ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 256

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

50o anno
27 ottobre 2007


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo
436a Sessione plenaria del 30 e del 31 maggio 2007

2007/C 256/01

Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema Contributo al Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007 — Tabella di marcia per il processo costituzionale

1

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

437a Sessione plenaria dell'11 e del 12 luglio 2007

2007/C 256/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale COM(2005) 276 def. — 2005/0127 (COD)

3

2007/C 256/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona)

8

2007/C 256/04

Parere della Comitato economico e sociale europeo sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona)

17

2007/C 256/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Revisione dell'acquis relativo ai consumatori COM(2006) 744 def.

27

2007/C 256/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai retrovisori dei trattori agricoli o forestali a ruote COM(2007) 236 def. — 2007/0081 (COD)

31

2007/C 256/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Definizione di una politica energetica per l'Europa (strategia di Lisbona)

31

2007/C 256/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle

39

2007/C 256/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al trasporto interno di merci pericolose COM(2006) 852 def. — 2006/0278 (COD)

44

2007/C 256/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulle applicazioni di navigazione satellitare COM(2006) 769 def.

47

2007/C 256/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Programma indicativo per il settore nucleare — Presentato, per parere, al Comitato economico e sociale europeo ai sensi dell'articolo 40 del Trattato Euratom COM(2006) 844 def.

51

2007/C 256/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle Conferenze marittime — Convenzione delle Nazioni Unite COM(2006) 869 def. — 2006/0308 (COD)

62

2007/C 256/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Identificazione a radiofrequenza (RFID)

66

2007/C 256/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Galileo a un bivio: l'attuazione dei programmi europei di navigazione satellitare (GNSS) COM(2007) 261 def.

73

2007/C 256/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione biennale sulla strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile

76

2007/C 256/16

Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche sui prodotti fitosanitari COM(2006) 778 def. — 2006/0258 (COD)

86

2007/C 256/17

Parere del Comitato economico e sociale sul tema Innovazione: l'impatto sulle mutazioni industriali e il ruolo della BEI

88

2007/C 256/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona)

93

2007/C 256/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata

102

2007/C 256/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La flessicurezza (dimensione della flessibilità interna — contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro)

108

2007/C 256/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Occupabilità e imprenditorialità — La società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere

114

2007/C 256/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La salute nel contesto del fenomeno migratorio

123

2007/C 256/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le euroregioni

131

2007/C 256/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni tra l'UE e l'America centrale

138

2007/C 256/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea

144

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo 436a Sessione plenaria del 30 e del 31 maggio 2007

27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/1


Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema Contributo al Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007 — Tabella di marcia per il processo costituzionale

(2007/C 256/01)

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, nella sua riunione del 29 maggio 2007, ha deciso di presentare all'Assemblea plenaria una risoluzione sulla tabella di marcia relativa al processo costituzionale quale contributo al Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato la seguente risoluzione con 171 voti favorevoli, 18 voti contrari e 16 astensioni.

1.

Il CESE ribadisce con decisione quanto affermato nei pareri del 24 settembre 2003 (1) e del 28 ottobre 2004 (2) sul Trattato costituzionale e in quello del 17 maggio 2006 (3), nonché nella risoluzione del 14 marzo 2007 per il 50o anniversario della firma dei Trattati di Roma (4). In tutti questi documenti il CESE ha dichiarato di sostenere senza riserve il «metodo convenzionale», come pure il risultato raggiunto.

2.

Il CESE continua a sostenere il Trattato costituzionale, che si differenzia sostanzialmente e in modo positivo da tutti i testi istituzionali prodotti finora dalle diverse conferenze intergovernative per la revisione dei Trattati di Roma. Esso, infatti, è frutto di un dibattito libero e pubblico al quale hanno partecipato parlamentari nazionali ed europei, raggruppa in modo sistematico in un unico testo tutto il corpus politico-istituzionale dei trattati sviluppatosi dalla fondazione delle Comunità europee ad oggi, contiene le disposizioni per le necessarie riforme istituzionali e procedurali del sistema decisionale dell'Unione europea, descrive gli obiettivi che quest'ultima deve perseguire, enuncia i valori su cui essa deve fondare le sue politiche e codifica i diritti fondamentali che essa deve rispettare e tutelare.

3.

Tutto ciò giustifica la scelta di denominare il progetto della Convenzione Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa. Per una serie di malintesi tuttavia il termine «costituzione» è stato respinto in alcuni Stati membri. Il CESE non si oppone a che il nuovo Trattato venga chiamato in un altro modo: la sostanza del testo è più importante della sua denominazione.

4.

In quanto rappresentante istituzionale della società civile organizzata, il CESE ritiene che il Trattato costituzionale debba continuare a essere sostenuto per le seguenti ragioni di fondo che contribuiscono al rafforzamento della legittimità democratica dell'Unione:

l'aumento delle competenze del Parlamento europeo mediante l'estensione della codecisione a nuovi ambiti,

una maggiore partecipazione dei parlamenti nazionali alle attività dell'Unione europea: il Trattato attribuisce loro un diritto di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà,

il miglioramento della trasparenza delle deliberazioni del Consiglio dell'Unione europea,

il rafforzamento del ruolo del dialogo sociale autonomo e il riconoscimento delle parti sociali quali attori dell'opera di unificazione europea,

il riconoscimento dell'importanza della democrazia partecipativa, specie per il fatto che le istituzioni europee sono tenute a intrattenere un dialogo trasparente e regolare con le organizzazioni della società civile e i cittadini dell'Unione,

nella stessa ottica, l'introduzione di un diritto di iniziativa dei cittadini dell'Unione.

5.

Il CESE ricorda che i capi di Stato o di governo di tutti gli Stati membri dell'UE riuniti nel Consiglio europeo hanno approvato il Trattato costituzionale e lo hanno sottoscritto solennemente a Roma il 29 ottobre 2004. Da allora, esso è stato ratificato da una maggioranza di due terzi degli Stati membri, con una popolazione che rappresenta una netta maggioranza dei cittadini dell'Unione europea. Il CESE insiste perciò sul fatto che il Trattato costituzionale resti la base delle future deliberazioni intese a risolvere la crisi in atto.

6.

Il CESE sostiene l'intenzione della presidenza tedesca di presentare al Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007 una tabella di marcia dei prossimi passi da compiere per risolvere la crisi, e accoglie con favore il fatto che la Dichiarazione di Berlino del 25 marzo 2007 indichi le elezioni del Parlamento europeo del 2009 come termine per l'entrata in vigore del nuovo Trattato.

7.

Ciò significa che entro la fine del 2007 una breve conferenza intergovernativa dovrà decidere le modifiche da apportare al progetto esistente per raggiungere un nuovo consenso. Il mandato di questa conferenza intergovernativa consisterà pertanto nello specificare con precisione le poche disposizioni su cui si potranno riaprire le consultazioni. Il risultato dovrebbe essere ratificato da tutti gli Stati membri nel corso del 2008.

8.

Il nuovo dibattito sul Trattato deve puntare al mantenimento della sostanza di quanto deciso nel quadro della Convenzione europea e poi approvato all'unanimità dai capi di Stato e di governo. Si tratta innanzi tutto delle novità istituzionali e procedurali e del carattere vincolante della Carta dei diritti fondamentali. Ciò significa che le parti I (Obiettivi, Istituzioni e Struttura dell'Unione), II (Carta dei diritti fondamentali dell'Unione) e IV (Disposizioni generali e finali) devono essere mantenute nella forma attuale. La parte III, che contiene essenzialmente le disposizioni dei vigenti Trattati relative alle politiche dell'Unione europea, non deve necessariamente essere integrata nel nuovo Trattato, ma le sue disposizioni istituzionali e procedurali, nella misura in cui vanno al di là del diritto attualmente in vigore, dovrebbero essere inserite nella parte I.

9.

Il CESE seguirà in modo costruttivo i lavori della conferenza intergovernativa. Insiste però anche sul fatto che, malgrado la probabile brevità di tale conferenza e il suo limitato mandato, le organizzazioni della società civile abbiano la possibilità di parteciparvi a titolo consultivo. Il CESE è pronto ad organizzare insieme alla presidenza del Consiglio gli opportuni incontri informativi e consultivi: al riguardo può avvalersi delle esperienze positive maturate sia con il Parlamento europeo che con il Presidium della Convenzione europea durante i lavori di quest'ultima.

10.

È importante porre fine con urgenza all'attuale crisi adottando un Trattato che soddisfi le esigenze di un'Unione a 27 Stati membri. Le nuove sfide da affrontare rendono infatti necessario che l'Unione europea raggiunga un accordo in merito a nuove politiche e adotti decisioni di ampia portata, soprattutto in merito allo sviluppo del modello di società europeo, di cui i servizi di interesse generale sono un elemento costitutivo, al rafforzamento della dimensione sociale dell'integrazione europea, alla gestione degli effetti negativi derivanti dalla globalizzazione di tutte le relazioni economiche, sociali e culturali, alla promozione della crescita economica e al rafforzamento della competitività, alla lotta contro il cambiamento climatico, alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico, alla soluzione dei problemi legati all'immigrazione e alla lotta contro la povertà e l'esclusione sociale.

Bruxelles, 30 maggio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del Comitato economico e sociale europeo destinato alla Conferenza intergovernativa 2003 (CESE 1171/2003). GU C 10 del 14.1.2004.

(2)  Parere del CESE sul tema Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa (GU C 120 del 20.5.2005).

(3)  Parere del CESE del 17 maggio 2006 sul tema Contributo del CESE al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006Periodo di riflessione (GU C 195 del 18.8.2006).

(4)  GU C 161 del 13.7.2007.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

437a Sessione plenaria dell'11 e del 12 luglio 2007

27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/3


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale

COM(2005) 276 def. — 2005/0127 (COD)

(2007/C 256/02)

Il Consiglio, in data 21 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 76 voti favorevoli e 3 voti contrari.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato seguirà con attenzione l'applicazione coordinata della direttiva del 2004 e della proposta modificata di direttiva in esame, nonché delle pertinenti decisioni quadro integrative, per verificare nel tempo l'efficacia della lotta contro la contraffazione e le sue ramificazioni internazionali, anche fuori dal territorio dell'Unione europea.

1.2

Il Comitato, pur favorevole all'impostazione generale delle disposizioni proposte, invita la Commissione a prendere in considerazione le osservazioni formulate in questo parere, che propone di concentrare le azioni di repressione e di cooperazione in campo penale e doganale soprattutto sulle imprese di contraffazione su larga scala e sulle contraffazioni commesse da organizzazioni criminali.

1.3

Il Comitato auspica in particolare che la direttiva possa applicarsi a tutti i diritti di proprietà industriale e non escludere, quindi, i brevetti d'invenzione, che ne costituiscono la componente più importante per l'industria europea; la necessità dell'inclusione del diritto d'autore non gli sembra al contrario così evidente, tenuto conto dell'attuale contesto d'instabilità che circonda questo diritto e degli sviluppi giuridici e tecnologici in atto.

1.4

Il CESE rileva la vaghezza di alcuni concetti giuridici, come le locuzioni «scala commerciale» o «carattere commerciale» delle violazioni, contenuti nella proposta di direttiva in esame; tale vaghezza contravviene ai principi fondamentali del diritto penale secondo i quali gli elementi del reato devono essere chiari, precisi e determinati. Il CESE si oppone altresì alle modalità di fissazione delle sanzioni di cui all'articolo 2 della proposta di direttiva, in quanto ritiene opportuno stabilire soltanto un quadro generale di sanzione penale (limitandosi, cioè, a fissare una pena detentiva, un'ammenda o una multa) lasciando alle normative nazionali la competenza esclusiva di stabilire la misura delle sanzioni da comminare.

2.   Introduzione

2.1

Nel comunicato stampa MEMO/05/437 del 23 novembre 2005, che riassume la comunicazione adottata quello stesso giorno, la Commissione si compiace per la sentenza della Corte di giustizia che riconosce le competenze della Comunità in materia di adozione di misure penali dissuasive e proporzionate volte a garantire l'applicazione delle norme relative alle politiche comunitarie previste dal TCE.

2.2

Nella comunicazione summenzionata la Commissione espone la sua interpretazione della sentenza della Corte (emessa il 13 settembre 2005), che ha annullato una decisione quadro del Consiglio relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale. Secondo la Commissione, la Corte ha ritenuto che la Comunità sia competente ad adottare le misure di diritto penale necessarie a garantire l'effettività del diritto comunitario. A parere della Commissione, la portata di questa sentenza si estende ben al di là del settore ambientale ed essa si applica a tutte le politiche comunitarie e alle libertà fondamentali riconosciute dal Trattato. L'introduzione di sanzioni penali nel diritto comunitario dev'essere giustificata da una necessità debitamente motivata e rispettare la coerenza complessiva del diritto penale dell'UE.

2.3

Questa interpretazione estensiva di una sentenza in materia di protezione dell'ambiente non ha ottenuto l'adesione unanime degli Stati membri e della dottrina. Molti, infatti, ritengono che le incriminazioni e la scala delle relative sanzioni penali siano questioni da trattare essenzialmente nel quadro della sussidiarietà e che la loro eventuale armonizzazione a livello dell'Unione europea rientri nell'ambito della cooperazione giudiziaria intergovernativa prevista dal TUE.

2.4

Va osservato che quest'ultima interpretazione trova un consenso molto ampio nel Parlamento europeo perché i settori in cui vi può essere una competenza penale comunitaria non dipendono più soltanto dall'unanimità raggiunta dagli Stati membri nel Consiglio, ma possono essere oggetto di una decisione a maggioranza qualificata nell'ambito di una procedura di codecisione, che coinvolge il Parlamento europeo, le cui competenze di colegislatore sono così state ampliate (1).

2.5

Si tratta, tuttavia, di un'estensione considerevole delle competenze comunitarie, risultante da una decisione del giudice, e i rischi di interpretazioni divergenti tra le istituzioni possono, tra l'altro, ritardare l'adozione di documenti legislativi in cui figurino disposizioni penali, ovvero limitarne a posteriori la loro portata, in seguito, per esempio, a nuovi ricorsi in giudizio, o a compromessi. Nel caso di questa proposta di direttiva, la questione dell'inclusione o meno dei brevetti d'invenzione nel campo della tutela penale rimane aperta in quanto il Parlamento ritiene che la sentenza della Corte riguardi soltanto il diritto di origine comunitaria, mentre per la Commissione è tutto il diritto in materia di proprietà intellettuale che è interessato, quello comunitario come quello degli stati membri.

3.   Le proposte della Commissione

3.1

La proposta modificata di direttiva COM(2006) 168 def. mira a stabilire un quadro penale orizzontale e armonizzato che garantisca il rispetto dei diritti di proprietà industriale e di proprietà letteraria e artistica, nonché degli altri diritti su beni immateriali assimilati (riuniti sotto la denominazione «proprietà intellettuale»). Essa riguarda il mercato interno ed è motivata dall'asserita necessità di un intervento comunitario in questo campo, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. La base giuridica è l'articolo 95 TCE.

3.2

La proposta modificata di direttiva mira a stabilire un quadro penale generale che definisca i «diritti di proprietà intellettuale» (DPI) protetti, le violazioni di tali diritti e le sanzioni penali massime applicabili al fine di armonizzare, nell'ambito del mercato interno, la repressione penale della contraffazione di beni materiali, servizi e creazioni intellettuali e artistiche protetti dal diritto sostanziale europeo e dai diritti nazionali, dalle pertinenti convenzioni internazionali, in particolare l'ADPIC (2), concluso nel 1994 in sede OMC, che contiene disposizioni relative alla sanzione penale (3) delle violazioni di determinati diritti oggetto di tutela.

3.3

Una direttiva adottata nel 2004 stabilisce già un quadro di tutela contro la copia, la pirateria e la contraffazione (4) a fini commerciali; la Commissione, con una dichiarazione, ha poi specificato in un elenco dettagliato i diritti tutelati dall'articolo 2 della direttiva (5). Si tratta dei diritti di proprietà industriale (diritti brevettuali per invenzioni industriali e diritti derivanti da certificati protettivi complementari, diritti relativi ai modelli di utilità, diritti relativi ai marchi, indicazioni geografiche, diritti relativi ai disegni e modelli, diritti di privativa per ritrovati vegetali) e del diritto d'autore e dei diritti ad esso connessi, nonché dei diritti sui generis — creati dal diritto comunitario — del costitutore di una banca di dati e dei creatori di topografie di prodotti a semiconduttori. Si tratta di diritti esclusivi, che dal punto di vista giuridico si considerano parte integrante del diritto di proprietà su beni immateriali. Alcuni di tali diritti rientrano nell'acquis comunitario, ovvero formano oggetto di una tutela sostanziale comunitaria organizzata (disegni e modelli, marchi, ritrovati vegetali) (6). Altri, come i brevetti sono disciplinati esclusivamente dal diritto nazionale, nell'attesa di un brevetto comunitario invocato da tutti i settori industriali. Con la denominazione consolidata di proprietà intellettuale si designa un settore molto eterogeneo di diritti su beni immateriali, la cui natura e il cui regime giuridico differiscono notevolmente.

3.4

L'ADPIC impone ai paesi membri dell'Accordo l'adozione di una normativa nazionale adeguata in materia di procedimenti e di sanzioni penali contro la contraffazione a fini commerciali; tuttavia essi continuano ad avere un certo margine di discrezionalità e, inoltre, alcuni paesi — tra cui alcuni Stati membri dell'UE — non hanno ancora messo in atto una repressione penale proporzionata alle violazioni dei DPI commesse nel loro territorio. La direttiva del 2004 consente alle vittime di tali violazioni di ottenere riparazione, imponendo agli Stati membri obblighi in materia di indagine, procedura, sequestro (7) e indennizzo al fine di armonizzare il diritto applicabile e contrastare la criminalità organizzata (8), molto attiva nel campo della contraffazione. Tuttavia, tale direttiva concerne solo le procedure e le sanzioni in materia civile, commerciale e amministrativa, che mirano soprattutto al risarcimento dei danni causati ai titolari dei diritti protetti che hanno promosso un'azione contro i contraffattori e, ad ogni modo, alcuni Stati membri non le hanno ancora dato attuazione.

3.5

La tutela della «proprietà intellettuale» è sancita dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE (dichiarazione solenne adottata a Nizza nel dicembre 2000). Mediante alcune convenzioni concluse nel quadro delle competenti organizzazioni specializzate dell'ONU (OMPI, Unesco) o in ambito regionale (convenzione di Monaco del 1973, che ha istituito l'UEB e il brevetto europeo) è prevista e garantita anche una tutela internazionale. Attualmente solo l'ADPIC contiene delle disposizioni penali minime. La proposta della Commissione è volta ad armonizzare in una certa misura i diritti nazionali, obbligando gli Stati membri a introdurre nel loro diritto interno delle sanzioni penali, con definizioni comuni dei reati e sanzioni tipo.

3.6

La proposta modificata di direttiva mira quindi a ravvicinare il livello delle sanzioni penali comminate per violazioni dei DPI per quanto riguarda le pene restrittive della libertà personale, le ammende penali e la confisca. Inoltre, stabilisce delle regole di competenza giudiziaria per accentrare, ove possibile, i procedimenti in un solo Stato membro e agevolare le indagini quando la violazione interessi vari Stati membri. Si propone che le vittime o i loro rappresentanti siano associati alle indagini.

3.7

La novità principale, rispetto alle proposte precedenti, consiste nella fissazione del livello e della natura delle sanzioni penali applicabili alle incriminazioni per violazioni dei DPI, che sono anch'esse definite nella proposta.

3.8

Le persone fisiche responsabili dei reati di cui all'articolo 3 della proposta di direttiva dovrebbero essere soggette a una pena massima di almeno 4 anni di reclusione, quando tali reati siano commessi nell'ambito di un'organizzazione criminale e comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone (articolo 2, paragrafo 1, proposta di decisione quadro).

3.9

Le persone fisiche o giuridiche responsabili dei reati di cui all'articolo 3 della proposta di direttiva dovrebbero essere passibili di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, che comprendono ammende penali o non penali il cui importo massimo non può essere inferiore a 100 000 euro (300 000 euro nei casi gravi di cui all'art. 2, par. 1, fatta salva l'applicazione di pene più severe, in particolare nel caso di rischio di decesso o di infermità).

3.10

Misure di diritto nazionale dovrebbero prevedere, quantomeno nei casi gravi, la confisca dei beni contraffatti nonché degli strumenti e dei proventi dei reati (reati commessi nell'ambito di un'organizzazione criminale e che comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone) (articolo 3 della proposta di decisone quadro).

3.11

La proposta modificata di direttiva consente agli Stati membri di adottare disposizioni che vadano oltre i livelli da essa stabiliti.

3.12

In seguito al ritiro della proposta di decisione quadro del Consiglio che accompagnava la proposta iniziale, la Commissione prevede di applicare l'approccio orizzontale nel quadro delle procedure penali adottato il 23 dicembre 2005, approccio che si prefigge di sostenere la cooperazione giudiziaria e di portare le diverse pene a livelli comparabili tra gli Stati membri dando attuazione concreta a Eurojust (9).

3.13

Agli Stati membri spetta avviare le indagini o i procedimenti penali, che non dovrebbero dipendere soltanto da una denuncia delle vittime.

4.   Osservazioni generali del Comitato

4.1

Il Comitato constata l'utilizzo sempre più frequente di un concetto vago, quello di «proprietà intellettuale», che combina dei concetti giuridici ben distinti e diverse modalità di tutela ed esercizio; l'uso di questo termine è stato tuttavia sancito dal diritto europeo e internazionale. La natura, la durata e la portata di ciascuno dei diritti sui beni immateriali in questione presentano sensibilissime differenze, ciascuno di essi rientra in uno specifico regime giuridico, ha una validità territoriale variabile e fa capo ad organi particolari di registrazione e di tutela; inoltre, l'interpretazione delle violazioni di tali diritti può variare a seconda del paese interessato e, in certi casi, si modifica rapidamente.

4.2

L'analisi della composizione di medicinali (senza che ciò dia luogo a uno sfruttamento né alla pubblicazione dei risultati) oppure la reverse engineering di software o di componenti elettroniche a fini di interoperabilità, ovvero ancora un diritto legittimo come quello alla copia per uso privato, esercitato aggirando un dispositivo (in generale abbastanza debole) di protezione, possono essere considerati come contraffazione o copia illegale in molti paesi membri, in cui le pene, inoltre, possono essere molto elevate, anche se non è presente alcun obiettivo commerciale o nessun elemento di associazione criminale.

4.2.1

Il Comitato si è già pronunciato a favore di una lotta coordinata a livello comunitario contro le varie forme di contraffazione commerciale che colpiscono l'economia europea e a favore della repressione dei vari reati che ledono la proprietà industriale e i diritti di autore (10), causando notevoli danni all'economia europea. La contraffazione su larga scala è sovente un'attività svolta da organizzazioni criminali o bande organizzate e può porre in pericolo la salute, la sicurezza o la vita delle persone: circostanze, queste, che devono costituire altrettante aggravanti nella determinazione delle sanzioni penali. La proposta di direttiva dovrebbe mantenere il principio dell'inasprimento delle sanzioni per l'insieme delle circostanze aggravanti.

4.2.2

Come già per la direttiva del 2004, il Comitato approva la scelta di limitare l'armonizzazione di cui alla direttiva proposta alle violazioni commesse su scala commerciale e dunque di natura tale da avere ripercussioni sostanziali sul mercato interno. Tuttavia, sarebbe opportuno definire meglio questo carattere «commerciale», precisando ad esempio che i beni o servizi contraffatti sono destinati alla vendita in quantità tali da causare un pregiudizio economico significativo oppure che essi sono pericolosi per le persone, indipendentemente dalla quantità venduta, o che, in ogni caso, gli autori di questi reati operano allo scopo di ricavare un guadagno illecito. L'applicazione di sanzioni penali presuppone una violazione evidente dell'ordine pubblico, la quale, però, può variare in intensità e gravità: la graduazione dei reati e delle pene deve essere proporzionata a tale violazione, ma è lecito chiedersi se la distinzione tra le «violazioni del diritto di proprietà intellettuale commesse su scala commerciale» e le «violazioni gravi» o il rigore delle sanzioni penali proposte siano veramente conformi al principio di proporzionalità inerente al diritto penale. Peraltro, gli scambi tra privati di file in Internet oppure la riproduzione (o il remix musicale) e la rappresentazione di opere, materiali o intellettuali, effettuata in un contesto familiare o privato o a fini di studio e di ricerca sono implicitamente esclusi dal campo di applicazione della normativa proposta. Sarebbe opportuno rendere esplicita tale esclusione.

4.2.3

Il Comitato ritiene importante ricordare che i diritti su beni immateriali violati dalla contraffazione non sono dei diritti assoluti: ciascuno di essi ha delle caratteristiche proprie e, in linea di principio, attribuisce un'esclusiva e un monopolio temporaneo di sfruttamento economico la cui validità ha una durata e un'estensione geografica variabili; ciascuno di tali diritti, insomma, istituisce una misura protezionistica limitata nel tempo (in contropartita della pubblicazione delle invenzioni nel caso dei brevetti o sulla base della creazione di un'opera, nel caso del diritto d'autore); tuttavia, anche i titolari delle licenze d'uso e gli utilizzatori legittimi o in buona fede dei prodotti, servizi od opere dell'ingegno hanno diritti, talora molto ampi nell'ambito di certe licenze d'uso (11). Ora, molti diritti nazionali presentano incoerenze e privilegiano spesso in modo unilaterale i diritti dei produttori, dei distributori e delle industrie rispetto a quelli dei consumatori. La volontà di introdurre nei diritti nazionali sanzioni penali pesanti sembra essere parte di questa tendenza. Si giunge al paradosso per cui il massimo della pena prevista nella proposta per un'infrazione commessa su scala commerciale potrebbe rivelarsi uguale o addirittura inferiore a quello in vigore per una singola infrazione!

4.2.4

Il Comitato desidererebbe che la Commissione promuovesse, ad esempio mediante uno studio comparativo approfondito da condurre dopo il recepimento della direttiva, una completa revisione dei diritti penali nazionali alla luce del diritto penale comunitario, in vista di un'autentica armonizzazione a livello europeo, in particolare nel campo del diritto d'autore e dei diritti connessi. Per quanto riguarda tali diritti si registra talvolta un crescendo di sanzioni penali risultante in una graduazione di sanzioni e di pene sproporzionate, senza reale necessità dato che i modelli commerciali di diffusione delle opere sono in pieno cambiamento, con l'eliminazione prevista a breve dei DRM (Digital Rights Management — gestione dei diritti digitali ovvero della protezione contro la copia) e considerato che talvolta il regime fiscale dei supporti compensa ampiamente i titolari dei diritti per le copie abusive.

4.3   Osservazioni specifiche

4.3.1

Il Comitato preferirebbe una definizione più precisa della natura del reato di «istigazione» nel caso dei reati di contraffazione/imitazione di prodotti o servizi di proprietà intellettuale. Un reato penale comprende un elemento intenzionale, cioè la volontà di commetterlo da parte del suo autore o dei suoi complici: l'ADPIC menziona «un atto deliberato di contraffazione» e la direttiva parla di un atto intenzionale, deliberato; esso comprende anche un elemento materiale, che è l'esecuzione dell'atto o almeno il tentativo di eseguirlo, assimilabile a un inizio di esecuzione: questi due elementi sono cumulativi, la mera intenzione non essendo sufficiente a costituire il reato (a meno di non istituire un controllo della mente). Tuttavia, non si può affermare che vi sia istigazione a commettere un reato se l'«istigatore» non fornisce strumenti (in genere illeciti) al fine specifico della commissione del reato stesso. Inoltre, secondo il Comitato, la semplice fornitura di hardware o software di uso comune, oppure di un accesso ad Internet non può essere assimilata a una complicità o a un reato di «istigazione» (che in generale nel diritto penale si ritrova in situazioni molto circoscritte ed è comunque difficile da provare). Nella legislazione comunitaria dovrebbe essere sufficiente il concetto di complicità in quanto la questione dei coautori è disciplinata dai diritti nazionali. Altrimenti potrebbero risultarne incriminazioni in assenza di elementi intenzionali e ciò creerebbe grandi incertezze giuridiche in molti fornitori di prodotti o servizi.

4.3.2

La riproduzione illecita di opere, modelli, procedimenti o invenzioni protetti da un monopolio temporaneo costituisce il reato di contraffazione; bisognerebbe attenersi a questa definizione senza estenderla alla pirateria (che consiste generalmente nell'intrusione fraudolenta in un sistema informatico per assumerne il controllo e rubarvi dei dati o utilizzare la larghezza di banda, generalmente per scopi illeciti). La pirateria non è la stessa cosa della contraffazione propriamente detta e i reati penali devono sempre essere interpretati restrittivamente. L'intrusione non autorizzata nei sistemi informatici, il furto di dati, l'utilizzo abusivo della larghezza di banda e le violazioni della riservatezza devono sì formare oggetto di norme penali incriminatrici appropriate, ma non rientrano direttamente nella contraffazione. Alla repressione della pirateria informatica andrebbe riservato un trattamento specifico, anche se in molte dichiarazioni politiche questi concetti sono usati in modo impreciso e si tende a mescolarli e ad alimentare una certa confusione; la pirateria informatica è praticata nel contesto di operazioni terroristiche, quindi dovrebbe essere oggetto di un'attenzione particolare e di un'idonea cooperazione internazionale.

4.3.3

L'espressione «organizzazione criminale» o quella di criminalità organizzata usate nella relazione della proposta, dovrebbero essere completate da quella di «banda organizzata», che designa già una circostanza aggravante in alcune legislazioni penali. La commissione del reato di contraffazione commerciale da parte di una banda organizzata o nell'ambito di un'organizzazione criminale dovrebbe costituire una circostanza aggravante e quindi comportare un inasprimento delle sanzioni previste.

4.3.4

La Commissione segnala che gli Stati membri sono liberi di comminare sanzioni più gravi o di sanzionare penalmente anche altri atti. Ciò può essere interpretato come un incoraggiamento alla penalizzazione di atti che non hanno finalità commerciale ovvero all'estensione del reato di contraffazione ad attività che non costituiscono una riproduzione o una copia propriamente dette di un prodotto, di un procedimento o di un'opera.

4.3.5

Il Comitato esprime perplessità sull'assimilazione, da parte del diritto comunitario o di quello di alcuni paesi, dell'utilizzo di software di copia capaci di aggirare o rimuovere i DRM (12) (sistemi o programmi — di protezione anticopia, perlopiù deboli e non criptati) alla contraffazione di tali dispositivi, mentre quella che viene così qualificata come «contraffazione» non costituisce una copia o una riproduzione del dispositivo originale. Inoltre, i dispositivi di protezione DRM non sono standardizzati, dipendono dalla piattaforma o dal fornitore, i formati dei file possono essere coperti da privativa e tutto ciò rappresenta un ostacolo all'interoperabilità o mira a costituire dei mercati protetti («prigionieri»), evitando la concorrenza. La creazione e l'uso di dispositivi di copia che consentano al consumatore o all'impresa titolare della licenza d'uso di un software di esercitare i loro diritti (copia per uso privato, di sicurezza (backup) o compatibile con hardware di standard diverso) non dovrebbero essere penalizzati in quanto tali, ma solo se sussistono l'elemento intenzionale e quello materiale di un reato su scala commerciale.

4.3.6

Il Comitato sostiene il principio dell'indipendenza dell'azione penale pubblica rispetto alle azioni proposte in sede civile o penale dal danneggiato. Infatti, in un contesto dominato dal timore della criminalità organizzata, le parti offese potrebbero esitare a proporre un'azione a tutela dei propri diritti. Inoltre, poiché la contraffazione commerciale, in particolare se commessa da bande o organizzazioni della criminalità organizzata ovvero di tipo terroristico, si ripercuote sulle economie e sul benessere sociale, la sua repressione costituisce una responsabilità propria dello Stato.

4.3.7

Il Comitato auspica che un'effettiva cooperazione tra Stati membri consenta di affrontare efficacemente le reti internazionali della contraffazione, in particolare quelle legate alle organizzazioni criminali e alle attività di riciclaggio di denaro, ricordando nel contempo che molte di queste reti operano a partire da paesi terzi e che è indispensabile estendere l'azione al di là delle frontiere dell'Unione utilizzando i mezzi offerti dal diritto internazionale.

4.3.8

A livello comunitario, il Comitato ritiene che squadre investigative comuni dovrebbero cooperare anche con il personale delle dogane e con le vittime delle contraffazioni o i consulenti tecnici da loro nominati. Esso si compiace per il coinvolgimento delle vittime nelle indagini, ma propone di limitarne il ruolo ad attività di mera informazione delle autorità pubbliche. Sarebbe eccessivo che in seguito ad un'accusa di contraffazione su scala commerciale, si consentisse ad un'impresa, per esempio, di partecipare a dei controlli o sequestri presso un concorrente, il quale è considerato innocente fino a prova giudiziaria definitiva del contrario, ossia fino alla condanna passata in giudicato. Per il Comitato è importante evitare derive in direzione di fenomeni di giustizia privata oppure di ingerenza o interferenza abusiva nelle procedure penali da parte di persone non investite di autorità pubblica.

4.3.9

Infine, il Comitato esprime preoccupazione per la tendenza alla sempre maggiore occupazione commerciale delle reti Internet e per le richieste di estensione a questo settore di attività delle sanzioni penali previste nell'ADPIC, come risulta espressamente dalla relazione 2006 dell'Office of the United States Trade Representative («Ufficio del rappresentante degli Stati Uniti per il commercio») sui capitoli 301 e super 301 (13), in applicazione dei trattati dell'OMPI sulla proprietà intellettuale su Internet, strumento libero di rilevanza pubblica e bene comune universale.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  L'opt in del Regno Unito e dell'Irlanda e l'eccezione relativa alla Danimarca non sarebbero più opponibili alla legislazione, come succede per le iniziative che rientrano nel terzo pilastro.

(2)  Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio.

(3)  Articolo 61 ADPIC.

(4)  Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

(5)  Dichiarazione 2005/295/CE della Commissione relativa all'interpretazione dell'articolo 2 della direttiva citata.

(6)  Con l'importante eccezione del brevetto comunitario, ancora in sospeso (N.d.A.).

(7)  Decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato (contraffazione, pirateria).

(8)  Proposta di decisione quadro del Consiglio relativa alla lotta contro la criminalità organizzata. I contraffattori possono essere implicati anche nel finanziamento di reti terroristiche; il riciclaggio dei proventi della contraffazione è un atto di natura criminale che va energicamente combattuto.

(9)  COM(2005) 696 def.

(10)  Cfr. il parere pubblicato nella GU C 221 del 7.8.2001 (relatore: MALOSSE).

(11)  Licenza «Creative Commons», «General Public Licence», «BSD», licenza audiovisuale libera della BBC, ecc.

(12)  Acronimo dell'espressione Digital Rights Management (letteralmente «gestione dei diritti digitali», eufemismo per indicare la «protezione contro la copia»).

(13)  «Special 301 Report» per il 2006.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona)

(2007/C 256/03)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 31 del proprio Regolamento interno, di incaricare la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di elaborare una relazione informativa sul tema Potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona).

Nella sessione plenaria del 14 e 15 marzo 2007 l'Assemblea ha deciso di trasformare la relazione informativa in un parere di iniziativa (articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno).

La sezione specializzata Mercato unico produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FAES.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Prefazione

1.1

Nelle conclusioni della presidenza, il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha invitato il CESE a presentare una relazione di sintesi a sostegno del partenariato per la crescita e l'occupazione all'inizio del 2008.

1.2

Nelle medesime conclusioni il Consiglio europeo ha proposto settori specifici per azioni prioritarie nel periodo 2005-2008:

i.

investimenti nella conoscenza e nell'innovazione;

ii.

il potenziale delle imprese, in particolare quello delle piccole e medie imprese (PMI);

iii.

l'occupazione per le categorie prioritarie (…);

iv.

la definizione di una politica energetica per l'Europa (…); nonché

v.

misure che devono essere prese a tutti i livelli per mantenere lo slancio in tutti i pilastri del partenariato per la crescita e l'occupazione (…).

2.   Sintesi e raccomandazioni

2.1

Pur avendo già prodotto dei risultati positivi, finora la strategia di Lisbona non ha realizzato tutto il suo potenziale, in particolare per quanto concerne la crescita economica ed industriale e la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro. In termini di competizione globale, l'Europa non è ancora in grado di affrontare in maniera adeguata le sfide poste dai suoi concorrenti tradizionali e da quelli più recenti.

2.2

Le imprese europee si trovano a operare in un mercato unico ancora incompleto, in particolare per quanto riguarda l'armonizzazione della normativa fiscale, l'eccessiva lentezza nell'attuazione delle direttive da parte degli Stati membri, la persistenza degli oneri amministrativi, la scarsa mobilità dei lavoratori. Si tratta di ostacoli difficili da superare soprattutto per le PMI.

2.3

Altre sfide da raccogliere sono la carenza di spirito imprenditoriale, l'invecchiamento della popolazione e i suoi effetti sull'imprenditorialità, l'offerta di lavoro e la necessità di prestare più attenzione al trasferimento di proprietà delle imprese, l'accesso ai finanziamenti nella fase di avvio e crescita dell'impresa, l'accesso ai risultati della R&S e quindi alle opportunità di innovazione.

2.4

Le PMI svolgono un ruolo fondamentale nel conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona. Benché essenziale, il loro contributo è tuttavia stato trascurato nei primi anni di attuazione di tale strategia. In particolare, bisognerebbe sviluppare meglio la partecipazione delle associazioni di PMI alla valutazione dello stato di avanzamento di tale attuazione e il loro ruolo nella promozione delle PMI a tutti i livelli della relativa politica. In vista della prossima revisione degli Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione per il periodo 2008-2010, il CESE invoca degli orientamenti più mirati e semplificati per le PMI, specialmente per quanto riguarda il capitolo sulle riforme microeconomiche. Nel contempo, onde attuare tali orientamenti nel loro complesso, il CESE esorta il Consiglio a dare — come richiesto dal Parlamento europeo — una base giuridica alla Carta europea per le piccole imprese (2000), in modo da rafforzare la base per ulteriori azioni. Le seguenti linee e azioni politiche vanno considerate di cruciale importanza per sviluppare il potenziale imprenditoriale delle PMI.

2.4.1

Il CESE esorta la Commissione e il Consiglio a compiere ogni sforzo per contribuire a fare del principio «pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) il principio guida di tutta la legislazione pertinente.

2.4.2

Il CESE chiede che il 2009 sia proclamato «Anno europeo dell'imprenditorialità». Ciò al fine di porre l'accento sul ruolo fondamentale svolto dagli imprenditori per la crescita e il benessere e incentivare i giovani a prendere in considerazione la carriera di imprenditore.

2.4.3

Il CESE invita a compiere ogni sforzo per garantire un Programma quadro per la competitività e l'innovazione efficace, che offra un sostegno efficiente alle PMI e sia per esse più facilmente accessibile, e un 7o programma quadro di ricerca e sviluppo e dei fondi strutturali che abbiano meccanismi agevoli di accesso per le PMI. L'efficacia e l'accessibilità di questi programmi e del programma Jeremie dovrebbero essere monitorate attentamente.

2.4.4

L'attivo più prezioso di un'impresa è il suo capitale umano. Strutture di sostegno appropriate, offerte di formazione personalizzate e incentivi finanziari ben calibrati dovrebbero aiutare le PMI a migliorare, attraverso ulteriori investimenti nella formazione permanente, le capacità e le competenze specifiche dei dipendenti e degli imprenditori.

2.4.5

Il CESE invita la Commissione ad effettuare un'analisi della partecipazione delle PMI ai programmi comunitari. Qualora tale partecipazione fosse ritenuta insufficiente, si dovrebbe introdurre una percentuale minima obbligatoria.

2.4.6

Gli appalti pubblici costituiscono uno strumento importante per aiutare le PMI a sviluppare le loro attività. Bisognerebbe monitorare attentamente la partecipazione delle PMI e sviluppare misure che ne agevolino l'accesso a tali appalti. Inoltre, si dovrebbe incoraggiare lo scambio delle buone pratiche.

2.4.7

A livello della Commissione si dovrebbe creare una struttura di coordinamento per una vera politica, efficiente ed efficace, a favore delle PMI in tutti i programmi, le azioni e i provvedimenti normativi.

2.4.8

È necessario realizzare azioni specifiche intese a promuovere e ad utilizzare le migliori pratiche nel settore delle PMI e per la crescita della competitività, soprattutto nelle regioni con un basso livello di sviluppo europeo. Tali azioni dovrebbero essere realizzate attraverso le organizzazioni delle PMI.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

La strategia di Lisbona è nota soprattutto — in una visione semplicistica — come un impegno a fare di quella europea l'economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo entro il 2010. In aggiunta al quadro generale, il Consiglio europeo riunitosi a Santa Maria da Feira nel giugno 2000 ha adottato la Carta europea per le piccole imprese.

3.2

Il Comitato ricorda che, fin dall'inizio, il mandato conferito dal Consiglio europeo riunitosi a Lisbona il 23 e 24 marzo 2000:

ha sottolineato la necessità di coinvolgere attivamente le parti sociali e la società civile nell'attuazione della strategia, ricorrendo a diverse forme di partenariato,

ha precisato che il successo della strategia dipende principalmente dal settore privato e dai partenariati pubblico-privato, nonché dal coinvolgimento sia degli Stati membri che dell'Unione europea,

ha inteso garantire uno sviluppo equilibrato dei tre aspetti principali della strategia — ossia la crescita economica, la coesione sociale e la sostenibilità ambientale —, stimolando la competitività europea e la creazione di posti di lavoro e, nel contempo, attuando politiche ambientali appropriate.

3.3

Nel vertice di primavera del 2005 il Consiglio europeo ha proceduto alla revisione intermedia della strategia di Lisbona e ha deciso di rilanciare la strategia concentrandosi nuovamente sulla crescita e sull'occupazione come priorità politiche assolute dell'Unione europea. Si è raggiunto un accordo sugli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (1) che dovrebbe promuovere la coerenza delle misure di riforma e fornire una tabella di marcia per la definizione dei programmi nazionali di riforma.

3.4

Nell'evoluzione della strategia di Lisbona il perseguimento della competitività e della crescita è un elemento cruciale nel generare un aumento del benessere economico, creare occupazione, mantenere e accrescere la qualità della vita. A loro volta, anche una migliore qualità della vita, migliori condizioni sociali e la sostenibilità ambientale possono contribuire a creare occupazione. La strategia di Lisbona non ha ancora dato i risultati attesi, in particolare nei settori della crescita economica e industriale e della creazione di nuovi e migliori posti di lavoro. In termini di concorrenza globale, l'Europa incontra difficoltà. Dall'avvio del processo di Lisbona, l'UE ha registrato un importante processo di allargamento, passando da 15 a 25 e poi a 27 Stati membri.

3.5

Il Comitato desidera innanzitutto far notare che la strategia di Lisbona ha già reso possibili una serie di sviluppi positivi, tra i quali:

una consapevolezza della necessità di riforme al di là delle divisioni tradizionali,

un'espansione più rapida delle tecnologie dell'informazione e dei processi di innovazione,

un maggiore sostegno all'avvio delle imprese e al finanziamento delle PMI,

una maggiore attenzione per lo sviluppo sostenibile inteso a ridurre i disavanzi pubblici, ridare stabilità ai bilanci della protezione sociale e proteggere l'ambiente,

l'assunzione di iniziative di riforma sociale da parte delle parti sociali,

l'adozione di misure di semplificazione delle procedure giuridiche e amministrative, benché tali misure abbiano avuto finora un impatto limitato.

3.6

Malgrado questi effetti positivi, si deve soprattutto constatare che l'Europa — stretta tra i suoi grandi concorrenti tradizionali da un lato e, dall'altro, quelli emergenti che hanno costi di produzione più bassi e fanno un più largo uso di nuove tecnologie — è posta di fronte a crescenti sfide competitive. In proposito destano preoccupazione diversi indicatori, quali:

il calo della domanda interna e la diminuzione dei tassi di investimento, di produttività e di crescita nell'Unione europea, che la rendono meno competitiva nei confronti dei suoi grandi competitori tradizionali e di quelli emergenti,

la globalizzazione, che consente l'ingresso di nuovi paesi nel sistema economico internazionale,

il mancato raggiungimento degli obiettivi occupazionali,

il permanere dei disavanzi pubblici in diversi — benché non sempre negli stessi — Stati membri,

la grande diversità delle normative e delle aliquote fiscali applicabili alle imprese,

la persistenza degli oneri amministrativi per le imprese e la lentezza nell'attuazione delle direttive da parte degli Stati membri,

l'invecchiamento della popolazione europea, destinato a esercitare un'enorme pressione sulle finanze pubbliche e sull'offerta di lavoro,

la minaccia posta dalla sempre maggiore scarsità delle risorse o dalla volatilità dei loro prezzi, i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità,

la scarsa mobilità dei lavoratori, elemento essenziale per la realizzazione del mercato interno,

il trasferimento delle imprese dall'Europa verso i mercati emergenti e in rapida crescita,

la diminuzione dell'interesse dei cittadini per l'Unione europea.

3.7

Nello stesso tempo, le riforme necessarie per raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona segnano il passo.

3.7.1

A livello europeo, gli Stati membri si sono impegnati a completare il mercato interno in una serie di settori (energia, servizi, appalti pubblici, reti transeuropee, adeguamento dei servizi pubblici), ma esitano ad attuare le misure necessarie entro i termini previsti.

3.7.1.1

Sempre a livello europeo, a partire dagli anni Novanta, la Commissione ha intrapreso numerose iniziative volte, in primo luogo, a comprendere meglio le esigenze e il funzionamento delle PMI e, in secondo luogo, a sostenerne lo sviluppo e ad aiutarle a sfruttare meglio il loro potenziale di creazione di posti di lavoro. Negli ultimi anni tali iniziative sono state rafforzate con la nomina del rappresentante per le PMI, il piano di azione per l'imprenditorialità adottato nel 2004 e gli sforzi compiuti per migliorare la normativa («legiferare meglio») e l'accesso ai finanziamenti (FEI e BEI), nonché con il Programma quadro per la competitività e l'innovazione.

3.7.2

A livello nazionale, i risultati variano da uno Stato membro all'altro, e le note dolenti riguardano principalmente:

la complessità strutturale della normativa e delle procedure amministrative,

gli alti tassi di disoccupazione, specialmente in alcune categorie sociali,

l'alto tasso di prepensionamento, malgrado gli impegni,

l'inadeguatezza dei sistemi di istruzione e formazione, specialmente per quanto concerne le capacità imprenditoriali e le competenze in materia di TIC,

l'insufficienza dell'offerta di formazione lungo tutto l'arco della vita,

l'ulteriore diminuzione, in linea generale, delle spese per la ricerca, che invece sarebbero dovute aumentare per raggiungere l'obiettivo del 3 % del PIL previsto dalla strategia di Lisbona,

la carenza di innovazione, benché il più recente rapporto sul quadro di valutazione dell'innovazione faccia registrare dei miglioramenti,

lo scarso accesso ai finanziamenti per le PMI, combinato con la scarsità di informazione sulle opportunità esistenti, anche a livello europeo,

il permanere dei disavanzi di bilancio, benché non sempre negli stessi Stati membri.

3.7.3

I nuovi Stati membri devono spesso superare ulteriori difficoltà dovute al ritardo nel loro sviluppo, ad esempio in materia di occupazione, tecnologie o ambiente, benché tali difficoltà siano talora compensate da misure di rinnovamento più radicali di quelle adottate nell'UE-15.

3.8

Si fa riferimento alla relazione di sintesi del CESE, elaborata su richiesta del Consiglio europeo del marzo 2005, in cui esso ha riportato i risultati della consultazione dei suoi partner, in tutti gli Stati membri e a livello europeo, sull'attuazione della strategia di Lisbona e sul ruolo svolto al riguardo dalle parti sociali e da altre componenti della società civile organizzata (2). Negli ultimi anni il CESE ha pubblicato diverse relazioni sulla strategia di Lisbona e su specifici aspetti di questa (3).

4.   Migliorare il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI

4.1   Importanza delle PMI nell'economia europea

4.1.1

La grande maggioranza delle imprese europee (precisamente il 99,8 %) sono PMI. In particolare, la tipica impresa europea è una microimpresa (91 % del totale), mentre il 7 % delle imprese europee sono piccole imprese. La grande maggioranza di imprese europee è costituita da imprese che, oltre ad essere piccole, occupano una quota considerevole della forza lavoro europea (i due terzi dei lavoratori del settore privato) e svolgono una parte significativa dell'attività economica europea (producendo il 57 % del PIL) (4).

4.1.2

Allo scopo di migliorare il monitoraggio dei risultati economici delle PMI, il Comitato invita la Commissione europea a rilanciare le attività dell'Osservatorio europeo per le PMI.

4.1.3

Le PMI sono le principali creatrici di posti di lavoro e rappresentano una delle prime fonti di entrate del bilancio statale (imposte, IVA, ecc.), offrono delle possibilità di realizzazione professionale ad una parte notevole della popolazione, in particolare al suo segmento più attivo e innovatore che è il motore dell'economia. Inoltre, esse rappresentano la principale componente di un contesto economico favorevole all'economia di mercato, caratterizzato dalla flessibilità, dall'innovazione e dal dinamismo, e costituiscono il germe delle future grandi imprese, in particolare nei nuovi comparti dell'economia, fondati su tecnologie complesse.

4.2   Competitività

4.2.1

L'accento posto sulla competitività riconosce il bisogno di raggiungere l'obiettivo di una competitività sostenibile in un'economia aperta e globale, potenziando l'uso di nuove tecnologie, individuando forme più efficaci di formazione professionale, garantendo un'elevata qualificazione dei dipendenti e migliorando la produttività. Il concetto di qualità (qualità dei prodotti, dei servizi, della regolamentazione, della governance, dell'occupazione, delle relazioni sociali e dell'ambiente) è cruciale per questa strategia.

4.2.2

Per garantire la stabilità economica, gli Stati membri dovrebbero mantenere gli obiettivi di bilancio a medio termine nell'arco del ciclo economico o adottare tutte le correzioni necessarie. Essi dovranno di conseguenza evitare il ricorso a politiche di bilancio procicliche. Quanto agli Stati membri il cui disavanzo delle partite correnti rischia di essere insostenibile, dovrebbero sforzarsi di correggerlo attuando riforme strutturali tali da rilanciare la competitività esterna, affiancando a tali misure provvedimenti di politica di bilancio. Tali misure sono quelle minime indispensabili, dato l'invecchiamento della popolazione europea.

4.2.3

Il CESE ritiene che solo modificando l'impostazione di base delle politiche economiche e, in particolare, di quelle macroeconomiche, sarà possibile rimuovere gli ostacoli che in Europa impediscono una ripresa economica sostenuta e di più ampia portata. Se vuole riportare l'economia europea sulla via della crescita e della piena occupazione, l'UE deve agire dall'interno. Ciò richiederà una politica macroeconomica equilibrata con l'obiettivo dichiarato di raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona (in particolare la piena occupazione), rafforzare la competitività e prendere veramente in considerazione l'obbligo di perseguire lo sviluppo sostenibile, in linea con le conclusioni del vertice di Göteborg.

4.2.4

Il CESE ricorda che l'obiettivo della politica monetaria dovrebbe essere quello di garantire un equilibrio tra stabilità dei prezzi, crescita economica e occupazione. Sarebbe opportuno esortare la BCE a perseguire la stabilità in senso ampio, ossia non solo la stabilità dei prezzi, ma anche la stabilità misurata dalla crescita, dalla piena occupazione e dalla coesione sociale (5). Per raggiungere dei risultati, è importante allineare i bilanci nazionali alle politiche della BCE e rispettare il patto di stabilità e di crescita.

4.2.5

Inoltre, il CESE fa notare la particolare importanza dei servizi collegati alle imprese, prestati in particolare dalle PMI, per il successo della strategia di Lisbona e la competitività dell'UE. Facendo seguito alla relativa comunicazione della Commissione (6), il CESE sottolinea la necessità di creare un ambiente normativo in cui le PMI interessate possano soddisfare i bisogni della società cui devono rispondere.

4.2.6

Il CESE condivide altresì l'ampia analisi delle necessarie misure di sostegno in 27 settori dell'industria manifatturiera contenuta nel documento della Commissione su una politica industriale integrata, ma insiste sulla necessità di dare effettiva attuazione a tale politica in coordinamento con gli Stati membri (7).

4.3   Legiferare meglio (8)

4.3.1

Il CESE appoggia senza riserve la recente proposta della Commissione di ridurre del 25 % gli oneri amministrativi per le imprese entro il 2012 (9). Ciò consentirebbe di aumentare dell'1,5 % il PIL dell'Unione europea. Il CESE esorta la Commissione a proporre una strategia chiara per la semplificazione dell'ambiente normativo al fine di garantire il conseguimento dei risultati voluti (10).

4.3.2

La riduzione degli oneri amministrativi può alimentare il dinamismo dell'economia. Per ridurre il peso degli obblighi giuridici e regolamentari, è necessario che i poteri locali, regionali e nazionali, e l'Unione europea, adottino un'impostazione globale. È essenziale che le normative applicabili siano ben congegnate e proporzionate.

4.3.3

Il CESE appoggia la creazione del comitato per la valutazione d'impatto (sulle imprese) (Impact Assessment Board — IAB), annunciata dalla Commissione nel suo «esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea» (11), che ha l'obiettivo di rafforzare la qualità e l'efficienza delle valutazioni d'impatto. Tuttavia, ritiene che tale comitato non debba limitarsi a svolgere una funzione di mero coordinamento, ma prendere in considerazione anche la qualità del lavoro relativo alle PMI e l'analisi delle conseguenze economiche e sociali delle proposte normative. Le nuove normative, a livello nazionale e comunitario, vanno esaminate con attenzione per valutare il loro impatto sulle PMI.

4.3.4

Le conseguenze economiche, sociali e ambientali delle normative nuove o rivedute vanno valutate con attenzione, al fine di individuare le potenziali compensazioni e sinergie tra i diversi obiettivi politici. Inoltre, la normativa vigente viene esaminata attentamente per valutare il potenziale di semplificazione e il suo impatto sulla competitività. Una particolare attenzione va prestata alle valutazioni di impatto di tutte le proposte normative della Commissione sulle imprese, in particolare sulle piccole imprese. Infine, si va sviluppando un approccio comune alla misurazione dei costi amministrativi della normativa nuova e di quella esistente. Il principio «pensare anzitutto in piccolo» dovrebbe essere il principio guida nella revisione della normativa esistente e nell'elaborazione di quella nuova, in altre parole la normativa dovrebbe tener conto delle particolarità delle PMI.

4.3.5

Il CESE fa notare che tali miglioramenti sono importanti soprattutto per le PMI, che di solito dispongono solo di risorse limitate per far fronte agli adempimenti amministrativi imposti sia dalla normativa europea che da quella dei singoli Stati membri.

4.3.6

Si dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire che tutti gli Stati membri attuino tempestivamente ed a un livello qualitativamente elevato tutte le direttive e per persuadere i governi e i legislatori nazionali e regionali ad avviare i propri progetti di semplificazione normativa nei casi in cui l'attuazione del diritto comunitario abbia dato luogo ad un'eccessiva sovrapposizione di normative interne (il cosiddetto gold plating).

4.3.7

La maggior parte degli attori politici a livello regionale, nazionale ed europeo non conosce sufficientemente la realtà delle piccole imprese e le loro vere esigenze. Un migliore coinvolgimento delle associazioni rappresentative delle PMI (12) a tutti i livelli è una precondizione per migliorare la qualità della politica per le PMI in Europa. Il rafforzamento delle associazioni delle piccole imprese è inoltre uno dei punti chiave della citata Carta europea per le piccole imprese. In quanto importanti parti interessate, le associazioni rappresentative delle PMI dovrebbero partecipare al processo decisionale a tutti i livelli.

4.3.8

Il Comitato appoggia fermamente la Carta europea per le piccole imprese, che si è dimostrata uno strumento utile per seguire i progressi realizzati e individuare i problemi incontrati dalle PMI, come pure per indurre gli Stati membri a intervenire per migliorare il coordinamento delle politiche imprenditoriali in tutta Europa. È importante mantenere un ritmo sostenuto nel processo inteso ad integrare le relazioni sull'attuazione della Carta nelle relazioni annuali relative all'Agenda di Lisbona. La Carta dev'essere aggiornata e completata alla luce della strategia di Lisbona riveduta e dell'importante processo di allargamento dell'UE.

4.4   Cultura imprenditoriale e start-up (13)

4.4.1

L'imprenditorialità è un fenomeno complesso che comprende elementi di spirito di iniziativa, propensione al rischio e innovazione. Le piccole e nuove imprese generano innovazione, riempiono nicchie di mercato, creano occupazione e accrescono la concorrenza, promuovendo così l'efficienza economica.

4.4.2

L'Unione europea nel suo insieme soffre di una bassa attività di avvio di iniziative imprenditoriali. La più recente relazione del Global Entrepreneurship Monitor (GEM) non annovera alcuno Stato membro dell'UE tra i primi dieci paesi (14). Al contrario, 8 dei 10 paesi con il livello più basso di partecipazione sono membri dell'UE (15).

4.4.3

L'imprenditorialità è importante per la società nel suo complesso. Nell'intento di favorire e risvegliare la sensibilità per la cultura imprenditoriale, nonché la comprensione dell'importanza dell'imprenditorialità per lo sviluppo globale di un paese, il CESE propone di indire l'Anno europeo dell'imprenditorialità (2009). A questo proposito il CESE ricorda che nel 2010 avrà luogo la revisione intermedia di numerosi programmi comunitari attinenti a questo ambito. Bisogna che nell'opinione pubblica si instaurino atteggiamenti positivi nei confronti dell'imprenditorialità. L'Anno europeo dell'imprenditorialità offrirebbe poi un'opportunità di consolidare e rafforzare gli scambi di buone prassi già esistenti.

4.4.4

Nell'UE vi è un gran bisogno di introdurre dei cambiamenti nei curriculum di istruzione e formazione, in particolare a livello di istruzione superiore, per conferire maggiore rilievo all'istruzione imprenditoriale avanzata, al valore strategico della gestione delle informazioni, alle TIC e alla creazione di reti. Le scuole e le università svolgono un ruolo essenziale per stimolare nei giovani lo spirito imprenditoriale. Si raccomanda ad esempio la partecipazione attiva di rappresentanti delle imprese nell'istruzione così come il coinvolgimento delle organizzazioni di categoria. Inoltre, un ruolo importante è svolto dall'attività dei mezzi di informazione e dall'immagine delle imprese che essi trasmettono.

4.4.5

Occorre potenziare le politiche di aiuto all'avvio e allo sviluppo delle imprese, anche consentendo loro di avviare in modo più rapido e meno costoso la propria attività, adottando misure per migliorarne l'accesso al capitale di rischio, aumentando i programmi di formazione d'impresa, le misure intese a facilitare il loro accesso alle reti e ai servizi di pubblica utilità e creando una rete più fitta di servizi di sostegno per le piccole imprese. Inoltre, servono decisioni politiche in vista della riforma dei sistemi tributari, della regolamentazione, dell'accesso al mercato e delle procedure di salvataggio e ristrutturazione, nonché del diritto successorio. È necessario un cambiamento di mentalità nel modo in cui viene considerato il fallimento.

4.4.6

La disponibilità di finanziamenti nella fase iniziale di un'impresa è una questione di cruciale importanza. In Belgio il governo ha adottato alcune iniziative intese a colmare il cosiddetto equity gap. Un esempio di tali iniziative è il fondo Arkimedes, che ha raccolto 110 milioni di euro sotto forma di quote azionarie e obbligazioni, garantite dal governo regionale delle Fiandre.

4.4.7

Altrettanto essenziali sono i servizi che forniscono informazioni e sostegno alle imprese, specialmente ai piccoli imprenditori. I programmi di mentorship (assistenza alle imprese) attuati nelle Fiandre hanno dato buona prova di sé.

4.4.8

Il timore di fallire ha un forte impatto negativo sulle potenziali start-up. È quindi necessario adottare un quadro sociale appropriato per i lavoratori autonomi, ai quali andrebbe inoltre offerta più facilmente una seconda opportunità.

4.5   Mercato interno (16)

4.5.1

Occorre liberare il potenziale del mercato unico. L'Unione europea dovrebbe ormai godere dei vantaggi di un mercato più ampio di quello degli Stati Uniti o della Cina, e tuttavia:

troppe direttive non sono state attuate pienamente dagli Stati membri,

non si sono compiuti progressi sufficienti nel garantire la standardizzazione e il riconoscimento reciproco in materia di prestazione di servizi,

si registrano ritardi nella liberalizzazione dei mercati, anche nel settore pubblico,

sono sorte difficoltà nel concordare un regime europeo praticabile dei diritti di proprietà intellettuale,

si osservano distorsioni causate da varie differenze nei regimi fiscali.

4.5.2

La capacità dell'Unione europea di attrarre investimenti dipende dalla dimensione e dall'apertura dei suoi mercati, dal suo ambiente normativo e dalla qualità delle sue infrastrutture. L'aumento degli investimenti renderà l'Europa più produttiva, dato che i livelli di produttività del lavoro dipendono dall'investimento in capitale fisico e umano così come in conoscenza e in infrastrutture.

4.5.3

La capacità dei produttori europei di competere e sopravvivere nel mercato interno è fondamentale per la loro forza competitiva nei mercati mondiali. Mentre il mercato interno delle merci è relativamente ben integrato, quello dei servizi resta, di diritto e di fatto, piuttosto frammentato. Al fine di promuovere la crescita e l'occupazione e rafforzare la competitività, bisogna che il mercato interno dei servizi sia pienamente operativo, ferma restando l'esigenza di preservare il modello sociale europeo. Inoltre, la rimozione delle barriere fiscali alle attività transfrontaliere e degli ostacoli che ancora si frappongono alla mobilità dei lavoratori recherebbe vantaggi considerevoli in termini di efficienza. Infine, la piena integrazione dei mercati finanziari farebbe aumentare la produzione e l'occupazione consentendo un'allocazione più efficiente del capitale e migliori condizioni di finanziamento per le imprese.

4.5.4

Per le PMI, e specialmente per quelle che operano nel settore dei servizi, il mercato interno non è ancora stato pienamente realizzato. I gravosi oneri amministrativi sulle operazioni transfrontaliere e standard europei non appropriati impediscono alle piccole imprese di trarre vantaggio dall'ampliamento del mercato.

4.5.5

Gli standard svolgono un ruolo importante riguardo all'accesso ai mercati. Gli attuali processi di standardizzazione non tengono sufficientemente conto delle specificità delle imprese artigiane e delle PMI. Le piccole imprese devono essere coinvolte in modo migliore nell'elaborazione degli standard europei e internazionali. Malgrado il forte sostegno dato dalla Commissione a strutture come Normapme (17), bisogna compiere ulteriori sforzi a favore delle PMI, in particolare per quanto concerne le produzioni in piccole serie e personalizzate, la riduzione dei costi di adeguamento agli standard, una rappresentanza più equilibrata in seno ai comitati tecnici e la semplificazione dei sistemi di certificazione.

4.5.6

Per quanto riguarda le prassi in materia di appalti pubblici, vi è un ampio margine per ulteriori miglioramenti, che si risolverebbero in un aumento della quota di appalti pubblici cui viene data pubblicità. Occorre concentrare l'attenzione sulle possibilità offerte alle PMI di partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Il CESE appoggia la realizzazione da parte della Commissione di un compendio delle buone pratiche registrate dagli Stati membri dell'UE ma anche dagli Stati Uniti e dal Giappone in questo campo e che hanno ampliato l'accesso delle PMI agli appalti pubblici.

4.5.7

In Europa le PMI devono fare i conti con 27 sistemi tributari diversi e, di conseguenza, con costi di conformità proibitivi e forti barriere al mercato interno. Per le piccole imprese i costi di conformità sono molto più elevati che per quelle grandi (18). Si attende pertanto una semplificazione, in particolare a beneficio delle PMI.

4.6   Capitale umano, sviluppo delle competenze e dialogo sociale

4.6.1

Nel contesto di un'economia globalizzata e basata sulla conoscenza, le imprese devono costantemente adeguarsi ai cambiamenti. Se vogliono avere successo, gli imprenditori devono avere una solida base di conoscenze e di qualifiche per far fronte all'accresciuta concorrenza ed essere in grado di vincere la corsa all'innovazione. Inoltre, gli sviluppi tecnologici impongono il costante sviluppo di nuove competenze, specialmente nel campo delle TIC, e l'acquisizione di competenze aggiornate per gli imprenditori come per i dipendenti (19).

4.6.2

Dal 2000, in attuazione della strategia di Lisbona, in tutta Europa gli obiettivi di formazione e le strategie di apprendimento lungo tutto l'arco della vita sono stati indubbiamente potenziati. Tuttavia, essi devono essere ulteriormente migliorati, come evidenziato nel rapporto di valutazione del 2006 sul Framework of actions for the lifelong learning development of competencies and qualifications (Quadro di azioni per l'apprendimento permanente di competenze e qualifiche) concordato nel 2002 dalle parti sociali europee (CES, BusinessEurope CEEP, Ueapme). In tale contesto, dovrebbe concorrere a questo sforzo anche il nuovo «Programma d'azione integrato nel campo dell'apprendimento permanente», dato che tale programma comunitario è espressamente rivolto a contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, ossia allo «sviluppo dell'Unione europea quale società avanzata basata sulla conoscenza, in grado di realizzare uno sviluppo economico sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale».

4.6.3

Come giustamente osservato dal CESE (20), «i programmi europei d'istruzione erano tra le poche attività dell'Unione direttamente rivolte ai cittadini europei. Il nuovo programma dovrebbe porsi l'obiettivo, da un lato, di promuovere uno sviluppo in senso democratico, fondato sugli ideali della democrazia partecipativa e sull'impegno dei cittadini e, dall'altro, di promuovere l'occupazione e un mercato del lavoro dinamico». Poiché tale programma integra i principali programmi europei di mobilità, ossia il Leonardo da Vinci (rivolto agli apprendisti, ai giovani che seguono corsi di formazione professionale iniziale e ai giovani lavoratori) e l'Erasmus (rivolto agli studenti), questi dovrebbero essere più facilmente accessibili per la mobilità individuale. Studiare e lavorare all'estero per un determinato periodo non solo arricchisce le competenze e il know-how di una persona, ma accresce anche la comprensione dell'Europa e del significato della cittadinanza europea. Oltre a ciò, tali esperienze contribuiscono a rendere le persone proattive e più disposte a farsi carico della propria occupabilità nella loro vita professionale.

4.6.4

Inoltre, il CESE ha sottolineato la «particolare importanza» della «possibilità di accesso delle PMI alle procedure del programma» e proposto «un approccio specifico al problema delle PMI, cioè la semplificazione delle procedure per rendere la loro partecipazione al programma fattibile e fruttuosa». In un'economia trainata dai servizi, l'attivo più prezioso di un'impresa è il suo capitale umano. Affinché le imprese, e in particolare le PMI, possano perseguire una strategia di sviluppo delle competenze, occorre elaborare iniziative di sostegno che tengano conto delle esigenze specifiche delle singole imprese — quali offerte di formazione personalizzate, sostegno finanziario e incentivi fiscali — per aiutarle a investire nella formazione permanente.

4.6.5

Il dialogo sociale è uno strumento importante per vincere le sfide economiche e sociali. Uno dei suoi maggiori risultati è il miglioramento del funzionamento del mercato del lavoro e l'anticipazione dei cambiamenti. Inoltre, il dialogo sociale contribuisce a creare un clima di fiducia nelle imprese. Esso può fornire alle piccole imprese risposte personalizzate, in quanto tiene conto della specificità e qualità dell'ambiente di lavoro e dei rapporti di lavoro nonché della particolare situazione in cui le imprese artigiane e piccole operano e si sviluppano.

4.7   Innovazione

4.7.1

L'obiettivo fissato nell'Agenda di Lisbona era quello di destinare alla R&S una quota pari al 3 % del PIL europeo, due terzi della quale provenienti dal settore privato. Oggi, invece, quest'ultimo vi contribuisce solo per il 56 %. Inoltre, dobbiamo purtroppo constatare che l'Europa investe in R&S solo l'1,93 % del PIL, una quota molto inferiore a quella investita dagli Stati Uniti e dal Giappone (che vi investono rispettivamente il 2,59 % e il 3,15 %). Inoltre, la Cina si avvia ad eguagliare l'intensità di ricerca dell'UE entro il 2010. Nel 2002 negli Stati Uniti il settore privato ha speso in R&S 100 miliardi di euro in più che nell'UE.

4.7.2

Il futuro Istituto europeo di tecnologia (IET), il cui obiettivo è raggiungere la massima integrazione possibile dell'istruzione, della ricerca e dell'innovazione a livelli di eccellenza, dovrebbe riconoscere e valorizzare il potenziale delle PMI. Occorre rafforzare la cooperazione tra le università, i centri di ricerca e le imprese, in particolare quelle piccole, ed incoraggiare i ricercatori a stabilire e mantenere contatti con le imprese. Non va sottovalutata l'importanza della promozione dei trasferimenti di tecnologia tramite poli tecnologici e incubatori di imprese. Inoltre, nel nuovo quadro per gli aiuti di Stato alla ricerca, allo sviluppo e all'innovazione (R&S&I) si dovrebbero prevedere misure di sostegno all'innovazione, come prestatori di servizi di sostegno, cluster e reti. Occorre offrire maggiori opportunità ai ricercatori europei in ciascuno dei 27 Stati membri. Sono assolutamente necessarie una promozione e una diffusione migliori dei risultati della ricerca allo scopo di renderli più accessibili e di migliorarne l'impatto economico.

4.7.3

L'Europa dovrebbe creare in tutta l'UE un ambiente normativo armonizzato favorevole all'innovazione. Sono necessarie nuove iniziative per un brevetto comunitario al fine di proteggere l'innovazione e soddisfare le esigenze delle imprese europee. Un sistema siffatto dovrebbe prevedere degli oneri ridotti per le PMI e un sistema appropriato di assicurazione per i costi derivanti dalle controversie sui brevetti.

4.7.4

Nella sua più recente comunicazione in materia la Commissione ha riconosciuto la necessità di ampliare la definizione di innovazione per prestare una particolare attenzione alle PMI e tener conto delle innovazioni di carattere non tecnico in tutti i settori economici. Questa nuova impostazione deve ora essere attuata in tutti gli ambiti di intervento delle pertinenti politiche affinché divenga utile per le piccole imprese.

4.7.5

È essenziale che le PMI accrescano il livello del capitale umano di cui dispongono attualmente e inseriscano forza lavoro di livello accademico nel circuito della produzione e nell'innovazione. Il 7o programma quadro dovrebbe sostenere le PMI nell'introduzione di tecniche tecnologicamente avanzate di ricerca e di produzione, ma anche altre forme di innovazione importanti nella struttura di una PMI.

4.7.6

A livello comunitario, le risorse necessarie vanno attinte dal Programma quadro per la competitività e l'innovazione, il Programma quadro di ricerca, i fondi strutturali e i programmi di istruzione, per menzionare solo i più importanti. Coordinare le politiche, comprese le risorse necessarie alla loro attuazione, sarà un compito difficile e delicato, soprattutto perché le risorse finanziarie europee sono relativamente limitate rispetto ai bisogni e alle esigenze da soddisfare. Per garantire l'utilizzo di mezzi finanziari tratti dai fondi strutturali per cofinanziare (tramite il FEI, che gestisce le risorse per l'iniziativa Jeremie) programmi per PMI innovative, start-up e trasmissioni di imprese, occorre adottare misure appropriate a livello degli Stati membri e monitorare direttamente l'efficacia e l'accessibilità di tali risorse.

4.7.7

L'introduzione, in particolare nelle PMI, di nuovi e avanzati metodi e macchinari di produzione, richiederà la disponibilità di finanziamenti a condizioni favorevoli. La BEI e il FEI dovrebbero essere strettamente coinvolti nel lavoro dei gruppi di programmazione settoriali e intersettoriali.

4.7.8

Bisogna incoraggiare maggiormente le PMI a utilizzare le applicazioni delle TIC, dato che così facendo esse possono ridurre i loro costi, aumentare la loro produttività e diventare più competitive.

4.8   Trasferimento di imprese (21)

4.8.1

Da studi condotti in Europa risulta che circa un terzo degli imprenditori europei, perlopiù titolari di imprese familiari, lascerà l'attività entro i prossimi 10 anni. Si ritiene che questo fenomeno interesserà circa 690 000 imprese, per un totale di 2,8 milioni di posti di lavoro. Occorre quindi promuovere il trasferimento delle imprese esistenti come valida alternativa alla creazione di nuove imprese.

4.8.2

Contrariamente a quanto accadeva in passato, un numero sempre maggiore di trasferimenti di imprese ha luogo al di fuori dell'ambito familiare, ossia verso terzi. Vi è inoltre un crescente interesse per l'acquisizione di un'impresa già avviata piuttosto che per l'avvio di una nuova impresa. Studi mostrano che il 96 % delle imprese trasferite è ancora attivo dopo cinque anni, a fronte di un 75 % di start-up.

4.8.3

La prima sfida consiste dunque nel realizzare una piattaforma che faciliti l'incontro tra chi è intenzionato a cedere la proprietà di un'impresa e i potenziali acquirenti. Occorre che questo mercato sia trasparente, onde aumentare la probabilità di stabilire dei contatti tra gli interessati e assicurare la continuità delle imprese esistenti e solide. A tal fine è essenziale garantire l'elevata qualità dei servizi alle imprese, incluse la mediazione e la consulenza, e la riservatezza degli operatori. Nella maggior parte dei paesi dell'UE (22) esistono agenzie statali o con sostegno pubblico che si occupano del trasferimento delle imprese. Queste iniziative andrebbero sviluppate in tutti gli Stati membri dell'UE.

4.9   Accesso ai finanziamenti

4.9.1

Le PMI, e specialmente le start-up, nonché gli acquirenti di imprese già esistenti e le imprese innovative, dovrebbero avere un accesso più agevole ai finanziamenti per realizzare appieno il loro potenziale e generare crescita economica e maggiore occupazione in Europa. I modelli di ripartizione dei rischi, quali i sistemi pubblici o mutualistici di garanzia, si sono rivelati strumenti molto efficaci e vanno quindi ulteriormente promossi sia a livello comunitario che di singoli Stati membri.

4.9.2

Per garantire alle start-up, alle PMI e alle imprese in rapida crescita la disponibilità di capitali a costi ragionevoli, occorre mantenere i tassi di interesse e i premi di rischio a livelli accettabili e razionalizzare i sistemi di aiuti pubblici.

4.9.3

Il servizio di consulenza prestato alle PMI dalle loro associazioni va rafforzato e sostenuto. Inoltre, è necessario creare strumenti finanziari adeguati ai bisogni e ai mezzi delle piccole imprese. Il CESE invita la Commissione e la BEI/il FEI a finanziare l'innovazione nelle piccole imprese sotto forma di capitale di rischio e di sistemi di garanzia.

4.9.4

I venture capitalist e i business angels costituiscono per le PMI delle importanti vie di accesso ai finanziamenti. Stimolare la creazione di reti tra i venture capitalist e i business angels da una parte e i (nuovi) imprenditori dall'altra è importante per ridurre l'equity gap.

4.9.5

I sistemi di garanzia si sono rivelati uno strumento molto efficace, nonché efficiente sul piano delle risorse, per sostenere le piccole imprese. In Francia, la Caisse Mutuelle de Garantie de la Méchanique (CMGM) ha oltre 45 anni di esperienza in questo campo. La CMGM offre garanzie bancarie sulla quasi totalità dei crediti (crediti di investimento, trasmissioni di imprese, bank warrant, crediti di cassa) accordati alle imprese. Queste ultime sottoscrivono il capitale della CMGM e le quote del fondo di garanzia. Questo sistema consente di ridurre le garanzie private richieste agli imprenditori, rende loro disponibili crediti più ampi e offre loro una rete di sicurezza nei confronti delle banche. Bisognerebbe incoraggiare lo scambio tra Stati membri di buone prassi in materia di accesso ai finanziamenti e ai fondi di garanzia destinati alle PMI.

4.10   Internazionalizzazione

4.10.1

L'UE deve cogliere le opportunità offerte dall'apertura dei mercati asiatici in rapida crescita, come la Cina e l'India. Nel contempo, essa deve far fronte alla nuova divisione internazionale del lavoro che ne deriva, soprattutto in quanto la Cina inizia a specializzarsi maggiormente nella produzione di beni ad elevato valore aggiunto e l'India diviene un polo mondiale per l'outsourcing. Il CESE sottolinea che, per migliorare le condizioni di accesso delle imprese europee ai mercati extraeuropei, è essenziale adottare un approccio comune nel trattare con i paesi terzi.

4.10.2

Anche se il mercato unico esiste ormai da oltre 14 anni, molte imprese operano ancora esclusivamente nel loro paese. Le barriere linguistiche, le differenze legislative e regolamentari ancora esistenti e la scarsa conoscenza degli altri mercati rappresentano gli ostacoli principali. Il CESE accoglie con favore la creazione di servizi di sostegno vicini alle imprese analoghi al Passport to Export britannico (23). Occorre inoltre incoraggiare l'accesso delle PMI agli appalti pubblici.

4.10.3

Occorre sviluppare sistemi di sostegno appropriati per stimolare le attività transfrontaliere sia all'interno dell'UE che negli altri mercati.

4.10.4

Il CESE sottolinea che occorre prestare un'attenzione particolare alle PMI nei documenti della Commissione in materia di politica commerciale (strategia di accesso, strumenti di difesa commerciale, Europa globale).

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Decisione del Consiglio, del 12.7.2005, sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (2005/600/CE), GU L 205 del 6.8.2005, pag. 21).

(2)  L'attuazione della strategia di Lisbona. Relazione di sintesi per il Consiglio europeo.

(3)  GU C 185 dell'8.8.2006 e CCMI/032.

(4)  Dati disponibili per il 2003. Pocket book Eurostat 2006.

(5)  Il CESE stesso ha chiesto a più riprese che la politica monetaria si sforzi di raggiungere anche gli obiettivi della piena occupazione e della crescita.

(6)  La concorrenzialità dei servizi connessi alle imprese e il loro contributo al rendimento delle imprese europee (COM(2003) 747 def.), del 4.12.2003.

(7)  Comunicazione della Commissione Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE — verso un'impostazione più integrata della politica industriale (COM(2005) 474 def.) e il già citato parere adottato in merito dal CESE.

(8)  Il CESE ha recentemente adottato diversi pareri sulla semplificazione e il miglioramento della normativa:

 

un parere esplorativo (su richiesta della presidenza britannica del Consiglio dell'UE) sul tema Legiferare meglio (GU C 24 del 31.1.2006) (relatore: RETUREAU),

 

un parere d'iniziativa sul tema Migliorare l'applicazione e l'attuazione della legislazione dell'UE (GU C 24 del 31.1.2006) (relatore: van IERSEL),

 

un parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAggiornare e semplificare l'acquis comunitario (COM(2003) 71 def.) (GU C 112 del 30.4.2004) (relatore: RETUREAU).

(9)  COM(2006) 689, 690 e 691 del 14.11.2006.

(10)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea (COM(2007) 23 def.), del 24.1.2007.

(11)  Comunicazione della Commissione del 14.11.2006.

(12)  Con questa espressione si fa riferimento alle associazioni che rappresentano le PMI (come definite dalla normativa europea) in diversi settori di attività (artigianato, industria, servizi, commercio, libere professioni), che si tratti di associazioni multisettoriali oppure maggiormente collegate con singoli settori.

(13)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAttuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento (COM(2006) 33 def.) (GU C 309 del 12.12.2006).

(14)  L'Irlanda occupa l'11o posto.

(15)  Si tratta di Ungheria, Belgio, Svezia, Slovenia, Paesi Bassi, Danimarca, Italia e Finlandia.

(16)  Parere esplorativo del Comitato economico e sociale europeo sul tema Riesame del mercato unico (GU C 93 del 27.4.2007).

(17)  Ufficio europeo dell'artigianato e delle piccole e medie imprese per la normazione (European Office for Crafts, Trades and SMEs for Standardisation-Normapme)

(www.normapme.com).

(18)  Il riferimento è ai costi di conformità alla normativa fiscale sulle attività transfrontaliere.

(19)  Anche le professioni tradizionali come quelle di idraulico o falegname devono tener conto delle tecniche di risparmio di energia.

(20)  Nel parere in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione integrato nel campo dell'apprendimento permanente (COM(2004) 474 def.) (GU C 221 dell'8.9.2005).

(21)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Attuazione del programma comunitario di Lisbona per la crescita e l'occupazione Il trasferimento di proprietà delle impreseLa continuità grazie a un nuovo avvio (COM(2006) 117 def.), del 14.3.2006.

(22)  È il caso di Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Belgio (nel quale esiste una banca dati separata per ciascuna regione). In questi paesi la percentuale di successo si situa intorno al 25 %, ossia un'impresa su quattro presente nella banca dati trova un acquirente.

(23)  Per ulteriori dettagli sul mercato unico, cfr. il Flash Barometer 180TNS Sofres/EOS Gallup Group EuropeInternal Market Opinions and Experiences of Businesses in EU-15, pubblicato nel giugno 2006.

Per ulteriori dettagli sul programma Passport to Export, creato dall'UK Trade and Investment (un'agenzia governativa britannica con funzioni analoghe all'ICE italiano, NdT) per aiutare gli esportatori britannici a superare i loro punti di debolezza nel commercio internazionale, cfr. la Carta europea per le piccole imprese, Selezione delle buone pratiche 2006, pag. 9.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/17


Parere della Comitato economico e sociale europeo sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona)

(2007/C 256/04)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 31 del proprio Regolamento interno, di incaricare la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di predisporre una relazione informativa su: Investire nella conoscenza e nell'innovazione.

Nel corso della sessione plenaria del 14 e 15 marzo 2007 il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di trasformare la relazione informativa in un parere di iniziativa (articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli e 1 astensione.

INDICE

1.

Introduzione

2.

Sintesi e raccomandazioni

3.

Osservazioni di carattere generale

4.

Istruzione, formazione e apprendimento permanente

5.

Questioni finanziarie e relative procedure

6.

Aspetti strutturali e condizioni generali

7.

Il fattore umano: scienziati, ingegneri e imprenditori

1.   Introduzione

1.1

Il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006, nelle conclusioni della presidenza (punto 12: Rilancio della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione), ha apprezzato l'iniziativa del Comitato economico e sociale europeo volta ad accrescere l'appropriazione della strategia di Lisbona a livello comunitario. Ha altresì incoraggiato il Comitato a proseguire i suoi lavori e gli ha chiesto di predisporre, entro l'inizio del 2008, una relazione di sintesi a sostegno del partenariato per la crescita e l'occupazione.

1.2

Per prima cosa, già il 15 febbraio 2007, il Comitato ha adottato una risoluzione sul tema L'attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, indirizzata al Consiglio europeo di primavera del 2007.

1.3

Per elaborare la relazione di sintesi chiesta dal Consiglio europeo, il Comitato si baserà su quattro relazioni informative riguardanti i seguenti temi:

investire nella conoscenza e nell'innovazione,

il potenziale delle imprese, in particolare quello delle PMI,

l'occupazione per le categorie prioritarie e

definizione di una politica energetica per l'Europa.

Le relazioni informative costituiranno i pilastri della relazione di sintesi.

1.4

Il presente documento, che è stato elaborato anche in cooperazione con rappresentanti dei consigli economici e sociali nazionali di alcuni Stati membri, verte solo sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione.

2.   Sintesi e raccomandazioni

2.1

La forza dell'Europa sta nella capacità dei suoi cittadini di ottenere risultati.

2.2

La libera interazione tra la creatività artigianale e l'iniziativa imprenditoriale, da un lato, e i metodi e sistemi scientifici come pure le tecnologie e i processi industriali che essi hanno consentito di sviluppare, dall'altro, è stata la ricetta europea dei progressi che hanno portato al nostro attuale livello di vita. Questi progressi sono andati di pari passo con gli sviluppi storici che, sul piano socio-politico, hanno portato al cittadino libero dello Stato moderno caratterizzato da separazione dei poteri, democrazia e diritti fondamentali.

2.3

In tale contesto, un contributo decisivo è venuto dallo sviluppo e dall'utilizzo intensivo di processi industriali, macchinari e mezzi di trasporto che consumano energia. L'energia ha liberato uomini e donne dal peso dei lavori fisici più pesanti, ne ha moltiplicato la produttività, ha permesso di produrre luce e calore e ha consentito una mobilità e possibilità di comunicazione inimmaginabili. L'energia è diventata la linfa e il motore delle economie moderne.

2.3.1

Di conseguenza, la garanzia di un approvvigionamento energetico sostenibile e rispettoso del clima è in primo piano nel dibattito politico, considerato che le fonti energetiche fossili sono una risorsa limitata e che il fabbisogno energetico mondiale è in forte aumento e tenuto conto delle probabili conseguenze del consumo energetico sulla futura evoluzione del clima. Un importante presupposto per poter affrontare questa questione assai complessa è che il programma di R&S in campo energetico sia solido, diversificato ed efficace.

2.4

Ci sono però anche moltissimi altri problemi e compiti che possono essere affrontati solo mediante la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione, ad esempio la lotta contro le malattie fisiche e psichiche, il miglioramento delle condizioni di vita dei disabili e la loro partecipazione sociale, l'impatto dei cambiamenti demografici unitamente alla ricerca gerontologica, la tutela dell'ambiente nonché, in generale, la salvaguardia e lo sviluppo delle nostre condizioni di vita, del nostro sistema di valori europeo e del nostro modello sociale. In fin dei conti la ricerca e lo sviluppo contribuiscono però anche a realizzare l'obiettivo fondamentale di creare nuove e maggiori conoscenze. A loro volta, queste maggiori conoscenze non solo aiutano a risolvere i problemi, ma consentono anche di ampliare la propria concezione del mondo, oggettivare le situazioni conflittuali e arricchire la propria cultura.

2.5

La Comunità europea deve altresì far fronte alla sfida di una concorrenza globale sempre più agguerrita, nel cui contesto si tratta di salvaguardare i posti di lavoro, i livelli di reddito e le norme sociali e ambientali europee. Questo vale non soltanto in relazione alla potenza economica degli Stati Uniti e del Giappone, ma anche e soprattutto alla luce dei risultati sempre più significativi ottenuti nel settore industriale e della ricerca da paesi come la Cina, l'India e il Brasile, e in considerazione del livello decisamente inferiore delle retribuzioni e delle norme sociali e ambientali in tali paesi.

2.6

A questa sfida si potrà far fronte solo mantenendo anche in futuro l'attuale vantaggio nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dell'innovazione permanente, in un contesto sociale e culturale caratterizzato da democrazia, Stato di diritto, stabilità politica, libertà d'impresa, certezza della programmazione, volontà di riuscire, riconoscimento dei risultati e sicurezza sociale.

2.7

Ottenere risultati tecnico-scientifici di eccellenza e, in un'ottica imprenditoriale, trasformarli in potenziale economico competitivo è quindi una condizione indispensabile per garantire il nostro futuro — soprattutto sotto il profilo energetico e climatico, per conservare e migliorare la nostra attuale posizione nel contesto globale e per non mettere in pericolo, anzi per rafforzare, il modello sociale europeo.

2.8

Il presupposto fondamentale perché ciò avvenga è l'esistenza di un clima sociale aperto al progresso e all'innovazione, in cui questo modo di vedere possa dispiegare pienamente i suoi effetti, affinché a tutti i livelli politici si creino le condizioni generali necessarie e si compiano scelte in tale direzione, in modo tale che il settore privato sviluppi fiducia e ottimismo in misura sufficiente per gli investimenti necessari in Europa e si generino nuovi posti di lavoro. A tal fine è però necessario anche aumentare ulteriormente la consapevolezza dell'importanza fondamentale della ricerca di base, in quanto essa costituisce il presupposto indispensabile per le future innovazioni. In questo contesto, sono particolarmente necessari uno spirito imprenditoriale aperto all'innovazione e al rischio, capacità di leadership, affidabilità e senso della realtà.

2.9

In particolare l'obiettivo di Barcellona, formulato ai fini dell'attuazione della strategia di Lisbona, deve essere preso molto sul serio da tutti i soggetti interessati, affinché l'Europa non perda ulteriormente terreno nella corsa globale a chi investe di più in ricerca e sviluppo. L'obiettivo prevede che la spesa complessiva per la R&S nell'Unione venga aumentata fino a raggiungere, nel 2010, un livello pari quasi al 3 % del PIL e che fino a due terzi degli investimenti necessari provengano dal settore privato.

2.10

Nel dicembre 2006 il Consiglio ha adottato il Settimo programma quadro di R&S (7PQ) per il periodo 2007-2013, che ha una dotazione di circa 50 miliardi di euro e quindi decisamente superiore a quella del programma precedente. Si tratta di un altro considerevole successo della politica europea, che il Comitato aveva fortemente appoggiato. Tuttavia, in questo modo la Comunità contribuirà solo per il 2 % circa (ossia solo per 1/50) agli investimenti complessivi in ricerca e sviluppo indicati dall'obiettivo di Barcellona. Come il Comitato ha ripetutamente sottolineato, ciò non è sufficiente per massimizzare l'auspicato effetto di leva e di integrazione degli aiuti comunitari sulla politica di sostegno alla ricerca degli Stati membri e sulla disponibilità dell'industria ad investire.

2.11

Il Comitato ribadisce pertanto la sua raccomandazione di aumentare della metà la quota del sostegno comunitario in una prima fase, nel quadro della revisione del bilancio UE in programma per il 2008, portandola al 3 % circa degli investimenti indicati dall'obiettivo di Barcellona. Ciò è tanto più necessario se si tiene conto dell'intenzione di creare un istituto europeo di tecnologia e dell'urgenza di svolgere una più intensa attività di R&S per un approvvigionamento energetico rispettoso del clima e sostenibile.

2.12

È però altrettanto necessario promuovere la disponibilità dell'industria, e soprattutto delle PMI, ad investire in ricerca e sviluppo, e rendere questi investimenti più interessanti e vantaggiosi mediante un adeguato regime giuridico (anche in materia di responsabilità), amministrativo, fiscale e finanziario. In tale contesto svolgono un ruolo importante anche le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato, che dovrebbero consentire agli Stati membri di sostenere in modo più efficace e meno burocratico di quanto avvenuto finora i progetti di R&S delle università, degli organismi di ricerca e dell'industria, oltre che di promuoverne il necessario collegamento in rete. Bisognerebbe quindi verificare con attenzione se la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato alla ricerca, allo sviluppo e all'innovazione favorisca davvero questi obiettivi.

2.13

La conoscenza si fonda su due pilastri interdipendenti e di uguale importanza: la formazione e la ricerca. Le nuove conoscenze vanno ottenute mediante la ricerca e lo sviluppo, sulla base delle conoscenze preesistenti. A loro volta, tali conoscenze vanno consolidate e trasmesse mediante l'istruzione, la formazione e l'apprendimento permanente. A tal fine occorre valutare se tanto i metodi quanto i contenuti concorrano al raggiungimento degli obiettivi citati. Inoltre, per entrambi i summenzionati pilastri occorrono investimenti molto più ingenti e condizioni generali adeguate.

2.14

La forza dell'Europa sta nella capacità dei suoi cittadini di ottenere risultati. Per questo motivo è prioritario promuovere e sviluppare in misura ancor maggiore proprio questa capacità. Il Comitato esorta pertanto gli Stati membri a rafforzare e migliorare i loro istituti di insegnamento e a stanziare i cospicui importi necessari a tal fine. Assicurare una solida istruzione ad ampie fasce della popolazione è importante quanto formare le élite scientifiche. In quest'ottica è necessaria un'ampia e adeguata offerta di istituti di formazione seri e di qualità dalle scuole elementari alle università. Solo in questo modo in Europa si creerà una società complessivamente ben disposta nei confronti dell'istruzione e della scienza.

2.15

Il Comitato ribadisce inoltre la sua raccomandazione di sviluppare, mediante una più intensa cooperazione a livello transnazionale nel campo dell'istruzione, dell'innovazione e della ricerca, uno spazio europeo comune della conoscenza che integri e completi lo Spazio europeo della ricerca. In questo contesto sono importanti tutti gli incentivi e le misure a favore dell'apprendimento permanente, che è infatti il presupposto per una società della conoscenza. Vanno altresì eliminati quanto prima gli ostacoli al mercato interno che impediscono il passaggio a una società europea della conoscenza.

2.16

A tal fine è necessario anche che gli Stati membri promuovano con intensità ancora maggiore la mobilità personale e che vengano rafforzati i pertinenti programmi comunitari di comprovata efficacia (Erasmus, Marie Curie). Considerato che la mobilità favorisce l'acquisizione e il trasferimento di competenze, occorre garantire la libera circolazione di lavoratori, ricercatori e studenti in tutta Europa e ricompensarla mediante incentivi. La mobilità, inoltre, dev'essere accompagnata da un reddito e da condizioni lavorative accettabili e dal sostegno alle famiglie. A tal fine è necessario anche migliorare l'accesso, a livello europeo, alle informazioni relative ai posti vacanti in tutti gli Stati membri.

2.17

Per quanto riguarda l'importanza e la promozione dell'innovazione, il Comitato rimanda non solo alle proprie raccomandazioni riportate in modo dettagliato più sotto, ma anche e soprattutto all'eccellente rapporto Aho, che appoggia, il quale si sofferma in particolare sulle condizioni giuridiche e sociali necessarie ai fini di un'imprenditoria e di un mercato favorevoli all'innovazione. Fa presente inoltre il suo parere circostanziato sul tema Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione.

2.18

Il progresso e l'innovazione si fondano sulla conversione delle nuove conoscenze in processi e prodotti nuovi e migliori (e sulla costante innovazione di quelli già esistenti), su nuovi modelli imprenditoriali e su metodi di gestione appropriati. Alla base vi sono quindi uno spirito imprenditoriale innovativo e iniziative imprenditoriali. Il progresso e l'innovazione si fondano però anche su servizi innovativi, sul continuo sviluppo del sistema sanitario e, in generale, su una migliore soluzione delle questioni sociali, in un rapporto dialettico con le esigenze economiche.

2.19

Innovare significa dunque concepire e realizzare nuove tecniche, procedimenti, forme organizzative, modelli imprenditoriali e didattici, ecc., che precedentemente non erano stati presi in considerazione, talvolta perché non era possibile. Per questo motivo è importante che la legislazione in materia offra un margine di manovra e di libertà sufficiente affinché le idee nuove su cui non si è ancora riflettuto abbiano anch'esse la possibilità di venir realizzate e non vengano lasciate inaridire a priori solo perché inadatte a quadri normativi troppo dettagliati. L'eccesso di disposizioni restrittive è un ostacolo all'innovazione, ragion per cui il Comitato appoggia tutti i tentativi di semplificazione normativa e di revisione intesi ad individuare eventuali norme superflue, troppo dettagliate e/o eccessivamente restrittive.

