ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 161

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

50o anno
13 luglio 2007


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

434a Sessione plenaria del 14 e 15 marzo 2007

2007/C 161/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio

1

2007/C 161/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale COM(2006) 254 def.

8

2007/C 161/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: L'abitazione e la politica regionale

17

2007/C 161/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (rifusione) COM(2006) 760 def. — 2006/0253 (CNS)

23

2007/C 161/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'installazione a posteriori di specchi sui veicoli commerciali pesanti immatricolati nella Comunità COM(2006) 570 def. — 2006/0183 (COD)

24

2007/C 161/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Istituto europeo di tecnologia COM(2006) 604 def./2 — 2006/0197 (COD)

28

2007/C 161/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il campo di visibilità e i tergicristallo dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2006) 651 def. — 2006/0216 (COD)

35

2007/C 161/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni elementi e caratteristiche dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2006) 662 def. — 2006/0221 (COD)

36

2007/C 161/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla velocità massima per costruzione e alle piattaforme di carico dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2006) 667 def. — 2006/0219 (COD)

37

2007/C 161/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al dispositivo di sterzo dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2006) 670 def. — 2006/0225 (COD)

38

2007/C 161/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (versione codificata) COM(2006) 692 def. — 2003/0099 (COD)

39

2007/C 161/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 71/304/CEE del Consiglio, del 26 luglio 1971, concernente la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici ed all'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici tramite agenzie o succursali COM(2006) 748 def. — 2006/0249 (COD)

40

2007/C 161/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (versione codificata) COM(2006) 812 def. — 2006/0264 (COD)

44

2007/C 161/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a 25 atti che devono urgentemente essere adeguati alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione, modificata dalla decisione 2006/512/CE del Consiglio, del 17 luglio 2006COM(2006) 901, 902, 903, 905, 906, 907, 908, 909, 910, 911, 912, 913, 914, 915, 916, 917, 918, 919, 920, 921, 922, 923, 924, 925, 926 def.

45

2007/C 161/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi COM(2006) 373 def. — 2006/0132 (COD)

48

2007/C 161/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 68/89/CEE del Consiglio relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di classificazione del legname grezzo COM(2006) 557 def. — 2006/0178 (COD)

53

2007/C 161/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Benessere animale — Etichettatura

54

2007/C 161/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e determina il contenuto dell'allegato XI COM(2006) 7 def. — 2006/0008 (COD)

61

2007/C 161/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: La famiglia e l'evoluzione demografica

66

2007/C 161/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d'insolvenza del datore di lavoro (versione codificata) COM(2006) 657 def. — 2006/0220 (COD)

75

2007/C 161/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — La protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell'Unione nei paesi terzi COM(2006) 712 def.

75

2007/C 161/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: i servizi sociali d'interesse generale nell'Unione europea COM(2006) 177 def.

80

2007/C 161/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Mantenere l'Europa in movimento — Una mobilità sostenibile per il nostro continente — Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea COM(2006) 314 def.

89

2007/C 161/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente un programma comunitario di etichettatura relativa ad un uso efficiente dell'energia per le apparecchiature per ufficio COM(2006) 576 def. — 2006/0187 (COD)

97

2007/C 161/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'applicazione di regole di concorrenza ai settori dei trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili (versione codificata) COM(2006) 722 def. — 2006/0241 (COD)

100

IT

 


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

434a Sessione plenaria del 14 e 15 marzo 2007

13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio

(2007/C 161/01)

La Commissione europea, in data 16 maggio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo su: L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE risponde all'invito della vicepresidente della Commissione europea, Margot WALLSTRÖM, con il presente parere esplorativo: in esso ha tenuto conto dei pareri presentati nel corso degli ultimi anni, che rappresentano l'insieme delle riflessioni, analisi e proposte da esso elaborate su questi temi.

Mercato del lavoro

1.2

Il CESE ritiene che vadano perseguiti gli obiettivi di Lisbona in materia di politiche demografiche; per questo i rapidi cambiamenti demografici nel mercato del lavoro rendono urgenti misure che risolvano i problemi connessi:

incrementare il tasso di occupazione della fascia dei lavoratori ultracinquantenni, ove possibile sia nel lavoro dipendente che in quello autonomo,

promuovere strumenti che favoriscano il reinserimento e la riqualificazione dei disoccupati anziani, in modo che venga loro garantita una pensione dignitosa,

ostacolare l'espulsione dal mercato del lavoro dei lavoratori ultracinquantenni che intendono continuare la loro attività lavorativa.

1.3

È necessario scoraggiare l'espulsione dei lavoratori anziani dai posti di lavoro; al contrario una maggiore attenzione dovrebbe essere dedicata al loro inserimento nel ciclo produttivo.

1.4

Il posto di lavoro dovrebbe corrispondere alla formazione ed esperienza professionale del lavoratore, senza alcuna discriminazione generazionale. Per questo il CESE invita tutti gli Stati membri a recepire ed applicare quanto prima possibile la direttiva 2000/78/CE sulla Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

1.5

Una migliore organizzazione del lavoro richiede una valutazione della tipologia delle mansioni svolte (lavori a rischio, usuranti o ripetitivi).

Apprendimento lungo tutto l'arco della vita

1.6

I programmi di apprendimento permanente sono la chiave per una migliore valorizzazione dei lavoratori over 50 sia all'interno che all'esterno delle imprese. Per questo i casi di migliori pratiche andranno diffusi e controllati, così come previsto dai rapporti annuali di monitoraggio presentati dalle parti sociali europee.

1.7

Una politica a favore dell'occupazione di qualità deve orientare e formare intere generazioni di cittadini durante tutto l'arco della loro carriera. Questo implica un intervento delle parti sociali e di tutti i soggetti economici e sociali interessati, a livello locale, nazionale e europeo.

Per un patto tra generazioni

1.8

La ricerca e l'innovazione sono un investimento fondamentale sia per i cittadini europei di oggi che per le generazioni future. Per questo è necessario spingere i giovani ad iscriversi a facoltà scientifiche e creare poi le conseguenti possibilità di occupazione nelle sfere della tecnologia e della ricerca.

L'Unione europea deve colmare il divario con altri paesi, come la Cina e l'India, che negli ultimi anni hanno fatto in questi settori passi da gigante.

1.9

Investire nelle regioni svantaggiate aiuta i giovani a non abbandonarle e a diventare uno strumento per lo sviluppo e la riqualificazione territoriale.

1.10

Il 2007, che è l'anno dedicato alle pari opportunità, dovrebbe concentrare la sua analisi sulla conciliazione tra vita privata e vita lavorativa, affinché la scelta della maternità e quella della paternità non siano condizionate da situazioni precarie o di disagio e dalla sensazione del nucleo familiare di essere solo nell'affrontare i costi, non solo economici, della nascita di un figlio.

Donne e mercato del lavoro nell'Unione europea

1.11

Il CESE ritiene che vada incentivato l'utilizzo di direttive importanti come quella sui congedi parentali, e che vadano garantiti i servizi all'infanzia e quelli di cura e assistenza per gli anziani; esso è altresì convinto che vada rapidamente colmato il gap salariale tra uomini e donne, e che vada combattuta la precarietà e l'instabilità del posto di lavoro che sono la causa dell'indigenza di molte donne anche in Europa. È inoltre necessario anche sviluppare degli incentivi che spingano gli uomini a condividere maggiormente le responsabilità familiari. La natalità e l'occupazione femminile non devono essere in contrasto: ecco perché devono essere adottati tutti gli strumenti per garantire una conciliazione della cura dei figli con la vita professionale delle madri.

1.12

Anche nel mondo imprenditoriale devono essere adottate misure che garantiscono alle donne adeguate opportunità e possibilità di accesso ai posti dirigenziali.

Il ruolo e il peso dell'immigrazione di fronte ai cambiamenti demografici

1.13

Di fronte alle sfide dell'invecchiamento della popolazione, l'immigrazione è una delle risposte necessarie. Politiche organiche di integrazione ed occupazione possono essere un motore per la crescita e lo sviluppo. Andranno però a questo fine valorizzate le competenze, le esperienze professionali e i titoli di studio degli immigrati.

La sostenibilità dei sistemi di welfare nell'Unione europea

1.14

La sostenibilità dei sistemi di welfare deve essere garantita con una serie di misure che non ne penalizzino l'obiettivo finale così come definito dai Trattati dell'UE (art. 2). Per questo è necessario da una parte garantire la sostenibilità del modello sociale europeo, e dall'altra perseguire gli obiettivi di universalità ed equità che lo caratterizzano.

1.15

I servizi sociali di interesse generale vanno garantiti e sostenuti per la loro funzione, così come i soggetti dell'economia sociale. Le associazioni di volontariato in cui gli anziani operano svolgono un'azione sociale importante che deve essere sostenuta e valorizzata.

La sostenibilità dei sistemi pensionistici

1.16

L'obiettivo dell'Unione europea e degli Stati membri dovrebbe essere quello di garantire alle future generazioni una vecchiaia serena e dignitosa e quindi sistemi pensionistici adeguati. Le pensioni complementari, ove necessarie, dovranno essere affidabili, sicure e al riparo dalle imprevedibili oscillazioni dei mercati finanziari.

1.17

Lottare contro la precarietà del lavoro significa dare la sicurezza di una pensione dignitosa anche ai lavoratori giovani, ma significa parimenti, per questi ultimi, ridurre il ritardo nell'entrata nel mondo del lavoro.

1.18

La sostenibilità dei sistemi pensionistici dovrà essere analizzata tenendo presente una serie di elementi complessi, non riducibili al solo invecchiamento della popolazione.

1.19

In alcuni Stati dell'UE, bisogna porsi come obiettivo, per garantire la sostenibilità dei sistemi pensionistici, una lotta serrata alla evasione fiscale e contributiva.

Implicazioni dell'invecchiamento della popolazione sulla sanità

1.20

In materia di sanità, l'invecchiamento della popolazione implicherà soprattutto investimenti nella prevenzione, nella qualità dell'assistenza e nella ricerca, in particolare sulle patologie più presenti tra gli anziani su cui occorrerà concentrare sforzi e studi.

1.21

Anche nel mondo del lavoro, in relazione all'invecchiamento della popolazione, i temi della salute e sicurezza assumeranno altre connotazioni e subiranno mutamenti che andranno analizzati e valutati attentamente.

1.22

Il CESE ritiene che gli Stati membri dell'UE debbano realizzare, di concerto con le parti sociali, programmi comuni per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, in particolar modo quelle legate all'età dei lavoratori. In questo campo, monitoraggio e scambio di informazioni sono strumenti importanti.

1.23

Ai lavoratori anziani dovrà essere concessa la libertà di scegliere se prolungare o meno la propria vita lavorativa, tenendo conto della tipologia del lavoro e della valutazione sui rischi, la ripetitività e l'usura che ciascuna professione comporta.

1.24

Il CESE si impegna a continuare il suo lavoro di approfondimento, valutazione e proposta in materia di cambiamenti demografici: esso è infatti pienamente consapevole della complessità del tema, che richiederà nei prossimi anni la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali, economici e sociali, per affrontare le nuove sfide. Il Comitato si impegna a dare seguito, conformemente al Regolamento interno, all'approfondimento dei temi trattati dal presente parere.

2.   Premessa

2.1

La Sig.ra Margot WALLSTRÖM, vicepresidente della Commissione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di redigere un parere esplorativo sul rapporto che la Commissione, insieme al Comitato di politica economica, ha recentemente pubblicato sugli impatti economici e di bilancio che l'invecchiamento della popolazione ha in tutti gli Stati dell'Unione europea.

2.2

Dato l'ampio spettro dell'argomento e delle politiche connesse, nel formulare tale richiesta la Sig.ra WALLSTRÖM ha invitato il Comitato economico e sociale europeo ad esprimersi sulle questioni che hanno a che fare, in modo diretto ed indiretto, con il mondo del lavoro e su alcuni aspetti connessi, come la sanità, i sistemi pensionistici e la formazione lungo tutto l'arco della vita.

2.3

La fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro ha dedicato numerosi studi che affrontano il problema dell'invecchiamento della popolazione e analizzano le ripercussioni sui cittadini e i lavoratori europei.

2.4

I fattori che determinano l'invecchiamento della popolazione sono numerosi. Tra essi figurano l'abbassamento del tasso di natalità, l'aspettativa di vita che continua ad aumentare, nonché il progressivo ritiro dalla vita economicamente attiva della generazione nata nel dopoguerra e, in prospettiva, di quella del baby-boom degli anni '60 (1), elemento che ha ed avrà conseguenze dirette sulla popolazione in età lavorativa.

2.5

Secondo le proiezioni di Eurostat, gli ultrasessantacinquenni nell'UE a 25 dovrebbero passare da 75 milioni nel 2005 a circa 135 milioni nel 2050. La loro percentuale sulla popolazione totale dei 25 Stati membri è prevista arrivare al 30 %, con punte massime in Spagna (36 %) e Italia (35 %) e minime in Lussemburgo (22 %) e Olanda (23 %).

2.6

L'invecchiamento della popolazione porta con sé conseguenze di rilievo per quanto riguarda gli aspetti sia sociali che economici dei paesi e rende necessario un ammodernamento delle politiche di bilancio e di welfare.

2.7

Tutta l'economia di un paese è soggetta agli effetti dell'invecchiamento: il mercato del lavoro, la produttività, l'innovazione tecnologica e la crescita economica, poiché i bisogni e le potenzialità della popolazione si modificano inevitabilmente.

3.   Invecchiamento e mercato del lavoro

3.1

La strategia di Lisbona prende in considerazione, tra l'altro, anche il tasso di occupazione dei lavoratori anziani: l'obiettivo posto inizialmente, ma non ancora raggiunto, era di arrivare entro il 2010 ad una soglia di occupati anziani superiore al 50 %.

3.2

L'invecchiamento della popolazione, se da una parte comporta l'aumento dell'età media, dall'altra vede diminuire il numero complessivo dei cittadini in età lavorativa, perché le vecchie generazioni non sono rimpiazzate dai giovani in modo numericamente adeguato. Per altro i giovani entrano nel mondo del lavoro con sempre maggiore ritardo (2).

3.3

Il mercato del lavoro è dunque notevolmente influenzato e modificato dal fenomeno dell'invecchiamento della popolazione. Tali implicazioni rendono urgenti misure che risolvano i problemi connessi con il conseguimento degli obiettivi seguenti:

incrementare il tasso di occupazione della fascia dei lavoratori ultracinquantenni nel lavoro dipendente e non ostacolarne la presenza nel lavoro autonomo,

promuovere strumenti che favoriscano il reinserimento (compresa la riqualificazione) dei disoccupati anziani, in modo che venga loro garantita una pensione dignitosa,

ostacolare l'espulsione dal mercato del lavoro dei lavoratori ultracinquantenni che intendono continuare la loro attività lavorativa.

favorire l'accesso dei giovani al mercato del lavoro, con regolari contratti di lavoro che contribuiscano alla continuità e al miglioramento della vita lavorativa.

3.4

Gli effetti dell'invecchiamento della popolazione non riguardano solamente i lavoratori, ma anche gli imprenditori. Nel ricambio generazionale sarà importante prevedere degli strumenti che facilitino il trasferimento delle attività di impresa, in particolare nell'ambito delle piccole e medie imprese. Infatti anche tra gli imprenditori si verifica un progressivo aumento dell'età media e questo ha delle conseguenze, dirette o indirette, sulla innovazione, sul mercato dei capitali e in generale, su tutto il tessuto industriale europeo. Una popolazione di imprenditori più anziana significa che una buona parte di loro si è già ritirata, o si appresta a farlo, dalla vita professionalmente attiva senza che nuove generazioni di giovani imprenditori vadano a sostituirli. Una contrazione del numero di imprenditori significa una contrazione del numero di imprese e, di conseguenza, una diminuzione del numero di posti di lavoro.

3.5

L'espulsione dei lavoratori anziani è un fenomeno sempre più preoccupante, non solo nell'industria ma anche nel settore terziario. La difficoltà di inserirsi in un contesto lavorativo nuovo, lo svantaggio di avere spesso un'esperienza lavorativa limitata a uno o pochi posti di lavoro, la discriminazione cui i lavoratori anziani sono indubbiamente sottoposti nella ricerca di un nuovo impiego, sono altrettanti problemi che tutti i lavoratori europei si trovano a dover affrontare.

3.6

Sarebbe dunque opportuno dedicare una maggiore attenzione all'inserimento dei lavoratori anziani nel ciclo produttivo dato che in alcuni settori la loro esperienza è alla base di una produttività qualitativamente migliore; è necessario passare, anche da parte imprenditoriale, da un mero giudizio sull'età ad un giudizio sulle capacità concrete. In questo caso andranno applicate e monitorate le direttive europee contro ogni forma di discriminazione (2000/43/CE e 2000/78/CE).

3.7

Tutti i lavoratori dovrebbero avere un posto di lavoro che risponda il più possibile alla loro formazione ed esperienza: ciò permetterebbe un aumento della produttività che compenserebbe, almeno parzialmente, gli effetti negativi dell'invecchiamento della popolazione (3).

3.8

Le politiche attive a favore dell'occupazione dei lavoratori anziani debbono, in ogni caso, tener conto della tipologia del lavoro svolto: i lavori a rischio, usuranti, o ripetitivi necessitano infatti di un'analisi mirata e di margini più ampi di volontarietà da parte degli interessati (4).

4.   Apprendimento lungo tutto l'arco della vita

4.1

Uno dei problemi che concretamente si pongono al fine di aumentare il tasso di occupazione dei lavoratori anziani è la realizzazione di programmi di apprendimento permanente (lifelong learning) efficienti ed efficaci, attraverso lo scambio di buone pratiche tra i 27 paesi dell'UE e un dialogo continuo con i partner sociali, così come auspicato in numerose sedi istituzionali europee (5).

4.2

Attraverso la Strategia europea per l'occupazione (EES), sin dal summit di Lussemburgo (1997) sono state stabilite, anno dopo anno, delle linee guida per l'educazione lungo tutto il corso della vita. In tutte le occasioni non si è mai mancato di sottolineare l'importanza della occupabilità dei lavoratori anziani, e quindi della loro preparazione professionale, per fronteggiare i problemi posti dall'invecchiamento della popolazione.

4.3

Si parla di lifelong learning per indicare ogni significativa attività di apprendimento avente lo scopo di migliorare abilità, conoscenze e competenze. Occorre quindi pensare queste attività nell'arco della intera vita lavorativa poiché proprio sui lavoratori anziani la perdita di professionalità o di aggiornamento esercita i suoi effetti più drammatici e negativi.

4.4

Anche il CESE non ha mancato di sottolineare quanto frequentemente i rapporti fra le generazioni siano sbilanciati in relazione alla conoscenza delle tecnologie e all'acquisizione delle diverse competenze (6).

4.5

Uno degli strumenti efficaci per favorire l'adattabilità dei lavoratori è la formazione all'interno dell'impresa. Alcuni Stati membri (Regno Unito, Spagna, Portogallo, Olanda, Austria), sia pur in misura diversa, hanno favorito l'organizzazione di questi corsi di formazione e aggiornamento nelle aziende con incentivi ed esenzioni fiscali.

4.6

Con la strategia di Lisbona si è insistito sul fatto che metodi e sistemi di formazione ben funzionanti e in grado di rispondere efficacemente alle richieste del mercato del lavoro sono un elemento chiave per raggiungere uno dei principali obiettivi della strategia stessa, e cioè la costruzione di una economia basata sulla conoscenza.

4.7

Ridurre gli ostacoli all'occupazione dei lavoratori anziani significa anticipare gli effetti dei cambiamenti demografici.

5.   Per un patto tra generazioni

5.1

Il Comitato economico e sociale europeo, già nel 2004, aveva sottolineato l'importanza di fornire un sostegno al patto tra generazioni al fine di garantire ai cittadini degli Stati europei un ricambio generazionale sufficiente nel mercato del lavoro, uno stato sociale adeguato alle nuove realtà demografiche e delle normative europee che favorissero le politiche occupazionali, la riqualificazione professionale e l'avvicinamento tra il mondo della scuola e le imprese (7).

5.2

In ogni caso, le politiche a favore della «buona» occupazione debbono essere orientate anche a favorire l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro seguendoli per l'intera durata della loro carriera (8), senza che ciò crei una «frattura numerica» tra i giovani lavoratori e gli anziani che intendono rimanere nel posto di lavoro.

5.3

Il CESE lanciava allora una sfida, che era quella di «contribuire, per il futuro, ad una maggiore concertazione su una problematica di fondamentale importanza, che implica l'intervento coordinato e prolungato di svariati soggetti, richiede che si eviti il prevalere di interessi a breve termine e presuppone la continuità di un disegno costruttivo. Si tratta in pratica di forgiare progressivamente un nuovo patto tra le generazioni nell'intera Unione europea».

5.4

La ricerca e l'innovazione sono ambiti in cui è indispensabile investire se si vuole assicurare alle future generazioni europee un avvenire di benessere e una qualità della vita soddisfacente e sostenibile. È perciò importante tenere in considerazione anche l'età media dei ricercatori e degli scienziati europei, nonché la necessità di inserire dei giovani in questi settori chiave.

5.5

L'insufficienza di investimenti nella ricerca che caratterizza tutta l'Europa, la quale si trova ancora ben lontana dagli obiettivi della strategia di Lisbona, non permette ai giovani ricercatori, spesso costretti a lavorare in condizioni di accentuata precarietà, di costruirsi un futuro e una carriera nell'ambito della ricerca scientifica e tecnologica. Una Europa in cui l'età media degli scienziati è più alta rispetto alle altre potenze mondiali è a rischio per il futuro.

In India e in Cina, per esempio, il numero di laureati in materie scientifiche è in aumento, tanto che il 60 % di ricercatori e scienziati attivi negli USA provengono ormai da questi paesi. In molti paesi europei, invece, le facoltà scientifiche hanno visto una netta diminuzione degli iscritti negli ultimi anni.

5.6

Il problema dell'invecchiamento della popolazione ha degli effetti diretti anche sulla coesione territoriale: i giovani tendono infatti a lasciare alcune aree per cercare un'occupazione in quelle ove le condizioni di vita e di lavoro sono migliori. Ciò accentua il divario tra le regioni dove l'economia è più sviluppata e le altre, che così si impoveriscono e invecchiano più rapidamente.

5.7

La possibilità di conciliare la vita privata e quella lavorativa è un pilastro del modello sociale europeo. L'aumento dell'età media della popolazione europea pone il problema di un rilancio della natalità. Ciò va inteso unicamente nel senso di dare la possibilità a tutte le coppie di avere dei figli senza per questo dover rinunciare a una vita professionalmente attiva o addirittura dover abbassare considerevolmente il tenore di vita del nucleo familiare, fino a soglie che, in casi frequenti, sfiorano la povertà. I giovani di oggi, date le condizioni di lavoro precarie che li contraddistinguono e che non garantiscono loro alcuna sicurezza per il futuro, hanno la tendenza ad avere meno figli o a non averne affatto.

5.8

Per raggiungere l'obiettivo di un aumento progressivo della natalità occorre che tutti i servizi sociali, sanitari e scolastici (asili nido, assistenza medica, prevenzione, aiuti economici, ecc…) siano potenziati, migliorati e adeguati alla realtà demografica dei paesi UE.

6.   Occupazione femminile e natalità

6.1

Nel 2005 il tasso di occupazione delle donne era pari, nell'UE a 25, al 56,3 %. Il problema dell'occupazione femminile risulta meno marcato nei paesi dell'Europa del Nord e più serio nei paesi mediterranei. Ma anche le donne inserite nel mondo del lavoro faticano non poco a costruirsi un percorso che consenta loro di potere cumulare quote consistenti ai fini previdenziali. Nel loro rapporto con il mondo del lavoro, infatti, le donne devono affrontare numerosi problemi:

sono loro quelle che soffrono oggi maggiormente per la precarietà, l'instabilità del posto di lavoro, l'instabilità economica in generale e spesso le condizioni di indigenza,

il gap salariale rispetto agli uomini rappresenta ancora un elemento estremamente negativo in quasi tutti i paesi dell'UE (in media il 24 % in meno a parità di lavoro),

in quasi tutti paesi dell'UE l'insufficienza dei servizi all'infanzia e di quelli di cura e assistenza per gli anziani costringe ancora soprattutto le donne a sacrificare la propria carriera per destinare più tempo alla cura delle persone care,

direttive importanti, come quella relativa ai congedi parentali, non sono sufficientemente prese in considerazione e le donne devono ancora scegliere tra la maternità e la carriera,

occupazione femminile e natalità non devono essere in contrasto: in questo senso vanno prese ad esempio le buone pratiche dei paesi i cui sistemi fiscali permettono alle donne di rientrare nel mercato del lavoro più agevolmente dopo la nascita dei figli, senza alcuna penalizzazione di carriera o salariale. Va inoltre sottolineato che sono ancora insufficienti gli incentivi nei confronti degli uomini a condividere le responsabilità della nascita di un figlio.

6.2

La Commissione ritiene, giustamente, che la riduzione del numero di cittadini in età lavorativa possa in parte essere compensata con una serie di misure tra cui, almeno nel breve periodo, un incremento della partecipazione delle donne al mondo del lavoro. I cambiamenti culturali che negli ultimi decenni hanno permesso alle donne di lavorare e conquistarsi l'indipendenza, si riflettono nelle differenze dei tassi di occupazione femminile delle diverse generazioni. In Europa, infatti, le donne giovani sono più presenti nel mondo del lavoro di quanto non lo siano le donne di mezza età.

6.3

La crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro è indubbiamente un elemento positivo e di civiltà; secondo tuttavia quanto rilevato da diverse analisi statistiche anche recenti, essa non è ancora sufficiente e dovrà inoltre necessariamente tradursi nell'applicazione effettiva di condizioni di lavoro e di retribuzione identiche a quelle degli uomini, nonché in una difesa delle donne da abusi e discriminazioni nei luoghi di lavoro e nella società. Le differenze nella occupazione delle donne e degli uomini si ritrovano peraltro anche in campo imprenditoriale: esistono infatti macroscopiche differenze tra il numero degli imprenditori e quello delle imprenditrici. Stati membri ed Unione europea devono quindi rinforzare gli strumenti che già hanno e dotarsi di nuovi, al fine di incentivare e proteggere il lavoro delle donne.

7.   Il ruolo e il peso dell'immigrazione di fronte ai cambiamenti demografici

7.1

Nell'Unione europea l'immigrazione è una realtà in costante crescita. La macroscopica differenza tra le economie e gli standard di vita europei e quelli dei paesi in via di sviluppo favorisce la migrazione verso i paesi più ricchi del nostro continente. L'immigrazione non deve essere considerata una minaccia, ma piuttosto un fenomeno che, attraverso politiche organiche, può rappresentare un potenziale fattore di crescita, sviluppo e integrazione.

7.2

In una situazione di invecchiamento generalizzato della popolazione, e di parallelo ridimensionamento della popolazione attiva, i lavoratori migranti svolgono nell'UE delle mansioni che si conciliano efficacemente con i bisogni produttivi, economici e sociali dello Stato che li ospita. È dunque necessario declinare le politiche del lavoro e dell'integrazione in modo da allocare nella maniera migliore le risorse umane disponibili, compresi gli immigrati, valorizzandone competenze, esperienze professionali e titoli di studio (9).

7.3

Anche la Commissione, infatti, afferma che l'immigrazione può svolgere un ruolo positivo negli aggiustamenti del mercato del lavoro. A condizione inoltre di essere occupati nella economia formale, i lavoratori immigrati contribuiscono al finanziamento del sistema di protezione sociale attraverso il pagamento delle tasse e dei contributi per i sistemi di sicurezza sociale e costituiscono quindi una novità importante per il futuro del mercato del lavoro europeo dei prossimi anni. Inoltre non va sottovalutata l'importanza del sostegno economico che le rimesse degli immigrati rappresentano per le famiglie di origine, di cui spesso costituiscono l'unica fonte di sostentamento. Ecco perché una migliore integrazione dell'immigrazione è un obiettivo indispensabile per gli Stati dell'UE (10).

7.4

La necessità di un'inclusione nella economia formale non riguarda d'altronde soltanto i lavoratori immigrati: l'invecchiamento della popolazione pone infatti urgentemente all'ordine del giorno questioni quali la lotta al lavoro nero e al precariato per rendere le economie nazionali più sane e sostenibili.

8.   La sostenibilità dei sistemi di welfare nell'UE

8.1

Già in diversi documenti la Commissione europea ha affermato che al fine di realizzare una sostenibilità concreta delle finanze pubbliche degli Stati membri occorre intervenire per tenere sotto controllo il debito pubblico o ridurlo in maniera importante, progressiva e costante. Per raggiungere tale obiettivo è necessario garantire un'allocazione delle risorse efficiente, senza per questo farne risentire la qualità e l'universalità dei servizi pubblici.

8.2

È soprattutto per i cambiamenti demografici che creano allarme per la sostenibilità del welfare state, che i diversi sistemi di finanziamento della protezione sociale degli Stati dell'Unione europea devono garantire, pur nelle loro differenze e peculiarità, un funzionamento efficace, equo e trasparente al servizio dei cittadini.

8.3

Il CESE sottolinea la funzione importante che hanno, nell'integrare il sostegno alle famiglie e agli anziani, i servizi sociali di interesse generale ed i soggetti dell'economia sociale. Nel riconoscere la rilevanza di queste attività, occorre dunque anche sostenere concretamente, sulla base di requisiti condivisi, queste realtà che svolgono un ruolo utile per la società.

8.4

Importante può essere in questo senso il ruolo dell'Unione europea: la strategia di Lisbona (integrazione tra politiche sociali, economiche e occupazionali) aveva rappresentato un approccio innovativo straordinario, e uno dei suoi strumenti, il «metodo aperto di coordinamento», può essere considerato una delle novità più interessanti nella politica comunitaria degli ultimi anni. Purtroppo si è trattato di uno strumento troppo poco utilizzato e spesso sottovalutato, mentre nello stesso tempo quello legislativo comunitario veniva abbandonato. Il modello sociale europeo rimane, bisogna riconoscerlo, ancora un obiettivo tutto da costruire, ma non è certo un ostacolo da sacrificare nel nome del mercato interno.

8.5

In alcuni paesi europei, e a maggior ragione di fronte a macro fenomeni quale l'innalzamento dell'età media della popolazione, il finanziamento dei sistemi previdenziali e pensionistici è fortemente minacciato dalla piaga dell'evasione fiscale e contributiva. Ogni volontà riformatrice dello Stato sociale, della previdenza, della sanità e delle politiche a favore dell'occupazione non può prescindere dalla lotta a reati come l'evasione e l'elusione fiscale che, per primi, mettono a repentaglio l'esistenza di bilanci statali sostenibili.

8.6

Il CESE, conseguentemente, intende sottolineare quanto sia importante, nella ricerca di soluzioni ed adattamenti ai cambiamenti demografici, combattere l'evasione fiscale e contributiva, così come la riduzione del numero dei contribuenti.

9.   I sistemi pensionistici

9.1

Il declino della popolazione in età lavorativa e l'aumento dei lavoratori pensionati, fenomeni questi entrambi provocati dall'aumento della speranza di vita, sono al centro di numerosi documenti presentati dalla Commissione europea in materia di sostenibilità dei sistemi pensionistici.

9.2

È necessario che nel corso dei prossimi decenni i sistemi pensionistici si pongano in grado di garantire alle future generazioni una vecchiaia serena e dignitosa. Ecco perché, come prima analisi, il problema degli effetti dell'invecchiamento sui sistemi pensionistici non può essere risolto esclusivamente con l'incentivo ad utilizzare pensioni integrative o private: sarebbe infatti una pericolosa semplificazione. Piuttosto, è necessario dotarsi di strumenti efficaci per rendere tali forme pensionistiche complementari più semplici, sicure, affidabili e al riparo dalle imprevedibili oscillazioni dai mercati finanziari. Andrà inoltre rafforzata la vigilanza sui fondi pensionistici privati, in modo da estendere il sistema di controllo e garantire il rigore di gestione.

9.3

In molti paesi dell'UE, la crisi che i sistemi pensionistici attraversano non deriva soltanto dall'invecchiamento della popolazione, ma anche dal fatto che i contributi diminuiscono senza che le risorse siano recuperate altrove (ad es. attraverso la lotta all'evasione fiscale e contributiva), mentre la domanda pensionistica dei cittadini continua ad aumentare.

9.4

Il fenomeno è ulteriormente aggravato dal fatto che le giovani generazioni entrano nel mondo del lavoro sempre più tardi, e frequentemente sulla base di contratti precari e poco retribuiti, e dunque versano un ammontare di contributi pensionistici inferiore a quello che versavano i loro genitori alla stessa età.

9.5

L'invecchiamento della popolazione potrebbe rendere necessario un prolungamento della permanenza sul mercato del lavoro ma, specialmente per alcuni paesi dell'Unione, è ancor più urgente ridurre il ritardo nell'entrata nel mondo del lavoro e, più in generale, garantire migliori opportunità e condizioni di lavoro all'inizio della carriera lavorativa.

9.6

Le proiezioni della Commissione europea fino al 2050 prevedono un aumento della spesa pensionistica in tutti i paesi dell'UE, tranne che in Austria, grazie alle riforme introdotte nel 2000. Se per Italia e Svezia sono previsti solo leggeri innalzamenti della spesa pensionistica, visto che i relativi sistemi pensionistici pubblici sono basati sul sistema contributivo, per gli altri paesi si prevedono aumenti molto significativi, che arrivano fino al 9,7 % nel caso del Portogallo.

9.7

Il problema della sostenibilità dei sistemi pensionistici non può dunque essere analizzato e risolto come un elemento isolato: occorre invece avere una idea chiara delle sue cause, che non si limitano ad un fenomeno endogeno alla società europea quale l'invecchiamento generalizzato della popolazione, ma si collegano alle diverse realtà del mercato del lavoro, della crescita economica e dei sistemi di protezione sociale dei diversi paesi dell'UE.

9.8

Gli obiettivi da porsi per affrontare la questione della sostenibilità dei sistemi pensionistici vanno al di là del semplice innalzamento dell'età pensionabile: tale misura infatti, se utilizzata senza criteri specifici, potrebbe rivelarsi del tutto inefficace e anche dannosa per la qualità della vita dei cittadini europei.

