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ISSN 1725-2466 |
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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44 |
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Edizione in lingua italiana |
Comunicazioni e informazioni |
51o anno |
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Numero d'informazione |
Sommario |
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III Atti preparatori |
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COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO |
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439a Sessione plenaria del 24 e del 25 ottobre 2007 |
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2008/C 044/01 |
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2008/C 044/02 |
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2008/C 044/03 |
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2008/C 044/04 |
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2008/C 044/05 |
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2008/C 044/06 |
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2008/C 044/07 |
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2008/C 044/08 |
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2008/C 044/09 |
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2008/C 044/10 |
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2008/C 044/11 |
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2008/C 044/12 |
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2008/C 044/13 |
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2008/C 044/14 |
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2008/C 044/15 |
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2008/C 044/16 |
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2008/C 044/17 |
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2008/C 044/18 |
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2008/C 044/19 |
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2008/C 044/20 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona |
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2008/C 044/21 |
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2008/C 044/22 |
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2008/C 044/23 |
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2008/C 044/24 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I maltrattamenti alle persone anziane |
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2008/C 044/25 |
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2008/C 044/26 |
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2008/C 044/27 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La Croazia sulla via dell'adesione |
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IT |
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III Atti preparatori
COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO
439a Sessione plenaria del 24 e del 25 ottobre 2007
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/1 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca
COM(2007) 161 def.
(2008/C 44/01)
La Commissione europea, in data 4 aprile 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul «Libro verde — Nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca».
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 107 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.
1. Sintesi e raccomandazioni
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1.1. |
Il Comitato segnala la necessità urgente di potenziare ulteriormente le misure attuate finora nel campo della ricerca e dello sviluppo (R&S) in Europa, di migliorare le condizioni generali necessarie e di creare i relativi presupposti finanziari. Accanto a efficaci programmi di R&S comunitari, nazionali e del settore privato occorre un mercato interno europeo della R&S per poter sfruttare meglio e liberare il potenziale già presente e da sviluppare nella Comunità europea: è questo lo Spazio europeo della ricerca. |
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1.2. |
Il Comitato si compiace pertanto dell'intenzione della Commissione di rafforzare e potenziare lo Spazio europeo della ricerca. Reputa che le proposte e gli obiettivi citati siano per lo più appropriati e meritevoli di essere appoggiati; occorre però completarli e, in singoli casi, anche precisarli o correggerli. |
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1.3. |
Il Comitato appoggia l'obiettivo di creare un mercato europeo del lavoro attraente per i ricercatori, che inoltre consenta la mobilità e la ricompensi. In primo piano vi sono questioni come la configurazione dei contratti, l'adeguatezza dei livelli retributivi, la trasferibilità dei diritti in materia di sicurezza e di previdenza sociale in tutta Europa e la coesione familiare. In questo settore vi sono enormi lacune soprattutto negli Stati membri. Per questo motivo il Comitato fa appello in modo particolare a questi ultimi e alle relative parti sociali affinché colmino queste lacune e offrano anche e soprattutto ai giovani ricercatori opportunità professionali interessanti in grado di competere con le opportunità di lavoro alternative per i laureati di grande talento. A queste condizioni saranno nuovamente più numerosi i giovani disposti a investire le proprie energie e il proprio tempo in studi superiori molto impegnativi e selettivi di questo tipo, contribuendo così a colmare la preoccupante carenza di specialisti e di laureati registrata in Europa nelle discipline scientifiche e tecniche. |
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1.4. |
Il Comitato appoggia l'obiettivo formulato dal Consiglio europeo di Barcellona. Stando alle attuali decisioni, però, la Comunità contribuirà solo con una quota del 2 % circa (ossia per appena 1/50) agli investimenti complessivi nella R&S auspicati nel quadro dell'obiettivo di Barcellona. L'impegno politico di gran lunga maggiore per il raggiungimento dell'obiettivo di Barcellona spetta quindi agli Stati membri, mentre quello economico spetta all'industria. Le raccomandazioni del Comitato sono pertanto rivolte soprattutto al Consiglio, al Parlamento europeo e agli Stati membri affinché facciano a loro volta tutto il possibile per portare nuovamente la R&S in Europa ai massimi livelli mondiali e adottino le misure necessarie a tal fine. |
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1.5. |
Il Comitato raccomanda nuovamente di aumentare il contributo della Comunità europea agli investimenti complessivi auspicati in R&S, portandoli ad almeno il 3 % per rafforzare l'effetto leva esercitato dal sostegno comunitario sui necessari investimenti degli Stati membri e dell'industria in tale settore. Inoltre, sarà opportuno utilizzare parte degli stanziamenti erogati a titolo dei fondi strutturali per misure infrastrutturali nel campo della R&S e accrescere le possibilità di finanziamento da parte della BEI. Questa raccomandazione è diventata ancora più urgente a causa del grave, ma a lungo sottovalutato problema energetico e climatico. |
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1.6. |
Il Comitato appoggia l'obiettivo di creare infrastrutture di ricerca di livello mondiale in campo tecnico-scientifico, per le quali però bisognerà anche prevedere un sostegno costante e affidabile. Il presupposto per il successo e la validità di tali infrastrutture è che vi partecipino i pertinenti istituti e poli universitari degli Stati membri e, per i progetti tecnici, che vi sia un coinvolgimento impegnato dell'industria. Solo grazie a un collegamento di questo genere si otterrà un sistema integrato in grado di produrre un valore aggiunto europeo. |
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1.7. |
Il Comitato appoggia l'obiettivo di rafforzare gli organismi di ricerca, come pure i relativi organi di coordinamento, quali iniziatori e vettori fondamentali della R&S. Tali organismi devono avere la possibilità di pianificare a lungo termine in modo affidabile e disporre di una dotazione adeguata e di una libertà di decisione sufficiente. A tal fine è indispensabile garantire una maggiore autonomia nell'uso delle risorse finanziarie, prevedere una quota di finanziamento di base sufficientemente elevata e un finanziamento complessivo dei progetti, consentire il riporto della dotazione finanziaria annuale all'esercizio successivo, ridurre gli oneri amministrativi paralizzanti per il progresso che vengono imposti ai professionisti della ricerca e dell'insegnamento, fornire incentivi e promuovere l'eccellenza mediante l'assegnazione su base competitiva di ulteriori finanziamenti alla ricerca. |
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1.8. |
Il Comitato ravvisa nelle iniziative tecnologiche congiunte e nelle piattaforme tecnologiche due tipi di strumenti essenziali per ottenere innovazioni tecniche in importanti settori strategici della ricerca. Nel quadro dei necessari partenariati tra il settore pubblico e quello privato e dei programmi di ricerca comuni occorrerà anche coinvolgere in modo adeguato le piccole e medie imprese (PMI). Le comunità della conoscenza e dell'innovazione (CCI) che andranno create nel quadro dell'Istituto europeo di tecnologia (IET) dovranno basarsi sull'esperienza acquisita in tale contesto. A tal fine, contributi preziosi potranno anche venire dalle esperienze compiute nel quadro di ERA-NET e del progetto Cornet, nonché dei cluster di Eureka. |
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1.9. |
Il Comitato appoggia l'obiettivo di aprire lo Spazio europeo della ricerca al mondo, ma aggiunge che il presupposto fondamentale a tal fine è che tale spazio diventi attraente. Questo obiettivo si potrà considerare raggiunto solo quando la deplorevole fuga dei cervelli oggi in atto verrà arrestata in termini non solo quantitativi, ma anche qualitativi per quanto riguarda i ricercatori migliori e di maggior successo a livello mondiale. A tal fine, però, occorre che siano riuniti tutti i fattori essenziali: livello, dotazioni, condizioni di lavoro, condizioni politiche generali, opportunità di sviluppo professionale e margine di libertà, reddito personale e riconoscimento sociale. |
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1.10. |
Il Comitato è favorevole al metodo del coordinamento aperto, in virtù del quale vengono valutati gli obiettivi strategici e le politiche nazionali e si procede a uno scambio delle relative esperienze per ottenere coerenza e ottimizzare la politica europea della ricerca. Va invece respinto un coordinamento dall'alto (top-down) della ricerca europea, finalizzato a un'armonizzazione generale e concepito fin nei dettagli e fino all'interno degli organismi di ricerca o delle imprese. Per questo motivo si deve evitare l'impressione che la Commissione punti a una gestione centralizzata della ricerca europea. Si tratta di garantire un giusto equilibrio tra quadro comunitario, autonomia degli Stati membri e iniziativa e capacità creativa individuale. Solo da un pluralismo a livello di metodi, approcci e scelta dei temi possono scaturire i migliori risultati, procedimenti e innovazioni possibili. |
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1.11. |
Il Comitato ribadisce le sue sollecitazioni sulla riduzione della burocrazia e raccomanda pertanto di inserire tale tematica nella futura agenda della Commissione quale ulteriore importante obiettivo politico. Ciò significa sviluppare, assieme agli Stati membri e alle organizzazioni della ricerca, approcci per semplificare e ridurre allo stretto indispensabile l'eccessiva sovraregolamentazione e l'abbondanza di obblighi di rendicontazione, procedimenti di richiesta, procedure di valutazione, analisi, approvazione, ecc., esistenti a livello europeo, nazionale, regionale e istituzionale. Anche la competizione per ottenere gli aiuti intesi a promuovere l'eccellenza accrescerà in un primo momento l'impegno dei ricercatori nell'espletare le procedure burocratiche. È quindi tanto più importante arrivare nel complesso a una soluzione adeguata riducendo la burocrazia e semplificando le procedure. Il timore di comportamenti sbagliati dei singoli non deve portare a una sovraregolamentazione e a una paralisi generalizzate. |
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1.12. |
Il Comitato reputa necessario che negli organismi di sostegno alla ricerca, come pure, in particolare, in seno alla Commissione, lavorino anche funzionari competenti e di comprovata eccellenza scientifica che abbiano e mantengano una conoscenza ottimale e consolidata del settore in questione e delle sue particolarità, oltre che della relativa comunità scientifica (una costante rotazione del posto di lavoro è in questo caso controproducente). |
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1.13. |
Il Comitato raccomanda di completare lo Spazio europeo della ricerca con uno Spazio europeo della conoscenza per creare una società europea della conoscenza. A tal fine occorrono un'istruzione generale solida e ampia, nonché un'ulteriore formazione specialistica di eccellenza per ricercatori e ingegneri. Di qui anche il riferimento a un'adeguata «gestione delle conoscenze». La R&S si basa infatti sulle conoscenze preesistenti per crearne di nuove. |
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1.14. |
Il Comitato raccomanda di definire regole chiare e comprensibili per i molteplici strumenti comunitari di sostegno e coordinamento della R&S, ivi compreso un elenco riassuntivo (nonché un manuale di istruzioni) di tutti gli strumenti e le forme di promozione e coordinamento di cui dispone la Commissione ai fini della R&S. Tale elenco dovrebbe anche mostrare se il crescente numero di strumenti garantisca ancora compiti sufficientemente chiari e linee di demarcazione sufficientemente nette, e se gli strumenti siano tuttora agevoli da comprendere e da utilizzare sia per i potenziali utenti che per i funzionari della Commissione, o se invece siano da ridefinire. |
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1.15. |
Molti dei temi affrontati nel Libro verde necessitano di un'analisi differenziata. A questo proposito e per altri aspetti il Comitato rimanda al testo integrale del parere. |
2. La comunicazione della Commissione
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2.1. |
La comunicazione della Commissione si inscrive nel contesto della già avvenuta discussione e adozione del Settimo programma quadro di R&S attualmente in vigore, degli argomenti di ricerca scelti a tal fine (i cosiddetti programmi specifici), degli strumenti disponibili e delle regole di partecipazione. La comunicazione all'esame, quindi, non verte più sui contenuti della ricerca, ma unicamente sugli obiettivi strategici dello Spazio europeo della ricerca. |
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2.2. |
Pertanto, dopo una breve panoramica storica, la comunicazione illustra sinteticamente i compiti e gli obiettivi dello Spazio europeo della ricerca, i quali vengono discussi nel contesto della situazione attuale, riesaminati e adeguati ai nuovi sviluppi. Il punto di partenza della comunicazione è l'importanza della R&S europea ai fini della strategia di Lisbona, come pure la questione della sua concorrenzialità nel contesto mondiale. |
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2.3. |
Come compiti e obiettivi particolari vengono messi in evidenza i seguenti punti:
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2.4. |
I risultati ottenuti finora vengono sintetizzati e, su questa base, vengono proposte misure innovative per il consolidamento e l'ulteriore potenziamento dello Spazio europeo della ricerca. Secondo la Commissione, l'attuale programma quadro di ricerca dell'UE è stato concepito espressamente per fornire sostegno a queste misure. Gli stanziamenti a tal fine sono stati incrementati notevolmente, anche se in misura inferiore a quanto proposto inizialmente dalla Commissione europea (e raccomandato dal Comitato). Le nuove iniziative avviate in concomitanza con il Settimo programma quadro (2007-2013), come il Consiglio europeo della ricerca, avranno un deciso impatto sul panorama europeo della ricerca. Anche il futuro Istituto europeo di tecnologia potrebbe contribuire a creare comunità della conoscenza e dell'innovazione di livello mondiale. |
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2.5. |
Al medesimo tempo vengono evidenziati, dal punto di vista della Commissione, alcuni punti deboli che andrebbero eliminati: ad esempio si sottolinea che, in sintesi,
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2.6. |
Altri aspetti del Libro verde vengono trattati nelle osservazioni del Comitato esposte qui di seguito. |
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2.7. |
Per stimolare un ampio dibattito sulla base del Libro verde, la Commissione ha formulato 35 domande concrete. Le risposte che perverranno dal Parlamento europeo, dal Consiglio, dal CESE, dal Comitato delle regioni, dagli Stati membri, nonché dai ricercatori e dagli organismi di ricerca dovrebbero confluire in una serie di azioni che verranno proposte nel 2008. A molte di tali domande viene già data una risposta implicita nella sezione 3 del presente parere, mentre nella sezione 4 il Comitato si pronuncia in merito ad alcune domande specifiche. |
3. Osservazioni generali del Comitato
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3.1. |
Importanza dell'eccellenza scientifica. Il Comitato ha ripetutamente (1) richiamato l'attenzione sul fatto che ottenere risultati tecnico-scientifici di eccellenza e trasformarli in potenziale economico competitivo sono le premesse indispensabili per garantire il nostro futuro nel contesto globale e per non mettere in pericolo il modello sociale europeo. Di qui la necessità imperiosa di potenziare ulteriormente le misure attuate finora nel campo della R&S in Europa, di definire le priorità politiche indispensabili a tal fine, di migliorare le condizioni generali necessarie e di creare i relativi presupposti finanziari. In tale contesto è importante applicare il principio della concorrenza in base a criteri di eccellenza. Il Comitato si è già pronunciato più volte in merito alle norme relative ai necessari aiuti di Stato (2). |
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3.2. |
Mercato interno nel campo della R&S. Accanto a efficaci programmi di R&S comunitari, nazionali e del settore privato occorre un mercato interno della R&S per sfruttare meglio e liberare il potenziale già presente e da sviluppare nella Comunità europea: è questo lo Spazio europeo della ricerca. |
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3.3. |
Sostanziale accordo. Il Comitato accoglie pertanto con favore l'intenzione formulata dalla Commissione nel Libro verde di consolidare, rafforzare e potenziare ulteriormente lo Spazio europeo della ricerca, portando così avanti uno sviluppo nel complesso positivo, e ravvisa nel testo anche alcuni importanti elementi tratti dalle sue precedenti raccomandazioni (3). Il Comitato reputa che gli obiettivi citati a questo proposito dalla Commissione siano appropriati e considera le proposte formulate al riguardo in gran parte adeguate e meritevoli di sostegno, anche se occorrerà completarle e in singoli casi anche precisarle o correggerle. |
3.4. La situazione attuale
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3.4.1. |
La«comunità scientifica». Oltre 50 anni fa è stata fondata l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN) (4). Con l'impegno autonomo della comunità scientifica internazionale, ossia di scienziati tra i migliori a livello internazionale che agiscono in modo indipendente (5), era stato possibile ottenere il necessario sostegno di eminenti uomini politici europei. In questo modo è stato creato un centro di sperimentazione europeo di eccellenza nel campo della fisica, che i singoli paesi non avrebbero potuto o voluto finanziare e utilizzare da soli. Per motivi analoghi sono state successivamente create altre organizzazioni internazionali europee quali l'ECMWF, l'EMBO, l'ESRF, l'ESO, l'ESA e l'ILL (6). |
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3.4.2. |
La Comunità europea. Il Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica (Trattato CEEA o Euratom), firmato a Roma il 25 marzo 1957, è uno dei tre Trattati istitutivi delle Comunità europee. Con esso è anche iniziato l'impegno della Comunità nel campo della R&S (7). Nel 1986, con l'entrata in vigore del Primo programma quadro di R&S, sono state gettate le fondamenta di una politica generale della Comunità nel campo della ricerca, che andasse oltre gli obiettivi dell'Euratom. Con la decisione adottata nel 2000, nel contesto dell'elaborazione della strategia di Lisbona, di istituire uno Spazio europeo della ricerca, la politica europea ha ribadito la propria volontà di creare un quadro formale per la ricerca europea. Lo Spazio europeo della ricerca sarebbe dovuto diventare al medesimo tempo un'operazione altamente simbolica, con una logica e una finalità ispirate alla strategia di Lisbona. |
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3.4.3. |
L'obiettivo di Barcellona. Come ripetutamente sottolineato, il Comitato appoggia l'obiettivo di Barcellona formulato cinque anni fa dal Consiglio europeo in seguito alla strategia di Lisbona. In base a tale obiettivo, la spesa complessiva dell'Unione in R&S va aumentata fino a raggiungere, nel 2010, un livello pari a quasi il 3 % del PIL, e in tale contesto due terzi degli investimenti necessari dovrebbero provenire dal settore privato. Stando alle attuali decisioni, però, la Comunità contribuirà solo per circa il 2 % (ossia per appena 1/50) agli investimenti complessivi nella R&S auspicati nel quadro dell'obiettivo di Barcellona. |
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3.5. |
L'impegno politico degli Stati membri. L'impegno politico di gran lunga maggiore per il raggiungimento dell'obiettivo di Barcellona spetta quindi agli Stati membri, mentre quello economico spetta all'industria e al settore privato. Le seguenti raccomandazioni e appelli del Comitato sono pertanto rivolti anche e soprattutto al Consiglio, al Parlamento europeo e agli Stati membri affinché compiano a loro volta tutti i passi che si impongono al riguardo e appoggino gli obiettivi formulati nel Libro verde per portare nuovamente la R&S in Europa ai massimi livelli mondiali, realizzando come prima cosa l'obiettivo di Barcellona, e affinché adottino tutte le altre misure necessarie a tal fine. |
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3.6. |
Utilizzare meglio l'effetto leva del sostegno comunitario alla ricerca. Anche il sostegno comunitario alla ricerca, però, è molto importante. Esso non solo ha l'effetto di integrare e coordinare, ma esercita anche un effetto leva sugli investimenti nella ricerca da parte degli Stati membri e dell'industria. Tale effetto va quindi potenziato ulteriormente in modo tale che gli Stati membri e l'industria forniscano finalmente tutto il contributo necessario al raggiungimento, finora mancato, dell'obiettivo di Barcellona. L'Europa deve prendere coscienza della sua tradizione di area leader nella ricerca e nell'innovazione, e infonderle nuova vita. |
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3.6.1. |
Aumentare il contributo comunitario. A questo proposito il Comitato ha fatto notare (8) che la dotazione comunitaria prevista attualmente per la R&S non è sufficiente per sfruttare questo effetto leva. Pertanto, torna a raccomandare con forza che, da un lato, si aumenti il contributo della Comunità agli investimenti complessivi auspicati per la R&S nello Spazio europeo della ricerca, contributo che attualmente è di molto inferiore al 2 %, portandolo ad almeno il 3 % nel quadro della futura revisione del bilancio UE in programma per il 2008; e, dall'altro, che si utilizzi una parte sostanziale degli stanziamenti erogati a titolo dei fondi strutturali per misure infrastrutturali (9) nel campo della R&S (10) e si accrescano considerevolmente le possibilità di finanziamento da parte della BEI. |
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3.6.2. |
Urgenza di una decisione politica. Una raccolta statistica (11) pubblicata di recente dalla Commissione sullo stato della ricerca europea e del suo finanziamento rispetto ai suoi concorrenti internazionali conferma l'estrema urgenza con cui la summenzionata raccomandazione del Comitato dovrebbe essere tradotta in decisione politica. Per di più, a questo si aggiunge anche il problema molto grave e a lungo sottovalutato dell'energia e del clima. |
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3.7. |
Massa critica, messa in comune delle risorse e delle conoscenze specialistiche, valore aggiunto europeo. La Comunità dovrebbe avviare e promuovere in via prioritaria le attività di ricerca e i progetti di grande importanza per lo sviluppo economico e tecnologico che vadano oltre la disponibilità o le possibilità dei singoli Stati membri e la loro capacità economica, o che avrebbero un impatto molto maggiore grazie a interventi comunitari e a collegamenti in rete a livello paneuropeo. Tali progetti produrrebbero così un notevole valore aggiunto rispetto agli sforzi dei singoli Stati membri. |
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3.8. |
Infrastrutture e organismi di ricerca avanzata. In molti campi particolarmente importanti della ricerca, il presupposto materiale per giungere a scoperte del tutto innovative e per il progresso tecnologico è l'esistenza di costose misure infrastrutturali e di grandi apparecchiature, le quali offrono allo sviluppo tecnologico (nella fase precompetitiva) inedite possibilità di miglioramento e di innovazione. Per questo motivo il Comitato annette la massima importanza all'obiettivo del Libro verde denominato Sviluppare infrastrutture di ricerca di livello mondiale. Tali infrastrutture sono i fondamenti e i catalizzatori della ricerca avanzata, ed esercitano grande attrattiva sui migliori scienziati e ingegneri a livello mondiale, contribuendo così in misura ragguardevole anche alla realizzazione di un altro obiettivo importante e degno di sostegno: creare organismi di ricerca avanzata che diano prestigio ai marchi Ricerca europea e Spazio europeo della ricerca. |
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3.8.1. |
Elenco ESFRI (12). Il Comitato accoglie pertanto con favore l'elenco delle istituzioni dell'ESFRI che, compilato con il concorso degli Stati membri e della Commissione, ha ottenuto l'apprezzamento e l'appoggio del Consiglio (13). Fa notare però che, in questo contesto, accanto all'impegno principale degli Stati membri, in futuro sarà necessario anche un impegno maggiore, affidabile e sostenuto da parte della Commissione, poiché è in questo ambito che risulta particolarmente chiara la volontà politica di ottenere eccellenti risultati di punta in campo scientifico e tecnologico. Di conseguenza, il Comitato sostiene con forza il rigoroso rispetto della tabella di marcia e la sostanziale partecipazione finanziaria della Comunità per la costruzione e il funzionamento a lungo termine degli impianti in questione. Sottolinea altresì l'importanza di tipologie contrattuali adeguate per rendere tali impianti accessibili e attraenti per i partner o per gli utenti dell'intero Spazio europeo della ricerca, e infine appoggia gli sforzi volti a favorire partenariati o partecipazioni a livello extraeuropeo (14). |
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3.8.2. |
Continuità del sostegno. Proprio per i progetti che richiedono investimenti ingenti e sono quindi improntati sul lungo periodo, è particolarmente importante prevedere ora e in futuro finanziamenti continui e garantiti fino al raggiungimento dei loro obiettivi, fintanto che soddisfano il criterio dell'eccellenza scientifica. Soprattutto in questo campo, grandi fluttuazioni, incertezze o addirittura interruzioni dei finanziamenti non solo costituiscono uno spreco di costosi investimenti e attività di sviluppo tecnico-scientifico, ma distruggono anche i collegamenti creati, la cooperazione internazionale e la fiducia negli impegni futuri, danneggiando così anche il mercato del lavoro europeo degli scienziati e degli ingegneri. |
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3.8.3. |
Coinvolgimento di università e istituti di ricerca. La partecipazione responsabile dei pertinenti poli universitari, istituti e organizzazioni di ricerca degli Stati membri allo sviluppo e allo sfruttamento degli impianti di sperimentazione rappresenta il presupposto fondamentale affinché questi ingenti investimenti in progetti infrastrutturali producano buoni risultati e allo stesso tempo costituisce un opportuno ampliamento della base della ricerca avanzata: solo grazie a un collegamento di questo genere si otterrà un sistema integrato in grado di produrre un valore aggiunto europeo. Pertanto, è altresì indispensabile promuovere tale collegamento in misura adeguata e garantire ai programmi specifici «Cooperazione» e «Idee» dotazioni finanziarie appropriate. A tal fine occorrono in particolare anche risorse sufficienti per i viaggi e i soggiorni in loco, nonché per i sistemi di comunicazione e le attrezzature. In questa sede il Comitato torna inoltre a sottolineare la grande importanza del sostegno alla mobilità. |
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3.8.4. |
Mobilità senza ostacoli. Il Comitato appoggia l'obiettivo di garantire, all'interno dello Spazio europeo della ricerca, una mobilità senza ostacoli tra i diversi Stati membri, tra le organizzazioni, come pure tra il settore pubblico e quello privato. La mobilità non serve solo alla realizzazione professionale, alla condivisione di conoscenze e all'acquisizione di esperienze specialistiche, ma amplia anche gli orizzonti in generale, rafforza la capacità di giudizio e promuove la comprensione interculturale. Per questo motivo occorre colmare tutte le carenze ed eliminare tutte le misure inadeguate che a tutt'oggi si frappongono a una mobilità senza ostacoli. Fra queste, accanto agli ostacoli di natura interstatale, all'insufficiente riconoscimento e/o trasferibilità dei diritti acquisiti in materia di prestazioni sociali, figurano per esempio anche le discriminazioni e gli oneri fiscali relativi ai trasferimenti dei nuclei familiari che comportano il cambio di appartamento o di immobile. |
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3.8.5. |
La situazione nei nuovi Stati membri. Occorre tuttavia fare attenzione e mettere a punto incentivi affinché l'auspicabile mobilità intraeuropea, nel caso dei ricercatori dei nuovi Stati membri, non porti a una «fuga dei cervelli» intraeuropea a lungo termine. Il Comitato aveva già fatto notare in un precedente parere che, anche per questo motivo, la creazione di organismi di ricerca attraenti nei nuovi Stati membri assume un'importanza particolare. |
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3.9. |
Prestigio dello Spazio europeo della ricerca. Nel quadro di una cooperazione internazionale di successo ed efficiente, soprattutto nell'ambito dei grandi progetti comuni europei, negli attori coinvolti nasce un senso di comunanza che torna a vantaggio del prestigio dello Spazio europeo della ricerca e della valenza simbolica dell'Europa. |
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3.10. |
Autonomia organizzativa e convegni specialistici. L'esempio del CERN, ma anche lo sviluppo degli impianti europei di fusione, mostrano la volontà e la capacità della comunità scientifica di cercare e trovare di propria iniziativa dei partner per cooperazioni di livello internazionale, oltre che di indurre i governi dei paesi terzi a fornire finanziamenti. Un presupposto necessario a tal fine è anche lo stanziamento di risorse sia per l'organizzazione in Europa di congressi tecnico-scientifici di particolare rilievo sia per la partecipazione soprattutto di giovani ricercatori europei ai congressi internazionali. |
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3.10.1. |
Società tecnico-scientifiche — organizzazioni della società civile. I congressi costituiscono la piattaforma fondamentale per diffondere e valutare risultati, scambiare conoscenze e idee, avviare cooperazioni e sviluppare approcci nuovi o perfezionati. A organizzarli sono generalmente associazioni scientifiche o tecniche (15), in quanto tipiche organizzazioni della società civile. Il Comitato raccomanda pertanto di dare maggiore considerazione e riconoscimento ai loro risultati, nonché di sfruttarne e incoraggiarne maggiormente le attività per la diffusione delle conoscenze, la valutazione dei risultati e il coordinamento della ricerca. |
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3.11. |
Programmi quadro. A giudizio del Comitato il programma quadro comunitario di R&S, assieme al programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica, sono gli strumenti fondamentali di cui dispone la Comunità per realizzare lo Spazio europeo della ricerca. Importanti spunti per una cooperazione coordinata (cfr. punto 3.13) provengono soprattutto dai programmi specifici «Cooperazione» e «Persone» e dalle misure di sostegno a essi collegate, che integrano il programma specifico «Idee» e quello relativo alle infrastrutture («Capacità»). Per questo motivo la loro attuazione corretta costituisce un elemento essenziale per formare un'identità transfrontaliera portatrice di sinergie per la ricerca europea e lo Spazio europeo della ricerca. |
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3.11.1. |
Ricerca di base e applicazioni. È da sottolineare l'attenzione esplicita attribuita alla ricerca di base e il riconoscimento della sua importanza decisiva per il progresso e l'innovazione. Di qui discende anche la necessità di un equilibrio tra il sostegno previsto per la ricerca di base, da un lato, e quello per la ricerca applicata e la ricerca orientata ai prodotti e ai processi, dall'altro. Come più volte sottolineato (16), tra questi campi non ci sono linee di demarcazione nette, bensì molteplici interazioni: essi si influenzano a vicenda. |
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3.11.2. |
Iniziative tecnologiche congiunte, piattaforme tecnologiche e Istituto europeo di tecnologia. Il Comitato sottolinea il ruolo particolare delle Iniziative tecnologiche congiunte e delle piattaforme tecnologiche, che servono a creare partenariati tra il settore pubblico e quello privato e ad attuare programmi di ricerca comuni in settori strategici della ricerca. Il Comitato raccomanda di basarsi sull'esperienza acquisita in tale contesto al momento di creare le comunità della conoscenza e dell'innovazione (CCI) nel quadro dell'Istituto europeo di tecnologia (IET). Contributi preziosi possono venire anche dalle esperienze compiute nel quadro dei progetti di ERA-NET e dei cluster di Eureka. |
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3.11.3 |
PMI. Particolarmente importante nei partenariati pubblico-privato, ma anche in quelli industriali, appare l'adeguato coinvolgimento delle piccole e medie imprese (PMI). Il Comitato si compiace che la Commissione stia compiendo e intenda continuare a compiere sforzi particolari a questo riguardo. Un contributo può venire anche dal progetto Cornet (Collective Research Networking) (17) avviato nel quadro di ERA-NET. |
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3.11.4. |
Segretezza delle informazioni. La concessione gratuita di informazioni relative alle nuove conoscenze era e resta uno dei fattori di successo della scienza moderna (cfr. anche il punto 4.4.2 relativo all'accesso libero). I problemi legati alla sua limitazione riguardano non solo certi aspetti relativi alla proprietà intellettuale, ma in particolare la necessità di stabilire il livello di sviluppo di una tecnologia nuova o innovativa a partire dal quale le questioni di segretezza [a causa della concorrenza economica (18)] ostacolano il necessario scambio di conoscenze e l'ulteriore collaborazione con e tra i partner industriali. Il Comitato raccomanda di analizzare in modo approfondito questo importante aspetto, poiché da esso dipende il successo delle collaborazioni, soprattutto tra il settore pubblico e quello privato. |
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3.12. |
Rafforzare gli organismi di ricerca. Il Comitato appoggia l'obiettivo particolarmente importante di rafforzare gli organismi di ricerca, ma anche i relativi organi di coordinamento, in quanto iniziatori e vettori della R&S. È lì, infatti, che si svolge l'attività di coordinamento, pianificazione e ricerca, oltre al fatto che sono il clima di lavoro, il margine di libertà e lo stile della ricerca che si sviluppano in tali ambiti a determinare la fama e il successo dei singoli organismi o istituti di ricerca. Per questo motivo essi devono poter pianificare a più lungo termine in modo affidabile, disporre di dotazioni sufficienti e avere un sufficiente grado di libertà decisionale. A tal fine è indispensabile garantire una maggiore autonomia nell'uso delle risorse finanziarie, prevedere una quota di finanziamento istituzionale di base che sia affidabile e sufficientemente elevata (generalmente almeno del 75-80 %) e un finanziamento complessivo dei progetti, consentire il riporto della dotazione finanziaria annuale all'esercizio successivo, ridurre gli eccessivi oneri amministrativi che gravano sui professionisti, fornire incentivi e promuovere l'eccellenza mediante l'attribuzione di ulteriori finanziamenti orientati su un lasso di tempo sufficientemente lungo e assegnati su base competitiva e in funzione dei risultati ottenuti. |
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3.13. |
Coordinamento aperto. Impulsi fondamentali per il reciproco coordinamento aperto e la valutazione delle politiche relative alla ricerca e degli obiettivi strategici degli Stati membri provengono sia dai processi decisionali di comprovata efficacia a livello europeo concernenti le iniziative della Commissione in materia di politica della ricerca, sia dalle fasi consultive preliminari. Il Comitato reputa che anche le ulteriori misure di concertazione e coordinamento con e tra gli Stati membri e le regioni in merito a priorità specifiche o progetti infrastrutturali siano importanti e opportune per ottenere una maggiore coerenza e ottimizzare la politica europea della ricerca. Per questo un coordinamento è anche opportuno al momento di costituire organismi di ricerca interstatali europei per grandi progetti e infrastrutture (cfr. punto 3.8). Inoltre, la Commissione esercita funzioni di coordinamento in relazione alle misure di sostegno del Settimo programma quadro (cfr. punto 3.11). |
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3.14. |
Evitare un coordinamento eccessivo. Va invece respinta l'eventuale intenzione di procedere a un coordinamento dall'alto (top-down) della ricerca europea, sia come fine a se stesso sia finalizzato a un'armonizzazione generale e concepito fin nei dettagli e fino all'interno degli organismi di ricerca o delle imprese. Un tale coordinamento, espressamente inteso ad esempio a evitare la duplicazione e la frammentazione della ricerca (19), limiterebbe la necessaria pluralità degli approcci di ricerca e dei metodi (cfr. in particolare anche il punto 4.7.1) e provocherebbe un atteggiamento di rifiuto da parte dei ricercatori, delle istituzioni e dell'industria che partecipa alle attività di ricerca. In ogni caso si dovrebbe evitare l'impressione che la Commissione punti a una gestione centralizzata della ricerca europea, per non alimentare ulteriormente nei cittadini (20) degli Stati membri i già vivi timori di un eccessivo centralismo da parte di Bruxelles. Si tratta piuttosto di garantire un giusto equilibrio tra quadro comunitario, autonomia e capacità decisionale degli Stati membri, da un lato, e iniziativa e creatività istituzionale e individuale, dall'altro. |
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3.14.1. |
Pluralismo nei metodi, negli approcci e nella selezione delle tematiche. Solo da un pluralismo a livello di metodi, approcci e scelta dei temi possono scaturire i migliori risultati, procedimenti e innovazioni possibili. Il pluralismo non è uno spreco, ma uno strumento necessario per garantire l'ottimizzazione e l'evoluzione nella ricerca di nuove conoscenze e nuove capacità. In merito a questa importante questione concernente la delimitazione delle competenze, il Comitato raccomanda in particolare di consultare il Consiglio europeo della ricerca. |
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3.15. |
Un ulteriore obiettivo: la riduzione della burocrazia. Ciò nonostante il Comitato, ribadendo le sue precedenti sollecitazioni, raccomanda alla Commissione di inserire la riduzione della burocrazia nella sua futura agenda politica quale ulteriore importante obiettivo. Occorre sviluppare, assieme agli Stati membri e alle organizzazioni della ricerca, approcci per semplificare, eventualmente condensare e ridurre allo stretto indispensabile l'eccessiva sovraregolamentazione e abbondanza di obblighi di rendicontazione, procedimenti di richiesta, procedure di analisi, valutazione, approvazione ecc., esistenti a livello europeo, nazionale, regionale e istituzionale. Anche la competizione caldeggiata dal Comitato per ottenere eccellenza, aiuti, ecc., accrescerà in un primo momento l'impegno dei ricercatori nell'espletare le procedure amministrative e di valutazione. È quindi tanto più importante arrivare a una soluzione adeguata riducendo e semplificando tutti i processi. Il Comitato ha già indicato (21) che il timore di errori o di comportamenti sbagliati dei singoli non deve portare a una sovraregolamentazione e a una paralisi generalizzate. Questo vale ugualmente per il metodo di lavoro delle organizzazioni di sostegno alla ricerca e dei ricercatori. |
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3.16. |
Un mercato del lavoro attraente e opportunità professionali migliori. Il Comitato appoggia l'importante obiettivo di creare un mercato del lavoro attraente per i ricercatori. A tal fine la configurazione dei contratti, i livelli retributivi, i regimi di sicurezza e di previdenza sociale e la promozione della coesione familiare vanno concepiti e migliorati in modo tale che i ricercatori non abbiano l'impressione che il loro idealismo venga sfruttato, ad esempio con una retribuzione inadeguata, con il protrarsi delle trattative contrattuali o con un'eccessiva incertezza del futuro professionale. Essi potrebbero infatti giungere alla conclusione che in Europa il loro investimento in una formazione molto impegnativa e selettiva non si possa tradurre in modo proficuo in una carriera di successo. |
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3.16.1. |
Lacune negli Stati membri. In questo settore vi sono enormi lacune soprattutto negli Stati membri e continuano a osservarsi sviluppi indesiderati (22). A questo proposito, perciò, il Comitato fa un particolare appello agli Stati membri e alle relative parti sociali affinché colmino queste lacune e offrano anche e in special modo ai giovani scienziati opportunità professionali interessanti in grado di aprire ulteriori prospettive e di competere con le opportunità di lavoro alternative per i laureati di grande talento. Solo a queste condizioni torneranno a essere numerosi i giovani di talento disposti a investire le proprie energie e il proprio tempo in studi superiori impegnativi e selettivi di questo tipo, contribuendo così a colmare la preoccupante carenza di specialisti, oltre che di laureati, registrata in Europa nelle discipline scientifiche e tecniche. |
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3.16.2. |
Parità di genere. Il Comitato ribadisce il proprio impegno a favore della parità di genere e della parità di trattamento tra i due sessi. Abbiamo bisogno dei migliori talenti di entrambi i sessi: ciò che conta sono le conoscenze e i risultati. (Nel presente parere i termini «scienziato», «ricercatore» e «ingegnere» vengono utilizzati per uomini e donne). |
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3.16.3. |
Mobilità tra istituzioni, discipline, settori e paesi. Il Comitato appoggia anche l'obiettivo formulato nel Libro verde di migliorare sensibilmente la mobilità tra istituzioni, discipline, settori e paesi. Richiama l'attenzione, da un lato, sulle summenzionate raccomandazioni in materia e, dall'altro, sulla sua precedente raccomandazione relativa a un sistema allettante di borse di studio (anno sabbatico) per lo scambio di personale tra mondo accademico e settore privato. |
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3.16.4. |
Coesione familiare. Il Comitato ha già ripetutamente richiamato l'attenzione su un aspetto particolarmente importante della promozione della mobilità, ossia la necessità di consentire e promuovere la coesione familiare. Questo riguarda in particolare l'attività professionale del coniuge (per esempio, coppie a doppia carriera), la disponibilità di scuole adeguate per i figli, il sostegno per lo scambio di appartamento o la permuta del proprio immobile (compensazione delle spese sostenute, tasse), ecc. |
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3.17. |
Apertura dello Spazio europeo della ricerca al mondo. Nel Libro verde viene citata, come obiettivo particolarmente importante, l'apertura dello Spazio europeo della ricerca al mondo. Il Comitato è pienamente d'accordo con tale obiettivo e, anzi, reputa che realizzarlo veramente sarà un banco di prova determinante per il successo della strategia di Lisbona. |
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3.17.1. |
Il fattore decisivo: l'attrattiva. Tuttavia, al di là dell'aspetto più formale e per molti versi già realizzato di un'apertura di principio, il fattore decisivo è l'attrattiva dello Spazio europeo della ricerca: invitare ricercatori internazionali di altissimo livello è un primo passo necessario, ma si tratta poi di fare in modo che vengano davvero in Europa o, nel caso degli scienziati europei che lavorano in paesi extraeuropei, di far sì che poi ritornino in Europa. |
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3.17.2. |
Arrestare la fuga dei cervelli. Questo obiettivo si potrà considerare raggiunto solo quando la fuga dei cervelli, oggi purtroppo così evidente, verrà arrestata in termini non solo quantitativi ma anche qualitativi, cioè per quanto riguarda gli scienziati e gli ingegneri migliori e di maggior successo a livello mondiale. A tal fine, però, occorre che siano riuniti tutti i fattori essenziali: livello, dotazioni, condizioni di lavoro, condizioni generali affidabili, opportunità di sviluppo professionale e margine di libertà, reddito personale (comprese le prestazioni sociali) e riconoscimento sociale. |
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3.18. |
Consolidare i primi risultati positivi. Nonostante le lacune ancora presenti e i compiti che ancora restano da affrontare, il Comitato rileva con soddisfazione che gli sforzi compiuti finora nel quadro della politica europea della ricerca per realizzare lo Spazio europeo della ricerca mostrano i primi risultati positivi e vanno in generale nella giusta direzione. È importante quindi che questo sviluppo già instradato venga portato avanti attraverso una crescita continua e rapida del potenziale europeo di R&S, tramite una politica di sovvenzioni orientata alla concorrenza, e sfruttando i collegamenti e l'effetto di integrazione di tale potenziale, nonché, in particolare, creando condizioni generali e opportunità professionali interessanti e affidabili, senza sovraregolamentazioni e centralismi. Lo Spazio europeo della ricerca deve diventare un concetto rinomato a livello mondiale. |
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3.19. |
Lo Spazio europeo della conoscenza. Il Comitato ha già sottolineato in diverse occasioni che lo Spazio europeo della ricerca dovrebbe essere integrato da uno «spazio europeo della conoscenza» (23). Il motivo fondamentale è l'obiettivo di creare una società europea della conoscenza, per la quale occorrono sia una solida istruzione generale sia la formazione specialistica di qualità necessaria per gli scienziati e gli ingegneri. In tale contesto assumono grande importanza anche la formazione continua e l'apprendimento autodidatta. Nel presente parere, che riguarda lo Spazio europeo della ricerca, va ricordata inoltre la necessità di un'adeguata «gestione delle conoscenze» tale da garantire la documentazione, l'ordine, la diffusione, l'accessibilità e il mantenimento delle conoscenze acquisite. La R&S si basa infatti sulle conoscenze preesistenti per crearne di nuove. |
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3.19.1. |
Gestione delle conoscenze e relative tecniche. La gestione delle conoscenze è importante anche per applicare in modo sicuro (24) i procedimenti tecnici, consentirne un uso ottimale e sicuro, minimizzare i rischi e non esporre a pericoli la popolazione. A questo riguardo la Commissione, in cooperazione con le pertinenti organizzazioni internazionali, dovrebbe anche in futuro adottare iniziative adeguate e promuovere i programmi di ricerca necessari. |
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3.19.2. |
Libri di testo e compendi. Un ruolo importante nel mantenere, chiarire e ordinare le conoscenze e, specialmente, nel garantire una valida formazione, spetta a libri di testo, compendi e manuali di qualità elevata. Per scriverli occorrono esperienza, impegno e tempo, e bisogna inoltre essere dispensati da altri compiti. Il Comitato raccomanda di inserire questa attività nell'elenco delle misure ammissibili agli aiuti, tanto più che essa, generalmente, non ha alcun ritorno commerciale per gli autori. |
4. Osservazioni specifiche in merito alle domande formulate nel Libro verde
Questo capitolo affronta in modo specifico alcune delle 35 domande formulate nel Libro verde, qualora il relativo argomento non sia già stato trattato nella sezione 3. Per motivi di spazio, però, il testo della maggior parte delle domande non viene riprodotto; si rimanda quindi il lettore al Libro verde.
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4.1. |
Domande da 1 a 3 relative al punto «Elementi delle prospettive dello Spazio europeo della ricerca». È indispensabile che nella società ci sia un clima aperto nei confronti della R&S, in grado di coglierne e apprezzarne l'importanza decisiva per il benessere, la competitività, il progresso e la cultura. È importante anche garantire una sufficiente comunicazione tra le diverse discipline, in particolare quelle scientifiche e quelle umanistiche, cercando altresì di accordarsi sui principi metodologici. Ciò è anche una premessa indispensabile per creare le condizioni generali necessarie e definire le priorità a tutti i livelli della politica. La Commissione e gli Stati membri, inoltre, possono promuovere in misura ancora maggiore di quanto avvenuto finora, mediante simposi e convegni, lo scambio di esperienze tra la comunità scientifica e la società civile in generale, e pubblicizzare lo Spazio europeo della ricerca; in tale contesto, anche i mezzi di comunicazione devono svolgere un ruolo importante, fermo restando che l'accento andrebbe posto sull'informazione e non sull'opinione. Il Comitato appoggia l'intenzione della Commissione di dar vita a un dibattito pubblico e ad altre azioni. |
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4.2. |
Domande 8 e 10: dottorandi. Bisogna partire già dai giovani scienziati in possesso di un diploma universitario adeguato, ossia dai dottorandi. Questi ultimi, infatti, non sono studenti o apprendisti (25), ma professionisti che hanno un'importanza fondamentale nel campo della ricerca e dell'insegnamento. La stessa attività di ricerca e di insegnamento, come pure l'elaborazione di lavori scientifici e la partecipazione ai seminari e alle cosiddette «accademie estive» sono la forma migliore di perfezionamento; occorre quindi anche promuovere con decisione e rendere possibile la partecipazione a tali attività. È necessario consentire, incoraggiare e ricompensare il senso d'iniziativa e l'autonomia, due doti che non si sviluppano certo con un «tutoraggio» di tipo scolastico. |
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4.3. |
Domanda 12 et al.: bisogna prendere le mosse e trarre i giusti insegnamenti dall'esempio dell'Istituto europeo di tecnologia e delle sue singole «comunità della conoscenza e dell'innovazione». |
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4.3.1. |
Domanda 18. È necessario dapprima raccogliere le esperienze relative ai casi singoli; inoltre, vanno chiarite le questioni relative ai rischi e alle responsabilità, ad esempio in caso di defezione di uno dei partner. |
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4.3.2. |
Domanda 19. Occorre anzitutto sfruttare l'esperienza degli «istituti virtuali» già esistenti in seno alle organizzazioni di ricerca degli Stati membri; per il resto, occorre adottare un approccio dal basso verso l'alto. |
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4.3.3. |
Domanda 20 (i). Si dovrebbe chiedere agli organismi interessati di formulare proposte. |
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4.3.4. |
Domanda 20 (ii). No ai criteri misurabili obiettivamente. Su questo punto il Comitato nutre enormi perplessità: c'è infatti da temere che si ponga l'accento sui criteri quantitativi «misurabili obiettivamente», i quali però nel campo della ricerca praticamente non esistono (26). Criteri del genere potranno magari essere utili nello sviluppo orientato al prodotto, ma nella ricerca favorirebbero una logica di breve respiro e superficiale (marketing dell'acquisizione). Perfino gli istituti di ricerca industriale hanno dei margini per attività di ricerca orientate più a lungo termine e alla ricerca di base, attività che, sebbene la loro importanza sia dimostrata proprio dagli organismi di maggiore successo (27), sono difficili da motivare utilizzando procedure di valutazione prestabilite e basate principalmente su criteri «misurabili sul piano quantitativo». Il Comitato rimanda inoltre a quanto affermato al riguardo in pareri precedenti (28). |
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4.4. |
Domanda 21 relativa al punto «Condividere le conoscenze», parte concernente i dati grezzi. Si tratta di una domanda difficile e delicata. Per quanto concerne i dati grezzi (in che punto della catena di misurazione hanno origine i «dati grezzi»? La loro correttezza, spesso, deve essere ancora controllata o valutata da colui che ha effettuato in origine l'esperimento), essa riguarda il rapporto di fiducia personale fra i ricercatori (29). La domanda denota una mancanza di comprensione dei processi di sperimentazione e delle relazioni interpersonali tra i ricercatori (attitudine al lavoro di squadra, concorrenza, priorità, ecc.); in questo contesto è utile prevedere incentivi per lo scambio diretto di conoscenze. L'espressione chiave a questo proposito è «riproducibilità dei risultati». Sono assolutamente da sconsigliare gli approcci prescrittivi dettati dall'alto, magari a livello europeo, mentre potrebbero essere utili quelle raccomandazioni che indichino per quanto tempo come minimo andrebbero conservati i «dati grezzi» registrati e chi ne sia responsabile. Indipendentemente da questo (cfr. anche il punto 3.19.1), resta il problema di una generale «gestione delle conoscenze», per garantire che esse non vadano perse. Sarebbe opportuno, eventualmente, che anche il Consiglio europeo della ricerca affrontasse la questione. |
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4.4.1. |
Ancora sulla domanda 21: difficoltà nell'accesso alle informazioni e allo scambio di informazioni. Questa domanda riguarda anche un altro problema, ossia quello di un accesso rapido e senza ostacoli alle informazioni già pubblicate nelle riviste specialistiche delle case editrici scientifiche. A causa dell'attuale interpretazione dei diritti d'autore non esistono biblioteche on-line ad accesso gratuito e non si possono più trasmettere copie elettroniche. L'accesso rapido a importanti opere scientifiche e tecniche archiviate è quindi drasticamente limitato, cosa che ostacola notevolmente gli scambi e i progressi scientifici. |
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4.4.2. |
Accesso libero. A maggior ragione il Comitato esorta la Commissione ad affrontare la questione e a cercare soluzioni nuove e migliori, una delle quali potrebbero essere i sistemi di informazione «ad accesso libero» (30), ad esempio in riviste specializzate riconosciute ad accesso libero con una valutazione tra pari (cfr. anche infra). |
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4.4.3. |
Domanda 23: periodo di grazia. A questo proposito, il Comitato si è già pronunciato in diverse occasioni a favore di un periodo di grazia per alleviare il conflitto tra l'opzione di pubblicare più in fretta possibile (i ricercatori vengono giudicati sulla base delle loro pubblicazioni) e quella di depositare prima il brevetto. |
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4.5. |
Per quanto riguarda il gruppo di domande da 25 a 29 relative al punto «Ottimizzare i programmi e le priorità di ricerca», in generale ci si dovrebbe basare sulle esperienze fatte finora con ERA-NET. |
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4.5.1. |
Domanda 25: principi per la valutazione. La domanda relativa ai principi comuni (con cui presumibilmente si intendono i principi armonizzati) per la valutazione tra pari, la garanzia della qualità e la valutazione riguarda un tema complesso poiché, da un lato, non esistono metodi di valutazione perfetti, ma solo metodi più o meno validi e, dall'altro, i diversi organismi di ricerca, almeno nei dettagli, procedono secondo modalità diverse, ragion per cui è necessario utilizzare come criterio il (relativo) successo delle diverse metodologie. Per questo motivo il Comitato nutre anche a questo proposito delle perplessità di fondo sull'obiettivo dell'armonizzazione. La valutazione tra pari è indubbiamente il metodo migliore (31), ma la sua qualità ed efficienza dipendono in larga misura da come si procede nei dettagli (32). Si dovrebbe soprattutto evitare di cadere nella superficialità, cosa invece che capita facilmente a causa delle continue e molteplici valutazioni richieste oggigiorno. Vale quindi il principio secondo cui bisognerebbe valutare meno, ma più a fondo. |
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4.5.2. |
Facendo nuovamente riferimento alla domanda 25, ma anche ad altre: funzionari competenti. In particolare, è assolutamente necessario che negli organismi di sostegno alla ricerca, e quindi anche in seno alla Commissione, lavorino anche funzionari competenti e di comprovata eccellenza scientifica che abbiano e mantengano una conoscenza ottimale e consolidata del settore in questione e delle sue particolarità, oltre che dei relativi «pari» e della comunità scientifica corrispondente, anche grazie alla propria precedente attività di ricerca (una costante rotazione del posto di lavoro è in questo caso controproducente). Anche in questo caso, il timore di errori o di comportamenti sbagliati dei singoli non deve portare a una sovraregolamentazione e a un indebolimento generalizzati. Bisognerebbe anche qui prendere ad esempio gli organismi di ricerca con risultati particolarmente positivi. |
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4.5.3. |
Domanda 26: semplificazione. L'obiettivo di semplificare ulteriormente le regole e le procedure applicabili, anche per evitare ai ricercatori oneri amministrativi eccessivi, viene spesso sottolineato. Il Comitato è tuttavia consapevole del fatto che la sua difesa generale del pluralismo e dell'approccio dal basso verso l'alto potrebbe essere considerata per certi versi in contraddizione con la richiesta di semplificazione e di riduzione dell'eccessiva burocrazia. Per questo motivo caldeggia un percorso coordinato (cfr. anche il punto 3.15) con valutazioni comuni di tutte le azioni alle quali la Comunità dà o darà un contributo determinante con i propri programmi di sostegno. In merito alla scelta delle procedure di valutazione andrebbe consultato il Consiglio europeo della ricerca. |
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4.5.4. |
Domanda 29: adesione alle organizzazioni intergovernative di ricerca. Il termine «aderire» andrebbe precisato. L'adesione a organi consultivi appare opportuna in caso di cofinanziamento da parte della Comunità, e lo stesso dicasi naturalmente per l'adesione ai pertinenti organi di controllo. Il Comitato sconsiglia invece decisamente l'adesione agli organi esecutivi diretti. |
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4.6. |
Domande 30 e 31: aprirsi al mondo: la cooperazione internazionale nel settore scientifico e tecnologico. Il Comitato appoggia pienamente questo obiettivo della politica di ricerca. Per quanto riguarda gli strumenti bisogna distinguere tra i programmi che richiedono grandi apparecchiature quali, ad esempio, acceleratori, impianti di fusione, satelliti, gallerie del vento, ecc., e i programmi ripartiti tra molti centri o apparecchiature. Inoltre, ci si dovrebbe basare ampiamente sugli esempi già esistenti e sulle relative esperienze, fermo restando che le generalizzazioni comportano il rischio di non tenere in debito conto la diversità dei singoli casi. In generale, il Comitato reputa che in questo campo esistano già dei meccanismi efficaci o dei precedenti, ragion per cui non dovrebbero occorrere ulteriori strumenti. |
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4.7. |
Osservazione generale sulle domande formulate dalla Commissione. Dalle domande si ha l'impressione che la Commissione cerchi sempre delle regole generali che siano poi valide per ogni singolo caso. Nei confronti di una tale intenzione il Comitato avrebbe profonde riserve (cfr. anche il punto 3.14.1). |
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4.7.1. |
No all'armonizzazione, ma margine di libertà e approccio dal basso verso l'alto. Il Comitato respinge pertanto qualsiasi tentativo di arrivare a un'eccessiva armonizzazione. Essa impedisce infatti di stabilire dapprima in modo empirico le pratiche di volta in volta migliori attraverso una competizione (fondamentalmente possibile nel quadro di un approccio dal basso verso l'alto) fra le diverse procedure, metodologie e approcci culturali, sfruttando anche i vantaggi insiti in un processo evolutivo. Solo così sarà possibile scoprire quale metodo sia particolarmente efficace, meriti ulteriore sostegno e possa servire da esempio per altri. |
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4.7.2. |
I meccanismi esistenti sono sufficienti. I meccanismi già esistenti sia a livello politico che a livello dei programmi e dei progetti offrono già un margine di manovra sufficiente e adeguato. Ulteriori misure e regole potranno essere adottate o adattate in seguito, se e nella misura del necessario, qualora si delinei un'esigenza specifica debitamente motivata. |
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4.8. |
Strumenti comunitari impiegati finora per la promozione e il coordinamento. Il Comitato raccomanda invece di definire regole generali, chiare e comprensibili per i molteplici strumenti comunitari di sostegno e coordinamento della R&S. A tal fine sarebbe molto utile se la Commissione mettesse a punto un elenco e una descrizione, vale a dire un manuale di istruzioni comprensibile, di tutti gli strumenti e le forme di promozione e di coordinamento di cui dispone. Da tale elenco risulterebbe anche evidente se il crescente numero di strumenti garantisca ancora compiti sufficientemente chiari e linee di demarcazione sufficientemente nette e se gli strumenti siano tuttora agevoli da comprendere e da utilizzare sia per i potenziali utenti che per gli stessi funzionari della Commissione, o non siano invece da rivedere ai fini di una maggiore chiarezza. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
GU C 325 del 30.12.2006, pag. 16.
(2) GU C 325 del 30.12.2006, pag. 16.
(3) GU C 110 del 30.4.2004, pag. 3.
GU C 110 del 30.4.2004, pag. 98.
(4) CERN è l'acronimo francese dell'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (Organisation Européenne pour la Recherche Nucléaire). Dato che, alla luce del successivo orientamento del CERN, questo nome è diventato fuorviante, oggi si usa la denominazione «Laboratorio europeo di fisica delle particelle», che descrive meglio le attività svolte attualmente dall'organizzazione.
(5) Nel presente parere il Comitato usa il termine «scienziati» e «ingegneri» riferendosi a persone di entrambi i sessi. Così facendo ribadisce il suo ripetuto impegno a favore di un'assoluta parità di genere anche nella R&S (cfr. anche il punto 3.16.2).
(6) Cfr. anche http://www.eiroforum.org
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ECMWF |
: |
European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine) |
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EMBO |
: |
European Molecular Biology Organization (Organizzazione europea di biologia molecolare) |
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ESRF |
: |
European Synchrotron Radiation Facility (Laboratorio europeo di radiazioni di sincrotrone) |
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ESO |
: |
European Southern Observatory (Organizzazione europea per le ricerche astronomiche nell'emisfero australe) |
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ESA |
: |
European Space Agency (Agenzia spaziale europea) |
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ILL |
: |
Istituto Laue-Langevin. |
(7) Per una presentazione più dettagliata, cfr. anche il bollettino Cordis focus n. 279 del giugno 2007.
(9) Il Comitato si compiace anche della richiesta formulata in tal senso dal Comitato consultivo europeo per la ricerca (EURAB). A questo proposito cfr.
http://ec.europa.eu/research/eurab/index_en.html.
(10) Anche a questo proposito il Comitato fa un particolare appello agli Stati membri affinché adottino le decisioni politiche pertinenti.
(11) Commissione europea, Key Figures 2007 on Science, Technology and Innovation — Towards a European Knowledge Area («Cifre chiave del 2007 su scienza, tecnologia e innovazione — Verso uno spazio europeo della conoscenza»), 11 giugno 2007.
(12) ESFRI è l'acronimo di European Strategy Forum on Research Infrastructures (Forum strategico europeo sulle infrastrutture di ricerca); cfr. il sito:
http://cordis.europa.eu/esfri/
(13) Consiglio Competitività (Mercato interno, industria e ricerca) del 21-22 maggio 2007.
(14) Come, p. es., nel caso del progetto ITER.
(15) Ad es., la Società europea di fisica, la Federazione europea delle associazioni nazionali degli ingegneri, la Federazione europea di ingegneria chimica, le accademie europee (EASAC, ALEA, IAP) ecc. Molte di queste società, come l'Iniziativa per la scienza in Europa (Initiative for Science in Europe, ISE), sono organizzate anche in federazioni.
(16) GU C 325 del 30.12.2006, punto 4.6.
(17) Cfr. http://www.cornet-era.net, come pure il supplemento tematico di Cordis focus n. 24, del giugno 2007.
(18) E fino a quando a livello di brevetti non verrà concesso il periodo di grazia, anche per non perdere il diritto di eventuali successive rivendicazioni.
(19) Già nel parere «Scienza, società e cittadini in Europa» (CES 724/2001) il Comitato aveva fatto notare che «data l'esigenza di provare la riproducibilità, ciò che spesso si definisce come doppia ricerca, ossia il parallelismo o ripetizione di esperimenti da parte di altri gruppi di ricerca, in genere grazie a tecniche o procedure modificate, costituisce una parte essenziale della metodologia e del progresso scientifici. Solo in tal modo ci si garantisce contro errori, sviste o addirittura falsificazioni» (punto 4.7.5).
(20) Cfr. l'articolo di L. Gerken e R. Herzog in Europe's World, estate 2007.
(22) P. es., il nuovo contratto di categoria del settore pubblico tedesco è particolarmente ostile alla mobilità.
(23) A questo proposito, cfr. in particolare il parere sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona) INT/325 (GU C 256 del 27.10.2007).
(24) Cfr., p. es., gli atti del convegno organizzato dall'AIEA nel giugno 2007 sulla gestione delle conoscenze negli impianti nucleari.
(25) Scopo della tesi di dottorato è dimostrare che si è in grado di svolgere un'attività scientifica in modo indipendente.
(26) A questo proposito cfr., p. es., la rivista Erwägen, Wissen, Ethik 18 (2007), fasc. 1, cap. 3.4, pag. 12 (ISSN 1610-3696).
(27) Si pensi, p. es., all'attività di ricerca sulla radiazione cosmica di fondo presso i laboratori BELL e sui superconduttori ad alta temperatura all'IBM.
(28) Cfr. p.es. GU C 256 del 27.10.2007, punto 7.5.
(29) Nella ricerca di base ciò dicasi soprattutto per la questione della paternità di una scoperta o di un'idea mentre, per le applicazioni, vale anche per le questioni relative ai brevetti.
(30) Cfr., p. es., il sito
http://www.open-access.net/RMK
(31) Tuttavia, tanto più i procedimenti, le idee, i parametri o i modelli sono innovativi (ossia si discostano dalla norma), tanto meno la stessa valutazione tra pari è in grado di formulare sempre un giudizio appropriato. È quindi ancor più importante garantire il necessario pluralismo (cfr. il punto 3.14.1) di approcci e metodi concorrenti.
(32) Su questo tema, cfr. numerosi articoli pubblicati nella rivista dell'Associazione delle università tedesche (Deutscher Hochschulverband) Forschung und Lehre, n. 6/07, ISSN 0945-5604;
www.forschung-und-lehre.de
|
16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/11 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'impresa comune per l'iniziativa in materia di medicinali innovativi
COM(2007) 241 def. — 2007/0089 (CNS)
(2008/C 44/02)
Il Consiglio, in data 11 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANTIN.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
L'industria farmaceutica è considerata, a giusto titolo, un settore strategico fondamentale con prodotti che contribuiscono in maniera essenziale alla salute e al benessere dei cittadini europei. Essa è inoltre importante dal punto di vista dell'occupazione. |
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1.2. |
In considerazione di ciò e del declino dell'Europa nel campo della ricerca farmaceutica, la scelta di istituire l'IC IMI (impresa comune per l'iniziativa in materia di medicinali innovativi) è particolarmente giustificata. Il Comitato apprezza e approva questa decisione, soprattutto in ragione della scelta di un reale partenariato pubblico-privati. |
|
1.3. |
La missione dell'IC IMI dovrà concentrasi sui seguenti aspetti fondamentali:
|
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1.4. |
Il Comitato prende atto con soddisfazione dell'ampia consultazione che ha preceduto la preparazione di questo regolamento e approva l'orientamento annunciato di presentare annualmente una relazione sui risultati ottenuti. Si rammarica invece dell'assenza, nella proposta della Commissione, di un quadro più dettagliato sul funzionamento e sui risultati ottenuti dalle precedenti «piattaforme tecnologiche europee (PTE)». |
|
1.5. |
Tenuto conto dei finanziamenti, delle partecipazioni multiple e del volume rilevante di risorse comunitarie impegnate, il Comitato ritiene che occorrerebbe definire meglio l'uso e l'attribuzione dei prodotti finali della ricerca, specialmente in materia di proprietà intellettuale e brevetti. |
|
1.6. |
Il Comitato ritiene che sarebbe opportuno prevedere meccanismi che favoriscano un ritorno per gli investimenti europei. Sarebbe inoltre auspicabile prevedere che gli utili generati dalle ricerche avviate con i fondi dell'IC IMI siano destinati ad investimenti effettuati nel territorio comunitario. |
2. Introduzione
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2.1. |
La proposta di regolamento del Consiglio in esame, che mira a lanciare i primi partenariati europei pubblico-privati nel settore dell'R&S, definisce una delle due prime iniziative tecnologiche congiunte, quella riguardante i medicinali innovativi (1). |
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2.2. |
Le ITC si prefiggono di consentire all'industria, agli istituti di ricerca, agli Stati membri e alla Commissione di mettere in comune, in tutto o in parte, le rispettive risorse in favore di programmi di ricerca mirati. |
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2.3. |
Contrariamente all'approccio tradizionale, consistente nel destinare ai progetti finanziamenti pubblici concessi caso per caso, le ITC riguardano programmi di ricerca su vasta scala con obiettivi strategici di ricerca comuni. Questo nuovo approccio dovrebbe generare una massa critica per la ricerca e l'innovazione europee, consolidare la comunità scientifica nei principali settori strategici e armonizzare il finanziamento dei progetti affinché i risultati della ricerca possano essere sfruttati più rapidamente. Le ITC riguardano settori determinanti in cui gli strumenti attuali non hanno né la scala né la velocità necessarie per mantenere l'Europa in una posizione di testa nell'ambito della concorrenza mondiale. Si tratta di settori in cui un finanziamento nazionale, europeo e privato della ricerca può apportare un valore aggiunto considerevole, incoraggiando in particolare l'aumento delle spese private per la ricerca e lo sviluppo. |
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2.4. |
L'ITC relativa all'iniziativa sui medicinali innovativi (IMI) è volta a sostenere lo sviluppo di nuove conoscenze, nuovi strumenti e nuovi metodi che consentano di proporre medicinali più efficaci e più sicuri. |
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2.5. |
L'IMI, attraverso modalità di finanziamento innovanti, dovrebbe contribuire alla crescita degli investimenti privati nella R&S, all'intensificazione del trasferimento di conoscenze tra università e imprese e alla promozione della partecipazione delle PMI alla ricerca europea. |
3. Il contesto
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3.1. |
Gli ultimi 10-15 anni hanno fatto segnare la progressiva erosione della ricerca farmaceutica in Europa. Mentre negli USA gli investimenti nella R&S hanno registrato un fattore moltiplicatore pari a 4,6 tra il 1990 e il 2005, in Europa questo è stato pari a 2,8 soltanto. Le imprese trasferiscono a ritmo crescente i loro dipartimenti di ricerca di punta in paesi al di fuori dell'UE, soprattutto negli Stati Uniti e, più di recente, in Asia. |
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3.1.1. |
Questa situazione può avere conseguenze gravi per la competitività europea, poiché l'innovazione e le tecnologie di punta sono una delle chiavi della crescita economica a lungo termine. È questa una delle ragioni alla base della scelta di creare una ITC relativa ai medicinali innovativi. |
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3.2. |
Mentre i governi concepiscono le loro azioni sul piano nazionale, l'industria ha una visione mondiale. I grandi paesi come gli Stati Uniti e la Cina hanno una strategia d'investimento unificata che permette alle imprese di pianificare e attirare meglio le risorse. In Europa le amministrazioni nazionali non coordinano i loro investimenti nella R&S e le società farmaceutiche devono destinare risorse all'adeguamento delle loro attività alle situazioni locali. |
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3.3. |
Un provvedimento legislativo comunitario può stabilire un programma di R&S mirato e coerente che può appoggiarsi su tutte le risorse d'investimento nella R&S (pubbliche e private) a livello europeo, modificando così questo contesto in senso favorevole all'Unione europea; è proprio questo l'obiettivo del regolamento in esame. |
4. La proposta della Commissione
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4.1. |
La proposta di regolamento che istituisce l'impresa comune per l'iniziativa in materia di medicinali innovativi [COM(2007) 241 def.] emana disposizioni del 7o programma quadro (7PQ) oggetto della decisione n. 1982/2006/CE, la quale prevede un contributo comunitario per la creazione di partenariati pubblico-privati a lungo termine su scala europea nel settore della ricerca. |
|
4.2. |
Tali partenariati, che si configurano come «iniziative tecnologiche congiunte» (ITC), derivano dalle vecchie «piattaforme tecnologiche europee» (PTE). |
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4.3. |
Nella decisione 2006/971/CE concernente il programma specifico «Cooperazione», il Consiglio ha sottolineato la necessità di istituire partenariati pubblico-privati e ha individuato cinque settori in cui la creazione di iniziative tecnologiche congiunte è atta a rilanciare la ricerca europea. Si tratta dei settori seguenti:
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4.4. |
Nel contesto di questa strategia generale, il regolamento oggetto della proposta in esame [COM(2007) 241 def.] prevede l'attuazione dell'iniziativa tecnologica congiunta in materia di medicinali innovativi (ITC IMI) attraverso la creazione di un'impresa comune per l'iniziativa in materia di medicinali innovativi (IC IMI). |
|
4.5. |
Secondo gli obiettivi della Commissione, la costituzione di un'impresa comune in materia di medicinali innovativi dovrebbe favorire la partecipazione di attori che oggi non sono in grado di condurre programmi di ricerca molto complessi e costosi (università, piccole e medie imprese, centri clinici, enti pubblici, ecc.). |
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4.6. |
L'IC IMI sarà istituita sotto forma di impresa comune i cui membri fondatori saranno la Comunità europea rappresentata dalla Commissione e l'EFPIA (Federazione europea delle associazioni dell'industria farmaceutica) e disciplinata in quanto organismo comunitario da un regolamento del Consiglio in applicazione dell'articolo 171 del Trattato. Vi potranno aderire tutti i paesi associati al 7o programma quadro e tutte le persone giuridiche che operano nel settore della R&S, a condizione che contribuiscano al suo finanziamento. |
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4.7. |
Il programma disporrà di un bilancio di 2 miliardi di euro, da investire nell'arco di sette anni, ripartiti in parti uguali tra la Commissione (risorse del 7o programma quadro, conformemente alle disposizioni dell'articolo 54 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio) e le imprese aderenti all'EFPIA che forniranno soprattutto il personale, le attrezzature, i beni di consumo, ecc. |
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4.8. |
L'IC IMI sosterrà concretamente delle attività di ricerca condotte negli Stati membri e nei paesi associati al 7o programma quadro. Il contributo comunitario di un miliardo di euro sarà interamente destinato alle piccole e medie imprese e alle università per ricerche che possano essere sfruttate nel settore farmaceutico. Le grandi imprese partecipanti investiranno per un importo identico, sostenendo il costo della loro parte di ricerca e associando a tale ricerca le PMI e le università. |
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4.9. |
L'impresa comune è considerata un organismo internazionale dotato di personalità giuridica ai sensi dell'articolo 2 della direttiva 2004/17/CE e dell'articolo 15 della direttiva 2004/18/CE. L'impresa comune avrà sede a Bruxelles e le sue attività si concluderanno nel dicembre 2017, a meno che il Consiglio non decida altrimenti. |
5. Osservazioni generali
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5.1. |
Nel rapporto Creare un'Europa innovativa, l'industria farmaceutica è considerata, a giusto titolo, un settore strategico fondamentale con prodotti che contribuiscono in maniera essenziale alla salute e al benessere dei cittadini europei. In sostanza, un impiego razionale e corretto dei prodotti farmaceutici aiuta a migliorare la qualità della vita. |
|
5.2. |
L'industria farmaceutica fornisce inoltre all'Europa un contributo elevato in termini di posti di lavoro. Nel 2004 questo settore occupava 612 000 lavoratori dipendenti di cui 103 000 altamente qualificati nel settore della ricerca scientifica. |
Ruolo dell'IC IMI
|
5.3. |
L'istituzione dell'IC IMI è motivata principalmente dalla necessità riconosciuta di far fronte al declino dell'Europa nel campo della ricerca farmaceutica e d'invertire tale tendenza già osservata nella comunicazione della Commissione del 1o luglio 2003 intitolata Rafforzare l'industria farmaceutica stabilita in Europa a vantaggio dei pazienti — Un invito ad agire. |
|
5.4. |
A tal fine appare indispensabile una modifica delle forme tradizionali di collaborazione bilaterale. È necessario oggi un nuovo approccio su scala europea che permetta la cooperazione diretta delle università, delle PMI interessate, degli organismi pubblici con il settore farmaceutico in collegamento con le disposizioni finanziarie previste nel 7o programma quadro. |
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5.5. |
La missione dell'IC IMI dovrà concentrasi sui seguenti aspetti fondamentali:
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6. Osservazioni specifiche
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6.1. |
Il Comitato prende atto con soddisfazione dell'ampia consultazione che ha preceduto la preparazione di questo regolamento e sostiene l'attuazione di programmi di formazione appropriati per poter disporre della professionalità necessaria in un settore essenziale per l'economia europea e la qualità di vita dei cittadini. |
|
6.2. |
Come si segnala al punto 4.2, le ITC nascono sul ceppo dell'attività delle vecchie «piattaforme tecnologiche europee» (PTE), le quali hanno di rado raggiunto l'obiettivo di rilancio strategico della ricerca in Europa che era stato loro assegnato. La creazione delle ITC poggia su questa constatazione di fallimento parziale delle PTE, il cui ruolo doveva consistere in sostanza nell'apportare un contributo essenziale alla competitività dell'industria. |
|
6.2.1. |
Il CESE si rammarica quindi dell'assenza, nella proposta della Commissione, di un quadro più dettagliato sui precedenti lavori effettuati dalle piattaforme tecnologiche europee (PTE), del fatto che non si tracci alcun bilancio, non si faccia cenno ai risultati ottenuti e non si fornisca alcun riferimento bibliografico. |
|
6.2.2. |
Per questo, in relazione alle ITC il Comitato approva l'orientamento annunciato di presentare annualmente una relazione sui risultati ottenuti e sui progressi realizzati. |
|
6.3. |
Il Comitato dà, comunque, un giudizio positivo sull'istituzione dell'impresa comune per l'iniziativa in materia di medicinali innovativi, in quanto essa possiede, in generale, le caratteristiche essenziali per il rilancio della ricerca farmaceutica in Europa grazie a un reale partenariato tra il pubblico e il privato. L'iniziativa è coerente con gli obiettivi della strategia di Lisbona che prevede investimenti pari al 3 % del PIL nelle attività di ricerca e sviluppo, investimenti per cui due terzi dei fondi devono provenire dal settore privato. |
|
6.3.1. |
Tuttavia, tenuto conto del sistema di finanziamento multiplo che è istituito e del volume rilevante di risorse comunitarie impegnate, il Comitato ritiene che occorrerebbe definire meglio l'uso e l'attribuzione dei prodotti finali della ricerca. A tale proposito, meriterebbe di essere precisata e esplicitata meglio la questione dei brevetti e della proprietà intellettuale, per la quale il regolamento e l'allegato si limitano a menzionare dei principi, perché essa rischia di diventare uno dei punti delicati nel quadro dell'attuazione armoniosa dell'IC IMI. |
|
6.3.2. |
I grandi gruppi industriali farmaceutici insediati in Europa hanno, in maggioranza, una dimensione mondiale. Sempre in considerazione dell'importo rilevante del finanziamento comunitario, bisognerebbe pensare a meccanismi che favoriscano un ritorno europeo dell'investimento. In quest'ottica, pur facendo attenzione a non creare ostacoli all'impiego dei medicinali innovativi nei paesi extracomunitari, il regolamento potrebbe prevedere disposizioni per stabilire che l'insieme delle fasi di ricerca e la produzione delle molecole risultanti da tali ricerche si svolgano nel territorio dell'Unione. Inoltre, sarebbe auspicabile che queste stesse disposizioni prevedessero la destinazione degli utili generati dalle ricerche avviate con i fondi dell'IC IMI ad investimenti effettuati nel territorio comunitario. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Un'altra ITC riguarda i sistemi informatici incorporati (cfr. al riguardo il parere INT/364).
