato strategico biregionale e i suoi obiettivi politici, economici e sociali sia necessario integrare la partecipazione della società civile organizzata in tutte le fasi del processo in modo molto più deciso, articolato ed efficace. La partecipazione sociale è essenziale per sviluppare relazioni più aperte e trasparenti, per farle maggiormente conoscere, per promuovere un sentimento di partecipazione più forte delle rispettive società a tali relazioni e per rendere effettive le misure concordate. Le relazioni tra UE e ALC sono nate oltre trent'anni fa dai rapporti tessuti dalle formazioni politiche e dalle organizzazioni sociali. Per rivitalizzare il dialogo biregionale pertanto non basta inserire nuovi temi in agenda o rendere quest'ultima più agile e efficace, ma occorre anche integrare nel dialogo soggetti e settori diversi.

4.2   Effettivamente, la spinta dal basso verso l'alto delle organizzazioni della società civile organizzata è fondamentale al fine di promuovere e legittimare i processi di integrazione regionale. Allo stesso modo, l'attuazione di politiche pubbliche di coesione sociale richiede sia la creazione che il rafforzamento di strutture sociali partecipative. A questo proposito, il CESE chiede alla Commissione di prevedere, in fase di revisione del programma EurosociAL, un piano di rafforzamento delle organizzazioni della società civile e delle associazioni o degli organi che le rappresentano negli ambiti regionali.

4.3   Il CESE condivide appieno l'ambizione che il partenariato strategico biregionale disponga di un piano d'azione più preciso, operativo e soggetto a monitoraggio e valutazione. Per aumentare l'efficacia del partenariato, si dovrebbe articolare la partecipazione dei diversi organi rappresentativi della SCO europea e dell'America Latina, vale a dire: il Forum consultivo economico e sociale del Mercosur, il comitato consultivo del Sistema d'integrazione centroamericano (SICA), i consigli consultivi dei lavoratori e degli imprenditori della Comunità andina, il Consiglio consultivo andino dei popoli indigeni, l'Associazione andina dei consumatori, altri organi eventualmente istituiti in Cile e Messico, e lo stesso CESE. Tutti questi organi potrebbero contribuire positivamente allo sviluppo delle politiche approvate in occasione del vertice e inserite nell'agenda biregionale, come la politica di coesione sociale, la politica di lotta al cambiamento climatico, la politica d'innovazione, la politica d'immigrazione, le iniziative per creare posti di lavoro dignitosi. Il CESE s'impegna a favorire la creazione di un meccanismo di coordinamento biregionale delle istituzioni rappresentative della SCO di entrambe le regioni che serva a trasmettere tali contributi nei periodi che intercorrono tra un vertice UE-AL e l'altro.

4.4   Il CESE plaude alla preannunciata istituzione di una Fondazione UE-ALC quale organo di preparazione e monitoraggio e, ove applicabile, di attuazione delle decisioni dei vertici, e ritiene che la funzione di articolazione e partecipazione dei diversi soggetti che tale Fondazione è in grado di svolgere potrebbe rivelarsi molto positiva in questo senso. Il CESE, in qualità di organo più rappresentativo della società civile organizzata europea, chiede di partecipare al direttivo della futura Fondazione UE-ALC.

4.5   Come richiesto in occasione di tutti i precedenti vertici, tale partecipazione della SCO dovrebbe riflettersi negli accordi di associazione, che dovrebbero prevedere la creazione di comitati consultivi misti, l'inserimento della dimensione sociale, lavorativa e ambientale e il coinvolgimento e la consultazione della società civile nelle valutazioni d'impatto degli accordi.

4.6   Allo stesso modo, così come è stata riconosciuta alla società civile di entrambe le regioni la possibilità di partecipare al partenariato strategico UE-Brasile, tramite la costituzione di una tavola rotonda tra le istituzioni rappresentative della SCO, il CESE chiede l'istituzionalizzazione di una partecipazione simile anche nel quadro del partenariato strategico UE-Messico.

4.7   Il CESE ritiene che per garantire un'integrazione effettiva della società civile organizzata nel partenariato strategico biregionale sia necessario intensificare la sua collaborazione con l'Assemblea parlamentare euro-latinoamericana. A questo proposito, il Comitato metterà a punto un sistema di comunicazione efficace con tale Assemblea e, in qualità di istituzione che gode dello status di osservatore in EuroLat, si farà portavoce dei contributi delle organizzazioni della società civile sui temi oggetto di dibattito e di consenso nel quadro di tale organo. La creazione del meccanismo di coordinamento biregionale citato al punto 4.3 darebbe un grande contributo in questo senso.

4.8   Il CESE chiede altresì una maggiore partecipazione delle organizzazioni socio-professionali alla definizione e allo sviluppo della seconda fase del programma EurosociAL e ritiene che potrebbe contribuire in modo più efficace al Forum per la coesione sociale se fosse maggiormente coinvolto nella sua organizzazione e evoluzione.

5.   Aspetti socioeconomici delle relazioni UE-ALC

5.1   La politica di immigrazione UE-AL

5.1.1   L'aumento dei flussi migratori dall'America Latina verso l'Europa impone di inserire il dialogo sulle migrazioni tra le due regioni tra i temi centrali dell'agenda biregionale. Da tale dialogo dovrebbe emergere un consenso al fine di privilegiare lo sviluppo di politiche di migrazione preventiva in grado di offrire vie legali all'emigrazione e la promozione di adeguate politiche d'integrazione. A tal fine bisognerebbe garantire i diritti fondamentali degli immigrati, in particolare i diritti del lavoro e i diritti sociali, stipulare convenzioni per il riconoscimento delle qualifiche professionali, agevolare le procedure in materia di immigrazione temporanea e di ricongiungimento familiare per i lavoratori migranti stabilitisi nell'UE e concludere accordi per promuovere il diritto degli immigrati a partecipare alla vita politica. Contemporaneamente, bisognerebbe garantire lo stesso trattamento ai migranti dall'UE ai paesi dell'AL e Caraibi.

5.1.2   Relativamente ai flussi migratori temporanei (lavoratori distaccati) o permanenti (emigrazione classica), si dovrebbero trovare soluzioni per evitare che, nell'ambito della prestazione di servizi o degli investimenti da parte delle imprese, i lavoratori temporaneamente distaccati dall'UE in AL e viceversa siano soggetti al versamento di contributi doppi nel paese d'origine e nel paese dove lavorano. Questi doppi versamenti si potrebbero evitare adottando strumenti bilaterali che disciplinino l'unicità della legislazione applicabile.

5.1.3   Per quanto riguarda l'emigrazione più classica, è indispensabile disciplinare l'esportabilità delle prestazioni e in particolare delle pensioni. L'accettazione o l'avvio di tali meccanismi, equivalenti a quelli che esistono già in altri ambiti, da parte sia dell'UE sia dell'America Latina, arricchirebbe le relazioni interistituzionali e favorirebbe la situazione dei lavoratori migranti che, al termine della loro carriera lavorativa, potrebbero ritornare nei rispettivi paesi d'origine con le pensioni maturate, frutto del loro lavoro e dei contributi versati.

5.1.4   Per evitare che i lavoratori migranti siano spinti a ricongiungimenti familiari di breve durata, con il conseguente sradicamento dal paese di origine, si potrebbe prevedere il riconoscimento di prestazioni familiari ai lavoratori che svolgono la propria attività in uno Stato diverso da quello in cui risiedono i loro familiari. Ciò consentirebbe di trasferire i diritti anziché le famiglie, con conseguenti benefici per tutte le parti interessate. A questo proposito e come prima linea di azione, si potrebbero includere negli accordi di associazione UE-ALC esistenti o in fase di negoziato clausole di sicurezza sociale simili a quelle incluse negli accordi euromediterranei (4). Infine, considerando l'esistenza di una Convenzione multilaterale iberoamericana sulla sicurezza sociale (5)e del regolamento (CE) n. 883/2004, si potrebbe valutare la possibilità di un coordinamento tra questi due strumenti che sarebbe utile sia ai lavoratori sia alle imprese. Ciò contribuirebbe a migliorare le relazioni economiche e sociali tra UE e America Latina.

5.1.5   Secondo il CESE è fondamentale che tra le priorità d'azione del prossimo programma EurosociAL II figuri il tema della migrazione tra UE e AL. Inoltre, il CESE è favorevole all'attuazione della proposta del Parlamento europeo di creare un osservatorio biregionale delle migrazioni.

5.2   Coesione sociale

5.2.1   In base all'esperienza europea, la politica di coesione richiede, oltre ai fondi strutturali, un approccio globale e coerente che integri diverse politiche, dalla stabilità macroeconomica alla lotta alla discriminazione. Dato che la coesione dipende essenzialmente dalle politiche e dalle risorse nazionali, l'America Latina dovrebbe porre maggiormente l'accento sulle politiche interne: politica fiscale, protezione sociale, politiche attive di promozione della competitività e del lavoro dignitoso.

5.2.2   La promozione della coesione sociale nei processi di integrazione regionale implica l'attuazione di una serie di misure, il riconoscimento delle asimmetrie esistenti tra i paesi e le regioni e la realizzazione di azioni nel campo delle infrastrutture, nonché fondi di coesione, l'armonizzazione delle legislazioni, politiche normative, meccanismi efficaci di risoluzione delle controversie, politiche di armonizzazione delle leggi sul lavoro, una gestione comune delle migrazioni, politiche industriali e di inquadramento dei settori produttivi. Secondo il CESE, il partenariato biregionale dovrebbe superare gli approcci esclusivamente istituzionali e progredire con i dialoghi settoriali fino ad elaborare un piano d'azione biregionale che stimoli dinamiche di integrazione e contribuisca alla convergenza economica e sociale nella regione sanando le asimmetrie interne esistenti tra i paesi e le regioni.

5.2.3   Il CESE ritiene che un quadro democratico di rapporti di lavoro capace di dare un impulso deciso, la diffusione del lavoro dignitoso, l'emergere dell'economia sommersa, la protezione sociale, la contrattazione collettiva e il dialogo sociale siano elementi essenziali della coesione sociale e chiede che gli interlocutori sociali siano coinvolti nella valutazione della prima esperienza EuroSociAL in questo ambito e nella progettazione e nella gestione di EuroSociAL II.

5.2.4   Il CESE ritiene essenziale per la coesione sociale il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni, come stabilito nella Convenzione 169 dell'OIL dell'anno 1989 concernente i popoli indigeni e tribali negli Stati indipendenti.

5.3   Accordi di associazione

5.3.1   Secondo il CESE, sia per agevolare i negoziati degli accordi di associazione in corso che per contribuire agli obiettivi biregionali di coesione sociale, è necessario che tali accordi, che implicano processi di liberalizzazione economica profondi, tengano in debito conto le asimmetrie esistenti tra le sottoregioni dell'America Latina coinvolte e l'UE. A tal fine, si dovrebbero utilizzare strumenti come la valutazione della sostenibilità (con una partecipazione costante della società civile organizzata agli studi di valutazione dell'impatto), il riconoscimento del principio di trattamento speciale e differenziato per i paesi meno sviluppati, la possibilità di prevedere deroghe e periodi transitori per i settori ove siano necessari un'impostazione differenziata della cooperazione allo sviluppo e lo stimolo dei fondi di convergenza.

5.3.2   D'altro canto, il CESE ritiene essenziale che l'UE mantenga la sua politica di sostegno ai processi di integrazione in atto in America Latina. È inoltre dell'avviso che tanto i negoziati multilaterali avviati con alcuni paesi quanto i partenariati strategici stabiliti con altri debbano contribuire al raggiungimento di accordi regionali e al rafforzamento dei processi di integrazione. A tal fine, sarebbe opportuno utilizzare una strategia e misure come quelle riportate al punto 5.2.2. Per il CESE, questo è un elemento cardine del partenariato strategico biregionale e una condizione essenziale per fare dell'Europa e dell'America Latina partner globali nella governance multilaterale.

5.3.3   Il CESE chiede che si sviluppino e si attuino le disposizioni dell'accordo di associazione UE-Cile che si riferiscono alla partecipazione della società civile e a tale proposito chiede di essere consultato insieme alle organizzazioni rappresentative della società civile cilena. Allo stesso modo, chiede al Consiglio di associazione dell'Accordo UE-Messico di creare un comitato consultivo misto quale organo di monitoraggio e consultazione della società civile organizzata nel quadro dell'Accordo.

5.4   Cooperazione

5.4.1   Negli ultimi anni sono stati compiuti grossi sforzi per adattare la cooperazione allo sviluppo dell'UE ai cambiamenti intervenuti nell'agenda dello sviluppo, compreso quello dei paesi a medio reddito. Secondo il CESE, fermo restando che l'UE deve continuare a destinare le risorse in via prioritaria verso i paesi con il reddito più basso della regione, anche la cooperazione con i paesi a medio reddito deve continuare e deve essere orientata verso obiettivi strategici come la stabilità macroeconomica e del sistema finanziario, il rafforzamento delle capacità istituzionali, l'efficacia e l'efficienza delle politiche pubbliche, le riforme fiscali, le capacità produttive e gli investimenti nel capitale umano, l'innovazione e il sostegno alle parti sociali in qualità di promotrici di cambiamenti istituzionali e normativi.

5.4.2   La conclusione di accordi di associazione richiederebbe un maggiore adattamento dei programmi di cooperazione in direzione di un sostegno alle politiche tese a trasformare la produzione e a migliorare la competitività, con particolare attenzione alle capacità delle PMI, all'agevolazione del commercio e al collegamento fisico dei mercati.

5.4.3   Sarebbe altrettanto importante rafforzare le capacità commerciali e promuovere l'adozione di politiche comuni nel quadro dei processi di integrazione regionale per favorire la coesione sociale e territoriale e ridurre le asimmetrie interne. A sua volta, la cooperazione nel campo dell'istruzione, della scienza e della tecnologia può contribuire alla trasformazione della produzione e a sostenere le politiche nazionali in materia di ricerca, sviluppo e innovazione, sia attraverso gli enti pubblici che attraverso programmi di incentivi per il settore privato.

6.   Innovazione, trasformazione della produzione e sviluppo

6.1   In previsione del sesto vertice UE-ALC, i governi hanno deciso di concentrare i dibattiti sul tema dell'innovazione. L'innovazione è uno dei principali, se non il principale, motore di sviluppo, essenziale per avere cicli di crescita e di benessere prolungati e sostenuti. Al giorno d'oggi, sebbene il ruolo dell'industria nello sviluppo dei progressi tecnici resti fondamentale, l'innovazione è presente anche in altri settori produttivi, quali i servizi, l'agricoltura e l'energia e, di conseguenza, è essenziale per aumentare la produttività di molti altri settori.

6.2   L'innovazione è anche un fattore determinante di due tendenze importanti che stanno caratterizzando la globalizzazione dell'economia: lo sviluppo di un'economia della conoscenza e la transizione verso un'economia sostenibile. In questi ambiti, l'articolazione tra la dimensione globale e la dimensione locale dell'innovazione è una condizione indispensabile.

6.3   Il CESE proporrà alle organizzazioni latinoamericane sue omologhe che in occasione del sesto incontro della società civile organizzata UE-AL 2010 venga ribadita l'importanza dell'innovazione per la trasformazione della produzione, lo sviluppo e la coesione sociale e si sottolinei la dimensione sociale dell'innovazione nei suoi diversi aspetti. Ciò è particolarmente importante per le relazioni biregionali in un momento in cui queste si propongono di creare una «rete» di accordi di associazione, comprese zone di libero scambio. Gli obiettivi ambiziosi di liberalizzazione economica di questi accordi, considerati di tipo «OMC plus» poiché vanno oltre quanto negoziato nel quadro dell'Organizzazione mondiale del commercio, possono implicare ingenti spese di adeguamento da affrontare con politiche attive di trasformazione e ammodernamento della produzione e miglioramento della competitività, in cui la creazione di sistemi nazionali di ricerca, innovazione e sviluppo deve svolgere un ruolo di primo piano.

6.4   Il trasferimento di tecnologie è un aspetto particolarmente rilevante, in virtù del suo ruolo chiave nei processi di innovazione. Gli standard elevati in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale previsti negli accordi di associazione possono costituire sia un incentivo o una garanzia per il trasferimento di tecnologie da parte degli investitori europei sia un grosso ostacolo per lo sviluppo o il trasferimento di tecnologie e per l'innovazione, come segnalato da alcuni governi della regione. Per questo motivo è particolarmente importante che questi accordi siano caratterizzati da una maggiore flessibilità e che prevedano formule che riconoscano le forti asimmetrie esistenti tra le due regioni in questo campo. Come già precedentemente sottolineato, sarebbe utile includere a questo fine la cooperazione allo sviluppo dell'UE.

6.5   L'UE dispone già di molti strumenti per la cooperazione con l'America Latina in materia di ricerca, sviluppo e innovazione. Ricordiamo in particolare gli strumenti derivati dal VII programma quadro e gli accordi di cooperazione tecnologica firmati con i paesi con il maggiore grado di sviluppo relativo della regione, nonché i programmi di borse di studio di ricerca e di cooperazione accademica biregionale (ALBAN, ALFA) e i programmi gestiti dalla direzione generale Istruzione e cultura della Commissione. Tuttavia, a oggi non esiste una strategia integrata che raggruppi tutti questi strumenti e li metta in relazione con gli obiettivi del partenariato biregionale. È indispensabile superare l'attuale dispersione degli strumenti, in particolare in seno alla Commissione, e garantire che questi contribuiscano al rafforzamento delle capacità nazionali in materia di ricerca, sviluppo e innovazione. In questo contesto, va ricordata l'importanza dell'istituzione di uno spazio comune di istruzione superiore e di ricerca UE-ALC nel quadro del partenariato strategico biregionale e dell'elaborazione di un'agenda per l'innovazione e lo sviluppo tra le due regioni. La cooperazione nel campo dell'istruzione, della scienza e della tecnologia può essere di sostegno tanto alla trasformazione della produzione quanto alle politiche nazionali in materia di ricerca, sviluppo e innovazione.

6.6   L'innovazione interessa molti altri ambiti importanti per il partenariato biregionale, come il miglioramento del livello e della qualità della vita dei cittadini, attraverso il suo impatto ad esempio sull'aumento della produttività nella produzione degli alimenti, che a sua volta contribuisce all'autosufficienza alimentare, nonché attraverso l'applicazione di metodologie, tecniche, prodotti e servizi innovativi in campi quali la sanità, l'istruzione e la previdenza sociale. In tal modo si agevola l'accesso a tali servizi da parte di taluni settori della popolazione e si contribuisce ad eliminare alcune discriminazioni come quella che continua a caratterizzare l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Le nuove tecnologie per la produzione di energie rinnovabili e per migliorare l'efficienza energetica e ridurre l'impatto inquinante delle energie fossili, così come le nuove tecnologie legate alla soluzione dei problemi di accesso all'acqua potabile e di desertificazione dei terreni sono altri esempi dell'importanza dell'innovazione per migliorare la qualità della vita dei cittadini.

6.7   Si registra un consenso sull'idea che i tre pilastri su cui si basa l'innovazione siano la conoscenza, le istituzioni e le imprese. Di conseguenza, i grandi protagonisti del processo di innovazione sono in genere le università, le istituzioni pubbliche e i centri produttivi. Ciò detto, l'innovazione può derivare da vari tipi di conoscenza: scientifica, tecnologica, ancestrale o acquisita (ad esempio, le persone del luogo che conoscono le proprietà delle piante o i lavoratori qualificati di un'impresa). Allo stesso modo, quando si parla di istituzioni (diverse da quelle del mercato) si fa generalmente riferimento alle agenzie e ad altri organismi pubblici, ma per stimolare l'innovazione sono importanti anche altri tipi di istituzioni, ad esempio quelle che disciplinano i rapporti di lavoro. Infine, l'innovazione non riguarda solamente il settore produttivo e le imprese, ma anche il settore sociale (sanità, istruzione, alloggi, difesa, giustizia, sicurezza) e l'ambiente (acqua, suolo, biodiversità, deforestazione, ecc.).

6.8   Nell'ambito dell'analisi teorica si riconosce la necessità di considerare l'innovazione da un punto di vista sociale integrale, di considerarla cioè come un insieme sistemico che riguarda la società nel suo complesso ed è dunque trasversale rispetto ad essa, comprendendo tutta una serie di aspetti, da quelli puramente scientifici o tecnologici a quelli sociali e istituzionali. In considerazione di ciò, a partire dagli anni '90 si è iniziato a tener conto degli aspetti socioculturali e organizzativi dell'innovazione che fino a quel momento erano stati tralasciati. Da un punto di vista storico, l'innovazione tecnologica è messa in relazione all'innovazione sociale o alla dimensione sociale dell'innovazione e viceversa. Il rapporto tra innovazione sociale e sviluppo economico è evidente, ragion per cui la dimensione sociale dell'innovazione si potrebbe considerare di importanza vitale, soprattutto in situazioni di sviluppo strutturale incipiente.