9.9

Tenendo presenti infatti le differenze che esistono tra i vari tipi di lavoro, e la presenza tra essi di lavori usuranti, ripetitivi e di fatica, la soluzione all'invecchiamento della popolazione non può essere un aumento dell'età pensionabile tout court: lavorare più anni non ha lo stesso peso per tutte le professioni e bisogna prendere in considerazione la differenza che esiste tra età legale di pensionamento ed età reale di uscita dal mondo del lavoro.

9.10

La lotta alla precarietà e al lavoro nero, un sostegno alle politiche salariali, una più sana redistribuzione della ricchezza ed una coesione sociale più efficace vanno di pari passo con un inevitabile, graduale e volontario innalzamento della età pensionabile, da concordare e sostenere attraverso un dialogo continuo con i partner sociali e la società civile.

10.   La sanità

10.1

È di immediata comprensione il fatto che ad un aumento della età media nella popolazione consegue un incremento della spesa sanitaria. Ma prevedere quale sarà l'andamento della spesa sanitaria e in quali specifici ambiti sarà necessario investire maggiormente da qui ai prossimi decenni, è un esercizio estremamente complesso. Non è possibile calcolare quanto denaro pubblico si dovrà investire per la salute basandosi solo sui trend demografici; le spese sanitarie dipenderanno infatti anche dal tipo di politiche che si decideranno di attuare in questo ambito, dai progressi della scienza medica, dall'evoluzione delle malattie, dai livelli dell'inquinamento e dalle scelte politiche e tecnologiche che si faranno per tentare di contenerlo.

10.2

Come però già detto, tutte le analisi dimostrano che andiamo incontro ad uno scenario in cui si lavorerà più a lungo. Ora, i lavoratori più anziani, per questioni «anagrafiche», sono inevitabilmente più soggetti a rischi di malattie o di cedimenti del fisico di quanto lo siano i loro colleghi più giovani. Dato che andremo certamente incontro ad una popolazione di lavoratori anziani sempre crescente, occorre, da subito, concepire ed attuare un sistema sanitario che sia in grado, in tutti gli Stati membri dell'Unione europea, di assicurare politiche efficaci di prevenzione. Inoltre i lavoratori precari di lunga durata si troveranno in una situazione di bisogno una volta raggiunta l'età della pensione; essi dovranno essere presi in carico in modi diversi, conformemente a quanto stabilito dai rispettivi Stati membri, dalla solidarietà collettiva, anche per quanto riguarda la sanità e l'assistenza. Di conseguenza, l'aumento della precarietà avrà delle conseguenze dirette sui costi del welfare.

10.3

Se l'obiettivo è quello di tenere la spesa pubblica a livelli sostenibili, gli Stati membri e l'Unione europea debbono unire gli sforzi per realizzare programmi adeguati di cura, prevenzione degli infortuni, monitoraggio e scambio di informazioni, creando così un collegamento più stretto ed efficace tra il mondo del lavoro e la sanità.

10.4

Non tutti i lavori sono uguali. L'invecchiamento si ripercuote diversamente sulla forza lavoro anche a causa del fatto che esistono lavori più o meno usuranti, più o meno rischiosi, più o meno ripetitivi: l'età avanzata ha conseguenze diverse a seconda della professione. Un lavoratore anziano non può svolgere lavori manuali di fatica, mentre può svolgere più facilmente lavori di ufficio o intellettuali.

10.5

Il prolungamento della vita lavorativa, dunque, pone problemi sanitari nettamente più importanti per quanto riguarda i lavoratori che svolgono mestieri usuranti. Di questo fattore occorre tenere conto. Se si pensa, in prospettiva, ad un pensionamento — nei settori che lo consentono — in un'età sempre più avanzata, si devono compiere sin d'ora degli sforzi rilevanti nell'ambito sanitario e in quello della sicurezza sul lavoro.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Il CESE ha già avuto occasione di sottolineare il bisogno di ricerche sul fenomeno dell'invecchiamento nell'UE; si veda, a proposito del Settimo programma quadro di ricerca, il parere Esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demografici, GU C 74 del 23.3.2005, pag. 44 e cfr. nota 1.

(2)  Cfr. la recente comunicazione della Commissione europea L'avenir démographique de l'Europe, transformer un défi en opportunité, COM(2006) 571 def.

(3)  A tale proposito si veda il recente parere del CESE Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 157.

(4)  Cfr. il parere CESE 92/2007 Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti.

(5)  Cfr. il Framework of actions for the lifelong learning development of competencies and qualifications, firmato da CES, UNICE e CEEP.

(6)  Si vedano, ad esempio, i recenti pareri CESE Competenze chiave per l'apprendimento permanente, GU C 195 del 18.8.2006, pag. 109 e Rapporti fra generazioni, GU C 157 del 28.6.2005, pag. 150.

(7)  Cfr. il parere del CESE Rapporti fra generazioni, GU C 157 del 28.6.2005, pag. 150.

(8)  A titolo di esempio, si veda per quanto riguarda la qualità del lavoro la comunicazione della Commissione Migliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi, COM(2003) 728 def.

(9)  Cfr. il parere del CESE Immigrazione, integrazione e occupazione, GU C 80 del 30.3.2004, pag. 92.

(10)  Cfr., al proposito, il recente parere del CESE L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile, GU C 318 del 23.12.2006 pag. 128.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale

COM(2006) 254 def.

(2007/C 161/02)

La Commissione, in data 31 maggio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo si rammarica che, finora, le iniziative della Commissione volte a contrastare la frode fiscale non trovino adeguato sostegno dalla cooperazione degli Stati membri, sostiene le iniziative che verranno ulteriormente prese in tal senso ed esorta la Commissione ad avvalersi di tutti i poteri che già attualmente i trattati riconoscono alle istituzioni europee.

1.2

Il CESE ritiene che la comunicazione della Commissione sia sufficientemente articolata e ponga nella giusta angolazione i problemi della lotta contro la frode fiscale, individuando nel rafforzamento della cooperazione amministrativa tra gli Stati membri lo strumento principale per contrastare il dilagare del fenomeno.

1.3

La comunicazione affronta concretamente il problema del rapporto con gli Stati terzi, proponendo un approccio comunitario. Il CESE è d'accordo con questa proposta.

1.4

Il CESE condivide la proposta di «ripensare l'IVA», che peraltro aveva già in diverse occasioni auspicato, considerando l'opportunità di convocare un «think tank» dedicato al superamento dell'IVA, con il vincolo che un'eventuale nuova tassa, in sostituzione dell'IVA, non determini aggravi di imposta per le imprese e i cittadini.

1.5

Il CESE raccomanda alla Commissione di utilizzare in pieno le attuali competenze dell'OLAF, che già assegnano importanti funzioni all'organismo antifrode europeo. Essa dovrebbe valutare se l'OLAF dispone di mezzi adeguati per lo svolgimento dei suoi compiti istituzionali.

1.6

Il CESE considera assolutamente prioritaria la proposta di rendere sempre più efficace la cooperazione tra gli organi nazionali antifrode, possibilmente collegando in rete le forze di polizia e gli organismi investigativi, onde consentirgli di condividere tra loro le banche dati disponibili e raccomanda di approfondire le questioni tecniche e giuridiche connesse.

1.7

La proposta del Forum di alto livello per la cooperazione amministrativa va nella giusta direzione e sono realmente incomprensibili le resistenze burocratiche e gli ostacoli che sembrano frapporsi a questa idea.

1.8

Il CESE ritiene efficace inserire nella normativa comunitaria quanto è già stato realizzato in alcuni Stati membri, introducendo il criterio del «valore normale di mercato» in funzione antifrode.

1.9

Il CESE raccomanda di usare grande cautela nell'introdurre misure di solidarietà tra cedente e cessionario, prevedendo comunque l'inversione dell'onere della prova in caso di transazioni apparentemente ingiustificate, anche alla luce delle sentenze della Corte di giustizia.

1.10

Il CESE ritiene meritevole di ulteriori approfondimenti la proposta della Commissione di introdurre adempimenti semplificati per gli operatori che cooperano con l'amministrazione e, di converso, controlli e procedure più stringenti per i soggetti «a rischio».

1.11

Il CESE chiede alla Commissione di proseguire il finanziamento dei programmi comunitari di promozione di azioni nel settore della tutela degli interessi finanziari della Comunità, come l'Hercule II.

1.12

Il CESE raccomanda di armonizzare le previsioni della direttiva 77/799/CEE con quanto già previsto in materia di imposizione indiretta e di omogeneizzare i diversi sistemi di imposizione IVA.

2.   I contenuti della comunicazione

2.1

La comunicazione della Commissione si propone di «sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta alla frode fiscale», prendendo atto che il quadro giuridico comunitario, pur essendo stato migliorato e rafforzato, è scarsamente utilizzato e la cooperazione amministrativa non è proporzionale allo sviluppo del commercio intracomunitario.

2.2

La Commissione ritorna pertanto sull'argomento, già più volte affrontato, dell'esigenza di rafforzare la cooperazione amministrativa tra le amministrazioni tributarie degli Stati membri, che costituisce uno strumento per combattere frodi fiscali ed evasione, che possono determinare perdite di bilancio e provocare distorsioni delle condizioni di concorrenza, pregiudicando il funzionamento del mercato interno.

2.3

In occasione della presentazione della comunicazione, László KOVÁCS — commissario per la fiscalità e l'unione doganale — ha dichiarato: «Credo fermamente che sia tempo di prendere in considerazione nuove strade per combattere in maniera più efficace la frode fiscale. L'estensione di questo fenomeno è diventata veramente preoccupante».

2.4

Gli economisti ritengono che il giro d'affari complessivo originato dalla frode fiscale si aggiri tra il 2 e il 2,5 % del PIL, per un totale di 200-250 miliardi di euro. Le frodi IVA cosiddette «carosello» costituiscono uno dei problemi maggiori, ma il contrabbando e la contraffazione di alcool e tabacco e le frodi in materia di fiscalità diretta sono questioni altrettanto serie. Dopo il 1993, la libertà di movimento per beni, servizi, persone e capitali nel mercato interno ha reso più difficile per gli Stati membri condurre in maniera isolata un'efficace lotta contro la frode fiscale.

2.5

Nell'ambito delle imposte indirette, le norme comunitarie prevedono per gli Stati membri regole comuni (procedure uniformi, individuazione delle autorità competenti, modalità di trasmissione dei dati) dirette a favorire la cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni.

2.6

Tre sono i settori di intervento prioritario individuati dalla Commissione:

2.6.1   Miglioramento della cooperazione amministrativa tra gli Stati membri

2.6.1.1

La Commissione ritiene che un miglioramento dei risultati nella lotta contro la frode fiscale sarà ottenuto attraverso:

meccanismi di cooperazione più efficienti. L'assenza di una cultura amministrativa comunitaria è un ostacolo alla lotta alla frode fiscale e tale mancanza è spesso motivata con problemi linguistici, indisponibilità di risorse umane o non conoscenza delle procedure di cooperazione da parte dei funzionari incaricati. Tali problematiche si traducono, a livello operativo, nel mancato rispetto dei termini previsti per corrispondere alle richieste di cooperazione in ambito fiscale provenienti da altri Stati membri,

il rafforzamento della legislazione in materia di cooperazione nel campo della tassazione diretta e dell'assistenza alla riscossione,

un più veloce accertamento e una migliore gestione dei rischi, che permetterebbe agli Stati membri di essere informati rapidamente dei potenziali rischi di frode a cui possono essere soggetti, specialmente nel caso di nuove imprese straniere che intendono stabilirsi per la prima volta sul loro territorio,

la creazione di un Forum permanente sulla cooperazione amministrativa a livello comunitario, per tutte le imposte dirette e indirette.

2.6.2   Nuovo approccio comunitario di cooperazione con i paesi terzi

2.6.2.1

«La frode fiscale non si arresta alle frontiere esterne dell'Unione europea». La Commissione propone un approccio comunitario alla cooperazione con i paesi terzi che, attualmente basata su accordi bilaterali tra i singoli Stati, dà luogo a situazioni diversificate facilmente sfruttate dagli evasori fiscali. La Commissione propone, inoltre, di includere le clausole di cooperazione in materia fiscale all'interno del quadro degli accordi di partenariato economico che l'Unione conclude con i suoi partner economici.

2.6.3   Modificare l'attuale sistema IVA

2.6.3.1

La Commissione apre il dibattito sulla possibilità di rinforzare il principio di responsabilità solidale per il pagamento dell'IVA con riguardo ai principi di proporzionalità e di sicurezza giuridica.

2.6.3.2

La Commissione sta, inoltre, prendendo in considerazione la possibilità di estendere l'applicazione del meccanismo di inversione contabile — attualmente obbligatorio solo per alcune transazioni, mentre per altre può o meno essere imposto a discrezione degli Stati membri — alle transazioni interne di uno Stato membro. La Commissione ritiene che ogni cambiamento apportato all'attuale normativa in vigore sull'IVA dovrà ridurre in modo considerevole le possibilità di frode, escludere nuovi rischi e, soprattutto, non generare sproporzionati adempimenti amministrativi per le imprese e per le amministrazioni nonché assicurare la neutralità fiscale e un trattamento non discriminatorio degli operatori.

2.7   Altre strade innovatrici

2.7.1

La Commissione propone, inoltre, che siano oggetto di riflessione altre misure specifiche quali:

il rafforzamento degli obblighi di dichiarazione fiscale per i soggetti considerati «a rischio»,

la riduzione di questi obblighi per le imprese che ottengano un'autorizzazione per entrare in collaborazione con le autorità fiscali,

l'utilizzazione di sistemi informatici standardizzati e di alta qualità, per il rapido scambio di informazioni.

3.   Il quadro giuridico comunitario

3.1

Il Comitato ritiene che gli strumenti giuridici offerti dal vigente quadro normativo comunitario siano sufficienti a contrastare la frode fiscale. Ciò che appare, invece, necessario ed urgente è sollecitare gli Stati membri ad utilizzare, in maniera più diffusa e rispettando la tempistica e le modalità previste, i vigenti strumenti di cooperazione amministrativa. Infatti, nell'attuale scenario economico globalizzato nel quale anche le frodi assumono connotazione transnazionale, appare indispensabile disporre delle informazioni richieste in tempi compatibili con lo svolgimento delle indagini.

3.2

In ogni caso, al fine di disporre di un sistema più omogeneo tra i comparti impositivi diretto ed indiretto, la Commissione potrebbe armonizzare le previsioni della direttiva 77/799/CEE con quanto già previsto in materia di imposizione indiretta e prevedere metodi più efficienti per lo scambio di informazioni, tenendo conto delle opportunità offerte dalla tecnologia informatica. È altresì importante omogeneizzare i diversi sistemi di imposizione IVA, con particolare riguardo agli adempimenti dei soggetti obbligati.

3.3

Il quadro normativo comunitario può essere articolato in cinque filoni fondamentali:

assistenza reciproca,

cooperazione in ambito IVA,

cooperazione in materia di accise,

recupero crediti,

programma Fiscalis.

3.4

I riferimenti alla normativa comunitaria, unitamente ad una breve sintesi dei relativi provvedimenti, sono riportati nell'allegato A.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato ritiene che la crescente diffusione della frode fiscale sia da contrastare con maggiore energia e si rammarica del fatto che l'azione degli Stati membri e la loro cooperazione siano giudicate dalla Commissione come assolutamente insufficienti, nonostante un complesso ed articolato quadro giuridico.

4.2

La distorsione che le pratiche di evasione e di elusione fiscale arrecano al buon funzionamento dell'economia e del mercato interno rappresenta un serio problema finora sottovalutato, come è stata altresì sottovalutata la connessione tra i capitali sottratti al fisco, il riciclaggio di denaro sporco e la criminalità economica. Infatti, condotte fraudolente finalizzate alla indebita percezione di provvidenze nazionali e comunitarie sono spesso realizzate mediante la predisposizione di documenti fiscali falsi e, viceversa, i capitali frutto di frode fiscale, anche attraverso operazioni cross-border, sono sovente utilizzati per intraprendere ulteriori azioni illecite o criminose.

4.3

Relativamente alla rilevanza dell'elusione — che, a differenza dell'evasione fiscale, si sostanzia nel compimento di comportamenti di per sé non vietati, ma preordinati e finalizzati unicamente ad ottenere un indebito risparmio d'imposta — il Comitato rileva che le legislazioni nazionali non hanno affrontato in modo omogeneo la tematica. Al fine di evitare il proliferare di costi amministrativi e sociali conseguenti ad una normativa non sempre lineare, si ritiene opportuno un intervento che riavvicini le legislazioni nazionali in materia, introducendo una clausola antielusiva generale ovvero definendo, in maniera comune, una casistica delle fattispecie al verificarsi delle quali le amministrazioni fiscali possano esercitare il potere di disconoscimento — agli effetti tributari — degli effetti giuridici prodotti dai negozi ritenuti elusivi.

4.4

Il Comitato ritiene che le proposte della Commissione siano fin troppo caute nell'affrontare il tema, considerando la competenza riconosciutale nei trattati ad adottare tutte le misure necessarie per garantire l'equilibrio finanziario delle istituzioni europee. La Commissione dispone, infatti, di significativi poteri di attuazione conferitigli dal Consiglio, come previsto dalla decisione del Consiglio 1999/468/CE, del 28 giugno 1999. In proposito, si richiama l'applicazione del principio di sussidiarietà — sancito dall'art. 5 del Trattato UE — che impone l'intervento comunitario anche nelle materie di non esclusiva competenza, qualora gli obiettivi prefissati non possono essere realizzati dagli Stati membri, ovvero possono essere meglio perseguiti a livello comunitario. Il Comitato sollecita la Commissione ad utilizzare tali poteri in pieno.

4.5

La Commissione, già dal giugno 2001 con la comunicazione La politica fiscale dell'Unione europeaPriorità per gli anni a venire (COM(2001) 260 def.), ha posto l'accento sulla necessità di adottare tutti gli altri strumenti disponibili, oltre a quelli legislativi, per il conseguimento degli obiettivi prioritari. In quella sede, è stato posto l'accento sul fatto che la politica fiscale era, ed è tuttora, subordinata all'adozione delle decisioni all'unanimità (1).

4.6

Il Comitato, fin da allora, sosteneva l'esigenza di modificare il regime transitorio e di pervenire in tempi rapidi al regime definitivo basato sul principio dell'imposizione nel paese d'origine. Con una certa enfasi, il Comitato si domandava allora: «quanti anni ancora di regime transitorio precario dovranno passare prima che tale obiettivo sia conseguito», chiedendo la semplificazione e modernizzazione delle norme, una loro applicazione più uniforme e una maggiore cooperazione amministrativa. Sembrerebbe che nessun progresso sia stato fatto.

4.7

Il Comitato sostiene l'indirizzo generale di rafforzare la cooperazione andando oltre il vigente sistema di scambi di informazione (VIES) e sviluppando misure di scambi automatici o spontanei di notizie tra Stati membri.

4.8

Il Comitato apprezza l'apertura del dibattito sulla modifica del sistema IVA, ma sottolinea l'esigenza che sia fatto un approfondito studio di impatto, partendo dal presupposto che le eventuali modifiche siano nel segno dell'efficacia e della semplificazione e che non costituiscano uno strumento per aumentare il carico fiscale sui cittadini e sulle imprese. In proposito, si richiama la proposta, già avanzata da questo Comitato (2), di esaminare anche sistemi di imposizione sui consumi alternativi all'IVA che garantiscano un gettito almeno pari a quello attuale ma siano meno onerosi per la collettività e più efficaci dal punto di vista della riscossione.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Imposta sul valore aggiunto

L'attuale sistema di tassazione ai fini IVA degli scambi intracomunitari si fonda sul principio di tassazione nel paese di destinazione, in grado di garantire la parità di trattamento tra i prodotti nazionali e quelli provenienti da altri Stati comunitari, realizzato attraverso il meccanismo della non imponibilità delle operazioni di cessione e della connessa imponibilità degli acquisti nel paese di destinazione con la medesima aliquota prevista per le operazioni interne.

Tale sistema era stato introdotto — nel regime transitorio e, pertanto, in via temporanea — in quanto l'applicazione del principio di tassazione nel paese d'origine avrebbe richiesto la necessaria tempistica per l'adozione di un'adeguata struttura che permettesse una corretta ridistribuzione tra i paesi membri delle entrate ovunque riscosse, in proporzione ai rispettivi consumi. Ne consegue che l'adozione di tale sistema non può prescindere da un riavvicinamento delle aliquote fiscali, in modo da evitare il prodursi di effetti distorsivi sul piano della concorrenza.

5.1.1   Le frodi «carosello» all'IVA

Il regime transitorio degli scambi intracomunitari, pur offrendo ampie opportunità in materia di libera circolazione delle merci, espone i singoli Stati membri ai danni derivanti da ingenti evasioni e frodi fiscali.

5.1.1.1

Una delle tipologie di frode all'IVA connotata da maggiori elementi di pericolosità, in relazione all'ammontare dell'imposta evasa, e di insidiosità avuto riguardo alle difficoltà di individuazione è quella denominata «carosello», che comporta l'utilizzo di sistemi volti a sottrarsi all'IVA, mediante l'utilizzo strumentale di società create ad hoc che operano in un contesto internazionale. La finalità consiste nel non pagare l'IVA dovuta per permettere agli altri anelli della catena della frode di dedurre importi fittizi dell'imposta, al fine di ottenere un rimborso o di ridurre il debito IVA. Per raggiungere tale scopo illecito, di norma, l'operatore inadempiente non svolge attività economica reale, non dispone di strutture operative e spesso la sede dell'attività è limitata ad una casella postale. Tale soggetto scompare, senza produrre la relativa dichiarazione e versare le imposte a debito, dopo alcuni mesi di «formale attività», onde rendere difficoltosa la sua individuazione alle amministrazioni fiscali.

5.1.1.2

Il Comitato ritiene che le «frodi carosello» siano state possibili anche a causa di una insufficiente cooperazione tra Stati membri, oltre che per i regimi differenziati delle aliquote. Il Comitato suggerisce pertanto che vengano attivate tutte le forme di cooperazione e di scambio di informazioni necessarie, che possono efficacemente contrastare questo fenomeno.

5.1.2   La cooperazione amministrativa nel settore IVA

5.1.2.1

Le condotte evasive nel settore dell'IVA hanno indotto le amministrazioni finanziarie degli Stati membri ad affinare, con sempre maggiore attenzione, le tecniche investigative nella prospettiva di un più efficace contrasto al fenomeno.

La cooperazione amministrativa assume un ruolo determinante per il contrasto alle frodi all'IVA in quanto esse vengono perpetrate attraverso più soggetti economici ubicati in diversi Stati membri.

L'utilizzo di appositi strumenti convenzionali ha permesso agli Stati di porre in essere uno scambio di informazioni che si è dimostrato uno strumento utile per la determinazione della posizione fiscale dei contribuenti e per contrastare e reprimere le frodi fiscali transnazionali.

In materia di cooperazione, già da tempo il Comitato aveva segnalato l'esigenza di un ruolo più attivo della Commissione e, pertanto, valuta con favore l'organizzazione di un sistema di monitoraggio per verificare qualità e quantità dell'assistenza fornita.

5.1.2.2

Ad oggi, infatti, lo scambio di informazioni è ancora lontano dall'essere una prassi abituale per differenze culturali, gradi diversi di informatizzazione, mancanza di norme volte a sanzionare l'inerzia degli Stati. È pertanto necessario creare una cultura uniforme nella consapevolezza che l'invio di richieste di informazioni all'estero deve considerarsi non una eventualità cui ricorrere soltanto in casi eccezionali, ma una fase ordinaria del procedimento di accertamento, ogni qualvolta le caratteristiche del controllo lo richiedano.

A tal fine, si dovrebbero superare gli ostacoli che si frappongono alla diffusione di una cultura amministrativa comunitaria, incentivando il pieno ricorso agli strumenti di cooperazione esistenti, rispettando la tempistica e le modalità previste in modo da consentire agli organi investigativi di disporre delle informazioni richieste in tempi compatibili con lo svolgimento delle indagini.

5.1.2.3

Inoltre, in linea con quanto espresso dalla Commissione con riguardo all'utilizzo di sistemi informatici standardizzati per lo scambio di informazioni, si potrebbe valutare l'opportunità di collegare in rete le forze di polizia e gli organismi investigativi dei singoli Stati membri impegnati nella lotta alla frode fiscale, per lo scambio diretto di informazioni mediante un sistema di posta elettronica certificata, e di condividere le banche dati relative alle notizie concernenti le dichiarazioni dei redditi dei singoli Stati membri, come già avviene con i dati VIES di I e II livello.

Tale iniziativa, che richiede comunque un preventivo accordo sui contenuti dei dati inseriti in tali archivi e la compatibilità con legislazioni nazionali in materia di privacy, consentirebbe un sensibile passo in avanti nel miglioramento dell'azione di contrasto alla frode fiscale, in quanto sarebbe in grado di mettere a disposizione degli organi investigativi le necessarie informazioni in modo diretto, in tempi reali e senza adempimenti burocratici superflui.

5.1.2.4

Inoltre, sebbene la normativa che disciplina gli scambi di informazioni tra gli Stati membri risulti strutturata e soddisfacente, il maggiore limite ad arginare i fenomeni evasivi perpetrati all'interno dell'UE è rappresentato dalla non omogeneità della legislazione che regola l'esercizio dei poteri istruttori da parte delle singole amministrazioni nazionali nonché dalla diversa intensità delle misure repressive.

È intuibile, infatti, che i fenomeni fraudolenti si localizzano nei paesi dove i poteri ispettivi degli organi deputati ai controlli risultano meno penetranti ovvero dove le sanzioni applicabili risultano inidonee a svolgere la loro funzione preventiva.

5.1.2.5

Nel rispetto del principio di sovranità degli Stati membri, sarebbe pertanto opportuno armonizzare, in ambito UE, i trattamenti sanzionatori a fronte di fattispecie di analoga gravità, come già previsto, ad esempio, nell'ambito della normativa antiriciclaggio. Ciò al fine di evitare che legislazioni meno severe o sistemi di accertamento meno efficienti determinino — di fatto — la sussistenza di «paradisi sanzionatori» in cui far confluire i proventi dell'attività criminosa o i terminali delle «frodi carosello».

5.1.3   Il valore normale quale criterio di determinazione dell'imponibile in funzione antifrode

5.1.3.1

L'esigenza di ostacolare pratiche evasive deve essere soddisfatta nel rispetto dei principi comunitari, compresi quelli di non discriminazione e proporzionalità, come più volte sottolineato dalla stessa Corte di giustizia. Tra gli elementi rispetto ai quali sussistono maggiori difformità tra i vari ordinamenti figura quello concernente l'utilizzo di parametri di determinazione dell'imponibile diversi da quello del corrispettivo pattuito tra le parti, non solo nelle ipotesi di autoconsumo o di destinazione a finalità estranee all'impresa, ma anche in tutte quelle in cui si reputa sussistente un rischio di frode o di evasione fiscale.

A tal proposito, si osserva che in tutti gli ordinamenti dei paesi membri il criterio di determinazione dell'imponibile valorizza la volontà negoziale delle parti e mira ad assicurare l'imposizione sul corrispettivo effettivo in quanto la base imponibile è generalmente rappresentata dal corrispettivo contrattuale pattuito per la cessione del bene o la prestazione del servizio. Accanto a tale criterio «base», è utilizzato anche il «valore normale di mercato», al fine di rettificare o ristabilire la base di calcolo dell'imposta, in presenza di talune condizioni.

5.1.3.2

La nozione di valore normale di mercato ai fini IVA è pressoché uguale in tutti gli Stati membri ed è sostanzialmente quella desumibile dalla direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (Sesta direttiva) che lo individua nel prezzo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie in condizioni di libera concorrenza, al medesimo stadio di commercializzazione e nel tempo e nel luogo in cui è effettuata l'operazione, o in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.

5.1.3.3

In tutti gli ordinamenti comunitari, l'utilizzo del valore normale costituisce metodo alternativo di determinazione della base imponibile:

nell'ipotesi in cui manchi totalmente o parzialmente un corrispettivo in denaro. In tal caso, il ricorso al valore normale risponde alla necessità di individuare un criterio che possa esprimere in termini monetari la base imponibile, a cui si affianca anche una funzione antielusiva,

laddove il legislatore ha ritenuto presuntivamente che sussista il rischio (3) di una frode fiscale.

5.1.3.4

In aggiunta a tali ipotesi, casi di deroga al principio della determinazione della base imponibile in base al corrispettivo si hanno nei casi di:

previsione di poteri normativi o amministrativi di fissare basi imponibili minime o non inferiori al valore normale in relazione a determinati beni o settori commerciali, in particolare quello delle vendite immobiliari,

disposizioni che considerano come base imponibile il valore normale dei beni o servizi, quando viene pagato un prezzo unitario per beni e servizi eterogenei,

norme che, pur in presenza di un corrispettivo in denaro, individuano l'imponibile nel valore normale, nel valore di importazione o nel costo di acquisto, quando sussistono legami di dipendenza tra le parti dell'operazione,

cessione o costituzione di diritti reali o diritti d'uso sulla proprietà immobiliare.

5.1.3.5

In proposito, la Corte di giustizia (4) ha affermato che i provvedimenti nazionali idonei alla prevenzione delle frodi o delle evasioni fiscali non possono derogare, di massima, il principio di determinazione della base imponibile IVA secondo il corrispettivo pattuito, contenuto nella Sesta direttiva, se non nei limiti strettamente necessari per raggiungere tale obiettivo.

5.1.3.6

In altri termini, il valore normale è il punto di riferimento per la segnalazione di un'eventuale frode. La base imponibile, costituita dal corrispettivo pattuito, se è inferiore al valore normale, non viene sostituita da quest'ultimo, ma l'amministrazione fiscale può presumere l'esistenza di una frode con l'inversione dell'onere della prova.

5.1.4   La responsabilità solidale nel pagamento dell'imposta

5.1.4.1

Nell'ambito delle iniziative legislative finalizzate a contrastare la diffusione delle «frodi carosello», in alcune legislazioni nazionali sono state introdotte norme che hanno sancito la responsabilità solidale del cessionario per il versamento dell'IVA omesso da parte del cedente con riferimento alla vendita di beni appartenenti a determinate categorie, che risulti praticata a prezzi inferiori al valore normale.

5.1.4.1.1

Tali disposizioni trovano fondamento nell'art. 21 della Sesta direttiva, che riconosce agli Stati la facoltà di far gravare su una persona diversa dal debitore dell'imposta la responsabilità solidale per il versamento della stessa, nel rispetto del principio di proporzionalità.

5.1.4.2

La ratio di tale scelta è costituita dall'assunto secondo cui, alla base di un'operazione regolata a prezzi difformi dal valore di mercato, può nascondersi una diversa realtà sottostante rappresentata dall'esistenza di un disegno fraudolento. In sostanza, al ricorrere delle condizioni previste dalla norma, la malafede del cessionario viene presunta, nella considerazione che, in ragione del prezzo pagato, l'acquirente non poteva non essere consapevole della frode in atto (5). Si tratta di una presunzione relativa, in quanto il cessionario può dimostrare documentalmente che il prezzo inferiore al valore normale sia stato determinato da eventi e situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di disposizioni di legge e che, comunque, non sia collegato al mancato pagamento dell'imposta, determinando, in tal modo, il venir meno dei profili di responsabilità solidale il relazione al mancato versamento dell'imposta da parte del cedente.

5.1.4.3

Il Comitato condivide le preoccupazioni espresse da molti operatori sul principio della responsabilità solidale e, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia (6), ritiene che le eventuali misure debbano essere limitate alla ricerca delle garanzie per il pagamento di quei soggetti che vengono chiaramente individuati come effettivamente tenuti al pagamento dell'imposta. Si potrebbe quindi prevedere che il cessionario sia obbligato in solido col fornitore al pagamento dell'imposta nel caso in cui la cessione sia avvenuta a un prezzo inferiore al valore normale del bene. In presenza di una previsione così incisiva, che penalizza l'acquirente esponendolo al pagamento di un'imposta da altri evasa, occorre circoscrivere la concreta applicazione della norma al ricorrere di specifici presupposti:

la cessione deve avvenire tra soggetti passivi ai fini IVA, escludendo espressamente i consumatori finali,

il cedente abbia omesso, in tutto o in parte, i versamenti IVA dovuti,

il bene oggetto della transazione deve appartenere a una delle categorie espressamente identificate con apposito provvedimento,

la cessione deve essere regolata a un prezzo inferiore al valore normale del bene,

la divergenza tra corrispettivo pattuito e valore normale non può essere giustificata in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili.

5.1.5

Il Comitato condivide la possibilità di estendere il campo di applicazione dell'autoliquidazione alle operazioni interne agli Stati membri. In un recente parere il Comitato ha ritenuto che tale meccanismo «potrebbe rivelarsi necessario per prevenire l'evasione e la frode fiscale. Tale meccanismo è particolarmente utile quando il venditore si trova in difficoltà finanziarie» (7). La stessa Commissione ha esteso il campo di applicazione facoltativo dell'inversione contabile, dopo un positivo esperimento per i materiali di costruzione e per i servizi relativi ai fabbricati. Le misure non dovranno comunque arrecare pregiudizio allo scambio intracomunitario di merci e servizi, laddove differenti obblighi di fatturazione possano compromettere la effettività del mercato interno.

5.2   Imposte dirette

5.2.1

La lotta alla frode fiscale deve necessariamente essere combattuta anche sul più generale piano della armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di imposizione diretta ed accertamento.

5.2.1.1

In seguito all'ampliamento del numero dei paesi appartenenti all'Unione europea, le differenze tra i sistemi tributari sono destinate ad influenzare in misura crescente le decisioni di allocazione dei capitali nei vari paesi e le relative modalità di gestione delle attività imprenditoriali. Infatti, in presenza di un significativo coordinamento delle politiche economiche, le diverse normative fiscali nazionali costituiranno lo strumento con cui gli Stati membri potranno incidere sulle decisioni di localizzazione degli investimenti e delle risorse all'interno dell'Unione europea. Nondimeno, le sensibili differenze che tuttora esistono tra i diversi sistemi di imposizione diretta degli Stati membri potrebbero ostacolare in alcuni casi il processo di integrazione dei mercati (8), creando un impatto negativo sulla competitività dell'economia europea.

5.2.2

Il riavvicinamento delle legislazioni fiscali degli Stati membri è stato oggetto di analisi da parte della Commissione nella comunicazione COM(2003) 726 def. del 24.11.2003. Tuttavia, con riferimento all'imposizione societaria, segnatamente alle misure c.d. comprehensive, destinate a favorire l'istituzione di una imposta europea sulle società fondata su una base imponibile comune consolidata (9), sussistono notevoli difficoltà applicative, riconducibili alle permanenti diversità tra i vari Stati membri sui criteri di formazione della base imponibile. Peraltro, l'adozione di una imposta comune richiede, oltre ad un elevato livello di convergenza delle politiche economiche, anche un quadro giuridico adeguato. Allo stato attuale, l'art. 94 del Trattato CE prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, deliberi all'unanimità in merito alle direttive volte al riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune.