(2) INT/369.
(3) INT/364.
(4) INT/370.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/15 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla costituzione dell'«Impresa comune Artemis» per l'attuazione di una iniziativa tecnologica congiunta in materia di sistemi informatici incorporati
COM(2007) 243 def. — 2007/0088 (CNS)
(2008/C 44/03)
Il Consiglio, in data 11 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANTIN.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
|
1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva in linea generale la strategia della Commissione. Ritiene infatti che il rilancio degli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) sia un modo adeguato per fornire alle imprese europee un quadro di riferimento sicuro all'interno di un nuovo strumento che consente di superare l'attuale frammentazione dei finanziamenti comunitari e impedisce la ripartizione diseguale dei programmi, fattori — questi — che complicavano di molto la valutazione dei risultati raggiunti. |
|
1.2. |
Il Comitato approva l'orientamento annunciato di presentare annualmente i risultati di Artemis. Viceversa, deplora che nella proposta della Commissione manchi un bilancio dettagliato del funzionamento e dei risultati ottenuti con le vecchie «piattaforme tecnologiche europee» (PTE). |
|
1.3. |
L'impresa comune Artemis, che poggia su un partenariato pubblico-privato, rappresenta per il Comitato un punto di forza nella creazione di uno spazio europeo della ricerca e un importante contributo alla competitività delle imprese europee. |
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1.4. |
Nell'esprimere un giudizio favorevole sulla proposta in esame, il CESE sottolinea l'importanza dell'approccio innovativo proposto in materia di investimenti, che comprende risorse della Comunità, delle imprese, dei vari Stati membri e degli organismi di R&S partecipanti. |
|
1.5. |
Alla luce di questo dispositivo innovativo di associazione e della sua potenziale complessità riguardo all'utilizzo dei risultati della ricerca, il CESE esprime soddisfazione per la serietà e la precisione con cui all'articolo 24 del regolamento dell'impresa comune si affronta il tema della proprietà intellettuale. |
|
1.6. |
Infine, il Comitato ritiene necessario:
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2. Introduzione
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2.1. |
La proposta di regolamento del Consiglio in esame, che mira a lanciare i primi partenariati europei pubblico-privato nel settore dell'R&S, definisce una delle prime due iniziative tecnologiche congiunte (ITC), riguardante i sistemi informatici incorporati (1). |
|
2.2. |
Le ITC sono finalizzate in generale a consentire all'industria, agli istituti di ricerca, agli Stati membri e alla Commissione di mettere in comune, in tutto o in parte, le rispettive risorse in favore di programmi di ricerca mirati. |
|
2.3. |
Contrariamente all'approccio tradizionale, consistente nel destinare ai progetti finanziamenti pubblici ad hoc, le ITC riguardano programmi di ricerca su vasta scala con obiettivi strategici di ricerca comuni. Questo nuovo approccio dovrebbe generare una massa critica per la ricerca e l'innovazione europea, consolidare la comunità scientifica intorno ad alcuni settori strategici di rilievo e armonizzare il finanziamento dei progetti affinché i risultati della ricerca possano essere sfruttati più rapidamente. |
|
2.4. |
La proposta in oggetto definisce il quadro giuridico per la costituzione di Artemis, vale a dire l'ITC relativa ai sistemi informatici incorporati. |
|
2.5. |
L'ITC Artemis riguarda i computer invisibili (sistemi integrati) che permettono ad esempio il funzionamento di automobili, aerei, telefoni e reti di energia, oltre che di svariati elettrodomestici come lavatrici, televisori, ecc. |
|
2.6. |
Stando alle previsioni, entro il 2010 nel mondo si conteranno più di 16 miliardi di processori integrati e più di 40 miliardi entro il 2020. Nel 2010, questi hardware e software incorporati invisibili rappresenteranno dal 30 al 40 % del valore dei nuovi prodotti: il 41 % nell'elettronica di consumo, il 37 % nelle telecomunicazioni, il 36 % nel settore automobilistico e il 33 % nelle attrezzature sanitarie. |
|
2.7. |
Il bilancio di Artemis destinato alla ricerca, che raggiungerà in totale 2,7 miliardi di euro in un arco di sette anni, dovrebbe provenire dall'industria per il 60 %, mentre 410 milioni di euro giungeranno dalla Commissione e 800 milioni di euro dai programmi degli Stati membri. |
3. Il contesto
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3.1. |
Le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) hanno un'importanza economica e sociale fondamentale e svolgono un ruolo essenziale nell'attuazione della strategia riveduta di Lisbona, in cui si sottolinea che la conoscenza e l'innovazione nella Comunità contribuiscono a stimolare la crescita e l'occupazione. |
|
3.2. |
Su scala mondiale, se la spesa totale in R&S dovrebbe aumentare di circa il 170 % nel corso dei prossimi dieci anni, si prevede che quella destinata ai sistemi incorporati crescerà addirittura del 225 %, passando così da 58 miliardi di euro nel 2002 a 132 miliardi di euro nel 2015 (2). |
|
3.3. |
Nell'UE, le spese per la ricerca e sviluppo in materia di TIC rappresentano circa il 18 % della spesa totale in R&S, rispetto al 34 % degli Stati Uniti e al 35 % del Giappone (3). Su base pro capite, la spesa nell'UE ammonta a circa 80 euro per abitante, rispetto a 350 euro negli Stati Uniti e 400 euro in Giappone. La ricerca sui sistemi incorporati incide pesantemente sulla ricerca relativa alle TIC: a essa sono destinati in Europa fondi pubblici per 380 milioni di euro e oltre il 50 % del bilancio delle imprese per la ricerca in materia di TIC. |
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3.4. |
Per essere presente domani in questo settore dal forte potenziale di sviluppo, l'UE deve accrescere i propri investimenti in questo settore strategico e utilizzarli più efficacemente, anziché fare affidamento su una struttura di ricerca che disperde gli sforzi e porta a moltiplicarli inutilmente. Tuttavia, le imprese dell'UE non dispongono al momento di un quadro di riferimento adeguato per lo sviluppo delle tecnologie e delle norme abilitanti necessarie. |
|
3.4.1. |
In linea generale, i progressi sono ostacolati dall'assenza di coordinamento degli obiettivi delle imprese in materia di R&S, dalla duplicazione delle attività e da un utilizzo non ottimale dei fondi limitati a disposizione della ricerca. |
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3.4.2. |
La proposta della Commissione punta a modificare questo contesto. |
4. La proposta della Commissione
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4.1. |
La decisione relativa alla costituzione dell'impresa comune Artemis, oggetto del documento COM(2007) 243 def., fa capo alla decisione n. 1982/2006/CE sul Settimo programma quadro, che prevede un contributo comunitario per la costituzione di partenariati pubblico-privato a lungo termine su scala europea nel settore della ricerca scientifica. |
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4.2. |
Tali partenariati, che si configurano come «iniziative tecnologiche congiunte» (ITC), derivano dalle vecchie «piattaforme tecnologiche europee» (PTE). |
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4.3. |
Nella decisione 2006/971/CE concernente il programma specifico «Cooperazione» (4), la Commissione ha sottolineato la necessità di istituire partenariati pubblico-privato e ha individuato sei settori in cui la creazione di iniziative tecnologiche congiunte è atta a rilanciare la ricerca europea. Si tratta dei settori seguenti:
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4.4. |
Nel contesto di questa strategia generale, il regolamento oggetto della proposta in esame (COM(2007) 243 def.) prevede l'attuazione del regolamento del Consiglio relativo alla costituzione dell'impresa comune Artemis per la realizzazione di un'iniziativa tecnologica congiunta in materia di sistemi informatici incorporati. |
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4.5. |
La scelta di un'impresa riguardante il tema fondamentale dell'«integrazione dell'intelligenza» si colloca in un quadro strategico che comprende il settore automobilistico, gli elettrodomestici, i dispositivi per la comunicazione, i sistemi di controllo e le macchine da ufficio. |
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4.6. |
In questi settori si prevede che l'importanza dei sistemi incorporati per il controllo degli apparecchi, già oggi considerevole, crescerà sensibilmente nel corso dei prossimi cinque anni: la quota dei sistemi incorporati nel valore dei prodotti finali dovrebbe così salire al 35-40 % e il loro numero totale giungere a 16 miliardi nel 2010 e a oltre 40 miliardi nel 2020. |
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4.7. |
La scelta di costituire una ITC è soprattutto motivata dalla volontà di creare un programma europeo di R&S che aiuti l'economia europea a conquistare la leadership mondiale nei sistemi informatici incorporati, i quali costituiscono delle innovazioni indispensabili in settori determinanti per la competitività e lo sviluppo delle imprese europee. |
|
4.8. |
La funzione di un'iniziativa come Artemis è, secondo la Commissione, fondamentale per evitare quanto esperito dall'industria europea nel settore dell'informatica individuale e di Internet, dove proprio per la mancanza d'investimenti in ricerca e innovazione le produzioni si sono trasferite fuori dall'Europa (Stati Uniti, Giappone, ecc.). |
|
4.9. |
La costituzione di una ITC Artemis fa seguito a un'ampia consultazione delle parti interessate e a una serie di iniziative e convegni importanti al livello comunitario. Gli obiettivi e i compiti di questa iniziativa sono stati sottoposti in un primo momento al giudizio degli ambienti accademici e delle imprese che hanno arrecato alla proposta in esame la loro competenza nel settore dei sistemi incorporati. Gli Stati membri hanno riconosciuto che il livello comunitario è l'unico che possa rispondere alle sfide future in questo settore. |
4.10. Base giuridica
La proposta consiste in un regolamento del Consiglio a cui è allegato lo statuto dell'impresa comune, e si basa sull'articolo 171 del Trattato. L'impresa comune sarà un organismo comunitario con un bilancio disciplinato dall'articolo 185 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio. Bisognerà comunque tenere conto del fatto che questa iniziativa rientra per sua natura tra i partenariati pubblico-privato che beneficiano di un contributo del settore privato notevole e almeno pari a quello del settore pubblico.
4.11. Costituzione
I membri fondatori dell'ITC sono la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione, gli Stati membri che hanno manifestato l'intenzione di partecipare all'iniziativa, e Artemisia, un'associazione che rappresenta un gran numero di imprese interessate del settore e altre organizzazioni di R&S. Nello statuto sono inoltre elencate le entità che in un secondo momento potranno divenire membri dell'impresa comune Artemis, in particolare i paesi terzi associati al Settimo programma quadro e qualsiasi soggetto giuridico in grado di apportare un contributo alla realizzazione degli obiettivi dell'impresa comune Artemis.
4.12. Finanziamento
I costi di funzionamento di Artemis, esposti in dettaglio all'articolo 4 del regolamento dell'impresa comune, sono coperti dai seguenti contributi:
|
— |
un contributo finanziario di Artemisia per un importo massimo di 20 milioni di euro o dell'1 % del costo totale dei progetti, ma comunque non superiore a 30 milioni di euro, |
|
— |
un contributo finanziario della Comunità per un importo massimo di 10 milioni di euro, |
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— |
contributi in natura da parte degli Stati membri di Artemis. |
Le attività di R&S per il periodo che va fino al 31 dicembre 2017 saranno coperte dai seguenti contributi:
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— |
un contributo finanziario della Comunità per un importo di 410 milioni di euro, |
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— |
contributi degli Stati membri di Artemis versati direttamente alle organizzazioni di R&S che partecipano ai progetti in tale settore, |
|
— |
contributi in natura da parte di organizzazioni di R&S. |
|
4.12.1. |
Per il periodo che va fino al 31 dicembre 2013 il contributo massimo della Commissione ammonterà a 420 milioni di euro. Tali stanziamenti provengono dal programma specifico «Cooperazione» che attua il Settimo programma quadro per azioni di ricerca e sviluppo tecnologico, conformemente a quanto disposto dall'articolo 54, paragrafo 2, del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio. Nel 2008 saranno impegnati 42,5 milioni di euro. |
|
4.12.2. |
Questo considerevole investimento si giustifica con il fatto che i risultati futuri di Artemis nei settori interessati costituiranno anche degli importanti punti di riferimento per tutte le politiche comunitarie, in particolare quelle in materia di ambiente, trasporti, energia e mercato interno. Esse apporteranno così un contributo concreto alla realizzazione degli obiettivi di competitività di Lisbona e degli obiettivi di Barcellona per quanto riguarda le spese nel settore della ricerca. L'iniziativa in oggetto rientra in una strategia ambiziosa della Commissione che comprende tra l'altro la proposta di creare un Istituto europeo di tecnologia (IET). |
4.13. Proprietà intellettuale
Artemis adotta regole che disciplinano la diffusione dei risultati della ricerca: tali regole garantiscono che, a seconda dei casi, la proprietà intellettuale derivante dalle attività di R&S sia protetta e i risultati della ricerca siano utilizzati e diffusi. L'articolo 24 del regolamento dell'impresa comune si sofferma in dettaglio su questo principio.
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4.14. |
Secondo la Commissione, la costituzione dell'impresa comune Artemis offrirà alla Comunità i seguenti vantaggi oggettivi:
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5. Osservazioni generali
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5.1. |
Il CESE approva in linea generale la strategia della Commissione. Ritiene infatti che il rilancio degli investimenti in R&S sia un modo adeguato per fornire alle imprese europee un quadro di riferimento sicuro all'interno di un nuovo strumento che consente di superare l'attuale frammentazione dei finanziamenti comunitari e impedisce la ripartizione diseguale dei programmi, fattori — questi — che complicavano di molto la valutazione dei risultati raggiunti. |
|
5.2. |
Tuttavia, come si è detto al punto 4.2 del presente parere, le ITC derivano dall'operato delle vecchie piattaforme tecnologiche europee, le quali hanno solo di rado raggiunto l'obiettivo di rilancio strategico della ricerca in Europa che era stato loro assegnato, specie a causa del l'insufficiente grado di responsabilità dei soggetti partecipanti. La creazione delle ITC poggia su questa constatazione di fallimento parziale delle PTE, il cui ruolo consisteva in sostanza nell'apportare un contributo essenziale alla competitività dell'industria. |
|
5.2.1. |
Il CESE si rammarica quindi dell'assenza, nella proposta della Commissione, di un quadro più dettagliato sui precedenti lavori condotti sulle PTE: non si traccia alcun bilancio, non si fa cenno ai risultati ottenuti e non si fornisce alcun riferimento bibliografico. |
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5.2.2. |
Per questo, in relazione alle ITC il Comitato approva l'orientamento annunciato di presentare su base annua una relazione che tracci un consuntivo dei risultati ottenuti e dei progressi realizzati. |
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5.3. |
L'impresa comune Artemis, che poggia su un partenariato pubblico-privato, rappresenta secondo il Comitato un punto di forza per la creazione di uno spazio europeo della ricerca e un contributo decisivo alla competitività delle imprese europee. |
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5.4. |
La disponibilità futura di sistemi sempre più intelligenti può contribuire in notevole misura allo sviluppo di prodotti sempre più sicuri e stimolare nel contempo l'istituzione di formazioni e qualifiche di alto livello, tali a loro volta da favorire la creazione e l'aumento dell'occupazione. |
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5.5. |
Nell'esprimere un giudizio favorevole sulla proposta in esame, il CESE tiene a sottolineare anzitutto l'importanza dell'approccio innovativo proposto in materia di investimenti. |
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5.5.1. |
Infatti, per la prima volta nei programmi di R&S si fa ricorso non solo alle risorse della Comunità e delle imprese rappresentate da Artemisia, il che è davvero inconsueto, ma anche a risorse provenienti dai vari Stati membri e dagli organismi di R&S partecipanti. |
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5.5.2. |
Alla luce di questo dispositivo innovativo di associazione e della sua potenziale complessità riguardo all'utilizzo dei risultati delle ricerche che saranno avviate, il CESE esprime soddisfazione per la serietà e la precisione con cui all'articolo 24 del regolamento dell'impresa comune si affronta il tema della proprietà intellettuale. |
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5.6. |
Tuttavia, per realizzare gli obiettivi e sfruttare al massimo tutte le potenzialità insite in questo nuovo dispositivo, il CESE ritiene necessario:
|
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) L'altra ITC riguarda i medicinali innovativi (cfr. al riguardo il parere INT/363).
(2) Fonte: Software Intensive Systems in the Future, IDATE/TNO, 2005.
(3) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — i2010: una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione (2005).
(4) GU L 412 del 30.12.2006, pag. 1.
(5) INT/369.
(6) INT/363.
(7) INT/370.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/19 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'impresa comune «Clean Sky»
COM(2007) 315 def. — 2007/0118 (CNS)
(2008/C 44/04)
Il Consiglio, in data 11 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2007, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha nominato DANTIN relatore generale e ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli e 3 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
Il Comitato approva la decisione relativa alla creazione dell'impresa comune «Clean Sky». Ritiene infatti che tale iniziativa, rilanciando gli investimenti nell'R&S con un finanziamento pubblico-privato, possa fornire alle imprese un quadro di riferimento sicuro che consenta di superare l'attuale frammentazione del finanziamento comunitario e di coordinare ricerche troppo spesso dispersive favorendone così l'efficacia. |
|
1.2. |
Il Comitato condivide la scelta di questo settore, che oltre ad essere in linea con la strategia di Lisbona consente di ridare slancio a un comparto industriale tecnicamente innovativo e ricco di posti di lavoro altamente qualificati e al tempo stesso di contribuire ai progressi necessari in materia di qualità ambientale. |
|
1.3. |
Esprimendosi a favore della proposta in esame, il CESE intende innanzitutto sottolineare l'importanza, per l'UE, della strategia proposta in materia di promozione degli investimenti e di coordinamento della ricerca. Ritiene infatti che tale strategia offra un contributo positivo alla creazione di uno Spazio europeo della ricerca e un apporto incisivo alla competitività delle imprese europee del settore. |
|
1.4. |
Tuttavia, data la molteplicità dei finanziamenti e delle partecipazioni, e vista l'entità delle risorse comunitarie impegnate, sarebbe chiaramente opportuno definire meglio l'utilizzo e l'attribuzione dei prodotti finali della ricerca, in particolare per quanto riguarda la proprietà intellettuale e la questione dei brevetti. |
|
1.5. |
Infine, il Comitato giudica necessario:
|
2. Introduzione
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2.1. |
La proposta di regolamento in esame, che mira a lanciare uno dei primissimi partenariati pubblico-privato nel settore dell'R&S, definisce una delle prime iniziative tecnologiche congiunte (ITC): l'iniziativa, riguardante il settore dell'aeronautica e del trasporto aereo, denominata «Clean Sky». |
|
2.2. |
Le ITC sono finalizzate a consentire all'industria, agli istituti di ricerca, agli Stati membri e alla Commissione di mettere in comune, in tutto o in parte, le rispettive risorse a favore di programmi di ricerca mirati. |
|
2.3. |
Contrariamente all'approccio tradizionale, consistente nel destinare ai progetti finanziamenti pubblici ad hoc, le ITC riguardano programmi di ricerca su vasta scala con obiettivi strategici di ricerca comuni. Questo nuovo approccio dovrebbe generare una massa critica per la ricerca e l'innovazione europea, consolidare la comunità scientifica nei principali settori strategici e armonizzare il finanziamento dei progetti affinché i risultati della ricerca possano essere sfruttati più rapidamente. Le ITC riguardano settori determinanti in cui gli strumenti attuali non hanno né l'entità né la velocità necessarie affinché l'Europa possa mantenere o conquistare una posizione di vantaggio nella concorrenza mondiale. Si tratta di settori in cui un finanziamento nazionale, europeo e privato della ricerca può apportare un valore aggiunto considerevole, segnatamente incoraggiando l'aumento della spesa privata per la ricerca e lo sviluppo. |
|
2.4. |
L'ITC relativa all'aeronautica e al trasporto aereo, denominata «Clean Sky», è essenzialmente destinata ad accelerare lo sviluppo di tecnologie pulite per i trasporti aerei nell'UE, in modo da poterle applicare quanto prima. Oltre che a mantenere la competitività del settore, tali tecnologie dovrebbero contribuire alla realizzazione delle priorità strategiche ambientali e sociali dell'Europa, garantendo nel contempo una crescita economica sostenibile. |
3. Contesto e considerazioni generali
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3.1. |
Il programma in esame è giustificato e reso necessario dal previsto raddoppio del traffico aereo nei prossimi vent'anni e dall'importanza essenziale di definire un sistema di trasporto ecocompatibile (per quanto riguarda sia i passeggeri che le merci) per assicurare la crescita economica e sociale dell'Europa. |
|
3.2. |
La scelta di intervenire a livello europeo appare pertinente in quanto le parti interessate a livello degli Stati membri non dispongono della massa critica ottimale in termini di risorse economiche e di know-how scientifico. |
|
3.3. |
La partecipazione diretta degli Stati membri costituisce un elemento chiave, sia per la mobilitazione dei finanziamenti necessari sia perché numerose decisioni continueranno ad essere comunque adottate a livello nazionale, tanto per gli inviti a partecipare ai programmi quanto per il controllo permanente di tutte le fasi dei programmi o della valutazione dei risultati. |
|
3.4. |
Il settore aeronautico dovrà presto cimentarsi con sfide difficili, come ad esempio l'impatto ambientale, che potrebbe costituire un freno per il suo sviluppo. |
|
3.5. |
La riduzione dell'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici e la diminuzione del rumore rappresentano priorità assolute, che nel prossimo futuro esigono vere e proprie trasformazioni tecnologiche per poter effettuare le riduzioni previste dalle norme comunitarie [la piattaforma tecnologica europea per l'aeronautica — ACARE — ha fissato nel proprio programma strategico l'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 50 %, le emissioni di NOx (ossidi di azoto) dell'80 % e l'inquinamento acustico del 50 % entro il 2020]. |
|
3.6. |
L'industria aeronautica europea, che oggi dà lavoro a tre milioni di persone in Europa, è inoltre esposta a una feroce concorrenza a causa degli investimenti pubblici effettuati in altre aree geografiche, in particolare negli Stati Uniti, dove le risorse destinate alla ricerca sono tre volte superiori a quelle attualmente disponibili in Europa. |
|
3.7. |
Il contributo pubblico è peraltro utile in questo settore, caratterizzato da tempi lunghi di ritorno degli investimenti, che possono causare disfunzioni del mercato per l'assenza di investimenti nella R&S del settore aeronautico. |
|
3.8. |
La scelta dell'aeronautica e del trasporto aereo nel programma specifico «Cooperazione» (cfr. punto 4.3 qui di seguito) è motivata dall'ambizione di migliorare la salute e la qualità della vita delle generazioni presenti e future, riducendo al minimo l'impatto ambientale degli aeromobili, migliorando la qualità dell'aria a livello locale, diminuendo l'inquinamento acustico in prossimità degli aeroporti e offrendo ai passeggeri migliori condizioni di trasporto. |
4. La proposta della Commissione
|
4.1. |
La proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'impresa comune «Clean Sky» (COM(2007) 315 def.) fa capo alle disposizioni del 7o programma quadro (7PQ), oggetto della decisione n. 1982/2006/CE, la quale prevede un contributo comunitario per la costituzione di partenariati pubblico-privato a lungo termine su scala europea nel settore della ricerca. |
|
4.2. |
Tali partenariati, che si configurano come «iniziative tecnologiche congiunte» (ITC), derivano dalle vecchie «piattaforme tecnologiche europee» (PTE). |
|
4.3. |
Il Consiglio, nella decisione 2006/971/CE concernente il programma specifico «Cooperazione», ha sottolineato la necessità di istituire partenariati pubblico-privato e ha individuato i seguenti sei settori in cui la creazione di iniziative tecnologiche congiunte è atta a rilanciare la ricerca europea:
|
|
4.4. |
Nel contesto di questa strategia generale, il regolamento oggetto della proposta in esame (COM(2007) 315 def.) prevede l'attuazione dell'Iniziativa tecnologica congiunta (ITC) relativa all'aeronautica e al trasporto aereo tramite la creazione di un'impresa comune denominata «Clean Sky». |
|
4.5. |
Gli obiettivi dell'impresa comune «Clean Sky», esposti in modo chiaro e dettagliato all'articolo 3 dello statuto dell'impresa allegato al regolamento in esame, coprono un campo d'attività vasto e ambizioso. Essi sono riassunti all'articolo 3 del regolamento tesso:
|
|
4.5.1. |
«Clean Sky» garantisce così l'integrazione e il coordinamento tra le diverse attività di ricerca sfruttando le economie di scala. L'iniziativa si articolerà intorno a sei diversi settori tecnici diversi, denominati «dimostratori tecnologici integrati» (DTI), ovvero:
Gli obiettivi tecnologici di ciascun DTI sono già stati stabiliti. |
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4.6. |
L'impresa comune «Clean Sky» va considerata un organo internazionale dotato di personalità giuridica ai sensi dell'articolo 22 della direttiva 2004/17/CE e dell'articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/18/CE. Essa avrà sede a Bruxelles e le sue attività si concluderanno il 31 dicembre 2017, salvo proroga stabilita dal Consiglio. |
4.7. Base giuridica
|
4.7.1. |
La proposta consiste in un regolamento del Consiglio cui è allegato lo statuto dell'impresa comune. Essa si basa sull'articolo 171 del Trattato. L'impresa comune sarà un organismo comunitario con un bilancio disciplinato dall'articolo 185 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio. Bisognerà comunque tenere conto del fatto che questa iniziativa rientra per sua natura tra i partenariati pubblico-privato che beneficiano di un contributo del settore privato notevole e almeno pari a quello del settore pubblico. |
4.8. Membri
Sono membri fondatori dell'impresa comune Clean Sky:
|
— |
la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione, |
|
— |
12 responsabili di dimostratori tecnologici integrati (DTI) e fino a un massimo di 74 associati, in base alle norme di adesione di cui all'articolo 2 dello statuto allegato al regolamento in esame, |
|
— |
ogni soggetto pubblico o privato stabilito in uno Stato membro o in un paese associato al Settimo programma quadro può chiedere di aderire all'impresa comune Clean Sky a condizione che, in qualità di responsabile di DTI, si impegni a fornire un contributo proporzionale all'insieme delle attività dell'ITC e coerente con queste ultime, e che, in qualità di associato, si impegni a fornire un contributo proporzionale al bilancio del DTI a cui partecipa e coerente con le necessità di questo. |
4.9. Fonti di finanziamento
|
4.9.1. |
I costi di funzionamento dell'impresa comune Clean Sky sono equamente ripartiti, in contanti, fra la Comunità europea da un lato e i restanti membri dall'altro: ciascuna parte finanzia il 50 %. |
|
4.9.2. |
Il contributo massimo della Comunità all'impresa comune Clean Sky a copertura dei costi di funzionamento e delle attività di ricerca è pari a 800 milioni di euro, provenienti dallo stanziamento di bilancio assegnato al tema «Trasporti» del programma specifico «Cooperazione» che attua il Settimo programma quadro, conformemente a quanto disposto dall'articolo 54 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio. |
5. Osservazioni generali e specifiche
|
5.1. |
Il CESE approva la decisione relativa alla creazione dell'impresa comune «Clean Sky». Ritiene infatti che il rilancio degli investimenti in R&S sia un modo adeguato per fornire alle imprese europee un quadro di riferimento sicuro all'interno di un nuovo strumento che consenta di superare l'attuale frammentazione dei finanziamenti comunitari e impedisca la ripartizione scoordinata dei programmi, fattori — questi — che complicavano di molto la valutazione dei risultati raggiunti. |
|
5.2. |
L'iniziativa presentata è coerente con le politiche e gli obiettivi dell'Unione e conforme agli orientamenti definiti nel quadro della strategia di Lisbona, la quale sottolinea che la conoscenza e l'innovazione contribuiscono a stimolare la crescita e l'occupazione all'interno della Comunità. Essa integra le misure relative al sistema comunitario di scambio delle quote d'emissione e dovrebbe contribuire a far compiere progressi sostanziali nell'attuazione dell'agenda strategica di ricerca dell'ACARE nel settore ambientale. |
|
5.3. |
Per il Comitato, l'impresa comune «Clean Sky», fondata sul partenariato tra settore pubblico e privato, rappresenta — al pari delle altre ITC derivanti dal 7PQ — una solida base per la costituzione di uno Spazio europeo della ricerca nonché un contributo decisivo alla competitività delle imprese europee. |
|
5.4. |
Esprimendosi a favore della proposta in esame, il CESE desidera sottolineare innanzitutto l'importanza, per l'UE, della strategia proposta in materia di promozione degli investimenti e coordinamento della ricerca. |
|
5.5. |
Ciò nonostante, data la molteplicità dei finanziamenti e delle partecipazioni, e vista l'entità delle risorse comunitarie impegnate, sarebbe opportuno definire meglio l'utilizzo e l'attribuzione dei prodotti finali della ricerca. A questo fine andrebbe precisata ed esplicitata meglio la questione dei brevetti e della proprietà intellettuale rispetto alla definizione datane all'articolo 20 del regolamento, che si limita a sancire dei principi, in quanto rischia di diventare uno dei punti più delicati dell'attuazione e del funzionamento dell'ITC «Clean Sky». |
|
5.6. |
Tuttavia, per realizzare gli obiettivi e sfruttare al massimo tutte le potenzialità di questo nuovo dispositivo, il CESE ritiene necessario:
|
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) CESE 1184/2007 fin (INT/363).
(2) CESE 1185/2007 fin (INT/364).
(3) CESE 1199/2007 fin (INT/370).
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/22 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla costituzione dell'«impresa comune ENIAC»
COM(2007) 356 def. — 2007/0122 (CNS)
(2008/C 44/05)
Il Consiglio, in data 10 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2007, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.
Considerata l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha nominato Gérard DANTIN relatore generale e adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli e 1 astensione.
1. Conclusioni e raccomandazioni
|
1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo approva la decisione relativa alla costituzione dell'impresa comune ENIAC (1). |
|
1.1.1. |
Esso ritiene infatti che tale iniziativa, rilanciando gli investimenti nell'R&S con un finanziamento pubblico-privato, fornirà alle imprese un quadro di riferimento sicuro. Ciò consentirà di superare l'attuale frammentazione del finanziamento comunitario e di coordinare delle ricerche troppo spesso intraprese in maniera non organica favorendone così l'efficacia. |
|
1.2. |
Inoltre, il Comitato si compiace che il settore scelto per l'iniziativa sia quello delle nanotecnologie: infatti, con il suo sviluppo, nonché con il suo carattere tecnicamente innovativo, ricco di potenzialità per il futuro e di posti di lavoro altamente qualificati, tale settore contribuirà direttamente alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona (competitività) e di Barcellona (percentuale del PIL destinata alla ricerca), come anche ad altri ambiti di intervento delle politiche comunitarie, quali l'ambiente, i trasporti, l'energia e la sanità. |
|
1.3. |
Nell'esprimere parere favorevole al regolamento in esame, il CESE tiene a sottolineare anzitutto l'importanza che la strategia proposta in materia di investimenti e di coordinamento della ricerca presenta per l'UE. Ritiene pertanto che tale strategia dia un impulso positivo alla creazione di uno spazio europeo della ricerca e un contributo significativo alla competitività delle imprese europee del settore. |
|
1.4. |
Poiché, con questo nuovo strumento associativo, l'utilizzo e l'industrializzazione dei risultati della ricerca avviata dall'impresa comune possono rivelarsi complessi, il CESE si compiace dell'attenzione dedicata dalla proposta alle regole in materia di proprietà intellettuale. |
|
1.5. |
Il Comitato si compiace inoltre per l'attenzione del tutto particolare prestata al rischio di delocalizzazione in altre parti del mondo della produzione nanoelettronica. Esso appoggia l'idea di un approccio settoriale specializzato. |
|
1.6. |
Infine, per massimizzare le potenzialità di questo nuovo strumento, il Comitato ritiene necessari:
|
2. Introduzione
|
2.1. |
La proposta di regolamento in esame, che mira a lanciare uno dei primissimi partenariati europei pubblico-privato nel settore dell'R&S, definisce una delle due prime iniziative tecnologiche congiunte (ITC). Tale partenariato, denominato «impresa comune ENIAC», riguarda il settore delle nanotecnologie. |
|
2.2. |
L'obiettivo delle ITC è in generale quello di consentire all'industria, agli Stati membri e alla Commissione di mettere in comune, in tutto o in parte, le rispettive risorse in favore di programmi di ricerca mirati. |
|
2.3. |
Contrariamente all'approccio tradizionale, consistente nel destinare ai progetti finanziamenti pubblici concessi caso per caso, le ITC riguardano programmi di ricerca su vasta scala con obiettivi strategici di ricerca comuni. Questo nuovo approccio dovrebbe generare una massa critica per la ricerca e l'innovazione europee, consolidare la comunità scientifica nei principali settori strategici e armonizzare il finanziamento dei progetti affinché i risultati della ricerca possano essere sfruttati più rapidamente. Le ITC riguardano settori determinanti in cui gli strumenti attuali non hanno né l'entità né la velocità necessarie affinché l'Europa possa mantenere o conquistare una posizione di vantaggio nella concorrenza mondiale. Si tratta di settori in cui un finanziamento nazionale, europeo e privato della ricerca può apportare un valore aggiunto considerevole, segnatamente incoraggiando l'aumento delle spese private per la ricerca e lo sviluppo. |
|
2.4. |
Per il settore della nanoelettronica, l'ITC denominata «impresa comune ENIAC» ha l'obiettivo generale di contribuire allo sviluppo delle competenze essenziali per il settore e rafforzare così la competitività dell'Europa. La proposta in esame fornisce il quadro giuridico necessario per costituire tale impresa comune. |
3. Contesto e considerazioni di carattere generale
|
3.1. |
Il costante aumento del tasso di componenti elettroniche nei prodotti innovativi ad alta tecnologia fa delle nanotecnologie uno dei settori strategici per la competitività e la crescita industriale in Europa. |
|
3.2. |
Le applicazioni delle nanotecnologie sono indispensabili per le principali attività industriali, al servizio dei settori più svariati: le telecomunicazioni, i prodotti di consumo, i servizi multimediali, l'istruzione, i trasporti, la sanità, la sicurezza e l'ambiente, ecc. |
|
3.3. |
Secondo le previsioni, il mercato costituito dalla filiera industriale della nanotecnologia (che, oltre ai produttori diretti, comprende anche i fornitori di strumenti di produzione e di materiali) dovrebbe far registrare un tasso di crescita medio annuo del 15 % circa. Per sostenere un tasso di crescita così elevato occorre prestare a questo settore tutta l'attenzione necessaria. |
|
3.4. |
Un'iniziativa di scala comunitaria deve quindi mirare a mantenere e rafforzare la leadership mondiale dell'Europa nei settori interessati, grazie a programmi di R&S che consentano di raggiungere gli obiettivi necessari in materia di sfruttamento industriale. A tal fine occorre perseguire obiettivi tecnologici più ambiziosi, mirare a una sempre maggiore competitività e creare nuovi posti di lavoro che richiedano elevate competenze professionali e qualifiche di alto livello. |
|
3.5. |
La scelta di un'impresa comune pubblico-privata dovrebbe permettere alla R&S del settore di effettuare un salto di qualità. Ciò appare essenziale per superare l'attuale frammentazione dei programmi di ricerca in vigore nei vari Stati membri, che non possono raggiungere la massa critica e disporre delle risorse necessarie per finanziare dei programmi appropriati. |
|
3.6. |
Conferire una dimensione europea alla ricerca nel campo delle nanotecnologie sembra allora una scelta obbligata, in quanto è la sola possibile per affrontare le difficili sfide con cui il settore deve cimentarsi. |
|
3.7. |
Inoltre, riaffermando la dimensione comunitaria si dovrebbe poter realizzare una semplificazione burocratica e amministrativa volta a rimpiazzare le diverse procedure nazionali vigenti con una comunitaria unica e a ridurre i termini per l'aggiudicazione di un contratto di R&S oggi applicati a livello comunitario (cfr. Eureka), evitando altresì procedure di valutazione e di controllo diverse. |
|
3.8. |
La costituzione di un'impresa pubblico-privata che coinvolge direttamente gli Stati membri e le imprese dei settori interessati rappresenta un'innovazione rispetto alle procedure di partecipazione attualmente previste dai programmi comunitari di R&S. Inoltre, le notevoli risorse finanziarie che verrebbero allocate all'iniziativa a livello comunitario consentiranno di raggiungere la massa critica economica indispensabile per conseguire gli ambiziosi obiettivi che l'impresa si prefigge. |
|
3.9. |
La presenza degli Stati membri e delle imprese, nonché il loro diretto coinvolgimento mediante un contributo finanziario pari ad almeno il 50 % dei costi legati alla ricerca, produrranno un effetto moltiplicatore, attraendo nuovi finanziamenti e recando un forte contributo allo sviluppo dello spazio europeo della ricerca. |
|
3.10. |
La partecipazione diretta degli Stati membri è un elemento indispensabile per la mobilitazione degli investimenti, ma anche e soprattutto perché le decisioni continueranno a essere prese a livello nazionale, in particolare per quanto concerne gli inviti a presentare proposte e il controllo diretto permanente di tutte le fasi del processo. |
|
3.11. |
Un altro elemento indispensabile è la partecipazione diretta delle imprese del settore, in quanto i risultati di questo ambizioso programma di R&S possono contribuire a realizzare obiettivi importanti e pertinenti in termini di competitività per le imprese e, di conseguenza, avere ripercussioni positive sull'occupazione nel settore. |
4. Coerenza
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4.1. |
Il punto di riferimento per i programmi di ricerca è il Settimo programma quadro (7PQ). Questo muove dalla profonda consapevolezza che, se si vuole un'economia competitiva e dinamica, è indispensabile rilanciare gli investimenti in R&S. |
|
4.2. |
La costituzione dell'impresa comune ENIAC contribuirà direttamente alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona (competitività) e di Barcellona (spesa destinata alla ricerca) e, indirettamente, ad altri ambiti di intervento delle politiche comunitarie quali l'ambiente, i trasporti, l'energia e la sanità. |
|
4.3. |
Il principale quadro di riferimento dell'ITC ENIAC in tema di politiche comunitarie è costituito dall'azione europea Nanoscienze e nanotecnologie: Un piano d'azione per l'Europa 2005-2009 (COM(2005) 243 def.) e dai lavori del Comitato scientifico sui rischi sanitari emergenti e recentemente identificati (Scenhir). |
5. La proposta della Commissione
|
5.1. |
La decisione relativa alla costituzione dell'impresa comune ENIAC, oggetto del documento COM(2007) 356 def., fa capo alla decisione n. 1982/2006/CE sul Settimo programma quadro, che prevede un contributo comunitario per la costituzione di partenariati pubblico-privato a lungo termine su scala europea nel settore della ricerca scientifica. |
|
5.2. |
Tali partenariati, che si configurano come ITC, derivano dalle vecchie «piattaforme tecnologiche europee» (PTE). |
|
5.3. |
Nella decisione 2006/971/CE concernente il programma specifico «Cooperazione» (2), la Commissione ha sottolineato la necessità di istituire partenariati pubblico-privato e individuato i seguenti sei settori in cui la creazione di ITC è atta a rilanciare la ricerca europea:
|
|
5.4. |
Nel contesto di questa strategia generale, la proposta di regolamento in esame (COM(2007) 356 def.) prevede la costituzione di un'impresa comune ENIAC nel settore della nanoelettronica. |
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5.5. |
L'impresa comune è considerata un organismo internazionale dotato di personalità giuridica ai sensi dell'articolo 22 della direttiva 2004/17/CE e dell'articolo 15 della direttiva 2004/18/CE. Essa avrà sede a Bruxelles e le sue attività si concluderanno il 31 dicembre 2017, salvo proroga decisa dal Consiglio. |
5.6. Base giuridica
La proposta in esame consiste in un regolamento del Consiglio al quale è allegato lo statuto dell'impresa comune, ed è basata sull'articolo 171 del Trattato CE. L'impresa comune sarà un organismo comunitario, con un bilancio disciplinato dall'articolo 185 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio; ciò detto, bisognerà tener conto che questa iniziativa rientra per sua natura tra i partenariati pubblico-privato che beneficiano di un contributo del settore privato notevole e pari a quello del settore pubblico.
5.7. Costituzione
I membri fondatori dell'ITC ENIAC sono la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione, ed Aeneas, un'associazione che rappresenta le imprese e altre organizzazioni di R&S. Nello statuto dell'ENIAC sono inoltre elencate le entità che potranno divenire membri dell'impresa comune in un secondo momento, in particolare i paesi terzi associati al 7PQ e qualsiasi altro soggetto giuridico in grado di apportare un contributo alla realizzazione degli obiettivi dell'ITC ENIAC.
5.8. Finanziamento
|
5.8.1. |
I costi di funzionamento dell'impresa comune, esposti in dettaglio all'articolo 4 del regolamento costitutivo, sono coperti dai seguenti contributi:
Le attività di R&S dell'impresa comune per il periodo che termina il 31 dicembre 2017 saranno coperte dai seguenti contributi:
|
|
5.8.2. |
Per il periodo che termina il 31 dicembre 2013 il contributo massimo della Commissione sarà pari a 450 milioni di EUR. Questi stanziamenti provengono dal programma specifico «Cooperazione» che attua il Settimo programma quadro per azioni di ricerca e sviluppo tecnologico, conformemente a quanto disposto dall'articolo 54, paragrafo 2, del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio. |
5.9. Gli obiettivi
Secondo la Commissione, la costituzione dell'impresa comune ENIAC mira a raggiungere i seguenti obiettivi:
|
— |
definire e attuare un'agenda di ricerca per lo sviluppo di competenze essenziali per la nanoelettronica in vari settori di applicazione, al fine di rafforzare la competitività e la sostenibilità delle imprese europee e permettere lo sviluppo di nuovi mercati, |
|
— |
sostenere le attività necessarie per l'attuazione dell'agenda di ricerca («attività R&S»), mediante la concessione di finanziamenti ai partecipanti dei progetti selezionati, |
|
— |
promuovere la costituzione di una partnership pubblico-privato volta a mobilitare e a riunire le attività comunitarie, nazionali e private e a promuovere la collaborazione tra i settori pubblico e privato, |
|
— |
garantire l'efficacia e la durevolezza dell'iniziativa tecnologica congiunta nel settore della nanoelettronica, |
|
— |
realizzare sinergie, nonché un coordinamento efficace delle attività europee di R&S, compresa la progressiva integrazione nell'impresa comune ENIAC delle attività correlate in questo campo, oggi attuate attraverso dispositivi intergovernativi di R&S (Eureka). |
6. Osservazioni generali e particolari
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6.1. |
Il CESE esprime parere favorevole alla decisione di costituire l'impresa comune ENIAC e alla relativa proposta di regolamento. Nell'esprimere tale parere favorevole, il CESE tiene a sottolineare anzitutto l'importanza, per l'UE, della strategia proposta in materia di investimenti e di coordinamento della ricerca. |
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6.2. |
Infatti, come già affermato nei pareri in merito ad altri regolamenti facenti capo alla decisione 2006/971/CE del Consiglio relativa al programma specifico «Cooperazione», il CESE ritiene che il rilancio degli investimenti in R&S sia uno strumento appropriato per fornire alle imprese un quadro di riferimento sicuro, che consenta di superare l'attuale frammentazione dei finanziamenti comunitari ed evitare una ripartizione scoordinata dei programmi. |
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6.3. |
L'iniziativa proposta è coerente con le politiche e gli obiettivi comunitari e conforme agli orientamenti definiti nel quadro della strategia di Lisbona, secondo cui la conoscenza e l'innovazione contribuiscono a stimolare la crescita e l'occupazione nell'UE. La nanotecnologia ha infatti assunto un ruolo determinante, rappresentando oggi un motore dell'innovazione in numerosi settori nevralgici e strategici per lo sviluppo e la crescita dell'UE (comunicazione mobile, trasporti, calcolo, automazione della produzione, sanità, ecc.). L'impresa comune ITC ENIAC che la Commissione propone di costituire può consentire all'Europa di mantenere, o persino di accrescere, la capacità di progettare e realizzare prodotti conformi alle proprie norme di qualità, sostenibilità e tutela ambientale. Essa può dare un impulso alla creazione di uno spazio europeo della ricerca e un contributo decisivo alla competitività delle imprese europee. |
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6.4 |
Il Comitato osserva con soddisfazione che nella «valutazione d'impatto» che accompagna la proposta di regolamento si presta un'attenzione del tutto particolare al rischio di delocalizzazione della produzione nanoelettronica verso altre parti del mondo. Ciò è importante in quanto tale produzione apporta un notevole valore aggiunto, sinonimo di crescita e di occupazione, e al tempo stesso genererà una parte del ritorno sull'investimento dei fondi che l'UE si propone di impegnare nello sviluppo di questo settore. In proposito il CESE appoggia l'idea di un approccio settoriale specializzato per sostenere questo comparto fondamentale. |
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6.5. |
Poiché, con questo nuovo strumento associativo, l'utilizzo e l'industrializzazione dei risultati della ricerca avviata dall'ITC ENIAC possono rivelarsi complessi, il CESE si compiace dello sforzo profuso per definire delle regole in materia di proprietà intellettuale, fissate nell'articolo 23 dello statuto dell'impresa comune. Inoltre, si compiace che il regolamento proposto prenda in seria attenzione le problematiche della sanità e della sicurezza in conformità al pertinente piano d'azione. |
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6.6. |
Per realizzare gli obiettivi di tale impresa e sfruttare al massimo tutte le potenzialità insite in questo nuovo dispositivo, il CESE ritiene necessari:
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Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) ENIAC sta per «European Nanoelectronic Initiative Advisory Council».
ENIAC (Electronic Numerical Integrator And Computer) era anche il nome del primo computer realizzato con componenti elettroniche (1945-1946).
(2) GU L 400 del 30.12.2006, pag. 1.
(3) INT/369.
(4) INT/363.
(5) INT/364.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/27 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda alcuni aspetti della multiproprietà, dei prodotti per le vacanze di lungo termine, della rivendita e dello scambio
COM(2007) 303 def. — 2007/0113 (COD)
(2008/C 44/06)
Il Consiglio, in data 28 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.
1. Sintesi del parere
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1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo, nel solco dei pareri sul Libro verde — Revisione dell'acquis relativo ai consumatori (1) e sulla comunicazione della Commissione relativa all'attuazione della direttiva in materia di contratti a distanza (2), sostiene l'iniziativa della Commissione di procedere a una revisione della direttiva 94/47/CE (3) del 26 ottobre 1994 nelle modalità in cui è proposta (4), con le osservazioni e le raccomandazioni che vengono espresse in questo documento. |
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1.2. |
Il Comitato concorda in generale sul piano della sostanza con la proposta della Commissione per quanto riguarda l'estensione del suo ambito di applicazione, la definizione e la tipizzazione dei nuovi prodotti, il rafforzamento degli obblighi di informazione precontrattuale e contrattuale e l'uniformazione del periodo di recesso e il divieto di qualsiasi pagamento, a qualsiasi titolo, durante questo periodo. |
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1.3. |
Pur concordando con il ravvicinamento minimo invocato nella proposta, che lascia agli Stati membri un margine d'intervento più ampio per tutelare i consumatori, in ossequio ai principi del Trattato, il Comitato ritiene che, per la natura sui generis del diritto in questione e per le profonde differenze esistenti tra gli Stati membri nella definizione e nella caratterizzazione della sua natura giuridica plurima, con conseguenze nettamente distinte nei vari regimi giuridici nazionali, specie con riferimento alla durata minima e massima, all'annullamento o alla nullità, alla risoluzione o rescissione dei contratti, se esiste un campo in cui un'armonizzazione massima sarebbe giustificata, nell'ottica della Commissione, come risulta dal Libro verde sull'acquis comunitario, sarebbe precisamente questo. |
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1.4. |
Il Comitato dissente quindi dalla Commissione quando essa, pur riconoscendo che la maggioranza dei problemi che nascono in questo settore è con frequenza di natura transfrontaliera e, di conseguenza, che la rispettiva soluzione non può essere trovata in modo adeguato dagli Stati membri singolarmente, date le disparità nelle legislazioni nazionali, alla fine definisce soltanto alcuni aspetti relativi a tali diritti, lasciando ancora una volta al libero arbitrio degli Stati membri un insieme di situazioni che modifica solo impercettibilmente lo stato attuale dei problemi elencati. |
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1.5. |
Pertanto il Comitato, nonostante sia d'accordo con l'adozione di un sistema di armonizzazione minima, ritiene, come anche altre istituzioni comunitarie (5), che il livello delle misure di tutela dei diritti dei consumatori sia troppo basso, dato che sicuramente l'esperienza dimostra che la grande maggioranza degli Stati membri non ha usufruito di tale clausola, adottando al contrario un approccio letterale (6), con la conseguenza che non si è raggiunto un livello adeguato di protezione dei consumatori. Per tale motivo sollecita la Commissione a disciplinare, nel rispetto del principio di sussidiarietà, altri aspetti altrettanto importanti della proposta di direttiva, partendo dal presupposto di un livello di tutela dei consumatori più elevato. |
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1.6. |
Di conseguenza il Comitato propone che vengano migliorate alcune disposizioni relative al regime giuridico dei diritti in questione, al contratto principale e al suo rapporto con i contratti complementari, in particolare quelli di credito non collegati, per rafforzare e garantire l'adeguata protezione dei consumatori. |
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1.7. |
Il Comitato sottolinea, come peraltro ha già fatto in pareri precedenti (7), la necessità di ampliare l'informazione effettiva delle parti contraenti, soprattutto per i contraenti meno avvertiti, e quindi ritiene che non debba essere esclusa a priori la possibilità per gli Stati membri di adottare sanzioni penali proporzionate e dissuasive per le pratiche che ledano gravemente i diritti previsti nella direttiva, sanzioni che dovranno essere debitamente caratterizzate nei loro elementi essenziali. |
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1.8. |
Il Comitato esorta la Commissione a procedere ad un'analisi dettagliata delle risposte ricevute al documento di consultazione (8) soprattutto in riferimento a quegli Stati membri consultati attraverso questo documento che non siano coperti dalla relazione (9) sull'applicazione della direttiva, la quale comprende solo 15 Stati membri. La Commissione dovrebbe inoltre esaminare l'analisi comparativa, che copre invece i 25 Stati membri (10), in modo da tenere conto delle disparità esistenti fra tutti gli Stati membri. |
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1.9. |
Il Comitato propone nello specifico una serie di modifiche (11) e avanza una serie di raccomandazioni volte a migliorare aspetti della proposta attinenti alla tecnica giuridica e a consolidare e rendere compatibili nozioni, concetti o pratiche già acquisite in altre direttive, in particolare nella direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali (12). Tutti questi elementi vanno tenuti in considerazione al fine di promuovere la sicurezza e la fiducia dei consumatori in questo tipo di contratti così spesso improntati a modelli aggressivi di marketing e di commercializzazione (13). |
2. Sintesi della proposta di direttiva
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2.1. |
L'obiettivo della proposta della Commissione è procedere alla revisione della direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 1994, concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili, in linea con le conclusioni del Consiglio del 13 aprile 2000 relative alla sua relazione sull'applicazione della summenzionata direttiva (14) e delle raccomandazioni del Parlamento europeo contenute nella sua risoluzione del 4 luglio 2002 (15). |
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2.2. |
La revisione di questa direttiva, peraltro già prevista nella comunicazione della Commissione sulla strategia della politica dei consumatori 2002-2006 (16), forma parte del cosiddetto acquis comunitario in materia di diritto dei consumatori, esposto nel corrispondente Libro verde (17). |
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2.3. |
Tenuto conto di certe situazioni difficili nell'applicazione della direttiva, la Commissione ritiene che, in seguito all'evoluzione di mercato in questo settore, vi sia stato un fenomeno significativo di creazione di nuovi prodotti che non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva, malgrado configurino di fatto l'uso di un alloggio per le vacanze. |
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2.4. |
La relazione della Commissione del 1999 sull'applicazione della direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (18) segnalava già numerose carenze nel recepimento; le conclusioni di tale relazione, adottate dal Consiglio nell'aprile 2000 (19), elencavano una serie di elementi da prendere in considerazione al momento della revisione della direttiva. |
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2.5. |
Anche il parere della commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la politica dei consumatori del PE elaborato nel 2001 (20), sottolineava «l'istituzione di un livello minimo accettabile delle misure di tutela dei consumatori» da parte della direttiva. |
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2.6. |
Da parte sua il Parlamento europeo nella risoluzione del 4 luglio 2002 raccomandava alla Commissione di adottare misure per garantire un elevato livello di difesa dei consumatori. |
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2.7. |
Per tali motivi la Commissione considera urgente la revisione isolata della presente direttiva, ritenendo che essa costituisca addirittura una priorità in ragione dei problemi incontrati dai consumatori, in particolare per quanto riguarda la rivendita e i nuovi prodotti, commercializzati in modo simile e che sono in generale simili, dal punto di vista economico, al godimento a tempo parziale di beni immobili (multiproprietà), come per esempio i club vacanze scontati e i contratti di rivendita. |
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2.8. |
La Commissione mette in evidenza, tra le cause principali che giustificano la presente proposta di revisione, la necessità di aggiornare i requisiti relativi all'informazione precontrattuale e contrattuale, di uniformare il regime del divieto dei depositi o dei pagamenti nel periodo di recesso, di armonizzare il periodo di recesso e di considerare la possibilità di introduzione di sanzioni penali. |
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2.9. |
Le principali parti interessate sono state consultate nel corso di riunioni svoltesi tra il 2004 e il 2006. |
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2.10. |
Dopo aver ricevuto reclami riguardanti le multiproprietà, con particolare riferimento a nuovi prodotti come i club vacanze, i contratti turistici scontati e i contratti di scambio e rivendita la Commissione ha pubblicato un documento di consultazione (21). Tali questioni sono state inoltre discusse dal gruppo di lavoro permanente di esperti degli Stati membri sulla revisione dell'acquis, riunitosi nel marzo 2006. |
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2.11. |
La proposta di revisione è inclusa nel programma della Commissione per l'aggiornamento e la semplificazione dell'acquis comunitario (22). |
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2.12. |
Secondo la Commissione la base giuridica della proposta va limitata all'articolo 95 del Trattato (completamento del mercato interno). Inoltre, essa considera che, in virtù del principio di sussidiarietà, non le competa pronunciarsi sulla natura giuridica dei diritti di multiproprietà, e che la questione vada affrontata nel rispetto delle diverse prospettive esistenti negli Stati membri. |
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2.13. |
D'altro canto, la Commissione, ponendo l'accento sugli aspetti transfrontalieri e considerando persino che la maggioranza dei reclami è di natura transfrontaliera, orienta la sua proposta nel senso di trattare «soltanto alcuni degli aspetti, quelli ritenuti più problematici e pertanto bisognosi di un intervento comunitario», lasciando tutti gli altri alle rispettive legislazioni nazionali. Essa ha anche eliminato tutto ciò che si riferisce ai diritti di rescissione e di risoluzione dei contratti, i quali venivano disciplinati nella direttiva 94/47/CE, anche nel caso in cui siano collegati al diritto di recesso. |
3. Principali osservazioni sulla proposta
3.1. Osservazioni generali
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3.1.1. |
Il Comitato giudica positivamente l'iniziativa della Commissione, ma ne rileva il ritardo, considerando che i problemi erano già stati diagnosticati nel 1999 e che quindi le soluzioni corrispondenti avrebbero potuto essere trovate da tempo. |
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3.1.2. |
Il Comitato ricorda peraltro che già nel proprio parere del 24 febbraio 1993 (23), elaborato durante la fase di elaborazione della direttiva, aveva messo in luce alcune delle questioni che vengono ora denunciate. |
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3.1.3. |
Il Comitato ritiene che la base giuridica non debba essere l'art. 95 del Trattato, bensì l'art. 153, dato che la materia non è pertinente esclusivamente al mercato unico, ma interessa anche la politica di tutela dei consumatori. |
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3.1.4. |
Il Comitato approva l'estensione dell'ambito di applicazione della proposta a determinati beni mobili, in modo da reagire adeguatamente all'evoluzione costante del mercato. |
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3.1.5. |
Esso concorda con le modifiche introdotte nelle definizioni (24) della proposta in oggetto, perché risultano più adeguate ai nuovi prodotti commercializzati in questo settore. |
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3.1.6. |
Il Comitato non solo è d'accordo con il mantenimento del divieto di qualsiasi pagamento o tipo di deposito, in quanto tale divieto è un modo efficace di permettere al consumatore l'esercizio del diritto di recesso senza alcuna pressione dal punto di vista economico, ma considera anche che l'estensione della norma ai terzi comprenda opportunamente i contratti di scambio e rivendita. |
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3.1.7. |
Il Comitato approva il prolungamento del periodo di riflessione a 14 giorni, grazie al quale si uniforma tale termine, anche se avrebbe preferito che il termine summenzionato fosse calcolato in giorni lavorativi e non in giorni di calendario, come già affermato in precedenti pareri (25). È importante ricordare che il Consiglio, all'atto di approvare la direttiva 97/7/CE aveva emesso una dichiarazione, invitando la Commissione a studiare la possibilità di armonizzare i metodi di calcolo per il termine di riflessione esistenti nelle direttive di tutela dei consumatori. |
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3.1.8. |
Come già affermato in precedenti pareri (26), e fermo restando il disposto dell'art. 1, par. 3, della proposta di direttiva, il Comitato ritiene indispensabile che la Commissione proceda a una tipizzazione più precisa della natura, dei vizi e degli effetti dei diritti di recesso, rescissione e risoluzione. In caso contrario non si conseguirà il ravvicinamento auspicato delle legislazioni, poiché ogni Stato membro adotterà le proprie regole, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta per lo sviluppo delle relazioni transfrontaliere. |
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3.1.9. |
Il Comitato ritiene che, poiché tale direttiva ha per obiettivo il ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative a questo tipo di diritti, contrariamente a quanto affermato al considerando 4 della proposta e nonostante le differenze esistenti nei vari paesi, la Commissione dovrebbe fare di più, definendo la natura giuridica (27) di tali diritti, siano essi configurati come diritti reali o diritti di credito. In caso contrario, la proposta in oggetto non contribuirà alla soluzione dei problemi individuati nella definizione dei requisiti essenziali per il godimento del diritto e, in particolare, nel caso si configuri come un diritto reale, delle relative conseguenze sul piano della registrazione. |
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3.1.9.1. |
Il Comitato fa appello così alla Commissione perché stabilisca una definizione della natura giuridica del diritto di multiproprietà, sia questo configurato come diritto reale o come diritto personale che ha natura di obbligazione — diritto a una prestazione di servizi -, con le relative conseguenze per le norme applicabili del regolamento di Bruxelles e del regolamento di Roma I. In caso contrario non si arriverebbe ad ottenere l'auspicata armonizzazione e la fiducia dei consumatori e delle imprese. Peraltro, il Comitato, nel parere summenzionato (28), ha già dato un contributo a questa definizione nell'affermare che il contratto di multiproprietà è un diritto reale o personale e in nessun caso un rapporto di locazione, in quanto nella locazione non vi è alienazione. Il diritto trasferito cade su una parte indivisa di una cosa, come un appartamento non diviso, e assume o può assumere la natura di un diritto reale relativo a un immobile. |
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3.1.10. |
Senza pregiudicare la necessaria configurazione giuridica di questo diritto, eventualmente con caratteristiche sui generis e magari proprio per questo, il Comitato concorda con l'individuazione effettuata dalla stessa proposta di direttiva di alcuni suoi elementi strutturanti, vale a dire il fatto che essa copre, avendo per oggetto beni immobili o mobili, il diritto di uso e fruizione di un alloggio (il che implica un soggiorno o un pernottamento) con una contropartita per una durata minima di un anno. |
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3.1.11. |
Nondimeno, il Comitato chiede alla Commissione che, oltre ai prodotti già elencati nell'articolo 2 della proposta, stabilisca una disposizione (con la necessaria definizione degli elementi strutturanti) che possa adattarsi ad eventuali prodotti (29) commercializzati in futuro dopo l'entrata in vigore della direttiva e relativamente ai quali si verifichi l'impossibilità di rispettare i requisiti derivanti dalle definizioni dei nuovi prodotti. |
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3.1.12. |
Il Comitato ritiene che la possibilità che il consumatore effettui un rimborso o paghi una certa somma, nel caso abbia esercitato a tempo il diritto di recesso, configura uno svuotamento evidente di tale diritto, il quale è caratterizzato dal fatto che il consumatore per esercitarlo non deve indicare un motivo o pagare una somma, ragion per cui i paragrafi 5 e 6 dell'articolo 5 della proposta devono essere eliminati. |
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3.1.13. |
Il Comitato richiama l'attenzione della Commissione sul riferimento alla direttiva adottata di recente sulle pratiche commerciali sleali (30), con cui concorda. Fa però notare che negli articoli 14 e 15 di tale direttiva non si fa riferimento alla direttiva in vigore, né tale riferimento è previsto nella proposta di direttiva in esame. |
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3.1.14. |
Il Comitato, nonostante approvi l'armonizzazione minima, ritiene che la proposta di direttiva sia più restrittiva di quella in vigore nella misura in cui, pur stabilendo la possibilità per gli Stati membri di adottare maggiori misure di tutela dei diritti dei consumatori, lo fa solo per quanto riguarda il diritto di recesso (momento, modalità ed esercizio), mentre la direttiva in vigore, segnatamente il suo articolo 11 (31), fissa tale possibilità in modo più ampio. Il Comitato invita quindi la Commissione a mantenere una norma analoga. |
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3.1.15. |
Il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe prevedere un regime di sanzioni efficace, avente non solo l'obiettivo di dissuadere dalle pratiche che violano gli obblighi previsti nella direttiva, ma anche basato su ragioni di certezza e sicurezza giuridica (32). Il Comitato sostiene la possibilità che gli Stati membri, e non la Commissione, introducano, nel quadro preliminarmente definito dalla Commissione (33), sanzioni penali proporzionate ma sufficientemente dissuasive delle pratiche di infrazione, quando siano particolarmente gravi. |
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3.1.16. |
Il Comitato è d'accordo con l'inclusione di una disposizione relativa alla revisione periodica della direttiva, la quale ne eviterà la rapida obsolescenza. |
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3.1.17. |
Sebbene siano state intentate azioni contro alcuni Stati membri (34) per non aver recepito correttamente alcune disposizioni della direttiva, il Comitato si meraviglia dell'inerzia della Commissione, soprattutto per quanto riguarda il mancato rispetto della scadenza per il recepimento (30 aprile 1997), dato che solo due Stati membri (35) hanno rispettato tale termine. Il Comitato esorta quindi la Commissione ad essere meno tollerante, in riferimento alla nuova direttiva, di fronte a violazioni tanto flagranti nell'attuazione del diritto comunitario. |
3.2. Osservazioni particolari
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3.2.1. |
Il Comitato ritiene che la definizione di cui all'art. 2, par. 1, lettera g), collegata al disposto dell'articolo 7, sia troppo restrittiva in quanto l'elemento che caratterizza l'accessorietà del contratto è la relazione di complementarità tra i contratti. Ebbene, è proprio la relazione di complementarità e non tanto quella di subordinazione che va considerata, dato che, in particolare nella generalità dei contratti di credito collegati, si tratta di unioni estrinseche di contratti che per la loro natura giuridica si presentano come giuridicamente autonomi tra loro e come tali incompatibili con la definizione proposta. |
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3.2.2. |
Il Comitato dissente dalla formulazione dell'articolo 3, paragrafo 2, soprattutto per quanto concerne le informazioni scritte che saranno fornite al consumatore solo se questi si mostrerà «interessato» a riceverle e solo «se applicabili». Ebbene, tenendo conto che tale articolo riguarda l'informazione precontrattuale, sulla cui base il consumatore forma la sua volontà di stipulare il contratto, il Comitato reputa che tali informazioni debbano essere fornite obbligatoriamente ed esorta la Commissione a prevedere una norma in tal senso. |
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3.2.3. |
Il Comitato fa appello alla Commissione perché sostituisca l'articolo 3, paragrafo 4, e l'articolo 4, paragrafo 1, e le lettere l) dell'Allegato I, f) dell'Allegato III, e d) dell'Allegato IV, con una disposizione analoga a quella dell'articolo 4 dell'attuale direttiva (36), che offre maggiore tutela non solo per quanto riguarda l'obbligatorietà di fornire le informazioni nella lingua della nazionalità del consumatore, ma anche perché prevede la traduzione conforme nella lingua dello Stato membro in cui si trova il bene, soprattutto per questioni connesse con eventuali formalità di registrazione. |
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3.2.3.1. |
In effetti, il Comitato prevede l'adozione generalizzata da parte degli operatori del settore di proposte — contratti di adesione — in cui il consumatore si limita a dichiarare che quella è la lingua scelta, senza nessuna libertà di decidere o negoziare, con potenziali gravi pregiudizi per i suoi interessi economici. |
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3.2.4. |
Il Comitato esorta la Commissione a modificare la redazione dell'articolo 4, paragrafo 2, in particolare eliminando l'espressione «se non con l'accordo esplicito delle parti», dato che si tratta di informazioni sostanziali, le quali non possono essere soggette all'autonomia contrattuale delle parti. La pratica ha dimostrato che mantenere tale espressione indurrà gli operatori del settore a proporre unilateralmente contratti di adesione in cui il ruolo del consumatore consiste solo nell'accettare. |
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3.2.4.1. |
Il Comitato reputa poi che la Commissione, per ragioni di certezza e sicurezza giuridica, debba chiarire ed esemplificare le circostanze indipendenti dalla volontà dell'operatore che formano parte integrante del contratto, nei termini dell'articolo 4, paragrafo 2. |
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3.2.4.2. |
Sempre a proposito dello stesso articolo, il Comitato esorta la Commissione a stabilire il modo di comunicazione di tali informazioni, che dovranno essere fornite in forma appropriata, obiettiva e chiara (37), ed essere scritte con caratteri di dimensioni tali da renderne agevole la lettura (38). |
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3.2.5. |
Il Comitato propone che la Commissione chiarifichi l'espressione «l'operatore deve attirare esplicitamente l'attenzione», di cui all'articolo 4, paragrafo 3, poiché il suo significato tecnico-giuridico non è chiaro. |
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3.2.6. |
Poiché alla lettura risulta che l'articolo 5, paragrafo 1, prevede due termini per l'esercizio del diritto di recesso, il Comitato esorta la Commissione a stabilire una disposizione che preveda una sola possibilità per il consumatore di beneficiare di un diritto di recesso entro 14 giorni dalla firma del contratto definitivo, se questo è stato preceduto da un contratto preliminare vincolante e purché il bene non sia stato utilizzato nel frattempo. |
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3.2.7. |
Il Comitato, come ha già fatto in precedenti pareri, chiede alla Commissione di definire la natura della comunicazione dell'esercizio del diritto di recesso, in modo da garantire alle parti la prova di tale recesso. Peraltro, la redazione dell'attuale direttiva è più appropriata sotto questo profilo (39). |
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3.2.8. |
Il Comitato ritiene che il titolo dell'art. 8 dovrebbe essere sostituito con «Carattere ingiuntivo dei diritti», dato che la ratio legis non consiste nello stabilire l'imperatività della direttiva, ma piuttosto nel vietare che quei diritti siano esclusi o limitati, indipendentemente dalla legislazione applicabile. |
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3.2.9. |
Il Comitato giudica più adeguate le disposizioni di cui alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali (40) relative alle azioni di carattere giudiziario e amministrativo di cui agli articoli 11 e 12, in quanto sono più ampie e complete. Esorta pertanto la Commissione a sostituire l'articolo 9 della presente proposta con norme analoghe a quelle summenzionate. |
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3.2.10. |
Il Comitato richiama l'attenzione della Commissione sulla redazione delle versioni linguistiche della sua proposta, in quanto vi sono casi in cui il testo dovrà essere oggetto di una traduzione più accurata (41). |
4. Questioni non affrontate
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4.1. |
Secondo il Comitato, oltre alle omissioni succitate, esistono altre questioni che meritano un'eventuale nuova valutazione in una revisione della direttiva e che non sono state definite nella proposta. Si tratta in particolare delle seguenti:
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Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) GU C 256 del 27.10.2007 (relatore: ADAMS).
(2) GU C 175 del 27.7.2007 (relatore: PEGADO LIZ).
(3) Direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 1994, concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili, GU L 280 del 29.10.1994, pag. 83. Parere CESE: GU C 108 del 19.4.1993, pag. 1.
(4) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda alcuni aspetti della multiproprietà, dei prodotti per le vacanze di lungo termine, della rivendita e dello scambio (COM(2007) 303 def. del 7.6.2007).
(5) Relazione del 1999 sull'applicazione della direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, SEC(1999) 1795 def. e relazione del Parlamento europeo del 2002 in RR\470922IT.doc, PE 298.410.
(6) Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Svezia, Germania e Austria.
(7) Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo relativa all'attuazione della direttiva 1997/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, GU C 175 del 27.7.2007.
(8) Consultation Paper Review of the Timeshare Directive, disponibile al seguente indirizzo Internet:
ec.europa.eu/consumers/cons_int/safe_shop/timeshare/consultation_paper 010606_en.doc
(9) Relazione del 1999 sull'applicazione della direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, SEC(1999) 1795 def. e relazione del Parlamento europeo del 2002 in RR\470922IT.doc, PE 298.410.
(10) H. Schulte-Noke, A. Borge, S. Fischer, «Comparative Analysis D. Timeshare Directive» (94/47), in Consumer Law Compendium.
(11) In particolare all'articolo 2, paragrafo 1, lettera g), articolo 3, paragrafi 2 e 4, articolo 4, paragrafi 1, 2 e 3, articolo 5, paragrafi 1 e 5, articolo 6, paragrafi 8 e 9 e le lettere l) dell'Allegato I, f) dell'Allegato III e d) dell'Allegato IV.
(12) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (direttiva sulle pratiche commerciali sleali), GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22. Parere CESE: GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81.
(13) Come del resto si affermava sia nel parere CES in merito alla proposta di direttiva del Consiglio concernente la tutela dell'acquirente nei contratti relativi al godimento turnario dei beni immobili, relatore: ATAIDE FERREIRA, GU C 108 del 19.4.1993, pag. 1, sia nel parere CES sul piano di azioni comunitarie a favore del turismo, relatore: CUNHA, correlatore: FRANDI, GU C 49 del 24.2.1992.
(14) SEC(1999) 1795 def.
(15) Risoluzione del Parlamento europeo sul seguito della politica comunitaria relativa alla tutela dell'acquirente di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili (direttiva 94/47/CE), doc. P5_TA(2002)0369, GU C 271 E del 12.11.2003, pag. 578.
(16) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia della politica dei consumatori 2002-2006 (COM(2002) 208 def.), GU C 137 dell'8.6.2002, pag. 2. Parere CESE: GU C 95 del 23.4.2003, pag. 1.
(17) COM(2006) 744 def. Parere CESE: GU C 256 del 27.10.2007.
(18) SEC(1999) 1795 def.
(19) Consiglio Consumatori, Lussemburgo, 13 aprile 2000.
(20) PE 298.410 — RR\470922IT.doc.
(21) Consultation Paper Review of the Timeshare Directive, disponibile al seguente indirizzo Internet:
ec.europa.eu/consumers/cons_int/safe_shop/timeshare/consultation_paper 010606_en.doc
(22) COM(2006) 629 def.
(23) GU C 108 del 19.4.1993, pag. 1.
(24) Modifica del termine «acquirente» in «consumatore».
(25) GU C 175 del 27.7.2007, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (relatore: PEGADO LIZ).
(26) Id.
(27) Sentenza della Suprema corte di giustizia portoghese del 4.3.2004
(28) Parere CES in merito alla direttiva 94/47/CE, relatore: ATAIDE FERREIRA, GU C 108 del 19.4.1993, pag. 1.
(29) Analogamente a quanto dispone la legge portoghese (articolo 45, paragrafo 3, del DL 180/99 del 22.5.1999) in cui si legge: «i diritti di abitazione turistica cui si riferisce il paragrafo precedente includono segnatamente i diritti con natura di obbligazione costituiti nell'ambito di contratti relativi a tessere e club vacanze, tessere turistiche o altre di natura analoga».
(30) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22. Parere CESE: GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81.
(31) Cfr. l'articolo 11 della direttiva 94/47/CE: «La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli o più rigorose in materia di protezione dei consumatori nel settore da essa coperto, senza pregiudizio degli obblighi previsti dal Trattato».
(32) La relazione del 1999 sull'applicazione della direttiva 94/47/CE del Parlamento ha constatato l'esistenza delle più diverse sanzioni per la violazione dello stesso obbligo nei differenti Stati membri, da sanzioni pecuniarie alla nullità del contratto, all'aumento del termine di riflessione, alla sospensione dell'attività e alla relativa pubblicità, ecc.
(33) GU C 256 del 27.10.2007 e parere CESE 1248/2007, ambedue elaborati dal relatore RETUREAU, sulle misure penali in materia di diritti di proprietà intellettuale e ambiente.
(34) Spagna, Svezia, Lussemburgo e Irlanda.
(35) Regno Unito e Repubblica federale di Germania.
(36) In cui si legge:
«Gli Stati membri prevedono nella loro legislazione:
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— |
che il contratto, che deve obbligatoriamente essere stipulato per iscritto, contenga almeno gli elementi citati nell'allegato, |
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— |
che il contratto e il documento di cui all'art. 3, par. 1 debbano essere redatti nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui risiede l'acquirente oppure, a scelta di quest'ultimo, nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro di cui egli è cittadino, purché si tratti di una delle lingue ufficiali della Comunità. Tuttavia, lo Stato membro in cui risiede l'acquirente può imporre che il contratto sia in ogni caso redatto almeno nella sua lingua o nelle sue lingue, purché si tratti di una delle lingue ufficiali delle Comunità e — che il venditore debba fornire all'acquirente una traduzione conforme del contratto nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui è situato il bene immobile, purché si tratti di una delle lingue ufficiali della Comunità». |
(37) Come risulta, per es., dall'articolo 8 della legge portoghese di difesa del consumatore.
(38) Come si afferma, per esempio, nella sentenza della Corte d'appello di Lisbona del 3.5.2001.
(39) «che costituisca un mezzo di prova».
(40) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2005, GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22. Parere CESE GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81.
(41) Nella versione portoghese è il caso dell'articolo 2, lettera b), che non ha senso, dell'Allegato I, lettera j), che dice esattamente il contrario di quello che dovrebbe dire, e dell'articolo 7, paragrafo 1, in cui il termine dissolvido deve essere sostituito con resolvido per ovvie ragioni di tecnica legislativa, oltre che per coerenza con il titolo dell'articolo.