6.9   Un'altra caratteristica fondamentale dell'innovazione è la sua capacità di creare tessuto sociale articolando legami sociali tra singoli, gruppi, associazioni e istituzioni a partire da un consenso di base (bene comune, interesse comune, destino condiviso, ecc.), legami in grado di creare contesti sociali favorevoli all'introduzione, all'integrazione e alla diffusione delle innovazioni.

6.10   D'altro canto, non va dimenticato che l'esistenza di ostacoli sociali, come quello rappresentato dalla povertà, frena oggettivamente i processi di innovazione, da un lato perché limita l'assorbimento degli aumenti di produzione derivanti dall'innovazione in quanto manca una domanda solvibile, dall'altro per la carenza di capitale umano in grado di promuovere e sviluppare i processi d'innovazione.

6.11   Oltre a quanto già sottolineato, l'innovazione è il risultato di una complessa serie di rapporti tra soggetti che producono, distribuiscono e applicano diversi tipi di conoscenza. In molti casi, ad esempio nei poli e nei cluster industriali e di sviluppo, l'innovazione richiede uno spiccato dinamismo regionale e locale, che è impossibile senza la partecipazione delle organizzazioni della società civile. L'innovazione implica un profondo cambiamento culturale che la ponga al centro delle strategie economiche e sociali. Sul piano delle imprese, l'innovazione richiede investimenti costosi e a lungo termine, il che prevede l'accettazione sociale dei cambiamenti e sistemi di rapporti di lavoro basati sul negoziato e sul consenso oltre a una politica di formazione del capitale umano nei diversi momenti della vita e a vari livelli, come ad esempio la formazione professionale e l'apprendimento permanenti.

6.12   Ai fini del presente parere, da quanto sopra esposto si può trarre una conclusione: l'importanza della dimensione sociale dell'innovazione. Per evitare i rischi di un approccio tecnocratico all'innovazione, è necessario sottolineare l'importanza che rivestono, in questi processi, la partecipazione sociale e i contesti istituzionali che la promuovono e la rendono possibile. Questo aspetto è particolarmente importante per il CESE, che chiede una partecipazione reale degli attori sociali e dei loro organismi rappresentativi all'elaborazione delle proposte che riguardano il capitale umano e, in generale, l'inclusione della dimensione sociale nel piano d'azione sull'innovazione che sarà elaborato durante il vertice.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitat o economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Fino ad oggi, si sono svolti i seguenti vertici: Rio de Janeiro 1999, Madrid 2002, Città del Messico 2004, Vienna 2006, Lima 2008.

(2)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio dal titolo L'Unione europea e l'America Latina: attori globali in partenariato COM(2009) 495 def.

(3)  Si vedano a questo proposito le raccomandazioni del CESE contenute nel suo Programma per l'Europa: «L'UE dovrebbe […] favorire il rafforzamento dei poteri dei paesi in via di sviluppo nelle istituzioni internazionali, in particolare in seno al FMI e alla Banca mondiale» (18.3).

(4)  Decisione del Consiglio e della Commissione del 24 gennaio 2000 in merito alla firma dell'Accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da un lato, e il Regno del Marocco dall'altro (2000/204/CE, CECA) – GU L 70 del 18.3.2000, pag. 1. Si vedano nello specifico gli articoli 64 e 68.

(5)  http://www.oiss.org/IMG/pdf/Convenio_2007_esp.pdf.


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le relazioni tra l'Unione europea e il Marocco»

(parere d'iniziativa)

(2010/C 347/08)

Relatrice: LÓPEZ ALMENDÁRIZ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le relazioni tra l'Unione europea e il Marocco.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 gennaio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 187 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) giudica estremamente importante l'accordo raggiunto in Marocco per la creazione di un Consiglio economico e sociale e auspica che tale iniziativa possa essere portata a termine nei tempi previsti. La sua attuazione è infatti in una fase avanzata dato che il progetto di legge costituzionale che crea questa nuova istituzione è stato approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso mese di ottobre e sarà sottoposto all'approvazione del Parlamento. Il CESE auspica inoltre che il Consiglio economico e sociale marocchino, composto dai rappresentanti delle forze vive e produttive del paese (principalmente le organizzazioni socioeconomiche e imprenditoriali nonché le più importanti strutture associative), cominci ad operare nei prossimi mesi. Il CESE è comunque pronto a mettere a disposizione le sue conoscenze e la sua esperienza al fine di agevolare il raggiungimento di tale obiettivo.

1.2   Il CESE raccomanda ai capi di Stato riuniti nel primo vertice UE-Marocco, che si terrà nel primo semestre del 2010 durante la presidenza spagnola, di dare al CESE e al futuro CES marocchino l'incarico di definire una cooperazione strutturata tale da garantire la partecipazione attiva della società civile organizzata.

1.3   Il Comitato prende atto dell'impegno del governo marocchino a introdurre l'acquis comunitario nella sua legislazione, pur non essendo il Marocco uno Stato membro dell'UE. Questa circostanza faciliterà una maggiore partecipazione futura del Marocco al mercato unico europeo nel suo complesso. L'integrazione dell'acquis comunitario dovrebbe rafforzare l'efficacia degli organi di concertazione e negoziazione, basati sui principi di rappresentatività e di autonomia. Tali organi dovranno disporre delle risorse sufficienti per lo svolgimento del loro lavoro e dovranno godere del diritto di accesso alle informazioni e ai documenti amministrativi necessari a tal fine.

1.4   Con riferimento al processo attraverso il quale il Marocco ha conseguito lo status avanzato (conferito con decisione del Consiglio di associazione riunitosi a Lussemburgo il 13 ottobre 2008), il CESE apprezza gli sforzi condotti da tale paese per continuare ad essere uno dei partner principali dell'UE nella sua regione. Analogamente a quanto avviene per altri Stati, ad esempio i membri dello Spazio economico europeo, il fatto che il Marocco abbia acquisito uno status avanzato grazie ai progressi raggiunti nei suoi accordi con l'UE e nel riconoscimento dellacquis comunitario in tutti i campi, compreso quello sociale e quello dei diritti umani, potrebbe essere un incentivo per le autorità del paese.

1.5   Il Comitato accoglie favorevolmente i cambiamenti in atto in Marocco, ma è innegabile che restano ancora numerose riforme da realizzare affinché il paese possa essere considerato un paese sviluppato, dove vigono ampie garanzie.

1.6   Il CESE ritiene che non tutte le potenzialità delle relazioni con il Marocco siano state pienamente sfruttate in tutti i loro aspetti. Lo sfruttamento di tali potenzialità deve innanzitutto prevedere un beneficio per la società marocchina. A suo avviso, pertanto, occorre promuovere le riforme per aprire nuovi settori allo scambio di servizi e agli investimenti. È opportuno favorire lo stabilimento di imprese da entrambe le parti, agevolando le relazioni istituzionali e creando un ambiente favorevole all'attività imprenditoriale e spazi di incontro. È necessario potenziare la cooperazione bilaterale nell'ambito di iniziative esterne di interesse comune, soprattutto con gli altri paesi del bacino del Mediterraneo, ai fini di una migliore integrazione regionale sul piano tanto economico quanto sociale e ambientale.

1.7   È altresì fondamentale coinvolgere la società civile nello svolgimento di questi compiti. In tale contesto, come sottolineato in precedenza, il CESE è del tutto favorevole alla creazione di un Consiglio economico e sociale marocchino dotato di competenze consultive. Esso invita dunque le autorità marocchine a realizzare consultazioni pubbliche per conseguire tale obiettivo. Le basi su cui poggerà detto organo dovranno essere la rappresentatività, l'indipendenza e la legittimità. In base all'esperienza di cui si può vantare, il CESE afferma che per garantire la creazione di una istituzione dotata di queste caratteristiche è essenziale la ricerca di un consenso tra i diversi settori della società civile interessati e il governo marocchino, nonché la definizione di criteri equi per quanto concerne la rappresentatività delle organizzazioni che ne fanno parte. Tali organizzazioni devono essere libere di designare i loro rappresentanti. La creazione di un Consiglio economico e sociale marocchino non dovrebbe legittimare in nessun modo la soppressione di altre istituzioni consultive esistenti, che già praticano la consultazione della società civile e che contribuiscono a renderla più matura. In linea di principio nessuna delle materie sulle quali il governo si pronuncia, comprese le questioni finanziarie, dovrebbe essere esclusa dalle competenze del Consiglio economico e sociale.

1.8   Per l'UE, l'obiettivo finale è quello di rendere il Marocco un punto di riferimento strategico fondamentale delle sue relazioni con la zona Euromed, in tutti gli aspetti presenti e futuri.

1.9   In tal senso, il CESE raccomanda di creare un Osservatorio del mercato del lavoro, un sistema di formazione professionale e un regime di previdenza sociale che non discrimini le donne e consenta di lottare più efficacemente contro il lavoro minorile. Il CESE raccomanda inoltre alla Commissione europea di sostenere gli attori del dialogo sociale, vale a dire le parti sociali, al fine di rafforzare tale dialogo e di renderlo produttivo.

1.10   Il Comitato si rammarica che l'Accordo di associazione UE-Marocco sia stato firmato senza consultare previamente gli interlocutori sociali di entrambe le parti sulla cooperazione in materia di occupazione e di sviluppo sociale.

1.11   Questo è il contesto nel quale il CESE elabora il presente parere sul Marocco, nella speranza che la società civile organizzata sia presa in considerazione nelle relazioni bilaterali. Il CESE propone inoltre una nuova struttura per il dialogo tra le società civili di entrambe le parti.

2.   Motivazione

2.1   Il Marocco è un partner privilegiato dell'Unione europea, di cui condivide gli obiettivi di politica estera volti a promuovere la democrazia e lo sviluppo economico e sociale. Per contribuire a raggiungere detti obiettivi, il governo marocchino lavora per portare avanti il suo processo di democratizzazione e il consolidamento dello Stato di diritto, e in tal senso è il paese più avanzato della sua regione.

2.2   La strategia dell'UE nelle sue relazioni col Marocco consiste nel far fronte alle due principali preoccupazioni del paese, quelle che dominano la sua agenda politica, economica e sociale. Occorre in primo luogo proseguire sulla strada della crescita economica e sconfiggere la disoccupazione, la povertà e l'emigrazione. Dal punto di vista della politica estera, invece, è opportuno far sì che venga data piena applicazione all'accordo di partenariato, alla politica europea di vicinato e ai programmi d'azione.

2.3   Il gruppo di lavoro ad hoc UE-Marocco ha raccomandato di potenziare le relazioni tra i nuovi protagonisti del partenariato UE-Marocco, in particolare tra il Parlamento europeo e il Parlamento marocchino (1) e tra il Comitato economico e sociale europeo e il Consiglio economico e sociale marocchino di futura creazione.

3.   La situazione politica

3.1   Il Marocco è una monarchia costituzionale nell'ambito della quale la casa reale conserva poteri importantissimi nel governo del paese. L'attuale Costituzione del 1970, modificata nel 1991 e nel 1996, prevede un sistema parlamentare bicamerale, proibisce espressamente un sistema basato su un partito unico e garantisce la libertà di associazione.

3.2   In questi ultimi anni il Marocco sta portando avanti un processo di modernizzazione e democratizzazione del proprio sistema politico. Tra i risultati conseguiti figurano la definizione di un nuovo diritto di famiglia, la legge sui partiti politici, il potenziamento della democrazia locale, la riforma della giustizia e del sistema penitenziario e infine un progetto di nuova legge elettorale. Il CESE tuttavia ritiene che, nonostante tali risultati, sussistano enormi sfide sociali le quali richiederanno un'azione costante e coerente a lungo termine di ridistribuzione sociale, che consentirà di riequilibrare gli indicatori di sviluppo umano.

4.   La situazione economica

4.1   Il quadro macroeconomico del Marocco si è andato consolidando in un contesto poco favorevole. Ciononostante, il settore turistico vive ultimamente un periodo di pieno sviluppo, con grandi investimenti soprattutto nella zona Nord del paese, ma anche altrove. È stata avviata un'importante riforma agricola al fine di migliorare la produttività e rafforzare il ruolo che il settore agricolo svolge nella lotta alla povertà.

4.2   Malgrado il fatto che ci sia ancora molto da migliorare per quanto riguarda la competitività e la capacità di attirare investimenti, gli investimenti diretti esteri sono sostanzialmente aumentati fino a raggiungere la cifra di 29 250 milioni di dollari USA nel 2006 (2), grazie soprattutto ad operazioni di privatizzazione. A partire dal 2006, i flussi di investimenti esteri sono sempre meno legati alle privatizzazioni, e contribuiscono invece alla realizzazione di importanti operazioni in settori quali il turismo, l'immobiliare, le telecomunicazioni, le assicurazioni, le banche, l'industria e i trasporti.

4.3   L'economia del Marocco è relativamente diversificata; il settore dei servizi contribuisce in maniera importante e sempre crescente al PIL (3). Il settore manifatturiero è in seconda posizione in termini di contributo al PIL, seguito dall'agricoltura (4), la cui quota registra una tendenza al ribasso. Il contributo del settore minerario e dell'energia continua ad essere modesto.

4.4   Da parte sua, il turismo rappresenta la principale fonte di valuta per il Marocco, seguito in questo dalle rimesse finanziarie dei marocchini che vivono all'estero e dalle esportazioni di fosfato. Gli introiti provenienti dalle esportazioni di servizi (5) sono pari a più dell'80 % di quelli relativi alle merci. Sempre più europei scelgono il Marocco come luogo di villeggiatura o addirittura di residenza.

4.5   Le riforme macroeconomiche e strutturali realizzate negli ultimi anni hanno contribuito a diversificare sempre di più l'economia del paese e a renderla globalmente redditizia. Il consolidamento a medio e lungo termine di tali riforme si realizzerà attraverso un miglioramento della governance, l'applicazione di regole di concorrenza trasparenti e l'attuazione di una politica efficace di protezione dei consumatori e degli utenti. In Marocco, il tasso medio di crescita annua del PIL reale è stato, nel periodo 2002-2007, del 4,5 % (6) sostenuto da una domanda interna dinamica e da un aumento significativo del tasso di investimento. Nel 2008, la crescita dell'economia ha raggiunto il 5,8 % nonostante un certo rallentamento dovuto ad una riduzione della domanda esterna causata dalla crisi economica e finanziaria internazionale e ad un aumento dei prezzi, specie quelli petroliferi.

4.6   Il settore agricolo svolge, nello sviluppo economico e sociale del Marocco, un ruolo determinante, superiore al suo peso percentuale reale nel PIL (7). Il settore agricolo dà lavoro al 44 % (8) della popolazione attiva e questa percentuale aumenta fino all'80 % se si considera la popolazione attiva rurale, vista la mancanza di diversificazione economica nell'ambiente rurale.

L'agricoltura continua ad essere un settore molto dipendente dagli andamenti climatici (a causa di uno sviluppo insufficiente delle infrastrutture idrauliche); la modernizzazione è appena accennata in questo settore, che ha mantenuto una struttura arcaica, composta perlopiù da piccole aziende agricole (un 75 % è nelle mani di piccoli proprietari) con scarse attrezzature, con tecniche di produzione antiquate e con una manodopera poco qualificata. Malgrado ciò, in parte grazie all'impegno del governo marocchino e all'ingresso di investitori esteri, si è osservato un certo cambiamento negli ultimi anni e attualmente il rimanente 25 % è costituito da grandi aziende agricole moderne, con campi irrigui e con una chiara vocazione all'esportazione, che producono l'80 % degli agrumi, il 35 % degli ortaggi e il 15 % dei cereali. Essenzialmente, esistono 400-500 importanti produttori: i grandi produttori-esportatori, il governo marocchino e alcune cooperative.

La formazione, il sostegno tecnologico e la ricerca sono gli aspetti fondamentali che devono figurare nelle future politiche agricole del Marocco. Per migliorare la competitività del settore agricolo marocchino è necessario elaborare una strategia di commercializzazione più dinamica. Allo stesso modo, è opportuno definire nuove politiche strutturali e creare incentivi che diano valore al lavoro femminile e promuovano l'associazionismo come strumento per sviluppare uno spirito imprenditoriale, anch'esso necessario in campo agricolo.

4.7   Le cooperative e le altre forme associative di produttori possono far parte di questa nuova strategia e diventare gli strumenti in grado di consentire ai produttori di concentrare l'offerta e di migliorare la loro posizione sui mercati. La COPAG (cooperativa dei produttori lattieri marocchini) è un esempio di come un'associazione di produttori nell'ambito di una cooperativa sia capace di creare valore aggiunto e promuovere l'imprenditorialità del settore produttivo, l'anello più debole della catena.

4.8   Inoltre, il Piano verde presentato dal Marocco nell'aprile 2008, che intende sviluppare l'agricoltura del paese con il sostegno degli investimenti privati esteri, costituisce una strategia agricola nuova e interessante per il Magreb e rappresenta l'esempio di una nuova mentalità. Nello spazio di dieci-quindici anni, il Piano intende trasformare l'agricoltura nel principale motore dell'economia nazionale attraverso ingenti investimenti di fondi pubblici al fine di raggiungere due obiettivi fondamentali, vale a dire la creazione di un'agricoltura moderna e di elevato valore aggiunto e il miglioramento del reddito dei piccoli produttori agricoli. Il Piano prevede la privatizzazione di 700 000 ettari, coltivati attualmente a cerali, e la loro trasformazione in terreni per la coltivazione più intensiva di ortofrutticoli con un maggior ricorso all'irrigazione Nei prossimi dieci anni, il Marocco spenderà, attraverso l'Agenzia di sviluppo agricolo, circa 150 milioni di dirham nell'applicazione delle misure previste dal Piano verde. A tal fine verranno proposti da 700 a 900 progetti con un costo annuo tra i 10 e i 15 milioni di dirham.

4.9   Il Marocco è un paese dal reddito medio, in cui il PIL pro capite ha raggiunto, nel 2008, i 2 580 dollari USA (9), raddoppiando quasi rispetto al 2002.

4.10   Nel novembre 2009, la popolazione marocchina superava i 31 650 000 abitanti e il tasso medio annuale di aumento demografico era dell'1,2 % (9). La popolazione urbana continua ad aumentare e costituisce attualmente il 56,4 % del totale. Nel 2008, la popolazione attiva ha raggiunto gli 11,5 milioni di persone (10), uno 0,7 % in più rispetto all'anno precedente, mentre il tasso di attività è leggermente diminuito, scendendo al 36,8 % rispetto al 36,9 % del 2007.

4.11   La disoccupazione resta per il Marocco una delle principali preoccupazioni. Nelle zone urbane, il tasso di disoccupazione raggiungere il 14,1 % mentre nelle zone rurali è del 4,7 %. Il valore complessivo era del 9,4 % nel 2008 (11) con un totale di 1 077 800 lavoratori dai 15 anni in su. In Marocco, il salario medio nel settore agricolo è compreso tra 0,55 EUR ed 0,65 EUR l'ora per 9 ore di lavoro (12), i lavoratori stagionali non godono di alcun diritto lavorativo e il lavoro minorile è diffuso nelle serre marocchine.

4.12   Finora, la crisi finanziaria internazionale non ha influito in modo determinante sull'economia marocchina, soprattutto perché il settore finanziario marocchino non era strettamente integrato nel settore finanziario internazionale. È tuttavia certo che la crisi economica internazionale sta avendo un impatto su alcuni comparti economici chiave del paese, ad esempio l'immobiliare, il turismo, l'industria tessile, l'automobile e le esportazioni. Sono stati inoltre colpiti i flussi di investimento estero e le rimesse provenienti dai paesi stranieri, la cui diminuzione potrebbe far sì che la crisi si prolunghi.

4.13   Il Marocco occupa il terzo posto nella classifica delle destinazioni degli investimenti esteri diretti in Africa nel periodo 2009-2010 (dietro il Sudafrica e l'Egitto) (13). Lo studio condotto in proposito sottolinea che il Marocco ha ottenuto buoni risultati in varie categorie, ad esempio le infrastrutture, la strategia nel campo degli investimenti diretti esteri e il potenziale economico. Tuttavia, anche se la tendenza dei flussi d'investimento è positiva, il clima commerciale è tuttora oggetto di una valutazione critica. È anche vero però che lo scorso anno è stato approvato un Codice generale sulla governance imprenditoriale nonché un Codice specifico per le PMI. Sono stati inoltre adottati i decreti di applicazione di diversi emendamenti alla legge sulle società per azioni. Nell'ottobre 2008, il paese ha infine approvato un progetto di legge sulla creazione dell'Agenzia marocchina per lo sviluppo degli investimenti.