5.2.3

La sussistenza di tale previsione ed il permanere della sovranità fiscale in capo agli Stati membri, che non sembrano agevolare le iniziative volte alla creazione di una base imponibile consolidata comune per le società operanti nell'Unione europea, continuano a costituire un rilevante ostacolo al processo di riavvicinamento dei sistemi di tassazione delle società in ragione sia dell'ampliamento del numero degli Stati membri, che rende particolarmente difficile il raggiungimento dell'unanimità, sia in considerazione della mancata previsione nel testo definitivo della Costituzione per l'Europa della regola della maggioranza qualificata per l'adozione di leggi, o leggi quadro, che stabiliscano misure nel settore dell'imposizione sulle società.

5.2.4

Nella prospettiva di un superamento della regola dell'unanimità, un concreto passo verso l'effettiva armonizzazione delle basi imponibili dell'imposta societaria è costituito dalla analisi — contenuta nella comunicazione SEC(2005) 1785, del 23.12.2005, della Commissione Tackling the corporation tax obstacles of small and medium-sized enterprises in the Internal Market. Outline of a possible Home State Taxation pilot scheme sull'applicazione sperimentale del sistema di Home State Taxation per le piccole e medie imprese (10). Da tale studio, è risultato che i 23 milioni di piccole e medie imprese, esistenti nell'Unione a 25 paesi, rappresentano la parte più rilevante dell'economia europea — costituendo il 99,8 % di tutte le imprese europee — e garantiscono circa il 66 % dell'impiego privato (11). L'effettiva adozione di tale sistema consentirebbe una maggiore internazionalizzazione dell'attività di tali imprese, in quanto verranno ridotti i costi di compliance  (12) che tali imprese sopportano in misura di gran lunga superiore alle imprese di rilevanti dimensioni (13), e sarà ampliata la possibilità di riporto delle perdite che costituisce il principale ostacolo allo sviluppo delle attività economiche transfrontaliere, contribuendo al riavvicinamento, in ambito comunitario, delle legislazioni in materia di tassazione delle società.

5.3   Commercio elettronico

5.3.1

La crescita e l'evoluzione tecnologica del commercio elettronico offre agli operatori economici nuove opportunità, tuttavia i nuovi metodi di scambio impongono adattamenti dei sistemi fiscali, con particolare riferimento agli aspetti connessi all'attuazione delle imposte sui consumi. Infatti, i sistemi tributari, ancorati prevalentemente alle regole del commercio tradizionale, devono tener conto di queste trasformazioni ed adeguarsi alle nuove forme di commercio che si vanno sviluppando.

5.3.2

Il principale problema connesso alla tassazione delle transazioni telematiche riguarda le ipotesi di discriminazione che potrebbero scaturire dal diverso trattamento riservato ad una operazione a seconda della diversa modalità di consegna del bene oggetto della transazione.

5.3.2.1

Nel valutare le possibilità di applicazione dei tradizionali principi di diritto tributario alle fattispecie proprie dell'era digitale, occorre verificare il rispetto del principio della neutralità dell'atto impositivo, in ordine al quale non sono ammesse discriminazioni di trattamento su operazioni analoghe, che, nel caso in questione, differiscono soltanto per la modalità di consegna (on line o off line).

5.3.3

In particolare, le maggiori problematiche sono connesse all'imposizione, diretta ed indiretta, sui beni immateriali (o digitalizzati), in quanto tutte le fasi della transazione commerciale (cessione e consegna) avvengono per via telematica (commercio on line), attraverso la fornitura in rete di prodotti virtuali. Infatti, i servizi ed i beni vengono dematerializzati alla partenza, ad opera del prestatore, e materializzati all'arrivo, ad opera del destinatario. In tale ipotesi, non sussiste un bene fisicamente tangibile che possa essere oggetto di materiale riscontro, anche ai fini ispettivi.

5.4   Competenze dell'OLAF

5.4.1

Il Comitato ritiene che l'attuale legislazione comunitaria, che costituisce la base giuridica di riferimento per la costituzione dell'OLAF, già assegna a tale organismo importanti funzioni così come stabilito dall'art. 2 della decisione della Commissione 1999/352/CE, CECA, Euratom. Pertanto, si sollecita la Commissione ad attivarsi proficuamente perché si concretizzino le attuali competenze, dotando, se necessario, l'Ufficio antifrode di ulteriori mezzi necessari ad assolvere il suo compito istituzionale, ad esempio utilizzando il modello agli articoli 81-86 che regolano l'Autorità sulla concorrenza.

5.4.2

In tale contesto, l'OLAF potrebbe porsi quale organismo con funzioni di analisi e coordinamento a livello UE per la lotta alle frodi anche di natura fiscale, attribuendogli funzioni e competenze nel settore della cooperazione amministrativa in campo fiscale (imposte dirette, indirette ed accise), al fine di agevolare lo scambio di informazioni tra gli organismi a cui è demandata l'azione di contrasto alle frodi fiscali dalle singole legislazioni nazionali.

5.5

Lo sviluppo del commercio intracomunitario spinge ad elevare la cooperazione nello scambio di informazioni sulla gestione dei rischi. La Commissione, però, non propone iniziative concrete, salvo il sollecito agli Stati membri ad utilizzare la Guida per la gestione del rischio per le amministrazioni fiscali. Su questo argomento il Comitato suggerisce di aprire una banca dati centralizzata, ove far confluire le informazioni tra amministrazioni, attualmente standardizzate solo in materia doganale e su base bilaterale.

5.5.1

In proposito, potrebbero essere individuate tipologie di prodotti che — sulla base delle risultanze delle attività d'indagine svolte dai competenti organismi dei singoli Stati membri — presentino un maggiore rischio di essere utilizzate per porre in essere frodi «carosello». A titolo esemplificativo, si citano gli autoveicoli ed i prodotti ad alta tecnologia, quali gli strumenti informatici e la telefonia. Tale attività di analisi potrebbe essere affidata all'OLAF, il quale potrebbe riversare periodicamente le relative risultanze agli Stati membri per orientare la successiva attività di monitoraggio del fenomeno e per consentire conseguenti mirati interventi operativi. Dovrebbe, altresì, essere previsto e disciplinato analogo flusso comunicativo dagli Stati membri all'OLAF.

5.6

Il Comitato ritiene che l'ipotesi di un approccio comunitario alle relazioni con i paesi terzi sia certamente migliore rispetto agli accordi bilaterali. A tal fine, si potrebbero inserire disposizioni specifiche nell'ambito del progetto di approvazione del modello comunitario di convenzione contro le doppie imposizioni di cui alle comunicazioni della Commissione europea SEC(2001) 1681 Company Taxation in the Internal Market e COM(2003) 726 def. Un mercato interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle societàrisultati, iniziative in corso e problemi ancora da risolvere, esaminato anche dal Parlamento europeo, nella comunicazione (SEC A5-0048 2003). Va sostenuta l'ipotesi di realizzare una specifica convenzione di cooperazione, da inserire negli accordi di partenariato economico. In assenza di una chiara e decisa volontà da parte degli Stati membri, è comunque indispensabile proseguire nella strada degli accordi bilaterali, senza cioè interrompere i processi in corso di definizione.

5.7

Il Comitato considera che il rafforzamento degli obblighi di dichiarazione, ipotizzato dalla Commissione, deve essere rigorosamente improntato al principio della proporzionalità e della semplificazione. La doverosa lotta alla frode fiscale non può tradursi in ingiustificati aggravi per la massa dei contribuenti onesti e delle imprese. A questo fine si ritiene opportuno un significativo alleggerimento degli obblighi per le imprese virtuose, che cooperano fattivamente con l'amministrazione fiscale e un giusto inasprimento degli obblighi per chi, secondo criteri oggettivi, è considerato un soggetto rischioso.

5.8

Il Comitato non condivide la considerazione della Commissione sulla tassazione dei tabacchi e degli alcolici, trattati come una merce «normale». Alcuni Stati membri hanno individuato nella gestione delle accise sui tabacchi e sui prodotti alcolici una soluzione ai correlati problemi sanitari, per i quali la priorità rispetto al funzionamento del mercato interno è evidente. La Commissione propone di eliminare queste distorsioni ma ciò richiederà comunque molto tempo, data l'ampiezza delle divergenze tra i livelli di reddito dei singoli Stati membri e la diversità di obiettivi e misure in materia di politica delle entrate e di politica sanitaria tra i vari Stati membri. In attesa di giungere ad un grado ragionevole di armonizzazione delle aliquote fiscali, sarebbe necessario trovare altre soluzioni per permettere a ciascuno Stato membro di mantenere la sua capacità di perseguire gli obiettivi di politica fiscale e sanitaria che si è prefisso. Bisogna comunque tenere in conto che il contrabbando di tabacchi è generato in minima parte da paesi comunitari ed è controllato da multinazionali del crimine. Il Comitato, sebbene consapevole degli alti costi sociali e sanitari correlati agli abusi di tali sostanze e per i quali auspica l'adozione di idonee di misure di contenimento nelle sedi competenti, ritiene che le accise sui tabacchi e sugli alcolici debbano rimanere nella stretta competenza degli Stati membri.

5.9

Il Comitato invita la Commissione a proseguire il programma Hercule II, auspicando una rapida approvazione da parte del Parlamento e del Consiglio dell'atto COM(2006) 339 def., che richiede la proroga dell'azione comunitaria per la promozione di azioni nel settore della tutela degli interessi finanziari della Comunità. Il programma ha già dato notevoli frutti, con 19 azioni formative che hanno interessato 2.236 partecipanti, provenienti dai diversi Stati membri, da 5 paesi terzi e da altre istituzioni europee, tenendo in particolare conto l'esigenza di rafforzare la cooperazione considerando l'allargamento dell'Unione alla Bulgaria e alla Romania, che dovranno anch'essi beneficiare di tali azioni.

5.10

Il Comitato ritiene utile la costituzione di un forum permanente di discussione e/o di concertazione ad alto livello, per un approccio più globale delle questioni riguardanti la frode e la cooperazione tra gli Stati membri. L'attuale frammentazione delle attività di consultazione in una pluralità di alti comitati, suddivisi per competenze, non consente uno scambio utile di pratiche per rafforzare la cooperazione ed i comportamenti delle amministrazioni. Il Comitato ritiene incomprensibili e censurabili tutte le resistenze burocratiche e le perplessità che sono state avanzate in seno all'Ecofin.

Bruxelles, 15 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE La politica fiscale dell'Unione europeaPriorità per gli anni a venireGU C 48 del 21.2.2002, pagg. 73-79.

(2)  Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di serviziGU C 117 del 30.4.2004 pagg. 15-20.

(3)  Tale rischio deve essere effettivo e la frode deve essere provata, affinché sia rispettata la legittimità comunitaria.

(4)  Sentenze n. 324/82 e 131/91, in materia di commercializzazione di autoveicoli nuovi o usati e, più recentemente, sentenza 20.1.2005 C-412/03.

(5)  Sul punto, si evidenzia che la Commissione europea, con la comunicazione COM(2004) 260 def., del 16.4.2004, nell'esprimere un giudizio positivo in ordine agli effetti deterrenti che si erano registrati in alcuni Stati membri in ragione dell'introduzione dell'istituto della responsabilità in solido, aveva fatto riferimento ad un meccanismo operativo che richiede la dimostrazione dell'esistenza di un legame di complicità tra cedente e cessionario.

(6)  Cause C-354/03, C-355/03, C-484/03 e C-384/04.

(7)  GU C 65 del 17.3.2006, pagg. 103-104.

(8)  Cfr. L. Kovács, The future of Europe and the role of taxation and customs policy, in www.europa.eu.int/comm/commission_barroso/kovacs/speeches/speach_amcham.pdf

(9)  Parere del CESE: Creazione di una base imponibile comune e consolidata per le società nell'UEGU C 88 dell'11.4.2006, pag. 48.

(10)  Parere del CESE: Lotta contro gli ostacoli connessi alla tassazione delle società incontrati dalle piccole e medie imprese nel mercato internoGU C 195 del 18.8.2006, pag. 58.

(11)  Fonte dati: Commissione europea, SMEs in Europe 2003, Observatory of European SMEs 2003/No. 7, DG Enterprise Publications and European Commission (2003): The impact of EU enlargement on European SMEs, Observatory of European SMEs 2003/No. 6, DG Enterprise Publications, in collaborazione con Eurostat. In merito all'importanza economica delle piccole e medie imprese nell'Unione europea, cfr. Commissione europea, comunicazione SEC(2005) 1785, del 23.12.2005, pagg. 15-17.

(12)  La citata comunicazione SEC(2005) 1785 individua i costi di compliance nei servizi di consulenza legale e fiscale, nella traduzione dei documenti, spese di viaggio e rischi finanziari e d'impresa.

(13)  In base ad uno studio dell'European Association of Craft, Small and medium-sized Enterprises, pubblicato in data 11.6.2004 e richiamato dalla citata comunicazione SEC(2005) 1785, i costi di compliance sostenuti dalle piccole e medie imprese sono superiori sino a cento volte quelli sostenuti dalle imprese di rilevanti dimensioni. In merito ai metodi di determinazione dei costi di compliance, cfr. Commission Staff Working Paper SEC(2004) 1128, del 10.9.2004, European Tax Survey.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: L'abitazione e la politica regionale

(2007/C 161/03)

Il Parlamento europeo, in data 26 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo su: L'abitazione e la politica regionale.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore GRASSO e dalla correlatrice PRUD'HOMME.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, nel corso della 434asessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 91 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il diritto all'alloggio è innanzitutto un diritto fondamentale che condiziona l'accesso agli altri diritti fondamentali e a una vita dignitosa. È riconosciuto nella Carta dei diritti dell'uomo, nella Carta sociale europea riveduta del Consiglio d'Europa e in numerose costituzioni di Stati europei. Avere un tetto è infatti una condizione essenziale affinché un individuo possa svilupparsi e integrarsi nella società.

1.2   La Carta dell'alloggio dell'intergruppo Urban-logement del Parlamento europeo

1.2.1

Il CESE accoglie con favore l'adozione della Carta europea dell'alloggio da parte dell'intergruppo Urban-logement del Parlamento europeo: essa illustra l'esistenza di interazioni sempre più numerose tra le politiche europee e le politiche abitative e ribadisce l'importanza del diritto all'alloggio.

1.2.2

Il CESE chiede pertanto che la Carta europea dell'alloggio venga integrata nel parere di iniziativa del Parlamento europeo sul tema L'abitazione e la politica regionale.

1.3   Rafforzare il diritto all'alloggio

1.3.1

Il CESE auspica che vengano proposti a livello europeo, da un lato una serie di obiettivi comuni sull'accesso a un alloggio, e dall'altro degli standard minimi di qualità abitativa che consentano di definire il concetto di alloggio dignitoso. In assenza di ciò sarà arduo rendere effettivo il diritto all'alloggio — e l'accesso a un alloggio è chiaramente un presupposto indispensabile per una vita dignitosa.

1.3.2

Il CESE ribadisce che il settore dei servizi sociali e di prossimità costituisce una problematica di rilievo crescente in una società che sta invecchiando e che tali servizi sono spesso forniti contestualmente agli alloggi; chiede pertanto che essi formino oggetto di uno scambio di esperienze a livello europeo e che ne sia rafforzata la visibilità. Ricorda inoltre che il settore delle case popolari deve essere oggetto di un trattamento particolare e che in quanto tale non può essere sottoposto alle regole di mercato, come riconosce la direttiva sui servizi.

1.4   Gli alloggi e i fondi strutturali 2007-2013: per tesaurizzare, rendere visibile e sviluppare l'assistenza tecnica

1.4.1

Il CESE sottolinea l'importanza di sfruttare al massimo la possibilità di utilizzare i fondi strutturali per migliorare le condizioni abitative non solo nei 12 nuovi Stati membri, ma anche nell'UE a 15, dove i fondi strutturali possono essere utilizzati per operazioni di sviluppo urbano integrato. Questi investimenti avranno un impatto positivo sulla coesione sociale e territoriale e sulla crescita economica. In proposito il CESE suggerisce che le istituzioni finanziarie europee destinino delle risorse, a tassi molto bassi, per programmi di edilizia integrati per giovani, immigrati, anziani e portatori di handicap, favorendo la mobilità dei lavoratori, l'eterogeneità sociale e la sostenibilità dei costi per gli occupanti.

1.4.2

Il CESE osserva che lo strumento «Jessica» fornirà gli elementi necessari per la creazione di un fondo di garanzia per i progetti di edilizia popolare di maggiore portata e chiede che tale questione sia analizzata nel quadro della valutazione intermedia dei fondi strutturali.

1.4.3

A tale scopo, il CESE appoggia la creazione, per il periodo 2007-2013, di un dispositivo di assistenza tecnica per progetti abitativi, in collaborazione con i rappresentanti e le reti di enti locali e regionali e con il sostegno della Commissione europea e degli Stati membri. Tale dispositivo consentirebbe di tesaurizzare iniziative e metodi necessari per inserire al meglio i progetti abitativi nei programmi di risanamento urbano; permetterebbe inoltre di centralizzare le competenze specifiche e potrebbe agevolare la trasferibilità delle esperienze. Per promuovere un utilizzo adeguato dei fondi strutturali sembra fondamentale creare uno strumento specifico per gli alloggi: ciò può avvenire nel quadro dell'articolo 45 del regolamento recante disposizioni generali sui fondi strutturali, nel quale si chiede alla Commissione di agevolare la creazione di dispositivi di assistenza tecnica.

1.5   Gli alloggi e l'energia

1.5.1

Analogamente, il CESE suggerisce la creazione di una rete di scambio sul tema degli alloggi e dell'efficienza energetica, che consenta lo scambio, la tesaurizzazione e l'approfondimento delle esperienze degli operatori del settore, allo scopo di attuare delle politiche energetiche idonee e ambiziose. Questa rete potrebbe essere collegata al dispositivo di assistenza relativo ai fondi strutturali; dato però che i due meccanismi non condividono gli stessi obiettivi, occorre assicurare un coordinamento efficace tra di essi.

1.5.2

Il CESE propone di lanciare, in collaborazione con le reti di settore, una campagna pubblicitaria a livello europeo sulle possibilità di risparmio energetico nel settore abitativo. Tale campagna dovrebbe puntare a modificare i comportamenti degli utenti, un approccio che richiederà la partecipazione dei cittadini europei e consentirà di mobilitare tutti gli attori interessati attorno ad un'iniziativa positiva. La campagna europea per l'energia sostenibile non è sufficientemente mirata per conseguire visibilità e dispone di risorse troppo limitate.

1.5.3

Il CESE chiede alla Commissione di avanzare delle proposte basate su un approccio più ampio rispetto a quello adottato finora, principalmente incentrato sul miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici: occorre lavorare insieme agli abitanti e tenere meglio conto, nelle riflessioni in materia, delle costruzioni già esistenti.

1.6   Gli alloggi e le istituzioni europee

1.6.1

Il CESE sostiene peraltro l'iniziativa della Commissione europea di creare un gruppo interservizi sulle questioni urbane, e suggerisce che tale gruppo si occupi anche della questione degli alloggi, nominando un interlocutore specifico in materia.

1.6.2

È inoltre fondamentale che la questione degli alloggi sia messa all'ordine del giorno anche delle riunioni dei ministri degli Affari regionali e urbani.

2.   Motivazione

2.1   Il diritto all'alloggio: un diritto fondamentale

2.1.1

La Carta dei diritti fondamentali dell'UE, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, recita (articolo II-34): «Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali».

2.1.2

Pur ricordando che l'alloggio non è una competenza comunitaria e che in questo ambito si applica pienamente il principio di sussidiarietà, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, al fine di affrontare l'attuale emergenza sociale e la mancanza di alloggi per le persone più bisognose (ma anche per gli strati di popolazione a basso reddito e per i giovani che entrano nel mondo del lavoro e fondano una famiglia), l'articolo di cui sopra dovrebbe trovare riscontro nell'attuazione delle politiche europee.

2.1.3

Eppure al vertice di Laeken, nel dicembre del 2001, è stata riconosciuta l'importanza della questione degli alloggi al fine di evitare di aggravare il rischio di povertà. Il CESE ritiene pertanto importantissimo che il vertice abbia dato il via al dibattito sulla necessità di sviluppare l'offerta di alloggi popolari per combattere la povertà in Europa.

2.1.4

Dato che il diritto all'alloggio figura nella Costituzione di diversi Stati membri dell'Unione europea, tra i quali Belgio, Spagna, Grecia, Portogallo, Finlandia e Paesi Bassi, è ipotizzabile la creazione di un diritto all'alloggio europeo. Il CESE ritiene che sarebbe importante e strategico fare riferimento all'alloggio nella Carta dei diritti fondamentali allegata al Trattato costituzionale europeo, e si rammarica del fatto che il diritto all'alloggio, o per lo meno quello di «avere un tetto», non vi sia stato incluso.

2.1.4.1

Il CESE attribuisce estrema importanza all'elaborazione di una strategia europea per l'alloggio: il fatto che tutti dispongano di un alloggio è uno dei presupposti per un'attuazione più efficace degli altri diritti umani riconosciuti a livello europeo, quali il «rispetto della (…) vita privata e familiare, del (…) domicilio e delle (…) comunicazioni», e il diritto di «sposarsi e di costituire una famiglia».

2.1.5

Una volta ammesso il principio del diritto all'alloggio, si pone la questione di come farlo valere, in altre parole della possibilità di ricorso da parte di una persona che non trovi alloggio. L'UE si deve pertanto preoccupare delle condizioni necessarie per l'attuazione in concreto di tale diritto. Se non è possibile prevedere un'unica soluzione, ciascuno Stato membro che riconosca il diritto all'alloggio deve essere in grado di precisare:

l'autorità pubblica nei confronti della quale si può fare valere il diritto in questione e in quale forma,

i mezzi da assegnare di conseguenza all'autorità interessata, oppure quelli di cui essa si deve dotare,

i beneficiari e le modalità di esercizio di tale diritto,

il contenuto del diritto stesso (alloggio stabile o provvisorio, libera scelta o meno).

2.1.6

In linea con la Carta europea dell'alloggio adottata il 26 aprile 2006 dall'intergruppo Urban-logement del Parlamento europeo, in cui l'alloggio è definito «un bene di prima necessità», il CESE accoglie con favore l'iniziativa del Parlamento di elaborare una relazione sul tema L'abitazione e la politica regionale. Il CESE auspica che il Parlamento europeo appoggi la propria richiesta di riconoscere il diritto all'alloggio e proponga una collaborazione con le amministrazioni locali e regionali per favorire la disponibilità di un'adeguata quantità di alloggi a prezzi accessibili per chi non ha accesso agli alloggi disponibili sul mercato.

2.1.7

Lo studio sulle condizioni di vita e la dimensione sociale degli alloggi (1), realizzato dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e pubblicato nel 2006, segnala l'esistenza di differenze sensibili, quanto alla qualità e alla quantità delle abitazioni, tra i paesi dell'UE a 15 e quelli dell'UE a 10. Va inoltre ricordato che l'accesso all'acqua calda e ai servizi igienici interni, due criteri annoverati tra i requisiti minimi di un alloggio che si possa definire dignitoso, non sono garantiti a tutti i cittadini europei.

2.1.8

Dato che l'alloggio costituisce un pilastro del modello sociale europeo, le sfide che l'Europa deve affrontare in termini di mutamenti sociali e demografici devono riflettersi nelle politiche abitative. L'invecchiamento della popolazione, l'impoverimento delle giovani generazioni che rimangono a casa dei genitori per mancanza di risorse sufficienti, l'accesso dei disabili ad alloggi adeguati e dei migranti a un'abitazione sono tutti elementi da prendere in considerazione. In linea con le conclusioni del Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001, il CESE propone di adottare a livello europeo:

una serie di obiettivi comuni in materia di accesso agli alloggi,

degli standard minimi di qualità abitativa che consentano di definire il concetto di alloggio dignitoso.

2.1.9

È inoltre essenziale promuovere la mobilità nel patrimonio abitativo al fine di garantire la mobilità dei lavoratori. Numerosi cittadini, infatti, sono «prigionieri» del loro habitat, sia esso una casa popolare o un'abitazione di proprietà, per via della scarsità di offerta, di ragioni fiscali o delle condizioni creditizie. Una maggiore mobilità abitativa è necessaria per garantire una maggiore fluidità del mercato del lavoro.

2.1.10

Viste le loro implicazioni sulla vita sociale e sull'economia cittadina, gli alloggi non devono più essere oggetto di strategie ed azioni parziali. Fermo restando il rispetto del principio di sussidiarietà, il CESE suggerisce di considerare gli alloggi una questione politica importante, con ripercussioni sulla vita quotidiana della popolazione, e un mezzo per riavvicinare i cittadini a un progetto europeo che sembra farsi di giorno in giorno più vago.

2.1.11

Occorre definire in modo più preciso il contributo delle politiche abitative, specie come motore della crescita economica, al conseguimento degli obiettivi di Lisbona. Il CESE sottolinea che l'impatto di tali politiche sulla mobilità dei lavoratori le rende complementari alle politiche europee attuate nel quadro della strategia per la crescita e l'occupazione, consentendo inoltre di accrescere la coesione territoriale, che deve esprimersi anche e soprattutto nei paesi di recente adesione, attraverso la messa a punto del finanziamento di reti infrastrutturali urbane e rurali, oltre che con adeguate politiche energetiche.

2.2   Gli alloggi e la coesione territoriale

2.2.1

L'habitat esercita da sempre un effetto strutturante sulle nostre società; gli spazi comuni che garantiscono la coesistenza sono strettamente legati alle zone abitative individuali o collettive. L'urbanistica e la creazione di quartieri gradevoli e vivibili, di cui l'habitat è un elemento fondamentale, condizionano la coesione sociale e territoriale.

2.2.2

Sebbene gli alloggi e le politiche abitative differiscano da uno Stato membro all'altro, l'Unione europea è nel complesso caratterizzata da una fortissima densità urbana. La città europea è compatta ma anche connotata da edifici di media altezza, ed è l'habitat a strutturarla.

2.2.3

Gli alloggi rivestono pertanto una notevole importanza nelle politiche urbane, economiche e sociali di tutti i paesi europei e le diverse soluzioni adottate nel settore dovrebbero essere maggiormente condivise, soprattutto alla luce delle crisi che si sono verificate nei quartieri svantaggiati di diversi Stati membri.

2.2.4

La politica regionale europea mira ad accrescere la coesione territoriale, sociale ed economica promuovendo lo sviluppo economico dei territori meno favoriti, e dal 2005 si concentra sugli obiettivi prioritari della crescita e dell'occupazione nel quadro dell'agenda di Lisbona riveduta.

2.2.5

Per garantire la competitività di tutti i territori e favorire la mobilità del lavoro, è essenziale un'offerta di alloggi diversificata, non solo in termini di modalità di occupazione, ma anche di multifunzionalità dei quartieri (funzione residenziale e funzione economica) o di eterogeneità sociale, che è garanzia di coesione sociale. La ghettizzazione di certi quartieri rende assai arduo svolgervi un'attività economica.

2.2.6

L'ubicazione degli alloggi a prezzi accessibili è la conseguenza logica di quanto affermato nei punti precedenti: in relazione al diritto all'alloggio, l'ente interessato deve assicurare che in tutte le parti del territorio di sua responsabilità sia disponibile un'offerta abitativa di qualità e compatibile con le risorse delle famiglie.

2.2.7

Lo sviluppo delle zone residenziali ha un forte impatto sulle zone rurali, e per assicurare uno sviluppo sostenibile è essenziale tenere maggiormente conto dell'interazione tra le zone rurali e quelle urbane nelle politiche abitative.

2.3   Alloggi, crescita economica, mobilità e occupazione

2.3.1

In certi paesi europei, specie in quelli che hanno beneficiato del Fondo di coesione nello scorso periodo di programmazione, il tasso di crescita economica è strettamente collegato al dinamismo del settore abitativo. Questo non significa tuttavia che i cittadini abbiano facilmente accesso ad alloggi dal prezzo accessibile. Ad esempio, il programma nazionale di riforma 2006 irlandese, varato nel quadro della strategia di Lisbona, sottolinea che, in mancanza di alloggi garantiti a prezzi accessibili, la crescita sarà difficilmente sostenibile. Il programma di riforma 2006 portoghese, invece, ribadisce la necessità di sostenere maggiormente il settore della costruzione e gli enti locali per incoraggiare uno sviluppo sostenibile nel settore abitativo.

2.3.2

Un'adeguata offerta di alloggi per tutti gli impiegati e gli operai rimane una condizione di sviluppo essenziale per i bacini occupazionali europei, molti dei quali presentano una crescita limitata a causa della carenza di alloggi. Quest'ultima può pertanto costituire un fattore di rigidità dei mercati locali del lavoro e ridurre la mobilità dei lavoratori.

2.3.2.1

Si può menzionare al riguardo un esempio interessante: in Francia i datori di lavoro contribuiscono alle politiche abitative in una percentuale pari allo 0,45 % della loro massa salariale, quale strumento complementare di sviluppo di soluzioni abitative per i dipendenti. Le parti sociali, inoltre, gestiscono dei dispositivi specifici per i giovani e le famiglie vulnerabili (depositi cauzionali).

2.3.3

In particolare, si tratta di una necessità impellente per le regioni che accolgono un numero crescente di migranti, i quali faticano a trovare un alloggio in mercati connotati da una certa tensione e subiscono pratiche discriminatorie che conducono alla segregazione in comunità etniche.

2.3.4

Il settore abitativo è uno dei principali datori di lavoro in Europa. Esistono numerosi giacimenti occupazionali non ancora pienamente sfruttati, specie nel campo delle tecniche di edilizia residenziale sostenibile ed ecologica, tecniche che in futuro sono destinate a svilupparsi notevolmente. Inoltre, quello della costruzione è uno dei settori che registrano una forte carenza di lavoratori qualificati.

2.3.5

I servizi di prossimità, e soprattutto quelli di aiuto alla persona, rappresentano un enorme giacimento occupazionale e sono spesso organizzati e forniti nel quadro dei servizi legati agli alloggi. Gli operatori dell'edilizia sociale, in collaborazione con le associazioni di servizi sociali, propongono così non solo dei servizi a domicilio per le persone anziane e quelle con disabilità, ma anche servizi integrati di tipo sanitario, educativo o di custodia dei bambini come le «case intergenerazionali». Il dinamismo culturale e sociale dei quartieri problematici può essere sostenuto appoggiando le iniziative di prossimità.

2.4

Oltre a costituire un giacimento occupazionale, i servizi di prossimità legati agli alloggi consentono di far fronte alle sfide demografiche, le quali hanno a loro volta un inevitabile impatto sull'occupazione a livello regionale. Le case intergenerazionali, ad esempio, che in Germania sono oggetto di una politica specifica, costituiscono una risposta alla necessità di eterogeneità sociale e consentono di lottare in modo efficace contro l'esclusione delle persone anziane sole. Dato l'invecchiamento generalizzato della popolazione europea, lo scambio di buone prassi in materia andrebbe incoraggiato.

2.4.1

Secondo il CESE, la questione del diritto all'alloggio non deve essere considerata soltanto dal punto di vista della lotta all'esclusione, ma anche da quello dell'invecchiamento della popolazione, dei flussi migratori, delle nuove forme di povertà e, infine, alla luce della strategia di Lisbona, secondo la quale una maggiore mobilità sul mercato del lavoro consentirebbe di riavviare l'economia europea.

2.4.2

La mobilità dei lavoratori rimarrà illusoria fintanto che non si rafforzerà l'accesso ai diritti sociali fondamentali, incluso il diritto all'assistenza abitativa. Si può constatare un processo di impoverimento dei residenti delle case popolari, inizialmente concepite per ospitare i lavoratori dipendenti. Questi ultimi non godono più di un accesso prioritario a questo tipo di case e, nelle zone in cui il mercato dell'alloggio è teso, hanno notevoli difficoltà a trovare soluzioni di alloggio dignitose.

2.4.3

Negli ultimi dieci anni i prezzi degli alloggi hanno registrato un aumento costante pressoché in tutti i paesi dell'UE. Ciò ha comportato una riduzione della capacità delle famiglie di consumare altri beni, il che, sul lungo termine, costituisce un freno alla crescita sostenibile. Inoltre, i bassi tassi di interesse hanno portato a un eccesso di investimenti nel settore residenziale, mettendo sotto pressione le risorse finanziarie destinate a questo stesso comparto (cfr. il programma nazionale di riforma svedese). Il settore degli alloggi popolari costituisce uno strumento per la regolazione del prezzo delle abitazioni (attraverso la locazione) e per la garanzia della sostenibilità del comparto.

2.4.4

Il CESE constata peraltro che, nell'attuazione di politiche in materia di alloggi popolari, le condizioni d'intervento delle pubbliche autorità degli Stati membri e degli attori del settore edilizio sono sempre più regolamentate dal diritto comunitario. È fondamentale che la politica della concorrenza e quella del mercato interno non ostacolino le politiche abitative volte a garantire un accesso generalizzato a un alloggio dignitoso a prezzi accessibili, visto il loro contributo positivo alla crescita economica e all'occupazione in Europa. Gli obiettivi di tali politiche si sono evoluti e oggi gli enti proprietari degli alloggi popolari devono sviluppare servizi sociali per far fronte alla mancanza di una politica di integrazione, specie dei migranti.

2.5   Raccogliere la sfida europea di ridurre i consumi energetici

2.5.1

Il contributo degli alloggi alla risposta alla sfida di ridurre i consumi energetici è fondamentale e, dati i prezzi dell'energia, questo aspetto diverrà un fattore di attrattività per una regione.

2.5.2

È il settore abitativo (le famiglie) a presentare il maggiore potenziale di risparmio energetico: come sottolinea la Commissione europea nel suo piano d'azione per l'efficienza energetica, tale potenziale è stimato al 27 % dei consumi totali.

2.5.3

Un numero crescente di famiglie europee vive in condizioni di indigenza a causa dei costi energetici della loro abitazione (fuel poverty).

2.5.4

Il potenziale di riduzione dei consumi si accrescerà nella misura in cui saranno adottati adeguati incentivi a livello europeo.