(42) Parere CESE già menzionato sulla direttiva 94/47/CE, GU C 108 del 19.4.1993, pag. 1.
(43) Direttiva 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso», GU L 158 del 23.6.1990, pag. 59. Parere CES: GU C 102 del 24.4.1989, pag. 27.
(44) Parere CESE già menzionato sulla direttiva 94/47/CE, GU C 108 del 19.4.1993, pag. 1.
(45) Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36. Parere CESE: GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 113.
(46) Parere CESE già menzionato sulla direttiva 94/47/CE, GU C 108 del 19.4.1993, pag. 1.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/33 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli strumenti per pesare a funzionamento non automatico (versione codificata)
COM(2007) 446 def. — 2007/0164 (COD)
(2008/C 44/07)
Il Consiglio, in data 5 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 153 voti favorevoli e 2 astensioni.
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/33 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi d'illuminazione della targa d'immatricolazione posteriore dei veicoli a motore e dei loro rimorchi (versione codificata)
COM(2007) 451 def. — 2007/0162 COD
(2008/C 44/08)
Il Consiglio, in data 5 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 144 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/34 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla soppressione dei disturbi radioelettrici (compatibilità elettromagnetica) provocati dai trattori agricoli o forestali a motore (versione codificata)
COM(2007) 462 def. — 2007/0166 (COD)
(2008/C 44/09)
Il Consiglio, in data 5 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 153 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/34 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Relazione sui progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti — Relazione sui progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti e di altri combustibili provenienti da fonti rinnovabili negli Stati membri dell'Unione europea
COM(2006) 845 def.
(2008/C 44/10)
La Commissione, in data del 10 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 13 voti contrari e 8 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
Il Comitato riserva la più grande attenzione ai temi legati all'efficienza energetica, al cambiamento climatico e alla riduzione dei gas ad effetto serra e condivide in generale le conclusioni del Consiglio europeo di primavera dell'8 e 9 marzo, dove sono stati ribaditi i tre pilastri della politica energetica europea (PEE):
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1.2. |
Nella relazione sui progressi compiuti in materia di biocarburanti la Commissione rileva che, in assenza di obiettivi obbligatori, non sarà possibile raggiungere una quota soddisfacente di uso di biocarburanti. Poiché è risultato che l'obiettivo di arrivare ad una quota del 5,75 % del mercato nel 2010 non è realizzabile, per rispondere alle esigenze definite dal Consiglio occorre fissare un obiettivo raggiungibile, che secondo la Commissione sarebbe quello di una quota di mercato del 10 % entro il 2020, avvalendosi della facoltà prevista all'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/30/CE, detta «clausola del riesame». Curiosamente la Commissione evidenzia i benefici basandosi su uno scenario di utilizzo dei biocarburanti pari al 14 %, mentre l'obiettivo dichiarato è del 10 %, e mostrando risultati non realistici con una sorta di window dressing della comunicazione. |
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1.3. |
I biocarburanti di prima generazione presentano molte controindicazioni e non rispondono pienamente agli obiettivi europei. Essi infatti hanno un costo elevato di produzione, un costo elevato ambientale, sottraggono cereali all'alimentazione umana ed animale e, come sostiene la FAO, sono corresponsabili dell'aumento dei prezzi dei cereali sui mercati mondiali. |
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1.4. |
L'uso dei biocarburanti di prima generazione pone pertanto dei problemi etici, quali la competizione tra cibo e carburante, che la Commissione sembra minimizzare. Il Comitato sottolinea l'esigenza di una più stretta collaborazione con le istituzioni e le agenzie mondiali che operano nel campo dell'agricoltura e dell'alimentazione, quali appunto la FAO e il PAM (Programma alimentare mondiale). |
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1.5. |
Sia nel documento della Commissione che nello studio di impatto collegato, non si riscontrano diversi elementi di criticità che sono invece assai significativi. Per quanto riguarda il biodiesel, si evidenziano in particolare questi problemi:
Per quanto riguarda il bioetanolo, invece, i problemi sono i seguenti:
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1.6. |
Il Comitato sottolinea l'esigenza che vengano attentamente valutate, accanto agli impatti sociali, ambientali ed economici, anche le problematiche tecniche legate allo sviluppo dei biocarburanti. In particolare, si pone la questione del rendimento produttivo delle materie prime per biocombustibili: da 1 tonnellata di barbabietole si ottengono circa 400 litri di bioetanolo (intorno a 1 500 Mcal). Il rapporto appare poco conveniente, con un basso livello di efficienza, se si considera l'energia necessaria a convertire la biomassa in biocarburanti. Sarebbe molto più funzionale utilizzare la biomassa direttamente per la produzione di energia elettrica, per il riscaldamento, oppure per il trasporto marittimo e per quello pubblico urbano. |
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1.7. |
Il Comitato evidenzia che da un punto di vista strettamente ambientale vanno considerati i rischi della deforestazione e quelli relativi allo stoccaggio delle materie prime: occorrerà esaminare con chiarezza e attentamente i problemi biologici e biochimici correlati. |
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1.8. |
Il Comitato pone anche un problema di «etica della scienza». Il pianeta Terra è un sistema aperto che inesorabilmente declina verso lo stato di equilibrio, che coinciderà con la sua fine. Il compito della scienza è di rallentare la tendenza alla discesa e quello della politica di agevolare le attività e gli studi correlati. |
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1.9. |
Il Comitato raccomanda di procedere ad un'analisi che verifichi nella chimica della combustione con molecole diverse da idrocarburi la possibile formazione e sviluppo di radicali liberi, responsabili dello stress ossidativo, considerato uno stato patologico preliminare a forme di malattia più gravi. Tale raccomandazione è giustificata dalla scarsità di dati disponibili in materia. |
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1.10. |
Il Comitato ritiene indispensabile riservare una particolare attenzione alla cura e alla protezione del suolo. Esso va protetto, perché ci protegge. La progressiva diminuzione e il progressivo degrado delle falde acquifere sono causati da politiche dissennate di sfruttamento e impoverimento dei suoli. È essenziale garantire l'alternanza delle colture per favorire la rivitalizzazione dei suoli. |
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1.11. |
Il Comitato raccomanda alla Commissione e a tutte le istituzioni europee di tenere in particolare considerazione il problema del consumo di acqua per la produzione dei biocarburanti. Tra i tanti effetti negativi del cambiamento climatico, quello della riduzione delle risorse idriche può diventare drammatico, soprattutto in alcune regioni. Studi recenti svolti dall'IWMI hanno calcolato che per produrre un litro di biocarburanti occorrono da un minimo di 1 000 fino a 4 000 litri di acqua, a seconda del tipo di prodotto e della zona di produzione. |
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1.12. |
Fatte salve queste preoccupazioni, che potrebbero diminuire se fossero adottate misure di monitoraggio e di certificazione dei metodi di produzione dei biocarburanti, eventualmente attraverso dei sistemi di tracciabilità dei prodotti, il Comitato ritiene che debbano essere sostenute ulteriormente la ricerca e lo sviluppo dei biocarburanti di seconda e anche di terza generazione come il biobutanolo. Il biobutanolo ha una bassa pressione di vapore e tolleranza alla contaminazione dell'acqua nelle miscele di benzina, che ne facilita l'utilizzo negli attuali canali di rifornimento e di distribuzione della benzina. Il biobutanolo può essere miscelato alla benzina a maggiori concentrazioni rispetto ai biocarburanti esistenti, senza la necessità di modificare i veicoli; inoltre offre un risparmio di carburante più elevato rispetto alle miscele di benzina-etanolo, migliorando così l'efficienza energetica e riducendo il consumo per litro. I carburanti di nuova generazione sono ad alto rendimento energetico e a basso costo ambientale, attraverso l'utilizzo dei rifiuti, della biochimica, per favorire i processi naturali di destrutturazione della cellulosa, che sono complessi e costosi. |
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1.13. |
Il Comitato considera anche le opportunità che lo sviluppo dei biocarburanti potrebbe rappresentare per l'economia europea, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda di Lisbona. Il Settimo programma quadro prevede esplicitamente questo settore di intervento, ma occorre un rapporto più sinergico tra i vari attori interessati: produttori agricoli, industria di trasformazione, ma anche associazioni di tutela dell'ambiente e dei territori, organizzazioni dei lavoratori, sempre più interessate a coniugare i temi dello sviluppo sostenibile con modelli sempre più avanzati di responsabilità sociale delle imprese. |
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1.14. |
L'opportunità che il mondo agricolo vede nello sviluppo dei biocarburanti va incoraggiata, a condizione che anche gli agricoltori si impegnino a contribuire alla tutela dei beni primari ambientali e al rispetto delle risorse comuni, quali l'acqua, il cibo per gli esseri umani e per gli animali. Le associazioni agricole hanno la responsabilità di diffondere nel mondo rurale le regole che saranno individuate dalla comunità internazionale per regolare la produzione e il commercio dei biocarburanti. La diffusione delle pratiche di certificazione, di tracciabilità, il controllo della conformità sono i temi su cui ci si attende dalle diverse organizzazioni agricole un contributo determinante, sia a livello europeo che a livello nazionale e locale. Il Comitato è disponibile a sviluppare su questo tema, come anche su altri collegati all'efficienza energetica, alla diminuzione dei gas a effetto serra e al cambiamento climatico, una collaborazione con i CES nazionali: questi ultimi, infatti, già in diverse occasioni hanno mostrato un notevole interesse a tali tematiche e stanno attivamente partecipando all'elaborazione di alcuni pareri del CESE in merito. |
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1.15. |
Per quanto riguarda il trattamento fiscale, e in particolare le accise sui biocarburanti, le agevolazioni agli agricoltori, quelle alle industrie dell'automobile per sostenere le necessarie spese di ricerca, quelle ai consumatori per i necessari interventi sulle automobili non predisposte all'utilizzo di biocarburanti, e quelle ai produttori stessi di biocarburanti, è ovvio che la platea dei candidati al sostegno pubblico sia sterminata. In Germania, dove recentemente sono state sensibilmente ridotte le agevolazioni fiscali, si è determinata una immediata contrazione nei consumi e una altrettanto immediata protesta delle industrie. Gli investimenti hanno bisogno di certezze e stabilità, ma i mercati dei biocarburanti sono ancora praticamente inesistenti. Resta comunque acquisito che gli eventuali aiuti non dovranno determinare distorsioni alla concorrenza. |
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1.16. |
Per quanto riguarda il settore trasporti, nella proposta esso non risulta sottomesso al sistema delle quote di emissione. Il Comitato raccomanda alla Commissione di studiare la possibilità di estendere il sistema dei certificati di emissione per il trasporto che possono costituire un ulteriore stimolo a migliorare l'efficienza nella ricerca di nuove soluzioni che riducano le emissioni nocive. In uno specifico parere esplorativo, richiesto dal vicepresidente Barrot, il Comitato si accinge a definire un'ipotesi operativa. |
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1.17. |
Il Comitato concorda con la risoluzione del Parlamento europeo sulla strategia per la biomassa e per i biocarburanti: in essa il Parlamento invita la Commissione a introdurre una certificazione obbligatoria e completa che consenta la produzione sostenibile di biocarburanti in tutte le fasi, e ad appoggiare lo sviluppo e l'utilizzazione del sistema di monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES) per controllare l'utilizzazione del suolo nella produzione di bioetanolo al fine di impedire la distruzione delle foreste pluviali e altre ripercussioni negative sull'ambiente. |
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1.18. |
In considerazione dei problemi individuati nel presente parere, il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe riconsiderare costantemente l'obiettivo del 10 % e presentare proposte volte a modificarlo qualora detti problemi non possano essere risolti in maniera soddisfacente e sostenibile. |
2. La comunicazione della Commissione
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2.1. |
La Commissione introduce la Relazione sui progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti, sottolineando il fatto che per il periodo 2005-2020 per il solo settore dei trasporti è previsto un incremento delle emissioni dei gas ad effetto serra (in questo caso solo CO2) di 77 Mt all'anno, cioè oltre il 60 % del totale dell'incremento delle emissioni, che si prevede dell'ordine di 126 Mt all'anno. |
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2.2. |
Un altro fattore critico messo in rilievo è la quasi totale dipendenza del settore dei trasporti dalle importazioni di petrolio, che costituisce la risorsa energetica di maggiore rischio per la sicurezza dell'approvvigionamento. Con un significativo aumento dell'utilizzo dei biocarburanti, tale dipendenza dovrebbe diminuire. |
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2.3. |
I benefici dello sviluppo dei biocarburanti in materia di riduzione dei gas ad effetto serra non si verificano però quando, per produrli, si convertono ad esempio colture già esistenti o si utilizzano terreni che presentano una particolare ricchezza di biodiversità, come le foreste pluviali. |
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2.4. |
Nel 2001 la quota di biocarburanti sul mercato era dello 0,3 % e solo 5 Stati membri avevano un'esperienza dell'uso di tale combustibile. La direttiva 2003/30/CE non ha posto obblighi vincolanti, ma ha indicato un obiettivo per il 2010 (pari al 5,75 % del mercato della benzina e del gasolio da autotrazione) e un obiettivo intermedio per il 2005 (pari al 2 %). |
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2.5. |
La stessa direttiva, tuttavia, con la specifica clausola di riesame prevista all'articolo 4, paragrafo 2, consente alla Commissione, nel caso di significativi e non giustificati scostamenti dall'obiettivo del 2 %, di presentare una proposta di obiettivi nazionali obbligatori. |
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2.6. |
La politica agricola comune ha un ruolo fondamentale in materia, in particolare dopo la riforma del 2003 che, scindendo i pagamenti effettuati agli agricoltori dalle colture da essi prodotte, ha consentito un riutilizzo di terreni ritirati dalla produzione verso colture non alimentari, destinate in molti casi alla produzione di biocarburanti. |
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2.7. |
Nel 2007 sarà corrisposto un premio per le colture cosiddette «energetiche», che si affiancherà alle politiche di incentivazione della produzione di energia dal legno e ai sostegni nell'ambito della politica di sviluppo rurale alle energie rinnovabili (1). |
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2.8. |
Lo sviluppo dell'utilizzo dei biocarburanti è stato significativo, ma solo due paesi hanno raggiunto gli obiettivi: questo ha comportato nel 2005 un risultato complessivo dell'1 %, con una quota dell'1,6 % nel caso del biodiesel e dello 0,4 % nel caso del bioetanolo. Sulla base di queste premesse la Commissione conclude che nel 2010 l'obiettivo del 5,75 % non sarà realizzato. |
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2.9. |
L'esperienza ha dimostrato che risultati concreti sono stati raggiunti sia attraverso politiche di incentivazione fiscale, senza fissare limiti quantitativi ammessi, sia attraverso obblighi fatti ai fornitori di commercializzare, sul totale dei carburanti, una data percentuale di biocarburanti. La Commissione ritiene che questi obblighi siano la metodologia più efficace. |
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2.10. |
Nella comunicazione, la Commissione ha affermato che: «È urgente ed imperativo che l'Unione europea invii un chiaro segnale della propria determinazione a ridurre la dipendenza dal petrolio nel settore dei trasporti». Essa ritiene che l'unica via praticabile sia il ricorso ai biocarburanti, i quali costituiscono una «polizza assicurativa» contro gli alti prezzi del petrolio. |
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2.11. |
Per avere un peso credibile nei confronti dei produttori di petrolio, che nel mercato dell'UE vendono 300 Mt per il solo settore dei trasporti, il segnale deve però assumere la forma di obiettivi giuridicamente vincolanti. |
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2.12. |
Promuovere la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie congiuntamente nei 27 Stati membri è una strategia che ha maggiori probabilità di successo. Un obiettivo raggiungibile è quello di fissare per i biocarburanti una quota del 10 % del mercato entro il 2020. |
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2.13. |
Un quadro normativo certo, con ridotti oneri amministrativi, e l'individuazione di obiettivi intermedi, come ad esempio il 2015, sono essenziali per consentire alle imprese automobilistiche di adeguare la loro progettazione. |
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2.14. |
Nell'analisi di impatto economico e ambientale vengono ipotizzati diversi scenari, collegati da una parte all'andamento del prezzo del petrolio, alle importazioni e alla competitività dei prezzi agricoli, e dall'altra allo sviluppo di nuove tecnologie in grado di far decollare lo sviluppo dei biocarburanti di «seconda generazione», che aiuterebbero a diminuire il costo ambientale. |
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2.15. |
Sotto il profilo dei costi, un'ipotesi di crescita dell'utilizzo dei biocarburanti al 14 % dovrebbe determinare nel 2020 un aggravio compreso tra 11,5 e 17,2 miliardi di euro (con il prezzo del barile intorno ai 48 dollari USA) e tra 5,2 e 11,4 miliardi di euro (con il prezzo del barile a 70 dollari USA). Il punto di equilibrio per il biodiesel e il bioetanolo si raggiunge con prezzi del barile compresi rispettivamente tra 69-76 e 63-85 euro (Ndr: 92,76-102,18 e 84,76-114,28 USD/b, al cambio — al 25.5.2007 — di 1,3444 USD per 1 euro). |
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2.16. |
Sempre secondo lo scenario di una quota di biocarburanti del 14 % nel 2020, la riduzione del costo per lo stoccaggio di riserve porterebbe a risparmi fino a 1 miliardo di euro (Ndr: 720 milioni secondo lo scenario al 10 %). La soluzione migliore sarebbe un mix di approvvigionamento da paesi terzi e da paesi comunitari, accanto all'auspicata commercializzazione dei biocarburanti di seconda generazione. |
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2.17. |
Lo scenario suddetto avrebbe degli effetti positivi sia sull'occupazione, con un aumento di 144 000 unità (o 100 000 unità secondo lo scenario al 10 % — Ndr) nel caso di una produzione di bioetanolo soprattutto interna, sia sul PIL comunitario (crescita dello 0,23 %). Gli effetti positivi dei risultati della ricerca, in particolare in materia di biocarburanti di seconda generazione, potrebbero infine mantenere alta la competitività nel campo delle energie rinnovabili. |
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2.18. |
La Commissione calcola che producendo i biocarburanti con le tecniche migliori ed economicamente più vantaggiose attualmente disponibili, la riduzione dei gas ad effetto serra si aggiri, secondo il metodo di calcolo «dal pozzo alla ruota», tra il 35 % e il 50 %. L'etanolo derivato dalla canna da zucchero in Brasile riduce tali emissioni del 90 % mentre il biodiesel prodotto dall'olio di palma e dalla soia determina delle riduzioni, rispettivamente, del 50 % e del 30 %. Dal canto suo, la produzione di biocarburanti di seconda generazione dovrebbe determinare riduzioni del 90 %. Sempre secondo lo scenario del 14 %, le emissioni di gas serra, dovrebbero attestarsi intorno a 101-103 Mt CO2eq (71-75 Mt CO2eq secondo lo scenario al 10 % — Ndr). |
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2.19. |
Per quanto riguarda l'impatto ambientale nella comunicazione viene stimato che una quota di biocarburanti del 14 % sia gestibile, sempre che la produzione non avvenga su terreni inadeguati, quale foreste pluviali o habitat di elevato valore ambientale. |
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2.20. |
La Commissione conclude la sua relazione sostenendo che con uno sviluppo dei biocarburanti ci saranno notevoli benefici in termini di emissioni di gas serra e la sicurezza dell'approvvigionamento aumenterà. Attraverso una politica mirata di incentivi/sostegni, dovrebbero essere scongiurati i rischi di utilizzo di terreni ad elevata biodiversità o di uso di sistemi nocivi per la produzione di biocarburanti, favorendo invece lo sviluppo di quelli di seconda generazione. |
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2.21. |
Per realizzare gli obiettivi proposti sarà necessario:
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2.22. |
La Commissione propone infine di rivedere la direttiva sui biocarburanti, di fissare al 10 % gli obiettivi minimi per la quota di biocarburanti nel 2020 e infine di garantire l'uso di biocarburanti efficienti e rispettosi dell'ambiente. |
3. I biocarburanti: alcuni elementi tecnici
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3.1. |
Il biodiesel si ottiene dalla spremitura di semi oleaginosi di colza, soia o girasole e da una reazione detta di transesterificazione, che determina la sostituzione dei componenti alcolici di origine (glicerolo) con alcool metilico (metanolo). Il bioetanolo è un alcool (etanolo o alcool etilico) ottenuto mediante un processo di fermentazione di diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali cereali (mais, sorgo, frumento, orzo), colture zuccherine (bietola e canna da zucchero), frutta, patata e vinacce. Sono considerati biocarburanti anche i prodotti ottenuti per combinazione chimica di molecole di origine biologica con molecole di origine fossile. L'esempio principale è costituito dall'ETBE, etere etilterbutilico, ottenuto per reazione da bioetanolo e isobutene. |
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3.2. |
L'etanolo presenta le caratteristiche di un eccellente carburante: ha un numero di ottani elevato e può essere miscelato (E5, E10) senza apportare importanti modifiche al motore, anche se per un impiego più consistente (E85) sono invece necessari motori dedicati. |
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3.3. |
Le principali criticità dell'impiego dell'etanolo sono legate alla sua miscelazione con la benzina. Anche per modeste percentuali di etanolo, infatti, aumenta in misura significativa la tensione di vapore (circa 10 kPa) e quindi le emissioni evaporative. L'affinità dell'etanolo con l'acqua può generare problemi nella qualità del prodotto finale. Occorre evitare la miscelazione di una comune benzina idrocarburica con una benzina contenente etanolo, impiegando per quest'ultima una catena logistico-distributiva separata. |
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3.4. |
Il biodiesel può essere impiegato nei motori diesel in miscela con il gasolio. Nei paesi europei viene comunemente miscelato in una percentuale fino al 5 % (B5) in gasolio di qualità standard e la miscela non presenta problemi di compatibilità. Un gasolio con un elevato contenuto di biodiesel (più dell'8-10 %) può causare inconvenienti su veicoli con guarnizioni in materiale polimerico non compatibile. I problemi più significativi si riscontrano nei filtri per i particolati e le polveri sottili, che dovrebbero subire profonde e costose modifiche. Per questo motivo, mentre alcuni costruttori hanno già adeguato le caratteristiche dei veicoli, altri limitano il mantenimento delle garanzie alle miscele B5. Le caratteristiche di igroscopicità, detergenza e scarsa stabilità allo stoccaggio possono richiedere, per le miscele in percentuali elevate, particolari attenzioni a livello di veicoli e nel sistema distributivo del prodotto. |
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3.5. |
La Commissione affronta con argomenti convincenti la necessità di sostenere con maggiore determinazione lo sviluppo dei biocarburanti. Realisticamente, essa non considera in futuro la possibilità di sostituire l'attuale produzione di benzina (pari nel 2004, a livello globale, a 1,2 miliardi t) interamente con biocombustibili (46 milioni t nel 2005, di cui 3 nell'UE, come esposto nella seguente tabella), ma punta ad integrare, in poco più di 13 anni, gli attuali carburanti con una quota di biocarburanti pari almeno al 10 %, attraverso l'adozione di una direttiva e la fissazione di obiettivi per ogni singolo Stato membro.
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3.6. |
L'idrogeno, già utilizzato — almeno a livello sperimentale — come vettore energetico da alcune case automobilistiche europee, viene ancora essenzialmente prodotto o per elettrolisi, oppure estraendolo dal gas naturale o da altri combustibili fossili. Il suo uso non consentirebbe dunque alcuna riduzione dei gas effetto serra. Nonostante il recente sviluppo della ricerca per produrre idrogeno dalla biomassa, anche con l'ausilio della biotecnologia, oppure da fonti rinnovabili, la possibile diffusione e commercializzazione di automobili ad idrogeno è condizionata anche dai costi importanti connessi con l'acquisto delle celle a combustibile. Perché l'idrogeno diventi un'alternativa energetica economicamente praticabile è necessario però che i costi di produzione vengano abbattuti. Una ricerca in atto alla University of New South Wales prospetta la possibilità di raggiungere questo obiettivo utilizzando particolari pannelli solari fatti di ceramiche di ossido di titanio. Il titanio è una scelta molto diffusa nel campo dell'idrogeno solare in quanto ha le giuste proprietà di semiconduttore ed è resistente all'acqua: allo stato naturale, tuttavia, se non viene modificato, non è ancora abbastanza efficace. |
4. Osservazioni generali
Alcune criticità
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4.1. |
La Commissione accanto all'illustrazione dei possibili vantaggi, evita di evidenziare i problemi e le criticità connesse allo sviluppo dei biocarburanti, anche se formula ogni tanto alcuni avvertimenti. Il Comitato ritiene, invece, che occorra analizzare bene e con attenzione la proposta della Commissione, per evitare che per risolvere un problema se ne creino altri più seri, o che non vengano messi in luce, accanto ai pro, anche i contro. È singolare il fatto che per valorizzare i benefici della proposta si assuma come ipotesi uno scenario irrealistico, vale a dire quello di raggiungere entro il 2020 una quota del 14 %! I benefici, nell'ipotesi di realizzare l'obiettivo del 10 %, sono oggettivamente più modesti. |
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4.2. |
Sia nel documento della Commissione che nello studio di impatto collegato, non si riscontrano alcuni significativi elementi di criticità. In generale, ad esempio, lo smaltimento dei materiali di scarto della produzione di biocarburanti deve essere attualizzato e valutato alla luce dei moderni sistemi di biofuel cell e delle tecnologie elettroniche collegate alla produzione. |
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4.3. |
Per quanto riguarda il biodiesel, si evidenziano in particolare i problemi seguenti:
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4.4. |
Per quanto riguarda il bioetanolo, invece, si riscontrano i seguenti:
Le opportunità dall'altra parte, riguardano la possibilità di aumentare il ciclo delle colture, alternando a quelle tradizionali, alimentari, sia per gli umani che per gli animali, altre colture specifiche, destinate alla produzione di biomassa da destinare alla produzione energetica. È importante che questo si sviluppi con particolare attenzione rivolta alle produzioni regionali. Le produzioni europee si riferiscono, comunque, ai regolamenti in materia di protezione dei suoli e di utilizzo dei fertilizzanti. |
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4.5. |
I biocombustibili richiedono colture idonee, sviluppate in grande quantità. Impongono dunque di sacrificare ad esse altre colture necessarie a soddisfare l'esigenza dei paesi più poveri di ottenere derrate a costi quanto più contenuti possibile. L'ipotesi di ricorrere alla cellulosa quale base per ottenere biocarburanti è certamente interessante: occorre però ricordare che la produzione richiede in via preliminare un trattamento chimico-fisico (una sorte di esplosione della massa) per renderla reattiva al processo di biotrasformazione. Va poi evidenziato il problema dei residui e dei catalizzatori usati, che aggravano la questione dello smaltimento dei rifiuti a valle di tali processi. |
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4.6. |
Per un impiego su larga scala si potrebbe ipotizzare di usare come combustibile il glicerolo, grezzo, puro o in miscela con altri combustibili. Tra gli inconvenienti di questa alternativa bisogna però annoverare il costo del glicerolo, se utilizzato puro, il costo del processo se si utilizza glicerolo grezzo, il modesto potere calorico e in tutti i casi la necessità di abbattere le sostanze tossiche che si formano durante la combustione (principalmente acroleina nota anche come aldeide acrilica). |
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4.7. |
Un altro approccio potrebbe basarsi sulla modificazione genetica di alcuni organismi preposti a rendere alcune colture particolarmente idonee al processo di biotrasformazione, con accresciuti livelli di rendimento e quindi ridotti consumi energetici di produzione. L'ingegneria genetica potrebbe essere anche utilizzata per modificare organismi capaci di agevolare l'impiego della cellulosa. |
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4.8. |
Da un punto di vista tecnico si pone altresì la questione del rendimento produttivo delle materie prime per biocombustibili. Si ricorda ad esempio che da 1 tonnellata di barbabietola si ottengono circa 400 litri di bioetanolo (intorno a 1 500 Mcal). È sufficiente tale rapporto per un bilancio complessivamente positivo, tenuto conto dei possibili rischi e svantaggi che derivano all'ambiente dall'adozione di tale forma di energia? |
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4.9. |
Un altro punto da non sottovalutare riguarda da un lato i processi estrattivi e la loro selettività e dall'altro quelli fermentativi, che sono relativamente costosi se realizzati con la dovuta attenzione alla qualità del prodotto finito ottenuto. D'altra parte, l'eventuale presenza di impurezze nel combustibile potrebbe produrre, al momento del suo impiego, dei danni economici assai superiori ai suoi vantaggi dal punto di vista delle reazioni secondarie, della qualità del combustibile ottenuto nonché delle caratteristiche degli scarti e residui prodotti. |
La difesa dell'ambiente
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4.10. |
Da un punto di vista strettamente ambientale vanno poi considerati i rischi della deforestazione (come sta avvenendo in Malaysia e Indonesia, per la produzione di olio di palma, o in Malawi e in Uganda per lo sviluppo della Jatropha in aree dedicate alla produzione alimentare o in aree particolarmente pregiate di foresta pluviale) e quelli relativi allo stoccaggio delle materie prime. Occorrerà affrontare con la massima attenzione e chiarezza i problemi biologici e biochimici correlati. |
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4.11. |
C'è poi un risvolto «etico» che dovrebbe essere ulteriormente valutato: la competizione tra cibo e carburante. Il prezzo delle materie prime nobili quali grano, mais o riso sta inesorabilmente aumentando a causa della crescente domanda delle «distillerie» di biocarburanti (Rapporto FAO e PAM 2007). Il prezzo delle tortilla in Messico è aumentato del 60 %, causando notevoli disordini e manifestazioni di protesta. In Cina la crescita del prezzo della soia sta portando in alto il prezzo della carne, che è aumentata del 43 % dall'inizio dell'anno, e quello delle uova, che sono aumentate del 16 %. Il granturco è aumentato del 40 %, l'avena del 20 %. In India i listini dei cereali sono più cari del 10 % e il grano è cresciuto dell'11 %. Anche gli USA, secondo il loro Dipartimento dell'agricoltura, vedranno aumenti dell'ordine del 10 % per il pollame e del 21 % per le uova, mentre il latte costerà più caro del 14 %. In futuro, se il valore dei cereali come carburante supererà il loro valore come cibo, il mercato si rivolgerà all'economia dell'energia. E il prezzo del cibo crescerà con quello del petrolio, aumentando il rischio di penuria alimentare anche a livello europeo. |
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4.12. |
La crescita degli impianti (solo negli USA sono in costruzione altre 79 fabbriche, che si aggiungono alle attuali 116 in produzione) porterà ad un incremento esponenziale dei consumi di cereali, valutato dall'EPI (Earth Policy Institute) in circa 139 milioni di tonnellate, il doppio della stima del Dipartimento dell'agricoltura americano. Se pensiamo che la resa è di 110 galloni di etanolo (416,19 litri: poco più di quattro pieni per un SUV) per ogni tonnellata di mais, allora la questione assume risvolti realmente preoccupanti. |
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4.13. |
Il Comitato ha inoltre sottolineato, in un recente parere (2), l'esigenza di salvaguardare la biodiversità e in particolare le foreste pluviali, che non solo ospitano una fauna altrimenti condannata irrimediabilmente alla scomparsa, ma che sono anche l'unico ed estremo polmone del pianeta. Le colture intensive di canna da zucchero in Brasile e di palma in Malesia e Indonesia, che giornalmente sacrificano centinaia di ettari di foresta a favore di coltivazioni monocolturali, devono essere fermate. |
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4.14. |
Esiste anche un problema di «etica della scienza». Il pianeta Terra è un sistema aperto che inesorabilmente declina verso lo stato di equilibrio, che coinciderà con la sua fine. Il compito della scienza è di rallentare la tendenza alla discesa e quello della politica di agevolare le attività e gli studi correlati. |
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4.15. |
Vanno con chiarezza individuati i costi: non solo quelli economici, ma anche quelli collegati all'ambiente e alla salute. Occorre compiere sforzi significativi per valutare e studiare al meglio gli impatti. |
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4.16. |
Per quanto riguarda la chimica della combustione con molecole diverse da idrocarburi, va esaminata con cura la possibile formazione e sviluppo, a causa dello stress ossidativo dei processi, di radicali liberi (vale a dire una delle cause principali delle malattie oncologiche). Non si hanno infatti a tutt'oggi dati certi sul loro possibile aumento in relazione alla fabbricazione dei biocarburanti. |
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4.17. |
Fondamentale è la cura e la protezione del suolo. Esso va protetto, perché ci protegge. La progressiva diminuzione e il progressivo degrado delle falde acquifere sono causati da politiche dissennate di sfruttamento e impoverimento dei suoli. L'alternanza delle colture dovrà essere garantita, per favorire la rivitalizzazione dei suoli. |
La sicurezza alimentare
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4.18. |
Per quanto riguarda la sicurezza alimentare, il competente comitato della FAO ha dedicato a questo tema, nel corso della 33a sessione tenutasi a Roma dal 7 al 10 maggio 2007, un importante capitolo, al punto 45 del suo rapporto, ove dice che: «La bioenergia offre contemporaneamente opportunità e rischi per ognuna delle quattro dimensioni della sicurezza alimentare: disponibilità, accesso, stabilità ed utilizzo. Le implicazioni sulla sicurezza alimentare della bioenergia saranno influenzate dalla scala e dal tipo di sistema che saranno presi in considerazione, dalla struttura dei mercati dell'energia e delle materie prime, dalle scelte politiche nelle aree dell'agricoltura, dell'energia, dell'ambiente e del commercio. I cambiamenti tecnologici nel settore delle bioenergia stanno intervenendo velocemente e rappresentano un ulteriore elemento importante di incertezza nel campo della sicurezza alimentare». |
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4.19. |
Nello stesso rapporto la FAO sottolinea come: «il prezzo dei cereali sia cresciuto enormemente nel 2006, in particolare per quanto riguarda grano e mais, che a novembre hanno raggiunto livelli mai visti negli ultimi dieci anni. Raccolti scarsi nei principali paesi produttori, associati con una veloce e crescente domanda per la produzione di biocarburanti, sono stati i principali fattori dei mercati cerealicoli. Anche il settore del riso è stato caratterizzato da una diminuzione dell'offerta». |
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4.20. |
Anche la Cina ha recentemente preso provvedimenti per ridurre la produzione di etanolo dal mais, come riportato da Asia Times Online del 21 dicembre 2006. «Per la Cina, la cosa più importante è provvedere a nutrire i suoi 1,3 miliardi di abitanti; solo dopo avere raggiunto questo obiettivo, sosterremo la produzione di biocarburanti», ha dichiarato Wang Xiaobing, dirigente del ministero dell'Agricoltura cinese. |
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4.21. |
In Italia il 20 luglio 2007 è stato pubblicato un articolo su La Repubblica intitolato. «È guerra tra ecobenzina e spaghetti» Boom del granturco per i biocarburanti e la pasta rincarerà del 20 %. Il prezzo del grano duro, principale componente per la pasta italiana è cresciuto di oltre il 30 %, dopo che gli agricoltori hanno dismesso questa coltivazione per passare al mais da destinare al bioetanolo. Il Bushel (27 kg) di grano alla borsa di Chicago è passato da 3,6404 USD del 3 aprile 2007 ai 5,64 USD del 14 giugno scorso. Gli italiani sono molto sensibili a queste variazioni di prezzo, essendo i primi consumatori al mondo, con 28 kg pro capite annui ed anche i primi produttori con 3,2 milioni di tonnellate. |
L'acqua
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4.22. |
Un altro problema fino ad oggi trascurato è il consumo di acqua necessario per la produzione dei biocarburanti. Alcune recentissime ricerche dell'International Water Management Institute (IWMI), pubblicate il 10 maggio 2007, hanno rilevato che ad esempio nello Sri Lanka per produrre un litro di etanolo sono necessari dai 1 000 ai 4 000 litri di acqua, in funzione del tipo di pianta e delle tecniche di produzione utilizzate. In Brasile si calcola che occorrono 2 200 litri di acqua per produrre un litro di etanolo, mentre in India, dato che in assenza delle abbondanti piogge brasiliane si deve ricorrere all'irrigazione, per lo stesso litro di etanolo occorrono 3 500 litri di acque irrigue! Questi dati sono confermati dal The Unesco-IHE Institute for Water Education, istituto internazionale di Delft, che collabora con la locale Università, fondato nel 2003, e da recenti studi dell'Università del Colorado, facoltà di agraria, che sta mettendo a punto speciali qualità di mais che richiedono minori quantità di acqua. I dati riportati sono anche visibili sul sito www.waterfootprint.org |
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4.23. |
In Europa il problema dell'acqua riguarda in particolare le regioni del Sud, che soffrono già da molti anni di penuria idrica e che, a causa dell'aumento della temperatura e della conseguente evaporazione, avranno ulteriori problemi, mentre, almeno per ora, tale questione non sembra interessare le regioni del Nord. |
I costi
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4.24. |
La tabella che segue (presentata dall'ing. Mario Marchionna dell'ENI in un recente convegno organizzato dall'AIDIC-Associazione italiana di ingegneria chimica) mostra il confronto di costi tra carburanti fossili e biocarburanti, a parità di energia. |
Confronti di costo fra componenti di biofuel
(a parità di energia)
Prezzo di riferimento: Brent = 70 (56) USD/bl
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Carburante |
€¢/lt equivalente |
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Benzina (3) |
39 (31) |
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Bio-etanolo |
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EU |
75 |
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Brasile |
39 |
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USA |
47 |
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Italia (Val Padana) |
70-75 |
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Gasolio (4) |
46 (37) |
|
Bio-Diesel |
|
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EU |
78 |
|
Malesia |
48 |
|
USA |
60 |
|
Italia |
78 |
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4.25. |
La Commissione valuta che per produrre all'interno dell'UE la quantità di biocarburanti necessaria a raggiungere la quota del 10 % nel 2020 sarebbero necessari 18 milioni di ettari coltivabili, e in particolare:
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Vantaggi per i paesi poveri?
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4.26. |
La Commissione dichiara che lo sviluppo dell'utilizzo dei biocarburanti potrà arrecare notevoli benefici, in particolare ai paesi in via di sviluppo, che potranno incrementare le loro produzioni destinate all'esportazione. Gli agricoltori africani, però, esprimono delle preoccupazioni in relazione al ritorno economico degli investimenti finora effettuati. Il giornale African Agriculture pubblica nel suo numero del maggio 2007 un articolo dedicato alla Jatropha (che è un arbusto da cui si ricavano semi oleaginosi tossici per l'uomo ma che producono un biodiesel di discreta qualità e non hanno bisogno di particolari cure). Nell'articolo, intitolato appunto L'eccitazione per la Jatropha è un miraggio? si esprimono forti interrogativi. |
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4.27 |
Anche le associazioni ambientaliste africane fanno sentire la loro voce, come riporta il settimanale The East African Business (giornale on line pubblicato dal principale gruppo editoriale keniota, Nation Media Group) nel suo numero del 7 maggio 2007. In Uganda la deforestazione cresce del 2,2 % all'anno, a fronte di una media mondiale dello 0,2 % annui: a questo ritmo, il paese rischia di essere completamente deforestato entro il 2040. Si è così costituito un gruppo di attivisti della società civile, che hanno formato la coalizione «Save Mabira», dal nome della foresta che il governo ugandese ha deciso di consegnare alla Sugar Corporation of Uganda Ltd per avere più terra per coltivare la canna da zucchero destinata al bioetanolo. Un quarto della foresta vergine più grande del paese, cioè 7 100 ettari, saranno sacrificati per realizzare qualche tonnellata di bioetanolo, magari destinate proprio agli autobus ecologici europei! |
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4.28. |
La Commissione non dice praticamente nulla a questo proposito, dichiarando solo di sfuggita che occorre contrastare in qualche modo sia l'utilizzo di colture destinate alla produzione di cibo sia lo sfruttamento di terreni ad alto valore naturalistico, affidando la soluzione a politiche di disincentivo economico. Francamente, in questo contesto il coraggio della Commissione è proprio difficile da scorgere. Il Comitato esprime una forte preoccupazione per questi rischi ambientali, che saranno inevitabilmente accompagnati da una proliferazione di colture OGM che, se utilizzate per questi fini potrebbero sembrare più accettabili. Il rischio di propagazione degli OGM è reale, e solo al termine di tutto l'iter di approfondimento scientifico sulla loro pericolosità, e salvaguardando comunque la biodiversità che resta nell'UE, si potrà valutare l'opportunità di un loro utilizzo. |
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4.29. |
Il Comitato ritiene indispensabile rafforzare la cooperazione con gli organismi internazionali che si occupano di lotta alla fame nel mondo, segnatamente la FAO e il PAM (il Programma alimentare mondiale); esso si rammarica che nel procedere alla valutazione d'impatto la Commissione non abbia ritenuto opportuno entrare in contatto con queste Agenzie internazionali, che stanno lavorando seriamente sul tema, senza nascondere tutte le difficoltà e i rischi connessi allo sviluppo dei biocarburanti, con particolare riferimento al consumo delle risorse idriche. |
Il Consiglio europeo
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4.30. |
Il Comitato prende atto delle conclusioni del Consiglio di primavera dell'8 e 9 marzo 2007, nel quale ampio spazio è stato dato alla Politica energetica europea (PEE), i cui tre obiettivi principali sono:
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4.31. |
Il Consiglio europeo sostiene e fa proprie le proposte della Commissione in materia energetica in generale, e sui biocarburanti in particolare, anche se la formula che esso impiega in relazione all'obbligo del 10 % lascia molti spazi di dubbio: «Il carattere vincolante di questo obiettivo risulta adeguato, fatte salve una produzione sostenibile, la reperibilità sul mercato di biocarburanti di seconda generazione e la conseguente modifica della direttiva sulla qualità dei carburanti, per consentire livelli di miscelazione adeguati». |
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4.32. |
Sarà estremamente importante capire come questi limiti posti alla obbligatorietà potranno essere effettivamente utilizzati dai paesi membri. In particolare il riferimento alla disponibilità sul mercato di biocarburanti di seconda generazione appare, ad oggi, oggettivamente problematica. La conversione degli attuali stabilimenti industriali, di quelli in fase avanzata di costruzione e di quelli che sono previsti nei prossimi anni, che producono biocarburanti di prima generazione con processi molto diversi da quelli necessari per seconda generazione è molto costosa. Ciò vuol dire che se non ci sarà tale disponibilità verrà meno anche il carattere vincolante della decisione del Consiglio. Per quanto riguarda la sostenibilità, accanto alle esistenti direttive, occorrerà emanare ulteriori atti legislativi europei per garantire che le produzioni di biomassa rispondano strettamente ai requisiti fissati e che le produzioni riservate ai biocarburanti non entrino in competizione con quelle riservate all'alimentazione umana ed animale. Per quanto riguarda i cambiamenti necessari alla direttiva sulla qualità dei carburanti, la procedura è piuttosto complessa e dovranno occuparsene gli organismi di normazione, segnatamente il CEN che analizzi i problemi connessi con le specifiche tecniche. |
I biocarburanti di seconda generazione
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4.33. |
Per quanto riguarda i biocarburanti di seconda generazione, sono già possibili alcune soluzioni per la produzione di etanolo, sia attraverso un processo biologico di fermentazione e distillazione, sia attraverso un processo termochimico di gassificazione della biomassa per l'ottenimento di syngas (H2 e CO), il quale per fermentazione produce etanolo e genera energia attraverso un ciclo combinato o cogenerazione. Un primo impianto con una capacità di 180 000 t/a sarà operativo a partire da quest'anno a Porvoo in Finlandia ed un altro è stato programmato, sempre nella stessa località, per la fine del 2008. Tali processi, però, hanno rendimenti energetici molto bassi, se non negativi, come avviene in qualche caso. Da qui la possibilità indagata di realizzarli per via fotochimica, sfruttando la luce solare come fonte energetica ed opportuni catalizzatori capaci di esaltarne le proprietà. Una possibile soluzione per i biocarburanti di nuova generazione è costituita dal biobutanolo. Il biobutanolo ha una bassa pressione di vapore e tolleranza alla contaminazione dell'acqua nelle miscele di benzina, che ne facilita l'utilizzo negli attuali canali di rifornimento e di distribuzione della benzina. Il biobutanolo può essere miscelato alla benzina a maggiori concentrazioni rispetto ai biocarburanti esistenti, senza la necessità di modificare i veicoli; inoltre offre un risparmio di carburante più elevato rispetto alle miscele di benzina-etanolo, migliorando così l'efficienza energetica e riducendo il consumo per litro. Il biobutanolo può essere prodotto utilizzando la filiera e gli impianti produttivi del bioetanolo. |
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4.34. |
Il Settimo programma quadro ha destinato risorse importanti per lo sviluppo di queste tecnologie, che hanno caratteristiche molto interessanti e producono biocarburanti «puliti», i quali:
Il Comitato ritiene che l'Europa debba assegnare maggiori risorse finanziarie alla ricerca sui biocarburanti di seconda generazione. |
5. Osservazioni specifiche
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5.1. |
Il Comitato condivide gli obiettivi della PEE, ma sottolinea che per conseguirli occorre reperire i finanziamenti necessari agli investimenti, coinvolgendo le istituzioni finanziarie europee. |
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5.2. |
Il Comitato ritiene necessario riservare una particolare attenzione alla ricerca nel settore dei biocarburanti, in particolare a quelli di seconda generazione, senza tuttavia sacrificare altre possibilità, come quella connessa con lo sviluppo dell'idrogeno solare o derivato dal trattamento delle biomasse. |
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5.3. |
Il Comitato raccomanda in particolare il rispetto della biodiversità e l'utilizzo esclusivo di colture «no food» per i biocarburanti, per annullare il rischio di una competizione tra cibo e carburanti, dato che esistono ancora milioni di esseri umani che non hanno cibo a sufficienza e muoiono di fame. Il citato rapporto FAO afferma infatti nelle sue conclusioni: «Il fatto che nel mondo restano ancora 854 milioni di esseri umani denutriti riflette gli insufficienti progressi compiuti verso gli obiettivi del World Food Summit e del Millennium Development Goals. Mentre molti paesi, specialmente nell'Africa sub-sahariana, mostrano di avere un potenziale per ridurre il numero dei loro cittadini che soffrono la fame, queste possibilità sono minacciate dalla crescita dei prezzi dei generi alimentari, dalla possibile diminuzione dell'offerta sui mercati cerealicoli, dai conflitti, dalle malattie e dal cambiamento climatico». Secondo gli studiosi americani Ford Runge e Benjamin Senauer dell'Università del Minnesota sulla base dell'evoluzione dei prezzi dei cereali per uso alimentare, il numero delle persone che soffrono la fame nel mondo, invece di scendere a 600 milioni nel 2025, come ci si aspettava, sarà del doppio, 1 miliardo e 200 milioni! |
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5.4. |
Al fine di realizzare gli obiettivi di tutela ambientale e riduzione delle emissioni serra, di ottimizzazione dei consumi energetici e impiego di energie alternative, di autonomia energetica e di sicurezza negli approvvigionamenti, il Comitato suggerisce di applicare un trattamento diversificato (incentivazioni fiscali, amministrative, ecc.) per quei prodotti che più di altri contribuiscono sensibilmente a questi obiettivi. |
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5.5. |
Il Comitato considera che allo stato attuale le tecnologie esistenti richiedono un consumo di energia, di acqua e di territorio molto elevati (la resa per ettaro è tale che se un terzo dell'intera superficie italiana fosse riservata alla coltivazione di colza si otterrebbe una quantità di biodiesel sufficiente a sostituire solo il 10 % dei consumi totali di prodotti petroliferi nel paese e il 40 % dei consumi di gasolio per autotrazione). |
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5.6. |
Il Comitato ritiene che la proposta di nuova direttiva debba essere accompagnata da un importante e ampio processo di valutazione economica ambientale e sociale; esso considera che, almeno in questa fase, tale processo non appare così strutturato come l'argomento meriterebbe. |
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5.7. |
È fondamentale, per non vanificare gli effetti della lotta all'inquinamento, ottenere i biocarburanti con prodotti agricoli nazionali a «chilometri zero». Non devono essere trasportati tra i diversi paesi per lunghe distanze, con un conseguente consumo di combustibili fossili. Il problema di recuperare energia dai residui agroalimentari è correlato sia ad una grande dispersione di questi sul territorio, che comporterebbe una costosa movimentazione verso centri di trattamento, sia ad un notevole loro contenuto di acqua che comporta volumi elevati da trattare. Per queste ragioni il trattamento di tali biomasse dovrebbe essere preferenzialmente fatto in situ. |
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5.8. |
Il Comitato ritiene che sia opportuno sostenere la ricerca delle tecnologie collegate alle biofuel cell, cioè le celle a combustibile biologico che utilizzano biocatalizzatori per convertire energia chimica in energia elettrica. Tale processo, ai fini della produzione di energia attraverso queste celle, consente di recuperare tutti gli elettroni che la pianta, dalla quale deriva la biomassa, ha accumulato nel processo di fotosintesi (24 elettroni per ogni molecola di glucosio ossidata a CO2 ed acqua). |
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5.9. |
Il Comitato condivide le valutazioni del Parlamento europeo che nella risoluzione sulla strategia per la biomassa e i biocarburanti, approvata a Strasburgo il 14 dicembre 2006, evidenziava nei suoi «considerando» che «il settore dei trasporti, pur essendo responsabile di oltre il 20 % delle emissioni di gas a effetto serra, non è incluso nel meccanismo del commercio delle emissioni …». A questo fine il Comitato raccomanda alla Commissione di esaminare la possibilità di estendere l'applicazione del modello dei certificati bianchi al settore automobilistico. |
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5.10. |
Nella stessa risoluzione il Parlamento europeo: «invita la Commissione a introdurre una certificazione obbligatoria e completa che consenta la produzione sostenibile di biocarburanti in tutte le fasi, comprendente norme per le fasi di coltivazione e trasformazione nonché per il bilancio dei gas a effetto serra nel corso dell'intero ciclo di vita, che si applichi sia ai carburanti prodotti all'interno dell'Unione europea che a quelli importati; e ad appoggiare lo sviluppo e l'utilizzazione del sistema di monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES) per controllare l'utilizzazione del suolo nella produzione di bioetanolo al fine di impedire la distruzione delle foreste pluviali e altre ripercussioni negative sull'ambiente». Il Comitato condivide e sostiene le proposte del Parlamento europeo. |
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5.11. |
Il Comitato evidenzia che in alcuni degli Stati membri che hanno aderito all'UE di recente il parco macchine è particolarmente obsoleto e composto da un usato meno qualificato di quello dei mercati ricchi. Il reddito pro capite in questi paesi è piuttosto basso, come lo è d'altronde anche quello di fasce importanti di popolazione dei paesi a reddito pro capite più alto. Ciò significa che non è praticabile l'idea di prevedere obblighi e costi per questi cittadini europei, per i quali l'automobile è forse un indispensabile strumento di lavoro. |
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5.12. |
Il Comitato ritiene che in questa fase i biocarburanti possano certamente sostenere il mercato dei carburanti ma non rappresentare una risposta strutturale alle richieste che da esso provengono: in ogni caso, la loro produzione dovrà essere rigorosamente monitorata per evitare i rischi ambientali e sociali evidenziati nel presente parere. In considerazione dei potenziali problemi individuati nel presente parere il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe riconsiderare costantemente l'obiettivo del 10 % ed essere disposta a presentare proposte volte a modificarlo qualora detti problemi non possano essere risolti in maniera soddisfacente e sostenibile. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Allo stato sembrano confermate le stesse cifre dello scorso anno, senza nessun aumento e, recentemente, la Commissione ha manifestato dubbi sul mantenimento del premio nel 2008.
(2) Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione — Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 — e oltre — Sostenere i servizi ecosistemici per il benessere umano, GU C 97 del 28.4.2007.
(3) = Per la benzina si utilizza il Platt’s CIF High nel Mediteranneo
(4) = Per il gasolio si utilizza il Platt’s CIF High nel Mediteranneo
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/44 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Risultati del riesame della strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri
COM(2007) 19 def.
(2008/C 44/11)
La Commissione, in data 7 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.
1. Sintesi e raccomandazioni
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1.1. |
Il CESE appoggia l'iniziativa della Commissione europea intesa a rivedere la strategia comunitaria per la riduzione delle emissioni di CO2 originate dalla circolazione stradale. |
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1.2. |
La Commissione ha proposto — e il Consiglio ha inteso confermare — di ridurre le emissioni di CO2 di autovetture a 130 g/km per il 2012, attraverso miglioramenti tecnologici da apportare ai motori dei veicoli. Un ulteriore abbattimento di 10 g/km dovrà essere realizzato, se tecnicamente possibile, grazie ad interventi tecnologici alternativi e ad un maggior uso dei biocarburanti, per raggiungere l'obiettivo globale di 120 g/km entro il 2012. |
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1.3. |
Il CESE ritiene che questa ambiziosa iniziativa possa avere successo solo se attuata con interventi equilibrati e diversificati, nonché con tempistiche che tengano in conto la necessità per i costruttori di adattare le soluzioni tecnologiche prescelte a tutti i modelli prodotti, operazione complessa e con costi non omogenei. In altre parole il miglioramento delle prestazioni delle autovetture in termini di emissioni di CO2 deve essere compatibile con la capacità di essere assorbito sia nel conto economico e nel contesto tecnologico dei costruttori, sia nella capacità di spesa dei potenziali acquirenti. |
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1.4. |
In questa ottica il CESE, mentre ribadisce l'opportunità che i costruttori siano spinti ad accelerare ulteriormente nella riduzione di consumi ed emissioni, indica anche la necessità di perseguire ulteriori strade al fine di realizzare l'obiettivo attraverso un impianto legislativo il più efficace ed efficiente possibile dal punto di vista sociale, economico ed ambientale. |
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1.5. |
Il CESE raccomanda quindi la realizzazione di una valutazione d'impatto ampia ed approfondita, in grado di stabilire i costi/benefici delle varie soluzioni possibili, dagli interventi sulla tecnologia dell'auto agli altri strumenti utilizzabili: adeguamento delle infrastrutture, combustibili alternativi, incentivi fiscali, informazione attraverso varie forme di educazione ad una guida ecocompatibile [particolarmente necessaria negli agglomerati urbani (1)] e orientamento della domanda con una tassazione mirata alle emissioni di CO2. Il CESE ritiene inoltre che siano da considerare tra le misure auspicabili anche l'utilizzo di pneumatici a basso tasso di rotolamento capaci di ridurre, stando a fonti dell'industria, del 3-4 % i consumi. Nella stessa direzione appare il suggerimento della Commissione relativo all'istituzione di sistemi di controllo della pressione dei pneumatici stessi. |
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1.6. |
Un mix intelligente e ponderato di tutte le misure disponibili può consentire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione del CO2, senza rallentare il rinnovo del parco circolante, grazie al contenimento e alla ripartizione dell'onere finanziario che eviterebbe di penalizzare i potenziali acquirenti di auto nuove. |
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1.7. |
Il CESE auspica inoltre che lo strumento legislativo prescelto si riveli quanto più neutrale possibile per ciò che riguarda la concorrenza tra costruttori, senza porre limitazioni vincolanti all'offerta sul mercato di modelli da parte dei costruttori stessi, ma orientando la domanda degli acquirenti verso modelli a minori emissioni. Le riduzioni di CO2 richieste dovrebbero essere correlate alle differenziazioni esistenti nelle gamme di prodotto, utilizzando i parametri ritenuti maggiormente indicativi e proporzionali al consumo di emissioni di CO2. |
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1.8. |
In merito poi ai parametri possibili, è di fondamentale importanza che quello prescelto serva da strumento per indirizzare i consumatori verso una tipologia di veicolo che risponde ai loro reali bisogni, evitando consumi ed emissioni non necessarie al loro utilizzo corrente. |
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1.9. |
In questa ottica il CESE esprime la sua perplessità sull'intenzione della Commissione di fare oggetto di un intervento legislativo anche i veicoli commerciali leggeri. Infatti, tali veicoli, destinati ad un uso professionale, subiscono uno scrutinio attento da parte dei potenziali acquirenti in quanto i consumi e quindi le emissioni di CO2 incidono in misura importante sui costi d'esercizio. Di conseguenza i veicoli offerti sul mercato adottano già oggi le soluzioni più efficienti, ovvero quasi esclusivamente la motorizzazione diesel. In ogni caso, e prima di una decisione in merito, il CESE raccomanda alla Commissione di elaborare una valutazione d'impatto basata sulla rilevazione aggiornata delle emissioni dei veicoli commerciali leggeri, rilevazione che non risulta attualmente disponibile. |
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1.10. |
Il CESE ritiene infine che l'intervento degli Stati membri si debba esplicare su più fronti oltre quelli esposti in precedenza (strade, semafori intelligenti, …), non da ultimo attraverso iniziative di acquisti «verdi» per la costituzione delle proprie flotte di servizio e l'impegno sia nella realizzazione di reti infrastrutturali in grado di rendere possibile l'accesso alla distribuzione di combustibili a minor impatto ambientale come il gas naturale, sia nel facilitare le possibilità di acquisto di veicoli a gas naturale come pure a GPL, argomento su cui il CESE si è già espresso in pareri precedenti (2). |
2. Introduzione
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2.1. |
Nel 1995 fu impostata una strategia comunitaria per la riduzione delle emissioni di CO2, strategia che doveva integrare misure riguardanti l'offerta dei costruttori di autoveicoli e la domanda dei consumatori. |
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2.2. |
Più in dettaglio e per quanto riguarda l'offerta, nel 1998 i costruttori europei sottoscrissero un accordo volontario che aveva come obiettivo la riduzione, entro il 2008, della media delle emissioni di CO2 delle auto a 140 g/km. Lo stesso impegno per il 2009 fu assunto dai costruttori giapponesi e coreani l'anno successivo. |
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2.3. |
Nello stesso tempo, sul fronte della domanda, la strategia della Commissione europea prevedeva un'informazione per i consumatori sul tema delle emissioni di CO2 tale da orientarli verso scelte virtuose, insieme ad un utilizzo mirato del sistema di tassazione delle autovetture. |
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2.4. |
In pratica, sul fronte dell'offerta si sono registrati miglioramenti importanti, ma non sufficienti da soli al raggiungimento dell'obiettivo, essendo mancato l'apporto degli altri due strumenti, informazione/orientamento dei consumatori e tassazione, come riconosce la stessa Commissione europea, quando afferma, nella sua comunicazione, che «la maggior parte delle riduzioni di emissioni di CO2 è dovuta ai miglioramenti della tecnologia automobilistica». |
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2.5. |
In effetti, le emissioni medie di CO2 delle autovetture dal 1995 al 2005 sono passate da 186 g/km a 161 g/km con una riduzione del 13 % circa, mentre il 30 % della flotta immessa sul mercato nel 2004 produce emissioni inferiori ai 140 g/km. |
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2.6. |
Per contro e nello stesso periodo, le preferenze dei consumatori si sono orientate verso veicoli più grandi, più pesanti, più performanti e multiuso, sia perché percepiti come più sicuri, sia per via dell'avvenuto trasferimento fuori dei centri urbani di molta parte della popolazione. Di conseguenza l'informazione sulle emissioni, il cosiddetto labelling ha avuto scarso effetto sulle scelte dei consumatori. |
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2.7. |
L'altro strumento per orientare la domanda e cioè una tassazione mirata sulla riduzione delle emissioni di CO2, non ha trovato ancora una dimensione europea (3), ma solo iniziative nazionali, in meno della metà degli Stati membri, con misure che, in qualche caso, hanno avuto, paradossalmente, un impatto negativo sulla riduzione del CO2. Un esempio su tutti, l'incremento della tassazione del diesel che ha ridotto il processo di «dieselizzazione» degli ultimi anni in molti Stati membri in cui il parco circolante di veicoli diesel è più numeroso. |
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2.8. |
In conclusione, vuoi per i fattori esterni che hanno rallentato il processo di riduzione avviato con la revisione delle tecnologie motoristiche a seguito degli accordi volontari, vuoi per un mancato utilizzo degli altri strumenti previsti, gli obiettivi attesi per il 2008-2009 non sembrano raggiungibili. Di qui la decisione della Commissione di rivedere la strategia, proponendo la comunicazione che il CESE è chiamato a valutare e che illustra le linee guida che dovrebbero essere seguite da una specifica proposta legislativa entro la prima metà del 2008. |
3. La comunicazione della Commissione europea
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3.1. |
Nella comunicazione la Commissione propone di raggiungere entro il 2012 l'obiettivo UE di 120 g/km da conseguirsi facendo leva su una combinazione d'interventi dell'UE e degli Stati membri. |
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3.2. |
A tal fine, la Commissione proporrà, entro la metà del 2008, un quadro legislativo, puntando a riduzioni obbligatorie delle emissioni di CO2 per raggiungere l'obiettivo medio di emissione per il nuovo parco auto di 130 g/km, grazie a miglioramenti tecnologici apportati al motore dei veicoli. |
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3.3. |
Un ulteriore abbattimento di 10 g/km o equivalente, se tecnicamente possibile, dovrà essere realizzato grazie a miglioramenti tecnologici di altra natura e ad un maggiore uso dei biocarburanti. In particolare si tratterà delle seguenti misure:
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3.4. |
La Commissione riconosce che il quadro legislativo per attuare l'obiettivo medio di emissione per il nuovo parco auto dovrà essere concepito in modo da fissare obiettivi di riduzione neutri dal punto di vista della concorrenza, socialmente equi e sostenibili, che rispettino le diverse caratteristiche dei costruttori europei di automobili ed evitino qualunque distorsione ingiustificata della concorrenza fra i costruttori suddetti. |
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3.5. |
La Commissione invita gli Stati membri in questo contesto ad adeguare le rispettive politiche in materia di tassazione nel settore automobilistico per favorire l'acquisto di automobili a basso consumo in tutta l'UE e per aiutare i costruttori a rispettare le disposizioni sull'efficienza dei carburanti che entreranno in vigore. |
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3.6. |
La Commissione suggerisce altresì come soluzione efficace per ridurre i costi di adempimento che incombono ai costruttori, quella di attuare un'imposizione differenziata sull'intera gamma di automobili presenti sul mercato, in modo da incentivare gradualmente il passaggio verso auto meno inquinanti. |
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3.7. |
È menzionato il ruolo degli incentivi fiscali che potrebbero rappresentare uno strumento incisivo per incoraggiare l'acquisto delle classi di autoveicoli leggeri meno inquinanti esistenti sul mercato; stesso accento è posto sull'esigenza di migliorare l'efficacia in termini di informazione dei potenziali acquirenti sui consumi delle automobili (nel 2007 la Commissione adotterà una proposta di modifica della direttiva 1999/94/CE relativa al labelling). |
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3.8. |
La Commissione sostiene infine la necessità che gli Stati membri promuovano modalità di guida compatibili con l'ambiente organizzando campagne di formazione e/o sensibilizzazione di comportamenti alla guida volti alla riduzione dei consumi (eco-driving). |
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3.9. |
Infine i costruttori sono invitati a sottoscrivere entro il 2007 un accordo volontario di buone prassi per le attività pubblicitarie e di commercializzazione finalizzato a promuovere modelli di consumo sostenibili. |
4. Osservazioni generali
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4.1. |
Il CESE concorda pienamente sulla necessità di riesame della strategia comunitaria in favore della riduzione delle emissioni di CO2 legate al trasporto stradale, le quali incidono per circa il 20 % delle emissioni complessive. |
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4.2. |
Il CESE avverte altresì la complessità di questo riesame che deve mirare alla riduzione ulteriore delle emissioni di CO2 senza tuttavia minare la competitività del settore autoveicolare che opera in un mercato globale estremamente concorrenziale. |
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4.3. |
Va ricordato, infatti, che l'industria dell'auto occupa, solo in Europa, due milioni di persone alle quali si aggiungono altri dieci milioni di lavoratori impegnati nell'indotto. La stessa industria rappresenta il 3,5 % del PIL europeo, le esportazioni nette ammontano a 33,5 miliardi di euro e, non ultimo, le tasse automobilistiche portano 365 miliardi di euro l'anno nelle casse degli Stati membri. |
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4.4. |
Non a caso con la comunicazione CARS 21 (4) la Commissione ha inteso delineare le linee guida della politica industriale in un settore come quello automobilistico che «svolge un ruolo sostanziale nell'economia europea». Tale documento costituisce la risposta della Commissione al rapporto finale e alle raccomandazioni formulate nel dicembre del 2005 dal gruppo di alto livello CARS 21 che era formato, oltre che dalla stessa Commissione, dai rappresentanti dell'industria e dalle principali componenti della società civile. Il documento evidenzia che la realizzazione di obiettivi ambiziosi nelle «aree complesse», quali appunto anche la riduzione delle emissioni di CO2, per non compromettere la competitività industriale e l'occupazione, richiede un approccio integrato volto a far convergere verso il medesimo obiettivo di pubblica utilità il contributo di tutti i soggetti interessati. |
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4.5. |
Il CESE fa proprie le preoccupazioni espresse da coloro che evidenziano i timori di impatto eccessivamente elevato sui costi industriali che potrebbero comportare decisioni tali da mettere a repentaglio direttamente o indirettamente i livelli occupazionali dell'industria autoveicolistica, stimolando scelte strategiche volte alla possibile delocalizzazione dell'industria, fuori del perimetro dell'UE. |
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4.6. |
Tenendo presente queste riflessioni, il CESE concorda sull'opportunità che i costruttori automobilistici siano spinti ad accelerare ulteriormente sulla riduzione di consumi ed emissioni, ma rileva anche la necessità di perseguire ulteriori strade al fine di realizzare un impianto legislativo per la riduzione delle emissioni di CO2 il più efficiente possibile dal punto di vista sociale, economico ed ambientale. |
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4.6.1. |
Di seguito si presentano gli elementi che il CESE raccomanda al fine di ottimizzare i risultati della futura legislazione comunitaria in materia di riduzione di emissioni di CO2 dovute alla circolazione stradale:
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4.6.2. |
Tutte queste misure avrebbero altresì l'effetto di non minare il processo di rinnovo del parco circolante, grazie alla distribuzione dell'onere finanziario per la riduzione del livello di emissioni di CO2. Per inciso, il CESE rileva che, secondo il PECC (6), la riduzione potenziale di emissioni di CO2 attraverso l'eco-driving sarebbe pari a 50 Mt in Europa al 2010 (2006-2010) ed uno studio congiunto TNO/IEEP (7) sostiene che l'eco-driving è non solo una via percorribile ma anche efficace e misurabile. |
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4.6.3. |
Per contro, il prezzo di vendita medio delle vetture lieviterebbe di circa 3 600 euro per centrare il target di 120 g/km solo attraverso la tecnologia dell'auto. Per completezza di informazione si aggiunge che le stesse fonti (8) riportano che per il raggiungimento dei 130 g/km il costo aggiuntivo per l'acquirente sarebbe comunque rilevante, nell'ordine di 2 500 euro. |
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4.6.4. |
In un'Europa che rinnova il proprio parco circolante mediamente ogni 12 anni, come ricorda la Commissione, è evidente che aumenti di prezzo così importanti rallenterebbero ulteriormente il ciclo di sostituzione dell'automobile. In quanto all'impatto sociale di tali aumenti, è altresì evidente che gli incrementi di prezzo renderebbero ancor più critiche le possibilità di acquisto per le fasce sociali meno abbienti. |
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4.7. |
Infine il CESE non ritiene di poter condividere la posizione della Commissione secondo la quale le tecnologie complementari apporterebbero un vantaggio in termini di emissioni di CO2 pari a 10 g/km in quanto l'apporto dei biocarburanti in termini di capacità di penetrazione è ancora incerto e non può ritenersi scontato che il loro contributo si attesti al livello atteso di 5 g/km. Il CESE a questo proposito ritiene che sia indispensabile mettere in funzione un sistema costituito da misure monitorabili con certezza, quale è il caso, per esempio, di eco-driving e infrastrutture. |
5. Osservazioni particolari
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5.1. |
Il CESE, in linea con le considerazioni generali già svolte e anche alla luce del dibattito parlamentare in atto, auspica che lo strumento legislativo che sarà predisposto, oltre a non pregiudicare l'accessibilità dei potenziali acquirenti di autovetture nuove, al fine di assicurare il rinnovo del parco circolante, sia anche in grado di orientare decisamente la domanda verso modelli a minori emissioni. |
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5.2. |
In assenza di una valutazione d'impatto ampia ed approfondita, in grado di evidenziare i costi/benefici delle varie soluzioni possibili, il CESE si riserva di esprimere in un parere successivo la propria opinione sui limiti opportuni e realizzabili in termini di riduzioni di emissioni di CO2, ma raccomanda fin d'ora che nello strumento legislativo che si intenderà applicare si tenga in opportuna considerazione che il ciclo produttivo automotive è notoriamente complesso e necessita di un lead time (9) che può arrivare fino a 7 anni. |
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5.3. |
Considerati i tempi di definizione delle norme nel processo di codecisione, il CESE stima che il testo finale contenente i requisiti da soddisfare non sarà pronto prima del 2009. In relazione a quanto detto sopra sui cicli industriali tipici del settore, la prima data di fattibilità si attesta al 2015, anche in considerazione dell'entrata in vigore a quel momento del regolamento EURO 6 per la riduzione di inquinanti che, come nel caso del CO2, richiedono interventi strutturali sull'autovettura. |
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5.4. |
L'obiettivo al 2012 invece rischia di essere tecnicamente non realizzabile e comunque non senza impatti decisamente negativi sulla competitività dell'industria automobilistica europea ed i suoi livelli occupazionali. |
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5.5. |
Fin da ora il CESE si pronuncia a favore di uno strumento legislativo che si riveli neutrale per quanto riguarda la concorrenza tra costruttori: ossia non porre limitazioni vincolanti all'offerta sul mercato di modelli da parte dei costruttori, ma orientare la domanda degli acquirenti verso modelli a minori emissioni; le riduzioni di CO2 richieste dovrebbero essere correlate alle differenziazioni esistenti nelle gamme di prodotto, utilizzando i parametri ritenuti maggiormente indicativi e proporzionali al consumo di emissioni di CO2. |
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5.6. |
In tale ottica, si ritiene che il parametro prescelto debba garantire che i contributi in termini di riduzione di emissioni dei diversi segmenti e i conseguenti, inevitabili aumenti del costo dei veicoli non siano tali da limitare l'affordability, ovvero la possibilità per il cliente di poter comprare il veicolo nuovo, in linea con la propria capacità di spesa. |
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5.6.1. |
Un parametro possibile è rappresentato dal peso del veicolo (così come suggerito dall'ACEA, l'Associazione europea dei costruttori automobilistici), in quanto direttamente collegato al livello di emissioni di CO2. Il CESE ricorda che dal 1996 al 2005 l'incremento di peso dei veicoli è stato di 32 kg con un relativo incremento di emissioni di CO2 pari a 6,6 g/km. In effetti il peso sarà utilizzato come parametro di riferimento nella strategia di riduzione delle emissioni di CO2 in Giappone dove, nel 2006, è stato deciso di raggiungere i 138 g/km entro il 2015. L'ACEA è quindi favorevole a questo parametro in quanto va nella direzione di armonizzare le politiche sul CO2 a livello mondiale. |
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5.6.2. |
Va rilevato altresì che sono attualmente in discussione altri parametri che potrebbero essere utilizzati per identificare e differenziare le gamme di prodotto. In particolare va citata la proposta del relatore del Parlamento europeo Chris DAVIES che fa riferimento al footprint (area occupata dall'auto in funzione del passo e della carreggiata (10)). |
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5.6.3. |
Il CESE, da parte sua, considera che introdurre, ad esempio, come parametro il box volume (fisicamente si tratta della lunghezza × larghezza × altezza del veicolo) potrebbe essere interessante e congruo, rivelandosi come possibile strumento per indirizzare i consumatori verso una tipologia di veicolo che risponde ai reali bisogni, senza emissioni di CO2 inutili per via della sproporzione «necessità di uso/volume del veicolo». In altre parole, chi ha bisogno di un SUV (Sport Utility Vehicle) che può trasportare più persone e più carico sarà disposto a pagare di più perché realmente necessita di tale veicolo, altrimenti, se non ha queste esigenze, troverà più conveniente orientarsi verso un segmento inferiore. |
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5.7. |
Per quanto riguarda la proposta avanzata dallo stesso relatore al Parlamento europeo, Chris DAVIES, sull'opportunità di creare un meccanismo detto Carbon Allowance Reduction System (CARS) per la definizione di crediti e penali nel caso di eccedenza o viceversa di posizione virtuosa a fronte dei limiti stabiliti, il CESE ritiene impraticabile l'introduzione di un sistema di scambio di quote di CO2 in un mercato limitato al settore automobilistico. Vista l'ambizione degli obiettivi appare, infatti, irrealistico che si creino volumi di quote di scambio sufficienti a garantire il funzionamento del sistema. |
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5.7.1. |
Il CESE ritiene invece possibile l'applicazione di un sistema di emission trading«aperto» (che consenta cioè il trading con altri settori) con il vantaggio di garantire una complessiva riduzione delle emissioni di CO2 in un contesto di adeguata flessibilità, fissando peraltro dei limiti agli acquisti possibili per le case automobilistiche. Il CESE appoggia dunque un sistema aperto da definirsi e da declinarsi nelle sue implicazioni economiche alla luce dei cambiamenti che interverranno nel mercato delle emissioni da oggi al 2015, ribadendo la necessità che tali implicazioni economiche non compromettano l'affordability per il cliente finale. |
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5.8. |
Con riferimento poi al paragrafo della comunicazione relativo all'introduzione di un codice etico per le attività di commercializzazione e pubblicità, il CESE rileva che esistono già, in quasi tutti gli Stati membri, accordi, nella maggior parte dei casi molto stringenti, per la definizione di regole comportamentali in questo senso. In linea di principio comunque il CESE è favorevole ad una armonizzazione degli stessi e quindi non è contrario alla definizione di un codice europeo di buone prassi così come suggerito dalla Commissione ai costruttori automobilistici. |
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5.9. |
Il CESE rileva poi che la comunicazione della Commissione intende fare oggetto di uno strumento legislativo per la riduzione delle emissioni di CO2 anche i veicoli commerciali leggeri. |
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5.9.1. |
Al CESE sembra che i veicoli commerciali leggeri (categoria N1 e veicoli per trasporto persone derivati) non necessitino di un tale intervento in quanto destinati ad un utilizzo professionale e quindi i loro consumi e le emissioni di CO2 costituiscono già di per sé un elemento determinante nella scelta dell'acquirente, incidendo in modo molto importante sui costi di esercizio della propria attività. Di conseguenza, i veicoli offerti sul mercato adottano già oggi le soluzioni più efficienti ovvero quasi esclusivamente la motorizzazione diesel. |
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5.9.2. |
Tuttavia e prima di ogni decisione in merito, il CESE raccomanda alla Commissione di elaborare una valutazione d'impatto basata sulla rilevazione aggiornata delle emissioni dei veicoli commerciali leggeri, rilevazione che non risulta attualmente disponibile. |
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5.9.3. |
Porre obiettivi in termini di g/km ai veicoli commerciali, senza una precisa conoscenza dei dati relativi, comporta inoltre il rischio di ridurre le capacità di trasporto dei singoli veicoli con conseguente inefficienza che richiederebbe o un aumento del numero di veicoli necessari a trasportare la stessa quantità di merci, oppure un veicolo di categoria e dimensioni superiori, con aggravio delle emissioni complessive. |
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5.10. |
Il CESE inoltre considera opportuno che il tema del CO2 emesso da autovetture e veicoli commerciali leggeri sia valutato nella sua complessità considerando tutto il ciclo di vita dei suddetti beni, dai processi produttivi, all'utilizzo, sino a fine vita. Il CESE sottolinea altresì, alla luce di quanto detto sopra, la necessità di coordinamento e di coerenza tra le iniziative legislative e regolatorie legate all'industria automobilistica con impatto sulle emissioni di CO2 per evitare che iniziative su temi diversi confliggano causando ritardi nell'implementazione delle iniziative stesse. |
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5.11. |
Il CESE ritiene che le iniziative dei programmi quadro futuri per la ricerca debbano fortemente essere indirizzati in maniera prioritaria e senza indugio verso progetti volti a trovare soluzioni tecnicamente fattibili ed economicamente sostenibili per la riduzione delle emissioni globali di CO2 (quindi non solo relative al trasporto), considerando gli impatti determinati da tutto il ciclo di vita delle varie fonti di emissione. Il CESE è del parere che i progetti di ricerca debbano lavorare a largo spettro individuando soluzioni nel breve, nel medio e nel lungo periodo, tenendo fermo l'obiettivo sull'affordability sia per il costruttore che per il cliente finale, in modo di incentivare il rinnovo del parco circolante nella direzione di una mobilità sostenibile. |
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5.12. |
Il CESE ritiene infine che l'intervento degli Stati membri si debba esplicare su più fronti oltre a quelli esposti in precedenza (strade, semafori intelligenti, ecc.), non da ultimo attraverso iniziative di acquisti «verdi» per la costituzione delle proprie flotte di servizio e l'impegno sia nella realizzazione di reti infrastrutturali in grado di rendere possibile l'accesso alla distribuzione di combustibili a minor impatto ambientale come il gas naturale, sia nel facilitare le possibilità di acquisto di veicoli a gas naturale come pure a GPL. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Cfr. parere della GU C 168 del 20.7.2007 sul tema Trasporti nelle aree urbane e metropolitane.