4.14   Le autorità marocchine si sono impegnate a lanciare la Carta euromediterranea delle imprese, che promuove la consultazione, il consenso e la qualità. Esistono diverse istituzioni che incoraggiano gli investimenti delle imprese private, in particolare delle PMI e favoriscono l'accesso al credito, attraverso la Cassa centrale di garanzia.

4.15   Le prospettive (14) dell'economia marocchina continuano, nonostante tutto, ad essere incoraggianti. Al momento, il Marocco è in un certo modo protetto dalle turbolenze finanziarie internazionali, grazie al suo debito estero poco elevato e a lungo termine e grazie al potenziamento delle sue politiche macroeconomiche. La crescita economica dovrebbe continuare ad essere relativamente alta a medio termine e il saldo dei conti correnti esteri dovrebbe essere positivo, nonostante l'eventualità di un piccolo deficit nel medio periodo. Da parte sua, il governo marocchino (15) prevede una crescita del PIL reale del 5,8 % nel 2009, e più specificamente del 15 % per il settore agricolo (16) e del 4,1 % per il settore non agricolo. Le autorità economiche del paese sono decise a portare avanti gli sforzi di consolidamento del bilancio condotti negli ultimi anni e a raggiungere l'obiettivo di mantenere a medio termine il deficit finanziario primario al di sotto del 3 % del PIL.

5.   La situazione sociale

5.1   Nel 2008, il tasso di disoccupazione era del 9,4 % (11), e questo nonostante la creazione di 310 000 posti di lavoro soprattutto nei settori della costruzione e dei servizi. Nei primi tre mesi del 2009, i posti di lavoro sono aumentati di 40 000 unità grazie alla creazione di 76 000 nuovi impieghi nelle città che hanno compensato una perdita di 36 000 posti nelle zone rurali. Da un punto di vista settoriale, la creazione di impieghi si è limitata ai servizi e ai lavori pubblici, che hanno registrato entrambi un aumento del 5,9 % mentre negli altri settori si sono avute perdite che vanno da un 4,5 % nell'industria ad un 1,4 % nell'agricoltura e nella pesca.

5.2   Il problema più grave in tale contesto è quello della disoccupazione giovanile (17), che comprende anche i giovani laureati, fenomeno questo che provoca una fuga di cervelli. È importante in tale contesto segnalare anche una prevalenza del settore agricolo sia nel mercato del lavoro in generale che nell'occupazione informale. Al tempo stesso esiste una quota di economia sommersa, che si basa sul lavoro irregolare. Il Marocco infine incontra notevoli difficoltà ad assorbire manodopera sul mercato del lavoro, come conseguenza della esplosione demografica precedente.

5.3   Le cifre relative alla disoccupazione si ripercuotono direttamente sulle economie familiari, a causa delle lacune ancora esistenti nei regimi di previdenza sociale (sussidi di disoccupazione, sanità, pensioni, ecc.).

5.4   I flussi migratori diminuiscono a causa della crisi economica. L'UE è, in tale contesto, la meta principale dei lavoratori migranti marocchini. È opportuno sottolineare, a tale proposito, la differenza tra emigrazione regolare e irregolare. Coloro che praticano quest'ultimo tipo di emigrazione devono subire condizioni di accoglienza molto peggiori. Inoltre aumentano costantemente gli scambi professionali tra le due zone geografiche.

5.5   Il tasso di occupazione femminile continua ad essere basso. Mentre il tasso di occupazione maschile è di circa l'80 %, quello femminile è del 21 % nelle città e del 33 % nelle zone rurali (18). Tranne quello relativo alle aspettative di vita, gli altri indicatori di sviluppo sociale concernenti le donne sono peggiori di quelli degli uomini, ad esempio quelli relativi al tipo di attività, allo status professionale, al livello di responsabilità, al salario nel settore privato, al tasso di disoccupazione e al livello di protezione sociale.

5.6   È opportuno approfondire i temi dell'occupazione e degli affari sociali, al fine di conseguire un quadro istituzionale che consenta di sviluppare misure attive e servizi pubblici di occupazione e controllo del mercato del lavoro. Questo consentirà di lottare contro l'economia sommersa, il lavoro informale e il lavoro non dichiarato, di migliorare gli investimenti nelle risorse umane e nell'occupabilità, di incrementare la protezione e l'inclusione sociale, nonché di applicare meccanismi di non discriminazione al momento dell'assunzione.

5.7   La previdenza sociale non copre adeguatamente una gran parte dei lavoratori marocchini Questa situazione rappresenta per molte famiglie un vero e proprio dramma di cui il governo del paese è cosciente e al quale desidera politicamente trovare una soluzione. Le autorità marocchine si sono impegnate ad intensificare i controlli affinché tutti i lavoratori assunti siano iscritti al regime di previdenza sociale. In tale contesto, gli organi di ispezione del lavoro e la Caisse Nationale de Sécurité Sociale conducono sforzi importanti per migliorare la copertura dei lavoratori. Nondimeno, il governo marocchino dovrà rafforzare gli investimenti destinati alla sanità e alla copertura medica, in modo da facilitare l'accesso dei cittadini marocchini al sistema sanitario pubblico.

5.8   È in via di elaborazione un «programma di adeguamento alle norme sociali», di carattere tripartito, il quale determina fino a che punto le imprese marocchine si adeguano alle norme di lavoro del paese e le rispettano. Nell'ambito della nuova legislazione sociale marocchina, si stanno inoltre facendo progressi nella certificazione di quelle imprese che osservano effettivamente le norme di lavoro.

5.9   Alcuni anni fa sono stati compiuti i primi passi verso la creazione di un forum centralizzato della società civile, che però non aveva una vera e propria rappresentatività. Adesso, il governo marocchino si è impegnato a istituire un Consiglio economico e sociale prima della fine del 2009, ma nonostante sia previsto dalla Costituzione sin dal 1997 la creazione ufficiale non è ancora avvenuta. Il CESE spera che il pluralismo associativo della società civile si rispecchi nella composizione del futuro CES marocchino. La rappresentatività dei consigli economici e sociali, basata su criteri chiari ed equi, è infatti indispensabile per la loro efficacia, così come la loro autonomia di funzionamento e l'assegnazione delle risorse necessarie a tal fine. L'esistenza di un Consiglio economico e sociale non contraddice bensì completa il ruolo di altri organi consultivi attualmente operativi in Marocco.

5.10   Nell'ambito imprenditoriale, l'organizzazione più rappresentativa è la Confederazione generale delle imprese marocchine (CGEM). La Camera di commercio e dell'industria svolge anch'essa un ruolo importante di sostegno alle imprese, all'istruzione, alla formazione, ai servizi imprenditoriali e all'internazionalizzazione. L'Associazione delle imprenditrici marocchine, che riunisce più di 350 iscritte a livello nazionale, ha come obiettivo quello di promuovere il ruolo delle donne nell'ambiente imprenditoriale e dispone anche di organizzazioni regionali. L'associazione Maroc Entrepreneurs si dedica infine a promuovere l'apprendistato e la creazione di imprese tra i giovani.

5.11   Le principali organizzazioni sindacali sono l'Unione dei lavoratori marocchini, la Confederazione democratica del lavoro, l'Unione generale dei lavoratori del Marocco, la Federazione democratica del lavoro e l'Unione nazionale dei lavoratori marocchini. Si segnala inoltre l'esistenza dell'Unione nazionale delle cooperative agricole marocchine.

5.12   Nonostante il governo del paese abbia effettuato riforme nell'ambito del diritto del lavoro, è necessario continuare ad operare per garantire una maggiore osservanza dei diritti del lavoro e procedere alla ratifica delle relative convenzioni dell'OIL, specie la Convenzione n. 87 sulla libertà sindacale.

5.13   Il miglioramento del sistema d'istruzione e l'alfabetizzazione restano tra le sfide più importanti per lo sviluppo del paese. Nel settembre 2008, il ministero marocchino della Pubblica istruzione ha presentato un piano d'emergenza per garantire la scolarizzazione delle bambine nelle zone rurali e un accesso paritario ed effettivo dei bambini all'istruzione obbligatoria. La mancanza di manodopera qualificata è uno dei punti critici per chi desideri creare un'impresa in Marocco. I posti più difficili da coprire sono quelli di tecnico di livello intermedio.

5.14   Il paese conduce una serie di sforzi per avvicinare i propri sistemi di istruzione superiore, ricerca e formazione professionale a quelli dello Spazio europeo dell'istruzione superiore, della ricerca scientifica e della formazione professionale. Questo obiettivo permetterà agli studenti marocchini di migliorare le loro qualifiche e le loro capacità professionali ai fini di un accesso al mondo del lavoro. È opportuno conseguire un migliore adeguamento tra le qualifiche professionali e le esigenze di assunzione delle imprese. Sarebbe in tale contesto necessario agevolare la realizzazione di tirocini nelle imprese attraverso convenzioni tra le università e le organizzazioni imprenditoriali come la CGEM o le camere di commercio.

5.15   Il CESE raccomanda di applicare sistemi per il riconoscimento reciproco dei titoli universitari tra l'UE e il Marocco, tenendo conto dello status avanzato di cui gode il paese. Uno dei problemi principali cui deve far fronte il Marocco è quello del numero elevato di laureati disoccupati.

5.16   Per quanto concerne la cooperazione con l'UE, si prevede la creazione di un gruppo di lavoro (19) formato da rappresentanti di organizzazioni imprenditoriali e da imprenditori europei e marocchini, il cui obiettivo è di informare periodicamente il Consiglio di associazione circa gli ostacoli al commercio e agli investimenti. Del gruppo possono far parte anche i rappresentanti sindacali.

5.17   In materia di democratizzazione, le riforme avviate hanno fatto dei passi avanti, ad esempio l'adozione della nuova legge elettorale che rafforza la partecipazione delle donne, le misure di lotta alla corruzione e l'adozione di un piano d'azione strategico per istituzionalizzare la parità tra i sessi. In tale contesto, pur annunciando di non avere più riserve in merito alla Convenzione sull'eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione contro le donne, il governo marocchino non ha ancora depositato i relativi strumenti in seno alle Nazioni Unite (20).

5.18   Nel novembre 2008, il ministero per lo Sviluppo sociale, la famiglia e la solidarietà ha avviato la sua sesta campagna di lotta contro la violenza di genere, che ha portato ad un aumento delle denunce di atti di violenza contro le donne all'apposito numero telefonico. Sarebbe tuttavia opportuno incrementare il numero di centri di accoglienza delle vittime. Ancora non è stato adottato il progetto di legge che penalizza la violenza di genere (21) dato che i problemi relativi all'applicazione del nuovo diritto di famiglia non sono stati tuttora risolti.

5.19   Il tasso di povertà è sceso al 9 % (6). Questo significa una popolazione povera di più di due milioni di persone, il che continua a rappresentare una situazione sociale preoccupante che fa della lotta alla povertà una delle sfide più importanti del paese. Il già citato incremento del PIL pro capite non è ancora sufficiente per lottare contro la povertà in quanto, non essendo ben distribuito, non produce l'auspicato aumento del tenore di vita della popolazione. Gli strumenti principali per combattere efficacemente contro la povertà o per ridurla devono essere l'aumento della crescita economica e il miglioramento della produttività, parallelamente ai diritti umani, economici, sociali, culturali e ambientali, diritti indissociabili, senza i quali è impossibile garantire una migliore distribuzione della ricchezza. È opportuno garantire un migliore coordinamento tra i diversi programmi di riduzione della povertà portati avanti in Marocco da parte di organismi internazionali quali le Nazioni Unite e la Banca mondiale.

5.20   L'emigrazione irregolare verso l'UE è un altro fattore di grande preoccupazione. Oltre ai due milioni di cittadini marocchini che risiedono legalmente nei paesi dell'UE, si calcola che esiste un milione di persone che vi risiedono illegalmente. Il Marocco è inoltre uno dei paesi di transito dell'emigrazione irregolare proveniente dai paesi subsahariani e diretta verso gli Stati membri dell'UE. In questo momento, sono in corso i negoziati per l'accordo di riammissione tra l'UE e il Marocco.

6.   Le relazioni tra l'Unione europea e il Marocco

6.1   I primi accordi firmati tra l'Unione europea e il Marocco risalgono al 1969 e al 1976. Più tardi, nel quadro del Processo di Barcellona (1995) è stato firmato l'Accordo di associazione UE-Marocco, entrato in vigore nel 2000. Più recentemente (luglio 2005) è stato adottato il Piano d'azione UE-Marocco nell'ambito della politica europea di vicinato (PEV), della durata di cinque anni (22). Le attuali relazioni con il Marocco vengono portate avanti nel quadro dell'Unione per il Mediterraneo.

6.2   L'Accordo di associazione definisce il quadro giuridico delle relazioni tra l'Unione europea e il Marocco e prevede sia la creazione di una zona di libero scambio sia una cooperazione privilegiata in altri settori (politico, economico, sociale, scientifico e culturale).

6.3   Il Documento strategico nazionale stabilisce il quadro strategico degli aiuti europei al Marocco per il periodo 2007-2013. In tale documento figurano i settori prioritari della cooperazione, vale a dire:

sviluppo delle politiche sociali,

modernizzazione dell'economia,

aiuti istituzionali,

corretta governance e promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali,

protezione ambientale.

6.4   Nel quadro della cooperazione strategica tra l'Africa e l'UE, il Marocco svolge un ruolo attivo ai fini del dialogo politico, in quanto responsabile principale della messa in atto di una collaborazione nel settore del cambiamento climatico.

6.5   Nell'ottobre 2008 è stato firmato, nel quadro dell'Accordo di associazione, un documento congiunto UE-Marocco il cui obiettivo è quello di rafforzare le relazioni bilaterali per conseguire lo status avanzato destinato a intensificare le relazioni politiche, nonché promuovere l'integrazione del mercato interno, la cooperazione settoriale e la dimensione umana.

6.6   L'UE è tuttora il principale partner commerciale del Marocco, visto che più della metà delle importazioni marocchine (23) provengono dai paesi europei e quasi tre quarti delle esportazioni marocchine (24) sono dirette verso l'UE. Tra gli Stati membri dell'UE, la Francia è il primo paese esportatore, seguito dalla Spagna, dal Regno Unito, dall'Italia e dalla Germania. Per quanto riguarda i paesi importatori, i dati sono simili.

6.7   Per quanto concerne i singoli prodotti commercializzati tra l'UE e il Marocco, è opportuno segnalare una diversificazione progressiva delle importazioni marocchine. Durante il decennio in corso, il numero e la diversità dei prodotti europei importati in Marocco sono aumentati considerevolmente. I principali prodotti che il paese importa dall'UE sono tessuti, gas di petrolio e altri idrocarburi, macchine e impianti diversi, prodotti chimici.

6.8   Le esportazioni marocchine verso l'UE sono invece più concentrate. Oltre la metà dei prodotti esportati sono capi di abbigliamento e maglieria (più di un terzo), componenti elettronici, crostacei, molluschi e altri frutti di mare, fili e cavi elettrici.

6.9   Gli attuali negoziati tengono conto della situazione di taluni settori sensibili e prevedono un'asimmetria degli accordi e una loro applicazione graduale. Ciò vale in particolare per la liberalizzazione degli scambi di servizi, per il diritto di stabilimento e per la liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli, dei prodotti agricoli trasformati e dei prodotti ittici.

6.10   La situazione di crisi economica ha danneggiato gravemente il settore agricolo europeo e gli agricoltori hanno dovuto registrare un calo dei loro redditi (del 12,2 % nel 2009 secondo Eurostat). In questo senso, le nuove concessioni commerciali al Marocco, riguardanti produzioni sensibili come lo sono gli ortofrutticoli, praticamente privi di qualsiasi sostegno comunitario, aggravano ancor più, se possibile, la già difficile situazione economica di numerose aziende agricole europee. L'utilizzo delle produzioni ortofrutticole come moneta di scambio nell'ambito dell'apertura commerciale UE-Marocco a beneficio di altre attività economiche ha conseguenze nefaste e compromette il futuro dei produttori e lo sviluppo di vaste zone d'Europa. Si dovrebbero pertanto prevedere compensazioni effettive, mediante linee di sostegno supplementare, che consentano il miglioramento della competitività di tali settori di produzione.

Il CESE considera preoccupante che l'Unione europea e il Marocco abbiano concluso di recente la revisione delle relazioni commerciali agricole nel quadro dell'accordo di associazione quando l'accordo in vigore viene sistematicamente disatteso, dal punto di vista del pagamento degli importi doganali fissati e del rispetto dei contingenti, e senza aver stabilito nuovi meccanismi o migliorato sostanzialmente quelli attuali per garantire il rispetto delle clausole accettate da entrambe le parti.

6.11   Per quanto concerne infine gli investimenti diretti provenienti dall'UE (25), va sottolineato che la Francia (26) è il principale paese investitore in Marocco, seguita dalla Spagna, dal Regno Unito e dalla Germania (27). I settori nei quali si concentrano essenzialmente gli investimenti sono il turismo, l'immobiliare, le telecomunicazioni, le assicurazioni, le banche, l'industria e i trasporti.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Il rafforzamento della cooperazione a livello parlamentare si realizzerà, tra le altre cose, mediante la creazione di una commissione parlamentare mista tra il Parlamento europeo e quello marocchino, che sarà rappresentato da entrambe le Camere e non solo dalla Camera dei rappresentanti.

(2)  Fonte: Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) - Banca dati FDI/INC.

(3)  Circa due terzi.

(4)  Compresi l'allevamento, la silvicoltura e la pesca.

(5)  Più che raddoppiate tra il 2002 e il 2006.

(6)  Fonte: Fondo monetario internazionale (FMI).

(7)  Rappresenta il 13 % del PIL nel 2008. Fonte: FAO.

(8)  13 734 506 persone (compresa l'agricoltura, la silvicoltura e la pesca). Fonte: FAO.

(9)  Fonte: Banca mondiale - indicatori di sviluppo mondiale.

(10)  Fonte: OIL-Laborsta (base di dati statistici sul lavoro), indagine sulla forza lavoro.

(11)  Fonte: OIL-Laborsta (base di dati statistici sul lavoro).

(12)  Fonte: Federazione nazionale del settore agricolo del Marocco (UMT).

(13)  Dati emersi da uno studio pubblicato dal FDI Intelligence, una divisione del gruppo editoriale britannico The Financial Times.

(14)  Dati del Fondo monetario internazionale (FMI).

(15)  Previsioni del ministero dell'Economia e delle finanze.

(16)  Comprese la pesca e la silvicoltura.

(17)  Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), la disoccupazione giovanile è di sette punti superiore alla disoccupazione media della popolazione attiva. Il 39 % del totale dei disoccupati sono giovani.

(18)  Fonte: Relazione sullo stato di avanzamento del Marocco - doc. SEC(2009) 520 def. del 23 aprile 2009.

(19)  Menzionato nel Documento congiunto UE-Marocco sul rafforzamento delle relazioni bilaterali/Status avanzato - DG E V Doc. 13653/08, pag. 6.

(20)  Relazione sullo stato di avanzamento del Marocco - Documento SEC(2009) 520 def. del 23 aprile 2009.

(21)  In preparazione dal 2006.

(22)  Finora sono state elaborate tre relazioni intermedie (dicembre 2006, aprile 2008 e aprile 2009).

(23)  Il 51,4 % delle importazioni del Marocco provengono dall'UE.

(24)  Il 71,9 % delle esportazioni del Marocco sono dirette a paesi dell'UE.

(25)  Fonte: Ufficio dei cambi e dei flussi finanziari del governo marocchino.

(26)  Tra il 2002 e il 2008, gli investimenti francesi in Marocco hanno superato i 53 miliardi di dirham.

(27)  Nello stesso periodo, gli investimenti spagnoli hanno superato i 35 miliardi di dirham mentre il Regno Unito e la Germania hanno investito per poco più di 6 miliardi di dirham ciascuno.


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

460a sessione plenaria del 17 e 18 febbraio 2010

18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/62


460aSESSIONE PLENARIA DEL 17 E 18 FEBBRAIO 2010

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'immissione sul mercato e all'uso dei biocidi»

COM(2009) 267 def. — 2009/0076 (COD)

(2010/C 347/09)

Relatore: BIOT

Il Consiglio, in data 17 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'immissione sul mercato e all'uso dei biocidi

COM(2009) 267 def. - 2009/0076 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o febbraio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 180 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è favorevole alla sostituzione della direttiva attuale con un regolamento, che essendo direttamente applicabile nella legislazione degli Stati membri consentirà di armonizzare l'immissione dei biocidi sul mercato.

1.2   Il CESE dà atto degli sforzi compiuti dalla Commissione per allineare la legislazione europea in materia di biocidi con il regolamento sulle sostanze chimiche (REACH) e ritiene essenziale che il nuovo regolamento preveda l'uniformazione dei dati da fornire ai sensi della direttiva 88/379/CEE e dell'articolo 14, paragrafo 2, del regolamento REACH.