2.5.5

A tale proposito, è sorprendente constatare che l'approccio del piano d'azione per l'efficienza energetica della Commissione europea è incentrato principalmente sul settore delle nuove costruzioni e propone di estendere il campo di applicazione delle norme applicabili al settore.

2.5.6

Questo approccio è troppo parziale, dato che non tiene conto della necessità di modificare il nostro modo di vivere nel senso di una sostenibilità più ampia che includa i comportamenti individuali (e comprenda l'aspirazione generalizzata a una casa unifamiliare e anche l'adozione di comportamenti quotidiani ecologici). Si tradurrebbe pertanto in un aumento dei costi di produzione, che sono già eccessivi per le famiglie medie e per quelle svantaggiate, senza affrontare aspetti quali il miglioramento degli edifici esistenti e la modifica dei comportamenti, la cui importanza è sottolineata da numerosi studi.

2.5.7

Il contributo delle politiche regionali europee al rafforzamento della coesione e al miglioramento delle condizioni di vita non richiede ulteriori dimostrazioni. Una maggiore considerazione del settore abitativo in tali politiche potrebbe tuttavia consentire di creare delle sinergie positive.

2.5.8

Le politiche di risparmio energetico sono incentrate sulle nuove costruzioni, trascurando quelle già esistenti oppure applicando loro le norme concepite per le nuove. È tuttavia opportuno non solo tenere conto degli alloggi esistenti, ma anche sviluppare approcci adeguati alle caratteristiche specifiche del patrimonio abitativo e al costo particolarmente elevato della sua messa a norma.

2.5.8.1

Gli aiuti pubblici devono tenere conto delle caratteristiche specifiche delle case popolari: la scarsa solvibilità delle persone che vi abitano e il fatto che gli aiuti fiscali sono meno adeguati alle esigenze di questo settore che a quelle del settore privato.

2.5.8.2

L'aspetto energetico non esaurisce la problematica dello sviluppo sostenibile, che riguarda anche le risorse idriche, la gestione dei rifiuti, l'accessibilità per le persone con disabilità, la sicurezza, la qualità dell'aria e la salute tra le mura domestiche. Il settore abitativo può apportare un contributo decisivo allo sviluppo sostenibile ma questo presuppone l'esistenza di strumenti adeguati, ancora una volta soprattutto in relazione al patrimonio esistente.

2.6   Gli strumenti europei per migliorare il contributo del settore abitativo alle politiche regionali

2.6.1

Nel quadro di approcci integrati mirati allo sviluppo dei quartieri svantaggiati, il CESE ha appoggiato, per i 12 nuovi Stati membri, l'estensione al settore abitativo dell'ammissibilità al FESR e, per l'UE a 15, la sua estensione alle misure legate allo sviluppo urbano sostenibile e all'efficienza energetica. Data l'importanza della dimensione abitativa, è opportuno incoraggiare e aiutare gli Stati membri e le regioni a pianificare la ristrutturazione dei quartieri e il miglioramento degli alloggi nel quadro dei fondi strutturali.

2.6.2

È infatti difficile attuare delle strategie integrate per lo sviluppo dei quartieri senza prendere in considerazione il settore abitativo. A questo riguardo resta di grande attualità l'approccio previsto dalla strategia europea d'inclusione sociale, che annoverava tra i suoi obiettivi l'accesso a un alloggio decente a prezzi accessibili quale presupposto per un'integrazione sociale riuscita. Secondo il CESE, per garantire a tutti una migliore integrazione sociale è essenziale poter attivare tutti gli strumenti europei.

2.6.3

A tal fine, il Fondo sociale europeo deve sostenere maggiormente le iniziative per l'inclusione sociale non circoscritte al mercato del lavoro, dato che, come si è già visto, il mercato degli alloggi e quello del lavoro sono strettamente collegati. Analogamente, le politiche in materia di immigrazione, oggi definite a livello europeo, non possono non prendere in considerazione il settore abitativo se vogliono prevenire la segregazione spaziale. I prossimi orientamenti della Commissione sull'integrazione dei migranti attraverso gli alloggi devono costituire la prima tappa di un processo destinato a sostenere maggiormente, nel quadro del programma Progress (2), i progetti che presentano una dimensione abitativa.

2.6.4

Va rilevato che migliorare l'efficienza energetica degli edifici non è una priorità soltanto nei dodici nuovi Stati membri, ma anche nel resto dell'Unione europea. Analogamente alle misure volte al miglioramento degli spazi comuni, all'utilizzo e alla promozione delle energie rinnovabili e alla promozione dell'inclusione sociale, le iniziative in materia di efficienza energetica sono infatti ammissibili ai fondi strutturali in tutti gli Stati membri.

2.6.5

Il CESE ha accolto con favore l'iniziativa della Commissione europea e della Banca europea per gli investimenti (BEI) di creare un nuovo strumento finanziario specifico, denominato Jessica (3), volto a sostenere lo sviluppo dei quartieri urbani svantaggiati, compresi gli alloggi popolari. Va infatti rilevato che, offrendo agli operatori del risanamento urbano e dell'edilizia popolare non solo prestiti ma anche garanzie, Jessica sarà in grado di mobilitare i capitali necessari per riqualificare tali quartieri. Questo strumento dovrà essere gestito da attori specializzati nel risanamento urbano e nell'edilizia residenziale, in stretta collaborazione con le autorità locali, e fungere da leva per migliorare le condizioni di vita dei residenti dei quartieri interessati. Anche l'iniziativa Jeremie (4) rappresenta un'opportunità per gli operatori dell'edilizia popolare impegnati nella creazione di quartieri vivibili e gradevoli per tutti.

2.6.6

Nel quadro delle politiche energetiche e del programma Energia intelligente, la Commissione europea ha proposto un'iniziativa pilota per il settore degli alloggi popolari: tale iniziativa ha consentito di selezionare e promuovere dei progetti esemplari in materia di efficienza energetica e di scambio di esperienze tra gli operatori del settore. Considerate le ambizioni europee di creare una politica energetica comune e di coordinare al meglio l'azione degli Stati membri in materia, la continuità di questo strumento, che non deve limitarsi a sostenere progetti pilota, risulta fondamentale.

2.6.7

Inoltre, in materia di innovazione sia tecnica che sociale, il sostegno del 7o programma quadro di ricerca e sviluppo consentirà di individuare il potenziale del settore abitativo non solo per la riduzione dei consumi energetici, ma anche per lo sviluppo urbano sostenibile.

2.6.8

La normazione europea ha un forte impatto sugli alloggi e sui servizi ad essi collegati. Si tratta tuttavia di un ambito in cui le scelte tecniche o urbanistiche si sovrappongono a quelle della società, e quindi non è accettabile che norme tecniche stabilite unicamente da gruppi di lavoro siano imposte agli operatori senza che siano stati garantiti meccanismi di controllo politico del processo di normazione. L'esempio della norma «Prevenzione del crimine mediante pianificazione urbanistica e progettazione degli edifici», adottata senza una vera e propria riflessione politica sul modello urbano indotto da griglie di analisi del rischio, invita a rivedere il processo normativo in questo settore.

2.6.9

Per concludere, la Commissione ha elaborato una strategia di sviluppo urbano sostenibile volta ad incoraggiare le città a pianificare il proprio sviluppo, specie in termini di politiche dei trasporti. Questa strategia, tuttavia, ha solamente carattere indicativo e rischia di non riuscire ad esprimere appieno il suo potenziale se non includerà la dimensione sociale dello sviluppo urbano sostenibile.

Bruxelles, 15 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  First European Quality of Life Survey: Social Dimensions of Housing (Prima inchiesta europea sulla qualità della vita: la dimensione sociale degli alloggi), Dublino, 2006, ISBN 92-897-0935-9.

(2)  Il programma Progress ha l'obiettivo di fornire aiuti finanziari per raggiungere gli obiettivi dell'Unione europea nel campo dell'occupazione e degli affari sociali, contribuendo in tal modo a centrare gli obiettivi della strategia di Lisbona.

(3)  Jessica: Sostegno comunitario congiunto per lo sviluppo sostenibile nelle aree urbane.

(4)  Jeremie: Risorse europee congiunte per le microimprese e le piccole e medie imprese.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali (rifusione)

COM(2006) 760 def. — 2006/0253 (CNS)

(2007/C 161/04)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 16 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli, nessun voto contrario e 6 astensioni.

1.   Motivazione

1.1

La proposta in esame riguarda la rifusione della direttiva 69/335/CEE del Consiglio riguardante l'imposta sui conferimenti di capitale nelle aziende, già modificata in diverse occasioni. Tale direttiva — che era nata per armonizzare i sistemi d'imposizione e per impedire agli Stati membri di istituire o applicare altre imposte simili — è stata modificata in diverse occasioni fino a che, nel 1985, la direttiva 85/303/CEE ha riconosciuto che l'imposta sui conferimenti avrebbe dovuto essere abolita completamente a causa dei suoi effetti economici sfavorevoli per le aziende.

1.2

La perdita di introiti fiscali che sarebbe derivata dall'abolizione dell'imposta è stata tuttavia ritenuta inaccettabile da taluni Stati membri; la direttiva del 1985 ha quindi dovuto accordare una deroga, riconoscendo agli Stati membri la facoltà di esentare le operazioni dall'imposta sui conferimenti, oppure di applicare un'aliquota unica non superiore all'1 %.

1.3

Il principio rimane naturalmente valido nella proposta di direttiva in esame, che consiste in una semplice rifusione dei testi precedenti; il Comitato non può che prenderne atto e dare la sua approvazione. Tuttavia, la relazione della Commissione offre lo spunto per qualche riflessione che il Consiglio potrebbe forse utilmente raccogliere in vista di ulteriori iniziative.

2.   Conclusioni e raccomandazioni

2.1

La maggior parte dei 25 Stati membri ha raccolto l'orientamento del Consiglio del 1985, abolendo totalmente l'imposta. Al momento attuale solo 7 Stati membri la applicano ancora: Polonia e Portogallo con un'aliquota dello 0,50 % o inferiore; Cipro con lo 0,60 %; Grecia, Spagna, Lussemburgo e Austria nella misura piena dell'1 %. Questa disparità di trattamento costituisce un ostacolo alla creazione di un uguale livello di trattamento fra le aziende europee, che è una delle condizioni per il buon funzionamento del mercato unico. Se è ben vero che in campo fiscale esistono tuttora ben altre divergenze ed ostacoli, non per questo si dovrebbe rinunciare ad eliminare del tutto questa imposta.

2.2

Gli Stati membri che ancora fruiscono della deroga potrebbero utilmente mettere a confronto i vantaggi derivanti dalle entrate fiscali con la presumibile (e in una certa misura calcolabile) perdita di investimenti da altri paesi comunitari o terzi, scoraggiati da una tassazione ormai quasi ovunque scomparsa. Il CESE ritiene che la rinuncia alla deroga costituirebbe un vantaggio per gli interessati e un passo avanti nel buon funzionamento del mercato unico nel suo complesso.

2.3

Il CESE desidera inoltre attirare l'attenzione su una pratica che è stata adottata in alcuni Stati membri: l'introduzione di nuovi oneri dopo la soppressione dell'imposta, che viene in tal modo sostituita in modo surrettizio. In alcuni casi la Commissione è intervenuta e ha messo in opera una procedura d'infrazione, ma non è da escludere che altri episodi esistano e non siano stati rilevati. La vigilanza delle parti sociali potrebbe essere di ausilio nell'eliminarli.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'installazione a posteriori di specchi sui veicoli commerciali pesanti immatricolati nella Comunità

COM(2006) 570 def. — 2006/0183 (COD)

(2007/C 161/05)

Il Consiglio, in data 10 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71, paragrafo 1, lettera c) del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli e 6 astensioni:

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE, condividendo l'impegno della Commissione europea teso a ricercare una sempre maggiore sicurezza del traffico su strada, sostiene a pieno la proposta in esame, che rientra a giusto titolo tra le iniziative intraprese in funzione di tale obiettivo.

1.2

Il CESE si compiace con la Commissione per aver eseguito, prima di presentare la proposta, un'analisi dei costi/benefici e una valutazione d'impatto molto attenta: questo ha consentito di strutturare la proposta in modo pragmatico, tenendo in adeguato conto tutti gli aspetti del problema e attribuendo la dovuta priorità alla tutela degli utenti della strada più vulnerabili.

1.3

Il CESE ritiene tuttavia doveroso segnalare alcune criticità che sembrano emergere dalla proposta così com'è attualmente formulata, proponendo aggiunte e precisazioni che ne dovrebbero consentire una più agevole e corretta applicazione, per quanto riguarda le tempistiche, la certificazione e il controllo della sua messa in opera.

1.4

Il CESE auspica che la Commissione voglia prendere in seria considerazione i suoi suggerimenti sulla necessità di un'effettiva uniformità di trattamento per evitare distorsioni della concorrenza tra Stati membri, come pure quelli relativi alla importanza di fornire agli stessi Stati membri maggiori indicazioni circa sistemi di certificazione facilmente praticabili dalle autorità nazionali preposte al settore.

1.5

Il CESE raccomanda vivamente al Consiglio e al Parlamento europeo che la direttiva proposta sia implementata nei tempi più rapidi possibili e in modo da coprire la maggior parte del parco circolante per poter garantire il risparmio di vite umane in tutta la misura prevista.

2.   Ragioni e contesto legislativo della proposta della Commissione

2.1

La sicurezza stradale è da sempre una delle assolute priorità delle istituzioni comunitarie. Un momento importante del rinnovato impegno in tal senso è certamente stata la pubblicazione del Libro bianco sulla politica dei trasporti (1), che poneva tra i suoi obiettivi quello di dimezzare il numero di vittime della strada entro il 2010.

2.2

Iniziative successive, quali il Road safety action programme  (2), l'iniziativa «e-safety» e molte altre, hanno sperimentato un approccio integrato al problema coinvolgendo l'industria, le autorità pubbliche e le associazioni rappresentative degli utenti della strada, e superando così i limiti che nel passato si erano posti, tra l'altro anche in nome del principio di sussidiarietà, alla realizzazione di azioni concrete e cogenti a livello europeo.

2.3

Molti progressi sono stati fatti: basti pensare che negli ultimi 30 anni, mentre il traffico stradale si triplicava, il numero delle vittime della strada si è dimezzato. Tuttavia questo dato non può assolutamente tranquillizzare la nostra coscienza, poiché l'Europa paga ancora un prezzo troppo alto all'incessante aumento della mobilità, con circa 40.000 morti l'anno e la sconsolante previsione che la sfida lanciata dal Libro bianco del 2001 rischi di non essere vinta.

2.4

Il CESE riconosce che progressi decisivi in termini di sicurezza stradale si possono ottenere solo migliorando insieme i tre «pilastri» che la compongono, vale a dire industria automobilistica, infrastrutture e comportamento degli utenti. Esso non può tuttavia non favorire qualunque iniziativa che, pur se riferita ad uno solo di questi «pilastri», sia in grado di farci avvicinare all'ambizioso obiettivo del 2001.

2.5

È in quest'ottica d'altronde che il CESE ha a suo tempo sostenuto (3) l'approvazione della direttiva 2003/97/CE (4) che proponeva, sempre ai fini della sicurezza stradale, una soluzione armonizzata a livello europeo per ridurre i pericoli derivanti da una visibilità laterale insufficiente per i conducenti di veicoli commerciali pesanti.

2.6

In effetti, l'obiettivo della direttiva 2003/97/CE era quello di porre rimedio ai rischi di possibili incidenti derivanti dalla circostanza che i veicoli commerciali pesanti presentano un angolo laterale cieco sul lato del passeggero, imponendo una serie di specchi più efficaci a partire dal 2006-2007.

2.7

Molti incidenti accadono, infatti, perché i conducenti di veicoli di grandi dimensioni, proprio a causa dell'angolo «cieco» circostante il loro veicolo, non si accorgono della presenza d'altri utenti stradali nelle immediate vicinanze del proprio mezzo.

2.8

In particolare, il rischio si presenta in corrispondenza d'incroci o rotatorie quando il conducente, cambiando direzione, si trova alle prese con un angolo laterale cieco sul lato passeggero che non gli consente di vedere gli utenti più vicini al mezzo quali pedoni, ciclisti e motociclisti, che sono anche i più vulnerabili.

2.9

Si stima che circa 400 persone all'anno muoiano nelle circostanze accennate sopra e questo basta a spiegare perché il CESE, e non solo il CESE, abbia a suo tempo appoggiato senza riserve l'approvazione della direttiva 2003/97/CE che ha abrogato e sostituito la prima direttiva sull'omologazione dei sistemi per la visione indiretta (71/127/CEE) e successive modifiche. La direttiva abrogata fissava le prescrizioni relative alla costruzione dei retrovisori e al loro montaggio senza però alterare le disposizioni nazionali in materia. Solo con la 2003/97/CE un determinato set di specchi od altri sistemi di visione indiretta è diventato obbligatorio, da volontario che era, in tutta Europa.

2.10

Per quanto concerne i tipi di mezzi pesanti, la direttiva 2003/97/CE riguardava i veicoli per trasporto merci N2 oltre le 7,5 t e N3 (5): essa è però stata già modificata dalla direttiva 2005/27/CE (6) che — a certe condizioni — impone l'obbligo di installare specchi di categoria IV e V (7) ai veicoli di peso pari a t 3,5 e non di peso pari a t 7,5 come in precedenza.

2.11

Le prescrizioni della direttiva 2003/97/CE si applicano ai veicoli omologati (nuovi tipi) a partire dal 26 gennaio 2006 e a quelli di nuova immatricolazione (nuovi veicoli) a partire dal 26 gennaio 2007. Ciò significa che i mezzi già circolanti, che rappresentano la gran parte del parco, non sarebbero sottoposti alle prescrizioni stesse.

2.12

L'Unione europea conta ben oltre cinque milioni di veicoli pesanti (>= 3,5 t). Considerata la durata di vita di tali veicoli (ben 16 anni) e il lento tasso di ricambio del parco (300.000 immatricolazioni l'anno), con l'inizio del turn over nel 2007, il parco sarebbe completamente rinnovato con i nuovi specchi solo nel 2023.

2.13

La proposta della Commissione che il CESE è chiamato ora ad esaminare, si prefigge di trovare soluzioni per rendere sicuro in tempi rapidi anche il parco già circolante.

3.   Contenuto della proposta

3.1

In estrema sintesi, con la proposta in esame, che si configura come un provvedimento temporaneo, la Commissione chiede che siano estesi ai veicoli N2 e N3 già in circolazione le prescrizioni della direttiva 2003/97/CE per quanto riguarda i nuovi specchi di categoria IV e V (visibilità lato passeggero), con le seguenti eccezioni:

veicoli immatricolati oltre 10 anni prima della data di recepimento della direttiva nelle legislazioni nazionali (orientativamente, il 1998),

veicoli nei quali sia impossibile installare specchi di categoria IV e V che rispettino le seguenti condizioni:

a)

nessuna parte degli specchi è a meno di 2 metri (± 10 cm) dal suolo con il veicolo in condizioni di carico totale ammissibile;

b)

gli specchi sono completamente visibili dal posto di guida;

veicoli già sottoposti a misure nazionali (8) che impongono il montaggio di altri dispositivi per la visione indiretta in grado di coprire almeno il 95 % del campo di visibilità totale a livello del suolo assicurato dagli specchi previsti dalla direttiva 2003/97/CE.

3.2

Gli Stati membri sono tenuti ad attuare la direttiva, e quindi a far installare i nuovi specchi, entro 12 mesi dalla sua entrata in vigore, con alcune possibili deroghe:

si considera rispettata la direttiva se i veicoli sono dotati di specchi che, combinati, coprano almeno il 99 % del campo di visibilità totale al livello del suolo assicurato dagli specchi IV e V di cui alla direttiva 2003/97/CE,

gli Stati membri potranno consentire ai veicoli immatricolati da 4 a 7 anni prima dell'entrata in vigore della direttiva un anno di tempo supplementare per adeguarvisi e a quelli immatricolati da 7 a 10 anni prima, due anni supplementari.

3.3

Per i veicoli nei quali è tecnicamente impossibile montare gli specchi previsti, si possono infine utilizzare altri dispositivi per la visione indiretta (telecamere o altri strumenti elettronici), purché sia assicurato il risultato di visibilità del 99 % già richiamato sopra. In questi casi i veicoli dovranno essere omologati individualmente dalle autorità competenti degli Stati membri.

3.4

È concessa facoltà agli Stati membri di estendere l'applicazione della direttiva anche ai veicoli con oltre dieci anni d'età.

4.   Osservazioni generali

4.1

Vale la pena di sottolineare che la proposta ha un senso solo se sarà attuata in tempi sufficientemente rapidi da incidere in misura rilevante sul parco in circolazione. Infatti, secondo le stime della Commissione l'aumento progressivo dei veicoli dotati dei nuovi specchi consentirà di risparmiare altre 1.200 vite umane.

4.2

Tuttavia la stessa Commissione, nella valutazione d'impatto che accompagna la proposta (9), riconosce che un'applicazione immediata e rigorosa delle nuove prescrizioni creerebbe numerosi problemi tecnici, con ripercussioni negative, anche economiche, sugli operatori del settore e conseguenti possibili distorsioni di mercato.

4.3

La Commissione prevede che per oltre la metà del circolante, la sostituzione degli specchi è facilmente realizzabile a costi contenuti, vale a dire intorno ai 150 euro (10). Per il resto del parco, le soluzioni variano da un lieve ritocco verso il basso delle prescrizioni di visibilità (> 99 %) a soluzioni molto complesse per i veicoli più vecchi che in alcuni casi richiederebbero modifiche strutturali della cabina, peraltro di esito incerto, del costo di migliaia di euro.

4.4

A fronte di queste variabili, e in relazione ai casi difficili o (per qualche modello/versione di veicolo) apparentemente insolubili, la Commissione «invita le autorità ispettive nazionali a dar prova di flessibilità accettando soluzioni di carattere eccezionale a costi ragionevoli» (11).

4.5

Il CESE pur comprendendo le ragioni di quest'indeterminatezza, imposta dalla molteplicità dei problemi tecnici da affrontare, ritiene tuttavia che la proposta così formulata rischia di originare divergenze interpretative notevoli, con ripercussioni negative sul mercato europeo del trasporto merci.

4.6

Le criticità rilevate dal CESE nella proposta, così come ora formulata, riguardano principalmente due aspetti: il rischio di una disparità di trattamento tra gli operatori del settore del trasporto merci, con conseguente distorsione della concorrenza, e l'assenza di un sistema di certificazione e controllo delle nuove disposizioni semplice, omogeneo ed affidabile.

4.6.1

Per quanto riguarda il primo aspetto, sembra inopportuno richiedere per i nuovi specchi una percentuale di copertura del 99 %, consentendo nello stesso tempo agli Stati membri che hanno già legiferato in materia un limite del 95 %. Il CESE considererebbe più equo, oltre che più semplice ai fini del controllo, stabilire un'unica percentuale valida per tutta l'UE.

4.6.2

Sempre in tema d'uniformità di trattamento, la possibilità accordata agli Stati membri di ritardare autonomamente l'applicazione delle nuove misure per i veicoli più vecchi (12), può creare distorsioni della concorrenza tra i veicoli che partecipano al traffico internazionale. Il CESE raccomanda pertanto che la tempistica di attuazione delle misure previste sia la stessa in tutti gli Stati membri.

4.6.2.1

A questo proposito, considerato l'elevato numero di veicoli e la complessità della certificazione, il CESE ritiene che un periodo d'adeguamento di due anni dopo il recepimento della direttiva sia necessario, e anche sufficiente. Su questo punto gli orientamenti generali dell'ultimo Consiglio trasporti (13) sembrano conciliarsi con la soluzione qui suggerita. Per contro, lo stesso Consiglio appare orientato ad applicare la direttiva sui veicoli immatricolati non a partire dal 1998, ma dopo il 1o gennaio 2000, escludendo quindi un 15 % circa del circolante.

4.6.3

Ancora più critico appare al CESE il secondo problema segnalato e cioè la certificazione e il controllo delle nuove prescrizioni. È infatti dubbio che la verifica e certificazione del campo di visibilità possano essere efficacemente effettuate su ogni veicolo nel contesto dell'ispezione periodica. La determinazione del campo di visibilità è infatti un'operazione molto impegnativa che coinvolge una serie di parametri e rilevazioni diverse e complesse.

4.6.3.1

Normalmente la marcatura omologativa, come nel caso della direttiva 2003/97/CE più volte citata, riguarda la certificazione di un complesso (specchio, braccia, cabina, sedile e altezza dello specchio da terra) che non dipende solo dallo specchio, ma anche dal modello di veicolo su cui questo è montato. Queste prove sono effettuate su un prototipo la cui accettazione implica e garantisce quella di tutta la successiva produzione in serie. Di conseguenza gli specchi sono omologati come un insieme unico di elementi, con un marchio d'omologazione apposto sul corpo dello specchio che nel caso di sostituzione del vetro riflettente non deve essere, a sua volta, obbligatoriamente sostituito. Di conseguenza, i veicoli già in circolazione omologati sulla base della vecchia direttiva 71/127/CEE, si troverebbero, sostituendo il solo vetro riflettente, ad avere un marchio d'omologazione riferito ad una direttiva abrogata.

4.6.3.2

Pertanto, se non si prevede una qualche garanzia di conformità (marchio, certificato, ecc.) si corre il rischio di dover ispezionare tutti i veicoli assoggettandoli ai test previsti dalla 2003/97/CE, come se si dovesse ri-omologare il campo visivo d'ogni singolo veicolo, in analogia a quanto previsto per i casi in cui per ottenere il campo visivo previsto si ricorra a strumenti elettronici. Con quali conseguenze sul carico di lavoro delle autorità di certificazione e controllo è facile immaginare, se si ricorda che si tratta di milioni di veicoli.

4.6.3.3

La soluzione indicata dalla Commissione europea e dal Consiglio affida la certificazione di conformità ai controlli annuali (road worthiness test) stabiliti dalla direttiva 96/96/CE del 20 dicembre 1996 per i veicoli con massa superiore alle 3,5 t.

4.6.3.4

Questi controlli si limitano, per quanto riguarda gli specchi, alla rilevazione della loro presenza nei punti richiesti, alla loro integrità e alla sicurezza del loro fissaggio. È pertanto improbabile che essi siano in grado di certificare che il risultato complessivo della visione, come ricordato sopra, raggiunga le percentuali richieste.

4.6.3.5

La soluzione che il CESE si permette di suggerire e che appare più pratica nell'esecuzione e più affidabile nei risultati è quella di prevedere una dichiarazione di conformità rilasciata dall'installatore dei nuovi specchi. Potrebbe trattarsi di un documento a firma del responsabile dell'impresa, riportante oltre a tutti i dati del veicolo anche quelli relativi agli specchi o vetri riflettenti sostituiti. Tale dichiarazione sarebbe conservata nel veicolo e fatta valere sia nel contesto della revisione annuale che nel caso di un controllo stradale. Inoltre, trattandosi di un documento riportante quasi esclusivamente codici numerici, non porrebbe particolari problemi di traduzione nelle lingue comunitarie.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Nella relazione che introduce la proposta si ricorda che la direttiva 2003/97/CE è stata modificata dalla direttiva 2005/27/CE che estende l'obbligo di installare specchi di categoria IV e V ai veicoli N2 di peso pari a 3,5 t e non più di peso pari a 7,5 t, come in precedenza.

5.1.1

Tale formulazione è però fuorviante poiché si può leggere come una disposizione valida per tutti i veicoli N2 sotto le 7,5 t. In realtà, la direttiva 2005/27/CE prevede l'obbligo solo per quei veicoli N2 che hanno una cabina simile ad una N3, dove uno specchio di categoria V può essere montato a due metri dal suolo. Solo in quel caso si potrà richiedere l'installazione dei due nuovi specchi.

5.1.2

Il CESE suggerisce quindi, per maggior chiarezza, di rivedere l'articolo 2, lettera b) della proposta aggiungendo un'esenzione specifica riguardante i veicoli N2 di peso non oltre le 7,5 t sui quali è impossibile montare uno specchio di categoria V, in linea con quanto previsto dalla direttiva 2005/27/CE.

5.2

Nel considerando 8, si prevede l'esenzione per «i veicoli con durata di vita breve», intendendo evidentemente quelli con un notevole numero d'anni d'esercizio e, quindi con una vita residuale limitata. Considerato che la vita media del parco circolante non è omogenea tra i vari Stati membri, sarebbe opportuno che la Commissione chiarisse meglio il concetto, quantificandolo.

5.3

In molti veicoli già in circolazione è montato in via opzionale uno specchio grandangolare (Cat. IV) sul lato autista. Con l'obbligo ora sancito del nuovo grandangolare sul lato passeggero anche il primo dovrebbe essere sostituito. L'autista, infatti, che già deve controllare una serie di specchi, potrebbe avere qualche problema di valutazione con due grandangolari con curvatura diversa.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte (COM(2001) 370 def.).

(2)  COM(2003) 311 def.

(3)  CESE 512/2002 — GU C 149 del 21.6.2002.

(4)  «… relativa alla omologazione dei dispositivi per la visione indiretta e dei veicoli muniti di tali dispositivi, che modifica …»GU L 25 del 29.1.2004.

(5)  N2: peso massimo a terra > t 3,5 e <= t 12; N3: peso massimo a terra > t 12.

(6)  GU L 81 del 30.5.2005.

(7)  Categoria I retrovisori interni; categorie II e III specchi esterni principali; categoria IV esterni grandangolari; categoria V esterni di accostamento; categoria VI specchi anteriori.

(8)  I cosiddetti «grandfather»: Belgio, Danimarca e Paesi Bassi. A questi va aggiunta la Germania, dove un accordo volontario tra governo e costruttori di camion consente di raggiungere gli stessi risultati dei «grandfather» per i veicoli costruiti dopo il 2000.

(9)  SEC(2006) 1238 e SEC(2006) 1239.

(10)  Importo realistico se riferito alla sostituzione del solo vetro riflettente, ma che aumenta notevolmente ove si installi uno specchio completo.

(11)  Valutazione d'impatto, versione italiana pag. 5.

(12)  Cfr. paragrafo 3.2.

(13)  TTE Council del 12.12.2006.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Istituto europeo di tecnologia

COM(2006) 604 def./2 — 2006/0197 (COD)

(2007/C 161/06)

Il Consiglio, in data 20 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 157, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Il Comitato ha deciso di incaricare la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha nominato relatore generale PEZZINI e ha adottato il seguente parere con 93 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Ottenere risultati tecnico-scientifici di eccellenza e convertirli in potenziale economico competitivo è una premessa indispensabile per garantire il nostro futuro, ad esempio in riferimento alle nanotecnologie, alla società dell'informazione e alle questioni energetiche e climatiche, per conservare e migliorare la nostra attuale posizione sulla scena internazionale e per non pregiudicare, anzi per rafforzare il modello sociale europeo.

1.2

Il Comitato ha sempre valutato positivamente ogni iniziativa tesa a:

rafforzare le capacità di innovazione della Comunità e degli Stati membri,

favorire un approccio integrato al triangolo della conoscenza (1),

consolidare i rapporti tra il mondo accademico e quello imprenditoriale,

sostenere tutti gli sforzi intesi a promuovere la ricerca e l'innovazione,

estendere il partenariato pubblico-privati nell'ambito della RST,

incrementare l'accesso delle PMI alle nuove conoscenze.

1.3

Il CESE appoggia con forza e convinzione l'idea di creare uno strumento, come l'Istituto europeo di tecnologia (IET) allo scopo di contribuire allo sviluppo di un'istruzione, di un'innovazione e di una ricerca di qualità, incoraggiando la cooperazione e l'integrazione tra i centri d'eccellenza europei nel campo dell'industria e della ricerca universitaria e scientifica.

1.4

Il Comitato sottolinea l'importanza di uno sviluppo coerente della proposta di IET con la sua base giuridica, intesa in particolare ad «accelerare l'adattamento dell'industria alle trasformazioni industriali, promuovere un ambiente favorevole all'iniziativa e allo sviluppo delle imprese di tutta la Comunità, e segnatamente delle piccole e medie, promuovere un ambiente favorevole alla cooperazione tra le imprese, e infine favorire un miglior sfruttamento del potenziale industriale delle politiche di innovazione, di ricerca e di sviluppo tecnologico (2)».

1.5

Secondo il Comitato, però, per avere successo questo nuovo strumento integrato di conoscenza, ricerca e innovazione deve riuscire a caratterizzarsi e a differenziarsi rispetto agli altri strumenti comunitari integrati già esistenti, come ad esempio le piattaforme tecnologiche europee, le iniziative congiunte europee, le reti europee d'eccellenza, i progetti integrati o gli schemi europei di master avanzati (3).

1.6

Il Comitato è consapevole del fatto che sarebbe improprio stabilire dei semplici parallelismi tra il futuro IET e un istituto come lo statunitense Massachusetts Institute of Technology (MIT), dal momento che quest'ultimo non è mai stato un progetto federativo d'eccellenza, bensì una università d'eccellenza caratterizzata dalla presenza di una «MIT corporation», affiancata da una società di gestione degli investimenti (Investment management company). Eppure, il successo di istituzioni come il MIT mostra che l'eccellenza è il risultato di un processo evolutivo basato sui giusti principi e su un sostegno adeguato.

1.7

Il Comitato ritiene però che il futuro IET, se vuole divenire un performer e un world class player, cioè un modello di riferimento e un simbolo di performance dell'eccellenza europeo, deve andare al di là della funzione di mero integratore di risorse.

1.8

A questo fine, la sua concezione, la sua struttura e le sue articolazioni dovranno non solo rispondere appieno e con coerenza alle finalità prescritte dal Trattato, che ne costituiscono la base giuridica essenziale, ma anche sviluppare una cultura tecnico-scientifica della competenza e dell'eccellenza capace di attrarre i migliori studenti e di forgiare i migliori scienziati e ingegneri. È questo un presupposto essenziale per la creazione di nuova conoscenza e di innovazione costante.

1.9

Secondo il Comitato, è importante non arrestarsi all'idea di un «faro della conoscenza di prestigio internazionale» (4), ma è necessario anche il dinamismo di tutti gli attori interessati per sviluppare un marchio di eccellenza che caratterizzi ogni singola comunità della conoscenza e dell'innovazione (CCI), per cercare di conseguire risultati concreti aventi un'incidenza sul mercato:

in termini di trasferimento della conoscenza e dei ritrovati della ricerca in una reale innovazione di mercato,

grazie alla creazione di nuove imprese all'avanguardia della competitività,

attirando e formando esperti di levatura internazionale,

promuovendo una nuova occupazione stabile e qualificata.