2.20

Innovare significa anche accettare un certo rischio di non avere successo o perfino di subire perdite. Generalmente, infatti, la funzionalità di un nuovo approccio o progetto, ma anche i suoi svantaggi o effetti collaterali, si riconoscono solo quando lo si mette alla prova nella pratica e in concorrenza con altri procedimenti. Anche dagli insuccessi si possono ricavare nuove conoscenze. L'opportunità e il rischio sono due facce della stessa medaglia. In linea di principio, l'utilità prevista di un'innovazione dovrebbe essere maggiore dei possibili rischi. Gli eventuali rischi per la società, se necessario, vanno sottoposti a una valutazione particolare. Si potrebbe inoltre esaminare l'opportunità di creare in questo contesto un fondo di rischio (ad esempio presso la BEI) per coprire eventuali danni o perdite, almeno per le piccole e medie imprese.

2.21

Il Comitato ha già ripetutamente fatto notare che il capitale umano è la risorsa più critica e preziosa per la conoscenza e l'innovazione. Una sufficiente disponibilità di istituti di insegnamento necessari per crearlo e un adeguato livello di attrezzature e di qualità sono pertanto presupposti indispensabili per poter soddisfare il fabbisogno di bravi scienziati, ingegneri ed insegnanti.

2.22

Con gli investimenti fatti dalla società e, al medesimo tempo, da ogni singolo scienziato e ingegnere nell'acquisizione di vaste e complesse nozioni di base e conoscenze specialistiche, la società (rappresentata dalla politica) si assume la responsabilità di usare tali investimenti nel miglior modo possibile. Tale responsabilità deve manifestarsi nella preoccupazione di offrire ai ricercatori e agli ingegneri qualificati appropriate possibilità lavorative e opportunità di realizzarsi, la possibilità di formare una famiglia, nonché un percorso professionale adeguato con interessanti possibilità di nuove strade che non comportino rischi di esclusione sul piano professionale o vicoli ciechi. La disoccupazione, la retribuzione troppo bassa e l'impiego inadeguato degli scienziati e ingegneri qualificati (anche a causa dell'eccessivo carico amministrativo e delle troppe attività nel quadro di commissioni) sono uno spreco di investimenti economici e costituiscono un deterrente per la prossima generazione di professionisti, determinandone la scelta di intraprendere professioni non tecniche o scientifiche o di abbandonare l'Europa.

2.23

Non è una contraddizione, a questo proposito, chiedere che gli specialisti con esperienza e i migliori rappresentanti del mondo tecnico-scientifico siano coinvolti in modo determinante, più di quanto sia stato fatto finora, nei processi decisionali e nelle attività amministrative legati alla politica della ricerca, delle imprese e dell'innovazione. In questo contesto, la creazione del Consiglio europeo della ricerca (CER) è un primo passo molto incoraggiante. Anche negli organi di promozione della ricerca e dell'innovazione della Comunità (Commissione compresa) e degli Stati membri vanno immesse e mantenute competenze specialistiche sufficienti. L'amministrazione da sola non basta.

2.24

Una questione particolare è quella della conversione della ricerca e dell'innovazione in prodotti e processi industriali. Non per niente l'obiettivo di Lisbona prevede che i due terzi degli investimenti nella R&S debbano provenire dall'industria. Occorre quindi anche migliorare in modo particolare l'immagine professionale dell'imprenditore e radicarla meglio nella società, data la sua importanza decisiva per l'innovazione, il progresso economico e il benessere in generale. Per questo motivo il Comitato, nella sua funzione di ponte verso la società civile organizzata, ha posto l'«imprenditorialità dal volto umano» al centro del suo futuro programma di lavoro. Solo se ci sarà una classe imprenditoriale responsabile, dinamica, ricca di idee e in grado di realizzarsi nel migliore dei modi, si riusciranno infine a raggiungere gli obiettivi di Lisbona.

2.25

Per quanto riguarda molti altri aspetti e particolari si rinvia alle osservazioni più dettagliate che seguono, nonché in modo particolare a due pareri del Comitato rispettivamente sul tema Verso la società europea della conoscenzaIl contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona  (1) e Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione  (2).

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Sviluppo della scienza e della tecnica. L'Europa è la culla di una scienza e di una ricerca moderne in continua evoluzione. Se poi vi si include anche il contesto culturale greco-egizio e si tiene conto della reciproca fecondazione avvenuta in alcuni periodi con la civiltà indiana e araba (3), può dirsi anche la culla della scienza in generale. La scienza e la ricerca, nonostante temporanee fluttuazioni e interruzioni dovute alle guerre, erano caratterizzate da un'interconnessione a livello europeo, al di là dei confini nazionali; la loro metodologia e il modo di pensare che le caratterizza hanno svolto un ruolo decisivo per lo sviluppo dell'odierna società europea e dei suoi valori, nonché del suo stile e livello di vita, e sono stati un segno distintivo dell'area culturale europea (4). Le conquiste che ne sono derivate sono il frutto della libera interazione tra la creatività artigianale e l'iniziativa imprenditoriale, da un lato, e i metodi e sistemi scientifici come pure le tecnologie e i processi industriali che essi hanno consentito di sviluppare, dall'altro.

3.2

Sviluppo della società. Quasi di pari passo con il progresso tecnico-scientifico si sono prodotti sviluppi decisivi sul piano socio-politico, che hanno portato all'affermazione del libero cittadino dello Stato moderno caratterizzato da separazione dei poteri, democrazia, diritti fondamentali e leggi sociali.

3.3

Evoluzione delle condizioni di vita. Nelle regioni e negli Stati interessati questi processi paralleli hanno portato a loro volta a una trasformazione e a un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini la cui portata non ha precedenti nella storia dell'umanità. Negli ultimi 135 anni l'aspettativa media di vita della popolazione (5) è più che raddoppiata (6). Negli ultimi 50 anni la resa agricola in rapporto alla superficie coltivata è quasi triplicata. Nei paesi industrializzati ricchi si discute di obesità e non di malnutrizione, di eccesso di informazioni e non della loro mancanza, di invecchiamento demografico e non di mortalità infantile. Le capacità e i risultati della moderna e dinamica società industriale ottenuti grazie alla ricerca, allo sviluppo e all'innovazione coprono ogni aspetto dello sviluppo umano e della qualità della vita.

3.4

Uso dell'energia. Un contributo decisivo alla realizzazione di tali progressi è venuto dallo sviluppo e dall'utilizzo intensivo di processi industriali, macchinari e mezzi di trasporto che consumano energia. L'energia ha liberato uomini e donne dal peso dei lavori fisici più pesanti, ne ha moltiplicato la produttività, ha reso possibile la produzione di luce e calore e ha consentito una mobilità, una comunicazione e uno sviluppo culturale inimmaginabili: essa è stata la linfa e il motore delle economie moderne.

3.5

Questione climatica e approvvigionamento energetico. Questa notevole evoluzione comporta però anche nuovi problemi e sfide. Il riscaldamento globale, le sue possibili conseguenze e la strategia per arginarlo sono oggetto di decisioni politiche di grande portata (7) e di numerosi studi (8) che presentano posizioni in parte controverse. Nello Stern Review on the Economics of Climate Change (Rapporto Stern sull'economia del cambiamento climatico) (9), pubblicato alla fine di ottobre 2006, si afferma che, già solo per frenare il riscaldamento globale prodotto dai gas ad effetto serra, sarà necessaria una spesa pari a circa l'1 % del PIL, la quale comprende, in particolare, anche altre attività di R&S necessarie a tal fine. Comunque, anche indipendentemente dal problema climatico, la questione di un approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile per l'Europa (e per il mondo intero) è una delle principali sfide politiche; un elemento decisivo per poterla affrontare è un'attività di ricerca e sviluppo decisamente più intensa (10).

3.6

Altri problemi e sfide  (11). Il cambiamento climatico e l'approvvigionamento sostenibile non costituiscono però l'unica problematica. Anche la lotta contro le malattie fisiche e psichiche, il miglioramento delle condizioni di vita delle persone disabili o altrimenti svantaggiate al fine di consentire loro una migliore realizzazione professionale e una maggiore partecipazione alla società della conoscenza, l'impatto dei cambiamenti demografici unitamente alla ricerca gerontologica, una migliore comprensione dei meccanismi di azione e dei contesti economici, sociali e culturali complessi, la tutela dell'ambiente come pure, in generale, la salvaguardia e lo sviluppo delle nostre condizioni di vita, del nostro sistema di valori europeo e del nostro modello sociale sono esempi di temi di ricerca importanti, in merito ai quali il Comitato ha formulato raccomandazioni dettagliate in pareri precedenti, come ad esempio quelli sul Settimo programma quadro di R&S (12) e sui relativi programmi specifici (13).

3.7

Concorrenza globale. La Comunità europea deve altresì far fronte alla sfida molto seria di una concorrenza globale sempre più agguerrita, nel cui contesto si tratta soprattutto di salvaguardare i posti di lavoro, i livelli di reddito e le norme sociali e ambientali europee. Questo è importante non soltanto in relazione alla potenza economica degli Stati Uniti e del Giappone, ma anche e soprattutto alla luce dei risultati notevoli e sempre più significativi ottenuti nel settore industriale e della ricerca da paesi come la Cina (che entro il 2050 intende soppiantare gli Stati Uniti come leader mondiale in campo tecnologico (14)), l'India e il Brasile, e in considerazione del livello decisamente inferiore delle retribuzioni e delle norme sociali e ambientali in tali paesi. È proprio in questo scenario caratterizzato da una concorrenza globale e dalla collegata corsa planetaria a chi investe di più in ricerca e sviluppo, oltre che dalla competizione globale per accaparrarsi i migliori ricercatori ed ingegneri, che la Comunità europea deve ottimizzare la propria politica in materia. Si tratta quindi soprattutto di concorrenza a livello mondiale e non fra i paesi europei.

3.8

Vantaggio nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione. L'Europa, quindi, potrà restare competitiva solo mantenendo anche in futuro il suo vantaggio nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dell'innovazione permanente, in un contesto sociale e culturale caratterizzato da democrazia, Stato di diritto, affidabilità e stabilità politica, libertà d'impresa, certezza della programmazione, volontà di riuscire e riconoscimento dei risultati. Inoltre, è necessario rafforzare e ampliare lo Spazio europeo della ricerca (SER). Per quanto infatti tale obiettivo sia ormai comunemente riconosciuto in tutte le dichiarazioni politiche di intenti, al momento di agire e tradurlo in priorità effettive (ad esempio il bilancio per la ricerca) e in apposite norme (si pensi alla struttura retributiva (15) e al diritto tributario (16)) sussistono purtroppo notevoli carenze sia a livello comunitario sia nella maggior parte degli Stati membri. La gravità della situazione non andrebbe sottovalutata anche se, fortunatamente, in alcuni Stati membri si nota una certa tendenza al miglioramento (17).

3.9

Risultati tecnico-scientifici di eccellenza. Per garantire il nostro futuro, soprattutto sotto il profilo energetico e climatico, per conservare e migliorare la nostra attuale posizione nel contesto globale e per non mettere in pericolo, anzi rafforzare, il modello sociale europeo è assolutamente necessario ottenere risultati tecnico-scientifici di eccellenza e, in un'ottica imprenditoriale, trasformarli in innovazioni e in potenziale economico competitivo. In fin dei conti la ricerca e lo sviluppo contribuiscono però anche a realizzare l'obiettivo fondamentale di creare nuove e maggiori conoscenze. A sua volta, queste maggiori conoscenze non solo aiutano a risolvere i problemi, ma consentono anche di ampliare la propria concezione del mondo, oggettivare le situazioni conflittuali e arricchire la propria cultura.

3.10

Ravvivare la tradizione. Per l'Europa è quindi giunto il momento di ricordare il suo passato di leader nel settore della ricerca e dell'innovazione e di infondere nuova vita a tale tradizione. La forza dell'Europa sta nella capacità dei suoi cittadini di ottenere risultati. Per questo motivo è necessario promuovere proprio questa capacità in misura ancor maggiore di quanto avvenuto finora. È necessario però anche investire in misura nettamente maggiore nella ricerca e nello sviluppo e aumentare l'efficienza di tali settori, rafforzare la disponibilità e la capacità di innovare dell'industria, del commercio e delle amministrazioni, nonché promuovere e apprezzare l'efficienza ed eliminare gli ostacoli che vi si oppongono.

3.11

Aumentare gli investimenti. Questo significa soprattutto che la Comunità e gli Stati membri dovranno investire in misura nettamente maggiore in ricerca e sviluppo, in un'istruzione generale commisurata a tale scopo e nella formazione dei necessari ricercatori e ingegneri (di entrambi i sessi). Significa però soprattutto promuovere la disponibilità dell'industria, specialmente delle PMI, ad investire in ricerca e sviluppo e rendere gli investimenti più interessanti e remunerativi mediante adeguati regimi giuridici, amministrativi, fiscali (18) e finanziari.

3.12

Un clima sociale favorevole al progresso. Il presupposto fondamentale perché ciò avvenga è l'esistenza di un clima sociale aperto al progresso, all'innovazione e all'imprenditorialità, in cui questo modo di vedere possa dispiegare pienamente i suoi effetti, affinché a tutti i livelli politici si creino le condizioni generali necessarie e si compiano scelte in tale direzione, in modo tale che si generino nuovi posti di lavoro e l'industria sviluppi fiducia e ottimismo in misura sufficiente per i necessari investimenti. In questo contesto occorre familiarizzare più che in passato i cittadini con le conquiste e l'importanza della scienza e della tecnica e con i risultati pionieristici ottenuti dalle imprese. A tal fine bisogna però anche essere consapevoli del fatto che è soprattutto la ricerca di base (19) a costituire il presupposto indispensabile per le future conoscenze e le future innovazioni.

3.13

Riconoscimento delle conquiste realizzate. La società deve essere in grado di cogliere l'impatto decisivo di queste conquiste sul nostro modo di vita odierno, le condizioni in cui si sono prodotte e i risultati tecnico-scientifici, imprenditoriali e culturali ad esse collegati, di insegnarle nelle scuole e di apprezzarle per l'incidenza che hanno sulla nostra esistenza.

3.14

Altri presupposti. Il progresso e l'innovazione permanente non si fondano tuttavia soltanto sulla scienza e tecnologia, ma anche sulla motivazione e sulle capacità di tutti i soggetti interessati, sulla loro disponibilità ad impegnarsi, nonché su nuovi modelli imprenditoriali, metodi di gestione appropriati e condizioni giuridiche favorevoli.

3.15

Accettazione del rischio. Per promuovere nuovi approcci di ricerca, come pure tecnologie, metodi gestionali o modelli imprenditoriali innovativi, bisogna accettare un certo rischio di non avere successo o perfino di subire perdite. Generalmente, infatti, i vantaggi e la funzionalità di un nuovo approccio, ma anche i suoi svantaggi, rischi ed effetti collaterali, si riconoscono solo quando lo si mette alla prova nella pratica e in concorrenza con altri procedimenti. Anche dagli insuccessi si possono trarre nuove conoscenze. Il progresso e il rischio sono due facce della stessa medaglia. In linea di principio, l'utilità prevista di un'innovazione dovrebbe essere maggiore dei rischi che essa può comportare. Gli eventuali rischi per la società, se necessario, vanno sottoposti a una valutazione particolare. Si potrebbe inoltre esaminare l'opportunità di creare in questo contesto un fondo di rischio (ad esempio presso la BEI) per aiutare le imprese a coprire i danni o le perdite, almeno per le piccole e medie imprese.

4.   Istruzione, formazione e apprendimento permanente

4.1

Base di conoscenze. La conoscenza si fonda su due pilastri di uguale importanza: la formazione e la ricerca. Le nuove conoscenze si possono ottenere solo mediante la ricerca e lo sviluppo. A tal fine è necessaria la base delle conoscenze preesistenti, che va trasmessa e consolidata mediante l'istruzione, la formazione e l'apprendimento permanente. Qui di seguito vengono illustrati gli obiettivi perseguiti in tale contesto.

4.1.1

Conoscenze di base. Da un lato si tratta di prevedere, nei programmi di istruzione generale, solide conoscenze di base in materia di scienza, tecnica ed economia, comprese le relative modalità di funzionamento e leggi fondamentali. Solo in questo modo i cittadini saranno in grado, ad esempio, di esprimere un giudizio sui collegamenti, spesso non facilissimi, che occorre conoscere anche per formarsi un'opinione politica qualificata. Di conseguenza, i piani di studio e le ore curricolari nelle scuole di ogni ordine e grado devono essere concepiti in modo da introdurre gradualmente i bambini e i giovani, con esempi chiari e spiegazioni e contenuti didattici stimolanti, al modo di pensare della scienza, della tecnica e dell'economia e al patrimonio di conoscenze disponibile (20), e da renderli consapevoli dell'importanza decisiva che l'attività scientifica, lo sviluppo tecnologico, gli approcci socioeconomici innovativi e la società della conoscenza in generale rivestono per il loro futuro e per le opportunità offerte dalla vita. A tal fine va accordata un'importanza molto maggiore a questa parte dei programmi di formazione. Il Comitato accoglie con favore e appoggia le raccomandazioni formulate nel rapporto Rocard, che dà voce a questa esigenza (21).

4.1.2

Incoraggiare la scelta di una professione scientifica. Al medesimo tempo, le persone che hanno un'attitudine particolare per le materie scientifiche vanno incoraggiate a scegliere una professione in questo settore e ad intraprendere un ciclo di studi notoriamente difficile, dotandole a tal fine di una formazione di base solida. Anche per questo motivo i programmi scolastici, e in particolare quelli dei licei, devono avere un'offerta formativa più ampia e di qualità elevata.

4.1.3

Lacune in ogni senso. Ci sono quindi profonde lacune da colmare nell'offerta formativa in campo tecnico-scientifico, fermo restando che, naturalmente, è necessario promuovere su ampia scala tutte le attitudini dei giovani, e quindi anche per le scienze sociali, per l'economia e per le materie umanistiche. Assicurare una solida istruzione ad ampie fasce della popolazione (a tal fine occorre anche disciplina, come pure la disponibilità degli studenti ad impegnarsi) è importante quanto formare le élite di professionisti scientifici. La disponibilità di istituti di formazione di qualità (dalle scuole elementari fino alle università) è il presupposto fondamentale per creare una società complessivamente ben disposta nei confronti dell'istruzione e della scienza.

4.1.4

Lo spazio europeo della conoscenza. Il Comitato ribadisce la sua raccomandazione di sviluppare, mediante una più intensa cooperazione a livello transnazionale nel campo dell'istruzione, dell'innovazione e della ricerca, uno spazio europeo comune della conoscenza che integri e completi lo Spazio europeo della ricerca. A tal fine è necessario eliminare quanto prima gli ostacoli presenti nel mercato interno che impediscono il passaggio a una società europea della conoscenza. In questo contesto il Comitato rinvia anche al suo parere Verso la società europea della conoscenzaIl contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona  (22).

4.1.5

Apprendimento permanente e mobilità. In questo contesto svolgono un ruolo importante gli incentivi e le misure a favore dell'apprendimento permanente, che infatti è il presupposto per una società della conoscenza. A tal fine è necessario che gli Stati membri promuovano con intensità ancora maggiore la mobilità personale e che vengano rafforzati i pertinenti programmi comunitari di comprovata efficacia (Erasmus, Marie Curie). La mobilità crea una rete attraverso l'Europa e favorisce l'acquisizione e il trasferimento di competenze; è necessario quindi garantire la libera circolazione di lavoratori, ricercatori e studenti e fare in modo che essa sia accompagnata da un reddito e da condizioni lavorative accettabili e dal sostegno alle famiglie. A tal fine occorre anche migliorare l'accesso, a livello europeo, alle informazioni relative ai posti vacanti in tutti gli Stati membri.

4.2

Standard della formazione specialistica. Occorre anche garantire che la formazione tecnico-scientifica impartita dalle università e dai politecnici sia di livello almeno pari ai più elevati standard internazionali. Il capitale più importante per la ricerca e l'innovazione è infatti costituito da ricercatori ed ingegneri di entrambi i sessi ottimamente qualificati e motivati che, attraverso la formazione continua, conservano e accrescono le loro competenze specifiche per tutta la vita lavorativa; un numero sufficiente di essi possiede le qualifiche necessarie per assumere ruoli dirigenziali e ottenere risultati all'avanguardia in settori estremamente complessi.

4.3

Opportunità per tutti. In futuro il progresso e il successo saranno più che mai il risultato di un lavoro di équipe strutturato e caratterizzato da una suddivisione dei compiti, nel quadro del quale è necessario offrire a tutte le parti coinvolte le migliori opportunità possibili di realizzarsi e di prendere iniziative autonome, in linea con le rispettive attitudini, creatività e capacità di ottenere risultati. Ciò presuppone fra l'altro che i sistemi scolastici abbiano una permeabilità sufficiente per offrire possibilità di formazione ottimali a tutti in funzione delle rispettive attitudini, per esempio anche agli studenti che le manifestano più tardi. È altresì indispensabile disporre di istituti di insegnamento di qualità adeguata per l'intero spettro di qualifiche degli specialisti e dei professionisti di cui si ha e si avrà bisogno per l'ampia gamma di compiti da svolgere nel campo della tecnica, della scienza e dell'economia.

4.4

Collegamenti in rete. In modo particolare per la formazione e il perfezionamento professionale è necessaria un'interconnessione ancora più stretta tra i pilastri della formazione, della ricerca e dell'applicazione industriale, un aspetto, questo, chiaramente collegato al tema dell'apprendimento permanente e della mobilità (cfr. punto 4.1.5). È necessario anche un maggiore collegamento transfrontaliero fra università e politecnici/istituti di istruzione superiore. Anche in quest'ottica il Comitato accoglie con favore il progetto di creare un Istituto europeo di tecnologia (23) che dovrebbe contribuire a sviluppare ulteriormente la capacità innovativa della Comunità e degli Stati membri, collegando le attività di formazione, ricerca e innovazione ai massimi livelli. Non essendo limitato alla formazione e all'insegnamento, questo progetto interessa però anche l'attività di R&S comune e «precompetitiva» (24) delle imprese industriali, come ad esempio lo sviluppo congiunto di tecnologie migliori per i motori nell'industria automobilistica.

5.   Questioni finanziarie e relative procedure

5.1

Gli investimenti: un dovere per tutte le parti coinvolte. La Comunità, gli Stati membri e il settore privato devono fare tutto il possibile (cioè più di quanto facciano attualmente) per effettuare gli investimenti necessari in istruzione, ricerca e sviluppo.

5.2

Obiettivo di Barcellona. L'obiettivo di Barcellona, formulato ai fini dell'attuazione della strategia di Lisbona, deve essere preso molto sul serio da tutti i soggetti interessati e va perseguito con tutte le forze, se non si vuole restare ultimi nella corsa globale a chi investe di più in ricerca e sviluppo. L'obiettivo prevede che la spesa complessiva per la R&S nell'Unione venga aumentata fino a raggiungere, nel 2010, un livello pari quasi al 3 % del PIL e che fino a due terzi degli investimenti necessari provengano dal settore privato.

5.3

Effetto leva del Settimo programma quadro di R&S. Nel dicembre 2006 il Consiglio ha adottato il Settimo programma quadro di R&S (7PQ) per il periodo 2007-2013, che ha una dotazione di circa 50 miliardi di euro e quindi decisamente superiore a quella del programma precedente. Si tratta di un altro successo molto considerevole della politica europea, che aveva avuto l'appoggio determinante del Comitato. Tuttavia, con il bilancio previsto, pari a circa 50 miliardi di euro, la Comunità, dal canto suo, contribuirebbe solo per il 2 % circa (ossia solo per 1/50) agli investimenti complessivi nella R&S indicati dall'obiettivo di Barcellona. Come il Comitato ha ripetutamente sottolineato, ciò non è però sufficiente né per massimizzare l'effetto di leva e di integrazione degli aiuti comunitari sulla politica di sostegno alla ricerca degli Stati membri e sulla necessaria disponibilità dell'industria a investire, né per innescare la notevole crescita richiesta in questi settori per raggiungere l'obiettivo di Barcellona.

5.4

Una raccomandazione ribadita. Il Comitato, tenuto conto anche dell'intenzione di creare un istituto europeo di tecnologia e della grande necessità di svolgere una maggiore attività di R&S sull'approvvigionamento energetico sostenibile e rispettoso del clima, ribadisce perciò la propria raccomandazione (25) di aumentare della metà la quota del sostegno comunitario in una prima fase, nel quadro della revisione del bilancio UE in programma per il 2008, portandola così al 3 % circa degli investimenti indicati dall'obiettivo di Barcellona. Si tratterebbe, da parte della Comunità, di una misura particolarmente efficace per conseguire più rapidamente di quanto si possa immaginare attualmente gli obiettivi sempre più importanti di Lisbona e di Barcellona e per risolvere i summenzionati problemi in modo più rapido ed efficace.

5.4.1

Competizione con la Cina. Lo sforzo di ricerca di paesi come la Cina è in rapido aumento e, nel settore delle tecnologie importanti e indispensabili a livello mondiale, l'Europa deve fare tutto il possibile per non perdere quote di mercato a vantaggio dei concorrenti internazionali. Tuttavia, a livello politico è praticamente impossibile chiedere in modo credibile che il settore privato effettui gli investimenti necessari se poi la Comunità e gli Stati membri non contribuiscono nemmeno con la loro quota a finanziare l'obiettivo di Barcellona da loro stessi formulato.

5.4.2

Finanziamenti di base da parte degli Stati membri. Gli Stati membri dovrebbero almeno fare in modo che le loro università e i loro istituti di ricerca dispongano di finanziamenti di base sufficienti per poter sfruttare nella misura auspicata la possibilità di un cofinanziamento a titolo del 7o programma quadro di RST.

5.5

Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato. Le norme comunitarie sugli aiuti di Stato dovrebbero essere concepite in modo tale da incoraggiare gli Stati membri e consentire loro di sostenere in misura maggiore e in modo più efficace e meno burocratico di quanto avvenuto finora i progetti di R&S delle università, degli organismi di ricerca e dell'industria, nonché i necessari collegamenti in rete tra questi enti. Andrebbe perciò controllato attentamente se la «disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione» (26) favorisca davvero questi obiettivi.

5.6

Norme di bilancio nazionali. Nel quadro del finanziamento delle misure di R&S le norme di bilancio dei singoli Stati membri dovrebbero consentire una richiesta/erogazione di fondi più flessibile e adeguata al ciclo di ciascun progetto, ad esempio dando la possibilità di riportare al successivo anno civile o esercizio finanziario una parte degli stanziamenti già assegnati.

5.7

Potenziamento dell'infrastruttura di ricerca. Il Comitato ha anche ripetutamente raccomandato (27) di utilizzare una parte decisamente più cospicua degli stanziamenti erogati a titolo dei fondi strutturali comunitari per potenziare l'infrastruttura di ricerca. A tal fine potrebbe anche essere molto utile impiegare i fondi della Banca europea per gli investimenti.

5.8

Potenziale delle PMI. In questo contesto è altresì necessario rafforzare ulteriormente il potenziale delle PMI, in particolare quelle in fase di avviamento, e in generale creare maggiori incentivi affinché l'industria investa di più in questo settore. Il Comitato rimanda inoltre alle proprie raccomandazioni (28) formulate in merito al programma UE Programma pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità, in particolare per le piccole e medie imprese (PMI) (2001-2005) e richiama l'attenzione sul sostegno, particolarmente importante in questo contesto, al settore dell'economia della conoscenza. Se si considera che il 98 % di tutte le imprese dell'UE è costituito da PMI, si comprende chiaramente l'importanza di rafforzare la capacità innovativa di questa categoria di imprese (e il Comitato si compiace pertanto che nel 7PQ 1,3 miliardi di euro siano destinati specificatamente alla R&S effettuata da e per le PMI). Le norme attualmente in vigore che ostacolano le PMI andrebbero rivedute e, per quanto possibile, rese meno burocratiche. Inoltre le autorità pubbliche, mediante gli investitori informali (business angels), potrebbero fornire assistenza nell'accesso alle opportunità di finanziamento. L'Europa può trarre degli spunti anche dalla politica di finanziamento attuata in questo campo da altri paesi.

6.   Aspetti strutturali e condizioni generali

6.1

Riferimenti ad altri documenti precedenti. A questo proposito il Comitato rimanda in primo luogo alle due comunicazioni recentemente pubblicate dalla Commissione (29) sul tema dell'innovazione e all'eccellente rapporto Aho (30). Ricorda inoltre il proprio parere (31) Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione, il cui contenuto presenta numerose sovrapposizioni con il presente testo ma che, su parecchi dei temi trattati nel presente parere, è molto più dettagliato.

6.2

L'innovazione è qualcosa di più. Il Comitato, sottolineando e integrando quanto affermato nei summenzionati documenti, ribadisce che il progresso e l'innovazione non si fondano solo sulla scienza e sulla tecnica, ma anche sulla conversione di tali conoscenze in processi e prodotti nuovi e migliori, su nuovi modelli imprenditoriali e su metodi di gestione appropriati. Alla base vi sono quindi anche uno spirito imprenditoriale innovativo e iniziative imprenditoriali. Il progresso e l'innovazione si fondano anche su servizi innovativi, sul continuo sviluppo del sistema sanitario e, in generale, su una migliore soluzione delle questioni sociali. Un esempio a questo proposito è il concetto di «flessicurezza», sul quale il Comitato si è già soffermato (32).

6.3

Innovazione: avventurarsi su un terreno sconosciuto. Innovare significa dunque concepire e realizzare nuove tecniche, procedimenti, forme organizzative, modelli imprenditoriali e didattici, ecc. che precedentemente non erano stati presi in considerazione, ragion per cui la loro funzionalità si può dimostrare solo a posteriori, quando essi danno prova di sé in una concreta situazione concorrenziale.

6.4

Definire quadri normativi flessibili. I quadri normativi, invece, vengono messi a punto sulla base delle conoscenze già esistenti. È molto importante, perciò, che le disposizioni normative offrano un margine di manovra e di libertà sufficiente, ossia sufficiente pluralismo e variabilità, affinché le idee nuove su cui non si era ancora riflettuto possano essere realizzate e non vengano né soffocate sul nascere né lasciate inaridire lentamente, a priori, solo perché non sono adatte ai quadri normativi vigenti. Per tutte le disposizioni normative, quindi, si deve sì aver cura di considerare e sistematizzare le questioni fondamentali, ma occorre anche evitare norme troppo dettagliate. La sovraregolamentazione e l'eccesso di disposizioni restrittive, pur se adottate con buone intenzioni, costituiscono infatti un ostacolo e un impedimento all'innovazione. Per questo motivo il Comitato appoggia tutti i tentativi di semplificazione normativa e di revisione intesi ad individuare eventuali norme superflue e/o eccessivamente restrittive. Ciò contribuisce inoltre ad evitare agli esperti del settore una burocrazia superflua (cfr. infra). E del resto, gli errori dei singoli non devono portare a una sovraregolamentazione generalizzata.

6.5

Libertà di ricerca. Non si può che ripetere che l'innovazione necessita di un sufficiente margine di manovra per le imprese. La libertà di ricerca scientifica — compresa quella da obiettivi non pertinenti, restrittivi (33) o addirittura ideologici — è un presupposto fondamentale per una scienza creativa, come pure per nuove scoperte e invenzioni, fatti salvi i limiti imposti dalle disposizioni di legge relative alle problematiche etiche e fermo restando un uso corretto degli aiuti erogati.

6.6

Conferma del parere CESE 1566/2006. Anche per altri aspetti importanti si rimanda al punto 5.1 del summenzionato parere (34), e il Comitato ribadisce espressamente quanto ivi affermato. Ai punti da 4.7 a 4.11 di tale parere, infatti, il Comitato ha formulato raccomandazioni in merito ai seguenti temi rilevanti anche in questa sede: passaggio dalla conoscenza della natura alla creazione di prodotti, processi e servizi innovativi; mobilità tra mondo accademico e industria; sistemi di informazione pubblicamente accessibili; cluster; imprese start-up; ricerca di base; prodotti innovativi; appalti pubblici; proprietà intellettuale e necessità di un brevetto comunitario; periodo di grazia non penalizzante per le innovazioni; problema linguistico; situazione particolare dei nuovi Stati membri.

6.6.1

Tutela della proprietà intellettuale — brevetto comunitario. In questo contesto va sottolineata ancora una volta in modo particolare l'importanza di una sufficiente tutela della proprietà intellettuale (35): gli investimenti effettuati dalle imprese in ricerca, sviluppo e innovazione devono essere redditizi e l'impegno finanziario, come pure giuridico e amministrativo per ottenere e mantenere i diritti a questa tutela non devono penalizzare la forza economica dell'Europa rispetto a quella dei concorrenti mondiali. Ciò dimostra anche l'impellente necessità di un brevetto comunitario (che preveda un periodo di grazia).

7.   Il fattore umano: scienziati, ingegneri e imprenditori

7.1

La risorsa più preziosa. Il Comitato rimanda anzitutto al proprio parere dedicato specificatamente a questo tema (36), ribadendone e sottolineandone le affermazioni. Nel parere, come già in precedenza, il Comitato aveva fatto notare che il capitale umano è la risorsa più critica e preziosa per la conoscenza e l'innovazione. Il compito più importante è perciò quello di motivare i giovani di talento ad abbracciare studi scientifici o tecnici e di offrire poi loro la migliore formazione possibile.

7.2

Qualità degli istituti di formazione (cfr. punto 4). Il numero, le attrezzature e la qualità degli istituti di insegnamento necessari sono pertanto presupposti indispensabili per soddisfare il fabbisogno di bravi scienziati, ingegneri e imprenditori. Occorre pertanto creare o mantenere un numero sufficiente di università e soprattutto di politecnici attrezzati in modo adeguato, attraenti, di qualità eccellente e con ottimi docenti, nei quali la ricerca e l'insegnamento siano collegati (37). Tali atenei devono poter sostenere la concorrenza con le migliori università statunitensi o di altri paesi extraeuropei, nonché possedere una sufficiente capacità di attrazione per i migliori studenti extracomunitari.

7.3

Responsabilità della società. Con gli investimenti fatti sia dalla società che dai singoli ricercatori per acquisire le vaste e complesse nozioni di base e le profonde conoscenze specialistiche auspicate, la società (rappresentata dalla politica) si assume la responsabilità di usare tali investimenti nel miglior modo possibile. Tale responsabilità deve manifestarsi nella preoccupazione di offrire a chi ha seguito una formazione di ricercatore appropriate opportunità lavorative e possibilità di realizzarsi, nonché un percorso professionale adeguato, con interessanti possibilità di nuove strade che non comportino rischi di esclusione sul piano professionale e vicoli ciechi. La disoccupazione, la retribuzione troppo bassa e l'impiego inadeguato di scienziati e ingegneri qualificati sono uno spreco di investimenti economici e costituiscono un deterrente per la generazione successiva di professionisti, determinandone la scelta di non intraprendere professioni tecniche o scientifiche o di abbandonare l'Europa. Anche una burocrazia esagerata (cfr. punto 7.7) rappresenta un impiego inadeguato.

7.4

Sviluppare le proprie attitudini. Occorre offrire alle persone, e quindi anche a tutti coloro che lavorano nelle imprese, nelle università e negli istituti di ricerca, le migliori opportunità possibili di realizzare le loro potenzialità e di prendere iniziative autonome in funzione delle loro attitudini e della loro creatività e capacità di ottenere risultati, nonché creare un ambiente sociale che consenta loro di formarsi una famiglia e favorisca e promuova la loro capacità creativa. Questo presuppone però anche che, a loro volta, i giovani che hanno avuto la fortuna di ricevere una tale formazione e un tale sostegno si adoperino al massimo per impiegare nel miglior modo possibile, con impegno e senso del dovere, le capacità acquisite e i talenti di cui dispongono. Si tratta di questioni cruciali della politica sociale, della politica familiare, dell'economia aziendale e in generale della cultura del management. A tale proposito, nel frattempo, è stata riconosciuta anche l'importanza che riveste, per la creatività e la produttività, un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata (work-life-balance) (38).

7.5

Individuare e valutare i talenti  (39). Le capacità e le prestazioni eccellenti sono praticamente impossibili da rilevare mediante schemi di valutazione prestabiliti (che tra l'altro possono anch'essi dar adito ad abusi). È problematico, ad esempio, il comportamento di quegli autori che, nelle pubblicazioni, di preferenza si citano a vicenda, creando in tal modo una sorta di «cartello delle citazioni» e ottenendo così dei vantaggi nelle valutazioni schematiche. Né il numero delle pubblicazioni, né quello delle citazioni o dei brevetti né altri indici simili, da soli, costituiscono criteri di valutazione affidabili o sufficienti; sono più significativi la qualità, il grado di innovazione e la rilevanza. Inoltre, a volte sono state proprio le scoperte o le invenzioni che hanno aperto nuove strade ad essere divulgate, riconosciute, utilizzate o citate solo con un certo ritardo. Per questo motivo, per valutare la personalità e le prestazioni con tutte le relative caratteristiche e sfaccettature, è necessario il bagaglio di esperienze e la capacità di valutazione personale degli autorevoli rappresentanti delle discipline in cui sono stati ottenuti o ci si aspetta di ottenere tali prestazioni (e anche in questo caso è impossibile evitare completamente valutazioni errate).

7.6

Partecipazione ai processi decisionali. Occorre inoltre coinvolgere più di quanto sia stato fatto finora gli specialisti con esperienza e i migliori rappresentanti del mondo tecnico-scientifico negli importanti processi decisionali e nelle attività amministrative concernenti la politica della ricerca e dell'innovazione e il settore imprenditoriale. In questo contesto, la creazione del Consiglio europeo della ricerca (CER) è un primo passo molto incoraggiante che ha avuto il fermo appoggio del Comitato (40). Tuttavia, anche nella gestione degli aiuti alla ricerca e all'innovazione da parte della Comunità (vale a dire soprattutto della Commissione) e degli Stati membri è necessario immettere e mantenere competenze specifiche sufficienti. A tal fine andrebbero coinvolti anche e soprattutto giovani ingegneri e ricercatori di successo. Il sostegno alla ricerca e all'innovazione non deve limitarsi a una semplice questione amministrativa.

7.7

Alleviare da eccessivi compiti poco pertinenti con l'attività scientifica. Dedicarsi alla ricerca e allo sviluppo, inventare, ma anche rielaborare e trasmettere conoscenze sono attività intellettuali e di laboratorio che richiedono molto tempo, nonché momenti di concentrazione assoluta e di riflessione. Dal 2000 il Comitato ha ripetutamente (41) fatto notare che un'attività eccessiva e sempre più intensa legata ai lavori delle varie commissioni, alla presentazione e valutazione di progetti e all'elaborazione di rapporti, ossia un eccesso di burocrazia in generale, occupa ormai la maggior parte dell'orario di lavoro di molti esperti, sottraendo tempo ai loro veri compiti. Ciò va a detrimento della forza innovativa e della capacità di ottenere risultati, anche nel caso di specialisti eccellenti. Questa evoluzione negativa viene ora denunciata sempre più spesso anche dai mezzi di comunicazione (42). Il Comitato si compiace che la Commissione abbia dichiarato di voler affrontare questo tema e cercare, assieme agli Stati membri, di alleggerire il lavoro dei ricercatori. A tale proposito, la richiesta di coinvolgere gli esperti nei processi decisionali relativi alla politica della ricerca non è in contraddizione con la necessità di alleviare il carico burocratico. Al contrario, essa può perfino aiutare a realizzare questo obiettivo. Un obiettivo concreto dovrebbe essere quello di armonizzare e concentrare le numerose procedure richieste dai diversi donatori, istituzioni partner, reti e organi di controllo e di valutazione per la presentazione delle domande, la rendicontazione e il monitoraggio. In questo modo, inoltre, si aumenterebbe notevolmente la trasparenza.

7.8

Fuga dei cervelli e mobilità. La professione dell'ingegnere o del ricercatore, giustamente (cfr. anche punto 4.1.5), richiede mobilità e flessibilità, ma questo non deve andare a scapito delle condizioni della vita personale e familiare né della sicurezza sociale (43). Non deve nemmeno provocare un'emigrazione netta dei migliori scienziati dall'Europa. Le condizioni professionali in Europa devono quindi essere sufficientemente attraenti da evitare una tale situazione e garantire, nel complesso, un bilancio almeno equilibrato per quanto riguarda la mobilità internazionale dei professionisti altamente qualificati. Tuttavia, in alcuni Stati membri vi è anche il timore che all'interno dell'UE possa verificarsi una fuga di cervelli in un'unica direzione. Come il Comitato ha già ripetutamente raccomandato (cfr. anche il punto 5.7), andrebbe quindi destinata una quota decisamente maggiore dei fondi strutturali comunitari al potenziamento dell'infrastruttura di ricerca, onde creare in tutti gli Stati membri centri di ricerca attraenti che, a loro volta, potrebbero essere dei poli di attrazione per i ricercatori interessati a tornare in patria e, al medesimo tempo, dei partner nelle varie reti.

7.9

Immagine professionale dell'imprenditore. Una questione particolare è quella della conversione della ricerca e dello sviluppo in prodotti e processi innovativi. Non a caso l'obiettivo di Lisbona prevede che i 2/3 degli investimenti per la ricerca provengano dall'industria. Si tratta quindi in modo particolare anche di migliorare l'immagine della professione di imprenditore e di ancorarla meglio nella società, data la sua importanza decisiva per l'innovazione, il progresso economico e il benessere generale. Per questo motivo il Comitato, nella sua funzione di ponte con la società civile organizzata, ha posto il tema dell'imprenditorialità dal volto umano al centro del suo futuro programma di lavoro. Solo se ci sarà una classe imprenditoriale responsabile e dinamica in grado di realizzarsi nel migliore dei modi, alla fine si riusciranno a raggiungere gli obiettivi di Lisbona.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 65 del 17.3.2006.

(2)  GU C 325 del 30.12.2006.

(3)  Forse anche con la civiltà cinese.

(4)  Una descrizione molto dettagliata e articolata di questi processi figura nel parere di iniziativa del Comitato sul tema Scienza, società e cittadini in Europa (GU C 221 del 7.8.2001).

(5)  Il dato si riferisce alla Germania.

(6)  Grazie anche soprattutto alla diminuzione della mortalità infantile.

(7)  Consiglio europeo del 23-24 marzo 2006, conclusioni della presidenza (Energia sostenibile).

(8)  

Cfr. per esempio:

1)

Organizzazione meteorologica mondiale (OMM)/Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (PNUA): rapporto scientifico del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici Climate Change 2007: The Physical Science BasisSummary for Policy Makers, oppure

2)

lettera aperta di 61 scienziati al primo ministro canadese

(http://www.lavoisier.com.au/papers/articles/canadianPMletter06.html)

(9)  http://www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/sternreview_index.cfm.

(10)  GU C 241 del 7.10.2002, La necessità di una ricerca finalizzata a un approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile, e la recente pubblicazione Transition to a sustainable energy system for EuropeThe R&D perspective (Il passaggio a un sistema energetico sostenibile per l'Europa nell'ottica della R&S), ISBN 92-79-02688-7.

(11)  A questo proposito cfr. il parere GU C 185 dell'8.8.2006.

(12)  GU C 65 del 17.3.2006.

(13)  GU C 185 dell'8.8.2006.

(14)  Cfr. la rivista Bild der Wissenschaft 9/2006, pag. 109.

(15)  E in particolare alla situazione retributiva e contrattuale dei giovani ricercatori e ingegneri.

(16)  A questo proposito cfr. la comunicazione della Commissione Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S (COM(2006) 728 def.).

(17)  Cfr. l'articolo Zwischen Fortschritt und Stillstand (Tra progresso e stagnazione), in: Frankfurter Allgemeine Zeitung n. 49 del 27.2.2007, pag. 17.

(18)  A questo proposito cfr. anche la comunicazione della Commissione Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S (COM(2006) 728 def.), in merito alla quale il Comitato elaborerà un parere specifico.

(19)  A questo proposito cfr. in particolare il parere (GU C 110 del 30.4.2004). Storicamente è proprio nel settore della ricerca di base che sono state avviate le prime iniziative di cooperazione scientifica in Europa (occidentale), nate dall'esigenza di istituire centri per ospitare grandi apparecchiature e creare una massa critica i cui costi superavano le capacità economiche dei singoli Stati o la loro disponibilità a stanziare fondi a tale scopo.

(20)  Non si tratta tanto di imparare e dominare una lunga serie di formule, ma di una comprensione basilare della tecnica e delle leggi elementari della natura, oltre che di saper cogliere l'importanza dei nessi quantitativi e l'utilità della matematica.

(21)   Science education now: A Renewed Pedagogy for the Future of Europe , relazione del gruppo ad alto livello sull'istruzione scientifica: Michel Rocard (presidente), Peter Csermely, Doris Jorde, Dieter Lenzen, Harriet Walberg-Henriksson, Valerie Hemmo (relatrice), a cura della DG Ricerca, direzione Scienza, economia, società, 2007, EUR 22845.

(22)  GU C 65 del 17.3.2006.

(23)  GU C 93 del 27.4.2007.

(24)  A questo proposito, cfr. anche il punto 7 del parere (GU C 204 del 18.7.2000).

(25)  GU C 325 del 30.12.2006.

(26)  GU C 323 del 30.12.2006, pagg. 1-26.

(27)  Tra l'altro nel parere (GU C 65 del 17.3.2006).

(28)  GU C 234 del 22.9.2005.

(29)  Mettere in pratica la conoscenza: un'ampia strategia dell'innovazione per l'UE (COM(2006) 502 def., del 13.9.2006) e Un'Europa moderna e favorevole all'innovazione (COM(2006) 589 def., del 12.10.2006).

(30)  EUR 22005, Creare un'Europa innovativa, ISBN 92-79-00964-8.

(31)  GU C 325 del 30.12.2006.

(32)  Cfr. ad esempio il parere Flessicurezza: il caso della Danimarca (GU C 195 del 18.8.2006).

(33)  Cfr. anche (GU C 65 del 17.3.2006), punto 4.13.2 Carta europea dei ricercatori, come pure la nota a piè pagina.

(34)  GU C 325 del 30.12.2006.

(35)  A questo proposito cfr. il discorso del commissario Günter VERHEUGEN, del 19.4.2007, sul tema La proprietà intellettuale: motore dell'innovazione in Europa (SPEECH/07/236).

(36)  I ricercatori nello Spazio europeo della ricerca: una professione, molteplici carriere (GU C 110 del 30.4.2004).

(37)  A tal fine potrebbe essere utile migliorare ulteriormente il collegamento tra le università e gli istituti di ricerca extrauniversitari, soprattutto per poter integrare le loro apparecchiature e la loro infrastruttura nel binomio ricerca-insegnamento, ma anche per garantire che nei corsi accademici confluiscano le scoperte più recenti.

(38)  Cfr. Frankfurter Allgemeine Zeitung n. 257 del 4.11.2005, C 1.

(39)  Cfr. anche (GU C 110 del 30.4.2004).

(40)  Cfr. anche (GU C 110 del 30.4.2004).

(41)  Cfr. in modo particolare il punto 9.8 segg. del parere (GU C 204 del 18.7.2000). Il punto 9.8.2, ad esempio, recita: «Quindi ogni scienziato di successo dispone in modo limitato di possibilità di interazione e di tempo per allacciare contatti dai contenuti significativi con altre persone, gruppi, organi, commissioni eccetera, senza danneggiare i propri risultati scientifici. Procedure di richiesta e di valutazione troppo numerose e onerose, specie se hanno esito negativo, sottraggono alla ricerca il lavoro di persone indispensabili. Ciò vale in particolare a causa del fatto che per uno stesso progetto vengono impiegati troppi strumenti di sostegno e procedure di valutazione, che a volte si sovrappongono».

(42)  Cfr. ad esempio l'articolo Ein Forscher geht, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung n. 60 del 12.3.2007 e l'intervista a Harald UHLIG, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung n. 67 del 20.3.2007.

(43)  Cfr. anche GU C 110 del 30.4.2004.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Revisione dell'acquis relativo ai consumatori

COM(2006) 744 def.

(2007/C 256/05)

La Commissione europea, in data 8 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Revisione dell'acquis relativo ai consumatori

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore ADAMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 55 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE prende atto del Libro verde, ma dubita che l'approccio proposto possa portare ad un livello elevato ed uniforme di protezione dei consumatori in tutta l'UE. Garantire tale protezione mediante l'effettiva attuazione di un acquis semplificato e coerente è un tema ricorrente nei pareri del CESE sulla tutela dei consumatori, ma vi sono elementi che inducono a ritenere che difficilmente con il processo di revisione proposto si possa conseguire tale risultato. La revisione dell'acquis deve costituire quindi un effettivo sforzo di attuazione dell'iniziativa «Legiferare meglio». La base e gli obiettivi di un tale sforzo dovranno essere chiari e concordati, a monte, con le parti interessate.

1.2

Sono necessarie un'autentica legittimazione democratica dell'acquis riveduto in materia di protezione dei consumatori e una chiara base giuridica e concettuale.

1.3

Il CESE accoglierebbe con favore l'applicazione dei principi dell'acquis al contesto digitale in rapida crescita e scarsamente regolamentato.

1.4

La politica dei consumatori è considerata dal CESE non solo parte integrante della strategia del mercato interno dell'UE, ma anche elemento essenziale e assertivo della cittadinanza. Il CESE è favorevole all'attuazione dei principi di una migliore regolamentazione nella legislazione relativa ai consumatori. Tutte le proposte di armonizzazione delle norme in questo campo dovrebbero essere supportate da un'adeguata valutazione di impatto e mirare alla semplificazione e al chiarimento delle norme esistenti.

1.5

L'adozione di misure per una migliore attuazione delle norme e il rafforzamento o l'introduzione di procedure semplici e chiare per ottenere un risarcimento andrebbero evidenziate come azioni prioritarie.

1.6

Il Comitato incoraggia la Commissione a tener conto del suo parere dell'aprile 2006 sul tema Un quadro giuridico per la politica dei consumatori  (1), che proponeva di rendere possibile l'adozione di misure di politica dei consumatori in sé e non solo come sottoprodotto della creazione del mercato interno.

1.7

L'armonizzazione della legislazione in materia di protezione dei consumatori in tutta l'UE deve avere come principio guida l'adozione del migliore e più elevato livello di protezione dei consumatori esistente negli Stati membri. Qualsiasi «strumento orizzontale» dovrebbe basarsi sui più elevati standard, mentre la necessaria «integrazione verticale» si concentrerebbe sul chiarimento delle questioni tecniche. Uno strumento orizzontale potrebbe tuttavia contenere norme pienamente armonizzate in campi specifici, quali il diritto di recesso e la definizione di consumatore, le clausole abusive, la consegna o il diritto di ricorso dei consumatori, mentre negli altri casi verrebbe applicata un'armonizzazione minima. C'è da sperare che sarà questo l'approccio preferito sia dalla Commissione che da tutti gli Stati membri.

2.   Introduzione

2.1

All'inizio del febbraio 2007 la Commissione europea ha adottato il tanto atteso Libro verde Revisione dell' acquis relativo ai consumatori (cioè del patrimonio normativo comunitario in materia di diritti dei consumatori), concludendo così quella che viene definita «la fase diagnostica» del processo di riesame della materia. Nel Libro verde la Commissione sollecita pareri in merito a determinate opzioni destinate a semplificare, modernizzare e armonizzare la legislazione comunitaria vigente in materia di tutela dei consumatori. È infatti sua convinzione che analizzare i punti di forza e di debolezza della legislazione vigente e apportare le opportune modifiche potrà recare benefici sia ai consumatori che alle imprese. Essa ritiene inoltre che il riesame offra l'opportunità di conseguire una certa coerenza tra gli Stati membri e, in generale, migliorare la legislazione europea di tutela dei consumatori, una parte della quale risale a venti anni fa, soprattutto identificando i punti in cui vi sono differenze normative e verificando se queste creino ostacoli ai consumatori e alle imprese nel mercato interno — sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà. Il presente parere si concentra pertanto sul modo in cui sono percepite e presentate le tematiche che sottendono l'acquis relativo ai consumatori. Per il momento la Commissione si è limitata a prospettare opzioni di cambiamento.

2.2

La spesa dei consumatori, pur rappresentando il 58 % del PIL dell'UE, risulta ancora ampiamente frammentata tra i 27 mercati nazionali. Il mercato interno sarebbe potenzialmente il più grande al mondo, e la Commissione ha descritto la propria strategia come il tentativo di risvegliare un gigante dormiente, ossia il settore del commercio al dettaglio del mercato interno (2). Oggi, secondo la Commissione, la politica europea dei consumatori da un lato garantisce a tutti i consumatori europei, a prescindere dal luogo dell'UE in cui abitano, si recano o fanno acquisti, un elevato livello comune di tutela da rischi e minacce alla loro sicurezza e ai loro interessi economici, dall'altro accresce la loro capacità di difendere i propri interessi (3).

2.3

L'obiettivo di assicurare che sul territorio dell'UE sia coerentemente applicato un quadro di riferimento comune in materia di diritti dei consumatori trova ampio sostegno. Tale quadro darebbe a tutti i consumatori diritti e strumenti di tutela chiari ed equi, garantendo allo stesso tempo parità di condizioni ai fornitori di beni e servizi. Il Libro verde riconosce esplicitamente che la marcia di avvicinamento a questo traguardo è stata lenta, incoerente e ostacolata da una serie ampia e mutevole di priorità ed eccezioni nazionali. L'adesione di nuovi Stati membri, certo opportuna, ha però reso ancora più difficile giungere ad una concezione comune di tutela dei consumatori. Il Libro verde sulla revisione dell'acquis espone quello che la Commissione considera un processo in grado di introdurre maggiore chiarezza e coerenza e di garantire l'applicazione delle direttive vigenti, ma molte organizzazioni di difesa dei consumatori ritengono che esso sollevi anche interrogativi sull'indirizzo della politica dei consumatori nel suo complesso.

2.4

Le direttive incluse nel riesame coprono un ampio spettro di problematiche connesse al diritto contrattuale relativo ai consumatori, tra cui le vendite a domicilio, la multiproprietà, i viaggi tutto compreso, i contratti stipulati a distanza, la vendita di beni di consumo e le clausole vessatorie. Non tutte le direttive che trattano di tutela dei consumatori, però, sono prese in considerazione, in quanto alcune sono ritenute troppo recenti e altre rientrano in settori di cui la Commissione si sta occupando in altra sede. Nel Libro verde è stata citata in particolare la direttiva sulla multiproprietà per il suo urgente bisogno di revisione e si attende fra breve una direttiva riveduta sulla materia. Un nuovo importante settore, che secondo il Libro verde dovrebbe essere incorporato nei principi dell'acquis, è il «contesto» digitale, caratterizzato dalle sfide mondiali del commercio elettronico.

2.5

La Commissione ha riesaminato le direttive realizzando:

un'analisi comparativa del loro recepimento negli ordinamenti nazionali,

una ricerca sulle percezioni di consumatori e imprese,

seminari con esperti nazionali e parti interessate in materia di diritto contrattuale.

2.6

La terminologia consolidata che viene utilizzata da chi si occupa di protezione dei consumatori rischia di dar adito a confusione, per cui si ritiene utile fornire in questa sede una spiegazione di alcuni dei principali concetti. Si parla di «armonizzazione minima» quando una direttiva impone una serie di norme minime che lo Stato membro deve applicare. Ciò lascia agli Stati membri la possibilità di applicare anche norme più severe rispetto a quelle previste dalla direttiva. In caso invece di «armonizzazione massima» (o «piena armonizzazione») gli Stati membri devono applicare le norme contenute nella direttiva e non possono andare oltre (limite che è al tempo stesso minimo e massimo). Molte organizzazioni per la tutela dei consumatori vedono pertanto la piena armonizzazione come sinonimo di un livello minimo di protezione dei consumatori e l'armonizzazione minima come sistema che offre la possibilità di un livello molto più elevato di protezione.

2.7

La pubblicazione del Libro verde segna la fine della fase esplorativa del riesame. La Commissione aveva invitato a trasmettere osservazioni sul documento entro il 15 maggio 2007. Essa sta ora analizzando le risposte ricevute per presentare poi una sintesi delle osservazioni formulate e decidere se sarà necessario uno strumento legislativo, ma l'intero processo durerà qualche mese. Un'eventuale proposta legislativa sarebbe corredata di una valutazione dell'impatto. Alla fine del riesame dovrebbe essere in teoria possibile dire ai consumatori dell'UE: «Ovunque vi troviate nell'UE e ovunque facciate acquisti a partire dall'UE non fa nessuna differenza: i vostri diritti essenziali sono gli stessi» (4).

3.   Sintesi del Libro verde

3.1

Il Libro verde intende fornire un contesto nel quale raccogliere le osservazioni delle parti interessate sulle diverse opzioni strategiche di revisione dell'acquis e su altre questioni specifiche. Come «questioni principali» sono indicate le seguenti:

nuovi sviluppi del mercato: la maggior parte delle direttive comprese nell'acquis non risponde più ai «requisiti dei mercati odierni in rapida evoluzione». A titolo di esempio sono citati lo scaricamento di brani musicali e le aste on-line, così come l'esclusione del software e dei dati dal campo di applicazione della direttiva sulle vendite ai consumatori,

la frammentazione delle regole: le direttive vigenti consentono agli Stati membri di prevedere nel proprio ordinamento un livello di tutela dei consumatori più elevato. Su diverse questioni, tra cui la durata del periodo di riflessione nel quadro di un contratto, si registrano incoerenze tra le disposizioni nazionali,

la mancanza di fiducia: la maggior parte dei consumatori ritiene che acquistando beni e servizi da aziende site in altri Stati membri, sia minore la certezza che le aziende rispettino le leggi a tutela dei consumatori.

3.2

Sulla base di lavori precedenti, la Commissione identifica poi due strategie concrete per la revisione dell'acquis.

Opzione I: l'approccio verticale, secondo cui le direttive vigenti andrebbero modificate individualmente e, con il tempo, allineate.

Opzione II: l'approccio misto, secondo cui le questioni comuni a tutte le direttive andrebbero identificate ed estrapolate per essere disciplinate coerentemente in uno «strumento orizzontale». Tale approccio richiederebbe anche in certa misura uno specifico adeguamento «verticale» di determinate direttive.

3.3

La Commissione accenna brevemente a una terza strategia, denominata «nessuna azione legislativa», ma avverte che in quel caso i problemi esistenti non sarebbero risolti e le incoerenze tra gli Stati membri rischierebbero di aumentare.

3.4

Il Libro verde tratta poi del possibile campo di applicazione di un eventuale strumento orizzontale e suggerisce tre opzioni:

I.

uno strumento quadro che si applichi sia alle operazioni interne che a quelle transfrontaliere senza sostituirsi però alle attuali norme settoriali, che rimarrebbero in vigore. Sono citati come esempi i servizi finanziari e assicurativi;

II.

uno strumento che si applichi solo ai contratti transfrontalieri. Darebbe maggiore certezza e fiducia ai consumatori che acquistano beni e servizi all'estero, ma potrebbe determinare differenze tra l'ambito interno e quello transfrontaliero in termini di standard di tutela;

III.

uno strumento orizzontale che si applichi solo alle vendite a distanza, transfrontaliere o interne. Sostituirebbe la direttiva sulle vendite a distanza, ma rischierebbe anche di portare a una frammentazione della tutela tra le vendite a distanza e le vendite «faccia a faccia».

3.5

L'argomento successivo affrontato nel Libro verde sarà considerato da molti la questione cruciale della revisione dell'acquis: il grado di armonizzazione. Attualmente gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere un livello di tutela dei consumatori più elevato di quello stabilito dalle direttive. Si tratta della cosiddetta «armonizzazione minima». La priorità riservata alle questioni relative alla tutela dei consumatori e gli obiettivi stabiliti in materia variano notevolmente da uno Stato membro all'altro, il che rischia talvolta di confondere i consumatori e dissuadere le imprese dall'attuare marketing transfrontaliero. Ancora una volta, la Commissione presenta due opzioni:

1.

una legislazione integralmente riveduta e armonizzata. Per le questioni in cui non fosse possibile una piena armonizzazione, si applicherebbe una clausola di riconoscimento reciproco «per certi aspetti coperti dalla legislazione proposta, ma non pienamente armonizzati»;

2.

una legislazione riveduta che si baserebbe su un'armonizzazione minima combinata con una clausola di riconoscimento reciproco o con il principio del paese di origine (5).

3.6   Allegato I — La consultazione

La maggior parte del Libro verde è dedicata ad un esercizio di consultazione dettagliato ed estremamente strutturato, nel quale i rispondenti sono invitati ad esprimersi su un'ampia gamma di questioni attinenti alla politica generale, a problemi di definizione, a problemi di diritto contrattuale, a questioni di principio e anche a questioni di dettaglio e di campo di applicazione. La consultazione inizia con le questioni già descritte sopra riguardanti la politica in sé:

l'approccio legislativo generale,

la portata di uno strumento orizzontale,

il grado di armonizzazione.

Per ogni questione la Commissione formula un quesito chiave e suggerisce tre o quattro possibili risposte. Vengono affrontate 27 questioni specifiche riguardanti le direttive in esame. La formula utilizzata è ancora una volta quella di introdurre brevemente la questione, porre il quesito principale, per esempio: «In quale misura la disciplina delle clausole contrattuali vessatorie ovvero abusive copre anche le clausole oggetto di negoziato individuale?» oppure «La lunghezza del periodo di riflessione dovrebbe essere armonizzata su tutto l'acquis relativo ai consumatori?», e fornire tre o quattro possibili opzioni di risposta.

4.   Osservazioni generali

4.1

Da anni il Comitato, attraverso il suo lavoro e i suoi pareri, appoggia l'obiettivo primario della politica europea dei consumatori: mettere a disposizione di tutti un livello di tutela elevato, uniforme e coerente. Il Comitato appoggia anche l'obiettivo secondario che consiste nel mettere in grado i consumatori di informarsi e di effettuare scelte consapevoli in un mercato senza barriere. La struttura del Libro verde fa sì che le tensioni di fondo legate al pieno raggiungimento di questi due obiettivi vengano inevitabilmente alla luce.

4.2

È chiaro fin d'ora che il mantenimento dell'acquis relativo ai consumatori nella sua forma attuale non dovrebbe essere considerato un'opzione a lungo termine. Le differenze legislative tra gli Stati membri, l'incoerenza nelle definizioni, le notevoli discrepanze tra i modi in cui la legislazione vigente viene attuata e fatta rispettare e la mancanza di chiarezza nelle procedure di reclamo e di ricorso — o perfino l'esistenza o meno di tali procedure — sono tutti fattori che contribuiscono in qualche modo a creare barriere al mercato unico.

4.3

È inoltre evidente che per la Commissione questo riesame è anche l'occasione di analizzare alcuni aspetti della politica dei consumatori finora ritenuti fondamentali e di valutare se siano compatibili con l'esistenza di un mercato unico vigoroso e, soprattutto, di un mercato competitivo in un contesto globalizzato. Sotto questo aspetto si riscontrano analogie con altri processi di riesame innescati dall'attuazione dell'Agenda di Lisbona. Un livello elevato e uniforme di tutela dei consumatori è visto da alcuni come parte integrante del modello sociale europeo e uno spostamento di accento volto a ridefinire la relativa politica europea in modo che contribuisca con la massima efficacia alla realizzazione di due obiettivi basilari dell'UE — generare crescita economica e posti di lavoro e riavvicinare l'Europa ai cittadini — potrebbe essere interpretato come una messa in discussione di tale concetto (6).

4.4

Anche se il compito sarà arduo, il Comitato accoglie con favore il riesame dell'acquis e appoggia la Commissione nel perseguimento dei suoi obiettivi dichiarati di riduzione degli ostacoli al mercato interno e di mantenimento, nel contempo, di un livello elevato di protezione dei consumatori. Ritiene, tuttavia, che questo sforzo non debba limitarsi solo alle 8 direttive adesso in esame, e debba invece comprendere, per lo meno, le 22 direttive riportate nell'elenco redatto dalla Commissione nel maggio 2003.

4.5

Il CESE desidera partecipare al dibattito attivamente allo scopo di rafforzare il mercato interno a vantaggio di tutte le parti interessate — consumatori, professionisti, imprese e cittadini.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Nel Libro verde vengono sollevate complesse questioni relative alla politica, ai principi e alla legislazione. Gli Stati membri hanno sviluppato essi stessi un corpus di norme relative alla tutela dei consumatori che, sebbene coerenti fra di loro a livello di grandi principi, variano per dettagli e applicazione. Il processo di consultazione sistematico ed esteso allegato al documento riflette tale complessità. Questo quadro dettagliato sollecita risposte da parte di molte centinaia di organizzazioni interessate che desiderano far conoscere il loro punto di vista. Nel presente parere tuttavia, il CESE si limita alle osservazioni sulle principali questioni relative alla politica, reputando di doversi pronunciare, caso per caso, su tutte le direttive da riesaminare, come ha già fatto nel suo parere in merito alla direttiva sui contratti a distanza (parere INT/334 in merito alla comunicazione della Commissione COM(2006) 514 def. del 21 settembre 2006).

5.2

La priorità dovrebbe essere quella di porre rimedio alle lacune esistenti nelle direttive in vigore e di provvedere a coordinare tali direttive fra di loro.

5.3

È probabile che l'«armonizzazione minima» combinata con un approccio positivo da parte degli Stati membri, consistente nell'adottare in modo coerente standard più elevati in materia di protezione dei consumatori, costituisca la base per la maggior parte dell'acquis nell'immediato futuro. Per varie (e mutevoli) ragioni economiche e sociali gli Stati membri vorranno mantenere il livello di protezione dei consumatori di cui già godono o muoversi cautamente e al ritmo desiderato verso un diverso livello di protezione. Tale posizione rispetta e si concilia molto più facilmente con il principio di sussidiarietà. Ciononostante accetta anche il punto di vista secondo cui diverse categorie di consumatori in tutta l'UE sono svantaggiate nel loro attuale livello di protezione o nelle possibilità di cui dispongono di avviare una procedura di ricorso e quindi è necessario intervenire sia a livello dell'UE che a livello degli Stati membri.

5.3.1

Ciò non significa che, in una valutazione di casi specifici, in settori ben precisi in cui la realizzazione del mercato interno presenti un'importanza preminente, non si debba considerare la possibilità di un'armonizzazione massima, purché sia garantito un livello più elevato di tutela dei consumatori, eventualmente anche per mezzo di regolamenti.

5.4

L'obiettivo dichiarato di mettere il consumatore al posto di guida — in termini di conoscenza dei diritti dei consumatori e della capacità di questi ultimi di intentare un'azione nei confronti dei loro fornitori e di ottenere un risarcimento — non dovrebbe essere considerato un'alternativa ad una protezione chiara e applicata in modo proattivo mediante una combinazione di diritto comunitario e di diritto nazionale. L'informazione è una cosa del tutto diversa dalla protezione. In realtà nella maggioranza delle operazioni commerciali è il fornitore ad essere in posizione di forza e gran parte delle leggi di protezione dei consumatori mira a garantire i diritti dell'acquirente.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 185 dell'8.8.2006.

(2)  http://europa.eu.int/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/07/320&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=en (NdT: non disponibile in italiano).

(3)  http://ec.europa.eu/consumers/overview/cons_policy/index_en.htm (NdT: non disponibile in italiano).

(4)  http://ec.europa.eu/consumers/cons_int/safe_shop/acquis/green-paper_cons_acquis_it.pdf

(5)  In base al riconoscimento reciproco gli Stati membri manterrebbero la possibilità di introdurre regole più rigorose a tutela dei consumatori nella loro legislazione nazionale, ma non avrebbero il diritto di imporre i loro requisiti più rigorosi alle aziende stabilite in altri Stati membri secondo modalità che creerebbero restrizioni ingiustificate alla libera circolazione di beni o alla libera prestazione di servizi. In base al principio del paese di origine uno Stato membro manterrebbe la possibilità di introdurre regole più rigorose a tutela dei consumatori nella propria legislazione nazionale, ma le aziende stabilite in altri Stati membri sarebbero soltanto tenute a rispettare le regole che si applicano nel paese in cui sono stabilite.

(6)  Meglena Kuneva, commissaria europea per la tutela dei consumatori:

http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/07/256&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=en (NdT: non è disponibile in italiano).


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai retrovisori dei trattori agricoli o forestali a ruote

COM(2007) 236 def. — 2007/0081 (COD)

(2007/C 256/06)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 29 maggio 2007, ha deciso, conformemente all'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 145 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

 

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Definizione di una politica energetica per l'Europa (strategia di Lisbona)

(2007/C 256/07)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006 (conferma ricevuta il 26 ottobre 2006), ha deciso, conformemente all'articolo 31 del Regolamento interno, di elaborare una relazione informativa sul tema Definizione di una politica energetica per l'Europa.

Il Comitato, nella sessione plenaria del 14 e 15 marzo 2007, ha deciso di trasformare la relazione informativa in parere di iniziativa (articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

L'energia è divenuta una questione politica centrale, che presenta forti legami con la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione.

L'energia condiziona una parte crescente dell'economia europea. Per raccogliere le sfide del cambiamento climatico, della sicurezza di approvvigionamento e della competitività, a cui deve far fronte la politica energetica, l'UE deve trasformarsi in un'economia altamente efficiente, che utilizza energia a basse emissioni di carbonio.

A tal fine bisogna adottare un approccio globale e riflettere, a livello dell'Unione, sulla gestione della domanda energetica europea, sull'aspetto della sicurezza degli approvvigionamenti da fonti diversificate, sull'accesso alle reti, sul fatto di esprimersi con una sola voce nelle relazioni esterne in materia di energia e altre misure.

La creazione e l'assorbimento delle innovazioni, che renderanno possibile questa trasformazione, richiedono talune condizioni e misure specifiche a livello comunitario, nazionale, regionale e locale.

1.2

La creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità è di importanza cruciale per la strategia di Lisbona. Al variare delle condizioni di mercato, nel settore energetico si perdono posti di lavoro. Nuove soluzioni energetiche possono però servire al tempo stesso da forte stimolo alla creazione di occupazione di qualità elevata. L'istruzione e la formazione svolgono in questo senso un ruolo chiave.

1.2.1

Oltre all'occupazione, altri aspetti ancora della dimensione sociale dell'energia sono fondamentali nel contesto della strategia di Lisbona. Si pensi in particolare a un servizio pubblico di qualità elevata a prezzi accessibili. La società civile, ivi incluse le parti sociali, va coinvolta attivamente nello sviluppo della politica energetica.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), di concerto con i consigli economici e sociali (CES) nazionali, presenta le seguenti raccomandazioni in materia di politica energetica nel quadro della strategia di Lisbona Una politica energetica per una società della conoscenza:

analizzare le politiche energetiche e altre condizioni di riferimento pertinenti, alla luce degli obiettivi comunitari che puntano a un'economia efficiente a basse emissioni di carbonio,

rendere disponibile una forza lavoro qualificata e motivata, garantendo un sistema di istruzione di qualità elevata,

raggiungere un livello di R&S nel settore pubblico comparabile a quello dei principali concorrenti, e stimolare i finanziamenti privati della R&S,

sviluppare la cooperazione internazionale nel settore delle tecnologie applicate al campo energetico, soprattutto con altri protagonisti di spicco, seguire sistematicamente le politiche e le iniziative in campo energetico adottate dai principali concorrenti o partner,

assicurare la disponibilità di risorse per finanziare il rischio nelle fasi di sviluppo e avviamento (start-up) delle PMI e per investire nelle nuove tecnologie,

garantire una concorrenza aperta e sana sui mercati dell'energia per obbligare le imprese a innovare. Nel caso delle reti di energie rinnovabili l'accesso può essere cruciale per un'innovazione riuscita,

eliminare gli ostacoli agli investimenti necessari per l'adozione di nuove tecnologie. I requisiti di programmazione e di autorizzazione rallentano o addirittura impediscono gli investimenti. Per abbassare il rischio d'investimento, il quadro regolamentare deve essere prevedibile e stabile,

assicurare l'accesso delle nuove tecnologie ai mercati comunitari e mondiali,

garantire condizioni uniformi per tutte le parti, ad esempio un prezzo globale per il CO2, avendo cura che esso non divenga una merce come le altre, giacché dalla sua effettiva riduzione dipende la sopravvivenza del pianeta,

se degli obiettivi ambiziosi possono contribuire a dare all'UE una posizione forte sui mercati mondiali nelle tecnologie che presentano un consumo energetico efficiente e utilizzano energie rinnovabili, tali obiettivi e le relative scadenze devono essere fissati perché vi siano possibilità realistiche di conseguirli,

le misure che sostengono attivamente l'innovazione devono essere scelte con grande cura tra le seguenti opzioni, in modo da contenere i costi:

finanziamento della R&S,

istruzione e formazione,

sensibilizzazione del pubblico,

meccanismi dei prezzi, imposizione fiscale,

sovvenzioni,

obiettivi vincolanti e obblighi,

regolamentazione e norme vincolanti,

standard e accordi volontari,

appalti pubblici.

1.4

Per realizzare le trasformazioni richieste d'urgenza dal settore energetico, occorre accelerare il ritmo dell'innovazione. Il CESE insiste perché venga dedicata particolare attenzione:

alle misure atte a stabilire un prezzo economico complessivo adeguato per le emissioni di carbonio,

al potenziamento della R&S nei settori pubblico e privato allo scopo di promuovere nuove forme di energia e l'efficienza energetica,

al ricorso alla regolamentazione (o ad altre misure quando esse siano meno costose) per accelerare i progressi in fatto di incremento dell'efficienza energetica dei prodotti di ogni tipo,

all'uso degli appalti pubblici in modo molto più proattivo allo scopo di innalzare gli standard in materia di efficienza energetica, soprattutto nel settore edilizio.

2.   Introduzione

2.1

In collaborazione con i CES nazionali, il CESE ha il compito di presentare all'inizio del 2008 una «relazione di sintesi» sulla strategia di Lisbona per le priorità in materia di crescita e occupazione. Il presente parere dedicato alla politica energetica costituisce una parte di questa relazione di sintesi ed è stato elaborato in collaborazione con i CES nazionali, con il particolare contributo dei CES francese, italiano e maltese.

2.2

Il parere fa riferimento alla sezione B — Riforme economiche volte ad aumentare il potenziale di crescita europeo degli Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione 2005-2008 e, in particolare, agli orientamenti 8 sul rafforzamento della competitività, 12 sulla R&S, 13 sull'innovazione e sulle TIC e 14 sull'uso sostenibile delle risorse  (1).

Il Consiglio europeo del marzo 2006

2.3

Nelle conclusioni del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles il 23 e 24 marzo 2006, la presidenza salutava «le iniziative avviate dal Parlamento europeo, dal Comitato delle regioni e dal Comitato economico e sociale europeo per accrescere l'appropriazione a livello comunitario [della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione]». Incoraggiava «il Comitato economico e sociale europeo e il Comitato delle regioni a proseguire i lavori» e chiedeva loro di «presentare relazioni di sintesi a sostegno del partenariato per la crescita e l'occupazione all'inizio del 2008» (cfr. punto 12 delle conclusioni della presidenza).

2.4

Il Consiglio europeo rilevava che «la situazione in Europa è caratterizzata dall'intensificarsi della concorrenza dall'estero, dall'invecchiamento della popolazione, dall'aumento dei prezzi dell'energia e dalla necessità di salvaguardare la sicurezza energetica» (punto 7). Il Consiglio europeo confermava inoltre che «gli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione per il 2005-2008 restano validi». In questo contesto esso conveniva sulla necessità, per alcuni settori specifici, di «azioni prioritarie riguardanti gli investimenti nella conoscenza e nell'innovazione, il potenziale delle imprese, in particolare quello delle PMI, e l'occupazione per le categorie prioritarie; nonché [di una] definizione di una politica energetica per l'Europa» (punto 16).

2.5

Riguardo alla questione energetica, il Consiglio europeo constatava che «l'Europa si trova di fronte a numerose sfide nel settore dell'energia: la persistente situazione di difficoltà nei mercati del petrolio e del gas, la crescente dipendenza dalle importazioni e la diversificazione limitata sinora realizzata, prezzi dell'energia elevati ed instabili, l'aumento della domanda di energia a livello mondiale, i rischi per la sicurezza nei paesi di produzione e di transito e nelle vie di trasporto, le crescenti minacce poste dai cambiamenti climatici, la lentezza dei progressi nel settore dell'efficienza energetica e dell'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, la necessità di una maggiore trasparenza nei mercati energetici e di un'ulteriore integrazione e interconnessione dei mercati energetici nazionali con l'imminente completamento della liberalizzazione del mercato dell'energia (luglio 2007), il limitato coordinamento tra i soggetti che operano in campo energetico mentre sono necessari cospicui investimenti in infrastrutture energetiche» (punto 43).

2.6

In risposta a tali sfide e sulla base del (…) Libro verde della Commissione Una strategia europea per un'energia sicura, competitiva e sostenibile, il Consiglio europeo esortava a definire una politica energetica per l'Europa, finalizzata a politiche comunitarie efficaci e alla coerenza tra gli Stati membri e tra le azioni nei diversi settori di intervento e che soddisfi in modo equilibrato i tre obiettivi della sicurezza dell'approvvigionamento, della competitività e della sostenibilità ambientale (punto 44).

2.7

Il Consiglio europeo sottolineava che, «per realizzare tale coerenza nelle politiche sia interne che esterne dell'UE, la politica energetica deve soddisfare le esigenze di numerosi settori di intervento. Nel quadro di una strategia di crescita e attraverso mercati aperti e competitivi, tale politica favorisce gli investimenti, lo sviluppo tecnologico, il commercio nazionale ed internazionale. È strettamente collegata alla politica ambientale, all'occupazione, alle politiche regionali e, in particolare, alla politica dei trasporti. Gli aspetti di politica estera e dello sviluppo stanno inoltre acquistando sempre maggiore importanza nella promozione degli obiettivi di politica energetica in altri paesi» (punto 45).

2.8

La politica energetica per l'Europa dovrebbe pertanto fondarsi su una visione condivisa delle prospettive concernenti l'offerta e la domanda a lungo termine e su una valutazione oggettiva e trasparente dei vantaggi e degli svantaggi di tutte le fonti di energia e dovrebbe contribuire in modo equilibrato ai suoi tre obiettivi principali (punti 46 e 47):

aumentare la sicurezza di approvvigionamento,

garantire la competitività delle economie europee e prezzi accessibili delle forniture energetiche a vantaggio sia delle imprese sia dei consumatori, in un quadro normativo stabile,

promuovere la sostenibilità ambientale.

2.9

Nel realizzare questi obiettivi principali la politica energetica dovrebbe:

assicurare la trasparenza e la non discriminazione nei mercati,

essere coerente con le regole di concorrenza,

essere coerente con gli obblighi di servizio pubblico,

rispettare pienamente la sovranità degli Stati membri sulle fonti primarie di energia e sulla scelta della combinazione di fonti energetiche (mix energetico).

Il «pacchetto energetico» 2007

2.10

A partire dal 2007 la Commissione deve presentare periodicamente un riesame strategico della politica energetica dell'UE. Il 10 gennaio 2007 la Commissione ha pertanto pubblicato il suo primo riesame e la comunicazione al Consiglio europeo e al Parlamento europeo Una politica energetica per l'Europa {SEC(2007) 12} — il «pacchetto energetico».

2.11

Come punto di partenza per la sua politica energetica per l'Europa, la Commissione considera tre aspetti: la lotta al cambiamento climatico, la promozione dell'occupazione e della crescita e la limitazione della vulnerabilità dell'UE alle importazioni di gas e petrolio.

2.12

L'obiettivo centrale dell'Europa in campo energetico deve essere secondo la Commissione l'abbattimento del 20 % delle sue emissioni di gas a effetto serra entro il 2020. Questo traguardo va considerato nel contesto della necessità di un'azione internazionale in materia di cambiamento climatico da parte delle nazioni industrializzate. Quando un impegno in questo senso si concretizzerà, l'UE dovrà fare ancor di più; di qui la necessità di puntare più in alto, prevedendo una riduzione del 30 % entro il 2020 e del 60-80 % entro il 2050.

2.13

Al centro delle preoccupazioni non vi è soltanto il cambiamento climatico, ma anche la sicurezza degli approvvigionamenti energetici dell'UE e il benessere dei suoi cittadini. Secondo la Commissione, il fatto di conseguire tale obiettivo può anche arginare la crescente esposizione dell'Europa alla maggiore volatilità dei prezzi del petrolio e del gas, creare un mercato comunitario dell'energia più competitivo e incentivare lo sviluppo tecnologico e l'occupazione.

2.14

In termini puramente energetici, per raggiungere questo obiettivo generale nel caso dei gas a effetto serra, l'UE dovrà ridurre le emissioni di CO2 dovute al consumo energetico almeno del 20 %, e probabilmente oltre, entro i prossimi 13 anni. Questo comporterà l'assunzione da parte dell'UE della leadership mondiale nel catalizzare una nuova rivoluzione industriale.

2.15

Per raggiungere tale obiettivo la Commissione propone inoltre di concentrarsi su una serie di misure in campo energetico intese a migliorare l'efficienza energetica, innalzare la quota delle energie rinnovabili nel mix energetico e garantire che tutti beneficino del mercato interno dell'energia, rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri, con una visione più a lungo termine dello sviluppo tecnologico in campo energetico, un'attenzione rinnovata verso gli aspetti della sicurezza nucleare e un impegno convinto da parte dell'UE a «parlare con una sola voce» con i suoi partner internazionali, tra cui i produttori e gli importatori di energia e i paesi in via di sviluppo.

2.16

Il riesame comprende un piano d'azione energetico in dieci punti corredato di un programma di interventi; viene così proposto un primo gruppo di misure concrete:

una relazione sull'attuazione da parte degli Stati membri del mercato interno del gas e dell'elettricità e i risultati di un'inchiesta sullo stato della concorrenza in questi due settori,

un piano per le interconnessioni prioritarie nelle reti dell'elettricità e del gas degli Stati membri per poter realizzare una rete europea,

proposte per promuovere la produzione sostenibile di energia a partire da combustibili fossili,

una tabella di marcia ed altre iniziative per promuovere le energie rinnovabili, soprattutto i biocarburanti da impiegare nei trasporti,

un'analisi della situazione dell'energia nucleare in Europa,

un programma di lavoro in vista di un futuro piano strategico europeo per le tecnologie energetiche.

2.17

Anche il Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità {SEC(2006) 1173 — SEC(2006) 1174 — SEC(2006) 1175} adottato dalla Commissione il 19 ottobre 2006 fa parte del piano d'azione summenzionato. La comunicazione della Commissione Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a + 2 gradi CelsiusLa via da percorrere fino al 2020 e oltre {SEC(2007) 7 — SEC(2007) 8} e il riesame strategico si integrano e si rafforzano a vicenda.

2.18

Il Consiglio europeo di primavera dell'8 e 9 marzo 2007 ha pienamente appoggiato le proposte della Commissione, la quale sta ora procedendo ad elaborare proposte legislative dettagliate ed altre proposte pertinenti sulla scia delle conclusioni del Consiglio. In base all'impegno assunto dai capi di Stato e di governo di discutere periodicamente le questioni energetiche, un secondo riesame strategico della politica energetica darà conto, tra due anni, dei progressi compiuti.

Precedenti pareri del CESE sul tema della politica energetica

2.19

Nel corso del suo mandato 2002-2006 il CESE ha elaborato numerosi pareri su aspetti della politica energetica, in particolare sulle caratteristiche e sul ruolo di determinate fonti e tecnologie. In occasione della plenaria del settembre 2006 il CESE ha adottato un parere esplorativo, che riprende ampiamente i precedenti pareri, dal titolo L'approvvigionamento energetico dell'UE: strategia per un mix energetico ottimale  (2). Il parere affrontava molte delle questioni sollevate dal Consiglio europeo del marzo 2006 giungendo alle conclusioni esposte qui di seguito.

2.20

Nel parere il CESE dichiarava che l'Europa deve prefiggersi l'obiettivo strategico di un mix energetico diversificato, che soddisfi in modo ottimale gli obiettivi economici, climatici e di sicurezza di approvvigionamento. Rispetto a tali obiettivi, tutte le fonti energetiche e le tecnologie esistenti presentano lati positivi e negativi che vanno considerati in maniera aperta ed equilibrata.

2.21

L'utilizzo accresciuto di fonti energetiche rinnovabili presenta un potenziale da sfruttare. Tuttavia, quand'anche venisse conseguito l'obiettivo di portare la quota energetica prodotta da fonti rinnovabili al 20 % entro il 2020, il CESE giudicava improbabile che queste potessero sostituirsi completamente alle fonti tradizionali in un prossimo futuro.

2.22

Tutte le opzioni devono rimanere aperte e gli scenari per l'UE a 25 delineati nel parere confortano chiaramente questa conclusione. Anche nell'ipotesi di uno sviluppo ottimale dell'efficienza energetica e del maggior ricorso possibile alle energie rinnovabili, una tecnologia energetica non può diventare obsoleta senza conseguenze negative per l'ambiente o per l'economia.

2.23

L'attuale mix dovrebbe essere indirizzato, grazie a strategie politiche, verso una minore dipendenza esterna e un maggior ricorso alle fonti energetiche, disponibili in Europa, che non producono emissioni, senza dimenticare che sono gli attori presenti sul mercato a decidere sugli investimenti nelle varie tecnologie.

2.24

Nel parere il CESE raccomandava di elaborare una strategia per un mix energetico ottimale. In questo contesto è importante chiarire il ruolo dell'UE, degli Stati membri, delle autorità indipendenti e degli attori del mercato.

Nella strategia per un mix energetico ottimale si proponeva di inserire i seguenti elementi:

efficienza energetica, compresa la cogenerazione di energia elettrica e termica,

fonti energetiche rinnovabili, compreso l'utilizzo di biocarburanti per i trasporti,

efficienza energetica nei trasporti,

ulteriore incremento della sicurezza nucleare e ricerca di una soluzione alla questione del combustibile esaurito,

forte impegno a favore delle tecnologie pulite del carbone e di una ripresa dello sfruttamento delle riserve di carbone dell'UE,

incoraggiamento degli investimenti nei terminali per il gas naturale liquefatto,

adeguamento del quadro giuridico per garantire investimenti appropriati da destinare alla produzione e alla trasmissione di energia,

l'UE dovrebbe esprimersi con una sola voce, come uno dei protagonisti sulla scena internazionale,

valutazione dell'impatto delle misure politiche, attuali e future, in materia di protezione ambientale e di lotta al cambiamento climatico sugli altri obiettivi della politica energetica,

ricerca di una soluzione globale per le politiche climatiche successive al protocollo di Kyoto, coinvolgendo in questo sforzo almeno tutti i maggiori responsabili delle emissioni,

incremento delle attività di R&S e del sostegno comunitario a tali attività nel settore energetico a breve e lungo termine.

3.   Osservazioni del CESE in merito a una politica energetica per l'Europa nel contesto della strategia di Lisbona

3.1

In una società moderna l'energia rappresenta una necessità. Per soddisfare i nostri bisogni in termini di alimentazione, riscaldamento (quando il clima lo richiede), illuminazione, trasporto, materie prime e beni di consumo e, sempre più spesso al giorno d'oggi, per le telecomunicazioni e per l'elaborazione delle informazioni, dobbiamo poter contare su un approvvigionamento energetico garantito. Tuttavia, il modo in cui soddisfiamo questi bisogni può e deve essere cambiato. Dinanzi alle sfide del momento — in particolare il cambiamento climatico — dobbiamo cambiare urgentemente modello, orientandoci verso un'economia energetica altamente efficiente, a basse emissioni di carbonio.

3.2

L'energia ha uno stretto legame con la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione: per raggiungere gli obiettivi di Lisbona abbiamo bisogno di energia sufficiente a prezzi accettabili e competitivi. Nuove soluzioni energetiche possono al tempo stesso servire da forte stimolo alla competitività e alla creazione in Europa di occupazione di qualità, soprattutto se ottengono buoni risultati sui mercati mondiali.

3.3

Gli obiettivi generali della politica energetica, vale a dire competitività, sicurezza di approvvigionamento e sostenibilità, rimangono validi. La grave sfida del cambiamento climatico esige un contenimento della crescita della domanda di energia attraverso una efficienza energetica ben superiore e un aumento molto consistente della quota di fonti rinnovabili e di altre tecnologie a basse emissioni di carbonio, come potenzialmente in futuro la cattura e l'immagazzinamento del carbonio. Una migliore efficienza energetica e la diversificazione delle fonti, oltre a un'UE che si esprima con una sola voce nel quadro delle sue relazioni esterne, sono tutti elementi che contribuiscono alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici. La competitività va incentivata da un mercato aperto in cui la concorrenza è effettiva e leale e riguarda anche l'accesso alle reti, mentre al contempo viene garantito un servizio pubblico di qualità.

3.4

Ai fini della strategia di Lisbona, la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità è essenziale. Dato che la concorrenza sui mercati richiede in generale una produttività più elevata, anche le imprese che operano nel mercato dell'energia devono essere più efficienti. Quando si perdono posti di lavoro nel settore energetico, i lavoratori interessati devono essere adeguatamente sostenuti. Allo stesso tempo, i posti di lavoro nei settori che utilizzano l'energia possono essere mantenuti e addirittura aumentati. In particolare, la spinta verso una maggiore efficienza energetica e il ricorso alle energie rinnovabili, nonché altre tecnologie in fase di sviluppo creeranno un numero considerevole di posti di lavoro, essenzialmente posti di lavoro di qualità.

3.4.1

La dimensione sociale della politica energetica richiede particolare attenzione nel quadro di Lisbona. Essa abbraccia le questioni legate all'occupazione e ai posti di lavoro, nonché la disponibilità di energia a prezzi accessibili a tutti, vale a dire un servizio pubblico di qualità. La società civile, ivi incluse le parti sociali, va coinvolta attivamente nello sviluppo di una politica energetica.

3.5

Di recente il CESE ha già avuto modo di illustrare in dettaglio la sua posizione sulle questioni cruciali di politica energetica di cui sopra e, quando sarà il momento, elaborerà pareri sulle proposte legislative e altre proposte dettagliate che la Commissione dovrà presentare in linea con le conclusioni del Consiglio europeo sul pacchetto energetico.

3.6

Onde evitare un doppio lavoro e offrire un valore aggiunto ottimale al dibattito sull'energia, il CESE si concentra, nel presente parere, sul rapporto tra la politica energetica e la visione — che è alla base della strategia di Lisbona — dell'Europa come società della conoscenza. Il CESE formula altresì le sue osservazioni sugli elementi del pacchetto energetico relativi alle innovazioni.

Il ruolo della tecnologia e dell'innovazione nel far fronte alle sfide energetiche di questo secolo

3.7

Gli obiettivi e le misure decise a livello politico costituiscono il quadro di riferimento, ma la tecnologia ed altre iniziative innovative, compresa una modifica dei comportamenti, sono cruciali per ottenere dei progressi reali. Questo vale senz'altro ai fini di un miglioramento dell'efficienza energetica, in termini sia di conversione sia di utilizzo dell'energia. L'innovazione può svolgere un ruolo importante nel ridurre la dipendenza da fonti esterne, in quanto permette di diversificare il mix energetico. Essa è assolutamente necessaria per abbattere le emissioni di gas a effetto serra mediante lo sviluppo e l'impiego di fonti di energia rinnovabili, di carbone «pulito» ed altri combustibili fossili, nonché di energia nucleare sicura.

3.8

Innovazione significa rinnovare nel senso ampio del termine, sviluppare e diffondere nuove idee, trasformandole in valore economico. Essa comprende l'innovazione tecnologica come pure nuove soluzioni di gestione e altre alternative organizzative. Si realizza in ambito industriale, ma anche nei servizi e nel settore pubblico; la ricerca è spesso, ma certo non sempre, all'origine dell'innovazione. A questo proposito il CESE rimanda altresì al suo supplemento di parere sul tema La necessità di una ricerca finalizzata a un approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile  (3).

3.8.1

Al centro dell'attenzione vi sono le tecnologie energetiche, come un processo di combustione più efficiente, gli impianti eolici, i pannelli solari, oppure, in futuro, le celle a combustibile, l'idrogeno e la fusione. Ugualmente importanti sono le tecnologie parallele come lo sviluppo dei materiali o la meteorologia, che consente una ottimizzazione efficace grazie a previsioni più accurate.

3.8.2

Per un uso più efficiente dell'energia, lo spettro di tecnologie pertinenti è quasi illimitato; un miglior isolamento, elettrodomestici che consumano meno, materiali più leggeri, una migliore pianificazione dei prodotti e dei processi industriali, macchinari più efficienti. In questo contesto svolgono un ruolo importante le industrie ad alta intensità di energia; se esse non garantiscono una domanda attraverso investimenti e competenze specifiche, in numerosi comparti tecnologici dell'UE che puntano all'efficienza energetica per l'industria l'innovazione è destinata infatti con il tempo a perdere forza.

3.8.3

Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) presentano un grande potenziale. Le TIC applicate alla produzione, alla conversione e alla distribuzione dell'energia possono offrire, come in qualsiasi altro processo, una più elevata efficienza e produttività. Esse sono in grado altresì di garantire operazioni sicure, tra cui soprattutto il funzionamento delle reti di trasmissione. Le tecnologie TIC aiutano gli utenti e i consumatori a gestire il loro consumo di energia. Un esempio dei numerosi vantaggi potrebbe essere la riduzione dei carichi di picco, favorendo la reazione immediata degli utenti ai segnali di prezzo; in un contesto più ampio, le TIC potrebbero offrire un'alternativa all'esigenza di mezzi di trasporto, per esempio mediante il telelavoro e le teleconferenze.

3.8.4

Vi è la necessità di nuovi metodi, di innovazioni, anche per sfruttare e per gestire l'energia e i sistemi ad essa collegati con l'obiettivo di garantire servizi di qualità elevata a un prezzo accessibile. Ne sono esempi la gestione sicura dei sistemi di produzione e trasmissione e la manutenzione oltre che la gestione del mercato (scambi) e dei picchi, nonché l'adattamento alla luce diurna. Infine, elemento non trascurabile, una logistica efficiente può offrire un valido contributo alla gestione della domanda di energia e a una migliore gestione dei combustibili.

3.8.5

Anche i comportamenti vanno rinnovati. I consumatori hanno un ruolo centrale: un uso più intelligente dell'energia dipende da ciascun individuo e ciò richiede nuove idee e maggiori conoscenze. Vi è una grande sfida da vincere: quella di una maggiore sensibilizzazione e di un'adeguata informazione dei consumatori al fine di guidare le loro scelte. In questo contesto la pianificazione regionale e urbana, le soluzioni architettoniche e i requisiti imposti agli edifici possono fare molto per appoggiare le scelte dei cittadini in campo energetico; a tal fine dovrebbero essere promosse campagne d'informazione a favore di un uso efficiente dell'energia e del risparmio energetico.

3.9

È necessario trovare soluzioni radicalmente nuove ai problemi e il cambiamento è urgente. Le trasformazioni radicali richiedono tempo e per questo è importante cominciare subito a destinare risorse a tal fine. Nel frattempo si dovrebbe fare largo uso delle migliori tecnologie esistenti, ad esempio per contenere il consumo domestico di energia.