1.3   Il CESE accoglie con favore le modifiche apportate alle formulazioni quadro, che devono consentire di sviluppare e immettere sul mercato più facilmente delle variazioni di composizione all'interno di un gruppo di biocidi. Occorre tuttavia chiarire il grado di flessibilità della composizione, sia a livello dei biocidi che delle sostanze inerti in essi contenuti.

1.4   Il CESE constata che all'Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) viene attribuita una semplice funzione di coordinamento, mentre essa potrebbe svolgere un ruolo più importante nel contribuire a introdurre una procedura efficace di autorizzazione dei biocidi a livello sia comunitario che degli Stati membri. Il CESE si chiede tuttavia con preoccupazione se l'ECHA sarà dotata in tempo utile di risorse sufficienti per portare a termine la sua missione, tenuto conto dell'ampliamento delle sue competenze ai biocidi.

1.5   Il CESE propone, per quanto riguarda la decisione di ammettere dei principi attivi nell'allegato I della proposta («Elenco dei principi attivi con indicazione dei requisiti per includerli tra i biocidi»), di mantenere il principio della valutazione dei rischi caso per caso. Ritiene tuttavia che venga fatta una discriminazione arbitraria per quanto riguarda taluni prodotti disinfettanti per l'alimentazione umana e gli animali da allevamento, che non possono beneficiare delle condizioni di cui all'articolo 5, paragrafo 1, lettera c).

Il CESE si rallegra che la proposta preveda una condivisione obbligatoria dei dati, in particolare quelli risultanti dalla ricerca sugli animali.

1.6.1   Il CESE approva la proposta della Commissione che prevede l'utilizzo di biocidi autorizzati per tutti i materiali e gli articoli trattati: si tratta di una misura equa e obbligatoria all'interno dell'UE.

Il CESE approva l'estensione di questa misura ai materiali e agli articoli provenienti dai paesi terzi onde garantire parità di condizioni sul mercato.

1.7.1   Il CESE sottolinea la necessità di etichettare i materiali e i prodotti trattati al fine di garantire all'utilizzatore un'informazione efficace e adeguata. Invita tuttavia la Commissione ad approfondire questo tema onde limitare l'utilizzo di questa etichettatura esaustiva ai soli casi in cui essa sia utile al consumatore. Propone quindi due livelli di informazione: il primo deve fornire le informazioni essenziali in funzione dell'uso previsto e della protezione del consumatore, mentre il secondo deve riportare la totalità delle informazioni note ed essere disponibile nel caso in cui i consumatori debbano rivolgersi a professionisti (centri antiveleni, medici, ecc.). Queste informazioni potrebbero essere messe a disposizione tramite banche dati e siti Internet.

1.8   Il CESE sostiene l'armonizzazione della struttura tariffaria tanto per gli Stati membri che per l'ECHA. Si oppone tuttavia all'imposizione di una tariffa annua non motivata.

In linea con il nuovo regolamento sull'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, il CESE ritiene che, nel quadro della libera circolazione delle merci, le procedure del commercio parallelo dovrebbero essere limitate ai prodotti identici e basate sulle stesse fonti di principi attivi e coingredienti.

1.9.1   Il CESE apprezza che la Commissione riconosca il fenomeno dei cosiddetti «passeggeri clandestini» o free rider. Auspica che l'articolo 83 venga formulato in modo più dettagliato.

1.10   Il CESE chiede alla Commissione di precisare in che modo essa intenda sostenere gli Stati membri per un'attuazione efficace dei controlli sui biocidi immessi sul mercato.

1.11   Sulla scia della direttiva quadro sull'utilizzo sostenibile dei pesticidi (1) e in vista di un uso più sostenibile dei biocidi, il CESE propone alla Commissione di prevedere, per il futuro, la possibilità di un uso più razionale di questi prodotti.

2.   Introduzione

2.1   Con il termine biocidi si indicano i principi attivi o le miscele contenenti uno o più principi attivi, presentati nella forma in cui sono consegnati allutilizzatore, destinati a distruggere, eliminare, rendere innocui, impedire l'azione o esercitare altro effetto di controllo su qualsiasi organismo nocivo con mezzi chimici o biologici. Sono considerati biocidi anche le sostanze, le miscele e i dispositivi immessi sul mercato con lo scopo di generare principi attivi (2).

2.2   Utilizzati con discernimento, i biocidi fanno parte della vita quotidiana di una società evoluta. Essi impediscono la diffusione delle malattie e promuovono un alto livello di igiene in un ambiente densamente popolato. Il loro uso interessa tutti gli aspetti della vita quotidiana. Alcuni di tali prodotti, pur proteggendo in modo sostenibile tanto la salute e l'igiene umana e animale quanto l'ambiente, possono essere intrinsecamente pericolosi.

2.3   La direttiva 98/8/CE (3) attualmente in vigore stabilisce un quadro legislativo armonizzato per l'autorizzazione e l'immissione sul mercato dei biocidi a basso rischio e delle sostanze note.

2.4   Il CESE aveva allora formulato un parere (4) positivo su tale direttiva, nella misura in cui essa mirava a proteggere tanto la salute umana e animale quanto l'ambiente.

2.5   La direttiva 98/8/CE prevede che, sette anni dopo la sua entrata in vigore, la Commissione rediga una relazione sull'attuazione della direttiva stessa e sul funzionamento delle procedure semplificate (formulazione quadro, biocidi a basso rischio e sostanze note) e la presenti al Consiglio.

2.6   Sono state effettuate varie consultazioni delle parti interessate, seguite da una valutazione d'impatto e da una consultazione generale su Internet.

2.7   La proposta è inoltre sostenuta da numerosi studi, in particolare lo studio per valutare le ripercussioni del riesame della direttiva 98/8/CE in cui sono stati analizzati gli effetti economici, sociali e ambientali delle diverse opzioni strategiche. Le conclusioni di questo studio sono state direttamente integrate nella valutazione d'impatto.

2.8   Il regolamento proposto dalla Commissione mira a sostituire la succitata direttiva.

3.   Sintesi della proposta

3.1   La proposta in esame, che sostituisce la direttiva 98/8/CE, ha lo scopo di rafforzare la libera circolazione dei biocidi nella Comunità. Essa è intesa a rimediare alle debolezze individuate nel quadro normativo durante i primi otto anni della sua attuazione, a migliorare ed aggiornare alcuni elementi del sistema e a evitare in futuro problemi già prevedibili. Essa conserva la stessa struttura della direttiva 98/8/CE.

3.2   La semplificazione delle procedure di autorizzazione dei biocidi negli Stati membri può contribuire alla riduzione dei costi e degli oneri amministrativi per gli attori economici senza diminuire il grado di sicurezza.

3.3   La proposta vuole essere coerente con le altre politiche e obiettivi dell'UE. Essa tiene conto:

della normativa comunitaria recente sui prodotti chimici (5),

del regolamento (CE) n. 1272/2008 (6),

della legislazione comunitaria orizzontale in materia,

delle norme generali e degli obblighi a carico degli Stati membri,

di un periodo di transizione.

3.4   La proposta mira a:

semplificare le norme in materia di protezione dei dati,

evitare di ripetere inutilmente studi sui vertebrati (7) istituendo l'obbligo di condivisione dei dati,

armonizzare maggiormente i sistemi di tariffe imposte negli Stati membri e a livello comunitario,

stabilire norme per il commercio parallelo dei biocidi,

estendere l'ambito di applicazione agli articoli o materiali trattati con i biocidi.

3.5   In diversi articoli, la proposta incoraggia la ricerca e l'innovazione.

4.   Osservazioni generali

4.1   Nuova proposta legislativa

4.1.1   La direttiva 98/8/CE sui biocidi sarà sostituita da un regolamento.

4.1.2   Il regolamento proposto segue la stessa impostazione della direttiva. Esso è stato preceduto da una valutazione d'impatto incentrata sul campo d'applicazione della normativa, l'autorizzazione dei prodotti, la condivisione dei dati, i requisiti in materia di dati e le tariffe imposte dagli Stati membri.

4.1.3   La Commissione si è sforzata di allineare la normativa europea sui biocidi con il regolamento sulle sostanze chimiche (REACH).

4.2   Norme per l'autorizzazione

4.2.1   L'introduzione del concetto di autorizzazione comunitaria, con l'ECHA come autorità centrale di regolamentazione, è un elemento che, in linea di principio, favorisce un'attuazione armonizzata in tutti i paesi dell'UE. La Commissione sostiene che questo sistema è il più efficace e il più adatto per migliorare la disponibilità dei prodotti e creare incentivi all'innovazione, e quindi quello più in grado di contribuire a proteggere la salute e l'ambiente. Tuttavia, la frammentazione del mercato dei biocidi, a livello sia dei produttori (poche imprese globali, molte PMI) che dei prodotti e delle applicazioni, induce a relativizzare questo punto di vista. Molte delle imprese del settore, infatti, essendo attive in un numero limitato di paesi, chiedono un'autorizzazione locale, mentre il riconoscimento reciproco viene richiesto in caso di aumento del volume d'attività in altri Stati membri.

4.2.2   Il nuovo approccio della Commissione in materia di autorizzazione comunitaria dei biocidi a basso rischio e delle nuove sostanze rischia di avere scarso impatto, in quanto interesserebbe soltanto una minoranza dei biocidi e la semplificazione amministrativa che ne deriverebbe avrebbe una portata limitata sia per le imprese che per le autorità. Non inciterebbe pertanto le imprese a essere più innovative.

4.2.3   Il concetto stesso di biocidi a basso rischio viene definito in modo frammentario in vari punti del testo in esame. Sarebbe auspicabile che ne venisse fornita una definizione migliore.

4.3   Dati da fornire

4.3.1   Taluni criteri per la definizione dei prodotti a basso rischio potrebbero rivelarsi troppo restrittivi. Prima di essere inseriti nel regolamento finale, essi andrebbero valutati in funzione del loro impatto. Lo studio, infatti, deve essere basato sui rischi, tenendo conto anche dell'esposizione e non solo dei rischi intrinseci. Questa misura sarebbe un incentivo per mettere a punto prodotti più sicuri a partire dalle sostanze esistenti. I prodotti che soddisfano questi criteri dovrebbero quindi poter beneficiare della dicitura di prodotti «a basso rischio». Vietare la promozione di questi prodotti in quanto prodotti a basso rischio sarebbe controproducente.

4.3.2   La proposta della Commissione di non inserire i prodotti a basso rischio nell'allegato I costituisce un incentivo per lo sviluppo e il marketing. Occorre tuttavia chiarire ed esaminare un certo numero di punti, in particolare fornire indicazioni chiare per quanto riguarda i dati relativi ai principi attivi e il formato in cui andrebbero presentati.

4.3.3   Le norme generali per l'adeguamento dei dati da fornire che figurano nell'allegato IV possono considerarsi in linea di massima positive. Esse forniscono orientamenti per quanto riguarda la ripartizione dei test da realizzare.

4.3.4   I dati da fornire per i principi attivi sono indicati nell'allegato II della proposta, che è strutturata su due livelli. Il I livello viene definito standard, mentre la presentazione dei dati di II livello sarà determinata dalle caratteristiche e dall'utilizzo previsto del principio attivo, in particolare qualora venga individuato un pericolo per la salute o per l'ambiente.

4.3.5   Alcuni studi tossicologici non sono più necessari per il I livello, ma possono esserlo per il II. Tuttavia, poiché spetta agli Stati membri stabilire lo spettro di dati richiesti sulla base della loro valutazione, vi è il rischio che i dati richiesti vadano al di là di quanto scientificamente necessario.

4.3.6   Per motivi di concorrenza, i dati da fornire per fonti alternative di principi attivi non possono essere ridotti fintantoché tali sostanze rimangono nell'allegato I e il periodo di protezione non è scaduto.

4.3.7   L'elevato livello di dati richiesti per i biocidi, di cui all'articolo 18 (Requisiti in materia di dati da indicare nella domanda di autorizzazione) e all'allegato III della proposta, rimane immutato rispetto alla direttiva attuale. Non è previsto uno scaglionamento dei test su più livelli e i requisiti non sono ridotti allo stretto necessario. Sarà quindi difficile, per i produttori, sviluppare prodotti innovativi per usi particolari.

4.4   Condivisione dei dati

4.4.1   È previsto l'obbligo di condivisione dei dati relativi ai test sugli animali e una divisione equa dei costi legati all'elaborazione e all'uso dei dati per dimostrare la sicurezza dei prodotti nel quadro della direttiva attuale.

4.4.2   Malgrado il concetto di condivisione dei dati sia in linea con il regolamento REACH, la proposta invece non lo è per quanto riguarda la protezione dei dati e la durata di tale protezione.

4.5   Misure di semplificazione

4.5.1   Vengono preannunciati cambiamenti positivi nelle formulazioni quadro che dovrebbero consentire di sviluppare più facilmente delle variazioni di composizione all'interno di un gruppo di biocidi. Occorre tuttavia chiarire il grado di flessibilità della composizione, sia a livello dei biocidi che dei loro componenti inerti.

4.6   Il ruolo dell'ECHA

4.6.1   L'ECHA svolgerà esclusivamente un ruolo di coordinamento e di convalida dell'autorizzazione comunitaria per i biocidi a basso rischio e le nuove sostanze.

4.6.2   Il CESE ritiene che l'ECHA potrebbe fungere da «centro di smistamento» raggruppando le applicazioni analoghe, che potrebbero poi essere valutate da un'unica autorità, anche nel caso in cui il dossier sia stato sottoposto a più Stati membri.

4.7   Commercio parallelo – protezione dei dati

4.7.1   In linea con il nuovo regolamento sull'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, il CESE ritiene che, ai fini della libera circolazione delle merci, le procedure del commercio parallelo dovrebbero essere limitate ai prodotti identici, basati sulle stesse fonti di principi attivi e coingredienti.

4.7.2   Nel quadro del commercio parallelo occorre rafforzare la protezione dei dati richiesti, perlomeno per i biocidi che saranno probabilmente iscritti nell'allegato I.

4.7.3   Per evitare il fenomeno dei «passeggeri clandestini», l'industria ha chiesto che per i principi attivi iscritti nell'allegato I venga specificato il rapporto con l'impresa come condizione preliminare per la proprietà e la protezione dei dati. L'industria dei biocidi apprezza il fatto che la Commissione riconosca questo fenomeno: l'articolo 83 dovrebbe tuttavia essere più dettagliato per consentire di affrontarlo più efficacemente.

4.8   Materiali e articoli trattati

4.8.1   La proposta stabilisce che per tutti i materiali e articoli trattati devono essere utilizzati esclusivamente biocidi autorizzati a questo scopo in almeno uno Stato membro. Essa propone inoltre l'estensione di questa misura ai materiali e agli articoli provenienti dai paesi terzi, onde garantire un mercato equo e giusto per tutti.

4.8.2   Il CESE sottolinea la necessità di etichettare i materiali e i prodotti trattati al fine di garantire all'utilizzatore un'informazione efficace e adeguata. Invita tuttavia la Commissione ad approfondire questo tema onde limitare l'utilizzo di questa etichettatura esaustiva ai soli casi in cui essa sia utile al consumatore. Propone quindi due livelli di informazione: il primo deve fornire le informazioni essenziali in funzione dell'uso e della protezione del consumatore, mentre il secondo deve riportare la totalità delle informazioni note ed essere disponibile nel caso in cui i consumatori debbano rivolgersi a dei professionisti. Queste informazioni potrebbero essere messe a disposizione tramite banche dati e siti Internet.

4.9   Termini e attuazione

4.9.1   Il mancato rispetto dei termini per le valutazioni previsti nella direttiva rappresenta una grande fonte di preoccupazione. In una minirevisione della suddetta direttiva questi termini sono stati prorogati, ma pare che sia stato fatto poco per ritirare dal mercato le sostanze che non sono state controllate e che rischiano di essere potenzialmente nocive. Un'applicazione uniforme delle definizioni e dei termini dovrebbe consentire un migliore funzionamento della procedura tra gli Stati membri.

4.9.2   Un'attuazione difforme e inefficace della legislazione UE a livello degli Stati membri reca danno a tale legislazione.

4.10   Procedure di pagamento

4.10.1   La Commissione propone di armonizzare la struttura delle tariffe sia per gli Stati membri che per l'ECHA. Gli utilizzatori si scontrano con grosse disparità tra i diversi Stati membri per quanto riguarda le tariffe per la valutazione. Spesso non c'è alcuna correlazione tra le risorse richieste e quelle effettivamente utilizzate.

4.10.2   Le tariffe dovrebbero essere più trasparenti, indicando le diverse tappe e procedure che portano alla valutazione. Devono essere ragionevolmente correlate al volume di lavoro e reclamabili soltanto in caso di necessità.

4.10.3   In nessun caso potrà essere imposta una tariffa annuale senza motivazione.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Esclusione di biocidi dall'allegato I

5.1.1   L'articolo 5, paragrafo 2, della proposta esclude dall'allegato I i principi attivi classificati come cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione così come quelli aventi proprietà di interferenza endocrina.

5.1.2   L'articolo 5, paragrafo 1, della proposta prevede tre casi di deroghe, che consentono l'iscrizione di tali principi attivi nell'allegato I:

esposizione trascurabile per gli utilizzatori,

principi attivi necessari per la salute pubblica,

principi attivi il cui utilizzo comporta benefici maggiori rispetto ai rischi.

L'ultimo capoverso dello stesso articolo esclude tuttavia totalmente l'applicazione di quest'ultima deroga ai principi attivi destinati ai tipi di prodotti 4 e 14-19 (8).

5.1.3   Taluni biocidi possono essere pericolosi per la loro stessa natura: ciò consegue dalla loro finalità, riconducibile alla definizione di principio attivo come «una sostanza o un microrganismo che agisce contro gli organismi nocivi». I benefici derivanti dal loro uso e le misure che riducono l'esposizione dell'uomo e dell'ambiente a tali sostanze consentono di utilizzarle come biocidi.

5.1.4   Se un'esposizione occasionale non dà luogo a grandi preoccupazioni, il CESE consiglia prudenza per quanto riguarda l'esposizione prolungata ai biocidi senza un'adeguata protezione.

5.1.5   Il CESE ravvisa tuttavia una discriminazione arbitraria per quanto riguarda i tipi di prodotti succitati (4 e 14-19), che non possono beneficiare delle condizioni di cui all'articolo 5, paragrafo 1, lettera c). Questa misura è controproducente per l'innovazione e riduce la gamma delle sostanze potenzialmente utilizzabili come eventuali biocidi in futuro.

5.2   Ampliamento del ruolo dell'ECHA

5.2.1   Il CESE è favorevole ad ampliare le competenze dell'ECHA. Questa dovrebbe poter gestire attivamente tutte le procedure intese all'autorizzazione dei biocidi, tanto a livello comunitario quanto a livello nazionale.

5.2.2   La valutazione centralizzata comporterebbe i seguenti vantaggi:

l'ECHA disporrebbe di tutte le procedure richieste per convalidare l'applicazione in caso di autorizzazione comunitaria,

la convalida dei dossier da parte di un organismo unico consentirebbe di garantire una migliore coerenza e una legislazione sui biocidi più semplice e armoniosa,

gli Stati membri potrebbero concentrare le loro risorse sulla valutazione attuale dell'applicazione,

la convalida da parte dell'ECHA non esclude comunque la possibilità di introdurre nuovi dati scoperti durante il processo di valutazione, che resterebbe di competenza degli Stati membri.

5.2.3   Inoltre, esercitando il ruolo di «centro di smistamento» e facendosi carico al tempo stesso della gestione dei dossier dei biocidi:

il registro comunitario dei biocidi, gestito dall'ECHA, sarebbe un ottimo strumento per la gestione di tali raggruppamenti di biocidi,

i biocidi basati sullo stesso principio attivo o utilizzati negli stessi tipi di prodotti avrebbero lo stesso termine per la presentazione delle applicazioni,

una valutazione degli elementi principali dei dossier di questi prodotti da parte di un'unica autorità competente migliorerebbe la coerenza e l'armonizzazione della legislazione sui biocidi,

una gestione efficace della procedura di valutazione inciterebbe maggiormente gli utilizzatori a una preparazione proattiva dei dossier e abbasserebbe la soglia per l'industria.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Direttiva 2009/128/CE – GU L 309 del 24.11.2009, pag. 71.

(2)  Direttiva 98/8/CE.

(3)  GU L 123 del 24.4.1998, pag. 1.

(4)  GU C 195 del 18.7.1994, pag. 70.

(5)  Regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH) – GU L 396 del 30.12.2006, pag. 1.

(6)  GU L 353 del 31.12.2008, pag. 1.

(7)  GU C 94 del 18.4.2002, pag. 5 e GU C 277 del 17.11.2009, pag. 51.