1.10

Le strutture e le articolazioni dell'Istituto dovrebbero essere concepite e realizzate in modo da:

essere orientate verso il mondo degli affari e del lavoro europeo, intensificando gli sforzi per una società della conoscenza,

essere sintonizzate con la dimensione economica e sociale del modello comunitario,

avere una forte caratterizzazione internazionale, per poter attrarre ricercatori e imprese da tutto il mondo.

1.10.1

La formula dell'impresa comune potrebbe essere presa in debita considerazione.

1.11

Quanto meno nei primi tempi, il successo dell'IET dipenderà in gran parte dall'attribuzione di finanziamenti sufficienti da parte della Comunità e degli Stati membri, i quali però non andrebbero sottratti agli altri programmi adottati in materia di ricerca e innovazione.

1.11.1

A parere del Comitato, nel futuro IET acquisteranno sempre più importanza, da una parte, i meccanismi di incentivazione dei brevetti e i regimi di trattamento della proprietà intellettuale e, dall'altra, la capacità di reperimento dei fondi di finanziamento privati: questi ultimi dovranno essere largamente prevalenti, rispetto a quelli comunitari, per non sottrarre risorse agli altri programmi, soprattutto a quelli destinati alla ricerca e alla innovazione.

1.11.2

Per quanto riguarda le risorse finanziarie, a parere del Comitato sarebbe necessario prevedere una dotazione iniziale di risorse comunitarie, che potrebbero essere reperite nell'ambito delle risorse aggiuntive nell'ambito della revisione intermedia del VII Programma Quadro comunitario di RSTD, mentre una parte consistente dovrebbe provenire, pro quota, dagli Stati membri. Senza trascurare le possibilità di attivare le azioni BEI, per le reti d'innovazione e per la ricerca universitaria

1.12

Altrettanto importanti sono, a parere del CESE, le capacità che saprà sviluppare l'Istituto nel mercato della conoscenza, dell'innovazione e della ricerca per assicurare un'interazione via via crescente tra l'Istituto stesso e le sue diramazioni, e cioè le comunità della conoscenza e dell'innovazione (CCI).

1.12.1

Ciò potrà avvenire anche attraverso grandi manifestazioni pubbliche, organizzate dal sistema IET, tese a valorizzare un label di eccellenza unico, concepito come una struttura a rete, decentrata in termini di attrazione e diffusione delle risorse della conoscenza e dell'innovazione.

1.12.2

L'innovazione e il successo sono il risultato di un equilibrio delicato tra procedure finalizzate al raggiungimento di obiettivi specifici e la libertà del singolo di mettere a punto idee e concetti nuovi da sottoporre al banco di prova della concorrenza. Rispondere a criteri di assicurazione di qualità standardizzati a livello europeo deve essere alla base dell'azione di ricerca, conoscenza e innovazione di tutta la struttura a rete IET. Senza un'interazione ispirata al mercato tra ricerca, innovazione e industria, la ricerca finanziata con fondi pubblici avrà solo un impatto limitato sull'economia.

1.13

Il sistema di selezione delle reti di imprese, dei centri di ricerca, dei laboratori e delle università, candidati a divenire CCI, dovrebbe essere, secondo il Comitato, improntato al principio del bottom-up e fondarsi su criteri chiari e trasparenti, tra i quali l'eccellenza e il successo professionale, le capacità e le esperienze nei processi di trasferimento delle tecnologie, soprattutto verso le PMI.

1.13.1

In ogni caso, il nuovo status di CCI non dovrebbe essere considerato acquisito a tempo indeterminato, ma venire sottoposto a periodiche valutazioni sulla qualità e sui risultati concreti ottenuti, ferma restando la necessità di un appropriato periodo di sviluppo.

1.14

Il Comitato ritiene altresì che il «sistema» IET dovrebbe puntare all'occorrenza a integrare una serie di centri d'eccellenza già presenti nell'UE e preliminarmente selezionati, evitando però di divenire una sovrastruttura burocratica di appoggio a tali centri; per questo motivo esso dovrebbe mirare a valorizzare maggiormente la componente industriale e di ricerca interdisciplinare, sia all'interno dei suoi organi statutari che in quelli di selezione.

1.14.1

A questo proposito sarebbe opportuno creare una «società di gestione degli investimenti IET» che consenta di proporsi in termini innovativi rispetto alle tradizionali carenze che, spesso, contraddistinguono i rapporti industria/accademia/ricerca.

1.15

Maggiore chiarezza, infine, è necessaria, a parere del Comitato, per quanto riguarda la definizione e il rilascio dei diplomi IET da parte delle reti CCI e dello IET stesso. Almeno per un periodo iniziale sufficientemente lungo, il rilascio dei diplomi dovrebbe restare appannaggio ma anche responsabilità di quelle università e/o politecnici degli Stati membri che siano stati selezionati come partner nell'ambito di ogni singola CCI. Una volta soddisfatte le condizioni minime, i loro diplomi potrebbero fregiarsi del label IET.

1.16

L'attribuzione del label EIT ai diplomi delle reti CCI, dovrebbe avvenire, a parere del Comitato, a condizione che gli studi e le ricerche effettuate si siano svolti in almeno tre istituti differenti di tre Stati membri, per assicurare una dimensione europea interdisciplinare al diploma stesso; abbiano dimostrato un sufficiente impatto potenziale di innovazione; e, infine, vengano asseverati dall'IET centrale.

1.17

Per quanto attiene allo statuto dell'IET, il Comitato ritiene opportuno affiancare al consiglio d'amministrazione/comitato direttivo (5), previsto nella proposta di statuto della Commissione, un comitato di sorveglianza composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione, un comitato esecutivo composto da due rappresentati ciascuno del mondo delle imprese, dei centri di ricerca e delle università e presieduto dal presidente del consiglio d'amministrazione, da un direttore amministrativo e da un rettore.

2.   Introduzione

2.1

Il rapporto a medio termine presentato al Consiglio europeo della primavera del 2005 Lavorare insieme per la crescita e l'occupazione: il rilancio della strategia di Lisbona  (6) aveva individuato alcuni principi fondamentali per il rilancio, quali il carattere mirato delle iniziative da prendere, la vasta partecipazione, la condivisione degli obiettivi e infine l'esistenza di livelli di responsabilità ben definiti.

2.2

Tra gli elementi integranti della strategia di Lisbona è stato altresì individuato quello della diffusione della conoscenza, da attuare grazie a un sistema di istruzione di elevata qualità. In particolare, l'Unione europea deve adoperarsi affinché le università europee possano competere con le migliori università del mondo: ma perché questo avvenga, si deve realizzare lo Spazio europeo dell'istruzione superiore, attraverso il quale risulta più facile creare e diffondere la conoscenza in tutto il territorio dell'Unione.

2.3

Per contribuire a realizzare tale obiettivo, la Commissione aveva dichiarato la sua intenzione di proporre la creazione di un «Istituto europeo di tecnologia» e la sua volontà di impegnarsi perché le università europee divenissero competitive a livello internazionale, dal momento che le «strategie esistenti, in materia di finanziamento, gestione e qualità, risultano ancora inadeguate di fronte alla sfida di quello che è diventato un mercato globale per gli accademici, per gli studenti e per la stessa conoscenza».

2.4

Il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi a più riprese in merito a questa problematica (7), sostenendo tra l'altro, nel suo parere esplorativo Verso la società europea della conoscenzaIl contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona  (8), la necessità di creare uno Spazio europeo comune della conoscenza basato sulla cooperazione nei campi dell'apprendimento, dell'innovazione e della ricerca. In tale parere il CESE invitava altresì il mondo imprenditoriale, le istituzioni finanziarie e le fondazioni private ad assumersi le loro responsabilità e ad aumentare gli investimenti nell'economia della conoscenza, sostenendo tra l'altro degli accordi di partenariato pubblico-privati (PPP) a livello europeo.

2.5

Negli Stati Uniti d'America, il MIT, creato a Boston nel 1861, conta oggi circa 10.000 studenti e un corpo professorale di circa 10.000 persone impegnate in un sistema multidisciplinare di alta qualità, che spazia dall'economia al diritto, dall'architettura all'ingegneria, dalle tecniche di gestione alla matematica e fisica, alla biologia. Il MIT costa più di 1.000 milioni di dollari l'anno, ma nella cosiddetta «Lista di Shanghai», che elenca le migliori università del mondo (9), occupa ben il quinto posto.

2.6

Per quanto riguarda l'Europa, entro il 2010 dovrebbero essere raggiunti gli obiettivi fissati dal Processo di Bologna, vale a dire l'iniziativa lanciata dall'Unione europea nel 1999 per poter armonizzare i vari sistemi di istruzione superiore europei con lo scopo di creare un'Area europea dell'istruzione superiore e di promuovere a livello mondiale il sistema europeo di istruzione superiore, con i seguenti obiettivi:

adozione di un sistema di titoli agevolmente leggibili e comparabili,

convergenza dei sistemi di istruzione, da articolare su 3 cicli principali (laurea, master, dottorato),

consolidamento del sistema di crediti didattici, basato sul sistema ECTS (10), acquisibili anche in contesti disciplinari diversi,

promozione della mobilità (per studenti, docenti, ricercatori e personale tecnico-amministrativo) e contestuale rimozione degli ostacoli ad una piena e libera circolazione,

promozione della cooperazione, nell'ambito della valutazione della qualità, su scala europea,

promozione nell'istruzione superiore di una indispensabile dimensione europea, che incida sui piani di studio, sulla cooperazione fra istituzioni universitarie, sulla mobilità, sui piani integrati, sulla formazione e sulla ricerca.

2.7

Il 26 settembre 2006 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla creazione di un Quadro europeo delle qualifiche (11), che prende in considerazione il processo di Bologna e quello di Copenaghen del 2002 e si basa sulla promozione di una maggiore cooperazione europea, in materia di istruzione e formazione professionale, finalizzata ad una serie di risultati concreti (12).

2.8

Nel 2005 la Commissione ha pubblicato il secondo rapporto sui progressi verso gli obiettivi di Lisbona nell'istruzione e nella formazione (13): in esso si evidenzia, tra l'altro, la difficoltà di aumentare il numero dei laureati in Europa, la necessità di aggiornare e integrare le conoscenze, le competenze e le qualifiche nel corso della vita attiva attraverso sistemi di istruzione permanente avanzati e infine l'esigenza di aumentare gli investimenti pubblici in istruzione e formazione superiore integrandoli con investimenti privati nonché di formare professori e personale didattico di alta qualità e competenza, nella misura necessaria al ricambio generazionale (circa 1.000.000 di persone nel periodo 2005-2015).

2.9

Nel 2006 è stato completato, in ambito OCSE, uno studio concepito dal lato della domanda (14) e intitolato Programme for International Student Assessment (PISA) (15), che fornisce un quadro generale delle caratteristiche, delle attitudini e delle capacità degli studenti di utilizzare le conoscenze acquisite.

2.10

Le debolezze del sistema educativo universitario europeo sembrano provenire principalmente da quattro cause (16):

eccessiva uniformità: non vi sono una flessibilità e una diversità sufficienti per soddisfare le nuove richieste,

«insularità»: le università operano troppo spesso in una «torre d'avorio», con collegamenti inadeguati con il mondo degli affari e con la società,

sovraregolamentazione: troppo spesso le università non possono modernizzarsi a causa dell'esistenza di rigide regolamentazioni nazionali,

sottofinanziamento: la spesa dell'Europa per la ricerca e per l'istruzione e la formazione si colloca ad un livello inferiore a quello dei suoi diretti concorrenti. Per colmare tale gap l'UE dovrebbe spendere 150 miliardi di euro l'anno, cioè una somma superiore all'intero bilancio comunitario (17).

2.11

I principali problemi a carattere generale ai quali si vorrebbe porre rimedio con la creazione di un Istituto europeo di tecnologia sono i seguenti:

basso livello degli investimenti per l'insegnamento superiore e per la R&S e loro scarsa concentrazione in poli di eccellenza in grado di affrontare la concorrenza internazionale,

insufficienza degli strumenti e livelli di conversione dei risultati della conoscenza e della R&S in attività economiche competitive e in posti di lavoro, rispetto ai grandi concorrenti dell'UE,

carattere poco innovativo dei modelli di governance e di organizzazione degli istituti europei di ricerca e di istruzione superiore, spesso poco flessibili e sovraregolamentati,

assenza di un approccio integrato al triangolo «educazione/ricerca/innovazione»,

incapacità di attrarre e mantenere in modo adeguato i migliori docenti e discenti.

2.12

Nella sua risoluzione sul bilancio annuale 2007, il Parlamento europeo, se da un lato si è espresso a favore dell'idea di accrescere le potenzialità del triangolo della conoscenza (istruzione, ricerca e innovazione) e di rafforzarne i vincoli, dall'altro si è mostrato scettico circa la creazione del nuovo Istituto europeo di tecnologia che, a suo avviso, «potrebbe mettere a repentaglio o sovrapporsi a strutture già esistenti e potrebbe pertanto non rappresentare il modo più efficace di utilizzare i finanziamenti in questo ambito» (18).

2.13

Dal canto suo, il Consiglio europeo del 15-16 giugno 2006 ha, per contro, ribadito che «la creazione dell'Istituto europeo di tecnologia (IET), che coopererà con le istituzioni nazionali esistenti, costituirà una misura importante per colmare il divario esistente tra l'insegnamento superiore, la ricerca e l'innovazione, insieme a altre misure che favoriranno le reti e le sinergie tra i poli d'eccellenza in materia d'innovazione e di ricerca in Europa», e ha invitato la Commissione a presentare «una proposta ufficiale relativa alla sua creazione». In risposta a tale invito, la Commissione ha presentato nel novembre 2006 la proposta oggetto del presente parere (19), che fa seguito alle sue due comunicazioni precedenti in materia (20).

2.13.1

Successivamente, il Consiglio europeo del dicembre 2006 ha confermato l'orientamento positivo evidenziato in precedenza.

3.   La proposta della Commissione

3.1

L'idea che sta all'origine della proposta di regolamento della Commissione per la creazione dello IET, è che quest'ultimo possa contribuire alla competitività industriale, rafforzando la capacità d'innovazione degli Stati membri e della Comunità. Gli obiettivi della proposta sono:

migliorare il potenziale competitivo degli Stati membri facendo intervenire organizzazioni partner in attività integrate d'innovazione, ricerca e istruzione, secondo standard internazionali,

promuovere l'innovazione mediante attività strategiche transdisciplinari e interdisciplinari di R&S e d'istruzione, in settori che rivestono un interesse essenziale per l'economia e la società,

formare una «massa critica» di risorse umane e materiali in questi settori della conoscenza, attraendo e conservando gli investimenti del settore privato nell'innovazione, nell'istruzione e R&S, nonché studenti a livello di master, dottorandi e ricercatori,

divenire un simbolo dello spazio europeo integrato dell'innovazione, ricerca e istruzione,

divenire un riferimento in materia di gestione dell'innovazione e un modello per la modernizzazione dell'istruzione superiore e della ricerca nell'UE,

conquistare una reputazione internazionale e offrire un ambiente attraente per i più grandi talenti presenti sulla scena mondiale, restando aperto alle organizzazioni partner, agli studenti e ai ricercatori extracomunitari.

3.2

La Commissione propone di dotare l'IET di una struttura integrata a due livelli, che combini l'approccio dall'alto verso il basso con quello dal basso verso l'alto, secondo lo schema seguente:

l'IET propriamente detto, guidato da un comitato direttivo. La persona giuridica IET sarà costituita dal comitato direttivo, coadiuvato da un numero molto ristretto, pari a circa 60 persone, di collaboratori scientifici e amministrativi. Il comitato direttivo sarà composto da un gruppo di 15 personalità in rappresentanza del mondo delle imprese e della comunità scientifica, al quale verranno ad aggiungersi altri 4 membri in rappresentanza del personale e degli studenti dell'IET e delle CCI (vedi sotto). Sono previsti, inoltre, un comitato esecutivo di supervisione, un direttore per la gestione corrente e la rappresentanza legale e un comitato di revisione contabile, secondo quanto definito nello statuto dell'IET allegato alla proposta di regolamento,

le comunità della conoscenza e innovazione (CCI), basate su un approccio a rete. Le CCI sono consorzi di organizzazioni partner rappresentanti università, istituti di ricerca e imprese, che si associano in un partenariato integrato in risposta agli inviti dell'IET a presentare proposte. Le CCI godono di un'elevata autonomia d'organizzazione interna, per conseguire gli obiettivi fissati su base contrattuale con l'IET.

3.3

Il bilancio generale dell'IET per il periodo 2007–2013 è stimato a circa 2.367,1 milioni di euro, provenienti da:

a)

fonti esterne ed interne, tra cui i contributi degli Stati membri e delle autorità regionali o locali, i contributi del settore privato (imprese, capitale di rischio, banche, compresa la BEI); le risorse generate dalla attività specifica dell'IET (ad es. i diritti di proprietà intellettuale); le risorse provenienti da donazioni e dotazioni che l'IET potrebbe accumulare;

b)

fonti comunitarie: bilancio CE, a partire dai margini non assegnati (308,7 milioni di euro), fondi strutturali, VII Programma quadro di RSTD, programmi comunitari d'istruzione e di formazione permanente, CIP (Programma quadro per la competitività e l'innovazione).

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato ha sempre valutato positivamente ogni iniziativa intesa a rafforzare le capacità di innovazione della Comunità e degli Stati membri, favorendo un approccio integrato al triangolo della conoscenza, ed in particolare tra il mondo accademico e il mondo imprenditoriale. Esso è decisamente favorevole a garantire un miglior coordinamento degli sforzi di ricerca, a intensificare l'innovazione e l'istruzione nell'UE, a conseguire un più efficace partenariato pubblico-privati in materia di R&S e ad assicurare un miglior accesso delle piccole e medie imprese alle nuove conoscenze (21).

4.2

Il Comitato non può, però, discostarsi dai tre principi chiave posti alla base del rilancio della strategia di Lisbona, e cioè:

l'esigenza di un forte appoggio alle iniziative europee più mirate,

una forte condivisione degli obiettivi,

una chiara individuazione dei livelli di responsabilità.

4.3

Secondo il Comitato, occorrerebbe quindi valutare attentamente come l'iniziativa in oggetto si collochi nella pluralità delle altre iniziative in corso, che prendono lo spunto da diverse altre politiche come quelle della ricerca, dell'impresa, dello sviluppo regionale, della società dell'informazione, dell'educazione e della cultura.

4.3.1

Secondo il Comitato, per divenire un modello di riferimento e un simbolo dell'eccellenza europea il futuro Istituto non deve accontentarsi di essere un integratore di risorse, ma deve organizzarsi, a livello della sua concezione, della sua struttura e della sua articolazione, per realizzare il dettato del Trattato, che ne costituisce la base giuridica essenziale.

4.3.2

Il Comitato sottolinea che un elemento chiave del successo del futuro IET dovrà essere la capacità di valorizzare il marketing di un label unico di eccellenza, costituto da una struttura a rete decentrata in termini di attrazione e di diffusione delle risorse della conoscenza e dell'innovazione.

4.4

Il Comitato concorda sulla necessità di dotare l'IET di una struttura quanto più leggera possibile, flessibile e dinamica, per consentirgli di accogliere e soddisfare le nuove richieste: e ritiene che si dovrebbe esplorare la possibilità di costituzione di una impresa comune (22), ma sottolinea tuttavia la necessità che tale struttura sia orientata verso il mondo delle imprese e dell'occupazione e ribadisce l'imperativo che l'IET si concentri sul suo obiettivo primario dichiarato, che è quello di trasformare i risultati della R&S in opportunità di mercato.

4.4.1

Per questo i criteri di selezione degli organi direttivi devono riguardare non solo e non tanto l'eccellenza scientifica, quanto la capacità di attrarre capitale innovativo, di creare start-up, di generare e sfruttare brevetti e di attrarre finanziamenti pubblici/privati, senza trascurare le PMI.

4.5

Secondo il Comitato, tale orientamento deve riflettersi nei criteri di selezione delle CCI, i cui consorzi devono rimanere aperti, nel quadro delle priorità della programmazione pluriennale comunitaria della ricerca e dell'innovazione, in modo da facilitare la partecipazione delle imprese ed entità minori, assicurando il massimo della flessibilità ed il minimo di carichi amministrativi.

4.5.1

I criteri di qualificazione delle CCI dovrebbero essere meglio definiti:

assicurare la loro dimensione europea, con nove entità di almeno tre Stati membri,

il livello di expertise deve riflettere il livello di eccellenza previsto per l'IET stesso,

il livello di interdisciplinarità deve essere assicurato; la composizione deve rispecchiare i giusti equilibri tra i tre diversi elementi qualificanti del triangolo: ricerca, conoscenza ed innovazione,

deve essere rispettato l'equilibrio tra componente pubblica e privata; devono essere provate le capacità d'impatto d'eccellenza in campo di ricerca, conoscenza, brevetti e trasferimento di tecnologia da parte delle singole componenti nel quinquennio precedente,

deve essere presentato un piano unitario di attività congiunte, in un programma proiettato in un arco temporale di almeno cinque anni.

4.6

Nell'ambito della strategia di Lisbona, se si vuole favorire uno spazio europeo della conoscenza, sarà necessario creare degli incentivi, per promuovere la mobilità tra le diverse professioni intellettuali e tra il settore pubblico e quello privato, per favorire il travaso tra le differenti professionalità manageriali nonché tra quadri, ricercatori e ingegneri e infine per agevolare il passaggio da settori istituzionali a settori privati e viceversa (23): la mobilità su un piano europeo deve essere un elemento qualificante dei percorsi formativi, di ricerca e di applicazioni tecnologiche.

4.7

Per quanto concerne le risorse finanziarie a sostegno delle attività dell'IET il CESE rileva la dotazione iniziale proposta appare essere molto limitata, mentre, in prospettiva, le fonti di finanziamento sembrano orientate verso i programmi tradizionali (24) e sembrano attingere alle già ridotte risorse del bilancio 2007-2013 in materia di ricerca, innovazione ed istruzione, concorrendo con altri strumenti di approccio integrato di comprovata efficacia, come gli IP/progetti integrati, le NoE/reti di eccellenza ed altri più recentemente istituiti come le JTI/iniziative tecnologiche congiunte, o le ETP/piattaforme tecnologiche europee.

4.7.1

La dotazione finanziaria prevista per il VII programma quadro di RST, per il periodo 2007-2013, che corrisponde a circa il 5,8 % del bilancio complessivo della Comunità, risulta già insufficiente a sostenere la politica di incentivi alla ricerca, e ad essa non possono quindi essere sottratte risorse, se non attraverso i normali meccanismi di partecipazione ai bandi, ai quali dovrebbero poter concorrere anche l'IET e le CCI, su un piano di parità con gli altri proponenti.

4.7.2

Quanto meno nei primi tempi, il successo dell'IET dipenderà in gran parte dall'attribuzione di finanziamenti sufficienti da parte della Comunità e degli Stati membri, i quali però non andrebbero sottratti agli altri programmi adottati in materia di ricerca e innovazione: di fatto le cifre stimate dalla Commissione per il periodo 2007-2013 per l'intero sistema IET, appaiono essere sottostimate mentre i fondi comunitari reperiti da residui di bilancio sono estremamente esigui. Secondo il Comitato, si potrebbe valutare se far ricorso a formule come quella dell'impresa comune ex art. 171 del Trattato con la partecipazione diretta degli Stati membri interessati (vedi ad esempio la formula usata per l'impresa comune Galileo) (25).

4.7.3

A parere del Comitato, la necessaria dotazione iniziale di risorse finanziarie potrebbe essere reperita nell'ambito delle risorse aggiuntive, nell'ambito della revisione mid-term del VII Programma Quadro comunitario di RSTD, tali risorse dovrebbero aggiungersi ai conferimenti diretti, pro quota, degli Stati membri.

4.7.4

Una ulteriore fonte di finanziamento potrebbe essere individuata nelle attività BEI in ambito della Innovation 2010 Initiative (i2i) e dell'azione BEI a favore della ricerca universitaria (26) e delle reti universitarie.

4.8

La politica comunitaria di R&S necessita d'altra parte di un controllo più sistematico di tutti gli aspetti che limitano la mobilità dei ricercatori, la quale è attualmente penalizzata dalla diversità delle disposizioni relative al riconoscimento dei titoli accademici nonché da quelle delle norme fiscali, assicurative e previdenziali (27).

4.9

A parere del Comitato, se l'Istituto europeo di tecnologia (IET) intende divenire un operatore di riferimento a livello mondiale, in grado di incoraggiare gli altri soggetti e le altre reti europee del triangolo della conoscenza a migliorare i loro risultati, esso dovrà mettersi in grado di attrarre un volume significativo di fondi privati, che dovranno progressivamente diventare la sua fonte prevalente di sostegno finanziario.

4.10

Un fattore importante al riguardo potrebbe essere rappresentato dalla soluzione che si vorrà dare ai problemi di tutela della proprietà intellettuale, che forse meritano di essere ulteriormente chiariti nella proposta, così come a quelli relativi alla definizione dei diplomi IET e al loro rilascio.

4.11

Secondo il Comitato è necessario chiarire meglio la definizione e il rilascio dei diplomi IET, da parte delle reti CCI e dello IET stesso.

4.11.1

Per un periodo iniziale, sufficientemente esteso, il rilascio dei diplomi dovrebbe rimanere nelle prerogative e nelle responsabilità delle università e/o politecnici degli Stati membri, che sono stati selezionati per far parte di ciascuna CCI. Tuttavia, anche in tale periodo iniziale, il rilascio dei diplomi dovrebbe rispondere a precise condizioni minime.

4.11.2

Tali condizioni potrebbero ricomprendere i seguenti elementi:

gli studi e le ricerche siano stati sviluppati in almeno tre istituti differenti di tre Stati membri, per assicurare una dimensione europea al diploma stesso,

abbiano dimostrato un sufficiente impatto potenziale di innovazione, vengano asseverati dall'IET centrale.

4.12

Per quanto concerne lo statuto dello IET, il Comitato ritiene opportuno affiancare ad un consiglio d'amministrazione, che riprenderebbe la composizione del Comitato direttivo della proposta di statuto della Commissione, con 5 rappresentanti del mondo delle imprese, 5 dei centri di ricerca pubblici e privati e 5 delle università pubbliche e private al quale verranno ad aggiungersi altri 4 membri in rappresentanza del personale e degli studenti dell'IET e delle CCI (28), sotto la presidenza di un rappresentante della Commissione:

un comitato di sorveglianza composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione,

un comitato esecutivo, composto da 2 rappresentanti del mondo delle imprese, dei centri di ricerca e delle università e presieduto dal presidente del consiglio di amministrazione,

un direttore amministrativo ed un rettore nominati — e revocati — dal consiglio d'amministrazione, previo parere conforme del comitato di sorveglianza.

4.12.1

Se venisse adottata la formula dell'Impresa comune IET, i membri del personale amministrativo e scientifico dell'impresa comune dovrebbero poter beneficiare di un contratto a durata determinata, ispirato al regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee (29).

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Produrre conoscenza mediante la ricerca, diffonderla mediante l'istruzione, applicarla mediante l'innovazione.

(2)  Cfr. l'art. 157 del Trattato CE, che costituisce la base giuridica della proposta della Commissione.

(3)  Cfr. ad esempio, l'EMM-Nano nel quadro di Erasmus Mundus, www.emm-nano.org.

(4)  COM(2006) 77 def., del 22.2.2006.

(5)  Cfr. nota 28.

(6)  COM(2005) 24 def., del 2.2.2005.

(7)  (GU C 120 del 20.5.2005), relatori: EHNMARK, VEVER, SIMPSON; (GU C 120 del 20.5.2005), relatore: KORYFIDIS; CESE 135/2005 (GU C 221 dell'8.9.2005), relatore: GREIF; (GU C 221 dell'8.9.2005), relatore: KORYFIDIS.

(8)  (GU C 65 del 17.3.2006) relatori: OLSSON, BELABED e van IERSEL.

(9)  Cfr. la «lista di Shanghai 2005», delle top 50 universities. Tra le prime 30 figurano solo quattro università comunitarie: 1 - Harvard University (USA), 2 — Cambridge University (Regno Unito), 3 — Stanford University (USA), 4 — University of California, Berkeley (USA), 5 — Massachusetts Institute of technology (USA), 6 — California Institute of Technology (USA), 7 — Columbia University (USA), 8 — Princeton University (USA), 9 — University of Chicago (USA), 10 — Oxford University (Regno Unito), 11 — Yale University (USA), 12 — Cornell University (USA), 13 — University of California, San Diego (USA), 14 — University of California, Los Angeles (USA), 15 — University of Pennsylvania (USA), 16 — University of Wisconsin, Madison (USA), 17 — University of Washington, Seattle (USA), 18 — University of California, San Francisco (USA), 19 — Johns Hopkins University (USA), 20 — Tokyo University (Giappone), 21 — University of Michigan, Ann Arbor (USA), 22 — Kyoto University (Giappone), 23 — Imperial College, Londra (Regno Unito), 24 — University of Toronto (Canada), 25 — University of Illinois, Urbana Champaign (USA), 26 — University College, Londra (Regno Unito), 27 — Swiss Federal Institute of Technology, Zurigo (Svizzera), 28 — Washington University, St. Louis (USA), 29 — New York University (USA), 30 — Rockefeller University (USA).

(10)  Sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti (ECTS).

(11)  Risoluzione del Parlamento europeo del 26.9.2006 sulla creazione di un quadro europeo delle qualifiche (2006/2002/INI).

(12)  Obiettivi del processo di Copenaghen:

un quadro unico per la trasparenza di competenze e qualifiche (CV europeo, certificati, diplomi, marchio europass-formazione, ecc.),

un sistema di trasferimento di crediti per l'istruzione e la formazione professionale, analogo a quello per l'istruzione superiore,

dei principi qualitativi comuni in materia di istruzione e formazione professionale, organizzati intorno a un nucleo di criteri comuni di garanzia della qualità che potrà fungere da base per iniziative di livello europeo di guidelines e checklist per l'istruzione e la formazione,

dei principi comuni per la convalida dell'istruzione formale e informale, in particolare per garantire una maggiore compatibilità fra i diversi approcci nazionali ai vari livelli,

una dimensione europea dell'orientamento informativo e dei servizi di consulenza, per consentire ai cittadini di fruire di un migliore accesso all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita.

(13)  SEC(2005) 419 del 22.3.2005 — Commission staff working paper: Progress towards the Lisbon objectives in education and training, 2005 Report.

(14)  Il 2.10.2006 l'OCSE ha pubblicato il quadro programmatico 2009-2015, che prevede l'inserimento di tre nuove aree di ricerca:

1)

la misurazione dei progressi di apprendimenti nel tempo e il raffronto di tali progressi nei vari paesi,

2)

il rapporto tra gli elementi dell'istruzione e l'esito dell'apprendimento,

3)

la valutazione delle competenze in materia di TIC e l'uso della tecnologia come strumento per inglobare una gamma più ampia di compiti inerenti alla valutazione.

(15)  OCSE, Assessing Scientific, Reading and Mathematical Literacy: a framework for PISA 2006, 11.9.2006.

(16)  Cfr. Friends of Europe, Can Europe close the education gap?, 27.9.2005.

(17)  Il bilancio UE 2006 ammonta a 121,2 miliardi di euro: su tale importo 7,9 miliardi sono destinati alla competitività e, di questi, 0,7 all'istruzione e formazione.

(18)  Risoluzione del PE del 28.4.2006 sul Bilancio per il 2007: Le priorità strategiche annuali della Commissione (PE 371.730V03-00) (A6-0154/2006).

(19)  COM(2006) 604 def. del 13.11.2006.

(20)  COM(2006) 77 def. del 22.2.2006 e COM(2006) 276 dell'8.6.2006.

(21)  (GU C 120 del 20.5.2005) relatori: VEVER, EHNMARK e SIMPSON.

(22)  Ex articolo 171 del Trattato.

(23)  (GU C 110 del 30.4.2004) relatore WOLF.

(24)  Occorre ricordare che nessuna disposizione specifica è stata adottata per l'IET nelle nuove proposte legislative comprese nei negoziati relativi all'accordo interistituzionale del 17.5.2006 sulla disciplina di bilancio e la buona gestione finanziaria.

(25)  Gli organi dell'impresa comune sono:

il consiglio di amministrazione, formato dai membri fondatori; le decisioni sono prese a maggioranza semplice, salvo alcune decisioni di capitale importanza, per le quali è stabilita la maggioranza del 75 %. Il consiglio di amministrazione prende tutte le decisioni strategiche in materia di programmi, finanze e bilancio. Nomina inoltre il direttore dell'impresa comune,

il comitato esecutivo che assiste il consiglio di amministrazione e il direttore,

il direttore amministrativo rappresenta l'esecutivo; è incaricato dell'amministrazione corrente dell'impresa comune e ne è il rappresentante legale: dirige il personale, aggiorna il piano di sviluppo del programma, prepara e sottopone al consiglio di amministrazione i conti e il bilancio annuo ed elabora la relazione annua sull'avanzamento del programma e sulla sua situazione finanziaria.

(26)  Cfr. programma Starebei, Eiburs e Bei University Networks.

(27)  Cfr. nota 22.

(28)  Tale composizione deve parimenti garantire un'adeguata presenza delle parti sociali.

(29)  Cfr. art. 11 dello statuto dell'impresa comune Galileo — regolamento (CE) n. 876/2002 del Consiglio, del 21.5.2002, relativo alla costituzione dell'impresa comune Galileo. GUCE L 138 del 28.5.2002.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il campo di visibilità e i tergicristallo dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2006) 651 def. — 2006/0216 (COD)

(2007/C 161/07)

Il Consiglio, in data 22 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURNS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434asessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.

Lo scopo della proposta in esame è avviare la codificazione della direttiva 74/347/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1974, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al campo di visibilità e ai tergicristallo dei trattori agricoli o forestali a ruote, e successive modifiche.

2.

Il Comitato giudica estremamente utile la codificazione di tutti i testi in materia in un'unica direttiva. Esso approva in pieno l'obiettivo di rendere la normativa comunitaria chiara e trasparente e, ricevuta assicurazione che la codificazione non comporta alcuna modifica sostanziale, accoglie con favore la proposta della Commissione.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni elementi e caratteristiche dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2006) 662 def. — 2006/0221 (COD)

(2007/C 161/08)

Il Consiglio, in data 22 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURNS.