3.10

Perché l'innovazione e gli investimenti si orientino verso una limitazione dei costi, si dovrebbe quantificare l'efficienza in termini di costi delle tecnologie a monte. Un importante esempio è costituito dal costo delle diverse tecnologie impiegate per evitare la produzione di una tonnellata di CO2: gli impianti eolici risultano infatti più onerosi in termini finanziari degli interventi di coibentazione degli edifici.

Le condizioni e le misure politiche per stimolare l'innovazione

3.11

La creazione e l'assorbimento delle innovazioni esigono talune condizioni e misure politiche specifiche, a livello locale, regionale, nazionale e comunitario. Poiché l'UE aspira a diventare il leader mondiale nelle tecnologie che puntano all'efficienza energetica e a una bassa emissione di carbonio, è d'importanza cruciale esaminare attentamente le politiche energetiche ed altre condizioni quadro pertinenti in vista di questo obiettivo.

3.12

Il primo requisito preliminare per un'innovazione riuscita è una forza lavoro qualificata e motivata, sostenuta da un sistema di istruzione di qualità. Lo sviluppo delle nuove tecnologie esige un numero sufficiente di attività di R&S e il finanziamento del rischio nelle fasi di sviluppo e di avviamento delle PMI. Una concorrenza sana e aperta obbliga le imprese a innovare. È necessario l'accesso al mercato, anche a livello globale, e nel caso delle energie rinnovabili l'accesso alla rete può essere cruciale per un processo innovativo coronato da successo. Il quadro regolamentare deve essere concepito in modo da stimolare l'innovazione, ad esempio ricompensando gli innovatori in modo puntuale (il sistema comunitario per lo scambio dei diritti d'emissione non premia, invece, coloro che si sono mossi tempestivamente per ridurre le emissioni). Un'eccessiva regolamentazione scoraggia l'innovazione.

3.12.1

Per adottare nuove tecnologie occorrono investimenti; le aziende, da parte loro, devono registrare profitti per poter investire. Questo vale anche per gli investimenti destinati ad incrementare l'efficienza energetica, persino se il periodo di ammortamento può essere breve. Il settore dell'energia è stato molto redditizio negli ultimi anni, ma gli investimenti restano scarsi. È noto che i requisiti e i permessi di pianificazione e di autorizzazione richiesti rallentano e persino ostacolano gli investimenti. Per abbassare il rischio d'investimento il quadro regolamentare deve essere prevedibile e stabile. Dal momento che gli investimenti nelle infrastrutture energetiche hanno spesso periodi di ammortamento lunghi, sarebbe utile poter ricorrere ad alcune forme di contratti a lungo termine.

3.12.2

Un'azienda che voglia investire nello sviluppo o nell'uso di una nuova tecnologia deve essere in grado di ottenere un rendimento sui propri investimenti da mercati di dimensioni sufficienti. Nella maggior parte dei casi, i mercati nazionali non sono abbastanza grandi; di conseguenza, l'accesso ai mercati mondiali sta diventando in misura crescente un requisito essenziale per investire. Altrettanto importanti sono la domanda globale e parità di condizioni per tutti. Le misure unilaterali dell'UE non creano domanda altrove, anche se nel tempo ciò potrebbe verificarsi. Ad esempio, un prezzo sulle emissioni di CO2 può essere un incentivo importante, ma dovrebbe essere applicato a livello mondiale.

3.12.3

La solida posizione dell'UE sui mercati mondiali nel settore delle tecnologie che puntano all'efficienza energetica e privilegiano le fonti rinnovabili dovrebbe essere ulteriormente sviluppata e potenziata. Possono essere d'aiuto nel perseguire tale obiettivo le aspirazioni dell'UE a rivestire un ruolo di pioniere nella politica per il clima mediante la fissazione di traguardi ambiziosi in questo campo, come pure in materia di efficienza energetica e di ricorso alle fonti energetiche rinnovabili. Ciò, tuttavia, non avviene in modo automatico. Gli obiettivi e le relative scadenze devono essere fissati con cura in modo che le possibilità di realizzarli siano reali, altrimenti, come unici risultati, si avranno dei costi supplementari e l'eventuale perdita di posti di lavoro. Ad esempio, le tecnologie pertinenti devono aver già raggiunto uno sviluppo tale da consentir loro di essere pronte in tempo utile per le scadenze fissate. Va altresì tenuto conto dei cicli d'investimento nei diversi settori.

3.12.4

L'UE sembra puntare all'intervento sul mercato come strumento per incentivare l'innovazione, ma questa strategia può non essere sufficientemente efficace. Al pari di alcuni altri paesi, gli Stati Uniti si affidano maggiormente al finanziamento pubblico dell'attività di R&S. L'Europa deve invece incrementare il sostegno sia pubblico sia privato alle iniziative di R&S in materia energetica. La cooperazione tecnologica con gli altri grandi protagonisti andrebbe sviluppata, monitorando sistematicamente le politiche e le misure da questi adottate. Nell'UE vi è bisogno di una cooperazione molto maggiore tra Stati membri e vanno meglio coordinati gli sforzi nazionali e comunitari, senza eliminare la concorrenza. Va favorita una cooperazione più stretta tra la ricerca pubblica e le imprese, sia nella pianificazione sia nell'esecuzione dei programmi di ricerca, allo scopo di garantire che gli impegni profusi nella ricerca conducano all'innovazione. L'Istituto europeo di tecnologia potrebbe in questo caso avere un ruolo da svolgere.

3.13

Per sostenere attivamente l'innovazione, è di solito necessaria una combinazione di elementi. Per ottenere risultati, occorre applicare misure specifiche alle diverse fasi di sviluppo e situazioni di mercato. Se si considerano in rapporto alle misure necessarie per trasformarle in innovazioni di successo sul mercato, le tecnologie possono essere raggruppate, a titolo di esempio, in tre categorie:

1)

lontano dal mercato, nella fase di R&S: in questi casi è necessario un sostegno mirato alle attività di R&S e dimostrazione; i segnali dati tramite la fissazione di un prezzo, ad esempio sul CO2, non sono sufficienti;

2)

vicino al mercato, una tecnologia funzionante, ma ancora troppo costosa per i mercati: fissare un prezzo per il CO2 può essere l'incentivo giusto, al pari di un sostegno specifico per assicurare un'espansione rapida della domanda e, quindi, grandi volumi di produzione;

3)

un buon prodotto sul mercato, ma una domanda modesta (si trovano esempi del genere nel settore delle tecnologie per l'efficienza energetica): il problema centrale è la sensibilizzazione, che può essere coadiuvata da programmi di auditing energetico e iniziative analoghe.

3.14

Vi è un'ampia gamma di misure e strumenti disponibili a livello comunitario, nazionale e regionale. La scelta delle misure per determinati obiettivi deve essere effettuata con grande cura in modo da contenere i costi. La velocità dell'azione va esaminata obiettivamente allo scopo di evitare uno spreco di risorse e ripercussioni impreviste. Le misure che servono scopi diretti e indiretti — anche dette no regrets (letteralmente «senza rimpianti») nel senso che sono comunque opportune — andrebbero attuate al più presto. I provvedimenti più complicati, spesso di nuova tipologia, come le modalità per fissare un prezzo di mercato per il CO2, andrebbero, prima, studiati attentamente. Per evitare complicazioni, effetti collaterali inattesi e soluzioni subottimali, si dovrebbe evitare di collegare una pluralità di misure a un solo obiettivo. All'atto di scegliere le misure a cui ricorrere, è importante tener conto anche del funzionamento efficiente del mercato interno, mentre finora non è sempre stato così.

3.14.1

Finanziamento della R&S: il Comitato rimanda in particolare al suo parere d'iniziativa sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona) (INT/325). L'UE, nel suo insieme, è in ritardo rispetto agli Stati Uniti e ad altri grandi concorrenti. Il Settimo programma quadro per la R&S assegna in tutto circa 4 miliardi di euro, su un arco di sette anni, al settore dell'energia (non è compresa la realizzazione di ITER), mentre negli Stati Uniti il progetto di legge sull'energia propone uno stanziamento nel bilancio federale di 4,4 miliardi di dollari per il 2007 soltanto, destinato ad aumentare negli anni successivi. Oltre ad incrementare gli stanziamenti pubblici a favore della R&S in campo energetico, dovrebbero essere introdotti maggiori incentivi ai finanziamenti privati alla R&S sull'energia, promuovendo nel contempo la cooperazione tra i paesi dell'UE.

3.14.2

Istruzione e formazione: oltre agli sforzi per innalzare la qualità dell'istruzione e della formazione in Europa, il settore dell'energia deve essere reso interessante per i giovani come scelta professionale dalle prospettive allettanti. Di fronte al sempre più rapido progresso tecnologico, è essenziale l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita.

3.14.3

Sensibilizzazione dei cittadini: il fatto di cambiare i comportamenti personali nel senso di un impiego più intelligente dell'energia costituisce una sfida importante. Le scuole e le campagne informative hanno in questo caso un ruolo da svolgere. L'educazione dei nostri «cittadini del futuro» in materia potrebbe cominciare dalla scuola elementare, dato che i bambini di questa età sono molto sensibili ai problemi del futuro del pianeta e desiderosi di agire. Negli ambienti professionali e nelle aziende, un auditing energetico basato, ad esempio, su accordi volontari ha dato buoni risultati.

3.14.4

Meccanismi dei prezzi, tassazione: i segnali di prezzo, se ben concepiti, possono sostenere in modo efficiente l'innovazione indirizzando le scelte degli utenti. Come strumento per contenere il consumo di energia in generale, la fissazione di prezzi più elevati non è molto efficace; com'è noto, infatti, l'elasticità del prezzo in campo energetico è generalmente bassa.

3.14.5

Sovvenzioni: se ben concepite, le sovvenzioni possono indirizzare efficacemente le scelte. Nel tratto iniziale delle curve di apprendimento si rendono spesso necessarie delle sovvenzioni per compensare rischi altrimenti eccessivi. Per non creare distorsioni della concorrenza, esse possono essere usate solo nel quadro delle norme UE vigenti, per rimediare cioè a carenze del mercato. Le sovvenzioni devono essere limitate nel tempo e gradualmente eliminate. Per stimolare l'efficienza energetica, vanno sviluppati incentivi adeguati onde aiutare a superare il costo complessivo iniziale straordinario delle attrezzature ad alta efficienza energetica, che spesso presentano periodi di ammortamento brevi.

3.14.6

Obiettivi e obblighi fissati a livello politico: essi danno un'indicazione riguardo alla direzione di sviluppo auspicata. Per le decisioni in materia di investimenti sono importanti gli strumenti politici effettivamente applicati per raggiungere gli obiettivi. Quando si fissano tali obiettivi va tenuto presente che, di norma, alcuni segmenti dell'economia sono destinati a trarne vantaggio mentre altri ne patiranno, e che obiettivi eccessivamente ambiziosi possono causare più danni che benefici. Sembra affermarsi attualmente la tendenza a fissare obiettivi generali e, in aggiunta, obiettivi specifici ad essi collegati, ad esempio gli obiettivi generali di ridurre le emissioni di CO2 e, per la loro realizzazione, quelli specifici di incremento dell'uso di fonti rinnovabili. Si possono così raggiungere soluzioni subottimali nel tentativo di realizzare gli obiettivi generali ed è per questo che sia gli obiettivi sia, in particolare, gli strumenti scelti devono essere sottoposti ad un'accurata valutazione d'impatto, come gli accordi con l'industria in Germania e Finlandia.

3.14.7

Scambio di quote di emissioni, certificati verdi/bianchi: si tratta di strumenti efficaci che, se attentamente studiati, consentono di raggiungere gli obiettivi prefissati. Resta però la difficoltà di prevederne i costi, che possono variare sensibilmente. Maggiori sono le dimensioni del mercato e il numero di detentori di diritti di emissioni o certificati presenti sul mercato, meglio è. Se applicato ad imprese che competono su un mercato mondiale, il sistema dovrà essere globale per non distorcere la concorrenza.

3.14.8

Regolamentazione o norme vincolanti: una regolamentazione ben pianificata può stimolare l'innovazione. Essa può in particolare servire ad accantonare le tecnologie ormai superate. Essa può anche stimolare l'innovazione per imporre l'efficienza energetica nei prodotti fissando ambiziosi obiettivi di medio termine per l'innalzamento degli standard di efficienza. Resta però il rischio di soffocare l'innovazione. Bisogna in ogni caso garantire che la regolamentazione non produca barriere di mercato.

3.14.9

Standard volontari, accordi volontari, certificazione: si tratta di strumenti strategici favorevoli all'innovazione. È possibile che non sempre riescano a soddisfare gli obiettivi precisi, ma rendono più facili i grandi passi in avanti sul cammino dell'innovazione, praticamente senza rischio di effetti collaterali negativi.

3.14.10

Appalti pubblici: gli appalti possono svolgere un ruolo importante nel promuovere l'innovazione in campo energetico. A questo scopo andrebbero messi a punto dei metodi appropriati a cui dare larga diffusione. Di norma, gli appalti con un minore impatto ambientale (i cosiddetti appalti «verdi») richiedono l'effettuazione di un'analisi del ciclo di vita, e per questo ed altri nuovi metodi gli organismi competenti richiedono spesso una formazione ulteriore. Le disposizioni comunitarie da rispettare in materia di appalti pubblici prevedono un orientamento più ecologico delle procedure, esigendo soluzioni «allo stato dell'arte».

3.14.11

Per realizzare le trasformazioni richieste d'urgenza dal settore energetico, occorre accelerare il ritmo dell'innovazione. Il CESE insiste perché venga dedicata particolare attenzione:

alle misure atte a stabilire un prezzo economico complessivo adeguato per le emissioni di carbonio,

al potenziamento della R&S nei settori pubblico e privato allo scopo di promuovere nuove forme di energia e l'efficienza energetica,

al ricorso alla regolamentazione (o ad altre misure quando esse siano meno costose) per accelerare i progressi in fatto di incremento dell'efficienza energetica dei prodotti di ogni tipo,

all'uso degli appalti pubblici in modo molto più proattivo allo scopo di innalzare gli standard in materia di efficienza energetica, soprattutto nel settore edilizio.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008) COM(2005) 141 def.

(2)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 185.

(3)  GU C 241 del 7.10.2002, pag. 13.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario comunitario (versione codificata)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 881/2004 che istituisce un'Agenzia ferroviaria europea

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie

COM(2006) 783 def. — 2006/0273 (COD)

COM(2006) 785 def. — 2006/0274 (COD)

COM(2006) 784 def. — 2006/0272 (COD)

(2007/C 256/08)

Il Consiglio, in data 16 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 71 e 156 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alle proposte di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore CONFALONIERI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Le proposte:

di modifica del regolamento (CE) n. 881/2004 che istituisce un'Agenzia ferroviaria europea,

di modifica della direttiva 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie,

di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario comunitario,

appaiono coerenti con la volontà di facilitare l'accesso degli operatori al sistema ferroviario europeo.

Esse:

semplificano le procedure di certificazione del materiale rotabile sul sistema interoperabile,

uniformano la gran parte delle verifiche che vengono svolte a livello nazionale per materiale rotabile, processi manutentivi, operatori della circolazione e della manutenzione,

creano un sistema di confronto comparativo completo tra le normative di certificazione nazionali, anche per gli elementi non compresi nelle STI (Standard tecnici di interoperabilità).

1.2

Il CESE concorda con l'obiettivo di semplificare la procedura di messa in servizio.

1.3

Il CESE ritiene che tali semplificazioni aumenteranno l'uso del sistema ferroviario europeo, spostando quote di domanda dagli altri modi di trasporto, contribuendo al miglioramento ambientale e utilizzando le fonti di energia auspicate dai piani energetici dell'UE.

1.4

Il CESE raccomanda che il processo di ulteriore applicazione degli standard europei di interoperabilità e la suddivisione dei controlli di certificazione tra organismi nazionali e comunitari non comporti rischi per la sicurezza.

1.5

In particolare il CESE raccomanda che vengano gestiti con attenzione i limiti di competenza tra organismi che il nuovo sistema introduce.

1.6

Il CESE ritiene che, nel caso dei carri merci e delle vetture passeggeri messi in servizio dopo l'entrata in vigore della presente direttiva, un'unica autorizzazione di messa in servizio rilasciata da uno Stato membro della Comunità sia sufficiente. Il nuovo regolamento dell'Agenzia europea permetterà agli operatori ferroviari, ai gestori di infrastruttura, ai detentori di carri, ma soprattutto agli organismi di certificazione nazionale:

di rendere più veloci i tempi di certificazione,

di diminuire il numero di verifiche eliminando le ripetizioni nazionali sugli standard condivisi,

di poter operare in un quadro normativo univoco e con la possibilità di poter utilizzare le indicazioni tecniche dell'Agenzia.

1.7

Si prende atto che con l'azione futura l'Agenzia si configura come l'organo di comando per la creazione del sistema ferroviario europeo (formato dalla rete AV (Alta velocità), dai corridoi TEN e, in futuro, da tutto il resto delle reti nazionali), attraverso il coordinamento e l'estensione del sistema ERTMS (European Railway Traffic Management System), con la pubblicazione del sistema di comparazione delle normative nazionali, con il supporto tecnico agli organismi di certificazione nazionali.

1.8

Il progressivo aumento del ruolo dell'Agenzia europea come organismo di indirizzo e controllo del processo di interoperabilità ferroviaria e dell'evoluzione tecnologica, comporterà il contemporaneo cambiamento parziale delle funzioni degli organismi di certificazione nazionale.

1.9

Si chiede alla Commissione di valutare l'opportunità di un registro europeo degli inconvenienti alla sicurezza della circolazione comune e condiviso tra gli Stati membri, per creare la base di conoscenza per parametri comuni.

1.10

L'effetto auspicato è quello della creazione di un mercato europeo del materiale rotabile, delle attività di manutenzione dei sistemi e del materiale rotabile, delle risorse umane per la gestione dei servizi di trasporto.

1.11

Questo comporterà un'opportunità unica per i costruttori di materiale rotabile europei, soprattutto se le scelte tecniche per le STI salvaguarderanno la possibilità di mantenere una numerosità adeguata di costruttori per garantire un mercato europeo competitivo del materiale rotabile (e della manutenzione).

1.12

Il CESE raccomanda che, nel caso di materiale rotabile messo in servizio prima dell'entrata in vigore della presente direttiva e sprovvisto della dichiarazione «CE» di verifica, l'applicazione della direttiva relativa alla sicurezza ferroviaria non risulti penalizzante dal punto di vista amministrativo, per gli operatori ferroviari.

1.13

Il CESE ritiene che vada prevista l'esistenza di organismi di certificazione nazionali nei paesi del SEE.

1.14

Va previsto che nell'analisi delle deroghe alle STI, dal punto di vista dell'equilibrio economico del progetto, vada analizzato nello specifico l'impatto del cofinanziamento comunitario per la fattibilità economica del progetto stesso.

1.15

Non si ritiene che l'analisi delle deroghe possa essere fatta per ciascuna singola STI ma per il sistema di tutte le STI insieme.

1.16

Si ritiene di raccomandare l'attuale regime linguistico nella pubblicazione delle STI a cura dell'Agenzia.

Si ritiene che le valutazioni ed i pareri dell'Agenzia debbano essere richiesti per tutti gli interventi di costruzione o rinnovo, anche se non finanziati dalla Comunità europea, al fine di orientare sia gli interventi nazionali che comunitari nella direzione del sistema di sicurezza europeo.

1.17

Si ritiene debba essere ampliata a tutti i soggetti interessati, la possibilità di richiedere pareri all'Agenzia europea anche in contraddittorio con le valutazioni degli organismi di certificazione nazionali. In particolare si ritiene di garantire l'accesso alle imprese ferroviarie comunitarie e alle organizzazioni dei lavoratori del settore.

2.   Argomentazioni ed osservazioni

2.1   Principali elementi e contesto generale della proposta

2.1.1

La progressiva creazione di uno spazio ferroviario europeo senza frontiere necessita di un'azione di regolamentazione tecnica per gli aspetti legati alla sicurezza, alla gestione e alle procedure per l'accesso al sistema.

2.1.2

Le direttive 91/440/CEE del Consiglio, del 29 luglio 1991, 95/18/CE del Consiglio, del 19 giugno 1995, 2001/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2001 relative allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, prevedono l'apertura progressiva dei diritti d'accesso all'infrastruttura comunitaria per tutte le imprese ferroviarie comunitarie titolari di una licenza rilasciata da uno Stato membro, che desiderano effettuare servizi di trasporto di merci in un nuovo quadro di riferimento.

2.1.3

Perseguire simultaneamente obiettivi di sicurezza e di interoperabilità richiede un lavoro tecnico che deve essere posto sotto la direzione di un organismo specializzato. Per questo è stata creata un'Agenzia ferroviaria europea per la sicurezza e l'interoperabilità.

2.1.4

I principali obiettivi dell'attività dell'Agenzia sono i seguenti:

promuovere la costituzione di uno spazio ferroviario europeo, contribuire alla ripresa del settore, rafforzare la sicurezza,

sviluppare indicatori, obiettivi e metodi comuni di sicurezza,

facilitare le procedure di rilascio dei certificati di sicurezza alle imprese ferroviarie,

garantire la massima trasparenza possibile e una diffusione efficace delle informazioni,

dare continuità alle attività e all'evoluzione nel tempo delle STI in un quadro tecnico permanente,

potenziare l'interoperabilità della rete transeuropea attraverso l'adozione dei nuovi progetti di investimento sostenuti dalla Comunità rispettando l'obiettivo di interoperabilità,

sostenere la creazione di un sistema di certificazione delle officine di manutenzione,

fornire il supporto tecnico necessario perché le competenze professionali richieste per la guida dei treni siano tenute in debita considerazione a livello europeo,

fornire il supporto tecnico per l'istituzione di un sistema di immatricolazione per il riconoscimento dell'idoneità del materiale rotabile alla circolazione in condizioni specificate,

garantire la massima trasparenza e la parità di accesso di tutte le parti alle informazioni pertinenti,

incoraggiare la promozione dell'innovazione in materia di sicurezza ferroviaria e di interoperabilità.

2.1.5

Le procedure nazionali di omologazione dei locomotori sono considerate attualmente come una della principali barriere alla creazione di nuove imprese ferroviarie nel settore del trasporto merci e un grande ostacolo all'interoperabilità del sistema ferroviario europeo.

2.1.6

Considerato che nessuno Stato membro può decidere autonomamente che l'autorizzazione alla messa in servizio che esso rilascia abbia validità nel territorio di altri Stati membri, è necessaria un'iniziativa comunitaria per armonizzare le procedure nazionali, semplificarle e permettere di ricorrere più sistematicamente al principio del riconoscimento reciproco.

2.1.7

Inoltre, nell'ambito del programma di semplificazione della legislazione, la Commissione intende consolidare e fondere le direttive sulla interoperabilità ferroviaria, con lo scopo di creare un sistema unico di regole per il sistema ferroviario europeo.

2.1.8

Le presenti iniziative consentono di rendere più competitivo il trasporto diminuendo i costi della filiera del sistema ferroviario.

2.2   Agenzia ferroviaria europea

2.2.1

L'Agenzia facilita la procedura di certificazione del materiale rotabile esistente predisponendo un documento di riferimento che permetta di stabilire la corrispondenza tra le singole norme nazionali.

2.2.2

L'Agenzia valuta le domande di finanziamento comunitario nel settore dei progetti di infrastruttura e materiale rotabile al fine di verificare la loro «interoperabilità».

2.2.3

L'Agenzia valuta le relazioni tra detentori di carri e imprese ferroviarie (ex accordo RIV — Accordo tra le imprese ferroviarie per lo scambio e l'utilizzazione dei carri), in particolare nel campo della manutenzione, e presenta raccomandazioni alla Commissione sulla loro regolazione.

2.2.4

L'Agenzia formula raccomandazioni circa i criteri comuni per la definizione delle competenze professionali e la valutazione del personale per le attività di gestione e manutenzione.

2.2.5

L'Agenzia assume il ruolo di autorità nell'ambito del progetto ERTMS.

2.3   Interoperabilità

2.3.1

La proposta vuole semplificare e modernizzare il quadro normativo in Europa. In questo contesto ripropone la codifica e la fusione delle attuali direttive relative all'interoperabilità ferroviaria.

2.3.2

Forte dell'esperienza decennale nell'attuazione delle direttive sull'interoperabilità, la Commissione propone anche una serie di miglioramenti alla parte tecnica del quadro normativo.

2.4   Sicurezza delle ferrovie europee

2.4.1

Con la modifica dell'articolo 14 della direttiva sulla sicurezza ferroviaria si precisa quale parte di un'autorizzazione deve essere reciprocamente riconosciuta e quale parte è strettamente legata alla compatibilità del veicolo in questione con l'infrastruttura interessata.

2.4.2

A seguito delle modifiche alla normativa:

ogni volta che un veicolo viene messo in servizio è necessario identificare chiaramente un «responsabile» della manutenzione,

l'impresa ferroviaria deve dimostrare che i carri che utilizza sono utilizzati e mantenuti in conformità a quanto prescritto dalle norme vigenti,

le imprese ferroviarie illustrano il sistema e le procedure che hanno istituito per assicurarsi che l'utilizzo di carri provenienti da detentori diversi non metta a rischio la sicurezza ferroviaria,

l'Agenzia valuta le procedure istituite dalle imprese ferroviarie per gestire i loro rapporti con i detentori di carri.

3.   Osservazioni generali

3.1   Agenzia ferroviaria europea

3.1.1

Le caratteristiche proprie del sistema ferroviario sono tali che tutti gli elementi concorrono alla sicurezza del sistema.

3.1.2

Se la visione dell'Agenzia si allarga dal sistema interoperabile a quello della sicurezza, la sua competenza nel tempo si estenderà a tutti gli elementi del sistema.

3.1.3

Si può pensare che alla fine del processo esisterà un solo sistema comunitario e una sola Agenzia ferroviaria.

3.1.4

La fase di comparazione tra le normative va considerata come uno dei passi necessari in questa direzione.

3.1.5

È necessario valutare il diverso impatto che le scelte sulle STI e le nuove procedure di certificazione avranno sui diversi paesi membri, sui gestori delle infrastrutture, sulle imprese ferroviarie e i detentori di carri e sui clienti finali.

3.1.6

La salvaguardia dell'equilibrio economico delle diverse reti nazionali e dei diversi soggetti operanti nel mercato va tenuta in considerazione, soprattutto nelle fasi di armonizzazione delle norme tecniche e delle procedure di certificazione.

3.1.7

L'Agenzia va investita del compito di orientare le scelte tecnologiche sulla rete aperta all'interoperabilità, attuale e futura, anche senza l'utilizzazione della leva finanziaria.

3.1.8

Va considerato che la competenza dell'Agenzia verrà estesa a tutta la rete ferroviaria comunitaria, secondo quanto previsto nella proposta di direttiva sull'interoperabilità.

3.2   Interoperabilità

3.2.1

La proposta di direttiva prevede una semplificazione delle STI relative al sistema AV e a quello tradizionale, laddove confrontabili.

3.2.2

La proposta di direttiva prevede l'estensione della validità delle STI oltre la rete AV e i corridoi TEN (Transport European Network) fino a coprire tutte le reti nazionali, fatte salve le eccezioni.

3.2.3

Questa estensione segna una svolta nella politica di evoluzione tecnologica del sistema ferroviario europeo, verso una rete unica europea. L'impatto economico e strategico che ne deriva è superiore a quanto indicato nelle premesse della proposta.

3.2.4

Le decisioni circa la tipologia delle STI da applicare nelle nuove realizzazioni e negli adeguamenti importanti delle infrastrutture esistenti ricadranno in grande misura sulla responsabilità comunitaria.

3.2.5

Le decisioni comunitarie sulla definizione delle STI e sulla loro evoluzione rispetto all'attuale situazione di ciascun paese membro avranno un forte impatto economico sulla programmazione degli investimenti tecnologici e infrastrutturali dei diversi paesi membri.

3.2.6

Appare necessaria una valutazione economica dell'impatto delle nuove STI per ciascuno dei paesi membri, da porre a base della valutazione di opportunità della loro adozione.

3.2.7

Tale valutazione va eseguita in maniera differente per le STI aventi un impatto sugli investimenti pubblici dei paesi membri e per le STI aventi un impatto sugli investimenti delle imprese ferroviarie e degli operatori privati.

3.2.8

L'estensione del campo di applicazione delle STI a tutta la rete ferroviaria europea, fatte salve le eccezioni, fa pensare anche ad un nuovo sistema di relazioni tra l'Agenzia ferroviaria europea e gli organismi di certificazione dei singoli Stati membri.

3.2.9

In relazione a questi ultimi, si può prevedere che in prospettiva essi concentreranno la loro azione sulle attività operative di certificazione a favore delle imprese e degli operatori, piuttosto che sulla gestione dell'evoluzione degli standard tecnologici.

3.2.10

La modifica della direttiva sulla sicurezza rappresenta una delle modifiche tecniche volte a raggiungere l'obiettivo di facilitare la circolazione del materiale rotabile interoperabile.

3.2.11

Contemporaneamente si introduce la nuova figura del «detentore» di carri ferroviari.

3.2.12

Il processo di certificazione del materiale rotabile è organizzato in modo tale per cui detto materiale sarà valutato da organismi differenti a seconda dei diversi aspetti tecnici.

3.2.13

Gli aspetti compresi nelle STI saranno certificati da uno qualsiasi degli organismi di certificazione nazionali.

3.2.14

Gli aspetti nazionali complementari saranno controllati dall'organismo di certificazione nazionale della rete interessata. L'organismo di certificazione nazionale prende atto delle certificazioni «comunitarie», verifica quelle nazionali specifiche e rilascia il documento di sicurezza. Esso ha il potere di respingere la richiesta di certificazione e per questo rimane il responsabile della coerenza di tutti gli elementi certificati.

3.2.15

Rispetto all'esito della richiesta di certificazione, l'Agenzia ferroviaria europea opera come organismo indipendente di ricorso.

3.2.16

Fatte salve le osservazioni generali riportate nelle sezioni precedenti (Interoperabilità e Agenzia) non si intende formulare altre osservazioni.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Agenzia ferroviaria europea

4.1.1

Articolo 8 bis: l'Agenzia da un lato redige e mantiene un documento di comparazione ed equivalenza della normativa nazionale per ogni parametro (punto 2) e, dall'altro, esprime solo pareri tecnici su:

equivalenza delle norme,

informazioni complementari richieste,

motivazioni del rifiuto di autorizzazione.

Più efficace sarebbe l'azione dell'Agenzia se tale parere fosse vincolante e potesse essere richiesto anche dai soggetti interessati: gestori dell'infrastruttura, imprese ferroviarie, detentori di materiale rotabile.

4.1.2

Articolo 15: il compito dell'Agenzia andrebbe esteso a tutti i progetti di rinnovamento, ristrutturazione o costruzione, che interessano le parti di infrastruttura sottoposte alle STI, attuali e future.

4.1.3

Articolo 16 bis: è necessario dare parametri di valutazione all'Agenzia sulla scelta tra «facoltativo o obbligatorio» del sistema di certificazione sulla base di:

livelli di sicurezza,

chiarezza nei rapporti tra imprese,

trasparenza del mercato e regolazione.

Vanno evidenziati se e quali impatti il sistema di certificazione comporterà per le imprese ferroviarie detentrici di carri.

4.1.4

Articolo 18: va sottolineato che l'Agenzia nella predisposizione dei moduli per la richiesta di immatricolazione opera per limitare al massimo le specifiche non ricomprese nelle parti comuni.

4.1.5

Articolo 21 ter: la delega appare completa rispetto alle finalità dell'Agenzia. Non viene salvaguardato il principio di sussidiarietà.

4.2   Interoperabilità

4.2.1

Articolo 1: ove è previsto l'allargamento delle STI allo Spazio economico europeo, va contestualmente previsto il riconoscimento degli organismi di certificazione nazionali.

4.2.2

Articolo 6: la libertà lasciata all'Agenzia circa il regime linguistico con cui pubblicare gli allegati tecnici delle STI non va nella direzione di un facile e condiviso accesso alla normativa comunitaria sull'interoperabilità.

4.2.3

Articolo 7: il concetto di deroga appare particolarmente ampio soprattutto nelle motivazioni di carattere economico, non prevedendo l'influenza dei finanziamenti comunitari sull'analisi di fattibilità economica. Il sistema delle deroghe sarebbe meglio applicabile sul sistema complessivo delle STI al progetto esaminato piuttosto che come deroga alla singola STI.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al trasporto interno di merci pericolose

COM(2006) 852 def. — 2006/0278 (COD)

(2007/C 256/09)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 19 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 71 e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore OSTROWSKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Posizione del CESE

1.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta di direttiva della Commissione relativa al trasporto interno di merci pericolose, che si prefigge l'obiettivo strategico di armonizzare il diritto comunitario in questo settore. Essa dovrebbe contribuire a migliorare le condizioni di sicurezza in cui si svolge il trasporto interno di merci pericolose.

1.2

La proposta è intesa ad aggiornare quattro direttive esistenti e quattro decisioni della Commissione relative al trasporto di merci pericolose e a incorporarle in un atto legislativo unico, estendendo nel contempo il campo di applicazione delle norme comunitarie in materia, inizialmente limitate al trasporto stradale e ferroviario, anche alla navigazione interna.

1.3

Il Comitato condivide l'idea della Commissione che non si possa pensare di creare le migliori condizioni di sicurezza possibili per il trasporto di merci pericolose senza adottare una legislazione comunitaria unica che copra tutti i tipi di trasporto interno (stradale, ferroviario e fluviale).

1.4

Il Comitato concorda con la Commissione nel ritenere che armonizzando le norme in vigore per il trasporto stradale e ferroviario delle merci pericolose, senza tuttavia modificare radicalmente le disposizioni esistenti, ed ampliando contemporaneamente il campo d'azione della legislazione comunitaria alla navigazione interna si semplificheranno notevolmente le norme e le procedure amministrative sia per i poteri pubblici che per i soggetti privati.

1.5

Adottando un atto legislativo unico che copra tutti e tre i modi di trasporto interno e prevedendo la possibilità di inserire i rimandi alle convenzioni e agli accordi internazionali sul trasporto di merci pericolose soltanto negli allegati della direttiva, anziché nel testo stesso della direttiva come avviene oggi, si ridurrà notevolmente il volume dell'acquis comunitario.

1.6

Il Comitato ritiene che la forma giuridica proposta per l'adozione delle nuove norme, quella, cioè, della direttiva, rappresenti una buona soluzione. Tuttavia, dato l'ampio ventaglio di eccezioni e deroghe previste per gli Stati membri, il Comitato invita tutti gli Stati membri a collaborare il più possibile con la Commissione in tale ambito per garantire un'armonizzazione effettiva della legislazione.

1.7

Il Comitato desidera sottolineare che, visto il carattere dettagliato delle disposizioni riguardanti le specifiche tecniche per il trasporto di merci pericolose e delle tipologie di tali merci, esso dovrà limitare le sue osservazioni agli aspetti più generali della proposta.

1.8

Il Comitato è lieto di apprendere dalla Commissione che il contenuto della proposta è stato fortemente influenzato dai pareri degli Stati membri e di parti interessate come le federazioni professionali delle imprese attive nel trasporto di merci pericolose e che durante il processo di consultazione è stato fatto il possibile per arrivare a una posizione comune.

1.9

Il Comitato osserva con soddisfazione che la Commissione continuerà ad avvalersi dell'aiuto di uno speciale comitato di regolamentazione per il trasporto delle merci pericolose, incaricato di assisterla nell'ambito della procedura di comitato.

1.10

È inoltre soddisfatto che, grazie alla possibilità offerta loro di partecipare alle riunioni del comitato di regolamentazione, le federazioni professionali abbiano potuto comunicare tempestivamente il loro punto di vista nel corso di tutto il processo di elaborazione della proposta, che siano stati consultati anche gli Stati membri dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA) e che il Parlamento europeo sia stato tenuto costantemente informato degli sviluppi della proposta.

1.11

Il Comitato apprezza il fatto che sia stata consultata anche la Commissione centrale per la navigazione del Reno, dato che in questo fiume si concentra ben l'80 % del trasporto di merci pericolose in Europa.

1.12

Il Comitato prende altresì atto delle informazioni fornite dalla Commissione in merito all'elaborazione, nel 2004-2005, di una valutazione intitolata Valutazione della politica dell'UE relativa al trasporto di merci pericolose dal 1994 a cura di alcuni consulenti esterni; prende inoltre atto del fatto che tale valutazione ha confermato la validità dell'approccio seguito nella proposta e che una larga maggioranza dei rispondenti che si sono espressi nel quadro delle consultazioni pubbliche si è pronunciata a favore delle misure proposte dalla Commissione.

1.13

In relazione al trasferimento dalla Comunità agli Stati membri dell'onere della traduzione e della pubblicazione degli allegati tecnici della direttiva, il Comitato ritiene altamente auspicabile che la Commissione accordi agli Stati membri un sostegno finanziario per l'esecuzione delle traduzioni a livello nazionale.

1.14

Alla luce delle considerazioni sopraesposte, il Comitato è persuaso che sia giusto sostenere la proposta della Commissione, proposta che è stata elaborata da esperti di alto livello in materia di trasporto interno di merci pericolose provenienti da diversi Stati membri.

1.15

Il Comitato desidera tuttavia richiamare l'attenzione su un certo numero di punti che a suo giudizio richiedono maggiori precisazioni o delucidazioni: in particolare, l'assenza di una definizione dell'espressione «merci pericolose» ai fini della direttiva; il diritto accordato agli Stati membri di vietare il trasporto di merci pericolose sul loro territorio unicamente per motivi non inerenti alla sicurezza e la totale assenza di informazioni negli allegati III.2 e III.3.

Le osservazioni del Comitato su tali questioni sono contenute nella sezione «Osservazioni specifiche».

2.   Principali elementi della proposta

2.1

Il trasporto interno di merci pericolose (prodotti chimici, materiali per la pulizia, benzina, esplosivi, cartucce per armi di piccolo calibro, aerosol, materiale radioattivo, pesticidi, ecc.) comporta un notevole rischio di incidenti. Questo vale per ogni tipo di trasporto: stradale, ferroviario o fluviale. Esso rappresenta un pericolo per la vita e la salute delle persone direttamente coinvolte nel trasporto, ma anche per molti degli abitanti delle zone urbane e rurali.

2.2

In passato sono già state intraprese iniziative volte ad assicurare che il trasporto di merci pericolose si svolgesse in condizioni di massima sicurezza possibile. Attualmente esso è regolato da una serie di convenzioni e accordi internazionali che si basano su raccomandazioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Per garantire la sicurezza del trasporto di merci pericolose ed assicurare nel contempo la libera circolazione e l'intermodalità dei servizi di trasporto internazionale, l'ONU ha infatti elaborato e aggiornato le Raccomandazioni relative al trasporto di merci pericolose, presentate sotto forma di regolamento tipo.

2.3

L'importanza di regolamentare il trasporto di merci pericolose deriva non soltanto dalle caratteristiche specifiche di tali merci, bensì anche dal volume delle merci trasportate, che oggi ammonta complessivamente a 110 miliardi di tonnellate-km/anno, pari a circa l'8 % del traffico di merci nell'UE. Il trasporto di merci pericolose viene effettuato per il 58 % su strada, per il 25 % per ferrovia e per il 17 % per vie di navigazione interna. Con la sola eccezione del trasporto ferroviario, esso mostra inoltre una tendenza all'aumento.

2.4

In Europa, le disposizioni degli accordi internazionali nel settore del trasporto interno sono state attuate tramite tre strumenti:

a)

l'ADR, o Accordo europeo relativo al trasporto internazionale delle merci pericolose su strada, concluso il 30 settembre 1957 a Ginevra, successivamente modificato;

b)

il RID, o Regolamento riguardante il trasporto internazionale delle merci pericolose per ferrovia, che costituisce l'allegato C della Convenzione relativa ai trasporti internazionali per ferrovia (COTIF), adottato il 3 giugno 1999 a Vilnius e successivamente modificato;

c)

l'ADN, o Accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne, concluso il 26 maggio 2000 a Ginevra e successivamente modificato.

2.5

La legislazione dell'Unione europea in materia di trasporto interno di merci pericolose riguarda tuttavia esclusivamente il trasporto stradale e ferroviario. Per questi due modi di trasporto, le disposizioni legislative in vigore garantiscono già un elevato livello di sicurezza, la libera prestazione dei servizi di trasporto e la libera circolazione dei mezzi di trasporto sul territorio dell'Unione europea. La normativa comunitaria contiene quattro atti legislativi applicabili a questo settore:

a)

la direttiva 94/55/CE del Consiglio, del 21 novembre 1994, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al trasporto di merci pericolose su strada;

b)

la direttiva 96/49/CE del Consiglio del 23 luglio 1996 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al trasporto di merci pericolose per ferrovia;

c)

la direttiva 96/35/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 relativa alla designazione e alla qualificazione professionale dei consulenti per la sicurezza dei trasporti su strada, per ferrovia o per via navigabile di merci pericolose;

d)

la direttiva 2000/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2000, relativa alle prescrizioni minime applicabili all'esame di consulente per la sicurezza dei trasporti su strada, per ferrovia e per via navigabile di merci pericolose.

2.6

Non esistono invece norme europee applicabili al trasporto di merci pericolose per vie di navigazione interna. Se è vero che esistono due sistemi di norme che disciplinano questo tipo di traffico sul Reno (ADN-R) e sul Danubio (ADN-D), va detto tuttavia che si tratta di dispositivi regionali. A questi due sistemi di norme si aggiungono le disposizioni nazionali sui trasporti interni. L'assenza di una regolamentazione comunitaria in questo settore si spiega fra l'altro con la mancata firma dell'ADN. La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di trasporto di merci pericolose con navigazione interna, presentata dalla Commissione nel 1997 e mai adottata, è stata ritirata nel 2004.

2.7

Ora tuttavia l'accordo europeo relativo al trasporto internazionale delle merci pericolose per vie navigabili interne è in via di ratifica e dovrebbe entrare in vigore entro il 2009. Tenuto conto di questa situazione, il Comitato concorda con la Commissione nel ritenere che sia logico integrare il trasporto per vie navigabili interne nel diritto comunitario, quantomeno ai fini di un'armonizzazione. Ciò offre anche l'occasione per aggiornare e armonizzare le disposizioni legislative in vigore. Inoltre, non bisogna permettere che si creino due regimi normativi diversi, uno per i trasporti internazionali e l'altro per i trasporti nazionali. Un altro elemento che giustifica la modifica dei testi in questione è la notevole complessità della legislazione comunitaria attuale sul trasporto di merci pericolose. Gli atti legislativi riguardanti specifici modi di trasporto presentano un certo numero di incoerenze e alcune delle loro disposizioni sono già obsolete, o lo diventeranno presto. Ad esempio, due direttive possono essere considerate superflue allo stato attuale, dato che le loro disposizioni sono state integrate negli accordi ADR, RID e ADN. È inoltre emerso un problema tecnico in relazione all'attuale struttura delle direttive esistenti. Le direttive prevedono che, ad ogni revisione degli accordi internazionali (ogni due anni) i voluminosi allegati tecnici debbano essere tradotti integralmente. Questa operazione risulta estremamente difficile e onerosa.

2.8

In base alle informazioni fornite dalla Commissione, in mancanza di qualsiasi intervento i problemi sopraesposti non solo non scompariranno, ma rischieranno di aggravarsi. Con tutta probabilità, la complessità delle norme aumenterà ulteriormente ad ogni modifica delle convenzioni e degli accordi internazionali, le norme obsolete verranno mantenute ingenerando confusione negli utenti e aumenterà il rischio di inosservanza di norme vincolanti. Anziché migliorare sotto il profilo della facilità d'uso per l'utente, le norme dell'Unione europea rischiano di diventare più complesse. Con il maggior ricorso alla multimodalità, l'esistenza di norme diverse per ogni tipo di trasporto rischia inoltre di aggravare i problemi pratici quotidiani connessi con il trasporto multimodale e di aumentarne inutilmente i costi. Nel settore della navigazione fluviale, l'esistenza di norme distinte per i trasporti internazionali ed i trasporti nazionali ostacolerebbe lo sviluppo di questo tipo di trasporto, che secondo le statistiche sarebbe in molti casi la modalità di trasporto preferita.

2.9

Per questi motivi viene proposta l'adozione di una nuova direttiva, che aggiorna le quattro direttive e le quattro decisioni della Commissione relative al trasporto di merci pericolose su strada e per ferrovia incorporandole in un atto legislativo unico (in questo modo, tutti e tre i tipi di trasporto saranno disciplinati da un solo testo giuridico) e ampliando il campo d'applicazione delle norme comunitarie al trasporto per vie di navigazione interna.

2.10

La nuova direttiva porterà all'abrogazione delle direttive 94/55/CE e 96/49/CE, successivamente modificate, riguardanti il trasporto di merci pericolose, delle direttive 96/35/CE e 2000/18/CE relative ai consulenti per la sicurezza dei trasporti su strada, per ferrovia o per via navigabile di merci pericolose e delle decisioni 2005/263/CE e 2005/180/CE della Commissione, successivamente modificate, che autorizzano talune deroghe nazionali alle direttive 94/55/CE e 96/49/CE. Va aggiunto, in questo contesto, che le disposizioni delle direttive 96/35/CE e 2000/18/CE sono ora inserite negli allegati delle direttive 94/55/CE e 96/49/CE e che sono perciò diventate superflue per quanto riguarda i trasporti stradali e ferroviari.

2.11

La proposta integra nel diritto comunitario le norme esistenti in materia di trasporto internazionale ed estende il campo d'applicazione delle norme internazionali al trasporto nazionale, determinando così una semplificazione sostanziale del diritto comunitario nel settore del trasporto di merci pericolose, malgrado l'ampliamento del campo d'applicazione.

2.12

La proposta mira anche a trasferire l'onere della traduzione e della pubblicazione degli allegati tecnici della direttiva dalla Comunità, nella fattispecie la Commissione, agli Stati membri. Uno dei motivi principali di questa iniziativa è stata la qualità non sempre ottima delle traduzioni realizzate a livello comunitario, che ha costretto gli Stati membri a effettuare proprie traduzioni o a far correggere quelle comunitarie. Gli allegati vengono aggiornati ogni due anni. In questa prospettiva, la Commissione dovrà quindi accordare un sostegno finanziario per la realizzazione delle traduzioni a livello nazionale. Essa è tuttavia convinta che gli aiuti concessi agli Stati membri a questo fine saranno più che compensati dal risparmio ottenuto dalla Comunità in termini di costi di traduzione e di pubblicazione.

2.13

La proposta intende instaurare un sistema per cui i riferimenti alle convenzioni e agli accordi internazionali sul trasporto di merci pericolose vengono inseriti unicamente negli allegati, anziché essere citati nel testo stesso della direttiva, come avviene attualmente. Si prevede che questa misura riuscirà a ridurre il volume dell'acquis comunitario di circa 2 000 pagine.

2.14

La semplificazione della normativa comunitaria dovrebbe renderne più agevole il recepimento nel diritto nazionale. I compiti delle autorità responsabili dell'attuazione, ivi compresa la redazione delle relazioni, sarebbero resi più facili e più efficaci da un'armonizzazione delle norme in materia di trasporto delle merci pericolose.

2.15

L'esistenza di norme semplificate e armonizzate alleggerirebbe le procedure amministrative per tutti gli operatori coinvolti nel trasporto di merci pericolose, dal mittente al destinatario.

2.16

Anche la preparazione dei documenti per il trasporto e per i veicoli sarebbe facilitata dall'applicazione di norme armonizzate, così come la formazione degli addetti e il lavoro dei consulenti per la sicurezza del trasporto di merci pericolose.

2.17

La proposta è ripresa nel Programma di aggiornamento e semplificazione dell'acquis comunitario della Commissione e nel suo Programma legislativo e di lavoro.

3.   Osservazioni specifiche

Il Comitato desidera attirare l'attenzione su taluni punti su cui nutre riserve.

3.1

In primo luogo, nella proposta di direttiva in esame l'articolo dedicato alle definizioni precisa l'accezione in cui vanno intesi diversi termini ed espressioni (ad esempio ADR, RID, ADN, veicolo, carro, nave) ai fini della direttiva proposta. Non fornisce tuttavia alcuna indicazione sul modo in cui si deve intendere la nozione stessa di «merci pericolose». Indubbiamente non si tratta di cosa semplice, dato il numero di merci pericolose che già esistono e il progresso tecnico, che ne allunga continuamente l'elenco. Cionondimeno il Comitato ritiene che il testo debba definire il concetto di «merci pericolose» ai fini della direttiva proposta.

3.2

In secondo luogo, il documento in esame dà agli Stati membri la facoltà di disciplinare o vietare il trasporto di merci pericolose sul loro territorio unicamente per motivi non inerenti alla sicurezza durante il trasporto. Pur comprendendo le ragioni che hanno indotto ad accordare tale facoltà agli Stati membri, il Comitato non capisce cosa stia alla base del riconoscimento del diritto di agire «unicamente per motivi non inerenti alla sicurezza durante il trasporto». A suo avviso, nel caso della proposta in esame, che ha lo scopo di rafforzare la sicurezza del trasporto di merci pericolose, la formulazione proposta implica che uno Stato membro non potrà vietare il trasporto di merci pericolose sul suo territorio per motivi che siano associati, per l'appunto, alla sicurezza durante il trasporto, il che appare piuttosto illogico. Inoltre, al Comitato non è chiaro come si possa assicurare il coordinamento di tali divieti per il trasporto transfrontaliero, nel caso in cui gli Stati membri adottino divieti diversi.

3.3

In terzo luogo, i punti III.2 e III.3 del terzo allegato (Trasporto per vie navigabili interne) non contengono alcuna informazione in merito alle disposizioni transitorie aggiuntive e alle disposizioni nazionali aggiuntive previste. Il Comitato chiede perciò che venga precisato se effettivamente non è prevista alcuna misura di questo tipo o se invece tali misure sono in via di elaborazione.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulle applicazioni di navigazione satellitare

COM(2006) 769 def.

(2007/C 256/10)

La Commissione europea, in data 8 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulle applicazioni di navigazione satellitare.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il progetto Galileo è il fiore all'occhiello della politica spaziale europea. Le sue dimensioni e il suo carattere strategico hanno indotto l'Agenzia spaziale europea (ESA) a lavorare di concerto con l'Unione europea: in questo modo la cultura intergovernativa e quella comunitaria dovrebbero contribuire al successo dell'impresa. Nello stesso spirito di cooperazione, il progetto dovrebbe essere attuato sotto forma di partenariato pubblico-privato.

1.2

Il primo satellite sperimentale, precursore dei futuri 30 satelliti che formeranno la costellazione, è stato messo in orbita alla fine del 2005. Lo sviluppo del progetto segue dunque il suo corso, anche se con ritardi e difficoltà.

1.3

Una volta realizzato, Galileo sarà un sistema mondiale di navigazione satellitare in grado di offrire un'ampia gamma di servizi di posizionamento, navigazione e misurazione del tempo.

1.4

Con i suoi 30 satelliti e le sue stazioni terrestri, Galileo permetterà di fornire informazioni sulla loro posizione geografica ad utenti attivi in vari settori della vita economica e sociale, quali i trasporti (localizzazione di veicoli, navi e aeromobili, sistemi di radioguida, ricerca di itinerario, ecc.), la giustizia, la polizia e le dogane (controllo delle frontiere), i lavori pubblici (topografia, geodesia e sistemi di informazione geografica), il tempo libero (orientamento in mare e in montagna), i servizi sociali (p. es. soccorso ai disabili o agli anziani) e i servizi governativi di sicurezza; infine, grazie al servizio di localizzazione dei segnali di pericolo, Galileo sarà utile anche per il salvataggio di persone in alto mare o nelle regioni isolate.

1.5

Secondo alcune previsioni, il mercato dei prodotti e dei servizi nati dalle applicazioni di navigazione satellitare dovrebbe raggiungere i 400 miliardi di euro entro il 2025.

1.6

Attualmente i negoziati relativi al contratto di concessione sono a un punto morto, tanto è profondo il disaccordo tra i diversi partner sul modello economico di Galileo e sulla governance del consorzio industriale. La situazione è tale che i ritardi accumulati e la mancanza di progressi nei negoziati costituiscono un rischio per la stessa sopravvivenza del progetto.

1.7

Di fronte a queste difficoltà, il Consiglio Trasporti del mese di marzo aveva chiesto alla Commissione europea di fare il punto sullo stato dei negoziati relativi al contratto di concessione e di studiare eventuali soluzioni alternative. La Commissione, nella sua comunicazione intitolata Galileo a un bivio, davanti a questa situazione di stallo ha invitato il Consiglio e il Parlamento europeo a prendere atto dell'insuccesso degli attuali negoziati relativi al contratto di concessione e a decidere di porvi fine. Al medesimo tempo ha chiesto però anche alle due istituzioni di riaffermare la loro volontà di portare avanti e realizzare il programma Galileo. A tal fine proponeva uno scenario alternativo nel quale le fasi di sviluppo e di dispiegamento riceverebbero l'appoggio e i finanziamenti del settore pubblico, mentre il contratto di concessione sarebbe limitato unicamente allo sfruttamento. L'Agenzia spaziale europea sarebbe il direttore dei lavori e l'ente appaltante per conto dell'Unione europea.

2.   Il contenuto del Libro verde

2.1

Il Libro verde della Commissione, da un lato, descrive brevemente il sistema messo a punto e i relativi sviluppi prevedibili e, dall'altro, si sofferma sul carattere innovativo delle diverse applicazioni possibili, ricordando che verranno proposti cinque tipi di servizi: servizio aperto, servizio commerciale, servizio per la sicurezza della vita umana, servizio per operazioni di ricerca e salvataggio e servizio pubblico regolamentato (public regulated service, PRS). Il Libro verde, tuttavia, non si sofferma sulle applicazioni relative a quest'ultimo servizio, che dipende dalla volontà o meno degli Stati membri di utilizzarlo. Per questo motivo ciascuno Stato membro viene interrogato direttamente dalla Commissione, che raccoglierà poi tutte le risposte e ne farà una sintesi.

2.2

Tra i tipi di attività potenzialmente interessati la Commissione cita i seguenti:

informazione sulla posizione geografica (per il grande pubblico) e chiamate d'emergenza,

trasporti su strada,

trasporti ferroviari,

trasporti marittimi e su vie navigabili, pesca,

aviazione,

protezione civile, gestione delle emergenze e aiuti umanitari,

monitoraggio delle merci pericolose,

trasporto di bestiame,

agricoltura, misurazione delle parcelle, geodesia e indagini catastali,

energia, petrolio e gas,

servizi di ricerca e salvataggio,

logistica,

ambiente,

sport e turismo,

mantenimento dell'ordine.

2.3

Il fatto che l'elenco delle possibili applicazioni sia una sorta di zibaldone sottolinea in realtà l'ampiezza e la grande molteplicità delle applicazioni stesse.

2.4

Il Libro verde termina, come di consueto, con un elenco di domande rivolte alle parti interessate. Non spetta al CESE dare una risposta precisa a queste domande, ma piuttosto mettere in evidenza quelle che gli sembrano particolarmente importanti e specificare quali altre si sarebbero potute porre.

2.5

La Commissione sta analizzando le risposte al Libro verde formulate dalle parti interessate, ma il loro numero è troppo esiguo e il loro contenuto in alcuni casi troppo generale per poterne trarre delle conclusioni. Per completare la propria valutazione la Commissione intende quindi avviare delle consultazioni approfondite allo scopo di pubblicare un piano d'azione nell'ottobre 2007. Finora nessun grande settore economico ha manifestato un vero interesse per i servizi a pagamento. Questo dimostra tutta la difficoltà di dover competere con un servizio accessibile gratuitamente al pubblico, anche se non garantito. Si pone dunque la questione dell'equilibrio economico e finanziario del sistema europeo, che è un servizio di natura civile e non beneficia dello stesso sostegno pubblico (nella fattispecie, militare) del GPS americano.

3.   Le domande più importanti

3.1

La domanda 2 (1) relativa alla protezione della vita privata ha un'importanza particolare e ad essa il CESE già in passato aveva riservato una grandissima attenzione, chiedendo una tutela molto rigorosa del principio del rispetto della privacy. Qui si colloca la questione dell'equilibrio tra il diritto alla protezione della vita privata e le possibilità offerte dalla tecnica. Va sottolineato però che i sistemi di posizionamento/navigazione satellitare consentono sì agli utenti di determinare la propria posizione, ma tali dati sono conosciuti solo da loro e non sono accessibili a terzi, a meno che l'utente decida di comunicarli, ad esempio mediante telecomunicazioni mobili di tipo GSM. Dato che questi sistemi funzionano a senso unico, l'operatore di un sistema di navigazione, indipendentemente dal fatto che si tratti del GPS, di Galileo o del Glonass russo, non conosce gli utenti e non ha alcun modo di sapere chi utilizza i segnali di navigazione, e tanto meno la loro posizione geografica. La questione della tutela della vita privata va perciò valutata a livello dei servizi di applicazione individuali che verranno proposti agli utenti. Per molti di tali servizi è infatti necessario comunicare la posizione momentanea dell'utente a un server che può allora fornire a quest'ultimo le informazioni richieste (ad esempio relative al traffico stradale).

3.2

La domanda 5 (2) relativa alla cooperazione internazionale pone un certo numero di interrogativi. L'Unione europea ha firmato accordi di cooperazione con Cina, Israele, Corea del Sud, Marocco e Ucraina e altri accordi sono previsti con India, Brasile, Argentina e Australia. Se da un lato è evidente che tali accordi di cooperazione sono auspicabili per rafforzare la posizione internazionale di Galileo, soprattutto per le questioni relative alla standardizzazione, all'apertura dei mercati, alla certificazione e alle frequenze come pure per i diritti di proprietà intellettuale, dall'altro conviene restare vigili poiché lo scopo principale di alcuni partner è quello di acquisire le conoscenze e il know-how europei per guadagnare tempo nel mettere a punto una propria tecnologia, che entrerebbe quindi in concorrenza con quella di Galileo. È ormai assolutamente chiaro che è stato proprio questo il motivo che ha indotto la Cina a firmare l'accordo di cooperazione su Galileo con l'Unione europea nel 2003. È sorprendente, d'altra parte, constatare che in Norvegia e in Svizzera non sono in vigore accordi con l'Unione europea per inquadrare la cooperazione su Galileo, nonostante tali paesi finanzino la fase di sviluppo e validazione del programma con la loro partecipazione all'Agenzia spaziale europea. Di conseguenza, la questione del loro eventuale accesso al servizio pubblico regolamentato di Galileo non è risolta.

3.3

Ad ogni buon conto, in generale le cooperazioni avviate non riguardano il servizio governativo ad accesso riservato. Inoltre, i negoziati relativi alla cooperazione internazionale hanno subito un rallentamento poiché è stato necessario occuparsi in via prioritaria dell'attuazione effettiva dell'intero progetto, il che rivela tutte le difficoltà incontrate.

3.4

Le domande 6 e 7 (3) concernenti le norme e la certificazione pongono in termini concreti il problema della certificazione delle apparecchiature e del sistema stesso, come pure dei terminali di navigazione a bordo. Si tratta di una questione particolarmente delicata per i trasporti aerei e quelli ferroviari, due settori in cui i dispositivi di sicurezza e di segnalazione sono soggetti a una rigorosa procedura di certificazione riconosciuta sul piano internazionale. La certificazione del sistema Galileo in sé ha senso solo in un ambito di applicazione particolare, come ad esempio quello dell'aviazione civile, che definisce le norme e le procedure di certificazione applicabili. La certificazione dei terminali e delle apparecchiature installate a bordo di macchine mobili che utilizzano i servizi di Galileo interessa molto di più del solo terminale di posizionamento: essa riguarda infatti anche tutte le altre apparecchiature che sfruttano le informazioni relative alla posizione geografica e, alla fine, forniscono l'informazione elaborata al pilota o al comandante di bordo. In tal caso si applicano le procedure di certificazione abituali relative a quella specifica applicazione. La questione della certificazione va quindi affrontata per ogni specifica applicazione.

3.5

L'altro aspetto della domanda 7, ossia quello relativo alla responsabilità, è appena abbozzato, benché abbia un'importanza considerevole. Bisogna però riconoscere che si tratta di un aspetto particolarmente complesso. Si deve infatti tener conto non solo delle questioni relative alla responsabilità contrattuale, che sono relativamente semplici, ma anche di quelle relative alla responsabilità extracontrattuale, molto più complesse. Inoltre, va considerato che il livello di responsabilità può variare a seconda che si tratti di un servizio aperto, commerciale o governativo. La Commissione europea sta riflettendo su un meccanismo simile a quello applicato nell'aviazione civile, vale a dire una copertura assicurativa fino a un determinato importo e una copertura mediante i poteri pubblici oltre tale importo. La questione fondamentale, in questo caso, è quella di definire la soglia a partire dalla quale si applica la copertura pubblica del rischio. Il tetto previsto attualmente è elevato e ammonta a circa un miliardo di euro.

3.6

Fino a che punto il fornitore del segnale garantisce la qualità delle prestazioni? La questione ha una rilevanza particolare nel settore dei trasporti aerei, di quelli ferroviari e anche di quelli marittimi.

3.7

Se la scarsa qualità di un segnale è stata per esempio all'origine di una catastrofe aerea o di un naufragio che ha provocato una marea nera, a chi spetta la responsabilità, e in che misura? In questo caso bisogna distinguere tra la responsabilità contrattuale da un lato, e quella extracontrattuale dall'altro.

3.8

L'operatore del sistema Galileo deve avere la responsabilità integrale o deve condividerla con gli Stati? E con quali Stati? Lo Stato in cui è avvenuto il lancio, tutti gli Stati dell'Unione europea o unicamente quelli che partecipano al progetto Galileo? Sono tutte questioni che meritano di essere affrontate, in modo tale che le applicazioni commerciali di Galileo possano svilupparsi in un quadro giuridico sicuro e soddisfacente.

3.9

A questo proposito ci sono dei precedenti, e tra di essi si può citare ad esempio Ariane. Nell'ambito di Ariane, il rischio per danni causati a terzi dal lancio di un satellite è coperto fino a 100 milioni di euro da Arianespace e, oltre tale soglia, dallo Stato francese. Nel campo dell'aviazione civile esistono delle tipologie simili di ripartizione del rischio tra gli operatori commerciali e gli Stati membri che potrebbero essere applicate a Galileo. Tuttavia, il punto delicato resta quello di trovare un accordo sulla linea di demarcazione: qual è la ripartizione adeguata tra l'autorità pubblica e l'operatore, soprattutto quando si tratta di un servizio nuovo?

3.10

L'adozione, per il programma Galileo, di un sistema ispirato a quello di Ariane presuppone ovviamente che venga stabilito con chiarezza quale autorità pubblica potrebbe condividere la responsabilità con l'operatore di Galileo.

3.11

La domanda 9 (4) relativa alla proprietà intellettuale riveste un'importanza particolare. Anche se la ricerca iniziale viene finanziata dalle autorità pubbliche, sarebbe importante che i diritti di proprietà intellettuale per i successivi sviluppi spettassero alle imprese, e in particolare alle PMI che li mettono a punto e li attuano.

3.12

È opportuno infine interrogarsi sull'aspetto dell'uso militare di Galileo. Contrariamente al GPS, che è un sistema militare aperto al settore civile su base discrezionale, Galileo è un sistema civile. Come per il segnale civile del GPS, nulla impedisce alle forze armate di un paese qualsiasi di impiegare il servizio aperto di Galileo per usi militari, anche se il servizio governativo ad accesso riservato, il cui uso è disciplinato in modo preciso dagli Stati membri dell'Unione europea, presenta dei vantaggi in termini di migliore resistenza ai disturbi e di indipendenza rispetto agli altri servizi forniti da Galileo (le bande di frequenza utilizzate non sono le stesse).

3.13

Senza voler entrare nel dibattito sui diversi tipi di uso militare del segnale PRS di Galileo, tema che esulerebbe ampiamente dal quadro del presente parere e che non è stato affrontato neanche nel Libro verde, resta il fatto che l'equilibrio economico dello sfruttamento di Galileo dipende in parte da tale uso. Nella nuova configurazione del progetto Galileo proposta dalla Commissione, sicuramente questo punto verrà discusso ancora. Dopotutto, nella comunicazione la Commissione osserva che, senza rimettere in discussione il carattere civile del sistema, bisogna ammettere che gli utenti militari possono portare notevoli introiti.

4.   Conclusioni

4.1

Il Libro verde sulle applicazioni di navigazione satellitare passa effettivamente in rassegna numerosi campi di attività interessati da questa tecnologia. Tuttavia, esso andrebbe completato su alcuni punti molto importanti come la proprietà intellettuale dei procedimenti suscettibili di aprire nuovi campi di applicazione, le questioni relative alla certificazione e il regime di responsabilità.

4.2

La questione dell'uso di Galileo a livello governativo o perfino militare da parte degli Stati membri dell'Unione europea, che viene affrontata nel quadro di un dialogo diretto tra la Commissione e gli Stati membri e — a livello di Stati membri — in seno al consiglio di sicurezza di Galileo, è importante poiché ha un impatto significativo sul modello economico di Galileo. È evidente che si dovrà ritornare sulla questione, tanto più che il contributo pubblico è destinato ad aumentare notevolmente a causa dell'insuccesso del primo modello di partenariato pubblico-privato.

4.3

Infine, interrogarsi in merito alle applicazioni di navigazione satellitare è molto utile ed interessante, ma bisognerebbe anche essere sicuri che la realizzazione della costellazione sarà effettivamente completata. Le nuove proposte della Commissione costituiscono un'ultima opportunità per il progetto Galileo. Il CESE è del tutto consapevole degli sforzi finanziari che esse comportano per gli Stati membri ma, in un periodo in cui l'Unione europea incontra un certo scetticismo da parte dei cittadini europei — una sorta di «disaffezione» che emerge dai dibattiti sul progetto di Trattato costituzionale — abbandonare il programma Galileo avrebbe conseguenze disastrose all'interno e all'esterno dell'Unione europea. Un tale insuccesso mostrerebbe al mondo l'incapacità dell'Unione europea di mobilitarsi per un progetto di alta portata scientifica, tecnica ed economica. È fondamentale portare a termine Galileo e dimostrare in tal modo che l'Europa è in grado di risollevarsi e di realizzare grandi progetti per il futuro.

4.4

La verità è che, per questi motivi, il progetto Galileo sta attraversando un periodo difficile. Il CESE non può che sottolineare che un eventuale insuccesso di questo progetto, autentico fiore all'occhiello dell'Unione europea, sarebbe grave e comporterebbe una perdita di fiducia dei cittadini nella costruzione europea. Si deve quindi fare tutto il possibile per evitare una tale triste eventualità.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 769 def., punto 4.

(2)  Ibidem, punto 5.3.

(3)  Ibidem, punto 5.4.

(4)  Ibidem, punto 5.6.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Programma indicativo per il settore nucleare — Presentato, per parere, al Comitato economico e sociale europeo ai sensi dell'articolo 40 del Trattato Euratom

COM(2006) 844 def.

(2007/C 256/11)

La Commissione europea, in data 10 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 40 del Trattato Euratom, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 81 voti favorevoli, 28 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Nel 2004 il Comitato economico e sociale europeo, nel proprio parere sul tema Le sfide del nucleare per la produzione di elettricità, ha suggerito di mettere in atto «uno sforzo d'informazione sulle sfide reali dell'industria nucleare: sicurezza d'approvvigionamento, mancate emissioni di CO2, prezzi competitivi, sicurezza e gestione dei combustibili esauriti in modo da permettere alla società civile organizzata di analizzare in modo critico il contenuto dei dibattiti che le vengono proposti su questi temi». Il nuovo programma indicativo per il settore nucleare fornisce tali informazioni. Il Comitato concorda ampiamente con l'analisi e la descrizione presentate nella comunicazione della Commissione, nella quale, a suo avviso, viene presa in considerazione e illustrata in modo corretto la maggior parte degli aspetti fondamentali relativi all'energia nucleare. Il Comitato richiama inoltre l'attenzione su alcuni aspetti dell'energia nucleare di cui si deve tener conto.

1.2

L'energia nucleare, che nel 2004 rappresentava il 31 % della produzione di energia elettrica e il 15 % del consumo totale di energia primaria nell'UE, svolge un ruolo fondamentale nel mercato energetico. Essa, inoltre, soddisfa pienamente gli obiettivi di politica energetica dell'UE. Il costo dell'energia nucleare oggigiorno è decisamente competitivo, la dipendenza dall'estero è limitata e le fonti di combustibile sono diversificate e sicure, il che soddisfa le esigenze di sicurezza degli approvvigionamenti. L'energia nucleare, in Europa, è attualmente la principale fonte di energia sostanzialmente priva di emissioni di biossido di carbonio.

1.3

In seguito alla decisione del Consiglio europeo sugli obiettivi relativi alle emissioni di gas a effetto serra per il 2020 e oltre, è evidente che tutta la capacità supplementare di produrre energia a bassa emissione di carbonio, indipendentemente dal fatto che si tratti di energie rinnovabili, energia nucleare o, potenzialmente, tecnologie pulite del carbone, dovrebbe sostituire le capacità che comportano emissioni di CO2, contribuendo così ad aumentare la percentuale complessiva di elettricità a bassa emissione di carbonio. All'atto pratico, se non viene mantenuta almeno l'attuale quota di energia nucleare fino a quando non siano disponibili soluzioni energetiche pulite totalmente nuove, non si riusciranno a realizzare gli obiettivi concernenti il cambiamento climatico ed altri aspetti di politica energetica.

1.4

Il Comitato sottolinea il ruolo sempre importante dell'UE nello sviluppare ulteriormente un quadro il più possibile all'avanguardia per l'energia nucleare negli Stati membri che hanno scelto tale energia, in conformità con i più elevati standard di protezione, sicurezza e non proliferazione, come previsto dal Trattato Euratom.

1.5

Il compito più impellente è quello di trovare una soluzione alla questione dei rifiuti radioattivi (e specialmente dello smaltimento definitivo del combustibile nucleare esaurito), per la quale le tecnologie esistono ma mancano le decisioni politiche. Il Comitato è d'accordo con la Commissione anche in merito agli altri aspetti che necessitano ancora di attenzione a livello dell'UE: la sicurezza nucleare e la radioprotezione (settori nei quali l'Europa ha ottenuto eccellenti risultati), nonché la garanzia di risorse finanziarie a lungo termine per la disattivazione degli impianti in funzione.

1.6

Il Comitato richiama l'attenzione su alcuni ulteriori aspetti dell'energia nucleare che non vengono menzionati nel programma indicativo nucleare: la minaccia del terrorismo e, per alcune centrali, la questione di una sufficiente disponibilità di acqua di raffreddamento.

1.7

Una preoccupazione per gli Stati membri che vogliono ricorrere ancora all'energia atomica può essere la perdita di attrattiva del settore nucleare in quanto datore di lavoro e argomento di ricerca. Il Comitato condivide la posizione della Commissione secondo cui le conoscenze specialistiche nel campo della radioprotezione e delle tecnologie nucleari sono fondamentali per l'UE e, pertanto, è necessario prestare attenzione all'istruzione, alla formazione e alla ricerca in questi settori.

1.8

Il Comitato sottolinea infine il diritto di ciascuno Stato membro di scegliere il proprio mix energetico, compreso, come affermato nel programma indicativo, l'uso del nucleare.

2.   Introduzione

2.1

A norma dell'articolo 40 del Trattato Euratom, «per incoraggiare l'iniziativa di persone e di imprese e agevolare uno sviluppo coordinato dei loro investimenti nel campo nucleare, la Commissione pubblica periodicamente dei programmi a carattere indicativo, riguardanti in particolare obiettivi di produzione di energia nucleare e gli investimenti di qualsiasi natura richiesti dalla loro realizzazione. La Commissione domanda il parere del Comitato economico e sociale europeo su tali programmi, prima della loro pubblicazione». Dal 1958 sono stati pubblicati quattro programmi indicativi ed un aggiornamento, l'ultima volta nel 1997.

2.2

Il progetto di programma indicativo in esame è stato pubblicato dalla Commissione il 10 gennaio 2007, nel quadro del pacchetto sull'energia e il cambiamento climatico Una politica energetica per l'Europa. La versione finale verrà messa a punto e pubblicata non appena la Commissione avrà ricevuto il parere del Comitato economico e sociale europeo.

2.3

Le altre parti del pacchetto «Energia» consistono in primo luogo nella proposta di fissare, nel quadro della lotta contro il cambiamento climatico, l'obiettivo di ridurre del 30 % i gas a effetto serra nei paesi industrializzati entro il 2020 rispetto al livello del 1990, e in ogni caso del 20 % nella sola UE. Il pacchetto si occupa inoltre del mercato interno del gas e dell'elettricità, nonché delle interconnessioni delle reti dell'elettricità e del gas e contiene proposte intese a promuovere la produzione di energia sostenibile a partire dai combustibili fossili; stabilisce inoltre un calendario per promuovere le energie rinnovabili, e in particolare i biocarburanti per i trasporti, prevedendo fra l'altro una quota vincolante del 20 % di energie rinnovabili nel mix energetico complessivo dell'UE entro il 2020 e risparmi energetici, con l'obiettivo di un aumento del 20 % dell'efficienza energetica entro il 2020; infine, prevede un futuro Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche. Il 9 marzo 2007 il Consiglio europeo ha espresso parere favorevole sugli obiettivi e i contenuti politici essenziali del pacchetto energetico.

2.4

Il Comitato ha elaborato pareri in merito a ciascun programma indicativo per il settore nucleare, come previsto dal Trattato. Inoltre, ha affrontato il tema dell'energia nucleare anche in numerosi altri pareri e, recentemente, in modo particolare nel parere di iniziativa sul ruolo del nucleare per la produzione di elettricità, adottato nel 2004. Nelle conclusioni del parere si afferma che «il Comitato giudica che (…) il nucleare dovrebbe rappresentare uno degli elementi di una politica energetica diversificata, equilibrata, economica e sostenibile per l'UE (…). Tenuto conto dei problemi che esso solleva, non è possibile immaginare di puntare tutto sul nucleare, ma, sul fronte opposto, il Comitato reputa che il suo abbandono parziale o totale comprometterebbe le opportunità di rispettare gli impegni assunti dall'UE in materia di cambiamento climatico».

3.   Il documento della Commissione

3.1

Il documento della Commissione passa in rassegna gli investimenti effettuati nel settore dell'energia nucleare negli ultimi dieci anni, descrive gli aspetti economici della produzione di energia nucleare e il suo impatto sul mix energetico e illustra le condizioni che la rendono accettabile alla società. Il contenuto della comunicazione viene presentato in modo più dettagliato qui di seguito.

3.2

Spetta ai singoli Stati membri decidere se avvalersi o meno dell'energia nucleare per il proprio approvvigionamento energetico. Recentemente la Finlandia e la Francia hanno deciso di ampliare le proprie capacità di produzione di energia nucleare. Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Repubblica ceca, Lituania, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Regno Unito, Bulgaria e Romania hanno invece riaperto il dibattito sulla loro politica nucleare. Germania, Spagna e Belgio, nonostante i dibattiti in corso, proseguono le loro politiche di progressivo abbandono del nucleare. 12 dei 27 Stati membri non producono energia nucleare.

3.3

Con 152 reattori presenti nell'UE-27, l'energia nucleare oggi rappresenta il 30 % della produzione di energia elettrica in Europa. Tuttavia, se verrà confermata la politica di progressivo abbandono del nucleare perseguita da alcuni Stati membri dell'UE, questa percentuale si ridurrà sensibilmente. Per soddisfare la domanda energetica prevista e ridurre la dipendenza dell'Europa dalle importazioni, si potrebbero decidere nuovi investimenti nel settore o una proroga del funzionamento di alcune centrali.

3.4

Secondo la Commissione, una produzione potenziata di energia nucleare potrebbe essere un'opzione per ridurre le emissioni di CO2 e potrebbe svolgere un ruolo importante nell'affrontare il problema del cambiamento climatico a livello globale. L'energia nucleare fondamentalmente non dà luogo a emissioni di carbonio e rientra nello scenario elaborato dalla Commissione per ridurre il carbonio, il quale prevede anche l'obiettivo di diminuire le emissioni di CO2. Questo aspetto potrebbe anche costituire una considerazione importante nelle discussioni sui futuri sistemi di scambio delle quote di emissione.

3.5

Il principale fattore che incide sulle prospettive di crescita del nucleare è di natura economica, in quanto una centrale nucleare richiede investimenti iniziali compresi tra 2 e 3,5 miliardi di euro. La produzione di energia nucleare presenta costi di costruzione più elevati rispetto a quelli dei combustibili fossili, tuttavia, dopo gli investimenti iniziali, i costi operativi sono nettamente inferiori. In dettaglio, la Commissione afferma quanto segue:

3.5.1

«i rischi economici del nucleare sono legati all'importanza dell'investimento iniziale e necessitano, successivamente, di un funzionamento praticamente senza intoppi per i primi 15-20 anni, su una durata dai 40 ai 60 anni, per recuperare il capitale iniziale. Inoltre, la disattivazione e la gestione dei rifiuti costringono ad accantonare risorse finanziarie per un periodo da 50 a 100 anni successivo alla chiusura del reattore;

3.5.2

nell'UE a 27 (1) si contano 152 reattori nucleari di produzione di energia elettrica in 15 Stati membri. La media dell'età dei reattori si aggira sui 25 anni (2). Nel caso della Francia, che possiede il parco di reattori più numeroso (59) dal quale riceve l'80 % della sua energia elettrica, e della Lituania, in cui una sola centrale nucleare garantisce il 70 % della produzione d'energia elettrica, la media dell'età dei reattori è di 20 anni. Il parco di 23 centrali nel Regno Unito ha una media d'età attorno ai 30 anni, mentre l'età media del parco tedesco (17 centrali) è di 25 anni;

3.5.3

l'energia nucleare presenta di solito una combinazione di costi elevati di costruzione e di costi di gestione inferiori a quelli dell'energia elettrica prodotta a partire da combustibili fossili, che ha costi di capitale inferiori ma costi di gestione più elevati e più sensibili alla variazione dei prezzi del combustibile.»

3.6

La produzione di energia nucleare è ampiamente insensibile alle variazioni del prezzo delle materie prime, poiché un modesto quantitativo di uranio che in misura prevalente proviene da regioni politicamente stabili può garantire il funzionamento di un reattore per decenni. All'attuale livello dei consumi, le riserve di uranio conosciute, ragionevolmente sicure e utilizzabili a prezzi competitivi possono sopperire al fabbisogno dell'industria nucleare almeno per i prossimi 85 anni. Per questo motivo, nella maggior parte dei paesi industrializzati la costruzione di nuove centrali nucleari permette di produrre energia elettrica di base in modo economico.

3.7

Dal 1997 ad oggi l'industria nucleare ha effettuato investimenti considerevoli. La Commissione riconosce l'importanza di mantenere il primato tecnologico nel campo dell'energia nucleare ed appoggia la messa a punto di un quadro regolamentare all'avanguardia per il settore nucleare, che copra anche la non proliferazione, la gestione dei rifiuti e lo smantellamento degli impianti. Fin dall'entrata in vigore del Trattato Euratom, la sicurezza nucleare e la radioprotezione sono state tra le principali preoccupazioni della Comunità europea e hanno acquisito ulteriore importanza in seguito agli ultimi due allargamenti dell'Unione.

3.8

A livello di Unione europea si dovrebbe garantire che negli Stati membri che scelgono l'energia nucleare venga portata avanti l'elaborazione di un quadro regolamentare all'avanguardia, conformemente ai più elevati standard di sicurezza e non proliferazione, come previsto dal Trattato Euratom (compresi la gestione delle scorie radioattive e lo smantellamento degli impianti).

3.9

La Commissione propone che la discussione sugli orientamenti per il futuro sia incentrata soprattutto sui seguenti aspetti:

riconoscere livelli di riferimento comuni di sicurezza in vista della loro attuazione nell'UE, sulla base della vasta esperienza e competenza delle autorità per la sicurezza nucleare degli Stati membri,

creare un gruppo ad alto livello sulla sicurezza nucleare, incaricato di elaborare progressivamente una visione comune e, in futuro, norme europee supplementari applicabili alla sicurezza nucleare,

assicurare che gli Stati membri attuino piani nazionali di gestione dei rifiuti radioattivi,

nel corso della prima fase del 7PQ, realizzare piattaforme tecnologiche per un miglior coordinamento della ricerca nei programmi nazionali, industriali e comunitari nei settori della fissione nucleare sostenibile e dei depositi geologici,

monitorare l'attuazione della raccomandazione sull'armonizzazione degli approcci nazionali per la gestione dei fondi per la disattivazione, al fine di garantire la disponibilità di risorse finanziarie adeguate,

semplificare e armonizzare le procedure di autorizzazione, sulla base di un più stretto coordinamento tra le autorità nazionali di regolamentazione, al fine di mantenere le più elevate norme di sicurezza,

assicurare una maggiore disponibilità dei prestiti Euratom, a condizione che i relativi massimali siano aggiornati in funzione delle necessità del mercato, come già proposto dalla Commissione,

elaborare un regime armonizzato di responsabilità e meccanismi atti a garantire la disponibilità di fondi in caso di danni provocati da un incidente nucleare,

dare nuovo slancio alla cooperazione internazionale, segnatamente mediante una collaborazione più stretta con l'AIEA e la NEA, agli accordi bilaterali con i paesi terzi e alla rinnovata assistenza a favore dei paesi limitrofi.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato accoglie con favore il progetto del nuovo programma indicativo per il settore nucleare elaborato dalla Commissione. Il settore energetico è molto cambiato nei 10 anni trascorsi dalla pubblicazione dell'ultimo programma indicativo. In particolare, negli ultimi anni, nuovi e drammatici sviluppi hanno richiamato fortemente l'attenzione su tutti e tre gli aspetti della politica energetica, vale a dire la sicurezza dell'approvvigionamento, la competitività e i prezzi ragionevoli, e sull'ambiente, in particolare sul cambiamento climatico. L'UE ha reagito agli evidenti problemi e sfide formulando proposte in merito a una politica energetica europea. In questo contesto sono necessarie un'analisi e delle proposte relative all'energia nucleare che inquadrino l'energia nucleare nello scenario energetico globale e forniscano le informazioni necessarie per la definizione di una politica energetica in Europa.

4.2

Nel 2004 il Comitato, nel proprio parere sul tema Le sfide del nucleare per la produzione di elettricità, ha suggerito di mettere in atto «uno sforzo d'informazione sulle sfide reali dell'industria nucleare: sicurezza d'approvvigionamento, mancate emissioni di CO2, prezzi competitivi, sicurezza e gestione dei combustibili esauriti in modo da permettere alla società civile organizzata di analizzare in modo critico il contenuto dei dibattiti che le vengono proposti su questi temi». Il nuovo programma indicativo per il settore nucleare fornisce tali informazioni. Il Comitato concorda ampiamente con l'analisi e la descrizione presentate nella comunicazione della Commissione, nella quale, a suo avviso, viene presa in considerazione e illustrata in modo corretto la maggior parte degli aspetti fondamentali relativi all'energia nucleare. Il Comitato richiama inoltre l'attenzione su alcuni aspetti dell'energia nucleare di cui si deve tener conto.

4.3

L'energia nucleare, che nel 2004 rappresentava il 31 % della produzione di energia elettrica e il 15 % del consumo totale di energia primaria nell'UE, svolge un ruolo fondamentale nel mercato energetico. Essa, inoltre, soddisfa pienamente gli obiettivi di politica energetica dell'UE. Il costo dell'energia nucleare oggigiorno è decisamente competitivo, soprattutto se tale energia viene utilizzata per il carico di base. La dipendenza dall'estero è limitata e le fonti di combustibile sono diversificate e sicure, il che soddisfa le esigenze di sicurezza degli approvvigionamenti. L'energia nucleare, in Europa, è attualmente la principale fonte di energia sostanzialmente priva di emissioni di biossido di carbonio (cfr. sotto, punto 4.8).

4.4

Una migliore efficienza energetica (compresa la generazione combinata di calore ed elettricità) e il conseguente contenimento della domanda sono il primo e principale obiettivo dell'agenda di politica energetica. Sono necessari ancora ingenti investimenti nel campo della produzione di elettricità nell'UE per sostituire le vecchie centrali e, possibilmente, anche per soddisfare l'ulteriore domanda, considerato che gli sviluppi del mercato e l'evoluzione tecnologica possono far aumentare la quota dell'energia elettrica nella domanda energetica totale.

4.4.1

A medio e lungo termine è possibile che nuove tecnologie energetiche come quella dell'idrogeno, le pompe di calore, le automobili elettriche, ecc. facciano aumentare la domanda di elettricità, come percentuale della domanda energetica totale, più rapidamente di quanto stimato negli attuali scenari. Uno sviluppo di questo tipo potrebbe far sì che, nel mix energetico dell'UE, l'energia nucleare assuma un ruolo molto più importante di quello che ha attualmente.

4.5

Il Comitato prende atto degli attuali piani di prolungare l'attività delle centrali ormai giunte al di là del loro periodo di sfruttamento commerciale, compreso di solito tra i 30 e i 40 anni. Nella comunicazione in esame, la Commissione non ha approfondito la questione dell'invecchiamento delle centrali nucleari europee, sulla quale occorrerebbero più informazioni. Considerato che la Commissione afferma che «alcuni rischi finanziari ed ambientali rimangono a carico delle autorità pubbliche in alcuni Stati membri, in particolare la responsabilità degli impianti per lo smaltimento e la gestione a lungo termine dei rifiuti», in futuro andranno adottate disposizioni al riguardo.

4.6

Questi nuovi investimenti, idealmente, dovrebbero rispondere agli obiettivi di sicurezza dell'approvvigionamento, competitività e lotta al cambiamento climatico. Considerate le caratteristiche e le potenzialità di altre forme di produzione di energia c'è da attendersi che, da un lato, venga prolungata la durata di esercizio degli impianti nucleari esistenti e, dall'altro, vengano effettuati nuovi investimenti. Su questo il Comitato è d'accordo con la Commissione.

4.7

Secondo la Commissione, all'attuale livello dei consumi le risorse di uranio sarebbero sufficienti per 85 anni. Altre fonti forniscono su questo punto informazioni diverse, che perlopiù variano tra gli 85 e i 500 anni. Considerata l'importanza della disponibilità di combustibile per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, la Commissione dovrebbe fornire informazioni più dettagliate in merito alla disponibilità di combustibile nucleare.

4.8

Quando si confronta l'impatto ambientale di diverse fonti energetiche è importante valutare l'impatto ambientale complessivo dell'intero processo, dalla fase di approvvigionamento con le materie prime, produzione, trasporto e produzione di energia fino a quella di riciclaggio e smaltimento. Il Consiglio mondiale dell'energia (World Energy Council — WEC) ha pubblicato una relazione riassuntiva (Comparison of Energy Systems Using Life Cycle Assessment — WEC, luglio 2004) nella quale vengono menzionati e passati in rassegna diversi studi relativi alla valutazione del ciclo di vita. La relazione evidenzia che le emissioni di CO2 per kWh di elettricità generato mediante l'energia nucleare sono modeste e hanno un livello pari a quello dell'energia eolica, da biomassa e idroelettrica, ossia compreso tra l'1 e il 5 % delle emissioni delle centrali a carbone.

4.9

È quindi fondamentale tener conto del prezioso contributo che dà l'energia nucleare alla prevenzione della produzione di gas serra. Considerato l'attuale mix energetico, l'impiego dell'energia nucleare nell'UE consente di evitare l'immissione di circa 600 milioni di tonnellate di CO2 all'anno. A livello mondiale si evitano approssimativamente 2 miliardi di tonnellate di CO2, pari all'attuale volume complessivo di emissioni di CO2 di Francia, Germania e Regno Unito. Se i piani di abbandono progressivo del nucleare di alcuni Stati membri verranno mantenuti, gran parte delle attuali centrali nucleari europee andranno sostituite da altre fonti energetiche che non producono emissioni. Inoltre, se le attuali centrali nucleari al termine del loro ciclo di vita non vengono sostituite da nuovi impianti, nel medio termine tutta l'energia di origine nucleare andrà sostituita con altri tipi di energia a emissioni zero.

4.10

In seguito alla decisione del Consiglio europeo sugli obiettivi relativi ai gas a effetto serra per il 2020 e oltre, è evidente che tutta la capacità supplementare di produrre energia a bassa emissione di carbonio, indipendentemente dal fatto che si tratti di energie rinnovabili, energia nucleare o, potenzialmente, tecnologie pulite del carbone, dovrebbe sostituire le capacità che comportano emissioni di CO2, contribuendo così ad aumentare la percentuale complessiva di elettricità a bassa emissione di carbonio. All'atto pratico, se non viene mantenuta almeno l'attuale quota di energia nucleare fino a quando non siano disponibili soluzioni energetiche totalmente nuove, non si riusciranno a realizzare gli obiettivi concernenti il cambiamento climatico ed altri aspetti di politica energetica in modo economicamente accettabile. D'altra parte, però, è ovvio che una quota crescente di energia nucleare, unita alle fonti rinnovabili, renderebbe più efficace, in termini di costi, la lotta contro il cambiamento climatico.

4.11

Il Comitato appoggia l'obiettivo di internalizzare i costi esterni nel prezzo di tutte le attività energetiche e delle altre attività di mercato. Da uno studio sui costi esterni (ExternE) (3) effettuato dalla Commissione emerge che i costi esterni dell'energia nucleare sono pari a 0,4 cent/kWh. Secondo le stime, i corrispondenti costi esterni per la produzione di elettricità mediante centrali a carbone sono superiori di 10 volte e quelli dell'energia da biomassa di alcune volte, mentre quelli dell'energia eolica sono inferiori e quelli dell'energia idroelettrica sono pari a quelli del nucleare.

4.12

La Commissione osserva che una questione fondamentale è quella di stabilire se per l'energia nucleare siano necessarie misure politiche. Tutte le tecnologie dell'energia pulita dovrebbero essere trattate allo stesso modo. Andrebbero individuati meccanismi per promuovere la ricerca incentrata sui reattori della prossima generazione e sul relativo ciclo del combustibile nucleare. A tal fine, si potrebbero prevedere sovvenzioni circoscritte agli sviluppi totalmente nuovi (progetti pilota), ma l'energia nucleare convenzionale non ha bisogno di sovvenzioni e non andrebbe sovvenzionata.

4.13

La Commissione riconosce che l'opinione pubblica e la percezione che essa ha del nucleare sono un aspetto fondamentale per il futuro della politica nucleare. Il Comitato condivide questa posizione, pur ricordando che l'accettazione varia notevolmente da uno Stato membro all'altro. Occorre migliorare l'accessibilità delle informazioni per il pubblico e la trasparenza delle procedure decisionali, in quanto i sondaggi rivelano che la popolazione dell'UE è male informata sulle questioni nucleari. In questo contesto la Commissione potrebbe svolgere un ruolo utile. Come il Comitato ha già ripetutamente affermato in passato, sono però necessarie anche misure concrete per rispondere alle preoccupazioni del pubblico.

4.14

Il Comitato sottolinea il ruolo sempre importante dell'UE nello sviluppare ulteriormente un quadro all'avanguardia per l'energia nucleare negli Stati membri che hanno scelto tale energia, in conformità con i più elevati standard di sicurezza e non proliferazione, come previsto dal Trattato Euratom.

4.15

Il compito più impellente è quello di trovare una soluzione alla questione dei rifiuti radioattivi (e specialmente dello smaltimento definitivo del combustibile nucleare esaurito), per la quale le tecnologie esistono, ma mancano le decisioni politiche. È una questione fondamentale che riguarda l'impatto sull'ambiente e sulla salute e l'accettazione del nucleare da parte dell'opinione pubblica. Il programma indicativo per il settore nucleare sottolinea che finora nessun paese ha attuato la soluzione definitiva proposta. Tuttavia, ci sono stati dei progressi in Finlandia, dove è stato scelto un sito di smaltimento, come pure in Svezia e in Francia, dove sono stati fatti grandi passi avanti nella selezione dei siti.

4.16

Il Comitato è d'accordo con la Commissione anche in merito agli altri aspetti che necessitano ancora di attenzione a livello dell'UE: la sicurezza nucleare e la radioprotezione (settori nei quali l'Europa ha ottenuto buoni risultati), nonché la garanzia di risorse finanziarie per la disattivazione degli impianti in funzione.

4.17

Il programma indicativo nucleare non menziona la nuova minaccia del terrorismo. Eppure si tratta di una minaccia grave per le centrali nucleari, come pure per molti altri stabilimenti industriali e edifici pubblici in tutto il mondo. Tutte le nuove centrali nucleari dovrebbero essere progettate in modo da resistere allo schianto di un aereo passeggeri di grandi dimensioni senza emissioni radioattive all'esterno della centrale. Anche i sistemi di sicurezza tecnici e quelli operati dall'uomo devono essere progettati e applicati in modo da prevenire qualsiasi tipo di attacco terroristico all'interno delle centrali nucleari. La Commissione, in cooperazione con le autorità responsabili e gli operatori, dovrebbe avviare iniziative intese a garantire che, presso ogni centrale nucleare, vengano attuate misure appropriate per la prevenzione del terrorismo.

4.18

Nelle ultime estati calde e secche ha destato attenzione anche la questione di una sufficiente disponibilità di acqua di raffreddamento proveniente dai fiumi per le centrali nucleari a condensazione. Finora si è trattato di un problema strettamente locale, poco frequente e di durata limitata ma, in alcuni casi, col tempo potrebbe diventare più serio. Bisogna tenerne conto nella progettazione delle unità delle centrali elettriche e nella scelta del sito.

4.19

Un'altra preoccupazione riguarda l'attrattiva che il settore dell'energia nucleare esercita in quanto datore di lavoro e argomento di ricerca dopo una ventina d'anni di quasi moratoria in Europa. La conseguente mancanza di interesse da parte di studenti e professionisti rappresenta un ostacolo allo sviluppo generale dell'energia nucleare e potrebbe anche comportare un rischio sul piano della sicurezza. Il Comitato condivide la posizione della Commissione, secondo cui le conoscenze specialistiche nel campo della radioprotezione e delle tecnologie nucleari sono fondamentali per l'UE e, pertanto, è necessario prestare attenzione all'istruzione, alla formazione e alla ricerca in questi settori. Lo stesso dicasi per la conservazione e il trasferimento delle conoscenze dalla generazione di scienziati ed ingegneri che ha costruito l'attuale parco di reattori in Europa mentre, in molti paesi, per molti anni in questo settore non sono entrati esperti più giovani.

4.20

La Commissione ricorda che spetta a ciascuno Stato membro decidere se utilizzare o meno l'energia nucleare. Il Comitato sostiene il diritto di ciascuno Stato membro di scegliere il proprio mix energetico, ivi compreso l'uso del nucleare. Questo diritto andrebbe rispettato non solo dall'UE, ma anche dagli altri Stati membri. Tuttavia, le decisioni di uno Stato membro influiscono in vari modi sulla situazione degli altri paesi e, con la maggiore apertura dei mercati nazionali, questa interdipendenza crescerà.