(8)  Tipo di prodotto 4: disinfettanti nel settore dell'alimentazione umana e animale

Tipo di prodotto 14: rodenticidi

Tipo di prodotto 15: avicidi

Tipo di prodotto 16: molluschicidi

Tipo di prodotto 17: pescicidi

Tipo di prodotto 18: insetticidi, acaricidi e prodotti destinati al controllo degli altri artropodi

Tipo di prodotto 19: repellenti e attrattivi

I tipi 14-19 costituiscono il gruppo 3: Controllo degli animali nocivi.


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di attrezzature a pressione trasportabili»

COM(2009) 482 def. — 2009/0131 (COD)

(2010/C 347/10)

Relatore: PEZZINI

Il Consiglio, in data 29 settembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di attrezzature a pressione trasportabili

COM(2009) 482 def - 2009/0131 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o febbraio 2010.

Alla sua 460a a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 190 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza il lavoro che è stato fatto dalla Commissione per adeguare la legislazione europea relativa agli apparecchi a pressione trasportabili all'evoluzione internazionale e alle disposizioni intervenute recentemente, per rafforzare il mercato interno e per semplificare le procedure.

1.2   La proposta della Commissione è estremamente importante perché consente di estendere l'applicazione degli accordi internazionali ADR, RID e ADN, già recepiti dalla direttiva 2008/68/CE, al trasporto nazionale.

1.3   Inoltre, secondo il CESE, l'approvazione della direttiva consentirà di trasformare il valore di raccomandazione, espresso dal Consiglio economico delle Nazioni Unite per l'Europa (UNECE) e dall'Organizzazione intergovernativa per il trasporto internazionale per ferrovia (OTIF), in atto legislativo per gli Stati membri, con indubbio vantaggio per il mercato interno.

1.4   Il CESE esprime una forte raccomandazione perché tutte le procedure previste abbiano sempre, come obiettivo primario, la sicurezza degli operatori e dei cittadini, nelle fasi della produzione, del trasporto, della vendita e del riciclaggio delle apparecchiature.

1.5   Il CESE sottolinea che il fattore sicurezza è l'elemento chiave delle due regolamentazioni: la presente e l'applicazione della direttiva 2008/68/CE.

1.6   Il CESE sottolinea la necessità della formazione, necessaria per ottenere personale qualificato e certificato nella gestione dei rischi; suggerisce di formulare chiare attribuzioni di responsabilità ai diversi soggetti e di prevedere sanzioni, in caso di violazione delle consegne di sicurezza, e l'eventuale risarcimento dei danni, attraverso il possibile ricorso ad assicurazione rischi, da parte degli operatori.

1.7   Il CESE sottolinea la bontà delle scelte fatte dalla Commissione per dare una struttura legislativa coerente alla proposta, che prevede:

lo spostamento in un unico testo delle norme tecniche,

il recepimento dei provvedimenti legislativi emanati per rafforzare il mercato interno, attraverso un ruolo meglio definito degli organismi notificati,

l'estensione della legislazione UE ad altri Stati non membri,

il rafforzamento del controllo sul mercato.

1.8   Alcuni articoli della proposta, secondo il CESE, potrebbero essere meglio sviluppati, per migliorarne il recepimento negli Stati membri, e per evitare eventuali interpretazioni difformi.

1.9   Il CESE ritiene che dovrebbero essere meglio approfondite le relazioni con i paesi terzi, specie con quelli confinanti e con le «enclaves» comunitarie, per accordi con tali paesi, le cui attrezzature a pressione transitano sul territorio UE, e ciò perché rispettino i requisiti della direttiva.

1.10   Il CESE è convinto che l'emanazione di norme precise sulla tracciabilità delle fasi di montaggio, di manutenzione e di controllo, previste per le attrezzature a pressione trasportabili, consentirebbe di ottenere una migliore cultura della responsabilità negli interventi e più chiarezza in eventuali contenziosi che dovessero nascere per danni agli operatori, alle persone e alle cose. Gli organismi notificati, anche in caso di incidenti, dovrebbero essere responsabili per le ricerche e le analisi di quanto avvenuto nei confronti degli operatori e dei terzi.

1.11   Il CESE raccomanda l'elaborazione di nuove linee guida, che rinnovino, alla luce delle due nuove regolamentazioni, quelle a suo tempo previste nella direttiva 1999/36/CE, che deve essere abrogata.

2.   Contesto

2.1   Il CESE è profondamente convinto che rafforzare la sicurezza delle attrezzature a pressione trasportabili, nelle fasi del trasporto interno di merci pericolose, e garantirne la libera circolazione all'interno della Comunità, sia fondamentale per la piena realizzazione del mercato unico europeo, per la tutela dell'industria, del commercio internazionale, del consumatore, dell'ambiente e dei cittadini in generale.

2.2   Il CESE è perfettamente d'accordo sulla necessità:

di procedere alla certificazione e alla valutazione della conformità delle attrezzature a pressione trasportabili di nuova fabbricazione,

di effettuare controlli periodici sulla revisione della conformità,

di sottoporre a ispezioni periodiche le attrezzature a pressione trasportabili esistenti,

di apporre, sulle attrezzature, il marchio di conformità da parte di organismi notificati, come segno di certificazione,

di rafforzare i sistemi di sorveglianza di mercato, come il CESE ha avuto modo di ribadire nel suo parere (1) sul nuovo quadro legislativo, definito dal regolamento (CE) n. 765/2008 e dalla decisione n. 768/2008/CE.

2.3   L'ONU elabora regolarmente precise raccomandazioni, anche se non giuridicamente vincolanti, sulle nuove norme ISO, che vengono inserite nel cosiddetto Libro arancione che assicura un riconoscimento internazionale alle norme volontarie ISO del settore, per tener conto dell'evoluzione tecnica, dei nuovi materiali e delle esigenze del trasporto, al fine di assicurare la protezione delle persone, dei beni e dell'ambiente.

2.4   Il Comitato di esperti dell'ONU ha recentemente deciso di introdurre, in un capitolo speciale, il riferimento a numerose norme ISO, dando forza di legge ai marchi ONU.

2.5   La Commissione economica per l'Europa dell'ONU: ECE/UN, ha espresso la sua posizione nell'ambito:

dell'accordo europeo relativo al trasporto internazionale delle merci pericolose su strada (ADR) (2),

del regolamento concernente il trasporto internazionale ferroviario delle merci pericolose (RID) (3), documento ripreso nelle direttive 94/55/CE, 96/49/CE,

dell'accordo europeo relativo al trasporto internazionale delle merci pericolose per vie navigabili interne (ADN) (4).

2.6   Nell'ambito di tali accordi, l'ECE/UN ha varato, il 18 agosto 2009, la XVI revisione delle raccomandazioni sul trasporto di merci pericolose.

2.7   La revisione contiene:

la classificazione e la definizione delle singole classi,

l'elenco delle principali merci pericolose,

i requisiti generali di imballaggio,

le procedure di prova,

la marcatura, l'etichettatura, il collaudo e l'approvazione degli imballaggi e delle cisterne mobili,

le procedure di spedizione.

2.8   Da tale revisione si auspica una semplificazione delle operazioni di trasporto, di movimentazione e di controllo, una diminuzione delle formalità e, sul piano generale, una riduzione delle barriere che ostacolano il trasporto internazionale di merci classificate come «pericolose». Sempre, però, con una costante attenzione alle norme e ai sistemi di sicurezza per gli operatori e per i cittadini.

2.9   Il 24 settembre 2008, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato la direttiva 2008/68/CE relativa al trasporto interno di merci pericolose, su cui il CESE si è pronunciato favorevolmente (5). Tale direttiva ha abrogato le direttive 94/55/CE, 96/49/CE, 96/35/CE e 2000/18/CE (6).

2.10   Con la direttiva 2008/68/CE è stata scelta la strada di procedere a una semplificazione del quadro normativo, attraverso un «atto legislativo unico, in grado di coprire tutti e tre i modi di trasporto interno, mantenendo la possibilità di inserire i riferimenti alle convenzioni e agli accordi internazionali, sul trasporto di merci pericolose, soltanto negli allegati della direttiva» (5).

2.11   Attualmente, a livello europeo, la materia è coperta, oltre che dalla direttiva 2008/68/CE, che ha ripreso l'ADR, il RID e l'ADN (7), dalla direttiva 1999/36/CE in materia di attrezzature a pressione trasportabili, sulla quale il CESE ha avuto modo di esprimersi (8), e da una regolamentazione che rientra nell'ambito del «Nuovo approccio» e che è stata a più riprese modificata (9) per adattarne gli allegati ai progressi tecnologici.

2.12   Le esigenze in materia di normalizzazione sono assai importanti, in tema di attrezzature a pressione trasportabili; quindi, per assicurare una politica di qualità e di sicurezza, il ricorso alla normalizzazione, che appoggia ed integra la regolamentazione, è diventato indispensabile. Anche gli accessori devono essere presi in considerazione, come previsto dagli accordi ADR/RID/ADN.

2.13   La Commissione, il 9 settembre 2005, ha pubblicato un rapporto sull'applicazione della direttiva 99/36/CE (10) da parte degli Stati membri, nel quale si è rilevato che «la maggioranza degli Stati membri non permette agli organismi autorizzati di eseguire valutazioni di conformità per l'immissione sul mercato nazionale di attrezzature a pressione trasportabili di nuova fabbricazione» (non utilizzo dell'opzione ex art. 4). Val la pena sottolineare che l'utilizzo degli organismi approvati è facoltativo, mentre è obbligatorio l'utilizzo di organismi notificati.

2.14   D'altra parte, la Commissione stessa aveva rinviato la data di attuazione della direttiva 1999/36/CE al 1o luglio 2005, per i fusti a pressione, per le incastellature di bombole e per le cisterne, considerando che non esistono specifiche tecniche particolareggiate, né sono stati aggiunti sufficienti riferimenti alle norme europee, negli allegati alla direttiva 94/55/CE (trasporto di merci pericolose su strada) e alla direttiva 96/49/CE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al trasporto di merci pericolose per ferrovia, conformemente al parere del CESE per il trasporto di merci pericolose (11).

2.15   In effetti, l'attuazione della direttiva 1999/36/CE ha suscitato numerose perplessità da parte degli industriali, degli organismi incaricati di controllare la conformità dei prodotti, degli utilizzatori, degli organismi professionali e dei comitati di normalizzazione incaricati di redigere le esigenze essenziali.

2.16   Il CESE ribadisce quanto già espresso sull'argomento e cioè che «non si può pensare di creare le migliori condizioni di sicurezza possibili, per il trasporto di merci pericolose, senza adottare una legislazione comunitaria unica, che copra tutti i tipi di trasporto interno (stradale, ferroviario e fluviale)» (12), in armonia con le regolamentazioni internazionali.

3.   La proposta della Commissione

3.1   La proposta di direttiva, da estendere allo Spazio economico europeo (SEE), dovrebbe rispondere ai quattro seguenti obiettivi principali:

abrogare la direttiva 1999/36/CE e le direttive 76/767/CEE, 84/525/CEE, 84/526/CEE e 84/527/CEE sulle bombole a pressione,

semplificare il più possibile le norme, ottimizzandole e armonizzandole con le normative internazionali attualmente in vigore,

aggiornare la normativa, per garantire la libera circolazione e l'utilizzo delle attrezzature a pressione trasportabili, in materia di commercializzazione dei prodotti nel mercato interno, intervenendo sul regolamento (CE) n. 765/2008 e sulla decisione n. 768/2008/CE,

eliminare gli elementi di conflitto tra le regolamentazioni in materia di attrezzature a pressione trasportabili (direttiva 1999/36/CE) e le normative internazionali, relative al trasporto di merci pericolose, semplificando le disposizioni esistenti, specie rispetto alle procedure di valutazione di conformità.

3.2   Nell'interesse della sicurezza del trasporto e della libera circolazione delle attrezzature a pressione trasportabili, la proposta della Commissione vuole definire in modo preciso gli obblighi dei diversi operatori economici, degli operatori responsabili della manutenzione quotidiana, compresi i proprietari e gli operatori di attrezzature a pressione trasportabili, chiarendone in modo trasparente le responsabilità.

3.3   La proposta stabilisce requisiti e responsabilità per le autorità incaricate della valutazione, della notifica e della vigilanza degli organismi notificati e degli organismi di ispezione, così come prevede il mutuo riconoscimento degli organismi notificati.

3.4   La Commissione si riserva la facoltà di adeguare gli allegati al progresso scientifico e tecnologico, secondo la procedura di regolamentazione con controllo del sistema di comitatologia (13).

4.   Osservazioni generali

Il CESE condivide gli obiettivi della proposta in termini di sicurezza, di obblighi e responsabilità di operatori ed autorità pubbliche, di procedure e controlli ben definiti, di condizioni di immissione in commercio, di messa a disposizione e di utilizzo delle attrezzature a pressione trasportabili, nel quadro comune di commercializzazione dei prodotti, definito dalla decisione n. 768/2008/CE e dal sistema di sorveglianza del mercato, definito dal regolamento (CE) n. 765/2008.

4.1.1   Il CESE ritiene che il ruolo degli operatori sia fondamentale in tutte le procedure che riguardano le attrezzature a pressione trasportabili (la richiesta di rivalutazione di conformità, la produzione, il trasporto, le manutenzioni tecniche, il riciclaggio) e auspica, quindi, che le misure di attuazione della direttiva tengano conto di tutte queste delicate funzioni. Dovrebbero essere previsti regolari e appropriati interventi formativi rivolti al personale e mirati ad una oculata gestione del rischio. Un'assicurazione rischi, prevista per gli operatori interessati, potrebbe essere opportuna.

4.2   Il CESE ha avuto modo di sottolineare con forza che «la libera circolazione dei beni rappresenta un motore essenziale della competitività e dello sviluppo economico e sociale del mercato unico europeo: il rafforzamento e la modernizzazione delle condizioni di commercializzazione di prodotti sicuri e di qualità costituiscono elementi fondamentali per i consumatori, per le imprese e per i cittadini europei» (14).

4.3   Il CESE ritiene opportuno che la nuova normativa si raccordi alla normativa internazionale, prevedendo la possibilità di inserire i rimandi alle convenzioni e agli accordi internazionali pertinenti, anche al fine di dare compiutezza alla dichiarata volontà di semplificazione delle norme e delle disposizioni tecniche (15).

4.4   Il CESE, pur prendendo atto delle «ampie consultazioni con gli Stati membri e con le altre parti interessate» effettuate dalla Commissione, avrebbe preferito che la nuova direttiva proposta fosse stata oggetto di una valutazione d'impatto, anche in ragione delle complessità delle disposizioni e delle specifiche tecniche da rispettare.

4.5   Perplessità desta la prospettiva della non applicazione delle prescrizioni della direttiva proposta alle attrezzature usate esclusivamente per il trasporto di merci pericolose tra il territorio del SEE ed i paesi terzi. Il CESE ritiene, inoltre, che dovrebbero essere meglio approfondite le relazioni con i paesi terzi, specie con quelli confinanti e con le «enclaves» comunitarie.

4.6   Il CESE ritiene indispensabile che vengano emanate disposizioni precise sulla tracciabilità della attrezzature a pressione trasportabili, utili per facilitare l'individuazione di responsabilità. Il recente tragico evento dello scoppio di una cisterna alla stazione di Viareggio ha mostrato chiari limiti alle possibilità di individuazione di responsabilità.

4.7   Il CESE si domanda altresì la ragione dell'assenza di disposizioni sanzionatorie, in caso di violazione degli obblighi previsti dalla direttiva, specie in materia di sicurezza; questo soprattutto in considerazione della necessità di tutelare la sicurezza degli operatori e dei cittadini.

4.8   Nel ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo del sistema di comitatologia, il CESE ha avuto modo di sottolineare che le procedure di comitato devono essere il più trasparente e il più comprensibile possibile per le persone residenti nell'UE, in particolare per le persone direttamente interessate da tali atti, ed ha ricordato che «occorrerà dare piena applicazione all'articolo 8A del Trattato di Lisbona, che prevede che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, garantendo piena accessibilità di informazione ai cittadini e alla società civile (16)».

5.   Osservazioni particolari

5.1   All'articolo 2.14, il CESE suggerisce che la proposta chiarisca meglio che la distinzione «a titolo oneroso o gratuito» si riferisce a casi particolari, che non rientrano nelle competenze degli organismi notificati.

5.2   All'articolo 6.6 sarebbe opportuno, secondo il CESE, prevedere a chi debba essere consegnata la documentazione, per gli anni restanti fino al termine dei venti previsti, in caso di cessazione dell'attività da parte dell'importatore. Dato che tale eventualità è prevista dagli allegati della direttiva 2008/68/CE, al punto 1.8.7.1.6, sarebbe opportuno un richiamo esplicito nella proposta.

5.3   All'articolo 18.5 il CESE ritiene che, accanto alla necessità di riservatezza per le informazioni sensibili, vi sia la necessità di rendere pubblici i provvedimenti, per evitare errori e omissioni.

5.4   All'articolo 29 sarebbe utile, secondo il CESE, precisare meglio gli obblighi, gli impegni e la responsabilità che dovranno assumere gli organismi notificati, per garantire uniformità e rigore di procedure in un settore delicato quale è quello degli apparecchi a pressione trasportabili.

5.5   Secondo il CESE sarebbe opportuno, all'interno della direttiva, indicare con più chiarezza chi ha la responsabilità, negli Stati membri, di valutare l'efficienza e l'obsolescenza delle attrezzature e dei macchinari. Per evitare, soprattutto, eventuali danni alle persone. Tale indicazione è già prevista nella direttiva 2008/68/CE, ma sarebbe utile esplicitarla anche nell'attuale proposta.

5.6   Il CESE sottolinea che, accanto alle attrezzature sotto pressione, vi sono attrezzature che diventano «sotto pressione» a seguito di azioni. Per queste attrezzature sarebbe opportuno sviluppare alcune considerazioni. Occorrerebbe anche prevedere norme di sicurezza per l'immagazzinamento di medio (cfr. direttiva 2008/68/CE) e lungo temine.

5.7   Secondo il CESE, si potrebbe prevedere come dirimere le eventuali controversie (magistratura, arbitrato …) che potrebbero sorgere tra proprietari, importatori, rappresentanti, operatori.

5.8   Il CESE raccomanda, infine, l'elaborazione di «guidelines» chiarificatrici, redatte in modo congiunto, sia per la nuova direttiva proposta, sia per la direttiva 2008/68/CE, secondo quanto è stato fatto per la abroganda direttiva 1999/36/CE.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 1.

(2)  Concluso il 30 settembre 1957 a Ginevra. Al 31 marzo 2009, 45 Stati hanno ratificato l'ADR: Albania, Germania, Andorra, Austria, Azerbaigian, Bielorussia, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Spagna, Estonia, Macedonia, Federazione russa, Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Kazakhstan, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Marocco, Moldavia, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Gran Bretagna, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Tunisia, Ucraina.

(3)  Il regolamento RID è contenuto nell'allegato c della convenzione relativa ai trasporti internazionali per ferrovia (COTIF), adottato il 3 giugno 1999 a Vilnius.

(4)  Accordo europeo concluso il 26 maggio 2000 a Ginevra e successivamente modificato.

(5)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 44.

(6)  Direttiva 2000/18/CE (GU L 118 del 19.5.2000, pagg. 41-43).

(7)  Cfr. note 2, 3, 4.

(8)  Il CESE aveva espresso il proprio parere in proposito il 10 luglio 1997 (GU C 296 del 29.9.1997, pag. 6).

(9)  Dalla direttiva 2001/2/CE della Commissione, del 4 gennaio 2001 (GU L 5 del 10.1.2001, pag. 4) e dalla direttiva 2002/50/CE della Commissione, del 6 giugno 2002 (GU L 149 del 7.6.2002, pag. 28).

(10)  COM(2005) 415 def. del 9 settembre 2005.

(11)  Decisione 2003/525/CE (GU L 183 del 22.7.2003, pag. 45).

(12)  Cfr. nota 7.

(13)  Decisione 1999/468/CE (GU L 184 del 17.7.1999, pag. 23).

(14)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 1.

(15)  Da notare che gli USA non accettano le bombole marchiate UN, ma solo quelle omologate dal proprio organismo DOT.

(16)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 35.


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto»

COM(2009) 427 def. — 2009/0118 (CNS)

(2010/C 347/11)

Relatore: BURANI

Il Consiglio, in data 23 settembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto (rifusione)

COM(2009) 427 def. - 2009/0118 (CNS).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 203 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il regolamento (CE) n. 1798/2003 del Consiglio, relativo alla cooperazione amministrativa in materia di IVA, è in vigore dal 1o gennaio 2004. La Commissione è tenuta a presentare ogni tre anni una relazione sul suo funzionamento; in parallelo all'impegno assunto, e assolto con la relazione dell'agosto 2009, essa ha presentato una nuova proposta di regolamento (rifusione). Con questa proposta la Commissione apporta diversi ritocchi al quadro giuridico del regolamento in vigore approfittando dell'esperienza dei primi anni di operatività; il suo scopo principale, e dichiarato, è quello di fornire agli Stati membri un più efficace strumento di lotta contro la frode attraverso una migliore cooperazione amministrativa.