(2) Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sviluppo e promozione dei carburanti alternativi per il trasporto stradale nell'Unione europea, GU C 195 del 18.8.2006, pag. 75.
(3) Non è stata approvata la proposta di direttiva sulla tassazione delle autovetture nell'UE (COM(2005) 261 def.), che prevedeva di ristrutturare la fiscalità dell'auto basandola interamente o parzialmente sulle emissioni di CO2.
(4) Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo (COM(2007) 22 def.) del 7.2.2007. Il CESE ha elaborato un parere in merito, relatore DAVOUST.
(5) In corso di discussione il parere TEN/286 sul tema Uso dei carburanti/progressi compiuti.
(6) European Climate Change Programme — ECCP (Programma europeo per il cambiamento climatico — PECC). Nell'ambito del PECC, il consulente della commissione (TNO) ha stimato costi e potenziale di riduzione di CO2 delle differenti misure possibili.
(7) IEEP, Institute for European Environmental Policy — TNO Consultancy.
(8) Cfr. nota 6.
(9) Tempo necessario all'industria per implementare qualsiasi nuovo requisito che comporti interventi strutturali sul veicolo.
(10) Passo: distanza tra asse anteriore e posteriore; carreggiata: distanza tra i pneumatici.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/49 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/54/CE per quanto riguarda l'applicazione di talune disposizioni all'Estonia
COM(2007) 411 def. — 2007/0141 (COD)
(2008/C 44/12)
Il Consiglio, in data 17 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 47, paragrafo 2, 55 e 95, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 150 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/50 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla selezione e l'autorizzazione dei sistemi che forniscono servizi mobili via satellite (MSS)
COM(2007) 480 def. — 2007/0174 (COD)
(2008/C 44/13)
Il Consiglio, in data 7 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 25 settembre 2007, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha nominato relatore generale OPRAN e ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.
1. Conclusioni
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1.1. |
Il CESE si dichiara d'accordo con la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla selezione e l'autorizzazione dei sistemi che forniscono servizi mobili via satellite, e raccomanda che venga adottata ed entri in vigore al più presto. |
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1.2. |
Il CESE sostiene con forza l'obiettivo prioritario della proposta in esame, formulato nel titolo 1, articolo 1, paragrafo 1: creare una procedura unica, coordinata a livello comunitario per la selezione e l'autorizzazione, da parte degli Stati membri, degli operatori di sistemi mobili di comunicazioni via satellite. |
|
1.3. |
Il CESE giudica necessario che tale proposta venga adottata quanto prima tenuto conto dei seguenti aspetti:
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1.4. |
Il CESE sottolinea che la realizzazione e l'utilizzo dei sistemi di comunicazione via satellite costituiscono, data l'estensione del territorio coperto, un'iniziativa fondamentale che garantisce l'espansione dell'industria spaziale europea e lo sviluppo di applicazioni specifiche nel settore delle comunicazioni. Tale iniziativa rientra pienamente nella strategia di Lisbona per la promozione dello sviluppo sostenibile, in particolare poiché contribuisce direttamente alla creazione di nuovi posti di lavoro nel quadro di una maggiore competitività. |
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1.5. |
Il CESE prende atto con soddisfazione dell'esistenza, a livello europeo, di notevoli attrezzature tecniche in questo campo, una realtà — questa — che corrobora ulteriormente la proposta in esame. Infatti, tre dei maggiori operatori mondiali di sistemi satellitari sono europei e le comunicazioni via satellite rappresentano il 40 % delle entrate correnti del settore spaziale europeo. |
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1.6. |
Il CESE si compiace del consenso ottenuto dalla Commissione nel quadro della promozione della proposta in esame che, pur essendo ancora allo stadio di progetto, può già contare sul sostegno di tutti i soggetti consultati: il settore satellitare, gli operatori delle reti di telecomunicazione, l'Agenzia spaziale europea e gli enti nazionali di regolamentazione degli Stati membri. |
|
1.7. |
Allo stesso tempo, ritiene che la decisione, nella versione definitiva attualmente in esame, riesca a conciliare in modo equilibrato alcuni punti di vista divergenti espressi durante le consultazioni. Le divergenze riguardavano in particolare i metodi e i criteri di selezione, la necessità di aumentare la flessibilità a livello nazionale per quanto concerne i tempi necessari a ottenere l'autorizzazione, il periodo di validità di quest'ultima e la possibilità di un coordinamento più approfondito delle procedure nazionali di autorizzazione. |
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1.8. |
Il CESE raccomanda di adottare la decisione senza modifiche, tenendo però conto che, per quanto concerne l'applicazione delle disposizioni relative alla selezione e all'autorizzazione, occorrerà adottare una regolamentazione che tuteli gli interessi privati dei cittadini e garantisca il rispetto della vita privata degli utenti delle apparecchiature terminali dei sistemi mobili via satellite. |
2. Introduzione
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2.1. |
L'elaborazione e l'attuazione di un sistema paneuropeo di comunicazioni via satellite costituiscono una piattaforma alternativa e innovativa per fornire vari tipi di servizi di telecomunicazione e radiodiffusione/multicasting indipendentemente dal luogo in cui si trovano gli utenti finali, come l'accesso Internet/intranet ad alta velocità, l'accesso mobile a contenuti multimediali, la protezione civile, la gestione di crisi di tipo non militare (catastrofi naturali e provocate dall'uomo), la garanzia della sicurezza e dell'ordine interno, le applicazioni come la gestione delle flotte (fleet management), l'assistenza medica a distanza, ecc. |
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2.2. |
Il sistema è concepito in modo tale da contribuire allo sviluppo del mercato interno, al miglioramento della competitività (tramite l'aumento della disponibilità di servizi paneuropei) e alla promozione di investimenti efficaci, soprattutto mediante l'introduzione di servizi innovativi intesi a garantire la copertura, in termini di capacità di comunicazione, delle zone terrestri periferiche e dello spazio marittimo. |
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2.3. |
In particolare per i sistemi paneuropei, è necessario creare una procedura comunitaria di selezione degli operatori di sistemi mobili via satellite e adottare disposizioni relative all'autorizzazione coordinata, a livello nazionale, degli operatori selezionati. L'armonizzazione dei criteri di selezione per i sistemi mobili di comunicazioni via satellite consente di adottare una politica comune a livello europeo in questo settore. La selezione, da parte degli Stati membri, di operatori di sistemi mobili di comunicazioni diversi, che quindi utilizzano satelliti diversi, rischia di generare campi perturbatori complessi dovuti alle interferenze, e addirittura di mettere in pericolo il buon funzionamento del sistema nel suo insieme qualora un operatore si veda assegnare radiofrequenze diverse nei diversi Stati membri in cui opera. Questi rischi potenziali sono il motivo per cui, al fine di garantire la coerenza degli approcci adottati dai diversi Stati membri in materia di autorizzazione, è essenziale definire a livello comunitario le disposizioni relative all'assegnazione sincronizzata delle radiofrequenze e le condizioni armonizzate di autorizzazione, nel rispetto delle specifiche condizioni nazionali compatibili con il diritto comunitario. |
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2.4. |
Le comunicazioni via satellite, elemento essenziale del mercato interno, superano le frontiere nazionali e per questo motivo sono soggette alla regolamentazione internazionale, visto soprattutto il loro notevole contributo alla realizzazione di taluni obiettivi dell'Unione europea in materia di espansione della zona geografica coperta dallo spettro a banda larga. |
3. La proposta del Parlamento europeo e del Consiglio
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3.1. |
La proposta di decisione, basata sull'articolo 95 del Trattato, fornirebbe un quadro giuridico per la selezione e l'autorizzazione degli operatori di servizi di comunicazione mobili via satellite. Questa selezione dovrebbe effettuarsi conformemente agli obiettivi generali e alla procedura comparativa descritta nella proposta, e sarebbe svolta dalla Commissione con l'assistenza del comitato per le comunicazioni. L'autorizzazione (diritti di uso dello spettro radio) degli operatori selezionati sarebbe concessa a livello nazionale nel rispetto di una serie minima di condizioni armonizzate definite nella proposta. |
4. Osservazioni di carattere generale
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4.1. |
La Commissione propone che in sede di attuazione della decisione si tenga conto dei seguenti aspetti:
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4.2. |
Il CESE prevede che la selezione e l'autorizzazione dei primi due o tre operatori di sistemi mobili via satellite fornitori di servizi paneuropei sulla banda di frequenze 2 GHz saranno portate a termine tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. |
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4.3. |
Il CESE ritiene che il termine ultimo per l'attivazione dei servizi paneuropei rivolti ai singoli e alle imprese nonché dei servizi mobili via satellite su scala europea, tra cui l'accesso ad Internet ad alta velocità, i servizi mobili multimediali, la protezione civile e i soccorsi in caso di calamità, vada fissato entro il primo trimestre del 2011. |
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4.4. |
Il CESE ritiene che la conclusione dei preparativi per l'attuazione e l'utilizzo dei sistemi europei di posizionamento globale via satellite debba rivestire una priorità assoluta per la Commissione. |
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4.4.1. |
Il CESE constata tuttavia con rammarico che, in questo settore fondamentale, i programmi europei di navigazione satellitare Galileo ed EGNOS accusano un ritardo di cinque anni rispetto al calendario definito inizialmente e sono alle prese con notevoli difficoltà. Invita quindi la Commissione a trovare soluzioni che consentano di sbloccare l'attuale situazione. |
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4.4.2. |
Sempre più numerose sono le moderne attività economiche che si avvalgono di dati di posizionamento legati all'utilizzo di una base di tempo di elevata precisione. |
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4.4.3. |
Il CESE rammenta che il completamento del sistema di navigazione satellitare Galileo contribuirà in modo decisivo all'attuazione di un gran numero di politiche comunitarie in settori molto diversi tra loro come la gestione dei trasporti, il trasporto di sostanze pericolose, i servizi di emergenza, la navigazione marittima e interna, i trasporti aerei, la protezione civile e le missioni umanitarie, l'agricoltura, la pesca e il monitoraggio ambientale, i problemi relativi alla difesa e alla sicurezza interna oppure la garanzia di transazioni sicure nel settore dei servizi finanziari e bancari. |
5. Osservazioni specifiche
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5.1. |
Nella proposta di decisione in esame, il titolo I «Obiettivo, ambito di applicazione e definizioni», il titolo II «Procedura di selezione» e il titolo III «Autorizzazione» propongono diverse procedure e attività specifiche intese a conseguire l'obiettivo del progetto. |
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5.2. |
Il CESE raccomanda di adottare la decisione senza modifiche, fermo restando che occorrerà definire procedure di attribuzione a titolo prioritario delle radiofrequenze utilizzate dai servizi mobili via satellite nelle regioni geografiche in cui coesistono diversi sistemi di comunicazione capaci di generare interferenze dannose. |
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5.3. |
Il CESE ritiene che la decisione 2007/98/CE della Commissione, del 14 febbraio 2007, sull'uso armonizzato dello spettro radio nella banda di frequenze 2 GHz per la realizzazione di sistemi che forniscono servizi mobili via satellite contribuisca notevolmente al conseguimento degli obiettivi indicati nella proposta in esame all'articolo 1, paragrafo 1. Occorre quindi completare le disposizioni della decisione relative all'obbligo per cui «gli Stati membri mettono queste bande di frequenze a disposizione dei sistemi che forniscono servizi mobili via satellite nella Comunità a decorrere dal 1o luglio 2007», specificando le procedure da adottare al fine di monitorare e valutare la corretta applicazione di tale misura. |
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/52 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 95/50/CE per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione
COM(2007) 509 def. — 2007/0184 (COD)
(2008/C 44/14)
Il Consiglio, in data 25 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di cui sopra.
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 153 voti favorevoli e 7 astensioni.
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/53 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio nonché l'introduzione di un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra dovute all'uso di combustibili per i trasporti su strada, modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio per quanto concerne le specifiche relative al combustibile utilizzato dalle navi adibite alla navigazione interna e abroga la direttiva 93/12/CEE
COM(2007) 18 def. — 2007/0019 (COD)
(2008/C 44/15)
Il Consiglio, in data 14 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95 e 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore OSBORN.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 74 voti favorevoli e 3 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia decisamente i piani dell'Unione europea di far fronte ai cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas a effetto serra (GES). Per quanto riguarda il settore dei trasporti, il Comitato ritiene che occorra innanzi tutto risolvere i problemi alla radice: far fronte alle pressioni che hanno determinato, in un ampio arco temporale, una crescita continua di tutti i tipi di traffico. |
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1.2. |
Il Comitato ritiene inoltre che esista ancora un ampio margine per migliorare l'efficienza energetica in tutti i tipi di trasporto. Deplora l'evidente indebolimento degli intenti originari della Commissione in relazione ai consumi degli autoveicoli, che ha l'effetto di ridurre la pressione sull'industria automobilistica a perfezionare le tecniche in materia. |
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1.3. |
Il Comitato è in linea di principio favorevole alla diffusione dei biocarburanti nell'Unione. Ritiene tuttavia necessario valutare con grande attenzione l'impatto globale di tali combustibili in termini di CO2 e seguire da vicino il ritmo e le proporzioni della loro diffusione. |
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1.4. |
In particolare, la Commissione europea dovrebbe precisare come intende realizzare l'obiettivo di utilizzare, entro il 2020, una quota di biocarburanti pari al 10 %, tenuto conto delle condizioni previste dal Consiglio per la realizzazione di questo obiettivo, e dovrebbe essere disposta a modificare l'approccio adottato qualora esso consenta una riduzione di CO2 inferiore alle attese, oppure provochi altri effetti indesiderati sulle strutture agricole a livello mondiale o sulla biodiversità. |
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1.5. |
Il CESE riconosce tuttavia l'opportunità di modificare le specifiche relative ai combustibili, come viene proposto nella direttiva in esame, al fine di consentire la produzione e commercializzazione di un nuovo tipo di benzina ad elevato tenore di biocarburanti, purché si tenga conto delle preoccupazioni riguardanti le potenziali ripercussioni di questa misura in termini di inquinamento. |
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1.6. |
Il Comitato esprime il suo pieno appoggio alla proposta di introdurre l'obbligo, per il settore dei combustibili, di controllare e comunicare le emissioni di gas ad effetto serra prodotte durante il ciclo di vita dei combustibili commercializzati, nonché di ridurre tali emissioni dell'1 % annuo nel periodo compreso tra il 2010 e il 2020. Il Comitato ritiene che in questo ambito vi siano ottime ragioni per agire a livello europeo, piuttosto che di Stati membri. |
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1.7. |
Il Comitato è favorevole ai lievi cambiamenti proposti riguardo al tenore di zolfo nei combustibili. Suggerisce che la riduzione in due fasi delle emissioni di zolfo, proposta nel caso delle vie navigabili interne, sia portata ad una fase unica, mantenendo però l'obiettivo finale stabilito per il tenore di zolfo (10 ppm), al fine di evitare che gli armatori debbano apportare due serie di modifiche distinte alle loro imbarcazioni. |
2. Introduzione
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2.1. |
La direttiva 98/70/CE concernente la qualità dei combustibili (e le sue successive modifiche) contiene specifiche ecologiche qualitative per la benzina e i combustibili diesel nella Comunità, ed è innanzitutto incentrata sulla limitazione del tenore di zolfo e, relativamente alla benzina, del tenore di piombo e di idrocarburi aromatici. Essa definisce inoltre il tenore massimo di zolfo nel gasolio destinato alle macchine mobili non stradali. |
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2.2. |
La direttiva 1999/32/CE del Consiglio, che modifica la direttiva 93/12/CE, stabilisce i valori limite del tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi, con particolare riferimento al combustibile utilizzato dalle navi adibite alla navigazione interna. |
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2.3. |
La proposta in esame modificherebbe le specifiche di legge per consentire la commercializzazione di un nuovo tipo di benzina ad alto tenore di biocarburanti, in particolare con un tenore di etanolo fino al 10 %, e imporrebbe inoltre un'ulteriore lieve riduzione del tenore di zolfo consentito nei combustibili. |
3. Principali sviluppi nell'UE
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3.1. |
La Comunità si è recentemente impegnata a raggiungere, entro il 2020, l'obiettivo di ridurre del 20 % le sue emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori registrati nel 1990. |
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3.2. |
I trasporti stradali sono attualmente responsabili del 20 % circa di queste emissioni e devono pertanto contribuire alle riduzioni previste. La Commissione ha affrontato un aspetto delle emissioni di GES provocate dai trasporti adottando una nuova strategia globale per ridurre le emissioni di biossido di carbonio imputabili alle autovetture e ai furgoni nuovi venduti nell'UE. Questo consentirà all'UE di raggiungere l'obiettivo, stabilito da lunga data, di limitare a 120 g/km le emissioni di CO2 degli autoveicoli nuovi entro il 2012. |
|
3.3. |
Per quanto riguarda i combustibili, la direttiva UE sui biocarburanti (2003/30/CE) ha l'obiettivo di contribuire a ridurre ulteriormente le emissioni di CO2 e di promuovere l'utilizzo nei trasporti di carburanti prodotti a partire dalla biomassa e di altri combustibili provenienti da fonti rinnovabili. La strategia comunitaria relativa ai biocarburanti è stata ulteriormente elaborata nella comunicazione della Commissione Strategia dell'UE per i biocarburanti, sulla quale il 24 ottobre 2007 il Comitato ha adottato un parere. |
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3.4. |
Nel marzo del 2007, il Consiglio ha adottato un obiettivo vincolante che prevede, entro il 2020, una quota minima del 10 % per i biocarburanti nel totale dei consumi di benzina e gasolio per autotrazione dell'UE, che dovrà essere conseguito da tutti gli Stati membri e in maniera efficiente in termini di costi. |
|
3.5. |
La direttiva in esame intende contribuire a tale strategia. Il principale cambiamento che essa introduce consiste nell'autorizzare un più elevato tenore di etanolo in un nuovo tipo di benzina per autoveicoli, al fine di consentire la rapida diffusione dei biocarburanti richiesta dal Consiglio. |
4. Osservazioni generali
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4.1. |
L'Unione europea ha a giusto titolo assunto il ruolo di leadership mondiale nell'ambito della lotta contro i cambiamenti climatici, adottando obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di GES entro il 2012 e il 2020. |
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4.2. |
Il CESE condivide pienamente gli obiettivi e l'approccio generale della Commissione per definire un programma globale di azione. Ritiene tuttavia che nel settore dei trasporti si corra il rischio di stabilire un ordine di priorità errato. |
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4.3. |
Il Comitato ritiene che nel settore dei trasporti i problemi vadano affrontati anzitutto alla radice: far fronte alle pressioni che hanno determinato, negli ultimi due secoli, una crescita continua di tutti i tipi di traffico. Con la strategia per lo sviluppo sostenibile adottata dal Consiglio nel 2006 l'Unione si è impegnata a raggiungere l'obiettivo di disaccoppiare la crescita economica dalla crescita dei trasporti, e questo traguardo dovrebbe costituire la priorità assoluta. Pertanto, il Comitato invita ancora una volta la Commissione ad avviare un riesame approfondito e integrato per stabilire in quale modo sia possibile conseguire tale obiettivo. |
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4.4. |
Un'altra priorità dovrebbe consistere nel prescrivere una notevole riduzione del consumo di carburante delle automobili e degli altri veicoli. La proposta di definire un limite di 120 g/km per le emissioni di CO2 costituisce una misura utile a tale scopo. Il Comitato ritiene che sia possibile compiere rapidamente ulteriori progressi in questo ambito, e che sarebbe stato preferibile mantenere la proposta iniziale, che affidava ai costruttori la responsabilità del conseguimento di questo obiettivo. Il Comitato invita la Commissione ad impegnarsi maggiormente in questa direzione. |
|
4.5. |
Per quanto riguarda i biocarburanti, il Comitato concorda sul fatto che questi ultimi possano avere un ruolo importante da svolgere, ma giudica necessario tener conto delle loro conseguenze ambientali, sociali, agricole ed occupazionali, ai livelli sia europeo che mondiale. Il Comitato sta attualmente preparando un parere specifico sull'argomento. |
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4.6. |
La diffusione crescente delle colture per la produzione di biocarburanti può comportare un utilizzo razionale del suolo, a condizione che tali colture non si sostituiscano ad altre altrettanto utili, o persino più interessanti, per la riduzione dei gas ad effetto serra. In Europa i processi agricoli rispondono a standard ambientali elevati grazie all'applicazione del principio dell'ecocondizionalità, che in linea di massima può essere trasformato in uno strumento idoneo ad assicurare che per le colture destinate alla produzione di biocarburanti vengano adottati metodi ottimali in termini di riduzione delle emissioni di carbonio. Sarà tuttavia essenziale un'analisi comparativa fra i processi di trasporto e di raffinazione necessari alla produzione sia dei biocarburanti che dei combustibili tradizionali. È necessario valutare molto attentamente l'impatto globale dei biocarburanti in termini di CO2, che potrebbe non essere sempre positivo. |
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4.7. |
Su un piano più generale, la diffusione massiccia delle colture per la produzione di biocarburanti in Europa e in altre parti del mondo potrebbe avere forti ripercussioni sulla produzione alimentare, sulla protezione delle foreste e della biodiversità, come pure su altri aspetti, che vanno tutti valutati attentamente. Anche questa problematica verrà approfondita in un parere specifico. |
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4.8. |
Il Comitato reputa che occorra un costante monitoraggio delle modalità ottimali per sviluppare il mercato delle biomasse e dei biocarburanti, e a tal fine sarà essenziale che le misure di sostegno allo sviluppo di questo mercato (contemplate dalla direttiva in esame o da altri dispositivi) consentano a quest'ultimo di trovare i sistemi ottimali per giungere alle soluzioni più efficienti ed efficaci sotto il profilo delle emissioni di carbonio. |
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4.9. |
Date queste riserve circa la portata e il ritmo di sviluppo dei biocarburanti, il Comitato ritiene che la Commissione e l'Unione europea debbano seguire da vicino l'obiettivo che prevede l'impiego di una quota di biocarburanti pari al 10 % entro il 2020, ed essere pronte a modificarlo qualora risulti necessario. |
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4.10. |
È da questa prospettiva generale che il Comitato considera la direttiva in esame: in linea di principio, non è contrario a modificare la direttiva concernente la qualità dei combustibili per consentire la miscelazione dei biocarburanti adeguati. Ritiene, tuttavia, che occorra prestare la massima cura per evitare che la miscelazione di biocarburanti nella benzina comporti altri effetti ambientali negativi, come il rilascio di composti organici volatili (COV) ancor più dannosi. È inoltre essenziale calcolare con grande precisione l'impatto atteso sulle emissioni di CO2, tenendo pienamente conto, caso per caso, dell'analisi del ciclo di vita completa del combustibile, in modo da sfruttare al meglio i potenziali vantaggi in termini di CO2. |
5. Osservazioni specifiche
5.1. La diffusione dei biocarburanti
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5.1.1. |
Il Comitato riconosce che tale incremento sarà probabilmente necessario. Appare quindi opportuno che le specifiche relative ai carburanti vengano modificate, come proposto nella direttiva, per consentire la produzione e la commercializzazione di un nuovo tipo di benzina ad elevato tenore di biocombustibili, a condizione però che vengano affrontati i possibili effetti collaterali inquinanti. |
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5.1.2. |
Il Comitato invoca misure aggiuntive in relazione alla proposta di allentare i limiti previsti per la tensione di vapore, onde consentire una tensione maggiore nella nuova benzina ad elevato tenore di biocombustibili. Tale tensione più alta comporterà una maggiore volatilità del petrolio e dunque un rilascio più cospicuo di composti organici volatili (COV) indesiderati sia alle pompe di benzina sia con l'evaporazione e la dispersione dai serbatoi e da altre parti dei veicoli. Questo problema può essere significativamente ridimensionato adottando misure tecniche adeguate. |
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5.1.3. |
Il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe studiare più a fondo questo aspetto prima di applicare la direttiva. Alcuni osservatori hanno fatto presente che si potrebbe forse far uso di biocombustibili senza bisogno di livelli di tensione più elevati. In alternativa, l'autorizzazione di tensioni più elevate dovrebbe essere accompagnata da ulteriori misure riguardanti le pompe di benzina (come d'altronde ha già previsto la Commissione) e da una limitazione nell'impiego di elementi permeabili nei motori, in modo da garantire che con la maggiore diffusione dei biocombustibili non aumentino le emissioni nette di COV. |
5.2. Controllo delle emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita
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5.2.1. |
Il Comitato appoggia fortemente la proposta di imporre all'industria dei carburanti di verificare e rendere note le emissioni di gas ad effetto serra prodotte durante il ciclo di vita dei carburanti venduti, nonché di ridurre tali emissioni dell'1 % all'anno dal 2010 al 2020. Sebbene le prestazioni di tale industria in termini di efficienza energetica siano migliorate negli ultimi anni, vi è ancora spazio per progressi sostanziali. La quantità di gas che viene bruciato all'imboccatura dei pozzi è ancora troppo elevata. Ciò provoca lo spreco di una preziosa risorsa e milioni di tonnellate di emissioni di carbonio e di altri inquinanti. Nel settore dei carburanti variano considerevolmente anche l'efficienza energetica e il livello di dispersione e di sprechi nella raffinazione e nella distribuzione attraverso gli oleodotti; rimarrebbe molto da fare per allineare il livello di efficienza dell'intero settore a quello dei migliori operatori. |
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5.2.2. |
L'obbligo di sorveglianza che si vuole imporre all'industria dei combustibili è concepito in modo tale che la graduale introduzione dei biocombustibili nel mix energetico potrebbe figurare come un contributo di tale industria all'obiettivo generale di ridurre le emissioni. Il Comitato è favorevole a una strategia che sfrutti il potenziale dei biocarburanti in termini di ambiente, mercato e posti di lavoro, in modo da assicurare la massima riduzione globale possibile di CO2. Teme tuttavia che la proposta in esame possa indurre le imprese del settore dei combustibili a un'espansione troppo rapida dei biocombustibili trascurando invece le opportunità di miglioramento dell'efficienza energetica. |
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5.2.3. |
Se la proposta proseguirà il suo iter, occorrerà mettere in chiaro alcune cose. Sarà essenziale garantire che l'analisi del ciclo di vita dei biocarburanti e dei prodotti petroliferi venga eseguita accuratamente e che non si riduca ad una vuota formula. L'impatto dei vari tipi di biocarburanti sul bilancio complessivo del CO2 varierà considerevolmente a seconda del tipo e della fonte. In termini di emissioni di CO2 lungo l'intero ciclo di vita, i biocarburanti offrono in generale prestazioni migliori dei combustibili fossili. L'Unione europea dovrebbe promuovere le soluzioni migliori. |
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5.2.4. |
Per comprendere i vantaggi di ciascuna fonte in termini di emissioni di CO2 occorre eseguire analisi e valutazioni specifiche perché i diversi impieghi di biocarburanti producono ciascuno un impatto differente in termini di CO2. |
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5.2.5. |
La proposta è giustamente favorevole all'impiego della biomassa per produrre biocarburanti o elettricità. Questo dovrebbe portare a uno sviluppo positivo e costante del mercato della biomassa. |
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5.2.6. |
La proposta non menziona alcuna norma relativa al monitoraggio, né le modalità di verifica e di applicazione dei requisiti. Dal momento che la maggior parte delle imprese coinvolte opera su scala mondiale e deve avere un approccio coerente, adeguato ai requisiti che vengono loro applicati, il Comitato ritiene ampiamente giustificato gestire a livello europeo le norme e la loro sorveglianza ed applicazione, piuttosto che rifarsi alle interpretazioni ed attuazioni, non sempre coerenti tra loro, dei singoli Stati membri. |
5.3. Lo zolfo nei carburanti
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5.3.1. |
Il Comitato approva la proposta di confermare la scadenza del 2009 per la riduzione obbligatoria a 10 ppm del tenore di zolfo nei combustibili diesel. È inoltre favorevole alle proposte concernenti la riduzione del tenore massimo di zolfo nei gasoli utilizzati per le macchine mobili non stradali e per i trattori agricoli o forestali. Tali proposte allineano i requisiti relativi al tenore di zolfo a quelli già adottati per i veicoli stradali e contribuiranno a garantire un'ulteriore riduzione dell'inquinamento da zolfo e da particolato. |
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5.3.2. |
Per quanto riguarda le vie navigabili interne, la Commissione ha proposto una riduzione delle emissioni di zolfo da realizzarsi in due stadi. Il Comitato osserva che potrebbe essere preferibile procedere alla riduzione del valore massimo consentito in una sola volta, per evitare che gli armatori debbano eseguire due distinti interventi di modifica. Sarebbe inoltre opportuno prevedere delle esenzioni per le imbarcazioni d'epoca, per le quali potrebbe risultare difficile realizzare gli adeguamenti necessari. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/56 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'evoluzione dell'indennità compensativa per le zone svantaggiate a partire dal 2010
(2008/C 44/16)
L'Assemblea plenaria del Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sull'«Evoluzione dell'indennità compensativa per le zone svantaggiate a partire dal 2010».
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore KIENLE.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli e 3 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) reputa che le zone con svantaggi naturali necessitino e meritino un'attenzione particolare a livello sia politico che di opinione pubblica. Questo vale, senza riserve, anche per le «altre regioni svantaggiate» (zone intermedie) di cui tratta il presente parere. |
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1.2. |
Il CESE reputa che i fondi dell'indennità compensativa, cofinanziata dall'UE e dagli Stati membri, siano uno strumento indispensabile per preservare il paesaggio culturale e l'agricoltura in località particolarmente sensibili sul piano economico, ecologico e anche sociale. |
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1.3. |
L'obiettivo dell'indennità compensativa va decisamente oltre il mantenimento delle forme di coltivazione tradizionali. Per le zone svantaggiate il punto di partenza determinante dovrebbe essere anche in futuro la compensazione degli svantaggi economici di cui soffrono gli agricoltori. |
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1.4. |
Per quanto riguarda le riflessioni previste della Commissione europea sulla nuova delimitazione delle zone ammissibili, il CESE raccomanda che l'UE si occupi di stabilire le condizioni generali e le alternative metodologiche per la delimitazione di tali zone. La scelta del sistema da applicare e l'individuazione delle zone stesse, invece, dovrebbero continuare ad essere di competenza degli Stati membri e delle regioni. |
|
1.5. |
Il CESE fa presente che è necessario poter contare maggiormente sulla continuità temporale dell'indennità concessa. In caso di modifiche delle regioni ammissibili bisogna evitare che ci siano interruzioni strutturali. |
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1.6. |
Il CESE reputa che i concetti di «zone svantaggiate» o «indennità compensativa» siano molto difficili da comunicare all'opinione pubblica; ritiene pertanto auspicabile sostituirli. |
2. Motivazione e antefatto
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2.1. |
In linea con quanto deciso dal Consiglio, nel 2008 la Commissione europea dovrà presentare una proposta di revisione della delimitazione delle cosiddette «altre regioni svantaggiate» (zone intermedie), da applicare nel 2010. |
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2.2. |
Il 13 settembre 2006 il CESE aveva adottato già un parere d'iniziativa sul tema Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche) (1). In tale parere il Comitato aveva dato grande rilievo alle regioni insulari, montane e ultraperiferiche, ma non alle categorie «altre regioni svantaggiate» (zone intermedie) e «zone con svantaggi specifici» (zone circoscritte). |
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2.3. |
Per questo motivo il CESE aveva indicato espressamente che si sarebbe concentrato su tali categorie in un altro parere. Il presente parere d'iniziativa si inserisce quindi nel dibattito su un'eventuale nuova delimitazione delle zone svantaggiate. |
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2.4. |
La necessità di riesaminare la delimitazione delle zone in questione scaturisce da una relazione della Corte dei conti (relazione speciale n. 4/2003). Le osservazioni critiche formulate in tale relazione riguardano essenzialmente i seguenti punti: gli Stati membri si avvalgono di una grande varietà di indicatori per classificare una zona come svantaggiata; non vi sono sufficienti informazioni affidabili sull'impatto delle misure; le «buone pratiche agricole» non sono applicate in modo coerente. Le principali conclusioni della Corte dei conti riguardano la delimitazione delle «altre regioni svantaggiate» e alcuni aspetti dell'indennità compensativa. |
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2.5. |
Nel novembre 2006 la direzione generale Agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea ha presentato une relazione di valutazione elaborata dall'Istituto per la politica ambientale europea (IEEP) sull'indennità compensativa nelle zone svantaggiate. |
3. Osservazioni di carattere generale
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3.1. |
Per il CESE le zone caratterizzate da svantaggi naturali fanno addirittura parte integrante del «modello agricolo europeo». Tali zone richiedono una particolare attenzione, da parte sia della politica che dell'opinione pubblica, perché si possano prendere misure specifiche e adattate ai loro reali bisogni. |
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3.2. |
La definizione di «zona svantaggiata» deve consentire di individuare le zone in cui lo sfruttamento agricolo dei terreni, a causa di svantaggi derivanti dalla situazione geografica, rischia di essere interrotto. Ciò si fonda sull'idea che lo sfruttamento agricolo sostenibile di una zona rurale sia un presupposto importante affinché sia ritenuta attraente. Così, all'insegna della multifunzionalità, l'attività imprenditoriale dell'agricoltore, preservando e curando il paesaggio, produce allo stesso tempo risultati utili alla collettività. |
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3.3. |
Il CESE fa notare che il concetto di «zone svantaggiate» è del tutto ambivalente, in quanto spesso si tratta di regioni con una natura e un paesaggio particolarmente ricchi e vari e i cui abitanti hanno capacità e tradizioni particolari. Spesso, però, queste potenzialità non possono essere sfruttate economicamente a causa di condizioni locali e geografiche particolarmente difficili. Anche gli agricoltori, in molti casi, non hanno alternative economiche sufficienti, né nel proprio settore né in altri. |
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3.4. |
Il CESE ritiene che l'indennità compensativa per le zone svantaggiate sia uno strumento tanto originale quanto indispensabile per preservare il paesaggio culturale e l'agricoltura in località particolarmente sensibili sul piano economico, ecologico e anche sociale. L'obiettivo dell'indennità è di valorizzare le grandi potenzialità dei paesaggi culturali europei esteticamente piacevoli promuovendo un'agricoltura attiva e orientata al mercato. Tale obiettivo va quindi decisamente oltre il mantenimento delle forme di coltivazione tradizionali. Anche in futuro, il punto di partenza determinante dell'indennità compensativa per le zone svantaggiate dovrebbe essere la compensazione degli svantaggi economici di cui soffrono gli agricoltori nei territori in cui le condizioni di coltivazione sono particolarmente difficili. Inoltre, dal 2007 l'indennità compensativa è subordinata al rispetto di norme relative alla sicurezza degli alimenti, alla protezione ambientale e alla tutela degli animali (condizionalità). |
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3.5. |
Dal 1975 è stato sviluppato un sistema europeo globale di delimitazione delle zone svantaggiate, prendendo come punto di partenza le zone montane. Oggi esistono tre tipi di zone svantaggiate: le zone montane, le altre regioni svantaggiate (zone intermedie) e le zone con svantaggi specifici (zone circoscritte). Queste due ultime categorie sono caratterizzate da grandi differenze e forte eterogeneità tra gli Stati membri, per quanto riguarda sia la delimitazione delle zone che l'entità delle indennità concesse. I cospicui mezzi finanziari destinati all'indennità compensativa hanno consentito, in grande misura, di mantenere un'attività agricola vivace proprio in zone rurali sensibili. |
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3.6. |
Il CESE ritiene che l'indennità compensativa per le zone svantaggiate faccia parte integrante dei programmi di sviluppo rurale (cfr. regolamento (CE) n. 1698/2005 sul FEASR). Il fatto che questa indennità sia cofinanziata dall'UE e dagli Stati membri evidenzia la necessità di coniugare opportunamente norme univoche a livello dell'UE e margini di manovra nel predisporre i dettagli a livello nazionale e regionale. |
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3.7. |
Il CESE ricorda che nel 2005 il documento di lavoro della Commissione relativo a una metodologia per la ridefinizione delle «altre regioni svantaggiate» (zone intermedie) aveva suscitato grosse incomprensioni, ed era stato respinto, in diverse parti degli Stati membri. All'epoca la riflessione era incentrata sul tentativo di elaborare a livello centrale una definizione uniforme delle zone svantaggiate, attraverso i criteri della superficie a pascolo e della resa cerealicola, ma senza prevedere la possibilità di tener conto delle specificità regionali. Le forti riserve e le argomentazioni espresse contro quell'approccio devono essere prese in considerazione nei futuri dibattiti. |
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3.8. |
La relazione di valutazione dell'IEEP del novembre 2006 richiama l'attenzione sul fatto che uno strumento di sostegno come l'indennità compensativa va visto nel contesto della sua interazione con il pagamento unico per azienda e con le misure agroambientali. La relazione raccomanda nel contempo di accentuare maggiormente il ruolo svolto da tale indennità nel compensare gli svantaggi per lo sfruttamento agricolo derivanti dalla situazione geografica. Inoltre l'importo dell'indennità concessa dovrebbe essere adattato meglio agli svantaggi da compensare. |
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3.9. |
Il CESE fa presente che, complessivamente, il rischio di «sovracompensazione» riscontrato dalla Corte dei conti non viene constatato nella relazione dell'IEEP. Certo l'indennità compensativa riduce il forte divario tra il reddito degli agricoltori delle regioni svantaggiate e quello degli agricoltori delle regioni non svantaggiate, ma non al punto di annullarlo. Secondo gli esperti il contributo dell'indennità compensativa ai redditi agricoli oscilla tra meno del 10 % e il 50 % a seconda dello Stato membro. |
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3.10. |
Il CESE ritiene che l'indennità compensativa per le zone svantaggiate contribuisca in misura molto rilevante al proseguimento dell'attività agricola nelle località a basso rendimento e nelle zone scarsamente popolate. La vitalità delle aziende è data in primo luogo dai proventi della produzione agricola e dalla vendita dei prodotti sul mercato, dai redditi derivanti dalla diversificazione e dalle misure della politica agricola comune. Per dare una prospettiva a chi rileva aziende agricole in zone svantaggiate, in particolare ai giovani agricoltori, è necessario che lo strumento dell'indennità compensativa goda di affidabilità politica nel lungo periodo. |
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3.11. |
Il CESE ritiene necessario che, se si vuol dare un chiaro profilo all'indennità compensativa per le zone svantaggiate, il relativo sistema venga sviluppato accentuando la distinzione rispetto alle misure agroambientali. Nel medio termine si dovrà inoltre definire in che modo sviluppare la compensazione nelle zone soggette a restrizioni ambientali. Secondo il CESE la scarsa applicazione di quest'indennità, segnalata nella relazione dell'IEEP, si spiega anche con il fatto che per le zone di questo tipo parecchi Stati membri o regioni tendono a preferire le misure agroambientali. |
Riflessioni sulla nuova delimitazione delle zone ammissibili
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3.12. |
Secondo il CESE, nella nuova delimitazione delle zone svantaggiate ammissibili all'indennità compensativa si dovrebbe tener conto dei seguenti aspetti. |
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3.12.1. |
L'indennità compensativa per le zone svantaggiate dovrebbe continuare a concentrarsi sul mantenimento di un'attività agricola vivace e adattata alle condizioni locali anche nelle zone in cui le condizioni di coltivazione sono difficili. |
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3.12.2. |
Alla luce del dibattito svolto finora, la revisione prevista non dovrebbe esulare dall'ambito delle «altre regioni svantaggiate» (zone intermedie). Considerato che soprattutto le zone di montagna sono delimitate in modo oggettivo, la Commissione europea dovrebbe chiarire ancora una volta in modo esplicito (anche per evitare di disorientare gli agricoltori) quale sia la portata prevista per la revisione delle zone svantaggiate. |
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3.12.3. |
Le zone svantaggiate dovrebbero essere delimitate sulla base di criteri oggettivi e chiari, ma in un quadro generale che consenta di tener pienamente conto delle condizioni locali di ciascuno Stato membro. |
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3.12.4. |
L'esperienza del tentativo di revisione dell'indennità del 2005 dimostra chiaramente che un approccio centralizzato non è adatto alla delimitazione delle zone svantaggiate, soprattutto perché non esiste un unico sistema europeo per classificare la capacità di resa dei terreni agricoli. |
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3.12.5. |
Si raccomanda quindi un approccio ispirato alla sussidiarietà: l'UE dovrebbe stabilire le condizioni generali e le alternative metodologiche per la delimitazione delle zone, mentre la scelta del sistema da applicare e l'individuazione delle zone stesse dovrebbero continuare a essere di competenza degli Stati membri o delle regioni. Si dovrebbero inoltre mantenere le modalità di cooperazione finora praticate in materia tra la Commissione europea e gli Stati membri. |
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3.12.6. |
Nella delimitazione delle zone, gli Stati membri o le regioni dovrebbero innanzitutto basarsi su criteri legati agli svantaggi naturali e/o climatici che ostacolano lo sfruttamento agricolo. A titolo integrativo, in determinate circostanze si possono poi aggiungere criteri socioeconomici se riflettono i problemi sociali o strutturali del settore agricolo nel rispettivo contesto regionale (ad esempio: forte emigrazione, forte invecchiamento della popolazione regionale o degli attivi in agricoltura, accesso particolarmente difficile alle infrastrutture pubbliche, zone scarsamente popolate). Si dovrà inoltre esaminare in che misura sono presi in considerazione terreni vicini agli aeroporti, ai depositi di petrolio, alle discariche, ai siti militari e quelli situati nelle zone di protezione delle linee elettriche dell'alta tensione). Viceversa i criteri socioeconomici, ad esempio nelle regioni che presentano una forte creazione di valore nel settore turistico, non devono far sì che le superfici agricole difficilmente coltivabili non siano più classificate come zone svantaggiate. |
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3.12.7. |
Anche e specialmente nelle zone svantaggiate, la promozione e la qualificazione del capitale umano sono una questione fondamentale per il sistema locale. Nella definizione della loro politica di sostegno, gli Stati membri dovrebbero pertanto aver cura che le misure di formazione e di orientamento vadano ad integrare le misure di sostegno riferite alla superficie, in modo proficuo per le zone rurali. |
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3.12.8. |
La Commissione europea, gli Stati membri e le regioni sono invitati a dimostrare in modo più efficace il contributo che l'indennità compensativa per le zone svantaggiate fornisce al raggiungimento dell'obiettivo fissato, vale a dire il mantenimento di un'agricoltura attiva in un paesaggio attraente. Finora un monitoraggio in questo senso è mancato e, quindi, andrebbe avviato. |
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3.12.9. |
La Commissione europea dovrebbe inoltre esaminare in quale misura il cambiamento climatico possa avere un impatto sulle zone svantaggiate. |
Riflessioni sulla concessione dell'indennità compensativa per le zone svantaggiate
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3.13. |
La Commissione europea non ha ancora indicato con chiarezza se, nel corso del riesame dell'indennità compensativa, prevede di procedere, oltre che alla delimitazione delle zone svantaggiate, anche ad altre modifiche inerenti alla concessione di questa indennità. In caso affermativo, il CESE ritiene necessario tener conto dei seguenti aspetti. |
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3.13.1. |
Se la concessione dell'indennità compensativa sotto forma di pagamento per superficie è, in linea di principio, pertinente, in casi motivati dovrebbe comunque essere possibile stabilire regole legate alle attività zootecniche, qualora esse siano tipiche del mantenimento dell'attività agricola nella regione interessata (ad esempio, allevamento di bovini o di ovini in zone di pascolo). |
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3.13.2. |
Anche per quanto riguarda la concessione dell'indennità compensativa è opportuno cercare di coniugare opportunamente il quadro di riferimento comunitario con le norme nazionali e regionali, in modo che si possa tener conto debitamente delle specificità locali. |
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3.13.3. |
Anche se la generica accusa di «sovracompensazione» può essere smentita sulla base dei risultati contabili delle aziende agricole, nella concessione dell'indennità compensativa sembra comunque necessario stabilire una distinzione interna. Se l'importo dell'indennità per ettaro supera una determinata soglia minima, lo Stato membro o la regione dovrebbe modulare tale importo in funzione del grado di penalizzazione della zona interessata. |
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3.13.4. |
Per il proseguimento di un'attività agricola sostenibile è necessario che la concessione dell'indennità sia più affidabile nel tempo. In alcuni Stati membri, infatti, i pagamenti oscillano notevolmente da un anno all'altro in funzione della situazione delle finanze pubbliche. |
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3.14. |
Il CESE fa presente che eventuali modifiche delle zone ammissibili comporterebbero gravi rischi per la struttura agricola e il mantenimento del paesaggio culturale. Per le zone che sarebbero eventualmente escluse dal sostegno andrebbero svolte un'analisi dei rischi e una valutazione dell'impatto. In genere gli agricoltori avrebbero molte difficoltà a compensare perdite sul fronte dell'indennità con altre attività aziendali, ad esempio intensificando la produzione. Per questo motivo sarebbe opportuno prevedere non solo periodi transitori sufficienti ma anche clausole per i casi di particolare gravità, in modo da evitare che nelle aziende agricole si verifichino delle interruzioni strutturali. |
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3.15. |
Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che il concetto di «zone svantaggiate» è molto difficile da comunicare all'opinione pubblica. Le «zone svantaggiate» possono rappresentare paesaggi culturali di particolare valore e bellezza che però, sotto il profilo agricolo, si caratterizzano per il fatto di essere molto difficili da sfruttare. Gli abitanti delle zone svantaggiate spesso sono particolarmente orgogliosi della storia, delle tradizioni e della bellezza paesaggistica della «loro» regione, cosa da cui scaturiscono anche grandi potenzialità per lo sviluppo regionale. Purtroppo il concetto di «indennità compensativa per le zone svantaggiate» non è affatto in grado di contribuire all'identificazione degli abitanti con la propria regione. Si deve perciò riflettere sulla possibilità di sostituire la denominazione «zone svantaggiate» con un'altra che rifletta meglio queste potenzialità e peculiarità. Ciò potrebbe contribuire a una maggiore accettabilità dell'indennità compensativa per le zone svantaggiate. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) GU C 318 del 23.12.2006, pag. 93.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/60 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verifica dello stato di salute e futuro della PAC dopo il 2013
(2008/C 44/17)
Con lettera inviata il 10 maggio 2007 al Presidente DIMITRIADIS la Commissione europea ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, ai sensi dell'articolo 262 del Trattato CE, ad elaborare un parere sulla «Verifica dello stato di salute e futuro della PAC dopo il 2013».
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore KIENLE.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.
1. Sintesi e conclusioni
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1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo apprezza il fatto che la Commissione europea gli abbia chiesto in tempo utile di elaborare un parere esplorativo sulla verifica dello stato di salute e sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013. |
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1.2. |
La riforma della politica agricola comune del 2003 ha comportato un profondo cambiamento di impostazione. Gli interventi di regolazione dei mercati agricoli sono stati fortemente limitati, l'accoppiamento dei pagamenti diretti con la produzione è da allora soltanto un'eccezione, e inoltre, nonostante l'allargamento dell'UE, i costi della PAC sono stati ridotti. L'UE ha così fatto ben più di qualunque altro concorrente per la liberalizzazione del commercio agricolo internazionale. |
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1.3. |
I produttori agricoli, ma anche le imprese del settore della trasformazione, devono ora affrontare una difficile fase di adeguamento. Secondo il CESE vi sarà ampia disponibilità a rispondere alle nuove condizioni con spirito imprenditoriale e orientato al mercato se verranno mantenuti gli impegni presi nel quadro delle riforme e verrà offerta una sufficiente certezza giuridica e sicurezza di pianificazione. Questo vale tanto più se si considera che a livello mondiale vi è una forte domanda di prodotti alimentari e di energie rinnovabili, e che la sicurezza dell'approvvigionamento sta acquisendo una nuova importanza. |
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1.4. |
Il CESE ritiene giusto che la semplificazione delle disposizioni amministrative per l'assegnazione dei premi e l'attuazione delle norme di ecocondizionalità, come pure l'accertamento dell'eventuale necessità di adeguare le disposizioni vigenti alle sfide future (cfr. punto 6.3), siano considerate un compito prioritario della verifica dello stato di salute. |
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1.5. |
Nel quadro del dibattito sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013, il CESE ritiene necessario adeguare gli obiettivi della PAC (articolo 33 del Trattato CE) alla situazione e alle sfide attuali. |
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1.6. |
L'UE è impegnata a realizzare il modello agricolo europeo e la multifunzionalità. Il CESE, tuttavia, richiama l'attenzione sul fatto che ciò non è di per sé compatibile con una sempre maggiore liberalizzazione, tanto più che le aspettative della società europea nei confronti dell'agricoltura sono e resteranno elevate. |
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1.7. |
Dalla liberalizzazione del commercio agricolo bisogna aspettarsi una maggiore volatilità e instabilità dei mercati agricoli. Nella stessa direzione porteranno le conseguenze del cambiamento climatico. Pertanto, anche in futuro l'UE dovrà disporre di strumenti di stabilizzazione dei mercati agricoli. Il CESE raccomanda tuttavia anche di discutere e mettere a punto sistemi alternativi. |
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1.8. |
In generale la fine del regime delle quote latte è prevista per il 31 marzo 2015. Il CESE fa tuttavia rilevare che molte delle regioni che presentano svantaggi naturali sono dipendenti dalla produzione lattiera, e che per questo motivo occorre elaborare tempestivamente proposte intese ad assicurare la produzione in questi territori. |
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1.9. |
Il CESE rimanda inoltre al parere appena adottato sul tema L'evoluzione dell'indennità compensativa per le zone svantaggiate a partire dal 2010 (1), che verte sulla necessità di un sostegno mirato alle zone con svantaggi naturali. |
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1.10. |
Il CESE è convinto che i pagamenti diretti alle aziende agricole resteranno indispensabili anche in futuro. Per ottenere e garantire il consenso dell'opinione pubblica, i pagamenti diretti devono poter essere motivati in base alla funzione svolta. |
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1.11. |
Per quanto concerne la necessità di garantire la multifunzionalità dell'agricoltura, il secondo pilastro (politica di sviluppo rurale) acquista un'importanza ancora maggiore. Il CESE è quindi favorevole a un rafforzamento della dotazione finanziaria destinata al secondo pilastro. Alcuni esempi dimostrano che tramite un sostegno mirato si possono proteggere o creare posti di lavoro nell'agricoltura e nelle zone rurali. |
2. Introduzione
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2.1. |
In questo anno 2007 l'UE può guardare con orgoglio ai trascorsi 50 anni di riuscita integrazione europea. Sin dall'entrata in vigore dei Trattati di Roma, il 1o gennaio 1958, la politica agricola comune (PAC) è una componente importante di questo sviluppo senza eguali e, ancora oggi, essa rappresenta l'unico settore pienamente «comunitarizzato». |
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2.2. |
Ci si può pertanto rallegrare del fatto che i cittadini dell'UE abbiano un'opinione prevalentemente positiva dell'agricoltura e della PAC, come emerge chiaramente da un sondaggio rappresentativo (2). Occorre puntare su questo consenso di base per convincere la società che le risorse fornite tramite la PAC costituiscono un buon investimento per la politica sociale. La politica deve essa stessa fornire argomentazioni convincenti, corredate di misure e programmi adeguati. |
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2.3. |
La riforma agricola del 2003 (cui hanno fatto seguito riforme in altri settori di mercato) ha operato una trasformazione della PAC molto più profonda di quanto non fosse avvenuto in precedenza. |
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2.3.1. |
La riforma è stata motivata con la necessità di rendere l'agricoltura maggiormente orientata al mercato e di migliorarne la competitività. Essa dovrebbe inoltre rendere più facile difendere la PAC nei negoziati dell'OMC, come pure rispondere meglio alle nuove aspettative della società rispetto alla produzione agricola. |
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2.4. |
I responsabili politici hanno ripetutamente assicurato che, una volta completata la riforma agricola, gli agricoltori e le imprese dei settori a valle (trasformazione e commercializzazione) potranno nuovamente contare sulla prevedibilità degli strumenti della PAC. Su quest'esigenza il CESE ha insistito più volte. |
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2.5. |
Nel dicembre 2005, al momento dell'accordo sul bilancio UE per il periodo 2007-2013, il Consiglio europeo ha invitato la Commissione europea ad effettuare nel 2008-2009 una verifica delle spese e delle entrate riguardante tutti gli aspetti delle politiche comunitarie. |
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2.5.1. |
Tuttavia, già prima di tale valutazione è previsto un controllo delle misure adottate nel quadro della riforma della PAC, detto «verifica dello stato di salute» (health-check). La Commissione ha garantito che da questo esercizio non scaturirà alcuna nuova riforma. L'obiettivo è piuttosto quello di esaminare in quale misura gli obiettivi della riforma della PAC siano stati conseguiti e quali adeguamenti siano necessari. |
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2.6. |
Già nell'autunno 2007 dovrebbe prendere il via un ampio dibattito in materia. Per il 20 novembre la Commissione prevede di elaborare una «comunicazione» contenente proposte concrete. Le corrispondenti proposte legislative sono previste per il primo semestre del 2008 (3). A prescindere dalla verifica dello stato di salute, occorre riflettere su come indirizzare lo sviluppo della PAC per il periodo successivo al 2013. |
3. La riforma della PAC del 2003: un profondo cambiamento di impostazione
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3.1. |
Alle modifiche della PAC già stabilite nel quadro dell'Agenda 2000 ha fatto seguito, con la riforma agricola del giugno 2003, un profondo cambiamento di impostazione. |
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3.1.1. |
I pagamenti unici per azienda sono stati disaccoppiati dai vincoli in termini di produzione. Il «disaccoppiamento» è il punto nodale della riforma. Da allora circa l'85 % dei pagamenti è stato disaccoppiato. |
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3.1.2. |
I pagamenti diretti (pagamenti unici) sono stati condizionati al rispetto di determinate norme in materia di ambiente, sicurezza alimentare, salute animale e vegetale nonché protezione del benessere degli animali (ecocondizionalità). |
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3.1.3. |
Le azioni volte a regolare i mercati agricoli tramite interventi, stoccaggio oppure restituzioni all'esportazione sono state limitate considerevolmente. |
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3.1.4. |
Per quanto riguarda gli strumenti di controllo quantitativo ancora esistenti (ad esempio le quote di produzione), se ne prevede la progressiva eliminazione. |
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3.1.5. |
Nonostante l'allargamento e i nuovi compiti della PAC, nel periodo 2007-2013 le spese destinate a finanziare tale politica si sono ridotte del 7,8 % rispetto al 2006. |
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3.2. |
Il CESE fa rilevare che nel 2008 la quota delle spese per la PAC nel bilancio totale dell'UE, pari al 43,6 % (progetto preliminare di bilancio della Commissione), per la prima volta non sarà la principale voce di spesa. Va anche ricordato che nel 1997 le spese per le misure di sostegno al mercato erano ancora pari a 35 miliardi di euro, cioè all'85 % delle dotazioni per l'agricoltura, mentre nel 2007 è prevista a tale scopo una dotazione di appena 5,7 miliardi di euro (13 %). Inoltre, nel 2007 la spesa per le restituzioni all'esportazione è limitata ad un massimo di 1 miliardo di euro, mentre nel 1997 era ancora pari a 6 miliardi di euro (4). |
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3.3. |
La riduzione delle spese per la PAC e, al tempo stesso, l'aumento dei beneficiari degli aiuti (sostanzialmente a seguito dell'allargamento dell'UE) significa che per certe misure potranno esservi dei tagli. |
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3.4. |
Secondo la Commissione, un elemento fondamentale a favore della riforma della PAC è stato il rafforzamento della posizione dell'UE nella difesa del modello agricolo europeo in sede di negoziati OMC. Con la riforma della PAC l'Unione ha dato un enorme contributo in questa direzione. La Commissione sottolinea che le offerte presentate finora per il ciclo di Doha nel quadro dell'OMC sono in linea con la riforma della PAC del 2003. Esistono tuttavia posizioni contrastanti al riguardo. |
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3.5. |
Il CESE constata con preoccupazione che la PAC tende ad andare in direzioni sempre più divergenti. La riforma del 2003 ha nettamente accentuato le disparità nazionali nell'attuazione di tale politica, e questo fenomeno si ripercuote anche sulla concorrenza nel mercato interno. |
4. L'agricoltura europea si adatta alle nuove condizioni
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4.1. |
Ai sensi delle decisioni del Consiglio europeo del 2003 e del 2005 in materia di bilancio dell'UE, la PAC rientra nel quadro finanziario complessivo dell'UE. Esistono chiare disposizioni politiche valide fino al 2013, e i produttori agricoli hanno ora bisogno del tempo necessario per potersi adattare alle nuove condizioni. |
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4.2. |
In conseguenza dell'abbassamento dei prezzi istituzionali, della limitazione delle misure di sostegno al mercato e dell'ulteriore apertura dei mercati alle importazioni, tra il 2000 e il 2005 il livello dei prezzi alla produzione nell'UE-15 è ulteriormente diminuito in termini reali (5). |
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4.3. |
Grazie al disaccoppiamento la Commissione prevede non soltanto di ottenere una stabilizzazione dei redditi (6), ma anche di contribuire al miglioramento dei redditi nel settore agricolo (7). L'evoluzione dei redditi nel 2005 e 2006 non consente ancora di confermare queste aspettative. Tuttavia nel 2007 ci si può attendere un aumento dei redditi, dovuto non da ultimo all'attuale rincaro delle materie prime agricole sul mercato mondiale. |
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4.4. |
Nel parere sulla revisione della PAC 2003 (8) il CESE ha indicato chiaramente che, per dimostrare il rispetto delle norme di ecocondizionalità, le aziende vedranno aumentare sensibilmente i loro oneri diretti come pure quelli legati alla documentazione. Spesso inoltre si imporranno investimenti onerosi, ad esempio per quanto riguarda l'allevamento del bestiame. L'esperienza ha già mostrato che una parte dei produttori agricoli, le cui aziende sono più piccole o economicamente più deboli, non sono in grado di effettuare le spese necessarie, e quindi abbandonano l'attività agricola. |
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4.5. |
Il disaccoppiamento degli aiuti diretti dovrebbe consentire ai produttori agricoli di sfruttare al meglio le opportunità del mercato. Gli adeguamenti al mercato richiedono spesso investimenti che a volte possono essere ad alta intensità di capitali e a volte invece, pur essendo molto esigui sul piano finanziario, necessitano di un notevole sostegno in termini di consulenza. Nel secondo pilastro è previsto un sostegno per la riconversione delle imprese e per gli investimenti. La disponibilità del settore agricolo, e in primo luogo degli agricoltori che rilevano un'azienda, ad adattarsi a nuove condizioni e a compiere i necessari investimenti dipende essenzialmente dall'affidabilità della politica. |
5. L'agricoltura europea deve sfruttare le sue potenzialità
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5.1. |
Da alcuni mesi nei mercati agricoli mondiali si stanno verificando notevoli cambiamenti dovuti ad una forte domanda su scala globale di prodotti alimentari, come pure di materie prime (provenienti dall'agricoltura e dalla silvicoltura) e di energie rinnovabili. Ai produttori agricoli si presentano quindi, in generale, ulteriori alternative in termini di coltivazione e commercializzazione. L'agricoltura europea, come anche quella dei paesi in via di sviluppo, trarrà un notevole vantaggio da questa situazione. Il CESE ritiene però particolarmente importante che il maggiore sfruttamento delle potenzialità produttive in agricoltura e in silvicoltura avvenga nel rispetto della sostenibilità e delle esigenze ecologiche. Al tempo stesso il CESE richiama l'attenzione sul fatto che il prevedibile, forte aumento della volatilità dei mercati comporta anche rischi elevati. |
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5.2. |
Lo sfruttamento delle potenzialità disponibili significa una minore dipendenza per quanto riguarda importanti beni di uso quotidiano. Inoltre in questo modo si può dare un contributo sostanziale all'aumento del valore aggiunto nelle regioni rurali, come pure all'occupazione a tutti i livelli della produzione, della trasformazione e della commercializzazione. |
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5.3. |
L'approvvigionamento di energia fossile a basso costo è stato per anni considerato un vantaggio. L'enorme dipendenza che ne deriva — come pure il sensibile aumento dei costi — ha nel frattempo indotto ad una riflessione critica sugli effetti di tale situazione per i prodotti importanti del fabbisogno quotidiano. La sicurezza dell'approvvigionamento sia energetico che alimentare acquista una valenza e un'importanza diverse, nella misura in cui risulta evidente che essa non può essere garantita soltanto dalle importazioni. |
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5.4. |
Il rapporto dell'ONU sul clima mondiale conferma gli avvertimenti già lanciati dagli scienziati riguardo agli effetti del riscaldamento globale. Anche se si riuscisse a contenere in qualche misura tale fenomeno, bisognerebbe comunque aspettarsi gravi ripercussioni: aumento delle condizioni climatiche estreme, siccità, mancanza d'acqua, ecc. In molti paesi l'agricoltura e la silvicoltura saranno particolarmente colpite da questi eventi. |
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5.5. |
Il CESE si rallegra della maggiore consapevolezza esistente oggi nell'UE rispetto a tale problema, consapevolezza che trova espressione ad esempio nella dichiarazione del 50o anniversario della firma dei Trattati di Roma (Dichiarazione di Berlino). Il Comitato ritiene che si debba sostenere con ogni mezzo la volontà espressa in tale dichiarazione dai capi di Stato e di governo di svolgere un «ruolo trainante» nella lotta alla povertà e alla fame e di «portare avanti assieme […] la protezione del clima». Nel periodo tra il 1990 e il 2004 l'agricoltura dell'UE-15 ha ridotto del 16 % la propria quota di emissioni dannose per il clima (9), ma deve sforzarsi di operare un'ulteriore riduzione. |
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5.6. |
L'obbligo di ridurre considerevolmente le emissioni di CO2 deve indurre anche a riconsiderare le modalità di approvvigionamento di beni come i prodotti agricoli. Il forte sviluppo dei trasporti è una delle cause principali dell'aumento delle emissioni di CO2. Inoltre, anche in caso di forte rincaro dei prezzi dell'energia, i trasporti ritenuti discutibili sul piano ambientale (ad esempio l'importazione di mele e di asparagi per via aerea dall'America Latina) subiranno solo in misura limitata la conseguente pressione economica. È urgente annettere una nuova importanza alla necessità di potenziare un approvvigionamento di prodotti alimentari e di energia che non richieda trasporti su lunghe distanze. Numerose esperienze positive dimostrano che proprio nelle zone rurali, al riguardo, è possibile trovare una soluzione favorevole sia all'ambiente che all'occupazione. |
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5.7. |
La decisione dei capi di Stato e di governo adottata a Bruxelles nel marzo 2007, secondo cui entro il 2020 il 20 % del consumo energetico dell'UE dovrà essere coperto da energia proveniente da fonti rinnovabili, rappresenta un contributo importante alla riduzione delle emissioni di CO2. Tale obiettivo potrà essere conseguito solo tramite un maggiore utilizzo della biomassa. Il CESE ha ripetutamente segnalato che gli agricoltori e i silvicoltori hanno la volontà e la capacità di mettere a disposizione una quantità molto maggiore di biomassa da utilizzare come materia prima. Come dimostrano diversi studi (10), aumentando la produttività e coltivando le superfici in abbandono si otterrebbe un potenziale considerevole. |
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5.7.1. |
Il ritiro dei terreni agricoli dalla produzione si è dimostrato uno strumento valido per decongestionare i mercati dei cereali. Tuttavia, con la riforma del 2003 e in ragione del fabbisogno di materie prime agricole per la produzione di biocarburanti, la situazione è cambiata. Il CESE appoggia quindi i progetti intesi ad abolire il ritiro dalla produzione. Occorre tuttavia garantire che ciò non produca effetti negativi sull'ambiente o che tali effetti possano essere neutralizzati. La Commissione dovrebbe presentare al più presto studi e proposte in materia. |
6. La verifica dello stato di salute della PAC
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6.1. |
Con le decisioni sulla riforma della PAC e l'accordo sul bilancio dell'UE per il periodo 2007-2013 (prospettive finanziarie) sono state anche adottate delle disposizioni per la verifica della PAC. La prevista revisione delle misure adottate nel quadro della riforma della PAC è stata definita «verifica dello stato di salute» della PAC. La comunicazione in materia è attesa per il 20 novembre 2007 e le corrispondenti proposte legislative per la primavera del 2008. Il CESE sarà consultato al riguardo. |
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6.2. |
Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che il Consiglio europeo, sia nel dicembre 2002 che nelle decisioni sulle prospettive finanziarie 2005, aveva stabilito che il bilancio agricolo dell'UE e le misure di politica agricola dovessero essere valide fino al 2013. Sicuramente si è trattato anche di una reazione al fatto che il modo di procedere adottato nella precedente revisione intermedia era stato percepito in molti casi come un tradimento della fiducia, giacché era stata annunciata una semplice verifica, mentre di fatto si è finito per decidere la riforma più profonda da quando esiste la PAC. |
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6.3. |
La verifica dello stato di salute deve essere tesa ad accertare in che misura sono stati conseguiti gli obiettivi della riforma della PAC. Occorre soprattutto stabilire in quali settori sia necessario adeguare le disposizioni vigenti, al fine di:
Il CESE ritiene che si debba tenere conto dell'intera catena del valore, ossia produzione, trasformazione e commercializzazione. |
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6.4. |
Secondo il CESE in questa revisione generale bisognerà dare la priorità ad una verifica accurata delle disposizioni amministrative per la gestione dei pagamenti unici per azienda e l'attuazione dell'ecocondizionalità. I segnali finora trasmessi dalla Commissione sembrano annunciare semplificazioni concrete di questo tipo. Affinché il principio dell'ecocondizionalità non resti una costante fonte di inquietudine, il CESE ritiene anche importante che gli agricoltori condividano tale principio. |
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6.5. |
Nel settore agricolo ci si chiede se davvero nel quadro della verifica dello stato di salute non si perseguiranno anche riforme sostanziali, ad esempio riguardo al sistema dei pagamenti diretti disaccoppiati oppure alle organizzazioni di mercato già riformate. Il CESE può solo raccomandare alla Commissione di fugare tali dubbi tramite affermazioni chiare. |
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6.6. |
Nel 2003 è stato assicurato agli agricoltori che le nuove condizioni introdotte con la riforma della PAC sarebbero state mantenute fino alla fine del 2013. Ciò deve valere in linea di principio per tutte le misure di riforma. |
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6.7. |
Il CESE sostiene invece l'intenzione della Commissione di giungere in tempo utile a definire una posizione esauriente e mirata sulle misure necessarie per la «PAC dopo il 2013». Ciò riguarda ad esempio la scadenza del sistema delle quote latte, il 31 marzo 2015, come pure le inevitabili conseguenze prodotte dalla soppressione delle restituzioni all'esportazione. È altrettanto importante, ancora prima di iniziare il dibattito sulle prossime prospettive finanziarie, spiegare in modo credibile i motivi per cui anche dopo il 2013 sarà necessaria, nell'interesse generale dell'UE, una PAC funzionante con una dotazione finanziaria adeguata. |
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6.8. |
Il CESE fa presente anche le aspettative nutrite dai nuovi Stati membri sul fatto che dopo il 2013 gli strumenti della PAC dovranno entrare pienamente in vigore anche sul loro territorio. La revisione della PAC offre l'opportunità di verificare se sia ancora necessario intervenire a tale riguardo. |
7. Riflessioni sul futuro della PAC
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7.1. |
La PAC è fondata sulle finalità enunciate all'articolo 33 del Trattato CE: assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori e incrementare la produttività dell'agricoltura. |
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7.1.1. |
Per l'orientamento della PAC sono anche importanti le disposizioni del Trattato adottate successivamente riguardo alla protezione dell'ambiente, alla tutela dei consumatori o alla coesione. |
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7.1.2. |
Il CESE raccomanda quindi che gli obiettivi della PAC stabiliti nel Trattato vengano adeguati alle nuove realtà contingenti. È fondamentale che gli obiettivi della PAC siano in linea con il compito multifunzionale dell'agricoltura europea e commisurati alle nuove sfide. |
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7.1.3. |
La PAC ha svolto finora una funzione decisiva e irrinunciabile nella riuscita del processo di integrazione europea. Pensare di rinazionalizzare alcuni importanti elementi della PAC non costituisce un approccio valido per affrontare le nuove sfide che incombono sull'agricoltura europea. L'avanzare della globalizzazione e le probabili conseguenze del cambiamento climatico richiedono un'azione sempre più comune. |
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7.1.4. |
Il perenne conflitto di obiettivi in cui si dibatte l'agricoltura europea (cfr. parere del CESE sul tema Il futuro della PAC (11)) è destinato ad accentuarsi: le imprese agricole devono infatti rispondere a grandi aspettative in materia sia di produzione che di competitività sul piano internazionale. |
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7.1.5. |
L'ulteriore liberalizzazione dei mercati agricoli (OMC, accordi bilaterali) darà vita ad una concorrenza ancora più agguerrita. La maggiore frequenza di condizioni meteorologiche estreme renderà più incerta la produzione agricola. La società, tuttavia, continua ad attendersi la certezza dell'approvvigionamento di prodotti alimentari sicuri e di buona qualità, una gestione attenta delle risorse naturali, sensibilità nel trattamento degli animali e la conservazione dei paesaggi di pregio. Lo svolgimento di tutte queste funzioni costituisce una sfida costante per la PAC, visto che il mercato non ne tiene conto o nel migliore dei casi ne tiene conto solo in parte. |
7.2. Il modello agricolo europeo: impegno e realtà
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7.2.1. |
Il modello agricolo europeo è parte dell'approccio indipendente adottato dall'Europa in politica sociale ed economica. Anche in un contesto economico in trasformazione, gli agricoltori devono essere in grado di fornire a lungo termine le prestazioni multifunzionali richieste loro dalla società. |
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7.2.2. |
Nel parere sul tema Una politica per il consolidamento del modello agricolo europeo (12), il CESE ha dichiarato che non sussiste alcuna incompatibilità tra il mantenimento del modello agricolo europeo e l'esigenza di adeguare l'agricoltura europea all'evoluzione del quadro economico generale. Ha anche sottolineato la necessità di salvaguardare, al di là dei prossimi negoziati in ambito OMC, il necessario campo di azione dell'UE e degli Stati membri in materia di politica agricola. |
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7.2.3. |
L'impegno nei confronti del modello agricolo europeo rimane valido. Particolarmente significativa è la dichiarazione unanime di intenti dei ministri dell'Agricoltura adottata nel 1997 a Lussemburgo, secondo cui l'agricoltura europea deve:
Altrettanto importante è il riferimento al Consiglio europeo di Lussemburgo dello stesso anno, nel corso del quale è stato stabilito che «l'agricoltura europea deve, in quanto settore economico, essere multifunzionale, sostenibile, competitiva e presente su tutto il territorio europeo, comprese le regioni con problemi specifici». |
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7.2.4. |
Il CESE constata tuttavia con apprensione una discrepanza sempre più marcata tra, da un lato, le dichiarazioni di intenti sul modello agricolo europeo e la multifunzionalità dell'agricoltura europea e, dall'altro, la realtà quotidiana delle imprese agricole. |
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7.2.5. |
Gli allargamenti del 2004 e del 2007 hanno prodotto un'ulteriore differenziazione delle strutture e delle condizioni di produzione dell'agricoltura dell'UE. Si riscontra una sempre minore uniformità nell'agricoltura, e le differenze appaiono invece sempre più marcate. Secondo il CESE questo non mette tuttavia in discussione il modello agricolo europeo in quanto fondamento necessario per garantire la multifunzionalità dell'agricoltura europea. |
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7.2.6. |
A giudizio del CESE, il modello agricolo europeo potrà avere un futuro solo se si riuscirà a garantire un equilibrio tra gli interessi economici, sociali ed ambientali. Come già affermato nel parere del CESE sul tema Il futuro della PAC, non è possibile pretendere un'agricoltura in grado di:
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7.2.7. |
Per il CESE è evidente che le ampie misure di liberalizzazione adottate nel quadro dell'OMC e di accordi commerciali bilaterali rendono più forte la pressione della concorrenza. Nella maggior parte dei casi, il rispetto delle norme e degli standard rigorosi dell'UE in materia di produzione agricola e di trasformazione impone dei costi che i concorrenti dei paesi terzi invece non hanno, oltre a tutti gli altri vantaggi di cui godono sul piano dei costi. Questi dati di fatto sono in flagrante contraddizione con la multifunzionalità invocata per l'agricoltura europea e sono inoltre aspetti fondamentali per l'orientamento e gli strumenti di una futura PAC. |
7.3. Gli importanti strumenti della PAC saranno necessari anche in futuro
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7.3.1. |
Le finalità stabilite all'articolo 33 del Trattato CE impongono di agire. Come emerso con chiarezza negli scorsi anni, bisogna aspettarsi un aumento su scala mondiale delle condizioni climatiche estreme. Questo aggravamento si ripercuoterà notevolmente sulla produzione agricola e potrà causare una maggiore instabilità dei mercati. È tanto più importante, quindi, valutare con attenzione quali strumenti sia opportuno mantenere e/o sviluppare ulteriormente. |
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7.3.2. |
Il CESE sottolinea che la riforma della PAC del 2003 non è stata in alcun modo concepita con l'idea di abbandonare nel giro di qualche anno alcuni importanti elementi di tale politica. Non è immaginabile che nei prossimi cinque anni la situazione concorrenziale dell'agricoltura europea o le esigenze della società rispetto alla produzione agricola si trasformino a tal punto che i fondamenti della PAC o i suoi strumenti perdano la loro validità. Al contrario, la PAC dovrà rispondere a nuove esigenze. |
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7.3.3. |
Ciò vale anche e soprattutto per la politica di sviluppo rurale (secondo pilastro). Il CESE si è più volte pronunciato a favore dell'assegnazione di finanziamenti sufficienti a tale politica. Le misure del secondo pilastro non potranno comunque sostituire quelle del primo per quanto riguarda la stabilizzazione dei mercati e i pagamenti diretti, e queste ultime continueranno a svolgere un'importante funzione per la PAC anche dopo il 2013. Analogamente, il CESE sarebbe contrario all'utilizzo dei fondi per lo sviluppo rurale (secondo pilastro) per interventi relativi alla gestione dei rischi e delle crisi (cfr. COM(2005) 74 def.). |
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7.3.4. |
Il CESE ribadisce il proprio punto di vista secondo cui, per eseguire i compiti stabiliti dalla Comunità, è necessario garantire le necessarie risorse finanziarie. In preparazione alla discussione del 2009 sul futuro bilancio dell'UE, è ancora più importante rendere comprensibili al pubblico i requisiti cui dovrà rispondere in futuro una politica agricola comune efficace. |
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7.3.5. |
Il CESE si è più volte pronunciato con decisione a favore di una PAC funzionante. Le richieste di abolizione della PAC continueranno ad essere delle posizioni isolate. Occorrerà tuttavia contrastare anche le tendenze che puntano ad una rinazionalizzazione di settori importanti della PAC, che a giusto titolo sono considerati di esclusiva competenza comunitaria. |
7.4. Le organizzazioni comuni di mercato
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7.4.1. |
L'esperienza insegna che i mercati agricoli sono particolarmente vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi. Notevoli fluttuazioni dei prezzi trasmettono spesso segnali ingannevoli, capaci di determinare ingenti perdite, e a lungo termine non sono vantaggiose neanche per i consumatori. |
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7.4.2. |
Per il futuro il CESE ritiene più che mai attuali le motivazioni invocate nello studio della Commissione europea Towards a common agricultural and rural policy for Europe (Verso una politica agricola e rurale comune per l'Europa) (13), elaborato nel 1997 da rinomati esperti di economia agricola, per giustificare le misure pubbliche di stabilizzazione dei mercati agricoli:
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7.4.3. |
Queste motivazioni, addotte per l'adozione di misure di stabilizzazione, non sono divenute obsolete con l'evoluzione dei mercati agricoli internazionali avvenuta nel frattempo. Bisogna piuttosto aspettarsi nuove sfide. Il CESE suggerisce quindi che in futuro qualsiasi provvedimento di liberalizzazione o di eliminazione degli strumenti esistenti per la stabilità dei mercati sia sottoposto a verifica e che se ne analizzino adeguatamente i possibili effetti. |
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7.4.4. |
Con le riforme agricole del 1999 e del 2003 sono stati compiuti ulteriori passi avanti verso la liberalizzazione delle organizzazioni comuni di mercato: riduzione dei prezzi istituzionali (ad esempio, prezzi di intervento e prezzi indicativi), abrogazione dei regimi di intervento, riduzione dei contributi per lo stoccaggio e disaccoppiamento dei pagamenti diretti legati alla produzione. Questo processo di riforma è proseguito nel 2004 per il tabacco, le olive, il cotone, il luppolo, nel 2005 per lo zucchero e nel 2007 per il settore ortofrutticolo. L'organizzazione di mercato per il vino è attualmente in fase di discussione. |
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7.4.5. |
Con la conclusione dei negoziati del ciclo di Doha dell'OMC cambierà anche la situazione dei mercati agricoli dell'UE. Un tale cambiamento avverrà anche se la conclusione sarà basata sulle concessioni già accordate: ad esempio la soppressione delle restituzioni all'esportazione entro il 2013 e la riduzione tra il 35 % e il 60 % dei dazi doganali ancora esistenti. Secondo i calcoli della Commissione, queste misure comporteranno una perdita di circa 20 miliardi di euro per l'agricoltura europea. |
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7.4.6. |
Secondo il CESE, l'impegno a favore della multifunzionalità e gli obblighi di cui all'articolo 33 del Trattato CE impongono anche per il futuro l'adozione di misure che:
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7.4.7. |
Il CESE osserva inoltre che già da anni i mercati dell'UE sono tra i più aperti a livello mondiale. Anche per i paesi in via di sviluppo e i paesi emergenti l'UE è di gran lunga lo sbocco commerciale più aperto. Questi paesi forniscono, con dazi ridotti o nulli, più prodotti agricoli all'UE che a Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda messi insieme. Occorre però avviare una discussione sull'importazione di derrate agricole e/o alimentari prodotte e trasformate in condizioni che la società dell'UE troverebbe inaccettabili. |
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7.4.8. |
Secondo il CESE, se l'evoluzione del mercato lo renderà necessario, anche in futuro dovranno essere disponibili la preferenza comunitaria e strumenti efficaci per riequilibrare il mercato, ad esempio sotto forma di aiuti allo stoccaggio. Lo stoccaggio svolge una funzione importante anche nella prevenzione delle crisi. Finora non sono state trovate soluzioni alternative convincenti che consentano agli agricoltori di proteggersi dall'instabilità dei mercati agricoli. Il CESE invita ad esaminare, in base alle esperienze compiute da paesi quali gli Stati Uniti e il Canada, i possibili modelli applicabili alla situazione europea. Bisogna far sì che l'UE continui a produrre alimenti sicuri e di qualità, e ciò sarà possibile solo se gli agricoltori disporranno di un reddito che permetta loro di continuare a svolgere la propria attività e li incoraggi a farlo. |
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7.4.9. |
L'UE non è riuscita finora ad ottenere che gli aspetti «non commerciali» (norme ambientali e sociali e protezione degli animali) fossero trattati nel ciclo dei negoziati di Doha. Il CESE si aspetta che la Commissione faccia valere questo punto con più decisione nei negoziati dell'OMC in corso. I pagamenti diretti non basteranno da soli a garantire nel lungo periodo una produzione all'insegna di standard elevati. Fintantoché le condizioni di produzione e le normative nel quadro della concorrenza mondiale differiranno considerevolmente, una protezione esterna adeguata resterà irrinunciabile. Tale protezione non può essere compromessa da una politica di corto respiro, come fa temere la recente proposta dell'UE agli Stati ACP (importazioni senza diritti di dogana). In futuro l'UE dovrebbe subordinare ulteriori agevolazioni degli scambi di prodotti agricoli, in particolare nel quadro di accordi bilaterali, al rispetto di norme minime. |
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7.4.10. |
L'utilizzo ormai molto restrittivo dello strumento delle «restituzioni all'esportazione» nel quadro delle organizzazioni di mercato indica chiaramente quali conseguenze potrebbe avere, in situazioni di mercato problematiche, la proposta di sopprimerlo. Il CESE auspica che la Commissione presenti infine un'analisi esauriente delle conseguenze che l'abolizione delle restituzioni all'esportazione potrebbe produrre sul sistema agricolo dell'UE. |
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7.4.11. |
Una maggiore consapevolezza delle norme rigorose che regolano in ogni fase la produzione di alimenti può contribuire a migliorare i proventi del mercato. In futuro questo aspetto diventerà sempre più importante per il settore agricolo europeo. Il CESE raccomanda quindi che grazie a un efficace utilizzo dei finanziamenti dell'UE si dia il via a campagne di informazione e pubblicità. Altrettanto importante è che la Commissione si impegni con decisione nei negoziati OMC affinché sia garantita una sufficiente protezione delle indicazioni geografiche nell'etichettatura dei prodotti. |
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7.4.12. |
Nel parere sul tema Il futuro della PAC il CESE ha esaminato in modo approfondito il tema della «regolazione dell'offerta», dichiarando che gli strumenti di regolazione delle quantità possono svolgere una funzione importante. Tuttavia è innegabile che il sistema delle quote latte negli ultimi anni si sia andato progressivamente erodendo. |
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7.4.13. |
In uno studio del 2002 (14) la Commissione europea ha constatato che l'abbandono del sistema delle quote latte provocherebbe una flessione dei redditi dei produttori agricoli nell'UE-15 superiore a 7 miliardi di euro. La produzione lattiera aumenterebbe del 12 % e i prezzi diminuirebbero di oltre il 35 %. Come conseguenza la produzione lattiera subirebbe mutamenti a livello settoriale e regionale. Fino a che non si avrà un quadro chiaro di come compensare questi sviluppi, non andrebbero prese decisioni definitive riguardo agli strumenti di controllo quantitativo del settore lattiero-caseario. |
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7.4.14. |
La decisione del Consiglio dei ministri dell'Agricoltura sulla riforma della PAC del 2003 prevede che il sistema delle quote latte abbia fine nel 2015. Secondo la Commissione questa decisione non va in alcun modo modificata e, d'altronde, in seno al Consiglio dei ministri dell'Agricoltura non si ravvisa una maggioranza qualificata favorevole a una proroga. Data la considerevole importanza della produzione lattiera, non da ultimo per il mantenimento dell'attività agricola in molte regioni svantaggiate, si dovrebbero chiarire gli effetti e le inevitabili conseguenze della fine del sistema delle quote. Il CESE giudica quindi urgente elaborare un programma di prospettiva specificamente inteso a garantire il mantenimento della produzione nelle regioni che risulteranno svantaggiate dalla soppressione del sistema delle quote latte. |
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7.4.15. |
Senza la produzione agricola e l'allevamento, numerose regioni che presentano svantaggi naturali rischiano di vedere compromesse le proprie potenzialità economiche. Il CESE, pertanto, ritiene che il futuro dell'agricoltura dopo il 2013 dovrebbe essere sottoposto ad un'analisi approfondita, concernente ogni singola regione e ogni singolo comparto, per poter affrontare con le dovute garanzie le sfide e i cambiamenti cui tale settore sarà soggetto. |
7.5. I pagamenti diretti alle aziende agricole
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7.5.1. |
Con la riforma del 1992 i pagamenti diretti sono divenuti uno strumento fondamentale e irrinunciabile della PAC, tanto più che in molti casi i redditi di mercato da soli non bastano a garantire un tenore di vita accettabile e il mantenimento dell'attività agricola. In questo modo si è anche tenuto conto:
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7.5.2. |
Il Comitato ritiene indispensabile, per il futuro, il principio di una concezione funzionale dei pagamenti diretti e di un mantenimento a lungo termine di tale strumento della PAC. Ogni tipo di pagamento diretto, per essere accettato da gran parte dell'opinione pubblica, deve essere debitamente motivato. |
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7.5.3. |
Pertanto il Comitato vorrebbe che fosse tracciata una chiara distinzione tra i diversi tipi di pagamento diretto. I pagamenti diretti introdotti nel 1992 a seguito delle riduzioni dei prezzi avranno in futuro la funzione di compensare le prestazioni non coperte dai prezzi di mercato. Essi hanno una funzione diversa rispetto a quelli corrisposti nel quadro di specifici programmi ambientali, che serviranno anche in futuro a compensare specifiche prestazioni ambientali tramite incentivi nel quadro del secondo pilastro, oppure rispetto a quelli intesi a compensare svantaggi naturali (indennità compensativa). |
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7.5.4. |
Tali pagamenti diretti, ampiamente disaccoppiati sin dalla riforma della PAC del 2003, svolgono attualmente e, secondo il CESE, svolgeranno soprattutto in futuro, una funzione chiave nel garantire la multifunzionalità dell'agricoltura europea. Il rispetto di norme di produzione rigorose, ad esempio per garantire la protezione dell'ambiente e degli animali oppure la sicurezza degli alimenti, impone dei costi che nella maggior parte dei casi i concorrenti dei paesi terzi non devono sostenere. D'altro canto, ciò consente di svolgere quelle funzioni che la società si aspetta ma di cui, nelle attuali condizioni di concorrenza, il mercato non tiene sufficientemente conto. Il CESE ritiene che la compensazione tramite pagamenti diretti mirati, ora corrisposti sotto forma di pagamenti unici per azienda, debba restare indiscutibilmente un compito del primo pilastro. |
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7.5.5. |
I precedenti premi alla produzione sono già stati disaccoppiati all'85 % nel quadro di un «regime di pagamento unico». Il pagamento è legato al rispetto delle norme nel quadro dell'ecocondizionalità. Il CESE accoglie con favore la scelta della Commissione di presentare proposte intese a risolvere i problemi incontrati nella pratica. |
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7.5.6. |
Per il futuro è decisivo che questi pagamenti non vengano messi in discussione né per quanto riguarda la loro filosofia di fondo né i loro importi, e che continui ad essere garantita una base finanziaria sufficiente. È importante che tali pagamenti possano avere una valida e sufficiente giustificazione di fronte alla società. Soltanto in questo modo i pagamenti agricoli potranno essere mantenuti ai loro importi attuali anche dopo il 2013. |
7.6. La politica di sviluppo delle zone rurali
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7.6.1. |
Il 90 % della superficie dell'UE è costituito da zone rurali, i cui terreni sono prevalentemente utilizzati per l'agricoltura e la silvicoltura. Secondo dati Eurostat, nonostante una percentuale di appena il 15 % del valore aggiunto complessivo dell'UE, la catena alimentare è il terzo settore in Europa per numero di occupati. |
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7.6.2. |
Nella newsletter dal titolo Lo sviluppo rurale al servizio della crescita e dell'occupazione (marzo 2006), la Commissione afferma che, senza la PAC, molte zone rurali dell'UE sarebbero alle prese con gravi problemi economici, sociali e ambientali. Viene sottolineato inoltre che soprattutto le misure di sviluppo rurale possono svolgere un ruolo di spicco nel promuovere e mantenere la prosperità nelle zone rurali. Il CESE rimanda al proprio parere sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (15), in cui si afferma tra l'altro che «se si vuole assicurare la sostenibilità economica e sociale di tali territori, è necessario tener conto dei contributi della politica agricola comune, con i suoi due pilastri, al mantenimento e alla creazione di posti di lavoro sull'intero territorio europeo, specie attraverso lo sviluppo di attività agricole e/o non agricole competitive basate sull'innovazione». |
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7.6.3. |
Il CESE giudica allarmanti i risultati dello studio commissionato dalla Commissione sull'occupazione nelle zone rurali (Study on Employment in Rural Areas — maggio 2006). In tale documento si calcola che, nel periodo dal 2000 al 2014, la percentuale degli occupati nel settore agricolo diminuirà di 4-5 milioni di unità nell'UE-15, e nei nuovi Stati membri (comprese Romania e Bulgaria) di altri 3-6 milioni. |
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7.6.4. |
Il CESE sottolinea che una politica di ampio respiro per le zone rurali rende necessaria l'adozione di un approccio che interessi tutto il settore. La promozione dello sviluppo rurale, che costituisce il secondo pilastro della PAC, in base alla programmazione tematica deve svolgere un ruolo specifico e non può quindi sostituirsi ad altri strumenti per lo sviluppo e il rafforzamento delle regioni agricole. La strategia per l'occupazione dell'UE è indivisibile e deve comprendere il mantenimento e l'aumento dei posti di lavoro nel settore agricolo e forestale. |
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7.6.5. |
Il CESE fa riferimento a un recente studio della fondazione per l'ambiente Euronatur dal titolo Arbeit und Einkommen in und durch die Landwirtschaft («Occupazione e redditi nell'agricoltura o tramite attività collegate»). Prendendo ad esempio il distretto di Hohenlohe viene dimostrato che, nonostante l'internazionalizzazione dei mercati agricoli, l'aumento della concorrenza e la concentrazione dei processi di trasformazione, non solo è possibile salvaguardare i posti di lavoro nell'agricoltura ma se possono creare di nuovi diversificando la produzione e la commercializzazione. Con l'impiego mirato dei fondi di sostegno si può ottenere un forte impatto economico e strutturale in termini di occupazione nelle zone rurali. |
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7.6.6. |
La politica UE per lo sviluppo rurale è direttamente legata alla PAC e va considerata uno strumento di sostegno dell'agricoltura e della silvicoltura. Il CESE ritiene importante puntare alla sostenibilità di questo concetto e ad un'attuazione coerente di entrambi i pilastri della PAC. Gli elementi strategici rappresentati dal rafforzamento della competitività, dal riconoscimento delle prestazioni ambientali assicurate dall'agricoltura e dalla silvicoltura nonché dalla funzione di ponte per il miglioramento delle strutture delle zone rurali svolgono un imprescindibile ruolo complementare rispetto agli strumenti del primo pilastro della PAC. |
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7.6.7. |
Formalmente, il finanziamento dello sviluppo rurale si differenzia dal primo pilastro in quanto dispone di un fondo specifico, cosa che mette in rilievo la portata della nuova impostazione politica introdotta con la riforma. I negoziati sulle «prospettive finanziarie 2007-2013» hanno dato come risultato una dotazione finanziaria insufficiente per il secondo pilastro, e su questo punto il CESE si è espresso negativamente in diversi pareri. Secondo il Comitato le diverse funzioni della PAC vanno mantenute. Qualsiasi ulteriore misura di modulazione dei pagamenti diretti a titolo del primo pilastro dev'essere compatibile con questa esigenza. Se in futuro ci saranno trasferimenti di risorse finanziarie dal primo al secondo pilastro, ciò potrà avvenire solo a condizione che tali risorse vengano utilizzate per sostenere azioni intese a garantire la multifunzionalità dell'agricoltura. In questo modo si fornirà un importante contributo all'occupazione nelle zone rurali. |
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7.6.8. |
Il CESE chiede che dopo il 2013 vengano sensibilmente aumentate le risorse finanziarie destinate alle misure del secondo pilastro. Raccomanda inoltre che sin d'ora quelle risorse che l'UE attualmente risparmia, a causa della situazione del mercato, nelle restituzioni all'esportazione e in altre misure di decongestionamento del mercato vengano stanziate in modo mirato per progetti intesi alla promozione delle zone rurali. |
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7.6.9. |
Il CESE invita la Commissione a fare maggiore chiarezza su quale sia, nella pratica, la distinzione tra il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). A questo proposito, constata con preoccupazione che il secondo pilastro viene sempre più considerato una fonte di finanziamento per tutti gli investimenti immaginabili. |
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7.6.10. |
Il CESE esprime pieno compiacimento per il fatto che l'asse 3 del regolamento FEASR consente di finanziare anche misure che esulano dal settore dell'agricoltura e della silvicoltura, ma ritiene che queste debbano avere un collegamento riconoscibile e non solo intuibile con la produzione primaria. Il Comitato respinge le ipotesi di finanziamento, ad esempio, del cablaggio a banda larga o del progetto Galileo: per questi interventi si può ricorrere ai tradizionali fondi per lo sviluppo regionale. |
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7.6.11. |
Secondo il CESE, nell'attuazione delle misure per lo sviluppo rurale bisogna tenere conto del fatto che, in ragione delle diverse esigenze degli Stati membri, si deve poter garantire loro un certo margine di manovra, in conformità con il principio di sussidiarietà. Nello stesso quadro rientra il cofinanziamento nazionale dei programmi, elemento importante di corresponsabilità per un'attuazione adeguata delle singole misure. |
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) NAT/356.