5.   Osservazioni relative alle misure proposte

5.1

Nel capitolo 6.5 del programma indicativo per il settore nucleare («Orientamenti per il futuro»), la Commissione presenta per discussione proposte di misure da attuare principalmente a livello UE (cfr. il punto 3.9 del presente parere). Qui di seguito il Comitato formula le proprie considerazioni in merito.

5.1.1

Il Comitato concorda con la posizione della Commissione, secondo cui ai fini della definizione di livelli di riferimento comuni di sicurezza nucleare e della loro adeguata attuazione ci si dovrebbe basare sulla vasta competenza delle autorità nazionali per la sicurezza nucleare degli Stati membri, avvalendosi anche della collaborazione della WENRA (4). Qualsiasi altro approccio potrebbe eventualmente mettere in pericolo gli attuali elevati standard di sicurezza in alcuni Stati membri.

5.1.2

Un gruppo ad alto livello sulla sicurezza nucleare formato da rappresentanti delle autorità nazionali competenti potrebbe contribuire al processo di armonizzazione, nonché a migliorare i collegamenti con le convenzioni internazionali in materia di sicurezza nucleare.

5.1.3

Il Comitato reputa assolutamente necessario che gli Stati membri che usano l'energia nucleare attuino piani nazionali per la gestione del combustibile nucleare e dei rifiuti radioattivi. I piani nazionali possono adottare una strategia puramente nazionale, multinazionale o a doppio binario. Qualsiasi altra opzione equivarrebbe ad imporre in modo irresponsabile alle prossime generazioni gli obblighi che incombono alla generazione attuale.

5.1.4

Le piattaforme tecnologiche si sono dimostrate strumenti molto validi per la creazione di partenariati pubblico-privato per elaborare dei programmi di ricerca strategica europei. Il Comitato appoggia l'intenzione della Commissione di servirsi di questo strumento nei settori della fissione nucleare sostenibile e dei depositi geologici. Potrebbe essere uno strumento decisamente necessario per attirare i giovani ricercatori verso il settore nucleare.

5.1.5

Al fine di garantire che si tenga pienamente conto dei costi di gestione relativi all'intero ciclo di vita degli impianti e assicurare condizioni eque, è fondamentale che gli operatori mettano a disposizione risorse finanziarie adeguate mediante i fondi per la disattivazione, sia nell'UE che a livello mondiale. Tuttavia, il Comitato non vede la necessità di una completa armonizzazione della gestione di tali fondi, purché vengano rispettati i principi di una copertura completa e garantita e della trasparenza.

5.1.6

Per rendere più prevedibili i tempi necessari per i progetti di costruzione, consentendo in tal modo una pianificazione e un calcolo dei costi più accurati, sono necessari il rispetto dei più elevati standard di sicurezza e, al medesimo tempo, la semplificazione delle procedure di autorizzazione e la loro graduale armonizzazione sulla base della cooperazione tra le autorità di regolamentazione nazionali. Non si deve però mai compromettere la sicurezza.

5.1.7

Il Comitato appoggia la proposta della Commissione di aggiornare i massimali relativi ai prestiti Euratom e di garantire una maggiore disponibilità degli stessi. In linea di principio, per gli investimenti in qualsiasi forma di energia si dovrebbe poter accedere su un piano di parità e alle medesime condizioni agli strumenti finanziari altrimenti forniti dalla BEI.

5.1.8

Secondo il Comitato, anche un regime armonizzato di responsabilità, che preveda un meccanismo in grado di garantire la disponibilità di fondi in caso di danni provocati da un incidente nucleare senza fare ricorso ai finanziamenti pubblici, è fondamentale per garantire una maggiore accettabilità dell'energia nucleare. A tal fine l'attuale sistema (copertura di 700 milioni di USD) non è adeguato. Il problema della copertura assicurativa di una probabilità di incidente estremamente bassa associata a danni potenzialmente molto gravi e costosi va affrontato in modo aperto, costruttivo e pragmatico. Una possibilità potrebbe essere quella delle assicurazioni collettive.

5.1.9

Il Comitato accoglie con favore la proposta di dare un nuovo slancio alla cooperazione internazionale con l'AIEA e la NEA e agli accordi bilaterali. In tale contesto si dovrebbe porre un accento particolare sull'assistenza ai paesi limitrofi.

5.2

Al di là delle attuali proposte della Commissione, il Comitato reputa che, al momento di preparare le prossime tappe, essa potrebbe utilmente prendere in considerazione i seguenti aspetti:

5.2.1

richiamare l'attenzione degli Stati membri sulla probabilità di un nuovo aumento del bisogno di istruzione e formazione nel campo dell'energia e della tecnologia nucleare in senso ampio, comprese in particolare l'educazione e la formazione in materia di sicurezza nucleare. L'istruzione è un modo non soltanto di fornire nuovi professionisti al settore nucleare, ma anche di sensibilizzare i cittadini a questa tematica, e ciò è di fondamentale importanza per formare l'opinione pubblica;

5.2.2

analizzare altri potenziali problemi legati agli investimenti nell'energia nucleare in un mercato energetico aperto, considerata l'entità di tali investimenti e i lunghi tempi di costruzione degli impianti, e valutare possibili soluzioni basate sul mercato;

5.2.3

l'industria europea della tecnologia nucleare ha raggiunto una posizione di leader mondiale, e questo crea posti di lavoro di alto livello e, al medesimo tempo, contribuisce alla sicurezza nucleare nel mondo intero grazie agli eccellenti standard di sicurezza. Considerato che a livello globale ci si attende un rapido aumento degli investimenti nel nucleare, per mantenere la propria posizione di leader, l'industria nucleare europea — compresa quella dell'indotto che produce le componenti a monte — dovrebbe essere uno dei settori al centro del nuovo approccio settoriale della Commissione in materia di politica industriale.

5.3

Infine, il Comitato si compiace anche dell'intenzione della Commissione di aumentare la frequenza della pubblicazione dei programmi indicativi per il settore nucleare, fornendo così un quadro più aggiornato della situazione nell'UE.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Allegato 2: dati per paese sulle attività attuali nel ciclo del combustibile nucleare.

(2)  Allegato 1: cfr. le figure 6 e 7, che rappresentano le centrali per età e la ripartizione delle età tra i paesi.

(3)  External CostsResearch results on socio-environmental damages due to electricity and transport, Commissione europea, 2003.

(4)  Associazione delle autorità di regolamentazione nucleare dell'Europa occidentale.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 1.1

Modificare come segue:

«Nel 2004 il Comitato economico e sociale europeo, nel proprio parere sul tema Le sfide del nucleare per la produzione di elettricità, ha suggerito di mettere in atto “uno sforzo d'informazione sulle sfide reali dell'industria nucleare: sicurezza d'approvvigionamento, mancate emissioni di CO 2, prezzi competitivi, sicurezza e gestione dei combustibili esauriti in modo da permettere alla società civile organizzata di analizzare in modo critico il contenuto dei dibattiti che le vengono proposti su questi temi”. Il nuovo programma indicativo per il settore nucleare fornisce alcune di tali informazioni. Il Comitato concorda ampiamente in parte con l'analisi e la descrizione presentate nella comunicazione della Commissione, ma rileva anche che dei temi importanti non vengono trattati (cfr. fra l'altro punto 1.6) nella quale, a suo avviso, viene presa in considerazione e illustrata in modo corretto la maggior parte degli aspetti fondamentali relativi all'energia nucleare. Il Comitato richiama inoltre l'attenzione su alcuni aspetti dell'energia nucleare di cui si deve tener conto.»

Motivazione

La modifica è una conseguenza degli altri emendamenti, nonché del punto 1.6 del progetto di parere, in cui si fa notare che alcuni aspetti importanti come il terrorismo e l'acqua di raffreddamento non vengono trattati in modo adeguato.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 49

Voti contrari: 52

Astensioni: 11

Punto 1.2

Modificare come segue:

«L'energia nucleare, che nel 2004 rappresentava il 31 % della produzione di energia elettrica e il 15 % del consumo totale di energia primaria nell'UE, svolge un ruolo fondamentale nel mercato energetico. Essa, inoltre, soddisfa pienamente gli obiettivi di politica energetica dell'UE. Il costo dell'energia nucleare oggigiorno è decisamente competitivo, la dipendenza dall'estero è limitata e le fonti di combustibile sono diversificate e sicure, il che soddisfa le esigenze di sicurezza degli approvvigionamenti. L'energia nucleare, in Europa, è attualmente la principale fonte una delle principali fonti di energia sostanzialmente priva prive di emissioni di biossido di carbonio. L'impatto ambientale che presenta da altri punti di vista è circoscritto e contenuto. »

Motivazione

Nel documento della Commissione non si parla di «principale» fonte di energia sostanzialmente priva di emissioni di biossido di carbonio, ma di «una delle fonti principali». Il testo va citato in modo corretto.

Quanto alle altre implicazioni ambientali, si vedano gli altri emendamenti. [Ndt: questa osservazione riguarda la versione tedesca; nel testo italiano della comunicazione si legge infatti: «Il nucleare rappresenta attualmente in Europa la maggiore fonte di energia senza emissioni di carbonio (CO2).»]

Esito della votazione

Voti favorevoli: 57

Voti contrari: 60

Astensioni: 3

Punto 1.3

Modificare come segue:

«In seguito alla decisione del Consiglio europeo sugli obiettivi relativi alle emissioni di gas a effetto serra per il 2020 e oltre, è evidente che tutta la capacità supplementare di produrre energia a bassa emissione di carbonio, indipendentemente dal fatto che si tratti di energie rinnovabili, energia nucleare o, potenzialmente, tecnologie pulite del carbone, dovrebbe sostituire la capacità di produrre mediante impianti che emettono CO2, contribuendo così ad aumentare la percentuale complessiva di elettricità a bassa emissione di carbonio. All'atto pratico, se non viene mantenuta almeno l'attuale quota di energia nucleare fino a quando non siano disponibili soluzioni energetiche pulite totalmente nuove, non si riusciranno a realizzare gli obiettivi concernenti il cambiamento climatico ed altri aspetti di politica energetica. Il Comitato prende atto di quanto affermato nella comunicazione della Commissione, secondo cui “attualmente, oltre 110 impianti nucleari nell'Unione si trovano in diverse fasi di disattivazione. Si prevede che almeno un terzo delle 152 centrali nucleari attualmente in esercizio nell'Unione europea allargata dovrà essere disattivato entro il 2025 (se non si tiene conto delle eventuali estensioni della loro durata di vita).” D'altra parte, dato che finora alla Commissione è stata comunicata la costruzione di un solo nuovo reattore, molto probabilmente la quota dell'energia nucleare nella produzione energetica diminuirà notevolmente. Tuttavia, come dimostra uno studio relativo alla Germania effettuato dalla Cancelleria federale tedesca, gli obiettivi climatici possono essere rispettati, cosa che però presuppone ulteriori sforzi in termini di risparmio energetico, efficienza e impiego delle energie rinnovabili. »

Motivazione

Si evince dal testo della Commissione e dallo studio citato.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 49

Voti contrari: 65

Astensioni: 6

Punto 1.7

Modificare come segue:

« Un'altra Una preoccupazione per gli Stati membri che vogliono ricorrere ancora all'energia atomica può essere la perdita di attrattiva del riguarda l'attrattiva che il settore nucleare esercita in quanto datore di lavoro e argomento di ricerca dopo una ventina d'anni di quasi moratoria in Europa. Il Comitato condivide la posizione della Commissione secondo cui le conoscenze specialistiche nel campo della radioprotezione e delle tecnologie nucleari sono fondamentali per l'UE e, pertanto, è necessario prestare attenzione all'istruzione, alla formazione e alla ricerca in questi settori. Competente in tal campo è in primo luogo la direzione degli impianti. »

Motivazione

Di moratoria non si può assolutamente parlare e la responsabilità per la formazione, e così via, è in primo luogo delle imprese e non dello Stato o della comunità di Stati.

Esito della votazione (la 1a parte è accettata; viene messa ai voti solo la 2a parte dell'emendamento)

Voti favorevoli: 45

Voti contrari: 71

Astensioni: 2

Punto 3.6.1

Inserire un nuovo punto 3.6.1 formulato come segue:

« Per quanto riguarda la disponibilità delle risorse di uranio, il Comitato rileva che ci sono delle differenze tra la comunicazione della Commissione e la sintesi dell'ultimo Red Book dell'AIEA, in cui si afferma testualmente che, stando alle attuali previsioni, la capacità di approvvigionamento di uranio naturale — tenuto conto di tutti i siti di produzione esistenti, decisi, pianificati e potenziali che sfruttano le riserve individuate — sarà sufficiente per coprire il fabbisogno mondiale di uranio stimato per il 2010, purché tutti i progetti di ampliamento delle miniere esistenti e di sfruttamento di nuovi giacimenti si svolgano secondo i piani e la produzione continui a pieno ritmo in tutti i siti. (…) Dato però che, soprattutto dopo il 2015, l'importanza delle fonti secondarie dovrebbe diminuire, sarà necessario coprire in misura crescente il fabbisogno dei reattori aumentando le capacità di produzione esistenti e creando nuovi centri di produzione, oppure utilizzando cicli di combustibile alternativi, due soluzioni costose che richiedono tempo. Per incitare a sfruttare per tempo le riserve individuate ritenute necessarie, a breve termine è indispensabile una domanda di uranio costantemente elevata. Considerati i lunghi tempi che occorrono per individuare e rendere accessibili nuove risorse (generalmente 10 anni o più), è possibile che vi siano delle difficoltà di approvvigionamento di uranio e che, di conseguenza, si verifichi un continuo aumento del prezzo dell'uranio, anche a causa dell'esaurimento delle fonti secondarie. Il Comitato auspica che la Commissione fornisca dei chiarimenti al riguardo. »

Motivazione

Le evidenti differenze andrebbero menzionate e non taciute.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 49

Voti contrari: 65

Astensioni: 5

Punto 4.1

Modificare come segue:

«Il Comitato accoglie con favore il prende atto del progetto del nuovo programma indicativo per il settore nucleare elaborato dalla Commissione. Il settore energetico è molto cambiato nei 10 anni trascorsi dalla pubblicazione dell'ultimo programma indicativo. In particolare, negli ultimi anni, nuovi e drammatici sviluppi hanno richiamato fortemente l'attenzione su tutti e tre gli aspetti della politica energetica, vale a dire la sicurezza dell'approvvigionamento, la competitività e i prezzi ragionevoli, e sull'ambiente, in particolare sul cambiamento climatico. L'UE ha reagito agli evidenti problemi e sfide formulando proposte in merito a una politica energetica europea. In questo contesto sono necessarie un'analisi e delle proposte relative all'energia nucleare che inquadrino l'energia nucleare nello scenario energetico globale e forniscano una parte delle le informazioni necessarie per la definizione di una politica energetica in Europa.»

Motivazione

La stessa relatrice scrive che non vengono trattati tutti gli aspetti (p. es. il terrorismo, ecc.).

Esito della votazione

Voti favorevoli: 50

Voti contrari: 69

Astensioni: 2

Punto 4.5

Modificare come segue:

«Questi nuovi investimenti, idealmente, dovrebbero rispondere agli obiettivi di sicurezza dell'approvvigionamento, competitività e lotta al cambiamento climatico. Considerate le caratteristiche e le potenzialità di altre forme di produzione di energia , il Comitato prende atto del dibattito in corso in alcuni stati membri sul prolungamento della c'è da attendersi che, da un lato, venga prolungata la durata di esercizio degli impianti nucleari esistenti e sulla realizzazione di , dall'altro, vengano effettuati nuovi investimenti. Su questo il Comitato è d'accordo con la Commissione.»

Motivazione

I proponenti non riescono a trovare in che punto della comunicazione la Commissione abbia affermato che «c'è da attendersi» che la durata di esercizio venga prolungata. È una pura speculazione.

Cfr. anche il punto 1.5, modificato nella riunione di sezione, in cui il Comitato prende atto dei piani di prolungamento dell'attività delle centrali.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 50

Voti contrari: 67

Astensioni: 6

Punto 4.6

Alla fine del testo aggiungere:

«Secondo la Commissione, all'attuale livello dei consumi le risorse di uranio sarebbero sufficienti per 85 anni. Altre fonti forniscono informazioni diverse al riguardo, che perlopiù variano da 85 a 500 anni. Considerato quanto è importante la disponibilità di combustibile per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, la Commissione dovrebbe fornire informazioni più dettagliate in merito alla disponibilità di combustibile nucleare. Al medesimo tempo, si ricorda che sulla questione della disponibilità delle risorse di uranio vi sono notevoli divergenze. »

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 55

Voti contrari: 68

Astensioni: 0

Punto 4.8

Modificare come segue:

«È quindi fondamentale tener conto del prezioso contributo che dà l'energia nucleare alla prevenzione della produzione di gas serra. Considerato l'attuale mix energetico, l'impiego dell'energia nucleare nell'UE consente di evitare l'immissione di circa 600 milioni di tonnellate di CO2 all'anno. A livello mondiale si evitano approssimativamente 2 miliardi di tonnellate di CO2, pari all'attuale volume complessivo di emissioni di CO2 di Francia, Germania e Regno Unito. Se i piani di abbandono progressivo del nucleare di alcuni Stati membri verranno mantenuti, gran parte delle attuali centrali nucleari europee andranno sostituite da con altre fonti energetiche che non producono emissioni, nonché con misure di efficienza energetica o di risparmio energetico. Inoltre, se le attuali centrali nucleari al termine del loro ciclo di vita non vengono sostituite da nuovi impianti, nel medio termine tutta l'energia di origine nucleare andrà sostituita con altri tipi di energia a emissioni zero e con misure di efficienza energetica e di risparmio energetico.»

Motivazione

La riflessione deve andare ben oltre e non può essere limitata alla sostituzione di un sistema di produzione energetica con un altro. Il CESE l'ha fatto notare più volte.

I proponenti desiderano fare un'ulteriore osservazione: la relatrice era stata pregata di dimostrare i dati relativi ai quantitativi di CO2 che si possono evitare, considerato che nel documento di lavoro si parlava di 300 milioni di tonnellate (con citazione della fonte). Purtroppo questo non è avvenuto!

Esito della votazione

Voti favorevoli: 61

Voti contrari: 61

Astensioni: 2

Punto 4.9

Alla fine del testo aggiungere:

«In seguito alla decisione del Consiglio europeo sugli obiettivi relativi ai gas a effetto serra per il 2020 e oltre, è evidente che tutta la capacità supplementare di produrre energia a bassa emissione di carbonio, indipendentemente dal fatto che si tratti di energie rinnovabili, energia nucleare o, potenzialmente, tecnologie pulite del carbone, dovrebbero sostituire la capacità di produrre mediante impianti che emettono CO2, contribuendo così ad aumentare la percentuale complessiva di elettricità a bassa emissione di carbonio. All'atto pratico, se non viene mantenuta almeno l'attuale quota di energia nucleare fino a quando non siano disponibili soluzioni energetiche totalmente nuove, non si riusciranno a realizzare gli obiettivi concernenti il cambiamento climatico ed altri aspetti di politica energetica in modo economicamente accettabile. D'altra parte, però, è ovvio che una quota crescente di energia nucleare, unita alle fonti rinnovabili, renderebbe più efficace, in termini di costi, la lotta contro il cambiamento climatico. Alcuni studi (per la Germania: studio della Cancelleria federale) dimostrano tuttavia che gli obiettivi climatici possono essere rispettati, il che presuppone però ulteriori sforzi sul piano del risparmio energetico, dell'efficienza e dell'impiego delle energie rinnovabili. »

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 58

Voti contrari: 65

Astensioni: 1

Punto 4.11.1

Inserire un nuovo punto:

« La Commissione afferma che “nell'Europa a 15 la responsabilità in caso d'incidente nucleare è disciplinata dalla convenzione di Parigi del 1960, che ha creato un sistema internazionale armonizzato di responsabilità in caso d'incidente nucleare, in base al quale la responsabilità degli esercenti in caso d'incidente nucleare è attualmente limitata a circa 700 milioni di USD”. Il CESE reputa che si tratti già di una sovvenzione indiretta dell'energia nucleare e chiede che gli operatori siano tenuti a farsi carico anche di tutti i danni potenziali mediante un'assicurazione adeguata. »

Motivazione

Nelle riunioni del gruppo di studio la relatrice ha sottolineato che «può e deve essere trovata una soluzione», ma dal testo questo non risulta chiaramente. L'obiettivo dell'emendamento è proprio di rimediarvi.

Si fa inoltre notare che, in Germania, le autovetture hanno una copertura assicurativa obbligatoria di 100 milioni di euro; le centrali nucleari, invece, sono assicurate per 700 milioni di dollari, un importo ridicolo rispetto ai danni potenziali!

Esito della votazione

Voti favorevoli: 41

Voti contrari: 44

Astensioni: 3

Punto 4.14

Sopprimere quanto segue:

«Il compito più impellente è quello di trovare una soluzione alla questione dei rifiuti radioattivi (e specialmente dello smaltimento definitivo del combustibile nucleare esaurito). , per la quale le tecnologie esistono, ma mancano le decisioni politiche. È una questione fondamentale che riguarda l'impatto sull'ambiente e sulla salute e l'accettazione del nucleare da parte dell'opinione pubblica. Il programma indicativo per il settore nucleare sottolinea che finora nessun paese ha attuato la soluzione definitiva proposta. Tuttavia, ci sono stati dei progressi in Finlandia, dove è stato scelto un sito di smaltimento, come pure in Svezia e in Francia, dove sono stati fatti grandi passi avanti nella selezione dei siti.»

Motivazione

Non esistono contesti in cui il problema abbia trovato una soluzione tecnologica.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 55

Voti contrari: 69

Astensioni: 4


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle Conferenze marittime — Convenzione delle Nazioni Unite

COM(2006) 869 def. — 2006/0308 (COD)

(2007/C 256/12)

Il Consiglio, in data 20 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Il 14 febbraio 2007 l'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 437a sessione plenaria dell'11 luglio 2007, ha nominato Anna BREDIMA-SAVOPOULOU relatrice generale e ha adottato il seguente parere con 86 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE conviene sulla proposta di abrogare il regolamento (CEE) n. 954/79, poiché è l'inevitabile conseguenza dell'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86, il quale prevede un'esenzione per categoria a favore delle conferenze marittime. Il CESE rileva peraltro che questi due regolamenti costituiscono un unico pacchetto legislativo.

1.2

Il regolamento (CEE) n. 954/79 riguarda l'adesione al «codice di comportamento dell'Unctad per le conferenze marittime», qui di seguito denominato «il codice Unctad sulle conferenze marittime» o «il codice», o la sua ratifica, da parte degli Stati membri dell'UE. È opportuno rammentare che questo codice è stato sottoscritto da 81 paesi, fra cui le nuove «locomotive» degli scambi mondiali: ossia Cina, India, Russia, e Brasile (BRIC), come anche Arabia Saudita, Australia, Canada, Giappone, Indonesia, Messico, Nigeria, e Singapore. È stato inoltre ratificato da 16 Stati membri dell'UE. Va ricordato inoltre che per il 60 % del valore complessivo dei traffici marittimi internazionali via mare vengono utilizzati servizi regolari, che per lo più si avvalgono di container. Di conseguenza l'abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79 (e del regolamento (CEE) n. 4056/86) avrà sicuramente ricadute non trascurabili.

1.3

Il CESE invita in particolare la Commissione a chiarire la posizione giuridica a livello internazionale in cui verranno a trovarsi le compagnie di trasporto marittimo di linea a seguito dell'abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79. In effetti, tenuto conto dell'importanza di una politica marittima integrata dell'UE per il ruolo della stessa Unione europea nel contesto dell'economia mondiale, e vista l'importanza dei trasporti marittimi, per gli scambi sia nell'UE sia a livello internazionale, il CESE ritiene che occorra procedere a questa abrogazione con una cautela del tutto particolare, nonché tenere in debito conto le sue ripercussioni, a livello tanto europeo quanto internazionale. Circa la proposta ora in esame, relativa all'abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79, il CESE ritiene che essa non prenda in considerazione due elementi di rilievo: (a) il rischio di una discriminazione fra le compagnie di trasporto marittimo di linea dell'Unione europea derivante da tale abrogazione, cosa che va evitata (conformemente all'articolo 12 del Trattato CE) e (b) la competitività delle compagnie interessate (incluse quelle che effettuano trasporti marittimi a corto raggio), che va salvaguardata (conformemente alla strategia riveduta di Lisbona).

1.4

In linea con i suoi precedenti pareri e con quelli del Parlamento europeo, il CESE esorta la Commissione ad occuparsi delle possibili conseguenze (di ordine politico, giuridico e pratico) dell'abrogazione dei regolamenti (CEE) n. 4056/86 e (CEE) n. 954/79, onde evitare eventuali ricadute negative per gli interessi degli operatori europei dei trasporti marittimi a livello internazionale.

1.5

Gli orientamenti destinati a illustrare le modalità di applicazione delle regole di concorrenza CE ai trasporti marittimi, e in particolare ai trasporti marittimi di linea, regole alle quali saranno assoggettati i servizi dei trasporti marittimi di linea dopo il divieto delle conferenze marittime da e verso l'UE a partire dal 18 ottobre 2008, consentiranno principalmente agli operatori dei trasporti di linea di compiere un'autovalutazione, alla luce delle regole di concorrenza CE, degli accordi da essi stipulati. Il CESE giudica quindi improbabile che tali orientamenti riguardino le conseguenze a livello internazionale, sotto il profilo politico, giuridico e pratico, dell'abrogazione dei regolamenti (CEE) n. 4056/86 e (CEE) n. 954/79. Per parte loro, nei loro precedenti pareri il CESE e il Parlamento europeo hanno però chiesto più volte alla Commissione di analizzare tali conseguenze e di tenerne conto, in avvenire, nella messa a punto di un nuovo sistema. Il CESE auspica quindi di essere consultato a tempo debito sulla proposta di orientamenti riguardanti l'applicazione delle regole di concorrenza ai trasporti marittimi e di avere l'opportunità di prendere posizione al riguardo.

1.6

Pur approvando l'abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79, il CESE non comprende l'urgenza di attuare il provvedimento senza aver preventivamente valutato le ripercussioni internazionali delle recenti politiche dell'Unione europea sui trasporti marittimi di linea e senza aver preso le necessarie disposizioni in proposito.

2.   Introduzione

2.1

Il trasporto marittimo di linea con container è vitale per l'economia europea. In termini di valore, i servizi regolari di trasporto di container rappresentano il 40 % circa del commercio estero marittimo dell'UE 25. I tre maggiori operatori a livello mondiale sono europei, e le rotte commerciali che collegano l'Asia e l'Europa, insieme a quelle fra l'Asia e gli USA, sono di gran lunga le più importanti (1). Inoltre, attualmente a livello mondiale esistono circa 150 conferenze marittime, 28 delle quali operano su rotte da e verso l'UE. Gli Stati membri in cui operano fornitori di servizi di trasporti di linea sono, tra gli altri, la Danimarca, la Germania, la Francia, l'Italia, il Regno Unito, i paesi del Baltico e Cipro. Stando agli ultimi dati disponibili (2), per il 60 % del valore complessivo dei traffici marittimi internazionali e il 25 % dei 5,9 miliardi di tonnellate trasportate via mare vengono utilizzati servizi regolari, tra i quali rientrano anche le conferenze marittime.

2.2

La proposta in esame mira ad abrogare il regolamento (CEE) n. 954/79 del Consiglio, del 15 maggio 1979, concernente la ratifica da parte degli Stati membri della convenzione delle Nazioni Unite relativa al codice di comportamento per le conferenze marittime o l'adesione di tali Stati alla convenzione. Questa proposta discende dall'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 del Consiglio che prevede un'esenzione per categoria a favore delle conferenze marittime a mente del regolamento (CE) n. 1419/2006 del Consiglio del 25 settembre 2006. Quest'ultimo modifica fra l'altro il regolamento (CE) n. 1/2003 estendendone il campo di applicazione al cabotaggio e ai servizi internazionali di trasporto con navi da carico non regolari.

2.3

La Convenzione delle Nazioni Unite relativa ad un codice di comportamento delle conferenze per la navigazione marittima di linea, adottata a Ginevra il 6 aprile 1974, è stata stilata sotto gli auspici della Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (Unctad) nell'intento di creare un quadro internazionale armonizzato per il funzionamento delle conferenze marittime. Il codice di comportamento dell'Unctad per le conferenze marittime è stato adottato per tener conto delle legittime aspirazioni dei paesi in via di sviluppo circa una più ampia partecipazione dei loro trasportatori ai trasporti merci di linea via mare ed è frutto di lunghi negoziati multilaterali fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo (3). Il criterio di suddivisione dei carichi che esso prevede fra trasportatori ai due punti estremi di un determinato tragitto e i trasportatori di paesi terzi è stata congegnata per arginare le tendenze protezionistiche. Con il regolamento (CEE) n. 954/79 si è cercato di rendere i meccanismi del codice di comportamento compatibili con i principi del Trattato CE.

2.4

Fra gli Stati membri che hanno ratificato o aderito al suddetto codice di comportamento delle conferenze della navigazione figurano: Belgio, Bulgaria, Repubblica ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia e Regno Unito. Vi ha pure aderito la Norvegia, che è membro del SEE.

2.5

Durante il dibatto sulla soppressione del sistema delle conferenze marittime nell'UE, il Parlamento europeo, in due relazioni (rispettivamente del 2005 e del 2006), ha fatto presente: «Poiché l'entrata in vigore del (…) regolamento [che abroga il regolamento (CEE) n. 4056/86] susciterà un conflitto giuridico in merito all'adesione di alcuni Stati membri al codice di comportamento Unctad per le conferenze di compagnie marittime di linea, si raccomanda che gli Stati membri si ritirino dal codice, anche se non possono essere obbligati a farlo. In vista di tale situazione deve essere attuata una procedura ben definita allo scopo di far fronte ai conflitti in materia di diritto internazionale che possano sorgere». … «La Commissione [dovrebbe presentare] al Parlamento europeo, insieme agli orientamenti, un quadro trasparente della posizione dei paesi terzi (Cina, USA, Canada, Giappone, Singapore e India) nei confronti della nuova politica UE sui servizi di trasporti marittimi di linea (accettazione, adeguamento, opposizione, effetti negativi, ecc.) e della volontà di tali paesi di adattare i propri sistemi)». (…) «La Commissione dovrebbe indagare approfonditamente in merito alle implicazioni commerciali e politiche [della] denuncia [del codice Unctad]. (4) La Commissione dovrebbe vagliare l'eventuale necessità di modificare o abrogare altri atti legislativi della CE, come il regolamento (CEE) n. 4055/86 del 22 dicembre 1986 che applica il principio di libertà di prestazione di servizi ai trasporti marittimi fra gli Stati membri e fra questi ultimi e i paesi terzi» (5). Inoltre, il Parlamento europeo «invita la Commissione a non procedere alla presentazione di una proposta di soppressione dell'articolo 2 del regolamento (CEE) n. 4056/86 (che prevede l'effettuazione di consultazioni in caso di conflitti tra il diritto comunitario e il diritto di paesi terzi), stante in particolare l'intenzione della Commissione di procedere alla revisione del diritto della concorrenza dei trasporti marittimi» (6). Tuttavia, contrariamente a quanto raccomandato dal Parlamento europeo, l'articolo 9 è stato interamente soppresso insieme al regolamento (CEE) n. 4056/86, e sembra non sia stata ancora compiuta la valutazione approfondita dell'impatto giuridico e politico dell'abrogazione del sistema delle conferenze marittime nell'Unione europea che il PE aveva richiesto.

2.6

Il Comitato ha anch'esso esaminato se fosse opportuno abrogare il regolamento (CEE) n. 4056/86 e ha formulato due pareri al riguardo, rispettivamente nel 2004 e nel 2006. Inoltre, nel 2006 il CESE si è riservato di prendere posizione solo dopo aver verificato se la proposta di abrogare il regolamento (CEE) n. 4056/86 avrebbe prodotto effetti sostenibili. In proposito ha rilevato: «Il sistema delle conferenze è ancora soggetto ad accordi multilaterali e bilaterali, dei quali gli Stati membri dell'UE e la Comunità sono parti», osservando quindi: «La Commissione riconosce che, per permettere di denunciare o rivedere questi accordi, sarebbe opportuno rinviare di due anni la data d'abrogazione delle seguenti disposizioni del regolamento (CEE) n. 4056/86: l'articolo 1, paragrafo 3, lettere b) e c), gli articoli da 3 a 8 e l'articolo 26». Ha quindi aggiunto: «Il Comitato reputa che la Commissione, nel quadro dell'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86, dovrebbe tener conto anche degli interessi delle piccole e medie imprese, che costituiscono il nerbo dell'economia dell'UE e svolgono un ruolo importante nel contesto della strategia riveduta di Lisbona. I mercati dovrebbero rimanere aperti alla concorrenza sia effettiva che potenziale, la quale comprende anche i trasportatori piccoli e medi». Infine, «Il Comitato ritiene che, sebbene il consolidamento (…) potrebbe avere effetti positivi per l'industria dell'UE (incrementi d'efficienza, economie di scala, risparmi sui costi), si imponga la massima cautela sia per evitare che esso si traduca in un numero inferiore di operatori nei mercati pertinenti, cioè, in una riduzione della concorrenza».

3.   La proposta della Commissione europea

3.1

Il regolamento in esame contiene solo due articoli: l'articolo 1 che abroga il regolamento (CEE) n. 954/79, e l'articolo 2, che riguarda l'entrata in vigore del nuovo regolamento, prevista per il 18 ottobre 2008.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

Il CESE ha seguito da vicino, per oltre due decenni, la situazione relativa alle regole di concorrenza nel settore dei trasporti marittimi, in particolare per quanto riguarda le conferenze marittime, e ha potuto constatare opinioni divergenti circa i vantaggi di un'eventuale soppressione dell'esenzione per categoria a favore di queste ultime. Rileva ad ogni modo che l'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 decisa con il regolamento (CEE) n. 1419/2006 comporta il divieto delle conferenze marittime da e per l'UE a partire dal 18 ottobre 2008.

4.2

Il regolamento (CEE) n. 4056/86 e il regolamento (CEE) n. 954/79 costituiscono un unico pacchetto legislativo. Il secondo regolamento, in particolare, è stato adottato a seguito della ratifica del codice Unctad sulle conferenze marittime da parte di alcuni Stati membri dell'UE, per cui l'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 ha comportato la necessità di abrogare anche il regolamento (CEE) n. 954/79. Di conseguenza, ora il CESE, che a suo tempo aveva espresso riserve circa l'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86, trovandosi poi costretto ad accettarla pur segnalandone le possibili ripercussioni, non può che approvare la proposta di abrogare il regolamento (CEE) n. 954/79 per semplificare la legislazione europea. Tuttavia, come già riguardo all'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86, il CESE ribadisce la necessità di prestare grande attenzione alle eventuali ripercussioni di ordine giuridico e/o politico (e agli effetti potenzialmente negativi) della proposta abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79. Detto ciò, il CESE osserva che la proposta sembra essere stata presentata, ancora una volta, senza valutare preventivamente i potenziali problemi politici, giuridici e pratici di tale abrogazione. Il CESE non discute la necessità di questo provvedimento, reso inevitabile dall'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86, ma ritiene, e desidera ribadire nuovamente, che l'Unione europea dovrebbe prestare la dovuta attenzione alle sue eventuali ricadute a livello politico, giuridico e pratico.

4.3

Il codice di comportamento Unctad e il concetto di «conferenze marittime» sono menzionati nell'acquis comunitario e in altri strumenti giuridici adottati dall'UE. Ad esempio, è alla base dei regolamenti (CEE) n. 4055/86 e (CEE) n. 4058/86 (7), come pure del regolamento (CE) n. 823/2000 su talune categorie di accordi, di decisioni e di pratiche concordate tra compagnie di trasporto marittimo di linea (consorzi). Il codice è inoltre menzionato in alcuni accordi bilaterali, come l'Accordo di cooperazione UE/Russia (articolo 39, paragrafo 1, lettera a)) e l'Accordo di associazione UE/Algeria del 2005 (articolo 34, paragrafo 3).

4.4

Al momento dell'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 la Commissione europea ha informato che pubblicherà opportuni orientamenti per illustrare le modalità di applicazione delle regole di concorrenza CE ai trasporti marittimi, e in particolare ai trasporti marittimi di linea. Detti orientamenti dovrebbero aiutare gli operatori di quest'ultimo settore, dopo il 18 ottobre 2008 (data alla quale «le conferenze sui trasporti marittimi di linea diverranno illegali se vertenti sugli scambi commerciali da e verso porti comunitari»), a compiere un'autovalutazione degli accordi stipulati alla luce delle regole di concorrenza UE (segnatamente gli articoli 81 e 82 del Trattato). Resta però da vedere se questi orientamenti offriranno soluzioni a eventuali problemi giuridici a livello internazionale originati dall'abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79. Al momento il CESE suppone che essi avranno un carattere assai generale, e non potranno quindi offrire quella certezza giuridica necessaria al settore dei trasporti marittimi per compiere un'autovalutazione. Apparentemente, inoltre, essi non contempleranno le implicazioni a livello internazionale dell'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 o del regolamento (CEE) n. 954/79. Il CESE auspica pertanto di essere consultato al momento opportuno, in modo da poter seguire da vicino gli sviluppi in proposito e, se del caso, offrire le proprie competenze ed esperienza per la definizione degli orientamenti definitivi.

4.5

Secondo il CESE, ciò che conta è accertare se la proposta abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79 comporti anche l'obbligo giuridico di denunciare il codice Unctad sulle conferenze marittime. Il Comitato constata che nella relazione che precede la proposta volta ad abrogare il regolamento (CEE) n. 954/79 la Commissione europea non esamina questo problema. Tuttavia, sembra chiaro che, secondo la Commissione, gli Stati membri che hanno sottoscritto il codice non sarebbero giuridicamente tenuti a denunciarlo. In questo caso, il quadro giuridico che si presenterebbe dopo l'abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79 è il seguente: gli Stati membri non sarebbero tenuti a denunciare il codice ma non potrebbero più applicarlo agli scambi commerciali da e verso l'UE, mentre esso continuerebbe ad essere applicabile ad altri continenti. Al tempo stesso, dopo il 18 ottobre 2008 gli Stati membri dell'UE che non abbiano ancora ratificato il codice non potranno più farlo, come spiegato nel 5o considerando della proposta di regolamento che abroga il regolamento (CEE) n. 954/79 e nel relativo capoverso della relazione che precede la medesima proposta. Di conseguenza, uno Stato membro che non abbia ancora sottoscritto il codice Unctad sulle conferenze marittime, ma voglia ora aderirvi per salvaguardare gli interessi dei suoi trasportatori nei trasporti marittimi di linea utilizzati per gli scambi commerciali al di fuori dell'UE, non potrà più farlo.

4.6

Detto ciò, dopo il 18 ottobre 2008 potrebbe profilarsi il seguente paradosso giuridico: i trasportatori degli Stati membri che abbiano sottoscritto il codice Unctad e non lo denuncino potrebbero continuare comunque a beneficiare delle sue disposizioni per quanto concerne i diritti delle compagnie terze (cross-trader), come previsto all'articolo 2, paragrafo 4, lettere a) e b), del codice e nella relativa risoluzione n. 2. D'altro canto, i trasportatori degli Stati membri che non abbiano sottoscritto il codice e non possano più ratificarlo o aderirvi dopo il 18 ottobre 2008 non beneficiano delle sue disposizioni. Ciò suscita delle riserve. È infatti lecito chiedersi se sia possibile adottare una proposta comportante una discriminazione fra i trasportatori dell'UE, in violazione dell'articolo 12 del Trattato CE. Inoltre, una tale situazione rischia di ripercuotersi negativamente sulla competitività delle imprese dell'UE a livello europeo e/o mondiale, e di essere quindi incompatibile con la strategia riveduta di Lisbona. Questa situazione non sottolineerebbe forse la necessità di un approccio orizzontale delle politiche UE, segnatamente quelle in materia di trasporti e concorrenza, per quanto riguarda i trasporti marittimi, come previsto nel Libro verde Verso la futura politica marittima dell'Unione: oceani e mari nella visione europea?

4.7

Il CESE esorta vivamente l'UE a non sottovalutare le implicazioni internazionali di un'eventuale abrogazione del sistema delle conferenze marittime e rileva che altri ordinamenti giuridici mantengono per ora sistemi di deroga alle disposizioni sulle intese. Alcuni paesi terzi hanno espresso preoccupazione per l'abrogazione del sistema delle conferenze marittime nell'UE. Al riguardo si può citare una recente dichiarazione rilasciata dall'Asian Shipowners' Forum (ASF: Forum degli armatori asiatici), a Busan (Corea), il 29 maggio 2007:

«I nostri aderenti hanno preso atto dei recenti sviluppi in Australia, in Cina, a Hong Kong, in Giappone e a Singapore, ma hanno anche preso nota con preoccupazione della decisione dell'UE di abolire l'esenzione per categoria concessa alle conferenze marittime. I delegati hanno ribadito la posizione tradizionale dell'ASF, cioè che il sistema di esenzione dalla normativa antitrust è indispensabile per la solidità del settore dei trasporti marittimi e per incoraggiare gli investimenti necessari a far fronte alle esigenze crescenti degli scambi internazionali, facendo notare che questo sistema arreca vantaggi all'intero settore commerciale. Si è convenuto che i trasportatori dovranno adoperarsi costantemente per far presente alle altre parti interessate, come i caricatori e i governi, l'importanza del ruolo svolto dai trasportatori a favore delle attività commerciali. L'ASF ha rilevato che le proprie associazioni aderenti (in particolare la KSA, la JSA e la SSA) si sono rivolte per iscritto alla Commissione europea e agli organi competenti per esprimere la loro opposizione all'abrogazione del sistema di esenzione dalla normativa antitrust. Inoltre, la Commissione europea ha risposto alla KSA informandola che intende sì abrogare il regolamento n. 4056/86, ma anche preparare un'alternativa lasciando invariato il regolamento sui consorzi, il quale costituisce uno dei due pilastri del sistema di esenzione alla normativa antitrust». Il CESE prende nota della posizione dell'Asian Shipowners' Forum come prova della necessità di valutare, o perlomeno tenere nel debito conto, l'impatto della soppressione del sistema delle conferenze marittime sia a livello internazionale sia per un'economia globalizzata, ciò che è peraltro conforme a quanto più volte auspicato dallo stesso CESE e dal Parlamento europeo.

4.8

Detto ciò, il CESE è fermamente convinto che l'attuale problema non possa essere considerato unicamente nell'ottica delle regole di concorrenza. Non vanno infatti nemmeno sottovalutate le incidenze che un'eventuale soppressione, nell'UE, del sistema delle conferenze marittime avrà sotto il profilo politico della politica dei trasporti marittimi. Di conseguenza il CESE non comprende la fretta della Commissione di sopprimere il sistema delle conferenze marittime, e quindi anche il regolamento (CEE) n. 954/79, visto che non sono state esaminate adeguatamente le ricadute a livello internazionale della politica dell'UE sulle regole di concorrenza per i trasporti marittimi, in particolare riguardo alla soppressione del sistema delle conferenze marittime, malgrado le numerose richieste in tal senso, anche da parte del CESE.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Circa l'attuale situazione relativa alle ratifiche del codice di comportamento Unctad sulle conferenze marittime, il CESE rileva che la relazione che precede la proposta della Commissione recante abrogazione del regolamento (CEE) n. 954/79 menziona tredici Stati membri della Comunità come «contraenti del codice»: in realtà, però, con la ratifica del codice da parte di Romania, Bulgaria e Malta, i contraenti sono diventati sedici.

Il regolamento (CEE) n. 954/79 prevedeva talune disposizioni per salvaguardare, fra l'altro, gli interessi delle compagnie terze (cross-trader). Ora come ora, la proposta di abrogare detto regolamento non prevede alcuna misura di salvaguardia. Al riguardo non si devono sottovalutare gli interessi delle compagnie di navigazione dell'UE che forniscono servizi di trasporto fra altri continenti (dove viene applicato il codice di comportamento Unctad). È altresì opportuno rammentare che questo codice è stato sottoscritto da 81 paesi, fra cui le nuove «locomotive» degli scambi mondiali: ossia Cina, India, Russia, e Brasile (BRIC), come anche Arabia Saudita, Australia, Canada, Giappone, Indonesia, Messico, Nigeria, e Singapore.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Rapporto finale di «Global Insight» intitolato The Application of Competition Rules to Liner Shipping, ottobre 2005.

(2)  Unctad — 2003, Clarksons — 2003.

(3)  GU C 157 del 28.6.2005.

(4)  Relazione del Parlamento europeo A6-0217/2006 del 22.6.2006.

(5)  GU L 378 del 31.12.1986, pag. 1.

(6)  Relazione del Parlamento europeo A6-0314/2005 del 24.10.2005.

(7)  Il regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986 («che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi») si basa sul codice di comportamento dell'Unctad sulle conferenze marittime. All'articolo 4, paragrafo 1, lettere a) e b), con il riferimento al suddetto codice esso prevede il superamento degli accordi in vigore per la ripartizione dei carichi nel traffico di merci. Il regolamento (CEE) n. 4058/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986 («concernente un'azione coordinata intesa a salvaguardare il libero accesso ai trasporti marittimi nei traffici transoceanici») si basa sul medesimo codice. All'articolo 1 prevede l'applicazione di un'apposita procedura a seconda che si tratti di trasporti di linea su traffici contemplati o non contemplati dal codice. Entrambi i regolamenti sono pubblicati sulla GU L 378 del 31.12.1986, pag. 4. e pag. 21.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Identificazione a radiofrequenza (RFID)

(2007/C 256/13)

Con lettera del 26 febbraio 2007 la Commissione europea, a norma dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere su: Identificazione a radiofrequenza (RFID).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore MORGAN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'identificazione a radiofrequenza (RFID, Radio Frequency Identification) è una tecnologia particolarmente utile che, con il tempo, è destinata ad acquisire grande importanza. Le sue applicazioni attuali e future sono potenzialmente in grado di migliorare nettamente una vasta gamma di processi economici, sia nel settore pubblico che in quello privato, e di apportare vantaggi significativi sia ai privati che alle imprese. Potrebbe inoltre stimolare in modo massiccio lo sviluppo delle applicazioni Internet, rendendo così possibile ciò che un'agenzia dell'ONU ha definito «l'Internet degli oggetti». In mancanza di controlli estremamente incisivi, però, la RFID comporta il rischio di violare il diritto alla riservatezza, annullare le libertà civili e minacciare la sicurezza di soggetti privati e imprese.

1.2

Su questo tema la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione, il cui titolo completo è L'identificazione a radiofrequenza (RFID) in Europa: verso un quadro politico  (1), che ha preso l'avvio da un'ampia consultazione promossa dalla stessa Commissione. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è ora invitato a emettere un parere esplorativo. Alla fine dell'anno, sulla base delle reazioni alla suddetta comunicazione, la Commissione rivolgerà una raccomandazione agli Stati membri. Eventuali atti legislativi, che richiederebbero tempi più lunghi, verrebbero solo in seguito. Di conseguenza, il presente parere dovrebbe concentrarsi sul contenuto dell'imminente raccomandazione.

1.3

La Commissione ha deciso di costituire un gruppo di parti interessate, con funzione di cassa di risonanza, che la assista nel formulare la raccomandazione. Il CESE sarebbe lieto se gli fosse data l'opportunità di presentare il proprio parere a tale gruppo.

1.4

Il CESE sottoscrive le azioni proposte dalla Commissione per quanto riguarda lo spettro radio, le norme tecniche, la salute, la sicurezza e l'ambiente. Sottolinea però che va urgentemente predisposto un efficace contributo dell'industria al forum sulla normalizzazione.

1.5

È ragionevole supporre che la Commissione, la quale prevede di pubblicare la sua raccomandazione agli Stati membri a fine anno, accetti così come sono le attuali infrastrutture a tutela della sicurezza e della riservatezza dei dati. In particolare, ciò indicherebbe che le autorità di protezione dei dati già istituite nei singoli Stati membri diverrebbero competenti per i problemi di questo tipo, che sono proprio quelli al centro del presente parere.

1.6

La RFID comporta gravi rischi per la tutela della vita privata e delle libertà civili:

le etichette RFID possono essere inserite in oggetti e documenti, o applicate sulla loro superficie, all'insaputa di chi ne entra in possesso; poiché le onde radio passano facilmente e silenziosamente attraverso tessuti, plastica e altri materiali, è possibile leggere etichette cucite all'interno di capi di abbigliamento o applicate ad oggetti contenuti in borsette, buste della spesa, valigie e così via,

il Codice prodotto elettronico (EPC) potrebbe permettere di assegnare a ogni oggetto esistente un identificativo univoco, con la conseguente possibilità di creare un sistema planetario di registrazione degli articoli in cui ogni oggetto fisico verrebbe identificato e associato al suo acquirente o proprietario nel punto in cui avviene la vendita o la cessione,

l'impiego generalizzato della tecnologia RFID richiede la creazione di enormi banche dati contenenti i dati univoci di ogni etichetta. Queste registrazioni potrebbero essere associate a dati personali identificativi, soprattutto con la progressiva espansione delle capacità di memoria e di elaborazione dei computer,

le etichette possono essere lette a distanza, anche al di fuori della visuale, da lettori che è possibile sistemare in modo invisibile in quasi tutti i luoghi di aggregazione: possono essere infatti incastrati in piastrelle di pavimentazione, intessuti in un tappeto o occultati nell'apertura di una porta o in uno scaffale, cosa che rende virtualmente impossibile accorgersi che si è sottoposti a scansione,

una persona la cui identità sia stata associata al numero univoco di un'etichetta RFID potrà essere seguita, o «profilata» in funzione delle sue abitudini, a sua insaputa e senza il suo consenso,

è ipotizzabile un mondo in cui i lettori RFID costituiscano una rete planetaria pervasiva che non richiederebbe nemmeno l'installazione di lettori ovunque. Per esempio, a Londra le autorità preposte alla riscossione della tassa di congestione sono in grado di seguire i movimenti di tutti gli autoveicoli che entrano in centro grazie a un numero relativamente ridotto di telecamere collocate in posizioni strategiche. Allo stesso modo, sarebbe possibile costruire una rete di lettori di etichette sistemati in posizioni strategiche. Non si deve permettere, però, che ciò accada.

1.7

Come conseguenza dei rischi ora illustrati:

gli utenti RFID devono rendere pubbliche le politiche e le pratiche seguite; non dovrebbero esistere banche dati segrete contenenti dati personali,

i privati hanno il diritto di essere informati se un articolo venduto al dettaglio contiene un'etichetta o un lettore RFID. Qualsiasi operazione di lettura d'etichetta che abbia luogo in un esercizio al dettaglio deve essere compiuta in maniera trasparente per tutti gli interessati,

gli utenti RFID devono dare preventiva comunicazione degli scopi cui saranno adibiti lettori ed etichette; la raccolta di informazioni dovrebbe essere limitata a quanto è necessario allo scopo contingente,

gli utenti RFID sono responsabili per l'applicazione della tecnologia e sono tenuti a operare entro i limiti delle leggi e delle linee guida vigenti in materia di protezione dei dati. Sono responsabili, inoltre, per la sicurezza e l'integrità del sistema e della sua banca dati.

1.8

Non è però ancora chiaro in quale modo questi principi andrebbero messi in pratica. Idealmente un'impresa impegnata in un'attività «dall'impresa al consumatore», come il commercio al dettaglio, l'emissione di biglietti, il controllo degli accessi o i servizi di trasporto, dovrebbe sempre fornire ai clienti una qualche garanzia che questi principi saranno rispettati, una specie di «carta del consumatore». Idealmente questa carta potrebbe contenere tutti i principi di buona pratica in materia di protezione dei dati elencati nel punto 4.5. Il CESE propone inoltre le seguenti linee guida:

a)

dovrebbe essere vietato ai commercianti costringere in qualsiasi modo i clienti ad accettare la presenza di etichette attivate o disattivate nei prodotti che acquistano; tra le possibili soluzioni vi sono l'apposizione delle etichette sull'imballaggio o l'utilizzo di etichette staccabili analoghe a quelle per l'indicazione del prezzo;

b)

i clienti dovrebbero avere la facoltà di staccare o disattivare qualsiasi etichetta apposta su articoli in loro possesso;

c)

in linea di principio, la tecnologia RFID non dovrebbe essere usata per seguire gli spostamenti delle persone. La localizzazione continua di persone, per es. attraverso capi di abbigliamento, merci, biglietti o altro, è un'operazione impropria;

d)

la RFID non dovrebbe mai essere usata in modo tale da rischiare di eliminare o ridurre l'anonimato;

e)

l'autorità competente dovrebbe precisare quali situazioni del tipo c) e d) saranno ammesse, solo in circostanze eccezionali e previa notifica formale all'autorità stessa.

1.9

Eccezioni a queste linee guida possono essere contemplate quando si tratti di:

privati che, per convenienza personale, scelgono di mantenere attive le etichette,

privati che acconsentono alla localizzazione continua all'interno di un ambiente critico, come un'organizzazione o istituzione di massima sicurezza pubblica o privata,

privati che scelgono di usare applicazioni che consentano di localizzarli e identificarli allo stesso modo in cui sono già localizzati e identificati dall'uso di telefoni cellulari, tessere bancomat, indirizzi Internet, ecc.

Ogni eccezione di questo tipo andrebbe notificata all'autorità competente.

1.10

La RFID non è una tecnologia matura, quindi il suo pieno potenziale non è ancora stato compreso. Da un lato potrebbe apportare benefici inimmaginabili alla nostra civiltà tecnologica, ma dall'altro potrebbe rivelarsi una minaccia tecnologica senza precedenti per la riservatezza e la libertà. Il CESE è convinto che le applicazioni RFID andrebbero sviluppate in base a un severo codice etico a tutela della vita privata, della libertà e della sicurezza dei dati ma che, in presenza delle necessarie garanzie, il loro sviluppo debba proseguire.

1.11

In conclusione, l'impiego di applicazioni RFID, laddove è autorizzato, dovrebbe essere assolutamente trasparente per tutte le parti interessate. Le applicazioni dirette a migliorare la movimentazione delle merci sono generalmente accettabili. Quelle che comportano l'etichettatura di persone sono generalmente inaccettabili salvo in ambienti transitori. Quelle che associano persone e merci potrebbero essere accettabili a fini di marketing. Infine, quelle che consentono di identificare persone attraverso le merci acquistate sono di norma inaccettabili. Determinate applicazioni, peraltro, non sono compatibili con una società libera e pertanto non dovrebbero mai essere autorizzate. L'assoluta necessità di salvaguardare la vita privata e l'anonimato dovrà essere al centro della raccomandazione che la Commissione rivolgerà agli Stati membri.

2.   Che cos'è la RFID e perché è importante

2.1

L'identificazione a radiofrequenza (RFID) è una tecnologia che permette l'identificazione automatica e la cattura di dati attraverso le frequenze radio. È caratterizzata soprattutto dal fatto che, per mezzo di un'etichetta elettronica, consente di associare un identificativo univoco e altre informazioni a qualsiasi oggetto, animale o addirittura persona, e di leggere queste informazioni mediante un dispositivo senza fili.

2.2

L'etichetta stessa è composta da un circuito elettronico che serve a memorizzare i dati e da un'antenna che serve a trasmetterli via radio. Il lettore RFID la interroga per ottenere le informazioni memorizzate al suo interno. Trasmettendo onde radio, il lettore entra in comunicazione con tutte le etichette comprese nel suo raggio d'azione. Per gestire il lettore e per raccogliere e filtrare le informazioni è necessario un apposito software.

2.3

Sono disponibili sistemi RFID di diversi tipi. Le etichette impiegate possono essere attive o passive. Le etichette attive, che contengono una batteria a bordo che aziona i circuiti interni e genera le onde radio, possono trasmettere anche in assenza di lettori RFID. Le etichette passive, invece, essendo alimentate dall'energia delle onde radio trasmesse dal lettore, non hanno un'alimentazione elettrica propria. Le etichette, inoltre, possono essere read-only (sola lettura) o read-write (lettura e scrittura). La maggior parte delle applicazioni correnti impiega etichette read-only, la cui produzione è meno costosa.

2.4

Il raggio d'azione di un sistema RFID dipende dalla frequenza radio, dalla potenza del lettore e dal materiale che si trova tra quest'ultimo e l'etichetta. Nei sistemi passivi non può superare qualche metro, ma in quelli attivi può anche essere superiore a cento metri.

2.5

Nella scala gerarchica delle tecnologie senza fili la RFID occupa il gradino più basso. Se si adotta il parametro della distanza percorribile dal segnale, si classificano al primo posto i sistemi di telecomunicazione satellitare come il GPS. Seguono le tecnologie di telefonia cellulare wide-area come GSM e GPRS, i segnali a raggio più corto, limitato a un immobile, come WI-FI, poi le reti personali come Bluetooth e infine la RFID. Ciascuna di queste tecnologie è distinta e autonoma cosicché, per esempio, non esiste il rischio che un'etichetta RFID possa essere letta da un sistema satellitare. È tuttavia possibile trasferire dati tra i diversi sistemi per mezzo di dispositivi quali i telefoni cellulari.

2.6

Alcuni esempi dei potenziali vantaggi offerti dalla tecnologia RFID sono i seguenti:

nel caso dei privati, potrà accrescere la sicurezza (ad es. sicurezza degli alimenti, servizi sanitari, anticontraffazione), la comodità (attese ridotte alle casse dei supermercati, miglioramento della movimentazione dei bagagli in aeroporto, pagamenti automatizzati) e la qualità delle cure, specie nel caso di pazienti affetti da patologie croniche come la demenza,

nel settore dei trasporti, si prevede che possa migliorare l'efficienza, la sicurezza e la qualità dei servizi nel comparto passeggeri e nel comparto merci,

nel settore sanitario, la RFID è potenzialmente in grado di accrescere la qualità delle cure e la sicurezza dei pazienti e anche di migliorare il rispetto delle prescrizioni terapeutiche e gli aspetti logistici; si sta lavorando alla possibilità di inserire etichette RFID nelle singole compresse,

nel commercio al dettaglio, potrebbe concorrere a limitare l'azzeramento delle scorte, la consistenza del magazzino e i furti,

nei molti settori in cui imperversa la contraffazione, l'impiego della RFID potrebbe aiutare a individuare il punto in cui la merce contraffatta entra nella catena di fornitura,

l'etichettatura RFID, infine, potrebbe aiutare a migliorare lo smistamento e il riciclaggio dei componenti e dei materiali di un prodotto, con esiti positivi per la gestione dei rifiuti e per lo sviluppo sostenibile.

2.7

Molti aspetti dell'impiego della tecnologia RFID possono essere chiariti mediante la sua applicazione al ciclo di vita del libro. Il solo numero di libri in circolazione rappresenta un incubo logistico per editori, distributori, biblioteche e librerie. Logistica della catena di fornitura a parte, vi è la necessità di seguire i movimenti dei libri una volta che sono arrivati sugli scaffali, in modo da poterli localizzare e sostituire. Oltretutto le biblioteche hanno bisogno di poter controllare il ciclo del prestito, mentre gli acquirenti potrebbero far fatica a seguire la situazione dei loro libri. Dotando i libri di etichette RFID si risolvono tutti questi problemi. Un sistema analogo a quello utilizzato per il controllo dei libri prestati da una biblioteca potrà essere applicato ad altre fattispecie in cui degli articoli vengano riciclati o noleggiati.

2.8

Per illustrare il tipo di rischi inerenti a questa tecnologia, il CESE presenta di seguito il sommario di una richiesta di brevetto dell'IBM, la numero 20020615758 del novembre 2002. Riguarda l'identificazione e la localizzazione continua di persone tramite articoli muniti di etichette RFID.

«Un metodo/sistema che consente di identificare e localizzare continuamente le persone che portano o indossano articoli muniti di etichette RFID. Un terminale del punto vendita tiene un registro degli acquisti precedenti per ogni persona che acquista in un dato esercizio e lo conserva in una banca dati delle operazioni. Ogni volta che una persona che porta o indossa articoli muniti di etichette RFID entra in quell'esercizio o in un altro spazio designato, l'apposito scanner che vi è stato collocato le scansiona e legge le informazioni che contengono. Le informazioni ottenute dalle etichette vengono correlate ai registri delle operazioni conservati nella banca dati sulla base di algoritmi di correlazione noti. I risultati della correlazione consentono di determinare l'identità esatta della persona o certe sue caratteristiche. Queste informazioni sono poi usate per controllare i suoi movimenti all'interno del negozio o di altri spazi.»

La richiesta di brevetto numero 20050038718 dell'American Express segue la stessa falsariga.

2.9

È chiaro che la RFID è molto più di un semplice codice a barre elettronico. Nel caso del sommario riportato, le differenze principali sono le seguenti:

a)

l'etichetta non contiene solo una descrizione dell'articolo, ma anche il suo identificativo caratterizzante che, a sua volta, consente di individuarne l'acquirente;

b)

l'etichetta non deve necessariamente assumere la forma di un microchip; i circuiti possono essere stampati direttamente sulla maggior parte dei materiali, per esempio capi di abbigliamento;

c)

dopo la vendita l'etichetta può rimanere attivata, in modo da poter essere continuamente riletta;

d)

i lettori di etichette non sono limitati ai punti vendita ma possono trovarsi ovunque, anche all'esterno dei locali dell'esercente;

e)

la correlazione tramite banca dati aggiunge nuove dimensioni alla raccolta, alla riservatezza e alla sicurezza dei dati.

2.10

L'opportunità che le etichette rimangano attivate fuori dall'ambito dell'esercizio commerciale è oggetto di dibattito. Da un lato ciò rappresenta una minaccia per la tutela della vita privata, ma dall'altro potrebbe essere utile all'acquirente. Ad esempio, la possibilità di usare lettori RFID in casa propria potrebbe aiutare ad organizzare meglio la cantina del vino, frigoriferi, armadi e librerie. Come è logico, quindi, la scelta dovrebbe essere del singolo, ma sarebbero la tecnologia e l'applicazione a consentirgli di scegliere.

2.11

Le applicazioni della tecnologia RFID vanno ben al di là dell'identificazione dei prodotti nel commercio al dettaglio. Per esempio, la chiave-carta d'identità dei membri del CESE è un dispositivo RFID. Il sistema della metropolitana di Londra fa un ampio uso di schede RFID per il pagamento e l'accesso ai servizi. Le carte di credito saranno presto dotate di un dispositivo RFID che consentirà di trattare operazioni di importo limitato senza usare il codice. Le placche RFID sono impiegate negli applicativi che calcolano il pedaggio stradale e identificano i conducenti. In alcune stazioni sciistiche europee l'accesso agli skilift è controllato mediante una placca RFID che gli sciatori portano in tasca. Il relatore del presente parere porta con sé ogni giorno tre schede RFID e una placca RFID. Il suo cane è identificato da un chip RFID sottocutaneo. I chip di questo tipo sono usati sempre più diffusamente in tutto il mondo sugli animali per assicurare la tracciabilità nella catena alimentare. Da qui all'etichettare delinquenti e pazienti problematici come fossero cani il passo potrebbe essere breve.

2.12

La carta d'identità in uso al CESE è un'applicazione RFID innocua. L'identità rappresenta però una sfida ben più rilevante quando le etichette RFID sono incorporate in divise e abiti da lavoro, in modo da consentire di seguire in continuazione gli spostamenti delle persone che li indossano mediante scanner collocati in tutti i punti chiave dello spazio interessato. Bisogna però ammettere che in alcuni casi ciò può essere auspicabile, per es. a fini di sicurezza. Ad ogni modo, in assenza di garanzie idonee, seguire gli spostamenti di una persona sarebbe una grave ingerenza nella sua vita privata e renderebbe necessari una solida motivazione e controlli molto attenti.

2.13

Un singolare caso riportato dal periodico The Economist lascia presagire le applicazioni future: il club Baja Beach di Barcellona, anziché rilasciare un biglietto d'ingresso nel settore VIP, impianta nel braccio dei suoi clienti un microchip. Appena più grosso di un chicco di riso e rivestito di vetro e silicone, serve a identificarli quando entrano e quando pagano consumazioni, dopo essere stato iniettato da un infermiere in anestesia locale. Si tratta in sostanza di un'etichetta RFID.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione

3.1

La tecnologia RFID può essere oggetto di una politica perché può diventare un nuovo motore di crescita e occupazione e contribuire così in larga misura agli obiettivi di Lisbona, purché si riesca a rimuovere gli ostacoli all'innovazione.

3.2

La consultazione pubblica che la Commissione ha condotto in merito nel 2006 ha evidenziato le aspettative suscitate dai risultati ottenuti dai primi utilizzatori di questa tecnologia, ma allo stesso tempo ha messo in luce i timori dei cittadini per le applicazioni RFID che comportano l'identificazione e/o la localizzazione continua di persone.

3.3

Un ulteriore sviluppo e un impiego su vasta scala di questa tecnologia potrebbero rafforzare ulteriormente il ruolo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nello stimolo all'innovazione e nella promozione della crescita economica.

3.4

Per favorirne l'accettazione occorre però un quadro chiaro e prevedibile per la disciplina e la politica in materia. Trattandosi di una tecnologia intrinsecamente transnazionale, è opportuno che tale quadro ne assicuri un impiego coerente nell'ambito del mercato interno.

3.5   Sicurezza, etica e tutela della vita privata

3.5.1

Vi sono seri motivi di temere che questa tecnologia così pervasiva e abilitante possa compromettere la tutela della vita privata: infatti potrebbe essere impiegata per raccogliere informazioni direttamente o indirettamente collegate a una persona identificabile o identificata, che pertanto vanno considerate «dati personali»; è possibile che le etichette RFID contengano dati personali; la tecnologia potrebbe essere usata per seguire o ricostruire gli spostamenti di una persona o per determinarne il profilo comportamentale. Insomma, la RFID è una tecnologia potenzialmente invadente. Sono stati espressi timori per le eventuali violazioni dei valori fondamentali e del diritto alla vita privata e per il fatto che un inasprimento della sorveglianza, soprattutto sul luogo di lavoro, rischierebbe di determinare forme di discriminazione, esclusione, vittimizzazione e addirittura licenziamenti.

3.5.2

È chiaro, perciò, che l'applicazione della tecnologia dovrà essere accettabile dal punto di vista sociale e politico, ammissibile dal punto di vista etico e autorizzabile dal punto di vista giuridico. La RFID sarà in grado di apportare all'economia e alla società i numerosi benefici che promette solo se saranno costituite efficaci garanzie riguardo alla protezione dei dati, alla tutela della vita privata e ai connessi aspetti etici che sono al centro del dibattito sulla sua accettazione da parte della società.

3.5.3

Il quadro legislativo comunitario sulla protezione dei dati e della vita privata in Europa è stato concepito in modo da poter reggere le sfide dell'innovazione. La tutela dei dati personali è assicurata dalla direttiva generale sulla protezione dei dati (2), che si applica a tutte le tecnologie, RFID compresa. Questa direttiva è completata da quella relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche (3). Ai sensi delle direttive citate, spetterà alle autorità pubbliche nazionali garantire che l'introduzione delle applicazioni RFID avvenga nel rispetto delle normative sulla protezione dei dati e della vita privata. Potrebbe pertanto essere necessario impartire istruzioni dettagliate sulle modalità pratiche di impiego delle applicazioni RFID e redigere appositi codici di condotta.

3.5.4

Per quanto riguarda la sicurezza, le imprese del settore, gli Stati membri e la Commissione uniranno i loro sforzi per comprendere meglio le problematiche di sistema e i relativi rischi per la sicurezza potenzialmente legati a un'introduzione massiccia di tecnologie e sistemi RFID. Per rispondere alle sfide di cui sopra sarà fra l'altro importante definire e adottare criteri di progettazione che evitino i rischi per la vita privata e la sicurezza, non solo a livello tecnologico ma anche a livello organizzativo e dei processi aziendali. È per questo che, prima di scegliere un sistema RFID e di utilizzare applicazioni RFID su vasta scala, vanno studiati attentamente i costi e i benefici legati ai rischi specifici per la sicurezza e la vita privata.

3.5.5

Sono motivo di preoccupazione la trasparenza e la neutralità delle banche dati in cui saranno registrati gli identificativi univoci su cui si basa il sistema RFID, lo stoccaggio e il trattamento dei dati raccolti e il loro utilizzo da parte di terzi. Sono questioni importanti se si considera che la RFID darà vita a una nuova fase di sviluppo di Internet, che finirà per collegare tra loro miliardi di dispositivi intelligenti e sensori sofisticati, inserendoli in un'infrastruttura di comunicazione mondiale in rete. Questa nuova fase di sviluppo di Internet è la cosiddetta «Internet degli oggetti».

3.5.6

In questa «Internet degli oggetti» il sistema per la registrazione e la denominazione delle identità dovrebbe essere protetto da guasti o utilizzi indebiti che potrebbero provocare gravi danni. Non dovrebbe finire in mano a individui mossi da interessi particolari, che potrebbero utilizzare i sistemi e le banche dati per i propri fini. Le prescrizioni in materia di sicurezza, etica e tutela della vita privata andrebbero rispettate a beneficio di tutti i soggetti interessati, che si tratti di singoli oppure di imprese i cui processi aziendali basati su questa tecnologia interessano informazioni commerciali riservate.

3.5.7

In fase di progettazione va tenuto conto sia delle esigenze delle parti attivamente coinvolte nella configurazione del sistema informativo RFID (ad esempio associazioni di imprese, pubbliche amministrazioni, ospedali), sia delle esigenze degli utenti finali che saranno assoggettati al sistema (cittadini, consumatori, pazienti, dipendenti). Dato che in genere gli utenti finali non sono coinvolti nella fase di progettazione, la Commissione appoggerà l'elaborazione di una serie di linee guida ad hoc per ogni applicazione (codice di condotta, buone pratiche) da parte di un gruppo ristretto di esperti in rappresentanza di tutte le parti coinvolte. Entro la fine del 2007 la Commissione pubblicherà una raccomandazione per stabilire i principi che le pubbliche autorità e le altre parti interessate dovrebbero osservare in relazione all'uso della RFID.

3.5.8

La Commissione valuterà inoltre la possibilità di inserire idonee disposizioni nella proposta di modifica della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, di prossima pubblicazione, e, in parallelo, terrà conto dei contributi che le giungeranno dal futuro gruppo di parti interessate RFID, dal gruppo di lavoro sulla protezione dei dati «Articolo 29» e da altre iniziative pertinenti come il gruppo europeo di etica della scienza e delle nuove tecnologie. Su questa base la Commissione valuterà l'eventuale necessità di nuovi interventi legislativi a tutela dei dati e della vita privata.

3.5.9

La Commissione sorveglierà attentamente l'evoluzione verso la «Internet degli oggetti», di cui si prevede che la RFID sarà parte integrante. Alla fine del 2008 la Commissione pubblicherà una comunicazione in cui analizzerà caratteristiche e conseguenze di tale evoluzione, con particolare attenzione agli aspetti della vita privata, della fiducia e della governance. Nella comunicazione valuterà inoltre le sue opzioni operative, compresa la possibilità di nuovi provvedimenti legislativi rivolti sia a garantire la protezione dei dati e della vita privata che a perseguire altri obiettivi di politica pubblica.

3.5.10

Ulteriori osservazioni sui problemi di sicurezza, etica e tutela della vita privata sono formulate nel capitolo 4 del presente parere.

3.6   Altre problematiche della politica sulla RFID

3.6.1

A parte tutto l'ambito della sicurezza, dell'etica e della vita privata, le altre problematiche sollevate dalla tecnologia RFID riguardano lo spettro radio, le norme tecniche e gli aspetti sanitari, di sicurezza e ambientali.

3.6.2

L'armonizzazione delle condizioni per l'utilizzo dello spettro radio è importante per agevolare la mobilità e ridurre i costi. Di recente la Commissione ha adottato una decisione (2006/808/CE) sulle frequenze per le apparecchiature RFID nella banda UHF. Quest'assegnazione di frequenze è considerata sufficiente per un orizzonte temporale da tre a dieci anni ma, se dovesse sorgere la necessità di uno spettro di frequenze più ampio, la Commissione agirebbe di conseguenza avvalendosi dei poteri che le conferisce la decisione sullo spettro radio (676/2002/CE). Il Comitato accetta questa posizione.

3.6.3

Affinché l'adozione dei nuovi servizi proceda senza intoppi, sono essenziali un'efficiente approvazione delle nuove norme internazionali ISO e l'armonizzazione delle norme regionali. Gli organismi europei di normalizzazione competenti — ETSI e CEN — sono pienamente coinvolti. La Commissione invita questi organismi ad assicurare, insieme agli esponenti del settore, che le norme tecniche in via di elaborazione rispettino i requisiti europei, in particolare in materia di tutela della vita privata, sicurezza, diritti di proprietà intellettuale e rilascio di licenze. Poiché norme industriali e brevetti proprietari spesso procedono di pari passo, il CESE esorta la Commissione ad adoperarsi affinché gli esponenti del settore e gli organismi di normalizzazione intervengano rapidamente per evitare che le applicazioni RFID europee finiscano per dipendere troppo da costose opere di proprietà intellettuale di soggetti extraeuropei.

3.6.4

Per quanto riguarda l'ambiente, le apparecchiature RFID rientrano pienamente nel campo d'applicazione della direttiva RAEE e della direttiva sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Per quanto riguarda poi la salute, si pone il problema degli eventuali effetti dei campi elettromagnetici (CEM) prodotti da queste apparecchiature. Trattandosi in genere di campi a bassa potenza, si prevede che il livello di esposizione della popolazione e dei lavoratori resti ben al di sotto delle soglie standard vigenti. Tuttavia, posta la sempre maggiore diffusione delle applicazioni senza fili, la Commissione sottoporrà il quadro giuridico in materia a regolare riesame. Il Comitato accetta questa posizione.

4.   Osservazioni

4.1

È ragionevole supporre che la Commissione, la quale prevede di pubblicare le sue raccomandazioni agli Stati membri alla fine del 2007, accetterà così come sono le infrastrutture esistenti a tutela della sicurezza e della riservatezza dei dati. In particolare, ciò indicherebbe che le autorità di protezione dei dati già istituite negli Stati membri diverrebbero competenti per i problemi di questo tipo.

4.2

Nella sua comunicazione la Commissione annuncia, tra l'altro, che istituirà e consulterà un nuovo gruppo di parti interessate. Il CESE sarebbe interessato a presentare il proprio parere a tale gruppo.

4.3

La RFID comporta gravi rischi per la riservatezza e le libertà civili:

a)

le etichette RFID possono essere inserite in oggetti e documenti, o applicate sulla loro superficie, all'insaputa di chi ne entra in possesso; poiché le onde radio passano facilmente e silenziosamente attraverso tessuti, plastica e altri materiali, è possibile leggere etichette cucite all'interno di capi di abbigliamento o applicate ad oggetti contenuti in borsette, buste della spesa, valigie e così via;

b)

il Codice prodotto elettronico (EPC) potrebbe permettere di assegnare a ogni oggetto esistente un identificativo univoco, con la conseguente possibilità di creare un sistema planetario di registrazione degli articoli in cui ogni oggetto fisico verrebbe identificato e associato al suo acquirente o proprietario nel punto in cui avviene la vendita o la cessione;

c)

l'impiego generalizzato della tecnologia RFID richiede la creazione di enormi banche dati contenenti i dati univoci di ogni etichetta. Queste registrazioni potrebbero essere associate a dati personali identificativi, soprattutto con la progressiva espansione delle capacità di memoria e di elaborazione dei computer;

d)

le etichette possono essere lette a distanza, anche al di fuori della visuale, da lettori che è possibile sistemare in modo invisibile in quasi tutti i luoghi di aggregazione. I lettori possono essere infatti incastrati in piastrelle di pavimentazione, intessuti in un tappeto o occultati nell'apertura di una porta o in uno scaffale, cosa che rende virtualmente impossibile accorgersi che si è sottoposti a scansione;

e)

una persona la cui identità sia stata associata al numero univoco di un'etichetta RFID potrà essere seguita, o «profilata» in funzione delle sue abitudini, a sua insaputa e senza il suo consenso;

f)

è ipotizzabile un mondo in cui i lettori RFID costituiscano una rete planetaria pervasiva che non richiederebbe nemmeno l'installazione di lettori ovunque. Per esempio, a Londra le autorità preposte alla riscossione della tassa di congestione sono in grado di seguire i movimenti di tutti gli autoveicoli che entrano in centro grazie a un numero relativamente ridotto di telecamere collocate in posizioni strategiche. Allo stesso modo, sarebbe possibile costruire una rete di lettori di etichette sistemati in posizioni strategiche. Non si deve permettere, però, che ciò accada.

4.4

Nell'ambito del Settimo programma quadro di R&S la Commissione ha già impartito istruzioni sull'uso eticamente corretto della tecnologia per quanto attiene alla protezione dei dati e della vita privata (Guide for Applicants for Collaborative Projects — «Guida per chi richiede finanziamenti per progetti di collaborazione», pag. 54) (4). La RFID è un perfetto esempio del rapporto in via di trasformazione tra, da un lato, la tecnologia e, dall'altro, il diritto sancito per legge, o le aspettative del pubblico, circa la tutela della vita privata nell'ambito della raccolta e della condivisione di dati. Il problema a questo proposito sorge ogni volta che dati univocamente identificabili relativi a una o più persone sono raccolti e memorizzati, in forma digitale o meno. La causa originaria dei problemi di riservatezza dei dati può essere un controllo inadeguato o inesistente sulla loro rivelazione. Le fonti di dati più comunemente interessate da problemi di riservatezza sono i settori della salute, della giustizia penale, della finanza, della genetica e della localizzazione. Rispetto alla RFID il problema cruciale è la localizzazione.

4.5

Nelle sue istruzioni (5) su come affrontare le questioni relative alla protezione dei dati e della vita privata, la Commissione detta otto principi di buona pratica concretamente applicabili. Secondo questi principi i dati:

devono essere trattati lealmente e lecitamente,

devono essere trattati per finalità determinate,

devono essere adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità,

devono essere esatti,

devono essere conservati per un arco di tempo non superiore a quello necessario,

devono essere trattati nel rispetto dei diritti della persona interessata,

devono essere trattati in modo sicuro,

non devono essere trasferiti verso paesi terzi che non garantiscono un livello di protezione adeguato.

Queste linee guida sono perfettamente adatte ai problemi di riservatezza e protezione dei dati sollevati dalle applicazioni RFID.

4.6

A giudizio del CESE i principi essenziali di buona pratica sono:

gli utenti RFID sono tenuti a rendere pubbliche le politiche e le pratiche seguite; non dovrebbero esistere banche dati segrete contenenti dati personali,

i privati hanno il diritto di essere informati del fatto che un articolo venduto al dettaglio contiene un'etichetta o un lettore RFID; qualsiasi operazione di lettura d'etichetta che abbia luogo in un esercizio al dettaglio deve essere compiuta in maniera trasparente per tutti gli interessati,

gli utenti RFID devono dare preventiva comunicazione degli scopi cui saranno adibiti lettori ed etichette; la raccolta di informazioni dovrebbe essere limitata a quanto è necessario allo scopo contingente,

gli utenti RFID sono responsabili per l'applicazione della tecnologia e sono tenuti a operare entro i limiti delle leggi e delle linee guida vigenti in materia di protezione dei dati. Sono inoltre responsabili della sicurezza e dell'integrità del sistema e della sua banca dati.

4.7

Non è però ancora chiaro in quale modo questi principi andrebbero messi in pratica. Idealmente un'impresa impegnata in un'attività «dall'impresa al consumatore», come il commercio al dettaglio, l'emissione di biglietti, il controllo degli accessi o i servizi di trasporto, dovrebbe sempre fornire ai clienti una qualche garanzia che questi principi saranno rispettati, una specie di carta del consumatore. Idealmente, poi, questa carta potrebbe contenere tutti i principi di buona pratica in materia di protezione dei dati elencati nel punto 4.5. Il CESE propone inoltre le seguenti linee guida:

a)

dovrebbe essere vietato ai commercianti costringere in qualsiasi modo i clienti ad accettare la presenza di etichette attivate o disattivate nei prodotti che acquistano; tra le possibili soluzioni vi sono l'apposizione delle etichette sull'imballaggio o l'utilizzo di etichette staccabili analoghe a quelle per l'indicazione del prezzo;

b)

i clienti dovrebbero avere la facoltà di staccare o disattivare qualsiasi etichetta apposta su articoli in loro possesso;

c)

in linea di principio, la tecnologia RFID non dovrebbe essere usata per seguire gli spostamenti delle persone; la localizzazione continua di persone, per es. attraverso capi di abbigliamento, merci, biglietti o altro, è un'operazione impropria;

d)

la RFID non dovrebbe mai essere usata in modo tale da rischiare di eliminare o ridurre l'anonimato;

e)

l'autorità competente dovrebbe precisare quali situazioni del tipo c) e d) saranno ammesse, solo in circostanze eccezionali e previa notifica formale all'autorità stessa.

4.8

Eccezioni a queste linee guida possono essere contemplate quando si tratti di:

privati che, per convenienza personale, scelgono di mantenere attive le etichette,

privati che acconsentono alla localizzazione continua all'interno di un ambiente critico, come un'organizzazione o istituzione di massima sicurezza pubblica o privata,

privati che scelgono di usare applicazioni che consentano di localizzarli e identificarli allo stesso modo in cui sono già localizzati e identificati dall'uso di telefoni cellulari, tessere bancomat, indirizzi Internet, ecc.

Ogni eccezione di questo tipo andrebbe notificata all'autorità competente.

4.9

Una classe di applicazioni che potrebbe essere esentata in via generale è quella che permette di seguire i movimenti di persone o merci negli ambienti transitori. Nel contesto del trasporto aereo si potrebbero etichettare i bagagli all'accettazione per migliorarne sicurezza e certezza della movimentazione, mentre si potrebbero etichettare i passeggeri per migliorare la puntualità dei movimenti degli aeromobili e accelerare le operazioni di sicurezza. Un'altra applicazione permetterebbe di seguire gli spostamenti dei pazienti dopo il ricovero in ospedale per un intervento. La chiave per rendere accettabile questo tipo di applicazioni sarebbe la certezza che, una volta conclusa l'esperienza transitoria, l'etichetta verrebbe eliminata.

4.10

La RFID non è una tecnologia matura, quindi il suo pieno potenziale non è ancora stato compreso. Da un lato potrebbe apportare benefici inimmaginabili alla nostra civiltà tecnologica, ma dall'altro potrebbe rivelarsi una minaccia tecnologica senza precedenti per la tutela della vita privata e della libertà. Il CESE è convinto che le applicazioni RFID andrebbero sviluppate in base a un severo codice etico a tutela della vita privata, della libertà e della sicurezza dei dati ma che, in presenza delle necessarie garanzie, il loro sviluppo debba proseguire.

4.11

In conclusione, l'impiego di applicazioni RFID, laddove è autorizzato, dovrebbe essere assolutamente trasparente per tutte le parti interessate. Le applicazioni dirette a migliorare la movimentazione delle merci sono generalmente accettabili. Quelle che comportano l'etichettatura di persone sono generalmente inaccettabili salvo in ambienti transitori. Quelle che associano persone e merci potrebbero essere accettabili a fini di marketing. Infine, quelle che consentono di identificare persone attraverso le merci acquistate sono generalmente inaccettabili. Determinate applicazioni, peraltro, non sono compatibili con una società libera e pertanto non dovrebbero mai essere autorizzate. L'assoluta necessità di salvaguardare la vita privata e l'anonimato dovrà essere al centro della raccomandazione che la Commissione rivolgerà agli Stati membri.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2007) 96 def.

(2)  Direttiva 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali.

(3)  Direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.

(4)  http://cordis.europa.eu/fp7/dc/index.cfm?fuseaction=UserSite.CooperationDetailsCallPage&call_id=11 (NdT: esiste solo in inglese).

(5)  Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali, articolo 6.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Galileo a un bivio: l'attuazione dei programmi europei di navigazione satellitare (GNSS)

COM(2007) 261 def.

(2007/C 256/14)

La Commissione europea, in data 16 maggio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 29 maggio 2007, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Considerata l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha designato BUFFETAUT come relatore generale e ha adottato il seguente parere con 95 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo si compiace del realismo e del coraggio con cui la Commissione, nella sua comunicazione Galileo a un bivio: l'attuazione dei programmi europei di navigazione satellitare (GNSS) ((COM(2007) 261 def.), ha saputo trarre le conseguenze necessarie dal blocco intervenuto nei negoziati sul contratto di concessione del sistema Galileo.

1.2

Approva pienamente la proposta di porre fine a tali negoziati, giunti ormai a un punto morto, e di attuare una strategia di ricambio.

1.3

Appoggia totalmente la volontà espressa dal Consiglio, dal Parlamento europeo e dalla Commissione di portare a termine il progetto Galileo preservandone la portata e la definizione iniziale.

1.4

Reputa che per l'Unione europea Galileo sia un progetto strategico, in grado di dimostrare che l'Europa è capace di mobilitarsi per una straordinaria avventura umana, scientifica, tecnica ed economica.

1.5

Considera che abbandonare il progetto sarebbe assolutamente disastroso per l'UE.

1.6

Sottolinea che lo scenario delineato dalla Commissione costituisce una proposta interessante e realistica per portare a termine il progetto e ritiene che l'idea di affidare al settore pubblico la responsabilità e il finanziamento della fase di sviluppo e di realizzazione sia indice di una visione realistica della situazione.

1.7

Considerato che tale scenario ha importanti conseguenze sul piano finanziario e rappresenta un onere considerevole per le finanze pubbliche, il Comitato insiste sulla necessità di riflettere senza preconcetti sulla possibilità di prevedere anche un uso militare di Galileo da parte degli Stati membri dell'Unione europea, soprattutto nel campo della difesa, nonché sull'eventualità di applicare un modesto prelievo sulla vendita dei terminali del sistema per contribuire all'equilibrio finanziario del progetto.

1.8

Il Comitato raccomanda di chiarire quanto prima le condizioni e le modalità di concessione del sistema EGNOS, complemento regionale europeo del GPS americano, e di coordinare l'attuazione di tale programma con quella di Galileo.

1.9

Approva il fatto che come direttore dei lavori ed ente appaltante del progetto sia stata scelta l'Agenzia spaziale europea.

1.10

Mette in guardia dalla tentazione di subordinare il progetto Galileo ai vincoli del cosiddetto principio del «giusto ritorno», pur comprendendo i legittimi timori degli Stati membri in materia di sviluppo scientifico, tecnico ed economico.

1.11

Ricorda che le questioni della governance e della ripartizione delle responsabilità economiche e tecniche, se mal gestite, possono rivelarsi pericolose, come hanno dimostrato le recenti vicende di Airbus.

1.12

Invita infine gli Stati membri a fare tutto il possibile per portare a buon fine il progetto Galileo.

2.   Il contesto della comunicazione

2.1

Cinque mesi dopo la pubblicazione del Libro verde sulle applicazioni di navigazione satellitare, la Commissione ha pubblicato una nuova comunicazione, che porta il titolo allarmista Galileo a un bivio: l'attuazione dei programmi europei di navigazione satellitare (GNSS).

2.2

Il titolo, francamente scioccante, è dovuto al blocco intervenuto nei negoziati sul contratto di concessione. Infatti, non è stato possibile raggiungere alcun accordo con il consorzio industriale candidato alla concessione a causa delle divergenze fondamentali sul modello economico del progetto.

2.3

La Commissione non ha quindi potuto far altro che prendere atto di questo insuccesso che, facendo seguito a tutta una serie di ritardi nell'attuazione di Galileo, rendeva necessario un sostanziale riorientamento del progetto sia sul piano economico che su quello giuridico.

2.4

Del resto, il Consiglio dei ministri dei Trasporti del 22 marzo scorso aveva invitato la Commissione a valutare la situazione e a proporre scenari alternativi dettagliati per il contratto di concessione, nonché un dispositivo che consentisse di mettere a disposizione al più presto il sistema di navigazione satellitare EGNOS, complemento regionale del GPS americano, come precursore di Galileo.

2.5

Il Parlamento europeo, pur confermando il proprio sostegno a Galileo, aveva espresso timori per i ripetuti ritardi nello sviluppo del progetto e aveva invitato la Commissione a presentare proposte per affrontare la situazione.

2.6

La comunicazione della Commissione risponde a questa duplice richiesta degli organi decisionali dell'Unione europea.

3.   Il contenuto della comunicazione

3.1

Anzitutto la Commissione invita il Consiglio e il Parlamento europeo a prendere atto dell'insuccesso degli attuali negoziati sul contratto di concessione e a decidere quindi di porvi termine. In realtà, di fronte al blocco dei negoziati, essa non aveva praticamente altre alternative.

3.2

Al medesimo tempo, però, la Commissione invita il Consiglio e il Parlamento europeo anche a confermare il proprio impegno a realizzare un sistema di navigazione satellitare autonomo e ad avallare il proseguimento del programma Galileo. L'attuale insuccesso dei negoziati relativi al contratto di concessione non deve significare l'abbandono di Galileo. Al contrario, la Commissione auspica che venga ribadito il carattere strategico del progetto per l'Unione europea, come pure la sua importanza sul piano economico.

3.3

Secondo la Commissione, il proseguimento del programma deve avvenire in base a un modello identico a quello attuale. Le caratteristiche tecniche devono rimanere le stesse, ossia una costellazione di 30 satelliti in grado di offrire cinque servizi diversi con un'eccellente qualità del segnale.

3.4

È esclusa quindi l'ipotesi di ripiegare su un modello più modesto.

3.5

La Commissione propone due scenari alternativi:

a.

scenario A): in un primo tempo il settore pubblico finanzierebbe e appalterebbe un sistema più limitato, con capacità operative più circoscritte. Questa infrastruttura di base, costituita da 18 satelliti e dal relativo segmento di terra, consentirebbe una precisione di posizionamento e una copertura geografica sufficienti per permettere di offrire dei servizi sul mercato, anche se non sfrutterebbe fino in fondo il valore aggiunto tecnico di Galileo.

I restanti 12 satelliti verrebbero poi realizzati dal settore privato nel quadro di un contratto di concessione;

b.

scenario B): il settore pubblico finanzierebbe e appalterebbe il sistema operativo completo e tutte le prestazioni. Questa infrastruttura sarebbe costituita da 30 satelliti e dal relativo segmento di terra, consentirebbe di fornire tutti i servizi di Galileo a tutti i potenziali utenti e dimostrerebbe al futuro concessionario la solidità della concezione del sistema. Il partenariato pubblico-privato, che assumerebbe la forma di contratto di concessione di servizi, comprenderebbe il funzionamento e lo sfruttamento del sistema, nonché la manutenzione dei 30 satelliti della costellazione. La piena realizzazione verrebbe ultimata alla fine del 2012 e il contratto di concessione riguarderebbe il periodo 2010-2030.

3.6

La Commissione raccomanda piuttosto lo scenario b, da realizzare in due tappe:

cominciare, entro il 2008, lo sfruttamento immediato di EGNOS come precursore di Galileo attraverso una concessione specifica. La piena operatività, previa realizzazione dell'intera costellazione di Galileo, dovrebbe essere raggiunta entro la fine del 2012,

parallelamente, negoziare e costituire un partenariato pubblico-privato — sotto forma di concessione — per la fase di esercizio di EGNOS e Galileo tra il 2010 e il 2030.

3.7

La Commissione auspica inoltre che il Consiglio e il Parlamento europeo appoggino i programmi EGNOS e Galileo confermando i seguenti principi:

rendere operativo il sistema EGNOS a partire dal 2008,

stabilire che tutti i programmi europei di navigazione satellitare verranno definiti, approvati, gestiti e controllati dall'Unione europea, nell'interesse di tutti gli Stati membri,

riconoscere il carattere strategico di Galileo,

scegliere l'Agenzia spaziale europea come direttore dei lavori ed ente appaltante per conto dell'Unione europea, operante sotto la sua autorità e in base alle sue norme,

garantire, se possibile, una concorrenza equa nel quadro del programma,

rafforzare e ristrutturare la governance pubblica dei programmi, conferendo la responsabilità politica e la leadership alla Commissione europea,

guadagnare la fiducia degli investitori.

3.8

Un programma di questo tipo richiede la mobilitazione di risorse finanziarie cospicue: si dovrà quindi non solo impegnare gli importi previsti nelle prospettive finanziarie per l'attuale programma, ma anche garantire un finanziamento supplementare.

3.9

Nel periodo di programmazione 2007-2013 saranno necessari 2,4 miliardi di euro per portare avanti l'attuale progetto, prevedendo anche delle misure per la riduzione dei rischi. Accettando l'ipotesi di un appalto che copra tutta la prima costellazione (30 satelliti), seguito poi da un PPP per la fase di esercizio tra il 2010 e il 2013, sarà necessario mobilitare 3,4 miliardi di euro.

4.   Osservazioni generali

4.1

È normale che la Commissione abbia preso atto del blocco dei negoziati sul contratto di concessione nella sua configurazione attuale e che sottolinei la necessità di porvi fine. Creare false apparenze non avrebbe fatto che prolungare una situazione di disagio, ritardando ulteriormente l'attuazione del programma.

4.2

Il Consiglio, su questo punto, ha tratto le medesime conclusioni della Commissione e ha deciso di porre fine ai negoziati per ripartire su basi nuove. Ha altresì tenuto a ribadire il carattere prioritario del progetto Galileo, cosa di cui il Comitato si rallegra.

4.3

D'altra parte, anche da un recente studio Eurobarometro (maggio/giugno 2007) sul programma Galileo commissionato dalla DG TREN emerge che l'80 % dei cittadini dell'Unione europea appoggia l'idea di un sistema di navigazione satellitare indipendente e che il 63 % sarebbe favorevole a un finanziamento complementare per portare a termine il progetto. Sulle conseguenze che un eventuale abbandono del progetto avrebbe per l'immagine dell'Unione europea le opinioni degli intervistati si presentano invece alquanto divergenti. Il 44 % degli intervistati reputa infatti che le conseguenze sarebbero nefaste, mentre il 41 % pensa che tale abbandono non avrebbe alcun impatto.

4.4

Il Comitato si compiace che il Consiglio e l'opinione pubblica appoggino il progetto Galileo; reputa tuttavia che un eventuale abbandono del progetto avrebbe un effetto disastroso sull'immagine dell'Unione europea e sulla fiducia nei progetti europei. Un tale abbandono sarebbe infatti indice dell'incapacità dell'Unione europea di portare a termine un progetto tecnico-scientifico di grande avvenire, con il quale si potrebbero mobilitare le nostre migliori capacità di ricerca, innovazione e tecnica, aprendo importanti opportunità di mercato.

4.5

Detto questo, la comunicazione lascia però aperte diverse questioni. La Commissione pone un forte accento sul sistema EGNOS e sulla necessità di metterlo in servizio quanto prima, ma non affronta la questione di chi lo gestirà. Si limita a segnalare che esso verrà dato in concessione, senza fornire indicazioni quanto al tipo della concessione stessa e agli eventuali partner (impresa, consorzio degli organismi o società incaricati della gestione del traffico aereo …). Sarà un operatore pubblico o privato? Quali saranno le procedure di attuazione e quali i termini?