1.2   Una preziosa chiave di lettura della proposta è fornita dalla relazione della Commissione: l'applicazione del regolamento è insoddisfacente per una molteplicità di ragioni. In sintesi, «la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri nel campo dell'IVA non è ancora abbastanza intensa per poter affrontare in maniera adeguata le evasioni e le frodi comunitarie»: la Corte dei conti europea si è espressa in questi termini, e la Commissione li ha testualmente ripresi nella sua relazione.

1.3   Il CESE rileva che la resistenza al cambiamento ha effetti nefasti sulle finanze degli Stati membri e dell'UE; esistono, è vero, motivi di carattere pratico, ma la ragione fondamentale va ricercata nella inconfessata volontà di protezione di interessi particolaristici, prevalenti rispetto al bene comune.

1.4   Sul piano pratico esistono obbiettivamente differenti visioni sulle modalità per assicurare il «corretto svolgimento» delle operazioni transfrontaliere: da un lato si vorrebbe privilegiare la cooperazione amministrativa vera e propria, e dall'altro esiste la tendenza a considerare come prevalente l'aspetto di lotta alla frode. La Commissione dispone, per ciascuno dei due aspetti, di due organi consultivi, il Gruppo ATFS (1) e il Comitato SCAC (2) (v. oltre, punto 2.3): una loro fusione, o una struttura congiunta e coordinata, potrebbe forse contribuire ad attenuare il latente conflitto fra le due discipline.

1.5   Il problema principale rimane tuttavia nelle resistenze a livello politico, che hanno trovato una manifestazione concreta nella contestazione della competenza della Corte dei conti a verificare la corretta esecuzione del regolamento: uno Stato membro ha sottoposto la questione alla giurisdizione della Corte di giustizia.

1.6   La nuova proposta introduce una quantità di innovazioni, troppo numerose per essere richiamate in un testo riassuntivo; verranno qui indicate solo le principali. Fra queste: l'obbligatorietà per gli Stati membri di applicare il regolamento in tutte le sue parti e nei termini stabiliti. Se approvato, questo testo fornirà alla Commissione il potere di comminare sanzioni, un potere quanto mai necessario.

1.7   La creazione di un unico ufficio centrale di collegamento in ogni Stato membro dovrebbe snellire e razionalizzare il sistema di cooperazione; l'obbligo di comunicare informazioni su un soggetto passivo risiedente nel proprio territorio viene confermato, e la facoltà di rifiutare di condurre indagini per conto di un'altra amministrazione viene limitata a pochi casi determinati. Queste norme sono particolarmente importanti per le indagini riguardanti le vendite a distanza; il CESE ritiene peraltro che la loro efficacia sia subordinata all'adozione generalizzata di sistemi informatizzati: sarebbe quindi prudente prevederne l'obbligatorietà al 2015, al termine del periodo transitorio.

1.8   Diversi articoli prevedono una serie di automatismi: comunicazione automatica e di propria iniziativa di informazioni utili ad altre amministrazioni, obbligatorietà di un feedback conseguente al ricevimento di informazioni, accesso automatico alle banche dati. Il tutto presuppone peraltro l'istituzione di procedure comuni, un compito che la Commissione dovrà affrontare al più presto.

1.9   Qualche perplessità suscita una norma che prevede la partecipazione di funzionari di altri Stati membri interessati alle indagini, anche fuori dagli uffici dello Stato ospitante: il CESE non ritiene opportuna questa norma per un evidente motivo di protezione di informazioni riservate e sensibili.

1.10   La creazione di una struttura comune per la lotta alla frode in materia di IVA (Eurofisc) è forse l'innovazione più significativa: essa dovrebbe organizzare scambi rapidi e multilaterali di informazioni. Il CESE dà un appoggio incondizionato all'iniziativa, ma al tempo stesso richiama l'attenzione su un aspetto sul quale si batte da tempo: la necessità di istituire un collegamento e una cooperazione con gli altri organismi che si occupano della lotta alla criminalità organizzata e al riciclaggio.

2.   Premessa

2.1   Il 1o gennaio 2004 è entrato in vigore il regolamento (CE) n. 1798/2003 del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA). Il regolamento è stato accolto con favore dalla maggioranza degli Stati membri (SM), che hanno condiviso l'intento della Commissione di migliorare il quadro giuridico per la cooperazione amministrativa e di fornire uno strumento di lotta contro la frode  (3). Ai sensi dell'art. 45, la Commissione doveva presentare ogni tre anni al Parlamento europeo ed al Consiglio un rapporto sull'applicazione del regolamento: è per rispondere a tale obbligo che è stata presentata, da ultimo, la relazione del 18 agosto 2009  (4).

2.2   Nel frattempo però era già maturata una più accentuata sensibilità ai problemi della frode fiscale; in materia di IVA, infatti, la comunicazione della Commissione sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale (5) del 31 maggio 2006 evocava la necessità di sviluppare una strategia coordinata di lotta, in particolare per le «frodi carosello» (6)  (7). Una successiva comunicazione (8) conteneva un programma d'azione a breve termine.

2.3   La Commissione ha ora presentato una proposta di regolamento che mira alla«rifusione» (9) del precedente. Essa è il risultato delle riflessioni della Commissione, in parte autonome e in parte derivanti da una serie di input esterni: i rapporti degli SM sul funzionamento del regolamento del 2004, le loro risposte a specifici questionari, la relazione speciale della Corte dei conti europea n. 8/2007, la risoluzione del PE del 2 settembre 2008 (2008/2033(INI)). A questi si aggiungono il contributo del Gruppo di esperti sulla strategia di lotta contro la frode fiscale (ATFS) e quello del Comitato permanente per la cooperazione amministrativa (SCAC).

3.   Commenti di carattere generale

3.1   La relazione COM(2009) 428 def. più sopra richiamata fornisce una preziosa chiave di lettura del nuovo regolamento: in essa la Commissione manifesta la sua insoddisfazione per l'applicazione del regolamento in vigore, insoddisfazione che può riassumersi nell'affermazione della Corte dei conti europea, riportata dalla Commissione stessa, secondo cui «nonostante le nuove disposizioni,  … la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri nel campo dell'IVA non è ancora abbastanza intensa per poter affrontare in maniera adeguata le evasioni e le frodi comunitarie …». La Commissione ha fatto del suo meglio per migliorare le norme e per renderne più facile l'applicazione, ma la ragione di fondo degli insuccessi sta nella resistenza al cambiamento di alcune, o forse molte, amministrazioni nazionali. Accanto alle obiettive difficoltà di carattere organizzativo o tecnologico, è inutile nascondersi che la volontà di collaborare pienamente trova ancor oggi un ulteriore ostacolo nella protezione di interessi particolari, veri o presunti. In nessun campo come in quello fiscale l'idea europea fa fatica ad affermarsi.

3.2   Una buona cooperazione amministrativa è la condizione fondamentale per un corretto svolgimento delle operazioni transfrontaliere ed è certamente nell'interesse delle amministrazioni nazionali e dei cittadini; ma il concetto di «corretto svolgimento» implica che tali operazioni si svolgano anche nel rispetto delle norme fiscali. I due concetti si fondono: la cooperazione amministrativa e la lotta alla frode fiscale sono un tutto inscindibile; la Commissione traduce in pratica questo concetto proponendo la creazione di una struttura comune (Eurofisc).

3.3   La Commissione dispone di due organi consultivi, che le assicurano il contributo di esperti ai massimi livelli: il Gruppo ATFS e il Comitato SCAC (v. punto 2.3): una fusione in un unico organismo (o la creazione di due gruppi coordinati da un'unica struttura decisionale) potrebbe forse contribuire ad attenuare alla base il latente «conflitto d'interessi» fra le due discipline, amministrativa e fiscale. Non sempre le regole per combattere la frode fiscale si conciliano pienamente con uno snellimento delle procedure amministrative, e viceversa; le resistenze al cambiamento risiedono, almeno in parte, in diverse esigenze legate allo stesso problema.

3.4   Sembra tuttavia che i maggiori problemi siano a livello politico: nella relazione citata al punto 2.1 si rileva che a seguito delle risposte date ai questionari (v. punto 2.3) la Commissione ha offerto agli Stati membri la possibilità di «esprimere il loro punto di vista sul funzionamento della cooperazione amministrativa». Lascia perplessi il fatto che «solo due Stati membri hanno mostrato interesse ad una discussione aperta con la Commissione …». A questo si aggiunge un episodio significativo: uno Stato membro ha addirittura messo in discussione la competenza della Corte dei conti a svolgere un audit sull'esecuzione del regolamento in materia di cooperazione amministrativa e il caso è attualmente all'esame della Corte di giustizia. Questi fatti si commentano da soli, e non lasciano molto spazio all'ottimismo per il futuro.

3.5   Un ulteriore aspetto di carattere politico riguarda la cooperazione amministrativa fra le autorità fiscali e le autorità preposte alla lotta al riciclaggio del denaro proveniente da attività di criminalità organizzata e di terrorismo: si tratta di un'esigenza sulla quale il CESE insiste da tempo e che per il momento non sembra aver incontrato consensi (10).

4.   Commenti specifici

Le modifiche più rilevanti introdotte dal nuovo regolamento riguardano le maggiori responsabilità degli Stati membri in materia di cooperazione, la precisazione delle informazioni da fornire e da ricevere, la delimitazione dei diritti di accesso alle informazioni. Vengono inoltre tracciati i principi di un quadro normativo sulla qualità delle informazioni e precisate le responsabilità degli Stati membri nel fornire informazioni corrette e tempestive; infine, viene creata la base giuridica di una struttura di cooperazione amministrativa strutturata al fine principale di combattere la frode (Eurofisc).

4.1.1   Il CESE manifesta il suo apprezzamento e sostegno alla Commissione: il nuovo regolamento rappresenta infatti un decisivo passo avanti nella regolamentazione della materia. Dall'attuazione delle norme deriverà, se gli Stati membri lo vorranno, un migliore assetto della finanza pubblica, sia sotto l'aspetto della semplificazione delle procedure che sotto quello della lotta alla frode.

4.2   Il CESE sottopone in appresso alcuni commenti sulle principali proposte innovative introdotte dal nuovo regolamento: da un lato questi commenti sono dettati da una volontà di collaborazione, ma dall'altro essi sono anche il frutto di un'obiettiva valutazione dei problemi che ancora si frappongono al conseguimento di una buona cooperazione amministrativa.

L'articolo 1 introduce esplicitamente, al par. 1, il fatto che il regolamento rifuso ha fra i suoi scopi principali quello di «lottare contro la frode all'IVA», e al par. 2 stabilisce le condizioni che gli SM devono osservare per assolvere il loro obbligo di «assicurare la protezione del gettito IVA in tutti gli Stati membri». Il testo del regolamento attualmente in vigore è più blando e meno preciso: si limita infatti a definire«norme e procedure per lo scambio di alcune informazioni».

4.3.1   L'innovazione non è di lieve portata: l'obbligo di agire per cooperare significa che gli Stati membri devono applicare il regolamento in tutte le sue parti e nei termini stabiliti. Il CESE non può che essere d'accordo, ma si interroga sulla possibilità che nei fatti gli Stati membri possano, o vogliano, adeguarsi alla nuova normativa, visto che già quella in vigore soffre di ritardi e di eccezioni. Inoltre, l'obbligatorietà delle norme implica un potere della Commissione di imporre sanzioni, e quello della Corte dei conti di svolgere un audit sulla corretta loro adozione: un assunto non da tutti condiviso. Nella relazione di cui al punto 2.1, la Commissione riporta infatti il caso della Germania, che ha contestato una procedura di infrazione e la competenza della Corte dei conti a svolgere audit. La decisione che prenderà la Corte di giustizia sul ricorso attualmente pendente dinanzi ad essa avrà un peso determinante sul futuro della cooperazione amministrativa in materia di IVA.

4.3.2   La nuova formulazione dell'articolo rivela quindi che anche nel campo fiscale si manifestano le diverse tendenze esistenti nella politica europea: l'interpretazione dei Trattati secondo diverse ottiche conduce spesso la Commissione a difendere competenze e poteri, e gli SM a conservare le loro prerogative nazionali. Il CESE non ritiene di dover prendere posizione, ma si limita ad augurarsi che dall'approvazione del nuovo Trattato nasca una nuova Europa caratterizzata da una convinta adesione degli SM ai principi che lo ispirano.

4.4   L'articolo 4 obbliga ciascun Stato membro ad istituire un unico ufficio centrale di collegamento responsabile dei contatti con gli altri Stati membri; il CESE si rallegra di questa decisione, ma ricorda che il buon funzionamento di un ufficio centrale dipende dall'efficienza delle strutture periferiche nazionali: una condizione che non sembra attualmente essere ovunque rispettata.

L'articolo 7 (ex art. 5) conferma l'obbligo per uno SM di comunicare informazioni su un soggetto passivo risiedente sul proprio territorio, quando esse siano richieste da un altro SM. In alcuni casi determinati (11), l'autorità interpellata può rifiutare di condurre indagini, ma solo se ha già fornito informazioni all'autorità richiedente meno di due anni prima; resta comunque obbligata a fornire gli estremi delle operazioni effettuate dal soggetto passivo indagato negli ultimi due anni.

4.5.1   Le nuove norme rivestono una particolare importanza per le vendite a distanza e sono ispirate ad una corretta politica di collaborazione amministrativa; purtroppo, tuttavia, già nella loro forma attuale esse conoscono solo un'adozione parziale, soprattutto a causa della struttura informatica tuttora carente. Il CESE ritiene dunque che sarebbe consigliabile estendere a queste norme il periodo transitorio previsto per altre disposizioni, rinviandone l'obbligatorietà al 2015, quando entrerà in vigore il regolamento (CE) n. 143/2008 del Consiglio (12).

4.6   L'articolo 15 chiarisce il significato di «scambio automatico» delle informazioni, già presente nell'art. 17 dell'ordinamento attuale: ogni SM deve comunicare automaticamente, e di propria iniziativa, le informazioni che possono essere utili ad un altro SM per proteggere le proprie entrate fiscali. La portata del chiarimento è significativa: se e quando sarà applicato in modo sistematico, l'invio spontaneo di informazioni che interessano le altre amministrazioni sarà la prova che il concetto di cooperazione amministrativa è stato pienamente recepito.

4.7   L'articolo 17 è idealmente da collegare all'articolo 15 in quanto stabilisce che le autorità destinatarie delle informazioni devono dare un feedback alle autorità che le hanno fornite: la cooperazione infatti non si estrinseca soltanto nel dare informazioni, ma anche nel tenere informato chi le ha fornite sui risultati delle azioni che ne sono conseguite.

4.8   L'articolo 18 (ex art. 22) specifica le informazioni che ciascuno SM deve inserire nella propria banca dati. Il CESE ritiene che queste disposizioni avranno un duplice effetto benefico: da un lato contribuiranno a migliorare la funzionalità del sistema di scambi di informazione in ambito VIES (13) e, dall'altro, richiameranno l'attenzione degli SM sull'applicazione della direttiva 2006/112/CE per la parte riguardante l'attribuzione, variazione e cancellazione del numero IVA; l'importanza di una corretta applicazione delle disposizioni relative è dimostrata dal fatto che proprio sulla numerazione IVA è basata buona parte delle frodi. Un non trascurabile beneficio deriverà da esse anche agli utilizzatori, soprattutto grazie alle innovazioni in materia di standard minimi nelle banche dati introdotte dai successivi articoli 23 e 24.

4.9   Qualche perplessità suscita l'articolo 22, il quale stabilisce che ciascuno SM deve accordare alle autorità di ogni altro SM un accesso automatizzato alle proprie banche dati; il CESE osserva che, anche se è condizionato ad un accordo preventivo dell'autorità interpellata  (14), un accesso diretto pone problemi di comprensione della lingua e di corretta interpretazione, ed uso, delle informazioni. La Commissione stessa conosce il problema: il 23° «considerando» dice infatti che «occorre istituire procedure comuni volte ad assicurare la comparabilità … delle informazioni» e lo stesso concetto, in altro contesto, è ripetuto nel «considerando» n. 27. Il CESE ritiene che la norma sull'accesso automatizzato sia da rinviare ad un'epoca futura, quando le procedure comuni, amministrative ed elettroniche, saranno state adottate da tutti gli SM.

L'articolo 29, che riguarda la partecipazione di funzionari degli SM interessati alle indagini amministrative, stabilisce infatti al par. 1 che tali funzionari possono essere presenti non solo negli uffici, ma anche«in qualsiasi altro luogo» (in pratica, negli uffici dei soggetti passivi indagati). Nel contempo il par. 2 da un lato sopprime la norma secondo la quale lo SM interpellato può stabilire le modalità di partecipazione alle indagini dei funzionari dello SM richiedente, e dall'altro conferma che i funzionari dello SM richiedente, pur non esercitando «i poteri di controllo di cui sono titolari gli agenti dell'autorità interpellata … possono avere accesso agli stessi locali e agli stessi documenti cui hanno accesso questi ultimi …».

4.10.1   Questa serie di poteri e di prerogative non sembra né prudente né giustificata; il CESE chiede che la norma sia riveduta e formi oggetto di una più matura riflessione. La presenza di un funzionario di un altro SM negli uffici di un soggetto passivo può comportare il suo venire a conoscenza di«un segreto commerciale, industriale o professionale o di un'informazione la cui divulgazione sia contraria all'ordine pubblico». Quest'ultima frase riprende testualmente il par. 4 dell'art. 56, che stabilisce i casi in cui un'informazione può essere rifiutata; a maggior ragione, non si può accettare che di una tale informazione venga a conoscenza un funzionario di un altro SM grazie alla sua presenza negli uffici del soggetto passivo.

Gli articoli da 34 a 39 riguardano un'innovazione: l'istituzione di una struttura comune per la lotta alla frode e all'evasione dell'IVA. Tale struttura, che nella relazione (15) viene denominata «Eurofisc», avrebbe il compito fondamentale di organizzare scambi rapidi e multilaterali di informazione, con la raccolta e la diffusione di informazioni utili nel quadro della cooperazione amministrativa. I vari articoli sono dedicati ai diversi aspetti di funzionamento del nuovo organismo. Non è ancora chiaro, peraltro, se si tratterà di una struttura centralizzata o decentrata.

4.11.1   Il CESE accoglie con favore l'istituzione di un organo che centralizzi e diffonda le informazioni; al momento però della entrata in funzione di tale organo sarà necessario rivedere il regolamento nelle parti che potrebbero essere da conciliare, o da adattare, al presente regime di collaborazione bilaterale.

4.11.2   Esiste peraltro un altro aspetto, che è collegato con l'istituzione di Eurofisc ma che non è trattato in nessun punto del regolamento o della relazione introduttiva: la collaborazione e il collegamento con altri organismi che si occupano di lotta alla criminalità organizzata e al riciclaggio. In molti casi, e comunque nei più gravi, l'evasione dell'IVA non è un reato a sé stante: ma è collegata al contrabbando di merci contraffatte, al traffico di droga, al traffico di materiale bellico e a ogni sorta di attività svolte e controllate dalla criminalità organizzata e dal terrorismo. Non esiste, né nelle regole né nei fatti, una cooperazione strutturata fra organismi che si occupano di aspetti diversi di uno stesso fenomeno, o di fenomeni diversi che fanno capo alle stesse organizzazioni: di qui duplicazioni di attività, inefficienze e non di rado conflitti di competenze.

4.11.3   Degli aspetti riguardanti la cooperazione fra autorità fiscali e autorità di polizia anticrimine e antiterrorismo il CESE si occupa più diffusamente in un altro suo parere sulla buona governance fiscale (16); in estrema sintesi, il problema si riconduce alla necessità di un migliore coordinamento fra le direttive fiscali e quelle relative al riciclaggio. È inammissibile che esistano organismi differenti, come amministrazioni delle imposte dirette e indirette, dogane, polizia, servizi segreti, tutti con scopi uguali o affini ma privi di collegamenti o accordi di collaborazione.

4.11.4   Il CESE è conscio dei problemi di ordine pratico e amministrativo implicati da una tale soluzione, e dei tempi lunghi che occorrerebbero per metterla in pratica, ma ricorda che l'ostacolo maggiore è certamente quello della volontà politica degli SM: una volontà che al momento non esiste. La Commissione dovrebbe peraltro agire da propulsore, ed includere la cooperazione amministrativa fra organismi inquirenti nei suoi programmi a medio-lungo termine.