(2) Eurobarometro 276, «Gli europei, l'agricoltura e la politica agricola comune nel 2006».
URL: http://ec.europa.eu/agriculture/survey/index_en.htm
L'88 % degli intervistati ritiene che l'agricoltura e le zone rurali siano importanti per il futuro dell'Europa e il 49 % si dice favorevole al disaccoppiamento. La quota del bilancio comunitario destinata alla PAC è ritenuta adeguata (45 %), troppo elevata (16 %) o troppo bassa (15 %), e il 58 % degli intervistati considera che questa percentuale debba rimanere stabile (32 %) o aumentare (26 %).
(3) Discorso pronunciato dalla commissaria Mariann Fischer Boel il 7 maggio 2007 al Parlamento europeo (SPEECH/07/288).
(4) Fonte: Commissione europea, progetti di bilancio.
(5) Eurostat, Producer price indices («Indici dei prezzi alla produzione»): prodotti vegetali — 9,3 %, prodotti animali — 15,8 %.
(6) DG AGRI, Memo/03/10.
(7) Revisione intermedia della politica agricola comune (COM(2002) 394 def.).
(8) GU C 208 del 3.9.2003, pag. 64 (NAT/178).
(9) Agenzia europea dell'ambiente (AEA), Greenhouse gas emission trends and projections in Europe 2006 («Tendenze e proiezioni per le emissioni di gas ad effetto serra in Europa 2006») rapporto n. 9/2006.
(10) Allegato alla comunicazione della Commissione — Strategia dell'UE per i biocarburanti (SEC(2006) 142);
Istituto per l'energia e l'ambiente (Lipsia), Nachhaltige Biomassenutzungsstrategien im europäischen Kontext («Strategie sostenibili di utilizzo della biomassa nel contesto europeo»);
Agenzia europea dell'ambiente (AEA), How much bioenergy can Europe produce without harming the environment? («Quanta energia può produrre l'Europa senza danneggiare l'ambiente?»), rapporto n. 7/2006.
(11) GU C 125 del 27.5.2002, pag. 87 (NAT/122).
(12) GU C 368 del 20.12.1999, pag. 76 (NAT/028).
(13) European Economy n. 5/97.
(14) Documento di lavoro della Commissione: relazione sulle quote latte (SEC(2002) 789).
(15) GU C 234 del 22.9.2005, pag. 32 (NAT/256).
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/69 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il cambiamento climatico e la strategia di Lisbona
(2008/C 44/18)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 e 26 aprile 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul «Cambiamento climatico e la strategia di Lisbona».
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente (Osservatorio dello sviluppo sostenibile), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore EHNMARK.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.
1. Conclusioni
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1.1. |
Il cambiamento climatico è diventato il nostro appuntamento con il destino. Esso non solo minaccia il nostro benessere, ma anche la nostra sopravvivenza. Si tratta di una minaccia veramente globale e il continuo aumento delle emissioni accelera questo fenomeno. |
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1.2. |
Gli scienziati ci dicono che l'orizzonte temporale che abbiamo a disposizione per bloccare l'aumento delle emissioni corrisponde a 10-15 anni. L'ovvia conclusione è che non abbiamo tempo da perdere. |
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1.3. |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede con urgenza alla Commissione di lanciare programmi e misure per attuare gli ambiziosi obiettivi che il Consiglio europeo ha stabilito nel marzo di quest'anno. I cittadini si aspettano segnali chiari sulle priorità e le misure. L'Europa dovrebbe essere all'avanguardia a livello dell'attuazione effettiva e non solo nella pianificazione. |
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1.4. |
Attenuare il cambiamento climatico richiede uno sforzo sostenuto che abbraccia una gamma estremamente vasta di aspetti. Poiché gli effetti del cambiamento climatico si faranno sentire, più o meno, su quasi tutte le componenti della società, occorre un'assunzione di responsabilità sia da parte del settore pubblico che di quello privato. |
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1.5. |
Il Comitato sottolinea la necessità di misure trasparenti che i cittadini possano applicare e da cui possano essere stimolati. Le misure vanno pianificate e applicate con un approccio dal basso verso l'alto. |
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1.6. |
Il Comitato mette in evidenza la necessità di sforzi sostanziali nel campo della comunicazione ai cittadini e alle comunità locali e in quello della loro consultazione. |
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1.7. |
Il Comitato insiste perché la strategia di Lisbona per la competitività e l'occupazione includa un maggior impegno nei confronti del cambiamento climatico. La strategia di Lisbona contiene già un impegno per lo sviluppo sostenibile. È tempo adesso di inserirvi la lotta contro il cambiamento climatico. |
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1.8. |
Usare la strategia di Lisbona come uno strumento — facendola diventare una strategia «verde» — vuol dire che l'UE può utilizzare una struttura esistente, con una metodologia ben consolidata e un sistema di coordinamento ben funzionante. L'UE deve massimizzare l'efficienza e usare, in tutti i casi possibili, le sinergie esistenti. |
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1.9. |
Il Comitato presenta una tabella di marcia per integrare le questioni del cambiamento climatico nella strategia di Lisbona. È di particolare importanza la capacità della strategia di Lisbona di ottenere un consenso ampio intorno a obiettivi e misure comuni. |
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1.10. |
Il Comitato sottolinea la necessità di sviluppare una serie di orientamenti integrati per combattere il cambiamento climatico da inserire nella strategia di Lisbona. Come accade per gli altri orientamenti della strategia, anche questi saranno soggetti alle stesse procedure di valutazione e di analisi comparativa, tra cui il metodo aperto di coordinamento. |
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1.11. |
Il cambiamento climatico può accentuare le attuali distorsioni e disuguaglianze sociali sia nell'Unione europea che in altre parti del mondo e costituisce un esame importante della nostra capacità di essere solidali. Bisogna puntare a gestire l'adattamento al cambiamento climatico e il suo contenimento senza provocare una perdita di posti di lavoro e distorsioni sociali. Questa lotta non deve comportare l'aumento del numero dei cittadini poveri. Il Comitato sottolinea come sia importante portare avanti una strategia di Lisbona che unisca competitività, coesione sociale e azioni contro il cambiamento climatico. |
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1.12. |
Il finanziamento della lotta contro il cambiamento climatico deve fondarsi su una combinazione di risorse pubbliche e private. A questo proposito la Banca europea per gli investimenti ha un ruolo centrale da svolgere. Lo stesso bilancio dell'UE dovrebbe mettere in evidenza i casi in cui le risorse sono destinate a misure contro il cambiamento climatico. Il CESE rivolge un invito pressante alla Commissione perché essa sviluppi strumenti per produrre un PIL «verde». |
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1.13. |
La lotta contro il cambiamento climatico può generare effetti competitivi positivi. I mercati globali sono alla ricerca di nuove soluzioni che facciano risparmiare energia, per esempio nel settore dei trasporti. Si dovrebbero intensificare gli investimenti in ricerca e sviluppo e l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita si rivela più che mai essenziale. |
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1.14. |
Il lavoro che ci attende può essere considerato un esame per la nostra democrazia partecipativa. I cittadini si aspettano di essere consultati. Le parti sociali hanno un ruolo estremamente significativo da svolgere in questo senso, in quanto fungono da collegamento tra i cittadini e i governi. Il dialogo sociale a tutti i livelli è uno strumento cruciale. Il ruolo della società civile organizzata sarà fondamentale, non da ultimo nel campo dell'economia sociale. |
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1.15. |
Il Comitato continuerà a impegnarsi strenuamente nella lotta contro il cambiamento climatico ed è pronto a fornire contributi concreti, come sta già facendo per la strategia di Lisbona. Il Comitato lavorerà in uno spirito di solidarietà tra i popoli e le generazioni, all'interno e all'esterno dell'UE. |
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1.16. |
La lotta che ci attende esigerà una leadership politica dedicata e sensibile. |
2. Un energico programma comunitario di lotta contro il cambiamento climatico
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2.1. |
Nel marzo 2007 il Consiglio europeo ha adottato un programma energico e ambizioso per contrastare il cambiamento climatico. Il piano d'azione proposto dal Consiglio si pone i seguenti obiettivi: raggiungere il 20 % di fonti rinnovabili nel mix energetico adottato dall'UE, ridurre le emissioni di gas a effetto serra (GES) del 20 % entro il 2020 (e fino al 30 % se si realizzano determinate condizioni) e, infine, a lungo termine ridurre le emissioni del 60-80 % entro il 2050. L'UE ha deciso inoltre di incrementare l'efficienza energetica all'interno dell'UE del 20 % entro il 2020. Grazie a questo piano d'azione, l'UE ha assunto un ruolo guida, a livello mondiale, negli sforzi condotti per contrastare il cambiamento climatico. |
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2.2. |
Meno chiaro è stato il Consiglio europeo riguardo agli strumenti necessari per attuare questi obiettivi. La Commissione europea è stata invitata ad elaborare proposte di decisioni in materia. In aggiunta, essa ha avviato una consultazione pubblica su come adattarsi al cambiamento climatico. |
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2.3. |
Numerose dichiarazioni hanno evidenziato la consapevolezza dell'urgenza della questione. Il Presidente della Commissione José Manuel BARROSO ha, per esempio, dichiarato che «l'Europa deve rimanere all'avanguardia nella lotta contro il cambiamento climatico e offrire un incentivo perché altri la seguano: la leadership deriva dall'impegno assunto dall'UE di ridurre le emissioni di almeno il 20 % entro il 2020; l'incentivo si offre chiarendo che ci spingeremo oltre se altri si uniranno a noi. In fondo, si tratta di riscaldamento globale non solo europeo». |
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2.4. |
BARROSO ha dichiarato: «Le proposte presentate dalla Commissione (…) sull'energia e sul cambiamento climatico sono un elemento centrale dell'Agenda di Lisbona per la crescita e l'occupazione». La strategia di Lisbona, decisa nel 2000, ha stabilito l'obiettivo di fare dell'UE «l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». La politica energetica è stata definita nel 2006 dal Consiglio europeo come una delle quattro aree prioritarie della strategia di Lisbona. Tra gli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione, il n. 11 raccomanda agli Stati membri di sfruttare il potenziale delle risorse rinnovabili e di puntare all'efficienza energetica nell'interesse della crescita, dell'occupazione e della competitività. |
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2.5. |
L'UE deve raggiungere un equilibrio tra la competitività, la coesione e le minacce derivanti dal cambiamento climatico, che si estendono rapidamente. Scopo del presente parere è quello di individuare dove esistono — o potrebbero esistere — sinergie e conflitti nella lotta contro il cambiamento climatico. |
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2.6. |
Secondo stime recenti, i costi per riportare nel 2030 le emissioni di GES ai livelli attuali supererebbero i 200 miliardi di dollari (1). Una recente relazione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici riporta la seguente distribuzione dei costi: — Industria: 38 miliardi di dollari — Edilizia, soprattutto isolamento: 50 miliardi di dollari — Trasporti: 90 miliardi di dollari — Gestione dei rifiuti: 1 miliardo di dollari — Agricoltura: 30 miliardi di dollari — Silvicoltura: 20 miliardi di dollari — Ricerche tecnologiche: 35-45 miliardi di dollari Dalle cifre fornite emerge la necessità di una gestione e un coordinamento efficaci. A questo (come ha sottolineato lo scorso anno la Stern Review) andrebbero però aggiunti gli ingenti costi dell'inattività. Infatti, più si aspetta, più l'intervento sarà costoso. |
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2.7. |
Il finanziamento delle azioni da intraprendere costituisce una sfida importante. Il Comitato invita la Commissione europea ad avviare le consultazioni con le parti interessate del settore pubblico e privato per definire le priorità. Alla Banca europea per gli investimenti e ai fondi strutturali spetta un ruolo centrale nel finanziare le soluzioni. |
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2.8. |
La strategia di Lisbona verrà sottoposta a un nuovo esame dal Consiglio europeo nel marzo 2008, e il nuovo periodo di programmazione si estenderà fino al 2011. Tale riesame sarà un'occasione per individuare possibili sinergie. |
3. La sfida di fondo: realizzare le sinergie potenziali
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3.1. |
La strategia di Lisbona ha svolto un ruolo fondamentale nel promuovere obiettivi comuni ai 27 Stati membri dell'UE. Ciò costituisce di per sé un buon risultato. Il cambiamento climatico introduce una serie di nuovi aspetti politici nell'agenda europea. Il potenziale per effetti di sinergia è considerevole. |
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3.2. |
Sin dagli inizi, il concetto di società ad alta intensità di conoscenza è stato considerato uno dei pilastri della strategia di Lisbona. |
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3.3. |
Le politiche all'insegna dell'innovazione, il sostegno ai centri per l'innovazione e le nuove iniziative per promuovere il trasferimento delle conoscenze dalla ricerca ai prodotti sono parte integrante della strategia di Lisbona e del programma comunitario per contrastare il cambiamento climatico. Nel mercato — in rapida crescita — dei prodotti ad alta efficienza energetica, l'Europa detiene una posizione di leadership in numerosi settori. Tuttavia, nel comparto manifatturiero l'Europa può essere vulnerabile alla concorrenza esercitata da produttori stranieri, soprattutto per quanto riguarda la fabbricazione di automobili di piccole dimensioni e a basso consumo di carburante. Assumerà importanza l'ulteriore espansione del settore dei servizi, collegata all'introduzione di misure ambiziose per contrastare il cambiamento climatico. |
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3.4. |
La protezione del clima rientra nella politica energetica e l'Europa deve esprimersi con una sola voce quando si tratta della politica esterna in materia energetica. Se tutti gli Stati membri fanno fronte comune, l'UE acquisisce infatti un potere negoziale tale da rendere impossibile la non considerazione dei suoi interessi — protezione del clima, sicurezza energetica, energia a prezzi accessibili. |
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3.5. |
Il cambiamento climatico può accentuare le attuali distorsioni e disuguaglianze sociali. L'adozione di politiche ambiziose a favore dell'istruzione può impedire questi fenomeni. |
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3.6. |
Le ripercussioni delle politiche in materia di cambiamento climatico sull'occupazione diventeranno nei prossimi anni una questione cruciale. Bisogna infatti puntare a gestire l'adattamento al cambiamento climatico e il suo contenimento senza provocare una disoccupazione diffusa. Il panorama industriale in mutamento è destinato a creare una più intensa domanda di apprendimento permanente, con conseguenti cambiamenti nell'organizzazione del lavoro, nei posti di lavoro e nelle retribuzioni. |
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3.7. |
Per poter lottare con successo contro il cambiamento climatico occorre il fermo sostegno delle comunità locali. I progetti per la creazione di insediamenti neutri in termini di emissioni di carbonio suscitano molto interesse. Forte è il bisogno di condividere le esperienze. Si assisterà a un aumento della domanda di costruzioni a basso consumo energetico, o anche della domanda di interventi di ristrutturazione o di isolamento delle case. |
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3.8. |
L'agricoltura ha un suo ruolo da svolgere nel contesto del cambiamento climatico e della strategia di Lisbona, non solo in quanto attività influenzata da tale cambiamento, ma anche come settore in grado di contribuire a mitigarne l'impatto. Sarebbe più che mai opportuno incoraggiare la ricerca agronomica a proseguire i suoi studi in direzione di una minore utilizzazione di fattori produttivi o di un adattamento delle tecniche di lavorazione del terreno — mantenendo però al tempo stesso un rendimento ottimale — o anche di una disponibilità in futuro di nuove varietà più adatte ai cambiamenti climatici. Non si dovrebbe peraltro trascurare la produzione a fini non alimentari di materie prime di origine agricola. Si dovrebbe mettere a punto una formazione permanente adeguata al settore. |
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3.9. |
L'impiego dei fondi strutturali sarà influenzato da problematiche ambientali come la desertificazione e l'innalzamento del livello del mare. Un altro aspetto della questione è costituito dalle popolazioni che vivono nelle zone periferiche dove i prezzi energetici in aumento creeranno problemi molto concreti in tali zone. Il mantenimento di condizioni di vita accettabili è un aspetto cui le reti create nell'ambito della strategia di Lisbona possono fornire un valido contributo sotto forma di scambio di esperienze. |
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3.10. |
Gli esempi forniti indicano tutti la portata e l'urgenza del ricorso alle opportunità di un'azione coordinata tra la strategia di Lisbona e il programma europeo sui cambiamenti climatici. |
4. Verso una nuova definizione della crescita
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4.1. |
Sia da un punto di vista economico che nella prospettiva di un cambiamento climatico è importante adottare azioni che perseguono l'obiettivo «crescita sostenibile» della strategia di Lisbona. Il nuovo programma triennale nell'ambito della strategia di Lisbona dovrebbe pertanto considerare attentamente la definizione di «crescita». Andrebbe infatti promossa una crescita neutra o che presenta addirittura un segno positivo in termini di bilancio del carbonio. |
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4.2. |
In più occasioni il CESE ha ribadito che la crescita non può più essere misurata in termini meramente quantitativi, e che occorre un nuovo concetto di crescita che dia la priorità ad obiettivi qualitativi basati su criteri di sostenibilità. I criteri di sostenibilità prevedono naturalmente, tra l'altro, il disaccoppiamento fra crescita ed emissioni di GES. Il CESE presenta pertanto nuovamente questa sua richiesta all'attenzione della Commissione e del Consiglio:
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5. I trasporti — un settore conflittuale?
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5.1. |
Il conflitto tra obiettivi è particolarmente acuto nel settore dei trasporti. La strategia di Lisbona evidenzia l'importanza di adeguati corridoi e reti di trasporto e il risultato è che numerose attività condotte nell'ambito della strategia si concentrano sull'espansione del trasporto stradale, un'impostazione che è però in conflitto totale con il tentativo di contenere il cambiamento climatico. |
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5.2. |
Nel contesto dell'attuale crescita economica dei paesi dell'UE, il volume del trasporto stradale è in rapida espansione; alcune stime indicano un aumento fino al 40 % entro il 2020. A ciò si aggiunge l'aumento del volume del trasporto aereo. Per il momento la crescita dei trasporti non è stata dissociata da un aumento delle emissioni di GES, né c'è in vista una formula magica. I biocarburanti non saranno in grado di sostituire nel prossimo futuro i combustibili fossili ed è altamente improbabile che i miglioramenti tecnici nell'efficienza dei motori e dei carburanti potranno compensare il previsto incremento del volume dei trasporti. |
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5.3. |
Il nuovo piano triennale nell'ambito della strategia di Lisbona dovrebbe affrontare la tematica dei trasporti anche dal punto di vista del cambiamento climatico. L'obiettivo dovrebbe essere quello di disporre di un sistema di trasporto adeguato nell'UE, ma anche di far sì che i sistemi di trasporto in generale siano maggiormente attenti alle loro ripercussioni sul clima. Il fatto che l'aumento del trasporto di merci via rotaia sia solo marginale costituisce un segnale di allarme molto serio. Ciò è stato ulteriormente illustrato lo scorso anno dal Libro bianco sui trasporti che si è concentrato sul trasporto su gomma e sul trasporto aereo, trascurando la ferrovia e la navigazione interna. Quanto ai fondi strutturali, risulta evidente che una grande quantità di risorse viene spesa in modo da non diminuire ma, al contrario, incrementare le emissioni di GES. |
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5.4. |
In vista dei prossimi 20-50 anni (un orizzonte temporale adottato dal Consiglio per gli aspetti legati al cambiamento climatico) l'Europa dovrà individuare strutture di trasporto efficaci e al tempo stesso con un'influenza positiva sul clima. C'è da chiedersi come mai, per fare un esempio, non si prendano provvedimenti per trasportare le merci più urgenti con i TAV. |
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5.5. |
L'aumento del volume di trasporto su gomma comporta un mantenimento in servizio di autocarri ormai vetusti — dotati di motori inquinanti — anche se questi emettono forti quantità di GES. La Commissione dovrebbe avviare consultazioni sui metodi da adottare per modernizzare le flotte di autocarri vetusti e, in ultima analisi, per smantellare gradualmente i veicoli ormai obsoleti e poco efficienti. Vanno inoltre adottate misure dal lato della domanda. Vanno istituiti incentivi per la riduzione del volume totale dei trasporti e per il passaggio a modi di trasporto più sostenibili. |
6. Una tabella di marcia per inserire gli aspetti legati al cambiamento climatico nella strategia di Lisbona
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6.1. |
Gli obiettivi fissati dall'UE per le azioni volte a contrastare il cambiamento climatico avranno bisogno di un notevole contributo da parte di numerose istituzioni e dei diretti interessati. Andrebbero ovviamente utilizzati i metodi e le esperienze di lavoro della strategia di Lisbona. |
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6.2. |
sarà soprattutto estremamente importante che la strategia di Lisbona, con la sua struttura fondata su tre pilastri, integri gli obiettivi connessi al cambiamento climatico nel suo programma operativo allo scopo di accelerare i progressi nei settori prioritari. |
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6.3. |
La tabella di marcia di uno sforzo comunitario integrato per limitare il cambiamento climatico e per adattarvisi andrebbe così articolata: |
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6.4. |
La Commissione europea dovrebbe riesaminare i programmi in corso per evidenziare le questioni legate al cambiamento climatico nell'attuale bilancio. Nel prossimo periodo di programmazione, bisognerà riorientare risorse significative verso la lotta al cambiamento climatico. Verosimilmente, però, una parte delle risorse dovrà essere già trasferita nell'attuale periodo di programmazione. Va sottolineato che la principale responsabilità in termini di contenimento e di adattamento spetta comunque agli Stati membri. |
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6.5. |
La Commissione europea presenterà entro i primi di dicembre alcune proposte legislative in materia di energie rinnovabili e di emissioni, consentendo così al Consiglio europeo di adottare le decisioni necessarie nel marzo 2008, quando sarà impegnato ad individuare gli orientamenti per il prossimo periodo triennale della strategia di Lisbona. Si presenterà così una preziosa occasione per promuovere un'applicazione congiunta delle misure relative. |
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6.6. |
È particolarmente importante che la Commissione riesca a realizzare il coordinamento necessario tra le sue unità e i suoi servizi. Già in passato il CESE ha sottolineato in diverse occasioni l'importanza estrema di questo coordinamento in seno alla Commissione. |
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6.7. |
Sulla base delle proposte della Commissione e delle decisioni del Consiglio, si dovrebbe intraprendere un'importante azione d'informazione e comunicazione allo scopo di sensibilizzare i cittadini e di promuovere iniziative a livello locale e regionale. |
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6.8. |
Alla luce delle prossime proposte in materia di fonti rinnovabili e di riduzione delle emissioni, il CESE sottolinea l'importanza di un dialogo stretto e continuo con le parti sociali e la società civile organizzata. Il CESE raccomanda di ricorrere al dialogo sociale come uno fra i molti forum di informazione e consultazione. È fondamentale anche coinvolgere la società civile organizzata nel processo decisionale. |
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6.9. |
Ecco alcuni elementi che riassumono alcune delle proposte specifiche per la futura tabella di marcia:
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6.10. |
Possibili esempi da utilizzare per l'analisi comparativa delle questioni climatiche nell'ambito della strategia di Lisbona:
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7. Il ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata
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7.1. |
Il cambiamento climatico e la strategia di Lisbona costituiscono entrambi importanti sfide per l'UE. Le azioni e i programmi devono essere elaborati e decisi secondo un approccio dal basso verso l'alto (e non viceversa). In questo processo vanno coinvolte le parti sociali e la società civile organizzata. |
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7.2. |
Il CESE sarà pronto a fornire il proprio contributo grazie alla sua rete di parti direttamente interessate. |
8. La necessità di una leadership politica
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8.1. |
Il Consiglio europeo ha preso una decisione coraggiosa riguardo agli obiettivi di riduzione dei GES. |
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8.2. |
Le conseguenze, in termini pratici, di tale decisione per la nostra società e la vita quotidiana dei nostri cittadini sono una delle grandi questioni da affrontare. Quale tipo di società vogliamo? In che modo il modello sociale europeo può adattarsi alle molteplici sfide presentate dal cambiamento climatico? Coma potrà tale modello gestire le esigenze parallele di competitività, coesione sociale e sviluppo sostenibile in un contesto globalizzato? Dovrebbero essere questi i temi di un dibattito ininterrotto sul tipo di società che i cittadini vogliono. |
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8.3. |
In alcuni pareri elaborati negli ultimi anni il CESE ha evidenziato la necessità di una leadership politica nella lotta contro il cambiamento climatico e a favore dello sviluppo sostenibile, un aspetto, questo, che mantiene oggi tutta la sua importanza. |
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8.4. |
Il cambiamento climatico è un fenomeno in rapida progressione, e ciò desta una certa preoccupazione tra la popolazione. Vi è bisogno ora di una leadership politica costruttiva non soltanto a livello europeo e nazionale, ma anche a livello locale. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: Analysis of existing and planned investment and financial flows relevant to the development of effective and appropriate international response to climate change (Analisi degli investimenti e dei flussi finanziari ai fini della preparazione di una risposta internazionale efficace ed appropriata al cambiamento climatico — documento non disponibile in IT).
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/74 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Credito ed esclusione sociale in una società opulenta
(2008/C 44/19)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul «Credito ed esclusione sociale in una società opulenta».
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 59 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
In mancanza di orientamenti comunitari in materia, i diversi Stati membri hanno elaborato, a livello nazionale, regimi giuridici propri per prevenire e trattare il fenomeno del sovraindebitamento, venendo in aiuto ai cittadini e alle famiglie che si trovano in questa situazione e cercando di risolvere i loro problemi. |
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1.2. |
Di fronte all'evoluzione crescente e allarmante che tale fenomeno ha registrato negli ultimi decenni e tenendo conto in misura particolare dell'ampliamento dell'Unione europea e dell'aggravarsi della situazione in termini complessivi negli ultimi tempi, il CESE, che segue da tempo gli sviluppi della situazione e le conseguenze sociali del sovraindebitamento in termini di esclusione, giustizia sociale e di ostacoli alla realizzazione del mercato interno, ha deciso di riaprire il dibattito pubblico sulla questione con la società civile e le altre istituzioni europee, al fine di stabilire e attuare gli interventi comunitari volti a definire con precisione, monitorare e gestire il fenomeno nei suoi vari aspetti sociali, economici e giuridici. |
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1.3. |
La diversità dei regimi istituiti nei paesi che li hanno sviluppati, vuoi in Europa vuoi nel resto del mondo, e l'assenza di meccanismi analoghi in altri paesi rafforzano una situazione di disuguaglianza di opportunità che, da un lato, provoca ingiustizia sociale e, dall'altro, è fonte di distorsioni nel processo di piena realizzazione del mercato interno, rendendo necessario da parte dell'Unione europea un intervento adeguato, per cui l'indispensabile base giuridica esiste già nel diritto primario. |
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1.4. |
Nel presente parere, il CESE passa in rassegna le questioni principali relative al fenomeno del sovraindebitamento, compara le soluzioni esistenti a livello nazionale, illustra le difficoltà e i difetti riscontrati, valuta la dimensione globale del problema, riflette sulle lacune in termini di conoscenza e di metodi e cerca di definire eventuali orientamenti e aree d'intervento a livello comunitario. |
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1.5. |
Il CESE inoltre suggerisce di creare un Osservatorio europeo dell'indebitamento incaricato di seguire l'evolversi del fenomeno a livello europeo, di fungere da forum per il dialogo di tutti gli interessati, di proporre e coordinare misure di prevenzione e contenimento del fenomeno stesso valutandone il relativo impatto. |
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1.6. |
Il Comitato si rende tuttavia conto che un'armonizzazione di questo tipo e in questo ambito potrà essere realizzata solo se la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio, in un dialogo serrato con la società civile organizzata in cui sono rappresentati i diretti interessati al fenomeno (famiglie, lavoratori, consumatori, enti creditizi, ecc.), decideranno di inserire la questione tra le loro priorità. |
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1.7. |
In tale contesto, il CESE accoglie favorevolmente i recenti indizi di un possibile interesse in materia da parte della Commissione; pertanto raccomanda vivamente alla Commissione di garantire il necessario seguito a questo tema attraverso studi di base, consultazioni e proposte legislative e non legislative, che siano pertinenti e adeguate, cominciando con la pubblicazione di un Libro verde che definisca e precisi i termini della questione e in cui sia data voce a tutti gli interessati, attraverso un'ampia consultazione pubblica. |
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1.8. |
Il Comitato si rivolge anche al Parlamento europeo e al Consiglio affinché facciano proprie le grandi preoccupazioni della società civile espresse nel presente parere e le inseriscano tra le priorità delle rispettive agende politiche. |
2. Introduzione
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2.1. |
È indubbio che il credito, di per sé, abbia permesso ai cittadini europei di migliorare la loro qualità di vita e di avere accesso a beni e servizi essenziali, come la casa o un mezzo di trasporto individuale, che altrimenti non avrebbero mai potuto ottenere mai o solo dopo molto tempo. Tuttavia, se il credito non è negoziato in forma sostenibile (quando ci sono problemi di lavoro gravi, quando l'onere mensile del debito supera una quota ragionevole del reddito mensile disponibile, quando il numero dei crediti è molto alto e quando non esistono risparmi capaci di ammortizzare situazioni specifiche di perdita di reddito) si può arrivare a situazioni di indebitamento eccessivo. |
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2.2. |
Del resto, la questione del sovraindebitamento e delle sue conseguenze sociali non è recente; la sua origine può al limite essere ricercata nell'antichità classica, più precisamente nella crisi agraria che si verificò in Grecia nel sesto secolo avanti Cristo e nelle misure adottate da Solone (594/593 a.C.) per cancellare i debiti dei piccoli produttori agricoli, ridotti in schiavitù, venduti e poi affrancati e reinseriti nella vita sociale e produttiva di Atene come liberi cittadini (1). |
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2.3. |
Ma è indubbiamente ai giorni nostri che il fenomeno si generalizza, assume contorni allarmanti ed entra nelle coscienze come problema sociale, in una società contraddistinta da profondi contrasti, in cui le disparità si fanno sempre più profonde e si è indebolita la solidarietà. |
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2.4. |
È in questo contesto che assume un significato particolare la questione dell'esclusione bancaria, con la quale si designa l'emarginazione sociale di tutti coloro ai quali, per diverse ragioni, è impedito l'accesso ai servizi finanziari di base (2). |
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2.5. |
Il presente parere tenta di individuare le cause principali di questa situazione, di stabilire la portata del fenomeno, di identificare i rimedi maggiormente utilizzati e i motivi che giustificano una soluzione a livello comunitario. |
3. La portata del fenomeno
3.1. Esclusione sociale ed esclusione bancaria
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3.1.1. |
Secondo quanto afferma una relazione di Eurobarometro del febbraio 2007 (3), circa il 25 % dei cittadini europei ritiene di essere a rischio povertà mentre il 62 % pensa che questo potrebbe capitare a chiunque in qualsiasi momento della sua vita. |
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3.1.2. |
In base ai dati riportati nella proposta di relazione congiunta per il 2007 sulla protezione e sull'inclusione sociale elaborata dalla Commissione europea, nel 2004 il 16 % dei cittadini dell'UE a 15 vivevano al di sotto della soglia di povertà, fissata al 60 % del reddito medio di ciascun paese (4). |
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3.1.3. |
In termini qualitativi, la povertà corrisponde alla mancanza o all'insufficienza di risorse materiali necessarie per soddisfare le esigenze vitali dell'individuo. È l'aspetto più visibile dell'esclusione sociale, che relega una persona al margine della società ed alimenta sentimenti di rifiuto e di autoesclusione. |
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3.1.4. |
La portata e i contorni dell'esclusione sociale dipendono, nei vari paesi, da una serie di variabili, ad esempio il sistema di previdenza sociale, il comportamento del mercato del lavoro, il funzionamento del sistema giudiziario e delle reti informali di solidarietà. Gli immigrati, le minoranze etniche, gli anziani, i minori di età inferiore ai 15 anni, le persone a basso reddito e a bassa scolarità, le persone con disabilità e i disoccupati sono i gruppi maggiormente esposti al rischio di povertà e di esclusione sociale. |
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3.1.5. |
In tutti i paesi europei, le tendenze in materia di consumo evidenziano che le spese in generi alimentari, bevande, tabacco, abbigliamento e calzature perdono relativamente importanza mentre le spese relative all'alloggio, ai trasporti e comunicazioni, ai servizi sanitari e culturali, e ad altri beni e servizi quali le cure mediche, i viaggi e il turismo, i servizi alberghieri e i ristoranti registrano un aumento relativo (5). |
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3.1.5.1. |
Questa nuova distribuzione delle spese familiari tende a riflettersi nel ricorso al credito. Oggi, il credito al consumo in senso lato, che comprende l'acquisizione sia di beni e servizi sia di un'abitazione, è strettamente collegato ai nuovi modelli di consumo e accompagna da vicino le loro tendenze e oscillazioni. L'aumento dell'importanza relativa delle spese concernenti il comfort domestico (6), i trasporti e i viaggi, tutte spese che vengono spesso sostenute ricorrendo al credito, merita pertanto di essere sottolineato. |
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3.1.5.2. |
Altri fattori che hanno contribuito all'aumento del credito al consumo sono il fatto che esso ha perso la connotazione negativa legata alla povertà o alla colpa nella gestione della propria vita o degli affari, principalmente nei paesi prevalentemente cattolici, in opposizione a quelli di cultura protestante, e il fatto che tale fenomeno sia diffuso soprattutto nelle grandi città. La pubblicità intensa e sistematica degli enti creditizi per attirare nuovi clienti favorisce questa diffusione. Inoltre, il credito al consumo conferisce uno status e permette di camuffare lo strato sociale, in quanto consente di adottare uno stile di vita caratteristico di un ceto sociale superiore. Il credito è infine, per molte famiglie, una maniera corrente di gestire il proprio bilancio (attraverso soprattutto le carte di credito), i cui rischi sono stati riconosciuti ma in merito ai quali non esistono né una sufficiente informazione né rimedi efficaci né dati quantitativi soddisfacenti. |
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3.1.6. |
Questi condizionamenti di natura sociale e culturale vengono anche favoriti da fattori economici e finanziari, ad esempio la drastica diminuzione dei tassi di interesse negli ultimi dieci anni, il venir meno delle abitudini di risparmio, il fatto che i tassi di disoccupazione continuano ad essere relativamente bassi, la crescita economica (nonostante la crisi della fine degli anni '90, tuttavia non così grave come altre crisi precedenti). A questo si aggiunge la deregolamentazione di cui è stato oggetto tutto il mercato del credito a partire dalla fine degli anni '70 e dall'inizio degli anni '80 (7). Essa ha comportato una forte espansione e una proliferazione del numero di enti che operano nel settore della concessione del credito, anche di alcuni che non sono sottoposti alle regole di controllo e di vigilanza finanziaria, e un incremento della concorrenza tra di essi, con la conseguente spersonalizzazione del rapporto banca/cliente. |
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3.1.7. |
Tutti questi fattori, messi insieme, fanno della società europea una società di cittadini sempre più dipendenti dal credito al fine di poter soddisfare le loro esigenze fondamentali. I tassi crescenti di indebitamento in tutti gli Stati membri illustrano bene questa realtà (8). |
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3.1.8. |
Un prestito acceso in maniera sostenibile, vale a dire se non ci sono gravi problemi occupazionali, se la quota mensile del debito non supera una parte ragionevole del reddito mensile disponibile, se il numero di prestiti non è eccessivo e se vi sono risparmi che consentono di ammortizzare una perdita occasionale di reddito, permette ai cittadini di migliorare la loro qualità di vita e di accedere a beni e servizi essenziali dei quali non potrebbero disporre se non dopo molto tempo, ad esempio un alloggio o un mezzo di trasporto privato. |
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3.1.9. |
Tuttavia, un eventuale problema nella vita personale o familiare che impedisca di continuare ad onorare puntualmente gli impegni assunti è un rischio al quale sono esposti tutti coloro che hanno contratto un prestito. In questo modo, un indebitamento normale e controllato può diventare, per diverse ragioni, un indebitamento eccessivo e incontrollato. |
3.2. Concetto e dimensioni del sovraindebitamento
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3.2.1. |
Parlare di sovraindebitamento o di indebitamento eccessivo significa parlare di situazioni in cui il debitore si trova durevolmente nell'impossibilità di pagare tutti i suoi debiti, o di situazioni in cui c'è il reale pericolo di non poter far fronte al pagamento dei debiti quando essi divengono esigibili (9). Tuttavia, i termini precisi di questo concetto variano notevolmente da uno Stato membro all'altro; inoltre una sua definizione a livello europeo ancora non esiste (10). Il Comitato accoglie pertanto favorevolmente la recente iniziativa della Commissione europea di commissionare uno studio sull'argomento (11). |
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3.2.2. |
Il concetto del sovraindebitamento in sé non è univoco e la sua definizione non è esente da difficoltà. Inoltre, vi sono maniere divergenti di misurare tale fenomeno. In un altro studio commissionato dalla Commissione europea (12), sono state identificate tre formule o modelli per valutare l'indebitamento eccessivo: il modello amministrativo (13), il modello soggettivo (14) e il modello oggettivo (15). |
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3.2.3. |
Nel valutare la dimensione del sovraindebitamento in Europa, una delle principali difficoltà consiste nella mancanza di statistiche affidabili o nell'impossibilità di stabilire confronti con i dati esistenti, dato l'uso di diverse metodologie, diversi concetti e diversi intervalli di misurazione. Questo sarà uno dei settori ai quali la Commissione dovrà prestare la massima attenzione, elaborando gli studi necessari per conseguire e analizzare dati affidabili e comparabili. |
4. Le cause principali del sovraindebitamento
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4.1. |
I numerosi studi sociologici effettuati in vari Stati membri identificano le seguenti cause principali del sovraindebitamento:
L'analisi sociologica del fenomeno fa emergere pertanto una preponderanza delle cause cosiddette passive, anche se è necessario sottolineare l'importanza che in alcuni paesi è attribuita alla cattiva gestione finanziaria (16). Questo dato di fatto fa capire come le persone abbiano difficoltà a gestire il proprio bilancio in maniera prudente e sostenibile (17). |
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4.2. |
L'esclusione di tipo finanziario comporta normalmente la difficoltà o l'impossibilità di accedere al mercato dei servizi finanziari di base, ostacolando soprattutto l'apertura di conti correnti, il possesso di mezzi di pagamento elettronici, la possibilità di effettuare bonifici bancari e di stipulare contratti di assicurazione del credito. |
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4.3. |
Questa esclusione di tipo finanziario comprende, a maggior ragione, l'accesso al credito ad interesse ridotto, che consente di acquistare beni e servizi indispensabili all'economia familiare (casa, elettrodomestici, trasporti, istruzione), alla creazione di un'attività autonoma e alla gestione di una piccola impresa individuale o familiare. |
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4.4. |
Oggi l'accesso ad un conto bancario, a determinate forme di credito e ai mezzi elettronici che consentono di effettuare le varie operazioni è una condizione essenziale per accedere a beni e servizi fondamentali. L'occupazione, la piccola impresa, l'abitazione in cui si vive, i mobili e gli elettrodomestici, il trasporto, l'informazione e anche l'alimentazione, l'abbigliamento e il tempo libero dipendono attualmente dall'accesso al credito e al sistema bancario, che assume, in questo modo, una particolare responsabilità sociale, quasi paragonabile a quella di un servizio pubblico. |
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4.5. |
È qui che la frontiera tra una classe media sempre più numerosa e impoverita e il gruppo di coloro che sono definitivamente esclusi, i senza dimora, i mendicanti e coloro che dipendono dalla carità pubblica, tende a sfumare e ad attenuarsi. È proprio in questa area, che segna la soglia della povertà, che la prevenzione del sovraindebitamento, il suo trattamento e la ricerca di una soluzione assumono tutto il loro significato, in quanto consentono di evitare che persone socialmente ed economicamente inserite o recuperabili cadano irrimediabilmente nella povertà e nell'esclusione sociale. |
5. Prevenzione e trattamento del sovraindebitamento
5.1. Prevenzione
I sistemi nazionali generalmente insistono sulle misure di prevenzione del sovraindebitamento, tra le quali figurano principalmente le seguenti:
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a) |
Un'informazione più completa e con una diffusione maggiore sui servizi finanziari in generale, i loro costi e il loro funzionamento. |
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b) |
L'istruzione finanziaria, inserita dall'inizio nei programmi scolastici e in altri settori dell'istruzione e della formazione come un processo di apprendimento permanente che affianca le esigenze e le competenze dei destinatari, le quali variano durante tutto l'arco della vita in funzione della cultura, dei valori, delle caratteristiche sociodemografiche ed economiche, dei modelli di consumo e di indebitamento di questi ultimi. È opportuno sottolineare che in alcuni Stati membri i mezzi di comunicazione, e in particolare la televisione nella sua veste di pubblico servizio, hanno ideato programmi di sensibilizzazione sulle questioni legate al credito e all'indebitamento, con la collaborazione delle associazioni dei consumatori e degli stessi enti creditizi. Molte volte tali programmi sono stati trasmessi in prima serata. A tal fine andrebbero utilizzate anche le iniziative di formazione degli adulti, che in alcuni Stati membri sono organizzate da centri di formazione familiari. |
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c) |
La creazione o l'ampliamento di reti di servizi di consulenza finanziaria, che aiutino i cittadini a gestire in modo equilibrato il loro bilancio e a scegliere le opzioni migliori di finanziamento dei rispettivi consumi, in modo da ridurre le disparità di informazione nei confronti degli enti creditizi e da definire piani di rimborso sostenibili mediante simulazioni ex ante. |
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d) |
Gli incentivi al risparmio (fiscali, sociali o educativi) come prima misura di difesa delle famiglie quando queste ultime devono far fronte a difficoltà finanziarie e come strumento di contro-pubblicità alle innumerevoli incitazioni al credito. |
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e) |
L'utilizzo dei sistemi di credit scoring (punteggio sull'affidabilità creditizia) elaborati dagli stessi enti creditizi o da imprese specializzate, per valutare i rischi di una concessione del credito ai propri clienti. Tali sistemi consentono di stimare il rischio di insolvenza prendendo in considerazione una serie di variabili e stabilendo in maniera oggettiva i limiti dell'indebitamento di un individuo o di una famiglia (18). |
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f) |
La garanzia di una pensione dignitosa, di misure di prepensionamento e altre prestazioni sociali per le persone che sono fuori dal mercato del lavoro, integrate in sistemi efficaci di sicurezza sociale da parte dei servizi pubblici, come condizione necessaria per mantenere nella società chi non ha la possibilità di accedere a fondi pensione privati (19). |
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g) |
L'accessibilità alle assicurazioni essenziali del credito, al fine di proteggersi contro i rischi finanziari (20). |
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h) |
Il credito sociale, il microcredito e il credito a costi ragionevoli Iniziative quali il microcredito, le unioni di credito, le casse di risparmio, i fondi sociali tedeschi e olandesi, le banche postali e il credito sociale sono, alla stregua di altre iniziative emergenti negli Stati membri, esempi di cui tener conto per la concessione di prestiti a costi ragionevoli a persone a rischio di esclusione. Il microcredito ad esempio serve per finanziare piccole attività e il lavoro autonomo, cosa che consente ad alcuni disoccupati di rientrare nel mercato del lavoro e di ricominciare un'attività economica. È auspicabile che gli enti creditizi forniscano ai destinatari del microcredito un sostegno specializzato (sul piano della gestione, sul piano contabile e su quello commerciale) per lo svolgimento della loro attività. Questa necessità è già stata presa in considerazione in diversi casi (21). |
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i) |
Il credito responsabile, che implica un maggiore impegno degli enti creditizi a rispettare le necessità e le condizioni dei singoli debitori, a definire lo strumento finanziario più adeguato alle circostanze di ciascuno di essi o addirittura a rifiutare un supplemento di credito in caso di rischio imminente di sovraindebitamento (22). |
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j) |
Gli schedari clienti Le basi di dati che illustrano tutto il passato finanziario dei clienti (documentazione positiva) o che elencano semplicemente le difficoltà di pagamento (documentazione negativa) permettono agli enti creditizi di conoscere il livello di indebitamento di un cliente e di motivare con cognizione di causa la decisione di concedere o meno un prestito, e questo malgrado i rischi riconosciuti, specie in relazione al primo caso, in termini di tutela della privacy e nonostante tale sistema si riveli inefficace nelle situazioni di indebitamento passivo in quanto non permette di prevedere le cause di un indebitamento futuro e non include altri debiti di origine non finanziaria (per esempio debiti riguardanti i servizi essenziali e debiti fiscali). |
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k) |
L'autoregolamentazione e la co-regolamentazione volte alla elaborazione di codici di condotta da parte degli enti creditizi, in collaborazione con le organizzazioni per la difesa dei consumatori, possono contribuire a prevenire una serie di pratiche illecite e a introdurre una dimensione più sociale nell'attività delle banche. Questo tipo di misura serve anche a potenziare il controllo dell'attività delle agenzie di recupero crediti e permette di disciplinare il modo di gestire il rapporto con i debitori, completando un quadro legislativo rigoroso ed efficacemente applicato. |
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l) |
La prevenzione delle pratiche creditizie illecite Alcune autorità nazionali, alcune organizzazioni per la difesa dei consumatori, le ONG di altro tipo e gli stessi enti creditizi hanno definito regole e procedure per evitare che si faccia ricorso a pratiche predatorie e usurarie che minacciano i gruppi svantaggiati della popolazione — ad esempio il credito proposto via telefono fisso o cellulare con tassi di interesse elevatissimi, i contratti di prestito collegati a contratti nascosti di compravendita o di prestazione di servizi, la concessione di prestiti per l'acquisto di titoli azionari a volte della stessa banca, le clausole penali estremamente rigide, le carte di credito e le store cards (carte di credito offerte dai negozi) con facilitazioni di credito, la richiesta di garanzie reali e, contemporaneamente, di garanzie personali (collaterali) per contratti di credito al consumo di modesta entità, l'informazione incompleta o poco precisa, la pubblicità diretta ai giovani. Oltre a presentare effetti positivi in termini di una concessione responsabile di crediti, tali misure contribuiscono anche a ridurre le distorsioni della concorrenza sul mercato e promuovono la responsabilità sociale degli enti creditizi. |
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m) |
Il controllo e il monitoraggio delle pubblicità sui crediti Pur se legittima in quanto strategia per promuovere i prodotti finanziari, la forma in cui tali prodotti vengono reclamizzati giustifica un suo attento controllo da parte delle pubbliche autorità. Anche i contenuti delle pubblicità, nonché i canali e le tecniche utilizzate devono essere oggetto di una disciplina rigorosa e armonizzata che eviti di dare ai consumatori l'idea che il credito sia esente da rischi, che sia facilmente accessibile e che non preveda costi. In questo settore vanno inoltre incentivate le iniziative di autoregolamentazione e coregolamentazione nonché le buone pratiche delle imprese. Esse dovrebbero fare in modo che per coloro che chiedono un prestito le condizioni cui esso viene concesso siano assolutamente chiare e dovrebbero imporre agli organismi di credito una responsabilità speciale verso le persone che, a causa di handicap mentali, non sono in grado di valutare le conseguenze che comporta contrarre un prestito. |
5.2. Trattamento e recupero delle situazioni di sovraindebitamento
Per quanto concerne i modelli relativi al trattamento delle situazioni di sovraindebitamento e al reinserimento dei debitori insolventi, due modelli vengono comunemente presi come riferimento:
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5.2.1. |
Il modello fresh start , nato negli Stati Uniti e adottato in alcuni paesi europei, si basa sul principio della liquidazione immediata del patrimonio non esente del debitore e sulla cancellazione diretta dei debiti non pagati, tranne quelli che non possono legalmente essere cancellati. Il modello si fonda sulla responsabilità limitata del debitore, sulla condivisione dei rischi con i creditori, sulla necessità di un reinserimento quanto più rapido possibile del debitore nell'attività economica e nel consumo e sulla chiara esigenza di non stigmatizzare le persone sovraindebitate (23). |
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5.2.2. |
Il modello della rieducazione, adottato in alcuni paesi europei, si basa sull'idea che il debitore ha sbagliato, merita di essere aiutato, ma non deve assolutamente essere esentato dal compimento dei suoi obblighi (pacta sunt servanda). Il modello, basato sulla «colpa» della persona sovraindebitata, vuoi per fattori imprevisti vuoi per pura negligenza, si articola intorno alla rinegoziazione dei debiti con i creditori in vista dell'approvazione di un piano globale di rimborso. Questo piano può essere negoziato in tribunale o per via extragiudiziaria e qui è importante sottolineare il ruolo svolto dai servizi di consulenza e di mediazione dei debiti (24). |
6. La necessità di un approccio a livello comunitario
6.1. Antecedenti
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6.1.1. |
Non è la prima volta che una delle istituzioni europee affronta il tema del sovraindebitamento a livello comunitario e da un punto di vista comunitario. Il 13 luglio 1992 il Consiglio, in una risoluzione sulle priorità future per lo sviluppo di una politica di protezione dei consumatori, ha per la prima volta considerato lo studio del sovraindebitamento una questione prioritaria. Tuttavia, nonostante l'importanza crescente del fenomeno del sovraindebitamento sia stata riconosciuta a livello nazionale nei vari Stati membri, giustificando l'adozione di specifiche misure legislative e amministrative nella generalità dei paesi, da allora la questione di un suo approccio a livello comunitario è stata praticamente dimenticata. È toccato al CESE, nel maggio 1999, riaprire il dibattito su questo problema, elaborando prima una relazione informativa sul tema Il sovraindebitamento delle famiglie e in seguito, nel 2002, un parere d'iniziativa sullo stesso argomento, alle cui osservazioni e raccomandazioni si rimanda in questa sede (25). |
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6.1.2. |
Proprio nel corso dell'elaborazione dei documenti sopraccitati, il Consiglio Consumatori tenutosi a Lussemburgo il 13 aprile 2000 ha riesaminato il tema e ha richiamato l'attenzione della Commissione e degli Stati membri sulla necessità di un'armonizzazione comunitaria di questa materia. In seguito, il Consiglio ha adottato la sua risoluzione relativa al credito e all'indebitamento dei consumatori (26) in cui, constatando la rapida progressione del fenomeno, ha invitato la Commissione ad intraprendere sforzi per colmare le lacune nel campo dell'informazione circa le vere dimensioni del fenomeno del sovraindebitamento in Europa e per avviare una riflessione più approfondita sulla possibilità di armonizzare le misure di prevenzione e di trattamento dei casi di sovraindebitamento (27). |
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6.1.3. |
È doveroso constatare che la Commissione finora non ha soddisfatto la richiesta del Consiglio. È solo nella proposta iniziale di revisione della direttiva sul credito al consumo (2002) (28) che la Commissione ha affrontato occasionalmente la questione del credito responsabile (29), questione poi abbandonata nella sua versione definitiva (2005) (30) confermata nel corso della presidenza tedesca (31). Questa situazione fa supporre che difficilmente la Commissione, nell'ambito del credito al consumo, adotterà nuove misure di prevenzione e meno che mai di trattamento dei casi di indebitamento eccessivo (32). |
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6.1.4. |
Alcuni recenti riferimenti contenuti, anche in ordine sparso, nei documenti della Commissione e addirittura alcune dichiarazioni del suo Presidente sembrano tuttavia indicare un eventuale mutamento ovvero una nuova attenzione prestata al fenomeno (33). |
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6.1.5. |
Un riferimento particolare va fatto, per la sua importanza, alla risoluzione del Consiglio d'Europa, adottata dai ministri europei della Giustizia l'8 aprile 2005 e relativa alla ricerca di soluzioni giuridiche ai problemi dell'indebitamento in una società basata sul credito (34). In tale risoluzione, si esprime preoccupazione per il facile accesso al credito che in taluni casi può portare al sovraindebitamento delle famiglie, all'esclusione sociale degli individui e delle famiglie stesse e si evoca chiaramente la possibilità di elaborare uno strumento appropriato, definendo misure legislative e amministrative e proponendo soluzioni pratiche (35). |
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6.1.6. |
Questa nuova sensibilizzazione al problema sembra inoltre essere dovuta ai recenti studi, accademici (36) e di altro genere, svolti su incarico della Commissione (37). L'argomento è stato anche oggetto di una serie di interventi pubblici da parte di capi di Stato e di ministri degli Stati membri (38). |
6.2. Possibilità, necessità e opportunità di un'azione a livello comunitario
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6.2.1. |
Il CESE sostiene da molto tempo, e lo ribadisce in questa sede, che un'azione a livello comunitario in materia è non solo possibile ed auspicabile ma anche necessaria e imprescindibile. |
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6.2.2. |
Il CESE sa perfettamente che, conformemente a quanto prevede il Trattato, e poiché il testo costituzionale è rimasto non adottato (39), gli aspetti specifici puramente sociali, tra i quali figura il fenomeno del sovraindebitamento in quanto causa di esclusione sociale, non rientreranno nelle competenze specifiche dell'UE. |
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6.2.2.1. |
Tuttavia, varie disposizioni del Trattato sull'Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea prevedono sia competenze condivise sia azioni e misure di accompagnamento e di incentivo alle politiche degli Stati membri in questo campo (40), azioni e misure che spetta alla Commissione assicurare e sviluppare. |
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6.2.2.2. |
Alcuni possibili settori di intervento a livello comunitario, inoltre, rientrano attualmente nel terzo pilastro, che concerne la cooperazione in campo giudiziario (41). |
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6.2.2.3. |
Infine, la stessa realizzazione del mercato interno, adesso indubbiamente orientato a favore dei cittadini e dei consumatori (42), esige e giustifica l'armonizzazione di taluni aspetti relativi al sovraindebitamento dei cittadini, alle sue conseguenze sociali, alla sua prevenzione e al suo trattamento a livello comunitario, al fine di evitare distorsioni della concorrenza e ostacoli al corretto funzionamento del mercato. |
6.3. Principali settori d'intervento a livello comunitario
6.3.1. Un concetto unico di sovraindebitamento
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6.3.1.1. |
Lo sforzo di armonizzazione deve innanzi tutto influire sulla definizione del concetto e dei parametri qualitativi e quantitativi del fenomeno, in modo da consentire un'adeguata informazione e una buona osservazione delle realtà sociali alla base del fenomeno stesso, in termini identici in tutta Europa e, se possibile, in tutto il mondo, fondate sulla raccolta e sul trattamento di dati statistici comparabili che permettano di definire un criterio economico per la sua quantificazione. |
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6.3.1.2. |
Sulla base di questa definizione concettuale e metodologica, la Commissione dovrà promuovere la realizzazione di uno studio, che comprenda tutto il territorio comunitario, al fine di determinare la dimensione economica e sociale del sovraindebitamento (43). |
6.3.2. Prevenzione e contenimento del fenomeno
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6.3.2.1. |
A livello legislativo, bisogna inoltre elaborare, in modo autonomo e armonizzato, misure di previsione e prevenzione del fenomeno, nonché di contenimento dei suoi effetti. Tra queste figurano in particolare norme relative ai seguenti aspetti:
Inoltre, nel lungo periodo, dovrebbero essere messe a punto disposizioni legislative su:
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6.3.2.2. |
Parallelamente, la Commissione dovrà favorire le buone pratiche in questo campo, promuovendo l'adozione di codici di condotta europei, stabiliti in base all'autoregolamentazione o alla coregolamentazione, nel quadro di un regime giuridico vincolante, ben definito e di efficace applicazione. |
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6.3.2.3. |
La Commissione dovrà inoltre, di sua iniziativa o in collaborazione con gli Stati membri, elaborare programmi specifici di informazione, azioni educative, focalizzate sugli aspetti pratici di uso del credito e misure di monitoraggio e di consulenza in questo settore, avvalendosi dello strumento dei «progetti pilota», che hanno già dato così buona prova di sé in altri campi (45). |
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6.3.2.4. |
Il CESE propone infine di creare un Osservatorio europeo dell'indebitamento che, in collaborazione con gli organismi nazionali già esistenti o con altri organismi di futura creazione negli Stati membri, sia incaricato di fungere da forum per il dialogo di tutti gli interessati, di analizzare l'evoluzione del fenomeno su scala europea, nonché di seguire e proporre le iniziative più adeguate alla sua prevenzione, valutandone l'impatto. Il Comitato si dichiara sin da ora disposto ad accogliere tale osservatorio nel proprio ambito istituzionale, almeno fino a quando la sua indipendenza non verrà sancita. |
6.3.3. Trattamento e recupero delle situazioni di sovraindebitamento
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6.3.3.1. |
Tenendo conto della diversità dei sistemi creati a livello nazionale, con origini, principi e metodi dissimili tra loro (46), piuttosto che tentare la strada di un'armonizzazione dei vari sistemi la Commissione dovrebbe adoperarsi soprattutto per definire un quadro di riferimento e una serie di principi fondamentali che devono essere garantiti in tutti i regimi di diritto procedurale civile relativi a provvedimenti esecutivi per debiti non pagati o per il recupero dei crediti di privati, promuovendo la loro adozione e imponendo il loro riconoscimento. |
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6.3.3.2. |
Tra questi principi fondamentali figurano i seguenti:
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6.3.3.3. |
In questo lavoro devono essere coinvolte le parti interessate e i loro rappresentanti. Il CESE pertanto propone una consultazione pubblica preliminare basata sulla pubblicazione di un Libro verde che definisca i termini della questione, proceda a quantificare il fenomeno a livello europeo, analizzi i diversi strumenti e sistemi per prevenire, monitorare e rimediare alle situazioni di sovraindebitamento e concluda definendo orientamenti generali per un'azione integrata a livello comunitario tra le varie direzioni generali interessate e concertata anche con le autorità e le parti sociali nei diversi Stati membri e a livello comunitario (47). |
7. L'audizione pubblica
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7.1. |
In data 25 luglio 2007 il Comitato ha organizzato sul tema oggetto del presente parere un'audizione pubblica cui hanno partecipato vari invitati, specialisti della materia. |
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7.2. |
Dal confronto delle opinioni espresse durante una sessione che ha visto un'intensa partecipazione e in cui sono stati presentati diversi documenti di grande valore, l'iniziativa incarnata dal parere, che accoglie molte delle proposte nel frattempo avanzate, è uscita chiaramente rafforzata. |
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Lo riferisce Aristotele nella sua Costituzione degli ateniesi, in particolare al punto 6 in cui si legge: «Diventato padrone della situazione politica, Solone rese libero il popolo per il presente e per l'avvenire impedendogli di far uso del proprio corpo per garanzia, stabilì delle norme e la remissione dei debiti sia privati che pubblici e chiamò questo provvedimento “seisachtheia” perché erano stati liberati dal peso dei debiti» (ed. BUR, 1999). L'identità di situazioni è un elemento importantissimo dell'interessante intervento di Udo Reifner Renting a slave — European Contract Law in the Credit Society, pronunciato nel corso del convegno sul diritto privato e le varie culture europee tenutosi presso l'Università di Helsinki il 27 agosto 2006. Si ricorda che fino al secolo scorso nella maggior parte dei paesi europei l'indebitamento era punibile con la reclusione.