4.6

I sistemi di potenziamento che consentono di migliorare la qualità del servizio GPS sono regionali (oltre ad EGNOS ne esistono uno in America settentrionale, il WAAS, e un altro in India). Quali saranno i collegamenti tra questi sistemi regionali e quali accordi internazionali saranno necessari?

4.7

Per quanto riguarda le difficoltà incontrate con il consorzio candidato alla concessione di Galileo, occorre fare attenzione ad evitare che esse si ripropongano nei nuovi scenari proposti. Dietro ai membri del consorzio, infatti, si intravedevano spesso le direttive nazionali. Molte delle imprese interessate, non bisogna dimenticarlo, dipendono dalle ordinazioni del settore pubblico o sono imprese statali: sarebbe ingenuo, perciò, credere che si tratti di un consorzio «privato» classico. Una situazione di questo tipo potrebbe ripetersi nei nuovi scenari. Si dovranno quindi mettere in atto procedure rigorose per garantire una reale concorrenza.

4.8

Il CESE si compiace che non sia stato modificato lo schema generale del progetto, e in particolare la gamma dei servizi proposti. La proposta della Commissione è di fatto la più ragionevole. Modificare l'economia del progetto avrebbe comportato ulteriori ritardi, maggiori costi finanziari e rischi inutili.

4.9

Il Comitato, inoltre, ritiene che la Commissione abbia ragione a sottolineare che «anche se il sistema rimane a uso civile, gli usi militari potrebbero rappresentare un gettito importante.» Esso è tuttavia consapevole del fatto che si tratta di una questione delicata, ed è quindi del parere che il dibattito su questo punto vada portato avanti a livello di Stati membri dell'Unione europea. Si deve infatti lasciare a questi ultimi la possibilità di decidere liberamente di utilizzare il servizio governativo ad accesso riservato per usi militari di difesa se lo desiderano, garantendo un finanziamento adeguato.

4.10

La questione del finanziamento del progetto è fondamentale; il Comitato si chiede quindi se non sarebbe opportuno prevedere un prelievo molto modesto sulla vendita dei terminali per contribuire al finanziamento di Galileo.

4.11

Se da un lato il CESE appoggia l'idea che l'Agenzia spaziale europea diventi il direttore dei lavori e l'ente appaltante, dall'altro, però, esso sottolinea che questo non deve tradursi in una subordinazione di Galileo alla cosiddetta regola del giusto ritorno, pur essendo perfettamente cosciente del fatto che gli accordi tra paesi partecipanti nel quadro del precedente modello erano il frutto di delicati equilibri economici tra gli Stati membri. Il Comitato sottolinea la necessità di non mettere a repentaglio un progetto tanto essenziale quanto emblematico per l'Unione europea semplicemente a causa di timori relativi alle sue ricadute economiche per i principali Stati membri partecipanti. Ricorda inoltre che le difficoltà che incontra attualmente la società EADS sono dovute a preoccupazioni di questo genere. Il desiderio di un equilibrio economico tra i partner è legittimo, ma se di fatto esso porta a una paralisi o a ritardi nell'attuazione dei progetti, si finisce per mettere a rischio tutto questo progetto europeo emblematico, con le sue dimensioni industriale e scientifica e le sue ricadute economiche.

4.12

Infine, il Comitato reputa che il desiderio della Commissione di mantenere i principi della governance comunitaria l'abbia indotta a rivendicare con insistenza il controllo politico del progetto in modo forse poco diplomatico e sottovalutando l'importante ruolo dell'Agenzia spaziale europea.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione biennale sulla strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile

(2007/C 256/15)

La Commissione europea, con lettera al Presidente DIMITRIADIS dell'11 dicembre 2006, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente all'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere in merito alla Relazione biennale sulla strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente (Osservatorio dello sviluppo sostenibile), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 giugno 2007 sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 70 voti favorevoli, 21 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Comitato

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace che il dibattito sullo sviluppo sostenibile abbia potuto riprendere forza e respiro grazie alla nuova strategia decisa al vertice UE del giugno 2006. L'obbligo di presentare relazioni biennali, in particolare, contribuirà ad aggiornare più concretamente il mondo politico e la società circa gli sviluppi positivi ed i problemi incontrati in fase di realizzazione.

1.2

Nei suoi precedenti pareri sulla sostenibilità il Comitato ha accolto in linea di massima favorevolmente i documenti della Commissione, del Consiglio e del Consiglio europeo, ma ha anche espresso alcune critiche e in certi casi presentato proposte dettagliate che spesso, però, tali istituzioni non hanno accolto. Anche in quest'occasione il Comitato disapprova che nella maggior parte delle tematiche giudicate prioritarie continuino a figurare obiettivi formulati in maniera eccessivamente imprecisa, ma soprattutto il fatto che vi sia assai poca chiarezza circa gli strumenti da impiegare.

1.3

Il Comitato esprime particolare soddisfazione per gli obiettivi prioritari e i principi programmatici formulati nella nuova strategia, e chiede alla Commissione, al Consiglio ed al Parlamento europeo di tenerne seriamente e pienamente conto.

1.4

Il Comitato spera che la prima relazione biennale, la cui pubblicazione è prevista per settembre 2007, possa dare tra l'altro risposte più dettagliate ai seguenti interrogativi:

quali strumenti economici intende usare la Commissione «per promuovere la trasparenza dei mercati e prezzi che rispecchino i costi economici, sociali e ambientali effettivi di prodotti e servizi (fissare prezzi che riflettano i costi)»?

Come si intende rispondere in concreto alla richiesta del Consiglio agli Stati membri di prendere «in esame ulteriori iniziative per trasferire l'imposizione fiscale dal lavoro al consumo di risorse e di energia e/o all'inquinamento, per contribuire agli obiettivi dell'Unione di aumentare l'occupazione e ridurre gli effetti negativi per l'ambiente in modo efficiente rispetto ai costi»?

Quale specifica tabella di marcia intende adottare la Commissione per conseguire l'obiettivo del Consiglio di eliminare gradualmente i sussidi che hanno effetti negativi sull'ambiente? E, in tale contesto, si terrà conto della proposta del Comitato di trasferire almeno parte di tali sussidi in un «fondo europeo per lo sviluppo sostenibile»?

In che modo la Commissione intende risolvere in futuro le flagranti contraddizioni che permangono tra aspettative e realtà in materia di sviluppo sostenibile, ad esempio nel contesto dei trasporti (cfr. punti 4.15 e 4.16)?

In che modo si intende procedere nei confronti degli Stati membri che non avranno presentato alcuna valida strategia nazionale di sviluppo sostenibile?

1.5

Dati i sempre più gravi mutamenti climatici, è comprensibile che si assegni una chiara priorità al settore del clima e dell'energia. Il Comitato ritiene tuttavia che:

ciò sia positivo, ma non deve portare a trascurare altri elementi chiave della strategia,

inoltre, e nonostante il bisogno urgente di un'azione politica, tutte le decisioni dovrebbero venir adottate seguendo i principi guida delle politiche enunciati nella nuova strategia, vale a dire coinvolgendo i cittadini, le imprese e le parti sociali, sfruttando le migliori conoscenze disponibili, ecc. Sfortunatamente la decisione adottata nell'ambito del «pacchetto energia» di produrre in futuro il 10 %, anziché il 5,75 % originariamente deciso, dei carburanti europei a partire dalla biomassa non si è ispirata a tali principi. Il Comitato ritiene che ciò possa causare problemi significativi e formulerà le proprie osservazioni al proposito in un parere a sé stante sulla relazione ad hoc della Commissione (1).

2.   Elementi salienti e contesto del parere

2.1

Nel 2001 il Consiglio europeo di Göteborg ha adottato la Strategia europea per lo sviluppo sostenibile. Nel dicembre 2005 la Commissione ha presentato al Parlamento europeo ed al Consiglio la Comunicazione sul riesame dello sviluppo sostenibileUna piattaforma d'azione  (2), che avrebbe dovuto definire «altre azioni concrete per i prossimi anni».

2.2

Negli ultimi anni il Comitato economico e sociale europeo ha trattato la strategia dello sviluppo sostenibile in numerosi pareri, sottolineando ripetutamente l'enorme importanza dello sviluppo sostenibile per la nostra società. Il Comitato ha generalmente appoggiato le proposte della Commissione e condiviso la posizione del Consiglio secondo cui la strategia per lo sviluppo sostenibile sovrasta tutta l'attività dell'Unione e i suoi obiettivi devono orientare anche la strategia di Lisbona.

2.3

Tuttavia, nei suoi pareri sullo sviluppo sostenibile il Comitato ha spesso espresso riserve e sollevato questioni costruttive a cui finora la Commissione e il Consiglio non sempre hanno dato risposta.

2.4

Nell'ultimo parere in materia il Comitato ha esaminato la succitata comunicazione della Commissione del dicembre 2005, deplorando che nel programma d'azione, definito «ambizioso», la Commissione non avesse né ripreso le raccomandazioni formulate dal CESE nell'aprile 2004, né mantenuto i propri impegni del giugno 2005. Infatti il testo della comunicazione, contrariamente a quanto era stato promesso, non precisa alcun chiaro obiettivo da conseguire nell'ambito della strategia per lo sviluppo sostenibile (SSS).

2.4.1

Nel parere, il Comitato fa notare che una strategia dovrebbe tracciare un percorso volto a perseguire una serie di obiettivi, e che la mancanza di obiettivi concreti non può che complicare la definizione degli strumenti. Infatti, se non si sa dove si vuole esattamente arrivare, non si può certo stabilire come ci si arriverà. Pertanto il Comitato ritiene che la comunicazione lasci una mole di questioni irrisolte superiore al numero delle risposte e delle indicazioni concrete offerte.

2.4.2

Eppure, come ancora sostiene il Comitato nel parere del 2004, se non si indicano al pubblico o alle parti sociali interessate gli obiettivi e gli strumenti, se in altri termini permane «notevole incertezza anche su cosa sia, concretamente, lo sviluppo sostenibile e sul modo in cui gli sviluppi futuri divergeranno dalle condizioni di vita attuali», questo non può che far «nascere timori e resistenze nei settori potenzialmente interessati» (3). Il Comitato deve purtroppo constatare che negli ultimi tre anni non è stata fatta maggiore chiarezza al riguardo, il che mette senza dubbio a repentaglio la credibilità della politica della sostenibilità.

2.5

La presidenza austriaca, di turno nella prima metà del 2006, sembra aver sostanzialmente condiviso tale posizione. Essa ha infatti pressoché ignorato la comunicazione della Commissione del 2005 e elaborato un nuovo documento autonomo che, dopo essere stato esaminato dai capi di Stato e di governo nel corso del vertice del giugno 2006, è stato adottato in tale occasione come «nuova strategia» (4).

2.6

La nuova strategia assegna al Comitato un ruolo importante, senz'altro a causa dell'impegno mostrato finora in materia di sviluppo sostenibile. Stando al punto 39, «il Comitato economico e sociale europeo (CESE) dovrebbe svolgere un ruolo attivo nel creare titolarità, fra l'altro agendo da catalizzatore per stimolare il dibattito a livello UE». Inoltre, «esso è invitato a preparare contributi per la relazione biennale della Commissione sulla situazione dei lavori».

2.7

Mediante il presente parere il CESE intende rispondere a tale richiesta e farsi carico di tale responsabilità. Il parere esordisce con alcune osservazioni generali sulla nuova strategia (punto 3); passa poi a esaminare brevemente le tematiche della nuova strategia (punto 4) e infine enuncia le proposte del Comitato sui contenuti concreti della relazione da presentare entro il prossimo settembre (punto 5).

3.   Osservazioni di carattere generale sulla nuova strategia

3.1

Quando la più importante istituzione politica dell'Unione riesamina ed aggiorna una delle proprie politiche, come ha fatto il Consiglio con la Strategia dell'Unione per lo sviluppo sostenibile, la società civile si aspetta che il testo risultante faccia anche comprendere:

anzitutto per quale ragione sia stato necessario procedere a tale riesame,

quale sia stato il risultato dell'analisi delle carenze (cioè quali problemi siano stati individuati),

cosa concretamente andrebbe modificato in futuro (cioè quali aspetti andrebbero esclusi o impostati in modo diverso, e quali invece andrebbero aggiunti e perché), e

in che modo si intenda conseguire ad esempio il necessario obiettivo dell'integrazione della sostenibilità nell'operato di tutte le direzioni generali della Commissione.

3.2

Tuttavia, nel documento è vano cercare questo tipo di spiegazioni, né tanto meno si trova traccia dei risultati del riesame. Viene semplicemente presentata una nuova strategia.

3.3

La strategia di Göteborg, basata su una comunicazione della Commissione, era incentrata su quattro aspetti prioritari, cioè:

cambiamenti climatici,

trasporti,

salute pubblica,

risorse naturali.

3.4

Nella strategia di Göteborg mancano invece altre due tematiche proposte nella comunicazione della Commissione, ovvero la lotta alla povertà e l'invecchiamento della popolazione, senza che il Consiglio abbia motivato tale esclusione. Il CESE ha deplorato tale impostazione nel parere dell'aprile 2004, definendola una «indicazione errata» (5). Molti hanno anche criticato che la strategia non sia stata delineata in un unico documento, il quale avrebbe potuto essere diffuso e promosso in maniera efficace presso il pubblico, e che la dimensione esterna dello sviluppo sostenibile sia stata trattata separatamente ed elaborata successivamente in un documento a sé stante.

3.5

Nella nuova strategia vengono ora descritte sette sfide principali, unitamente a una serie di traguardi, obiettivi e azioni operative. I settori interessati sono i seguenti:

cambiamenti climatici e energia pulita,

trasporti sostenibili,

consumo e produzione sostenibili,

conservazione e gestione delle risorse naturali,

salute pubblica,

inclusione sociale, demografia e migrazione,

povertà mondiale e sfide dello sviluppo.

3.6

Il raffronto tra la strategia originale e la nuova strategia mostra che quest'ultima in fin dei conti non modifica fondamentalmente le priorità esistenti. Essa si limita ad aggiungere alle tematiche della strategia di Göteborg le problematiche già identificate come necessarie dalla Commissione nella comunicazione del 2001 (lotta alla povertà e invecchiamento della popolazione) nonché il tema del consumo e della produzione sostenibile.

3.7

Il CESE non può non essere d'accordo con tale impostazione, dato che le questioni sollevate nel 2001 e quelle respinte all'epoca non hanno ancora trovato soluzione, ed è quindi tanto più urgente che siano ora oggetto di un confronto serrato a livello politico. Tuttavia, proprio per l'insufficienza degli interventi politici adottati diviene ora interessante riflettere alle concrete differenze esistenti tra la nuova e la vecchia strategia e a come si possano giudicare i risultati della vecchia strategia. Si tratta di un interrogativo particolarmente importante per confutare l'accusa secondo cui la continua elaborazione di nuove proposte rischia di confondere ulteriormente la situazione, anziché contribuire al consolidamento politico di un processo necessario. Il CESE ha in più occasioni ricordato che la politica dello sviluppo sostenibile non va misurata in base alla mole di documenti amministrativi e politici prodotti, ma in base all'efficacia delle concrete misure messe in atto.

3.8

La nuova strategia poggia su un pregevole elenco di principi relativi allo sviluppo sostenibile, principi che cerca di tradurre in una serie di obiettivi e misure per ciascuno dei sette settori prioritari individuati; prevede inoltre alcune misure relative a tematiche orizzontali, come pure lo sviluppo di procedure per la realizzazione e il monitoraggio dei progressi effettuati. Da questo punto di vista essa rappresenta senz'altro un miglioramento rispetto alle strategie preesistenti.

3.9

I primi dati sembrano indicare che al momento vengono trattate in misura preponderante le parti della strategia riguardanti il mutamento climatico e le questioni energetiche. Ciò è senz'altro positivo, ma non deve portare a trascurare altri elementi chiave della strategia. Il presente riesame dell'attuazione offre un'eccellente possibilità per approfondire tale questione e tentare di dare maggiore importanza e slancio alla strategia in tutti i suoi settori prioritari. Il Comitato desidera ribadire ancora una volta il fatto che lo sviluppo sostenibile è un processo globale ed integrante, e non un elenco di opzioni individuali da scegliere a proprio piacimento. Gli obiettivi ed i progetti riguardanti il mutamento climatico sono molto chiari e precisi, e presentano ormai un carattere d'urgenza tale da poter effettivamente incoraggiare l'adozione di misure concrete. Viceversa, gli obiettivi relativi alla maggior parte delle altre tematiche della strategia appaiono troppo generici, anche riguardo ai tempi di realizzazione, per poter stimolare cambiamenti significativi.

3.10

Ambito d'applicazione della strategia. I sette settori coperti dalla nuova strategia rappresentano certo un miglioramento rispetto all'inadeguatezza delle quattro tematiche della versione precedente, ma restano alcune flagranti omissioni. Già nel parere esplorativo dell'aprile 2004 (6) il CESE aveva chiesto ad esempio che all'agricoltura fosse dedicato un capitolo a sé stante. Il Comitato ribadisce ora tale richiesta, ricordando di aver ripetutamente espresso seri dubbi sulla praticabilità di un'agricoltura sostenibile come quella promossa dal «modello agricolo europeo» nelle condizioni in cui versa il mercato mondiale. Lo scetticismo del Comitato, il quale dubita che la PAC stia muovendosi nella giusta direzione, viene rafforzato dal fatto che i capi di Stato e di governo hanno drasticamente decurtato, per il periodo finanziario 2007-2013, le risorse disponibili a titolo del secondo pilastro della PAC, particolarmente importante per lo sviluppo dell'agricoltura sostenibile. Il CESE, che ha reiteratamente deplorato tale decisione, si chiede in che modo essa sia compatibile con la politica dello sviluppo sostenibile. Trattare l'agricoltura nel punto «risorse naturali», come fa la nuova strategia, non permette certo di risolvere il problema.

3.11

L'interrogativo se un'agricoltura europea orientata alla concorrenza su un mercato mondiale aperto possa essere sostenibile solleva automaticamente la questione più generale delle regole applicabili alla produzione e al commercio su scala mondiale. L'OMC è un'organizzazione che si basa su accordi intesi a promuovere la libera concorrenza a livello internazionale. Ma, come il CESE ha mostrato in numerose occasioni, un commercio libero e liberalizzato non risulta di per sé più sostenibile. Purtroppo la strategia non dice nulla su come si possa rendere il libero commercio compatibile con i principi della sostenibilità, il che è una grave omissione. Anche a questo riguardo il CESE deve purtroppo constatare che i responsabili politici dell'Unione continuano a eludere tale questione, già sollevata dal Comitato tre anni orsono (7). Il CESE tuttavia rileva con soddisfazione che negli ultimi anni l'Unione europea ha mostrato una reale determinazione a negoziare, anche con l'FMI e la Banca mondiale, una nuova regolamentazione degli scambi mondiali.

3.11.1

La dimensione globale è evidentemente di estrema importanza per una strategia europea della sostenibilità, dato che sull'economia comunitaria incidono anche gli sviluppi esterni alla nostra sfera economica. Qualsiasi strategia dell'Unione deve pertanto essere coerente con un approccio globale allo sviluppo sostenibile, approccio che va promosso attivamente. La nuova strategia riconosce tale esigenza nella misura in cui fa riferimento al sostegno da accordare agli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSP), a Kyoto, al programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) ed ad altre iniziative su scala planetaria. Riconosce inoltre la necessità di intensificare gli sforzi «affinché la globalizzazione contribuisca allo sviluppo sostenibile», e osserva che la Commissione sta elaborando nel 2007 un piano d'azione comunitario per il consumo e la produzione sostenibili, anche se per poter avere qualche speranza di porre rimedio alla questione delle ineguaglianze globali il Comitato ritiene necessaria un'analisi a più lungo termine. La «corsa alla crescita» dei nuovi paesi in via di industrializzazione, i quali ambiscono giustamente a livelli di vita molto più elevati, avrà con ogni probabilità ripercussioni catastrofiche sulle risorse e sui sistemi globali. La strategia europea della sostenibilità è quindi la sede adatta per affrontare i limiti della «capacità di sopportazione» del pianeta, già messo a dura prova da due secoli di industrializzazione distribuita in maniera ineguale.

3.11.2

Il CESE propone pertanto che la Commissione elabori una comunicazione volta a definire gli orientamenti per la gestione e l'assegnazione delle risorse comuni del pianeta. Tale comunicazione dovrebbe incentrarsi su un quadro a lungo termine per stabilizzare le concentrazioni di gas ad effetto serra a livelli «sicuri» grazie alla ripartizione internazionale di un insieme di emissioni globali. Al termine di un periodo di tempo concordato, nel corso del quale le emissioni pro capite dovrebbero convergere, i diritti in questione risulterebbero uguali. Un tale approccio, già ampiamente discusso e noto come «Contrazione e convergenza» è in grado di tener conto allo stesso tempo delle ripercussioni della crescita demografica, della capacità industriale, della globalizzazione e delle esigenze legate alla riassegnazione equa e pratica dell'atmosfera planetaria in quanto risorsa condivisa.

3.12

Chiarezza degli obiettivi. Lo sviluppo sostenibile è ampiamente accettato come obiettivo generale della società. Tuttavia, perché una strategia per lo sviluppo sostenibile possa davvero dare un impulso reale, essa deve venir realizzata mediante obiettivi e progetti concreti e misurabili, basati su analisi rigorose. Certo, la nuova strategia elenca un notevole numero di obiettivi e di misure, ma senza porli in relazione con un'analisi quantificata dei dati e delle tendenze, né con un'analisi qualitativa delle tematiche e dei problemi. È quindi spesso poco chiaro per quale ragione siano stati selezionati determinati obiettivi e misure, o come vadano valutati i relativi progressi, o in che misura essi possano davvero contribuire alla sostenibilità generale, posto che li si possa realizzare. L'attuale riesame dovrebbe permettere di precisare e chiarire tutti questi punti, in modo che in futuro si possa veramente riuscire a valutare in maniera più sistematica i progressi compiuti.

3.13

Dopo queste osservazioni critiche, il CESE desidera tuttavia anche rilevare alcuni aspetti positivi. Rispetto al programma d'azione presentato dalla Commissione nel dicembre 2005, è chiaro che la nuova strategia contiene un maggior numero di obiettivi concreti, ad esempio per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra o l'efficienza energetica. Alcuni obiettivi, in particolare, sono stati ulteriormente precisati dalle conclusioni specifiche del Consiglio europeo del marzo 2007 sulle questioni climatiche e in parte sulla politica energetica.

3.14

Strumenti per realizzare la strategia. Comunque sia, anche la nuova strategia (così come le conclusioni del Consiglio del marzo 2007) non chiarisce a sufficienza con quali strumenti si dovrebbero conseguire gli obiettivi ora più concretamente formulati, vale a dire quale «strategia» verrà effettivamente adottata a tale scopo, anche se è interessante notare che qualche indicazione in proposito emerge quanto meno tra le righe. Per il CESE, tuttavia, si tratta di tracce ancora troppo vaghe, ragion per cui la relazione biennale potrebbe e dovrebbe venir impiegata per fornire indicazioni concrete in materia, allo scopo di fungere da aiuto ed orientamento (cfr., infra, capitolo 5).

4.   Osservazioni di carattere specifico sulla nuova strategia

4.1

La nuova strategia sostiene che la dinamica del processo della strategia di Lisbona deve essere assolutamente incorporata negli obiettivi più generali dello sviluppo sostenibile. A ciò tuttavia non fa riscontro alcuna seria analisi di come i processi di crescita e di sviluppo dovranno cambiare per permettere in futuro un mondo più sostenibile. Le conseguenze degli sviluppi non sostenibili sono sempre più evidenti e si riflettono con particolare chiarezza nelle disastrose ripercussioni del cambiamento climatico, ma anche nella continua perdita di biodiversità su scala globale, nel divario sempre più accentuato tra ricchi e poveri, e nel prevedibile prossimo esaurimento delle materie prime.

4.2

Le ripercussioni saranno drammatiche sul piano economico e in certe regioni le attuali basi dell'economia rischiano un totale tracollo. In Svizzera, ad esempio, le banche non concedono più crediti a quanti intendano investire nelle infrastrutture invernali di località situate al di sotto dei 1.500 metri. Una grave e crescente incertezza riguarda anche il futuro dell'agricoltura e del turismo dell'area mediterranea, il cui clima rischia di divenire ancor più caldo e secco.

4.3

Le risorse finanziarie destinate nell'Unione europea alla protezione dei litorali dall'erosione e dalle inondazioni ammontano secondo le stime a 3,2 miliardi di euro, contro i 2,5 miliardi di euro del 1986, e stando ad alcuni studi l'erosione delle coste imporrà una spesa annuale media di 5,4 miliardi di euro nel trentennio 1990-2020. Tuttavia queste ingenti somme possono impedire, o mitigare, solo parte delle ripercussioni negative che si delineano all'orizzonte.

4.4

Il grave è che viviamo in un sistema economico nel quale i costi legati alla sanità e ai danni ambientali, ad esempio i miliardi spesi all'inizio del 2007 in seguito al ciclone Kyrill, vengono valutati positivamente sul piano macroeconomico, poiché contribuiscono ad incrementare il prodotto interno lordo. Il CESE esprime soddisfazione per il fatto che nella nuova strategia il Consiglio europeo cominci finalmente ad occuparsi di tali contraddizioni, anche se purtroppo solo in via marginale. Il Consiglio ha del tutto ragione quando osserva, al punto 20 della nuova strategia, che «il sistema essenziale di calcolo del reddito nazionale potrebbe essere esteso, includendovi, fra l'altro, i concetti di stock e di flussi e il lavoro non di mercato, ed essere perfezionato mediante conti satellite, p. es. spese ambientali, flussi materiali e tenendo conto delle migliori prassi internazionali».

4.5

Il CESE ricorda in tale contesto le proprie considerazioni del 2004, quando giudicava «opportuno che, nell'ambito della strategia di sostenibilità, si affrontino senz'altro questioni finora considerate pressoché tabù», come «quella della continua crescita economica come finalità principale e aspetto chiave di tutte le politiche» (8). Al riguardo il Comitato intendeva dire che la crescita non va misurata sul piano meramente quantitativo, e che occorre una «nuova impostazione di crescita» tale da dare la priorità ad obiettivi qualitativi, vale a dire orientati ai criteri della sostenibilità. La Commissione ed il Consiglio dovrebbero servirsi della relazione in esame:

anzitutto per chiarire se il ricorso al parametro del «prodotto interno lordo» come misuratore del benessere sociale e della prosperità economica non celi una contraddizione non riconosciuta o non dichiarata tra sostenibilità e strategia di Lisbona, e

per definire concretamente come formulare un nuovo «indicatore di benessere» più adeguato ai principi della sostenibilità.

4.6

Molti esempi dimostrano che i progressi sul piano economico ed ambientale non comportano necessariamente un aumento del PIL, anche se possono creare posti di lavoro e migliorare la tutela dell'ambiente. Se si sostituiscono le lampadine normalmente utilizzate con lampadine a basso consumo di energia si utilizza meno corrente elettrica, con la conseguenza che il PIL, pur tenendo conto degli investimenti da effettuare, ne risulta semmai ridotto. Tuttavia il Comitato auspica senz'altro una «crescita» in questo e in altri settori come l'isolamento degli edifici, i motori a basso consumo di carburante, gli apparecchi ad elevata efficienza energetica, ecc.

4.7

Pertanto il Comitato si rallegra che la Commissione stia ora esaminando una serie di possibili alternative al PIL come parametro di misura del benessere, ed esprime il proprio vivo interesse in proposito.

4.8

Come il Comitato ha ripetutamente osservato, lo sviluppo sostenibile non si può conseguire a costo zero. Il CESE ha infatti più volte ricordato che a livello macroeconomico è necessario procedere a cambiamenti strutturali fondamentali, nella consapevolezza che tali cambiamenti avranno comunque luogo, che lo si voglia o no. Il compito dei responsabili politici dovrebbe essere quello di avviare con accortezza i necessari cambiamenti per evitare effetti troppo dirompenti e limitare le ripercussioni negative più dannose.

4.9

Per quanto riguarda le responsabilità nel risolvere tali problemi, il Comitato ricorda che a livello microeconomico il compito di fissare le adeguate condizioni quadro non spetta solo alla politica, ma che occorre anche l'intervento degli attori economici e dei cittadini tutti. La Commissione sottolinea giustamente da parecchi anni la responsabilità sociale delle imprese che, attraverso il dialogo sociale, investe aspetti economici, sociali e ambientali.

4.10

Il Consiglio europeo ricorda nella nuova strategia (9) che questa «costituisce il quadro generale» nell'ambito del quale «gli obiettivi economici, sociali e ambientali possono rafforzarsi reciprocamente, e dovrebbero pertanto evolvere all'unisono.» Inoltre, afferma che tutte le decisioni politiche dell'UE andrebbero prese dopo avere soppesato «in modo equilibrato le dimensioni sociali, ambientali ed economiche dello sviluppo sostenibile e tenendo conto della sua dimensione esterna e dei costi dell'inazione». Tuttavia, non appena nella nuova strategia si passa a esaminare la questione delle risorse, non si parla più di dialogo sociale, bensì di dialogo istituzionalizzato tra Commissione e Stati membri, da un lato, e «mondo economico», dall'altro, al fine di fissare traguardi per le prestazioni dei prodotti e dei processi.

4.11

Il CESE sottolinea l'estrema importanza di avviare un confronto veramente ampio con tutte le parti sociali sulle misure politiche da adottare, sempre tenendo presenti gli obiettivi principali ed i principi di fondo fissati nella nuova strategia, e prendendoli concretamente sul serio. Solo in tal modo sarà possibile evitare possibili sviluppi negativi, ottenere il favore di gran parte dell'opinione pubblica e far sì che la sostenibilità assurga a reale principio d'azione.

4.11.1

Un esempio da non seguire sul piano procedurale è la decisione del Consiglio europeo nel contesto del «pacchetto energia» di imporre una quota del 10 % di biocarburanti nei carburanti tradizionali, rispetto al 5,75 % deciso in un primo tempo. Il CESE appoggia espressamente l'obiettivo fissato dal Consiglio europeo di ridurre le emissioni di CO2 entro il 2020 del 20 o del 30 % (a seconda degli impegni dei partner extraeuropei) ed approva anche l'obiettivo più ambizioso fissato al riguardo (la riduzione entro il 2050 di una percentuale compresa tra il 60 e l'80 %). Il requisito relativo alla miscela di biocarburanti deve non soltanto agevolare il conseguimento di tali obiettivi, ma anche essere conforme agli altri principi guida.

4.11.2

Bisogna pertanto tenere conto del bilancio sul piano energetico, naturale ed ambientale, come pure degli effetti derivanti da un'eventuale concorrenza nell'utilizzazione del suolo (a livello tanto nazionale quanto globale). L'intensificarsi dei dibattiti, ad esempio sulla quota estremamente elevata delle energie fossili nella produzione di biocarburanti apparentemente esenti da CO2  (10), sul loro reale impatto sul clima (11) o sulle ripercussioni sulla produzione degli alimenti (12), dimostrano ampiamente che non tutte le «questioni della sostenibilità» hanno già trovato risposta. Il CESE dedicherà un parere a sé stante a tale importantissima tematica.

4.12

Il Comitato è lieto di constatare che la discussione sulle conseguenze economiche e finanziarie della sostenibilità sia divenuta molto più concreta grazie anche alla pubblicazione del rapporto Stern. Nel rapporto Stern, come è noto, si calcola che l'1 % del PIL basterebbe ad attenuare in misura significativa l'impatto del cambiamento climatico. Uno studio della società Vattenfall presentato al vertice economico mondiale di Davos giunge addirittura alla conclusione che tale risultato potrebbe essere ottenuto a costi ancor più bassi. Anche se l'1 % del PIL, espresso in termini monetari reali, sembra una somma immensa, è opportuno istituire un confronto con altre politiche settoriali i cui costi sono anch'essi assai elevati. Per fare un esempio relativo al settore dei trasporti, la realizzazione del progetto TINA (13) comporterebbe sino al 2015 investimenti annui corrispondenti all'1,5 % circa del PIL per i soli corridoi di trasporto prestabiliti. In altri termini, sarebbe più costoso delle misure che il rapporto Stern giudica necessarie per mitigare l'impatto del cambiamento climatico.

4.13

Ma, come si è detto, la questione non riguarda tanto le risorse finanziarie, quanto in molti casi i cambiamenti strutturali. Il Comitato si compiace ad esempio dell'invito formulato nella nuova strategia di «dissociare la crescita economica dalla domanda di trasporto al fine di ridurre l'impatto sull'ambiente». Ciò però solleva anche degli interrogativi sulla cosiddetta produzione «just in time», dato che questa permette alle imprese di rinunciare all'immagazzinamento, con i relativi costi, trasformando di fatto i propri camion o treni merci, in vere e proprie unità mobili di immagazzinamento.

4.14

Il CESE deve purtroppo constatare che va emergendo con notevole rapidità un divario tra obiettivi teorici e probabile realtà. Infatti la Commissione ha presentato il Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti (pubblicato nel 2001) (14) appena 13 giorni dopo la decisione del Consiglio di approvare questo obiettivo operativo e questa azione. Nel testo del riesame si prevede per il periodo 2000-2020 un probabile aumento del PIL del 52 %, del trasporto merci su strada del 55 % e del traffico aereo del 108 %. L'auspicata «dissociazione tra crescita economica e domanda di trasporto» sembra pertanto limitata soprattutto al trasporto merci per ferrovia (+ 13 %) ed al trasporto passeggeri per ferrovia (+ 19 %).

4.15

Il CESE può solo constatare con sorpresa l'apparente mancanza di coordinamento tra l'elaborazione del riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti e la nuova strategia per lo sviluppo sostenibile, visto che l'evidente contraddizione tra aspirazioni e realtà viene del tutto ignorata. Nel settore dei trasporti infatti la Commissione sembra aver praticamente rinunciato al primo obiettivo specifico della strategia per lo sviluppo sostenibile: la separazione tra crescita economica ed aumento della mobilità. In futuro la Commissione dovrà impegnarsi al massimo per evitare l'emergere di tali contraddizioni. Per quanto riguarda il settore dei trasporti, sarà necessario ancora una volta cercare le possibilità di organizzare città e comuni, con tutte le loro diverse attività, in modo che le linee di comunicazione ed i percorsi di trasporto divengano progressivamente più brevi, anziché obbligare persone e merci a compiere viaggi sempre più lunghi sino alla propria destinazione. Ciò richiederà un adeguamento delle politiche fiscali e di assetto territoriale, nonché un coordinamento adeguato a tutti i livelli amministrativi, da quello comunitario a quello locale.

4.16

Per quanto riguarda la trattazione delle sempre più complesse problematiche dei trasporti, la nuova strategia risulta piuttosto deludente. Il CESE deve constatare che, in termini di soluzioni, la politica energetica dell'Unione è nel frattempo divenuta sostanzialmente più concreta di quella dei trasporti, le cui conseguenze negative per il clima, l'ambiente e la tutela della natura sono destinate ad accentuarsi ulteriormente.

4.17

Le conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2007 (15), stando alle quali il sistema del commercio delle quote di emissione potrebbe eventualmente essere esteso ai trasporti terrestri e marittimi, andrebbero integrate nella relazione biennale sulla SSS e valutate sul piano delle possibili conseguenze, anche in comparazione con altri strumenti.

5.   Il contenuto della relazione biennale

5.1

Il CESE si rallegra che, stando al punto 33 della nuova strategia, la Commissione «presenterà ogni due anni (a decorrere dal settembre 2007) una relazione sulla situazione dei lavori relativa all'attuazione della SSS nell'Unione e negli Stati membri, includendovi anche le priorità, gli orientamenti e le azioni per il futuro». Il CESE spera che in tal modo sia possibile dare risposta alle questioni rimaste sinora irrisolte.

5.2

Ciò è particolarmente importante in riferimento agli «strumenti di finanziamento ed economici», a cui nel testo si accenna in termini piuttosto vaghi. Ad esempio al punto 22 si asserisce che «gli strumenti economici più appropriati dovrebbero essere usati per promuovere la trasparenza dei mercati e prezzi che rispecchino i costi economici, sociali e ambientali effettivi di prodotti e servizi (fissare prezzi che riflettano i costi)». Ciò si ricollega alle ripetute richieste, anche da parte del CESE, di internalizzare i costi esterni e di individuare gli strumenti necessari a tal fine. Il CESE ricorda che il dibattito a questo proposito procede da molti anni, con risultati per lo più irrilevanti. Alla fine del marzo 2007 la Commissione ha presentato con tre anni di ritardo il Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi, che ha permesso di rilanciare la discussione. Il Comitato vigilerà affinché nel contesto delle relazioni biennali si faccia finalmente qualche passo avanti su una questione così cruciale per lo sviluppo sostenibile.

5.3

Al punto 23, il Consiglio europeo — vale a dire i medesimi capi di Stato e di governo degli Stati membri — chiede agli Stati membri di «prendere in esame ulteriori iniziative per trasferire l'imposizione fiscale dal lavoro al consumo di risorse e di energia e/o all'inquinamento, per contribuire agli obiettivi dell'Unione di aumentare l'occupazione e ridurre gli effetti negativi per l'ambiente in modo efficiente rispetto ai costi». Il CESE accoglie con favore tale richiesta e invita la Commissione a dare ampio spazio a tale aspetto nella relazione biennale, presentando proposte concrete su come si possa giungere a tale risultato. In tale contesto bisognerà esaminare attentamente sia le ripercussioni sull'ambiente sia la ripartizione degli oneri, per impedire che il trasferimento dell'imposizione fiscale colpisca in particolar modo le fasce sociali più deboli.

5.4

Il CESE accoglie anche con favore l'annuncio secondo cui «entro il 2008 la Commissione dovrebbe presentare una tabella di marcia per la riforma, settore per settore, dei sussidi che hanno notevoli effetti negativi sull'ambiente e che sono incompatibili con lo sviluppo sostenibile». Il Comitato appoggia anche l'obiettivo «di eliminare gradualmente tali sussidi», ma troverebbe utile che a tal fine si indicasse un calendario concreto e si valutasse altresì la possibilità di trasferire le risorse così risparmiate in un nuovo «fondo europeo per lo sviluppo sostenibile», cui gli Stati membri potrebbero far ricorso ogniqualvolta una misura di tutela ambientale comporti costi sproporzionati per i loro bilanci (articolo 175, paragrafo 5, e articolo 174, paragrafo 1, del Trattato di Nizza).

5.5

Nei suoi precedenti pareri il CESE ha sistematicamente ribadito che per i cittadini, per le imprese e per tutte le parti interessate è importante sapere con chiarezza quali progetti politici concreti siano in cantiere e quali ne siano le rispettive motivazioni, giacché solo così essi saranno disposti a seguire e sostenere tale importante processo. Pertanto, è giusto che il Consiglio abbia incaricato la Commissione di «produrre una guida divulgativa su questa strategia, comprese le buone prassi e le buone politiche negli Stati membri» (punto 26), sennonché anche in questo caso si lamenta la mancanza di un calendario concreto, un aspetto — questo — che andrebbe esaminato nella relazione biennale.

5.6

La strategia impone di migliorare l'iter di elaborazione delle politiche ricorrendo più spesso alle valutazioni di impatto e coinvolgendo maggiormente le parti interessate. Il Comitato approva tale obbligo e chiede alla Commissione ed agli Stati membri di esaminare le esperienze maturate con i metodi di valutazione di impatto nel settore dello sviluppo sostenibile e di garantire che vengano impiegate con efficacia in tutte le politiche e le misure adottate.

5.7

Il CESE ritiene molto importante l'approccio inteso a «elaborare una visione concreta e realistica dell'Unione nella sua via verso lo sviluppo sostenibile nel corso dei prossimi 50 anni» (punto 27), ma anche in tale contesto è lecito chiedersi quali misure debbano essere attuate, ed entro quando. Il Comitato chiede sin d'ora che un tale approccio guardi oltre il 2060 visto che, stando agli impegni e agli obiettivi chiave presentati nel documento sulla nuova strategia (16), gli indirizzi sociali fondamentali, anche quelli relativi al lungo termine, andrebbero adottati prima possibile. Nel vertice svolto agli inizi di marzo 2007, il Consiglio europeo si è di fatto avviato su questa direzione quando ha dichiarato di voler ridurre le emissioni globali dal 60 all'80 % entro il 2050, rispetto al 1990 (17). Alcune materie prime fossili o non rinnovabili saranno certamente disponibili per più di cinquanta anni, tuttavia non lo saranno all'infinito, ed è pertanto utile riflettere sin d'ora sui termini di una politica che vada oltre il prossimo cinquantennio, soprattutto se si vuole veramente tener conto del concetto di «solidarietà intergenerazionale».

5.8

Il Comitato apprezzerebbe certamente che tali aspetti trasversali, da integrare a tutti i livelli di elaborazione politica (UE e Stati membri), venissero presi in considerazione anche nei vari elementi della strategia per ottenere risultati efficaci. Tuttavia, non si indica in che modo ciò possa essere garantito, forse perché nell'attuale fase evolutiva dei testi, confermata dal progetto di Costituzione europea, la competenza dell'Unione in tale settore è solo parziale, mentre gli Stati membri «provvedono al finanziamento e all'esecuzione della politica in materia ambientale» (articolo 175, paragrafo 4, del Trattato di Nizza). I vari attori non vengono pertanto precisati.

5.9

Nella nuova strategia si afferma che «ogni Stato membro nominerà un rappresentante che fungerà da elemento focale per la SSS». Il CESE ritiene necessario che la relazione biennale indichi se si sia già proceduto a tali nomine e in che modo sia andata avanti la cooperazione.

5.10

La prima relazione biennale dovrebbe anche indicare se tutti gli Stati membri abbiano completato le loro (prime) strategie nazionali, previste per il giugno 2007. Il CESE si chiede chi valuterà tali strategie nazionali ed in base a quali criteri, e che conseguenze vi saranno per quegli Stati membri che non abbiano completato le proprie strategie o che abbiano presentato strategie inadeguate.

5.11

Al punto 41 il Consiglio europeo parla di «valutazioni inter pares volontarie delle SSS nazionali» che «dovrebbero iniziare nel 2006 con un primo gruppo di Stati membri». La relazione biennale dovrebbe indicare i risultati di queste valutazioni e le conseguenze che se ne possono trarre per la strategia europea.

5.12

Il CESE è del tutto consapevole del fatto che in numerose questioni legate allo sviluppo sostenibile la competenza spetta agli Stati membri e alle amministrazioni regionali e locali, che per molti problemi debbono elaborare impostazioni e modalità d'intervento proprie. Ritiene però necessario che si rafforzino anche le capacità della Commissione, se si vogliono conseguire i desiderati progressi nel settore dello sviluppo sostenibile, in modo che questi possano essere monitorati globalmente e che sia possibile adottare nuove misure là dove l'attuazione sembri avere dei ritardi e s'imponga un intervento comunitario. Il Comitato dubita che il coordinamento e lo scambio di buone prassi siano sufficienti. Infine, desidererebbe ricevere ogni anno una sintesi dei risultati ottenuti dagli Stati membri.

5.13

Nel quadro della strategia viene raccomandato di istituire o di rafforzare i consigli consultivi nazionali sullo sviluppo sostenibile. Questi ultimi svolgono un ruolo importante nella preparazione delle strategie nazionali in materia di sviluppo sostenibile e possono anche contribuire all'adozione di misure negli Stati membri che coinvolgano la società civile in iniziative di promozione dello sviluppo sostenibile e nel monitoraggio dei progressi effettuati. Tra i loro compiti figura anche l'applicazione del principio di sviluppo sostenibile e il mantenimento di un equilibrio dinamico tra le sue tre componenti: quella economica, quella sociale e quella ambientale. Il Comitato non constata alcun concreto progresso in tal senso, ed intende esaminare tale tematica nel corso del 2007. Nel frattempo chiede che la questione venga discussa assieme agli Stati membri anche nel quadro dell'esame dell'attuazione.

5.14

È inoltre importante che gli Stati membri e la Commissione considerino come si possa garantire il coordinamento delle questioni dello sviluppo sostenibile nell'ambito delle proprie strutture. Lo sviluppo sostenibile è un concetto orizzontale ed integrante che dovrebbe trascendere, ed in alcuni casi modificare, le preoccupazioni a carattere più settoriale dei vari dipartimenti ed agenzie. L'esperienza mostra che ciò può avvenire sul piano operativo solamente quando, all'interno di un governo, esiste una forte unità centrale capace di promuovere lo sviluppo sostenibile, in quanto dispone delle conoscenze e dell'autorità necessarie a sfidare e mettere in discussione i dogmi esistenti nei vari settori e dipartimenti. La relazione sulla situazione dei lavori dovrebbe anche indicare le necessità di miglioramento ravvisate dalla Commissione nei propri servizi. Il CESE è certo infatti che anche in tale contesto vi sia un margine di miglioramento (cfr. punti 4.15 e 4.16).

5.15

La strategia ricorda giustamente che lo sviluppo sostenibile deve essere pienamente integrato nei compiti e nelle prassi di tutti i livelli delle amministrazioni locali e regionali. Alcuni enti locali e regionali europei hanno svolto una funzione guida adottando un'impostazione operativa improntata allo sviluppo sostenibile e mettendo a punto approcci innovativi per far fronte al cambiamento climatico ed alle altre sfide della sostenibilità. Il riesame dell'attuazione offre un'eccellente opportunità per valutare i progressi in materia di sviluppo sostenibile a livello regionale e locale, e per esaminare in che modo si possano divulgare meglio le migliori prassi esistenti.

5.16

Al punto 45 si asserisce che «nel 2011, il Consiglio europeo deciderà quando dovrà essere avviato un riesame globale della SSS dell'Unione». Il CESE non può approvare una tale formulazione. Se nel contesto delle relazioni biennali dovessero evidenziarsi problemi nel percorso dell'Europa verso lo sviluppo sostenibile, ciò dimostrerebbe che la strategia (cioè, per l'appunto, il percorso verso l'obiettivo) non è valida. In tal caso, sarebbe necessario procedere immediatamente ad un riesame, senza aspettare il 2011.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 845 def.

(2)  COM(2005) 658 def. del 13.12.2005.

(3)  GU C 117 del 30.4.2004, pag. 22, punto 2.2.1.

(4)  Consiglio dell'Unione europea, documento 10917/06 del 26.6.2006: Riesame della strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile (SSS dell'UE)Nuova strategia.

(5)  GU C 117 del 30.4.2004.

(6)  GU C 117 del 30.4.2004.

(7)  Id., cfr. tra l'altro i punti 0.8 e 6.4 e segg.

(8)  GU C 117 del 30.4.2004, pag. 22, punto 2.3.9.

(9)  Cfr. punto 8 della strategia.

(10)  L'83 % del contenuto energetico dell'etanolo prodotto a partire dal mais è dovuto all'impiego di energie fossili.

(11)  Elevata componente di protossido di azoto nella produzione di colza (uno studio al proposito dovrebbe venir finalizzato prima della pausa estiva, vale a dire entro la plenaria).

(12)  Si veda quanto è avvenuto in Messico, dove sono scoppiati disordini per l'aumento del costo delle tortillas perché il mais viene sempre più frequentemente utilizzato come componente dei carburanti.

(13)  Acronimo di Transport Infrastructure Needs Assessment (Valutazione del fabbisogno infrastrutturale di trasporto).

(14)  COM(2006) 314 def.

(15)  Cfr. punto 35.

(16)  Nella fattispecie, non «compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro bisogni», promuovere «la coesione e la giustizia sociale» e garantire il «miglioramento della qualità della vita» e la «piena occupazione» allo scopo di realizzare gli obiettivi di fondo, e cioè «porre gli esseri umani al centro delle politiche dell'Unione europea, promuovendo i diritti fondamentali, lottando contro tutte le forme di discriminazione e contribuendo alla lotta contro la povertà e all'eliminazione dell'emarginazione sociale nel mondo intero».

(17)  Cfr. punto 30 delle conclusioni.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 2.4

Modificare come segue:

«Nell'ultimo parere in materia il Comitato ha esaminato la succitata comunicazione della Commissione del dicembre 2005, deplorando che nel programma d'azione, definito “ambizioso”, la Commissione non avesse né ripreso le raccomandazioni formulate dal CESE nell'aprile 2004, né mantenuto i propri impegni del giugno 2005. Infatti il testo della comunicazione, contrariamente a quanto era stato promesso, non precisa nessun chiaro obiettivo da conseguire nell'ambito della strategia per lo sviluppo sostenibile (SSS).»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 35

Voti contrari: 61

Astensioni: 4

Punto 2.4.1

Modificare come segue:

«Nel parere, il Comitato fa notare che una strategia dovrebbe tracciare un percorso volto a perseguire una serie di obiettivi, e che la mancanza di obiettivi concreti, difficili da definire data la necessità di tener conto dei diversi aspetti della sostenibilità, non può che provocare problemi per la definizione degli strumenti. Infatti, se non si sa dove si vuole esattamente arrivare, non si può certo stabilire come ci si arriverà. Pertanto il Comitato ritiene che la comunicazione lasci una mole di questioni irrisolte superiore al numero delle risposte e delle indicazioni concrete offerte. »

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 34

Voti contrari: 63

Astensioni: 3

Punto 3.11

Modificare come segue:

«L'interrogativo se un'agricoltura europea orientata alla concorrenza su un mercato mondiale aperto possa essere sostenibile solleva automaticamente la questione più generale delle regole applicabili alla produzione e al commercio su scala mondiale. L'OMC è un'organizzazione che si basa su accordi intesi a promuovere la libera concorrenza a livello internazionale. Ma, come il CESE ha mostrato in numerose occasioni, un commercio libero e liberalizzato non risulta eoipso più sostenibile. Purtroppo La nuova strategia non dice nulla su come si possa rendere il libero commercio sviluppare gli scambi in maniera compatibile con i principi della sostenibilità, il che è una grave omissione. Anche a questo riguardo il CESE deve purtroppo constatare che i responsabili politici dell'Unione continuano a eludere tale questione, che era già stata sollevata dal Comitato tre anni orsono. Il CESE tuttavia rileva con soddisfazione che negli ultimi anni l'Unione europea ha mostrato una reale determinazione a negoziare, anche con il FMI e la Banca mondiale, una nuova regolamentazione degli scambi mondiali.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 35

Voti contrari: 63

Astensioni: 8

Punto 3.11.2

Sopprimere:

« Il CESE propone pertanto che la Commissione elabori una comunicazione volta a definire gli orientamenti per la gestione e l'assegnazione delle risorse comuni del pianeta. Tale comunicazione dovrebbe incentrarsi su un quadro a lungo termine per stabilizzare le concentrazioni di gas ad effetto serra a livelli “sicuri” grazie alla ripartizione internazionale di un insieme di emissioni globali. Al termine di un periodo di tempo concordato, nel corso del quale le emissioni pro capite dovrebbero convergere, i diritti in questione risulterebbero uguali. Un tale approccio, già ampiamente discusso e noto come “Contrazione e convergenzaè in grado di tener conto allo stesso tempo delle ripercussioni della crescita demografica, della capacità industriale, della globalizzazione e delle esigenze legate alla riassegnazione equa e pratica dell'atmosfera planetaria in quanto risorsa condivisa. »

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 38

Voti contrari: 63

Astensioni: 3

Punto 4.2

Modificare come segue:

«Le ripercussioni saranno possono risultare drammatiche sul piano economico e in certe regioni le attuali basi dell'economia rischiano un totale tracollo sono a rischio. In Svizzera, ad esempio, le banche non concedono più crediti a quanti intendano investire nelle infrastrutture invernali di località situate al di sotto dei 1 500 metri. Una grave e crescente incertezza riguarda anche il futuro dell'agricoltura e del turismo dell'area mediterranea, il cui clima rischia di divenire ancor più caldo e secco.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 41

Voti contrari: 57

Astensioni: 3

Punto 4.4

Modificare come segue:

«Il fatto grave è che viviamo in un sistema economico nel quale i costi legati a della sanità e, in taluni casi, a dei danni ambientali, ad esempio i miliardi spesi all'inizio del 2007 in seguito al ciclone Kyrill, vengono valutati positivamente sul piano macroeconomico, poiché vengano computati ai fini del calcolo del prodotto interno lordo e contribuisco ano ad incrementare lo il prodotto interno lordo , mentre altre importanti attività non sono fatte rientrare nel calcolo, costituisce un problema ben noto. Il CESE esprime soddisfazione per il fatto che nella nuova strategia il Consiglio europeo cominci finalmente ad occuparsi di tali contraddizioni, anche se purtroppo solo in via marginale. Il Consiglio ha del tutto ragione quando osserva, al punto 20 della nuova strategia, che “il sistema essenziale di calcolo del reddito nazionale potrebbe essere esteso, includendovi, fra l'altro, i concetti di stock e di flussi e il lavoro non di mercato, ed essere perfezionato mediante conti satellite, p. es. spese ambientali, flussi materiali e tenendo conto delle migliori prassi internazionali”.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 35

Voti contrari: 56

Astensioni: 8

Punto 4.10

Modificare come segue:

«Il Consiglio europeo ricorda nella nuova strategia che questa “costituisce il quadro generale” nell'ambito del quale “gli obiettivi economici, sociali e ambientali possono rafforzarsi reciprocamente, e dovrebbero pertanto evolvere all'unisono”. Inoltre, afferma che tutte le decisioni politiche dell'UE andrebbero prese dopo avere soppesato “in modo equilibrato le dimensioni sociali, ambientali ed economiche dello sviluppo sostenibile e tenendo conto della sua dimensione esterna e dei costi dell'inazione”. Tuttavia, non appena nella nuova strategia si passa a esaminare la questione delle risorse, non si parla più di dialogo sociale, bensì di un dialogo istituzionalizzato tra Commissione e Stati membri, da un lato, e “il mondo economico”, dall'altro, al fine di fissare traguardi per le prestazioni dei prodotti e processi.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 41

Voti contrari: 55

Astensioni: 3

Punto 4.14

Modificare come segue:

«Ma, come si è detto, la questione non riguarda tanto le risorse finanziarie, quanto in molti casi i cambiamenti strutturali. Il Comitato si compiace ad esempio dell'invito formulato nella nuova strategia di “dissociare la crescita economica dalla domanda di trasporto al fine di ridurre l'impatto sull'ambiente”. Ciò però solleva anche degli interrogativi sulla cosiddetta produzione “just in time”, dato che questa permette alle imprese di rinunciare all'immagazzinamento, con i relativi costi, trasformando di fatto i propri camion o treni merci, in vere e proprie unità mobili di immagazzinamento.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 39

Voti contrari: 56

Astensioni: 6

Punto 4.16

Modificare come segue:

«Il CESE può solo constatare con sorpresa l'apparente mancanza di coordinamento tra l'elaborazione del riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti e la nuova strategia per lo sviluppo sostenibile, visto che l'evidente contraddizione tra aspirazioni e realtà viene ignorata. Nel settore dei trasporti infatti la Commissione sembra aver quasi del tutto rinunciato al primo obiettivo specifico della strategia per lo sviluppo sostenibile: la separazione tra crescita economica ed aumento della mobilità. In futuro la Commissione dovrà impegnarsi al massimo per evitare l'emergere di tali contraddizioni. Per quanto riguarda il settore dei trasporti, sarà necessario ancora una volta cercare quali possibilità vi siano di organizzare città e comuni, e tutte le loro diverse attività, in modo che le linee di comunicazione ed i percorsi di trasporto divengano progressivamente più brevi, anziché obbligare persone e merci a compiere viaggi sempre più lunghi sino alla propria destinazione. Ciò richiederà un adeguamento delle politiche fiscali e di assetto territoriale, nonché un coordinamento adeguato a tutti i livelli amministrativi, da quello comunitario a quello locale.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 36

Voti contrari: 63

Astensioni: 4


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/86


Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche sui prodotti fitosanitari

COM(2006) 778 def. — 2006/0258 (COD)

(2007/C 256/16)

Il Consiglio, in data 16 maggio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 285, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore Frank VAN OORSCHOT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data dell'11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore il regolamento relativo alle statistiche sui prodotti fitosanitari come strumento per misurare i progressi compiuti dagli Stati membri nel conseguimento degli obiettivi della direttiva quadro (1) sull'impiego sostenibile dei prodotti fitosanitari.

1.2

Il Comitato si rammarica tuttavia che questo regolamento riguardi unicamente l'uso professionale dei prodotti fitosanitari nell'agricoltura e non contempli il loro uso potenzialmente inquinante sulle superfici dure.

1.3

Per quanto riguarda il collegamento dei dati sugli usi con i dati relativi ai livelli massimi di residui (LMR), il Comitato sottolinea che vanno tenuti presenti non solo le quantità dei prodotti utilizzati e la superficie coltivata trattata, ma anche i dati riguardanti le rese delle coltivazioni. Per assicurare il collegamento dei dati relativi agli usi con le attuali statistiche UE sulle coltivazioni, e in particolare con quelle riguardanti le loro rese, occorre che il regolamento in esame menzioni esplicitamente l'utilizzo di tali statistiche sulle coltivazioni.

2.   Proposta della Commissione

2.1

Il regolamento proposto mira a istituire un quadro giuridico per l'elaborazione di statistiche comunitarie sull'immissione in commercio e sull'uso dei prodotti fitosanitari, prevedendo per tutti gli Stati membri l'obbligo di predisporre regolarmente delle statistiche particolareggiate. Per assicurare la comparabilità di queste statistiche sia tra gli Stati membri sia a livello comunitario il regolamento stabilisce il loro ambito di riferimento — che è limitato all'uso professionale nell'agricoltura — e regole armonizzate per la rilevazione di dati e per l'elaborazione di statistiche.

2.2

Queste statistiche avranno un'importanza cruciale sia per la valutazione dei rischi che l'uso dei prodotti fitosanitari comporta per la salute e l'ambiente, sia per la misurazione dei progressi compiuti nella realizzazione degli obiettivi elencati nella direttiva quadro sull'uso sostenibile dei pesticidi.

2.3

I vantaggi del regolamento in esame vanno visti alla luce della direttiva quadro generale. L'obiettivo globale delle misure da questa contemplate consiste in miglioramenti sotto il profilo dell'ambiente e della salute della popolazione o in altri vantaggi per la collettività (ad esempio la riduzione dei costi esterni originati dall'uso di prodotti fitosanitari) grazie ad un impiego più sostenibile dei pesticidi. I progressi possono essere misurati unicamente sulla scorta di dati affidabili e di indicatori appropriati. Questo regolamento può offrire vantaggi diretti a livello sia nazionale che comunitario: ad esempio, una migliore conoscenza dell'uso dei pesticidi, sistemi di controllo più perfezionati e una politica più mirata ed efficiente. Inoltre, la disponibilità di statistiche ufficiali nell'intera Europa assicurerà una maggiore trasparenza del mercato e quindi una maggiore competitività dell'industria dei pesticidi.

3.   Quadro legislativo in vigore

3.1

Regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 febbraio 2005, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale e che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio.

3.2

Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull'igiene dei prodotti alimentari, in particolare l'allegato I, parte A, punto 9, che impone agli operatori del settore alimentare che producono o raccolgono prodotti vegetali l'obbligo di tenere registrazioni riguardanti l'uso di qualsiasi prodotto fitosanitario e biocido.

3.3

Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

3.4

Direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (attualmente in corso di revisione).

4.   Sintesi della proposta di regolamento

4.1

La proposta di regolamento in esame istituisce un quadro giuridico e stabilisce norme armonizzate sulla rilevazione e sulla diffusione di dati riguardanti l'immissione in commercio e l'uso dei prodotti fitosanitari. In particolare, prescrive agli Stati membri:

l'obbligo di rilevare regolarmente dati (con cadenza annuale, per quanto riguarda l'immissione in commercio; ogni cinque anni, per quanto riguarda l'utilizzo),

le modalità di rilevazione dei dati: mediante indagini rappresentative, procedure di stima statistica sulla base di modelli o di valutazioni di esperti, imponendo obblighi di trasmissione di dati, da un lato, ai distributori riguardo ai prodotti fitosanitari immessi in commercio e, dall'altro, agli utilizzatori professionali, sulla scorta di fonti amministrative o di una combinazione di tali strumenti,

le modalità di trasmissione dei dati alla Commissione.

4.2

Il regolamento attribuisce inoltre alla Commissione il compito di adeguare alcuni aspetti tecnici e di definire i criteri di valutazione della qualità e il formato per la trasmissione dei dati.

5.   Osservazioni di carattere generale

5.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta di regolamento relativo alle statistiche sui prodotti fitosanitari come strumento per misurare i progressi compiuti dagli Stati membri nel perseguimento degli obiettivi della direttiva quadro sull'uso sostenibile dei pesticidi.

6.   Osservazioni di carattere particolare

6.1   Impiego professionale non agricolo

6.1.1

I dati relativi al monitoraggio del settore dell'acqua potabile dei Paesi Bassi indicano che oltre il 50 % dei casi in cui i prodotti fitosanitari provocano violazioni delle norme relative all'acqua potabile sono imputabili all'uso non agricolo di tali prodotti su superfici dure.

6.1.2

Il regolamento sulle statistiche permette una valutazione approssimativa dell'utilizzo complessivo di un prodotto al di fuori dell'agricoltura deducendo dalla quantità globale immessa sul mercato in un determinato anno la quantità complessiva che viene destinata all'uso professionale nel settore agricolo.

6.1.3

Il CESE ritiene che questo calcolo indiretto dell'uso non agricolo sia troppo impreciso per valutare adeguatamente la politica attuata sulla base della direttiva quadro.

6.1.4

Il CESE preme quindi affinché il regolamento sulle statistiche in esame venga utilizzato non solo per la rilevazione dei dati sull'uso professionale dei prodotti fitosanitari in agricoltura, ma anche per raccogliere dati circa l'utilizzo professionale di tali prodotti nella silvicoltura, l'uso professionale sulle superfici dure e l'uso non professionale.

6.2   I regolamenti sulle statistiche e i dati relativi ai livelli massimi di residui (LMR)

6.2.1

Per quanto riguarda il collegamento dei dati sugli usi con i dati relativi ai livelli massimi di residui (LMR), il Comitato sottolinea che occorre tener presenti non solo le quantità dei prodotti utilizzati e la superficie coltivata trattata, ma anche i dati relativi alle rese delle coltivazioni. In presenza di rese inferiori una stessa quantità di prodotti su una medesima estensione implica un'ecoefficienza minore e maggiori rischi di superamento dei livelli massimi di residui.

6.2.2

Nell'allegato II della proposta in esame si fa riferimento al regolamento (CEE) n. 571/88 del Consiglio relativo all'organizzazione di indagini comunitarie sulla struttura delle aziende agricole, allo scopo di utilizzare la medesima classificazione delle coltivazioni sia per le indagini sulla struttura delle aziende agricole sia per la rilevazione dei dati sull'uso dei prodotti fitofarmaci. In tal modo le statistiche sull'uso dei prodotti fitofarmaci possono essere effettivamente collegate a quelle sulle rese delle coltivazioni.

6.2.3

Il Comitato riconosce che il riferimento al regolamento (CESE) n. 571/88 offre la possibilità di collegare i dati sull'utilizzo dei prodotti fitofarmaci a quelli sulle rese delle coltivazioni interessate. Per assicurare che tale opportunità di collegamento sia effettivamente sfruttata, occorre che il regolamento in esame preveda esplicitamente l'utilizzo delle statistiche riguardanti le singole coltivazioni, e segnatamente le relative rese, nell'analisi dei dati circa l'uso dei prodotti fitosanitari.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 373 def. — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/88


Parere del Comitato economico e sociale sul tema Innovazione: l'impatto sulle mutazioni industriali e il ruolo della BEI

(2007/C 256/17)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa su: Innovazione: l'impatto sulle mutazioni industriali e il ruolo della BEI.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore TÓTH e dal correlatore CALVET CHAMBON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Dopo avere esaminato i rapporti tra l'innovazione e le mutazioni industriali, nonché le numerose iniziative realizzate a livello europeo e nazionale in tali settori, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha deciso di elaborare un parere di iniziativa per analizzare gli aspetti del sistema di innovazione che possono favorire la conversione diretta dei risultati della ricerca in risultati commerciali, il rafforzamento e lo sviluppo dell'industria e dell'economia europee, e formulare raccomandazioni in materia.

1.2

Il CESE considera degno di nota il fatto che in numerosi Stati e regioni esiste una stretta correlazione tra il successo dell'innovazione e l'apertura della società e del sistema di istruzione. Dato che nel nostro secolo l'innovazione è presente, e addirittura decisiva, non soltanto nell'economia, ma in tutte le attività, le risorse umane possono diventare un importante fattore di crescita. Il CESE ritiene che tale fattore diverrà sempre più decisivo in quanto catalizzatore dello sviluppo, e che pertanto l'innovazione debba innanzitutto poggiare su un'ampia base di istruzione e di formazione, conformemente ai criteri dell'apprendimento permanente, e avvalersi in quest'ottica di un accesso equo a basi di conoscenza caratterizzate da fonti e contenuti aperti.

1.3

Il CESE considera essenziale che le imprese realizzino, tra l'innovazione, la politica delle risorse umane e i settori della conoscenza, delle sinergie che non soltanto fungano da base per l'innovazione, ma ne consentano anche il pieno sviluppo. Contemporaneamente occorre fare in modo che la ristrutturazione industriale si adatti in maniera flessibile ai cambiamenti delle strutture occupazionali e che vengano garantite le risorse finanziarie necessarie a tal fine.

1.4

Il CESE ritiene molto importante che aumentino la visibilità, la presenza e la risonanza positiva presso l'opinione pubblica dei progetti di innovazione che hanno avuto successo. Il ruolo innovativo svolto dalla società riveste grande importanza nell'intera catena dell'innovazione. Accanto all'innovazione tecnologica risulta almeno altrettanto importante quella non tecnologica, che consiste per esempio in nuovi modelli di gestione aziendale, in una migliore programmazione, nello sviluppo qualitativo dell'organizzazione del lavoro e delle competenze. L'innovazione nel campo dell'organizzazione e dello sviluppo organizzativo è in generale necessaria affinché il potenziale di innovazione tecnologica si realizzi nel modo migliore possibile.

1.5

Le parti sociali e gli altri soggetti e organizzazioni della società civile hanno già adesso un ruolo molto importante per quanto riguarda la percezione, il consolidamento e l'accettazione della spinta all'ammodernamento che deriva dall'innovazione; si ritiene tuttavia che tale funzione vada rafforzata includendovi tra l'altro la definizione delle priorità strategiche e delle politiche.

1.6

Il CESE è convinto che per risolvere il paradosso europeo — una posizione molto avanzata nella ricerca di base, ma un ritardo nello sfruttamento pratico commerciale dei risultati raggiunti — occorra, più che un aumento della percentuale del PIL destinata al sostegno delle attività di ricerca e sviluppo, una trasformazione della struttura di tali spese. Bisogna intensificare gli sforzi in termini di spesa, ma anche dedicare maggiore attenzione ai nuovi approcci.

1.6.1

Negli Stati membri il versante dell'offerta rimane spesso dominante nel settore della ricerca e sviluppo: in altri termini l'offerta combinata di risultati delle attività di ricerca è maggiore della richiesta proveniente dalle imprese. È necessario rafforzare il versante della domanda, limitando i rischi inerenti all'attività imprenditoriale, creando condizioni più favorevoli alla ricerca nelle imprese, trasformando il contesto dell'attività imprenditoriale e stimolando la cooperazione tra le università, gli istituti di ricerca e le imprese.

1.6.2

Per accrescere la capacità di innovazione sostenibile delle imprese occorre fare, a livello sia europeo che nazionale e regionale, degli sforzi coordinati nei campi del finanziamento, della ricerca e dello sviluppo, della politica industriale e fiscale, dell'istruzione, della protezione dell'ambiente, dei mezzi di informazione e della comunicazione.

1.6.3

Il CESE ritiene che occorra considerare una soluzione che viene già utilizzata a livello degli Stati membri e che consiste nel fare in modo che le imprese che hanno una propria attività di sviluppo o che commissionano tale attività a istituti di ricerca possano accedere, attraverso manifestazioni di interesse, a finanziamenti aggiuntivi, provenienti sia dai bilanci pubblici che da fonti private.

1.7

Il Comitato sottolinea che il riconoscimento e la protezione del valore della proprietà intellettuale nell'UE sono sempre meno all'altezza delle esigenze crescenti della concorrenza a livello mondiale. Bisogna continuare a riconoscere l'importanza di pubblicare i risultati della ricerca scientifica e il ruolo della valutazione che ne deriva; in altri termini, l'importanza del «mercato della scienza». Parimenti, se si vogliono trovare delle soluzioni nel campo dello sfruttamento commerciale e del brevetto dei risultati della ricerca, far rispettare i diritti di proprietà intellettuale e far meglio valere gli interessi comunitari, è necessario dedicarsi con maggiore attenzione a tali questioni, adottando soluzioni globali. Il CESE considera importante che, parallelamente allo sviluppo del diritto comunitario, gli Stati membri considerino quali strumenti utilizzare per sviluppare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, tra l'altro attraverso il monitoraggio istituzionale del loro sfruttamento e una migliore cooperazione all'interno dell'UE.

1.8

Il CESE ritiene che per promuovere l'innovazione e far crescere la competitività in modo dinamico e in un'ottica di sviluppo sostenibile sia necessario creare delle funzioni di gestione dell'innovazione strategica e trovare delle soluzioni per la formazione dei ricercatori e degli esperti di impresa in questo settore. È particolarmente importante integrare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione nei programmi di istruzione (1), affinché l'insegnamento on-line riservi una particolare attenzione alla gestione dell'innovazione e allo sviluppo dei relativi sistemi di incentivazione e delle condizioni organizzative.

1.9

A giudizio del Comitato, nell'interesse dell'innovazione bisogna sforzarsi di allineare gli assi prioritari delle mutazioni industriali con quelli della formazione e della riqualificazione professionale, consentendo una reazione tempestiva, anche nel quadro della formazione, alle esigenze e alle mutazioni del mercato. Occorre inoltre adoperarsi affinché, in aggiunta alla libera circolazione dei ricercatori, anche il dispositivo di gestione dell'innovazione sia caratterizzato da un'adeguata mobilità e si avvii un'ampia cooperazione tra i responsabili esecutivi delle istituzioni dell'innovazione e quelli dei parchi scientifici e tecnologici.

1.10

Il CESE ritiene che le strutture direzionali e organizzative in grado di accrescere l'efficacia dei trasferimenti tecnologici svolgano un ruolo particolare nel promuovere la mutazione delle strutture industriali. I parchi industriali, scientifici, tecnologici e i centri tecnologici sono strumenti estremamente importanti per garantire l'indispensabile consulenza e assistenza, mentre i laboratori sono assolutamente necessari affinché le piccole e medie imprese (PMI) vengano lanciate, avviino la propria attività, acquisiscano quote di mercato e stiano al passo con il progresso tecnologico. Perché le imprese dispongano delle condizioni necessarie per l'innovazione, a costi relativamente moderati e con contenuti di livello soddisfacente, è sempre più necessario che gli organismi preposti al trasferimento delle tecnologie funzionino in rete, in modo che i compiti logistici vengano svolti per mezzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. È importante che la Commissione rifletta su differenti modalità di rinnovamento di tali strutture, in particolare incoraggiando lo sviluppo di poli di tecnologie scientifiche (di competitività) e di centri della conoscenza. Occorre assegnare ai poli scientifici (di competitività), che comprendono università, parchi scientifici o tecnologici e centri di incubazione o tecnologici, un ruolo chiave nella realizzazione delle priorità di sviluppo dell'UE, e bisogna inoltre favorire la creazione di tali strutture.

1.11

Il CESE ritiene che gli obiettivi sui quali l'UE ha fortemente insistito, come l'ambizione della strategia di Lisbona di fare dell'Europa in un ragionevole lasso di tempo l'area più competitiva del mondo, non si riflettano nelle discussioni sul bilancio, e tanto meno nel bilancio approvato. La Commissione dedica ad alcuni programmi di ricerca e sviluppo importanti strumenti, ma il ruolo e il peso di tali strumenti non crescono nella misura auspicata. Tali programmi svolgerebbero il loro ruolo in maniera veramente efficace se, negli Stati membri, il loro impatto si moltiplicasse ed essi generassero dei programmi conformi alle caratteristiche dei differenti paesi. Ciò, tuttavia, non si verifica; il CESE ritiene necessario che la Commissione riesamini il proprio sistema di gestione dell'innovazione, fornendo un sostegno utile a garantire un migliore coordinamento degli sforzi degli Stati membri e ad accrescere l'effetto moltiplicatore delle risorse destinate alle attività di ricerca e sviluppo, tenendo conto in particolare delle priorità di sviluppo dell'Unione europea.

1.12

Per quanto riguarda la questione del finanziamento, il CESE accoglie con favore i molteplici sforzi compiuti dalla Banca europea per gli investimenti (Gruppo BEI) per contribuire al vigore e alla capacità di innovazione dell'economia europea sul versante sia dell'offerta che della domanda. Il CESE fa osservare che si tratta solo di uno dei vari strumenti finanziari: occorre che il bilancio europeo garantisca risorse finanziarie all'innovazione, conformemente a quanto è stato deciso nella strategia di Lisbona. Occorre d'altro canto un contributo di simili proporzioni da parte degli Stati membri e delle regioni.

1.13

Il Comitato ritiene che le esperienze fatte sinora confermino l'effetto moltiplicatore (leverage) dovuto al funzionamento del Gruppo BEI. Proprio per questa ragione invita il Gruppo BEI a verificare continuamente e con attenzione le proprie capacità di produrre tale effetto e ad operare in coordinamento con la Commissione europea, e in generale con i singoli istituti finanziari, per massimizzare tale effetto leva.

1.14

A giudizio del Comitato il Gruppo BEI dispone di enormi possibilità, sia come istituzione finanziaria pubblica che come fornitore di servizi. Il Comitato raccomanda al Gruppo BEI di ampliare la propria attività nel campo della gestione finanziaria di base, estendendola, al di là delle sole risorse comunitarie, a quelle del mercato privato di capitali.

2.   Un'Europa moderna e favorevole all'innovazione

2.1

La comunicazione della Commissione COM(2006) 589, pubblicata in occasione della riunione informale dei capi di Stato e di governo svoltasi a Lahti (Finlandia) il 20 ottobre 2006 su iniziativa della presidenza finlandese, tratta a vario titolo le questioni relative all'impatto dell'innovazione sulla mutazione del tessuto industriale. Secondo la comunicazione, l'Europa e gli Stati membri dispongono di varie risorse nel campo dell'innovazione, ma risentono di alcune contraddizioni: gli europei investono ed innovano, ma spesso non convertono le loro invenzioni in prodotti, posti di lavoro e brevetti nuovi. Nascono numerose piccole imprese altamente innovative, ma difficilmente esse divengono grandi imprese di successo a livello mondiale; inoltre in taluni settori, come quello delle telecomunicazioni, l'adozione di innovazioni (TIC) ha provocato ingenti guadagni di produttività, mentre in altri, come risulta da vari esempi, così non è stato. Nei settori dell'innovazione e delle mutazioni industriali non si può fare a meno di una legislazione seria e flessibile in materia di registrazione di brevetti e di proprietà intellettuale. A tale scopo, occorrerebbe riesaminare la proposta di regolamento del Consiglio sul brevetto comunitario del 1o agosto 2000, per adattarla meglio a una realtà economica in rapida trasformazione (vedere in particolare le licenze obbligatorie e le cause di estinzione del brevetto comunitario). Occorrono di conseguenza procedure intese ad agevolare le diverse applicazioni industriali e/o commerciali dei brevetti registrati e a riconoscere la proprietà intellettuale dell'innovazione prodotta da ogni soggetto — ricercatore, quadro o ingegnere — o da parte di gruppi di soggetti, anche se fanno parte di una struttura amministrativa o imprenditoriale e l'innovazione è distinta da tale struttura.

2.2

L'innovazione può esercitare un impatto ottimale sulla trasformazione del tessuto industriale purché esista un dispositivo che articoli in modo coordinato gli strumenti relativi rispettivamente ai livelli dell'impresa, del settore, della regione, dello Stato membro e dell'UE, e purché questo dispositivo fornisca strumenti di facile accesso e utilizzazione alle entità che fanno parte del processo, che possono essere imprese, lavoratori dipendenti, istituti d'istruzione e di ricerca, o anche altre organizzazioni di attori interessati.

2.3

A livello dell'impresa, i motori proattivi dell'innovazione sono in particolare: (i) la gestione strategica dell'innovazione; (ii) la gestione strategica delle risorse umane; (iii) lo sviluppo delle competenze; (iv) l'utilizzo di nuovi metodi di organizzazione del lavoro; (v) gli accordi d'innovazione a livello dell'impresa. Il passaggio da un'organizzazione del lavoro rigida ad una più dinamica, che metta l'accento sul rispetto e la valorizzazione delle competenze e delle capacità di ogni lavoratore e professionista, e che orienti la scelta di questi ultimi tra i programmi di formazione continua e/o di riqualificazione professionale, non può che favorire la conoscenza e l'innovazione come pure una produzione più ampia e generalizzata di idee innovative.

2.4

A livello dell'impresa, i fattori attivi di gestione dei cambiamenti sono soprattutto: (i) la valutazione delle competenze e i piani personalizzati di carriera; (ii) l'esternalizzazione dei servizi; (iii) la formazione continua e la riqualificazione; (iv) gli accordi collettivi ed i piani sociali relativi alla riorganizzazione dell'impresa.

2.5

I seguenti elementi possono essere considerati come strumenti proattivi utilizzabili a livello sia settoriale che regionale: (i) gli sviluppi di sistemi produttivi locali (cluster); (ii) le reti e i partenariati d'innovazione; (iii) i parchi scientifici, tecnologici ed industriali e i poli d'innovazione; (iv) le strategie d'innovazione regionali e i piani di sviluppo regionali, come pure le istituzioni che ne garantiscono l'attuazione; (v) le regioni della conoscenza.

2.6

La Commissione europea verifica costantemente in quali settori l'innovazione in Europa appaia più efficace.

2.7

Il Comitato fa d'altronde osservare che per nessun settore si può escludere una crescita repentina della capacità di innovazione e un aumento della parte rappresentata dal valore aggiunto. È opportuno promuovere tutte le idee innovative relative a nuove utilizzazioni dei materiali, allo sviluppo delle tecnologie e di nuovi prodotti e all'affermazione di nuove qualità e di un nuovo valore aggiunto.

2.8

I governi degli Stati membri sono in grado di favorire in modo proattivo l'impatto dell'innovazione innanzitutto attraverso la definizione delle politiche nazionali di loro competenza in materia di occupazione, industria, innovazione, protezione dell'ambiente, istruzione e commercio, ma anche mediante il coordinamento di tali politiche a tutti i livelli dell'amministrazione pubblica. In questo processo appare chiaro quale sia il valore aggiunto derivante da un partenariato con le parti sociali e con gli attori della società civile organizzata. Sempre a livello nazionale, è necessario insistere sui seguenti elementi: (i) ricerca e sistema di previsione per individuare nuove fonti di occupazione; (ii) programmi di formazione continua e di riqualificazione; (iii) strategia per l'istruzione e la formazione permanente; (iv) creazione, nella regolamentazione del mercato del lavoro, di condizioni favorevoli alla qualificazione ed alla mobilità.

2.9

Le forme innovative di cooperazione transfrontaliera possono rivestire un ruolo di catalizzatore particolarmente importante e specifico nel settore dell'innovazione e della trasformazione del tessuto industriale. A tale riguardo, occorre sottolineare l'importanza delle iniziative tecnologiche comuni (JTI), delle nanotecnologie, dei farmaci innovativi, delle cellule di idrogeno e di combustibile, dei sistemi informatici di bordo, del settore aeronautico e del traffico aereo, dei sistemi di monitoraggio globali dell'ambiente e della sicurezza. Vanno inoltre ricordate le piattaforme tecnologiche europee, come pure l'utilità di un loro ulteriore sviluppo. Potrebbe risultare particolarmente opportuno, ad esempio, diffondere a largo raggio le esperienze della piattaforma tecnologica europea dell'acciaio, di quella per il carbone pulito e della piattaforma tecnologica Waterborne, che hanno già dato buona prova di sé.

2.10

A livello delle istituzioni europee, occorre articolare in modo coordinato e proattivo l'attuazione e lo sviluppo dei seguenti elementi: (i) la strategia di Lisbona; (ii) la strategia per lo sviluppo sostenibile; (iii) il partenariato per la crescita e l'occupazione; (vi) il dialogo sociale europeo (settoriale ed intersettoriale); (v) i programmi comunitari in materia di ricerca e sviluppo, innovazione, occupazione, istruzione e formazione permanente; (vi) la politica regionale comunitaria, (vii) il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR); (viii) l'Osservatorio europeo del cambiamento; (ix) un sistema europeo di previsione di nuove fonti di occupazione.

2.11

L'iniziativa relativa alla creazione di un Istituto europeo di tecnologia (IET) (2) appare promettente. Nel quadro del presente parere occorre sottolineare che la fase attuale dello sviluppo del quadro di funzionamento di quest'istituto, cioè la fase iniziale, è la più idonea a far sì che lo IET contribuisca realmente a tradurre l'innovazione in nuovi prodotti e posti di lavoro.

2.12

Fra le iniziative della Commissione europea riveste particolare importanza la comunicazione COM(2006) 728 def., del 22 novembre 2006, intitolata Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S.

2.13

Altrettanto importante è l'iniziativa della Commissione europea che mira a favorire la R&S e l'innovazione, e che riguarda le norme in materia di aiuti di Stato (3).

2.14

Il CESE concorda che è particolarmente importante: (i) creare le basi di un ruolo propulsore dell'Europa nelle tecnologie strategiche del futuro; (ii) adottare misure a livello di base per rafforzare sensibilmente i legami tra il mondo dell'università, della ricerca e dell'impresa; (iii) migliorare le condizioni generali.

2.15

Per quanto riguarda le condizioni generali, occorre prestare una particolare attenzione ai seguenti elementi: (i) il mercato interno unico; (ii) il finanziamento dell'innovazione; (iii) la proprietà intellettuale nel XXI secolo; (iv) il sostegno alle relazioni commerciali ed economiche esterne delle imprese dell'UE nell'ottica di accedere ai mercati dei paesi terzi.

2.16

Occorre anche eseguire quanto prima delle valutazioni settoriali, onde rendere più vantaggiose possibile le condizioni specifiche dei vari settori. Nel quadro di questo processo sarà necessario dedicare particolare attenzione ai seguenti elementi: (i) i punti di vista sulle PMI; (ii) i contributi alla realizzazione della strategia di Lisbona; (iii) la realizzazione di reti tra le regioni.

3.   Il ruolo del Gruppo Banca europea per gli investimenti

3.1

Il CESE fa osservare che per rendere quanto più possibile favorevole l'impatto dell'innovazione sulle trasformazioni industriali è necessario disporre dell'intera gamma di strumenti di finanziamento e fare in modo che essi funzionino in modo armonizzato. Ogni prodotto dei mercati finanziari e dei capitali dev'essere accessibile, indipendentemente dal fatto che sia stato creato da un'impresa finanziaria di stampo tradizionale, da poteri pubblici regionali o nazionali, o dall'Unione europea. Gli strumenti di finanziamento devono essere disponibili lungo tutto il processo di innovazione e fino al termine dell'operazione, in modo da garantire le risorse necessarie per stimolare l'avanzamento tecnologico e una logica di mercato del tipo push/pull. Nell'ampio contesto del finanziamento, il presente parere si dedica in particolare ad uno degli attori chiave di questo settore, il Gruppo Banca europea per gli investimenti, che associa gli strumenti della Banca europea per gli investimenti (BEI) e quelli del Fondo europeo per gli investimenti (FEI).

3.2

Fra i principali obiettivi della BEI e del FEI figura il rafforzamento dei risultati economici e dell'innovazione in Europa. Per realizzare quest'obiettivo, che costituisce un contributo alla strategia di Lisbona e all'azione europea per la crescita, saranno mobilitati e sviluppati meccanismi di finanziamento adeguati. L'iniziativa Innovazione 2010 (i2i) costituisce il principale contributo della BEI al processo che mira a rendere l'Europa più innovativa e più competitiva, con l'obiettivo di concedere prestiti per un ammontare di 50 miliardi di euro nel corso del decennio per sostenere progetti d'investimento in tutta Europa, nei settori dell'istruzione e della formazione, della ricerca, sviluppo e innovazione (RDI), delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni avanzate (compresi i mezzi audiovisivi e i loro contenuti) e dei servizi in linea.

3.2.1

Il valore contrattuale dei progetti che dal 2000 in poi hanno ricevuto il sostegno di i2i ammontava a 46 miliardi di euro a fine 2006, il che fa pensare che l'obiettivo di 50 miliardi nel 2010 potrebbe essere superato. Inoltre, al fine di convogliare le risorse finanziarie verso i prodotti, le procedure e i sistemi di punta ed innovativi, la BEI ha accresciuto la capacità di erogazione di finanziamenti utilizzabili per investimenti avvalendosi del meccanismo di finanziamento strutturato (Structured Finance Facility — SFF), il cui impiego non è limitato ad obiettivi di ricerca e sviluppo. In tale strumento rientra il sostegno a progetti e persone impegnate nella creazione di imprese che rappresentano un rischio di credito tanto più elevato in quanto non hanno valore d'investimento. Per finanziare le attività d'investimento sviluppate dalle PMI, la BEI realizza linee di credito con intermediari finanziari adeguati.

3.2.2

Per soddisfare le necessità specifiche delle PMI vengono inoltre sviluppate transazioni innovative, tra l'altro sotto forma di meccanismi a rischio condiviso e/o concorso di strumenti di sostegno nazionali e regionali con prodotti della BEI. Questa si concentra specificamente sulle PMI tramite capitale di rischio e garanzie. Gli interventi del FEI integrano il sostegno fornito dalla BEI alle PMI.

3.2.3

Per quanto riguarda l'accesso delle PMI al credito, va notato l'impatto negativo dell'Accordo di Basilea II. In generale tale Accordo stabilisce obblighi specifici per il sistema bancario, obbligando le banche a determinare un rating per ciascuna PMI che faccia una richiesta di concessione di credito. Per il calcolo di questo rating le PMI devono mettere a disposizione un insieme molto più ampio di informazioni quantitative, ma anche qualitative. Le PMI che non possiedono sistemi informativi del tipo ERP (enterprise resource planning) non saranno in grado di fornire tutte le informazioni necessarie. Poiché tali sistemi ERP sono molto costosi, la grande maggioranza delle PMI non ne dispone e questo le mette in condizione di non essere selezionate per la concessione di crediti a condizioni vantaggiose, fatto che influisce negativamente sul loro sviluppo. Si invitano la BEI e la Commissione europea a seguire con attenzione e a monitorare il livello di accesso delle PMI ai finanziamenti di cui hanno bisogno e la relazione di tale livello con gli effetti innescati dall'Accordo di Basilea II.

3.3

Il sostegno all'innovazione fornito dal Gruppo BEI presuppone lo sviluppo di modalità di finanziamento e prodotti nuovi ed adeguati al profilo di rischio delle varie operazioni. Parallelamente, al fine di aumentare il valore aggiunto e le sinergie tra i vari strumenti di finanziamento della Comunità, sono in fase di avvio nuove iniziative congiunte tra il Gruppo BEI e la Commissione, tramite partenariati con programmi finanziati dall'Unione europea come il Settimo programma quadro (7PQ) ed il Programma per la competitività e l'innovazione (PCI). Per quanto tali iniziative congiunte non si limitino alla struttura di finanziamento a rischio condiviso (risk sharing finance facility — RSFF), che nascerà a partire dal 2007, né alle nuove iniziative realizzate dal FEI nel quadro del PCI, entrambi questi esempi le illustrano bene.

3.4   La struttura di finanziamento a rischio condiviso (RSFF)

3.4.1

La struttura di finanziamento a rischio condiviso (RSFF) è un'iniziativa recente ed innovativa, istituita congiuntamente dalla Commissione europea e dalla Banca europea per gli investimenti allo scopo di favorire in Europa gli investimenti destinati alle attività di ricerca, sviluppo tecnologico, dimostrazione e innovazione, in particolare quelli del settore privato, predisponendo delle garanzie adeguate sui crediti che coprono i progetti europei più rischiosi nel campo dell'innovazione. Questo nuovo dispositivo è inteso ad agevolare — grazie alla condivisione dei rischi tra la Comunità europea, la BEI ed i finanziatori dei progetti di ricerca e sviluppo — l'accesso al credito da parte delle attività che presentano un profilo di rischio più elevato della media. Il sostegno fornito dalla BEI nel quadro della RSFF sarà accessibile ai ricercatori europei a titolo di integrazione dei fondi del Settimo programma quadro.

3.4.2

La RSFF, che opererà secondo lo stesso sistema su cui si fonda attualmente il meccanismo di finanziamento strutturato della BEI, si comporrà di due aspetti, finanziati rispettivamente dal contributo della Commissione europea (attraverso il Settimo programma quadro) e dalla BEI, ciascuna per un importo fino ad un massimo di 1 miliardo di euro per il periodo 2007-2013. Le risorse del Settimo programma quadro potranno essere utilizzate tra l'altro per finanziare progetti di ricerca, di sviluppo e di dimostrazione, quelle della BEI invece per progetti d'innovazione. In relazione a questi due aspetti possono essere impiegate somme che vanno fino a 2 miliardi di euro come fondo di copertura dei rischi, consentendo quindi di finanziare in misura maggiore programmi di ricerca, sviluppo e innovazione dotati di un profilo di rischio più elevato della media; ciò significa che la BEI, secondo le aspettative, dovrebbe fornire un finanziamento complementare in grado di generare un effetto leva che potrebbe raggiungere i 10 miliardi di euro. La RSFF mira a sostenere iniziative europee di ricerca come il forum strategico europeo sulle infrastrutture di ricerca (ESFRI), la piattaforma tecnologica europea, l'iniziativa tecnologica comune o anche i progetti intrapresi nel quadro dell'Agenzia europea per il coordinamento della ricerca (Eureka).

3.4.3

Basandosi sull'idea di una condivisione dei rischi tra la Comunità, la BEI e i beneficiari, la RSFF costituisce uno strumento complementare di finanziamento della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione. Essa apre quindi una vasta gamma di opportunità tanto al settore privato quanto alla comunità della ricerca e completa il novero degli strumenti disponibili per il finanziamento delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione. La RSFF conferisce alla BEI la possibilità di elaborare dei prodotti finanziari che pongono rimedio alle debolezze del mercato e rispondono alle esigenze specifiche di ogni settore e di ogni gestore di progetto, estendendo così la gamma dei potenziali beneficiari di finanziamenti. La RSFF sarà accessibile a persone giuridiche di qualsiasi dimensione e statuto, in particolare grandi imprese, imprese di dimensione intermedia (mid-caps), PMI, organizzazioni di ricerca, università, strutture di collaborazione, imprese comuni o strutture ad hoc (Special Purpose Vehicles). Tramite accordi di condivisione di rischi con il settore bancario, la RSFF contribuirà a migliorare la capacità globale degli attori finanziari di sostenere le attività di ricerca, sviluppo e innovazione, in particolare nei settori delle PMI.

3.4.4

Il Consiglio Competitività del luglio 2006 ha deciso di assegnare alla RSFF un importo iniziale di 500 milioni di euro fino alla revisione intermedia del Settimo programma quadro, onde garantire che questo programma di finanziamento possa essere avviato rapidamente e con una massa critica sufficiente in termini di risorse finanziarie. È possibile che da qui al 2013 vengano stanziati a carico del bilancio comunitario altri 500 milioni di euro, in funzione delle valutazioni intermedie e di una stima delle potenziali richieste rivolte al nuovo strumento. Mentre le condizioni generali relative all'utilizzo dei fondi ed alle norme di gestione della RSFF, compresi i requisiti di ammissibilità, la regolamentazione e la ripartizione del rischio tra istituzioni, sono definite nei programmi Cooperazione e capacità del Settimo programma quadro, le misure particolareggiate saranno regolate da un accordo bilaterale tra la Commissione europea e la BEI, siglato il 5 giugno 2007.

3.5   Il sostegno all'innovazione da parte del FEI

3.5.1

Il FEI svolge i compiti che gli sono affidati dai suoi azionisti (BEI e Commissione europea) o da terzi (a livello degli Stati membri) a sostegno dell'innovazione e del finanziamento delle PMI, conformemente agli obiettivi della Comunità. Alla fine del 2006 le transazioni del FEI ammontavano a 15 miliardi di euro, di cui 11,1 miliardi destinati a garanzie e 3,7 miliardi ad operazioni di capitale di rischio.

3.5.2

La strategia di Lisbona, che mira a rafforzare la competitività europea, costituisce uno dei principali motori delle attività del FEI (essendo quest'ultimo l'unico organismo dell'UE per il finanziamento delle PMI). Con 3,7 miliardi di euro investiti in 244 fondi di capitale di rischio, il FEI ha contribuito a colmare il divario esistente in materia d'innovazione, esercitando un effetto leva che suscita finanziamenti di circa 20 miliardi di euro a favore di PMI e di nuove imprese in forte crescita (alcune delle quali costituiscono dei successi su scala mondiale come Skype, Bluetooth/Cambridge Silicon Radio e Kelkoo). Nelle conclusioni della presidenza, il Consiglio europeo del marzo 2005 ha incoraggiato il FEI a differenziare le attività a favore del finanziamento dei trasferimenti tecnologici. Nel 2006 sono state firmate le prime operazioni di trasferimenti tecnologici per attività di concessione di licenze e spin-off.

3.5.3

Nel quadro delle nuove prospettive finanziarie, il FEI è incaricato della gestione del Programma per la competitività e l'innovazione (PCI) ed è uno dei principali attori dell'iniziativa Jeremie. Entrambi i programmi mirano a promuovere il finanziamento delle PMI e l'ingegneria finanziaria.

3.5.3.1

Il PCI, che costituisce uno degli strumenti essenziali dell'UE nel campo delle PMI e dell'innovazione, fornisce capitale di rischio (anche per il finanziamento del trasferimento tecnologico, di reti di investitori provvidenziali o business angels e dell'eco-innovazione) e assicura alle PMI l'accesso a meccanismi di garanzia.

3.5.3.2

Nel quadro dell'iniziativa Jeremie (Joint European Resources for Micro to Medium Enterprises — Risorse europee congiunte in favore delle microimprese e delle PMI) le amministrazioni nazionali e regionali possono scegliere di impiegare le risorse che provengono dal FESR sotto forma di strumenti finanziari adeguati e rispondenti ad una logica di mercato, come fondi propri, capitale di rischio, garanzie o prestiti. L'iniziativa Jeremie è stata concepita in modo da ottimizzare i finanziamenti del FESR favorendo la mobilitazione di risorse complementari e con un'attuazione agevolata da un quadro normativo più flessibile. Nel 2007, l'aumento del capitale del FEI dovrebbe completare le risorse del PCI e di Jeremie. Si stima che entro il 2013 più di un milione di PMI avranno beneficiato degli strumenti finanziari del FEI.