4.12   La proposta di regolamento non menziona la data della sua entrata in vigore e si limita a stabilire che prenderà effetto il ventesimo giorno dalla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale; d'altro canto però l'articolo 45 stabilisce che una serie di procedure basate sulla cooperazione elettronica saranno applicabili con decorrenza 1o gennaio 2015. Questa data sembra realistica, nella misura in cui tutti gli SM vogliano, e possano, impegnarsi a rispettarla.

4.13   L'articolo 51 prescrive che ciascuno SM sottoponga ad audit (interno) il funzionamento del dispositivo di cooperazione: si tratta certamente di una misura necessaria, forse suggerita dall'esperienza in materia di audit esterno (v. punti 3.4 e 4.3.1), sul quale si è in attesa della decisione della Corte di giustizia. Il CESE si interroga peraltro sulla reale efficacia di una misura che lascia agli SM il compito di controllare se stessi.

4.14   Rimane invariato l'articolo 56 (ex art. 40), che accorda agli SM la facoltà di non trasmettere informazioni e di non effettuare indagini quando ne siano impediti dalla propria legislazione o qualora siano implicati degli aspetti protetti da segreto industriale o professionale. Viene peraltro aggiunto un paragrafo che precisa che tale facoltà non esiste per i casi protetti dal segreto bancario. La questione dovrebbe essere inquadrata nel più ampio contesto dell'abolizione del segreto bancario e delle norme antiriciclaggio; rimane tuttavia un dubbio, e cioè se le informazioni detenute da una persona «che agisce in qualità di agente o fiduciario» rientrino nel segreto bancario o nel segreto professionale. Il CESE ritiene auspicabile un chiarimento.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Anti Tax Fraud Strategy Expert Group.

(2)  Standing Committee on Administrative Cooperation.

(3)  Il regolamento è stato oggetto di un parere del CESE (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45).

(4)  COM(2009) 428 def. - La relazione non viene commentata esplicitamente nel presente documento del CESE; peraltro, le informazioni e le opinioni espresse dalla Commissione sono un prezioso ausilio per comprendere il significato delle misure proposte nel nuovo regolamento.

(5)  COM(2006) 254 def.

(6)  In alcuni casi questo tipo di frode si è sviluppato in un sistema di frode intracomunitaria cosiddetta «dell'operatore inadempiente», COM(2009) 511 def., pag. 3.

(7)  Anche questa comunicazione è stata commentata dal CESE nel suo parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale (GU C 161 del 13.7.2007, pag. 8).

(8)  COM(2008) 807 def.

(9)  COM(2009) 427 def.

(10)  Vedi parere CESE sulla Promozione della buona governance in materia fiscale.

(11)  I casi nei quali è contemplata la possibilità di un rifiuto sono elencati nell'allegato (nuovo) al regolamento, e riguardano una serie di servizi, fra i quali le vendite a distanza, i servizi relativi a beni immobili e mobili materiali, le attività accessorie al trasporto e i servizi di telecomunicazione e tele-radiodiffusione.

(12)  Regolamento (CE) n. 143/2008 del Consiglio, del 12 febbraio 2008, che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni in considerazione delle disposizioni in materia di luogo delle prestazioni di servizi, regimi speciali e procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto (GU L 44 del 20.2.2008, pag. 1).

(13)  VIES: VAT Information Exchange System.

(14)  L'art. 7 prevede che «su richiesta dell'autorità richiedente, l'autorità interpellata comunica le informazioni …».

(15)  COM(2009) 428 def., paragrafo 2.1.

(16)  Comunicazione della Commissione sulla promozione della buona governance in materia fiscale, COM(2009) 201 def.


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e 2004/109/CE sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato»

COM(2009) 491 def. — 2009/0132 (COD)

(2010/C 347/12)

Relatore generale: Angelo GRASSO

Il Consiglio, in data 14 ottobre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 2003/71/CE relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e 2004/109/CE sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato

COM(2009) 491 def. – 2009/0132 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 3 novembre 2009, ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 460a sessione plenaria del 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 18 febbraio 2010), ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La proposta di direttiva mira ad integrare nell'attuale normativa comunitaria due principi sostanzialmente condivisibili: a) la qualità dell'informazione è un elemento determinante della capacità effettiva di supportare le scelte di investimento degli operatori, specie quelli al dettaglio; b) una maggiore economicità nella gestione dell'informazione può essere raggiunta attraverso l'eliminazione delle duplicazioni di informazioni e quindi dei costi della loro produzione.

1.2   L'applicazione concreta di questi due principi presenta delle difficoltà oggettive dato che misurare la qualità è un fatto di per se stesso difficile, ancor più difficile nel caso in cui essa si riferisca all'informazione. Inoltre va considerato che i meccanismi specifici di propagazione delle informazioni sui mercati finanziari (che potremmo definire «per osmosi») e gli effetti trasversali che essi generano fra i diversi agenti economici interessati ad un investimento (cd.«effetto segnale») fanno sì che si generino discrepanze, anche significative, fra i costi di produzione della informazione ed i benefici (anche economici) ottenibili dalla stessa.

1.3   La soluzione dei problemi di qualità ed economicità dell'informazione dovrebbe quindi essere congiunta, tenendo in considerazione che il miglior stimolo alla produzione di informazione di qualità da parte dell'emittente di valori mobiliari consiste nel poter confidare in benefici economici almeno pari ai costi sostenuti per produrre l'informazione. La valutazione economica dell'informazione andrebbe fatta considerando che se l'informazione è trasparente il costo della raccolta di capitali si riduce; se invece l'informazione non è trasparente il costo della raccolta sarà maggiore (cd. «premio al rischio informativo»). Il CESE auspica allora che si superino le asimmetrie informative per ridurre il costo della raccolta dei capitali riducendo il premio al rischio informativo ed aumentare così la competitività nella raccolta dei capitali da parte delle imprese europee.

1.4   Una parte considerevole (ca. 3/4) del divario fra costi e benefici dell'informazione dipende dai meccanismi strutturali con cui le informazioni sono diffuse fra gli operatori di mercato, mentre solo una parte più contenuta (ca. 1/4) dipende dalle informazioni non trasmesse dall'emittente. La proposta di direttiva presenta soluzioni volte a ridurre la prima delle due parti del rischio informativo e, come tale, è da giudicare positivamente. Il CESE sottolinea solo l'esigenza che il cospicuo risparmio dei costi che ne dovrebbe scaturire non vada a scapito della qualità dell'informazione trasmessa, perché altrimenti l'intervento sarebbe controproducente.

1.5   Il contenuto della proposta solleva poi un aspetto del problema che rimane irrisolto. L'esigenza di rendere disponibile l'informazione agli investitori non specializzati si contrappone a quella di fornire loro tutti gli elementi necessari per la selezione degli investimenti, cosa che comporta l'inevitabile ricorso a tecnicismi. Una soluzione che il CESE si auspica consiste nel creare un mercato di «intermediari delle informazioni» separato da quello degli intermediari più tradizionali dei capitali e dei rischi (normalmente: banche, società di gestione, intermediari specializzati in derivati, ecc.). Il CESE sulla falsariga delle esperienze maturate in altri paesi e situazioni, suggerisce l'introduzione (anche per le fasi collocamento ed in aggiunta alle proposte contenute nel documento oggetto di questo parere) di specifici istituti giuridici di delega (similmente al proxy voting) ed il riconoscimento di figure professionali delle informazioni finanziarie (similmente al family office) attraverso una specifica regolamentazione.

2.   Evoluzione normativa e rilevanza del tema

2.1   La Commissione europea attribuisce elevata importanza al tema della trasparenza informativa nei mercati finanziari; lo testimonia la produzione continua di interventi regolamentari. Infatti, a cominciare dalla proposta n. 2000/0126 è iniziato un percorso decennale tendente ad assicurare una normativa chiara e trasparente all'interno dell'Unione che riguarda la codificazione dei processi di ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e dell'informazione da pubblicare. Con la proposta di direttiva oggetto di questo parere, quel processo approda ora ad una nuova fase evolutiva finalizzata a migliorare l'applicazione delle regole di trasparenza informativa attraverso la riduzione e la semplificazione di alcuni aspetti della pubblicazione dei prospetti informativi.

Nel corso del decennio 2000-2010, il focus dell'impianto regolamentare comunitario è mutato progressivamente.

2.2.1   Con la direttiva 2001/34, l'interesse prioritario si è focalizzato sulla quantità di informazioni che gli emittenti di valori mobiliari sono obbligati a trasmettere agli investitori, nel presupposto che l'efficienza allocativa dei mercati finanziari sia ad essa direttamente correlata. Questa impostazione è stata sostanzialmente condivisa dal CESE nel parere approvato il 29 novembre 2000 (relatore: LEHNHOFF, 112 voti favorevoli, nessun voto contrario o astenuto), salvo sottolineare l'esigenza di semplicità e chiarezza nell'esposizione delle informazioni al pubblico degli investitori.

2.2.2   Nel corso dell'anno 2003, l'interesse si sposta sull'uso delle informazioni da parte degli operatori, con interventi normativi volti ad integrare il testo originale della direttiva 2001/34. La direttiva 2003/6 ha regolato il cd. «insider dealing», in particolare quello che potrebbe provocare manipolazioni degli equilibri dei mercati finanziari e, di conseguenza, ridurre la fiducia dei consumatori. Va sottolineato, però che questa norma fa riferimento ai soggetti emittenti ed alle autorità di controllo e dà minore rilievo agli impatti producibili sui comportamenti degli investitori dall'uso delle informazioni. Coerentemente con questo approccio, anche la direttiva 2003/71 interveniva per definire i criteri di redazione del prospetto da pubblicare in caso di offerte pubbliche o l'ammissione alle negoziazioni di strumenti finanziari.

2.2.3   La direttiva 2004/109 interviene sul testo della direttiva 2001/34 concentrandosi sulle modalità tecniche di informazione al pubblico degli investitori da parte degli emittenti i cui valori mobiliari siano ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, con lo scopo di armonizzare ed integrare i mercati finanziari europei ed i servizi finanziari in essi operanti. Nel parere del CESE che ha preceduto questa direttiva, approvato il 10 dicembre 2003 (relatore: SIMON, 110 voti favorevoli, 1 astenuto), si condividono le proposte tecniche contenute nel testo salvo sottolineare la possibilità che schemi eccessivamente rigidi possano accrescere a dismisura il costo di produzione delle informazioni obbligatorie, generando un sostanziale disincentivo economico alla piena trasparenza informativa, specie per gli emittenti di più piccole dimensioni.

2.2.4   Nel corso del 2005, invece, l'integrazione alla normativa si è focalizzata sul tema dei cd. «regolatori dell'informazione» nei mercati attraverso interventi relativi alla organizzazione dei comitati per i servizi finanziari. L'intento era quello di mettere i legislatori e regolatori europei nelle condizioni di poter rispondere con maggiore efficacia e rapidità agli sviluppi dei mercati finanziari (in particolare quelli innescati dai cambiamenti tecnologici). Su questo intervento della Commissione il CESE si è espresso favorevolmente il 31 marzo 2004 (relatrice: FUSCO, 95 voti favorevoli, 2 astenuti).

2.3   La proposta di direttiva oggetto di questo parere ha come obiettivo principale quello di migliorare l'applicazione delle due direttive 2003/71 e 2004/109, introducendo alcune semplificazioni dei processi al fine di rendere l'informazione finanziaria più compatibile con le esigenze del cd. «investitore al dettaglio» e per aumentare l'efficienza e la competitività internazionale degli emittenti residenti nell'Unione. Quindi, diversamente dagli interventi fino ad oggi realizzati, con questa proposta di direttiva si intende focalizzarsi sul tema della qualità dell'informazione finanziaria.

2.4   Il CESE ritiene che la produzione di «tanta» informazione non sempre si associa alla disponibilità di «buona» informazione. Questo crea anche problemi di economia dell'informazione, poiché si presuppone che i costi dell'informazione finanziaria siano più collegabili alle quantità di prospetti informativi da produrre anziché alla qualità dei loro contenuti. Questa proposta di direttiva potrebbe produrre un risparmio di oltre 300 milioni di euro all'anno, intervenendo su un insieme di meccanismi che duplicano le diverse fasi dei processi di diffusione delle informazioni.

2.5   L'esigenza di disporre di mercati capaci di veicolare le giuste dosi di quantità e qualità di informazioni con costi sostenibili per gli investitori è tema oggetto di ampio interesse. Studi empirici recenti dell'Università Ca' Foscari di Venezia hanno dimostrato come il rischio di cattiva informazione (cd. «rischio informativo») concorra mediamente per il 37 % alla volatilità dei mercati azionari europei degli ultimi 15 anni, senza distinzione sostanziale fra diversi comparti merceologici. Gli stessi studi mostrano poi come, sorprendentemente, oltre 3/4 del rischio informativo siano dovuti ai meccanismi di propagazione delle informazioni disponibili fra gli operatori di mercato, mentre solo il 1/4 rimanente sia dovuto a distorsioni nei processi di disclosure da parte degli emittenti. Questa evidenza è connaturata alle caratteristiche economiche dell'informazione finanziaria caratterizzata da elevati costi di produzione contrapposti a bassi prezzi di sua cessione a terzi, conseguenza diretta dell'assenza della mutua escludibilità dei suoi processi di fruizione. È questo un fenomeno che di per se stesso incentiva la riduzione della qualità informativa e dei meccanismi di sua propagazione compensando con maggiori quantità di informazione, spesso duplicate.

2.6   Il CESE ritiene quindi opportuno qualunque intervento volto a regolare i processi economici, legati alla produzione e diffusione dell'informazione, purché possano effettivamente contribuire all'accrescimento della qualità dell'informazione disponibile sui mercati finanziari, rendendo così più agevole agli investitori il processo di selezione degli investimenti e, per questa via, ridurre anche il costo dell'approvvigionamento delle risorse finanziarie da parte degli emittenti di titoli da porre in negoziazione.

3.   Le principali disposizioni della proposta direttiva

3.1   La proposta di direttiva si compone di cinque articoli di cui i primi due finalizzati alla modifica rispettivamente dei testi della direttiva 2003/71/CE (articolo 1 della proposta, intervento più corposo) e della direttiva 2004/109/CE (articolo 2 della proposta, intervento meno corposo). Gli altri tre articoli sono di supporto dato che regolano rispettivamente: l'attuazione (art. 3), l'entrata in vigore (art. 4) ed i destinatari (art. 5).

3.2   Analisi ed osservazioni sul contenuto dell'art. 1 della proposta in esame relativi alla direttiva 2003/71/CE

3.2.1   Proposta di modifica dell'art. 1, par. 2, lettera h) e j) e dell'art. 3, par. 2, lettera e). Aggiunta del par. 4 all'art. 1

3.2.1.1   Il nuovo testo specifica anzitutto che i limiti di applicabilità della norma siano riferiti al complesso dei collocamenti effettuati nell'intero territorio dell'Unione europea. La precisazione è opportuna anzitutto al fine di evitare fenomeni elusivi attraverso la scomposizione di un'operazione economicamente unica in più operazioni giuridicamente indipendenti e definite in contesti giuridici specifici. Il CESE sottolinea poi come questa precisazione sia anche necessaria al fine di prevenire possibili difformità nella distribuzione di informazioni nei diversi contesti territoriali e la moltiplicazione dei costi che ne potrebbe derivare, con incidenze molto consistenti sulle operazioni di più piccola dimensione.

3.2.1.2   Sono poi indicati nuovi livelli di limite di applicazione della direttiva coerentemente con il contesto attuale dei mercati finanziari. Per evitare fenomeni di obsolescenza dei limiti è proposto di delegare direttamente alla Commissione la facoltà di intervenire sugli stessi per consentirne un adeguamento alle condizioni pro-tempore necessarie alla diffusione delle informazioni nei mercati finanziari. Il CESE concorda con l'esigenza di disporre di limiti più facilmente adeguabili alle condizioni di mercato ma suggerisce che le modifiche adottate dalla Commissione si basino su proposte delle autorità di controllo e vigilanza dei mercati e degli intermediari finanziari, dato che l'attività di queste ultime le rende più idonee al monitoraggio continuo delle esigenze effettivamente presenti nei mercati.

3.2.2   Proposta di modifica dell'art. 2, par. 1), lettera e) e lettera m), punto ii)

3.2.2.1   La proposta chiede di allineare la definizione di «investitore qualificato» a quella già contenuta nella direttiva cd. «MIFID». Il CESE è favorevole a questa proposta in quanto concorre a rendere omogeneo il quadro normativo dell'Unione europea.

3.2.2.2   La proposta fissa i criteri di definizione dell'ambito territoriale nel caso di strumenti finanziari (diversi dai titoli di capitale) con valore nominale inferiore a EUR 1 000 restringendoli agli Stati membri in cui l'emittente ha la sua sede sociale oppure a quelli in cui il debito sarà ammesso alla negoziazione su un mercato regolamentato oppure ancora a quelli in cui il debito è offerto al pubblico. Il CESE condivide l'intento del proponente di semplificare le procedure prevenendo la moltiplicazione di costi dovuta alla predisposizione di più prospetti contemporaneamente. A questo proposito, si osserva che il valore di mercato dei titoli è cosa ben diversa dal loro valore nominale che ha spesso una funzione meramente giuridica finalizzata a determinare le proporzioni di partecipazione ad una iniziativa. Di conseguenza, non tutti i titoli hanno valore nominale e taluni sistemi giuridici danno la possibilità di emettere titoli senza il cd. «par value», specie nel caso di titoli non rappresentativi di capitale. Il CESE suggerisce allora di integrare la proposta sostituendo ogni riferimento al «valore nominale» con quello al «valore di mercato» (o di collocamento) dei titoli rappresentativi di capitale e nel «valore del sottostante» nel caso di titoli non rappresentativi di capitale.

3.2.3   Proposta di modifica dell'art. 3, par. 2

3.2.3.1   La proposta statuisce la possibilità che gli intermediari incaricati del collocamento possano adottare il prospetto informativo originale dell'emittente, qualora conforme alle normative europee, ed evitare così i costi della predisposizione di ulteriori documenti. Il CESE concorda in linea di principio sulla proposta e le motivazioni, ma suggerisce sia meglio esplicitata l'applicazione del nuovo testo normativo anche nel caso in cui un intermediario abbia sede in un paese terzo e proceda ad un collocamento in paese diverso da quello dell'emittente.

3.2.3.2   Il CESE, poi, suggerisce che la possibilità di sfruttamento da parte della cd. «retail cascade» delle opportunità discusse al precedente punto 3.2.3.1 non sia contraddittoria con la rapida obsolescenza delle informazioni finanziarie. Di conseguenza si propone che, all'atto di pubblicazione di un prospetto, le autorità di controllo e vigilanza sui mercati a cui fa riferimento l'emittente (alternativamente: gli intermediari) fissino un termine di scadenza di validità del prospetto, trascorso il quale sia obbligatorio procedere ad un suo aggiornamento, nel caso in cui la specifica operazione che ha giustificato l'emissione del prospetto sia ancora in corso.

3.2.4   Proposta di modifica dell'art. 4, par. 1, lettera e)

3.2.4.1   La proposta consiste nell'estendere l'esenzione prevista dal testo attualmente in vigore anche ai piani azionari per i dipendenti delle società non quotate su un mercato regolamentato (comprese quindi quelle con titoli quotati su mercati non UE). Tale proposta è sostenuta dall'intento di rimuovere le differenze di trattamento riservato alle diverse categorie di società (quotate nell'UE rispetto alle non quotate e alle quotate extra-UE) ed anche al fine di contenere i costi legati a collocamenti riservati a soggetti già informati sul rischio dell'investimento, perché dipendenti.

3.2.4.2   Il CESE condivide l'intento di riduzione dei costi, ma sottolinea che le operazioni di collocamento di titoli rivolti ai dipendenti potrebbero rappresentare di per se stesse una informazione rilevante per gli investitori operanti sul cd. «mercato secondario», specie quando vengono presi in considerazione i gruppi internazionali. Il CESE auspica quindi che alla estensione della esenzione si associ una revisione della normativa afferente la trasparenza dei mercati. L'intervento sulla direttiva in tema di trasparenza potrebbe essere proposto dal CESE come specifico parere di iniziativa.

3.2.5   Proposta di modifica dell'art. 5, par. 2, dell'art. 6, par. 2 e dell'art. 7

3.2.5.1   La proposta di direttiva suggerisce di attribuire maggiore importanza alla nota di sintesi data la grande attenzione che ad essa viene attribuita specie dagli investitori cd. «al dettaglio». Modalità errate di redazione della nota di sintesi potrebbero configurare specifiche responsabilità giuridiche a carico del redattore; tuttavia, la proposta specifica che la quantità di parole adottate nel documento non è un indicatore efficace della capacità informativa del documento, da ricercare invece nel contenuto delle cd. «informazioni chiave».