(2) Su questo tema, vedasi il recente contributo di Georges Gloukoviezoff intitolato From Financial Exclusion to Overindebtedness: The Paradox of Difficulties for People on Low Incomes? in New Frontiers in Banking Services, Luisa Anferloni, Maria Debora Braga e Emanuele Maria Carluccio, Springer.
(3) Cfr. Special Eurobarometer 273, European Social Reality, 2007.
(4) Proposta di relazione congiunta per il 2007 sulla protezione e sull'inclusione sociale, approvata dal Consiglio il 22 febbraio 2007 (COM(2007) 13 def. del 19.1.2007).
(5) Cfr. Eurostat — Les nouveaux consommateurs, Larousse 1998.
(6) Senza dimenticare che si tratta di spese di natura profondamente diversa, anche in termini di diritti fondamentali.
(7) Questa situazione si è verificata nei paesi di recente adesione solo durante il decennio degli anni '90.
(8) Cfr. i dati riportati nella Gazzetta ufficiale della Banque de France n. 144 del dicembre 2005:
http://www.banque-france.fr/fr/publications/telechar/bulletin/etu144_1.pdf
(9) Nell'esemplare definizione di Udo Reifner «Si è sovraindebitati quando si è nell'impossibilità oggettiva di pagare; più precisamente quando il reddito disponibile dopo aver detratto le spese di sostentamento non è più sufficiente a rimborsare i debiti quando divengono esigibili» (in «Consumer Lending and Over Indebtedness among German Households»).
(10) Il concetto di sovraindebitamento che è alla base delle più diverse iniziative normative si evince soprattutto dalla norme giuridiche che fissano le condizioni di accesso ad una qualsiasi procedura di ristrutturazione del debito, sia esso di tipo giudiziario o extragiudiziario. Ad esempio, il diritto francese riconosce l'accesso ai debitori in buona fede che si trovano nella manifesta impossibilità di far fronte a tutti i loro debiti professionali scaduti o esigibili (articolo L-331-2 del Code de la Consommation). Allo stesso modo, il diritto finlandese (1993) considera sovraindebitato o insolvente il debitore che non è in condizione di pagare i suoi debiti quando divengono esigibili, qualora si tratti di una incapacità permanente e non occasionale o transitoria. Altri paesi invece si limitano a definire una serie di requisiti procedurali e personali per l'accesso ai regimi di trattamento del sovraindebitamento, senza osare definire il concetto. È il caso del diritto belga (Legge del 5 luglio 1998, modificata dalla Legge del 19 aprile 2002) e del diritto degli Stati Uniti (Bankrupcy Code, riveduto nel 2005).
(11) Una definizione di sovraindebitamento operativa e comune sul piano europeo (Contratto n. VC/2006/0308, del 19.12.2006), finanziato dalla Commissione europea, DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità e condotto dall'Osservatorio europeo del risparmio.
(12) Analisi del problema dell'indebitamento dei consumatori: aspetti statistici (contratto n. B5-1000/00/000197), elaborato dall'OCR Macro per la DG SANCO.
(13) Il modello amministrativo misura il sovraindeibitamento sulla base delle statistiche ufficiali esistenti relative alle procedure di trattamento di questo fenomeno. Questa opzione non tiene conto di una parte della realtà in quanto non tutti i debitori in difficoltà fanno ricorso a procedure ufficiali e giuridiche. Inoltre, la varietà di soluzioni giuridiche esistenti nei diversi paesi non consente di fare dei raffronti rigorosi tra di essi.
(14) Il modello soggettivo si basa sulle affermazioni degli stessi individui o delle famiglie per quanto concerne la loro solvibilità finanziaria. Vengono ritenute sovraindebitate le famiglie che riconoscono di avere grandi difficoltà a pagare tutti i loro debiti o che ammettono di non potercela fare. Anche questo modello comporta difficoltà operative che compromettono la comparabilità dei dati. Sono sempre più numerosi gli autori che richiamano l'attenzione sul fatto che molte persone, al momento di valutare la loro capacità finanziaria e decidere sul ricorso al credito si lasciano ingannare da fenomeni quali un eccessivo ottimismo, una sottovalutazione dei rischi o il cosiddetto «hyperbolic discount».
(15) Il modello oggettivo usa come metro per valutare l'incapacità di pagare i debiti la situazione economica e finanziaria del nucleo familiare, vale a dire la relazione tra il debito totale e il reddito in contanti oppure tra il debito e il reddito in contanti più il patrimonio. È la formula utilizzata generalmente dagli enti creditizi e anche da alcuni ordinamenti giuridici nazionali. Pur non essendo esente da problemi (ad esempio è difficile sapere fino a che punto il comportamento del debitore, la sua onestà e buona fede possano influire sull'accesso ad un sistema di risanamento e di cancellazione del debito), questo modello permette di stabilire una serie di raffronti e serve di base per l'elaborazione di un concetto giuridico comune.
(16) I dati della Banque de France per il 2004 indicano che nel 73 % dei casi esaminati presso le apposite commissioni, il sovraindebitamento è dovuto a cause passive (Banque de France 2004).
(17) Per quanto concerne le cause del sovraindebitamento, cfr. la relazione informativa del CESE del 26.6.2000 sul tema Il sovraindebitamento delle famiglie, relatore: ATAÍDE FERREIRA, in cui il tema è stato affrontato in maniera approfondita.
(18) Dato che si tratta di uno strumento importante per la gestione dei rischi da parte degli enti creditizi, si sottolinea la necessità che la struttura dei sistemi di punteggio sia più trasparente e che essi siano combinati con elementi di analisi soggettiva al fine di valutare in modo equo e realistico la capacità di indebitamento di un individuo e impedire una decisione basata esclusivamente su modelli standard. Si sottolinea altresì l'esigenza di far controllare le variabili del modello matematico da parte delle autorità pubbliche competenti. Infine, occorre prendere in considerazione la possibilità di dare ai debitori, così come avviene in paesi come Stati Uniti e Regno Unito, accesso al proprio rapporto di credito in modo che sappiano come migliorare il loro profilo di rischio.
(19) Tuttavia, bisogna prevenire le pratiche finanziarie che tentano di servirsi abusivamente delle pensioni delle persone maggiormente dipendenti, come garanzia per prestiti sproporzionati rispetto alla capacità di rimborso dei debitori. In Brasile, ad esempio, nel 2004 è stato istituito un tipo di credito destinato alle persone anziane, chiamato «credito consignado». Si tratta di una forma speciale di credito, il cui importo viene prelevato dalla pensione di dette persone prima che venga pagata, fino ad un limite del 30 % del valore della pensione stessa. L'offerta di tassi di interesse meno elevati di quelli praticati sul mercato consente a tali persone di accedere al credito. Questa pratica però sembra causare difficoltà finanziarie a coloro che percepiscono le pensioni più basse, i quali sono costretti a ritardare altri pagamenti e mancano delle risorse sufficienti per soddisfare le loro necessità di base.
(20) Le assicurazioni svolgono una funzione ambivalente in termini di esclusione sociale. Un'assicurazione obbligatoria sulla vita può escludere dal mercato del credito le persone con problemi di salute. Ma l'esistenza di un'assicurazione sulla vita permette di evitare che una persona inaspettatamente colpita da una malattia perda i beni assicurati e si ritrovi pertanto povera ed emarginata.
(21) In Francia e in Belgio i microcrediti al consumo (chiamati microcrediti sociali) vengono utilizzati in via sperimentale da varie reti bancarie in collaborazione con strutture associative. Finora l'esperienze si è rivelata abbastanza positiva ma è ancora presto per fare un bilancio definitivo. Nel caso belga si distingue l'esperienza di Credal, una cooperativa di credito sociale che nasce da un partenariato pubblico-privati istituito tra il governo della Regione vallone e alcune istituzioni finanziarie.
(22) Cfr. per esempio il protocollo sullo sviluppo sostenibile e compatibile del sistema bancario firmato il 16 giugno 2007 a Roma tra l'Associazione bancaria italiana e la Federazione autonoma lavoratori del credito e del risparmio italiani (Falcri), la Federazione italiano bancari e assicurativi (FIBA — CISL), la Federazione italiana sindacale lavoratori assicurazioni credito (FISAC — GGIL) e l'UIL Credito, esattorie e assicurazioni (UIL C.A.)
(23) Per una descrizione critica completa di questo modello, si consigliano le opere di Karen Gross, autrice ben nota in Europa, in particolare Failure and Forgiveness. Rebalancing the bankrupcy system, New Haven, Yale University Press (1997).
(24) Alcuni paesi, ad esempio Francia e Belgio, hanno modificato le loro leggi relative al trattamento del sovraindebitamento dei singoli individui introducendo soluzioni alternative basate sulla liquidazione. Nei casi più gravi, quelli per i quali un piano di rimborso non rappresenta una valida soluzione, è possibile procedere alla liquidazione e, in seguito, alla cancellazione dei debiti. Tuttavia la cancellazione non è mai automatica come avviene negli Stati Uniti. Il debitore dovrà sottoporsi ad un periodo di prova durante il quale destinerà una parte del suo reddito al rimborso della quota del debito ancora da pagare. Solo al termine di questo periodo, se avrà tenuto un comportamento onesto e se avrà dimostrato la sua buona fede potrà beneficiare della cancellazione. In Francia, la cancellazione del debito è ammessa, in casi eccezionali, all'inizio del procedimento, qualora il giudice ritenga impossibile un miglioramento della situazione della persona indebitata. Tuttavia, questa opzione finora è stata applicata solo raramente.
(25) Entrambi i documenti sono stati elaborati dall'ex consigliere Manuel ATAÍDE FERRIERA.
(26) Risoluzione del 26 novembre 2001, GU C 364 del 20.12.2001.
(27) Tra le altre considerazioni e raccomandazioni contenute nel verbale del Consiglio Consumatori del 26 novembre 2001, emergono le dichiarazione dei ministri secondo cui le divergenze tra gli Stati membri per quanto concerne il trattamento tanto preventivo quanto sociale, giuridico ed economico del sovraindebitamento possono dar luogo a notevoli disparità sia tra i consumatori europei sia tra i fornitori di credito. Per tale motivo, hanno ritenuto che dovrà essere avviata una riflessione a livello comunitario per completare le misure a favore dello sviluppo del credito transfrontaliero con misure in grado di prevenire il fenomeno del sovraindebitamento in tutto il ciclo del credito.
(28) COM(2002) 443 def. dell'11.9.2002.
(29) Oltretutto in termini abbastanza discutibili, come il CESE ha avuto occasione di evidenziare nel parere in merito a tale proposta (CESE 918/2003 del 17 luglio 2003) elaborato dal relatore PEGADO LIZ. Cfr. anche La presencia del sobreendeudamiento en la propuetesta de directiva sobre el credito e los consumidores de Manuel Angel, Lopes Sanchez, in «Liber Amicorum Jean Calais Auloy», pag. 621.
(30) COM(2005) 483 def./2 del 23.11.2005.
(31) Meritano tuttavia di essere sottolineate alcune iniziative volte a suscitare un dibattito pubblico su questo tema, promosse da varie istituzioni europee compresa la stessa Commissione e tra le quali figurano le seguenti: un'audizione pubblica organizzata a Stoccolma il 18 giugno 2000 con il sostegno della presidenza svedese; l'importante convegno del 2 luglio 2001 organizzato in collaborazione con il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU) sul tema Regole di concorrenza nell'UE e sistemi bancari a confronto, in cui il direttore della direzione Servizi finanziari della DG SANCO ha avuto l'occasione di presentare gli orientamenti seguiti nella nuova proposta di direttiva sul credito al consumo e i problemi del sovraindebitamento nella loro dimensione comunitaria; l'audizione realizzata dalla DG SANCO a Bruxelles il 4 luglio 2001 con gli esperti dei governi per discutere le proposte di modifica alla direttiva sul credito al consumo, in cui sono stati evidenziati aspetti di interesse specifico per la prevenzione del sovraindebitamento; l'importante colloquio sul tema Credito al consumo e armonizzazione comunitaria, tenutosi a Charleroi il 13 e 14 novembre 2001 nel corso della presidenza belga, nel quale il ministro belga dell'Economia e della ricerca scientifica ha tenuto a sottolineare gli aspetti sociali ed economici del problema mettendo in evidenza il suo collegamento con lo sviluppo dei servizi finanziari e del commercio transfrontaliero nel mercato interno, e in cui un esperto della Commissione europea ha presentato gli orientamenti principali per la revisione della direttiva sul credito al consumo nell'ambito dei quali alcune preoccupazioni relative all'informazione dei consumatori riguardano la prevenzione del sovraindebitamento; la Giornata sul sovraindebitamento dei consumatori: Sistemi di protezione in Europa, promossa dal PSOE e dal gruppo PSE del Parlamento europeo a Madrid il 29.11.2002.
(32) Curiosamente in altri testi, ad esempio la proposta della Commissione sulla SEPA (Area unica dei pagamenti in euro), emergono varie preoccupazioni aventi per oggetto la prevenzione dell'indebitamento eccessivo.
(33) Si sottolineano in particolare l'indagine condotta da Eurobarometro alla fine del 2006, la comunicazione Un'agenda per i cittadini approvata dal Consiglio nel luglio 2006 e la comunicazione della Commissione relativa alla relazione congiunta per il 2007 sulla protezione e sull'inclusione sociale (COM(2007) 13 def. del 19 gennaio 2007).
(34) La risoluzione è stata adottata nel corso della 26a conferenza del Consiglio dei ministri europei della Giustizia del Consiglio d'Europa, svoltasi a Helsinki il 7 e 8 aprile 2005.
(35) La risoluzione fa seguito all'eccellente relazione Report on Legal Solutions to Debt Problems in Credit Societies, elaborata dal Comitato europeo sulla cooperazione giuridica del Consiglio d'Europa l'11 ottobre 2005 (CDCJ-BU (2005) 11 rév.)
(36) Il mondo accademico sembra essere particolarmente attento alla problematica del credito al consumo e del sovraindebitamento, come dimostra il recente incontro scientifico internazionale promosso tra il 25 e il 28 luglio a Berlino dalla Law and Society Association e in cui un gruppo di ricercatori europei, americani (del Nord e del Sud), asiatici e australiani, nell'arco di otto sessioni, hanno dibattuto diversi aspetti relativi a queste tematiche.
(37) Cfr. Il sovraindebitamento dei consumatori e le norme di consumo nell'Unione europea, Udo Reifner, Joahanna Kiesilaien, Nick Huls e Helga Springenner (Contratto n. B5-1000/02/000353, per la DG SANCO, settembre 2003); Analisi del problema dell'indebitamento dei consumatori: aspetti statistici, ORC Macro (Contratto n. B5-1000/00/000197, per la DG SANCO, 2001); Credito al consumo e accumulazione dei debiti tra i consumatori a basso reddito: principali conseguenze e strategie d'intervento Deirdre O'Loughin (novembre 2006); Esclusione e legami finanziari. L'esclusione bancaria dei privati Relazione del Centro Walrass, Georges Gloukoviezoef; Compendio delle norme di consumo dell'UE: analisi comparata 2006 (contratto n. 17.020100/04/389299) elaborato da Hans Schulte-Nölke, dell'Università di Bielefeld per la Commissione europea; Educazione finanziaria e migliore accesso a servizi finanziari adeguati, a cura dell'ASB Schuldnerberatungen (Austria), in collaborazione con il GP-Forschungsgruppe: Institutfür Grundlagen-und Programmforschung (Germania), a Association for Promotion of Financial Education SKEF (Polonia) e L'Observatoire du Crédit et de l'Endettement (Belgio), progetto co-finanziato dalla DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità (settembre 2005-settembre 2007).
(38) Cfr. ad esempio i recenti discorsi di Tony Blair, Stephen Timms e Ruth Kelly, settembre 2006.
(39) In effetti, l'articolo I-3 del progetto di Trattato costituzionale stabiliva, come uno degli obiettivi dell'Unione: «L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali».
(40) Si fa in particolare riferimento al disposto degli articoli 2 e 34 del Trattato UE e degli articoli 2, 3, 136, 137, e 153 del Trattato di Roma, in seguito Trattato di Amsterdam. Bisogna inoltre ricordare il metodo aperto di coordinamento integrato (MAC), introdotto nel 2006 al fine di potenziare la capacità dell'UE di sostenere gli Stati membri nei loro sforzi a favore di una maggiore coesione sociale in Europa.
(41) Cfr. gli articoli 65 e 67 del Trattato e il già numeroso elenco di misure adottate per definire uno spazio giudiziario europeo.
(42) Come ben messo in evidenza nell'eccellente relazione intermedia per il Consiglio europeo di primavera 2007 (comunicazione della Commissione Il mercato unico per i cittadini, COM(2007) 60 def. del 21.2.2007) nonché in vari discorsi e interviste rilasciate dallo stesso Presidente della Commissione.
(43) I dati sulla situazione europea non sono molto aggiornati, risalendo a uno studio presentato nel 2001 dall'OCR Macro, già menzionato. Tuttavia, molti Stati membri riconoscono una crescita significativa del numero di famiglie in situazione di sovraindebitamento negli ultimi anni. I dati sulla realtà tedesca indicano che nel 1989 solo il 3,5 % delle famiglie aveva grandi difficoltà finanziarie mentre nel 2005 era l'8,1 % delle famiglie a registrare un sovraindebitamento. In Francia il numero di procedimenti registrati nelle commissioni di sovraindebitamento ha fatto segnare un aumento annuo del 6 % tra il 2002 e il 2006, momento in cui si sono raggiunti gli 866 213 procedimenti. In Scozia nel 2004 erano in corso 3 000 procedimenti d'insolvenza. La Svezia, nonostante il suo tasso annuo di crescita economica sia uno dei più alti dell'UE, ha visto incrementarsi i suoi procedimenti di sovraindebitamento nel 2005 del 13,6 % rispetto al 2004 e del 30,7 % rispetto al 2003. Il Belgio sembra costituire l'eccezione: ivi un sistema ben concepito e ben applicato sembra stia dando i suoi frutti e a ciò contribuiscono le recenti modifiche legislative (Loi e Arrêté royal del 1o aprile 2007 che modificano la legge del 24 marzo 2003 e l'Arrêté royal del 7 settembre 2003 sui servizi bancari di base). Nel 2005 negli Stati Uniti si sono presentate più di 1 600 domande di fallimento. In Australia l'81 % delle procedure di fallimento che sono arrivate nei tribunali nel 2005-2006 riguardavano insolvenze di persone fisiche. Nel 2006 i tribunali canadesi hanno trattato 106 629 procedimenti di insolvenza (liquidazione o proposal).
(44) Come consta in modo esemplare dalle sezioni 79 e 81 del National Credit Act n. 34/2005 del Sudafrica.
(45) Si ricordano ad esempio, i progetti di mediazione e risoluzione extragiudiziaria dei conflitti nell'ambito del consumo, che hanno dato origine ad una serie di reti oggi esistenti in Europa. Tra queste si segnala, in quanto importante per l'argomento trattato, la «Consumer Debt Net» creata nel 1994 e che oggi è sottoposta a un processo di ridefinizione sotto la designazione di European Consumer Debt Net (ECDN).
(46) È opportuno considerare anche che vi sono Stati membri come il Portogallo che ancora oggi non dispongono di alcun sistema adeguato a tale scopo.
(47) La già citata relazione informativa del CES del 2000 terminava raccomandando alla Commissione «come primo passo in questa direzione, di elaborare quanto prima un Libro verde relativo al sovraindebitamento delle famiglie in Europa, nel quale riferisca in merito agli studi già esistenti in materia, faccia il punto della situazione dei regimi giuridici e dei dati statistici dei diversi Stati membri e dei paesi candidati all'adesione, cerchi di dare una definizione univoca di sovraindebitamento e definisca gli orientamenti che ritiene debbano essere seguiti successivamente allo scopo di realizzare gli obiettivi sottolineati nella presente relazione».
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/84 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona
(2008/C 44/20)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul «Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona».
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SHARMA e dal correlatore OLSSON.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
L'imprenditorialità intesa nel suo senso più ampio, cioè come fattore in grado di stimolare e incoraggiare l'innovatività e la creatività, andrebbe messa in risalto nell'agenda di Lisbona come uno degli strumenti fondamentali per rafforzare la crescita economica e creare posti di lavoro migliori nonché rendere la società più coesa e combattere l'esclusione sociale. Nella nostra società globale, è di cruciale importanza che lo spirito imprenditoriale sia nutrito e sviluppato a livello macro, meso e micro, attraverso un approccio olistico che rispetti le caratteristiche specifiche di ciascuno livello. |
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1.2. |
È necessario stimolare, mediante l'istruzione e la formazione delle persone di ogni età e capacità, la creatività e il potenziale di tutti. Al riguardo il CESE appoggia la diffusione delle buone prassi e segnala, come validi modelli da cui altri paesi potrebbero trarre spunto, le strategie adottate in Norvegia dal governo (1) e dall'ONG Junior Achievement-Young Enterprise (JA-YE) per promuovere l'educazione e la formazione all'imprenditorialità. |
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1.3. |
Occorre mobilitare sia gli attori pubblici che quelli privati per sviluppare lo spirito imprenditoriale, inteso nel suo senso più ampio, nelle comunità, nelle organizzazioni e nei singoli. |
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1.4. |
La Commissione europea dovrebbe sviluppare, nell'ambito dell'agenda di Lisbona, un quadro per il monitoraggio dei progressi compiuti e la diffusione delle migliori pratiche, nonché per la promozione del valore dello spirito d'impresa presso i cittadini dell'UE. Importante è al riguardo lo scambio delle migliori pratiche, e i progressi compiuti potrebbero essere seguiti attraverso convegni annuali che facciano il punto della situazione. |
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1.5. |
Le parti sociali dovrebbero considerare i vantaggi della promozione di uno spirito imprenditoriale in quanto fattore capace di contribuire a creare nuovi e migliori posti di lavoro. Esse dovrebbero moltiplicare gli sforzi e rafforzare il dialogo sociale al fine di trovare un terreno comune sul quale agire con un approccio olistico. |
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1.6. |
Bisogna rendere più visibile il ruolo che spetta all'economia sociale e alle ONG nella promozione dello spirito imprenditoriale per obiettivi di innovazione sociale e di sviluppo della società. Tale ruolo specifico dovrebbe essere riconosciuto a livello europeo nei nuovi Orientamenti per l'occupazione per il 2008-2010. |
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1.7. |
Il CESE appoggia l'iniziativa della DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità dal titolo Inclusive Entrepreneurship Strategy («Strategia per un'imprenditorialità inclusiva»), e intende parteciparvi attivamente. |
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1.8. |
La presentazione di attività e modelli positivi da parte dei mezzi di comunicazione e il tipo di immagine che essi diffondono del mondo delle imprese e degli imprenditori, nonché delle strategie educative che promuovono la creatività e l'innovazione, sono di cruciale importanza per costruire un'Europa impregnata di spirito d'impresa. A tal fine è fondamentale che i media propongano anche esempi di attività atte a diffondere un'immagine positiva, da un lato, delle scuole e/o delle strategie educative che promuovono lo sviluppo della creatività e i presupposti dell'agire innovativo e, dall'altro, delle imprese e degli imprenditori che lavorano con questo spirito. |
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1.9. |
Per poter contribuire al conseguimento degli obiettivi di Lisbona, lo spirito imprenditoriale va integrato nel maggior numero possibile di politiche e di programmi comunitari. |
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1.10. |
Il CESE incoraggia i commissari europei FIGEĽ e VERHEUGEN a unire le forze delle DG Istruzione e cultura e Imprese e industria per diffondere la consapevolezza dell'utilità e del valore delle capacità e delle attitudini imprenditoriali nel contesto dell'agenda di Lisbona, proclamando nel 2009 l'Anno europeo della creatività, dell'innovazione e dello spirito d'impresa. |
2. Introduzione
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2.1. |
Il presente parere di iniziativa è incentrato sulla necessità di promuovere lo spirito imprenditoriale, inteso nel senso più ampio, come uno dei fattori chiave dello sviluppo sociale ed economico, e dunque sui modi in cui il capitale umano e la creatività possono contribuire a realizzare gli obiettivi di Lisbona. |
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2.2. |
La Commissione europea ha definito l'imprenditorialità nei seguenti termini: «L'imprenditorialità concerne la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientra la creatività, l'innovazione e l'assunzione di rischi come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza utile a tutti nella vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, serve ai lavoratori per aver consapevolezza del contesto in cui operano e per poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno gli imprenditori che avviano un'attività sociale o commerciale» (2). |
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2.3. |
Con l'agenda di Lisbona, l'Unione europea si è posta l'obiettivo di «diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo» e, cosa ancora più importante, «in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». |
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2.4. |
Malgrado gli sforzi considerevoli compiuti in questa direzione, bisogna fare molto di più. La promozione e l'applicazione dello spirito imprenditoriale al livello della società nel suo insieme così come delle singole comunità, organizzazioni e persone, è uno dei fattori di impulso più importanti per la crescita e la competitività europea, nonché per la sua sostenibilità sociale e ambientale. |
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2.5. |
Nel febbraio 2005 la Commissione (3) ha proposto di rilanciare la strategia di Lisbona, concentrando gli sforzi dell'Unione europea su due compiti principali: garantire una crescita più forte e duratura e creare nuovi e migliori posti di lavoro. Fra le altre azioni, tale strategia sottolinea l'importanza di promuovere una cultura più imprenditoriale e di creare un ambiente favorevole alle PMI, anche mediante l'istruzione e la formazione imprenditoriale al livello scolastico appropriato. Anche la comunicazione e i media, e l'industria creativa in generale, dovrebbero svolgere un ruolo importante nel promuovere l'imprenditorialità e nell'incoraggiare i cittadini, in particolare le donne e i giovani, a scegliere la carriera di imprenditore (4). Lo spirito imprenditoriale consiste in un insieme di capacità e di attitudini che si possono stimolare attraverso l'apprendimento permanente per perseguire tutti e tre gli obiettivi essenziali della strategia di Lisbona, ossia:
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2.6. |
Il presente parere si colloca sulla scia di numerosi importanti pareri del CESE dedicati ai diversi aspetti dell'imprenditorialità, in particolare, quello sul tema Stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (5) e, ultimamente, quelli sui temi Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona) e Occupabilità e imprenditorialità — La società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere (6). |
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2.7. |
Anche nei diversi pareri dedicati alla strategia di Lisbona il Comitato ha costantemente sottolineato i valori dell'innovazione e della creatività, criteri fondamentali dello spirito d'impresa, come una capacità di cruciale importanza per realizzare gli obiettivi della strategia stessa. Anche i pareri più recenti sul tema evidenziano questo punto (7). |
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2.8. |
Il presente parere si propone di completare i precedenti soffermandosi sul valore aggiunto che presenta per la società uno spirito innovativo, creativo e imprenditoriale e sui modi in cui questo può essere promosso dai diversi attori. È essenziale stimolare precocemente queste capacità e attitudini per liberare il potenziale di ogni individuo, e continuare a farlo con il processo di apprendimento permanente che inizia nella scuola elementare, sempre nel rispetto dello sviluppo generale della personalità di allievi molto giovani. |
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2.9. |
Il parere va anche considerato nel contesto delle priorità del programma del Presidente del CESE Per un'imprenditorialità dal volto umano, in cui quest'ultima è vista come un fattore che, lungi dal mirare solo al profitto, contribuisce al progresso della società, dell'economia e dell'innovazione. In questo contesto, il Presidente del CESE prevede di organizzare per il 2008 un convegno intitolato appunto Per un'imprenditorialità dal volto umano. |
3. Osservazioni generali
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3.1. |
Il CESE prende atto della definizione di imprenditorialità fornita dalla Commissione sottolineando, da un lato, l'ampiezza dell'approccio che la sottende e, dall'altro, l'esigenza di mobilitare gli attori pubblici e privati per tradurla in realtà se si vogliono realizzare gli obiettivi di Lisbona. |
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3.2. |
L'imprenditorialità va quindi considerata in una prospettiva più ampia di quella tradizionale secondo cui alcuni individui creano e sviluppano imprese a fini economici e di lucro. |
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3.3. |
L'inventiva, la creatività e la capacità di innovare, a livello di gruppo, di impresa o di società nel suo insieme, non si riducono alla semplice somma degli spiriti imprenditoriali dei singoli che ne fanno parte. I livelli di sviluppo dell'imprenditorialità andrebbero pertanto differenziati. |
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3.4. |
Dietro l'imprenditorialità, infatti, si celano forze propulsive sociali e di altro tipo che dovrebbero ottenere pieno riconoscimento. Lo spirito d'impresa è un fenomeno sociale che si manifesta in tutti i contesti della vita umana. Si tratta quindi di una nozione culturale onnicomprensiva che abbraccia processi e attività sociali intraprese dagli esseri umani a fini individuali, societali ed economici. Considerare l'imprenditorialità in questa prospettiva significherà promuovere il capitale umano e sociale, il che è di estrema importanza per l'innovazione sociale e la competitività economica nonché per una maggiore integrazione delle diverse categorie sociali. |
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3.5. |
In questa prospettiva, l'istruzione è chiamata a stimolare lo spirito d'impresa e ad accrescere la cultura imprenditoriale. |
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3.6. |
Le parti sociali dovrebbero moltiplicare gli sforzi per individuare un terreno comune per azioni a tutto campo volte a stimolare la creatività, l'innovazione e lo spirito d'impresa, che a loro volta concorreranno a creare nuovi e migliori posti di lavoro. Informare sul dialogo sociale e rafforzarlo dovrebbe formare parte integrante di questo loro coinvolgimento. |
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3.7. |
La Commissione ha sottolineato che alla competenza imprenditoriale sono legate determinate conoscenze, abilità e attitudini essenziali:
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3.8. |
A questo elenco il CESE aggiungerebbe la consapevolezza e la comprensione del valore della responsabilità sociale delle imprese e delle attività imprenditoriali da loro svolte — non sempre a scopo di lucro — per appoggiare il capacity building della collettività, l'integrazione nel mercato del lavoro di persone appartenenti a categorie sociali vulnerabili e per altri obiettivi societali. In ogni caso, è essenziale creare le condizioni e costruire le capacità appropriate affinché tali persone sviluppino il proprio spirito imprenditoriale. |
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3.9. |
È dunque necessario promuovere uno spirito innovativo e creativo, al fine di creare nuovi e migliori posti di lavoro, di rendere la società più coesa, di combattere l'esclusione sociale per far fronte alle sfide poste dalla globalizzazione e dall'invecchiamento della popolazione nonché dalla necessità di proteggere l'ambiente e stimolare la conoscenza. Lo spirito imprenditoriale è quindi estremamente rilevante per l'agenda di Lisbona. |
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3.10. |
Dagli studi condotti risulta che, sul piano statistico, vi è una relazione significativa tra imprenditorialità e crescita economica e che ciò rende dinamico il mercato del lavoro riducendo la disoccupazione (9). L'imprenditorialità riveste inoltre una particolare importanza per le categorie sociali minoritarie esterne al mercato del lavoro. |
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3.11. |
Tuttavia, per concretizzare tale dinamica positiva, è importante stimolare l'imprenditorialità e convogliarla in un processo sostenibile di creazione di ricchezza e di posti di lavoro. |
4. Osservazioni specifiche
4.1. Educare allo spirito imprenditoriale
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4.1.1. |
Il CESE ribadisce il suo sostegno alle seguenti azioni fondamentali per stimolare l'imprenditorialità, definite nel corso del 2006 (10):
Promuovere un maggiore trasferimento di conoscenze tra gli istituti di educazione, compresi quelli di istruzione secondaria e post-secondaria, per scambiare informazioni e razionalizzare i programmi destinati agli studenti universitari. |
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4.1.2. |
La responsabilità generale per l'educazione all'imprenditorialità incombe alle istituzioni educative. |
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4.1.3. |
La formazione all'imprenditorialità nei diversi livelli di istruzione si può riassumere come segue:
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4.1.4. |
Il CESE richiama inoltre l'attenzione sulle conclusioni raggiunte da diversi studi, secondo i quali l'educazione all'imprenditorialità:
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4.1.5. |
Il CESE deplora che il programma Gioventù in azione (14) non faccia alcun riferimento all'imprenditorialità. Dato, però, che lo spirito imprenditoriale e l'imprenditorialità sono destinati a svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel miglioramento delle opportunità di carriera dei giovani di domani, è indispensabile che il loro valore sia integrato nel maggior numero possibile di politiche e di programmi comunitari. |
4.2. Perché lo spirito imprenditoriale giova alla società
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4.2.1. |
Un approccio ampio all'imprenditorialità consente di sviluppare la creatività di tutti, comprese le persone più svantaggiate. Bisogna quindi che la creatività e il potenziale di ciascuno siano riconosciuti e stimolati. Lo spirito imprenditoriale può essere considerato un impulso alla realizzazione individuale, tale da produrre determinazione collettiva e cambiamenti nella società. L'Europa deve sfruttare appieno la creatività dei lavoratori, e più in generale dei cittadini, promuovendo una mentalità che la renda al tempo stesso solidale e competitiva. Il coinvolgimento dei cittadini nella società risulterà rafforzato dallo spirito imprenditoriale. |
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4.2.2. |
Se si vuole che i programmi siano efficaci, è essenziale che tutti i soggetti interessati siano coinvolti nel processo di educazione all'imprenditorialità. Un esempio di proficua collaborazione tra gli attori della società civile per raggiungere gli obiettivi di educazione all'impresa è costituito dalla già riferita strategia norvegese. In questo esempio, illustrato in allegato (15), il governo norvegese (sia il ministero dell'Istruzione che quello delle Attività produttive) ha lavorato in stretta cooperazione con l'ONG JA-YE (16) e con tutte le parti sociali dal livello locale a quello nazionale, sfruttando le capacità combinate e l'impegno comune di datori di lavoro, sindacati, pubblica amministrazione e anche genitori. |
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4.2.3. |
Lo spirito imprenditoriale deve essere promosso anche nel settore pubblico, con l'obiettivo di fornire servizi più attenti alle esigenze degli utenti ed efficaci. Per far ciò, tuttavia, non basta introdurre in questo settore le filosofie e i meccanismi del mercato. Tali elementi, infatti, vanno conciliati con l'obiettivo, proprio del settore pubblico, del perseguimento dell'interesse generale dei cittadini e con la possibilità, offerta ai lavoratori, di migliorare la qualità del loro lavoro esprimendo il loro spirito imprenditoriale nell'ambito di nuove forme organizzative. |
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4.2.4. |
La DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità ha raccomandato il varo di una strategia a favore dell'imprenditorialità inclusiva (inclusive entrepreneurship) (17) che, adottando l'ampio approccio di cui si è detto, monitorerà quella parte specifica del programma EQUAL che si riferisce all'imprenditorialità inclusiva e all'impresa sociale nel quadro dei nuovi fondi strutturali per il periodo 2007-2013. Il CESE appoggia questa iniziativa e intende parteciparvi attivamente, ma sottolinea anche che essa dev'essere sostenuta da una struttura permanente all'interno della stessa DG, dotata delle necessarie risorse finanziarie. |
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4.2.5. |
Il CESE ripropone con forza la raccomandazione, già formulata in un suo parere (18), di proclamare il 2009 «Anno europeo dell'imprenditorialità». Tuttavia, preso atto che la DG Istruzione e cultura intende proclamare il 2009 «Anno dell'innovazione e della creatività», il CESE invita e incoraggia la Commissione a unire le forze delle due DG Istruzione e cultura e Imprese e industria anche per diffondere la consapevolezza dell'utilità e del valore delle capacità e delle attitudini tipiche dello spirito d'impresa nel contesto dell'agenda di Lisbona, proclamando il 2009 «Anno europeo della creatività, dell'innovazione e dello spirito d'impresa». |
4.3. Perché lo spirito imprenditoriale giova all'economia
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4.3.1. |
Secondo la Commissione (19), la promozione delle nuove imprese è un fattore di cruciale importanza per creare sbocchi occupazionali e migliorare la competitività e la crescita in tutta Europa. |
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4.3.2. |
Qualità imprenditoriali come la creatività, l'attitudine al lavoro di squadra e l'autostima sono importanti in un mercato del lavoro in cui si cambia spesso occupazione, le imprese attraversano di frequente trasformazioni organizzative e vi è un rapido sviluppo tecnologico. I datori di lavoro sono sempre in cerca di lavoratori flessibili, innovativi, che diano prova di capacità decisionali e adattabilità (20). |
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4.3.3. |
Le donne imprenditrici che hanno già avviato un'attività e quelle che vorrebbero mettersi in proprio devono affrontare una serie di ostacoli specifici — di carattere economico, pratico, sociale e culturale — derivanti da una discriminazione tanto assurda quanto inveterata. Tali ostacoli possono essere attenuati garantendo alle donne una partecipazione paritaria all'istruzione e ai programmi comunitari volti a incoraggiare l'attività imprenditoriale. Ciò porterà non solo ad avere un maggior numero di imprese in mani femminili, ma anche a garantire una maggiore uguaglianza di genere nei luoghi di lavoro. |
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4.3.4. |
Gli imprenditori sono mossi da un'ampia gamma di motivazioni che vanno dal profitto all'autonomia e alla gratificazione professionale. Quali che siano le loro motivazioni, è essenziale che gli imprenditori (anche solo potenziali) siano consapevoli delle responsabilità sociali inerenti all'esercizio di un'impresa (21). |
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4.3.5. |
I nuovi migranti, elemento cruciale per qualsiasi economia, forniscono una forza lavoro e una base imprenditoriale per le attività economiche. Pur essendo dotate di spirito imprenditoriale (come dimostra il fatto che sono migrate), queste persone sono destinate il più delle volte a lavorare nel settore informale. La sfida consiste quindi nell'integrare questi lavoratori nel mercato del lavoro attraverso il riconoscimento delle loro attività imprenditoriali. Col tempo, infatti, ciò induce una maggiore accettazione delle diverse comunità di migranti e un'integrazione più efficace. |
4.4. Lo spirito imprenditoriale nel contesto della rappresentanza dei lavoratori
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4.4.1. |
Gli attuali modelli lavorativi incoraggiano l'impegno nell'attività economica e consentono il passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa. Occorre quindi far sì che quella di diventare imprenditore sia vista come un'opzione a lungo o a breve termine, incoraggiando un maggior numero di persone a considerare concretamente la possibilità di esercitare e gestire un'attività d'impresa. Per consentire tale flessibilità, occorre ridurre al minimo le formalità burocratiche, anche se le autorità competenti devono far sì che questa maggiore facilità di passaggio da uno status professionale all'altro non dia luogo ad abusi. È importante evitare che i lavoratori dipendenti e i disoccupati siano indotti con l'inganno o costretti a mettersi in proprio e che datori di lavoro privi di scrupoli possano riversare le proprie responsabilità sui dipendenti. |
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4.4.2. |
Un aspetto importante della promozione di uno spirito imprenditoriale nell'ambito delle imprese consiste nell'incoraggiare modi innovativi di organizzazione del lavoro, una buona gestione e regimi flessibili di orario di lavoro, nel rispetto delle esigenze delle imprese come di quelle dei dipendenti (22). |
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4.4.3. |
Bisogna quindi sviluppare una cultura dell'autonomia e della responsabilità sul luogo di lavoro. Un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nella definizione e nel miglioramento della qualità del lavoro è un prerequisito di tale cultura dell'autonomia. In questo contesto, vale la pena di notare che la maggior parte degli imprenditori sono stati lavoratori dipendenti. |
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4.4.4. |
Dato il processo di invecchiamento demografico in atto in Europa, bisogna creare un contesto che renda possibile il trasferimento delle competenze, lo sviluppo delle capacità manageriali e l'esercizio di un'attività imprenditoriale per quella generazione di cittadini europei più anziani che ha dato ampia prova delle sue capacità (23). |
4.5. Spirito imprenditoriale e capacity building attraverso l'economia sociale, le ONG e le imprese sociali
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4.5.1. |
Il ruolo e le caratteristiche specifiche dell'economia sociale sono già stati precisati in altri pareri del CESE (24). Le imprese del settore dell'economia sociale rivestono un'importanza fondamentale per il pluralismo imprenditoriale e la diversità economica. |
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4.5.2. |
Il ruolo dell'imprenditorialità nel settore non profit è stato sottolineato da alcuni recenti studi, dai quali emerge chiaramente che alla base delle attività del settore vi è uno spirito imprenditoriale. Il processo imprenditoriale è legato a dinamiche di gruppo e movimenti sociali di vario genere (25). |
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4.5.3. |
Gli imprenditori impegnati sul fronte sociale/societale si sforzano di trovare soluzioni innovative ai problemi relativi a tematiche di grande rilievo come le sfide ambientali, la povertà, i diritti umani, l'esclusione sociale, l'istruzione e la cultura, organizzando attività portatrici di nuove idee per realizzare cambiamenti su larga scala. La democrazia e la solidarietà sono due dei valori alla base di tali iniziative. |
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4.5.4. |
L'imprenditorialità socialmente responsabile sostiene lo sviluppo sostenibile, la democrazia e la partecipazione dei cittadini, il coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese, la lotta contro l'esclusione sociale e il rilancio delle comunità locali. Oltre a ciò, promuove la cultura d'impresa tra le donne, i giovani, gli immigrati e le minoranze etniche. |
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4.5.5. |
Le imprese sociali svolgono un ruolo particolare nell'integrazione sociale e professionale delle categorie ai margini del mercato del lavoro. Esse offrono spesso alle persone svantaggiate percorsi personalizzati di integrazione nel mercato del lavoro, una funzione che, data la loro impostazione, sono in grado di svolgere meglio di altri soggetti. Il loro impegno nello sviluppo delle capacità dell'individuo attraverso la responsabilità personale fa sì che esse ottengano buoni risultati sotto il profilo dell'integrazione sociale. |
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4.5.6. |
La nozione di impresa sociale si va diffondendo sempre più in Europa. Il ruolo specifico di questo tipo di impresa andrebbe riconosciuto a livello europeo nei nuovi Orientamenti per l'occupazione per il 2008-2010. |
4.6. Il ruolo dei media
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4.6.1. |
I media svolgono un ruolo importante nel promuovere l'immagine delle piccole imprese e delle microimprese, dei mestieri specializzati, dei servizi e delle attività tradizionali e artigianali, nonché il loro ruolo nella società. I media dovrebbero però anche illustrare le pratiche migliori e porre in evidenza gli effetti dello spirito imprenditoriale sulla crescita e sull'occupazione. |
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4.6.2. |
I diversi media dovrebbero dare maggiore risalto alla natura multiforme delle imprese e dell'imprenditorialità e più ampio spazio ai modelli positivi in materia, in particolare a quelli provenienti dalle categorie sociali sottorappresentate, come le donne, le minoranze etniche, i disabili e i migranti. I media dovrebbero inoltre diffondere modelli di ruolo e attività tali da trasmettere un'immagine positiva degli istituti scolastici e delle strategie educative che promuovono la creatività e i presupposti dell'innovazione. |
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4.6.3. |
Ultimamente, in alcuni Stati membri, alcune trasmissioni televisive hanno sensibilizzato il pubblico riguardo all'imprenditorialità e al valore delle idee innovative. Nel Regno Unito due esempi di tali programmi televisivi, entrambi trasmessi dalla BBC, sono «Dragons Den», in cui imprenditori e inventori presentano le loro idee a un gruppo di potenziali finanziatori, e «The Apprentice», in cui un esponente di primo piano del mondo degli affari sceglie il proprio «apprendista». Questi programmi hanno accresciuto l'interesse degli studenti all'avvio di un'attività imprenditoriale e mostrato come da un'idea possa nascere un'impresa. |
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4.6.4. |
Anche la promozione e l'informazione su eventi come:
sarebbero tali da sensibilizzare i cittadini riguardo ai vantaggi dell'imprenditorialità e al suo impatto sulla società nel suo insieme. |
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) See opportunities and make them work! — Strategy for entrepreneurship in education 2004-2008 («Riconosci le opportunità e sfruttale — Strategia per promuovere lo spirito imprenditoriale nell'istruzione 2004-2008»), elaborata dai ministeri norvegesi del Commercio e dell'industria, dell'Istruzione e della ricerca, e delle Autonomie locali e dello sviluppo regionale.
(2) Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente (COM(2005) 548 def.), punto 7 dell'Allegato.
(3) Comunicazione al Consiglio europeo di primavera — Lavorare insieme per la crescita e l'occupazione — Il rilancio della strategia di Lisbona (COM(2005) 24 def.).
(4) Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del 23 e 24 marzo 2006, punto 31.
(5) Parere del CESE, del 19 luglio 2006, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (relatrice: JERNECK), GU C 309 del 16.12.2006.
(6) Parere di iniziativa del CESE sul tema Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona) (INT/324, relatrice: FAES) e parere esplorativo del CESE sul tema Occupabilità e imprenditorialità — La società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere (SOC/273, relatore: PARIZA CASTAÑOS).
(7) Cfr. i seguenti pareri di iniziativa del CESE:
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Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona) (INT/324, relatrice: FAES), |
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Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona) (INT/325, relatore: WOLF), |
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— |
L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona) (SOC/251, relatore: GREIF), |
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— |
Definizione di una politica energetica per l'Europa (strategia di Lisbona) (TEN/263, relatrice: SIRKEINEN). |
(8) Citazioni tratte dalla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente (COM(2005) 548 def.).
(9) Cfr. i seguenti documenti:
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The Global Entrepreneurship Monitor (GEM), 2004; |
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— |
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (COM(2006) 33 def.); |
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— |
R. Athayde, The Challenge to Inspire: Enterprise Education for Young People («La sfida dell'ispirazione: l'educazione all'impresa per i giovani»), contributo alla 4a sessione (dedicata all'imprenditorialità giovanile) del team di esperti sul tema dell'imprenditorialità per la riduzione della povertà, istituito dall'UNECE, ONU, Ginevra, 2004. |
(10) Cfr. i seguenti documenti:
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— |
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (COM(2006) 33 def.); |
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— |
Parere del CESE, del 19 luglio 2006, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (relatrice: JERNECK), GU C 309 del 16.12.2006; |
|
— |
Conclusioni del convegno organizzato congiuntamente dalla Commissione e dal governo norvegese sul tema Entrepreneurship Education in Europe: Fostering Entrepreneurial Mindsets through Education and Learning («L'educazione all'imprenditorialità in Europa: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento»), svoltosi a Oslo il 26 e 27 ottobre 2006. |
(11) Cfr. i seguenti documenti:
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— |
O. Spilling, J. Roppen, A. Sanness, B. Simonsen, J. Steinsli e A. Støylen, Entreprenørskap som strategi for regional utvikling, documento di discussione 7/2002, Handelshøyskolen BI (Scuola superiore di gestione aziendale «BI»), Lillehammer (Norvegia), 2002; |
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— |
Commissione europea, Contribuire a creare una cultura imprenditoriale — Guida alle buone prassi nel promuovere attitudini e competenze imprenditoriali attraverso l'istruzione, 2004 http://ec.europa.eu/enterprise/entrepreneurship/support_measures/training_education/doc/entrepreneurial_culture_it.pdf |
(12) Cfr. i seguenti documenti:
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— |
Commissione europea, Contribuire a creare una cultura imprenditoriale — Guida alle buone prassi nel promuovere attitudini e competenze imprenditoriali attraverso l'istruzione, 2004 http://ec.europa.eu/enterprise/entrepreneurship/support_measures/training_education/doc/entrepreneurial_culture_it.pdf |
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— |
V. Johansen e T. H. Eide, Entreprenørskapsopplæring i skolen. Hovedkonklusjoner fra 3 års følgeforskning av Ungt Entreprenørskaps program: Program for nyskaping og entreprenørskap i opplæring og utdanning i Norge (2001-2005), 2006 (il testo — solo in norvegese — è disponibile on line all'indirizzo http://www.ostforsk.no/notater/pdf/132006.pdf); |
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— |
V. Johansen e T. H. Eide, Erfaringer fra deltakelse i studentbedrift. Hvordan opplevde de tiden som etablerer av Studentbedrift og hva skjedde etterpå?, 2006 (il testo — solo in norvegese — è disponibile on line all'indirizzo http://www.ostforsk.no/notater/pdf/162006.pdf). |
(13) Cfr. i seguenti documenti:
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— |
M. Luktvasslimo, Hva hendte siden? Ungdomsbedrifter i den videregående skolen, documento NTF 1/2003, Istituto di ricerca e sviluppo della regione Trøndelag, Steinkjer (Norvegia), 2003; |
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— |
M. Haugum, Ungdomsbedrifter og entreprenørskap — 2005, documento NTF 4/2005, Istituto di ricerca e sviluppo della regione Trøndelag, Steinkjer (Norvegia), 2005; |
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— |
L. Stevenson, Entrepreneurship in Education: The Practice in OECD Countries («Educare all'imprenditorialità: la prassi nei paesi dell'OCSE»), 2005, contributo al convegno dell'OCSE sul tema Fostering Entrepreneurship — The Role of Higher Education («Stimolare lo spirito imprenditoriale: il ruolo dell'istruzione superiore»), svoltosi a Trento il 23 e 24 giugno 2005; |
|
— |
V. Johansen e T. H. Eide, Erfaringer fra deltakelse i studentbedrift. Hvordan opplevde de tiden som etablerer av Studentbedrift og hva skjedde etterpå?, 2006; il testo — solo in norvegese — è disponibile on line all'indirizzo: http://www.ostforsk.no/notater/pdf/162006.pdf |
(14) http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/fr/oj/2006/l_327/l_32720061124fr00300044.pdf
(15) Cfr. Allegato I, che riproduce un documento di JA-YE Norvegia.
(16) http://www.ja.org/near/nations/norway.shtml (sito in inglese);
http://www.ue.no./index.lasso?sect=eng&side=eng_main (pagine in inglese del sito norvegese).
(17) Cfr. l'intervento del direttore generale della DG EMPL Nikolaus VAN DER PAS, al forum di EQUAL sull'imprenditorialità organizzato dalla presidenza tedesca del Consiglio UE e svoltosi a Hannover il 5 giugno 2007.
(18) Parere del CESE, del 19 luglio 2006, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (relatrice: JERNECK), GU C 309 del 16.12.2006.
(19) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (COM(2006) 33 def.).
(20) R. Athayde, The Challenge to Inspire: Enterprise Education for Young People («La sfida dell'ispirazione: l'educazione all'impresa per i giovani»), contributo alla 4a sessione (dedicata all'imprenditorialità giovanile) del team di specialisti in materia di «imprenditorialità per la riduzione della povertà» istituito dall'UNECE, ONU, Ginevra, 2004.
(21) Cfr. il parere del CESE, del 15 settembre 2004, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione: Un'agenda europea per l'imprenditorialità (relatore: BUTTERS), GU C 74 del 23.3.2005.
(22) Cfr. il parere d'iniziativa del CESE sul tema Promuovere una produttività sostenibile nei luoghi di lavoro in Europa (SOC/266, relatrice: KURKI).
(23) Cfr. il parere del CESE, del 15 settembre 2004, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione: Un'agenda europea per l'imprenditorialità (relatore: BUTTERS), GU C 74 del 23.3.2005.
(24) Cfr. i seguenti pareri del CESE:
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Parere del 27 ottobre 2004 sul tema Adattabilità delle PMI e delle imprese dell'economia sociale ai cambiamenti imposti dal dinamismo dell'economia (relatrice: FUSCO) (parere esplorativo); |
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Parere del 1o aprile 2004 sul tema La diversificazione economica nei paesi in via di adesione: il ruolo delle PMI e delle imprese dell'economia sociale (relatrice: FUSCO, correlatore: GLORIEUX) (parere d'iniziativa). |
(25) Gawell, Entrepreneurial Process in Civil Society («Il processo imprenditoriale nella società civile»), 2004.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/91 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo
(2008/C 44/21)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sulla «Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo».
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2007, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 94 voti favorevoli, nessun voto contrario e 6 astensioni.