3.5.3.3

Grazie al loro elevato effetto leva (ad esempio, 1 euro proveniente dal bilancio comunitario mobilita fino a 50 euro per le PMI tramite l'attività di garanzia) e all'importante ruolo di catalizzatore che svolgono nei confronti degli attori finanziari (in particolare i fondi di capitale di rischio), gli strumenti finanziari della Comunità vanno considerati come una delle migliori pratiche nel quadro dell'agenda di Lisbona. Per assicurare un maggiore ricorso alle applicazioni tecnologiche nel quadro del PCI, occorrerebbe rivolgersi alle università e alle PMI e mettere maggiormente l'accento sulle attività volte a favorire l'identificazione del capitale intellettuale, sulle autorizzazioni ed il loro rilascio, sugli accordi di cooperazione e sul profitto che ne deriva. La riuscita di questa azione deve essere garantita tramite l'iniziativa Jeremie, analogamente alle regolamentazioni relative ai finanziamenti e agli aiuti di Stato.

3.5.4

Nel 2006, la BEI ed il FEI hanno deciso di effettuare operazioni congiunte consistenti in particolare nel combinare linee di credito della BEI con garanzie del FEI per le PMI innovative. È probabile che tali operazioni proseguano, in particolare nel quadro di Jeremie.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere CESE del 13.9.2006 sul tema Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alla competitività europea, alle trasformazioni industriali e allo sviluppo del capitale sociale (CCMI/034).

(2)  COM(2006) 604 def.

(3)  Regolamento della Commissione (CE) n. 364/2004 del 25.2.2004 recante modifica del regolamento (CE) n. 70/2001, GU L 63 del 28.2.2004.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/93


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona)

(2007/C 256/18)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006 (con conferma in data 26 ottobre 2006), ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 31 del proprio Regolamento interno (nel quadro dei lavori avviati a seguito della richiesta del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006), di elaborare una relazione informativa sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona).

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di trasformare tale relazione informativa in parere d'iniziativa.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore GREIF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nel presente parere si dimostra come gli ambiziosi obiettivi di Lisbona in materia di occupazione siano stati raggiunti solo in parte sul piano quantitativo, anche se da uno Stato membro all'altro esistono differenze significative da tenere in costante considerazione. Anche in rapporto alla qualità dell'occupazione emerge un quadro contraddittorio: da un lato, esempi encomiabili di buone prassi nelle politiche occupazionali di alcuni singoli Stati membri, esempi che secondo il Comitato economico e sociale europeo converrebbe in futuro raccogliere e valorizzare in modo più sistematico; dall'altro, il perdurare in tutta l'UE di una serie di situazioni che riportano alla realtà:

benché l'occupazione nell'Unione europea sia ancora improntata per lo più a rapporti di lavoro convenzionali, è da notare che l'aumento dell'occupazione osservabile negli ultimi anni, specie tra le donne, è in gran parte legato al proliferare di impieghi a tempo parziale; inoltre, continua a registrarsi una grave mancanza di posti di lavoro adatti ai lavoratori più anziani e, soprattutto per quanto riguarda i giovani, è da constatare un sensibile aumento delle forme di lavoro atipiche (non convenzionali), alcune delle quali non sufficientemente tutelate sul piano giuridico e sociale,

per le categorie svantaggiate le opportunità di integrazione nel mercato del lavoro non hanno registrato praticamente alcun miglioramento (come mostrano il perdurare di una elevata disoccupazione di lungo periodo, i tassi di disoccupazione comparativamente alti, specie tra i giovani e tra i lavoratori poco qualificati, e la bassa percentuale di occupati soprattutto tra gli anziani); anche per le categorie socialmente emarginate la situazione sul mercato del lavoro resta quanto mai problematica.

1.2

In tale contesto il Comitato reputa importante stabilire, nell'ambito degli attuali dibattiti sulla flessicurezza, che ogni definizione generale di questo concetto deve sistematicamente abbinare misure volte ad accrescere l'adattabilità delle imprese e dei lavoratori a un elevato livello di sicurezza sociale, una politica attiva del mercato del lavoro, azioni di istruzione e formazione e accesso ai servizi sociali.

1.3

Il Comitato esorta a far sì che, nel quadro delle politiche sociali e occupazionali nazionali riguardanti le categorie prioritarie sul mercato del lavoro di cui al presente parere, si attribuisca in futuro maggiore importanza ai seguenti elementi:

misure intese a promuovere l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, con l'obiettivo di procurare loro una prima occupazione che offra anche prospettive per il futuro,

lotta più determinata alle numerose forme di discriminazione e penalizzazione che ancora permangono in relazione all'età, al sesso, alle disabilità o all'origine etnica, per quanto concerne specie l'accesso alla formazione ma anche l'accesso e la permanenza nel mercato del lavoro,

misure volte a rafforzare la sicurezza del mercato del lavoro e a prevenire le «trappole della precarietà», tra l'altro garantendo che i disoccupati non siano costretti ad accettare lavori non tutelati, lottando contro il lavoro non dichiarato e impedendo lo sfruttamento dei lavoratori con contratti a tempo determinato,

misure intese a migliorare la qualità dei posti di lavoro e a proteggere i lavoratori dalla discriminazione,

maggiori investimenti nella qualità dei posti di lavoro e condizioni di lavoro adeguate all'età,

investimenti nel campo dell'istruzione e della formazione e nel campo dell'apprendimento permanente, riduzione dello squilibrio esistente tra le qualifiche offerte e quelle richieste dal mercato del lavoro,

ammodernamento e miglioramento, ovunque sia necessario, del regime di sicurezza sociale delle forme di lavoro non convenzionali,

riduzione della segmentazione del mercato del lavoro in funzione del genere, soprattutto attraverso misure efficaci per conciliare lavoro e famiglia (in particolare, creazione di servizi completi di custodia dei bambini e di forme di sostegno per le persone non autonome e le loro famiglie, comprese strutture sociali di assistenza che funzionino 24 ore su 24),

eliminazione degli ostacoli al (re)inserimento e alla permanenza nel mercato del lavoro di quanti hanno obblighi di assistenza nei confronti di familiari e incentivi per una maggiore partecipazione dei padri ai compiti di custodia dei figli,

sviluppo di adeguati incentivi e interventi di sostegno per le imprese affinché assumano un numero maggiore di giovani e di anziani con particolari problemi sul mercato del lavoro.

1.4

Per le categorie socialmente emarginate occorrono ulteriori misure specifiche:

ad esempio, lo sviluppo di mercati del lavoro transitori con incentivi adeguati per le imprese affinché assumano più lavoratori, e nel contempo un sostegno agli interessati affinché superino i problemi che sono alla radice della loro emarginazione sociale (badando pur sempre a impedire che ne derivino agevolazioni involontarie e distorsioni della concorrenza),

le iniziative occupazionali nel settore non profit, specie nell'economia sociale, hanno un ruolo particolare da svolgere a questo riguardo. Occorrerà quindi garantire che siano adeguatamente sostenute nei bilanci delle politiche del mercato del lavoro.

1.5

Il Comitato insiste sul fatto che in numerosi Stati membri dell'UE l'attuazione delle priorità tracciate in questo parere renderà necessari ulteriori sforzi in termini di politica occupazionale, e che a tal fine andrà garantita un'adeguata copertura finanziaria.

Così, tutte le misure di politica attiva del mercato del lavoro adottate al livello nazionale ed europeo avranno scarso successo se non si darà loro la giusta importanza nella programmazione finanziaria degli Stati membri.

Su questo punto il Comitato ravvisa in numerosi paesi uno scarto tra le proposte di iniziative riguardanti il mercato del lavoro, ad esempio nel quadro dei programmi nazionali di riforma, e la copertura finanziaria prevista (1).

Nei programmi di azione nazionali bisognerebbe tenere in maggiore considerazione le esperienze positive dei diversi paesi e fare un uso adeguato del FSE 2007-2013.

1.6

A questo proposito il Comitato ha già ripetutamente sottolineato che tale copertura finanziaria necessita di un contesto macroeconomico favorevole, all'insegna di una politica economica orientata alla crescita e al superamento di una ormai lunga crisi congiunturale (2).

1.7

In numerosi Stati membri i contributi sociali legati al costo del lavoro sono saliti a un livello tale da poter incidere negativamente sulla creazione di nuovi posti. In molti casi, lo scarto minimo tra il reddito da lavoro al netto delle imposte e il livello dei trasferimenti sociali può rendere la ripresa del lavoro poco conveniente. Occorre perciò prevenire queste «trappole della disoccupazione» senza per questo compromettere la copertura finanziaria dei sistemi sociali. Il Comitato concorda al riguardo con le raccomandazioni del gruppo di alto livello sul futuro della politica sociale in un'UE allargata per quanto concerne la necessità di estendere la base di finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale, ripartendo così più equamente gli oneri fiscali su tutti i fattori di produzione in modo da alleggerire il fattore lavoro (3).

1.8

Per quanto riguarda la revisione degli orientamenti per l'occupazione, in programma nel 2008, il Comitato giudica necessarie, per molti dei settori trattati in questo parere, una definizione più chiara delle priorità e l'adozione di misure più concrete.

In questo senso, il Comitato invoca una maggiore vincolatività degli obiettivi fissati al livello europeo, in modo tale da presentare agli Stati membri un quadro chiaro con impegni univoci. A suo giudizio, il controllo della realizzazione di questi obiettivi al livello nazionale esige che sia attribuito un ruolo più incisivo alla Commissione nel quadro della strategia per l'occupazione.

Il Comitato si pronuncia inoltre a favore di un ulteriore miglioramento degli obiettivi, soprattutto in rapporto all'occupazione giovanile e alla lotta contro la disoccupazione dei giovani (ad esempio, riducendo il termine di sei mesi per l'inserimento nella vita attiva dei giovani in cerca di occupazione o di tirocinio), nonché alla promozione delle pari opportunità, al sostegno ai disabili e all'integrazione degli immigrati.

Il Comitato ambisce a far sì che in questo modo i programmi nazionali di riforma diventino più ambiziosi in futuro con riguardo alla politica dell'occupazione e che se ne possa constatare un miglioramento qualitativo sul piano dei tempi, delle responsabilità, della vincolatività e delle basi finanziarie. A tale riguardo suggerisce di riflettere all'adozione di obiettivi concreti di stanziamento per far sì che le misure di politica attiva del mercato del lavoro ottengano adeguate risorse di bilancio nei singoli Stati membri.

Il Comitato esporrà il proprio punto di vista sugli adeguamenti da apportare agli orientamenti per l'occupazione dal 2009 (qui semplicemente abbozzati) in un parere a sé stante.

2.   Antefatto

2.1

Nelle conclusioni del 23 e 24 marzo 2006 il Consiglio europeo ha invitato il Comitato economico e sociale europeo a presentare, in preparazione del Consiglio di primavera 2008, «relazioni di sintesi a sostegno del partenariato per la crescita e l'occupazione», tenendo conto tra l'altro della priorità di «aumentare le opportunità di occupazione per le categorie prioritarie». Il Comitato presenta quindi questo parere d'iniziativa, elaborato attingendo alle competenze dei consigli economici e sociali nazionali.

2.2

Il Comitato ha ripetutamente sottolineato che l'aumento della competitività e una crescita economica sostenibile nel quadro della strategia di Lisbona, lungi dall'essere degli obiettivi in sé, dovrebbero anche contribuire a ridurre l'elevato tasso di disoccupazione dell'UE, a tendere verso la piena occupazione, a dare basi più solide ai sistemi di sicurezza sociale e a proteggere i cittadini dall'emarginazione sociale (4).

2.3

Nell'ambito della politica occupazionale la strategia di Lisbona dovrebbe così rilanciare la strategia europea per l'occupazione, aumentando la percentuale degli occupati e migliorando la qualità del lavoro. La strategia di Lisbona non è intesa soltanto a creare nuovi posti di lavoro, ma anche a migliorare la qualità di quelli esistenti. Di conseguenza, gli investimenti in risorse umane, ricerca, tecnologia e innovazione sono considerati prioritari tanto quanto le misure di politica del mercato del lavoro e di politica strutturale (5).

2.4

Nel presente parere, l'analisi del Comitato sugli sviluppi in atto nel mercato europeo del lavoro e le sue raccomandazioni politiche verteranno su quelle categorie nei cui confronti il Consiglio ha esortato più volte gli Stati membri a prevedere misure specifiche, al fine di:

migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro e ridurre sensibilmente la disoccupazione giovanile,

realizzare strategie di invecchiamento attivo per consentire alle persone anziane di protrarre più a lungo possibile la vita lavorativa,

promuovere risolutamente l'occupazione femminile e in generale consentire tanto agli uomini quanto alle donne di conciliare meglio attività professionale e vita privata,

migliorare l'integrazione delle persone con disabilità e la loro permanenza stabile sul mercato del lavoro,

aumentare il tasso di occupazione e le prospettive occupazionali degli immigrati e delle minoranze etniche.

2.5

Il Comitato proporrà per ognuna di queste categorie un pacchetto di misure preventive e attive di inserimento (o reinserimento) professionale, che dovrebbero essere oggetto di maggiore considerazione da parte degli Stati membri nel quadro delle politiche del mercato del lavoro e dell'occupazione. Anche le fasce socialmente emarginate, che in molti casi sono escluse dal mercato del lavoro, saranno incluse nella disamina. Su tale base il Comitato formulerà delle raccomandazioni politiche, anche in vista della revisione degli orientamenti per l'occupazione da ultimare entro il Consiglio di primavera del 2008.

3.   Tassi di attività, disoccupazione e occupazione: un bilancio della situazione (6)

3.1

Per la prima volta dal 2001, nel biennio 2005-2006 si è assistito nell'UE a una crescita dell'occupazione e a una sensibile diminuzione del tasso di disoccupazione (dal 9 % del 2004 al 7,9 % del 2006). Il tasso di occupazione femminile, in aumento dello 0,6 %, segna una ripresa maggiore di quello maschile dopo la stagnazione degli anni precedenti. Questa tendenza positiva si è protratta anche nel 2007 (7).

3.2

Ciò detto, bisogna tenere presente che:

la realizzazione degli obiettivi intermedi di Lisbona e Stoccolma procede a rilento, tanto che nel 2005 tali obiettivi non sono stati conseguiti né in relazione al tasso di occupazione complessivo del 67 % (2005: 63,8 %), né in relazione a quello femminile del 57 % (2005: 56,3 %). È ormai sempre più evidente che gli obiettivi previsti per il 2010 saranno mancati, in numerosi Stati membri ma anche nel complesso dell'Unione,

se è vero che i posti di lavoro a tempo pieno restano la forma occupazionale preponderante nell'intera UE, è da notare che l'aumento dell'occupazione riscontrabile negli ultimi anni, specie tra le donne, è in gran parte legato al proliferare di impieghi a tempo parziale (il che spiega l'aumento di gran lunga inferiore degli equivalenti a tempo pieno, che in alcuni Stati membri hanno addirittura registrato una flessione),

la crescita più netta dell'occupazione negli ultimi anni si è avuta tra gli anziani. Eppure, anche la percentuale di lavoratori anziani occupati è di molto inferiore agli obiettivi previsti (appena il 42,5 % nel 2005 per la fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni). Solo nove Stati membri hanno conseguito l'obiettivo del 50 % (con un grosso scarto tra donne e uomini, visto che l'obiettivo è stato raggiunto in 17 paesi per gli uomini, ma solo in quattro per le donne: i paesi scandinavi e l'Estonia),

il tasso di disoccupazione dei giovani, pari nel 2005 al 18,5 % come media dell'UE a 25, continua a essere circa due volte più elevato del tasso di disoccupazione generale,

nonostante un generale miglioramento in alcuni Stati membri, specie quelli con tassi di disoccupazione molto elevati, la disoccupazione nell'intera UE permane di poco inferiore all'8 % e in alcuni paesi è addirittura aumentata,

in alcuni Stati membri le disparità regionali nei tassi di occupazione restano marcate (particolarmente in termini di equivalenti a tempo pieno). Il numero delle persone che nell'attuale UE a 27 vivono in regioni con un tasso di disoccupazione superiore al 15 % è sensibilmente cresciuto con gli ultimi ampliamenti,

per le categorie socialmente emarginate la situazione del mercato del lavoro rimane quanto mai problematica.

Dati gli sviluppi sul mercato del lavoro fin qui tratteggiati, e nonostante alcuni parziali progressi, resta ancora molta strada da fare prima di raggiungere gli ambiziosi obiettivi occupazionali di Lisbona.

3.3

Ciò è tanto più vero in quanto l'andamento dell'occupazione mostra le seguenti caratteristiche e tendenze, sia pure con situazioni a volte molto variabili tra i vari paesi e settori:

le opportunità di integrazione delle categorie svantaggiate nel mercato del lavoro non hanno registrato praticamente alcun miglioramento (come mostrano il perdurare di una elevata disoccupazione di lungo periodo, i tassi di disoccupazione comparativamente alti, specie tra i giovani e tra i lavoratori poco qualificati, e la bassa percentuale di occupati, soprattutto tra gli anziani),

benché la maggioranza dei posti di lavoro nell'Unione europea sia ancora costituita da rapporti di lavoro convenzionali, i dati disponibili indicano un forte aumento di forme di occupazione atipiche (non convenzionali), alcune delle quali non sono sufficientemente protette sul piano giuridico e sociale. Generalmente in crescita appare la quota dei contratti a tempo determinato, un fenomeno — questo — che interessa soprattutto i giovani in misura superiore alla media. Sono in forte aumento anche gli impieghi a contratto, i contratti a tempo e i falsi lavori autonomi (8), come pure i rapporti di lavoro di modesta entità e poco protetti sul piano dei diritti sociali, anche se la situazione varia notevolmente da uno Stato membro all'altro. Nel complesso aumenta la precarietà, specie per le categorie svantaggiate. Queste forme occupazionali possono fungere da «passerella» verso il mercato del lavoro convenzionale solo quando sono liberamente scelte e tutelate,

in molti Stati membri, le incertezze legate al posto di lavoro sono aumentate soprattutto per i lavoratori meno qualificati, e in particolare per i giovani che abbandonano prematuramente la scuola e per le persone prive di formazione professionale. Dato lo squilibrio esistente tra qualifiche richieste e offerte, in questi casi l'ingresso nel mercato del lavoro e il reinserimento professionale dopo un periodo di disoccupazione appaiono particolarmente difficili,

le persone con obblighi di assistenza continuano a incontrare difficoltà nel trovare un lavoro stabile e soddisfacente,

le persone con disabilità restano in gran parte escluse dal mercato del lavoro. Secondo i più recenti dati europei, appena il 40 % di loro esercita un'attività professionale. Ancora più preoccupanti appaiono i dati riguardanti le persone con gravi disabilità,

esiste inoltre una percentuale elevata di persone la cui emarginazione dipende da cause quali la tossicodipendenza, il sovraindebitamento o la mancanza di alloggio, e il cui inserimento nel mercato del lavoro necessita di misure specifiche di integrazione sociale,

nella maggior parte degli Stati membri, le condizioni di lavoro e le prospettive occupazionali degli immigrati e delle persone con un passato di emigrazione sono più precarie di quelle del resto della popolazione. Particolare attenzione a questo riguardo meritano i Rom, che dopo l'allargamento dell'UE a Romania e Bulgaria sono diventati la principale minoranza in Europa e la cui situazione sul mercato del lavoro (con un tasso di disoccupazione che in certi casi raggiunge il 70-90 %) è particolarmente preoccupante per tutta una serie di motivi. Su questo tema il Comitato si pronuncerà nell'ambito di un parere d'iniziativa a sé stante.

3.4

La crescita del settore informale, caratterizzato da condizioni di occupazione poco sicure e spesso da basse retribuzioni, comporta il rischio di una dequalificazione duratura delle categorie che non riescono a entrare nel mercato del lavoro regolare. Questo andamento (peraltro difficile da rilevare statisticamente) non solo determina grandi incertezze per i diretti interessati, ma conduce anche a perdite considerevoli di gettito fiscale e finisce in definitiva per compromettere le potenzialità produttive dell'UE.

4.   Creare un quadro per promuovere la crescita e per garantire nuovi e migliori posti di lavoro

4.1

Da anni, nelle raccomandazioni europee sulle politiche da attuare, i problemi strutturali del mercato del lavoro vengono ricondotti per lo più alle difficoltà del mercato stesso. In molti Stati membri, le politiche dell'occupazione sono state incentrate unilateralmente sullo smantellamento delle disposizioni generali di diritto del lavoro, sull'inasprimento delle condizioni di ammissibilità alle prestazioni sociali e sul taglio di queste ultime, come pure sull'introduzione di una maggiore flessibilità nei rapporti di lavoro.

4.2

Viceversa, in molti paesi le misure di politica attiva del mercato del lavoro — ad esempio quelle intese a promuovere l'occupabilità e a colmare le carenze sul piano delle qualifiche, nonché i programmi incentrati sull'inserimento nel mercato del lavoro dei gruppi svantaggiati — non sono state realizzate in misura sufficiente, anche se alcuni di essi hanno aumentato, a partire dal 1995, i modesti livelli di spesa previsti a tal fine. Nella maggior parte dei paesi (per i quali esistono dati statistici), la percentuale delle spese «attive» sul totale delle spese destinate alla politica del mercato del lavoro (misure di sostegno «passive» e «attive») è addirittura calata negli ultimi anni. È della più alta importanza che le risorse assegnate alle misure di politica attiva del mercato del lavoro siano commisurate alle sfide da affrontare e che, al tempo stesso, si rafforzi l'efficacia delle suddette misure e si badi a che esse si concentrino sulle rispettive categorie di destinatari.

4.3

A questo proposito il Comitato ha già ripetutamente sottolineato che in definitiva le misure e le riforme strutturali del mercato del lavoro potranno avere successo solo in un contesto macroeconomico favorevole, improntato al superamento dell'ormai lunga crisi congiunturale e al consolidamento della crescita (9). Per questo, a livello nazionale e comunitario, bisogna impegnarsi a realizzare una politica economica orientata alla crescita, fondata su presupposti adeguati in termini di politica monetaria, fiscale ed economica. In concreto:

conformemente al suo mandato, la Banca centrale europea dovrebbe contribuire alla crescita economica e all'aumento dell'occupazione, in particolare attraverso la sua politica dei tassi d'interesse e in un contesto di stabilità dei prezzi. La decisa ripresa dell'occupazione sarà possibile solo attraverso un aumento della produttività a medio termine, nel quadro di una crescita economica sostenuta,

il maggiore margine di manovra consentito dal Patto di crescita e di stabilità riveduto deve essere sfruttato per permettere agli Stati membri dell'UE di prendere contromisure congiunturali e creare un margine di bilancio per riforme strutturali socialmente sostenibili e un volume adeguato di investimenti pubblici,

gli obiettivi di Lisbona indicano la direzione da imprimere agli investimenti: sviluppo delle infrastrutture di comunicazione e di trasporto, protezione del clima, atteggiamento proattivo nei confronti di ricerca e sviluppo, servizi capillari di assistenza all'infanzia, promozione dell'istruzione e della formazione, misure attive di politica del mercato del lavoro e qualità dei posti di lavoro. Al riguardo, i programmi nazionali di riforma andrebbero concepiti in modo tale da confluire in un programma di potenziamento dell'economia coordinato su scala europea, al quale contribuiscano tutti i soggetti interessati a livello nazionale e dell'UE.

5.   Combattere efficacemente la disoccupazione giovanile

5.1

La disoccupazione giovanile resta uno dei punti critici della politica occupazionale dell'UE. In tutti gli Stati membri essa si situa al di sopra del tasso di disoccupazione generale e nella maggior parte di essi è pari ad almeno il doppio della percentuale registrata sulla popolazione totale. In alcuni paesi dell'UE a 15 come pure in molti dei nuovi Stati membri la situazione è ancora più problematica. In parecchi Stati membri, infine, la precarietà del posto di lavoro è aumentata anche tra i lavoratori più qualificati.

5.2

L'ingresso nella vita attiva avviene sempre più attraverso forme alternative di occupazione, caratterizzate in parte da condizioni molto meno sicure sul piano del diritto del lavoro e dei diritti sociali, in un quadro in cui i confini tra lavoro formale e lavoro informale sono sempre più sfumati. Per determinate categorie di giovani — ad esempio quelli poco qualificati o con un passato di emigrazione o ancora quelli provenienti dalle fasce svantaggiate della popolazione — il passaggio a un'occupazione regolare appare sempre più arduo. Il rischio di restare ai margini della società attiva aumenta in particolare nei casi in cui compaiono diverse di queste caratteristiche.

5.3

In questo contesto si tratta di offrire al maggior numero possibile di giovani delle prospettive per il futuro che vadano al di là del lavoro precario. La questione ha anche risvolti demografici, visto che la situazione economica dei giovani incide in modo determinante sulla loro disponibilità a fondare una famiglia. Al riguardo è positivo che nella relazione di primavera la Commissione, accanto all'ulteriore miglioramento delle qualifiche, invochi un rafforzamento delle misure di politica attiva del mercato del lavoro, e insista in particolare sulla necessità di attivare in tempi molto più rapidi il sostegno ai giovani in cerca di impiego e di superare i problemi strutturali nel passaggio dalla formazione all'occupazione.

5.4

Come esempi positivi si possono addurre in questa sede i modelli consolidati in diversi Stati membri (Germania, Austria e in parte Paesi Bassi), e basati sull'abbinamento tra sistemi di formazione orientati ai bisogni delle aziende e formazione scolastica. Numerosi studi sottolineano la qualità di quella che viene chiamata «formazione professionale in alternanza» e la ritengono di fondamentale importanza per la sua capacità di facilitare la transizione tra scuola e vita attiva e quindi di ridurre il divario tra disoccupazione giovanile e tasso di disoccupazione generale.

5.5

Misure attive e preventive nel campo dell'istruzione e della formazione intese a migliorare le opportunità lavorative dei giovani (10):

garantire qualifiche di elevata qualità dalla formazione iniziale fino alla formazione professionale e continua, che consentano di accedere il più agevolmente possibile al mercato del lavoro e di rimanervi in pianta stabile. A questo proposito la responsabilità non è solo del settore pubblico, ma anche dello stesso sistema economico,

fornire un sostegno precoce e attivo ai giovani in cerca di tirocinio o occupazione (possibilmente già dopo 4 mesi), programmi specifici rafforzati nonché formazioni individuali e coaching per l'inserimento di categorie svantaggiate, come i giovani disoccupati di lungo periodo e coloro che abbandonano prematuramente gli studi o le azioni di formazione, ad esempio attraverso progetti occupazionali e iniziative di formazione di interesse generale,

sviluppare una rete capillare di servizi facilmente accessibili di orientamento professionale e di informazione per i giovani a tutti i livelli di formazione, e migliorare in misura corrispondente gli uffici di collocamento sul piano della qualità e delle risorse umane,

ridurre il divario esistente tra qualifiche offerte e qualifiche richieste sul mercato del lavoro; aumentare l'efficienza dell'insegnamento primario (tra l'altro, riducendo il tasso di abbandoni scolastici e combattendo l'analfabetismo) e la permeabilità tra insegnamento professionale e formazione continua; ridurre la segregazione tra i sessi nel quadro dell'orientamento professionale,

applicare misure volte a garantire che per i giovani i contratti a termine e gli impieghi a bassa protezione sociale restino episodi transitori.

6.   Migliorare le prospettive di integrazione degli immigrati

6.1

Nella maggior parte degli Stati membri ben poco è cambiato per quanto concerne la discriminazione degli immigrati e dei loro familiari sul mercato del lavoro. Essi continuano a essere sovrarappresentati in settori con condizioni salariali e di lavoro sfavorevoli, sono molto più esposti al rischio di disoccupazione e restano per lo più relegati in rapporti di lavoro caratterizzati da scarsa protezione sociale, rischi elevati per la salute, mancanza di sicurezza e (in certi paesi) limitata tutela contrattuale.

6.2

Particolarmente preoccupante è il «carattere ereditario» di questa posizione precaria sul mercato del lavoro che, anche a causa di gravi carenze scolastiche, si trasmette dalla prima generazione di immigrati alla successiva. Nella maggior parte degli Stati membri, i giovani con un passato di emigrazione sono tra le categorie più soggette al precariato e al rischio di essere sospinti ai margini del mercato del lavoro regolare.

6.3

Il Comitato ha più volte dichiarato di ritenere necessaria la migrazione di forza lavoro, anche in considerazione dell'andamento demografico dell'UE, e ha addotto a esempio le esperienze positive registrate in alcuni Stati membri, come Spagna e Irlanda. Ciò detto, tale fenomeno deve sempre andare di pari passo con un'adeguata politica nazionale per l'integrazione, specialmente per quanto riguarda l'occupazione (11). La situazione in materia di immigrazione differisce fortemente da uno Stato membro all'altro, così come le misure adottate nel settore dell'integrazione, ad esempio per quanto riguarda la politica del mercato del lavoro e dell'istruzione. Gli Stati membri dovrebbero rivolgere particolare attenzione alla situazione dei richiedenti asilo, i quali sono spesso soggetti a una maggiore penalizzazione.

6.4

Priorità per migliorare l'integrazione degli immigrati:

dare particolare importanza al sostegno individuale (pre)scolare e all'investimento precoce in competenze linguistiche e professionali; evitare le discriminazioni nell'accesso all'occupazione (soprattutto attraverso il superamento quanto più tempestivo possibile delle barriere linguistiche) e agevolare il riconoscimento dei titoli di studio stranieri per gli immigrati,

rendere le problematiche dell'integrazione parte integrante della politica sociale e del mercato del lavoro (ad esempio, intensificando le competenze interculturali degli enti pubblici e degli uffici del lavoro e sostenendo le imprese, in particolare le PMI); concedere adeguati finanziamenti comunitari e nazionali alle misure intese a promuovere l'integrazione,

eliminare gli ostacoli e le discriminazioni istituzionali nell'accesso al mercato del lavoro degli Stati membri (ad esempio, abbreviando i tempi di attesa per il rilascio dei permessi di lavoro, in particolare per chi cerca asilo (12)) e combattere il dumping salariale, rafforzando nel contempo le prospettive di integrazione nel quadro della politica europea dell'immigrazione (evitando politiche di immigrazione che, promuovendo una immigrazione pro tempore e quindi forme di occupazione precaria e di emarginazione, complichino il processo di integrazione),

migliorare i dati esistenti sul rapporto tra la provenienza da un retroterra di emigrazione, da un lato, e la segregazione e la discriminazione sul mercato del lavoro, dall'altro (13),

adottare misure preventive e sanzioni nonché promuovere partenariati a livello nazionale tra le parti sociali e gli enti pubblici per lottare contro il lavoro nero e per impedire il dumping sociale e le distorsioni della concorrenza, con particolare riguardo ai flussi transfrontalieri di manodopera.

7.   Sfruttare il potenziale occupazionale degli anziani

7.1

La risposta chiave alla sfida demografica può solo consistere nell'adozione di una politica di crescita mirata e nell'aumento dell'occupazione. Le riserve necessarie di forza lavoro sono disponibili in quantità sufficiente; ciononostante, nell'intera UE il potenziale occupazionale dei lavoratori anziani (cioè con più di 55 anni) continua a essere sottoutilizzato.

7.2

Il rischio di una disoccupazione protratta nel tempo aumenta rapidamente con l'età: nell'UE a 25 il tasso medio di disoccupazione di lunga durata di chi ha un'età compresa tra 50 e 64 anni è superiore al 60 %. Alla luce di ciò bisogna far sì che i lavoratori anziani abbiano opportunità reali di trovare un lavoro e di conservarlo più a lungo.

7.3

Le cause fondamentali dell'abbandono prematuro della vita lavorativa sono il deterioramento delle condizioni di salute dovuto a condizioni di lavoro usuranti, l'elevata intensità lavorativa, il licenziamento prematuro dei lavoratori più anziani, la mancanza di riqualificazione e le scarse possibilità di (ri)trovare un impiego. Gli sforzi per innalzare il tasso di attività degli anziani che si concentrano in primo luogo sui sistemi pensionistici, peggiorando le condizioni di accesso e i diritti garantiti, mancano ampiamente l'obiettivo.

7.4

Solo una politica consapevole di «invecchiamento attivo» che comprenda ampie possibilità di partecipazione a misure di formazione continua e apprendimento permanente può portare a innalzare in maniera duratura il tasso di occupazione degli anziani. I modelli di successo sviluppati negli Stati membri nordici (primo fra tutti il pacchetto integrato di misure adottato in Finlandia nel quadro del programma d'azione nazionale per gli anziani) mostrano come sia possibile creare in modo socialmente accettabile, e attraverso il coinvolgimento delle parti sociali, un mercato del lavoro funzionante con maggiore stabilità dell'occupazione, oltre che livelli elevati di occupabilità e di occupazione, per questa categoria di persone.

7.5

Elementi chiave per una transizione sistematica verso un mondo del lavoro favorevole agli anziani (14):

garantire una consulenza e un'assistenza completa a chi cerca lavoro, sostenere attivamente i servizi di collocamento (ad es. occupazione assistita, aiuti all'inserimento, progetti sociali di interesse generale) e, se necessario, adottare misure di riconversione ai fini di un reinserimento duraturo; concedere finanziamenti commisurati a una politica attiva del mercato del lavoro in modo da garantire agli uffici del lavoro sicurezza di pianificazione a lungo termine,

creare incentivi socialmente accettabili per ritardare il pensionamento e, dove sia possibile o auspicabile, modelli allettanti per un passaggio flessibile dalla vita lavorativa alla pensione nel quadro dei sistemi pensionistici pubblici (anche con l'ulteriore sviluppo di modelli di lavoro a tempo parziale per gli anziani),

adottare misure finalizzate a protrarre la permanenza fisica e psicologica nella vita lavorativa, innanzitutto allentando la pressione sui lavoratori nelle aziende e adeguando le condizioni di lavoro all'età (ad es. incentivando una maggiore tutela della salute sul luogo di lavoro e varando programmi aziendali generalizzati di promozione della salute e prevenzione delle malattie, nonché di protezione dei lavoratori),

incrementare la partecipazione degli anziani alla formazione (campagna di qualificazione 40+, incentivi per ovviare alla scarsa partecipazione alla formazione aziendale, specie per quanto riguarda i lavoratori meno qualificati),

adottare misure di sensibilizzazione rivolte ai lavoratori più anziani (valorizzazione delle conoscenze maturate con l'esperienza e trasferimento ai giovani lavoratori delle competenze ottenute nella vita lavorativa), offrire consulenza e sostegno alle imprese, in particolare alle PMI, nella programmazione in materia di risorse umane e nello sviluppo di un'organizzazione del lavoro che tenga conto dell'età dei dipendenti.

8.   Migliorare l'occupazione femminile

8.1

Nonostante negli ultimi trent'anni le donne abbiano fatto degli evidenti passi avanti sul piano delle qualifiche formali, permane a tutt'oggi una diffusa ineguaglianza tra i sessi nel mercato del lavoro. Le donne restano in gran parte relegate in settori di servizi o in comparti industriali con una quota tradizionalmente elevata di occupazione femminile. Esse hanno molte meno opportunità di far valere il proprio titolo di istruzione in prospettiva professionale e continuano ad avere difficoltà incomparabilmente maggiori degli uomini nel conciliare lavoro e famiglia.

8.2

Per tutte le fasce di età, la percentuale di occupazione a tempo parziale appare di gran lunga più elevata tra le donne che tra gli uomini. L'aumento del lavoro a tempo parziale, se scelto liberamente e svolto in condizioni che non portino a un'impasse in termini di prospettive salariali e occupazionali, in sé è da accogliere con favore; ciò detto, nella maggior parte degli Stati membri continua a essere un fattore fondamentale di segmentazione del mercato del lavoro in funzione del genere.

8.3

Lo scarto tra i redditi delle donne e quelli degli uomini permane considerevole in quasi tutte le categorie professionali, indipendentemente dalla posizione occupata sul mercato del lavoro. Particolarmente negative ai fini delle possibilità di carriera, della retribuzione e dei diritti alle prestazioni sociali risultano le lunghe interruzioni del lavoro per assistere figli o parenti. Mentre gli uomini continuano a poter contare su aumenti progressivi in funzione dell'età, le retribuzioni delle donne restano stazionarie proprio in quelle fasi della vita in cui esse interrompono il lavoro o passano al tempo parziale per dedicarsi ai figli.

8.4

Che le cose possano anche andare diversamente e che l'integrazione della dimensione uomo-donna (gender mainstreaming) nella politica del mercato del lavoro non sia solo uno slogan, lo si evince in particolare dall'esempio della Danimarca o della Svezia. Qui i divari retributivi sono di molto inferiori a quelli registrati in altri Stati membri dell'UE, mentre decisamente più elevati appaiono il tasso di attività femminile e il numero di posti disponibili nei servizi di custodia dell'infanzia, in particolare per i bambini con meno di 2 anni. Un altro esempio positivo è dato dai Paesi Bassi, dove coesistono alti tassi di attività femminile e una percentuale molto elevata di impieghi a tempo parziale, la maggior parte dei quali viene esercitata su base volontaria.

8.5

Misure chiave per risolvere i problemi strutturali dell'occupazione femminile (15):

misure volte a eliminare le discriminazioni esistenti sul mercato del lavoro e le cause strutturali delle differenze di reddito legate al genere, in particolare rafforzando la capacità delle donne di provvedere autonomamente alla propria sicurezza sociale, soprattutto attraverso misure intese a ridurre i posti di lavoro a tempo parziale sottopagati e non tutelati, come pure a migliorare la regolamentazione del tempo parziale (ad es. estendendo il diritto dei genitori al tempo parziale, con diritto di tornare al tempo pieno, e intensificando la partecipazione ai programmi di formazione aziendale),

sviluppo massiccio e generalizzato di servizi di custodia fuori casa di bambini piccoli e in età scolare, servizi che dovrebbero essere di elevata qualità e conciliabili con il lavoro, oltre che generalmente convenienti sul piano economico; contributi per una promozione efficace della ripartizione degli obblighi di assistenza tra i partner (soprattutto incentivi per aumentare la partecipazione dei padri),

eliminazione delle misure di politica familiare con forti incentivi all'abbandono e/o all'interruzione protratta dell'attività professionale, il che rende più difficile un successivo e adeguato reinserimento. Le indennità versate nei periodi di aspettativa non dovrebbero ripercuotersi negativamente sull'evoluzione salariale né creare ulteriori incentivi all'abbandono professionale da parte delle donne o produrre nuovi ostacoli alla ripartizione tra i partner degli obblighi di assistenza ai figli,

misure di politica del mercato del lavoro intese a promuovere il reinserimento dopo il congedo parentale (tra cui il sostegno alle iniziative di lavoro autonomo) come pure misure contro la dequalificazione e la perdita di reddito (ad esempio tramite modelli flessibili di formazione continua durante il congedo parentale o la continuazione del lavoro con orario ridotto),

un'organizzazione dell'orario di lavoro adeguata alle esigenze familiari (compresa la possibilità, per i genitori con bambini piccoli e in età scolare, di partecipare alla definizione del rispettivo orario di lavoro, accordi di telelavoro e diritti garantiti relativi a un'organizzazione flessibile dell'orario di lavoro per le persone con obblighi di assistenza familiare).

9.   Promuovere le opportunità dei disabili sul mercato del lavoro

9.1

Le persone con disabilità restano in gran parte escluse dal mercato del lavoro. I lavoratori disabili hanno maggiori probabilità di dover accettare occupazioni poco retribuite e sono sovente discriminati nell'accesso alla formazione e alle promozioni. Dal momento che il 15 % della popolazione dell'UE in età lavorativa presenta un qualche tipo di disabilità, e considerato il basso tasso di occupazione di questa categoria, aumentare il tasso di occupazione dei disabili contribuirebbe in misura considerevole al conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona.

9.2

In questo contesto il Comitato accoglie con favore il documento della Commissione dal titolo L'approccio integrato alla disabilità nella strategia europea per l'occupazione  (16), che rappresenta un buon punto di partenza per promuovere l'inserimento professionale delle persone con disabilità, e rammenta che questo tipo di inserimento costituisce l'arma migliore per lottare contro l'esclusione sociale. Il Comitato fa presente che la maggior parte dei disabili diventa tale nel corso della vita professionale, ma che solo pochi di loro hanno la possibilità di ritornare al lavoro con un impiego adatto alla loro disabilità. Esempi positivi in questo ambito sono la rigorosa normativa britannica contro le discriminazioni, abbinata a un meccanismo di ricorso, e il modello danese che associa flessibilità del mercato del lavoro e un grado sufficiente di sicurezza sociale, oltre che un livello elevato di istruzione e formazione.

9.3

Misure prioritarie per promuovere l'occupazione dei disabili (17):

adeguare i sistemi fiscali e di previdenza sociale in modo da rendere attraente il lavoro e il passaggio alla vita lavorativa, ad esempio attraverso prestazioni sociali condizionate all'esercizio di un'attività professionale; inoltre, far sì che sia però possibile tornare a percepire la pensione di invalidità dopo un periodo lavorativo di prova,

mettere a punto, attuare e sostenere programmi attivi in materia di mercato del lavoro (in particolare misure di riconversione professionale) specificamente rivolti alle persone con disabilità, nonché misure intese ad agevolare il passaggio dall'occupazione assistita a quella regolare (ad esempio, calibrando le iniziative di informazione e comunicazione sulle esigenze dei disabili in cerca di lavoro),

rendere i luoghi di lavoro adatti alle esigenze dei disabili e sostenere azioni positive specificamente rivolte a quei lavoratori divenuti disabili nel corso della vita lavorativa; contemplare inoltre l'introduzione di periodi di aspettativa abbinati ad azioni di perfezionamento professionale, l'adeguamento delle mansioni o l'assegnazione di incarichi alternativi,

prevedere un sostegno supplementare ai lavoratori disabili nonché prestazioni assistenziali alle persone con disabilità, al fine di consentire ai loro familiari di continuare a lavorare.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere CESE del 17 maggio 2006 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, relatore: GREIF (GU C 195 del 18.8.2006).

(2)  Cfr. la relazione del gruppo di alto livello sul futuro della politica sociale in un'UE allargata, maggio 2004.

(3)  Id.

(4)  Cfr. il parere esplorativo del CESE del 13 settembre 2006 sul tema Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche, relatrice: ENGELEN-KEFER (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 157).

(5)  Cfr. il parere di iniziativa del CESE del 9 febbraio 2005 sul tema La politica occupazionale: il ruolo del CESE dopo l'allargamento e nella prospettiva del processo di Lisbona, relatore: GREIF (GU C 221 dell'8.9.2005).

(6)  Cfr. i grafici in allegato.

(7)  Fonte: Employment in Europe 2006.

(8)  Cfr. il Libro verde Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo (COM(2006) 708 def.).

(9)  Cfr. i pareri CESE dell'11 dicembre 2003 sul tema Indirizzi di massima per le politiche economiche 2003-2005, relatore: DELAPINA (GU C 80 del 30.3.2004), e del 17 maggio 2006 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, relatore: GREIF (GU C 195 del 18.8.2006).

(10)  Cfr. i seguenti pareri del CESE: parere del 26 ottobre 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio sulle politiche europee concernenti la gioventù: Rispondere alle preoccupazioni dei giovani in EuropaAttuare il Patto europeo per la gioventù e promuovere la cittadinanza attiva, relatrice: VAN TURNHOUT (GU C 28 del 3.2.2006); parere del 13 luglio 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale, relatrice: ENGELEN-KEFER (GU C 294 del 25.11.2005); parere del 31 maggio 2005 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione ai sensi dell'articolo 128 del Trattato CE, relatore: MALOSSE (GU C 286 del 17.11.2005).

(11)  Cfr. il parere CESE del 10 dicembre 2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su Immigrazione, integrazione e occupazione, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 30.3.2004).

(12)  Cfr. il parere CESE del 28 novembre 2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, relatore: MENGOZZI (GU C 48 del 21.2.2002).

(13)  Eurostat sta preparando un modulo specifico sulla situazione lavorativa degli immigrati e dei loro discendenti immediati, modulo che sarà utilizzato nella raccolta dati del 2008. L'obiettivo è migliorare la copertura delle persone di origine straniera nelle inchieste sulla forza lavoro dell'UE.

(14)  Cfr. il parere CESE del 15 dicembre 2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAumentare il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani e differire l'uscita dal mercato del lavoro, relatore: DANTIN (GU C 157 del 28.6.2005).

(15)  Cfr. il parere CESE del 13 settembre 2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniUna tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, relatrice: ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006) e il parere CESE del 29 settembre 2005 sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea, relatrice: KING (GU C 24 del 31.1.2006).

(16)  EMCO/II/290605.

(17)  Cfr. il parere CESE del 20 aprile 2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniLa situazione dei disabili nell'Unione europea allargata: il piano d'azione europeo 2006-2007, relatrice: GREIF (GU C 185 dell'8.8.2006), come pure il parere esplorativo CESE del 17 gennaio 2007 sul tema Pari opportunità per i disabili, relatore: JOOST (GU C 93 del 27.4.2007).


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata

(2007/C 256/19)

Il 13 febbraio 2007 il Comitato economico e sociale europeo ha ricevuto dalla futura presidenza portoghese una richiesta di parere sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore CLEVER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Antefatto

1.1

I capi di Stato e di governo degli Stati membri hanno convenuto, nel quadro della strategia di Lisbona, di portare al 60 % il tasso di occupazione femminile entro il 2010. Questo obiettivo è stato confermato negli Orientamenti integrati (1) (Orientamento integrato n. 17), adottati nel 2005 come componente essenziale del nuovo meccanismo di orientamento della strategia di Lisbona.

1.2

Gli ambiziosi obiettivi di crescita, occupazione e competitività stabiliti a Lisbona saranno realizzati più rapidamente e più durevolmente se, nonostante il calo della popolazione attiva dovuto al cambiamento demografico, nel prossimo decennio l'UE riuscirà ad aumentare ulteriormente il numero degli occupati e a migliorare le loro qualifiche. Un tasso di occupazione femminile sensibilmente più elevato offre buone possibilità di conseguire entrambi gli obiettivi: oggi le giovani donne desiderano infatti essere più attive nella vita professionale e, nonostante la presenza di diversi ostacoli, sono molto più qualificate per farlo.

1.3

Per conseguire l'obiettivo, gli Stati membri dell'UE hanno convenuto, tra l'altro, quanto segue:

adottare misure decise per aumentare il tasso di occupazione delle donne e ridurre le differenze di genere in materia di occupazione, disoccupazione e remunerazione,

adoperarsi per conciliare meglio il lavoro con la vita privata e prevedere strutture accessibili e abbordabili per la custodia dei bambini e per gli altri membri della famiglia bisognosi di assistenza (Orientamento integrato n. 17).

1.4

La presidenza portoghese ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo dal titolo Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata.

1.5

La compatibilità della vita professionale, familiare e privata rappresenta, secondo le parti sociali, un importante contributo alla promozione della crescita economica, alla prosperità e alla competitività dell'Europa.

1.6

La compatibilità della vita professionale, familiare e privata figura inoltre tra le priorità enunciate dalla Commissione europea nella sua tabella di marcia per la parità tra donne e uomini, adottata nel marzo 2006 (2). Per migliorare la compatibilità tra la vita professionale, familiare e privata la tabella di marcia della Commissione menziona tre punti prioritari:

1.

introdurre orari di lavoro flessibili per donne e uomini;

2.

aumentare i servizi di custodia per l'infanzia e i servizi di assistenza per gli anziani;

3.

migliorare le politiche di conciliazione tra lavoro e vita familiare per donne e uomini.

1.7

Con la comunicazione Il futuro demografico dell'Europa, trasformare una sfida in un'opportunità  (3), la cui pubblicazione era stata preannunciata nella tabella di marcia, il 12 ottobre 2006 la Commissione europea ha avviato, in virtù dell'articolo 138 del Trattato CE, la prima consultazione delle parti sociali sulla conciliazione della vita professionale, familiare e privata.

1.8

Nella prima fase della consultazione la Commissione sottolinea l'importanza della conciliabilità della vita professionale, familiare e privata. Vista l'evoluzione demografica e la pressione a cui essa sottopone i sistemi di sicurezza sociale, è necessario accrescere la partecipazione delle donne alla vita attiva. La Commissione dà poi rilievo al ruolo della conciliabilità della vita professionale con la vita privata in relazione al conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

1.9

Nel rispondere alla Commissione, ciascuna delle parti sociali insiste sull'importanza della conciliabilità della vita professionale con la vita privata, soprattutto alla luce della partecipazione ancora insufficiente delle donne al mercato del lavoro e dell'invecchiamento della popolazione. Le parti sociali appoggiano espressamente gli obiettivi stabiliti nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona in materia di servizi di assistenza all'infanzia, e sono anche concordi nel ritenere che le tre priorità per la parità enunciate nella tabella di marcia possano concorrere al loro conseguimento. Le parti sociali sottolineano inoltre il fatto che la conciliazione della vita professionale, familiare e privata e la questione delle pari opportunità rivestono un'importanza fondamentale nel dibattito pubblico, specialmente in un contesto di trasformazione demografica. Si deve inoltre prestare particolare attenzione al superamento degli stereotipi di genere, evitando però che la loro nuova percezione rallenti i progressi.

1.10

Per migliorare le pari opportunità tra donne e uomini, nel 2005 le parti sociali (Businesseurope/Ueapme, CEEP e CES) (4) hanno adottato un quadro d'azione sulla parità di genere (5). Tra i quattro settori prioritari nei quali — fino al 2010 — interverranno le parti sociali nazionali, figura espressamente la conciliazione tra la vita professionale e la vita familiare. Il Consiglio ha pertanto ragione nel voler affidare alle parti sociali l'organizzazione dell'orario di lavoro, fattore fondamentale nella conciliabilità tra vita professionale e vita familiare, onde trovare soluzioni pratiche soddisfacenti per tutte le parti interessate.

1.11

Contribuendo all'instaurazione di migliori condizioni di lavoro, le parti sociali possono migliorare la vita quotidiana delle famiglie: in questo contesto esse svolgono un ruolo fondamentale. Il quadro d'azione testé menzionato è uno dei contributi delle parti sociali all'attuazione della strategia di Lisbona. Vista la complessità e l'interdipendenza delle cause dei persistenti squilibri sul mercato del lavoro, le parti sociali europee sono convinte che, per rimediare efficacemente ai problemi e promuovere la parità di genere, sia necessaria una strategia integrata. La conciliabilità della vita familiare e professionale costituisce uno dei principali strumenti per riuscirci.

1.12

In questi ultimi anni alcune imprese si sono impegnate di più a favore della conciliabilità tra vita professionale e vita privata e per tale motivo i bisogni della famiglia sono diventati un elemento essenziale della politica del personale e della filosofia aziendale, come dimostra il primo bilancio comune dell'accordo concluso tra le parti sociali, che queste hanno pubblicato nel febbraio 2007. Ciò non toglie, però, la necessità di adoperarsi per eliminare le perduranti lacune delle imprese, delle parti sociali e degli Stati membri (6).

1.13

Il concetto di pari opportunità sul luogo di lavoro, l'introduzione di iniziative per favorire la conciliazione della vita familiare e professionale, nonché la creazione di un modello di gestione dell'impresa all'insegna delle pari opportunità fanno parte del concetto di «responsabilità sociale delle imprese», che incita le imprese a instaurare buone pratiche e ad agire in modo responsabile nei confronti dei loro dipendenti.

2.   Analisi della situazione

2.1

Le trasformazioni sociali hanno comportato una forte differenziazione delle strutture familiari. Una politica intesa a conciliare la vita professionale con la vita familiare e privata deve tener conto di tutti gli stili di vita esistenti (ad esempio: famiglie monoparentali, famiglie allargate (cosiddette «famiglie patchwork», nelle quali i partner portano figli di precedenti matrimoni), single, genitori divorziati, genitori adottivi, studenti lavoratori, coppie omosessuali, persone che vivono da sole). La proporzione crescente di persone della terza e quarta età aumenta inoltre il bisogno di cure all'interno e all'esterno della famiglia.

2.2

Contrariamente agli uomini, le donne sono più fortemente impegnate nella gestione della famiglia e della casa, oltre che nell'attività professionale, e spesso si trovano in situazioni di stress e affaticamento permanente, fenomeno che non risparmia nessuna, dalle agricoltrici alle libere professioniste. In queste condizioni le donne spesso si vedono obbligate ad accettare attività a tempo parziale, il che significa un reddito più basso, una pensione più bassa e prospettive di carriera meno favorevoli. La conciliabilità della vita familiare e professionale è quindi uno strumento importante anche per far valere nel mondo del lavoro la parità tra uomini e donne, e la parità tra donne con e senza figli.

2.3

Dato che la natura dei problemi di fondo e le possibilità di risolverli variano non solo da uno Stato membro all'altro, ma anche da una regione all'altra o addirittura da un'impresa all'altra, non esiste una soluzione preconfezionata che possa applicarsi indifferentemente a tutte le situazioni. Il CESE ritiene quindi che le parti sociali possano svolgere un ruolo importante per apportare soluzioni in proposito: le strutture di cui dispongono, infatti, permettono loro di influenzare profondamente la vita quotidiana dei lavoratori nei diversi Stati membri, impegnandosi per favorire la conciliabilità della vita familiare e professionale.

2.4

Nonostante la decisione di avere dei figli sia, per sua natura, molto personale, come del resto la decisione di accogliere in famiglia, per curarli, parenti e persone care, ammalati, disabili o anziani, tali decisioni possono avere un impatto sulla società nel suo complesso. Il continuo calo del tasso di natalità è, nel lungo termine, sinonimo di mancanza di personale qualificato, di dirigenti, clienti, manodopera, imprenditori, scienziati e ricercatori, cosa che avrà forti conseguenze su tutta la società (7). Spetta agli Stati assumersi una particolare responsabilità per quanto riguarda soprattutto i seguenti aspetti:

aiuto materiale e finanziario (sussidi, riconoscimento ai fini pensionistici),

infrastrutture di appoggio (assistenza all'infanzia, scuola a tempo pieno, attività extrascolastiche, cura dei bambini durante le vacanze scolastiche, attività per il tempo libero proposte da organizzazioni volontarie, servizi come ad esempio le cure a domicilio),

congedi parentali adeguati per entrambi i genitori (anche in caso di adozione),

contesto lavorativo attento alle esigenze familiari.

2.5

Per trarre pienamente vantaggio dal potenziale della popolazione attiva, la Commissione ritiene importante prevedere orari di lavoro flessibili, di cui le donne e gli uomini possano beneficiare alle stesse condizioni. È inoltre necessario prevedere un quadro giuridico adeguato. A beneficiare di tali orari, tuttavia, sono soprattutto le donne, cosa che provoca uno squilibrio di genere negativo sia per la posizione delle donne sul posto di lavoro sia per la loro indipendenza economica. È quindi necessario, oggi più che nel passato, incoraggiare gli uomini ad assumere compiti familiari, soprattutto incoraggiando i congedi parentali e di paternità, in modo da consentire una ripartizione equa degli oneri legati al lavoro domestico non remunerato ed alla cura dei bambini e dei membri della famiglia.

3.   Evoluzione dei ruoli

3.1

Con le trasformazioni sociali, il livello di qualifiche delle donne è fortemente aumentato, e con esso si sono modificati anche i loro modelli di ruolo e le loro aspettative. In Europa le giovani donne hanno ormai qualifiche superiori a quelle degli uomini della loro stessa età, e considerano l'esercizio di un'attività professionale come parte integrante del loro progetto di vita. L'innalzamento del livello di qualificazione femminile dovrebbe portare, tra l'altro, a ridurre le disparità tra la retribuzione media delle donne e quella degli uomini. Attualmente le disparità retributive sono dovute in gran parte all'elevata percentuale di donne che lavorano a tempo parziale, alle interruzioni di carriera più prolungate e alla conseguente esperienza professionale inferiore, a una proporzione minore di donne che ricoprono posti di responsabilità e al livello di qualifiche inferiore delle lavoratrici più anziane. Nonostante le griglie salariali stabilite dai contratti collettivi garantiscano che, per uno stesso lavoro e a parità di qualifiche, uomini e donne percepiscano la stessa remunerazione, il fenomeno della disparità salariale persiste comunque. Inoltre, per consentire ad ognuno di scegliere il proprio progetto di vita è necessario che le condizioni sociali diano alle donne e agli uomini la possibilità di optare per il modello di vita che corrisponde ai loro desideri, senza doversi confrontare con il giudizio sociale, positivo o negativo che sia.

3.2

Tra le condizioni che influenzano in maniera determinante i progetti di vita figura, oltre alle strutture di assistenza all'infanzia di un determinato paese, la percezione sociale delle madri e dei padri che lavorano e contemporaneamente si dedicano alla famiglia. La posizione delle parti sociali su questi aspetti influenza in maniera determinante la percezione sociale. Le esperienze dei paesi scandinavi e della Germania hanno dimostrato che può essere utile versare a una famiglia gli aiuti finanziari — quali ad esempio una parte degli aiuti parentali — oppure aumentarli solo a condizione che anche il padre si dedichi per un certo periodo alla cura dei bambini. In questo modo i padri beneficiano di un quadro giuridico che consente loro, per un periodo limitato, di partecipare più facilmente all'educazione dei figli, mentre le madri hanno la possibilità di rientrare più velocemente nella vita professionale.

3.3

Il CESE sottolinea che alcuni semplici ritocchi non basteranno a modificare il doppio carico che grava sulle donne che si trovano a dover conciliare la vita professionale e la vita familiare. L'obiettivo deve piuttosto essere quello di aggiornare la ripartizione tra uomini e donne dei compiti extraprofessionali non remunerati, quali l'educazione dei figli, le cure ai familiari o l'organizzazione della famiglia. Gli uomini devono essere incoraggiati ad una suddivisione dei compiti davvero paritaria all'interno della coppia, cosa che presuppone un cambiamento profondo della mentalità e delle strutture.

4.   Misure di sostegno delle parti sociali a favore della conciliabilità della vita familiare, professionale e privata al livello dell'impresa

4.1

Lo sviluppo demografico e le trasformazioni che esso comporta hanno profonde conseguenze sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Le parti sociali hanno, a tutti i livelli, un ruolo importante per migliorare la conciliabilità tra vita professionale, familiare e privata.

4.2

Una politica del personale che tenga conto tanto degli interessi aziendali quanto dei compiti essenziali che tutti i lavoratori e le lavoratrici devono assolvere al di fuori dell'orario di lavoro, nonché delle loro responsabilità familiari e interessi privati, e riesca a trovare il giusto equilibrio tra tutti questi elementi, è indispensabile per il successo di qualsivoglia politica aziendale intesa a conciliare la vita professionale con quella privata. Ciò presuppone che ciascuno Stato membro offra:

buone infrastrutture di assistenza ai bambini (dai più piccoli ai più grandi), che soddisfino le attuali necessità,

un'offerta valida e sufficiente di servizi per la cura e l'assistenza degli anziani e dei disabili,

condizioni di lavoro eque,

misure per evitare che situazioni quali un'aspettativa o il lavoro part-time, necessarie per potersi occupare dei bambini o delle persone in stato di dipendenza, influiscano sulle prestazioni future,

personale qualificato e adeguatamente retribuito.

Una rete capillare di tali infrastrutture è nell'interesse dei lavoratori, delle imprese, dello Stato e di tutta la società.

4.3

Tra le misure di politica del personale — in parte concordate anche tra le parti sociali — che possono essere attuate nelle imprese, figurano le seguenti:

introduzione di modelli di orari di lavoro innovatori ma non penalizzanti (frammentazione dell'orario di lavoro, accumulo di diversi piccoli lavori contemporanei), telelavoro, periodi sabbatici e sistema di «crediti» («banca delle ore»),

sicurezza giuridica tipica del contratto di lavoro stabile,

possibilità di mantenere i contatti con l'impresa nel corso dei congedi parentali,

sostegno per l'organizzazione della cura dei bambini (asili aziendali, acquisto di posti riservati, aiuti finanziari),

aiuti per la cura dei parenti anziani o non autosufficienti,

aiuti per le iniziative di sviluppo personale,

aiuti per il reinserimento dei lavoratori dopo un periodo di aspettativa o di lavoro part-time, necessari per potersi occupare di bambini o di persone in stato di dipendenza.

4.4

Con questo si tiene conto anche dell'obiettivo consistente nel facilitare a tutti la conciliazione della vita professionale con quella familiare e privata, proponendo modalità di lavoro a tempo parziale su misura e molto flessibili, che tengano in considerazione gli interessi sia delle imprese che del personale. L'esercizio di un'attività a tempo parziale, però, concorre al conseguimento di questo obiettivo solo se viene scelta volontariamente. Il CESE ritiene urgente far sì che gli uomini siano più inclini ad accettare le offerte di impiego a tempo parziale, se le esigenze familiari impongono che uno dei genitori opti per questa tipologia di lavoro. Ciò renderebbe possibile sottolineare nella pratica che gli impegni extraprofessionali nella coppia o nella famiglia non competono esclusivamente alle donne, bensì vanno condivisi in maniera responsabile e svolti in comune.

4.5

Le parti sociali possono aiutare i genitori ad attuare i modelli di vita che desiderano. Nella prassi aziendale si sono dimostrati efficaci, ad esempio, l'offerta alle madri in congedo parentale di mantenersi in contatto con l'impresa per sostituire, su base volontaria, personale assente per ferie o per malattia, oppure gli inviti alle feste aziendali, in modo da facilitare il loro ritorno dopo un periodo dedicato alla famiglia. Il CESE sottolinea che la regolamentazione in vigore a tutela delle donne in gravidanza e del personale in congedo parentale deve essere rigorosamente rispettata, e in nessun caso aggirata da una discriminazione indiretta.

4.6

Inoltre i genitori possono essere aiutati organizzando servizi di assistenza all'infanzia. Diverse imprese propongono ai propri dipendenti di aiutarli nella ricerca di assistenti per l'infanzia abilitati e di posti presso gli asili nido, oppure fornendo assistenza in caso di malattia di un figlio. Alcune imprese cercano inoltre, attraverso misure mirate quali la concessione di un giorno di ferie in occasione del compleanno di un figlio, di incoraggiare i loro dipendenti uomini ad assumere una parte più importante degli impegni familiari, e a passare più tempo con i figli. Le imprese che attuano questa politica meritano di essere appoggiate. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i genitori non beneficiano di alcun aiuto pratico. Oltre ad essere contrario alla legge, questo atteggiamento nuoce alle imprese, perché si ripercuote negativamente sull'ambiente di lavoro e sulla motivazione dei lavoratori.

4.7

Il CESE rimanda agli studi scientifici realizzati dalla società Prognos AG, da cui risulta che l'attuazione di misure che tengono specificamente conto anche della vita familiare e privata del loro personale si rivela vincente sul piano economico per il datore di lavoro, dato che questi strumenti di politica del personale riducono l'assenteismo e aumentano l'impegno del personale, la sua motivazione e la sua produttività. Una politica del personale di questo tipo rende più appetibili i posti di lavoro, soprattutto se consente anche alle lavoratrici che hanno impegni familiari di accedere più facilmente a posizioni di responsabilità e di mantenerle. Questo tipo di cultura d'impresa assicura inoltre un clima aziendale favorevole e favorisce l'attrattività delle imprese di una determinata regione.

4.8

Il CESE fa osservare che nell'introdurre orari di lavoro flessibili occorre tener conto del concetto di flessicurezza. Nel contesto della strategia di Lisbona la flessicurezza si rivela un approccio integrato alla riforma del mercato del lavoro, che incoraggia la flessibilità — necessaria o desiderata —, associandola alla sicurezza ed alla prevedibilità necessarie per tutte le parti interessate. La flessibilità negoziata tra le parti sociali deve mirare a creare una situazione vantaggiosa tanto per le imprese quanto per i lavoratori. Si deve inoltre tener conto sia della necessità che le imprese si adattino alle esigenze del mercato, sia dell'interesse crescente della flessibilità per i lavoratori, ad esempio per organizzare l'orario di lavoro in modo da poter meglio assolvere gli obblighi familiari o extraprofessionali legati alla loro vita privata, salvaguardando la sicurezza ed evitando condizioni di lavoro precarie. In questo campo le soluzioni più efficaci sono quelle individuali e adattate ai bisogni specifici, che, di norma, vengono negoziate dalle parti sociali. Il CESE sottolinea la necessità di prestare maggiore attenzione alle diverse situazioni delle donne e degli uomini nel quadro del dibattito sulla flessicurezza  (8).

4.9

La conciliabilità della vita professionale, familiare e privata è tanto più riuscita quanto più i singoli strumenti per conseguirla fanno parte integrante della realtà aziendale. È quindi della massima importanza che questi strumenti vengano attuati a livello nazionale.

4.10

Il CESE ritiene che competizioni tra le imprese, appoggiate dalle parti sociali, possano essere uno strumento idoneo a diffondere gli esempi di buone pratiche favorevoli alle famiglie e alle donne, e a raccomandarli come esempi da seguire. Queste competizioni tra imprese consentono inoltre di presentare al grande pubblico diversi strumenti innovativi, fra i quali:

l'allestimento di spazi gioco per i figli dei dipendenti,

l'apertura di asili aziendali,

la creazione, all'interno delle imprese, di una rete volontaria per il coordinamento dell'assistenza reciproca «intergenerazionale». Gli ex dipendenti in pensione possono ad esempio espletare formalità amministrative o fare commissioni per conto dei giovani lavoratori che hanno impegni familiari.

4.11

Comprensibilmente, la maggior parte delle piccole o medie imprese, che rappresentano la maggioranza delle imprese nell'UE, non hanno i mezzi per proporre vantaggi altrettanto attraenti, ed è per questo motivo che occorre contemplare appositi incentivi fiscali. Proprio gli stretti legami sociali esistenti nelle piccole e medie imprese garantiscono però che le parti interessate trovino soluzioni individuali, concrete e tempestive per il loro personale. È inoltre possibile che, in una determinata regione, diverse piccole imprese si associno agli enti territoriali, alle associazioni civiche e alle organizzazioni non governative per proporre determinati servizi, migliorando così la propria immagine aziendale e l'attrattività della loro regione in quanto polo produttivo.

5.   Iniziative concrete a livello locale e regionale

5.1

Per un miglioramento concreto e realistico delle condizioni di conciliabilità della vita professionale, familiare e privata, è particolarmente opportuno che gli attori locali, a tutti i livelli, coordinino la propria azione. Per questo motivo il CESE incoraggia le parti sociali a lanciare su scala regionale e locale delle iniziative che riuniscano le parti interessate (dirigenti di impresa, comitati aziendali, associazioni di genitori, comunità religiose, associazioni sportive, responsabili locali, ecc.) nelle città e nei comuni, con l'obiettivo di forgiare insieme un contesto dove gli interessi professionali, familiari e privati possano essere conciliati al meglio. Questi sviluppi a livello locale recano direttamente dei vantaggi concreti a tutte le parti interessate. Il campo d'azione dei diversi attori locali è molto diversificato e aperto a idee innovative di tutti i generi, di cui citiamo alcuni esempi concreti (lista non esaustiva):

la creazione di un sito Internet locale con informazioni mirate per le famiglie,

la costituzione di basi dati sulla disponibilità delle strutture di assistenza all'infanzia,

servizi che mettano in contatto le giovani famiglie senza nonni e gli anziani privi di famiglia,

servizi di accompagnamento dei bambini nel tragitto da casa a scuola e ritorno,

sostegno alle organizzazioni di volontariato e ai volontari che dedicano una parte del loro tempo libero alla cura dei bambini,

organizzazione di seminari su una pianificazione urbana favorevole alle famiglie, per porre fine all'esodo dei nuclei familiari più giovani,

programmi di tutoraggio destinati ai padri di famiglia che lavorano a tempo parziale,

modifica degli orari dei bus scolastici affinché i genitori possano coordinare meglio gli orari di lavoro con quelli della scuola,

orari flessibili per gli asili,

organizzazione, da parte delle imprese, di iniziative sulla conciliabilità tra vita familiare e professionale, in occasione delle quali esse presentano al pubblico le loro politiche del personale a favore delle famiglie,

una verifica di tutte le decisioni dei comuni in funzione della loro utilità per l'infanzia.

6.   Strutture per l'assistenza all'infanzia e ai parenti anziani

6.1

Il CESE ricorda che la seconda relazione intermedia sull'attuazione della strategia di Lisbona, pubblicata dalla Commissione europea a metà dicembre 2006 (9), precisa che l'insufficienza di strutture abbordabili per la custodia dei bambini resta un problema in diversi Stati membri. Gli Stati membri sono quindi invitati ad offrire più strutture di accoglienza di qualità accessibili a tutti, in linea con i propri obiettivi.

6.2

Il Consiglio europeo svoltosi nel 2002 a Barcellona (10), inoltre, ha deciso che entro il 2010 negli Stati membri dovranno essere create strutture di «assistenza all'infanzia per almeno il 90 % dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l'età dell'obbligo scolastico», e per almeno il 33 % dei bambini di età inferiore ai 3 anni.

6.3

Anche tenuto conto dell'evoluzione del ruolo delle donne e degli uomini, è importante che le parti sociali chiariscano che lo sviluppo dei figli non viene influenzato negativamente dal fatto che la madre eserciti un'attività professionale, né dal fatto che il padre partecipi ai compiti familiari.

6.4

Vista la grande diversità delle situazioni nazionali per quanto riguarda le strutture di cura dei bambini di età inferiore ai tre anni, il CESE raccomanda con insistenza ad ogni Stato membro di stabilire concretamente obiettivi quantitativi in materia. Per la conciliabilità della vita familiare e dell'attività professionale, sarebbe opportuno garantire, entro il 2010, un posto all'asilo o presso un'assistente per l'infanzia abilitata ad almeno il 33 % dei bambini di età inferiore a 3 anni.

6.5

Il CESE ritiene necessario attribuire un'importanza maggiore che in passato allo sviluppo delle strutture di assistenza all'infanzia negli Stati membri e prendere misure politiche adeguate per accelerare e sostenere i progressi nel settore.

6.6

Nel parere sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica  (11), il CESE ha esaminato nei dettagli i cambiamenti demografici nell'UE e le loro conseguenze per le famiglie. Se è vero che l'innalzamento della vita media può essere sinonimo di un miglioramento della qualità di vita per molti di noi, è anche vero che, come conseguenza, in futuro un numero crescente di persone dovrà dedicarsi alla cura dei parenti anziani oltre alla propria attività professionale. Occorrerà dunque prestare maggiore attenzione al potenziamento dei servizi destinati agli anziani in modo da alleggerire l'onere per i familiari che se ne fanno carico.

6.7

In questo contesto le parti sociali potrebbero avere il compito di diffondere informazioni sugli strumenti che già si sono dimostrati efficaci nella pratica. A titolo di esempio possiamo citare: un adattamento temporaneo dell'orario di lavoro per chi si debba occupare di un parente la cui malattia presenti emergenze frequenti; una configurazione del posto di lavoro che agevoli il compito di chi è responsabile di una persona bisognosa di cure, mettendo ad esempio a disposizione un telefono per essere facilmente contattabile e un computer collegato ad Internet che consenta di risolvere i problemi pratici legati all'assistenza e alle cure o infine la fornitura di documentazione sui problemi organizzativi, finanziari e giuridici legati alla situazione specifica dell'interessato.

7.   Prospettive

7.1

Il CESE ritiene che la conciliabilità della vita professionale e familiare sia inevitabilmente legata all'ottenimento delle pari opportunità, e che sarà rafforzata dai risultati che le parti sociali conseguiranno su questo fronte. Affinché la conciliazione della vita familiare e professionale diventi una realtà della vita quotidiana, i programmi di istruzione destinati ai bambini dovrebbero presentarla come normale e necessaria.

7.2

Il CESE chiede al Consiglio, al Parlamento europeo e alla Commissione di tener conto, nei loro prossimi lavori, delle proposte formulate nel presente parere esplorativo e di sostenerle, per migliorare ulteriormente la conciliabilità della vita professionale, familiare e privata dei cittadini dell'UE.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Decisione del Consiglio del 12 luglio 2005 sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, GU L 205 del 6.8.2005, pag. 21.

(2)  COM(2006) 92 def.

(3)  COM(2006) 571 def.

(4)  Businesseurope (ex UNICE) è la Confederazione delle associazioni europee dei datori di lavoro e dell'industria, l'Ueapme è l'Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese, il CEEP è il Centro europeo dell'impresa pubblica, la CES è la Confederazione europea dei sindacati.

(5)  http://ec.europa.eu/employment_social/news/2005/mar/gender_equality_en.pdf

(6)  Cfr. il parere del CESE del 14.3.2007 sul tema L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio, relatrice: FLORIO (GU C 161 del 13.7.2007).

(7)  Cfr. il parere del CESE del 14.3.2007 sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica (parere esplorativo), relatore: BUFFETAUT (GU C 161 del 13.7.2007).

(8)  Cfr. il parere esplorativo del CESE del 12.7.2007 sul tema La flessicurezza (dimensione della flessibilità internacontrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro), relatore: JANSON (GU C 97 del 28.4.2007).

(9)  Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo di primaveraAttuazione della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione: Un anno di realizzazioni (COM(2006) 816 def.).

(10)  Conclusioni della presidenza: Consiglio europeo di Barcellona del 15 e 16 marzo 2002.

(11)  Cfr. il parere del CESE del 14.3.2007 sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica (parere esplorativo), relatore: BUFFETAUT (GU C 161 del 13.7.2007).


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/108


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La flessicurezza (dimensione della flessibilità interna — contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro)

(2007/C 256/20)

Con lettera del 13 febbraio 2007 la presidenza portoghese del Consiglio dell'UE ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore JANSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 163 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la richiesta della presidenza portoghese di elaborare un parere sulla flessicurezza. Fino ad ora, infatti, il dibattito su tale argomento si è limitato essenzialmente a capire come accrescere la flessibilità esterna e come compensare tale maggiore flessibilità rafforzando le politiche occupazionali o i meccanismi di sicurezza sociale. L'obiettivo dovrebbe invece essere quello di concentrarsi su come creare con più facilità situazioni vantaggiose per tutti.

1.2

Il CESE sottolinea la necessità di rafforzare il ruolo delle parti sociali, che dovrebbero essere protagoniste in tutti i dibattiti sulla flessicurezza e occupare un posto privilegiato nelle consultazioni della Commissione europea. Nel definire, a livello europeo, il concetto di flessicurezza, la Commissione avrebbe dovuto dare maggiore rilievo al processo di consultazione, in particolare delle parti sociali europee.

1.3

Qualsiasi discussione sulla flessicurezza presuppone il rafforzamento dei sistemi di relazioni industriali a livello europeo e nazionale. Un dialogo sociale forte e vitale, che coinvolga le parti sociali e al cui interno esse possano negoziare, avere voce in capitolo ed assumersi la responsabilità di definire la flessicurezza e le sue componenti, nonché di valutarne i risultati, riveste infatti un'importanza fondamentale.

1.4

La Commissione e gli Stati membri dovrebbero cercare di indirizzare i dibattiti circa le eventuali riforme basate sul concetto di flessicurezza verso il consolidamento e la modernizzazione delle relazioni industriali a tutti i livelli. Il CESE auspica quindi un legame più stretto tra il dibattito sulla flessicurezza e il rafforzamento del dialogo sociale a tutti i livelli, sempre nel rispetto della diversità dei sistemi di relazioni industriali dei singoli Stati membri. Il concetto di flessicurezza dovrebbe migliorare, sempre in maniera equilibrata, sia la flessibilità che la sicurezza. Esso non implica in alcun caso una riduzione unilaterale e illegittima dei diritti dei lavoratori, idea che il CESE respinge.

1.5

Visto il ruolo essenziale svolto dalle parti sociali nel progressivo sviluppo delle politiche di flessicurezza a livello europeo, il CESE riconosce che questo dibattito non può essere separato né dal contenuto del dialogo sociale europeo né dai suoi ulteriori sviluppi.

1.6

Il CESE intende sottolineare che, nel contesto della flessicurezza, la Commissione e gli Stati membri dovrebbero prestare maggiore attenzione alla parità di genere e alla solidarietà tra generazioni. Sul mercato del lavoro, le donne, gli anziani e i giovani sono spesso svantaggiati sotto il profilo della flessibilità e della sicurezza: sarebbe invece opportuno mirare ad una convergenza verso l'alto, allineando la condizione di questi gruppi a quella dei lavoratori più avvantaggiati.

1.7

Il CESE auspica che gli Stati membri e la Commissione esaminino la possibilità di migliorare l'adattabilità attraverso la flessibilità interna, facendo di quest'ultima una dimensione realizzabile e accettabile della flessicurezza. La flessibilità interna può svolgere un ruolo fondamentale nel migliorare la produttività, l'innovazione e la competitività, contribuendo così a raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona. Consentendo ai lavoratori di combinare meglio il lavoro con altre attività e responsabilità, la flessibilità interna può anche svolgere un ruolo importante nel migliorare la qualità dell'occupazione. Tutto ciò presuppone un quadro regolamentare che assicuri la tutela dell'occupazione e dell'assistenza sanitaria, e offra stabilità e sicurezza ai lavoratori. La tutela dell'occupazione, unita a efficaci servizi di reinserimento sul mercato del lavoro e a politiche attive nel settore, è un elemento fondamentale per garantire l'adattabilità e la sicurezza sia delle imprese che dei lavoratori.

1.8

Il CESE ritiene necessario ricercare un equilibrio tra la flessibilità degli orari di lavoro e la protezione dei lavoratori. Lo strumento più adeguato per garantire tale equilibrio è rappresentato dalle norme stabilite dalle contrattazioni collettive, in linea con le pratiche nazionali. Tali contrattazioni sulla flessibilità dell'orario di lavoro devono però fondarsi su un quadro consolidato di diritti, dispositivi sociali ben funzionanti e regimi di previdenza sociale che favoriscano l'occupazione.

1.9

Anche la flessibilità funzionale è un elemento centrale delle contrattazioni collettive tra le parti sociali. È attraverso questo tipo di contrattazioni che è possibile equilibrare e sintonizzare i bisogni delle imprese e quelli dei lavoratori, nonché stabilire compensazioni adeguate per i lavoratori che acquisiscano nuove qualifiche.

1.10

La flessibilità funzionale presuppone un costante miglioramento delle conoscenze e delle capacità dei lavoratori, il che a sua volta, richiede infrastrutture ben funzionanti in materia di istruzione e formazione professionale. Benché in passato siano stati presi molti impegni a favore della formazione permanente, nella pratica rimane ancora un lungo cammino da percorrere.

2.   Contesto

2.1

La presidenza portoghese ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sulla flessicurezza, che esamini tra gli altri i seguenti aspetti:

1)

la dimensione della flessibilità interna;

2)

la contrattazione collettiva e il ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro.

2.2

Alcuni degli orientamenti in materia di politica occupazionale (periodo 2005-2008) potrebbero costituire la base per un dibattito sull'argomento. Quella della flessicurezza (cioè come trovare un equilibrio tra flessibilità e sicurezza) è una sfida importante: il Consiglio europeo della primavera 2006 ha chiesto agli Stati membri di dedicarle un'attenzione particolare, invitandoli a procedere, in base alla situazione rispettiva del mercato occupazionale, alle necessarie riforme del mercato del lavoro e delle politiche sociali secondo un approccio integrato.

2.3

La flessicurezza è stata oggetto di discussione in occasione di due summit sociali, nel quadro dei vertici europei del dicembre 2006 e del marzo 2007.

2.4

La Commissione ha poi istituito un gruppo di lavoro, composto di esperti, incaricato di proporre dei «percorsi di flessicurezza», e cioè delle possibili combinazioni di determinati aspetti della sicurezza e di altri della flessibilità sul posto di lavoro. Partendo da questa base, la Commissione ha pubblicato nel giugno 2007 una comunicazione sull'argomento, che include la presentazione di una serie di principi comuni. Nel dicembre 2007 tali principi comuni saranno poi integrati nei nuovi orientamenti per l'occupazione per il 2008. Anche il Libro verde Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo  (1), le cui raccomandazioni sono già state discusse nello specifico parere del CESE sull'argomento, include la dimensione della flessicurezza dal punto di vista specifico del contratto di lavoro.

2.5

Il CESE desidera inoltre ricordare l'importante lavoro svolto in questo contesto dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che della flessicurezza ha illustrato diversi aspetti importanti.

3.   Aspetti delle strategie di flessicurezza

3.1

a)

Le strategie di flessicurezza sono strategie intese a combinare in maniera equilibrata diverse forme di flessibilità e di sicurezza sul mercato del lavoro, allo scopo di migliorare l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese, offrendo loro, nel contempo, stabilità occupazionale e protezione dai rischi. Si citano, a titolo indicativo, alcuni tipi di flessibilità e di sicurezza:

Esempi di flessibilità

Flessibilità numerica esterna

Adeguamento degli organici attraverso l'interazione con il mercato del lavoro, sotto forma ad esempio di licenziamenti, assunzioni su base temporanea e assunzioni con contratti a termine.

Flessibilità numerica interna

Adattamento delle risorse di manodopera interne sotto il profilo temporale, mediante dispositivi quali orari di lavoro atipici e sistemi di recupero delle ore.

Flessibilità funzionale interna

Organizzazione della flessibilità interna attraverso la formazione, la multifunzionalità e la rotazione, in base alla capacità dei lavoratori di svolgere diverse funzioni e attività.

Flessibilità finanziaria

Variazione delle retribuzioni (salario di base ed eventuali extra), in funzione del rendimento del singolo o dell'impresa.

Esempi di sicurezza

Sicurezza del posto di lavoro

Sicurezza derivante dalla legislazione sulla protezione dell'occupazione, ecc., che limita la capacità del datore di lavoro di licenziare a propria discrezione.

Sicurezza occupazionale

Esistenza di opportunità di lavoro adeguate, grazie all'elevato livello di occupabilità dei lavoratori garantito, ad esempio, dalla formazione e dall'istruzione.

Sicurezza del reddito

Tutela di livelli salariali adeguati e stabili.

Sicurezza della conciliabilità tra vita professionale e vita privata

Sicurezza per i lavoratori di poter conciliare il proprio lavoro con altre responsabilità o impegni diversi dall'attività retribuita.

b)

La sicurezza giuridica del contratto di lavoro deve essere lasciata fuori dal dibattito, essendo il contratto, per sua natura, opponibile a terzi in giudizio. La sicurezza giuridica implica il mantenimento del vincolo di subordinazione, altrettanto essenziale, con tutte le conseguenze che ciò comporta anche per il diritto del lavoratore alla protezione sociale (mantenimento e applicazione).

3.2

Guidato dalla Commissione europea e ispirato ad alcuni aspetti dell'esempio danese, il dibattito sulla sicurezza a livello europeo si è fondamentalmente limitato ad analizzare i modi per migliorare la flessibilità esterna e compensare tale maggiore flessibilità rafforzando le politiche occupazionali o le disposizioni in materia di sicurezza sociale. I vantaggi e gli svantaggi della flessibilità esterna sono un aspetto su cui i pareri dei sindacati e quelli delle organizzazioni dei datori di lavoro divergono spesso profondamente. L'OCSE (2) ha inoltre recentemente dichiarato che la legislazione sulla protezione dell'occupazione non ha un impatto significativo sul tasso totale di occupazione. L'OIL ha poi dimostrato l'esistenza di una correlazione positiva tra la sicurezza del posto di lavoro e la produttività (cfr. Allegato 2).

3.3

Il presente parere mira ad allargare il dibattito sulla flessicurezza in tre direzioni. In primo luogo, il CESE tiene a sottolineare che il ruolo delle parti sociali in questo dibattito e, in generale, nelle riforme del mercato del lavoro, deve essere rafforzato. In secondo luogo, insiste sulla necessità di riservare una maggiore attenzione alle differenze di genere (e a quella categoria particolarmente sensibile sul mercato del lavoro che sono i giovani). Attualmente, infatti, la parità di genere è molto poco presente nel dibattito sulla flessicurezza. Nonostante sia le donne che gli uomini siano egualmente e maggioritariamente favorevoli a forme di lavoro più flessibili, che permettono un maggiore equilibrio tra vita professionale e vita privata, le donne sono spesso svantaggiate sul mercato del lavoro: sarebbe dunque opportuno ricercare una convergenza verso l'alto con gli uomini (3). In terzo luogo, il CESE ritiene importante esplorare modalità alternative per realizzare l'adattabilità, agevolare l'apprendimento permanente, migliorare la produttività e promuovere l'innovazione, tutti aspetti essenziali del processo di Lisbona. Questi argomenti sono d'altronde stati affrontati dal CESE anche nel parere sugli orientamenti per le politiche occupazionali (4). Alla luce di tutto questo, il presente parere non affronta quindi la questione della flessibilità esterna, concentrandosi invece piuttosto sulle possibilità di migliorare l'adattabilità grazie alla flessibilità interna.

3.4

Data l'incidenza che le piccole e medie imprese (PMI) e soprattutto le microimprese hanno sul piano dell'occupazione, il problema dell'applicazione ad esse della flessicurezza riveste un'importanza del tutto particolare. Di conseguenza, le eventuali politiche che saranno definite dagli Stati membri in questo ambito dovranno contenere disposizioni specifiche volte a salvaguardare espressamente le esigenze specifiche delle PMI e dei loro lavoratori.

3.5

Il CESE sottolinea che la base di qualsivoglia modello di flessicurezza è costituita da un sistema previdenziale in grado di garantire un elevato livello di protezione sociale, dall'assistenza da parte di servizi pubblici dotati di mezzi sufficienti e da un quadro giuridico stabile per la contrattazione collettiva e il dialogo sociale. I sistemi previdenziali possono infatti migliorare la mobilità assicurando che i cambiamenti che intervengono sul posto di lavoro non vadano a scapito dei lavoratori. Analogamente, l'esistenza di un quadro stabile per il dialogo sociale e la contrattazione collettiva rafforza le parti sociali, permettendo loro più facilmente di accordarsi su questioni importanti relative al mercato del lavoro.

4.   La flessicurezza e le parti sociali

4.1

La flessicurezza implica la necessità di stabilire un equilibrio tra i diritti e i doveri dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro. Il dialogo sociale e la contrattazione collettiva sono strumenti determinanti per definire e attuare qualunque riforma del mercato del lavoro, compresa quella della flessicurezza. Il CESE sottolinea pertanto il ruolo di protagoniste che spetta alle parti sociali in qualsiasi dibattito sulla flessicurezza a tutti i livelli. Esse dovrebbero — sempre di più — avere un ruolo guida nel definire l'equilibrio tra flessibilità e sicurezza e, così facendo, contribuire a migliorare le norme che disciplinano il mercato del lavoro.

4.2

A livello europeo, il CESE riconosce che la Commissione ha informato le parti sociali circa le sue intenzioni in merito al dibattito sulla flessicurezza. Il CESE ritiene tuttavia che la Commissione avrebbe dovuto dare maggiore rilievo alla loro consultazione, in particolare a quella delle parti sociali europee, già in relazione alla definizione stessa del concetto di flessicurezza. Senza un forte coinvolgimento di questa fondamentale controparte, sarà infatti difficile attuare qualsiasi tipo di strategia sulla flessicurezza.

4.3

Nel parere sul modello danese di flessicurezza  (5) il CESE osservava che «nella messa a punto del modello danese un ruolo centrale è stato svolto dalle parti sociali: esse, infatti, sono state protagoniste sia del processo decisionale che dell'attuazione, tra l'altro, della politica di formazione e delle riforme strutturali del mercato del lavoro. […] Il fatto che le parti sociali abbiano un ruolo così forte è dovuto in parte all'evoluzione storica, e in parte alla loro solida organizzazione interna. […] Un ruolo più partecipativo e influente delle parti sociali può pertanto rappresentare un vantaggio per la competitività della società e la sua capacità d'adattamento».

4.4

Nell'altro suo parere sul modello sociale europeo (6) il CESE sottolineava che «per quanto riguarda l'architettura di fondo del modello sociale europeo, le parti sociali hanno una funzione insostituibile sul fronte della politica economica e sociale, in particolare se si considera il ruolo di regolazione svolto dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori nel quadro dei contratti collettivi».

4.5

L'agenda sulla flessicurezza non dovrebbe quindi essere strutturata secondo un approccio top-down, essere cioè definita dalla Commissione e poi discussa dai governi degli Stati membri. Le parti sociali devono essere in grado di negoziare, avere voce in capitolo ed assumersi la responsabilità di definire la flessicurezza e le sue componenti, nonché di valutarne i risultati. Dato che la flessicurezza è così strettamente legata al dialogo sociale e alla contrattazione collettiva, l'emergere del dibattito in merito metterà in evidenza anche le lacune dell'uno e dell'altra. È opportuno che tali lacune vengano affrontate nello stesso momento in cui sarà presentata l'agenda sulla flessicurezza. Il CESE auspica quindi un legame più stretto tra il dibattito sulla flessicurezza e il rafforzamento del dialogo sociale a tutti i livelli e, laddove opportuno, tra la flessicurezza e la contrattazione collettiva, nel rispetto della diversità dei diversi sistemi di relazioni industriali dei singoli Stati membri.

4.6

Il dialogo sociale europeo è un fenomeno unico al mondo, in quanto dà alle parti sociali il ruolo di co-legislatori in campo sociale. Negli ultimi anni il dialogo sociale è diventato più autonomo. Le parti sociali hanno ormai il diritto di affrontare questioni di interesse comune, per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro in Europa. Il CESE riconosce che, visto il ruolo fondamentale svolto dalle parti sociali nel progressivo sviluppo delle politiche di flessicurezza a livello europeo, questo dibattito non può essere separato né dal contenuto del dialogo sociale europeo né dai suoi ulteriori sviluppi. Nel loro programma di lavoro pluriennale le parti sociali hanno sì concordato di esaminare alcuni aspetti della flessicurezza, ma anche di lavorare per lo sviluppo di una comune definizione degli strumenti del dialogo sociale europeo (7). Il CESE ha illustrato il proprio punto di vista al riguardo nel parere sul tema Occupabilità e imprenditorialitàLa società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere  (8).

4.7

Negli Stati membri si riscontrano numerosi esempi, a tutti i livelli, del ruolo cruciale svolto dalle parti sociali nel migliorare la flessibilità e la sicurezza sia per i datori di lavoro che per i lavoratori. Già i contratti collettivi di per se stessi, oltre ad essere un fattore di sicurezza per i datori di lavoro e per i lavoratori, consentono anche una flessibilità negoziata. In quanto elementi in grado di contribuire ad una maggiore flessibilità interna, gli avanzamenti in carriera e il diritto alla formazione permanente stanno diventando elementi sempre più universalmente accettati in un contesto sempre più competitivo. Negli Stati membri dove il dialogo sociale è insufficiente a causa della fragilità dei sistemi di relazioni industriali, questo si traduce spesso in un'eccessiva esposizione dei lavoratori alle forze del mercato, e in una protezione dei loro diritti troppo limitata. Qualsivoglia dibattito sulla flessicurezza negli Stati membri dovrebbe quindi andare di pari passo con il rafforzamento e la modernizzazione dei loro sistemi di relazioni industriali.

4.8

In questo contesto il CESE desidera illustrare alcuni esempi da seguire in materia di accordi tra le parti sociali:

i contratti collettivi in Danimarca, che introducono periodi di preavviso obbligatori in caso di licenziamento, per consentire ai lavoratori di prepararsi meglio per un altro lavoro,

i contratti collettivi industriali in Svezia, che hanno istituito fondi per la «transizione professionale», finanziati dall'industria e gestiti congiuntamente dalle parti sociali. Questi fondi consentono ai lavoratori che hanno ricevuto il preavviso di licenziamento di beneficiare di formazione, assistenza nella ricerca del lavoro, o periodi retribuiti di pratica in altre imprese, anche mentre sono ancora ufficialmente dipendenti dell'azienda che li sta licenziando,

l'accordo tripartito raggiunto in Spagna sulla limitazione del ricorso ai contratti di lavoro a termine: l'accordo si basa sul principio secondo cui una quota troppo elevata di contratti a termine non è nell'interesse né dei lavoratori né delle imprese,

i contratti collettivi in Germania, che, entro limiti stabiliti e applicati di concerto con i rappresentanti delle parti sociali, offrono la possibilità di configurare in maniera flessibile sia l'orario che l'organizzazione del lavoro.

Il CESE ritiene inoltre che gli accordi conclusi dalle parti sociali europee su temi quali, ad esempio, il lavoro a termine, il congedo parentale, il lavoro a tempo parziale e il telelavoro, facciano parte integrante di un concetto di flessicurezza in grado di contribuire ad una sicurezza e ad una flessibilità vantaggiose sia per i lavoratori che per i datori di lavoro.

4.9

Affinché le parti sociali possano negoziare sui problemi chiave del mercato del lavoro, in modo da conseguire un equilibrio socialmente accettabile tra flessibilità e sicurezza, deve esistere un quadro normativo a livello nazionale che le incoraggi a dibattere nei loro negoziati anche le questioni relative alla flessicurezza. L'esistenza di una regolamentazione che tutela l'occupazione e di un solido quadro normativo può permettere alle parti sociali di negoziare accordi in grado di favorire la cooperazione e la disponibilità a compiere degli sforzi da parte dei lavoratori, nonché la loro apertura nei confronti della formazione. Tutto ciò è molto positivo in termini sia di occupazione globale che di efficienza economica. La presenza delle parti sociali in un negoziato garantisce che si tenga conto sia degli interessi dell'impresa che di quelli dei lavoratori. La tutela dell'occupazione, unita a efficaci servizi di reinserimento sul mercato del lavoro e a politiche attive nel settore, è fondamentale per l'adattabilità e la sicurezza sia delle imprese che dei lavoratori.

4.10

Le parti sociali potrebbero porsi come obiettivo quello di migliorare la mobilità protetta e di rendere vantaggiosi i «passaggi» da un lavoro ad un altro. Esse potrebbero altresì contribuire ad organizzare il controllo collettivo e negoziato delle opportunità e dei diritti in materia di lavoro. Questo, secondo il CESE, potrebbe contrastare efficacemente le tendenze alla segmentazione del mercato del lavoro, migliorandone invece l'integrazione.

5.   Parità di genere, solidarietà tra generazioni e flessicurezza

5.1

La flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro interessano in maniera diversa gli uomini e le donne. Le donne spesso hanno occupazioni più precarie e incerte, caratterizzate da un eccessivo grado di flessibilità. Un tale eccesso di flessibilità deve essere compensato da forme adeguate di sicurezza. A causa della persistenza dei ruoli tradizionali, le donne hanno maggiori responsabilità nella cura dei bambini e degli anziani, e incontrano maggiori difficoltà nel conciliare la vita professionale con quella personale. Inoltre, nonostante le leggi contro la discriminazione, persiste il divario in materia di retribuzioni, e le donne spesso godono di meno diritti in termini di sicurezza sociale, comprese le pensioni. Quindi le donne sono più spesso interessate dagli aspetti negativi della flessibilità.