3.2.5.2   Il CESE condivide l'idea che la quantità di parole non possa essere un indicatore sufficiente della capacità informativa dei prospetti di sintesi, tuttavia ritiene che la proposta direttiva dovrebbe essere più chiara nel fornire criteri per classificare le informazioni fra quelle più importanti. Stante la necessità degli investitori di valutare un investimento in base alla relazione esistente fra livelli prospettici di rischio e rendimento, le informazioni chiave dovrebbero essere quelle capaci di incidere maggiormente sul profilo di rischio dell'investimento, fenomeno di difficile identificazione di per se stesso. Si propone allora che le informazioni chiave siano identificate sulla base del potenziale di impatto che da queste potrebbe scaturire, da misurare attraverso indicatori standard già contemplati in altre normative comunitarie come il «Value-at-risk»; una soluzione tecnica alternativa ma semplificatrice che il CESE caldeggia è rendere obbligatoria l'indicazione del VaR nel prospetto sintetico.

3.2.6   Proposta di modifica dell'art. 7, par. 2

La proposta di modifica in questione mira a proporzionare le spese di redazione del prospetto informativo alla dimensione dell'emissione e nel caso di emissione di diritti. Effettivamente è noto che le spese di produzione del prospetto non sono perfettamente proporzionate alla dimensione dell'operazione finanziaria e quindi le operazioni di più ridotte dimensioni patiscono un'incidenza più che proporzionale. Nel caso di emissione dei diritti, invece, si giustifica la riduzione degli obblighi con l'assunto che «gli attuali azionisti hanno già preso la decisione iniziale di investire nella società e dovrebbero conoscerla bene».

Il CESE condivide l'esigenza di ridurre l'incidenza delle spese fisse di prospetto sulla dimensione dell'operazione finanziaria, perché fenomeno oggettivamente rilevato. Viceversa ritiene restrittiva la giustificazione addotta per la riduzione degli obblighi sui diritti dato che la loro emissione è spesso premessa per una loro negoziazione con soggetti che, non appartenenti alla compagine azionaria delle società all'atto dell'emissione, potrebbero patire asimmetrie informative. Per entrambe i casi, come visto anche in precedenza, l'introduzione dell'indicazione obbligatoria del VaR dell'investimento permetterebbe di contenere i costi di redazione del prospetto senza incidere significativamente sulla capacità informativa della versione sintetica del documento.

3.2.7   Proposta di modifica dell'art. 8

L'intervento proposto all'art. 8 suggerisce di omettere la documentazione relativa al garante dell'emissione quando questi sia lo Stato, così da ridurre i costi complessivi dell'operazione. Il CESE accoglie in linea di principio questa proposta ma suggerisce che il prospetto riporti almeno l'ultimo «rating» dell'entità garante dato che questo dato è differenziato fra Stati a parità di valuta di denominazione dello strumento finanziario e che la garanzia potrebbe derivare da articolazioni degli Stati dotati di credibilità finanziaria autonoma ed eventualmente di società veicolo di proprietà pubblica specificatamente costituite.

3.2.8   Proposta di modifica dell'art. 9 e dell'art. 14, par. 4

La proposta consiste nell'elevare a 24 mesi la durata del prospetto (rispetto agli attuali 12). Il CESE ribadisce quanto già illustrato in precedenza, ovvero che la natura dell'informazione finanziaria non consente di codificare in modo rigido la durata dell'efficacia di una informazione; pertanto suggerisce di mantenere l'attuale durata di 12 mesi, dando facoltà alle autorità di vigilanza dei mercati finanziari di estenderla di ulteriori 12 mesi a seguito di richiesta motivata fatta dall'emittente.

3.2.9   Proposta di modifica dell'art. 10, dell'art. 11, par. 1, dell'art. 12, par. 2 e dell'art. 14, par. 4

3.2.9.1   Il CESE approva la proposta di soppressione dell'art. 10 della direttiva in quanto l'obbligo vigente di pubblicazione di tutte le informazioni già rese disponibili negli ultimi 12 mesi genera un inutile aggravio di costi per l'emittente senza beneficio alcuno per l'investitore che, con i moderni strumenti di informazione, può facilmente recuperare i prospetti storici, stante quanto previsto alla modifica del successivo art. 14 per la quale si propone di estendere l'obbligo di disponibilità attraverso il web nei termini di prescrizione ordinari.

3.2.9.2   Le proposte di modifiche agli artt. 11 e 12 sono conseguenti a quella di abrogazione dell'art. 10 e quindi non ci vedono contrari, fatto salvo quanto appena suggerito nel punto precedente.

3.2.10   Proposta di modifica dell'art. 16

3.2.10.1   La proposta mira anzitutto a precisare il momento in cui viene a cessare l'obbligo di informazione, in particolare per quanto attiene le possibili divergenze fra la chiusura dell'offerta e quello dell'avvio delle contrattazioni: la proposta suggerisce di scegliere il primo dei due momenti che si realizza effettivamente. Il CESE ritiene opportuno che la proposta sia integrata con l'obbligo, a carico degli intermediari incaricati del collocamento, di pubblicare i volumi di negoziazione dei titoli oggetto di collocamento nel periodo compreso fra la chiusura dell'offerta e l'inizio delle contrattazioni. I dati dei volumi di scambio relativi a questo periodo di tempo (prassi un tempo definita di «mercato grigio») dovrà essere attestato da una autorità di vigilanza e controllo e dovrà riportare il dato complessivo degli scambi avvenuti fra intermediari partecipanti al collocamento.

3.2.10.2   La proposta poi specifica un periodo omogeneo di esercizio del diritto di revoca dell'accettazione da parte degli investitori pari a due giorni dopo la pubblicazione del supplemento di informazione. Il CESE approva la proposta di armonizzare i tempi di esercizio del diritto di revoca ma suggerisce di introdurre l'obbligo di notificare agli investitori che abbiano già aderito il prospetto supplementare attraverso un indirizzo e-mail comunicato per lo scopo specifico.

3.2.11   Proposta di modifica dell'art. 18

La modifica proposta per l'art. 18 del testo attualmente in vigore della direttiva ha contenuto estremamente tecnico consentendo una più celere notifica delle attestazioni di conformità dei prospetti redatti. Ciò consente di ridurre costi e rischi legati ad errori tecnici nel rendere pubblici i prospetti, specie negli Stati in cui il cd. «passaporto» non funzionasse completamente. Il CESE approva la proposta di modifica.

3.3   Analisi ed osservazioni sul contenuto dell'art. 2 della proposta in esame relativi alla direttiva 2004/109/CE.

Le modifiche che vengono proposte in questo art. 2 servono a coordinare quanto contenuto nei punti precedenti rispetto al testo della direttiva in oggetto. Il CESE approva le modifiche fatto salvo quanto già enunciato nei punti precedenti.

Bruxelles, 18 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


18.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 347/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Riesame della politica ambientale 2008»

COM(2009) 304 def.

(2010/C 347/13)

Relatore: Daniel RETUREAU

La Commissione europea, in data 24 giugno 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Riesame della politica ambientale 2008

COM(2009) 304 def.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 gennaio 2010.

Alla sua 460a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 febbraio 2010 (seduta del 17 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 4 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   In conclusione il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che le istituzioni dell'UE e gli Stati membri abbiano affrontato molto seriamente i problemi del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile. Ciò nondimeno deve essere ancora fatto molto per adottare posizioni comuni e lavorare per l'assunzione di impegni quantificati e progressivi a livello internazionale, riesaminando le politiche di assistenza ai paesi ACP e più in generale ai paesi in via di sviluppo. Ciò vale anche per i principali partner commerciali, primi tra tutti gli Stati Uniti.

1.2   L'impronta ecologica totale dei prodotti dovrebbe formare oggetto di norme minime. La politica europea dovrebbe continuare a combinare la legislazione con gli strumenti e le iniziative su base volontaria, allo scopo di modificare i comportamenti e aumentare la sensibilizzazione ai nuovi problemi con i quali deve ormai confrontarsi la specie umana; in particolare, devono essere sviluppate all'interno della società civile le dimensioni dell'informazione e dell'istruzione.

1.3   La politica integrata clima ed energia sta iniziando a mostrare la sua efficacia; essa va quindi mantenuta ed anzi estesa ad altri gas a effetto serra e ad altri settori (in primis ai trasporti di qualunque genere), favorendo altresì la cooperazione internazionale.

1.4   La legislazione come quella in materia di sostanze chimiche (REACH) o di responsabilità ambientale continuerà a svolgere un ruolo di primo piano e sarà integrata dalle iniziative promosse a livello di industrie, cittadini e consumatori.

1.5   Per diverse direttive adottate in questi ultimi anni occorre un attento monitoraggio, al fine di assicurare il corretto recepimento e l'efficacia del diritto nazionale effettivamente applicato, soprattutto in materia di controllo della sua applicazione.

1.6   La relazione è molto completa ed estremamente utile ma qual è la sua diffusione tra i cittadini?

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1   Il 2008 è stato contrassegnato da una straordinaria presa di coscienza della crisi globale dei cambiamenti climatici tra i cittadini europei, che la considerano ormai una priorità politica fondamentale.

2.2   Ciò evidenzia la necessità di orientare lo sviluppo verso un'economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente nell'uso delle risorse. Per affrontare queste sfide occorrerà un maggiore impegno.

2.3   L'economia è stata duramente colpita da una crisi senza precedenti: la crisi finanziaria ha asfissiato gli investimenti nell'economia reale, provocando un aumento significativo del tasso di disoccupazione e una crescita vertiginosa dei disavanzi pubblici a causa dei prestiti pubblici e delle partecipazioni nelle banche e negli istituti di credito.

2.4   La relazione della Commissione consiste in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento; il CESE non viene formalmente consultato sulle relazioni intermedie periodiche ma chiede generalmente di poter ricevere tali relazioni in quanto gli consentono di monitorare l'effettiva attuazione della legislazione e degli orientamenti dell'UE.

2.5   La relazione 2008 sulla politica ambientale fa il punto sulle iniziative dell'UE e sulla loro efficacia per quanto riguarda, ad esempio, gli impegni in materia di riduzione dei gas a effetto serra assunti a Kyoto e i nuovi impegni attesi nel quadro della conferenza di Copenaghen. Il CESE ha adottato un parere al riguardo (1).

2.6   Secondo la Commissione, e in base alle proiezioni, l'UE è sulla buona strada per ottemperare ai propri impegni di riduzione delle emissioni, nel quadro del protocollo di Kyoto sulla lotta al cambiamento climatico. L'Unione europea e i suoi Stati membri, o perlomeno la maggior parte di essi, starebbero per raggiungere i loro obiettivi di riduzione. Anzi, è persino previsto il superamento di tali obiettivi, grazie agli sforzi unilaterali di alcuni Stati membri che stanno valutando l'opportunità di adottare misure supplementari.

2.7   La relazione esamina i diversi settori ai quali si applica la politica ambientale dell'UE, anche se il documento della Commissione non è che una sintesi: la relazione completa, un corposo volume di oltre 200 pagine, figura infatti in allegato al documento della Commissione.

2.8   Nel giugno 2008, in base ai dati integrali relativi al 2006, le emissioni di gas a effetto serra dell'UE-15 risultavano inferiori del 2,7 % rispetto ai livelli dell'anno di riferimento (1990), a fronte di una crescita economica pari a circa il 40 % nel corso dello stesso periodo. Le politiche e le misure in vigore dovrebbero consentire di realizzare una diminuzione complessiva del 3,6 % - rispetto all'anno di riferimento - entro il 2010, anno che si trova a metà del periodo 2008-2012, durante il quale ci siamo impegnati a effettuare una riduzione dell'8 %. Un'ulteriore diminuzione del 3 %, che porterebbe la riduzione complessiva al 6,6 %, è prevista con l'acquisto di crediti di emissione derivanti da progetti di riduzione delle emissioni realizzati in paesi terzi secondo i meccanismi di Kyoto, mentre i pozzi di assorbimento del carbonio dovrebbero consentire di abbattere ulteriormente le emissioni dell'1,4 %.

2.9   L'insieme delle misure sopra descritte consentirebbe quindi di raggiungere e addirittura superare l'obiettivo di Kyoto, poiché gli Stati membri non hanno ancora integrato nelle loro proiezioni i limiti massimi fissati per l'assegnazione delle quote di emissioni, per il periodo di scambio di quote di emissioni UE 2008-2012, che dovrebbero comportare un'ulteriore riduzione del 3,3 % delle emissioni rispetto ai livelli dell'anno di riferimento.

3.   Osservazioni

3.1   Le proiezioni della Commissione nella relazione per il 2008 si basano su dati completi non abbastanza aggiornati e su dati incompleti che coprono il periodo dal 2006 in poi. Questi erano tuttavia i soli dati disponibili nel 2008 e la Commissione ha tenuto conto di tutti i risultati pertinenti raccolti fino al momento della pubblicazione. Malgrado i deludenti risultati della conferenza di Copenaghen sul clima, il Comitato ritiene che l'UE debba conseguire gli obiettivi che si è prefissata per il 2012, oltre a compiere ulteriori sforzi per raggiungere le riduzioni previste per il 2020.

3.2   Per diverse direttive adottate in questi ultimi anni occorre un attento monitoraggio, al fine di assicurare il corretto recepimento e l'efficacia del diritto nazionale effettivamente applicato, soprattutto in materia di controllo della sua applicazione. Alcuni Stati membri non sono riusciti a conseguire gli obiettivi che erano stati loro assegnati. La relazione evidenzia chiaramente i problemi e gli ostacoli che permangono tuttora, nonché i progressi realizzati. Oltre a fornire un'analisi completa e dettagliata, essa anticipa l'introduzione di nuovi indicatori in grado di determinare l'impronta ecologica totale dei prodotti e delle attività. È quindi auspicabile che conosca un'ampia diffusione e che le future relazioni possano ricevere un ampio risalto e incoraggiare cambiamenti comportamentali a livello di produzione, distribuzione e consumo.

3.3   Il CESE non è pienamente convinto dell'argomentazione secondo la quale la crisi sarebbe di per sé un'opportunità per riorientare i modi di produzione e di consumo verso soluzioni più sostenibili. Un numero crescente di famiglie ha subito una drastica riduzione del potere di acquisto a causa della disoccupazione e della chiusura delle imprese, alcune delle quali hanno delocalizzato la produzione in paesi terzi. L'occupazione e l'alloggio restano, soprattutto per i giovani, le principali fonti di preoccupazione a breve termine, che necessitano di risposte positive.

3.4   I lavori che tendono a svilupparsi sono quelli precari, a tempo determinato e a orario ridotto. Ne consegue una instabilità poco propizia ai cambiamenti nei modelli di consumo delle famiglie e nelle imprese. Queste ultime tendono talvolta a esportare le produzioni più inquinanti fuori dall'UE invece di investire in altri modelli produttivi, obiettivo difficilmente realizzabile, soprattutto ora che il credito si è rarefatto, specialmente per le PMI.

3.5   La relazione affronta solo superficialmente il problema delle conseguenze della crisi, che sono ancora lungi dall'essere risolte in maniera compatibile con l'ambiente. La crisi ha avuto pesanti ripercussioni anche per i paesi terzi e in particolare per quelli in via di sviluppo. E mettere a punto politiche efficaci per questi paesi risulta attualmente difficile, poiché l'aiuto pubblico allo sviluppo e le varie misure di assistenza sono in rapida diminuzione. È assolutamente necessario un cambiamento rapido e profondo del comportamento per aiutare questi paesi che non dispongono né degli strumenti né delle tecnologie per lottare contro il cambiamento climatico.

3.6   Un semplice ritorno al business as usual, con la stessa organizzazione economica non comporterà alcun progresso verso un ambiente più sicuro e di migliore qualità, ma i segnali inviati dai mercati finanziari e dall'industria sono ancora lungi dall'essere incoraggianti; è essenziale garantire una ferma volontà politica, nonché una più intensa mobilitazione dei cittadini europei e un'informazione obiettiva e non inutilmente «catastrofista» da parte dei media.

Per i paesi in via di industrializzazione (Cina, Brasile, India ecc.), i vecchi modelli di consumo dei paesi industrializzati a economia di mercato rappresentano sempre un obiettivo a cui puntare, e né i governi né i cittadini di questi paesi comprendono perfettamente i limiti che vengono loro imposti in materia di inquinamento e cambiamento degli stili di vita e di consumo. Essi percepiscono gli obblighi relativi alla lotta contro il cambiamento climatico come una specie di ingiustizia storica nei loro confronti, nel momento in cui stanno cercando di affrancare dalla povertà le loro popolazioni e di promuovere l'istruzione e l'assistenza sanitaria grazie all'industrializzazione del subappalto per le imprese transnazionali.

3.7.1   I paesi in via di industrializzazione richiedono aiuti e trasferimenti di tecnologie che dovranno essere presi in seria considerazione se la volontà è quella di proseguire nella direzione indicata dagli accordi sul clima.

3.8   La questione dei trasporti da un lato all'altro del mondo in catene di produzione frammentate e verso luoghi di consumo tra loro molto distanti deve essere approfondita e affrontata con apposite misure. La reinternalizzazione dei costi effettivi per l'ambiente e il clima si ripercuote attualmente sui consumatori, in termini di costi e di inquinamento. Il CESE sostiene quindi gli sforzi in atto per rivedere la convenzione Marpol e ridurre l'inquinamento causato dalle navi. Sarebbe però altresì opportuno regolamentare a livello globale i mercati finanziari e introdurre disposizioni rivolte a migliorare la logistica dei trasporti e ad incentivare le produzioni sostenibili.

3.9   Il CESE condivide il parere della Commissione secondo cui i governi dovrebbero utilizzare i loro piani di ripresa economica per migliorare l'efficienza energetica, puntando allo sviluppo delle infrastrutture ambientali e favorendo l'ecoinnovazione.

3.10   Una politica ambientale forte può contribuire a promuovere una ripresa più «verde», con un'impronta di carbonio ridotta e un riorientamento dei consumi delle imprese e delle famiglie.

3.11   La rapida perdita di biodiversità nel mondo (estinzione di numerose specie animali e vegetali e di alcune in particolare, come gli uccelli e le api, che sono di importanza fondamentale per la produttività agricola) deve spingere all'attuazione di politiche in grado di arrestare la scomparsa delle specie viventi. Il problema riguarda in particolare:

la gestione delle risorse forestali e la cessazione del disboscamento a taglio raso nelle foreste primarie e pluviali,

i metodi utilizzati in agricoltura (è stato appurato che i prodotti fitosanitari attuali pregiudicano la salute delle api e influiscono negativamente sulle riserve di cibo degli uccelli).

3.12   Il CESE valuta positivamente l'introduzione di nuovi indicatori che prendono in considerazione la biodiversità e il clima, come è già avvenuto nel caso di Eurostat per i settori prioritari del Sesto programma di azione ambientale.

3.13   Poiché il biossido di carbonio non è l'unico gas a effetto serra, occorrerà prestare particolare attenzione anche agli NOx (ossidi di azoto) e a qualsiasi altro elemento suscettibile di danneggiare lo strato di ozono e contribuire al surriscaldamento globale.

3.14   Il CESE insiste sulla necessità di sensibilizzare e di coinvolgere attivamente i cittadini, che devono essere orientati verso l'adozione di buone pratiche in materia di prodotti consumati e di limitazione e raccolta differenziata dei rifiuti domestici; altrettanto importanti sono la sensibilizzazione delle imprese e l'inclusione della lotta contro il cambiamento climatico nei loro impegni in materia di responsabilità sociale.

3.15   La maggior parte dei programmi e delle legislazioni citati nella relazione hanno formato oggetto di pareri elaborati dal CESE in momenti diversi (2); inoltre il Comitato ha istituito un osservatorio permanente dello sviluppo sostenibile per contribuire più efficacemente alle strategie di lotta contro il cambiamento climatico, al monitoraggio delle politiche e delle legislazioni dell'UE e al controllo della loro efficacia.

Bruxelles, 17 febbraio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 116.

(2)  Pareri elaborati dal CESE: GU C 128 del 18.5.2010, pag. 122; GU C 318 del 23.12.2009, pag. 97; GU C 317 del 23.12.2009, pag. 75; GU C 318 del 23.12.2009, pag. 92; GU C 306 del 16.12.2009, pag. 42; GU C 277 del 17.11.2009, pag. 67; GU C 277 del 17.11.2009, pag. 62; GU C 318 del 23.12.2009, pag. 88; GU C 218 dell’11.9.2009, pag. 55; GU C 218 dell’11.9.2009, pag. 50; GU C 218 dell’11.9.2009, pag. 46; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 34; GU C 218 dell’11.9.2009, pag. 59; GU C 306 del 16.12.2009, pag. 39; GU C 204 del 9.8.2008, pag. 66.