Il Comitato economico e sociale europeo in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a. sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli e 8 astensioni.

1.

Lo scopo della proposta in esame è quello di avviare la codificazione della direttiva 74/151/CEE del Consiglio, del 4 marzo 1974, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative a taluni elementi e caratteristiche dei trattori agricoli o forestali a ruote, e successive modifiche.

2.

Il Comitato giudica estremamente utile la codificazione di tutti i testi in un'unica direttiva. Esso approva in pieno l'obiettivo di rendere la normativa comunitaria chiara e trasparente e, ricevuta assicurazione che tale codificazione non comporta alcuna modifica sostanziale, accoglie con favore la proposta della Commissione.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla velocità massima per costruzione e alle piattaforme di carico dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2006) 667 def. — 2006/0219 (COD)

(2007/C 161/09)

Il Consiglio, in data 22 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURNS.

Il Comitato economico e sociale europeo in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.

Lo scopo della proposta in esame è avviare la codificazione della direttiva 74/152/CEE del Consiglio, del 4 marzo 1974, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla velocità massima per costruzione e alle piattaforme di carico dei trattori agricoli o forestali a ruote, e successive modifiche.

2.

Il Comitato giudica estremamente utile la codificazione di tutti i testi in materia in un'unica direttiva. Esso approva in pieno l'obiettivo di rendere la normativa comunitaria chiara e trasparente e, ricevuta assicurazione che tale codificazione non comporta alcuna modifica sostanziale, accoglie con favore la proposta della Commissione.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al dispositivo di sterzo dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2006) 670 def. — 2006/0225 (COD)

(2007/C 161/10)

Il Consiglio, in data 29 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURNS.

Il Comitato economico e sociale europeo in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.

Lo scopo della proposta in esame è avviare la codificazione della direttiva 75/321/CEE del Consiglio, del 20 maggio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al dispositivo di sterzo dei trattori agricoli o forestali a ruote, e successive modifiche.

2.

Il Comitato giudica estremamente utile la codificazione di tutti i testi in materia in un'unica direttiva. Esso approva in pieno l'obiettivo di rendere la normativa comunitaria chiara e trasparente e, ricevuta assicurazione che tale codificazione non comporta alcun cambiamento sostanziale, accoglie con favore la proposta.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (versione codificata)

COM(2006) 692 def. — 2003/0099 (COD)

(2007/C 161/11)

Il Consiglio, in data 11 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore J. PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434asessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 153 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.

La proposta di direttiva all'esame, recante codificazione della direttiva 98/27/CE (1) del 19 maggio 1998, riprende, modificandola, la proposta avente lo stesso oggetto presentata il 12 maggio 2003 (2), sulla quale il Comitato ha espresso un parere favorevole (3).

2.

Essa si è resa necessaria in seguito alla pubblicazione, intervenuta nel frattempo, della direttiva 2005/29/CE dell'11 giugno 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, la quale stabilisce espressamente che tali pratiche possano formare oggetto, con l'obiettivo di prevenirle e farle cessare, dei provvedimenti inibitori previsti nella direttiva 98/27/CE, e legittima le organizzazioni rappresentative degli interessi collettivi dei consumatori a proporre tali provvedimenti.

3.

Come si afferma nel parere summenzionato, il Comitato ricorda che, in base all'accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994, tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione, con la codificazione non può essere introdotta nessuna modifica sostanziale. Dopo aver proceduto all'esame delle modifiche ora proposte, si può affermare che il principio è stato rispettato; va anche messo in risalto il fatto che la Commissione ha accolto la richiesta del Comitato, formulata nel parere summenzionato, di accompagnare la proposta di direttiva con un testo completo modificato, in cui fossero segnalate tutte le modifiche apportate.

4.

Il Comitato non può, tuttavia, fare a meno di ricordare di aver già segnalato nel parere sulla proposta originaria della Commissione su questa materia (4), la quale è alla base dell'attuale direttiva 98/27/CE, che il rinvio nell'articolo 1, paragrafo 1, a un «allegato» contenente un elenco di direttive avrebbe reso necessaria, purtroppo, la costante modificazione di tale direttiva ogni volta che fosse stata pubblicata, come è poi accaduto, un'altra direttiva il cui diritto sostanziale ne esigesse l'applicazione per mezzo di provvedimenti della stessa natura di quelli previsti nell'articolato della direttiva 98/27/CE allo scopo di tutelare gli interessi collettivi dei consumatori (5).

4.1

A parere del Comitato poi, tale strutturazione dell'articolato rivela un modo inutilmente complicato di legiferare, contrario ai propositi di «legiferare meglio» e di «semplificazione legislativa» che il Comitato condivide con la Commissione.

5.

D'altro canto, la pubblicazione della direttiva 2005/29/CE (6) e, precisamente, il disposto dei suoi articoli 11 e 14, rafforza la raccomandazione, già espressa nel menzionato parere del CESE del 1996, relativa all'opportunità, già allora riconosciuta, di «prevedere un'azione di responsabilità, con effetti complementari a quelli del provvedimento inibitore».

5.1

Di conseguenza, il CESE invita la Commissione a riprendere la riflessione sull'opportunità di ampliare l'ambito di applicazione delle azioni avviate per rappresentare degli interessi collettivi, in special modo quelli dei consumatori.

6.

In conclusione, il Comitato, nei ristretti limiti della codificazione operata dalla Commissione in base alla decisione del 1o aprile 1987 (COM(87) 868 PV), esprime un parere favorevole all'iniziativa in esame, come ha già fatto precedentemente per la stessa direttiva.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Direttiva 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, relativa ai provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 166 dell'11.6.1998).

(2)  COM(2003) 241 def.

(3)  Parere CESE M. BURANI relatore (GU C 10 del 14.1.2004).

(4)  COM(1995) 712 def. (GU C 107 del 13.4.1996).

(5)  Parere CESE (GU C 30 del 30.1.1997), relatore M.RAMAEKERS, che si fa eco, in questo caso particolare, delle osservazioni e proposte, segnatamente, dell'ECLG, del BEUC e della migliore dottrina (cfr., per tutti, Jerome FRANCK e Monique GOYENS La proposition de directive relative aux actions en cessation en matière de protection des intérêts des consommateurs: quelques impressions préliminaires (REDC, 1996,95)).

(6)  GU L 149 del 11.6.2005. Parere CESE: GU C 108 del 30.4.2004.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 71/304/CEE del Consiglio, del 26 luglio 1971, concernente la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici ed all'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici tramite agenzie o succursali

COM(2006) 748 def. — 2006/0249 (COD)

(2007/C 161/12)

Il Consiglio, in data 13 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore WILMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 87 voti favorevoli, 1 voto contrario e 13 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Dopo cinquant'anni di continua produzione giuridica europea, fatta di trattati, direttive, regolamenti, raccomandazioni, giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) ed altri testi comunitari, che non si è mai provveduto a consolidare in modo sistematico, il diritto comunitario è divenuto estremamente confuso e gli stessi specialisti vi si orientano solo con grande difficoltà.

1.2

In alcuni campi del diritto, ad esempio, si sono adottate nuove direttive senza nel contempo verificare ogni volta se la normativa in vigore fosse superata o potesse essere ripresa dalla nuova, consentendo così di abrogare la direttiva precedente che regolava la stessa materia. In altri casi, alcuni aspetti sostanzialmente attinenti a uno stesso ambito giuridico nel corso degli anni sono stati disciplinati separatamente mediante direttive sempre nuove e autonome. In altri casi ancora è accaduto che degli atti comunitari modificassero a posteriori alcune parti di determinate direttive senza che si adottasse nel contempo un nuovo testo consolidato giuridicamente vincolante.

1.3

È venuto pertanto il momento di rimediare a questa situazione. Nulla osta a un consolidamento tecnico delle direttive in vigore, purché tale operazione sia compiuta con le migliori intenzioni e non venga utilizzata per perseguire altri scopi, ossia ad esempio per regolare dei «conti in sospeso» con altre istituzioni e arrivare ad imporre per questa via un particolare punto di vista che non si è ancora riusciti a far accettare nel corso del processo politico.

In linea di principio il Comitato saluta pertanto con favore l'intento dichiarato della Commissione di «fare un po' di ordine», dal punto di vista meramente tecnico-giuridico, nella normativa comunitaria in vigore.

1.4

Analogamente, il Comitato non può che approvare l'intento, anch'esso enunciato dalla Commissione, di contribuire, grazie alla semplificazione del diritto comunitario, alla riduzione della burocrazia e degli sprechi di risorse negli Stati membri.

1.5

Le proposte di direttiva presentate dalla Commissione nel quadro di tale processo volte ad abrogare o modificare degli atti comunitari vigenti vanno però a loro volta esaminate alla luce dei due intenti sopraindicati.

2.   Contenuto essenziale della proposta della Commissione (1) e della direttiva 71/304/CEE

2.1

La Commissione propone di adottare una nuova direttiva (2) che abroghi la vigente direttiva 71/304/CEE.

2.2

La direttiva 71/304/CEE del Consiglio, del 26 luglio 1971, era stata adottata per obbligare gli Stati membri a eliminare le restrizioni concernenti l'accesso, l'aggiudicazione, l'esecuzione o la partecipazione all'esecuzione degli appalti per lavori da eseguirsi per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e delle persone giuridiche di diritto pubblico, a beneficio dei prestatori di servizi transfrontalieri. La direttiva mirava a porre fine alle discriminazioni dirette e indirette nei confronti dei prestatori stranieri di servizi riguardo all'aggiudicazione di appalti pubblici da parte degli Stati membri. Essa imponeva inoltre a questi ultimi di assicurare che gli imprenditori non cittadini dello Stato membro in questione, da un lato, avessero accesso a crediti, aiuti e sovvenzioni alle stesse condizioni dei cittadini nazionali e, dall'altro, fruissero «senza restrizioni, e comunque alle stesse condizioni dei cittadini, delle possibilità di approvvigionamento sulle quali lo Stato è in grado di esercitare il suo controllo e di cui abbisognano per eseguire il contratto».

2.3

La Commissione motiva la sua proposta con il fatto che l'anzidetta direttiva è nel frattempo divenuta obsoleta.

2.3.1

Da un lato, infatti, la materia delle procedure di appalto pubblico è ormai disciplinata dalle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, per cui la direttiva 71/304/CEE risulta superata.

2.3.2

Dall'altro, dato che la direttiva 71/304/CEE tratta in maniera generale della libera prestazione dei servizi, la Commissione rileva che la giurisprudenza della CGCE in materia si è evoluta in maniera sostanziale. A sostegno di ciò, in una nota a piè di pagina della relazione introduttiva, la Commissione cita testualmente il seguente passaggio della sentenza emessa dalla Corte, il 25 luglio 1991, nella causa C-76/90 (Säger): «Si deve anzitutto rilevare come l'art. 59 [l'attuale articolo 49] del Trattato prescriva non solo l'eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi a causa della sua nazionalità, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali ed a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare o da ostacolare in altro modo le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi analoghi».

2.3.3

Sempre nella relazione introduttiva, la Commissione riassume la giurisprudenza della CGCE in materia affermando che, secondo la Corte, «è chiaro (…) che l'articolo 49 del Trattato CE proibisce le misure applicabili indistintamente tali da ostacolare l'esercizio della libera prestazione dei servizi».

2.4

Nel preambolo della proposta di direttiva, la Commissione rinvia ancora una volta alle nuove direttive in materia di procedure di appalto e alla predetta sentenza Säger, le quali hanno permesso di garantire agli operatori economici un livello di protezione almeno pari a quello assicurato dalle disposizioni della direttiva da abrogare.

2.5

Il vero e proprio testo della direttiva proposta consta di quattro articoli. L'articolo 1 abroga la direttiva 71/304/CEE. L'articolo 2 affida agli Stati membri il compito di adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla nuova direttiva, e li obbliga a comunicare alla Commissione il testo di tali disposizioni nonché una tavola di concordanza tra la direttiva stessa e le suddette disposizioni di diritto interno; queste ultime devono contenere un riferimento alla direttiva o essere corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale, e le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri. L'articolo 3 fissa la data di entrata in vigore della direttiva in esame al giorno della sua pubblicazione, e l'articolo 4 stabilisce che gli Stati membri sono i destinatari della direttiva stessa.

3.   Valutazione della proposta della Commissione

3.1

Valutata alla luce dei due intenti dichiarati dalla Commissione e menzionati nella sezione 1 di questo parere, la proposta di direttiva, intesa ad abrogare la direttiva 71/304/CEE, purtroppo non supera completamente l'esame.

3.2

In linea generale, va osservato che la direttiva proposta, che mira ad abrogare un'altra direttiva, è la prima di un'intera serie di direttive dello stesso tipo. È dunque opportuno chiedersi se l'adozione di una nuova direttiva in ogni singolo caso in cui si deve abrogarne un'altra divenuta obsoleta sia davvero il modo più efficace di procedere per attuare il programma di lavoro presentato per i prossimi mesi ed anni, che prevede appunto di abrogare una serie di direttive obsolete. Nel proseguire l'attuazione di tale programma di lavoro si dovrebbe verificare ancora una volta se, in alternativa, non sia possibile — e più efficiente — abrogare contemporaneamente una serie di direttive mediante una sola nuova direttiva. Poiché non di rado negli Stati membri un atto normativo attua più direttive alla volta, l'adozione di un approccio analogo a livello comunitario consentirebbe di evitare di dover modificare più volte in un breve lasso di tempo uno stesso atto normativo interno.

3.3

Riguardo alla proposta di direttiva in esame, ancora una volta occorrerebbe chiedersi se, per raggiungere l'obiettivo perseguito, davvero non esista un'alternativa alla modalità di attuazione di cui all'articolo 2 o se non sia invece sufficiente chiedere agli Stati membri di verificare se la loro normativa interna debba essere modificata e, in caso affermativo, di apportare le necessarie modifiche.

3.4

La direttiva del 1971 da abrogare mirava infatti essenzialmente ad abolire le misure e le norme discriminatorie allora in vigore negli Stati membri e ad applicare i principi generali del diritto comunitario in materia di appalti pubblici, principi che nel frattempo sono stati ribaditi e specificati ulteriormente nelle direttive adottate in seguito.

3.5

Per quanto concerne l'abrogazione delle norme discriminatorie in vigore negli Stati membri, essa comunque è stata effettuata già negli anni Settanta nel quadro dell'attuazione della direttiva 71/304/CEE o, per i paesi che hanno aderito all'UE successivamente, nel corso del recepimento dell'acquis comunitario da parte di quei paesi. Ora, la programmata abrogazione di tale direttiva non significa affatto che venga meno l'abolizione di quelle norme discriminatorie interne. L'abrogazione della direttiva non rende quindi necessaria alcuna modifica della normativa interna adottata all'epoca per abolire le norme discriminatorie, dato che, con l'abrogazione di queste ultime, tale normativa ha in genere raggiunto il suo scopo e, in ogni caso, il Trattato e tutte le nuove direttive continuano a prevedere l'abrogazione o sanciscono il divieto delle norme discriminatorie.

3.6

Per quanto concerne le normative degli Stati membri in tema di aggiudicazione di appalti pubblici, esse sono, in linea di massima, già state adeguate, al più tardi dopo l'adozione delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, all'evoluzione del diritto comunitario successiva alla direttiva del 1971. Dove ciò non sia ancora avvenuto, la Commissione può ancora provvedere a far attuare le nuove direttive. Comunque, poiché il destinatario di tutte le direttive è in linea di principio il legislatore nazionale, la mera abrogazione della direttiva del 1971 a livello europeo e la richiesta agli Stati membri di effettuare le necessarie verifiche sarebbe evidentemente sufficiente in questo caso per conseguire appieno lo scopo perseguito. Nella maggior parte dei casi, si tratterà ancora tutt'al più di sopprimere ogni riferimento testuale eventualmente rimasto all'ormai obsoleta direttiva 71/304/CEE.

3.7

Anche se è impossibile tornare indietro, è deplorevole che la direttiva 71/304/CEE non sia già stata abrogata nel quadro dell'adozione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. Pertanto, si raccomanda che, in occasione di tutte le future proposte di direttiva, si verifichi sempre, in linea di principio, se la nuova direttiva non renda contemporaneamente obsolete quelle precedenti e se queste non debbano quindi essere immediatamente abrogate. Anche questa misura potrebbe contribuire gradualmente a rendere più coerente e chiaro il diritto comunitario.

4.

Di conseguenza, il CESE propone di modificare la proposta di direttiva in modo che questa si limiti ad abrogare la direttiva del 1971 e a chiedere agli Stati membri di verificare se la loro normativa interna debba essere modificata e, in caso affermativo, di apportare le necessarie modifiche.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 748 def.

(2)  Ibid.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Essendo stato accolto un emendamento in tal senso, i seguenti punti del parere della sezione sono stati soppressi, benché oltre un quarto dei votanti si sia espresso a favore del loro mantenimento:

3.9

Nella relazione introduttiva e nel secondo considerando della direttiva proposta è implicito il tentativo della Commissione di far passare un'interpretazione in qualche modo parziale del diritto primario europeo.

3.10

Come già nella proposta di direttiva sui servizi, il tentativo è attuato soprattutto riportando in maniera parziale e riduttiva la giurisprudenza della CGCE in materia di libera prestazione dei servizi — nella specie, la sentenza del 25 luglio 1991 nella causa C-76/90 (Säger) -, che la Commissione riassume come segue: «è chiaro (…) che l'articolo 49 del Trattato CE proibisce le misure applicabili indistintamente tali da ostacolare l'esercizio della libera prestazione dei servizi». A sostegno di questa affermazione, nella nota 7 alla relazione introduttiva la Commissione cita un passaggio di quella sentenza.

3.11

A prescindere dal fatto che nel punto della sentenza citato dalla Commissione, la Corte non ha affatto inteso riferirsi in maniera generale a tutte le misure eventualmente in vigore, ma solo alle discriminazioni e alle restrizioni, con la sintesi e la citazione parziale proposte la Commissione omette di considerare un altro principio, assolutamente essenziale, di tale sentenza, evocato nel punto 15 della sentenza — che la Commissione non cita — nonché in una serie di altre pronunce: il fatto cioè che, per la Corte di giustizia, mentre tutte le misure discriminatorie, dirette e indirette, e gli altri obblighi imposti dagli Stati membri sono chiaramente vietati, restano lecite le misure non discriminatorie e gli altri obblighi imposti dagli Stati membri se sono giustificati da ragioni imperative di interesse generale, e nel contempo sono idonei e necessari a raggiungere l'obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto strettamente necessario a tal fine.

3.12

La concezione della Commissione, che emerge dalla sintesi riduttiva che essa fa della sentenza della Corte, è invece che nessuna regola, obbligo o misura dello Stato membro appaltante sia più applicabile ai prestatori di servizi transfrontalieri, anche quando tale disposizione è perfettamente conforme agli obiettivi dei Trattati europei nonché al resto della normativa comunitaria, viene applicata senza alcuna discriminazione e, infine, soddisfa tutti i requisiti posti dalla giurisprudenza della Corte.

3.12.1

Se quest'ultima interpretazione fosse corretta, allora si dovrebbero ritenere illegittimi anche tutti gli obblighi imposti ai prestatori di servizi per i progetti nazionali finanziati dall'Unione europea, persino quando rinviano espressamente alle norme comunitarie in materia di concessione dei contributi finanziari europei. Ciò varrebbe anche per gli obblighi imposti da determinate norme in settori non ancora armonizzati e che servono ad aumentare la sicurezza stradale, come ad esempio le norme nazionali che stabiliscono il colore, il grado di riflessione e le dimensioni dei segnali stradali posti all'ingresso dei centri abitati. E ciò varrebbe, inoltre, per gli standard nazionali in materia di sicurezza sul lavoro, i quali ad esempio — come avviene nei Paesi Bassi — fissano il peso e le dimensioni massimi dei cigli delle strade onde ridurre il tasso di invalidità dei lavoratori del settore delle costruzioni stradali.

3.12.2

Questi esempi dimostrano già da soli l'assurdità di qualsiasi interpretazione eccessiva della libera prestazione di servizi. Secondo un'interpretazione siffatta, l'articolo 49 del Trattato CE, contrariamente alla sua stessa formulazione e al contesto giuridico che lo lega agli altri articoli dei Trattati europei, sancirebbe per i prestatori di servizi transfrontalieri una sorta di «super-diritto fondamentale», tale da rendere inapplicabile l'intera normativa adottata legittimamente e in conformità ai principi generali del diritto comunitario e degli ordinamenti degli Stati membri per disciplinare l'attività delle imprese. Questa concezione sarebbe impossibile da sostenere nei confronti del pubblico dell'UE ed è già stata respinta da tutte le altre istituzioni europee in occasione dell'esame della proposta di direttiva sui servizi.

3.13

Una tale interpretazione sarebbe in contrasto non solo con il tenore delle nuove direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, ma anche con lo spirito e la lettera dei Trattati europei, delle disposizioni e dei protocolli addizionali sul principio di sussidiarietà e della giurisprudenza della CGCE.

3.14

Inoltre, né alla Commissione né a una qualsiasi altra istituzione europea spetta interpretare in maniera vincolante le sentenze della CGCE e tantomeno — citandole in modo parziale — modificarne il tenore sì da tradire la volontà della Corte come espressa nelle sentenze stesse.

3.15

Se, passando per una proposta di direttiva, queste interpretazioni riduttive dovessero divenire parte integrante del diritto comunitario secondario, si aprirebbero nuovi spazi interpretativi riguardo alle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, il che non contribuirebbe certo ad aumentare la chiarezza e la certezza del diritto, ma produrrebbe invece l'effetto contrario.

4.

Di conseguenza, il CESE propone di modificare la proposta di direttiva in modo che questa si limiti ad abrogare la direttiva del 1971 e a chiedere agli Stati membri di verificare se la loro normativa interna debba essere modificata e, in caso affermativo, di apportare le necessarie modifiche, giustificando tale decisione sul piano puramente tecnico con la sopravvenuta adozione delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE.

Esito della votazione:

voti a favore dell'emendamento (ossia della soppressione dei punti): 43 voti contrari: 38 astensioni: 12


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (versione codificata)

COM(2006) 812 def. — 2006/0264 (COD)

(2007/C 161/13)

Il Consiglio, in data 17 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore GRASSO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Se si vuole che la normativa europea sia chiara e trasparente, è indispensabile codificare gli atti comunitari che hanno subito frequenti modifiche.

1.2

La codificazione va effettuata nel pieno rispetto del normale iter legislativo comunitario.

1.3

Lo scopo della proposta in esame è avviare la codificazione della direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa. La nuova direttiva sostituisce gli atti di cui incorpora le norme, ma preserva appieno la sostanza di queste, limitandosi a riunirle e ad apportarvi le modifiche formali necessarie ai fini della codificazione.

1.4

Il Comitato è favorevole alla codificazione proposta.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a 25 atti che devono urgentemente essere adeguati alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione, modificata dalla decisione 2006/512/CE del Consiglio, del 17 luglio 2006

COM(2006) 901, 902, 903, 905, 906, 907, 908, 909, 910, 911, 912, 913, 914, 915, 916, 917, 918, 919, 920, 921, 922, 923, 924, 925, 926 def.

(2007/C 161/14)

Il Consiglio, tra il 18 gennaio e l'8 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 37, 44, 47, 55, 95, 152, 175 e 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Il 14 gennaio 2007 l'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha nominato RETUREAU relatore generale e ha adottato il seguente parere con 96 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi del parere del Comitato

1.1

Il Comitato è favorevole all'introduzione della procedura di regolamentazione con controllo nel sistema della comitatologia. Tale procedura consente al Consiglio e al Parlamento europeo di controllare, ed eventualmente modificare, i regolamenti di esecuzione adottati dalla Commissione quando l'atto legislativo le riconosce la facoltà di esercitare competenze di esecuzione in taluni settori ma senza autorizzarla ad apportare modifiche di fondo. In linea di principio, si tratta solo di procedere agli adeguamenti e agli aggiornamenti necessari ai fini di un'adeguata applicazione dell'atto in questione, conformemente all'articolo 251 del TCE.

1.2

Il Comitato constata che la proposta della Commissione di modificare con urgenza determinati atti (1) è conforme alla decisione 2006/512/CE e alla dichiarazione congiunta concernente l'elenco degli atti che devono essere adeguati più rapidamente possibile e la soppressione dei limiti di durata relativi all'esercizio, da parte della Commissione, delle competenze di esecuzione.

2.   Proposta della Commissione europea

2.1

La decisione 2006/512/CE del Consiglio, del 17 luglio 2006 (2), ha modificato la decisione del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (1999/468/CE) (3); in particolare, ha aggiunto l'articolo 5 bis, introducendo una nuova procedura di regolamentazione con controllo.

2.2

Le procedure di comitato che assicurano il seguito di ciascun atto legislativo contempleranno pertanto un'ulteriore opzione, che rafforzerà il controllo del Parlamento europeo sull'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione dall'atto stesso. La procedura con controllo si applicherà agli atti che prevedono questa nuova opzione e sono stati adottati secondo la procedura di codecisione o la procedura «Lamfalussy» relativa al settore finanziario.

2.3

Con una dichiarazione congiunta (4), la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno stabilito un elenco di atti di cui ritengono urgente l'adeguamento alla decisione modificata, introducendo la procedura di regolamentazione con controllo, in sostituzione della procedura iniziale. La dichiarazione congiunta prevede inoltre che, in virtù dei principi di buona legislazione, le competenze di esecuzione dovrebbero essere conferite alla Commissione senza limitazioni di durata.

2.4

La Commissione propone ora di modificare retroattivamente 26 atti legislativi ritenuti prioritari (5), al fine di introdurre la nuova procedura e, se del caso, sopprimere i limiti di durata delle competenze di esecuzione che tali atti potrebbero prevedere.

2.5

In tre casi, gli atti adottati con procedura di codecisione menzionati nell'elenco non soltanto modificano atti di base già esistenti, ma si riferiscono anche a disposizioni concernenti la comitatologia, che devono pertanto essere allineate in questi atti. In questi tre casi, la Commissione ha proposto quindi di adeguare tali disposizioni. In particolare:

2.5.1

per allineare la direttiva 2005/1/CE, del 9 marzo 2005, del Parlamento europeo e del Consiglio, la Commissione propone di adeguare gli atti seguenti:

la direttiva 91/675/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1991, che istituisce un comitato delle assicurazioni (comitato europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali),

la direttiva 92/49/CEE, del 18 giugno 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l'assicurazione diretta diversa dell'assicurazione sulla vita e che modifica le direttive 73/239/CEE e 88/357/CEE (terza direttiva assicurazione non vita),

la direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all'assicurazione sulla vita,

la direttiva 2005/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2005, relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio, nonché delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE.

2.5.2

Per allineare la direttiva 2003/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, la Commissione propone di adeguare:

la direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, di cui sopra.

2.5.3

Per allineare la direttiva 2001/107/CE, del 21 gennaio 2002, del Parlamento europeo e del Consiglio, la Commissione propone di adeguare:

la direttiva 85/611/CEE concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (o.i.c.v.m.).

2.6

Si riporta qui di seguito l'elenco completo degli atti da allineare in via prioritaria:

(1)

direttiva 2006/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi;

(2)

direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio;

(3)

direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio;

(4)

regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen);

(5)

direttiva 2005/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2005, relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio, nonché delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE;

(6)

direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo;

(7)

direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;

(8)

regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 febbraio 2005, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale e che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio;

(9)

direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, sull'armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE;

(10)

direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio;

(11)

direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2001/34/CE;

(12)

regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati;

(13)

direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato);

(14)

direttiva 2002/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 gennaio 2003, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE);

(15)

direttiva 2002/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 gennaio 2003, sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche;

(16)

direttiva 2002/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario e che modifica le direttive 73/239/CEE, 79/267/CEE, 92/49/CEE, 92/96/CEE, 93/6/CEE e 93/22/CEE del Consiglio e le direttive 98/78/CE e 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;

(17)

direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all'assicurazione sulla vita;

(18)

regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all'applicazione di principi contabili internazionali;

(19)

direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano;

(20)

direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio;

(21)

direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque;

(22)

direttiva 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, relativa ai veicoli fuori uso;

(23)

direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa all'immissione sul mercato dei biocidi;

(24)

direttiva 92/49/CEE, del 18 giugno 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l'assicurazione diretta diversa dell'assicurazione sulla vita e che modifica le direttive 73/239/CEE e 88/357/CEE (terza direttiva assicurazione non vita);

(25)

direttiva 91/675/CEE, del 19 dicembre 1991, che istituisce un comitato delle assicurazioni;

(26)

direttiva 85/611/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (o.i.c.v.m.).

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il Comitato ha sempre sostenuto che le procedure di comitato, che coinvolgono soltanto i rappresentanti della Commissione e dei governi degli Stati membri e che sono finalizzate, a seconda del tipo di comitato istituito, alla gestione, alla consultazione o alla regolamentazione risultanti dal follow-up e dall'applicazione degli atti legislativi, debbano essere più trasparenti e più comprensibili per le persone residenti nell'UE, e in particolare per le persone direttamente interessate da tali atti.

3.2

Si compiace pertanto della decisione di introdurre una nuova procedura di regolamentazione con controllo per gli atti adottati in codecisione. Poiché il Parlamento europeo non partecipa direttamente ai comitati, era auspicabile che un sistema di controllo delle competenze di esecuzione della Commissione consentisse di verificare che nei regolamenti di esecuzione adottati autonomamente dalla Commissione non si andasse oltre tali competenze.

3.3

La soppressione del limite temporale delle competenze di esecuzione previsto in taluni atti è una conseguenza logica del rafforzamento del controllo esercitato dal Parlamento europeo e dal Consiglio e della loro facoltà di modificare i regolamenti di esecuzione adottati dalla Commissione per tutti gli atti adottati in base alla procedura di codecisione e alla procedura «Lamfalussy».

3.4

Con la dichiarazione congiunta del 21 ottobre 2006 è stato chiesto alla Commissione di presentare urgentemente proposte conformi alla decisione del 17 luglio 2006; il Comitato constata che la Commissione ha dato il debito seguito alla richiesta.

3.5

Constata altresì che gli atti modificati sono in linea con le priorità stabilite nella summenzionata decisione.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) da 901 def. a 926 def.

(2)  GU L 200 del 22.7.2006, pag. 11.

(3)  GU L 184 del 17.7.1999, pag. 23.

(4)  GU C 255 del 21.10.2006, pag. 1.

(5)  Si tratta dei documenti COM(2006) da 901 def. a 926 def. sui quali verte la relazione introduttiva COM(2006)900 def. Va sottolineato che in merito al documento COM(2006) 904 def. il CESE non è stato consultato.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi

COM(2006) 373 def. — 2006/0132 (COD)

(2007/C 161/15)

Il Consiglio, in data 15 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato è d'accordo sull'importanza di migliorare la sostenibilità dell'uso dei pesticidi al fine di ottimizzarne gli effetti positivi e di ridurne gli impatti negativi sull'agricoltura, sull'ambiente, sul consumatore, sugli operatori e su tutta la società nel suo insieme.

1.2

In linea di principio il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione, nella misura in cui questa affronta una problematica di grande rilevanza per il benessere dei cittadini europei, per la salvaguardia della qualità della vita e dell'ecosistema e per lo sviluppo rurale e, d'altro canto, per un'evoluzione positiva dei prodotti, affinché rimangano competitivi sul mercato interno ed internazionale, anche in termini di una qualità sempre migliore.

1.3

Il Comitato ritiene che la stesura di piani d'azione, elaborati a livello nazionale, sia opportuna per identificare gli obiettivi di riduzione del rischio e per avviare una reale politica di armonizzazione a livello europeo.

1.3.1

Il contenuto dei piani dovrà tradursi in misure appropriate a livello nazionale, regionale e locale, soprattutto in considerazione delle tre dimensioni della sostenibilità, e cioè impatto economico, impatto sociale e impatto ambientale.

1.4

Secondo il Comitato, la formazione e l'informazione rappresentano degli elementi essenziali per un uso razionale e sostenibile dei sistemi di protezione delle produzioni agricole e per evitare potenziali impatti negativi sull'ambiente.

1.4.1

La formazione va estesa a tutti i settori interessati, ivi compresi gli enti e le autorità pubbliche nonché gli utilizzatori non professionali. È evidente a tale proposito che vanno salvaguardati i sistemi di formazione nazionali, già gestiti da organismi ben collaudati.

1.5

Il Comitato ritiene che le campagne di sensibilizzazione dovrebbero essere obiettive e neutrali, evidenziare sia i benefici per la produzione che i rischi ed essere rivolte in particolare agli utilizzatori non professionali, e soprattutto alle autorità ed enti pubblici locali.

1.6

Per quanto riguarda l'introduzione di misure precauzionali in ambiti particolarmente sensibili, così come le prescrizioni in materia di irrorazione aerea, sarebbe preferibile, a giudizio del Comitato, privilegiare un certo grado di sussidiarietà.

1.7

Il Comitato ritiene importante che uno spazio adeguato sia riservato alla ricerca agricola e fitosanitaria, per ridurre al minimo il rischio che esiste sempre quando si utilizzano sostanze e miscele di sostanze chimiche.

1.8

Secondo il Comitato, occorre altresì riservare la necessaria attenzione alla cooperazione sia con gli organismi internazionali, come FAO, OCSE e OMS-WHO, sia con le regioni di prossimità.

1.9

La globalizzazione dei mercati agricoli e alimentari richiede, a parere del Comitato, un'azione comunitaria intesa a diffondere a livello mondiale gli standard europei di qualità produttiva e sanitaria, specie attraverso il loro recepimento nel Codex Alimentarius.

2.   Motivazioni

2.1

Con il termine «pesticidi» si intendono i principi attivi e i prodotti concepiti per influenzare i processi fondamentali degli organismi viventi e, pertanto, potenzialmente atti a uccidere o controllare gli organismi nocivi (1). Nella proposta della Commissione si fa però riferimento anche alla definizione più specifica di «prodotti fitosanitari» (2).

2.2

I pesticidi sono considerati essenziali per proteggere le colture dagli insetti, dai roditori e da elementi patogeni naturali, ma possono anche fissarsi in maniera cumulativa nell'ambiente e causare seri rischi alla salute umana ed animale, soprattutto quando finiscono per inquinare l'acqua potabile. Per l'uomo, i rischi potenziali includono cancro, turbe genetiche nonché danni permanenti al sistema immunitario.