5.2

Il CESE sottolinea che nel dibattito sulla flessicurezza si deve rafforzare l'aspetto legato alla parità di genere, che finora è invece stato molto assente. È importante migliorare la situazione delle donne sul mercato del lavoro affrontando sia le questioni relative alla flessibilità che quelle relative alla sicurezza, tra cui in particolare la garanzia di lavori più sicuri, la loro inclusione nei sistemi di sicurezza sociale e un più forte appoggio da parte delle istituzioni per conciliare la vita professionale con la vita privata. Dovrebbe inoltre far parte del dibattito anche la ripartizione tra gli uomini e le donne delle responsabilità domestiche e di cura dei bambini e degli anziani. Nel parere dal titolo Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata, richiesto dalla futura presidenza portoghese, il CESE ha ulteriormente messo a fuoco la propria posizione su queste tematiche (9).

5.3

Oltre ad una dimensione di genere, la flessicurezza comporta anche una dimensione generazionale. Il tasso di occupazione tra i lavoratori più anziani è più basso rispetto alla forza lavoro in generale. D'altro canto, in molti Stati membri i giovani devono confrontarsi con un mercato del lavoro incerto, caratterizzato da un elevato tasso di disoccupazione, dalla prevalenza dei contratti a termine, da una sicurezza sociale insufficiente e da un'offerta limitata a lavori al di sotto del loro livello di qualifiche.

5.4

Il CESE (10) ha già fatto presente che il posto di lavoro dovrebbe corrispondere alla formazione ed esperienza professionale del lavoratore, senza alcuna discriminazione generazionale, e che tutti gli Stati membri devono recepire e applicare la direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Esso ha inoltre sollecitato una politica a sostegno dell'occupazione di qualità, che guidi e formi generazioni di cittadini nel corso della loro vita lavorativa. Ciò implica un ruolo proattivo per le parti sociali e tutti gli attori socioeconomici interessati, a livello locale, nazionale ed europeo.

5.5

Le parti sociali europee hanno concordato un quadro d'azione sulla parità di genere, che può essere efficacemente utilizzato anche nel dibattito sulla flessicurezza. In detto quadro d'azione sono state individuate quattro priorità: affrontare i diversi ruoli dell'uomo e della donna, promuovere il peso delle donne nei processi decisionali, incoraggiare l'equilibrio vita professionale/vita privata e affrontare il problema del divario salariale.

5.6

Oltre che al ruolo delle donne, la stessa importanza dovrebbe tuttavia essere riservata anche al problema dei lavoratori disabili e dei giovani studenti, sia in relazione a quanto precede che nell'ambito del dialogo tra le parti sociali.

6.   Flessicurezza e flessibilità interna

6.1

La flessibilità interna è un aspetto poco esplorato nel dibattito sulla flessicurezza. La flessibilità interna, riguardando tanto la flessibilità dell'orario di lavoro quanto la flessibilità funzionale, migliora l'adattabilità. Si tratta di uno degli aspetti in relazione ai quali, negoziando con successo i contratti collettivi, le parti sociali hanno acquisito grande esperienza. La flessibilità interna può svolgere un ruolo chiave nel promuovere la produttività, l'innovazione e la competitività, contribuendo così a conseguire gli obiettivi della strategia di Lisbona. Essa può anche essere determinante per consentire ai lavoratori di conciliare meglio la vita professionale con altre attività e responsabilità, nonché per migliorare la qualità della loro occupazione. Può migliorare la stabilità e permettere di prevedere meglio i cambiamenti, a vantaggio sia dei lavoratori che dei datori di lavoro. D'altra parte, però, la flessibilità interna, se eccessiva, può comportare un peggioramento delle condizioni di lavoro o un aumento dell'occupazione precaria, compromettere l'equilibrio tra attività lavorativa e tempo libero, o ancora ripercuotersi negativamente sulla qualità dei beni e delle prestazioni di servizi ai consumatori. Per essere auspicabile, quindi, la flessibilità interna deve configurarsi come un risultato della contrattazione collettiva e concretizzarsi nel contesto di normative che assicurino la protezione del lavoro e della salute, e che offrano ai lavoratori stabilità e sicurezza. Perseguire una flessibilità interna negoziata in un tale contesto rappresenta un approccio possibile, che mira a conciliare il rafforzamento della competitività con il miglioramento della qualità dell'occupazione e della vita lavorativa.

6.2   Flessibilità dell'orario di lavoro

6.2.1

La flessibilità dell'orario di lavoro può consistere in primo luogo nella ripartizione su un periodo più lungo delle normali ore di lavoro settimanali stabilite dai contratti collettivi e/o dalla legislazione in materia. Questa forma di flessibilità può recare vantaggi alle imprese, in quanto offre loro la possibilità di adeguarsi alle fluttuazioni della domanda o del personale e di utilizzare pienamente gli investimenti di capitale grazie al lavoro straordinario, alla distribuzione flessibile delle ore di lavoro in un quadro prestabilito, al lavoro a turni, ecc.: essa può quindi rafforzare la produttività e la competitività.

6.2.2

In secondo luogo, la flessibilità dell'orario di lavoro può consistere in una diversa ripartizione, da parte del lavoratore, delle ore di lavoro nel corso della sua vita lavorativa e nella ricerca di un equilibrio tra la vita professionale e la vita privata (senza tuttavia potere incidere sulla lunghezza della settimana lavorativa standard). Tali forme di flessibilità possono recare vantaggi anche ai lavoratori, offrendo loro la possibilità di conciliare con successo attività professionali e non, di beneficiare di un orario flessibile o di dispositivi di recupero/prestazione delle ore di lavoro, di congedi parentali o di formazione, o di passare dal lavoro a tempo pieno al part-time, ecc.

6.2.3

Il CESE intende impedire che l'estensione della flessibilità dell'orario di lavoro avvenga a beneficio esclusivo degli interessi delle imprese, senza tener conto anche delle esigenze di tutela dei lavoratori (11). L'organizzazione dell'orario di lavoro dovrebbe andare «incontro anche all'interesse dei lavoratori a disporre più liberamente del proprio tempo e, in particolare, permettere loro di conciliare meglio il lavoro e la famiglia», nonché «garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, che è un aspetto d'importanza fondamentale» (12).

6.2.4

A questo scopo è necessario, secondo il CESE, perseguire l'equilibrio tra la flessibilità dell'orario di lavoro e la protezione dei lavoratori, cosa che può essere garantita al meglio attraverso norme stabilite dalla contrattazione collettiva. In effetti, in un precedente parere, il CESE ha affermato che «l'elaborazione di norme che disciplinino l'orario di lavoro nei contratti collettivi è di vitale importanza per le parti sociali, che vantano grande esperienza in materia» (13).

6.2.5

Tale contrattazione sulla flessibilità dell'orario di lavoro deve fondarsi su un contesto negoziale adeguato e su un quadro consolidato di diritti e dispositivi sociali: tra questi figurano in particolare le norme giuridiche che assicurano stabilità e protezione ai lavoratori e protezione sociale per i contratti part-time e quelle che agevolano i congedi parentali e lo sviluppo di infrastrutture per la cura dei bambini e degli anziani. È importante che la normativa sia flessibile e neutra, in modo da permettere alle parti sociali di trovare le soluzioni più adeguate.

6.3   Flessibilità funzionale

6.3.1

La flessibilità funzionale si riferisce alla possibilità di usare la capacità dei lavoratori di svolgere, se necessario, funzioni diverse, attraverso la rotazione, l'aggiunta di nuove mansioni al proprio profilo e l'arricchimento professionale. Ciò può andare a vantaggio delle imprese, consentendo loro di adeguare il tipo di attività svolte dai lavoratori alle fluttuazioni della domanda o del personale, e ad usare in maniera più produttiva le risorse umane e gli investimenti di capitale. La flessibilità funzionale può essere interessante anche per i lavoratori perché può migliorare le loro opportunità in materia di sviluppo personale, apprendimento e occupabilità, soddisfazione professionale e aumenti salariali.

6.3.2

La flessibilità funzionale può essere un fattore chiave nel perseguire gli obiettivi di Lisbona, cioè il miglioramento della produttività, dell'innovazione e della competitività. Come è stato dimostrato, ad esempio, dalla fondazione di Dublino, la flessibilità funzionale, unita alla formazione, ha un effetto positivo sullo sviluppo e sul mantenimento delle capacità, cosa che influisce vantaggiosamente sulla produttività (14).

6.3.3

La flessibilità funzionale, tuttavia, richiede la certezza dell'occupazione, condizioni di lavoro accettabili, la possibilità di partecipare alle decisioni aziendali e metodi di lavoro improntati alla cooperazione. Come affermato dal CESE in un precedente parere, «La sicurezza del posto di lavoro, delle condizioni di lavoro positive per la salute, così come delle forme di organizzazione del lavoro che lasciano ai lavoratori un maggior margine di manovra nella loro attività costituiscono fattori importanti per accrescere sia la produttività sia la capacità innovativa» (15). Nello stesso parere, il Comitato affermava che «Le forme di lavoro basate sulla cooperazione e su rapporti gerarchici trasversali e caratterizzate da una maggiore autonomia, come il lavoro di squadra o in équipe, permettono ai singoli di utilizzare a fondo le proprie conoscenze e capacità e tengono conto allo stesso tempo delle accresciute esigenze di flessibilità dell'economia. Delle buone condizioni di lavoro e delle modalità di organizzazione del lavoro che offrono adeguati margini di manovra e possibilità di partecipazione costituiscono un presupposto importante per migliorare la produttività del lavoro e al tempo stesso rafforzare la capacità innovativa delle imprese» (16).

6.3.4

La fondazione di Dublino ha tuttavia richiamato l'attenzione sul fatto che la flessibilità funzionale può accrescere la pressione e lo stress sul lavoro. Per questo motivo essa sottolinea l'importanza di trovare un equilibrio tra le esigenze del lavoro e la necessità di controllarlo, per evitare che i lavoratori vengano colpiti dalla cosiddetta «sindrome del burn-out» (17).

6.3.5

Un elemento fondamentale delle strategie di flessibilità funzionale e di flessibilità interna dovrebbe essere, in generale, la formazione permanente. L'importanza della formazione permanente per migliorare le qualifiche dei lavoratori, le loro opportunità di carriera e la loro produttività è stata recentemente sottolineata in diversi pareri del CESE (18). La flessibilità funzionale richiede un costante miglioramento delle conoscenze e delle capacità dei lavoratori, che deve essere appoggiato da infrastrutture ben funzionanti in materia di istruzione e formazione professionale. Benché in passato siano stati presi molti impegni a favore della formazione permanente, nella pratica rimane ancora un lungo cammino da percorrere.

6.3.6

Anche la flessibilità funzionale è una questione chiave per la contrattazione collettiva tra le parti sociali. Attraverso tale contrattazione è possibile equilibrare e sintonizzare le necessità delle imprese e dei lavoratori, nonché stabilire compensazioni adeguate per i lavoratori che acquisiscano nuove qualifiche.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. COM(2006) 708 def. Libro verde — Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo e relativo parere CESE 805/2007 del 30 maggio 2007 sul tema Modernizzare il diritto del lavoro — SOC/246 (relatore: RETUREAU), GU C 175 del 27.7.2007.

(2)  Employment outlook 2006: Boosting jobs and incomes.

(3)  Pareri del CESE dell'11 luglio 2007 sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata, SOC/271 (relatore: CLEVER), e sul tema Occupabilità e imprenditorialitàLa società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere, SOC/273 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(4)  Cfr. il parere del CESE del 31 maggio 2005 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (relatore: MALOSSE), GU C 286 del 17.11.2005.

(5)  Cfr. il parere del CESE del 17 maggio 2006 sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca (relatrice: VIUM), GU C 195 del 18.8.2006.

(6)  Cfr. il parere del CESE del 6 luglio 2006 sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo (relatore: EHNMARK), GU C 309 del 16.12.2006.

(7)  Il programma di lavoro pluriennale delle parti sociali per il 2006-2008 prevede un'analisi congiunta delle principali sfide che attendono i mercati del lavoro in Europa.

(8)  Parere del CESE dell'11 luglio 2007 sul tema Occupabilità e imprenditorialitàLa società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere, SOC/273 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(9)  Parere del CESE dell'11 luglio 2007 sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata, (relatore: CLEVER).

(10)  Parere del CESE del 14 marzo 2007 sul tema L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio, ECO/186 (relatrice: FLORIO), GU C 161 del 13.7.2007.

(11)  Cfr. il parere del CESE dell'11 maggio 2005 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, punto 3.4 (relatrice: ENGELEN-KEFER), GU C 267 del 27.10.2005.

(12)  Ibid, punto 3.6.

(13)  Parere del CESE del 1o luglio 2004 in merito al Riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, punto 2.2.6 (relatore: HAHR), GU C 302 del 7.12.2004.

(14)  http://eurofound.europa.eu/ewco/2004/02/NL0402NU03.htm

(15)  Parere del CESE del 13 settembre 2006 sul tema Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche, punto 1.3 (relatrice: ENGELEN-KEFER), GU C 318 del 23.12.2006, pag. 13.

(16)  Idem, punto 1.4.

(17)  http://eurofound.europa.eu/ewco/2004/02/NL0402NU03.htm

(18)  Pareri del CESE in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente (relatrice: HERCZOG), GU C 195 del 18.8.2006, e sul tema Formazione e produttività (parere esplorativo) (relatore: KORYFIDIS), GU C 120 del 20.5.2005.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/114


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Occupabilità e imprenditorialità — La società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere

(2007/C 256/21)

Con lettera del 13 febbraio 2007, la futura presidenza portoghese ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 e 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli, nessun voto contrario e 5 astensioni.

1.   Sintesi delle proposte del CESE

1.1

La disparità tra donne e uomini nel mondo imprenditoriale e nel mercato del lavoro costituisce un problema grave di tutta la società europea, degli uomini come delle donne, delle imprese, dei lavoratori e delle lavoratrici, dei governi, delle parti sociali e della società civile. Il CESE ritiene che sia giunto il momento di dare nuovo impulso alle politiche per la parità, promuovendo misure attive nel mercato del lavoro, nel campo dell'imprenditorialità e dell'organizzazione della vita sociale.

1.2

L'uguaglianza tra donne e uomini costituisce una sfida fondamentale per il futuro dell'Europa, e per questo motivo il CESE propone di rafforzare la prospettiva di genere nell'Agenda di Lisbona e di includere nel riesame intermedio degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione, nell'agenda sociale e nei piani nazionali di riforma gli elementi qui di seguito elencati.

1.2.1

Gli Stati dovrebbero sviluppare con determinazione il Patto europeo per la parità di genere e, nei piani nazionali di riforma, designare un responsabile nazionale per l'uguaglianza di genere.

1.2.2

Occorre definire, nelle politiche in materia di occupazione, nuovi obiettivi specifici per l'uguaglianza di genere, con indicatori qualitativi e quantitativi, dato che un aumento del numero delle donne imprenditrici e delle donne che lavorano e il miglioramento della qualità del loro lavoro sono delle priorità.

1.2.3

Vanno fissati obiettivi precisi per eliminare (specie nell'insegnamento) gli stereotipi di genere, che frenano l'imprenditorialità femminile.

1.2.4

È necessario migliorare la governance: assicurare una partecipazione adeguata delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, specie a livello locale e regionale. Gli enti locali e regionali devono partecipare attivamente ai piani nazionali di riforma.

1.2.5

Occorre una maggiore trasparenza nei servizi pubblici di collocamento e nelle agenzie private per promuovere l'uguaglianza ed eliminare le discriminazioni nei contratti di lavoro.

1.2.6

È necessario l'impegno degli organi di vigilanza del settore dei servizi finanziari affinché verifichino se nell'esame delle richieste di credito presentate da imprenditrici queste ultime non siano vittime di discriminazioni fondate sul sesso. Servono inoltre aiuti pubblici per garantire l'accesso al credito specie per le donne che per la prima volta avviano un'attività economica.

1.2.7

Vanno definiti obiettivi precisi per promuovere, nell'insegnamento universitario e professionale, l'accesso delle donne e degli uomini a tutte le professioni, superando gli stereotipi culturali.

1.2.8

Occorre fornire aiuto e sostegno alle parti sociali, specie a livello settoriale, locale e regionale, per eliminare, attraverso la contrattazione collettiva e il dialogo sociale, gli squilibri di genere che relegano le donne ad una posizione secondaria nelle imprese.

1.2.9

I piani per la parità e le misure di azione positiva, che le parti sociali concordano e sviluppano in molte imprese e settori, vanno estesi e sostenuti dai governi nazionali, regionali e locali, nonché attraverso le risorse comunitarie del Fondo sociale europeo.

1.2.10

Gli orientamenti comunitari devono rafforzare gli obiettivi nazionali per l'uguaglianza salariale tra uomini e donne attraverso indicatori precisi.

1.2.11

A livello locale e regionale è necessario elaborare programmi specifici per favorire l'accesso all'occupazione e la creazione di imprese da parte di donne immigrate e appartenenti a minoranze.

1.2.12

Servono inoltre programmi e obiettivi specifici per le donne diversamente abili.

1.2.13

Nei piani nazionali di riforma riguardanti i sistemi di calcolo delle pensioni occorre evitare che molte donne perdano la pensione o ne ricevano una di entità notevolmente ridotta per via del lavoro part-time e delle interruzioni nell'attività lavorativa dovute, tra le altre cause, ad obblighi familiari. È necessario che le consorti coimprenditrici dispongano di uno statuto giuridico adeguato.

1.2.14

Gli enti locali e regionali devono collaborare con le imprese, i lavoratori e le lavoratrici per garantire la conciliazione tra la vita familiare e quella lavorativa.

1.2.15

Dato l'invecchiamento dell'attuale generazione di imprenditori, la trasmissione di numerose imprese, in particolare PMI, offre un'opportunità di accesso delle donne a funzioni imprenditoriali. È cruciale che tale passaggio di testimone sia preparato da disposizioni nazionali o locali favorevoli, nel senso di permettere alle donne di riprendere la gestione delle imprese. A livello europeo ciò meriterebbe uno studio di questa realtà e un censimento delle pratiche di accompagnamento incentivanti.

2.   Introduzione

2.1

La futura presidenza portoghese dell'UE ha invitato il CESE ad elaborare un parere esplorativo sul tema Occupabilità e imprenditorialitàLa società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere, come base dei suoi futuri lavori.

2.2

Il CESE si congratula con la presidenza portoghese per la sua proposta di rafforzare il processo di consultazione sui nuovi orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione per il periodo 2008-2010, attraverso l'inserimento della prospettiva di genere e della sua applicazione da parte della società civile, delle parti sociali e degli enti regionali e locali e dei governi, dato che la prospettiva di genere, vale a dire la parità tra uomini e donne, è una sfida per tutta la società europea.

2.3

Nel Trattato CE si afferma in modo esplicito che tra gli obiettivi dell'UE figurano la promozione del progresso economico e sociale, un elevato livello di occupazione e la parità tra donne e uomini.

2.4

La parità tra uomini e donne costituisce uno dei principi fondamentali dell'Unione europea, ed è garantita nel Trattato CE e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Le istituzioni e gli organi dell'UE sono tenuti a lottare contro la discriminazione di cui sono vittime le donne e a promuovere la parità tra uomini e donne attraverso la legislazione e le politiche pubbliche.

2.5

L'UE dispone di un notevole acquis in materia di politiche per la parità. Per quanto riguarda le politiche dell'occupazione e la legislazione sul diritto del lavoro vanno menzionate due direttive: la direttiva 2002/73/CE relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, e la direttiva 2004/113/CE che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

2.6

Negli ultimi anni il CESE ha elaborato diversi pareri (1), attraverso cui sta contribuendo a sviluppare l'acquis comunitario e a migliorare la legislazione e la qualità delle politiche sulla parità. Il Comitato ha sostenuto la strategia europea per l'occupazione e ha sottolineato lo sforzo positivo che essa ha rappresentato per la soluzione dei problemi nazionali e locali attraverso un approccio comune e coordinato su scala europea. Il Comitato ritiene necessario sostenere questo sforzo mediante lo sviluppo di un numero maggiore di azioni e un miglior coordinamento.

2.7

Il CESE desidera realizzare una valutazione delle politiche finora adottate, evidenziare le buone prassi in materia e proporre una serie di nuove iniziative affinché le donne europee sviluppino lo spirito imprenditoriale e siano più attive sul mercato del lavoro. Il presente parere si inserisce nei dibattiti di valutazione e di riforma dell'Agenda di Lisbona, e le proposte avanzate possono essere sviluppate nel quadro della revisione della strategia integrata per la crescita e l'occupazione e nei futuri piani nazionali di riforma.

3.   L'Agenda di Lisbona

3.1

La strategia di Lisbona punta a raggiungere la piena occupazione in Europa, rafforzando la qualità e la produttività nel lavoro, la coesione economica, sociale e territoriale, associate a una governance migliore, nel quadro di una società della conoscenza adeguata alle scelte personali di donne e uomini. Per la prima volta si definisce una serie di parametri quantitativi per raggiungere la parità tra donne e uomini nella vita economica, tradotti nell'obiettivo concreto di un indice di occupazione femminile pari al 60 % entro il 2010.

3.2

Su richiesta del Consiglio europeo, il CESE sta collaborando con i CES nazionali allo sviluppo della strategia di Lisbona (2).

3.3

Malgrado i buoni risultati conseguiti, l'esperienza ha evidenziato la necessità di realizzare maggiori riforme nel quadro della strategia di Lisbona, per garantire la partecipazione, in condizioni di parità, delle donne e degli uomini alla creazione di imprese e all'accesso all'occupazione.

3.4

In Europa le donne non dispongono ancora delle stesse opportunità imprenditoriali né delle stesse possibilità sul mercato del lavoro che hanno gli uomini. A causa degli stereotipi sociali e culturali ereditati dal passato, il tasso di attività femminile è generalmente inferiore a quello maschile e persiste la segregazione professionale nel mercato del lavoro. In linea generale, le donne svolgono lavori più precari, di peggiore qualità e con salari inferiori, e hanno maggiori difficoltà a sviluppare le loro qualifiche professionali; inoltre, le imprenditrici devono affrontare maggiori ostacoli nell'accesso ai finanziamenti.

3.5

Il CESE ritiene pertanto necessario rafforzare la prospettiva di genere nella strategia di Lisbona, rivedendo gli obiettivi comunitari e quelli nazionali per garantire che le imprenditrici e le donne occupate siano più numerose, e che migliori la qualità del loro lavoro. Per qualità si intende una maggiore diversificazione professionale, la parità salariale, una maggiore stabilità e l'accesso alla formazione e allo sviluppo della carriera.

3.6

Dopo il riesame intermedio, nel marzo del 2005 il Consiglio ha approvato «Il rilancio della strategia di Lisbona», il cui cambiamento principale consiste nel non incentrare l'attenzione esclusivamente sugli obiettivi quantitativi, bensì anche sulle politiche e sugli interventi pratici da attuare per conseguire tali obiettivi. Le priorità consistono nella creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, e per far questo è necessario attrarre e mantenere un maggior numero di persone nel mercato del lavoro, modernizzare i sistemi di protezione sociale, migliorare la capacità di adeguamento dei lavoratori e delle imprese, aumentare la flessibilità e la sicurezza dei mercati del lavoro, e investire maggiormente nel capitale umano attraverso il miglioramento dell'istruzione e delle competenze (3).

3.7

In questa Agenda di Lisbona rinnovata si sottolinea inoltre l'importanza di una buona governance attraverso un metodo di lavoro politico più efficace che associ tutte le parti interessate, gli Stati membri, i cittadini, i parlamenti, le parti sociali e la società civile, nonché le istituzioni comunitarie, riunendole attorno a una visione comune del progresso e delle opportunità future. Il CESE ritiene che occorra migliorare la governance della strategia di Lisbona attraverso la partecipazione piena e attiva della società civile, delle parti sociali e degli enti locali e regionali.

3.8

Il CESE sottolinea l'importanza di far partecipare le parti sociali al processo di elaborazione degli orientamenti sin dalle primissime fasi e di consultarle sugli aspetti relativi all'inclusione di criteri di genere.

3.9

Gli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione per il periodo 2005-2008, che fungono da base per la preparazione dei programmi nazionali di riforma degli Stati membri, rafforzano la necessità assoluta della parità tra i sessi al fine di affrontare le priorità fissate, combinando misure specifiche sull'occupazione femminile e integrando la parità in tutte le iniziative intraprese (4).

3.10

Come ha già affermato nel parere in merito agli orientamenti sull'occupazione, il CESE ritiene che sia sorprendente non ritrovarvi alcun orientamento integrato specifico sul tema della parità tra uomini e donne, sebbene la parità tra i sessi nel settore dell'occupazione sia uno dei temi centrali della strategia di Lisbona (5).

3.11

Il bilancio del programma comunitario di Lisbona e dei programmi nazionali di riforma (6) evidenzia la necessità di rafforzare le politiche per le pari opportunità tra uomini e donne, prevedendo misure che consentano di conciliare la vita lavorativa, quella familiare e quella personale.

3.12

Nella relazione comune sull'occupazione 2006/2007 si valuta positivamente il rapido aumento dei tassi di occupazione femminile e si afferma che questo rappresenta un passo avanti verso il conseguimento del relativo obiettivo di Lisbona (7). Si sottolinea tuttavia il fatto che «la maggior parte degli Stati membri non indicano, nella loro relazione di attuazione, alcuna misura specifica per promuovere l'occupazione delle donne o ridurre lo scarto tra uomini e donne, ad eccezione delle misure destinate a migliorare l'accesso alle strutture di custodia dei figli. Alcuni Stati membri (AT, BE, DK, DE, ES, IE, IT, LU, PT, UK) si sono fissati obiettivi nazionali in materia di posti disponibili nelle strutture di custodia dei bambini, ma pochi di loro segnalano progressi nella concretizzazione dell'obiettivo europeo relativo a queste strutture. Nell'insieme, i progressi in merito rimangono lenti. Solo AT, DK, FI, IE, MT e NL comunicano l'adozione di misure per rendere le strutture di custodia dei bambini più abbordabili, sia fissando una tariffa massima, sia riducendo i costi. La necessità di rafforzare il ruolo degli uomini nella conciliazione tra la vita professionale e la vita familiare non è affrontata. SI ha lanciato una campagna per rendere gli uomini più attivi nella vita familiare e CZ, DE e EL hanno l'intenzione di ampliare la possibilità offerta ai padri di prendere un congedo parentale, misura già attuata in LT».

4.   Il Patto europeo per la parità di genere e la tabella di marcia per la parità tra donne e uomini

4.1

Il Patto europeo per la parità di genere (8), approvato dal Consiglio europeo del marzo 2006, costituisce un passo avanti sul piano qualitativo, dato che coinvolge tutti gli Stati membri nel conseguimento dell'obiettivo comune di accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro e promuovere la parità tra donne e uomini.

4.2

Nella «Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini» adottata dalla Commissione vengono delineati sei ambiti prioritari per l'azione dell'Unione europea: una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini, l'equilibrio tra vita privata e attività professionale, la pari rappresentanza nel processo decisionale, l'eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere, l'eliminazione di stereotipi sessisti e la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e nella politica di cooperazione allo sviluppo (9).

4.3

Per migliorare la governance in materia di parità tra gli uomini e le donne, nella tabella di marcia viene definita anche una serie di azioni di estrema rilevanza e la Commissione si impegna a monitorare attentamente i progressi compiuti in questo ambito.

4.4

Nel parere sulla tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, il CESE valuta positivamente la volontà politica della Commissione di mantenere il tema della parità tra donne e uomini in cima all'agenda per il periodo 2006-2010 e sottolinea l'importanza di coinvolgere tutte le parti interessate nell'attuazione di queste priorità (10).

4.5

Il CESE ha inoltre sostenuto la creazione dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (11).

4.6

Il Comitato considera che sia giunto il momento di dare un nuovo impulso alle politiche sulla parità per mezzo di nuove politiche attive riguardanti il mercato del lavoro, la creazione di imprese e l'organizzazione della vita sociale. In vari Stati membri si stanno adottando nuove norme legislative per assicurare la parità effettiva tra donne e uomini in politica, nelle organizzazioni sociali e nelle imprese, sia tra i lavoratori salariati che tra i dirigenti e nei consigli di amministrazione. Il CESE sostiene in linea generale queste riforme che includono politiche attive sulla base di un quadro giuridico razionale che assicuri una tutela effettiva dell'occupazione e offra la stabilità e la sicurezza indispensabili.

5.   Le proposte del CESE: rafforzare la prospettiva di genere nell'Agenda di Lisbona

5.1

Gli squilibri e la disuguaglianza tra donne e uomini nel mondo imprenditoriale e nel mercato del lavoro costituiscono un problema grave di tutta la società europea, degli uomini come delle donne, delle imprese, dei lavoratori e delle lavoratrici, dei governi, delle parti sociali e della società civile. La parità tra donne e uomini è una sfida fondamentale per il futuro dell'Europa.

5.2

Il CESE sostiene la risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2007 (12) sulla tabella di marcia per la parità tra donne e uomini, e in particolare il punto 17 in cui si «chiede agli Stati membri di integrare o rafforzare i propri piani nazionali per l'occupazione e l'integrazione sociale al fine di inserirvi misure volte a favorire l'accesso delle donne al mercato del lavoro in situazione di pari dignità e di pari retribuzione per pari lavoro e a promuovere l'imprenditoria femminile», e il punto 20 in cui si «chiede agli Stati membri di nominare un responsabile nazionale per l'uguaglianza di genere nell'ambito dell'attuazione della strategia di Lisbona, con il compito di partecipare all'elaborazione e alla revisione dei rispettivi piani nazionali nonché al monitoraggio della loro attuazione, al fine di favorire l'integrazione della dimensione di genere segnatamente nel bilancio, per le politiche e gli obiettivi definiti in tali piani».

5.3

Il CESE insiste sulla necessità di includere, nei piani nazionali di riforma, l'obbligo per gli Stati membri di nominare un responsabile nazionale per l'uguaglianza di genere.

5.4

Negli orientamenti in materia di occupazione si devono definire alcuni obiettivi concreti e migliorare gli indicatori qualitativi e quantitativi necessari per procedere ad analisi comparative tra gli Stati membri dei progressi compiuti verso la parità effettiva delle donne nel mercato del lavoro e nell'imprenditorialità.

5.5

Il CESE ritiene che occorra prestare maggiore attenzione, a livello europeo, alle donne che lavorano in zone rurali dipendenti dall'agricoltura e caratterizzate da una scarsa cultura dell'apprendimento, e sostenerne la partecipazione al mercato del lavoro.

5.6

Alcuni governi, in base al principio di sussidiarietà, intendono ridimensionare i requisiti comunitari riguardanti i piani nazionali di riforma. Il CESE ritiene tuttavia che, nell'insieme, gli orientamenti integrati siano sufficientemente flessibili da consentire agli Stati membri di individuare le soluzioni più rispondenti alle proprie necessità.

5.7

Il CESE ritiene inoltre che, nel rispetto del principio di sussidiarietà, occorra rafforzare il carattere comunitario dell'Agenda di Lisbona e gli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione. Nel parere sulla tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, si afferma infatti: «Il Comitato riconosce che per accrescere il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro occorre fissare delle priorità comuni nel coordinamento delle politiche in materia di occupazione. Nel valutare i programmi nazionali di riforma, la Commissione deve assicurarsi che il problema delle disparità fra i sessi sia affrontato in via prioritaria e che si adottino i necessari provvedimenti» (13).

5.8

La governance nel quadro della strategia europea per l'occupazione ha registrato un miglioramento, ma il CESE ritiene che la situazione non sia ancora del tutto soddisfacente. Occorre rafforzare la collaborazione tra la Commissione, gli Stati membri, le parti sociali, le associazioni che operano a favore della parità e le organizzazioni della società civile, garantendo una partecipazione adeguata a tutti i livelli e in tutte le fasi delle iniziative intraprese.

5.9

Il CESE ritiene che occorra migliorare la partecipazione dei cittadini alla strategia europea per l'occupazione. Va agevolato il coinvolgimento delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile in tali politiche: è pertanto necessario che essi possano parteciparvi a tutti i livelli (comunitario, nazionale, regionale e locale) per mezzo di procedure adeguate. Per garantire il successo della strategia di Lisbona occorre attivarsi per migliorare la governance e il valore aggiunto derivante dal coinvolgimento delle parti sociali, della società civile e degli enti locali e regionali.

5.10

In materia di occupazione è a livello locale che si nota maggiormente l'impatto derivante dall'applicazione delle politiche. Per questo motivo, il ruolo svolto dagli enti locali e regionali, insieme alle parti sociali, è fondamentale ai fini dell'attuazione di tali politiche. L'inserimento lavorativo in condizioni di parità richiede una conoscenza profonda e ravvicinata delle caratteristiche e dei bisogni femminili, nonché del contesto economico e sociale del territorio: è pertanto necessario che gli enti locali e regionali partecipino all'analisi, alla progettazione, all'esecuzione e alla valutazione delle varie iniziative.

5.11

Sebbene negli ultimi anni le donne abbiano compiuto notevoli passi avanti per quanto riguarda l'accesso agli studi universitari (il 59 % delle persone con diplomi di studi superiori sono donne) (14), la scelta delle materie di studio resta fortemente stereotipata. Su dieci donne con diploma di studi superiori, solo una ha un diploma in un settore tecnico, mentre nel caso degli uomini tale rapporto è di quattro su dieci. Nell'insegnamento, nelle facoltà umanistiche e artistiche e nel settore sanitario si concentrano invece quasi la metà delle donne con diplomi superiori, ma meno di un quarto degli uomini con diplomi superiori. Il CESE propone che i responsabili istituzionali dell'istruzione lancino ampie azioni di promozione per eliminare gli stereotipi sessisti e per incoraggiare donne e uomini a optare per professioni in cui sono rispettivamente sottorappresentati.

5.12

Le politiche volte a conciliare lavoro e vita familiare contribuiscono a migliorare la qualità della vita delle donne e degli uomini. Aiutano tutti a inserirsi nel mercato del lavoro e a rimanervi sfruttando tutto il potenziale della manodopera. Queste politiche devono essere disponibili sia per le donne che per gli uomini.

5.13

Il CESE (15) ricorda agli Stati membri l'impegno da loro assunto in relazione al Patto europeo per la parità di genere e invita la Commissione a chiedere agli Stati membri di includere, nei rispettivi piani nazionali di riforma, un maggiore impegno per migliorare la conciliazione della vita familiare e di quella professionale degli uomini e delle donne. Ricorda inoltre che, dato che la questione riguarda l'intera società, è necessario garantire la corresponsabilità di tutte le parti, anche delle imprese.

5.14

La conciliazione del lavoro e della vita familiare non va confusa con determinate misure di politica della famiglia che ostacolano l'occupazione offrendo forti incentivi ad uscire dal mondo del lavoro e ad interrompere la vita lavorativa in modo prolungato, riducendo in tal modo le possibilità di reinserirsi adeguatamente nel mercato del lavoro.

5.15

È necessario sviluppare delle misure più efficaci per promuovere il reinserimento di donne e uomini nel mercato del lavoro, senza riduzioni di qualifica o di salario, dopo una maternità o un'assenza dedicata alla cura di persone non autonome. Tali misure potrebbero includere modelli flessibili di formazione continua durante il periodo di assenza e la continuazione dell'attività lavorativa con una riduzione dell'orario di lavoro. A questo riguardo va segnalato l'accordo quadro europeo sul telelavoro, che è stato raggiunto dalle parti sociali (CES, UNICE/Ueapme e CEEP) e riguarda la definizione e il campo di applicazione del telelavoro, il carattere volontario dell'accordo, le condizioni di lavoro, la protezione dei dati, il diritto alla riservatezza, gli strumenti di lavoro, la salute e la sicurezza, l'organizzazione del lavoro, la formazione, i diritti collettivi, e infine l'attuazione e la successiva verifica.

5.16

Le ONG svolgono un ruolo assai importante nella promozione della parità tra uomini e donne in Europa, sviluppano campagne nella sfera delle idee politiche e dei valori culturali, e organizzano iniziative di carattere sociale che favoriscono la creazione di opportunità migliori per molte donne. È inoltre numerosa la partecipazione femminile a molte ONG che rappresentano diversi gruppi femminili presso gli enti locali e regionali e che vanno sostenute.

5.17

Le donne immigrate o appartenenti a una minoranza devono affrontare particolari difficoltà per creare un'impresa e per accedere al mercato del lavoro in condizioni di parità, ed è per questo necessario che i nuovi orientamenti sull'occupazione includano obiettivi specifici.

5.18

Il CESE ha elaborato diversi pareri in cui ha insistito sul fatto che l'UE deve disporre di una politica comune in materia di immigrazione e in cui ha ribadito che la lotta contro le discriminazioni e le politiche di integrazione devono costituire obiettivi prioritari per i governi europei. Queste politiche devono includere la prospettiva di genere, affinché le donne immigrate o appartenenti a minoranze etniche o culturali possano sviluppare i loro progetti imprenditoriali e inserirsi nel mercato del lavoro a parità di condizioni.

5.19

Anche le donne diversamente abili devono far fronte a difficoltà aggiuntive per inserirsi nel mercato del lavoro e per creare imprese. Il CESE propone di rafforzare, nei nuovi orientamenti e nei piani nazionali di riforma, l'obiettivo consistente nell'inserimento di questa categoria femminile nel mercato del lavoro, accompagnandolo con indici specifici.

5.20

Il CESE propone che gli enti locali e regionali promuovano delle politiche per dare impulso alle pari opportunità delle donne diversamente abili e che le parti sociali, nel quadro dei contratti collettivi e delle pratiche lavorative, adottino delle strategie per l'uguaglianza.

5.21

Nel quadro della strategia di Lisbona, il Fondo sociale europeo (FSE) ha consentito di sviluppare, attraverso l'iniziativa EQUAL, approcci importanti e innovativi per dare impulso all'imprenditorialità e all'occupabilità di queste donne che sono vittime di maggiori discriminazioni. Queste esperienze potrebbero essere sfruttate, specie dagli enti locali e regionali, per essere sviluppate ulteriormente nel quadro degli interventi dell'FSE previsti per il nuovo periodo di programmazione 2007-2013, in vista dell'adozione di nuove iniziative volte a promuovere l'accesso all'occupazione di queste categorie femminili con particolari difficoltà.

6.   Occupabilità

6.1

Nel periodo trascorso dall'avvio della strategia di Lisbona, sei degli otto milioni di posti di lavoro creati nell'UE sono stati occupati da donne. Nel 2005, il tasso di occupazione femminile ha raggiunto il 56,3 % (+1,1 %), a fronte del 71 % registrato da quello maschile (+0,6 %). Anche il tasso di occupazione delle donne di oltre 55 anni è aumentato più rapidamente del corrispondente tasso maschile, raggiungendo il 33,7 % (16).

6.2

La disoccupazione è in calo: il relativo tasso si è attestato all'8,8 % nel 2005, con un 9,9 % per le donne e un 7,9 % per gli uomini. Malgrado l'evoluzione positiva del tasso globale di occupazione femminile in Europa, il contributo delle donne non è sfruttato appieno. Ne sono prova i tassi di attività e di occupazione inferiori registrati dalle donne, il tasso di disoccupazione più elevato, la maggiore precarietà dei contratti, la forte segregazione professionale e settoriale, il divario retributivo e le difficoltà di donne e uomini di conciliare la vita lavorativa e quella familiare.

6.3

Il CESE ricorda che benché il tasso definito per l'occupazione femminile (60 % entro il 2010) sia raggiungibile, anche se non in tutti i paesi, non va dimenticato che questa percentuale include i posti di lavoro a tempo parziale, quelli flessibili e quelli temporanei, in gran parte occupati da donne, non sempre per scelta, ma spesso come conseguenza di una ineguale suddivisione delle responsabilità familiari tra donne e uomini.

6.4

Persistono notevoli disparità tra il ruolo femminile e quello maschile nel mercato del lavoro, e rimane una forte segmentazione di quest'ultimo, specie in relazione alle modalità del lavoro, ai settori di occupazione e alle professioni svolte. Queste differenze riguardano sia le donne occupate che quelle in cerca di lavoro. È pertanto necessario dare impulso a nuove politiche miranti ad affrontare le cause di questo squilibrio sul mercato del lavoro.

6.5

Le donne devono affrontare maggiori difficoltà rispetto agli uomini anche nel trovare un lavoro corrispondente alla loro formazione. Inoltre, la compatibilità tra lavoro e famiglia costituisce un ulteriore ostacolo al loro accesso e permanenza sul mercato del lavoro, e la loro situazione continua ad essere assai più difficile di quella degli uomini.

6.6

Il CESE considera assai positivi i piani per le pari opportunità adottati dalle parti sociali in numerose imprese al fine di migliorare l'inserimento e la permanenza delle donne nelle imprese, migliorarne il livello formativo e la carriera professionale e lottare contro la discriminazione; e a tal fine sono state definite delle misure di azione positiva. I poteri pubblici, specie a livello locale e regionale, devono sostenere questi piani per le pari opportunità.

6.7

Il dialogo sociale europeo, che è responsabilità delle parti sociali, svolge un ruolo importante nello sviluppo della prospettiva di genere della strategia di Lisbona. Il CESE sottolinea e sostiene l'importanza del quadro d'azione sulla parità di genere, che è stato concordato dalle parti sociali europee nel 2005 (17) ed è in corso di attuazione a livello settoriale e nazionale.

6.8

Il recente accordo quadro europeo in materia di molestie e di violenza sul posto di lavoro (18) è un esempio di buone prassi che il CESE desidera sostenere. Allo stesso modo, alcuni dei comitati di dialogo settoriale stanno adottando un approccio di genere. Il Comitato raccomanda alla Commissione di collaborare più attivamente con le parti sociali per raggiungere questi obiettivi.

6.9

La contrattazione collettiva secondo le leggi e le prassi nazionali costituisce una delle caratteristiche del modello sociale europeo. Le parti sociali conducono negoziati in vari ambiti e concludono accordi per migliorare la sicurezza e la flessibilità dell'occupazione, aggiornando i salari e l'organizzazione del lavoro, nonché i sistemi di formazione e di qualificazione professionale.

6.10

Attraverso la contrattazione collettiva, a livello aziendale e settoriale, si devono eliminare gli squilibri di genere che relegano le donne in una posizione secondaria. Per questo motivo il CESE ritiene che la contrattazione collettiva e il dialogo sociale rappresentino degli strumenti fondamentali per sviluppare i piani per le pari opportunità nelle imprese europee. Per l'Europa, gli Stati membri, le imprese e la società nel suo insieme è necessaria la scomparsa definitiva delle discriminazioni in ambito lavorativo cui sono soggette molte donne a causa degli stereotipi culturali e sociali.

6.11

Il principio della parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici, che figura nell'articolo 141 del Trattato che istituisce la Comunità europea («principio della parità di retribuzione»), implica che, per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, venga eliminata da tutte le componenti e da tutte le condizioni di retribuzione qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Tuttavia, le donne guadagnano in media il 15 % in meno all'ora rispetto agli uomini (scarto relativo della retribuzione oraria lorda media tra uomini e donne) (19). Questa discriminazione salariale si verifica in tutti i settori di attività e specie nelle categorie professionali più elevate.

6.12

Il CESE è favorevole all'idea che la parità salariale tra uomini e donne, che è già inclusa negli orientamenti comunitari, venga rafforzata mediante la valutazione di indicatori precisi.

6.13

Per eliminare le discriminazioni salariali è necessaria la collaborazione attiva delle parti sociali nei vari ambiti di competenza. Nel parere in merito alla tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 il CESE «ritiene che i governi nazionali, gli enti nazionali per le pari opportunità e le parti sociali di tutti gli Stati membri abbiano il preciso dovere di accertarsi che i sistemi retributivi da loro adottati non diano origine a disparità retributive tra uomini e donne» (20).

6.14

I servizi pubblici di collocamento sono delle istituzioni fondamentali per il buon funzionamento dei mercati del lavoro e devono impegnarsi a promuovere politiche attive per l'accesso delle donne senza lavoro all'occupazione, per mezzo di programmi di formazione e di orientamento a fini occupazionali. Per garantire un'attuazione adeguata della legislazione esistente, il CESE propone che i servizi pubblici di collocamento e le agenzie private elaborino dei codici di buone prassi per fare in modo che le offerte di lavoro e le procedure di selezione non siano discriminatorie nei confronti delle donne.

6.15

Nei mercati del lavoro più trasparenti si registra una maggiore parità tra donne e uomini. Nel settore pubblico, ad esempio, si assiste a una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro, dato che, tra l'altro, nelle procedure di selezione si valutano le competenze delle persone, facilitando così l'eliminazione dei pregiudizi discriminatori basati su stereotipi di genere.

6.16

I sistemi di calcolo delle pensioni sono spesso sfavorevoli alle donne, essendo legati alla carriera lavorativa. Molte donne che svolgono lavori part-time, hanno periodi di interruzione dell'attività lavorativa o occupano posizioni precarie, devono affrontare notevoli difficoltà per ottenere una pensione di vecchiaia o ne ricevono una di ridotta entità. Il CESE propone alla Commissione e agli Stati membri di tenere conto, attraverso il metodo aperto di coordinamento per la riforma dei sistemi pensionistici, di queste situazioni che nuocciono alla parità delle donne sul mercato del lavoro e di cercare soluzioni più eque.

6.17

La formazione continua è fondamentale per lo sviluppo delle attività professionali di uomini e donne in modo sostenibile. Il CESE propone che gli enti locali e regionali, in collaborazione con le parti sociali, sviluppino dei programmi di formazione continua rivolti alle imprenditrici e alle lavoratrici nel quadro delle politiche per l'occupazione e le pari opportunità.

6.18

Il CESE desidera sottolineare il ruolo attivo svolto dalle parti sociali per superare le difficoltà incontrate dalle donne nella società e sul mercato del lavoro. Molte donne stanno entrando a far parte di organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro, dando così, dall'interno, un impulso deciso a politiche attive e a programmi per le pari opportunità, ma sono ancora poche e devono ancora superare notevoli ostacoli per raggiungere i livelli dirigenziali.

7.   L'imprenditorialità

7.1

Le imprenditrici rappresentano ancora una percentuale poco elevata: costituiscono infatti il 30 % dell'imprenditoria dell'UE, e il 37 % delle lavoratrici autonome (21).

7.2

Le donne devono inoltre far fronte a maggiori ostacoli rispetto agli uomini nella creazione di imprese, per via degli stereotipi e delle barriere culturali e sociali, dell'orientamento scolastico e formativo, e delle difficoltà aggiuntive nell'ottenere i finanziamenti necessari per i progetti imprenditoriali. Una volta create le imprese, tuttavia, non vi sono prove che le donne abbiano meno successo degli uomini nel consolidarle.

7.3

Il CESE propone a tutti gli attori politici e sociali di intensificare gli sforzi per promuovere l'imprenditorialità tra le donne europee ed eliminare dalla società i vecchi stereotipi sociali che tuttavia perdurano, come «il mondo imprenditoriale è maschile, con orari incompatibili con la vita familiare», ecc. Questi stereotipi sociali sono all'origine di notevoli difficoltà culturali e sociali per le donne che svolgono un lavoro indipendente o creano imprese.

7.4

Nel Piano d'azione: Un'agenda europea per l'imprenditorialità  (22) viene proposta una serie di misure per la promozione dell'imprenditorialità, destinate all'UE e ai responsabili politici di tutti gli Stati membri. Nel piano si sottolinea, tra l'altro, la necessità di fornire alle donne un sostegno personalizzato. Nelle relazioni sui progressi effettuati in vista della realizzazione degli obiettivi e delle azioni chiave della Carta europea per le piccole imprese  (23) non figura tuttavia alcun riferimento a tale questione. Il CESE ritiene che queste relazioni annuali dovrebbero includere informazioni concrete sui progressi compiuti a livello europeo e negli Stati membri in materia di sostegno alle imprenditrici, al fine di agevolare lo scambio di buone prassi e di conoscenze.

7.5

Occorre stimolare l'imprenditorialità tra le donne e gli uomini in Europa (24). Nel 2006, il CESE ha adottato un parere (25) in merito alla comunicazione della Commissione Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento, in cui si sottolineava l'importanza delle imprenditrici e della capacità imprenditoriale femminile, e il fatto che l'imprenditorialità sia un fattore chiave per la crescita, l'occupazione e la realizzazione personale. Nel parere si affermava che lo sviluppo di una mentalità imprenditoriale è un processo di apprendimento permanente, e per questo deve far parte dei programmi di studio.

7.6

Il CESE raccomanda che i programmi d'istruzione nazionali e regionali di livello secondario e superiore includano l'educazione all'imprenditorialità (tecniche di gestione aziendale, strumenti informatici, ecc.), soprattutto per le studentesse, e suggerisce l'adozione di misure volte ad accrescere il numero di imprenditrici.

7.7

L'obiettivo è quello di fare sì che le donne dispongano delle stesse opportunità degli uomini di accedere al mondo imprenditoriale eliminando tutte le discriminazioni esistenti. Gli enti locali e regionali devono incoraggiare le donne a sviluppare lo spirito imprenditoriale, quale fattore di parità e di sviluppo economico e sociale a livello locale.

7.8

Occorre definire delle misure di sostegno che consentano alle imprenditrici di accedere ai servizi finanziari e ai crediti necessari. Le banche devono offrire loro dei programmi specifici di microcredito. Le istituzioni finanziarie devono evitare di discriminare le imprenditrici, dato che attualmente queste ultime devono far fronte a maggiori ostacoli rispetto agli uomini per ottenere i finanziamenti necessari allo sviluppo dell'attività imprenditoriale, alla crescita dell'impresa, e alla realizzazione di programmi di innovazione e di attività di formazione e ricerca.

7.9

È necessario divulgare le informazioni riguardanti le possibilità di finanziamento con i fondi strutturali al fine di esplorare formule innovatrici, come la creazione di strumenti finanziari flessibili, che combinino le sovvenzioni con microcrediti e garanzie.

7.10

I fondi comunitari per la promozione dell'imprenditorialità, che sono rafforzati e gestiti dai governi nazionali e regionali, devono essere trasparenti e facilmente utilizzabili da parte delle piccole e medie imprese al femminile. Gli enti locali e regionali, in collaborazione con le organizzazioni imprenditoriali, devono agevolare la fornitura di infrastrutture, aiuti finanziari e consulenza alle imprenditrici durante l'intera fase iniziale del progetto imprenditoriale.

7.11

Tra i vari esempi di buone prassi, il CESE desidera sottolineare che in Francia il Fonds de Garantie pour la Création, la Reprise ou le Développement d'Entreprise à l'Initiative des Femmes (Fondo di garanzia per la creazione, acquisizione o sviluppo di imprese create da donne) agevola l'accesso ai finanziamenti per le donne che desiderano creare, acquisire o sviluppare un'impresa. Tale fondo è stato creato per aiutare queste ultime a superare le difficoltà cui devono fare fronte per accedere a crediti bancari, è gestito attraverso un'organizzazione privata, l'Institut de Développement de l'Economie Sociale, e riceve finanziamenti da varie fonti, tra cui il Fondo sociale europeo.

7.12

Gli Stati devono fornire maggiore sostegno alle piccole imprese, dato che la maggioranza delle imprenditrici ritiene che le politiche fiscali siano uno degli ostacoli principali allo sviluppo delle imprese, per via delle incongruenze esistenti nella legislazione in vigore.

7.13

In linea di principio, quando si crea la propria impresa si è maggiormente padroni del proprio tempo, ed è per questo motivo che un numero crescente di donne e uomini sviluppa uno spirito imprenditoriale. Nella pratica, le imprenditrici devono tuttavia fare fronte a maggiori ostacoli rispetto agli uomini per conciliare meglio la vita lavorativa con quella familiare.

7.14

In tutta Europa esistono numerosi esempi di buone prassi miranti a promuovere il ruolo delle donne ai vari livelli delle organizzazioni padronali, e sono state inoltre costituite associazioni di imprenditrici. Anche le camere di commercio e dell'industria (26) sviluppano numerose iniziative positive che il CESE appoggia.

7.15

Il CESE sostiene il lavoro svolto dall'European Network to promote women's entrepreneurship (Rete europea per la promozione dell'imprenditorialità femminile — WES), il cui obiettivo precipuo consiste nell'accrescere la visibilità delle imprenditrici, creando un contesto favorevole grazie ad elementi come lo scambio di informazioni su finanziamenti, formazione, reti, consulenza, ricerca e statistiche.

7.16

Data la natura delle imprese dell'economia sociale (cooperative, mutue, associazioni e fondazioni), in numerose occasioni le donne vi ricorrono per sviluppare la loro imprenditorialità, trovando meno arduo raggiungere i loro obiettivi professionali in queste imprese rispetto ad altri tipi di impresa.

7.17

Dato il loro obiettivo sociale, le imprese dell'economia sociale promuovono ampiamente l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro, e devono pertanto essere sostenute dagli enti locali e regionali per dare impulso a questa importante missione sociale.

7.18

La maggioranza dei coniugi coimprenditori sono donne che spesso lavorano part-time. Le preoccupazioni circa il congedo di maternità, il problema degli asili e le difficoltà collegate all'eventuale decesso del coniuge o al divorzio da quest'ultimo sono problematiche molto specifiche che differiscono da quelle maschili. In numerosi Stati membri non esiste uno statuto giuridico adeguato.

7.19

Anche le disparità derivanti dai regimi di sicurezza sociale sono importanti. È necessario sviluppare iniziative precise in materia di protezione sociale, formazione e sostegno alla creazione di nuove imprese da parte di donne. Per quanto riguarda la protezione sociale delle imprenditrici e dei coniugi coimprenditori, alcuni paesi offrono diversi statuti di cui possono beneficiare le imprenditrici, per esempio: «coniuge collaboratore», «coniuge dipendente» o «coniuge associato». Il CESE invita la Commissione a promuovere un dibattito per migliorare la protezione sociale delle imprenditrici.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE del 13.9.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniUna tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010. Relatrice: ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006).

Parere del CESE del 14.12.2005 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007)Verso una società giusta. Relatrice: HERCZOG (GU C 65 del 17.3.2006).

Parere del CESE del 29.9.2005 sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea. Relatrice: KING (GU C 24 del 31.1.2006).

Parere del CESE del 28.9.2005 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che costituisce un Istituto europeo per l'uguaglianza di genere. Relatrice: ŠTECHOVÁ (GU C 24 del 31.1.2006).

Parere del CESE del 2.6.2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che definisce gli orientamenti per la seconda fase dell'iniziativa comunitaria EQUAL relativa alla cooperazione transnazionale per promuovere nuovi mezzi di lotta contro tutte le forme di discriminazione e di disparità connesse al mercato del lavoroLibera circolazione delle buone idee. Relatore: SHARMA (GU C 241 del 28.9.2004).

Parere del CESE del 15.12.2004 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Relatrice: SHARMA (GU C 157 del 28.6.2005).

Parere del CESE del 10.12.2003 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione comunitario per la promozione delle organizzazioni attive a livello europeo nel settore dell'uguaglianza tra le donne e gli uomini. Relatrice: WAHROLIN (GU C 80 del 30.3.2004).

Parere del CESE del 14.2.2006 sul tema La rappresentanza femminile negli organi decisionali dei gruppi di interesse economici e sociali dell'Unione europea. Relatore: ETTY (GU C 88 dell'11.4.2006).

Parere del CESE del 3.6.2004 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura. Relatrice: CARROLL (GU C 241 del 28.9.2004).

(2)  Cfr. le conclusioni del Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005 e i lavori in materia, in particolare la dichiarazione dei presidenti e dei segretari generali dei CES dell'UE e del CESE (Parigi, 25.11.2005)

http://eesc.europa.eu/lisbon_strategy/eesc_documents/index_fr.asp.

(3)  Lavorare insieme per la crescita e l'occupazioneIl rilancio della strategia di Lisbona (COM(2005) 24 def.).

(4)  Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008) (COM(2005) 141 def.).

(5)  Parere del CESE del 31.5.2005 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (ai sensi dell'articolo 128 del Trattato CE). Relatore: MALOSSE (GU C 286 de 17.11.2005).

(6)  COM(2006) 30 def.

(7)  Relazione comune sull'occupazione 2006/2007, adottata dal Consiglio (EPSCO) il 22 febbraio 2007, per trasmissione al Consiglio europeo dell'8 e 9 marzo 2007.

(8)  Conclusioni della presidenza, 7775/1/06/riv. 1.

(9)  COM(2006) 92 def.

(10)  Parere del CESE del 13.9.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniUna tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010. Relatrice: ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006).

(11)  Parere del CESE del 28.9.2005 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che costituisce un Istituto europeo per l'uguaglianza di genere. Relatrice: ŠTECHOVÁ (GU C 24 del 31.1.2006).

(12)  Risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2007 su una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 (2006/2132(INI)), consultabile all'indirizzo seguente:

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2007-0063+0+DOC+XML+V0//IT

(13)  Cfr. il punto 2.3.3.1.3 del parere del CESE del 13.9.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniUna tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010. Relatrice: ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006).

(14)  COM(2007) 49 def.

(15)  Parere del CESE dell'11.7.2007 sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata. Relatore: CLEVER.

(16)  La Relazione comune sull'occupazione 2006/2007 è consultabile al seguente indirizzo:

http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/07/st06/st06706.it07.pdf

(17)  Il documento è consultabile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/employment_social/news/2005/mar/gender_equality_en.pdf

(18)  Cfr. http://ec.europa.eu/employment_social/emplweb/news/news_en.cfm?id=226

(19)  COM(2007) 49 def.

(20)  Cfr. il punto 1.2 del parere del CESE del 13.9.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniUna tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010. Relatrice: ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006).

(21)  Il documento Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 (COM(2006) 92 def.), dell'1.3.2006, è consultabile al seguente indirizzo:

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/es/com/2006/com2006_0092es01.pdf

(22)  Il documento Piano d'azione: Un'agenda europea per l'imprenditorialità (COM(2004) 70 def.) è consultabile al seguente indirizzo:

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/es/com/2004/com2004_0070es01.pdf

(23)  Il documento Carta europea per le piccole imprese è consultabile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/enterprise/enterprise_policy/charter/index_en.htm

(24)  Il CESE sta elaborando un parere sul tema Spirito imprenditoriale e Agenda di Lisbona.

(25)  Parere del CESE del 16.7.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAttuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento. Relatrice: JERNECK (GU C 309 del 16.12.2006).

(26)  Cfr. http://www.eurochambres.eu/women_onboard/index.htm


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La salute nel contesto del fenomeno migratorio

(2007/C 256/22)

La prossima presidenza portoghese del Consiglio dell'Unione europea, con lettera del 14 febbraio 2007, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo su: La salute nel contesto del fenomeno migratorio.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SHARMA (correlatrice: CSER).

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 3 voti contrari e nessuna astensione.

1.   Conclusioni

Il presente parere verte sulla relazione tra salute e migrazione e, a questo titolo, non costituisce un dibattito sul fenomeno migratorio in quanto tale. Le migrazioni incidono sensibilmente sull'economia dell'UE e costituiscono un processo ininterrotto che coinvolge una parte significativa e in costante aumento della popolazione dell'UE nonché tutta la popolazione mondiale.

È dunque essenziale che le politiche dell'UE e degli Stati membri offrano ai migranti e alle loro famiglie un livello elevato di tutela della salute. Ciò significa attivarsi in un ampio raggio di politiche tra cui l'occupazione, la salute, la sicurezza sul lavoro, l'istruzione, la protezione sociale, come pure la promozione della salute e l'assistenza sanitaria.

Il parere all'esame individua una serie di questioni relative alla salute con cui si devono confrontare i migranti, nonché le ripercussioni del fenomeno migratorio sulla salute pubblica che rendono necessario l'intervento degli Stati membri e dell'Unione europea.

1.1   Raccomandazioni

Una globalizzazione equa (1) e dal volto umano (2) deve basarsi su valori universalmente riconosciuti, sul rispetto dei diritti umani, sulla garanzia di un livello elevato di salute e sicurezza alimentare per tutti i gruppi della popolazione, soprattutto i più vulnerabili, sul rispetto della diversità culturale e linguistica e infine sulla condivisione e la diffusione delle conoscenze tra tutti i cittadini.

Per quanto concerne i diritti umani universali, il CESE raccomanda di:

1.1.1

Creare punti d'incontro e centri d'informazione destinati agli immigrati per aiutarli ad accedere alle informazioni in materia di assistenza sociale e sanitaria, le quali sarebbero fornite da impiegati di tali centri appartenenti alla loro stessa minoranza. Questi centri costituirebbero un polo di cooperazione tra le autorità, le ONG dei paesi di origine e quelle delle comunità di accoglienza.

1.1.2

Rafforzare, sul piano nazionale e su quello comunitario, la cooperazione con le organizzazioni internazionali per quanto concerne la salute e il monitoraggio degli immigranti, nonché per effettuare un'analisi dei problemi e dei vantaggi a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.

1.1.3

Introdurre programmi nazionali di salute pubblica nell'istruzione, tenendo conto delle culture minoritarie.

1.1.4

Creare un fondo speciale di compensazione nonché programmi per la formazione, il reinsediamento e la cooperazione tra paesi ospitanti e paesi d'origine.

1.1.5

Garantire l'accesso alle cure mediche e alle cure preventive a tutte le persone che risiedono nell'UE a prescindere dal loro status: esso rientra infatti tra i diritti umani in virtù della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che garantisce l'accesso alla prevenzione e alle cure mediche.

1.1.6

Introdurre nei centri medici che ancora non le applichino delle clausole di riservatezza sui pazienti per impedire la divulgazione a terzi di informazioni relative allo status di un paziente migrante. In questo modo, gli immigrati, specie quelli in situazione di irregolarità, sarebbero meno timorosi di richiedere assistenza e cure mediche.

1.1.7

Favorire la cooperazione tra gli Stati membri e l'UE per migliorare la raccolta dei dati e promuovere la ricerca nell'ambito della migrazione e della salute nell'Unione europea.

1.1.8

Considerare la salute come una delle dimensioni essenziali della migrazione.

1.1.9

Stabilire, grazie alle valutazioni d'impatto sulla salute, l'incidenza potenziale delle politiche sanitarie e non sanitarie sulla salute dei migranti.

1.1.10

Assicurare che gli Stati membri che vantano una tradizione di servizi sanitari specializzati in medicina tropicale offrano le loro competenze a tutti i residenti dell'UE e continuino a fornire una ricerca di qualità nelle terapie per le malattie tropicali, in particolare la malaria.

1.1.11

Mettere a punto meccanismi più efficaci per valutare e soddisfare le esigenze in materia di salute di tutte le categorie di migranti quanto più rapidamente possibile dopo il loro arrivo. È essenziale realizzare una cooperazione rafforzata tra l'UE e gli Stati membri per rispondere alle necessità immediate dei migranti che arrivano in Europa con problemi di salute urgenti, in particolare garantendo un servizio di interpretazione.

1.1.12

Attribuire alla salute dei migranti carattere prioritario. Ciò implica anche la cooperazione delle parti sociali e delle autorità competenti per garantire standard elevati di salute e sicurezza sul posto di lavoro nei settori di impiego abituale dei migranti. In cooperazione con i servizi a livello di comunità, occorre inoltre sviluppare ulteriormente i programmi di promozione della salute sul posto di lavoro, per contribuire a soddisfare i bisogni dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.

1.1.13

Mettere a punto dei programmi di promozione della salute da attuare nel contesto scolastico per rispondere ai bisogni specifici dei figli degli immigrati. La loro salute rappresenta infatti una priorità particolare. I servizi sanitari scolari e prescolari devono rispondere ai bisogni di tutti i bambini nella loro diversità, compresi i figli degli immigrati, dedicando un'attenzione particolare a coloro che sono appena arrivati.

1.1.14

Prevedere trattamenti sanitari e servizi di prevenzione che tengano conto delle specificità e sensibilità culturali dei migranti, senza fare alcuna concessione sul divieto di infibulazione.

1.1.15

Offrire ai professionisti sanitari una formazione continua e la possibilità di compiere uno sviluppo professionale che permetta loro di seguire l'evoluzione dei bisogni sanitari delle comunità di migranti.

1.1.16

Concepire il reclutamento del personale sanitario formato nei paesi in via di sviluppo in un'ottica di co-sviluppo che agevoli il ritorno in patria dopo un soggiorno temporaneo o offra un risarcimento al paese d'origine che lo ha formato. La Commissione dovrà esaminare le migliori prassi esistenti in materia in modo da potere poi proporre un codice europeo di buone pratiche.

1.1.17

Rafforzare il ruolo delle autorità preposte al controllo della salute pubblica e incoraggiare lo scambio di buone pratiche. In tale contesto, le autorità dell'UE dovrebbero svolgere una funzione di coordinamento.

1.1.18

Promuovere il dialogo interculturale incentrandolo in particolare sullo stato di salute e sull'assistenza sanitaria (3).

1.1.19

Il CESE ribadisce l'esortazione già rivolta a più riprese agli Stati membri ad attuare le convenzioni dell'OIL sui migranti (4).

2.   Contesto

2.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie il rinnovato interesse manifestato dalla presidenza portoghese per un esame approfondito della questione della salute nel contesto del fenomeno migratorio. Tale interesse è frutto dell'accordo della «troika» (le tre presidenze successive tedesca, portoghese e slovena) sul fatto che la politica sanitaria svolge un ruolo cruciale visto che una prevenzione e delle cure sanitarie transfrontaliere migliori vanno a diretto vantaggio dei cittadini europei (5).

Le tre presidenze si sono impegnate ad intervenire attivamente per far fronte alle disparità che attualmente colpiscono i migranti nell'accesso ai servizi sanitari. Si è inoltre convenuto di appoggiare un'ampia gamma di attività comunitarie intese a realizzare un livello elevato di tutela della salute per tutti i cittadini, concentrandosi in particolare sulla promozione della salute, sulla prevenzione delle malattie, sull'innovazione e sull'assistenza sanitaria.

2.2

Dal momento che il Comitato ha già adottato diversi pareri sul tema della migrazione, legale e illegale (6), il presente parere esplorativo si soffermerà in particolare sulle questioni relative alla salute. Si invita la presidenza portoghese e gli altri soggetti interessati a consultare i pareri elaborati dal CESE sul fenomeno migratorio.

3.   Introduzione

3.1

Molto è stato scritto riguardo ai temi della migrazione e della salute: in particolare, il presente parere si basa su un documento predisposto di recente per il Programma di analisi politiche e ricerca della Commissione globale sulla migrazione internazionale (GCIM) (Carballo & Mboup, settembre 2005). Gli altri riferimenti sono indicati nei diversi punti del parere.

3.2

L'Organizzazione mondiale della sanità dà la seguente definizione del concetto di «salute»: «la salute è uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale, e non significa solo l'assenza di malattia o di infermità». Nel presente parere si sostiene che la «salute», così come viene definita dall'OMS, rientra tra i diritti umani.

3.3

La salute degli immigrati e dei rifugiati è un elemento importante per diversi motivi, tra cui:

il rispetto dei diritti umani universali e della dignità umana,

l'altissimo numero dei decessi, nonché dei casi di malattia o rischi per la salute che colpiscono alcuni degli immigrati, soprattutto quelli irregolari,

i rischi per la salute che numerose categorie di immigrati corrono quando si trasferiscono in un paese nuovo,

il loro difficile accesso all'assistenza sanitaria e sociale,

i rischi per le popolazioni dei paesi interessati nel loro insieme, e

il rischio che il paese di origine subisca la perdita di professionisti sanitari.

4.   Dimensioni e portata della questione

4.1

Si calcola che oltre 200 milioni di persone si spostino ogni anno nel mondo alla ricerca di lavoro e di una vita migliore; almeno 30-40 (7) milioni di questi sono irregolari. Tutti gli immigrati esistenti a livello mondiale, messi insieme, diventerebbero il quinto paese al mondo per numero di abitanti (8). Nel 2005, le donne rappresentavano il 49,6 % di tutti gli immigrati. L'Europa conta attualmente tra 7 e 8 milioni di immigrati in situazione irregolare (9).

4.2

Ai fini dell'elaborazione del presente parere, il Comitato ha esaminato il fenomeno migratorio e le questioni relative alla salute essenzialmente in relazione ai cittadini di paesi terzi che immigrano nell'Unione europea. Attualmente vivono nell'UE circa 18 milioni di cittadini di paesi terzi. A questi si aggiunge un numero considerevole di cittadini nati all'estero e di immigrati irregolari o illegali. La stragrande maggioranza degli immigrati presenti nell'UE è entrata in Europa legalmente.

4.3

I richiedenti asilo rappresentano una proporzione relativamente limitata della popolazione migrante complessiva e il loro numero è diminuito negli ultimi anni: questo a seguito non tanto di un calo generale del numero delle persone bisognose di protezione, quanto piuttosto delle politiche attuate dall'UE.

 

2006

2005

2004

2003

2002

Domande di asilo per l'UE

266 270

350 103

421 236

532 300

640 347

Numero di domande accettate

38 857

46 742

35 872

41 823

59 705

% di domande accettate

22,71

20,55

13,36

12,4

14,73

Negli ultimi anni l'immigrazione, sia legale che irregolare, è aumentata in diversi paesi dell'Europa meridionale, tra cui il Portogallo, la Spagna e l'Italia. Molti degli immigrati in questi paesi provengono dall'Africa settentrionale e subsahariana, dall'America Latina, dall'Asia e dai paesi della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti).

4.4

Mentre gli immigrati sono in generale più sani dei loro connazionali che rimangono nel loro paese di origine, essi possono presentare un maggior numero di problemi di salute rispetto alla media della popolazione del paese di accoglienza. Ciò è dovuto a varie ragioni, tra cui:

lo stress psicologico e sociale (provocato da una cultura nuova e sconosciuta, dalla irregolarità della loro situazione, da un ambiente differente, dalla mancata conoscenza delle lingue straniere, dalla mancanza di interlocutori di fiducia e di informazioni, da problemi di salute mentale),

i rischi di malattia contratti nel paese di origine,

la povertà e il fatto di lavorare in condizioni di rischio,

l'accesso limitato all'assistenza sanitaria e all'informazione riguardo ai servizi sanitari, di promozione della salute e di prevenzione,

gli ulteriori rischi di malattia nel paese di accoglienza,

le condizioni degli alloggi.

4.5

Gli immigrati provenienti da determinate aree geografiche hanno maggiori possibilità di essere colpiti da malattie trasmissibili e da malattie di lunga durata, come ad esempio i disturbi mentali, l'infarto cardiocoronarico, le affezioni delle vie respiratorie e il diabete.

4.6

Gli immigrati irregolari, le loro famiglie e soprattutto i loro figli, sono afflitti da problemi di salute più gravi degli immigrati legali, la qual cosa può essere dovuta ai rischi per la salute che affrontano per entrare nel paese di accoglienza, alle loro condizioni economiche e sociali più precarie e all'accesso insufficiente ai servizi.

5.   Diversi tipi di immigrazione

5.1   Migrazione volontaria

5.1.1

Le motivazioni alla base della migrazione nell'UE sono prevalentemente di natura economica, ma possono in certi casi essere anche legate alla volontà di sfuggire a conflitti o persecuzioni. Da sempre, comunque, le persone emigrano per motivi diversi. Alcuni si spostano con il proposito di sistemarsi altrove e di iniziare una nuova vita, altri con l'intento di guadagnare quanto basta per ritornare nel loro paese di origine.

5.1.2

Alcuni si spostano per lavorare legalmente per un periodo determinato, altri lo fanno in maniera informale ma trovano lavoro e si fermano per un periodo di tempo indeterminato. Entrambe le categorie possono presentare dei problemi di salute: spesso questi sono legati alle politiche nazionali e agli atteggiamenti sociali nei confronti dei migranti, o anche a fattori più generali con un impatto sulla salute, quali l'istruzione, l'occupazione e l'alloggio.

5.1.3

La migrazione circolare viene sempre più spesso considerata come una forma chiave del fenomeno migratorio (10) che, se gestita adeguatamente, può diventare un elemento per armonizzare l'offerta e la domanda di forza lavoro sul piano internazionale, contribuendo così ad una più efficace allocazione delle risorse e alla crescita economica. Essa potrebbe rappresentare una soluzione per le necessità dell'UE, offrendo un'alternativa credibile all'immigrazione illegale.

5.2   Migrazione forzata

5.2.1

Le ripercussioni della migrazione forzata sulla salute sono non solo gravi ma anche di ampia portata. Ogni anno moltissime persone sono costrette a lasciare il loro paese di origine per assumere poi lo status di rifugiati sotto la protezione delle Nazioni Unite; vi sono poi milioni di persone costrette a lasciare le loro case pur rimanendo nel loro paese.

5.2.2

Molti devono pagare ingenti somme di denaro per farsi aiutare a varcare le frontiere, la qual cosa li costringe a una situazione di precarietà economica. I migranti vivono nella paura e sono spesso oggetto di sfruttamento da parte dei datori di lavoro. Le donne sono sovente vittime di violenze e di sfruttamento sessuale.

5.2.3

Il traffico di esseri umani è un crimine che viola i diritti umani fondamentali e distrugge vite umane. Il fenomeno è considerato una forma moderna di schiavitù e (in base alle stime dell'OIL) si calcola che ogni anno nel mondo vi siano 12 milioni di persone che vivono in condizioni di servitù forzata e che più di un milione di minori venga venduto, come se si trattasse di merce, per essere avviato alla prostituzione o al lavoro forzato. Secondo le cifre pubblicate dal Dipartimento di Stato americano, nell'80 % dei casi si tratta di donne e ragazze, e nel 50 % dei casi di minori. Secondo tali stime, la maggior parte di queste persone è vittima di traffici a scopo di sfruttamento sessuale.

5.2.4

Il traffico di esseri umani è fonte di ingenti profitti per i trafficanti: in base ad alcune stime, questi profitti ammonterebbero addirittura a 10 miliardi di dollari (11) americani all'anno. (iii: Unicef).

5.3   Viaggi internazionali

5.3.1

L'Organizzazione mondiale del turismo segnala che nell'ultimo decennio del Novecento il turismo internazionale ha rappresentato il 30 % delle industrie di servizi nel mondo, e stima che entro il 2020 gli «arrivi» internazionali supereranno la cifra di 1,55 miliardi, 400 milioni dei quali saranno costituiti da viaggi a lunga distanza in aree di particolare interesse ecologico.

5.3.2

Secondo le stime disponibili, 14 milioni di persone provenienti dai paesi industrializzati si recano ogni anno nelle regioni tropicali dell'Africa, dell'Asia, dell'America Latina e delle isole del Pacifico. Un numero significativo di questi viaggiatori rientra in patria dopo aver contratto una malattia che richiede un trattamento medico. Il disturbo più frequente è costituito dalla diarrea, ma anche la malaria è ormai un problema molto diffuso in termini di diagnosi, trattamento e costi per i paesi di origine dei turisti.

5.3.3

Se non adottano le opportune misure protettive, i turisti corrono il rischio di contrarre l'epatite A e diverse malattie sessualmente trasmissibili, tra cui l'AIDS.

6.   L'impatto della migrazione sulla salute e sulla salute pubblica

6.1   Politiche

6.1.1

Numerosi Stati membri dell'Unione europea hanno adottato delle politiche specifiche relative al diritto in materia di ingresso, di durata del soggiorno e di partenza degli immigrati. Complessivamente si tratta di politiche di natura restrittiva piuttosto che permissiva, che tendono a complicare la questione della migrazione. Ne possono risultare condizioni sociali ed economiche pregiudizievoli per la salute degli immigrati.

6.1.2

L'approccio alla salute pubblica e allo screening sanitario varia da un paese all'altro, come pure l'approccio concernente l'accesso all'assistenza sanitaria e sociale. Non risultano tuttavia disponibili informazioni complete riguardo alle pratiche adottate nei singoli paesi.

6.2   Statistiche

6.2.1

Dato che sono rari gli Stati membri dell'UE che raccolgono regolarmente dati relativi alla salute degli immigrati, è difficile fornire informazioni affidabili sull'esperienza concreta e le necessità dei migranti in materia di assistenza sanitaria. In molti paesi i registri sanitari non sono predisposti per classificare le persone in funzione del loro statuto di immigrante.

6.2.2

Mentre alcuni paesi raccolgono dati di questo genere, altri si limitano a registrare la regione di origine e il gruppo etnico al quale appartengono i migranti. Talvolta non esiste una definizione chiara del concetto di «immigrato» e di quello di «discendente di immigrato». In alcuni casi le persone vengono definite esclusivamente in base all'origine etnica, senza fare alcuna distinzione, ad esempio, tra i bambini migranti e i bambini discendenti di immigrati.

6.2.3

Esiste inoltre un numero sconosciuto di immigrati irregolari e pertanto non dichiarati, che possono essere restii a ricorrere all'assistenza sanitaria quando questa si renda necessaria.

6.2.4

Gli immigrati possono inoltre mostrarsi riluttanti a fornire alle autorità sanitarie delle informazioni sul proprio status di immigrati per timore che queste vengano usate contro di loro. Ciò contribuisce a rendere ancor meno esaurienti le informazioni disponibili.

6.2.5

Questa riluttanza da parte degli immigrati può essere dovuta anche a motivi culturali e religiosi. Per di più, le autorità e i fornitori di servizi sanitari non dispongono delle conoscenze necessarie, né sono preparati a soddisfare le necessità particolari dei migranti. Sono questi i motivi per i quali non disponiamo di informazioni sufficienti sui migranti e sul loro stato di salute.

6.3   Migrazione e benessere psicosociale

6.3.1

Per gli immigrati, siano essi legali o irregolari, le sfide già gravi rappresentate dalla lingua, dalla cultura e dalle politiche del paese di accoglienza vengono inasprite dalla paura dell'ignoto (cfr. Tizon 1983). Tra gli altri problemi che incidono sulla salute degli individui e delle comunità si possono ricordare i seguenti:

la separazione dalla famiglia, dal coniuge e dai figli,

lo sfruttamento da parte dei datori di lavoro,

lo sfruttamento sessuale,

l'ansia e la nostalgia del paese di origine,

la mancata integrazione nella comunità locale,

l'indebolimento della salute fisica o mentale.

6.4   Migrazione e salute mentale

6.4.1

Le ricerche (12) hanno dimostrato che in Europa alcune categorie di immigrati presentano il tasso più elevato di schizofrenia e di suicidi, un alto tasso di abuso di droghe e di alcool e un rischio marcato di depressione e ansia. In base alle stesse ricerche, queste categorie non hanno un accesso adeguato all'assistenza sanitaria e sociale.

6.4.2

Tra i fattori che contribuiscono ai problemi di salute mentale dei migranti sono state individuate le seguenti cause: i cambiamenti del regime alimentare, del sostegno sociale e della famiglia; la cultura, la lingua e il clima; l'ostilità, il razzismo e la xenofobia della popolazione di accoglienza; le recentissime esperienze della fuga dalla guerra e relativi orrori quali la tortura, la perdita della famiglia e gli abusi sessuali.

6.4.3

In base alle ricerche effettuate, due terzi dei rifugiati soffre di ansia o depressione e presenta sintomi di disturbi post-traumatici da stress, tra cui soprattutto incubi e attacchi di panico.

6.4.4

La difficoltà di accesso alle cure mediche, all'assistenza e al sostegno necessari per affrontare questi disturbi è particolarmente diffusa tra i richiedenti asilo e i migranti privi di documenti, che costituiscono invece proprio le categorie più bisognose di questi servizi.

6.5   Migrazione e salute fisica

6.5.1

Tutte le persone presentano un «profilo» sanitario legato al loro luogo di provenienza e all'ambiente sociale in cui vivono. In generale, gli immigrati economici tendono a spostarsi dai paesi più poveri a quelli più ricchi, per cui una parte di essi presenta un profilo sanitario legato alla povertà.

6.6   Malattie trasmissibili

6.6.1

L'assistenza offerta agli immigrati sieropositivi e a quelli affetti da tubercolosi varia da un paese all'altro e presenta problematiche distinte in funzione della cultura, della lingua e della religione delle persone interessate, nonché del loro statuto legale e economico. L'AIDS rappresenta un rischio particolare per i giovani, le donne e le ragazze.

6.6.2

Non esistono politiche omogenee in materia di screening sanitario e le modalità di attuazione delle visite mediche previste prima dell'ingresso nel paese di accoglienza variano anche a livello locale. Inoltre, anche le reazioni allo screening variano sensibilmente. Alcuni servizi segnalano che oltre il 50 % degli immigrati non si presenta agli appuntamenti successivi allo screening iniziale: secondo i prestatori dei servizi, il problema è dovuto alla difficoltà di comunicazione, alla paura dell'autorità e alla scarsa conoscenza delle possibilità offerte. Il CESE è a conoscenza del fatto che il commissario Kyprianou abbia chiesto al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (CEPCM) di presentare un piano d'azione sulla tubercolosi. Questo piano dovrebbe essere pubblicato nell'autunno del 2007 e terrà conto della situazione nei diversi Stati membri.

6.6.3

Tra il 1995 e il 2005 nell'UE si è registrato un costante aumento dei casi segnalati di tubercolosi. In base all'ultimo rapporto epidemiologico del CEPCM, i «casi di origine straniera» rappresentavano il 30 % di tutti i casi segnalati nei 25 Stati membri (vi: Primo rapporto epidemiologico europeo sulle malattie trasmissibili, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, 2007). È risaputo anche che gli immigrati si concentrano spesso in zone contraddistinte da condizioni abitative pessime e dal sovraffollamento negli alloggi e nei luoghi di lavoro, con tutti i rischi di propagazione delle infezioni respiratorie che una tale situazione comporta. È inoltre verosimile che un'alta percentuale di migranti figuri tra le persone senza fissa dimora.

6.6.4

Per quanto riguarda l'HIV, la relazione dell'UE intitolata AIDS & MobilityHIV/AIDS Care & Supports for Migrants and Ethnic Minority Communities in Europe (AIDS e Mobilità — HIV/AIDS Assistenza e sostegno ai migranti e alle minoranze etniche in Europa) (vii: UE — a cura di K. Clark e G. Boring) presenta un quadro della situazione in diversi paesi, approfondendo temi quali:

le politiche nazionali,

l'accesso all'assistenza sanitaria e sociale,

i servizi di assistenza e sostegno.

6.6.5

Nella relazione si pone in evidenza il fatto che la situazione degli immigrati (numero, origine etnica ed epidemiologia) e le risposte fornite dalla società variano sensibilmente da un paese europeo all'altro.

6.6.6

È possibile che gli immigrati provenienti da parti del mondo in cui si registra un tasso elevato di HIV possano portare con sé la malattia. In effetti, tra il 1997 e il 2005 il 47 % dei casi complessivi di trasmissione di HIV a persone eterosessuali nell'UE è stato diagnosticato in pazienti provenienti da paesi con un'elevata prevalenza di HIV.

6.6.7

Al contrario, gli immigrati provenienti da paesi con una bassa prevalenza di sieropositività non sembrano essere maggiormente esposti al rischio (che può addirittura essere minore) rispetto ai cittadini dei paesi di accoglienza.

6.7   Malattie non infettive

6.7.1

Le malattie di lunga durata quali le cardiopatologie coronariche, le malattie ostruttive croniche delle vie aeree, l'ictus e il diabete costituiscono una sfida importante per i servizi sanitari in quasi tutti i paesi del mondo e provocano il 50 % circa dei decessi che si verificano ogni anno.

6.7.2

Le cardiopatologie coronariche sono la principale causa di mortalità e producono l'impatto più elevato in termini di trattamento, costi e ripercussioni sugli individui, sul personale addetto all'assistenza e sulle comunità. Nelle comunità di immigrati queste patologie possono essere legate a una predisposizione etnica, al regime alimentare e allo stress. Nel Regno Unito, gli asiatici di sesso maschile tendono ad essere maggiormente soggetti alle cardiopatologie coronariche rispetto agli immigrati di origine diversa (viii: Balajaran & Raleigh, 1992; McKeigue & Sevak, 1994; British Medical Journal, 2003).

Gli uomini e le donne originari dell'Asia meridionale presentano un tasso di mortalità dovuto alle malattie cardiovascolari superiore del 30-40 % a quello del resto della popolazione (ix: Balajaran, 1991).

6.7.3

Secondo le statistiche raccolte nel Regno Unito, l'incidenza dell'ictus tra gli immigrati provenienti dai Caraibi è due volte superiore rispetto a quella registrata tra la popolazione «bianca» (x: Stewart, 1999). In Svezia tassi elevati di obesità e di malattie cardiovascolari sono stati rilevati tra gli immigrati finlandesi, a causa del loro regime alimentare e alto consumo di alcolici (xi: Jarhult et al., 1992).

6.8   Malattie ereditarie

6.8.1

La migrazione di persone provenienti da diverse parti del mondo può anche determinare la diffusione di malattie genetiche. I casi di drepanocitosi (conosciuta anche come anemia falciforme) e di talassemia hanno registrato un aumento a seguito dei flussi migratori provenienti dall'Africa, dai Caraibi e dai paesi mediterranei. L'anemia falciforme è relativamente diffusa nell'UE e, secondo le stime disponibili, nel Regno Unito colpisce ogni anno 6 000 adulti e tra 75 e 300 bambini (xii: Karmi, 1995). Un tasso elevato di prevalenza di questa malattia è stato inoltre registrato tra gli immigrati in Portogallo (xiii: Carrerio et al., 1996).

6.8.2

La talassemia è una malattia ematologica ereditaria di origine mediterranea che nel Regno Unito colpisce le minoranze etniche provenienti dal Medio Oriente e da Cipro. È inoltre dimostrato che potrebbe essere diffusa anche tra le persone originarie del Pakistan, della Cina e del Bangladesh.

6.8.3

Queste malattie richiedono la diagnosi di uno specialista e servizi di consulenza che non sempre sono disponibili.

6.9   Malattie professionali

6.9.1

Gli immigrati tendono a svolgere mansioni poco qualificate, ormai poco appetibili per la popolazione del paese di accoglienza. Il lavoro in alcuni di questi settori, come ad esempio le miniere, l'industria per la produzione di amianto, l'industria chimica o l'industria pesante, comporta spesso rischi per la salute. In agricoltura, l'esposizione a pesticidi e ad altre sostanze chimiche è stata associata ad un elevato tasso di depressione, cefalea e, tra le donne, di aborti.

6.9.2

Anche però i migranti altamente qualificati, quelli con un elevato livello di istruzione, quelli coinvolti nella «fuga dei cervelli», oppure ancora i «migranti circolari» soffrono spesso di forme di stress professionale: lavorano infatti in condizioni più precarie dei colleghi che sono cittadini del paese di accoglienza (i quali godono di diritti diversi, ecc.), ma sono costretti ad accettare la situazione a causa della loro dipendenza economica (13).

6.10   Infortuni

6.10.1

In Europa, gli infortuni sul lavoro sono quasi due volte più frequenti tra gli immigrati (xiv: Bollini & Siem, 1995). In Germania sono numerosi i casi di immigrati vittime di infortuni sul lavoro, in particolare quelli che lavorano in industrie con insufficienti misure di salute e sicurezza (xv: Huismann et al., 1997). Dai dati disponibili, risulta inoltre che i figli di immigrati di età compresa tra i 5 e i 9 anni sono più esposti agli incidenti stradali e a infortuni di altro genere dei bambini tedeschi della stessa età (xvi: Korporal & Geiger, 1990). Nei Paesi Bassi, sembra che i bambini di origine turca e marocchina siano vittime di un maggior numero di infortuni domestici, ad esempio intossicazioni e ustioni, nonché di incidenti stradali (vii: de Jong & Wesenbeek, 1997).

6.11   Salute riproduttiva

6.11.1

Alcune categorie di migranti, tra cui quella degli uomini separati dalle consorti, presentano un tasso più elevato di malattie sessualmente trasmissibili. In molti Stati membri dell'UE la morbilità legata alla gravidanza è più elevata tra le donne immigrate che tra le cittadine del paese di accoglienza. Anche il tasso di interruzione della gravidanza tende ad essere più elevato tra le donne immigrate. Nella città di Barcellona le richieste di interruzione volontaria di gravidanza sono due volte più numerose tra le donne immigrate che tra le cittadine spagnole. Analogamente, da uno studio effettuato dal Centro internazionale per la migrazione e la salute di Ginevra risulta che il tasso di interruzione della gravidanza tra le donne immigrate in situazione irregolare è tre volte più elevato rispetto a quello registrato tra le donne di nazionalità svizzera della stessa età (xviii: Carballo et al., 2004).

6.11.2

Nel Regno Unito i neonati di madri asiatiche tendono a presentare un peso alla nascita inferiore rispetto a quelli appartenenti ad altri gruppi etnici e sono esposti a maggiori rischi di mortalità perinatale e postnatale. I neonati di madri provenienti dai Caraibi presentano anch'essi un tasso di mortalità postnatale superiore alla media. Per quanto riguarda le donne originarie del Marocco e della Turchia, in Belgio e in Germania si registrano tassi elevati di mortalità perinatale e infantile. Inoltre le donne provenienti dall'Africa subsahariana e dall'America centrale e meridionale danno alla luce neonati con un basso peso alla nascita e soffrono di problemi al parto.

6.11.3

Inoltre, il ricorso ai servizi preventivi, tra cui ad esempio la vaccinazione, è meno frequente tra i bambini degli immigrati.

6.12   Fattori che pregiudicano l'accesso dei migranti ai sistemi sanitari e che ne impediscono una fruizione efficace

6.12.1

Al momento di accedere ai servizi sanitari, i migranti si trovano di fronte a problemi di carattere giuridico, psicosociale ed economico. L'ostacolo rappresentato dalla lingua è evidente, come pure quello rappresentato dal costo delle cure, visto che per gli immigrati con un basso reddito un contributo, seppur minimo, a queste ultime costituisce un problema importante. In molti paesi i migranti irregolari e i richiedenti asilo in attesa di vedere trattate le loro domande si scontrano altresì con ostacoli giuridici che impediscono loro di accedere ai servizi sanitari.

6.12.2

Per di più, spesso i servizi pubblici non sono in grado di risolvere i problemi sanitari specifici dei migranti e non sono dotati della sensibilità e delle competenze necessarie per prestare cure adeguate a persone che possono avere un concetto diverso di salute, o un atteggiamento diverso nei confronti della malattia, del dolore e della morte, nonché modi diversi di descrivere i sintomi, affrontare la malattia e comunicare con il medico.

6.12.3

Inoltre, la complessità dei settori sanitari degli Stati membri, estremamente sviluppati e differenziati, può complicare ulteriormente la situazione.

6.12.4

La prevenzione delle malattie e la promozione della salute dei migranti è organizzata in maniera spesso inadeguata. Questo vale non solo per le visite prenatali, ma anche per i programmi di vaccinazione e le altre forme di prevenzione e di individuazione precoce, tra cui lo screening. Solo raramente, finora, nei programmi di prevenzione si è adottato un approccio adeguato alla cultura dei migranti, per riuscire a raggiungere i vari gruppi presenti nell'UE.

6.12.5

Il prezzo elevato di determinati medicinali e servizi sanitari rappresenta un onere estremamente gravoso per gran parte dei migranti. Questo fattore può indurli a non richiedere un trattamento in tempo utile, a non seguire le cure prescritte o a non assumere i medicinali necessari. Tale situazione provoca un aumento significativo delle sofferenze individuali e del costo economico globale per la società.

6.13   Professionisti sanitari

6.13.1

La tendenza crescente che si registra nell'UE e in altri paesi più avanzati ad assumere professionisti sanitari provenienti dai paesi più poveri costituisce una sfida sempre più impegnativa che, se non dovesse essere affrontata in maniera adeguata, pregiudicherebbe seriamente lo sviluppo sanitario e comprometterebbe la sostenibilità della formazione del personale medico e infermieristico nei paesi di origine (che «perdono» forza lavoro). L'esodo di professionisti sanitari qualificati che si trasferiscono dai paesi dotati di scarse risorse a quelli più prosperi riduce in misura significativa il ritorno degli investimenti nella formazione di professionisti sanitari (14). È necessario trovare soluzioni nuove per far fronte a questo problema, ad esempio un fondo speciale di compensazione per la formazione e il reinsediamento. I casi del Regno Unito e dell'Irlanda, in cui il servizio sanitario nazionale è tenuto ad adottare pratiche di assunzione «etiche», sono ampiamente riconosciuti come esempi da seguire. Gli Stati membri devono impegnarsi a favore dell'adozione di queste pratiche e della loro applicazione alle agenzie per l'assunzione di personale sanitario nonché alle strutture sanitarie, siano esse pubbliche o private.

6.13.2

I professionisti sanitari (in particolare gli infermieri e i medici) svolgono un ruolo fondamentale nelle iniziative volte a mantenere e a migliorare le cure sanitarie destinate ai migranti. Gli Stati membri devono garantire che questa importante categoria sia in grado di soddisfare le esigenze dei migranti in termini di cure e di comprendere i fattori culturali, religiosi e legati allo stile di vita che incidono sulle loro abitudini sanitarie. Tutto questo è indispensabile per garantire ai migranti un accesso adeguato ai servizi sanitari, in particolare sul piano culturale.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere del CESE del 31 maggio 2007 sul tema Sfide e opportunità per l'Unione europea nel contesto della globalizzazione (parere esplorativo), relatore: Henri MALOSSE, correlatore: Staffan NILSSON, GU C 175 del 27.7.2007.

(2)  Una globalizzazione equa, OIL 2004.

(3)  Cfr. il parere del CESE del 20 aprile 2006 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo del dialogo interculturale (2008) — COM(2005) 467 def. — 2005/0203 (COD), relatrice: CSER (GU C 185 dell'8.8.2006).

(4)  La Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, adottata nel 1990, è entrata in vigore nel luglio 2003. Essa va ad integrare la Convenzione sui lavoratori migranti dell'OIL del 1949 (n. 97) e la Convenzione sulle migrazioni (disposizioni complementari) del 1975 (n. 143). Queste tre convenzioni internazionali forniscono un quadro che regolamenta i diritti dei migranti e le questioni relative all'immigrazione irregolare. Esse rientrano in un contesto politico più ampio che comprende diversi trattati, adottati di recente dall'ONU, in materia di tratta di esseri umani, contrabbando e sfruttamento, tra cui la Convenzione internazionale contro la criminalità organizzata internazionale (2000), il Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini (2000), il Protocollo per combattere il traffico di migranti per via terrestre, aerea e marittima (2000), il Protocollo facoltativo della Convenzione sui diritti del fanciullo concernente la vendita dei fanciulli, la prostituzione infantile e la pedopornografia (2000), nonché la precedente Convenzione (1951) e il Protocollo sullo statuto dei rifugiati (1967). Mentre sono pochi i paesi e, se del caso, le organizzazioni economiche regionali ad aver ratificato queste convenzioni (ad eccezione dei trattati sui rifugiati), si tratta di strumenti che forniscono elementi importanti per un programma di carattere più globale.

(5)  Consiglio dell'Unione europea, Programma pluriennale delle presidenze tedesca, portoghese e slovena, Bruxelles, 21 dicembre 2006.

(6)  Cfr. i seguenti pareri del CESE:

Parere del 13 settembre 2006 sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 318 del 23.12.2006).