1. Introduzione
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1.1. |
A partire dal 2006 è andata consolidandosi una nuova prospettiva nella gestione delle migrazioni e delle politiche in materia, specie grazie al dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione internazionale e lo sviluppo (1). L'analisi delle relazioni tra le migrazioni e lo sviluppo ha dato vita a un nuovo modo di osservare le migrazioni, che tiene conto degli interessi dei paesi di origine e che consente pertanto di superare l'ottica che ha finora dominato in Europa, secondo la quale le politiche migratorie si definivano unicamente in funzione delle necessità e degli interessi delle società di accoglienza. |
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1.2. |
Ancora prima che venisse avviato il dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite è stata presentata, nell'ottobre del 2005, la relazione conclusiva della Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali (GCIM); tale documento stabiliva già le premesse di un visione multidimensionale delle migrazioni internazionali, in cui gli aspetti dello sviluppo dei paesi di origine dei migranti assumevano particolare importanza. La relazione conclusiva è stata seguita da un gran numero di lavori e di incontri svolti nel quadro delle Nazioni Unite o in altri contesti internazionali. |
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1.3. |
L'Unione europea ha partecipato a questo dibattito e ha iniziato a considerare le politiche sulla migrazione anche in base alle loro relazioni con quelle di cooperazione allo sviluppo. Già nel 2002 la Commissione aveva pubblicato una relazione sull'emigrazione e le relazioni con i paesi terzi (2), in cui inquadrava in una prospettiva a largo raggio il tema delle migrazioni, per fare in modo che non finisse per coincidere con quello della lotta all'immigrazione irregolare e per fare anzi emergere gli aspetti positivi delle migrazioni e le loro relazioni con gli obiettivi di lotta alla povertà. La comunicazione menzionava l'importanza delle rimesse degli emigrati, la fuga di cervelli dovuta all'attrazione esercitata dai paesi ricchi (tra cui quelli dell'UE), il ritorno in patria e altri aspetti; tutte le questioni venivano considerate in relazione agli obiettivi di sviluppo dei paesi di origine. |
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1.4. |
Parimenti, il regolamento del 2004 che istituisce un programma di assistenza finanziaria e tecnica ai paesi terzi in materia di migrazione e asilo (Aeneas) (3) prevede la possibilità di finanziare una gestione delle migrazioni attenta agli interessi dei paesi di origine (il regolamento prevede anzitutto il finanziamento della lotta all'immigrazione irregolare). |
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1.5. |
Il documento che tratta la questione nel modo più ampio è stato però la comunicazione sul tema Migrazione e sviluppo, presentata dalla Commissione a fine 2005 (4). Questo documento prosegue il discorso aperto con la comunicazione del 2002, ma a differenza di quest'ultima si concentra maggiormente sui rapporti tra migrazioni e sviluppo, lasciando al margine altri aspetti, come la lotta all'immigrazione irregolare. Vengono trattati nuovi aspetti relativi per esempio alle rimesse, al rafforzamento del ruolo delle organizzazioni di emigrati ai fini dello sviluppo, alla circolazione dei talenti (e alla riduzione degli effetti negativi della fuga di cervelli), ecc. |
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1.6. |
Questa comunicazione è integrata da un altro documento, una comunicazione elaborata specificamente in vista della partecipazione al dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione e lo sviluppo (5). |
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1.7. |
Una nuova comunicazione (6) della Commissione sviluppa ulteriormente l'approccio di cui sopra, proponendo politiche di immigrazione circolare e associazioni di mobilità tra l'UE e i paesi terzi. Il punto di vista del CESE in materia viene esposto nel capitolo 11 del presente parere. |
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1.8. |
Anche il Parlamento europeo ha elaborato un proprio parere (7), che verte sugli stessi temi affrontati dalla comunicazione della Commissione, ma è più incisivo nelle sue proposte. Tale documento critica l'ammissione selettiva dei migranti, o «migrazione scelta», perché favorisce la fuga di cervelli, e propone misure concrete per favorire il ritorno in patria dei più qualificati, ad esempio programmi volti a compensare la differenza di salario in caso di rientro, o misure volte a garantire il trasferimento dei diritti pensionistici e previdenziali per coloro che rientrano nel paese d'origine. Il documento menziona inoltre la circolazione dei cervelli, elogia le politiche di co-sviluppo, propone delle azioni riguardanti le rimesse, ecc. |
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1.9. |
Attraverso il presente parere e il parere di iniziativa sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide (8), il CESE dà un nuovo contributo alle politiche dell'UE in materia di immigrazione, presentando inoltre una nuova prospettiva: una cooperazione con i paesi di origine volta a favorire il loro sviluppo. |
2. La dimensione globale della disoccupazione, della povertà e della disuguaglianza (9)
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2.1. |
Negli ultimi decenni si è prodotto, almeno in termini di PIL, un aumento senza precedenti della ricchezza materiale e della prosperità nel mondo. Tuttavia questa prosperità si è ripartita in modo altamente ineguale, dato che numerosi paesi e centinaia di milioni di persone non hanno beneficiato dell'aumento della ricchezza. |
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2.2. |
L'incremento del PIL non riflette con esattezza il grado di sviluppo di una determinata società. L'indice di sviluppo umano del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (10) cerca una definizione più ampia dello sviluppo, che vada al di là del PIL e comprenda tra l'altro l'aspettativa di vita e i livelli di formazione. Tuttavia, anche tale definizione non tiene conto di altri indicatori piuttosto importanti, come il rispetto dei diritti umani, la democrazia, l'accesso a un lavoro dignitoso o l'uguaglianza. |
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2.3. |
Una questione preminente è la mancanza di lavoro o di altri mezzi di sostentamento. La disoccupazione è comunemente un fattore chiave nel motivare le persone a spostarsi dove possono trovare migliori opportunità. La popolazione mondiale era pari a 6,7 miliardi di persone nel 2006 ed essa cresce di circa 75 milioni di persone ogni anno, crescita che avviene in gran parte nei paesi in via di sviluppo. Il rapporto dell'OIL, Global employment trends 2007, stima che la forza lavoro mondiale nel 2006 contava circa 2,9 miliardi di persone (11). Per lo stesso anno si è calcolato un numero di disoccupati pari a 195,2 milioni di persone, circa il 6,3 % della forza lavoro totale. Il numero dei cosiddetti «poveri con un'occupazione», ovvero persone che pur lavorando vivono con l'equivalente di 2 dollari USA al giorno o meno, è continuato a crescere per raggiungere 1,37 miliardi nel 2007 (12). |
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2.4. |
La disastrosa situazione dei contadini nei paesi in via di sviluppo costituisce un fattore economico potente dietro le migrazioni internazionali — lo è ora e lo sarà in futuro. Nel 2000, circa il 43 % dei lavoratori mondiali erano occupati nell'agricoltura e in genere nei paesi più poveri le condizioni di questi lavoratori sono peggiori rispetto a quelle degli abitanti delle zone urbane. Ciò è in parte il risultato, tra l'altro, di politiche pubbliche. Queste spesso rispecchiano pacchetti di aggiustamento strutturale che hanno spinto i paesi a «modernizzare» la produzione agricola per orientarla maggiormente all'esportazione. Ciò ha avuto come conseguenza quella di pregiudicare la posizione dei piccoli produttori agricoli a causa della crescente liberalizzazione del commercio, che li ha espulsi dall'attività agricola o li ha spinti in una sottooccupazione cronica oppure ad emigrare dal mondo rurale. In effetti, tra il 1980 e il 1999 la quota della popolazione urbana su quella totale è salita dal 32 % al 41 % nei paesi a basso e medio reddito (13). |
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2.5. |
Va sottolineato che tra il reddito e lo sviluppo umano non esiste una correlazione automatica. Grazie a politiche pubbliche adeguate o all'assenza di conflitti, si può verificare che paesi con un reddito minore abbiano un indice di sviluppo umano (14) più elevato. |
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2.6. |
In questo mondo globalizzato, i paesi che occupano i due estremi della scala dello sviluppo umano sono la Norvegia e il Niger. I cittadini norvegesi sono 40 volte più ricchi di quelli del Niger, la loro aspettativa di vita è doppia e il loro tasso di scolarizzazione cinque volte maggiore. |
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2.7. |
Da un esame delle tendenze dagli anni '70 ad ora risulta che la maggior parte dei paesi ha migliorato il proprio indice di sviluppo umano. L'unica eccezione è costituita dall'Africa subsahariana, regione in cui si trovano 28 dei 31 paesi con il più basso livello di sviluppo umano. |
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2.8. |
Altri dati significativi sono i seguenti:
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2.9. |
La povertà nel mondo si è ridotta (15), ma tale riduzione è dovuta in gran parte allo sviluppo che ha caratterizzato negli ultimi anni la Cina e l'India. Il 20 % più povero della popolazione dispone solo dell'1,5 % del reddito mondiale e ha un reddito inferiore a 1 dollaro USA al giorno. Il 40 % della popolazione mondiale dispone solo del 5 % del reddito mondiale e vive con meno di 2 dollari al giorno. Il 90 % degli abitanti dei paesi OCSE fa parte del 20 % della popolazione mondiale con il reddito più alto. All'altra estremità della scala, il 50 % degli abitanti dell'Africa subsahariana fa parte del 20 % più povero della popolazione mondiale. Le 500 persone più ricche del mondo hanno redditi (senza contare il patrimonio) superiori a quelli dei 416 milioni di persone più povere. |
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2.10. |
I paesi di origine dell'emigrazione sono accomunati dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla disuguaglianza. I fattori che inducono molte persone ad abbandonare il proprio paese e ad andare alla ricerca di prospettive migliori sono la mancanza di un lavoro dignitoso, la crisi economica, la mancanza di prospettive di sviluppo, le calamità e le malattie le guerre, la corruzione e l'inefficienza di alcuni governi, la mancanza di libertà e di istituzioni democratiche. La Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali, nel rapporto presentato all'ONU nel 2005, osserva che molti flussi migratori di grandi proporzioni, non desiderati e difficili da gestire, sono il risultato del mancato sviluppo sostenibile e dei problemi strutturali di numerosi paesi. |
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2.11. |
D'altronde le reti criminali che si dedicano alla tratta e al traffico illegale di esseri umani approfittano di questa situazione per arricchirsi con l'immigrazione irregolare. È perciò importante avviare un'azione concertata appropriata contro tali reti criminali senza scrupoli, che approfittano della difficilissima situazione di persone innocenti. È altrettanto importante che vi siano efficaci controlli di frontiera, comprese le frontiere marittime, adeguatamente coordinati tra i paesi di transito e di destinazione. |
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2.12. |
Promuovere la pace, la democrazia, la crescita economica e sociale, lo sviluppo umano, la lotta alla povertà e alla disuguaglianza può contribuire fortemente a ridurre l'emigrazione non desiderata. |
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2.13. |
Tuttavia, coloro che emigrano non sono le persone più povere, le quali in effetti non hanno i mezzi per farlo. Emigrano invece quelli che hanno un qualche reddito (personale o familiare), una formazione migliore, un maggior dinamismo o condizioni di salute migliori; spesso si tratta dei più giovani. Almeno nella fase iniziale l'emigrazione contribuisce alla perdita di capitale umano dei paesi di origine. |
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2.14. |
Anche se non sempre è così, ciò che induce molte persone a migrare verso l'Europa sono la povertà e la mancanza di opportunità. L'UE deve collaborare attivamente alla lotta contro la povertà nei paesi di origine degli emigranti e applicare un approccio integrale alla politica in materia di immigrazione. |
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2.15. |
Il CESE propone all'Unione e ai suoi Stati membri di dare un nuovo impulso politico agli Obiettivi di sviluppo del millennio, che sono stati concordati sette anni fa in sede ONU e debbono essere raggiunti entro il 2015. Questi obiettivi devono essere completati dalla promozione del lavoro dignitoso sostenuta dall'Organizzazione internazionale del lavoro. |
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2.16. |
I progressi sono lenti e la comunità internazionale non sta sostenendo i necessari sforzi politici. Ad esempio pochi Stati membri rispettano l'impegno di destinare agli aiuti allo sviluppo lo 0,7 % del loro PIL. La valutazione intermedia presentata nel 2007 dal Segretario generale delle Nazioni Unite (16) è deludente, i progressi sono modesti e addirittura nel periodo 2005-2006 si è registrata una riduzione pari al 5,1 % degli aiuti allo sviluppo. |
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2.17. |
Il Comitato invita la Commissione europea ad adottare un preciso calendario per la realizzazione degli otto obiettivi del Millennio:
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3. Commercio e sviluppo
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3.1. |
L'apertura commerciale è per molti versi connessa alla crescita economica, allo sviluppo, alla creazione di lavoro e alla riduzione della povertà. I negoziati attualmente in corso in ambito OMC costituiscono l'esempio più chiaro di questo assunto; la tornata attualmente in corso, nota come Doha Round, è dedicata in particolare agli obiettivi dello sviluppo. Lo sviluppo è anche l'obiettivo degli accordi di associazione economica inseriti nell'Accordo di Cotonou tra l'Unione europea e i paesi associati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico; esso costituisce inoltre il tema della recente comunicazione della Commissione Verso una strategia dell'UE in materia di aiuti al commercio (17). |
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3.2. |
L'apertura commerciale viene talvolta messa in relazione con lo sviluppo dei paesi poveri e con la riduzione dell'immigrazione indesiderata. Altre volte l'emigrazione viene spiegata come una conseguenza della chiusura dei mercati dei paesi sviluppati ai prodotti dei paesi in via di sviluppo. |
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3.3. |
Bisogna valutare in che modo promuovere il commercio possa contribuire a ridurre la povertà nel mondo. Il CESE ritiene che lo studio eseguito congiuntamente dall'Organizzazione internazionale del lavoro e dall'OMC e intitolato Trade and employment. Challenges for policy research, del marzo 2007, costituisca un punto di riferimento essenziale. |
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3.4. |
Negli ultimi decenni la considerevole riduzione degli ostacoli al commercio si è accompagnata ad una diminuzione della povertà nel mondo, anche se questa diminuzione della povertà si è concentrata in Cina e in India, e anche limitatamente a determinate regioni e settori della società. Le esperienze dei paesi che hanno aperto la propria economia sono varie: dove lo sviluppo si è basato sull'esportazione tessile, la povertà non si è ridotta in misura significativa. Altrove si è avuta solamente una crescita dell'economia informale. Il divario salariale tra lavoratori qualificati e non qualificati è diminuito in Asia, mentre è invece aumentato in America Latina (18). |
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3.5. |
A differenza delle elite che dirigono alcuni paesi in via di sviluppo, il CESE non crede che vi sia contraddizione tra lo sviluppo e i diritti umani. Dagli studi eseguiti (19) emerge che i paesi che passano ad un sistema politico democratico, promuovono i diritti sul lavoro e migliorano la protezione sociale beneficiano di un aumento degli investimenti esteri e delle esportazioni. Esempi di buona gestione, che il Comitato appoggia, sono il rispetto delle norme internazionali dell'OIL per la promozione del lavoro dignitoso e il sostegno al dialogo sociale delle parti sociali e al dialogo con le organizzazioni della società civile. |
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3.6. |
Anche l'apertura dei mercati dei paesi industrializzati può favorire lo sviluppo; tuttavia le conseguenze non sono sempre favorevoli per tutti i paesi, ma anzi solo quelli che sono pervenuti ad un certo livello di sviluppo e presentano mercati nazionali consolidati, infrastrutture efficienti per l'esportazione e sistemi politici stabili possono approfittare delle riduzioni delle tariffe doganali per accrescere il proprio grado di sviluppo e ridurre la povertà. |
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3.7. |
Gli effetti della globalizzazione sullo sviluppo dei vari paesi variano considerevolmente, in funzione delle rispettive politiche. Innalzando il livello dell'istruzione, della sanità, delle infrastrutture e delle politiche occupazionali si promuove la crescita e si riducono la povertà e la disuguaglianza. |
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3.8. |
Il CESE ritiene che l'UE, nei negoziati in sede OMC, debba impegnarsi per un incremento del commercio internazionale — specie tra UE, Africa e America Latina — e a favore di un'estensione della democrazia e dei diritti umani nel mondo. |
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3.9. |
L'UE intrattiene rapporti di associazione con vari paesi del mondo: i paesi euromediterranei, i paesi ACP, la Russia e vicini orientali, i paesi del Mercosur, la Comunità andina, la Cina, l'India ecc. Attraverso i pareri e i comitati misti, il CESE fa in modo che tali accordi vadano al di là delle questioni commerciali e si estendano a varie questioni sociali. |
4. La cooperazione allo sviluppo
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4.1. |
Attraverso la sua politica di cooperazione allo sviluppo l'UE deve spingere i paesi beneficiari a realizzare politiche pubbliche di formazione e di occupazione in collaborazione con le parti sociali e le organizzazioni della società civile. Politiche di questo tipo, insieme alla promozione della pace e al buon governo, sono fondamentali per lo sviluppo. |
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4.2. |
Finora le politiche dell'UE in materia di cooperazione allo sviluppo hanno dato scarsa importanza al ruolo delle migrazioni come fattore di lotta contro la povertà. |
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4.3. |
Gli aiuti ufficiali allo sviluppo si basano sui principi della giustizia sociale e della ridistribuzione della ricchezza. La politica di cooperazione allo sviluppo è intesa a lottare contro la povertà e a fare in modo che tutte le persone abbiano una vita dignitosa. Ancorché non sia direttamente finalizzata a favorire o a frenare i movimenti migratori, la lotta alla povertà e alla disuguaglianza può contribuire a ridurre le cause dell'emigrazione non volontaria (20). |
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4.4. |
Utilizzare la politica di cooperazione allo sviluppo come fattore di pressione nei negoziati internazionali in materia di migrazione, come hanno prospettato alcuni leader europei al vertice di Siviglia, è inaccettabile. |
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4.5. |
Il CESE ritiene che l'UE possa promuovere il coinvolgimento delle comunità di immigrati nei progetti di cooperazione; il contributo di tali comunità può essere infatti molto importante per l'elaborazione delle proposte, messe a punto a volte da esperti dei paesi donatori che conoscono solo in parte le zone beneficiarie, e per la valutazione dei relativi risultati. |
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4.6. |
Gli obiettivi primari della cooperazione dell'UE allo sviluppo sono la democrazia e i diritti umani, l'istruzione e la formazione, la promozione dell'indipendenza della donna, la salute e l'ambiente. Il CESE ritiene molto importante anche il rafforzamento e la promozione delle organizzazioni della società civile. |
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4.7. |
L'UE, dal canto suo, può offrire un sostegno alla costituzione di reti e di commissioni miste tra le parti sociali e le organizzazioni della società civile dei paesi di origine e di quelli di accoglienza. Per esempio la sensibilizzazione della popolazione costituisce una componente fondamentale delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Si dovrebbe inoltre informare l'opinione pubblica dei paesi europei di accoglienza in merito alla cultura, alle condizioni di vita, di lavoro, sociali e politiche dei paesi di origine dell'immigrazione. |
5. Una politica europea in materia di immigrazione attuata in collaborazione con i paesi di origine
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5.1. |
Sorprende che gli Stati membri dell'UE non abbiano ancora ratificato la Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990 e in vigore dal 1o luglio 2003. Il CESE ribadisce l'invito (21) rivolto all'UE e ai suoi Stati membri a ratificare detto documento. Conformemente a quanto viene sancito nelle conclusioni dei Consigli europei di Tampere e dell'Aia, il CESE ritiene che la politica europea in materia di immigrazione debba basarsi sul rispetto dei diritti umani e sulla parità di trattamento. |
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5.2. |
Il CESE propone alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio di promuovere, nell'ambito dell'azione esterna dell'Unione, un quadro normativo internazionale per le migrazioni, basato sulla Dichiarazione universale dei diritti umani, sul Patto sui diritti civili e politici e sul Patto sui diritti economici, sociali e culturali. Questo quadro normativo internazionale deve comprendere:
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5.3. |
Attualmente le politiche in materia di immigrazione si sono incentrate su questioni pertinenti, che il CESE approva, ma che corrispondono esclusivamente agli interessi dei paesi di accoglienza europei, vale a dire la lotta contro l'immigrazione irregolare e il traffico di esseri umani, il soddisfacimento delle esigenze del nostro mercato del lavoro e del nostro sviluppo economico. Anche i problemi di convivenza o di identità vengono visti nella stessa ottica; le politiche di ammissione sono definite in modo da attirare immigranti altamente qualificati, mentre altri vengono respinti. In funzione di queste considerazioni gli europei adottano politiche di immigrazione più o meno aperte o restrittive, ma sempre tenendo conto soltanto degli effetti dell'immigrazione sulle società europee. |
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5.4. |
Nondimeno l'UE e la maggior parte degli Stati membri attuano politiche molto attive di cooperazione allo sviluppo; inoltre l'Europa partecipa ad accordi di vicinato e di associazione con numerosi paesi del mondo. Tuttavia tali politiche sono state applicate finora senza un collegamento adeguato con la politica di immigrazione, come se si trattasse di compartimenti stagni, in base alla considerazione erronea che si possa condurre una politica di immigrazione senza la collaborazione dei paesi di origine. |
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5.5. |
Gli effetti delle migrazioni sui paesi in via di sviluppo sono oggetto di numerosi studi, che pervengono tutti ad una conclusione comune: i migranti offrono un utile contributo alle sviluppo economico e sociale dei paesi di origine, sebbene per alcuni paesi vi siano anche effetti negativi. Tra le ripercussioni positive figurano in primo piano le rimesse, tra quelle negative, la fuga di cervelli e la perdita di risorse umane. |
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5.6. |
Il CESE è favorevole ad un nuovo approccio per le politiche europee: gestire la politica di immigrazione in collaborazione con i paesi di origine, per fare in modo che per essi le migrazioni siano un fattore di sviluppo. Bisognerà quindi riconsiderare numerosi aspetti di tale politica, tra cui quelli relativi ai criteri di ammissione e alla possibilità di circolazione degli immigranti. |
6. Le migrazioni sono utili sia ai paesi di origine che a quelli di accoglienza
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6.1. |
I benefici dell'immigrazione per i paesi d'accoglienza sono stati esposti estesamente in altri pareri del CESE. Nel caso dai paesi europei, l'immigrazione ha soddisfatto le necessità createsi nel mercato del lavoro a causa dell'evoluzione demografica (22). Gli immigranti occupano posti di lavoro che non sono coperti da lavoratori autoctoni e contribuiscono allo sviluppo economico, alla creazione di posti di lavoro e al progresso sociale. Come afferma il rapporto del Segretario generale nel quadro del Dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione internazionale e lo sviluppo, gli immigranti contribuiscono alla crescita economica dei paesi di accoglienza perché preservano la vitalità economica di attività che, se non fosse per loro, verrebbero delocalizzate; vi contribuiscono anche per il fatto di accrescere la popolazione attiva e il numero di consumatori, nonché per l'apporto delle loro capacità imprenditoriali (23). Il Comitato ha anche proposto che l'UE rafforzi le politiche di integrazione (24). Le migrazioni possono essere positive per tutti: per i migranti, per le società di accoglienza e per i paesi di origine. |
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6.2. |
Per i paesi in via di sviluppo l'emigrazione permette il deflusso della mano d'opera in eccesso e quindi riduce la disoccupazione; inoltre le rimesse inviate alle famiglie costituiscono un importante meccanismo di riduzione della povertà. D'altro canto gli emigrati, quando rientrano nel proprio paese, svolgono un ruolo sempre più importante nell'infondere dinamismo nell'economia, dato che divengono imprenditori o promotori di attività economiche di piccola entità, e trasmettono conoscenze e tecnologie nuove. Vi sono tuttavia effetti negativi dell'emigrazione, come la perdita dei giovani meglio formati e più intraprendenti. |
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6.3. |
Il CESE propone di agire attraverso la collaborazione con i paesi di origine per moltiplicare gli effetti positivi e ridurre quelli negativi; si tratta di una delle sfide della nostra epoca. La relazione finale della Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali asserisce che la sfida attuale consiste nel formulare delle politiche in grado di accrescere i vantaggi della migrazione per i paesi di origine e di limitarne le conseguenze negative. Sempre secondo tale documento le migrazioni devono essere inserite nelle strategie di sviluppo nazionali, regionali e mondiali, e a tal fine è necessario che i paesi di accoglienza riconoscano chiaramente la loro utilità (25). |
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6.4. |
Isolata dagli altri fattori politici, economici e sociali, la migrazione non può fungere da propulsore dello sviluppo. Il CESE ritiene quindi necessario che l'UE metta a punto un nuovo approccio in materia di politica di immigrazione e di sviluppo — in collaborazione con i paesi di origine — e promuova lo sviluppo attraverso degli adeguamenti strutturali che favoriscano la democrazia e il buon governo e aiutino a ridurre la disuguaglianza e a migliorare il capitale umano e le infrastrutture necessarie affinché lo sviluppo sia sostenibile. |
7. I vantaggi derivanti dalle rimesse
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7.1. |
Le rimesse sono risorse personali degli emigranti, che, tuttavia per alcuni paesi di origine, hanno acquistato grande importanza come fonte di entrate. Le cifre si commentano da sole: secondo stime del Banco mondiale nel 2005 le rimesse affluite nei paesi in via di sviluppo ammontavano a 167 miliardi di dollari, contro 69 miliardi del 1990. Il Segretario generale dell'ONU ha affermato che nel 2006 gli emigranti hanno inviato rimesse per 264 miliardi di dollari, cifra che è pari a quasi il quadruplo dell'aiuto ufficiale allo sviluppo e in alcuni paesi è addirittura superiore agli investimenti esteri. |
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7.2. |
Le rimesse costituiscono una aiuto continuo e stabile al mantenimento familiare. Gli immigranti e le loro famiglie sono i protagonisti principali di questi trasferimenti internazionali di denaro. In Europa una quota compresa tra il 60 % e il 70 % degli immigranti invia denaro a propri familiari. Le loro rimesse vengono destinate principalmente al consumo diretto, ma non solo a quello di beni materiali, infatti una parte non trascurabile viene spesa per l'istruzione e la salute, cosa che comporta un miglioramento del capitale umano. L'economia delle zone dove si ricevono le rimesse beneficia dell'aumento dei consumi e degli investimenti in piccole attività economiche e l'aumentata circolazione di denaro favorisce lo sviluppo del settore finanziario. Infine, le entrate in divise europee contribuiscono all'equilibrio finanziario dei paesi di origine. |
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7.3. |
Oltre ai vantaggi possono presentarsi anche dei problemi: alcuni prodotti di consumo aumentano di prezzo, e aumentano le difficoltà per le famiglie che non ricevono rimesse; si verifica inoltre l'abbandono di alcune coltivazioni e di alcuni settori di produzione (quelli meno redditizi), come pure di determinati posti di lavoro che producono un reddito molto modesto a confronto di quello derivante dalle rimesse. |
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7.4. |
Questi problemi vanno tenuti in considerazione, ma la Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali è giunta alla conclusione che le rimesse costituiscono complessivamente un importante fattore positivo per i paesi in via di sviluppo. Infatti, gli invii di denaro attraverso canali ufficiali forniscono un'importante fonte di divise estere per i paesi destinatari, innalzano le capacità del settore finanziario, aiutano ad attirare ulteriori investimenti e forniscono una certa leva finanziaria per i prestiti destinati al settore pubblico (26). |
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7.5. |
È necessario ridurre i canali di invio informali, i quali comportano costi e rischi maggiori. In molti casi si creano reti informali a causa dell'assenza di istituzioni finanziarie nelle zone più remote. Il CESE ritiene che per ottimizzare i vantaggi per i paesi di origine sia necessario ridurre i costi di intermediazione finanziaria delle rimesse, che spesso sono esagerati e non corrispondono ai costi di altre transazioni economiche internazionali. Gli esperti calcolano che il costo varia sensibilmente da una regione all'altra, per esempio i trasferimenti dalla Spagna all'America latina e ai Caraibi costano il 2 %, mentre quelli dall'Europa alla maggior parte dei paesi africani costano dall'8 % al 10 %. Le autorità e gli organi di vigilanza del settore finanziario europeo devono promuovere un comportamento etico e socialmente responsabile da parte delle banche europee, che si rifletta in una riduzione dei costi di invio. Tuttavia, anche le banche dei paesi di origine, la cui struttura e le cui garanzie sono spesso insufficienti, dovrebbero divenire più efficaci. L'Europa deve promuovere degli accordi tra i settori finanziari dei due versanti, con la mediazione dei governi e delle organizzazioni internazionali, per ridurre il costo finale dei trasferimenti. Le banche, attraverso accordi di responsabilità sociale, possono promuovere sistemi di buone pratiche. |
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7.6. |
La Commissione ha annunciato una direttiva sulla trasparenza delle commissioni applicate dai fornitori di servizi finanziari. Tale direttiva dovrebbe essere molto decisa nel porre fine agli eccessi che caratterizzano attualmente il settore delle rimesse. Le autorità di regolamentazione del sistema finanziario devono anch'esse vigilare affinché nelle transazioni non vengano applicati tassi di cambio inappropriati, con l'effetto di accrescere abusivamente il costo finale delle rimesse. |
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7.7. |
Il CESE propone che le rimesse vengano utilizzate per promuovere gli investimenti nelle attività economiche e sociali. Le banche, in collaborazione con le autorità locali, possono sviluppare nuovi sistemi di credito vincolati alle rimesse, per finanziarie attività economiche e iniziative imprenditoriali. Ciò presuppone tuttavia che il settore finanziario locale abbia una struttura e una solvibilità adeguate. |
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7.8. |
Le spese più importanti delle famiglie che ricevono le rimesse sono quelle destinate all'istruzione e alla salute. È necessario promuovere degli strumenti finanziari di garanzia e di credito vincolati alle rimesse, al fine di realizzare risultati migliori in termini educativi e di salute. |
8. Le comunità insediate nei paesi d'accoglienza come reti transnazionali
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8.1. |
Nel contesto globalizzato degli ultimi decenni si è avuto un aumento significativo delle migrazioni internazionali, sono fortemente aumentati il numero dei migranti (27), quello dei paesi di origine, quello dei paesi di accoglienza e quello dei paesi che sono contemporaneamente paesi di emigrazione e paesi di accoglienza. Questo aumento delle migrazioni è reso più facile da una generale discesa dei prezzi dei trasporti e delle comunicazioni. Al giorno d'oggi spostarsi da un paese all'altro, e anche tra punti distanti del pianeta, è facile (fatta eccezione per i controlli di frontiera). |
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8.2. |
La riduzione dei costi dei viaggi, specie di quelli aerei, insieme agli attuali sistemi di comunicazione telefonica ed elettronica, sta permettendo un aumento senza precedenti della comunicazione e delle relazioni tra le persone, tra i punti di origine e quelli di destinazione delle migrazioni. Persone che sono emigrate e si sono disperse in differenti destinazioni mantengono oggi delle reti di relazioni molto più strette e fluide di quelle che potevano avere anni fa. |
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8.3. |
Le reti di emigranti svolgono un ruolo sempre più importante nei processi migratori: esse aiutano le persone a definire i rispettivi progetti di migrazione e facilitano il viaggio e il transito; esse inoltre contribuiscono all'accoglienza nel paese di destinazione, all'accesso all'alloggio e alla ricerca di lavoro. |
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8.4. |
Gli emigranti stanno favorendo l'attività economica nei rispettivi luoghi di origine. Ad esempio, molte attività commerciali aperte da immigranti nelle zone di accoglienza importano prodotti dei paesi di origine e in tal modo contribuiscono alla loro produzione e al loro smercio; inoltre con l'intensificarsi dei viaggi si rafforzano le imprese di trasporto. Spesso gli immigrati che hanno raggiunto la prosperità economica nel paese di accoglienza effettuano investimenti diretti in quello di origine; in questo modo sono nate numerose attività imprenditoriali in alcune regioni della Cina e, per il settore informatico, in India e in Pakistan. Molti immigranti danno vita ad attività economiche e commerciali in Africa e in America latina. |
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8.5. |
Sempre più spesso le imprese internazionali si servono di personale immigrate per impiantare la propria attività nei loro paesi di origine. Molte multinazionali europee reclutano tra gli immigranti i propri dirigenti e i propri tecnici allo scopo di rendere più internazionale la propria attività. |
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8.6. |
Le comunità emigrate, organizzate in reti transnazionali, possono anch'esse contribuire a fare in modo che una parte delle rimesse confluiscano verso attività economiche e progetti imprenditoriali. Le politiche di cooperazione allo sviluppo dell'UE possono collaborare con le reti di immigranti, poiché queste offrono l'opportunità di canalizzare efficacemente gli aiuti e di moltiplicare la capacità di investimento delle comunità di emigrati. |
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8.7. |
Tali comunità presenti in alcuni luoghi agiscono come reti e investono nei rispettivi paesi di origine. Esistono progetti esemplari, come quello in corso in Messico e denominato «tre per uno», in base al quale le associazioni di emigranti originari di una determinata località investono in progetti di sviluppo della stessa località, e ad ogni dollaro da loro investito se ne aggiungono altri tre a carico dei tre livelli di governo, federale, statale e comunale (28). |
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8.8. |
L'UE dovrebbe sostenere le reti nazionali di queste comunità di migranti, perché così facendo si contribuisce allo sviluppo dei paesi di origine. Le associazioni in rete di una stessa città di origine possono raggruppare degli investimenti, ai quali si possono aggiungere dei contributi europei e nazionali. |
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8.9. |
La Commissione europea e gli Stati membri, in collaborazione con i paesi di origine e con le organizzazioni della società civile, devono contribuire alla creazione di contesti favorevoli, che permettano alle comunità di migranti di ottimizzare l'impatto delle loro attività sullo sviluppo. Il Comitato propone di far sì che una parte dei fondi pubblici dell'UE e degli Stati membri venga destinata alle attività di sviluppo promosse dalle comunità di immigrati. Perché le attività economiche e sociali abbiano successo è fondamentale il partenariato pubblico-privati. Qui di seguito vengono presentati alcuni esempi di buone prassi: |
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8.9.1. |
Il programma IntEnt, basato nei Paesi Bassi, ha sostenuto negli ultimi 10 anni quasi 2 000 imprenditori facenti parte delle comunità di emigrati da Suriname, Ghana, Marocco, Antille e Turchia, mobilitando 12,5 milioni di euro per creare 200 imprese, che hanno dato lavoro a 840 persone nei rispettivi paesi di origine. |
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8.9.2. |
L'associazione Migrations & Développement, costituita nel 1986 a Marsiglia, aiuta varie organizzazioni di immigranti marocchini (e anche giovani francesi di origine marocchina) a reperire degli aiuti per i rispettivi luoghi di origine in Marocco. Migliaia di immigranti hanno contribuito finanziariamente a vari progetti e di essi 300 hanno partecipato direttamente all'attuazione, beneficiando oltre 50 000 persone in Marocco. |
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8.9.3. |
Le organizzazioni di immigrati nel Regno Unito sono state in prima linea nella campagna RemitAid (29), il cui obiettivo è ottenere degli sgravi fiscali sulle rimesse collettive inviate nei paesi d'origine per scopi connessi allo sviluppo. Grazie ad un capitale comune costituito da rimborsi fiscali sulle rimesse, il programma RemitAid sostiene iniziative di sviluppo promosse da immigrati (analogamente a quanto avviene per le donazioni a livello nazionale con il programma Gift aid). |
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8.9.4. |
Il Consorzio filippino per la migrazione e lo sviluppo (Philcomdev) è una rete costituita recentemente da organizzazioni di emigranti e loro familiari, ONG, cooperative, sindacati, organizzazioni di microfinanza, imprese sociali e reti attive nelle Filippine e all'estero, che interviene nel campo della migrazione e dello sviluppo del paese. |
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8.10. |
Nel quadro degli aiuti europei allo sviluppo bisognerebbe promuovere fra l'altro l'importazione in Europa di prodotti dei paesi di origine degli immigrati, commercializzati dalle reti dell'immigrazione nel quadro del commercio equo e solidale. |
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8.11. |
Il CESE chiede che vengano sostenuti anche gli investimenti diretti effettuati dagli emigranti e dalle loro associazioni. Ad esempio gli investimenti in progetti nel settore turistico o nell'agricoltura offrono ampie possibilità di sviluppo in vari luoghi di origine di emigranti. I finanziamenti concessi a emigranti o a loro associazioni per realizzare progetti commerciali o effettuare investimenti diretti nei rispettivi paesi di origine sono una forma di sostegno che dovrebbe essere rafforzata nei paesi europei grazie alle politiche di cooperazione. |
9. Il rientro e l'aumento delle possibilità di circolazione, un modo di recuperare il capitale umano
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9.1. |
Una parte dei migranti internazionali è costituita da lavoratori qualificati o altamente qualificati Da ciò deriva una delle ripercussioni più negative delle migrazioni per i paesi in via di sviluppo: la fuga di cervelli. Non tutti i paesi di origine risentono nella stessa maniera dei danni derivanti dalla fuga di cervelli, ma per alcuni essa costituisce un autentico disastro. Come risulta da una rapporto del Sistema di osservazione permanente delle migrazioni dell'OCSE, una percentuale variabile tra il 33 % e il 55 % delle persone con un elevato livello di istruzione di Angola, Burundi, Ghana, Kenya, Maurizio, Mozambico, Sierra Leone, Tanzania e Uganda vive nei paesi dell'OCSE (30). Il settore sanitario è uno di quelli che in Africa risentono maggiormente di questa situazione e altrettanto vale per quello dell'istruzione. |
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9.2. |
In altri paesi di origine, invece, l'effetto dell'emigrazione di laureati e di lavoratori altamente qualificati non è altrettanto negativo. Per esempio il fatto che lavoratori specializzati nelle tecnologie dell'informazione abbandonino l'India e il Pakistan non ha ripercussioni negative, perché tali paesi dispongono di efficaci sistemi di istruzione informatica e non risentono quindi della loro partenza. |
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9.3. |
La fuga di cervelli, se non ha dimensioni eccessive, può addirittura risultare utile per il paese di origine, perché origina processi di rientro o di circolazione che favoriscono l'apporto di nuove conoscenze e tecnologie e di progetti imprenditoriali; questo sviluppo si sta producendo in paesi come il Brasile e l'India. Tuttavia per numerosi paesi il drenaggio di cervelli comporta una perdita irrimediabile di specialisti e professionisti qualificati. |
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9.4. |
Questo drenaggio di cervelli sta arrecando dei vantaggi ai paesi europei di accoglienza. A partire dal 2002 in vari paesi europei sono state modificate le legislazioni sull'immigrazione, per facilitare l'ingresso di lavoratori molto qualificati. |
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9.5. |
La stessa Unione europea promuoverà una politica di immigrazione selettiva: il Piano d'azione sull'immigrazione legale (31) prevede l'elaborazione di una direttiva specifica per l'ammissione di lavoratori molto qualificati, che la Commissione presenterà in settembre e che sarà oggetto di un parere del Comitato. Non è tuttavia prevista l'elaborazione di una direttiva generale sull'ammissione. Malgrado le critiche che hanno suscitato da parte del CESE e del Parlamento europeo (32), in Europa saranno sviluppate simili politiche di «immigrazione selettiva», con il rischio di aggravare i problemi di alcuni paesi. Il Comitato ritiene invece che la legislazione in questo campo dovrebbe essere favorevole per tutti, e cioè tanto per i paesi di origine quanto per quelli di accoglienza e per gli stessi immigrati. |
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9.6. |
Per ragioni di coerenza tra le politiche in materia di migrazione e quelle in materia di cooperazione allo sviluppo è necessario che i paesi di accoglienza affrontino con decisione e rigore il problema della fuga di cervelli. Pertanto il primo aspetto da tenere in considerazione è che i problemi che il deflusso di lavoratori comporta per il paese di origine potrebbero convertirsi in benefici qualora detti lavoratori rientrassero avendo acquisito conoscenze utili per le imprese, l'economia e i servizi pubblici del loro paese. I migranti che ritornano possono essere un veicolo per il trasferimento non solo di conoscenze e di tecnologie, ma anche di investimenti. |
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9.7. |
In questa prospettiva, favorendo il rientro si promuoverà lo sviluppo dei paesi di origine. Deve trattarsi di un rientro pienamente volontario, che avviene quando il lavoratore qualificato trova condizioni favorevoli per proseguire la propria attività professionale nel paese di origine. La sfida consiste pertanto nel creare tali condizioni favorevoli. |
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9.8. |
Per favorire il rientro volontario dei lavoratori qualificati occorre garantire che esso non comporti per loro la perdita del permesso di lavoro e di residenza in Europa (o la nuova cittadinanza che hanno acquisito). Solo in questo modo si potrà garantire una migrazione circolare. |
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9.9. |
Il rientro può essere favorito anche trasferendo al paese di origine i diritti sociali dei lavoratori coinvolti. Occorre quindi fare in modo che funzioni correttamente il trasferimento delle pensioni e dei diritti di sicurezza sociale, compresa l'assistenza sanitaria. La relazione del Segretario generale in occasione del Dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione internazionale e lo sviluppo segnalava che la grande maggioranza dei migranti internazionali si trova di fronte ad ostacoli alla trasferibilità dei diritti pensionistici; malgrado gli accordi bilaterali conclusi, propone di elaborare un quadro internazionale caratterizzato da un grado più elevato di tutela. La Convenzione OIL n. 157 (1982) sull'istituzione di un sistema internazionale per la conservazione dei diritti di sicurezza sociale è stata ratificata da tre soli paesi (Spagna, Filippine e Svezia) (33), il Comitato propone agli altri Stati membri di ratificarla. |
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9.10. |
Bisognerebbe adottare, nel quadro delle politiche europee di cooperazione allo sviluppo, dei programmi intesi ad evitare il drenaggio di cervelli e a facilitare il rientro volontario dei lavoratori qualificati, e al tempo stesso investire nei paesi di origine in attività ad elevata qualificazione. |
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9.11. |
Il CESE concorda con la Commissione, la quale ha proposto che gli Stati membri elaborino codici di comportamento per gestire l'ammissione di immigranti molto qualificati in collaborazione con i paesi di origine. |
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9.12. |
L'UE deve collaborare molto attivamente alla formazione dei giovani nei paesi di origine dell'immigrazione. Tali paesi soffrono infatti la perdita di gran parte del loro capitale umano meglio formato, a vantaggio delle società europee. La cooperazione in materia di formazione costituisce un modo equo di compensare tali paesi, i quali potranno disporre in futuro del capitale umano richiesto per il loro sviluppo. |
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9.13. |
Il CESE desidera sottolineare l'importanza degli accordi e delle associazioni che le università europee, gli ospedali, le imprese e centri tecnologici e di ricerca possono concludere con i paesi di origine onde fare in modo che alcuni professionisti molto qualificati svolgano la propria attività nei rispettivi paesi di origine beneficiando però di un salario, di diritti sociali e di mezzi professionali comparabili a quelli europei. |
10. Una politica di ammissione di immigranti coerente con gli obiettivi di sviluppo: accogliere significa contribuire allo sviluppo
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10.1. |
L'Unione europea e gli Stati membri devono modificare le politiche di ammissione per consentire l'immigrazione legale attraverso procedure flessibili e trasparenti. Nel parere in merito al Libro verde (34), il CESE ha proposto alla Commissione di adottare delle politiche aperte di ammissione dei lavoratori molto qualificati e di quelli meno qualificati. Il Comitato, pur comprendendo la posizione adottata da alcuni governi, ha anche chiesto agli Stati membri di porre fine al periodo transitorio che limita la libertà di residenza e di lavoro dei cittadini di alcuni nuovi Stati membri. |
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10.2. |
Bisogna ridurre l'immigrazione irregolare con politiche dirette all'interno dell'UE, ad esempio misure comunitarie (35), che il Comitato esaminerà in un altro parere ancora in corso di elaborazione, volte a contrastare l'occupazione di immigrati irregolari, provvedimenti sul controllo delle frontiere e sulla lotta al traffico di esseri umani, e cooperazione con i paesi di origine e di transito. L'UE dev'essere solidale, e condividere le spese, con i paesi dell'Europa meridionale impegnati a gestire l'arrivo massiccio di immigranti irregolari e ad eseguire un gran numero di operazioni di salvataggio marittimo, di accoglienza e di soccorso umanitario. In circostanze eccezionali sarà anche necessario regolarizzare la situazione giuridica delle molte persone «senza documenti» che si trovano nell'UE, che sono vittime di sfruttamento sul lavoro e non possono beneficiare delle politiche di integrazione. |
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10.3. |
Nel quadro delle politiche di ammissione più flessibili è necessario promuovere i sistemi di immigrazione temporanea e la circolazione degli immigranti, sia per i lavoratori più qualificati che per quelli a bassa qualificazione. |
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10.4. |
Affinché il sistema di immigrazione temporaneo sia realistico è necessario che la legislazione comunitaria consenta il rilascio di permessi di breve durata caratterizzati da un'elevata flessibilità e integrati da procedure di rientro nel paese d'origine e da garanzie di nuove assunzioni negli anni successivi. Ciò farà sì che numerosi immigranti utilizzino i canali legali e non si trattengano in Europa in maniera irregolare allo scadere del permesso di residenza. |
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10.5. |
Il CESE chiede che l'UE e gli Stati membri concordino con i paesi di origine dei procedimenti di migrazione circolare, per promuovere la mobilità dell'immigrazione grazie a procedure flessibili e trasparenti. Nell'interesse di entrambe le parti questi accordi devono essere equilibrati, affinché l'immigrazione sia anche un fattore di sviluppo per i paesi di origine. |
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10.6. |
Può essere utile anche introdurre delle procedure di ammissione temporanea comprendenti accordi in materia di formazione e di riconoscimento delle qualifiche professionali, in modo che gli immigranti temporanei che lavorano in Europa possano migliorare le proprie competenze professionali e, una volta rientrati in patria, estendere le proprie opportunità occupazionali e contribuire allo sviluppo economico e sociale del proprio paese. |
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10.7. |
L'attuale rigidità della legislazione europea ostacola considerevolmente la migrazione circolare. Per facilitare la circolazione degli immigranti, il loro rientro e l'attuazione di iniziative imprenditoriali nei paesi di origine, la legislazione europea sull'immigrazione deve consentire di mantenere a lungo termine il diritto alla residenza permanente. |
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10.8. |
Il CESE propone pertanto di modificare la direttiva sullo status dei residenti di lungo periodo, estendendo il periodo durante il quale i residenti mantengono i propri diritti permanenti dalla durata attualmente prevista di un anno a quella di cinque anni. Il CESE, nel parere in materia (36), ha osservato che il periodo di un anno (o due, come prevedeva la proposta iniziale della Commissione) era troppo breve perché molti immigrati decidessero di affrontare la sfida e avviassero un progetto professionale di ritorno al proprio luogo di origine. |
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10.9. |
Adesso che l'UE sostiene un approccio globale alla politica dell'immigrazione e tiene conto della coerenza di questa con la politica di sviluppo, bisognerebbe prevedere che tutti i residenti di lungo periodo in uno Stato membro possano tornare al proprio paese di origine per un periodo di almeno cinque anni senza perdere il diritto di residenza. |
11. Promuovere la migrazione circolare e le associazioni di mobilità
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11.1. |
La Commissione europea ha pubblicato lo scorso maggio un'importante comunicazione (37) sulla migrazione circolare e i partenariati di mobilità tra l'Unione europea e i paesi terzi. Il presente parere, pur essendo di iniziativa, costituisce anche il contributo del CESE alla discussione aperta dalla Commissione. In vari punti del presente documento figurano le proposte del CESE in merito ad alcune delle questioni che la Commissione espone nella comunicazione. |
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11.2. |
La comunicazione si divide in due parti, la prima illustra la convenienza di costituire dei partenariati di mobilità con paesi terzi, mentre la seconda riguarda più specificamente la migrazione circolare. |
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11.3. |
Il Comitato accoglie con favore la proposta relativa ai partenariati di mobilità, nel cui quadro l'UE gli Stati membri offriranno delle opportunità di immigrazione legale, attraverso procedure flessibili e trasparenti. I partenariati vengono istituiti sulla base di impegni assunti sia dai paesi di emigrazione che dagli Stati membri dell'UE. |
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11.4. |
Gli impegni che si richiedono ai paesi di provenienza sono quelli già previsti nel quadro della lotta all'immigrazione irregolare. Essi sono molto precisi: riammissione, controllo alle frontiere, sicurezza dei documenti di viaggio, lotta al traffico illecito e alla tratta di esseri umani, ecc. È importante che tali paesi onorino i propri obblighi internazionali derivanti dall'Accordo di Cotonou, e in particolare rispettino il disposto del suo articolo 13. Il Comitato ritiene che alcuni paesi caratterizzati da un apparato statale debole avranno grandi difficoltà a soddisfare le succitate condizioni, e chiede pertanto che i partenariati di mobilità si adeguino in maniera flessibile alle caratteristiche di ciascun paese d'origine. |
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11.5. |
Gli impegni degli Stati membri possono essere, tra l'altro, di quattro tipi: |
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11.5.1. |
anzitutto, offrire migliori opportunità di migrazione legale, rispettando il principio, che il Comitato condivide, della preferenza comunitaria per i cittadini dell'UE. Il CESE è d'accordo sul fatto che vari Stati membri (nel quadro di una cooperazione rafforzata) possano offrire ai paesi di origine un'offerta d'associazione congiunta che questa offerta costituisca un'offerta complessiva da parte dell'UE, sotto forma di quote e di strumenti di adattamento ai mercati del lavoro europei; |
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11.5.2. |
in secondo luogo, la Commissione europea e gli Stati membri forniranno ai paesi terzi assistenza tecnica e finanziaria per gestire i flussi di migrazione legale. Il Comitato ritiene che i fondi comunitari disponibili nel quadro del programma tecnico sulla migrazione e l'asilo saranno insufficienti; propone pertanto alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio di aumentare sensibilmente tali fondi per il futuro; |
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11.5.3. |
in terzo luogo, e il Comitato è d'accordo anche con questa misura, i partenariati di mobilità, d'accordo con i paesi di origine, potranno limitare l'immigrazione di alcune professioni per evitare la fuga di cervelli (per esempio personale sanitario di alcuni paesi europei). Gli accordi dovranno favorire la migrazione circolare e il ritorno degli immigranti temporanei; |
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11.5.4. |
in quarto luogo, l'UE e gli Stati membri miglioreranno le procedure di rilascio dei visti per soggiorni di breve durata. Il CESE ha segnalato in vari pareri che è necessario migliorare l'organizzazione dei servizi consolari degli Stati membri nei paesi di origine; le delegazioni della Commissione devono collaborare con gli Stati membri nelle questioni riguardanti le migrazioni ed occorre utilizzare la rete EURES per conoscere le offerte di lavoro nell'UE. Il Comitato apprezza le proposte, avanzata dalla Commissione, di istituire cooperazioni rafforzate tra vari Stati membri aprendo centri comuni di richiesta di visti, di adeguare le istruzioni consolari comuni per consentire il rilascio di visti per ingressi multipli ai cittadini di paesi terzi che abbiano bisogno di viaggiare con frequenza, e di agevolare il rilascio del visto a specifiche categorie di persone definite negli accordi di mobilità. |
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11.6. |
La Commissione sottolinea l'utilità di favorire la migrazione circolare. Il CESE ritiene che le attuali legislazioni in materia di immigrazione siano molto rigide e non risultino soddisfacenti né per gli immigranti né per i loro paesi di origine, né per i paesi europei di accoglienza. In vari pareri il CESE ha proposto l'adozione di legislazioni più flessibili, volte a realizzare sistemi di immigrazione rispettosi della volontà della persona. Devono essere pienamente protetti i diritti fondamentali degli immigranti, specie quelli sociali e quelli relativi al lavoro, e il diritto a vivere con la famiglia. |
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11.7. |
La Commissione propone due forme di migrazione circolare: da un lato, quella riguardante cittadini di paesi terzi stabiliti nell'UE, affinché possano svolgere delle attività nei rispettivi paesi di origine conservando il diritto a risiedere in uno Stato membro, dall'altro, la migrazione circolare che offre a coloro che risiedono in un paese terzo l'opportunità di entrare nell'UE per lavoro, studio, formazione o una combinazione di questi motivi, rientrando nel paese di origine alla scadenza del permesso, ma mantenendo la possibilità di ritornare nell'UE usufruendo di una procedura di ammissione semplificata. |
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11.8. |
Il Comitato ritiene che un presupposto del sistema di migrazione circolare consista nel fatto che gli emigranti, temporanei o no, che sono rientrati nel proprio paese di origine, mantengano la possibilità di ritornare legalmente nello Stato europeo in cui hanno risieduto. Promuovere la migrazione circolare significa soprattutto definire dei meccanismi che garantiscano un ritorno flessibile nel paese europeo di residenza. |
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11.9. |
Il CESE accoglie favorevolmente la proposta della Commissione, di elaborare un quadro legislativo dell'UE che promuova la migrazione circolare. A tal fine occorrerà modificare alcune direttive attualmente in vigore e concordare criteri adeguati per l'elaborazione delle nuove direttive previste nel programma legislativo, tra cui quelle qui di seguito menzionate: |
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11.9.1. |
proposta di direttiva sull'ammissione dei migranti altamente qualificati: il Comitato considera adeguata la proposta della Commissione volta a facilitare ulteriormente le procedure di ammissione per coloro che hanno già soggiornato nell'UE per un certo tempo (per un lavoro altamente qualificato, studio, o altri tipi di formazione altamente qualificata); |
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11.9.2. |
proposta di direttiva sull'ammissione dei migranti stagionali: il Comitato propone di introdurre un permesso pluriennale di residenza/lavoro per immigranti stagionali, che consenta loro di tornare per cinque anni consecutivi, eventualmente prorogabili per altri cinque anni, per svolgere lavori stagionali; |
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11.9.3. |
proposta di direttiva sull'ammissione dei tirocinanti retribuiti: il Comitato reputa utile, per la formazione di cittadini di paesi terzi e per lo sviluppo dei rispettivi paesi, facilitare l'ingresso in Europa per un periodo di formazione; ciò contribuirebbe inoltre a promuovere la circolazione dei cervelli e il trasferimento di conoscenze. Per incrementare la circolarità, la proposta potrebbe prevedere, per le persone che abbiano partecipato a corsi di formazione, la possibilità di tornare per periodi limitati (da uno a cinque anni) per partecipare a ulteriori azioni di formazione, qualora ciò sia utile a migliorare la loro qualificazione; |
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11.9.4. |
il CESE invita la Commissione a promuovere l'introduzione di alcune modifiche in varie direttive vigenti, al fine di favorire la migrazione circolare: la direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo dispone attualmente che in linea generale lo status di residente di lungo periodo venga meno in caso di assenza dal territorio comunitario per oltre 12 mesi consecutivi. La Commissione propone di estendere tale periodo a due o tre anni; il Comitato ritiene che un periodo di cinque anni sarebbe più adeguato; |
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11.9.5. |
direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato; direttiva 2005/71/CE, relativa a una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica: il Comitato ritiene che tali direttive andrebbero modificate introducendo permessi di residenza con ingressi multipli che permettano al titolare di uscire dal territorio comunitario per lunghi periodi senza perdere il diritto di residenza. Sarebbe inoltre opportuno convertire le clausole opzionali di tali direttive, che permettono agli Stati membri di predisporre procedure accelerate o semplificate di ammissione per le persone che abbiano lavorato in precedenza come ricercatori o che abbiano studiato nell'UE, in un diritto a beneficiare di procedure rapide, a condizione che i beneficiari rientrino nel proprio paese di origine alla scadenza del permesso. Il Comitato ritiene altresì che si dovrebbero collegare tra loro le due direttive menzionate, prevedendo un'ammissione semplificata in qualità di ricercatore (con un numero minore di requisiti preliminari) ai cittadini di paesi terzi che siano stati in precedenza ammessi in qualità di studenti e che, al termine dei loro studi, siano debitamente rientrati nei rispettivi paesi di origine. Questa possibilità potrebbe essere estesa agli studenti che richiedano di essere ammessi come ricercatori, mentre ancora risiedono nello Stato membro in cui studiano, purché essi presentino la relativa richiesta mentre è ancora valido il loro permesso per ragioni di studio. |
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11.10. |
Il CESE considera necessario garantire che l'immigrazione circolare realizzi i suoi obiettivi e produca vantaggi a lungo termine, per mezzo di incentivi per promuovere la circolarità, garantire il buon esito del rientro, valutare l'applicazione delle procedure e ridurre il rischio di fuga di cervelli grazie alla collaborazione con i paesi terzi. |
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11.11. |
Ai fini della circolazione di cervelli è necessario anche risolvere uno dei problemi più importanti di cui risentono numerosi immigranti in Europa: il mancato riconoscimento dei titoli accademici e professionali. La circolazione di queste persone tra il paese di origine e quello di accoglienza sarà più agevole una volta che i loro titoli vengano riconosciuti in Europa. Il Comitato chiede che vengano proseguiti, malgrado le difficoltà emerse, i negoziati tra l'UE e i principali paesi di provenienza degli immigrati per il riconoscimento dei titoli. |
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11.12. |
Parimenti, affinché il sistema di migrazione circolare possa funzionare in maniera adeguata, è necessario che vengano garantiti i diritti pensionistici e di sicurezza sociale acquisiti dai migranti. A tal fine occorrerà negoziare degli accordi di reciprocità tra gli Stati membri dell'UE e i paesi di origine, nonché procedere alla ratifica della convenzione n. 157 dell'OIL. |
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11.13. |
Il Comitato propone che nel quadro delle associazioni per la mobilità che verranno istituite l'UE proponga il riconoscimento delle suddette condizioni, onde facilitare il riconoscimento dei titoli professionali e la salvaguardia dei diritti pensionistici. |
12. Forum globale su migrazione e sviluppo
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12.1. |
Il 10 luglio 2007 si è svolta a Bruxelles la Conferenza intergovernativa Forum globale su migrazione internazionale e sviluppo; la Conferenza, che è stata presieduta dal Segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon ed ha accolto oltre 800 delegati provenienti da più di 140 paesi, è stata la continuazione del vertice delle Nazioni Unite del settembre 2006. |
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12.2. |
Il CESE, attraverso il relatore del presente parere, ha partecipato, il 9 luglio, alla giornata della società civile. Le conclusioni, che il Comitato condivide nelle linee generali, sono reperibili nel sito Internet della conferenza (38). L'anno prossimo il Forum globale si riunirà a Manila e il CESE vi prenderà parte. |
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12.3. |
Il Comitato incita i governi dell'Unione europea e la Commissione a continuare ad impegnarsi attivamente nel quadro delle Nazioni Unite per inserire la questione delle migrazione come punto importante dell'agenda internazionale, per garantire attraverso un quadro legale internazionale i diritti umani dei migranti e per fare in modo che la gestione condivisa tra paesi d'origine e paesi di destinazione dei processi migratori aiuti lo sviluppo economico e sociale dell'umanità. |
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12.4. |
Questo documento rappresenta il primo parere del Comitato sulla migrazione circolare, che verrà completato in futuro da altri pareri. |
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) 14 e 15 settembre 2006.
(2) COM(2002) 703 def., del 3 dicembre 2002.
(3) Regolamento (CE) n. 491/2004, del 10 marzo 2004.
(4) COM(2005) 390 def. del 1o novembre 2005.
(5) COM(2006) 409 def. del 14 luglio 2006.
(6) COM(2007) 248 def. del 16 maggio 2007.
(7) 2005/2244 (INI).
(8) Parere di iniziativa del CESE sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, adottato nella sessione plenaria del 12 e 13 dicembre 2007, relatore: SHARMA.
(9) Dati ricavati dal Rapporto sullo sviluppo umano 2006 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e dal rapporto Per una globalizzazione giusta: creare opportunità per tutti, della Commissione mondiale per la dimensione sociale della globalizzazione (OIL) (2004).
(10) Il più recente rapporto sullo sviluppo umano è del 2006 (i dati riportati corrispondono in realtà al 2004).
(11) OIL. Global Employment Trends 2007 (Ginevra).
(12) Informazioni tratte dai Key Indicators of the Labour Market (Indicatori chiave del mercato del lavoro) OIL.
(13) Ibidem.
(14) Ultima relazione sullo sviluppo umano.
(15) Relazione sullo sviluppo umano 2006, del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.
(16) Cfr. il sito Internet delle Nazioni Unite:
www.un.org
(17) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Verso una strategia dell'UE in materia di aiuti al commercio — il contributo della Commissione (COM(2007) 163) def.
(18) Relazione citata dell'OIL e dell'OMC.
(19) Rapporto del gruppo indipendente di valutazione della Banca mondiale Annual Review of Development Effectiveness 2006. Getting results come pure i rapporti dell'OCSE sui temi del commercio e del lavoro.
(20) OXFAM — Intermon: Migrazioni e sviluppo, il ruolo della cooperazione Estudios n. 8 (2001).
(21) Parere di iniziativa del 30 giugno 2004 sul tema La convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 302 del 7.12.2004).
(22) Cfr. il parere del CESE, del 9 giugno 2005, in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 286 del 17.11.2005).
(23) Cfr. il Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulle migrazioni internazionali e lo sviluppo (A/60/871 — 2006)
http://www.un.org/ga/60/documentation/list.html
(24) Parere di iniziativa del CESE, del 21 marzo 2002, sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata (relatore: PARIZA CASTAÑOS, correlatore: MELÍCIAS, GU C 125 del 27.5.2002); parere di iniziativa del CESE, del 13 settembre 2006, sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 318 del 23.12.2006); convegno, organizzato congiuntamente con la Commissione europea nel settembre 2002 sul tema dell'integrazione.
(25) Cfr. Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali 2005 — Migration in an interconnected world: New directions for action (Le migrazioni in un mondo interdipendente: nuove linee d'azione)
http://www.gcim.org/en/
(26) Idem.
(27) Tra il 1990 e il 2005 il numero dei migranti è cresciuto da 155 milioni a 191 milioni.
(28) Cfr. Nazioni Unite A/60/871, 2006, 71 Op cit.
(29) Cfr. www.RemitAid.org
(30) Cfr.: Sopemi 2005, OCSE.
(31) COM(2005) 669 def. del 21 dicembre 2005.
(32) Cfr. 2005/2244 (INI) e il parere del CESE, del 9 giugno 2005, in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 286 del 17.11.2005).
(33) Cfr. Nazioni Unite A/60/871, 2006, 80 Op cit.
(34) Cfr. il parere del CESE, del 10 dicembre 2003, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 80 del 30.3.2004).
(35) Cfr. la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE del 16 maggio 2007 (COM(2007) 249 def.).
(36) Cfr. Il parere CESE del 3 ottobre 2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 36 dell'8.2.2002).
(37) Migrazione circolare e partenariati per la mobilità tra l'Unione europea e i paesi terzi (COM(2007) 248 def.).
(38) Disponibili solo in inglese: http://smooz.gfmd-civil-society.org/gfmd/files/Final_CSD.pdf e in spagnolo: http://smooz.gfmd-civil-society.org/gfmd/files/Final_CSD_espanol.pdf
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/103 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche comunitarie della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro
COM(2007) 46 def. — 2007/0020 (COD)
(2008/C 44/22)
Il Consiglio, in data 19 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 77 voti favorevoli, 4 voti contrari e 2 astensioni.
1. Sintesi del parere
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1.1. |
Il Comitato approva il regolamento proposto e la relativa base giuridica: la proposta soddisfa i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, permettendo nel contempo la raccolta delle statistiche necessarie alla realizzazione della strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, la quale richiede un quadro giuridico chiaro. |
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1.2. |
Soprattutto in considerazione della mobilità dei lavoratori, il CESE sottolinea l'importanza di disporre di definizioni e di sistemi di riconoscimento comuni per quanto riguarda:
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1.3. |
Secondo il Comitato sarebbe utile che, nella rilevazione dei dati sul numero di persone coinvolte nelle diverse categorie di sinistri, venissero specificati il sesso e l'età delle vittime e, nei limiti del possibile, la natura del loro rapporto contrattuale. Si dovrebbe inoltre riservare una particolare attenzione alla confidenzialità dei dati personali raccolti. |
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1.4. |
Il Comitato è dell'avviso che bisognerebbe sviluppare la cooperazione con l'OIL e l'OMS. La proposta di regolamento all'esame costituisce, agli occhi del Comitato, uno strumento estremamente utile per far convergere la natura e le definizioni dei dati da registrare nonché i metodi di raccolta e di analisi degli stessi. |
2. Proposta della Commissione
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2.1. |
Il regolamento all'esame riguarda soltanto le attività statistiche svolte ai sensi dell'articolo 285 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Il suo obiettivo non è l'attuazione di politiche nei due settori della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, che rientrano rispettivamente negli articoli 152 e 137 del Trattato. |
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2.2. |
La produzione di statistiche comunitarie è disciplinata dalle disposizioni del regolamento (CE) n. 322/97 del Consiglio, del 17 febbraio 1997, modificato dal regolamento (CE) n. 1882/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio (1). |
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2.3. |
La direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (2), e il regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2000 (3) che lo rende applicabile alle istituzioni e agli organismi comunitari, autorizzano il trattamento dei dati personali relativi alla salute per ragioni d'interesse pubblico vitale e a condizione che siano previste appropriate salvaguardie. |
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2.4. |
Le azioni e strategie politiche comunitarie e nazionali nei settori della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro rappresentano un interesse pubblico importante e le disposizioni dei regolamenti (CE) n. 322/97 e (Euratom, CEE) n. 1588/90 dell'11 giugno 1990 relativi alla trasmissione all'Istituto statistico delle Comunità europee (Eurostat) di dati statistici protetti dal segreto (4) prevedono garanzie adeguate per la protezione degli individui in caso di produzione di statistiche comunitarie della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro. |
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2.5. |
La decisione n. 1786/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, che adotta un programma d'azione comunitario nel campo della sanità pubblica (2003-2008) (5), la risoluzione del Consiglio del 3 giugno 2002 su una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro 2002-2006 (6) e la comunicazione della Commissione del 20 aprile 2004 intitolata Modernizzare la protezione sociale per sviluppare un'assistenza sanitaria ed un'assistenza a lungo termine di qualità, accessibili e sostenibili: come sostenere le strategie nazionali grazie al«metodo aperto di coordinamento» (7) esigono un sistema d'informazione statistica di elevata qualità che permetta di valutare i risultati delle politiche attuate e di sviluppare e monitorare altre azioni nei due settori. I programmi e le strategie che seguiranno porteranno avanti e svilupperanno questa azione. |
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2.6. |
Nella comunicazione non legislativa SEC(2007)214, 215, 216 (8) intitolata Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, la Commissione insiste sul fatto che la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro meritano un posto di primo piano nell'agenda politica comunitaria. Esse costituiscono infatti dei fattori essenziali per rafforzare la produttività e la competitività delle imprese e contribuiscono all'efficienza dei sistemi di protezione sociale, dal momento che riducono i costi connessi agli infortuni e alle malattie. Occorre rendere il benessere sul luogo di lavoro una realtà concreta per i cittadini, contribuendo così all'attuazione dell'agenda per i cittadini adottata il 10 maggio 2006. |
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2.7. |
Fino ad oggi, i dati statistici sono stati raccolti sulla base di accordi informali con gli Stati membri nel quadro dei programmi statistici comunitari quinquennali (attualmente decisione n. 2367/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativa al programma statistico comunitario 2003-2007 (9)) e delle loro componenti annuali. |
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2.8. |
Nel settore delle statistiche della sanità pubblica in particolare, l'elaborazione e l'attuazione dei tre aspetti (cause di decesso, indagini mediante interviste su assistenza sanitaria e salute, disabilità e morbilità) sono orientate e organizzate secondo una struttura di partnership tra Eurostat, assistito dai paesi capofila (attualmente il Regno Unito come coordinatore generale e Danimarca, Estonia e Lussemburgo come capofila per i settori) e gli Stati membri. In questo quadro sono stati già ultimati molti lavori metodologici, compresa l'elaborazione di linee guida, e ha avuto inizio la rilevazione dei dati. |
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2.9. |
Tuttavia, la situazione attuale è caratterizzata dai seguenti limiti. Innanzitutto, per quanto riguarda i dati già rilevati, benché ci sia stato un certo miglioramento della loro qualità e comparabilità, occorre che gli Stati membri dispongano di una solida base per attuare la rilevazione. |
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2.10. |
Un quadro giuridico permetterebbe di rafforzare i progressi verso un miglioramento degli standard di qualità e di comparabilità per tutte le rilevazioni correnti di dati. Esso accrescerebbe la validità e la stabilità delle norme europee a medio termine e fisserebbe obiettivi chiari per quanto riguarda gli standard di comparabilità da raggiungere a livello UE. |
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2.11. |
Inoltre, la maggior parte dei nuovi Stati membri ha reso noto che non sarà in grado di rispettare i requisiti UE nei settori della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro in mancanza di un quadro giuridico europeo. |
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2.12. |
Infine, tutti gli Stati membri hanno bisogno di conoscere con più precisione il calendario e le tappe per l'attuazione dei nuovi strumenti statistici attualmente in corso di elaborazione e delle azioni in corso di preparazione per il miglioramento della qualità. Il regolamento proposto costituirà un quadro adeguato per definire tabelle di marcia dettagliate nei vari settori e aspetti delle statistiche della salute e della sicurezza. |
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2.13. |
Per questo la Commissione (Eurostat) ritiene che sia ora necessario creare una solida base mediante un atto giuridico di base nei settori della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro. I settori interessati dalla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio si riferiscono alle attività e ai lavori attualmente svolti in collaborazione con gli Stati membri nei diversi gruppi di Eurostat o, nel settore della sanità pubblica, nel quadro della partnership sulle statistiche della sanità pubblica. L'obiettivo principale è di creare una solida base per le rilevazioni già attuate o per quelle la cui metodologia è in fase di elaborazione o la cui attuazione è in via di preparazione. |
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2.14. |
Il programma d'azione comunitaria nel settore della sanità pubblica (2003-2008) (10) ha indicato che l'elemento statistico del sistema d'informazione sulla sanità pubblica sarà sviluppato in collaborazione con gli Stati membri, utilizzando secondo le necessità il programma statistico comunitario per favorire la sinergia ed evitare i doppioni. |
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2.15. |
La proposta modificata di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un secondo programma d'azione comunitaria in materia di salute e tutela dei consumatori (2007-2013) (11) ha affermato la necessità di sviluppare i lavori in corso per creare nell'UE un sistema di vigilanza sanitaria, utilizzando se necessario il programma statistico comunitario. La strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2002-2006) (12) prevede d'altro canto che la Commissione e gli Stati membri intensifichino i lavori in corso sull'armonizzazione delle statistiche degli infortuni e delle malattie professionali per disporre di dati comparabili che permettano di valutare oggettivamente l'impatto e l'efficacia delle misure adottate nel quadro della strategia comunitaria. |
3. Osservazioni del Comitato
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3.1. |
Il Comitato approva il regolamento proposto e la relativa base giuridica: la proposta soddisfa i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, permettendo nel contempo la raccolta delle statistiche necessarie alla realizzazione della strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, la quale richiede un quadro giuridico chiaro. |
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3.2. |
Soprattutto in considerazione della mobilità dei lavoratori, il CESE sottolinea l'importanza di disporre di definizioni e di sistemi di riconoscimento comuni per quanto riguarda:
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3.3. |
Secondo il Comitato, sarebbe utile che, nella rilevazione dei dati sul numero di persone coinvolte nelle diverse categorie di sinistri, venissero specificati il sesso e l'età delle vittime, il settore economico e, nei limiti del possibile, il rapporto giuridico di lavoro (contratto di lavoro permanente, occupazione atipica, lavoro temporaneo, lavoro autonomo). Si dovrebbe inoltre riservare una particolare attenzione alla confidenzialità dei dati personali raccolti. |
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3.4. |
Il Comitato è dell'avviso che bisognerebbe sviluppare la cooperazione con l'OIL e l'OMS, dal momento che potrebbe sfociare in scambi di vedute interessanti sul piano sia teorico (ricerche sull'origine delle malattie e degli infortuni, ergonomia e riabilitazione) che metodologico, per quanto riguarda le rilevazioni e i metodi statistici. |
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3.5. |
La proposta di regolamento all'esame costituisce, agli occhi del Comitato, uno strumento estremamente utile per favorire una convergenza progressiva della natura e delle definizioni dei dati da registrare, nonché dei metodi di raccolta e di analisi degli stessi, allo scopo di migliorarne in maniera permanente la qualità, la compatibilità e la comparabilità. |
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) GU L 52 del 22.2.1997, pag. 1. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31997R0322:IT:HTML. Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 1882/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 284 del 31.10.2003, pag. 1, http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2003:284:0001:0053:IT:PDF).
(2) GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31995L0046:IT:HTML. Direttiva modificata dal regolamento (CE) n. 1882/2003 (GU L 284 del 31.10.2003, pag. 1).
(3) GU L 8 del 12.1.2001, pag. 1.
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2001:008:0001:0022:IT:PDF.
(4) GU L 151 del 15.6.1990, pag. 1. Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 322/97.
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31990R1588:IT:HTML.
(5) GU L 271 del 9.10.2002, pag. 1.
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2002:271:0001:0011:IT:PDF.
(6) GU C 161 del 5.7.2002, pag. 1.
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2002:161:0001:0004:IT:PDF.
(7) COM(2004) 304 def. del 20.4.2004.
(8) SEC(2007) 214 del 21.2.2007.
(9) GU L 358 del 31.12.2002, pag. 1. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2002:358:0001:0027:IT:PDF. Decisione modificata dalla decisione n. 787/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 138 del 30.4.2004, pag. 12), http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:138:0012:0016:IT:PD.
(10) Cfr. la nota 5.
(11) COM(2006) 234 def. del 24.5.2006.
(12) Cfr. la nota 6.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/106 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità
COM(2007) 159 def. — 2007/0054 (COD)
(2008/C 44/23)
Il Consiglio, in data 7 maggio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 24 aprile 2007, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 439a sessione plenaria del 25 ottobre 2007, ha nominato relatore generale RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO e ha adottato il seguente parere con 64 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.
1. Conclusioni
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1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia le modifiche apportate agli allegati del regolamento (CEE) n. 1408/71, nella convinzione che queste ultime consentiranno di migliorarne il contenuto e andranno a beneficio dei cittadini dell'Unione interessati. Questo sostegno riguarda in particolare le modifiche che permettono di inserire determinate prestazioni nell'ambito del coordinamento, sottraendole al regime di deroga e alla inesportabilità. |
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1.2. |
Analogamente, il CESE, quale rappresentante delle parti sociali e della società civile organizzata, desidera sottolineare la lentezza dell'iter legislativo della proposta di regolamento di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004. Se tale regolamento fosse già entrato in vigore, non staremmo elaborando il presente parere. Per questo motivo il CESE invita il Parlamento europeo e il Consiglio ad accelerare al massimo il processo decisionale e a consentire che il nuovo sistema di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociali entri in vigore al più presto. |
2. Introduzione
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2.1. |
Sin dalla sua adozione nel giugno del 1971, il regolamento (CEE) n. 1408/71 ha subito varie modifiche che ne hanno adattato e aggiornato il contenuto, rese necessarie tra l'altro, dagli sviluppi legislativi intervenuti negli Stati membri, dagli accordi bilaterali tra Stati, dai vari allargamenti avvenuti e dalle diverse sentenze rese dalla Corte di giustizia in materia di sicurezza sociale. |
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2.2. |
Da quando adottò il suo primo parere sul regolamento in esame nel gennaio del 1967 (1), il CESE, quale attore socioeconomico rappresentante della società civile, ha formulato quasi ogni anno un parere su tutte le modifiche apportate all'articolato o agli allegati del regolamento stesso. Così facendo, esso ha partecipato attivamente all'evoluzione di uno strumento fondamentale per garantire il diritto alla libera circolazione, dei lavoratori in particolare e delle persone in generale, sul territorio di tutti gli Stati che compongono l'Unione europea. In questo modo si è garantito il mantenimento dei diritti a determinate prestazioni di sicurezza sociale in caso di spostamenti all'interno dell'UE. |
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2.3. |
Nel 2004 il regolamento ha subito la maggiore trasformazione della sua storia. Per semplificare il testo e migliorarne il contenuto, in seguito ad un lungo dibattito istituzionale, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato un nuovo regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (regolamento (CE) n. 883/2004) (2), inteso a sostituire il testo in vigore. Tuttavia, dato che il relativo regolamento di applicazione non è ancora stato adottato, il nuovo testo di coordinamento non è entrato in vigore, per cui il regolamento (CE) n. 1408/71 continua ad essere pienamente vigente. |
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2.4. |
Il CESE ha formulato pareri sia sul regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (3), sia sulla proposta di regolamento recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 (4). Quest'ultimo documento continua a percorrere il suo lento iter nelle istituzioni competenti. |
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2.5. |
Trattandosi di un testo vivo e dinamico, le varie modifiche che gli Stati membri apportano alle rispettive legislazioni nazionali devono essere inserite nel regolamento (CEE) n. 1408/71, per non pregiudicare i diritti di coloro che si spostano all'interno dell'Unione europea. In definitiva, queste modifiche puntano ad aggiornare e migliorare il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, agevolando inoltre l'applicazione della normativa comunitaria. |
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2.6. |
Sul piano giuridico, la proposta in esame comporta l'abrogazione e la modifica di alcune disposizioni che figurano negli allegati del regolamento. Essa si applica inoltre allo Spazio economico europeo. |
3. Contenuto della proposta
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3.1. |
La proposta di regolamento riguarda esclusivamente gli allegati del regolamento (CEE) n. 1408/71, e non l'articolato, che non subisce alcuna modifica. |
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3.2. |
Le modifiche apportate riflettono le proposte presentate dagli Stati membri seguenti: Danimarca, Irlanda, Francia, Ungheria, Paesi Bassi, Austria e Polonia. Salvo nel caso della Francia, tutte le modifiche sono dovute a modifiche legislative a livello nazionale. |
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3.3. |
I cambiamenti riguardano i seguenti allegati e Stati. |
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3.3.1. |
L'allegato I, parte I, che definisce i termini «lavoratore autonomo» e «lavoratore subordinato», quando non possono essere definiti in base alla legislazione nazionale. Questo allegato viene modificato per rispecchiare i cambiamenti intervenuti nella legislazione irlandese. |
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3.3.2. |
L'allegato I, parte II, che definisce il termine «familiare», quando la legislazione nazionale non consente di distinguere tra familiari e altre persone. Anche questa modifica riguarda l'Irlanda per lo stesso motivo di cui sopra. |
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3.3.3. |
L'allegato II, parte I, che definisce i regimi speciali per lavoratori autonomi esclusi dal campo di applicazione del regolamento. Viene modificato il testo del paragrafo relativo alla Francia per motivi legati all'assicurazione complementare. |
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3.3.4. |
L'allegato II, parte II, che definisce gli assegni speciali di nascita o di adozione esclusi dal campo di applicazione del regolamento. Viene modificato il testo relativo alla Polonia per fare rientrare il complemento dell'assegno di nascita nell'ambito del coordinamento. |
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3.3.5. |
L'allegato II bis, che elenca le prestazioni di tipo non contributivo e pertanto non esportabili. Questa modifica riguarda ancora una volta l'Irlanda e riflette modifiche legislative nazionali. |
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3.3.6. |
L'allegato III, parte A, che riporta gli accordi che continuano ad essere applicabili malgrado l'esistenza del regolamento. Questo cambiamento riguarda l'Ungheria e i rispettivi accordi con Germania e Austria e rispecchia le modifiche intervenute nella normativa interna in materia di pensioni. |
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3.3.7. |
L'allegato IV, parte A, che enumera le legislazioni contemplate nell'articolato del regolamento, in base al quale l'importo delle prestazioni di invalidità è indipendente dalla durata dei periodi di assicurazione. Questa modifica riguarda nuovamente l'Irlanda e i Paesi Bassi e rispecchia modifiche legislative nazionali. |
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3.3.8. |
L'allegato IV, parte C, che elenca i casi in cui si può rinunciare al doppio calcolo della prestazione, dato che non comporta un risultato superiore. Si sopprime la rubrica relativa all'Ungheria dato che il paese non rientra più in questa casistica per via di modifiche legislative nazionali. Viene inoltre modificato il testo riguardante l'Austria a causa di cambiamenti intervenuti nella normativa in materia di pensioni. |
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3.3.9. |
L'allegato VI, che precisa le modalità particolari di applicazione delle legislazioni di taluni Stati membri. Questa modifica riguarda i testi relativi a Danimarca, Paesi Bassi e Austria, dovuti a modifiche intervenute nelle legislazioni nazionali. |
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3.3.10. |
L'allegato VIII, che elenca i regimi che prevedono, per gli orfani, assegni familiari o assegni supplementari o speciali. Questa modifica riguarda l'Irlanda e riflette i cambiamenti di cui sopra intervenuti nella legislazione nazionale. |
4. Osservazioni
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4.1. |
Nel corso della sessione plenaria del 13 e 14 dicembre 2006, il Comitato economico e sociale europeo aveva adottato un parere in merito ad altre modifiche apportate al regolamento (CEE) n. 1408/71 (5). In tale parere, il Comitato aveva espresso la speranza che si trattasse dell'ultima modifica su cui pronunciarsi, dato che auspicava che il nuovo regolamento di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 venisse approvato senza ulteriori ritardi. Sei mesi dopo ci si trova di fronte a ulteriori modifiche agli allegati del regolamento (CEE) n. 1408/71, dato che il relativo regolamento di applicazione non è ancora stato approvato. |
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4.2. |
Detto questo, il CESE è favorevole alle modifiche apportate agli allegati del regolamento, nella convinzione che esse consentiranno di migliorarne il contenuto e, in definitiva, andranno a diretto beneficio dei cittadini dell'Unione interessati. In questo senso, il Comitato esprime il suo appoggio in modo particolare alle modifiche che permettono di inserire determinate prestazioni nell'ambito del coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, eliminandole dagli allegati che riguardano le deroghe all'applicazione generale delle prestazioni. |
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4.3. |
Attualmente, le istituzioni europee stanno esaminando varie proposte di regolamento, tutte collegate con il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Da una parte, la proposta di regolamento di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004, su cui il CESE ha già elaborato un parere, è all'esame del Consiglio, capitolo per capitolo, esame che continuerà durante la presidenza portoghese, mentre è in prima lettura al Parlamento. Dall'altra, la proposta di regolamento che determina il contenuto l'allegato XI del regolamento (CE) n. 883/2004 segue un iter simile, e il CESE ha adottato un parere al riguardo (6). In tal senso, occorre tenere conto del fatto che quando è stato approvato il regolamento di coordinamento, diversi allegati sono rimasti vuoti, in attesa di contenuti che sarebbero stati determinati dall'adozione di regolamenti successivi. Non va infine dimenticata la proposta di regolamento che modifica il regolamento (CEE) n. 1408/71, oggetto del presente parere. |
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4.4. |
Obiettivamente e in considerazione di quanto affermato nel punto precedente, ci si trova in una situazione di marasma normativo, in cui si continuano ad approvare modifiche ad un regolamento quasi abrogato, mancano allegati al nuovo regolamento di coordinamento che dovrebbe già essere entrato in vigore e il nuovo regolamento di applicazione ha un iter di adozione che ricorda purtroppo la lentezza del processo decisionale seguito per il regolamento di coordinamento. Pertanto, il CESE invita nuovamente il Parlamento europeo e il Consiglio ad accelerare le procedure in corso in vista dell'adozione definitiva di entrambi i regolamenti. Si ricorda che già nel 1992, in occasione del Consiglio europeo di Edimburgo, venne riconosciuta la necessità di realizzare una revisione generale della legislazione per semplificare le norme di coordinamento. Sono trascorsi 15 anni da quella dichiarazione e si continuano ad utilizzare le stesse norme non semplificate. |
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4.5. |
La complessità delle norme per il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale fa sì che i cittadini ne ignorino in generale il contenuto e i diritti che ne derivano. In tal senso, approfittando del presente parere, sarebbe opportuno insistere sulla necessità, per le autorità nazionali, di diffondere in modo efficace ai rispettivi cittadini dei messaggi chiari e concisi per informarli sui loro diritti in materia di sicurezza sociale quando si spostano per qualsiasi motivo all'interno dell'Unione. Questa mancanza di informazione è ancora più evidente nei viaggi brevi, di tipo turistico o professionale, durante i quali qualsiasi problema serio di salute provoca gravi difficoltà ai cittadini, dato che non conoscono i loro diritti né le procedure da seguire per essere curati in modo urgente. |
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4.6. |
Di conseguenza, e conformemente a quanto affermato nel punto 4.5 del succitato parere sull'allegato XI del regolamento (CE) n. 883/2004, il CESE dovrebbe elaborare un parere di iniziativa per esaminare i problemi esistenti nell'Unione europea in materia di assistenza sanitaria ai cittadini che si spostano nel territorio comunitario ed analizzare le proposte da adottare per garantire un funzionamento efficace dei meccanismi di coordinamento. |
Bruxelles, 25 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(3) Parere del CESE del 27 gennaio 2000 in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Consiglio relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 75 del 15.3.2000).
(4) Parere del CESE del 26 ottobre 2006 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Relatore: GREIF (GU C 324 del 30.12.2006).
(5) Parere del CESE del 13 dicembre 2006 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità e il regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71. Relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 325 del 30.12.2006).
(6) Parere del CESE del 14 marzo 2007 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e determina il contenuto dell'allegato XI. Relatore: GREIF (GU C 161 del 13.7.2007).
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/109 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I maltrattamenti alle persone anziane
(2008/C 44/24)
Con lettera della vicepresidente Margot WALLSTRÖM datata 16 maggio 2007, la Commissione europea ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sui «Maltrattamenti alle persone anziane».