2.3

I rischi per la salute dell'uomo causati dai pesticidi possono derivare o dall'esposizione diretta o da quella indiretta, o dall'uso inappropriato, o da eventi accidentali, soprattutto durante o dopo l'uso di tali sostanze per scopi agricoli, per la cura degli spazi verdi o per altre attività.

2.4

I rischi connessi ai singoli principi attivi contenuti nei pesticidi sono valutati nell'ambito della procedura di autorizzazione, ma manca un'adeguata valutazione, a livello degli Stati membri, degli effetti dell'esposizione a miscele di prodotti chimici. Pertanto, allo stato attuale, risulterebbe molto difficile valutare l'effetto complessivo sulla salute umana di tutte le sostanze attualmente usate (3).

2.5

L'effetto dell'esposizione indiretta di chi si trova o abita nell'area d'impiego dei pesticidi (dispersione nell'aria delle sostanze irrorate) o di coloro che agiscono come consumatori (residui sui prodotti agricoli o nell'acqua) può essere ancora più grave per gruppi particolarmente vulnerabili. Più in particolare, studi recenti (4) hanno evidenziato la grande sensibilità dei feti, il cui sviluppo neurologico ha risentito dell'esposizione delle madri ai pesticidi.

2.6

Si devono considerare i rischi per l'ambiente che derivano dall'immissione eccessiva e involontaria di sostanze chimiche nell'acqua, nell'aria e nel suolo, con effetti deleteri per le piante, la flora e la fauna selvatiche, per la qualità delle varie matrici ambientali e per la biodiversità in generale.

2.6.1

D'altro canto, non bisogna dimenticare che la società moderna fa assegnamento su un'ampia varietà di fertilizzanti, biocidi, additivi alimentari, insetticidi, pesticidi ed erbicidi, che producono numerosi effetti benefici perché consentono di garantire livelli più elevati di qualità e di sicurezza alimentare.

2.7

Se utilizzati in maniera responsabile, detti elementi garantiscono la presenza sul mercato di materie prime, derrate alimentari e prodotti ortofrutticoli di buona qualità, con prezzi ridotti e alla portata di tutti i consumatori. L'uso di prodotti protettivi dei raccolti assicura rese elevate, abbassa i livelli delle tossine naturali prodotte da funghi e batteri, riduce le perdite di raccolto ed aiuta a garantire un'offerta sufficiente e sostenibile di alimenti sul mercato interno e sul mercato globale.

2.7.1

Peraltro, tutte le sostanze fungicide, insetticide ed erbicide sono già sottoposte ad un rigoroso processo d'approvazione, prima che ne siano autorizzati la messa in commercio e l'uso.

2.8

Il Comitato è d'accordo sull'importanza di migliorare la sostenibilità dell'uso dei pesticidi al fine di ottimizzarne gli effetti positivi e ridurne gli effetti negativi sull'ambiente, sul consumatore e sull'operatore: tale obiettivo consentirebbe anche di valorizzare l'immagine degli operatori e delle aziende agricole che utilizzano oculatamente i prodotti fitosanitari.

2.9

Occorre, a parere del Comitato, dare maggiore risalto agli effetti positivi che possono derivare agli agricoltori da un utilizzo più razionale e ragionato dei prodotti fitosanitari. Sono d'altronde gli stessi agricoltori che, da diversi anni, si sono impegnati a sviluppare tecniche più razionali, come la gestione integrata delle colture e la gestione integrata dei parassiti, con la volontà di puntare in modo più concreto sull'agricoltura integrata, tendenza che secondo il Comitato andrebbe incoraggiata.

2.10

La vera sfida del futuro non è solo quella di fornire prodotti, sia convenzionali che biologici, sicuri e di qualità elevata ai consumatori «più attenti», ma anche di soddisfare chi ricerca prodotti a prezzo «contenuto» offrendogli garanzie qualitative altrettanto valide.

2.11

La problematica relativa all'integrazione degli aspetti ambientali dell'uso dei pesticidi si inserisce nel quadro delle priorità delineate nel Sesto programma d'azione in materia di ambiente (2002-2012) dell'Unione europea, che prevedeva l'elaborazione ed il varo di sette strategie tematiche.

2.12

Vi è una chiara interazione tra quanto proposto nelle strategie tematiche già adottate — specie quella sulla tutela delle falde acquifere e delle risorse naturali di fauna e flora, quella sulla tutela dei suoli, quella sulla gestione dei rifiuti nonché quella sui residui ed imballaggi — e la proposta di direttiva quadro all'esame.

2.12.1

Nella strategia tematica sull'uso sostenibile dei pesticidi sono previste quattro nuove misure di tutela ambientale e sanitaria: tra di esse figura la proposta di direttiva per istituire un quadro che consenta una maggiore sostenibilità nell'uso dei pesticidi, che è l'oggetto del presente parere.

2.12.2

La Commissione ha altresì elaborato una valutazione d'impatto dei diversi scenari possibili che discendono dall'applicazione delle misure previste per un uso sostenibile dei pesticidi, nonché del loro costo: «… le perdite (per l'industria dei prodotti fitosanitari e gli agricoltori cui incombono i costi della formazione e della certificazione e della manutenzione delle attrezzature) e i benefici economici (per gli agricoltori che diminuiscono i loro consumi e le imprese impegnate nella formazione, manutenzione e certificazione) si equivalgono» (5).

2.13

L'incidenza globale netta che corrisponde alla riduzione dei costi esterni è dunque chiaramente positiva: «Estrapolando da uno studio esaustivo condotto in Germania, è possibile concludere che l'uso ottimale dei pesticidi dovrebbe permettere di realizzare un plusvalore annuo complessivo per l'UE di 200 milioni di EUR, grazie alla riduzione di esternalità quali gli effetti negativi sull'ambiente e la salute dell'uomo» (6).

2.14

Il CESE ha avuto già modo di esprimersi nel 2003 (7) a favore dell'iniziativa della Commissione di elaborare una strategia tematica per l'uso dei pesticidi. In questa sede il Comitato ritiene opportuno menzionare esplicitamente sia la funzione di protezione delle colture che può essere ottenuta con l'utilizzo dei pesticidi, sia altre tecniche, come i biopesticidi, gli estratti vegetali, i metodi di prevenzione, i metodi biologici e la resistenza di talune piante a determinati parassiti, tutti aspetti di cui è importante valutare rischi e benefici su una solida base scientifica.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta della Commissione ha come obiettivo quello di proteggere la salute umana e animale e l'ambiente dall'uso pericoloso, inadeguato o eccessivo dei pesticidi in agricoltura e nell'ecosistema, riducendone i rischi e gli impatti negativi «compatibilmente con la necessità di garantire il necessario livello di protezione delle colture».

3.2

Essa prevede, in particolare:

l'istituzione obbligatoria di piani d'azione nazionali (o PAN) per individuare i tipi di colture, le attività o le aree di maggiore rischio da affrontare in via prioritaria, nonché la partecipazione dei soggetti interessati alla definizione, attuazione e adeguamento dei PAN stessi,

la creazione di un sistema di formazione e sensibilizzazione per i distributori e gli utilizzatori professionali dei pesticidi, come anche di informazione del pubblico più vasto, attraverso campagne di sensibilizzazione e di divulgazione,

l'ispezione periodica obbligatoria delle attrezzature per l'applicazione di pesticidi, allo scopo di ridurre le ripercussioni negative di tali prodotti sulla salute umana e l'ambiente durante l'applicazione,

il divieto d'irrorazione aerea (con possibilità di deroghe), onde contenere il rischio di effetti negativi sulla salute umana e sull'ambiente,

alcune misure specifiche per la tutela dell'ambiente acquatico contro l'inquinamento da pesticidi,

la designazione di zone a utilizzo ridotto o nullo di pesticidi (ZPU, Zero Pesticide Use), conformemente alle misure adottate nell'ambito di altre normative,

la gestione e lo stoccaggio dei pesticidi, dei loro imballaggi e dei residui (pesticides life-cycle),

l'elaborazione di norme comunitarie specifiche sulla gestione integrata delle specie nocive (Integrated Pest Management o IPM) — obbligatorie a partire dal 2014 — e la definizione delle relative condizioni d'attuazione,

un sistema di indicatori armonizzati per la raccolta e la comunicazione obbligatoria dei dati sull'immissione in commercio e sull'utilizzo dei pesticidi nonché per la valutazione dei progressi realizzati nella riduzione dei rischi complessivi.

4.   Osservazioni

4.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione nella misura in cui questa affronta una problematica di grande rilevanza per il benessere dei cittadini e dei consumatori europei, per la salvaguardia della qualità della vita, per l'agricoltura e per l'ecosistema.

4.2

Il valore annuale delle vendite di pesticidi, a livello mondiale, è stimato intorno ai 25 miliardi di euro, e l'uso dei pesticidi rimane molto elevato nei paesi in via di sviluppo anche se i mercati rispettivi sono stagnanti o in fase di contrazione (8). D'altra parte, la globalizzazione dei mercati agricoli ed alimentari richiede di prestare sempre maggiore attenzione all'osservanza, da parte di tutti, di adeguati standard produttivi e sanitari del Codex Alimentarius, per evitare che si rifletta anche su questi mercati la legge di Gresham (9).

4.3

Peraltro, in varie parti del mondo un'enorme quantità di pesticidi viene sprecata o applicata senza necessità ed un gran numero di persone soffre di intossicazioni perché gli agricoltori, gli operatori e le autorità locali non conoscono o non sono aggiornati sulle nuove applicazioni tecnologiche e perché i macchinari usati per applicare i pesticidi sono spesso obsoleti o privi di una manutenzione adeguata. Per di più, sostanze nocive già vietate nell'UE continuano ad essere utilizzate nei paesi in via di sviluppo (10).

4.4

Il Comitato ritiene particolarmente opportuno introdurre piani d'azione nazionali corredati da obiettivi quantitativi e da un calendario di attuazione per identificare misure adeguate ai bisogni di riduzione del rischio sul piano nazionale, regionale e locale, prendendo in considerazione le tre dimensioni della sostenibilità, e cioè l'impatto economico, l'impatto sociale e l'impatto ambientale.

4.5

L'uso socialmente responsabile di prodotti di protezione della produzione agricola è fondamentale per raggiungere obiettivi sociali sempre più avanzati, da un lato facendo sì che gli agricoltori assolvano alle proprie responsabilità nella catena alimentare producendo alimenti di qualità elevata per i consumatori e dall'altro assicurando adeguati livelli di competitività agricola nell'ambito della strategia di Lisbona, sia sul mercato interno sia su quello globale.

4.6

La dimensione economica della sostenibilità assicura che vengano usati prodotti solo nella misura necessaria per tenere le varie malattie al di sotto della soglia di pericolo, migliorando in tal modo i livelli di resa delle colture e la disponibilità dei prodotti agricoli, oltre alla economicità della gestione agricola.

4.7

Sul piano ambientale, si eviterebbero i rischi dovuti a eccessive presenze accidentali di sostanze chimiche nell'acqua, nei suoli, nell'aria e nei prodotti agricoli e alimentari trasformati. Tali sostanze hanno effetti nefasti sull'uomo, sulla flora e sulla fauna, sulla qualità dell'ambiente e sulla diversità biologica in generale. Occorre, d'altro canto, tenere ben presente che è indispensabile prevenire la diffusione e la moltiplicazione delle malattie delle piante.

4.8

Nell'introdurre i piani d'azione nazionali risulta importante, per non creare distorsioni della concorrenza nel mercato interno, che le misure che verranno adottate si basino su direttive e criteri comuni a tutta l'UE.

4.9

L'educazione, la formazione e l'informazione rappresentano elementi essenziali nel contesto di un uso razionale e sostenibile dei sistemi di protezione delle produzioni agricole, nonché un prerequisito per assicurare le migliori prassi agricole ed evitare potenziali impatti ambientali negativi: questo vale particolarmente per la formazione integrata di tutti i settori interessati, ivi compresi gli enti e le autorità pubbliche nonché gli utilizzatori non professionali.

4.10

Gli Stati membri hanno istituito sistemi di formazione differenti, basati su dispositivi e requisiti legislativi nazionali e gestiti da organismi ben collaudati. Secondo il Comitato, occorre quindi un quadro di riferimento comunitario flessibile, in grado di consentire un'integrazione con le esigenze dei diversi gruppi di utenti, anche sulla base di didattiche e contenuti concordati tra le parti interessate, a livello europeo (11), e discussi nell'ambito di un dialogo settoriale e di un partenariato tra parti sociali sul territorio.

4.11

Altrettanto dicasi delle campagne informative e di sensibilizzazione, che dovranno essere obiettive e neutrali, sui benefici delle possibili pratiche di protezione delle colture e sui rischi di effetti dannosi. Tali campagne potrebbero essere finanziate, nei singoli Stati membri, anche attraverso un prelievo sui prodotti di protezione dei raccolti. I fondi così reperiti potrebbero essere impiegati per sensibilizzare gli utilizzatori, specie quelli non professionali, attraverso diversi mezzi e in particolare mediante guide tecniche semplici ed aggiornate via Internet.

4.12

Il Comitato ritiene essenziale che gli Stati membri istituiscano dei sistemi di ispezione tecnica e di manutenzione periodica delle attrezzature di applicazione dei pesticidi in uso, sulla base di norme comuni e armonizzate fondate sui requisiti essenziali.

4.13

Per quanto concerne l'introduzione di misure precauzionali in ambiti particolarmente sensibili quali la protezione delle acque (12) — che deve conformarsi alla direttiva quadro in materia — e i settori definiti da Natura 2000, occorrerà tenere conto delle condizioni locali e dei diversi tipi di colture, come ad esempio quella risicola.

4.13.1

Secondo il CESE, è importante assicurare che siano seguite le migliori pratiche per ridurre i rischi, definendo — in modo equilibrato e ragionevole — disposizioni comuni e parametri minimi, fermo restando che la scelta delle misure ed il loro severo monitoraggio dovrebbero essere lasciati alla responsabilità degli Stati membri, senza introdurre una proibizione generalizzata, che il Comitato considera una misura eccessiva.

4.14

Per quanto riguarda la prescrizione di severi limiti nell'irrorazione aerea, il CESE ritiene necessario valutare attentamente il fatto che esistono aree geografiche e situazioni dove tale pratica non può essere sostituta da altre tecniche e che forse risulta opportuno concedere deroghe molto limitate per questo tipo di intervento, in modo da assicurare il massimo livello di sicurezza e di competenza professionale degli operatori, al fine di evitare effetti negativi sulla salute umana e sull'ambiente. Gli Stati membri e le autorità pubbliche, competenti ai vari livelli, dovrebbero effettuare un'opera di monitoraggio sistematico dei livelli di sicurezza e di quelli di competenza professionale secondo procedure uniformi di valutazione dei rischi.

4.15

In seno alla politica agricola comune si sta dando sempre maggiore sostegno (13) allo sviluppo di tecniche di gestione integrata delle colture (Integrated Crop Management — ICM) (14), nel cui ambito si dovrebbero collocare in modo progressivo e concordato nuovi metodi di gestione integrata delle specie nocive (Integrated Pest Management — IPM). Il Comitato sostiene con forza le tecniche ICM, che rappresentano una pietra miliare sulla strada per arrivare a dei sistemi agricoli sostenibili.

4.16

D'altra parte è molto difficile separare i diversi effetti della protezione delle colture da quelli di tutta una serie di altre pratiche agricole (rotazione, ecc.): se per il 2014 dovranno essere elaborate, a titolo obbligatorio, norme-obiettivo IPM generali da parte degli Stati membri, questo dovrà essere fatto, a parere del Comitato, incentivando la piena partecipazione degli utilizzatori e tenendo pienamente conto delle tecniche generali ICM, nonché del progresso tecnico e di ricerca tecnologica nel settore, che deve essere sostenuta e rafforzata anche nei programmi di lavoro del VII Programma quadro comunitario di R&S.

4.17

Il Comitato ritiene importante che uno spazio adeguato sia riservato alla ricerca agricola e fitosanitaria sui livelli di innocuità di nuove tecnologie avanzate, così come sulla minimizzazione del rischio dell'uso di sostanze e miscele di sostanze chimiche, nell'ambito dei programmi di lavoro e dei bandi di gara del VII Programma quadro di RST&D 2007-2013.

4.18

Nel suo parere d'iniziativa Il futuro della PAC  (15) il CESE ha indicato diverse possibilità per integrare meglio gli aspetti ambientali nella politica agricola. Esso ricorda che il cosiddetto «secondo pilastro» della politica agricola prevede che gli Stati membri, nella nuova programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali e nei piani di sviluppo nazionali e regionali rurali, incentivino meccanismi di compensazioni per gli agricoltori che riescono a diminuire i rischi legati all'utilizzazione di pesticidi chimici (16).

4.19

La definizione delle tecniche IPC deve essere in linea con le nuove disposizioni in materia di collocazione sul mercato dei prodotti di protezione delle colture, e gli standard delle tecniche IPM dovranno tener conto delle differenti condizioni naturali e climatiche presenti nell'UE.

4.20

I prodotti di protezione della produzione agricola devono essere manipolati e stoccati in modo tale da impedire ogni rischio potenziale per la salute e l'ambiente. Il Comitato ritiene che, oltre a quanto proposto, dovrebbe essere stabilito, a livello comunitario, un quadro di standard minimi per lo stoccaggio presso i grossisti, i dettaglianti e gli agricoltori (17).

4.21

Per quanto concerne il sistema di indicatori armonizzati per la raccolta e la comunicazione obbligatoria dei dati sull'immissione in commercio e sull'utilizzo dei pesticidi, il Comitato concorda pienamente sulla necessità di disporre di dati statistici e sull'obbligatorietà e periodicità della loro raccolta, sulla base di indicatori relativi ai rischi e all'uso armonizzati a livello europeo.

4.22

Il Comitato sottolinea l'importanza dell'omogeneità dei dati da richiedere a tutte le parti interessate e la necessità di evitare anche ogni duplicazione e gravame eccessivo, sia in termini burocratici che di complessità tecnica.

4.23

Gli indicatori dovrebbero essere basati sul livello del rischio, piuttosto che sulle quantità di prodotti usati o sui residui presenti, sulle ripercussioni sanitarie, anche attraverso le analisi OMS-WHO, e riguardare anche i livelli di diffusione delle malattie e dei fenomeni patogeni che colpiscono le produzioni.

4.24

Il Comitato ritiene opportuno riservare adeguato spazio agli aspetti della cooperazione internazionale, sia con gli organismi come FAO (18) e OCSE (19), sia con le regioni di prossimità, specie con i paesi del bacino del Mediterraneo, i Balcani e i paesi confinanti.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Codice internazionale di condotta per la distribuzione e l'uso dei pesticidi (FAO, novembre 2002) e art. 2. della risoluzione 1/123 della 123a sessione del Consiglio della FAO 2002.

(2)  Cfr. COM(2006) 388 def. — art. 2, par. 1.

(3)  È da notare che a livello mondiale, esistono già delle metodologie diffuse soprattutto negli Stati Uniti d'America. Cfr.

http://www.epa.gov/ord/htm/innovations.htm

(4)  Developmental neurotoxicity of industrial chemicals, Lancet 2006; 368:2167-78.

(5)  Cfr. SEC(2006) 914, punto 5, 2o capoverso.

(6)  Cfr. SEC(2006) 914, punto 5, 1o capoverso.

(7)  GU C 85 dell'8.4.2003, pagg. 112-118.

(8)  Risoluzione 1/123 — Consiglio FAO 11/2002 (www.fao.org).

(9)  http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Gresham

(10)  Ad esempio il lindano, che viene ancora usato nei paesi in via di sviluppo malgrado sia stato vietato sul mercato dell'UE.

(11)  Cfr. ECPA Training resource for trainers on ICMe le Guidelines on the Sustainable use of Crop protection products.

(12)  Cfr. le buone prassi introdotte ai sensi della direttiva 91/414/CEE.

(13)  Cfr. CEAS Report on CM Systems in the EU carried out for DG Environment e il documento A Common Codex for Integrated FarmingEuropean Initiative for Sustainable Development in Agriculture (EISA). Quest'ultimo documento è stato riconosciuto dal suddetto rapporto CEAS.

(14)  «Report on CM Systems in the EU», Commissione europea, maggio 2003. Comments from PAN Europe and the EEB, 9/2002.

(15)  GU C 125 del 27.5.2002, pagg. 87-99.

(16)  GU C 85 dell'8.4.2003, pagg. 112-118.

(17)  Cfr. anche Guidelines for Packaging and Storage of Pesticides (FAO 1985). Attualmente la legislazione comunitaria sulla conservazione delle sostanze chimiche prevede standard solo per le grandi quantità e mentre nel caso dei pesticidi detenuti in quantità limitate da singoli operatori non vi sono prescrizioni, come invece sarebbe necessario.

(18)  Specie per il seguito, l'applicazione e l'aggiornamento dell'International code of conduct on the distribution and use of pesticides, novembre 2002.

(19)  Specie per lo sviluppo degli indicatori.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 68/89/CEE del Consiglio relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di classificazione del legname grezzo

COM(2006) 557 def. — 2006/0178 (COD)

(2007/C 161/16)

Il Consiglio, in data 11 ottobre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore DORDA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta della Commissione è volta ad abrogare la direttiva 68/89/CEE del Consiglio, del 23 gennaio 1968, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di classificazione del legname grezzo.

1.2

La Commissione ha proposto l'abrogazione in seguito alle affermazioni di rappresentanti degli Stati membri, del settore forestale e dell'industria del legname, secondo cui da diversi anni la direttiva è solo raramente applicata nel commercio del legname.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

A partire dalla metà del 2005, 19 Stati membri e 11 rappresentanti delle federazioni industriali nazionali hanno partecipato a consultazioni il cui scopo era di stabilire se la direttiva fosse stata o meno applicata e se la sua abrogazione avrebbe avuto conseguenze negative. Da tali consultazioni è emerso in particolare che la maggioranza degli Stati membri e delle federazioni industriali non applicano la direttiva nel commercio del legname. Questo perché, a parere dei partecipanti, essa non è sufficientemente dettagliata, non tiene conto dell'uso cui è destinato il legname e non è adatta alle necessità del mercato.

2.2

L'applicazione della direttiva è rimasta limitata, in quanto essa non è obbligatoria e prevede dei metodi di misurazione e classificazione obsoleti. Gli operatori dei mercati del legname si sono invece accordati per utilizzare altri metodi di misurazione e classificazione, e ciononostante il mercato interno del legname si è ampliato, e il commercio con i paesi terzi altrettanto, apparentemente senza impedimenti.

Inoltre sono state create norme europee per quanto riguarda le misurazioni e le classificazioni del legname. Tali norme possono essere applicate, se necessario, nelle transazioni del mercato del legname, e sono considerate una miglior soluzione.

2.3

La proposta di abrogare la direttiva è pertanto conforme ai risultati delle consultazioni con gli Stati membri, il settore forestale e l'industria del legname, secondo cui gli obiettivi della direttiva possono venir conseguiti senza bisogno di una normativa comunitaria.

2.4

Per i motivi suelencati, ed anche per il fatto che l'abrogazione della direttiva non avrà alcuna incidenza sul bilancio e contribuirà invece a semplificare la legislazione europea, il Comitato sostiene la proposta della Commissione. Considera infatti giusto abrogare una normativa utilizzata raramente e che non è essenziale per garantire un buon funzionamento del mercato interno nel settore in questione.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/54


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Benessere animale — Etichettatura

(2007/C 161/17)

La presidenza tedesca del Consiglio dell'Unione europea, con lettera del 28 novembre 2006 ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di adottare un parere su: Benessere animale — Etichettatura.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente è stata incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha nominato relatore generale Leif E. NIELSEN e ha adottato il seguente parere con 92 voti favorevoli, 6 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Dato il crescente interesse nell'Unione europea a promuovere metodi di produzione e di allevamento più attenti che in passato al benessere degli animali da produzione, si propone di integrare le norme minime esistenti in materia con un sistema di etichettatura volontaria da utilizzare in aggiunta ai normali marchi commerciali ma anche a quelli maggiormente riferiti alla qualità, ad esempio i cosiddetti «sistemi qualità». In questo modo si sosterrebbero le forze del mercato e non si graverebbe inutilmente né sul sistema politico dell'UE né sulle autorità nazionali di controllo. I marchi di qualità sono essenziali per la concorrenza nel settore alimentare, e spesso comprendono una diversità di elementi riguardanti aspetti del benessere animale che vanno al di là delle norme minime obbligatorie vigenti. Ciò non toglie che per i consumatori sia difficile comprendere chiaramente i criteri che ispirano l'etichettatura e il contenuto delle norme. Inoltre, gli aspetti relativi al benessere degli animali non sempre hanno un fondamento scientifico sufficiente.

1.2

Un siffatto sistema basato sul mercato e poggiante su criteri obiettivi volti a quantificare il benessere degli animali, risulterà più flessibile, efficace e innovativo di un sistema ispirato a criteri politici, e quindi anche più adattabile ai futuri sviluppi della produzione, che saranno caratterizzati da una maggiore variabilità delle condizioni produttive determinata dall'allargamento dell'Unione europea, dalla costante specializzazione e diversificazione della produzione, dalla trasformazione strutturale del commercio al dettaglio e dai partenariati istituiti per lo sviluppo dei prodotti e delle merci di marca.

1.3

È importante promuovere i metodi di produzione e di allevamento più attenti al benessere degli animali, e di farlo sia direttamente, attraverso la formazione e la diffusione dei nuovi risultati della ricerca, sia attraverso le indicazioni provenienti dal mercato, che per loro stessa natura possono essere una base essenziale per definire tutta una serie di priorità in settori come, ad esempio, la formazione e gli investimenti. In questo modo un sistema di etichettatura può favorire la sinergia necessaria nell'intero processo e un utilizzo più razionale delle risorse. Agli allevatori di animali da produzione occorre stabilità: i mutamenti delle catene di distribuzione esistenti a cui possono essere esposti, e che non sempre sono motivati, influiscono infatti sulla loro programmazione e sulle loro strategie di investimento.

1.4

Ai produttori, ai commercianti e alle industrie interessate andrebbe dunque proposto come soluzione volontaria un sistema di etichettatura in materia di benessere animale basato su criteri che vadano al di là di norme minime: in questo modo, i sistemi privati di etichettatura potrebbero fare riferimento a standard aventi un fondamento scientifico o pratico ed essere aggiornati con l'evolvere delle conoscenze in materia. Concretamente il sistema potrebbe consistere nel proporre una specie di logo, corredato di un'etichetta a colori o di un sistema di punti, che integri i marchi commerciali e costituisca una base oggettiva per la commercializzazione, unitamente a una forma di controllo privato e imparziale. In linea di massima un sistema di questo tipo potrebbe essere applicato a tutti i tipi di animali da produzione e a tutti i prodotti di origine animale, come pure, alle stesse condizioni, ai prodotti importati, conformemente alle norme dell'OMC.

1.5

Occorre comunque mantenere la tradizionale regolamentazione eteronoma, caratterizzata dalla definizione di requisiti minimi al livello dell'UE, come è avvenuto finora per l'etichettatura utilizzata per contrassegnare il tipo di produzione delle uova e dei prodotti biologici. Si tratta però di un sistema oneroso dal punto di vista sia politico che amministrativo, e quindi meno adatto a promuovere metodi di produzione e di allevamento più attenti al benessere degli animali. Nel contempo i produttori, l'industria e i commercianti percepirebbero tale sistema come rigido e burocratico, oltre che privo di sostanziali vantaggi per i consumatori.

1.6

Il sistema proposto ha sostanzialmente dei punti in comune con i sistemi generali di etichettatura ecologica, tra cui i marchi ecologici comuni dell'UE. Questi ultimi si basano sull'applicazione di principi comuni per la produzione e interessano prodotti fra di loro assai diversi, cosa che rafforza la sinergia e agevola la conoscenza del marchio. Comprensibilmente, per motivi concorrenziali gli operatori del settore alimentare tendono tuttavia a preferire i propri marchi di qualità, ragion per cui questo modello «ecologico» non è direttamente applicabile all'etichettatura per il benessere animale. Per di più, quest'ultima deve necessariamente basarsi sulla ricerca specifica in questo campo e presuppone una valutazione comparativa dell'importanza rispettiva dei diversi indicatori di benessere.

1.7

La ricerca sul benessere animale nell'UE sarà quindi decisiva affinché in futuro diventi possibile integrare il benessere animale nella catena produzione agricola-trasformazione-commercializzazione su base scientifica e oggettiva. Sarà tuttavia importante definire quanto prima gli elementi caratterizzanti del sistema di etichettatura affinché i risultati della ricerca e gli indicatori standardizzati, obiettivi, misurabili e riproducibili possano tradursi in strategie concrete e nell'applicazione pratica del sistema di etichettatura, mano a mano che diventano disponibili, in modo che gli interessati possano familiarizzarsi con detto sistema.

1.8

È ad ogni modo essenziale un'intensa campagna d'informazione rivolta, fra l'altro, ai consumatori e ai commercianti al dettaglio, anche per far conoscere le norme minime obbligatorie a livello europeo. Nel contempo si potrebbe pensare di creare un sito Internet e una base dati, con il concorso dell'UE, per migliorare la trasparenza e l'apertura, anche se prima di renderne noti gli esatti contenuti bisognerebbe prevedere l'applicazione di orientamenti comuni. Si deve inoltre esaminare l'opportunità di rendere più rigorosi il divieto e il controllo delle asserzioni menzognere e fuorvianti, per garantire che le imprese tengano maggiormente fede alle loro promesse.

2.   Antefatto

2.1

In linea con la richiesta della presidenza tedesca, il presente parere si propone di descrivere i possibili sistemi di etichettatura e relative modalità, nell'intento di promuovere lo sviluppo di metodi di produzione e di allevamento che tengano maggiormente conto del benessere degli animali. Ciò va visto nel contesto del crescente interesse per il benessere degli animali nell'UE, dove questo aspetto, insieme ad altre considerazioni etiche, fa sempre più parte integrante del cosiddetto «modello sociale europeo». Secondo quanto emerge dai sondaggi di Eurobarometro, i consumatori si attendono a giusto titolo che gli alimenti di origine animale vengano prodotti con sistemi rispettosi di tutte le norme vigenti nell'UE, in particolare quelle relative al benessere animale, e che sia loro data la possibilità di scegliere, in maniera oggettiva e affidabile, alimenti prodotti nel rispetto del benessere degli animali (1). Per vari aspetti esiste poi un nesso fra il benessere degli animali e l'insorgere di malattie trasmissibili alle persone.

2.2

Stando alla maggior parte degli studi, i consumatori ritengono il benessere degli animali un parametro essenziale della qualità dei prodotti, anche se in taluni Stati membri questo modo di vedere appare meno marcato. La percezione del benessere o la qualità della vita di un animale può essere definita come la somma delle esperienze positive e negative da esso vissute durante la sua esistenza. Le sofferenze, le malattie, i conflitti, le condizioni inconsuete o anomale e lo stress cronico possono essere considerati in linea di principio esperienze negative per gli animali, mentre il riposo, il sonno, l'alimentazione, la cura della prole, l'igiene dell'epidermide possono valere come esperienze positive. Ad ogni modo, non esiste alcuna definizione univoca riconosciuta del benessere degli animali.

2.3

L'UE ha adottato, sulla base tra l'altro delle raccomandazioni del Consiglio d'Europa, una serie di norme minime per il benessere animale nell'ambito della tradizionale regolamentazione eteronoma, norme che in gran parte dovranno essere rivedute e adattate negli anni a venire in linea con precedenti decisioni. Sono state inoltre introdotte regole specifiche sull'etichettatura volontaria per i prodotti biologici e sull'etichettatura obbligatoria riguardante i metodi di produzione da utilizzare nel quadro della commercializzazione delle uova, nonché altre disposizioni isolate per la commercializzazione del pollame e della carne bovina.

2.4

L'industria alimentare e il commercio al dettaglio sono caratterizzati da una crescente concentrazione e concorrenza, e fanno sempre più largo uso delle etichette di qualità. Ciò rivela la particolare attenzione prestata ai diversi aspetti della qualità, tra i quali figura, in misura variabile, anche il benessere degli animali. Allo stesso tempo, le organizzazioni di produttori e le cooperative hanno creato una serie di etichette di qualità su base regionale, che spesso tengono conto del benessere degli animali e di requisiti ecologici. Alcune di queste produzioni possono avvalersi del sistema UE per le indicazioni geografiche protette e per le specialità tradizionali (2).

2.5

Sotto questo profilo esistono tra i vari paesi differenze significative. Ad esempio, il mercato britannico è dominato da etichette di qualità del commercio al dettaglio, mentre in Francia o in Italia si trovano numerose etichette di qualità di tipo regionale. La produzione olandese è tradizionalmente dominata dai marchi di qualità del settore della trasformazione, anche se sempre più marchi vengono sviluppati al livello del commercio al dettaglio e delle organizzazioni di produttori. In Svezia prevalgono le etichette dei produttori che, in linea con la tradizionale concezione diffusa in diversi altri paesi, attribuiscono ai prodotti nazionali una migliore qualità, anche sotto il profilo del benessere degli animali.

2.6

Sulla base dell'esperienza dei sistemi di etichettatura volontari, la Commissione intende promuovere l'introduzione nella legislazione comunitaria vigente e futura di indicatori specifici, oggettivi e misurabili del benessere degli animali. Tali indicatori serviranno da riferimento per una legislazione comunitaria sulla convalida dei sistemi di produzione che applicano norme di benessere animale più rigorose delle norme minime stabilite dalla regolamentazione in vigore (3). Secondo la Commissione ciò comporta la necessità di una classificazione delle norme vigenti in materia di benessere degli animali intesa a promuovere lo sviluppo di metodi di produzione e di allevamento più attenti al benessere animale e ad agevolare l'applicazione di tali norme nell'UE e a livello internazionale. Su tale sfondo la Commissione intende inoltre esaminare la possibilità di un marchio UE.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Nella sua veste di rappresentante della società civile, è naturale che il CESE partecipi alla messa a punto di sistemi di etichettatura adeguati e che si assuma la propria parte di responsabilità nell'introdurli in forma di sistema comune a livello europeo, un sistema in grado di promuovere lo sviluppo sostenibile al livello sia del mercato interno che degli scambi commerciali con i paesi terzi. Il benessere animale fa parte del retaggio culturale europeo e dei valori etici dell'UE, alla stessa stregua della responsabilità sociale delle imprese, della tutela ambientale e dell'ecologia, tutti aspetti in parte integrati nella legislazione UE. Al riguardo il benessere animale presenta qualche punto in comune con i metodi biologici: anche questi, infatti, essendo sistemi di produzione sostenibili nell'ambito della produzione agricola, si basano sul rispetto per l'ambiente e sul benessere degli animali.