Parere del 15 dicembre 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia — COM(2005) 184 def., relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 65 del 17.3.2006).

Parere del 20 aprile 2006 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche comunitarie in materia di migrazioni e di protezione internazionale — COM(2005) 375 def., relatrice: SCIBERRAS (GU C 185 dell'8.8.2006).

(7)  United Nations' Trends in Total Migrant Stock: The 2003 Revision (ONU — «Tendenze migratorie», Riesame del 2003).

(8)  US Census Bureau, IDBRank Countries by Population (Ufficio censimenti americano, banca dati IDB, Classificazione dei paesi in base alla popolazione)

http://www.census.gov/ipc/www/idbrank.html

(9)  Migration Information Source (Fonte di informazioni sulla migrazione),

http://www.migrationinformation.org/Feature/display.cfm?id=336

(10)  Documento della Commissione sul tema della migrazione circolare del 16 maggio 2007.

(11)  The New Global Slave Trade (Il nuovo schiavismo globale), Ethan B. Kapstein, tratto da Foreign Affairs, novembre/dicembre 2006.

(12)  M.G. Carta, M. Bernal, M.C. Harday e J.M. Abad: Migration and mental health in Europe 2005 (La migrazione e la salute mentale in Europa).

(13)  Who cares? Women Health Workers in the Global Labour Market (Chi se ne cura? Operatrici sanitarie sul mercato del lavoro globale), a cura di Kim Van Eyck, PhD, 2005.

(14)  Who cares? (Chi se ne cura?), a cura di Kim Van Eyck, 2005. UNISON UK: PSI.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riporta l'emendamento che, pur essendo stato respinto durante il dibattito, ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Punto 1.1.8

L'intero punto è soppresso.

« 1.1.8

Introdurre programmi nazionali di salute pubblica nell'istruzione, tenendo conto delle culture minoritarie. »

Esito della votazione

Voti favorevoli: 44

Voti contrari: 51

Astensioni: 11


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/131


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le euroregioni

(2007/C 256/23)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Le euroregioni.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZUFIAUR.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Situazione attuale

1.1   Definizione

1.1.1

Le euroregioni sono strutture permanenti di cooperazione transfrontaliera tra enti regionali e locali direttamente confinanti e situati lungo frontiere statali comuni.

1.1.1.1

Le euroregioni (1) presentano, tra l'altro le seguenti caratteristiche:

le euroregioni e le strutture ad esse analoghe non costituiscono né una nuova amministrazione né un nuovo livello di governo, bensì rappresentano una piattaforma di scambio e cooperazione transfrontaliera orizzontale tra governi locali e regionali; esse inoltre promuovono una maggior cooperazione verticale tra gli enti regionali o locali, i governi centrali e le istituzioni europee,

esse sono associazioni di enti regionali e locali situati ai due i lati di una frontiera tra Stati, integrate talvolta da assemblee parlamentari,

sono associazioni transfrontaliere dotate di un segretariato permanente, di personale tecnico e amministrativo e di risorse proprie,

in alcuni casi sono enti di diritto privato, basati su associazioni che non hanno fini di lucro o su fondazioni nazionali istituite da un lato e dall'altro del confine in conformità del rispettivo ordinamento giuridico nazionale. In altri casi si tratta di enti di diritto pubblico basati su trattati interstatali, i quali gestiscono tra l'altro la partecipazione e la cooperazione degli enti territoriali,

in molti casi le euroregioni non sono definite soltanto dai loro confini geografici o politico-amministrativi, bensì condividono anche una serie di caratteristiche comuni sul piano economico, sociale o culturale.

1.1.2

Per designare le diverse euroregioni vengono utilizzate denominazioni differenti: Euroregio, Euroregione, Europaregione, Grande regione, Regio, e così via.

1.2   Obiettivi

1.2.1

Le euroregioni e le altre strutture analoghe (2) hanno per obiettivo principale la cooperazione transfrontaliera; le priorità di tale cooperazione sono scelte in modo differente in funzione delle specificità regionali e geografiche. La promozione della comprensione reciproca, lo sviluppo delle relazioni culturali ed il rafforzamento della cooperazione economica assumono un posto di rilievo nelle fasi iniziali o nel caso di comunità di lavoro con finalità estremamente specifiche. Le euroregioni dotate di strutture più integrate e di risorse finanziarie proprie perseguono invece obiettivi più ambiziosi. Queste possono trattare tutte le questioni collegate alla cooperazione transfrontaliera, a partire dalla promozione di interessi comuni a tutti i livelli, sino alla realizzazione e alla gestione di programmi transfrontalieri e di progetti concreti.

1.2.2

Le attività transfrontaliere non includono soltanto lo sviluppo socioeconomico e la cooperazione culturale, ma anche altri ambiti che rivestono un interesse generale per le popolazioni limitrofe, e in particolare, la salute, l'istruzione, la formazione, la ricerca e sviluppo, la gestione dei rifiuti, la tutela ambientale, la gestione del paesaggio, il turismo, il tempo libero, le catastrofi naturali, i trasporti e le vie di comunicazione.

1.2.3

Le euroregioni sono considerate una cornice idonea per la realizzazione delle politiche europee di mobilità del lavoro e di coesione economica, sociale e territoriale, attraverso procedure di cooperazione nelle zone di confine che evitino i conflitti di competenza.

1.2.4

Le euroregioni contribuiscono a stimolare — dal basso ed a partire dall'esperienza della vita quotidiana — la costruzione e l'integrazione dell'Unione europea.

1.2.5

La cooperazione attraverso le frontiere contribuisce ad innescare a sua volta forme transfrontaliere di cooperazione e di azione indirizzate a problematiche comuni, come ad esempio i consigli sindacali interregionali, la collaborazione tra le organizzazioni imprenditoriali e le camere di commercio, la creazione di consigli economici e sociali euroregionali e così via.

1.2.6

A tale proposito, il gruppo di studio incaricato di elaborare il presente parere ha avuto l'opportunità di comprovare direttamente l'asserzione che precede, essendo stato invitato ad un'audizione in Lussemburgo, il 13 febbraio 2007, dal Consiglio economico e sociale della Grande regione Saar-Lor-Lux (3).

1.3   Sviluppi storici

1.3.1

Il Consiglio d'Europa, la cui sede è a Strasburgo, è l'organizzazione europea che da decenni si occupa del tema delle euroregioni e, più in generale, di quello della cooperazione transfrontaliera.

1.3.2

Le prime esperienze di cooperazione transfrontaliera si sono sviluppate verso la fine degli anni Quaranta. L'accordo del Benelux, stipulato nel 1948, è stata la prima iniziativa volta a superare le linee divisorie delle frontiere nazionali. L'Euregio venne creata nel 1958 intorno al territorio olandese di Enschede e a quello tedesco di Gronau. Poco dopo vennero promosse, ma al di fuori della Comunità europea, una serie di esperienze nei paesi scandinavi, tra le quali vanno ricordate quelle di Oresund, Calotta polare e Kvarken, attraverso le frontiere tra Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia.

1.3.3

Tra il 1975 ed il 1985 sono state create diverse comunità di lavoro (CL) tra regioni di diversi paesi (ad esempio la CL del Giura e quella dei Pirenei), con una capacità d'azione limitata.

1.3.4

La cooperazione regionale transfrontaliera e la creazione delle euroregioni hanno fatto segnare un'espansione a partire dal 1990 (4). Tra i fattori che hanno contribuito a tale sviluppo assumono particolare rilievo:

i progressi dell'integrazione europea, in particolare grazie alla creazione del mercato unico, all'introduzione dell'euro e all'ampliamento dell'Unione,

il decentramento più accentuato e la crescente regionalizzazione degli Stati membri,

l'aumento del lavoro transfrontaliero,

il riconoscimento, seppur limitato, del ruolo svolto dalle regioni nella governance delle istituzioni europee,

l'avvio di iniziative comunitarie di cooperazione transfrontaliera come Interreg.

1.3.5

I due ultimi ampliamenti, che hanno portato l'Unione da 15 a 27 Stati membri, hanno comportato un significativo aumento del numero e delle caratteristiche delle regioni di confine. Concretamente, a livello di NUTS II, il numero delle regioni frontaliere è aumentato di 38 unità, mentre la lunghezza delle frontiere è passata da 7 137 a 14 300 chilometri.

1.3.6

Il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del dicembre 2005 (5) considera che la cooperazione transfrontaliera abbia importanza fondamentale per l'integrazione e la coesione europee, e invita gli Stati membri e la Commissione a promuovere e sostenere il ricorso alle euroregioni. La cooperazione transfrontaliera è stata inoltre inclusa nel Trattato costituzionale europeo (cfr. articolo III-220).

1.4   Forme di cooperazione

1.4.1

Con l'iniziativa comunitaria Interreg III a favore della cooperazione interregionale la Commissione ha individuato tre ambiti di cooperazione per il periodo 2000-2006:

A — Cooperazione transfrontaliera

L'obiettivo della cooperazione transfrontaliera è l'integrazione economica e sociale mediante l'applicazione di strategie comuni di sviluppo e di scambi strutturati tra i due lati di una frontiera.

B — Cooperazione transnazionale

L'obiettivo della cooperazione transnazionale, tra amministrazioni nazionali, regionali e locali, è di promuovere una miglior integrazione territoriale mediante la creazione di grandi gruppi di regioni europee, o macroregioni.

C — Cooperazione interregionale

L'obiettivo della cooperazione interregionale è quello di aumentare lo scambio di informazioni ed esperienze, non necessariamente tra regioni frontaliere.

Il caso delle euroregioni rientra soprattutto nel primo, ma anche e sempre più spesso nel secondo, degli ambiti citati.

2.   Contesto comunitario

2.1

Varie proposte comunitarie hanno recentemente migliorato il quadro generale nel quale operano le euroregioni. Il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri hanno adottato nel corso del primo semestre del 2006 una serie di decisioni importanti con ripercussioni sulla cooperazione transfrontaliera.

2.2   Prospettive finanziarie

2.2.1

Nel 2004 la Commissione europea ha presentato la sua proposta iniziale per la revisione delle prospettive finanziarie (2007-2013) (6). Nel testo della proposta, concepita per un'Unione con 27 Stati membri, la Commissione prospettava un livello di spesa all'1,14 % del RNL per il periodo 2007-2013. Nel suo parere (7) il Comitato, tenuto conto delle significative sfide cui l'Unione europea deve dare una risposta, si pronunciava a favore di un aumento delle risorse proprie sino ad un massimo dell'1,30 % del RNL (superando il precedente tetto dell'1,24 %). Il Consiglio europeo del dicembre 2005 ha fissato il totale delle spese per il periodo 2007-2013 all'1,045 % del RNL. Infine, nell'aprile 2006, dopo i negoziati tra Consiglio e Parlamento europeo, la proposta definitiva è stata fissata a 864 316 milioni di euro, e cioè all'1,048 % del RNL.

2.2.2

Questa riduzione sensibile ha avuto ripercussioni sull'impegno in termini di risorse per la coesione economica e sociale, passate dallo 0,41 % del RNL nell'Unione a 15, allo 0,37 % del RNL nell'Unione a 27. Tutto ciò è avvenuto in una fase nella quale l'ingresso di nuovi Stati membri ed altre sfide cui l'Unione si trova confrontata, quali la globalizzazione, esigerebbero risorse maggiori, non certo minori.

2.2.3

Per quanto riguarda la cooperazione territoriale europea, il nuovo obiettivo 3 prevede 8 720 milioni di euro (il 2,44 % dello 0,37 % del RNL previsto per la coesione) rispetto ai 13 000 milioni di euro che la Commissione aveva chiesto nella proposta iniziale. È quindi evidente che sarà necessario cercare di fare di più con risorse inferiori.

2.2.4

Gli incentivi finanziari alla cooperazione transfrontaliera offerti dall'Unione sono cresciuti rispetto al precedente periodo 2000-2006, ma la riduzione rispetto alla proposta originaria della Commissione europea rende necessaria una maggior cooperazione da parte degli enti locali e regionali ed impone anche un maggior ricorso al partenariato pubblico-privati. In seguito all'adesione dei 12 nuovi Stati membri le misure previste interessano ora un maggior numero di aree di confine, situate soprattutto nell'Europa centrale ed orientale.

2.3   Nuovi regolamenti

2.3.1

Le proposte presentate dalla Commissione nel luglio 2004 e relative ai fondi strutturali per il periodo 2007-2013, stabiliscono gli obiettivi della Convergenza e della Competitività regionale e occupazione — rispettivamente al posto dei precedenti Obiettivo 1 e Obiettivo 2 — e creano un nuovo obiettivo 3: Cooperazione territoriale europea che assegna maggior importanza alle iniziative in ambito regionale transfrontaliero.

2.3.2

Più specificamente, il nuovo obiettivo 3 (8), basato sulle esperienze maturate con l'iniziativa comunitaria Interreg, intende garantire un'integrazione equilibrata del territorio comunitario mediante la cooperazione transfrontaliera, transnazionale ed interregionale.

2.3.3

Nel 2005 il Comitato ha elaborato i suoi pareri sulla riforma dei fondi strutturali e del Fondo di coesione (9). Il Consiglio ed il Parlamento europeo hanno approvato le nuove proposte di regolamento nel 2006 (10).

2.4   Politica di coesione: orientamenti strategici

2.4.1

La comunicazione della Commissione (11) sugli orientamenti strategici comunitari in materia di coesione è stata approvata dopo l'adozione dei diversi regolamenti relativi ai fondi strutturali. Nella comunicazione viene confermata l'importanza del nuovo obiettivo 3: Cooperazione territoriale europea, nelle sue tre componenti: cooperazione transfrontaliera, transnazionale ed interregionale.

2.4.2

Il nuovo obiettivo della cooperazione intende promuovere una maggior integrazione del territorio dell'Unione e ridurre l'effetto «barriera» attraverso la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale e gli scambi di buone prassi.

2.4.3

Gli orientamenti strategici per la politica europea di coesione intendono:

a)

migliorare la capacità d'attrazione territoriale allo scopo di sviluppare gli investimenti;

b)

promuovere l'innovazione e l'imprenditorialità;

c)

creare posti di lavoro. Inoltre, in maniera più specifica, tener conto della dimensione territoriale delle politiche di coesione.

2.4.4

È noto che le frontiere nazionali rappresentano frequentemente un ostacolo per lo sviluppo del territorio europeo nel suo insieme, e possono limitarne il potenziale in termini di competitività. Uno degli obiettivi principali della cooperazione transfrontaliera comunitaria è pertanto l'eliminazione dell'effetto «barriera» causato dalle frontiere nazionali e la creazione di sinergie per affrontare problemi condivisi mediante soluzioni comuni.

2.4.5

Le politiche di coesione debbono incentrarsi su iniziative che apportino un valore aggiunto alle attività transfrontaliere, come per esempio quelle dirette a migliorare la competitività transfrontaliera tramite l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo; a collegare tra loro reti immateriali (servizi) o reti fisiche (trasporti) per rafforzare l'integrazione transfrontaliera come lineamento della cittadinanza europea; a promuovere la mobilità e la trasparenza del mercato del lavoro sul piano transfrontaliero; a gestire le risorse idriche e prevenire le inondazioni; a sviluppare il turismo; a favorire il coinvolgimento degli attori economici e sociali; a valorizzare il patrimonio culturale; a migliorare la pianificazione territoriale, ecc.

2.5   Una nuova base giuridica per la cooperazione territoriale

2.5.1

L'assenza di una base giuridica europea omogenea per la cooperazione transfrontaliera ha storicamente rappresentato un freno per lo sviluppo di azioni rilevanti in tale ambito.

2.5.2

Nel 2004 la Commissione ha proposto l'istituzione di una struttura denominata gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT), una denominazione che nella più recente proposta della Commissione è stata modificata sostituendo al termine «transfrontaliera» il termine «territoriale».

2.5.3

Nel regolamento, adottato il 31 luglio 2006 (12), si può leggere quanto segue:

«considerate le notevoli difficoltà incontrate dagli Stati membri, in particolare dalle autorità regionali e locali, per realizzare e gestire azioni di cooperazione territoriale in un contesto di legislazioni e procedure nazionali differenti, si impongono misure appropriate per ovviare a tali difficoltà,

per superare gli ostacoli alla cooperazione territoriale è necessario istituire uno strumento di cooperazione a livello comunitario che consenta di creare, sul territorio della Comunità, gruppi cooperativi dotati di personalità giuridica denominati “gruppi europei di cooperazione territoriale” (GECT),

le condizioni della cooperazione territoriale dovrebbero essere create conformemente al principio di sussidiarietà sancito nell'articolo 5 del Trattato. In conformità del principio di proporzionalità, enunciato nello stesso articolo, il presente regolamento non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento dei suoi obiettivi, il ricorso al GECT rimanendo facoltativo, nel rispetto dell'ordine costituzionale di ciascuno Stato membro.»

3.   Integrazione economica e coesione sociale e territoriale

3.1   Integrazione e specializzazione

3.1.1

Nei grandi Stati tradizionali gran parte dell'attività economica è andata concentrandosi nella zona centrale del territorio nazionale: in molti casi nella capitale e nelle più importanti città. In ciascuno Stato si è sviluppata una certa specializzazione economica regionale.

3.1.2

L'integrazione europea favorisce la creazione di nuovi spazi di cooperazione come le euroregioni. In seguito all'integrazione europea, la specializzazione regionale non si sviluppa più all'interno di ciascun paese, bensì, sempre più spesso, su scala europea. Le frontiere tra gli Stati membri non rappresentano più una barriera impenetrabile capace di bloccare gli scambi. Nel quadro della crescente specializzazione in ambito europeo, ciò favorisce l'istituzione di nuove relazioni tra regioni dei vari Stati membri che talvolta presentano livelli di sviluppo diversi, ma perseguono obiettivi comuni.

3.1.3

Questa cooperazione diviene particolarmente necessaria per le attività che hanno ambiti d'azione ridotti, e sono le più colpite dall'effetto frontiera. È ad esempio il caso delle PMI.

3.1.4

A parere del CESE le euroregioni dovrebbero contribuire in misura sostanziale al conseguimento degli obiettivi delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale dell'Unione. In tal senso, nelle nuove proposte di politica territoriale dell'Unione europea figurano come obiettivi prioritari la convergenza e l'aumento della competitività e dell'occupazione, soprattutto nelle regioni meno sviluppate ed in quelle che si trovano confrontate a nuove sfide di specializzazione.

3.2   Competitività

3.2.1

Le euroregioni favoriscono le economie di scala. In sintesi, esse comportano un aumento della dimensione dei mercati (economie d'aggregazione), la complementarità di fattori produttivi e maggiori incentivi per gli investimenti. Si valuta che alcuni investimenti di innovazione e sviluppo possano avere un impatto diretto a una distanza di 250-500 chilometri. Sebbene nel caso di alcune euroregioni le distanze siano anche maggiori, la distanza media oscilla dai 50 ad un massimo di 100 chilometri.

3.2.2

In determinati settori le euroregioni sono un fattore fondamentale per raggiungere la massa critica sufficiente, rendendo possibili investimenti in servizi essenziali, investimenti che in assenza di una cooperazione transfrontaliera non si sarebbero potuti effettuare.

3.2.3

Per aumentare la competitività, la cooperazione transfrontaliera tra amministrazioni regionali e locali può fornire diversi beni pubblici:

reti di informazione, comunicazione, energia e trasporti ed altre infrastrutture transfrontaliere,

servizi pubblici, come scuole, ospedali e servizi di emergenza,

istituzioni e servizi atti a incoraggiare l'attività economica privata, compreso lo sviluppo del commercio, l'imprenditorialità, l'associazione tra imprese transfrontaliere, la creazione di nuove opportunità occupazionali e la mobilità dei lavoratori.

3.3   Coesione: problemi occupazionali a livello transfrontaliero

3.3.1

La maggior parte delle euroregioni comprende regioni con un grado di sviluppo analogo. Esistono, tuttavia, anche euroregioni composte di regioni con livelli diversi di sviluppo. Uno degli obiettivi delle euroregioni è quello di promuovere attività economiche e d'altro tipo suscettibili di far diminuire le disparità interregionali. A tal fine è fondamentale che vi sia un maggior coinvolgimento degli Stati interessati e dell'Unione europea.

3.3.2

Gli investimenti relativi alla prestazione di servizi sociali di base nelle zone di confine risultano spesso inferiori rispetto agli investimenti effettuati nelle aree centrali di ciascun paese. Ciò spesso avviene a causa della minor influenza che le zone di confine esercitano sui centri decisionali nazionali. Ciò comporta in numerosi casi un'insufficiente dotazione di servizi di qualità, diversificati e redditizi, soprattutto nei confronti dei settori più vulnerabili della popolazione (bambini, immigranti, famiglie con ridotto potere d'acquisto, persone diversamente abili, malati cronici, ecc.).

3.3.3

Le euroregioni possono essere di grande aiuto per sviluppare questo tipo di servizi e per far sì che, di conseguenza, tali settori sociali possano ottenere un livello più elevato di protezione, grazie ad un'impostazione transfrontaliera. Le euroregioni possono inoltre contribuire a superare — nella maggior parte dei casi — le barriere e le asimmetrie giuridiche, amministrative e finanziarie che limitano i progressi delle popolazioni interessate. Esse possono altresì contribuire a superare i pregiudizi storici, ad elaborare analisi comuni e a permettere una miglior comprensione reciproca delle rispettive differenze.

3.3.4

Le lacune giuridiche e l'insufficiente armonizzazione nel campo della libera circolazione dei lavoratori transfrontalieri sono state solo parzialmente risolte dall'acquis comunitario e dalle sentenze della Corte di giustizia. Dato il crescente numero di lavoratori transfrontalieri, questa realtà è divenuta un fatto rilevante a livello europeo, soprattutto negli ambiti fiscale, della sicurezza sociale e dell'assistenza sociale, nei quali concetti come la nozione di residenza, la definizione delle circostanze familiari e il rimborso delle spese sanitarie, la doppia imposizione e altri tipi di restrizioni amministrative continuano a essere definiti e trattati in modo diverso (13).

4.   La cooperazione transfrontaliera: un valore aggiunto per l'integrazione europea

4.1   Superare le frontiere

4.1.1

Per gli abitanti delle zone di confine la necessità di superare gli ostacoli all'integrazione è un'esperienza quotidiana. Non si tratta di modificare le frontiere, né di violare la sovranità degli Stati membri, bensì di permettere una cooperazione efficace sotto tutti gli aspetti che riguardano la vita transfrontaliera, migliorando le condizioni di vita e facendo così diventare realtà l'Europa dei cittadini.

4.1.2

Le frontiere dell'Unione hanno da tempo perso il loro antico ruolo di barriere, ma continuano a sussistere differenze economiche, socioculturali, amministrative e giuridiche, fatto particolarmente evidente ai confini esterni dell'Unione. L'obiettivo della cooperazione nelle zone transfrontaliere deve essere pertanto quello di sviluppare strutture, procedure e strumenti cooperativi che permettano di smantellare gli ostacoli amministrativi e normativi e riescano ad eliminare i fattori storici di divisione, convertendo la prossimità in fattore di mobilità, di sviluppo economico e di progresso sociale. È insomma necessario trasformare le regioni transfrontaliere in «zone di prosperità condivisa».

4.2   Valore aggiunto

4.2.1

La cooperazione transfrontaliera, e il suo esplicarsi in modo stabile mediante le euroregioni, consente non soltanto di prevenire i conflitti, far fronte alle catastrofi e superare le barriere psicologiche, ma migliora in modo evidente lo sviluppo da un alto e dall'altro delle frontiere. Questo valore aggiunto può concretizzarsi in termini politici, istituzionali, economici, sociali, culturali e di integrazione europea. La cooperazione transfrontaliera rappresenta un valido contributo alla promozione della convivenza, della sicurezza e dell'integrazione europea. Si tratta di un modo particolarmente efficace per mettere in pratica i principi comunitari di sussidiarietà, di partenariato e di coesione economica, sociale e territoriale e dare un sostegno alla piena integrazione dei nuovi Stati membri nell'Unione.

4.2.2

Tali strutture permanenti per la cooperazione transfrontaliera permettono un coinvolgimento attivo e continuo dei cittadini e delle amministrazioni, nonché dei gruppi politici e sociali a carattere transnazionale, assicurano la conoscenza reciproca e permettono un partenariato verticale ed orizzontale, a partire da strutture e competenze nazionali differenti. Esse permettono inoltre la gestione di programmi e progetti transfrontalieri, o la gestione congiunta di fondi di provenienza diversa (comunitari, statali, propri o messi a disposizione da terzi). A parere del CESE lo sviluppo comune di questo tipo di iniziative può essere realizzato con maggior successo e in maniera più efficace, se la società civile organizzata vi svolge un ruolo preminente.

4.2.3

Dal punto di vista socioeconomico, le strutture della cooperazione transfrontaliera permettono di mobilitare il potenziale endogeno di tutti gli attori (camere di commercio, associazioni, imprese, sindacati, istituzioni sociali e culturali, associazioni per la tutela dell'ambiente, agenzie turistiche e molte altre organizzazioni ancora); di aprire i mercati del lavoro ed armonizzare le qualifiche ed i diplomi professionali; di ampliare lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro mediante iniziative in altri settori, come quelli delle infrastrutture, dei trasporti, del turismo, dell'ambiente, dell'istruzione, della ricerca e della cooperazione tra le PMI.

4.2.4

Nel campo socioculturale, il valore aggiunto della cooperazione transfrontaliera si situa nella diffusione permanente della conoscenza generale, diffusione intesa come un continuum transfrontaliero, cui è possibile avvicinarsi in pubblicazioni e formati di diverso tipo. Ciò permette anche di coinvolgere nel processo una rete di organismi, che agiscono da moltiplicatori. È ad esempio il caso dei centri di istruzione, istituzioni per la tutela dell'ambiente, associazioni culturali, biblioteche, musei e così via. Inoltre la cooperazione transfrontaliera promuove le pari opportunità e una più diffusa conoscenza della lingua del paese confinante e anche dei dialetti locali: tutte componenti essenziali dello sviluppo regionale transfrontaliero, e requisito preliminare della comunicazione.

4.2.5

La cooperazione transfrontaliera così intesa, promossa da strutture permanenti come le euroregioni, aggiunge valore alle misure nazionali grazie all'addizionalità dei programmi e dei progetti transfrontalieri, alle sinergie innescate, alla ricerca e all'innovazione comuni, alla creazione di reti dinamiche e stabili, allo scambio di conoscenze e di buone prassi, agli effetti indiretti del superamento delle frontiere e ad una gestione transfrontaliera — ed efficiente — delle risorse disponibili.

4.3   Ostacoli

Nonostante quanto detto sopra, esistono diverse circostanze che rendono difficile la cooperazione transfrontaliera (14). Tra le più significative si possono citare le seguenti:

i limiti legali all'attività transfrontaliera delle amministrazioni regionali e locali imposti dall'ordinamento giuridico nazionale,

le differenze nelle strutture e nelle competenze dei diversi livelli amministrativi tra i due lati della frontiera,

la scarsa volontà politica — soprattutto a livello nazionale — di eliminare vincoli e restrizioni, ad esempio mediante normative nazionali o trattati bilaterali,

l'assenza di quadri comuni per i regimi fiscali e per la sicurezza sociale, e il mancato riconoscimento reciproco delle qualifiche e dei titoli accademici e professionali,

le differenze economiche strutturali che si riscontrano tra i due lati della frontiera,

le barriere linguistiche, culturali e psicologiche, tra le quali figurano i pregiudizi e alcuni antagonismi storici tra i popoli.

4.4   Principi generali per la cooperazione transfrontaliera

4.4.1

Una serie di esempi tratti dall'intero territorio dell'Unione permettono di precisare alcuni principi generali per il successo della cooperazione transfrontaliera:

la vicinanza ai cittadini — gli abitanti delle aree di confine desiderano cooperare per superare i problemi cui sono confrontati, o per avere migliori prospettive,

il coinvolgimento dei rappresentanti politici (locali, regionali, nazionali ed europei) — si tratta di un elemento essenziale per il successo della cooperazione transfrontaliera,

la sussidiarietà — il livello locale e regionale ha dimostrato di essere il più efficace per la realizzazione della cooperazione transfrontaliera, anche se è necessaria un'alleanza con i governi nazionali,

il partenariato — il coinvolgimento di tutti gli attori, ai due lati della frontiera, è essenziale per conseguire obiettivi comuni,

le strutture congiunte di cooperazione transfrontaliera — dotate di risorse comuni (strumenti tecnici, amministrativi, finanziari e decisionali) sono garanti di un'attività a lungo termine, capace di evolversi costantemente. Sono inoltre garanti dell'esercizio di determinate competenze, della gestione di programmi, compresi quelli europei, della formazione di un consenso che supera le frontiere e dell'eliminazione degli egoismi nazionali.

5.   Verso una governance cooperativa

5.1   I nuovi spazi esigono forme nuove di governance

5.1.1

Le euroregioni sono spazi territoriali i quali mettono in atto nuovi modelli di cooperazione ed associazione tra i settori pubblici, tra i settori privati e tra gli uni e gli altri, per definire nuove politiche in rete, con una maggior partecipazione di tutti gli attori realmente interessati.

5.1.2

Il concetto di governance si può interpretare come una forma di governo più partecipativa ed orizzontale rispetto alle forme tradizionali, più gerarchizzate e verticali. Questa concezione della governance è particolarmente appropriata nel caso delle euroregioni, dove si tratta di trovare soluzioni comuni per problemi comuni.

5.1.3

A loro volta le euroregioni svolgono sempre più una funzione sussidiaria, ma fondamentale, nella governance europea della politica di coesione economica, sociale e territoriale.

5.1.4

Il CESE ritiene a tale proposito, che le euroregioni dovrebbero apportare un contributo essenziale all'approfondimento del processo di integrazione e di costruzione europea.

5.1.5

L'istituzione delle euroregioni comporta la cooperazione di attori istituzionali ed attori sociali che spesso seguono tradizioni e logiche alquanto diverse. Non sempre si coopera di più solo perché si è vicini. Ne consegue che le istituzioni ed organizzazioni della società civile hanno un ruolo significativo nel contesto della governance orizzontale.

5.1.6

La partecipazione degli attori socioeconomici alla governance delle euroregioni dipende dalla creazione di quadri istituzionali capaci di renderla efficace. È necessario associare le organizzazioni della società civile alla formulazione e all'esecuzione delle politiche decise dai diversi livelli di cooperazione transfrontaliera esistenti tra due o più Stati membri. La partecipazione degli interlocutori sociali alla rete EURES, in ambito transfrontaliero, rappresenta una concretizzazione significativa di tale principio.

6.   Conclusioni e raccomandazioni

6.1

L'approvazione del regolamento destinato a creare il gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT), e l'integrazione di un nuovo obiettivo di cooperazione territoriale ha aperto nuove possibilità per l'azione delle euroregioni. Questo perché, da un lato, esso istituisce uno strumento giuridico comunitario per la cooperazione transfrontaliera e apre agli Stati membri la possibilità di associare tutti i loro differenti livelli amministrativi alla cooperazione territoriale transfrontaliera. Dall'altro, il passaggio dalla «cooperazione transfrontaliera» alla «cooperazione territoriale» significa che le euroregioni possono ampliare il proprio campo d'azione oltre le tematiche della cooperazione in ambito locale o tra enti confinanti in direzione di uno sviluppo integrale di territori di dimensioni più vaste, che condividono sinergie e potenzialità comuni.

6.2

Il CESE reputa pertanto che la cooperazione territoriale promossa dalle euroregioni costituisca un elemento essenziale per promuovere l'integrazione europea, ridurre la frammentazione economica, sociale e culturale provocata dalle frontiere nazionali e sviluppare la coesione economica, sociale e territoriale. In tal senso il CESE chiede che nel contesto del prossimo dibattito sull'adozione definitiva del nuovo Trattato europeo venga dedicata particolar attenzione alla cooperazione territoriale transfrontaliera.

6.3

Per permettere alla cooperazione territoriale europea di soddisfare le aspettative aperte dalle riforme ricordate in precedenza sarà necessario — a parere del CESE — un maggior coinvolgimento degli Stati membri e delle loro strutture intermedie nello sviluppo delle euroregioni. In tale contesto sarebbero necessarie strategie nazionali per la cooperazione territoriale in ambito comunitario. Gli Stati membri dovrebbero in particolare contribuire alla soluzione dei problemi più immediati delle loro comunità transfrontaliere, problemi che di solito riguardano il mercato del lavoro, le questioni sanitarie, l'assistenza sociale, l'istruzione ed i trasporti.

6.4

Il CESE valuta che per dare maggior efficacia alle iniziative di cooperazione territoriale e per garantire l'applicazione del principio di sussidiarietà sarebbe opportuno aumentare le possibilità di gestione diretta da parte dei GECT dei progetti transfrontalieri e, in casi determinati, di quelli transnazionali finanziati con fondi comunitari o nazionali.

6.5

Per convertire le euroregioni in «zone di prosperità comune» sarebbe opportuno un maggior coinvolgimento del settore economico privato (compresa l'economia sociale) nelle iniziative di sviluppo transfrontaliero, tenendo conto in tale ambito dell'importanza delle PMI nella strutturazione del tessuto produttivo e nella creazione di posti di lavoro.

6.6

A parere del CESE le euroregioni ed i GECT che verranno creati conformemente al regolamento (CE) n. 1082/2006 saranno una realizzazione esemplare dei principi di governance europea enunciati dalla Commissione nel suo Libro bianco del 2001. In tal senso il CESE ritiene che l'efficacia delle iniziative e delle politiche transfrontaliere, e più in generale della cooperazione territoriale, dipenda dall'attuazione di un «partenariato» effettivo tra tutti gli attori territoriali e socioeconomici interessati. Il CESE chiede pertanto che nel contesto dei progetti di cooperazione territoriale vengano definite delle formule di partecipazione delle organizzazioni che rappresentano la società civile organizzata.

6.7

Il CESE ritiene in particolare che la rete EURES debba trasformarsi in uno strumento europeo che svolga realmente un ruolo centrale nell'intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro. L'ambito transfrontaliero risulta in tale contesto un laboratorio di importanza cruciale. È per tal motivo che il CESE deplora la tendenza che si è potuta osservare negli anni recenti a «ri-nazionalizzare» la gestione di EURES, e chiede una gestione realmente transfrontaliera di tale rete. Va inoltre tenuto conto del fatto che la rete EURES, oltre alla sua funzione di mediazione nel mercato del lavoro, svolge un ruolo significativo di stimolo del dialogo sociale nelle aree transfrontaliere.

6.8

È noto che le organizzazioni socioeconomiche svolgono una funzione importante nel contesto dell'integrazione europea. Il CESE si compiace pertanto delle esperienze «transnazionali» rappresentate dai consigli sindacali interregionali, delle diverse forme di cooperazione ed associazione transnazionale attuate dalle organizzazioni imprenditoriali, dalle camere di commercio, dai centri di ricerca e dalle università, della creazione di consigli economici e sociali interregionali, ecc. Il Comitato incoraggia il consolidamento e lo sviluppo di tali iniziative e si dichiara disponibile ad offrire il proprio eventuale sostegno in tal senso.

6.9

A parere del CESE le euroregioni svolgono già — e potrebbero svolgere in misura ancor maggiore — un ruolo importante nelle regioni di confine con i paesi terzi, sia dal punto di vista dello sviluppo economico che da quello della sicurezza dei cittadini e dell'integrazione sociale. Il CESE chiede pertanto che questo tipo di organismi, e le azioni che questi possono realizzare, vengano integrati nelle politiche di vicinato e di preadesione dell'Unione.

6.10

Tenuto conto dell'estrema ricchezza delle esperienze realizzate mediante le iniziative transfrontaliere (alcuni esempi figurano in allegato al presente parere) e della grande ignoranza che le circonda, anche a livello delle stesse euroregioni, il CESE ritiene estremamente opportuno che la Commissione elabori una «Guida delle buone prassi» in materia, nella quale figurino i casi di PPP coronati da successo.

6.11

È evidente che con un solo parere è impossibile portare a termine l'analisi di una questione estremamente complessa, come quella qui esaminata. Il CESE ritiene pertanto opportuno approfondire la tematica della cooperazione territoriale transfrontaliera e delle strutture che la sostengono mediante altri pareri su questioni transfrontaliere di interesse comune: il mercato del lavoro, il turismo, i poli di sviluppo e così via.

Bruxelles, 11 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. Guida pratica della cooperazione transfrontaliera, 2000, AGEG: http://www.aebr.net/publikationen/pdfs/lace_guide.it.pdf

(2)  Nel seguito del parere con il termine euroregioni si designeranno le euroregioni e anche tutte le strutture analoghe.

(3)  Grande regione: Saarland, Lorena, Lussemburgo, Renania-Palatinato, Vallonia, Comunità di lingua francese del Belgio, Comunità di lingua tedesca del Belgio.

(4)  Attualmente esistono più di 168 euroregioni e strutture analoghe. Circa la metà delle regioni degli Stati membri dell'Unione fa parte di un'euroregione.

(5)  Risoluzione dell'1.12.2005 del Parlamento europeo sul ruolo delle «euroregioni» nello sviluppo della politica regionale.

(6)  COM(2004) 101 def.

(7)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: Costruire il nostro avvenire comuneSfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013, GU C 74 del 23.3.2005, pag. 32.

(8)  COM(2004) 495 def., articolo 6: Cooperazione territoriale europea.

(9)  Pareri del CESE «Sulle disposizioni generali» dei fondi, sul «Fondo di coesione» e sul «Fondo europeo di sviluppo regionale», nonché sulla «istituzione di un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT)», GU C 255 del 14.10.2005, pagg. 76, 79, 88 e 91.

(10)  GU L 210 del 31.7.2006.

(11)  COM(2005) 299 def. e COM(2006) 386 def., adottata dal Consiglio dei ministri il 5 ottobre 2006.

(12)  GU L 210 del 31.7.2006.

(13)  Il futuro osservatorio sull'occupazione del CESE potrebbe seguire la problematica del lavoro frontaliero e transfrontaliero in Europa.

(14)  Cfr. parere del CESE sul tema La gestione delle trasformazioni industriali nelle regioni transfrontaliere dopo l'allargamento dell'UE del 21 aprile 2006, GU C 185 del 8.8.2006.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/138


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni tra l'UE e l'America centrale

(2007/C 256/24)

Il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della sessione plenaria del 17 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema Le relazioni tra l'UE e l'America centrale.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SOARES.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 63 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Da anni il CESE sostiene che le relazioni tra l'Unione europea e l'America Latina formano parte di un ampio quadro strategico che, al di là dei legami commerciali, riflette la volontà dell'Europa di affermarsi come interlocutore valido nella creazione di un modello sociale basato su Stato di diritto, democrazia, rispetto dei diritti umani, pace e solidarietà tra i popoli (1).

1.2

Da un punto di vista storico, tuttavia, le relazioni con l'America Latina e i Caraibi rappresentano molto di più che la semplice ricerca di partner economici o geostrategici. Gli abitanti di queste regioni mantengono infatti da molto tempo con il nostro continente legami culturali, politici, sociali, linguistici e affettivi, e persino inerenti ad una medesima visione del mondo che non possono e non devono essere dimenticati, ma meritano anzi di essere profondamente valorizzati nel quadro dell'imminente processo negoziale.

1.3

All'inizio dei negoziati tra Unione europea e America centrale in vista di un accordo di associazione tra le due regioni, il Comitato esorta a far sì che tutti gli sforzi si concentrino sulla possibilità di giungere in tempi rapidi ad un accordo soddisfacente per entrambe le parti, che possa costituire al tempo stesso un modello per i negoziati attuali e futuri con l'America Latina e i Caraibi per quanto concerne i vantaggi reciproci di un partenariato strategico con l'UE. Tali vantaggi devono superare ampiamente il mero aspetto commerciale e basare il progresso economico e sociale e lo sviluppo sostenibile della regione sul rispetto dello Stato di diritto e della dignità di tutti gli esseri umani.

1.4

Il CESE si augura che i negoziati spingano i governi dell'America centrale ad intensificare il dialogo con la società civile organizzata dei rispettivi paesi, un dialogo che dovrebbe essere democratico, trasparente e all'insegna di proposte concrete rispettate da ambo le parti. Allo stesso modo, esorta il Comitato consultivo del Sistema d'integrazione centroamericana (CC-SICA) a proseguire gli sforzi per la conclusione di accordi il più possibile consensuali che rispecchino la posizione dell'intera società civile centroamericana in merito al processo negoziale e che permettano di assumere gli impegni necessari per portare avanti tutto il processo.

1.5

Il CESE raccomanda che nel corso dei negoziati vengano presi in considerazione i seguenti aspetti:

1.5.1

la necessità di potenziare la società civile organizzata, in particolare mediante il rafforzamento istituzionale del CC-SICA in quanto organo consultivo del sistema d'integrazione centroamericano. L'Unione europea dovrà contribuire a far sì che i suoi partner riconoscano maggiormente il ruolo fondamentale che svolge o deve svolgere il CC-SICA per il successo dell'integrazione regionale, ed esaminare al tempo stesso misure di sostegno finanziario a favore di tale organo, conformemente all'obiettivo adottato dalla Commissione nel documento di cooperazione regionale;

1.5.2

l'introduzione di clausole sociali, necessarie per consentire all'accordo di associazione di arrecare vantaggi a tutta la società, di essere uno strumento decisivo per il consolidamento delle democrazie, la lotta alla povertà, l'esclusione sociale e la disoccupazione, oltre che per lo sviluppo di un modello economico che non porti a un aumento o a un aggravamento delle disparità. L'accordo deve inoltre servire a rafforzare la coesione sociale e il rispetto della biodiversità ambientale (magari tenendo conto delle migliaia di piccoli produttori orientati verso un'agricoltura più ecologica). Infine, nel corso dei negoziati e, successivamente, in sede di applicazione dell'accordo di associazione, particolare attenzione dovrà essere prestata al rispetto e alla piena osservanza da parte dei governi degli standard internazionali dell'OIL in materia di lavoro;

1.5.3

l'esistenza di un sistema di preferenze generalizzate (SPG), strumento unilaterale dell'UE per sostenere i paesi in ritardo di sviluppo. Per i paesi dell'America centrale, il capitolo commerciale dell'accordo deve risultare ancora più vantaggioso di quello già previsto da tale sistema che, bisogna ammettere, è già abbastanza positivo di per sé;

1.5.4

la necessità che la società civile organizzata riceva regolarmente informazioni tempestive e pertinenti affinché possa seguire sul piano istituzionale i negoziati. Occorre in tale contesto prevedere la possibilità di tenere consultazioni preliminari ai cicli di negoziati per tenere conto del punto di vista della società civile organizzata, e di organizzare forum aperti al più vasto pubblico per permettere a tutti i cittadini di seguire da vicino l'andamento dei negoziati stessi. Un elemento centrale della partecipazione della società civile dovrebbe essere in tal senso la creazione di un comitato misto di monitoraggio dei negoziati che, operando in forma istituzionalizzata, accompagni tutti i negoziati e funga da ponte tra i negoziatori e la società civile in senso lato;

1.5.5

per garantire infine un'effettiva partecipazione della società civile organizzata a tutti gli aspetti dell'accordo di associazione UE-America centrale, il CESE raccomanda che il comitato consultivo misto, organo istituzionale composto dal CESE e dal CC-SICA e previsto all'articolo 52, paragrafo 4, dell'accordo politico tra le due regioni, divenga operativo subito dopo la firma dell'accordo e si impegni ad assicurarne il monitoraggio.

2.   Introduzione

2.1

Nel complesso, le relazioni tra l'Unione europea e il continente centroamericano non sono state finora molto intense, anche se l'Unione europea ha contribuito in modo decisivo al processo di pacificazione e democratizzazione della regione avviando un processo di dialogo interministeriale che ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per la regione stessa: il dialogo ministeriale di S. José del 1984.

2.2

Nel 2003, l'UE e l'America centrale hanno firmato un'intesa per il consolidamento del dialogo politico e della cooperazione. Più di recente, nel corso del IV vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea, dell'America Latina e dei Caraibi, svoltosi nel maggio 2006, si è espressa la volontà di spingere il più rapidamente possibile verso un accordo di associazione (2).

2.3

Nella Dichiarazione di Vienna, adottata nell'aprile 2006 in occasione del IV incontro della società civile UE-ALC, si afferma che gli accordi di associazione tra le due parti non devono limitarsi agli aspetti commerciali ed economici, bensì tener conto anche di quelli politici, sociali e culturali, e questo per garantire una maggiore coesione sociale.

2.4

Allo stesso modo, il protocollo di cooperazione firmato tra il CESE e il CC-SICA stabilisce che l'azione delle due istituzioni deve seguire due orientamenti: «operare per inserire la dimensione sociale nel futuro accordo di associazione UE-SICA» e «sostenere l'iniziativa di lavorare al progetto di costituzione di un comitato consultivo misto» composto dalla società civile organizzata delle due regioni nel quadro istituzionale del futuro accordo di associazione. Il successo di tale accordo è strettamente legato alla capacità della società civile organizzata delle due regioni di monitorare efficacemente i negoziati e di fornire a tutte le componenti della società informazioni sui progressi, le difficoltà e i risultati conseguiti.

3.   Una nuova tappa nelle relazioni tra Unione europea e America centrale

3.1

Attualmente, le relazioni tra UE e America centrale si collocano nel quadro del dialogo politico e di cooperazione, mentre a livello commerciale sono regolate dal sistema di preferenze generalizzate varato negli anni '70 dall'UE, al quale oggi si aggiunge un regime speciale di incentivi allo sviluppo sostenibile e al buongoverno, compresa la lotta al narcotraffico (SPG+).

3.2

Con un volume di scambi pari al 12 % del totale, l'UE è il secondo partner commerciale dell'America centrale dopo gli Stati Uniti (46 %). In termini di cooperazione e aiuti allo sviluppo, l'Europa è il maggior donatore dell'America centrale, alla quale ha concesso nel periodo 2002-2006 stanziamenti per 563,2 milioni di euro. A questi vanno aggiunti 74,5 milioni di euro a titolo del memorandum siglato tra la Commissione e il segretariato generale del SICA, e più di 297 milioni di euro stanziati in seguito alle catastrofi che si sono abbattute sulla regione, in particolare l'uragano Mitch e il terremoto che ha subito dopo colpito il Salvador. L'UE si è impegnata ad aumentare gli aiuti allo sviluppo fino a 840 milioni di euro nel periodo 2007-2013, e anche il volume degli investimenti diretti europei in America centrale è in crescita.

3.3

Tuttavia, le relazioni tra l'Unione europea e l'America centrale vanno ben al di là degli scambi commerciali e della cooperazione e si basano su una visione strategica più ampia che comprende settori attualmente molto sensibili quali la sicurezza e la lotta al terrorismo, la difesa dell'ambiente e la definizione di un modello di sviluppo sostenibile, il fenomeno delle migrazioni e la necessità di controllarlo a beneficio sia dei paesi che importano sia di quelli che esportano manodopera, oltre che la creazione di un nuovo ordine economico mondiale basato sulla buona gestione di governo nel rispetto dei diritti umani, economici e sociali.

3.4

La decisione, presa a Vienna nel maggio 2006, di avviare i negoziati con l'America centrale in vista di un accordo di associazione con la regione rappresenta in sé una sfida e un'opportunità da non perdere.

3.5

Dato che la strategia europea per la firma di accordi di associazione si fonda sul dialogo interregionale, è importante analizzare la situazione attuale per quanto concerne l'integrazione della regione centroamericana.

3.5.1

L'integrazione centroamericana è un progetto di vecchia data che affonda le radici nell'indipendenza degli Stati della regione e che ha acquisito nuova forza con la firma del Protocollo di Tegucigalpa (1991) e del Trattato generale d'integrazione economica centroamericana (1993).

3.5.2

Nonostante una maggioranza favorevole ad un'integrazione regionale, sta di fatto che i passi avanti compiuti finora in questo senso si sono rivelati poco significativi, vuoi per le difficoltà nell'attuare le decisioni prese al livello politico, vuoi per le gravi carenze economiche o anche per la mancanza di una solidarietà regionale. Si può tuttavia affermare che dal 2002 il processo d'integrazione sembra aver intrapreso un percorso più stabile (3).

3.5.3

Tuttavia, la fragilità delle istituzioni regionali, che impedisce l'assunzione di decisioni a livello sovranazionale, le disparità di sviluppo economico dei paesi della regione e la quasi totale mancanza di partecipazione dei settori sociali al processo decisionale e alla sensibilizzazione sui vantaggi dell'integrazione regionale sono tutti elementi che si frappongono a uno sviluppo più deciso del processo di integrazione.

3.5.4

Nonostante le difficoltà esistenti, vi sono elementi che permettono di guardare a tale processo con un certo ottimismo: in particolare le tradizioni e la cultura che uniscono i diversi paesi, l'esistenza di un quadro giuridico e istituzionale relativamente stabile e responsabile, e infine l'esigenza, realmente sentita ed espressa, di riformare alcune istituzioni (come il Parlacen (4)) per rendere maggiormente efficaci le strategie di applicazione delle politiche regionali. Ulteriori fattori di ottimismo e fiducia sono la maggiore sensibilizzazione e la più ampia partecipazione della società civile.

3.5.5

Nei recenti incontri del comitato misto UE/America centrale, tenutisi nell'aprile 2007, i governi centroamericani si sono impegnati a presentare un quadro legislativo volto alla creazione di una unione doganale tra i paesi della regione, con un calendario per la sua applicazione che va sino alla fine dei negoziati per l'accordo di associazione. Si tratta di un passo importante e decisivo verso l'integrazione centroamericana e la possibilità di raggiungere un accordo tra le due regioni.

3.6

L'imminente apertura dei negoziati rappresenta un'occasione unica per approfittare dei vantaggi reciproci che possono e devono essere colti in diversi settori. A titolo di esempio, si possono citare i seguenti aspetti:

3.6.1

lo sviluppo e il potenziamento dell'unione doganale con l'eliminazione delle barriere economiche e tariffarie tra i paesi della regione. Questa politica, sostenuta dall'Unione europea, può fornire un valido contributo alla capacità dei paesi centroamericani di consolidare le loro economie rafforzando i livelli di competitività rispetto ai partner economici attuali e potenziali. Essa faciliterà eventuali investimenti europei nella regione e addirittura favorirà la cooperazione allo sviluppo;

3.6.2

una maggiore e più armoniosa coesione sociale contribuirà a rafforzare le giovani democrazie centroamericane, riducendo i rischi di conflitto, incrementando la sicurezza giuridica e facendo in modo che gli scambi tra le due regioni si basino su regole certe, decise di comune accordo e rispettate. Come dimostrano le varie ricerche effettuate dalla CEPAL (commissione economica delle Nazioni Unite per l'America Latina e i Caraibi), lo sviluppo politico, economico e sociale dei paesi dipende in buona parte dal livello di coesione sociale che riescono a raggiungere, donde la necessità di coinvolgere la società civile organizzata in tutto il processo negoziale;

3.6.3

un altro ambito di interesse per le due regioni è la ricerca di soluzioni per prevenire le catastrofi naturali al fine di diminuire la vulnerabilità dei paesi centroamericani. L'America centrale è una zona estremamente soggetta a questo tipo di fenomeni, che hanno costi elevati in termini di vite umane e di deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro per milioni di persone. Nel corso dei negoziati, questo problema dovrà essere valutato al fine di trovare misure di prevenzione e di azione per gestire eventi di questo genere. Tali misure al tempo stesso faciliteranno le operazioni di aiuto nei casi di emergenza e ridurranno i costi degli interventi umanitari internazionali;

3.6.4

infine, ma senza pretendere di esaurire il tema, è importante sottolineare che gli interessi dell'UE e dell'America centrale coincidono per quanto riguarda l'urgenza di proteggere l'ambiente e la biodiversità attraverso politiche, programmi e azioni concrete. Se i negoziati promuoveranno uno sfruttamento razionale delle risorse naturali, il rifiuto di metodi e prodotti aggressivi per la natura, il rispetto dei diritti del lavoro e sindacali dei lavoratori agricoli e il riconoscimento dell'esistenza di riserve naturali da proteggere, l'accordo di associazione avrà dato un importante contributo valido non solo per le due regioni, ma anche per la creazione di un nuovo modello di partenariato che potrà servire di esempio per altri negoziati.

4.   La situazione politica, economica e sociale nella regione centroamericana

4.1

I paesi dell'America centrale sono tra i più poveri dell'America Latina. Essi presentano gravi carenze in termini di sviluppo economico e una grande vulnerabilità sociale che mette a repentaglio la coesione sociale di ciascuno di essi e della regione nel complesso. A tale vulnerabilità contribuiscono sia un livello elevato di povertà sia una distribuzione della ricchezza estremamente diseguale.

4.2

L'America centrale è una regione che vive da poco un processo di democratizzazione dopo lunghi periodi di dittatura e conflitti armati che hanno lasciato ferite profonde (eccezion fatta per il Costa Rica). È possibile pertanto determinare in maniera sintetica alcuni dei principali ostacoli al suo sviluppo:

a)

la situazione ancora fragile dal punto di vista democratico, realtà che include tra le altre cose un'inadeguata protezione delle libertà fondamentali, il persistere dell'impunità e della corruzione, e una mancanza di trasparenza nelle decisioni economiche e politiche e nella gestione della cosa pubblica;

b)

la precarietà economica, causata principalmente dalla mancanza di competitività dei diversi paesi e dalla loro vulnerabilità ai mutamenti dei mercati internazionali;

c)

la scarsa coesione sociale, dovuta essenzialmente ai livelli elevati di povertà e ad una sperequazione della ricchezza che non consente agli strati più poveri della popolazione di beneficiare della crescita economica e che provoca fenomeni alternativi di sopravvivenza come l'emigrazione o, a un altro livello, la violenza sociale;

d)

molteplici fattori di vulnerabilità ambientale, dovuti sia agli stessi fenomeni naturali cui la regione è soggetta (terremoti, inondazioni, prolungate siccità) sia allo sfruttamento irrazionale delle sue risorse naturali. Secondo il programma di sviluppo delle Nazioni Unite, i fattori che accentuano la fragilità ambientale in America centrale sono, tra gli altri, un processo di urbanizzazione disordinato e mal pianificato, l'eccessivo sfruttamento delle risorse idriche, l'utilizzo massiccio di pesticidi in agricoltura e il disboscamento.

4.3

Dal punto di vista economico, l'America centrale ha registrato una certa crescita che, tuttavia, resta insufficiente per le sfide sociali cui deve far fronte. Negli ultimi anni, il tasso medio annuo di crescita regionale è oscillato tra il 3,2 e il 3,5 %. Tuttavia, per la mancanza di competitività delle loro economie, i paesi dell'America centrale (con la relativa eccezione del Costa Rica e del Salvador) occupano posti bassi nella classifica stilata in materia dal World Economic Forum nel 2006. Su un campione di 125 paesi troviamo infatti il Costa Rica al 53o posto, il Salvador al 61o posto, il Guatemala al 75o, l'Honduras al 93o e il Nicaragua al 95o.

4.4

Sul piano sociale, occorre segnalare che la società centroamericana è molto complessa e variegata, in quanto comprende sia comunità indigene sia una forte comunità di origine africana, le quali sono state a lungo dimenticate, se non addirittura emarginate.

4.5

Le comunità indigene vengono comunemente associate alle zone rurali povere, trascurando così l'importante fenomeno della migrazione verso i centri urbani per il crescente deterioramento delle economie rurali. Questo ha contribuito ad incrementare le sacche di povertà nelle grandi città.

4.6

Le comunità di origine africana sparse in tutti i paesi dell'America centrale (ad eccezione del Salvador), non hanno avuto finora la dovuta attenzione politica e sociale e sono quindi vittime di discriminazione razziale, professionale e sociale.

4.7

La disuguaglianza tra uomini e donne, espressa da tutti gli indicatori socioeconomici, è un fenomeno di portata tale da non poter essere trascurato. Che si parli di disoccupazione o di lavoro precario, di qualità del lavoro o di livello salariale, o ancora di abbandono scolastico (un problema che concerne soprattutto le bambine), nella società centroamericana le donne sono estremamente penalizzate e la loro situazione è quasi drammatica, tanto più se si considera che per un motivo o per l'altro molte di esse fanno anche funzione di capofamiglia.

4.8

La mancanza di dati statistici aggiornati, affidabili e comparabili sulla situazione delle bambine e delle donne sembra indicare una scarsa attenzione al problema, nonostante che i governi della regione abbiano firmato e ratificato convenzioni internazionali quali quella dell'OIL sull'argomento oppure la Convenzione delle Nazioni Unite per l'eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione contro le donne. La violenza nei confronti delle donne (nelle sue diverse varianti, da quella domestica a quella sul lavoro) continua ad essere un fenomeno estremamente preoccupante nonostante gli sforzi dei movimenti femminili.

4.9

Questa situazione di povertà che, ad eccezione del Costa Rica, colpisce praticamente la metà o più della metà della popolazione, l'incidenza del lavoro nero (intorno al 40 %), le più che inadeguate dotazioni per le misure sociali in settori quali la sanità e l'istruzione e infine il livello di disoccupazione sono caratteristiche che occorre tener presente per avere un'idea della mancanza di coesione sociale in America centrale.

4.10

È inoltre importante sottolineare la mancanza generalizzata di una politica di rispetto dei diritti umani e soprattutto di quelli del lavoro e sindacali, nonostante vari paesi centroamericani abbiano ratificato un numero significativo di convenzioni dell'OIL, il che impegna ancor più i governi a rispettarle. Esercitare i diritti civili e sindacali nella regione può comportare in molti casi enormi costi personali o addirittura il rischio di perdere la vita.

5.   Criteri da prendere in considerazione ai fini di un accordo di associazione UE/America centrale

5.1

Al momento di impostare un futuro accordo di associazione conviene mettere in evidenza una serie di criteri di cui tener conto. Secondo il CESE, tali criteri non solo sono elementi fondamentali per la riuscita di detto accordo, ma devono anche far parte di una strategia più ampia concernente l'America Latina nel suo complesso.

5.2

Asimmetrie. Uno dei primi elementi da considerare sono le forti asimmetrie esistenti tra le due regioni in aspetti quali l'estensione territoriale, la popolazione, il PIL, le relazioni commerciali e lo sviluppo socioeconomico.

5.2.1

L'esistenza di asimmetrie tanto evidenti tra le due regioni impone l'adozione di misure di compensazione per il successo dell'accordo di associazione. Quest'ultimo deve d'altra parte far sì che le politiche commerciali e di cooperazione perseguano obiettivi coerenti e non divergenti.

5.3

Promozione della coesione sociale. Questo deve essere uno dei criteri fondamentali del futuro accordo: infatti, la coesione sociale non è solo un elemento strategico per l'azione dell'Unione europea nelle sue relazioni con i paesi terzi, ma anche la chiave dello sviluppo di una regione, come quella centroamericana, afflitta da enormi problemi di povertà e di esclusione sociale.

5.3.1

Per questo motivo, bisogna adottare le misure necessarie e adeguate sia al fine di elaborare politiche sociali in settori quali l'istruzione, la sanità o la sicurezza sociale sia, anche, sul piano fiscale, affinché tutta la società possa beneficiare dello sviluppo economico e delle opportunità offerte dall'accordo di associazione.

5.4

Potenziamento della democrazia e delle istituzioni. In una società come quella centroamericana, tanto variegata e lacerata dalla povertà, da lunghi regimi dittatoriali e da guerre civili, è importante che l'accordo rappresenti l'opportunità per rafforzare la democrazia, in particolare la democrazia partecipativa, e le istituzioni in essa coinvolte.

5.4.1

Istituzioni tanto diverse come quelle attive nella difesa dei diritti umani, dei diritti delle popolazioni indigene o di origine africana, dei diritti delle donne o dei lavoratori, o ancora nella protezione dell'ambiente chiedono di partecipare più attivamente al processo decisionale politico, economico e sociale nonostante i problemi che devono affrontare per far sentire la loro voce in quanto partner a tutti gli effetti. È importante che l'accordo sia di stimolo al riconoscimento della loro azione.

5.4.2

Per quanto concerne concretamente il CC-SICA, il Comitato consultivo del Sistema di integrazione centroamericana, organo previsto dall'articolo 12 del Protocollo di Tegucigalpa, è opportuno riconoscere e sostenere il suo ruolo di rappresentante della società civile organizzata, offrendogli i mezzi logistici e finanziari necessari per l'espletamento del suo mandato.

5.4.3

Il CESE riconosce il CC-SICA come proprio interlocutore istituzionale, visto che nell'aprile 2006 le due parti hanno concluso un accordo basato sull'impegno comune a difendere i principi democratici, i diritti umani e quelli economici e sociali, nonché sulla volontà di partecipare al dialogo e di istituire legami economici e di cooperazione più stretti tra l'Unione europea e il sistema d'integrazione centroamericano.

5.5

Rafforzamento dell'integrazione regionale. L'integrazione regionale non deve essere vista solo come una esigenza europea ai fini della conclusione di un accordo commerciale, ma anche come un'opportunità per i paesi dell'America centrale di far fronte alle loro difficoltà economiche sfruttando le sinergie che lo stesso processo di integrazione offre.

5.5.1

Tuttavia, non è possibile avere una visione massimalista della questione. L'integrazione regionale è un processo lungo che richiede un sostegno e uno sforzo costanti. Per questo, l'accordo deve prevedere una serie di meccanismi, tra gli altri, la creazione di un fondo di compensazione doganale e di coesione economica e sociale, tali da stimolare, promuovere e facilitare il processo d'integrazione nella regione centroamericana.

5.6

Conferimento di una dimensione sociale all'accordo di associazione. L'accordo di associazione poggia su tre pilastri strettamente intercollegati (politico, commerciale, di cooperazione) e di pari importanza, ragion per cui nel corso dei negoziati bisognerà evitare di dare eccessivo peso all'aspetto che appare il più complesso o difficile.

5.6.1

Sul piano politico, l'accordo di associazione dovrà sancire misure concrete di sostegno al buongoverno, integrare una dimensione sociale orientata verso un livello più elevato di coesione sociale, e infine prevedere clausole che tengano conto del ruolo della donna, della difesa dei diritti umani, professionali, ambientali, nonché di quelli delle comunità indigene e di origine africana.

5.6.2

L'accordo dovrà inoltre affrontare il tema dell'emigrazione dall'America centrale, le cui conseguenze per lo sviluppo dei paesi della regione possono essere tanto positive quanto negative (da un lato, rimesse di denaro, dall'altro, fuga di cervelli o di manodopera attiva). Questo approccio deve garantire il rispetto della dignità e dei diritti degli immigrati che vivono e lavorano nell'Unione europea.

5.6.3

Sul piano della cooperazione, l'accordo dovrà prevedere il mantenimento o addirittura l'aumento degli aiuti comunitari destinati allo sviluppo della regione e al superamento delle sue carenze politiche, economiche, sociali e ambientali. L'accordo potrà, anzi dovrà, secondo il CESE, garantire un sostegno alle istituzioni specializzate in determinati ambiti (ad esempio l'OIL, l'Unesco, l'OMS), perché possano analizzare l'evoluzione dei temi più delicati.

5.6.4

Del resto, per rispondere alle aspettative dei paesi centroamericani, che possono già vantare esperienze con altri accordi internazionali (in particolare il CAFTA, siglato con gli Stati Uniti), l'Europa deve dimostrare che l'accordo persegue obiettivi più ambiziosi e rispondenti ad una visione sociale globale ispirata ai principi stessi su cui si basa l'UE, incluso un modello economico in grado di portare allo sviluppo sostenibile della regione.

6.   Le raccomandazioni del CESE

Alla luce di quanto detto ai punti precedenti, il CESE raccomanda che l'accordo di associazione fra l'UE e i paesi dell'America centrale:

6.1

rappresenti per l'UE una priorità politica, data la sua importanza strategica per l'azione biregionale dell'UE con altri paesi partner dell'America Latina;

6.2

accordi pari attenzione a tutte le sue componenti: quella politica, quella commerciale e quella della cooperazione;

6.3

tenga conto del fatto che tra le parti negoziali figurano i paesi più poveri dell'America Latina e che le enormi asimmetrie tra le due regioni impongono di potenziare i programmi di cooperazione in modo da scongiurare eventuali effetti negativi e da garantire un'apertura commerciale rispondente a questa valutazione;

6.4

contenga misure volte a promuovere la competitività delle imprese e ad assicurare la stabilità giuridica necessaria per gli investimenti, e preveda strumenti per compensare le difficoltà connaturate nella realizzazione di un mercato unico centroamericano a causa delle disparità esistenti nelle economie di questa regione;

6.5

dia un contributo decisivo al rafforzamento della coesione sociale nella regione, affinché i vantaggi siano visibili per tutti e non solo per alcuni settori già di per sé avvantaggiati;

6.6

integri una dimensione socioprofessionale rispettosa in particolare delle norme dell'OIL. L'accordo di associazione deve promuovere il rispetto da parte dei firmatari dei principi e dei valori espressi nella Costituzione dell'OIL e dei suoi strumenti principali in materia sociale, quali la dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro (1998), la dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale (1977, modificata nel 2000) e risoluzione della Conferenza internazionale del lavoro sui diritti sindacali e sulle loro relazioni con le libertà civili (1970);

6.7

contenga anche una chiara dimensione sociale, non solo per l'importanza che assumono le questioni di diritto del lavoro, ma anche per il rispetto dovuto all'ambiente e in vista dell'obiettivo di assicurare il progresso globale della regione e dei suoi abitanti;

6.8

sia attento ai settori più vulnerabili della popolazione, ad esempio le donne, le comunità indigene e quelle di origine africana;

6.9

preveda i necessari strumenti per una effettiva partecipazione della società civile dalla fase di avvio dei negoziati alla fase di applicazione.

6.10

Per tale motivo, è opportuno rafforzare il sostegno agli organi consultivi della società civile organizzata, in particolar modo il CC-SICA, organo istituzionale del processo di integrazione della regione centroamericana, affinché possano disporre delle risorse umane, logistiche e finanziarie necessarie per l'espletamento delle loro funzioni.

6.11

È altresì importante istituire quanto prima il comitato misto di monitoraggio dei negoziati, composto da membri del CESE e del CC-SICA, ai quali potranno aggiungersi, di comune accordo tra le parti, i rappresentanti di altre organizzazioni ritenute necessarie e rilevanti per l'analisi del processo negoziale.

6.12

È infine necessario avviare le discussioni tra il CC-SICA e il CESE sulla composizione, sulle funzioni e sulle modalità di azione del futuro comitato consultivo misto, organo consultivo istituzionale del futuro accordo di associazione.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. i pareri del CESE sui temi La coesione sociale in America Latina e nei Caraibi (GU C 110 del 30.4.2004), Le relazioni UE-Messico (GU C 88 dell'11.4.2006) e Le relazioni fra l'UE e la Comunità andina delle nazioni (GU C 309 del 16.12.2006).

(2)  La dichiarazione finale del vertice di Vienna nel punto 31 afferma «Ricordando l'obiettivo strategico comune della Dichiarazione di Guadalajara e tenendo conto del buon risultato del lavoro congiunto di valutazione dell'integrazione economica regionale realizzato con l'America centrale, accogliamo con favore la decisione dell'Unione europea e dell'America centrale di avviare negoziati relativi ad un accordo di associazione, comprendente anche un'area di libero scambio.» (NdT: testo della dichiarazione non disponibile in italiano).

(3)  Tra il 1995 e il 2002, le esportazioni all'interno del continente centroamericano sono aumentate del 60 % circa (fonte: BID Informe Centroamericano 2004).

(4)  Parlamento centroamericano.


27.10.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 256/144


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea

(2007/C 256/25)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ATTARD.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2007, nel corso della 437a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore il deciso impegno dell'Unione europea e degli Stati mediterranei nei confronti del partenariato euromediterraneo. Esso sostiene in particolare, come previsto nel programma di lavoro quinquennale della Commissione, i progetti miranti a sviluppare azioni che favoriscano l'emancipazione femminile. A questo fine, propone che siano stanziati fondi specifici per finanziare i paesi della regione euromediterranea che si impegneranno in azioni positive volte a migliorare concretamente lo statuto giuridico della donna (1).

1.2

Il CESE esorta a fare in modo che i meccanismi di riesame previsti nelle conclusioni della Prima conferenza ministeriale euromediterranea, dedicata al rafforzamento del ruolo delle donne nella società, garantiscano un attento monitoraggio e un'accurata valutazione dello sviluppo dell'imprenditorialità femminile, nonché l'adozione di misure per il suo rafforzamento.

1.3

Il CESE incita a inserire nei piani d'azione nazionali previsti nel quadro della politica europea di vicinato (PEV) misure e obiettivi specifici per la promozione dell'imprenditorialità femminile.

1.4

Il CESE raccomanda di incrementare i finanziamenti della PEV a favore dello sviluppo dell'imprenditorialità femminile e dell'assistenza tecnica alle nuove imprese create da donne.

1.5

Il CESE accoglie con favore le iniziative avviate dalla DG Imprese e industria e dalla DG EuropeAid (2) a favore degli imprenditori in Europa e nei paesi partner mediterranei. Chiede ai partner euromediterranei di adottare iniziative analoghe mirate alle esigenze della regione tramite piani di azione negoziati con i paesi partner mediterranei.

1.6

Il CESE accoglie favorevolmente la creazione del comitato ad hoc sui diritti delle donne nel quadro dell'Assemblea parlamentare euromediterranea. Esorta tale comitato a proporre politiche volte a potenziare le attività imprenditoriali svolte attualmente dalle donne e a promuovere iniziative sostenibili e lungimiranti che consentano di far fronte ad una concorrenza globale.

1.7

Il CESE raccomanda che nell'attuazione della Carta euromediterranea delle imprese (3) siano adottate misure specificamente rivolte alle donne.

1.8

Bisogna adoperarsi per garantire che tra i giovani che beneficiano dei programmi mediterranei per la gioventù vi sia un certo equilibrio numerico tra i due sessi, sia a livello di partecipanti che di responsabili.

1.9

Il CESE accoglie con favore l'iniziativa della Piattaforma della gioventù euromediterranea di creare una rete euromediterranea dei gruppi giovanili che si occupano delle questioni di genere (4) e di una rete euromediterranea dei giovani imprenditori (5).

1.10

Il CESE ritiene che la cooperazione interministeriale, il coinvolgimento negli scambi di vedute sui campi d'azione prioritari di altre parti direttamente interessate, come i rappresentanti delle istituzioni finanziarie, degli organi di attuazione, i rappresentanti del mondo imprenditoriale, gli esperti e i donatori, e l'introduzione di misure per la trasmissione delle imprese esistenti alle donne si riveleranno più efficaci nella promozione dell'imprenditorialità femminile.

1.11

Il CESE insiste sul rafforzamento delle ONG e delle associazioni socioprofessionali operanti per la promozione delle attività economiche femminili tramite forme di partenariato tra settore pubblico e privato.

1.12

Il CESE esorta i soggetti interessati euromediterranei ad organizzare un convegno dedicato al tema dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea per discutere le questioni ad esso legate e formulare proposte riguardanti il contributo delle donne alle sfide globali che la regione deve affrontare.

1.13

Il CESE ribadisce la convinzione che la promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea svolga un ruolo significativo nella creazione di un'economia attiva, dinamica e pronta ad affrontare le sfide della globalizzazione.

1.14

Il CESE ritiene che la creazione di condizioni più favorevoli allo sviluppo dell'imprenditorialità femminile sia un presupposto indispensabile per sviluppare l'accesso ai mercati della regione stessa e dei paesi europei.

1.15

Il CESE raccomanda che, nell'affrontare le sfide future che le imprenditrici incontreranno, vengano effettuate ulteriori ricerche per individuare le esigenze specifiche all'interno di ciascun paese.

1.16

Il CESE, pur riconoscendo che già parecchi osservatori (GEM, UNDP/PSNU, Banca mondiale, ecc.) si occupano dell'imprenditorialità nella regione euromediterranea, raccomanda di creare una Piattaforma con il compito di agevolare la comunicazione dei risultati ai decisori politici e di raccogliere e diffondere informazioni alle micro, piccole e medie imprese della regione. Più in particolare, questa Piattaforma potrebbe:

a.

individuare le aree in cui le giovani imprenditrici incontrano particolari difficoltà;

b.

sostenere e sviluppare i programmi a favore dell'imprenditoria femminile;

c.

sviluppare strumenti concernenti lo statuto giuridico dei co-imprenditori e garantire la protezione sociale dei coniugi collaboratori;

d.

elaborare iniziative per rafforzare la sicurezza sociale e lo statuto giuridico delle donne che creano e gestiscono imprese proprie.

1.17

Nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione il Comitato raccomanda di:

incentivare in via prioritaria gli investimenti nelle infrastrutture e nelle strategie volte a migliorare l'accesso alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione,

garantire alle donne che creano un'impresa un più facile accesso alle strutture e alla formazione relative alle TIC al fine di agevolare la commercializzazione dei loro prodotti e rifornire i consumatori attraverso canali adeguati di distribuzione. Le TIC possono essere infatti un utile strumento per migliorare i processi di marketing,

rafforzare la partecipazione delle donne all'elaborazione delle politiche nonché allo sviluppo e alla progettazione delle TIC, stabilendo un dialogo con le imprese del settore e con le altre parti interessate per definire opportunità di cooperazione e di azione comune.

Il CESE esorta vigorosamente il Forum universitario permanente euromediterraneo (6), creato a Tampere, a dare priorità alla dimensione di genere nelle proprie iniziative, specialmente in quelle riguardanti l'imprenditorialità.

1.18

Il CESE raccomanda di prestare particolare attenzione all'influenza esercitata dai mass media, in modo particolare dalla televisione, sull'imprenditorialità e sulle donne.

2.   Raccomandazioni relative ai meccanismi intesi a promuovere l'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea

2.1

Occorre introdurre politiche e programmi specifici che consentano alle donne di contribuire maggiormente alla crescita economica e allo sviluppo. Alcune di queste politiche potrebbero essere definite all'interno di un piano d'azione che preveda un calendario e procedure di valutazione ben precise e dovrebbero comprendere, senza alcun ordine particolare:

1)

meccanismi per il rafforzamento delle capacità e sistemi di sostegno che incoraggino le donne a considerare come possono partecipare attivamente, con le loro capacità, allo sviluppo delle società in cui vivono e operano. Una soluzione potrebbe essere quella di promuovere la creazione di gruppi di sostegno;

2)

investimenti nelle infrastrutture e nei servizi sociali a sostegno delle donne che lavorano e delle lavoratrici autonome;

3)

una definizione dell'attività imprenditoriale tradizionale, delle PMI e del lavoro autonomo individuale;

4)

la parificazione delle imprese di proprietà di uomini e donne, qualunque siano le loro dimensioni;

5)

la creazione di un sistema giuridico egualitario che consenta alle donne di firmare documenti e di possedere beni;

6)

l'offerta, alle donne che gestiscono o possiedono un'impresa, di una formazione adatta alle loro specifiche esigenze. Tale formazione potrebbe comprendere anche programmi di tutorato, la creazione di organismi professionali e la fornitura di una consulenza legale e fiscale;

7)

la formazione di «società di mutua garanzia», organismi economici formati da titolari di PMI che fanno da garanti presso gli istituti di credito;

8)

l'attuazione di programmi specifici per facilitare la creazione di imprese da parte delle donne immigrate e dei gruppi minoritari;

9)

meccanismi di informazione e sostegno per la creazione di imprese sociali e cooperative;

10)

la cooperazione e la formazione di reti con gli omologhi europei per individuare le strutture e i meccanismi, ivi comprese le migliori pratiche, che si sono rivelate valide altrove;

11)

politiche educative che promuovano le idee e la mentalità imprenditoriale fin dalla più tenera età. La creazione di una mentalità imprenditoriale va concepita come un processo di apprendimento permanente che inizia fin dalla scuola elementare: una formazione di questo tipo può conferire una maggiore flessibilità in diverse fasi della vita (7);

12)

il maggiore coinvolgimento delle donne nel processo decisionale, a tutti i livelli: nel governo, negli enti territoriali e nel sistema giudiziario;

13)

l'apertura degli appalti pubblici alle PMI, in particolare a quelle femminili, per stimolare la crescita delle imprese;

14)

la definizione di obiettivi specifici di parità tra i sessi nelle politiche occupazionali, con indicatori qualitativi e quantitativi: è infatti essenziale aumentare il numero delle donne imprenditrici, garantire l'occupazione e migliorarne la qualità. (8)

3.   La situazione e le sfide attuali

3.1

È importante che i diritti delle donne non vengano considerati come una questione separata dal ruolo che esse svolgono nello sviluppo economico. L'impegno di tutte le parti sociali a riconoscere il rapporto che intercorre tra i diritti umani, la democrazia, lo sviluppo e i diritti delle donne è fondamentale. Si deve dare la priorità all'eliminazione degli ostacoli all'emancipazione delle donne derivanti dalle norme tradizionali, culturali e familiari.

3.2

Per affrontare il divario tra i sessi in materia di istruzione e occupazione nella regione euromediterranea occorre uno sforzo concertato volto alla creazione di un ambiente in cui le donne possano sviluppare proprie attività imprenditoriali.

3.3

Pur variando da un paese all'altro, l'analfabetismo femminile nella regione MENA (Medio Oriente e Africa settentrionale) è ancora estremamente elevato: il tasso medio è del 42 %, mentre quello maschile è del 21 %. Negli ultimi vent'anni si nota tuttavia una tendenza positiva per quanto riguarda la parità di accesso all'istruzione, anche in questo caso con variazioni da un paese all'altro. In ogni paese vi è comunque una notevole differenza tra il tasso di alfabetizzazione della popolazione femminile giovane (15-24 anni) e quello della popolazione femminile adulta (dai 24 anni in su) (9).

3.4

L'aumento, nell'ultimo decennio, delle opportunità d'impiego per le donne è stato frutto dell'istruzione e della formazione così come della crescita dei settori a più elevata domanda di manodopera femminile, come ad esempio i servizi sociali, l'istruzione, la sanità e le professioni legate ai servizi. Soltanto il 32 % delle donne in età lavorativa è occupato o cerca impiego al di fuori delle mura domestiche. Nelle classi sociali tradizionaliste le ragazze, anche quando frequentano la scuola, vengono dissuase dal cercare un impiego.

3.5

Il sistema d'istruzione deve incoraggiare le iniziative imprenditoriali e l'assunzione del rischio. In questo senso, è indispensabile creare un piano di istruzione nazionale per migliorare la qualità dell'istruzione di base e sradicare l'analfabetismo tra le donne, in particolare tra quelle svantaggiate e disabili.

3.6

Se è importante fornire un'educazione alla cittadinanza e migliorare la consapevolezza dei diritti sociali, politici, giuridici ed economici delle donne, occorre altresì educare i finanziatori e gli altri soggetti interessati a comprendere le esigenze delle donne che svolgono attività imprenditoriali.

3.7

La discriminazione tra i sessi deve essere considerata una questione fondamentale negli ambienti sociopolitici e nello sviluppo globale della crescita economica della regione. I ruoli specifici e lo status che la società impone alle donne attraverso il diritto di famiglia tradizionale, chiamato anche Codice dello status personale, sono fonte di discriminazione. Lo status giuridico delle donne, che disciplina la partecipazione di queste ultime alle attività politiche, sociali, civiche e culturali, rimane infatti uno dei maggiori ostacoli da superare, malgrado la dichiarazione del Millennio sia stata ratificata da quasi 190 paesi, ivi compresi quelli della regione araba (10).

3.8

Occorre dare visibilità alle piccole attività imprenditoriali tradizionali gestite dalle donne e promuoverne il rafforzamento. Si tratta in particolare di attività non retribuite svolte all'interno del nucleo familiare e di lavori tradizionali. Bisogna fornire una formazione e un sostegno per incoraggiare lo sviluppo e la modernizzazione di numerose attività artigianali e piccole imprese che possono essere trasformate in occupazioni produttive remunerate tramite la creazione di servizi commercializzabili che favoriscano l'emancipazione economica delle donne.

3.9

Il settore agricolo è quello in cui il contributo delle donne è maggiore. Nelle zone rurali, in cui vi è un alto tasso di analfabetismo femminile o di donne in possesso della sola istruzione elementare, l'accesso alle risorse della formazione è molto limitato (11). Le donne spesso mancano della consapevolezza e della fiducia nelle proprie capacità che sono necessarie per migliorare la loro situazione e quella della loro famiglia. Hanno quindi bisogno di programmi integrati, che coniughino emancipazione personale, formazione professionale, formazione all'imprenditoria e competenze imprenditoriali di base, come pure di sostegno per definire piani d'impresa finanziariamente sostenibili nonché per accedere ai prestiti per la creazione di imprese e ai crediti per creare microimprese nei loro villaggi. I programmi di formazione dovrebbero offrire alle donne delle aree rurali l'opportunità di combinare le attività agricole e quelle non agricole, nonché garantire il sostegno della popolazione maschile della comunità alle attività non agricole che le donne intendono esercitare.

3.10

È importante creare piccole cooperative per fornire un sostegno alle donne imprenditrici.

3.11

È altresì importante incoraggiare le imprenditrici già attive a scoprire nuovi settori economici in cui le donne possono assumere l'iniziativa nello sviluppo di attività imprenditoriali non tradizionali, anche potenziando le loro capacità pubblicitarie, di marketing, fissazione dei prezzi e orientamento ai mercati stranieri.

3.12

Per creare opportunità di sviluppo per le attività economiche femminili bisogna avere un quadro chiaro della situazione socioeconomica presente e futura delle diverse regioni.

3.13

L'eliminazione delle barriere contro le donne e l'introduzione di politiche e programmi specifici che consentano loro di contribuire maggiormente alla crescita e allo sviluppo richiedono il concorso di tutti i soggetti interessati.

3.14

L'accesso ai finanziamenti è di vitale importanza: bisogna aumentare i massimali di credito per incoraggiare le microimprese e le piccole imprese ad espandersi e a investire nelle proprie attività. I governi e i donatori potrebbero offrire incentivi agli istituti di credito ufficiali che finanziano questi progetti, mentre i responsabili politici dovrebbero sempre tener presenti le differenze tra PMI e microimprese in termini di organizzazione, finanziamento, produttività e potenziale di crescita.

3.15

Nel quadro degli incentivi per le nuove iniziative imprenditoriali e la creazione di nuove imprese bisognerebbe migliorare l'efficienza del settore del microcredito e fare in modo che le banche commerciali offrano condizioni di prestito adeguate e realistiche.

3.16

L'organizzazione di azioni di marketing e di promozione nella regione e negli Stati membri dell'UE può aprire la via allo sviluppo di iniziative orientate all'esportazione, in particolare nel settore manifatturiero.

3.17

Il futuro delle donne nella regione euromediterranea va visto nel contesto economico, politico, sociale e familiare globale. Senza crescita economica e senza un aumento del tasso di occupazione, le donne continueranno a essere oggetto di discriminazioni subendo una concorrenza sleale da parte degli uomini.

3.18

È necessario introdurre politiche e programmi specifici per consentire alle donne di contribuire maggiormente alla crescita e allo sviluppo.

3.19

Le strategie volte a promuovere l'imprenditoria femminile possono nello specifico offrire alle donne l'opportunità di svincolarsi dalle strutture economiche tradizionali e investire di più nelle imprese.

3.20

Tutte le iniziative vanno sostenute da un lavoro di ricerca volto a determinare le specifiche esigenze di ciascun paese, individuando i punti di forza e le debolezze delle donne attraverso una segmentazione demografica per gruppi di età e studi settoriali specializzati.

3.21

Occorre individuare e valutare le misure nazionali relative alla creazione di nuove imprese, l'informazione/consulenza, i finanziamenti, la formazione, il tutorato e la creazione di reti, al fine di mettere in luce le buone pratiche e promuoverne lo scambio sia tra Nord e Sud del Mediterraneo che tra i paesi della sola sponda meridionale. Bisogna procedere a un monitoraggio continuo dei progressi realizzati nei paesi partner euromediterranei per garantire che si arrivi ad una piena partecipazione delle donne alla vita economica dei loro paesi.

3.22

Tramite i programmi transnazionali le associazioni di donne imprenditrici della regione euromediterranea possono scambiare esperienze e buone pratiche: si tratta di un modo efficace per sviluppare le attività e le competenze imprenditoriali.

3.23

Il franchising può essere un utile strumento per favorire l'emancipazione femminile attraverso il lavoro autonomo e la formazione di piccole imprese. Il franchising consente di ridurre il rischio associato all'avvio di un nuovo progetto sfruttando metodi e competenze già collaudate. È altresì importante migliorare le prestazioni dei centri di assistenza alle imprese. Bisogna inoltre procedere a uno sviluppo delle competenze che sia specificamente mirato alle esigenze delle imprese: a questo fine si possono utilizzare le pratiche e i programmi già utilizzati con successo in altri paesi.

3.24

Anche l'esplorazione di nuovi settori, come ad esempio i servizi legati alle TIC, la R&S, la gestione dei media e la produzione di programmi innovativi nel campo dei media, e di nuove nicchie dell'industria turistica può aprire altre vie per lo sviluppo delle attività imprenditoriali femminili.

3.25

Le TIC contribuiscono a potenziare la produttività, la crescita, la competitività e l'occupazione. Il loro sviluppo è fondamentale per consentire alla regione euromediterranea di competere a livello mondiale. Nel creare le necessarie infrastrutture, è importante garantire che tutti vi abbiano accesso, onde evitare un approfondimento del divario digitale, in particolare tra le donne e presso altri settori della popolazione che presentano elevati tassi di analfabetismo. Uno sviluppo delle TIC a valore aggiunto contribuirà a migliorare le competenze imprenditoriali sia della popolazione maschile che di quella femminile.

3.26

Il portale dell'imprenditorialità femminile (12) della DG Imprese e industria della Commissione può essere un utile strumento per condividere le buone pratiche e creare una rete di contatti.

3.27

La creazione di posti di lavoro ufficiali nelle strutture di assistenza all'infanzia può contribuire all'occupazione aiutando contemporaneamente le donne a conciliare lavoro e vita familiare.

3.28

Offrendo alle donne servizi di sostegno e di informazione sul lavoro autonomo si può contribuire a ridurre la pressione dell'immigrazione, con creazione di posti di lavoro sia nei paesi di origine che nei paesi ospitanti.

4.   Il processo di Barcellona e la PEV

4.1

La politica europea di vicinato mira a favorire l'integrazione economica tra l'UE e i paesi partner. Lo stanziamento di bilancio destinato ai partner euromediterranei per il periodo di programmazione 2007-2013 è stato portato a 12 miliardi di euro, con un aumento del 32 % rispetto al periodo precedente. In esso però non si è prestata sufficiente attenzione alla promozione delle attività economiche femminili.

4.2

Alla sessione plenaria dell'Assemblea parlamentare euromediterranea svoltasi il 16 e 17 marzo 2007 è stato attribuito al CESE lo statuto di osservatore permanente, con facoltà di intervenire in tutte le riunioni dell'Assemblea. Ciò offre al Comitato una grande opportunità per promuovere il rafforzamento dell'attività economica femminile.

4.3

Alla Prima conferenza ministeriale euromediterranea, svoltasi a Istanbul nel novembre 2006 e dedicata al rafforzamento del ruolo delle donne nella società (13), i partecipanti si sono impegnati a promuovere l'imprenditorialità femminile migliorando l'accesso delle donne alla terra, ai finanziamenti, ai mercati, all'informazione, alla formazione e alla creazione di reti di contatto e ad incoraggiare le istituzioni finanziarie a offrire prodotti mirati alle esigenze delle donne, in particolare il microcredito.

5.   La carta euromediterranea delle imprese

5.1

Alla Quinta conferenza euromediterranea, svoltasi a Caserta il 4 ottobre 2004, i ministri dell'Industria hanno approvato un programma di lavoro sulla cooperazione industriale per il periodo 2005-2006. Una delle proposte prevedeva lo scambio di conoscenze ed esperienze in materia di educazione all'imprenditorialità.

5.2

A seguito di tali decisioni la direzione generale Imprese e industria della Commissione ha varato la Carta euromediterranea delle imprese (14), che è stata sottoscritta da nove paesi partner mediterranei. Uno dei principi essenziali della Carta è quello di costruire nella regione euromediterranea una società imprenditoriale tramite un'azione rivolta sia ai giovani che agli adulti, utilizzando a questo fine il sistema di istruzione a tutti i livelli, in una prospettiva di formazione permanente. La Carta non dà però alcuna indicazione specifica su come raccogliere le sfide cui devono far fronte le imprenditrici.

5.3

La Carta è uno strumento efficace per migliorare le condizioni per lo svolgimento delle attività imprenditoriali. La promozione dell'imprenditorialità femminile non rientra tuttavia né tra i principi chiave né tra gli obiettivi del documento.

5.4

Neppure il programma di lavoro per la cooperazione industriale euromediterranea 2007-2008 mira specificamente a promuovere l'imprenditorialità femminile, pur sfruttando i risultati conseguiti finora e rafforzando le misure per un'attuazione più efficace.

5.5

La Commissione europea ha realizzato una serie di iniziative che possono servire da esempio di buone pratiche e di trasferimento di tecnologie tra i paesi europei e i paesi mediterranei (15).

6.   Il ruolo della società civile

6.1

La società civile organizzata svolge un ruolo importante ai fini dell'emancipazione delle donne, della loro partecipazione e rappresentanza nella sfera pubblica e della promozione dell'imprenditoria femminile.

6.2

Sfruttando la sua fortissima tradizione di assistenza ai gruppi svantaggiati, comprese le donne disabili e le donne con accesso scarso o nullo alle strutture di istruzione e formazione, essa può contribuire a migliorare l'utilizzo delle risorse esistenti offrendo una formazione in materia di competenze di gestione e mettendo a disposizione dei finanziamenti.

6.3

Tramite il partenariato tra settore pubblico e privato le ONG e le organizzazioni socioprofessionali possono stimolare efficacemente la crescita economica (16). Tali forme di partenariato possono inoltre fornire una nuova gamma di servizi nel quadro di attività generatrici di reddito.

6.4

Un altro settore in cui le ONG e le organizzazioni socioprofessionali con esperienza potrebbero intervenire è quello della formazione e dell'abilitazione finalizzate a colmare il divario di genere nel settore dell'istruzione.

7.   Il ruolo del CESE

7.1

Il CESE ha un ruolo importante da svolgere nel garantire la partecipazione della società civile all'applicazione della politica euromediterranea per quanto concerne l'integrazione delle donne nella vita economica e sociale (17).

7.2

Il CESE ha contribuito alla questione dell'occupazione femminile con una relazione presentata alla 21a riunione del comitato consultivo misto UE-Turchia, svoltasi il 13 e 14 luglio 2006 (18), ed elaborerà per la prossima riunione, che si terrà in Turchia nel novembre 2007, una relazione sulle donne e lo spirito imprenditoriale.

7.3

Nella dichiarazione finale del vertice euromediterraneo dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe, svoltosi a Lubiana (Slovenia) dal 15 al 17 novembre 2006, i partecipanti si sono impegnati a proseguire il loro lavoro a favore dell'integrazione (19) delle donne nella vita economica e sociale, in particolare attraverso lo sviluppo dell'imprenditorialità femminile.

7.4

Il CESE approva inoltre il fatto che i ministri abbiano riconosciuto l'importanza di favorire il ruolo della società civile e di promuoverne la capacità d'azione attraverso il miglioramento dei contatti tra governi e parlamenti, da un lato, e organizzazioni della società civile, organizzazioni femminili e giovanili, sindacati, associazioni di imprenditori e di categoria dall'altro, in collaborazione con le amministrazioni nazionali, regionali e locali.

7.5

Nel quadro del processo di Barcellona, l'UE ha avviato una serie di programmi, alcuni dei quali riguardano direttamente i giovani dei paesi euromediterranei. Il Comitato ha presentato una relazione informativa sul tema Le misure di sostegno ai giovani nei paesi partner mediterranei, in cui ha anche evocato la promozione dell'imprenditorialità femminile (20).

8.   Conclusione

8.1

La Commissione europea dovrebbe effettuare una valutazione d'impatto delle politiche PEV, compresi i programmi MEDA, tenendo conto sistematicamente delle considerazioni di genere. Il ruolo dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea è fondamentale per affrontare le sfide economiche poste dalla globalizzazione. Il programma regionale della Commissione europea destinato alla regione MENA e inteso a promuovere il ruolo delle donne nella vita economica costituisce indubbiamente un progresso. Per garantire il conseguimento degli obiettivi stabiliti, andrebbero adottate delle misure volte ad assicurare la consultazione dei rappresentanti della società civile, comprese le ONG femminili, in tutte le fasi del progetto: programmazione, attuazione, valutazione e follow-up.

Bruxelles, 12 luglio 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  http://ec.europa.eu/comm/external_relations/euromed/barcelona_10/docs/10th_comm_en.pdf.

(2)  http://ec.europa.eu/europeaid/index_it.htm

(3)  http://ec.europa.eu/enterprise/enterprise_policy/ind_coop_programmes/med/doc/f1949_en.pdf

(4)  http://www.cesie.org/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=70&Itemid=85

(5)  REX/222 — Relazione informativa sul tema Misure di sostegno ai giovani nei paesi partner mediterranei, CESE 642/2006.

(6)  http://www.medainstitute.fi/?navi=360&lang=2

(7)  Stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento, relatore: JERNECK.

(8)  Parere del CESE Occupabilità e imprenditorialitàLa società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere, relatore: PARIZA CASTAÑOS.

(9)  Cifre della banca dati centrale della Banca mondiale (aprile 2006).

(10)  HIJAB, Nadia, 2001: Laws, Regulations and Practices impeding Women's Economic Participation in the MENA Region, rapporto ombra presentato alla Banca mondiale in aprile.

(11)  Economic Empowerment of Rural Palestinian WomenA Joint Palestinian, Israeli and European Development Project, programma MEDA, EuropeAid, gennaio 2006-dicembre 2007.

(12)  http://ec.europa.eu/enterprise/entrepreneurship/craft/craft-women/womenentr_portal.htm

(13)  http://ec.europa.eu/comm/external_relations/euromed/women/docs/conclusions_1106.pdf

(14)  http://ec.europa.eu/enterprise/enterprise_policy/ind_coop_programmes/med/doc/f1949_en.pdf

(15)  http://ec.europa.eu/enterprise/entrepreneurship/craft/craft-women/women-dgentr-active

http://ec.europa.eu/enterprise/entrepreneurship/craft/craft-women/database-women.htm

(16)  file://E:\PPP for women entrepreneurship.htm 8.3.2007.

(17)  Relazione informativa sul tema Il ruolo degli organi consultivi e delle organizzazioni socioprofessionali nell'attuazione degli Accordi di associazione e nel quadro della politica europea di prossimità.

(18)  Comitato consultivo misto UE-Turchia (Non disponibile in italiano).

(19)  http://www.europarl.europa.eu/intcoop/empa/home/final_declaration_ljubljana_112006_en.pdf

(20)  Relazione informativa sul tema Misure di sostegno ai giovani nei paesi partner mediterranei.