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HEINISCH.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli e 3 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
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1.1. |
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (firmata ufficialmente a Nizza il 7 dicembre 2000) riconosce e rispetta, all'articolo 25, il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale. In Europa, il numero degli abitanti di 65 anni e oltre è in netto aumento. Per l'avvenire la grande sfida consisterà nell'affrontare positivamente questa evoluzione demografica e nell'evitare che il fenomeno dell'invecchiamento venga visto come un peso per la società o come una minaccia per il singolo individuo. |
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1.2. |
Occuparsi di questa problematica significa anche gestire un fenomeno quale il maltrattamento delle persone anziane, un tema molto trascurato, sempre più minimizzato e rimosso. Le persone anziane che hanno bisogno di assistenza e/o che vivono sole in casa o nei centri per anziani sono particolarmente esposte a questo rischio. Il CESE sollecita pertanto le presidenze del Consiglio ad occuparsi del problema dei maltrattamenti alle persone anziane, prestando particolare attenzione a quelle bisognose di assistenza. Destinatari: presidenze del Consiglio dell'UE, Commissione europea; governi degli Stati membri. |
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1.3. |
I principali responsabili in materia di prevenzione dei maltrattamenti agli anziani sono gli Stati membri. Trattandosi tuttavia di un problema comune a tutti i paesi, il CESE giudica necessaria una strategia europea globale:
Destinatari: Parlamento europeo, Commissione europea, direzione generale Occupazione, affari sociali e pari opportunità. |
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1.4. |
I maltrattamenti alle persone anziane, specie quelle bisognose di assistenza, possono essere contrastati efficacemente solo al livello nazionale competente. È per tale motivo che ciascuno Stato membro deve elaborare, nell'ambito dello sviluppo di una strategia europea globale, un piano d'azione nazionale per lottare contro questo fenomeno e rendere disponibili i mezzi necessari. I piani d'azione nazionali devono prendere in particolare considerazione i seguenti aspetti:
Destinatari: gli Stati membri. |
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1.5. |
Il CESE giudica assolutamente necessario uno scambio — a livello nazionale ed europeo — delle procedure e dei modelli che costituiscono buone pratiche allo scopo di garantire la qualità e sviluppare standard nel settore dell'assistenza. Destinatari: Stati membri ed EUCPN (European crime prevention network — Rete europea di prevenzione del crimine). |
2. Motivazione
2.1. L'età e il rischio di maltrattamenti
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2.1.1. |
Stando alle previsioni demografiche, entro il 2050 l'Europa registrerà un forte aumento degli abitanti di 65 anni e oltre (stimato a 58 milioni, pari al 77 %). A registrare il maggiore incremento saranno le fasce di età più elevate (ottantenni e ultraottantenni). È una tendenza che influirà su diversi aspetti della vita quotidiana e che presenterà problemi particolari per quasi tutti i settori politici. |
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2.1.2. |
Questa evoluzione demografica è solo una delle cause che richiedono con sempre maggiore urgenza misure per arginare il fenomeno dei maltrattamenti nei confronti delle persone anziane. Si tratta di problema molto trascurato, sempre più minimizzato e rimosso, il che rende di conseguenza insoddisfacenti e lacunosi anche i dati empirici attualmente a disposizione. |
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2.1.3. |
Nonostante le statistiche sulla criminalità indichino che rispetto ai giovani le donne e gli uomini al di sopra dei 60 anni sono meno esposti al rischio di violenze, e nonostante anche le indagini effettuate presso le vittime rivelino che i più anziani sono meno spesso oggetto di episodi di violenza rispetto ai più giovani, le statistiche sulla criminalità e le indagini realizzate presso le vittime sono poco adatte a valutare e ad illustrare i rischi specifici di violenza nei confronti degli anziani. |
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2.1.4. |
Questo riguarda soprattutto i rischi di maltrattamenti cui gli anziani sono esposti nell'ambiente sociale loro più vicino, da parte cioè di persone che conoscono, in cui hanno fiducia e con le quali hanno probabilmente anche un rapporto di dipendenza. Negli ultimi decenni gli esperti, i politici e quanti operano sul campo si sono resi conto che l'entourage sociale è un ambiente a tasso elevato di violenza, però l'attenzione si è puntata anzitutto sugli abusi ai danni dei minori e delle donne (1), e solo di rado sono stati presi in considerazione i maltrattamenti perpetrati nei confronti degli anziani. |
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2.1.5. |
Secondo la definizione fornita da Action on elder abuse, iniziativa intrapresa dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e applicata nei settori della ricerca e della politica, per «maltrattamento di una persona anziana» s'intende qualsiasi atto — sporadico o ripetuto — oppure l'omissione di un'azione adeguata, capace di arrecare un danno ad una persona anziana o di metterla in stato di pericolo (2). |
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2.1.6. |
I dati disponibili permettono di ipotizzare casi frequenti e a volte estremi di maltrattamenti nei confronti di anziani, maltrattamenti che, tranne alcune eccezioni, non vengono portati alla luce del giorno (3). Un'indagine condotta in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord nel 2006 su un campione rappresentativo di più di 2 000 persone di 66 anni e oltre, residenti in case private (comprese le case attrezzate per anziani) (4), giunge alle seguenti conclusioni: il 2,6 % degli intervistati rivela di essere stato maltrattato, negli ultimi dodici mesi, da un parente, da un amico o da un badante. Se si tiene conto anche dei maltrattamenti perpetrati da vicini e conoscenti, la percentuale sale al 4 %. La forma più frequente di maltrattamento è la negligenza, seguita dallo sfruttamento finanziario, dai maltrattamenti fisici o psicologici e — per ultimo — dagli abusi sessuali. Le donne rivelano di essere vittime di maltrattamenti più degli uomini. Tali risultati sono paragonabili a quelli che emergono in altri paesi occidentali e corrispondono alla frequenza dei casi di violenza accertati nell'ambito domestico. Uno studio condotto in Spagna nel 2004 ha rivelato che il tasso di violenza nei confronti degli anziani è quasi pari a quello nei confronti dei minori. |
2.2. Maltrattamenti alle persone anziane bisognose di assistenza
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2.2.1. |
Il concetto di «assistenza» è inteso in senso lato e va da un semplice aiuto o sostegno in casa fino alle cure intensive (ospedaliere). |
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2.2.2. |
Gli anziani che dipendono dall'assistenza e/o che vivono soli in casa o nei centri per anziani sono particolarmente esposti al rischio maltrattamenti. La loro situazione, i pericoli specifici che corrono e le possibilità di prevenzione e di intervento sono pertanto al centro del presente parere esplorativo. |
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2.2.3. |
Ad eccezione delle fasce di età più elevate, gli anziani che hanno bisogno di assistenza sono ancora una minoranza: alla fine del 2003, in Germania l'1,6 % delle persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni e il 9,8 % delle persone di età compresa tra i 75 e i 79 anni aveva bisogno di cure, percentuale che però saliva al 60,4 % nel caso delle persone di età compresa tra i 90 e i 94 anni (5). Le previsioni indicano che in futuro aumenterà non solo il numero degli anziani (cfr. sopra) ma soprattutto anche quello delle persone fragili e bisognose di cure, la cui percentuale salirà del 116-136 %. Il numero delle persone ricoverate in case di cura aumenterà addirittura del 138-160 %. I rischi legati al bisogno di cure e di assistenza aumenteranno soprattutto tra le fasce di età più elevate (a partire dagli 80 anni) (6). |
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2.2.4. |
I maltrattamenti alle persone anziane vengono intesi come un problema gerontologico e comprendono non solo la violenza fisica nei confronti delle persone bisognose di assistenza, ma anche tutte le azioni od omissioni che hanno gravi ripercussioni negative sulla vita e sulle condizioni di salute delle persone anziane (7). I maltrattamenti possono essere di diversi tipi (8):
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2.2.5. |
I maltrattamenti agli anziani possono avvenire sia in casa sia presso i centri per persone anziane. Non esistono dati significativi sulla diffusione in Europa degli atti di violenza nei confronti degli anziani che necessitano assistenza. La negligenza, il maltrattamento e la violenza nei confronti delle persone bisognose di assistenza contengono zone d'ombra giudicate nel complesso molto ampie, le quali permettono di avere del fenomeno solo una visione episodica e parziale. |
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2.2.5.1. |
Nel caso dell'assistenza familiare, gli studi disponibili calcolano tra il 5 e il 25 % la quota di atti di violenza subiti dai pazienti durante la malattia (9). |
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2.2.5.2. |
In uno studio condotto in Germania (10) su maltrattamenti e negligenza nei confronti dei residenti nelle case di riposo e nelle case di cura per anziani, oltre il 70 % del personale intervistato ha riconosciuto di essere personalmente responsabile di azioni violente, comportamenti considerati scorretti oppure atti di negligenza, o di averli osservati in altri membri del personale (11). |
2.3. Riconoscere i maltrattamenti nell'ambito dell'assistenza
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2.3.1. |
Spesso, nella pratica risulta molto difficile constatare i maltrattamenti, e questo principalmente per i seguenti motivi: un estremo senso di vergogna nelle vittime; il fatto di dover dipendere dall'assistenza, dalle cure e dagli aiuti degli stessi aguzzini, con la conseguente paura di ritorsioni o di un peggioramento della situazione; l'incapacità pratica di rivelare un'esperienza del genere a causa della malattia, specie nel caso di un deterioramento organico del cervello; l'incertezza su come agire dinanzi al sospetto di maltrattamenti. |
2.4. La situazione nel campo dell'assistenza in casa
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2.4.1. |
Attualmente, per la maggior parte degli anziani, l'abitazione privata continua ad essere il centro della vita quotidiana. In molti paesi europei gli anziani bisognosi di assistenza ricevono le cure a domicilio. In Germania, ad esempio, questo vale per circa due terzi dei casi, e solo il 7 % circa dei sessantacinquenni e ultrasessantacinquenni vive in case di riposo. L'assistenza familiare viene fornita soprattutto dal coniuge, e in secondo luogo da figlie e da nuore. Anche se nella stragrande maggioranza dei casi in cui le cure vengono prestate fra le pareti domestiche non si riscontrano maltrattamenti, si può tuttavia affermare che il fenomeno esiste (cfr. il punto 2.2.5.1). |
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2.4.2. |
Questo tipo di assistenza comporta molteplici difficoltà, anche per quanto concerne la salute, il benessere e i rapporti sociali di quanti svolgono tale compito. A volte le famiglie vanno incontro a grossi sacrifici per poter assistere i parenti anziani. Il problema è acuito dal fatto che non si è abbastanza preparati ad affrontare una situazione del genere e dalla mancanza di un adeguato sostegno: basti pensare alle particolari difficoltà dell'assistenza agli anziani affetti da demenza. |
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2.4.3. |
I maltrattamenti nell'ambito dell'assistenza in casa non sono tuttavia riconducibili unicamente alla pressione esercitata su quanti svolgono tali mansioni, ma anche ad una serie di fattori rischio. Tra questi figurano la qualità dei rapporti personali prima ancora che le cure si rivelino necessarie, la tossicodipendenza e gli squilibri psichici di chi assiste, l'isolamento sociale e l'inadeguato sostegno da parte della collettività, ma anche un comportamento aggressivo da parte delle stesse persone bisognose di assistenza (12). |
2.5. La situazione relativa all'assistenza nei centri per anziani
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2.5.1. |
Attualmente solo una minima parte degli anziani bisognosi di assistenza si fa curare negli appositi centri per anziani. È tuttavia previsto un aumento del numero di pazienti ricoverati in tali strutture, specie tra le fasce di età più elevate (cfr. il punto 2.2.3). Già da ora è possibile osservare la tendenza ad una diminuzione dell'assistenza in ambito familiare a favore di quella offerta dalle case di cura oppure dai servizi specializzati a domicilio. |
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2.5.2. |
Nella maggior parte delle case di cura non si verificano maltrattamenti. Questo vale soprattutto per i centri riconosciuti e controllati dagli Stati membri, i quali osservano scrupolosamente le disposizioni nazionali in materia di sanità. |
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2.5.3. |
Alcune case di cura si sono però guadagnate una cattiva reputazione. Per quanto non esistano studi sistematici sugli abusi perpetrati in tali strutture, i controlli effettuati, ad esempio, dai servizi medici delle compagnie di assicurazione hanno evidenziato che i maltrattamenti nei centri non sono casi isolati (13). |
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2.5.3.1. |
Sono stati constatati casi di assistenza carente o di mancata assistenza — ad esempio a livello di alimentazione e idratazione -, la prescrizione di quantità eccessive di psicofarmaci, gravi lacune nella somministrazione di medicinali e misure limitative della libertà. |
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2.5.4. |
Nelle case di cura mal gestite si riscontrano inoltre casi di negligenza e indifferenza laddove occorrerebbe invece prestare attenzione ai bisogni del paziente. La rigidità degli orari spesso crea ostacoli all'autodeterminazione e all'autonomia delle persone ricoverate. |
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2.5.5. |
La mancanza di tempo e il sovraccarico di lavoro del personale ospedaliero non solo vanno a scapito dei ricoverati ma suscitano un senso di insoddisfazione anche in chi presta assistenza. L'abbandono precoce della professione e la mancanza di candidati qualificati acuiscono i problemi di personale nei centri per anziani. Attualmente non sembra vengano intrapresi sforzi per promuovere e rendere più interessante il lavoro di «assistenza agli anziani». |
2.6. Analisi e proposte del CESE
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2.6.1. |
I maltrattamenti alle persone anziane sono inaccettabili ovunque si verifichino e a prescindere dalla loro gravità, e costituiscono un fenomeno che non va ulteriormente trascurato. Il Comitato sollecita le presidenze del Consiglio dell'UE, la Commissione europea e i governi nazionali a prendere i dovuti provvedimenti per affrontare le cause di tali abusi allo scopo di proteggere i più anziani sia che rimangano nelle rispettive case sia che optino per appositi centri. |
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2.6.2. |
Le proposte del CESE riguardano soprattutto i seguenti settori: |
2.6.2.1. La dimensione dei diritti umani
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La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (firmata ufficialmente a Nizza il 7 dicembre 2000) riconosce e rispetta, all'articolo 25, il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale, |
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— |
per conseguire tale obiettivo, il CESE giudica essenziale adottare un modo nuovo di concepire l'invecchiamento della popolazione. Occorre prestare maggiore attenzione al fenomeno della discriminazione basata sull'età: spesso è questa la causa dei maltrattamenti agli anziani bisognosi di assistenza. È invece importante adoperarsi per integrare gli anziani nella società e considerare l'assistenza loro dovuta come una missione comune, |
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il CESE sottolinea il fatto che gli anziani hanno il diritto di scegliere dove vivere senza il timore di essere oggetto di maltrattamenti e che la discriminazione basata sull'età è inaccettabile. La Carta dei diritti fondamentali dovrebbe tutelare gli anziani qualunque sia il loro luogo di residenza, |
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il Comitato sottolinea quanto sia importante che gli anziani possano scegliere dove vivere in funzione del grado di assistenza di cui hanno bisogno. Sollecita pertanto i governi nazionali a predisporre una serie di alloggi e di aiuti che rispondano alle esigenze degli anziani, sia che rimangano a casa, sia che optino per alloggi attrezzati per anziani autonomi, per case di cura o per case di riposo in vista di un lungo soggiorno, |
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gli anziani devono poter segnalare incidenti o preoccupazioni ed essere tutelati in queste circostanze. Ciò vale anche per i familiari e altre persone incaricate dell'assistenza, i quali devono poter disporre di canali per esprimere le loro preoccupazioni senza timore di rappresaglie per il parente assistito o di conseguenze per la loro posizione o per la sicurezza del loro posto di lavoro. |
2.6.2.2. Miglioramento della rilevazione dei dati ed esigenze di studi approfonditi
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— |
Il Comitato propone che si proseguano studi approfonditi su scala comunitaria per accertare l'entità dei maltrattamenti ai danni delle persone anziane, in modo da:
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2.6.2.3. Rimozione dei tabù e sensibilizzazione
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Il Comitato invita i governi nazionali ad attivarsi per far conoscere meglio il problema dei maltrattamenti agli anziani con campagne attraverso i mezzi di comunicazione nazionali, facendo leva su organizzazioni pubbliche e del volontariato, in modo da porre fine al tabù che pesa su questo fenomeno in tutte le sue forme, |
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il Comitato riconosce che i media possono svolgere un ruolo importante sensibilizzando il pubblico, e sottolinea che dovrebbero provvedere a un'informazione adeguata e promuovere un'azione costruttiva. |
2.6.2.4. Informazione, educazione, formazione e prevenzione
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Il Comitato invita i governi nazionali a prendere iniziative per:
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I prodotti e i servizi nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) offriranno a numerosi anziani la possibilità di vivere più a lungo nel luogo di loro preferenza, salvaguardando la loro autonomia e garantendo loro un elevato tenore di vita. Le TIC consentono loro di svolgere compiti di vita quotidiana, e in caso di necessità possono anche essere utilizzate per monitorare la loro salute e le loro attività, riducendo in tal modo la necessità di assistenza in un istituto. Le TIC miglioreranno la sicurezza degli anziani e assicureranno loro l'accesso a servizi sociali e sanitari nonché ai servizi di emergenza, facendo in modo che possano continuare a vivere in piena autonomia, indipendenza e dignità. |
2.6.2.5. Creazione di reti
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Il Comitato invita i governi degli Stati membri a istituire reti composte di organizzazioni diverse per assicurare la cooperazione, la formazione e scambi sistematici d'informazioni (14). |
2.6.2.6. Controllo dell'assistenza a livello istituzionale
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Il Comitato invita gli Stati membri a istituire servizi di monitoraggio ed ispezione ad alto livello per assicurare agli anziani un'assistenza di qualità elevata in funzione di norme chiaramente definite e pubbliche e a conferire a tali servizi l'autorità di decidere misure correttive i cui risultati dovranno essere anch'essi resi pubblici. |
2.6.2.7. Facilitare l'accertamento dei maltrattamenti
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Il Comitato sottolinea l'importanza d'intensificare l'individuazione dei maltrattamenti nei confronti degli anziani ricorrendo alle modalità e agli organi più idonei nel contesto della famiglia o di un istituto specializzato. Occorre, da un lato, rassicurare che per ogni caso del genere saranno presi provvedimenti e decise le necessarie modifiche e, dall'altro, riconosce la possibilità di coinvolgere anche le forze di polizia o la magistratura in questo tipo di interventi. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Cfr. a tale proposito il parere d'iniziativa del CESE del 16.3.2006 sul tema Violenza domestica contro le donne (GU C 110 del 9.5.2006) e il supplemento di parere del 14.12.2006 sul tema I minori in quanto vittime indirette della violenza domestica (GU C 325 del 30.12.2006), relatrice per entrambi i pareri: HEINISCH.
(2) Dichiarazione di Toronto sulla prevenzione globale dei maltrattamenti agli anziani: «Per maltrattamento di una persona anziana si intende qualsiasi atto — sporadico o ripetuto, o l'omissione di un'azione adeguata, nell'ambito di un rapporto basato sulla fiducia, in grado di arrecare un danno ad una persona anziana o di metterla in stato di pericolo. Tale azione può essere di vario tipo: fisica, psicologico/emotiva, sessuale, finanziaria o semplicemente dovuta ad una negligenza, intenzionale o meno» (OMS 2002) (http://www.who.int/ageing/projects/elder_abuse/alc_toronto_declaration_en.pdf.); Action on Elder Abuse (www.elderabuse.org.uk).
(3) Un convegno internazionale tenutosi a Colonia nel maggio 2006 sotto l'egida del commissario Vladimír ŠPIDLA (Occupazione, affari sociali e pari opportunità) ha rivelato che il tasso di «violenza contro gli anziani» nei diversi paesi oscilla prevalentemente tra il 5 e il 20 % (relazione concernente il convegno Violenza e negligenza nei confronti degli anziani che ricevono assistenza in casa e negli istituti specializzati in: Forum sulla prevenzione della criminalità 4/2006 e 1/2007).
(4) Studio su violenza e negligenza nei confronti degli anziani, Regno Unito (giugno 2007)
(www.natcen.ac.uk).
(5) Ufficio statistico federale (2005): statistiche in materia di assistenza 2003 — risultati a livello nazionale, Wiesbaden.
(6) Consiglio del Land Renania settentrionale — Vestfalia per la prevenzione (2006): I pericoli che corrono gli anziani bisognosi di assistenza.
(7) Questa definizione corrisponde alla Dichiarazione di Toronto sulla prevenzione globale dei maltrattamenti nei confronti degli anziani (OMS 2002, cfr. nota 2).
(8) Consiglio del Land Renania settentrionale — Vestfalia per la prevenzione (cfr. nota 6), Dichiarazione di Toronto (cfr. nota 2) e studio condotto nel Regno Unito (cfr. nota 4).
(9) Görgen Thomas (2005a): La violenza contro gli anziani nel loro stesso ambiente: i rischi che corrono le vittime e le possibilità di azione preventiva. Forum per la prevenzione della criminalità 3/2005, pagg. 13-16. Dati sui singoli paesi europei sono disponibili su La violenza contro gli anziani nell'ambito familiare e presso gli istituti specializzati — Studio dimostrativo di Walentich, Wilms e Walter, 2/2005, pagg. 166-182.
(10) Görgen Thomas (2005b): Come se non esistessi — violenza e negligenza nei confronti degli anziani nelle case di cura. In Invecchiamento, criminalità e società M. Cain & Wahidin (editori).
(11) Dati sulla frequenza delle singole forme di violenza, ad esempio limitazione della libertà di movimento e abuso di psicofarmaci sono disponibili in Aspetti concernenti la violenza contro gli anziani nella Repubblica federale di Germania — Studio dimostrativo, di Rolf Hirsch, 2/2005, pagg. 149-165.
(12) Görgen (2005a) (cfr. nota 9).
(13) Nel 2007 il servizio medico delle principali associazioni della previdenza sociale tedesca ha pubblicato una seconda relazione sulla qualità dell'assistenza fornita dalle case di cura e dai servizi specializzati a domicilio, in cui indica che il 10 % delle persone residenti nelle case di riposo ha registrato un peggioramento delle condizioni di salute e ha ricevuto cure insufficienti
(http://presseportal.de/pm/57869).
(14) Un esempio potrebbe essere l'Iniziativa di Bonn contro la violenza nei confronti degli anziani — Agire e non maltrattare, associazione senza fini di lucro che ha curato l'opuscolo informativo Gli anziani in difficoltà — possiamo dare una mano, Bonn 2006. Informazioni su questa e su altre iniziative sono disponibili anche all'interno della Rete internazionale per la prevenzione dei maltrattamenti contro gli anziani (www.inpea.net).
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/115 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/96/CE per quanto riguarda l'adeguamento del regime fiscale specifico per il gasolio utilizzato come carburante per motori a fini commerciali e il coordinamento della tassazione della benzina senza piombo e del gasolio utilizzati come carburante per motori
COM(2007) 52 def. — 2007/0023 (CNS)
(2008/C 44/25)
Il Consiglio dell'Unione europea, in data 19 aprile 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.
1. I contenuti della proposta di direttiva
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1.1. |
La proposta modifica le disposizioni della direttiva 2003/96/CE (1) (direttiva DTE), in materia di tassazione dei carburanti per autotrazione, valida per tutti i paesi dell'Unione. In pratica, introduce un aumento graduale del tasso minimo delle accise sul gasolio per arrivare, al termine di un periodo di incrementi graduali, ad una loro equiparazione (coordinamento, nel linguaggio della direttiva) alle accise sulla benzina: 380 euro per 1 000 litri per entrambi i carburanti, a partire dal 1o gennaio 2014. Il termine è prorogato per gli SM che non beneficiano di periodi transitori. |
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1.2. |
All'interno di questo quadro generale esistono alcune distinzioni, deroghe e adattamenti temporali e normativi. Una prima distinzione viene fatta fra il «gasolio commerciale» (usato dagli autocarri di portata superiore a 7,5 tonnellate e dagli autobus per trasporto di persone) (2) e il «gasolio a uso privato» (che, in mancanza ulteriori dettagli si presume essere quello utilizzato da ogni altro tipo di autoveicolo). Gli Stati membri sono autorizzati a praticare una tassazione ridotta per il gasolio commerciale, a condizione che vengano rispettati i minimi comunitari fissati dalla direttiva e che il tasso di accisa non sia inferiore al livello nazionale di tassazione in vigore al 1o gennaio 2003. In ogni caso, la tassazione del gasolio ad uso privato e della benzina non può essere inferiore al livello di tassazione del gasolio commerciale. |
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1.3. |
La tassazione del gasolio commerciale può peraltro essere inferiore al limite nazionale esistente al 1o gennaio 2003, ma a condizione che lo Stato membro che intende applicare questa misura introduca o abbia già in vigore un sistema di diritti di utenza stradale. Questo, però, soltanto se la combinazione di tassazione ridotta e di diritti di utenza stradale produce un risultato all'incirca equivalente — ma non inferiore — al livello nazionale di tassazione esistente al 1o gennaio 2003. |
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1.4. |
Una possibilità alternativa di tassazione ridotta a favore del gasolio commerciale consiste nella facoltà di introdurre una tassazione differenziata per il gasolio commerciale, mediante l'introduzione (o il mantenimento) di un meccanismo di rimborso non discriminatorio, che preveda per tutti gli operatori che hanno utilizzato il gasolio in quel determinato Stato un accesso al rimborso a condizioni uguali, trasparenti e semplici. |
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1.5. |
La «tabella di marcia» dell'armonizzazione della tassazione per la benzina e per il gasolio prevede:
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1.6. |
Esistono peraltro numerose deroghe che, in sintesi, prevedono quanto segue:
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2. Osservazioni generali
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2.1. |
Una delle finalità della proposta di direttiva è di ridurre le distorsioni di concorrenza esistenti sul mercato come conseguenza degli scarti fra i prezzi «alla pompa» dei carburanti, e in particolare del gasolio commerciale, praticati nei diversi paesi. Gli scarti sono spesso considerevoli: si consideri che al 18 maggio 2007 un litro di gasolio costava 0,82 euro in Lettonia, 1,41 euro nel Regno Unito, 1,12 euro in Germania, 0,90 euro in Lussemburgo, 1,18 euro in Italia e 0,98 euro in Austria. Dal punto di vista dell'armonizzazione fiscale la proposta della Commissione sembra quindi giustificata. |
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2.2. |
Il motivo specifico che ha indotto la Commissione a presentare la proposta in esame può essere pienamente apprezzato soltanto confrontandolo con la direttiva che intende modificare, la direttiva 2003/96/CE del 27 ottobre 2003 (direttiva sulla tassazione dell'energia, o DTE). L'attenzione si appuntava sul gasolio commerciale (3), in quanto si era considerato che esso ha una rilevanza sul prezzo dei trasporti di merci; il gasolio e la benzina per usi privati hanno, secondo la Commissione, una minore importanza a questi fini, anche se con distorsioni a livello frontaliero che sono talvolta di un certo rilievo. |
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2.2.1. |
L'azione sul gasolio commerciale è in linea con il Libro bianco sulla politica dei trasporti ma, secondo la Commissione, essa contribuirebbe anche, in modo indiretto, a ridurre le differenze fra il gasolio non commerciale e la benzina, grazie all'allineamento dei livelli minimi di tassazione. |
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2.3. |
La DTE offre agli Stati membri la possibilità di differenziare (decoupling) il prezzo del gasolio commerciale da quello per uso privato attraverso un meccanismo di rimborsi, unabprocedura certamente favorevole per gli autotrasportatori dei paesi a tassazione elevata, ma pesante dal punto di vista amministrativo e costosa per fisco e aziende. Peraltro, le modalità per usufruire di questa facilitazione hanno provocato più problemi che benefici: oltre alla prescrizione dell'esistenza di diritti di utenza stradale (mantenuti nella proposta ora in esame), esiste una condizione aggiuntiva: il livello nazionale di tassazione del gasolio al 1o gennaio 2003 deve essere almeno doppio del livello minimo di tassazione applicabile al 1o gennaio 2004. In pratica, questa condizione è soddisfatta da pochi paesi (fra i quali il Regno Unito): per gli altri, la sola soluzione possibile era (ed è ancor oggi) quella di aumentare l'aliquota sul gasolio ad uso privato: un'opzione certo non popolare. In definitiva, gli scarti non si sono ridotti ed i paesi con tassazione elevata non hanno avuto alcuna possibilità di vedere ridotti gli scarti nei confronti degli altri paesi. La proposta ora in esame semplifica questa procedura e fa sì che in pratica essa sia accessibile ad un maggior numero di SM, ma sostanzialmente il concetto rimane invariato. |
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2.4. |
A questo proposito, il CESE osserva che sui carburanti esistono in tutti gli Stati membri, accise a parte, una quantità di altre tasse ed oneri che portano l'incidenza totale della fiscalità fino all'85 % — e oltre in certi casi — del prezzo alla pompa. Le accise gravano sul prezzo in una percentuale che varia tra il 30 e il 60 %: la differenza è costituita dall'IVA o da altri oneri (tasse locali principalmente) sui quali la Commissione non ha alcun controllo. In definitiva, anche dopo la prevista «armonizzazione», nel 2016 rimarranno une serie di oneri non armonizzati. Inoltre, il costo industriale del gasolio è inferiore al costo industriale della benzina: quindi, a meno che insorgano azioni speculative sulle quali sarà bene esercitare un'azione di sorveglianza, i prezzi alla pompa continueranno ad essere differenti fra benzina e gasolio e fra i diversi paesi, anche se (forse) con scarti minori di quelli attuali. Né la DTE né la presente proposta di direttiva apportano un contributo apprezzabile alla parificazione delle condizioni di concorrenza. |
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2.5. |
Sotto il profilo della concorrenza, la portata della proposta sembra quindi piuttosto limitata, anche se occorre riconoscere che la Commissione non ha poteri di intervento sulle altre componenti del prezzo dei carburanti. Ma anche così, il tentativo appare incompleto: occorrerebbe anche contemplare l'adozione di un'aliquota massima delle accise, una misura che consentirebbe, in prospettiva, di limitare gli spostamenti di consumi da un paese all'altro. Questo concetto è stato in passato sostenuto dal CESE, e più recentemente in un suo parere sulle aliquote di accisa sull'alcol (4), che presenta diverse analogie concettuali con la proposta ora in esame. |
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2.5.1. |
Sulla base degli studi dei quali dispone, la Commissione ha scartato questa soluzione: l'imposizione di un «tetto» limiterebbe infatti la sovranità fiscale degli Stati membri. Il CESE ritiene che, sulla base di questo ragionamento, anche l'obbligo di adottare dei livelli minimi potrebbe essere configurato come una violazione di tale sovranità. |
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2.6. |
Pur con queste limitazioni, la proposta della Commissione costituisce uno sforzo nella direzione di un'armonizzazione, in un'ottica puramente fiscale e di parità di condizioni di concorrenza. Sotto questo profilo, la Commissione non fa che adempiere ad un mandato coerente con la strategia di Lisbona. Quale effetto collaterale, l'aumento delle accise sul gasolio contribuirebbe alla lotta al «turismo del pieno», e cioè l'abitudine di andare a fare il pieno, quando possibile, nei paesi che praticano prezzi più bassi. È un fenomeno ben conosciuto: il caso più citato è quello del Lussemburgo, ma esso è comune a tutte le zone frontaliere con prezzi differenziati. Il caso del Lussemburgo è comunque quello più evidente: il consumo annuo di gasolio era, nel 2004, di 4 500 litri pro capite, contro i 750 del vicino Belgio (5). Sul fondo di queste considerazioni il CESE è senz'altro d'accordo, pur facendo presente che il confronto del consumo pro-capite è basato su una consistente differenza nel numero di abitanti: 10,5 milioni per il Belgio e 460 mila per il Lussemburgo. |
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2.7. |
Partendo da questo fatto, la tesi della Commissione — supportata da diverse indagini — è che molti trasportatori effettuerebbero deviazioni dai loro tragitti normali per rifornirsi alle pompe meno care: i tragitti supplementari (milioni di chilometri!) implicherebbero un aumento dei consumi di carburante e un incremento corrispondente dell'inquinamento. Eliminando gli incentivi al «turismo del pieno» si eliminerebbero le deviazioni dai percorsi normali con una corrispondente diminuzione dell'inquinamento. Tesi attraente e certamente popolare, ma che si confronta male con la realtà — almeno per quanto riguarda l'esempio citato. Un semplice sguardo alla carta dimostra che Lussemburgo è un punto di passaggio obbligato per una parte cospicua del traffico Nord-Sud ed Est-Ovest (per la parte settentrionale dell'Europa); coloro che avessero intenzione di fare deviazioni per fare rifornimento risparmiando devono tenere in conto, oltre al tempo perduto, al carburante consumato ed agli eventuali pedaggi per il tragitto supplementare, anche le ore di attesa alle pompe (6) e un traffico intenso, specie in certe ore della giornata. Possono peraltro esistere situazioni del genere di quelle ipotizzate dalla Commissione, particolarmente riferite ai paesi alla periferia dell'Unione. |
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2.8. |
In linea generale, la riduzione del «turismo del pieno» sembra dover essere ridimensionata: il tempo ha un'importanza fondamentale nel calcolo dei costi. Ai risparmi alla pompa si contrappongono i maggiori costi dei salari e i ritardi nelle consegne; tre-quattro ore di ritardo sui tempi previsti implicano spesso il mancato arrivo in giornata per il carico o lo scarico: quindi, un pernottamento in più. Fermo restando che il turismo del pieno degli autocarri in transito sulle loro rotte prestabilite ha un'importanza rilevante, il CESE ritiene che, al contrario, le deviazioni giustificate dai risparmi sul pieno siano state piuttosto sopravvalutate — almeno per quando riguarda gli autocarri. Diverse potrebbero essere le conclusioni se si prendesse in esame l'intero traffico del turismo del pieno: in questo caso occorre peraltro fare altre considerazioni, come si vedrà nel capitolo che segue. |
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2.8.1. |
Una conclusione che il CESE vorrebbe sottoporre all'attenzione dei decisori è che la possibile riduzione globale dell'inquinamento come conseguenza dei minori incentivi al turismo del pieno è forse largamente sovrastimata. |
3. Considerazioni sulla validità della proposta
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3.1. |
Il CESE non può che accogliere con favore la proposta di direttiva sull'armonizzazione delle accise, se la si considera come misura fiscale tendente a realizzare una parità di condizioni di concorrenza; essa rientra nella competenza e nei compiti della Commissione, ed è coerente con la strategia di Lisbona. Non ci si può peraltro esimere dal formulare riserve su una serie di questioni collaterali, alcune delle quali tali da imporre una seria riflessione sull'opportunità di adottare le misure proposte. |
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3.2. |
La Commissione rileva che le differenze di prezzo del gasolio nei vari paesi dell'Unione provocano distorsioni della concorrenza sui mercati dell'autotrasporto, ricordando che il carburante rappresenta in media tra il 20 e il 30 % dei costi correnti di un'impresa. Secondo uno studio del ministero francese dei Trasporti, citato dalla Commissione, «i due terzi delle variazioni dei costi delle imprese di autotrasporto per il periodo 1997-2001 sono imputabili a tre fattori: differenze di tassazione del gasolio, di tassazione delle società e di evoluzione dei salari. Le differenze di tassazione del gasolio sembrano essere il fattore principale, da cui dipende il 40 % delle variazioni osservate a livello di quote di mercato» (7). |
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3.2.1. |
Senza mettere in dubbio la validità dei dati rilevati e degli studi econometrici consultati dalla Commissione, è da osservare che comunque il consistente divario dei costi fra i diversi paesi (e particolarmente rispetto a quelli di più recente adesione) fa diminuire l'importanza relativa del costo del carburante come componente di tali differenze. In sostanza, con l'aggiunta dei nuovi paesi membri i divari si sono forse accentuati, ma nel contempo il valore relativo della componente «carburante» è sensibilmente diminuito. Dal punto di vista del ravvicinamento delle condizioni di concorrenza l'impatto della direttiva sarebbe quindi inferiore alle aspettative. Questa tesi non è condivisa dalla Commissione, secondo la quale nel confronto fra vecchi/nuovi paesi il costo del carburante è diventato un fattore importante di distorsione di concorrenza; il CESE osserva che, se così fosse, occorrerebbe fare delle serie riflessioni sull'opportunità di aggravare i costi per le economie in fase di crescita. |
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3.2.2. |
Quand'anche si pervenisse ad un livellamento dei costi del carburante — il che non avverrà, tenuto conto degli oneri aggiuntivi, diversi da paese a paese (cfr. punto 2.4) — le componenti del costo del trasporto all'infuori del carburante sono numerose e importanti, e nessuna di esse è «armonizzabile», almeno nel prossimo futuro: oltre alle tre componenti citate nello studio francese, rimangono il costo dei veicoli (con differenze che possono arrivare fino al 20 %), le tasse di circolazione, l'assicurazione, il prezzo degli immobili e delle attrezzature, ed altro ancora. Considerate tutte queste differenze, diventa piuttosto modesto il contributo relativo dell'armonizzazione delle accise sul gasolio alla riduzione delle disparità di concorrenza. |
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3.2.3. |
La relazione che accompagna la proposta di direttiva non parla dell'impatto che l'aumento del costo del carburante avrebbe sulle imprese pubbliche o private di trasporto delle persone e sul turismo in generale. Le ricerche econometriche citate nel documento accompagnatorio (SEC(2007) 170/2, pagg. 24 e 26) porterebbero alla conclusione che, mentre il trasporto commerciale non risentirebbe, in termini quantitativi, dell'aumento del costo alla pompa, il trasporto privato subirebbe una lieve contrazione (meno dell'1 % nell'arco di 23 anni), con corrispondente diminuzione dell'inquinamento. La Commissione ha effettuato seri studi econometrici, secondo i quali il costo dei carburanti subirebbe nel tempo aumenti stimabili fra lo 0,10 % e l'1 %, assorbiti dal tasso d'inflazione: una tesi tranquillizzante, ma che non tiene conto della differenza esistente fra tasso d'inflazione reale e tasso percepito. Esiste inoltre un effetto «moltiplicatore», ben conosciuto dal mercato, che traduce aumenti nei costi, anche minimi, in incrementi dei prezzi ben più che proporzionali. I prezzi dei carburanti sono alla base della piramide dei prezzi. Un incremento delle imposte sul petrolio influenzerà i prezzi di tutte le merci e dei servizi, determinando da un lato, un aumento dei tassi d'inflazione comunitari e, dall'altro, una diminuzione della mobilità, una perdita di posti di lavoro e una riduzione del fatturato. |
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3.2.3.1. |
Sotto il profilo fiscale, la Commissione osserva che la tassazione dell'energia in generale (e delle accise nel caso specifico dei carburanti) è diminuita per effetto dell'inflazione dall'inizio del secolo a oggi, sia in termini percentuali rispetto al PIL che rispetto al totale delle entrate fiscali. La proposta di aumento delle accise non sarebbe quindi che un aggiustamento delle entrate fiscali per tener conto del presumibile tasso di inflazione (al tasso del 2,2 %) di qui al 2017. Considerazione impeccabile per quanto riguarda il fisco, ma per i trasportatori ed i cittadini questo significa un aumento del prezzo dei carburanti aggiunto al costo generale dell'inflazione. |
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3.2.4. |
Il meccanismo di rimborso, che secondo la Commissione non vuole favorire i trasportatori in quanto tali ma che è inteso come misura equilibratrice delle condizioni di concorrenza, è una soluzione già adottata da alcuni Stati membri ma, come già osservato, è onerosa per le aziende e per il fisco stesso. A parte le critiche espresse in precedenza, il CESE si domanda se questa soluzione sia coerente con la semplificazione delle procedure amministrative che il Consiglio ha evocato come fattore di crescita. |
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3.2.5. |
Altri dubbi suscita la misura alla base del meccanismo di rimborso, secondo la quale la tassazione può essere inferiore ai limiti stabiliti (cfr. punto 2.3) qualora uno Stato membro introduca o abbia già in vigore un sistema di utenza stradale per gli automezzi pesanti: in termini più espliciti, un sistema di pedaggi autostradali o di «vignette». Entrambe le ipotesi comportano una pura perdita per il fisco: i pedaggi e le vignette vanno a favore dei gestori delle autostrade, o incrementano altre poste dei bilanci pubblici. In definitiva, l'elemento moderatore non porterebbe benefici né agli autotrasportatori (i pedaggi equilibrano i minori aumenti di tassazione) né al fisco. Peggio, l'introduzione o l'aumento dei pedaggi colpirebbe tutti gli altri utenti della strada, a meno che non si vogliano introdurre tassazioni differenziate o vignette speciali, con conseguenti complicazioni amministrative, queste ultime ancor più pesanti per gli automezzi degli altri paesi membri in transito. |
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3.2.6. |
L'estrema complessità delle procedure amministrative in campo fiscale sta generando corruzione e frodi. Tali procedure infrangono il principio basilare dell'economia di mercato, imponendo due prezzi per lo stesso prodotto. |
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3.3. |
Il CESE ritiene di dover formulare una considerazione di carattere più generale ma di non trascurabile importanza. Le misure proposte saranno introdotte gradualmente e portate a compimento fra sette anni, e fino a dieci per taluni Stati membri. La situazione internazionale non fa prevedere un miglioramento, tanto in termini di prezzi che di quantità, dell'approvvigionamento di petrolio grezzo. In queste condizioni, un aumento programmato dei costi del carburante sembra essere una misura avventata, tale da poter influire negativamente sui costi del trasporto all'interno dell'Unione. Né essa porterebbe sensibili benefici dal punto di vista della lotta all'inquinamento, visto che — secondo quanto affermato dalla Commissione stessa — il consumo di carburante non dovrebbe diminuire (della questione delle deviazioni dalla rotta abituale si è già parlato a proposito del «turismo del pieno»). |
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3.4. |
Proprio perché si parla del futuro, un aspetto da tenere in considerazione è quello della progressiva introduzione sul mercato dei carburanti alternativi, la cui adozione viene incoraggiata, in linea generale, come valida alternativa ai carburanti convenzionali sia dal punto di vista della protezione dell'ambiente che come contributo a diminuire la dipendenza dell'Europa dalle fonti energetiche esterne. Un aumento dei prezzi dei carburanti convenzionali potrebbe incoraggiare la ricerca e la produzione dei carburanti alternativi, ma a condizione che sia nota la politica fiscale comune che sarà adottata. Oggi non esiste un approccio uniforme nei vari paesi, se non un generale consenso sulla necessità di incoraggiare questa produzione. In altri termini, la Commissione e i governi dovrebbero far sapere, al di là delle dichiarazioni di generico incoraggiamento, se intendono adottare politiche fiscali e non fiscali uniformi per i biocarburanti e se, in prospettiva, questi ultimi saranno da considerare come utili «concorrenti» di quelli tradizionali, oppure se verranno considerati alla stregua degli altri e tassati nella stessa misura. I produttori di autoveicoli ed il mercato non possono essere lasciati nell'incertezza. |
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3.4.1. |
Un capitolo a parte è ancora quello dei gas liquidi, oggi usati prevalentemente per le autovetture private e per il trasporto pubblico, ma che in futuro potrebbero avere un uso commerciale a seguito di innovazioni tecnologiche. Tali combustibili godono, in diversi paesi, di un trattamento fiscale favorevole: il loro consumo oggi è marginale ma, come nel caso dei biocarburanti, il mercato potrebbe svilupparsi e comunque non può essere lasciato nell'incertezza. Ancor più marginale è la trazione elettrica: anche se il suo utilizzo non sembra doversi espandere oltre certi ristretti limiti, non sembra inopportuno che la Commissione prenda in esame la politica fiscale da adottare nei confronti di tutti i carburanti alternativi. |
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3.5. |
Infine, il panorama non sarebbe completo senza tener conto della mondializzazione: al di là delle considerazioni di concorrenza al suo interno, l'Unione dovrebbe dedicare una maggiore attenzione alla sua posizione concorrenziale nei confronti dei paesi più industrializzati ed emergenti. Come in precedenza è stato osservato, il prezzo medio alla pompa dei carburanti nell'UE è di gran lunga superiore a quello praticato dalla maggior parte degli altri paesi. Una misura rivolta ad attenuare — e con effetti per di più dubbi — la concorrenza interna, ma che si traduce in un aumento generalizzato dei costi, finisce per sacrificare l'obbiettivo più importante, vale a dire quello di migliorare la nostra già precaria posizione concorrenziale. |
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3.5.1. |
L'aumento del livello futuro di tassazione del gasolio ha aspetti ed effetti positivi e negativi. Complessivamente, però, prevalgono gli effetti negativi. Livelli più alti di imposte sul gasolio si tradurranno in una perdita di competitività e di posti di lavoro. Nel lungo periodo, la proposta ridurrà e minaccerà il potenziale economico dell'UE e creerà ostacoli al conseguimento della coesione, vale a dire di uno dei principali obiettivi dell'UE, a causa della ridotta mobilità delle persone. |
4. Conclusioni
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4.1. |
La proposta di direttiva è coerente con le politiche dell'Unione in materia di parità di condizioni di concorrenza, e come tale non può essere avversata. Occorre peraltro tener presente che essa non costituisce una soluzione di valore fondamentale, in quanto il divario dei costi fra le aziende di trasporto nei diversi paesi rimane importante, dovuto com'è alle differenze di altri oneri sui quali la Commissione non ha poteri d'intervento. |
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4.2. |
La Commissione dedica particolare attenzione, come effetto collaterale ma importante della proposta di direttiva, alla lotta all'inquinamento come risultato della riduzione del fenomeno del «turismo alla pompa». Il CESE ritiene che tale effetto sia stato largamente sovraestimato: mentre da un lato la domanda di carburanti rimarrà invariata, le deviazioni dai percorsi normali per usufruire di prezzi ridotti sono, già oggi, di importanza non determinante. |
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4.2.1. |
Di conseguenza, «il turismo alla pompa» si espanderà e diffonderà, trasformandosi da un problema interno all'UE (Germania, Francia e Belgio) in un problema esterno (per l'Austria, l'Ungheria, la Slovenia, l'Estonia, la Lituania, la Polonia, la Romania, la Bulgaria e la Grecia). |
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4.3. |
Dal punto di vista dei benefici in termini di entrate fiscali, questi non sarebbero trascurabili: per il periodo 2007-2030, la Commissione li ha calcolati in 35,6 miliardi di euro (per l'UE-25). Si tratta di una cifra piuttosto rilevante, che rafforzerà ed espanderà il ruolo redistributivo dell'amministrazione statale e che spiega il favore delle autorità fiscali di molti Stati membri. Ma proprio questa cifra prova, senza bisogno di commenti, quale sia l'entità dell'aggravio di costi che peserebbe sulle imprese e sui consumatori, in contraddizione con la politica UE di riduzione delle pratiche burocratiche. |
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4.4. |
In conclusione, la proposta di direttiva è giustificata — con qualche riserva espressa dal CESE — sotto il profilo dell'armonizzazione fiscale, dei principi della concorrenza e della riduzione dell'inquinamento: il CESE ritiene peraltro che la decisione finale dovrebbe essere presa dai legislatori dopo aver responsabilmente considerato gli aspetti collaterali e le ricadute sulle diverse politiche dell'UE e applicando il principio della proporzionalità. Più precisamente, sarebbero da considerare con attenzione:
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Bruxelles 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Direttiva del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, denominata «direttiva relativa alla tassazione dell'energia» (DTE).
(2) Una definizione più precisa e dettagliata è contenuta nell'articolo 7, paragrafo 3, della DTE.
(3) Per «gasolio commerciale» si intende il gasolio utilizzato per il trasporto merci, in particolare con autocarri di portata superiore alle 7,5 tonnellate.
(4) GU C 175 del 27.7.2007, «Ravvicinamento delle aliquote d'accisa sull'alcole».
(5) Fonte: Eurostat — IEA.
(6) In Lussemburgo esistono solo quattro stazioni di rifornimento in autostrada, due per ogni senso di marcia.
(7) Proposta di direttiva, «contesto generale», pag. 3.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/120 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE con riguardo ad alcune disposizioni temporanee relative alle aliquote dell'imposta sul valore aggiunto
COM(2007) 381 def. — SEC(2007) 910
(2008/C 44/26)
Il Consiglio, in data 27 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore unico BURANI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.
Conclusioni e raccomandazioni
Motivazione
1. I contenuti della proposta di direttiva
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1.1. |
La Commissione ha avviato un vasto dibattito sull'utilizzo delle aliquote IVA ridotte, iniziando con la pubblicazione di una comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo (1). Scopo principale di questo esercizio è preparare il terreno per una nuova direttiva ricercando soluzioni globali, sostenibili e valide nel tempo, in materia di aliquote ridotte. Per «aliquote ridotte» si intendono quelle inferiori al tasso normale dell'IVA (15 %). |
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1.2. |
Nella comunicazione, pubblicata lo stesso giorno della proposta di direttiva, la Commissione dichiara che «la definizione dell'approccio adeguato richiederà molto tempo». Nel frattempo si pone il problema delle deroghe temporanee concesse agli Stati membri di più recente adesione, che vengono a scadenza in tempi diversi tra giugno 2007 e il 1o gennaio 2010 (articoli 123-130 della «direttiva IVA») (2): la soluzione più semplice, che la Commissione ha adottato con la pubblicazione della proposta di direttiva oggetto del presente parere, è di proporne una proroga sino alla fine del 2010, proroga peraltro non di carattere generale ma limitata a talune merci o servizi. In questo modo, la scadenza di queste deroghe verrebbe a coincidere con la fine del periodo di applicazione dell'aliquota minima del 15 % per il tasso normale dell'IVA e con la fine dell'esperimento sull'applicazione di aliquote IVA ridotte ad alcuni servizi ad alta intensità di lavoro. |
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1.3. |
La proroga viene concessa per la fornitura di beni o di servizi ad alta intensità di lavoro (edilizia, ristorazione, ecc.) e, per taluni paesi, di beni di particolare importanza sociale (prodotti alimentari, libri e riviste specializzate, prodotti farmaceutici, ecc.). Questa scelta trova una giustificazione nel fatto che con ogni probabilità l'aliquota IVA ridotta rimarrà valida per tutti i paesi, anche dopo la definizione di nuove regole. Le deroghe in contrasto con il corretto funzionamento del mercato interno non vengono prorogate (prodotti per l'agricoltura). |
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1.4. |
I prodotti esclusi dalla proroga sono in particolare il carbone e l'energia per riscaldamento, per i quali le eccezioni previste con i vari atti di adesione che vengono a scadere (nel 2007 o 2008) non prevedevano proroghe. D'altra parte, la tassazione delle fonti energetiche costituisce un capitolo a parte ed è una materia in corso di esame; le soluzioni, quando saranno trovate, dovranno essere valide per tutti. |
2. Considerazioni di carattere generale
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2.1. |
La direttiva 2006/112/CE stabiliva, per gli Stati membri di adesione anteriore al 2001, una serie di deroghe (3). Tali deroghe sono valide senza limiti di tempo o, più precisamente, fino all'entrata in vigore del «regime definitivo applicabile alle transazioni intracomunitarie». Allo stato attuale e alla luce delle esperienze, l'introduzione di un regime definitivo non è prevedibile nel breve o nel medio termine, per cui le esenzioni concesse ai «vecchi» Stati membri rischiano di prolungarsi praticamente all'infinito, mentre i «nuovi» sarebbero penalizzati dalla scadenza dei termini negoziati all'atto dell'adesione. Inoltre, alcuni Stati membri hanno la facoltà di applicare aliquote ridotte a servizi prestati localmente (4) fino alla fine del 2010, mentre tale opportunità non esiste per gli altri: una situazione — questa — che non è giustificabile. |
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2.2. |
La proposta di direttiva costituisce una «soluzione ponte» che permette agli Stati membri di recente adesione di operare in posizioni sostanzialmente uguali a quelle degli altri Stati membri, almeno sino al 31 dicembre 2010. Per quella data, la Commissione spera che il Consiglio abbia adottato la nuova direttiva che metta ordine nell'intera categoria delle esenzioni, così come auspicato nella comunicazione. |
3. Considerazioni specifiche
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3.1. |
Il CESE si compiace del lavoro svolto dalla Commissione, sia con la proposta di direttiva, che esso approva senza riserve, sia con la pubblicazione di una comunicazione che annuncia la definizione di una struttura delle «esenzioni» coerente con i principi del mercato unico e con la strategia di Lisbona. Sulla comunicazione il Comitato ritornerà con un apposito parere, nell'intento di contribuire in modo costruttivo al dibattito. |
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3.2. |
Alla luce di precedenti esperienze, è lecito peraltro temere che l'interesse generale di giungere sollecitamente ad un consenso sulla proposta di direttiva possa essere subordinato alla difesa di interessi e di politiche particolari: un timore che il CESE spera si riveli infondato. Dal punto di vista della correttezza tecnica la proposta è ineccepibile: solo gli aspetti politici avranno un ruolo nel seguito delle decisioni. Il CESE richiama l'attenzione dei decisori sulle necessità del mercato e dei cittadini, che hanno bisogno di leggi trasparenti, eque ed approvate in tempi rapidi. |
Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) COM(2007) 380 def. del 5.7.2007.
(2) Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.
(3) Cfr. articoli 109-122 della direttiva IVA.
(4) Cfr. allegato IV della direttiva IVA.
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16.2.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 44/121 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La Croazia sulla via dell'adesione
(2008/C 44/27)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sulla «Croazia sulla via dell'adesione».
La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIGMUND.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.
1. Introduzione
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1.1. |
Il 20 aprile 2004 la Commissione ha dato parere positivo alla domanda della Croazia di aderire all'UE, e il 20 dicembre dello stesso anno il Consiglio europeo ha fissato l'apertura dei negoziati di adesione al marzo 2005, in seguito posticipata all'ottobre 2005. |
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1.2. |
Il processo di screening comune si è concluso positivamente nell'ottobre 2006 e si sono così potuti avviare i negoziati bilaterali di adesione. Nel frattempo sono stati compiuti passi avanti decisivi per quanto riguarda i criteri politici ed economici come pure l'adozione dell'acquis. |
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1.3. |
Il Comitato, pur compiacendosi dell'andamento spedito dei negoziati e dell'ampia partecipazione della società civile organizzata croata a questo processo, sottolinea che è indispensabile assicurare il contributo di tutte le organizzazioni rappresentative della società civile, garantendo in particolare un ampio coinvolgimento delle parti sociali nei negoziati su tutti i capitoli pertinenti. A questo proposito il Comitato rimanda al proprio parere del 31 marzo 2004, in particolare alle affermazioni contenute nel punto 5.5, che continuano ad essere valide e vengono quindi sottolineate (1). |
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1.4. |
Nel presente parere non si intende procedere ad un nuovo esame del materiale statistico disponibile, ma ci si prefigge di trattare in via prioritaria la situazione della società civile organizzata in Croazia analizzandone i fondamenti, le possibilità e le sfide. |
2. Osservazioni generali sul ruolo della società civile
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2.1. |
La storia della nascita della società civile organizzata nei cosiddetti «vecchi» Stati membri si distingue nettamente dalla formazione delle attività della società civile nei «nuovi» Stati, la cui situazione, pur in tempi diversi, è assimilabile a quella della Croazia. Infatti, mentre per i primi le iniziative della società civile si sono sviluppate all'interno dello Stato, secondo il principio «bottom-up», in base a certi bisogni e/o esigenze oppure per affermare determinati interessi, nel caso dei secondi l'impegno della società civile era fondato su un'idea, su un obiettivo, ma soprattutto era rivolto contro l'eccessivo potere dello Stato (ciò non vale tuttavia per le parti sociali, che hanno sempre messo in primo piano la rappresentanza di interessi). In questa genesi risiede anche il motivo per cui tutti questi Stati avevano un bisogno più o meno marcato di recuperare terreno in quegli ambiti in cui entravano in gioco gli elementi fondamentali dell'azione della società civile, quali la fiducia, la solidarietà, la trasparenza o l'autonomia. |
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2.2. |
Nel 1999 il Comitato ha affrontato per la prima volta la questione della descrizione della società civile organizzata e ha formulato dei criteri di base per definirla (2). L'analisi della situazione e del ruolo della società civile croata effettuata dal Comitato porta a constatare che le parti sociali, nella loro natura di rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, anche per motivi storici, rappresentano il «nocciolo duro» dei soggetti della società civile. Una caratteristica comune di tutti i rappresentanti della società civile organizzata è, accanto alla rappresentanza di interessi, l'obbligo di servizio pubblico, che li distingue chiaramente dai lobbisti, anch'essi impegnati nella difesa di interessi. Al Comitato sembra che questa definizione, complessa e aperta, della società civile organizzata sia particolarmente rilevante proprio in relazione alla situazione della Croazia. Esso ha infatti potuto constatare che in tale paese il concetto di «organizzazioni non governative» e quello di «società civile» vengono talvolta assimilati. Il Comitato mette in guardia espressamente dal mantenere questa concezione a suo avviso incompleta che escluderebbe fin dall'inizio, per definizione, le parti sociali dalla partecipazione a qualsiasi forma di attività della società civile. |
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2.3. |
Il campo di azione dei rappresentanti della società civile organizzata comprende, accanto alla rappresentanza di interessi, la partecipazione a tutte le forme del processo pubblico di formazione delle opinioni e del consenso. Accanto a numerose forme pragmatiche di partecipazione, tuttavia, le principali espressioni della democrazia partecipativa sono il dialogo sociale e il dialogo civile. Se il dialogo sociale, dati i temi affrontati nel suo ambito, è limitato alle parti sociali e non può essere esteso ad altri soggetti, tutti i partecipanti della società civile organizzata possono partecipare al dialogo civile, a condizione che soddisfino i necessari criteri di rappresentatività. Mentre il dialogo sociale è facilmente definibile, manca ancora una definizione adeguata del dialogo civile. La descrizione che più si avvicina alla sostanza del dialogo civile è quella data da Jürgen Habermas, secondo cui tale dialogo, in quanto elemento della democrazia partecipativa, è un discorso interattivo in cui possono benissimo confluire anche contenuti normativi. Analogamente al dialogo sociale, il dialogo civile può essere verticale, ossia tra Stato e società civile organizzata, ma anche orizzontale, vale a dire fra i soggetti stessi della società civile organizzata. Il Comitato sottolinea l'importanza della distinzione concettuale tra dialogo sociale e civile: il dialogo civile completa il dialogo sociale, ma non può sostituirlo. A livello europeo il Comitato economico e sociale europeo è il rappresentante istituzionale della società civile organizzata degli Stati membri: esso è pertanto una «casa del dialogo civile», ma non la sede del dialogo sociale. |
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2.4. |
Secondo il Comitato un'importanza particolare spetta alla questione della rappresentatività dei soggetti della società civile, in quanto strettamente legata alla loro legittimazione democratica. Non basta quindi rappresentare un numero sufficiente di interessati o di parti in causa, ed essere quindi rappresentativi quantitativamente; ogni organizzazione della società civile deve, anche e soprattutto, essere rappresentativa qualitativamente, cioè essere in grado, grazie alle proprie competenze, esperienze e a determinate capacità, di partecipare agli eventi in modo costruttivo. Tra gli altri criteri qualitativi di riconoscimento di un'organizzazione della società civile rivestono particolare importanza, soprattutto nelle democrazie giovani, elementi quali la trasparenza, la presenza di strutture decisionali democratiche, la sostenibilità, l'indipendenza economica e l'autonomia. Sulla questione della composizione della società civile organizzata nonché sulla rappresentatività dei suoi esponenti, il Comitato si è già pronunciato in diversi pareri e, oltre ad un elenco dei soggetti della società civile, ha stilato, a titolo esemplificativo, una lista di criteri di rappresentatività (3). |
3. Il punto della situazione
3.1. La situazione socioeconomica della Croazia
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3.1.1. |
La situazione socioeconomica della Croazia è stabile, ma presenta considerevoli differenze a livello regionale. Secondo le previsioni, la costante crescita economica registrata negli ultimi anni (2002-2006), pari al 4,8 % circa, continuerà con lo stesso ritmo anche nei prossimi due anni. Tuttavia non si può ignorare il persistere di una forte disparità nello sviluppo regionale. Il tasso medio di inflazione dei prezzi al consumo nel 2006 ha toccato il 3,2 %, il che rappresenta un aumento medio dello 0,8 % dal 2002, tuttavia nel complesso si è riusciti a garantire la stabilità dei prezzi. Vanno però segnalati anche sviluppi negativi per quanto riguarda il deficit della bilancia commerciale e il debito estero, come pure l'aumento del debito pubblico. Nella lotta all'indebitamento in Croazia un ruolo sempre più importante spetta alla promozione degli investimenti e dei partenariati pubblico-privati (PPP). A questo proposito il Comitato fa rilevare anche che l'adozione di misure adeguate da parte del settore pubblico non soltanto è necessaria per l'adesione all'UE, ma può anche essere vista, a lungo termine, come un segnale della disponibilità del paese a soddisfare i criteri di convergenza necessari per l'ingresso nella terza fase dell'Unione monetaria europea. |
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3.1.2. |
Per quanto riguarda la situazione sociale, malgrado gli innegabili progressi compiuti negli ultimi anni, occorre ancora intervenire, ad esempio per risolvere i problemi del mercato del lavoro:
Resta inoltre la necessità di intervenire per rimediare al problema dei redditi medi delle famiglie, che restano relativamente bassi. |
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3.1.3. |
Una relazione della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino (4) descrive la situazione sociale in Croazia e formula tra l'altro le seguenti raccomandazioni: «Per garantire una crescita costante e la creazione di posti di lavoro di qualità occorre uno sviluppo equilibrato tra le regioni. L'asse prioritario della politica dell'occupazione deve passare dagli aiuti al reddito alle misure in materia di formazione, al fine di rendere i disoccupati più occupabili e motivati. Per le famiglie che non possono permettersi di acquistare una casa agli attuali prezzi di mercato occorre mettere a disposizione degli alloggi accessibili. Occorre prevedere incentivi per consentire ai bambini e ai giovani di frequentare la scuola e creare servizi accessibili di custodia dei bambini per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e aiutare i genitori a conciliare vita professionale e impegni familiari. Il messaggio politico globale deve essere che il miglioramento delle condizioni di vita e l'integrazione sociale rappresentano un compito prioritario per tutti i settori di concezione e attuazione delle politiche, garantendo in questo modo un approccio integrato attraverso il quale prevenire e ridurre la povertà, le ineguaglianze e l'emarginazione sociale.» |
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3.1.4. |
Sono state lanciate numerose iniziative intese a promuovere la crescita delle PMI, da un lato per opera del governo croato e, dall'altro, grazie alle attività di finanziatori nazionali e internazionali e della società civile. Il Comitato giudica importante creare un contesto favorevole alle imprese, specialmente alle PMI, che sono il motore della crescita e dell'occupazione in particolare nelle regioni svantaggiate. A questo proposito il Comitato accoglie con favore l'intensificarsi delle attività dell'associazione per le PMI, che opera nell'ambito dell'Associazione croata dei datori di lavoro (HUP). |
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3.1.5. |
Secondo il Comitato l'agricoltura rappresenta un settore chiave nel quadro dei negoziati di adesione. Le colonne portanti della produzione agricola sono piccole aziende familiari con una dimensione media di 2,4 ettari, che possiedono circa l'80 % dei terreni adibiti ad uso agricolo e dei capi di bestiame. Molti terreni potenzialmente coltivabili non sono ancora utilizzabili a causa dei danni prodotti dalla guerra (ad esempio, presenza di mine) cui non è stato ancora posto rimedio; in alcuni casi vi sono anche problemi legati ad assetti proprietari non chiariti. L'agricoltura croata è attualmente poco competitiva e sta attraversando una fase di trasformazione. È evidente l'esigenza di una riforma globale della politica agricola croata, anche nel quadro dello sforzo di adesione all'UE. Il ministero dell'Agricoltura ha già avviato alcuni progetti di sviluppo strategici intesi ad aumentare la competitività della produzione nazionale. Inoltre sono stati compiuti passi avanti attuando programmi in materia di sviluppo rurale, politica della qualità e agricoltura biologica. Occorre intervenire anche per elaborare una strategia globale per la sicurezza degli alimenti. È urgente tra l'altro creare strutture adeguate per l'attuazione della politica agricola comune, come pure istituire una rappresentanza di interessi politicamente indipendente. Tali misure non sono necessarie soltanto per motivi di ordine politico (garanzia dell'esercizio del diritto di essere consultati), ma anche per considerazioni di carattere pratico (sostegno nell'amministrazione dei finanziamenti comunitari nel quadro della strategia di preadesione e collaborazione alla loro gestione e ripartizione dopo l'adesione). |
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3.1.6. |
L'invecchiamento della popolazione è un processo caratteristico di tutti i paesi europei e impone l'adozione di politiche pubbliche in materia di sicurezza sociale. Il cambiamento demografico costituisce un problema anche per la Croazia, sebbene l'aspettativa media di vita sia più bassa che in molti altri paesi europei, specie in confronto ai cosiddetti «vecchi» Stati membri. Il sistema di sicurezza sociale croato non è concepito in modo tale da poter reagire all'intensificarsi di tale fenomeno. Le riforme della sicurezza sociale sono state largamente influenzate dalle istituzioni finanziarie internazionali. Tra l'altro la rappresentanza, anche a livello politico, degli interessi della popolazione anziana è un fenomeno relativamente nuovo in Croazia. |
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3.1.7. |
Per quanto riguarda le migrazioni, si registrano flussi di limitata entità da e verso la Repubblica di Croazia, e l'immigrazione supera di circa tre volte l'emigrazione. In ogni caso, entrambe le tendenze sono in calo e non costituiscono un fattore statistico rilevante. |
3.2. La situazione politica della Croazia
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3.2.1. |
Il Comitato ritiene che le imminenti elezioni legislative (novembre 2007) non avranno alcun influsso sulla situazione politicamente stabile della Croazia. Sebbene i risultati dei sondaggi sul possibile esito delle elezioni presentino variazioni molto significative, i partiti più importanti sono a favore dell'Europa, e pertanto un indebolimento dell'orientamento pro-europeo della politica croata appare improbabile. Tutti i partiti perseguono lo stesso obiettivo, ossia l'ingresso della Croazia nell'UE nel 2009. |
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3.2.2. |
Attualmente sono in atto diverse riforme del settore pubblico: una riforma riguarda i servizi pubblici ed è intesa a creare un'amministrazione pubblica più efficiente e qualitativamente migliore, un'altra interessa invece il sistema giudiziario e mira a smaltire l'arretrato delle cause pendenti e a promuovere l'applicazione del principio dello Stato di diritto. |
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3.2.3. |
In linea con valutazioni interne ed esterne, nella prospettiva dell'ingresso della Croazia nell'UE, una grande importanza viene annessa alla lotta contro la corruzione. Il settore civile partecipa sempre più ai procedimenti penali condotti dalle autorità, e in questo modo vengono soddisfatte le richieste di trasparenza e legalità in materia di finanziamento dei partiti e appalti pubblici, come pure di accesso alle informazioni ed eliminazione dei conflitti di interesse. Questi sforzi sono tuttavia minati dalla scarsa fiducia nelle istituzioni; a medio termine, però, un'ampia campagna di informazione pubblica consentirà senz'altro di fare passi avanti. A questo proposito la società civile organizzata continua a svolgere una funzione importante e contribuisce alla lotta contro la corruzione. In questo ambito il progetto di partenariato regionale Development of Local Civil Initiatives through Capacity Building on Several Levels (Sviluppo delle iniziative civiche locali tramite il rafforzamento delle capacità a diversi livelli) ha riunito dieci associazioni di otto città croate nella rete multidisciplinare «BURA». |
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3.2.4. |
Nel campo della protezione delle minoranze sono necessari ulteriori sforzi, anche al fine di promuovere e tutelare i loro diritti: ciò dovrebbe portare al loro concreto inserimento. A questo proposito il Comitato si compiace che il piano per l'occupazione 2007 del governo croato menzioni espressamente e metta in atto il diritto delle minoranze nazionali alla parità di trattamento nel pubblico impiego. È anche opportuno ricordare le elezioni dei consigli delle minoranze nazionali tenutesi nel 2007. La scolarizzazione della minoranza Rom può essere considerata un esempio positivo in tal senso. Accanto alla tutela dei diritti delle minoranze, tuttavia, è ancora necessario effettuare una particolare opera di sensibilizzazione per portare a termine il rientro e l'inserimento dei profughi e degli sfollati come pure il reinsediamento dei profughi di ritorno, al fine di ricostruire non soltanto le infrastrutture, ma la stessa società. Nel complesso si può comunque constatare che in linea di principio sono stati compiuti dei passi nella giusta direzione. |
3.3. La società civile organizzata in Croazia
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3.3.1. |
Il quadro giuridico in cui opera la società civile in Croazia è costituito fondamentalmente dai seguenti elementi:
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3.3.2. |
Una nuova tendenza dello sviluppo della società civile croata può essere riscontrata anche nelle attività delle organizzazioni non governative: il settore civile, che finora ha incentrato la propria azione sulla tutela e promozione dei diritti umani e su attività umanitarie, si interessa sempre di più alla definizione della politica sociale e ai diritti sociali. Anche le organizzazioni ambientaliste hanno creato delle reti formali e informali intorno ad azioni specifiche, dando prova della loro capacità di agire congiuntamente. Si può osservare la tendenza a creare reti e gruppi organizzati anche nel caso delle organizzazioni giovanili, delle associazioni di disabili e delle organizzazioni femminili. Le organizzazioni croate per la protezione dei consumatori tentano di far valere i diritti del consumatore. Le risorse umane e finanziarie di cui dispongono non bastano però a garantire a lungo termine la protezione dei consumatori, la loro informazione e le attività di lobbying a difesa dei loro interessi. |
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3.3.3. |
Nel quadro delle attività della società civile in Croazia merita particolare attenzione il dialogo sociale tra le parti sociali a diversi livelli. Il quadro istituzionale per un dialogo sociale tripartito (datori di lavoro e sindacati come partner del governo) è formalmente ben sviluppato nell'ambito del Consiglio economico e sociale croato. Tuttavia finora non ha praticamente portato ad alcun risultato concreto. Uno dei motivi risiede nel problema, non ancora definitivamente risolto, della frammentazione dei gruppi di interesse, che non riguarda soltanto i lavoratori. Secondo il Comitato, sarebbe auspicabile raggruppare ulteriormente gli interessi a livello delle diverse organizzazioni, anche per la rappresentatività delle singole associazioni. Un altro motivo va ricercato nel concreto svolgimento dei lavori: così, ad esempio, i tempi concessi alle parti sociali per presentare i loro pareri sono per lo più troppo brevi (in molti casi solo tre o quattro giorni); inoltre, quando determinate proposte non vengono prese in considerazione, non vengono spiegati i motivi di tale decisione. Un dialogo sociale autonomo e bipartito viene tuttavia già condotto a livello delle imprese. A questo livello esso ha notevoli effetti sulle relazioni sia tra i lavoratori e i datori di lavoro che tra i sindacati e i datori di lavoro, sotto forma di numerosi accordi collettivi e anche nel quadro dei comitati aziendali. Un dialogo sociale autonomo tripartito, tuttavia, ha ancora notevoli potenzialità di sviluppo per quanto riguarda la rappresentatività dei sindacati di fronte ad un unico datore di lavoro e la creazione di una rappresentanza dei lavoratori nella contrattazione collettiva. Inoltre nelle PMI vi è un livello relativamente basso di rappresentanza di interessi e di organizzazione dei lavoratori. A livello settoriale tale dialogo è per lo più assente. Questa assenza è in larga parte dovuta al problema, ancora non definitivamente risolto, di come definire da un lato la rappresentatività, sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, e dall'altro l'ampiezza dei diversi settori e rami in quanto gruppi di contrattazione. Tenendo presente l'importanza dell'influsso esercitato dalla contrattazione settoriale sulla situazione economica generale, lo sviluppo del dialogo sociale dovrebbe avvenire principalmente a questo livello. Dato che il dialogo sociale viene ancora condotto dal governo nel quadro di un dialogo sociale tripartito, un ruolo preponderante spetta appunto alle consultazioni tra le tre parti in causa. Tuttavia, se non vengono instaurate relazioni bipartite autonome a livello nazionale e settoriale e non viene promossa la contrattazione collettiva settoriale, sarà difficile creare un sistema ben strutturato ed equilibrato di relazioni tra le parti sociali. A questo proposito, dovrebbero essere pubblicate anche le statistiche sulla copertura della contrattazione collettiva e sul numero di partecipanti. |
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3.3.4. |
Come in molti paesi europei, in Croazia vi è ancora una scarsa comprensione delle diverse forme del dialogo civile. Benché il governo croato abbia già creato condizioni generali utili ed efficaci per questo tipo di dialogo, attualmente esso è ancora agli inizi. Finora solo raramente si è riusciti a raggiungere veramente, rispetto ad una problematica specifica, un ampio consenso nel settore civile tramite un'estesa rappresentanza di interessi. L'impegno per l'elaborazione di una legge sull'informazione del pubblico e l'interesse per le questioni ambientali relativamente al progetto del gasdotto Družba-Adria e alla costruzione di un terminal per il gas naturale liquefatto (GNL) sulla costa adriatica danno tuttavia motivo di sperare. |
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3.3.5. |
A questo proposito il Comitato sottolinea che un dialogo civile strutturato complementare al dialogo sociale costituisce un elemento imprescindibile della democrazia partecipativa. Non può però limitarsi unicamente alla possibilità di consultazione, ma deve soprattutto garantire, in linea con il principio — proprio della società civile — di un'azione dal basso verso l'alto, il diritto alla partecipazione. |
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3.3.6. |
In ogni caso il quadro istituzionale già esistente in Croazia per la creazione di un modello moderno di democrazia partecipativa è molto promettente. |
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3.3.6.1. |
L'Ufficio del governo croato per la cooperazione con le ONG ( Ured Vlade Republike Hrvatske za udruge ), creato nel 1998, è stata la prima istituzione pubblica incaricata di avviare una cooperazione strutturata tra lo Stato e la società civile. Nel frattempo, questo organismo gestisce anche le non irrilevanti risorse destinate alla società civile croata (85,94 milioni di HRK), propone soluzioni legislative per il settore e coordina le attività dei soggetti nazionali, regionali e locali. Nel 2006 alle organizzazioni della società civile croate sono stati erogati finanziamenti per un importo totale di HRK 321 626 823,06 (circa 44,1 milioni di euro). L'organismo è anche incaricato di vigilare sull'attuazione della strategia nazionale per la creazione di un contesto favorevole allo sviluppo della società civile, adottata nel luglio 2006. Nella strategia sono state descritte la situazione della società civile e le sue finalità, articolate in dieci settori:
Il piano di azione (Operativni Plan) adottato dal governo il 1o febbraio 2007 prevede misure specifiche per il periodo 2007-2011 ed elenca anche le istituzioni responsabili. |
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3.3.6.2. |
Il consiglio per lo sviluppo della società civile ( Savjet za razvoj civilnog društva ), creato nel 2002, è un organo consultivo del governo croato. Il suo compito è quello di elaborare strategie per lo sviluppo della società civile e il monitoraggio dell'attuazione dei programmi di cooperazione del governo con il settore. Il consiglio è composto in modo paritetico da dieci rappresentanti degli enti governativi competenti e da dieci rappresentanti della società civile organizzata, come pure da tre esperti. Il secondo mandato del consiglio, ufficialmente scaduto nel luglio del 2006, è stato prorogato dal governo fino al 1o febbraio 2007. Nel corso dell'Assemblea costitutiva del nuovo consiglio, tenutasi il 16 febbraio 2007, è stato nominato un nuovo presidente. A metà luglio 2007 il consiglio aveva già tenuto cinque riunioni. |
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3.3.6.3. |
La fondazione nazionale per lo sviluppo della società civile ( Nacionalna zaklada za razvoj civilnoga društva ), creata nel 2003 dal Parlamento croato, agisce all'esterno delle strutture amministrative nazionali e locali. Il compito principale della fondazione consiste nel mettere a disposizione risorse finanziarie e competenze per i programmi destinati a promuovere la sostenibilità delle organizzazioni di pubblica utilità, la cooperazione transettoriale, le iniziative dei cittadini, le attività di volontariato, ecc. La fondazione è finanziata dal bilancio dello Stato tramite le entrate provenienti dai giochi d'azzardo statali e mediante contributi stranieri (ad esempio attraverso la Commissione europea). Nella direzione di questa struttura innovativa sono presenti, allo stesso titolo, rappresentanti delle autorità, rappresentanti della società civile organizzata ed esperti. |
4. Analisi
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4.1. |
Il Comitato riconosce e apprezza gli sforzi intrapresi dalla Croazia per proseguire speditamente nei negoziati di adesione e ritiene anche che vi siano buone premesse perché questo ritmo non venga interrotto dalla campagna elettorale dell'autunno di quest'anno. Il Comitato osserva tuttavia che le misure da adottare nel settore legislativo, ma anche ai fini della riforma amministrativa, devono essere quanto più possibile semplici, trasparenti e soprattutto sostenibili. L'iniziativa del governo croato di introdurre nel paese un sistema «a sportello unico» per la registrazione delle società costituisce, secondo il Comitato, un passo molto importante in questa direzione. A questo proposito il Comitato si compiace espressamente anche dell'attuazione del progetto Hitrorez, inteso a ridurre il numero delle leggi e disposizioni inefficaci e superate e nel cui ambito è già stata proposta l'abrogazione di 420 disposizioni che riguardano le imprese. Bisognerà comunque evitare che queste misure legislative conducano all'abolizione di legittimi diritti di protezione dei lavoratori e, in ogni caso, occorre mantenere il livello raggiunto di garanzia dei diritti umani sociali e collettivi. Inoltre il Comitato ritiene che disposizioni più chiare e semplici possano costituire anche un mezzo ulteriore per combattere la corruzione: grazie a questo pacchetto di misure, la Croazia può essere presa a modello per l'intera regione. Anche nel quadro delle norme di procedura sarà necessario effettuare un'ulteriore semplificazione. In ogni caso si deve evitare che la portata delle nuove misure legislative venga limitata da leggi che non sono ancora state adattate, poiché in questo modo si potrebbero manifestare effetti negativi, come ad esempio un'indesiderata incertezza giuridica, proprio nella prima, delicata, fase di partecipazione all'UE. La durata eccessiva dei procedimenti giudiziari costituisce, secondo il Comitato, un problema ancora da risolvere: spesso proprio le parti processuali socialmente più deboli vengono danneggiate da processi che si protraggono talvolta per anni, oppure vengono dissuase dall'avviare i procedimenti necessari. Una possibile soluzione nel campo delle procedure in materia di occupazione potrebbe essere la creazione di tribunali del lavoro e collegi arbitrali, che renderebbe le procedure più brevi e più semplici. Anche nel campo dei trasferimenti immobiliari appaiono necessarie ulteriori misure finalizzate ad una maggiore trasparenza per garantire agli investitori stranieri la necessaria sicurezza di pianificazione. Un passo importante per il conseguimento di questo obiettivo è il processo, avviato dal governo croato, inteso a digitalizzare i registri fondiari e a consentirne la consultazione on-line. |
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4.2. |
A questo proposito il Comitato riconosce che la Croazia si trova in una situazione particolarmente difficile, poiché deve gestire i preparativi per l'allargamento e affrontare le conseguenze della guerra civile (Domovinski rat) al tempo stesso. |
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4.3. |
Secondo il Comitato, l'adempimento dei criteri di adesione non può essere l'unico obiettivo dei negoziati di adesione. Il ruolo attivo e il contributo dei soggetti qualitativamente e quantitativamente rappresentativi della società civile proprio nell'ultima fase prima dell'adesione sarà fondamentale in molti settori per determinare l'atteggiamento dei cittadini croati nei confronti dell'adesione. In seguito, questi stessi rappresentanti della società civile organizzata contribuiranno notevolmente, sia nel quadro del dialogo sociale già esistente sia come soggetti del dialogo civile, a far sì che le norme del corpus legislativo comunitario (acquis comunitario) vengano effettivamente attuate e/o applicate in tutti i settori. Non bisogna però dimenticare che, proprio nei primi tempi dopo l'adesione della Croazia, sarà importante, nel quadro dell'attuazione dell'acquis comunitario, ma anche nel monitoraggio di tale processo, poter contare su organizzazioni della società civile forti ed efficienti nel lungo periodo. Un ruolo altrettanto importante spetterà loro in campo amministrativo, ad esempio nella gestione dei fondi comunitari. In alcuni settori (ad esempio le PMI, le libere professioni e l'agricoltura) mancano ancora strutture orizzontali di questo tipo, adeguate alle esigenze e sostenibili. Il rafforzamento dei soggetti della società civile che soddisfano tutti i criteri di rappresentatività non è quindi esclusivamente un obiettivo da perseguire nel quadro dei negoziati di adesione, bensì una misura che avrà effetti positivi, in particolare anche dopo l'adesione della Croazia all'UE. |
5. Conclusioni
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5.1. |
Il governo croato si è prefisso l'obiettivo di creare i presupposti necessari all'adesione all'UE entro il 2009. Il Comitato è determinato, nell'ambito delle sue competenze, a dare un forte sostegno alla Croazia in questo sforzo. In occasione degli ultimi due allargamenti dell'UE il Comitato ha avuto modo di maturare importanti esperienze, di cui vorrebbe ora avvalersi, in funzione delle possibilità concrete, nel quadro dell'attuale processo di allargamento alla Croazia, nell'interesse e a vantaggio di ambo le parti. |
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5.2. |
Secondo il parere del Comitato, questa cooperazione dovrebbe svolgersi nel modo più pragmatico, incentrato sui problemi e meno burocratico possibile. Essa deve essere guidata dalla convinzione comune che la società civile organizzata, oltre ad essere un importante partner consultivo nel processo di formazione delle opinioni e del consenso, svolgerà un ruolo essenziale e soprattutto duraturo dopo l'adesione. La presenza di organizzazioni della società civile efficienti e rispondenti ai criteri qualitativi e quantitativi della rappresentanza è indispensabile quando si tratta di dare corpo all'elemento partecipativo di una democrazia moderna. Tali organizzazioni saranno fondamentali per la Croazia come nuovo Stato membro dell'UE anche nell'attuazione e nell'applicazione pratica della legislazione adattata. Nell'adempimento dei compiti attuali e futuri il Comitato offre il proprio aiuto e la propria collaborazione, che potrebbe realizzarsi, ad esempio, tramite le seguenti iniziative:
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Bruxelles, 24 ottobre 2007.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Parere del CESE del 31.3.2004 sul tema La candidatura della Croazia all'adesione all'UE (relatore: STRASSER), punto 5.5: «Perché l'avvicinamento dell'economia croata alle condizioni del mercato interno europeo vada a buon fine, bisogna che anche la società civile partecipi alle necessarie riforme e ai necessari interventi di liberalizzazione e di adeguamento al diritto comunitario. A tal fine è essenziale dare alla popolazione informazioni costanti ed esaustive sul significato e sulle ripercussioni dell'integrazione nell'Unione europea e coinvolgere le organizzazioni rappresentative della società civile nei processi di decisione politica» (GU C 112 del 30.4.2004, pag. 68).
(2) Parere del CESE del 22 settembre 1999 sul tema Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea, relatrice: SIGMUND (GU C 329 del 17.11.1999, pag. 30).
(3) Parere del CESE del 22 settembre 1999 sul tema Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea, relatrice: SIGMUND (GU C 329 del 17.11.1999, pag. 30).
Parere del CESE del 25 aprile 2001 sul tema La società civile organizzata e la governance europea — Contributo del Comitato all'elaborazione del Libro bianco, relatori: SIGMUND e RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 193 del 10.7.2001, pag. 117).
Parere del CESE del 14 febbraio 2006 sul tema La rappresentatività delle organizzazioni europee della società civile nel contesto del dialogo civile, relatore: OLSSON (GU C 88 dell'11.4.2006, pag. 41).
(4) Quality of life in Croatia: key findings from national research (Qualità della vita in Croazia: risultati principali della ricerca nazionale), Dublino 2007 (testo non disponibile in italiano).
(5) Secondo i dati disponibili, attualmente in Croazia sono registrate circa 27 000 associazioni.
(6) Attualmente in Croazia esistono circa 90 fondazioni.