3.2

Il CESE appoggia pertanto l'intento della Commissione di promuovere il benessere degli animali nell'UE su basi oggettive e sostenibili (4), e ritiene opportuno stabilire un sistema comune di etichettatura per incoraggiare metodi di produzione e di allevamento più rispettosi del benessere degli animali. L'obiettivo è anzitutto contribuire ad assicurare che le forze del mercato operino su base oggettiva e «spingano nella giusta direzione». È inoltre importante che i metodi di produzione e di allevamento più rispettosi del benessere degli animali vengano promossi attraverso la formazione e la diffusione dei nuovi risultati della ricerca. Beninteso, i segnali del mercato offriranno al tempo stesso indicazioni per definire tutta una serie di priorità in settori nel campo della ricerca, della formazione degli agricoltori, dei consulenti e dei veterinari, oltre che per i futuri investimenti nel sistema produttivo. Un sistema di etichettatura può così favorire le sinergie e contribuire a un uso razionale delle risorse, anche per quanto riguarda la programmazione e la strategia di investimento dei produttori.

3.3

In ogni caso si tratta di un processo di lungo termine, che necessariamente dovrà svolgersi in sincronia con la messa a punto su base scientifica di indicatori del benessere animale oggettivi, misurabili e riproducibili, nonché con un processo di convalida dei diversi sistemi di produzione. È tuttavia importante stabilire tempestivamente le condizioni e i principi per la definizione di un sistema di etichettatura comune per il benessere degli animali, in modo che i lavori possano essere preparati e che il sistema possa essere integrato con indicatori standardizzati, man mano che vengono messi a punto. Per questo motivo occorre assicurare che le parti interessate comprendano e accettino quanto prima gli orientamenti e le modalità del sistema comune applicabile a tutti i prodotti di origine animale su una base quanto più possibile volontaria e flessibile.

3.4

Si deve comunque ammettere che il processo è reso più complicato non solo dalla scarsità di informazioni sugli aspetti inerenti al benessere animale e alla loro importanza relativa, ma anche dalla molteplicità delle preferenze dei consumatori e delle condizioni di produzione, dal modo in cui la diversità delle tradizioni e dei livelli di informazione influisce sulle concezioni in materia, dalla concorrenza nel settore alimentare, dalla complessità delle disposizioni vigenti, dalla difficoltà di raffrontare il contenuto dei marchi di qualità privati e dalla scarsa affidabilità delle funzioni di controllo private e pubbliche, anche per quanto riguarda le importazioni nell'UE.

3.5

Ad ogni modo, un'etichettatura chiara e informativa è un fattore chiave per promuovere metodi di produzione e allevamento che tengano maggiormente conto del benessere degli animali. Le esperienze compiute con i prodotti biologici e i sistemi alternativi di produzione delle uova hanno dimostrato che le norme sull'etichettatura sono potenzialmente in grado di influenzare i sistemi di produzione in senso favorevole al benessere degli animali.

3.6

Le norme sull'etichettatura rientrano nelle competenze dell'UE. Esse sono oggetto di costanti discussioni e conflitti di interessi, e la Commissione intende presentare una proposta di modifica della direttiva sull'etichettatura entro la fine del 2007 (5). Il più delle volte un'etichettatura adeguata e chiara è frutto di un compromesso: non è infatti possibile tener conto dei desideri e delle esigenze di tutti. Ciò vale non da ultimo per i prodotti alimentari, in relazione ai quali si obietta spesso che i requisiti in materia di etichettatura sono eccessivi. Le autorità responsabili per il comparto alimentare sono scettiche circa l'utilità di etichette ancora più dettagliate: il rischio è infatti che le informazioni fondamentali sulle caratteristiche degli alimenti vengano messe in ombra da altre informazioni. Anche i consumatori esprimono dubbi sull'utilità di ulteriori informazioni, in particolare sugli aspetti di tipo etico. Per questi motivi l'etichettatura sul benessere degli animali dovrebbe essere basata su un logo più piccolo associato a un'etichettatura colorata, a stelle o a punti, e integrare l'etichettatura esistente.

4.   Le importazioni verso l'UE

4.1

Una normativa dell'UE che imponga ulteriori restrizioni e requisiti comporta il rischio che le importazioni dai paesi caratterizzati da standard meno elevati soppiantino la produzione e le vendite di prodotti UE, comportando finanche la perdita di quote di mercato sul mercato mondiale. Viceversa, una maggiore attenzione al benessere degli animali in un mercato interno composto da 30 paesi e 500 milioni di abitanti (6) servirà da esempio anche per i paesi terzi e avrà effetti sulle loro esportazioni verso l'UE. L'International Finance Corporation della Banca mondiale, ad esempio, ha segnalato il crescente interesse per il benessere degli animali a livello mondiale e quindi la necessità di tenerne conto adattando di conseguenza sia la produzione primaria che la trasformazione industriale (7).

4.2

Chiaramente, gli animali allevati, macellati e sezionati nell'UE, e i loro prodotti trasformati o non trasformati soddisfano i criteri minimi UE, e quindi qualsiasi etichettatura al riguardo risulta superflua. Spesso viene invece invocata, e a ragione, una norma che imponga di etichettare i prodotti importati o indicandone l'origine, o in maniera tale da evidenziare, direttamente o indirettamente, se siano conformi ai requisiti minimi UE. Come già affermato in precedenti pareri del CESE, nel lungo termine il benessere degli animali dovrà essere necessariamente riconosciuto come un criterio del tutto legittimo negli scambi di prodotti agricoli, in modo che le importazioni possano essere assoggettate al rispetto dei requisiti minimi dell'UE. Per questo è opportuno esaminare più da vicino in quale misura sia giuridicamente ammissibile imporre un'etichettatura attestante l'origine dei prodotti importati e, qualora non sia possibile accertare l'effettiva ottemperanza a norme equivalenti ai requisiti minimi dell'UE, in quale misura sia giuridicamente ammissibile apporre una menzione del genere «metodo di produzione sconosciuto».

4.3

Per tenere conto di tutti i prodotti agricoli europei che soddisfano le norme europee obbligatorie in materia di benessere degli animali e distinguerli dai prodotti extraeuropei a cui non si applicano le medesime regole, si potrebbe prevedere un'apposita indicazione del luogo in cui la materia prima agricola che compone il prodotto è stata coltivata o allevata, in base alla formula più appropriata:

«agricoltura UE», se la materia prima agricola che compone il prodotto è stata coltivata o allevata nell'UE,

«agricoltura non UE», se la materia prima agricola che compone il prodotto è stata coltivata o allevata in un paese terzo,

«agricoltura UE e non UE», se la materia prima agricola che compone il prodotto è stata coltivata o allevata in parte nell'UE e in parte in un paese terzo.

L'indicazione «UE» o «non UE» può essere eventualmente sostituita o integrata dal nome di un paese qualora tutte le materie prime agricole che compongono il prodotto siano state coltivate o allevate in tale paese.

4.4

Se è vero che la compatibilità con le norme OMC dovrebbe essere il punto di partenza e il presupposto di qualsiasi regolamentazione, come già detto in precedenti pareri del CESE, l'UE può, nel caso di insufficiente comprensione del problema a livello internazionale, vedersi costretta a intraprendere azioni unilaterali per richiamare la necessaria attenzione sull'esigenza di adattare il quadro giuridico. In ogni caso, gli importatori e i dettaglianti devono garantire, mediante sistemi di certificazione o garanzie analoghe che le importazioni dai paesi terzi soddisfino i requisiti previsti sia nel breve che nel lungo termine.

5.   La tradizionale regolamentazione eteronoma

5.1

Nell'UE è stata fissata una serie di standard minimi per il benessere animale, e precedenti decisioni impongono alla Commissione di presentare, nei prossimi anni, proposte di revisione e aggiornamento (8). Gli standard minimi sono stabiliti in strumenti normativi particolareggiati e sono il frutto di negoziazioni politiche spesso molto laboriose. Nel futuro gli standard minimi dovranno basarsi ancor più sui risultati della ricerca e su un'analisi oggettiva della situazione, il che potrebbe agevolare il processo politico. Le norme sul benessere animale dovrebbero quindi basarsi sulle conoscenze di volta in volta disponibili ed essere stabilite in maniera oggettiva e responsabile, tenendo conto dei vantaggi pratici offerti da un sistema ben funzionante di produzione primaria, trasporto, stordimento degli animali prima della macellazione e macellazione stessa. Anche in futuro gli standard minimi andranno assolutamente stabiliti in questo modo, applicando la tradizionale regolamentazione di diritto pubblico.

5.2

Le norme sull'etichettatura volontaria dei prodotti biologici e sull'apposizione obbligatoria di etichette riguardanti i metodi di produzione nella commercializzazione delle uova sono anch'esse definite in maniera molto dettagliata nei testi legislativi dell'UE. In altre parole, se nell'etichettatura si usano definizioni più precise, in tal caso vanno rispettate le norme UE, e ciò al fine di garantire condizioni concorrenziali eque e informazioni corrette ai consumatori. Queste forme di etichettatura, combinate a precisi requisiti obbligatori, sono state introdotte per venire incontro ai desideri dei consumatori o come fattore importante per il funzionamento del mercato, in quanto disciplinano l'uso di denominazioni commerciali associate dal consumatore a determinate forme di produzione, stabilendo inoltre le condizioni giuridiche minime necessarie per evitare la frode o la confusione nel mercato. Anche in questo caso l'esperienza dimostra che stabilire i criteri è difficile, richiede tempo e comporta un lavoro notevole per registrazioni, contabilità e controlli sia per gli operatori economici che per le autorità nazionali di controllo. In questi ambiti è comunque opportuno mantenere il tipo di regolamentazione attualmente in vigore.

5.3

Stando alla proposta relativa alle prescrizioni minime per i polli predestinati alla produzione di carne, entro due anni dalla sua adozione la Commissione presenterà una relazione sulla «possibile introduzione di un sistema di etichettatura specifico, armonizzato e obbligatorio a livello comunitario per la carne, i prodotti della carne e i preparati di carne di pollo, nel rispetto dei criteri relativi al benessere degli animali» (9). In determinati casi ciò comporterà un regime parallelo alle norme comunitarie vigenti per i sistemi di produzione delle uova, che prevederà regole di etichettatura applicabili a diversi tipi di produzione.

5.4

Il modello tradizionale di regolamentazione, tuttavia, è adatto solo quando è possibile distinguere tra forme di produzione chiaramente definite e ben comprensibili per i consumatori. Lo stesso vale per il «regolamento sui prodotti biologici», incentrato in primo luogo su criteri ecologici e non espressamente sul benessere degli animali. Questo modello potrebbe eventualmente essere usato anche per la produzione di pollame da macellazione, sempre che i consumatori siano in grado di comprendere e tenere presente il contesto generale dell'etichettatura. Il modello risulterà invece incomprensibile se verrà esteso a più prodotti di origine animale.

5.5

Il modello tradizionale di regolamentazione risulta inoltre eccessivamente rigido e complesso se si considerano l'eterogeneità delle condizioni di produzione nell'UE allargata e l'evoluzione futura del mercato. Esso rischia di rallentare o addirittura bloccare lo sviluppo, vista la complessità delle procedure di revisione e la difficoltà di tener conto delle naturali differenze tra i modelli di produzione. Il modello è politicamente e amministrativamente impegnativo e non abbastanza attraente per gli operatori del mercato; inoltre, esso scoraggia i marchi di qualità privati, ad esempio, quelli riguardanti la produzione a livello regionale. L'esperienza insegna inoltre che quando si passa dall'etichettatura volontaria all'etichettatura regolamentata o obbligatoria il controllo diventa amministrativamente più oneroso.

5.6

È quindi inopportuno prevedere un'ulteriore estensione del modello tradizionale di regolamentazione al livello dell'UE e l'uso di etichette ufficiali. La stessa cosa vale anche per le regolamentazioni nazionali in materia di etichettatura che prevedano norme in linea di principio incompatibili con i criteri del mercato interno. Anche un'etichetta attestante la conformità con le norme minime UE ha senso solo se, come per i sistemi di produzione delle uova, rientra in un sistema di etichettatura comportante livelli differenziati.

6.   Il «modello ecologico»

6.1

Un sistema di etichettatura volontario generalizzato analogo alla normativa sull'assegnazione dei marchi ambientali UE (10) e alle corrispondenti norme nazionali è meno idoneo a promuovere lo sviluppo di metodi di produzione e di allevamento più rispettosi del benessere degli animali. L'industria alimentare e i dettaglianti preferiranno indubbiamente continuare a mettere a punto marchi di qualità propri. Pur avendo molte analogie con il modello volontario proposto per i prodotti di origine animale, il «modello ecologico» non si presterebbe come base per introdurre criteri oggettivi in materia di benessere animale, come del resto un modello analogo a quello delle norme ambientali UE risulterebbe eccessivamente burocratico per la protezione del benessere animale.

6.2

I marchi ecologici vigenti funzionano in linea di principio con l'aiuto di una segreteria che assiste le parti interessate nel definire criteri ambientali più rigorosi dei requisiti prescritti dalla legge e inoltre fornisce informazioni sulle etichettature a consumatori e commercianti. Il vantaggio di questo metodo è che l'etichettatura può essere usata in teoria per tutti i prodotti e quindi avere un uso più esteso grazie alle sinergie e alla più ampia conoscenza del sistema. Le informazioni vengono garantite da un terzo imparziale come prova oggettiva e verificata che il prodotto viene fabbricato e usato in maniera più rispettosa dell'ambiente in tutto il suo ciclo di vita.

6.3

Riguardo ai prodotti di origine animale, la definizione dei singoli criteri per l'allevamento dei diversi tipi di animali e per le condizioni di produzione deve essere necessariamente compiuta da esperti sulla base dei risultati di ricerche e di una valutazione più precisa dei sistemi di produzione. Ciò presuppone quindi valutazioni dettagliate e specifiche effettuate da specialisti. Tuttavia, le indicazioni chiare e attendibili del «modello ecologico» destinate ai consumatori, l'uso volontario e l'etichettatura comune basata su criteri di mercato e attestante la conformità a criteri etici specifici più rigorosi degli standard minimi stabiliti per legge andrebbero utilizzati anche per promuovere lo sviluppo di metodi di produzione e di allevamento più attenti al benessere degli animali.

7.   I marchi di qualità privati

7.1

I marchi di qualità privati funzionano in base alle leggi di mercato e in linea con le norme che vietano la pubblicità fuorviante e simili, senza prevedere interventi specifici da parte delle autorità. Si tratta di sistemi flessibili, in grado di adattarsi continuamente all'evolversi del contesto. Ciò non toglie che l'etichettatura non è ottimale per quanto riguarda il benessere degli animali. Data la crescente offerta di merci, i consumatori hanno difficoltà a comprendere e a raffrontare i criteri utilizzati per le diverse etichette. Per di più, la commercializzazione può fornire un'idea erronea delle condizioni di produzione, e le proprietà attribuite a un prodotto non sono necessariamente basate su criteri concreti, anche perché ancora non si dispone di conoscenze oggettive su cui basarsi. Ciò riduce la credibilità e comporta distorsioni di concorrenza rispetto a prodotti e condizioni di produzione rispondenti a criteri più rigorosi. L'industria e i commercianti possono inoltre essere inclini a modificare i requisiti in base a criteri di concorrenza, in maniera non sempre giustificata e tale da creare difficoltà per gli allevatori di animali da produzione.

7.2

Per queste ragioni occorre stabilire criteri di produzione oggettivi. La Commissione ha proposto di creare un centro o un laboratorio che avrà tra l'altro l'obiettivo di sviluppare indicatori di benessere concernenti gli animali (11). Essa prevede inoltre che i risultati del progetto di ricerca Welfare Quality, che si concluderà nel 2009, consentiranno d'intensificare l'uso d'indicatori misurabili nella legislazione dell'Unione europea sul benessere animale. Al tempo stesso occorrerà però mettere a frutto i lavori di ricerca e sviluppo svolti negli Stati membri.

7.3

Per tale motivo, la soluzione migliore per sviluppare determinati metodi di produzione e allevamento più attenti al benessere degli animali, riferiti a indicatori scientificamente consolidati, consisterà necessariamente in interventi complementari all'uso dei marchi di qualità privati. In questo modo le imprese avranno la possibilità di mantenere e sviluppare ulteriormente i propri marchi, distinguendosi così dai concorrenti per la base reale e oggettiva, e i consumatori potranno scegliere secondo le proprie convinzioni e preferenze, fondate su informazioni veritiere. Il sistema può così funzionare in base alle leggi del mercato, rendendo inutile l'intervento delle autorità. Ciò sarà possibile indicando che il prodotto soddisfa uno standard dell'Unione europea soggetto ad una forma di controllo imparziale.

8.   Proposte di etichettatura per il benessere animale

8.1

È importante definire il quadro e i principi che determinano il sistema di etichettatura comune, in modo da poter preparare i lavori e integrare nel sistema gli indicatori di benessere standardizzati se e quando si renderanno disponibili i risultati parziali, fra l'altro, del progetto Welfare Quality. Ciò consentirà agli esperti, ed eventualmente anche al centro per il benessere degli animali di cui si propone l'istituzione, di mettere a punto i criteri oggettivi necessari. In questo processo si dovranno ponderare diversi indicatori riguardanti l'intero ciclo di vita degli animali, che dovranno tradursi in condizioni di produzione pratiche e realistiche, in modo da poter promuovere al meglio la sinergia tra ricerca, sviluppo e applicazione delle nuove tecnologie (12).

8.2

Dando un apposito mandato al nuovo centro, i risultati di tali lavori potranno concretizzarsi in norme applicabili a tutte le specie di animali da produzione e ai principali prodotti di origine animale, norme che verranno utilizzate per il sistema di etichettatura proposto, definendo tra l'altro requisiti per la misurabilità e la successiva verifica dei singoli indicatori. L'etichettatura per il benessere animale dovrà quindi basarsi il più possibile su indicatori del benessere misurabili e riproducibili, e non solo sui sistemi di produzione utilizzati.

8.3

Il commercio e l'industria potranno poi, su base volontaria, etichettare i prodotti di origine animale con un logo riconosciuto al livello dell'UE che garantisca il rispetto di uno standard più rigoroso rispetto ai requisiti minimi UE. Gli standard più elevati dovranno basarsi su uno strumento normativo, a meno che non sia giuridicamente possibile riferirsi direttamente agli standard comuni. Gli standard potrebbero, ad esempio, essere fissati ai tre livelli più elevati, rispettivamente del 20, 40 e 60 % superiori agli standard minimi, a seconda della misura ritenuta di volta in volta opportuna per la singola specie o il singolo prodotto. Il rispetto dei requisiti specifici e il controllo dell'uso del marchio potrebbero essere garantiti dal controllo interno delle imprese, con la collaborazione di un ispettore, istituto o organizzazione indipendente o di un organismo di certificazione specializzato, operante in base alle norme ISO della serie EN-ISO-17000, o di un organismo di certificazione accreditato conformemente alla serie EN-ISO-45011. Non si prevede invece l'approvazione o l'autorizzazione caso per caso a utilizzare il logo, visto tutto ciò che ne conseguirebbe dal punto di vista amministrativo e del controllo da parte delle autorità.

8.4

Il logo usato di volta in volta potrebbe essere associato a un sistema di colori, stelle o punti a completamento dei marchi commerciali esistenti, sempre che non ci sia contraddizione tra il sistema di etichettatura comune e le etichette commerciali esistenti. Il sistema potrebbe essere applicato alle stesse condizioni per i prodotti importati, evitando quindi problemi con le norme OMC.

9.   Misure complementari

9.1

Si potrebbe esaminare la possibilità che i responsabili dei diversi marchi mettano a punto, con l'aiuto dell'UE, un sito Internet e una base dati con la descrizione del regime di etichettatura proposto e degli altri sistemi di etichettatura relativi al benessere animale. Le imprese potrebbero fornirvi informazioni sui prodotti, confermando così la loro condotta responsabile sotto il profilo etico. Le stesse informazioni potrebbero ad esempio essere accessibili anche nei negozi. La base dati potrebbe inoltre costituire una fonte di ispirazione per ulteriori sviluppi in materia. Essa comporterebbe infatti una maggiore trasparenza, e il rischio di essere criticati o colti in fallo per aver fornito informazioni menzognere e fuorvianti potrebbe indurre ad una certa autodisciplina e a controlli interni.

9.2

Si potrebbero inoltre rendere più severe le norme per le asserzioni pubblicitarie menzognere e fuorvianti, prevedendo sanzioni più pesanti in caso di abusi, anche se non si tratterebbe di un sistema di approvazione combinato a un controllo da parte delle autorità nazionali. Beninteso, legalmente le imprese hanno il pieno diritto di fare asserzioni pubblicitarie veritiere e che non siano fuorvianti per i consumatori, ma è perfettamente chiaro che solo esse hanno la responsabilità di garantire che le affermazioni relative ai prodotti siano veritiere, indipendentemente dal fatto che siano verificate o meno da un terzo imparziale.

9.3

La possibilità di gran lunga più semplice consisterebbe nel limitarsi ad appoggiare il continuo sviluppo di sistemi di etichettatura privati attraverso campagne informative rivolte ai consumatori e ai commercianti al dettaglio. Tuttavia, come evidenziato da quanto precede, tale soluzione non basterebbe. A prescindere dalla scelta del sistema di etichettatura o di altre misure, una volta creati i presupposti si imporrebbero comunque vaste campagne informative. Ciò potrebbe avvenire mediante dibattiti tra opinionisti o attraverso la TV e la stampa. In proposito la Commissione e le competenti autorità nazionali dovrebbero assumersi un ruolo essenziale insieme, ad esempio, alle organizzazioni degli agricoltori, dei consumatori e degli animalisti.

9.4

Talvolta viene auspicata l'introduzione di un'etichettatura nazionale obbligatoria relativa all'origine, vista la preferenza generale per i prodotti nazionali. Nonostante il mondo economico faccia presente il rischio di distorsioni della concorrenza, finora è invalso un principio fondamentale secondo cui a livello nazionale possono essere stabilite norme per il benessere animale più rigorose dei requisiti minimi previsti al livello dell'Unione europea. Qualora, in virtù del principio di sussidiarietà, si lasciasse ai singoli Stati membri il compito di mettere a punto i rispettivi sistemi di etichettatura in materia di benessere animale, a seconda delle condizioni di produzione e degli interessi dei consumatori, si rischierebbe di favorire unilateralmente i prodotti nazionali, così come, del resto, prendere come punto di partenza una qualsiasi forma di etichettatura nazionale sarebbe sostanzialmente incompatibile con il mercato interno e con le regole di concorrenza dell'UE. Nondimeno, gli Stati membri che introducono requisiti minimi più rigorosi per uno o più comparti produttivi hanno eventualmente la possibilità di integrarli nel sistema di etichettatura proposto.

Bruxelles, 15 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Secondo lo speciale di Eurobarometro del giugno 2005, dal titolo Attitudes of comsumers towards the welfare of farmed animals («Atteggiamenti dei consumatori verso il benessere degli animali da allevamento»), il 43 % dei consumatori UE tiene conto del benessere degli animali al momento di acquistare la carne, e il 74 % degli intervistati ritiene che la propria scelta commerciale possa influire sul benessere degli animali. Allo stesso tempo, però, diversi studi scientifici evidenziano l'estrema complessità sia dei fattori psicologici ed emotivi che influenzano i consumatori appellandosi ai loro valori etici o morali, sia delle reazioni alla presentazione commerciale e all'etichetta. Esistono fra l'altro forti differenze tra le idee e le azioni concrete. Un atteggiamento politicamente corretto nei confronti dell'etichettatura etica non porta necessariamente all'acquisto di un prodotto elaborato nel rispetto di determinate norme etiche: l'acquisto viene determinato soprattutto dal prezzo, dall'accessibilità, dalle proprietà nutrizionali benefiche per la salute e dal gusto. I cittadini reagiscono tuttavia energicamente alle notizie riportate dai media sulle cattive condizioni imposte agli animali da produzione o agli animali utilizzati per la sperimentazione.

(2)  Regolamento (CE) 509/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006 relativo alle specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli e alimentari, e Regolamento (CE) 510/2006 del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari, GU L 93 del 31.3.2006.

(3)  Cfr. la Comunicazione della Commissione su un programma d'azione comunitario per la protezione e il benessere degli animali 2006-2010 (COM(2006) 13 del 23.1.2006), dove si annunciano alcune iniziative nei confronti dell'OMC, una relazione nel 2009 sull'etichettatura obbligatoria per le carni di pollo e i prodotti a base di carne di pollo, una relazione nel 2009 sull'ulteriore applicazione di indicatori misurabili nella legislazione comunitaria, sull'eventuale definizione di uno standard qualitativo europeo per i prodotti ottenuti con sistemi di produzione che rispettano standard più elevati di benessere degli animali e sull'introduzione di uno specifico sistema tecnico e finanziario per promuovere l'applicazione di standard di benessere più elevati in Europa e nel mondo.

(4)  Cfr. il parere del CESE 1356/2006 del 26.10.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione su un programma d'azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010 e il parere del CESE 1246/2005 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne (COM(2005) 221), GU C 28 del 3.2.2006.

(5)  Welfare Quality® è un progetto di ricerca finanziato dall'UE al quale partecipano 39 istituti e università specializzati nel benessere animale. Il progetto punta a sviluppare standard per il benessere degli animali e strategie concrete su base scientifica in modo da tener conto del benessere animale nella catena agricoltura-produzione-commercio-immissione sul mercato, fornendo ai consumatori informazioni pertinenti.

(6)  Nel mercato interno sono comprese la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein, appartenenti allo Spazio economico europeo.

(7)  Creating Business Opportunity through Improved Animal Welfare («Creare opportunità commerciali grazie al miglioramento del benessere animale»), documento predisposto nell'aprile 2006 dalla International Finance Corporation (IFC) del gruppo Banca mondiale. La IFC comprende 178 Stati membri e il suo compito consiste principalmente nel promuovere gli investimenti nei paesi in via di sviluppo, con l'intento di incentivarne le esportazioni verso i paesi sviluppati. Diversi paesi vantano una lunga tradizione etica in relazione al benessere animale, ma non hanno norme specifiche in materia. Tra questi figurano ad esempio la Svizzera, l'Australia, la Nuova Zelanda, l'Argentina e il Brasile.

(8)  Comunicazione della Commissione su un programma d'azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010, (COM(2006) 13 def.).

(9)  Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne, COM(2005) 221 def., del 30.5.2005.

(10)  Regolamento (CE) n. 1980/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17.7.2000, relativo al sistema comunitario, riesaminato, di assegnazione di un marchio di qualità ecologica, GU L 237 del 21.9.2000.

(11)  Come proposto dal CESE nel parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio su un programma d'azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010 (doc. CESE 1356/2006), tale laboratorio o centro andrebbe creato a livello globale con la collaborazione dei principali partner commerciali dell'UE, affinché i metodi definiti vengano riconosciuti a livello internazionale.

(12)  Questi indicatori dovranno riguardare tutti gli elementi che rivestono un'importanza fondamentale per la specie animale considerata, ossia la riproduzione, le condizioni relative allo spazio disponibile e alla stabulazione, i controlli quotidiani, gli aspetti patologici e sanitari, lo svezzamento, gli interventi chirurgici, il trasporto al macello, lo stordimento prima della macellazione e la macellazione vera e propria.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e determina il contenuto dell'allegato XI

COM(2006) 7 def. — 2006/0008 (COD)

(2007/C 161/18)

Il Consiglio, in data 10 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore GREIF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 163 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo reputa opportuno mirare ad un'applicazione il più possibile rapida del nuovo regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale tra gli Stati membri, che comporta anche una sollecita entrata in vigore del regolamento di applicazione proposto, nonché un accordo sul regolamento in oggetto, che determina il contenuto dell'allegato XI al regolamento 883/2004.

1.2

Il CESE è consapevole del fatto che un'applicazione incondizionata del principio dell'assimilazione dei fatti, che impedisce al legislatore nazionale di limitarsi ai fatti verificatisi sul suo territorio in materia di sicurezza sociale, avrebbe notevoli ripercussioni sui sistemi di sicurezza sociale.

1.3

Il CESE riconosce pertanto che l'inserimento nell'allegato XI di determinate voci relative a situazioni nazionali particolari è necessario per evitare un conflitto tra le legislazioni nazionali e il testo del regolamento 883/2004. Invita però ad evitare una proliferazione di tali voci e a limitarne al massimo il numero, accettando solo quelle che sono effettivamente indispensabili al buon funzionamento delle norme di coordinamento nello Stato membro interessato e che rispondono al principio di proporzionalità.

1.4

Il Comitato reputa particolarmente importante stabilire il principio secondo cui nella pratica del coordinamento le voci che figurano nell'allegato XI non devono mai comportare uno svantaggio per i cittadini.

1.5

Nelle voci che figurano all'allegato XI il CESE non ravvisa alcun problema apparente, né per gli assicurati che si spostano all'interno dell'Unione europea né per le imprese e le istituzioni responsabili della sicurezza sociale. I vantaggi che il coordinamento reca ai beneficiari non devono venir neutralizzati dal contenuto dell'allegato XI.

1.6

Il Comitato riconosce l'utilità degli sforzi di semplificazione profusi da tutte le parti in causa, grazie ai quali le voci dell'allegato XI al regolamento 883/2004 risultano essere molto meno numerose rispetto a quelle del corrispondente allegato VI dell'attuale regolamento sul coordinamento 1408/71.

1.7

Per rendere rapidamente applicabile il regolamento di base, il CESE invita gli Stati membri a dotare fin d'ora le istituzioni preposte alla sicurezza sociale delle risorse umane e tecniche necessarie a tale rapida riconversione.

2.   Presentazione e contesto della proposta di regolamento

2.1

Le norme comunitarie sul coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale sono attualmente disciplinate dal regolamento (CEE) 1408/71 («regolamento di base») e dal suo «regolamento di applicazione» (CEE 574/72), entrati in vigore oltre 30 anni fa e da allora modificati e aggiornati a più riprese.

2.1.1

Tali regolamenti mirano a definire le misure necessarie affinché le persone alle quali essi si applicano non perdano i propri diritti in materia di sicurezza sociale quando si recano in un altro Stato membro, vi soggiornano o vi risiedono. Gli assicurati che si spostano all'interno dell'UE non devono risultare penalizzati a causa della loro mobilità, né ricevere un trattamento peggiore rispetto agli assicurati che non si spostano. Per garantire questi diritti, i regolamenti in esame stabiliscono i principi generali di coordinamento e definiscono le modalità di applicazione rispondenti alle esigenze specifiche dei diversi rami della sicurezza sociale.

2.2

Il regolamento 1408/71 verrà sostituito dal regolamento (CE) 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, già adottato il 29 aprile 2004.

2.2.1

Ai sensi dell'articolo 89 del nuovo regolamento 883/2004, l'attuazione di quest'ultimo sarà disciplinata da un nuovo regolamento, che sostituirà il vigente regolamento di applicazione 574/72. Questa proposta di regolamento sulle modalità di applicazione (1), formulata il 31 gennaio 2006 e attualmente all'esame del Parlamento europeo e del Consiglio, è già stata oggetto di un parere specifico del CESE (2).

2.2.2

È solo dopo l'entrata in vigore del regolamento di applicazione che il regolamento 883/2004 potrà essere applicato, facendo beneficiare tutti gli interessati dei numerosi chiarimenti, semplificazioni e miglioramenti da esso introdotti nel settore del coordinamento della sicurezza sociale. Fino a quel momento continueranno a trovare piena applicazione il regolamento 1408/71 e il suo regolamento d'applicazione 574/72.

2.3

Il considerando 41 del regolamento 883/2004 stabilisce che «è necessario prevedere disposizioni particolari che rispondano alle caratteristiche proprie delle legislazioni nazionali per facilitare l'applicazione delle norme di coordinamento». Sono proprio queste «disposizioni particolari di applicazione delle legislazioni di taluni Stati membri», presentate nell'allegato XI del regolamento 883/2004, a formare oggetto del presente parere.

2.3.1

Il regolamento di base 883/2004 stabilisce le norme fondamentali di coordinamento. Il regolamento di applicazione, che rappresenta una sorta di «manuale d'istruzioni» del regolamento di base, ne disciplina piuttosto gli aspetti amministrativi. L'allegato XI del regolamento 883/2004 contiene invece disposizioni specifiche, adattate alle legislazioni di determinati Stati membri, intese ad agevolare l'applicazione delle nuove norme di coordinamento.

2.3.2

L'allegato XI serve quindi ad evitare i conflitti tra i sistemi nazionali di sicurezza sociale e le norme di coordinamento. Esso deve dunque tutelare le disposizioni specificamente legate alle peculiarità nazionali, in modo che esse non ostacolino il coordinamento. L'allegato XI deve quindi consentire un'agevole coesistenza della legislazione nazionale e di quella comunitaria in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri.

2.4

L'allegato XI dedica ad ogni Stato membro un capitolo specifico. La consistenza delle voci relative ai singoli Stati membri varia fortemente in funzione delle rispettive legislazioni nazionali.

2.5

Nel 2004, al momento dell'adozione del nuovo regolamento di coordinamento 883/2004, l'allegato XI era stato lasciato in bianco. All'epoca si era convenuto di definirne il contenuto in un regolamento successivo. Tale regolamento viene ora presentato sotto forma di proposta (3).

2.5.1

L'allegato XI non si riferisce solo al regolamento 883/2004, ma anche al regolamento di applicazione. I tre testi non possono essere considerati separatamente l'uno dall'altro. Il contenuto dell'allegato XI sarà quindi esaminato dal gruppo di lavoro del Consiglio competente per gli affari sociali, parallelamente al corrispondente contenuto del regolamento di applicazione. Entrambe le proposte di regolamento presentate dalla Commissione nel gennaio 2006 saranno quindi discusse contemporaneamente in sede di Consiglio.

2.5.2

Il contenuto dell'allegato XI deve essere approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio prima dell'entrata in vigore del regolamento di applicazione. La finalizzazione dell'allegato XI costituisce quindi un'altra condizione per l'applicazione delle nuove norme di coordinamento in materia di sicurezza sociale. La base giuridica del regolamento in esame è costituita dagli articoli 42 e 308 del Trattato CE. La sua entrata in vigore presuppone quindi l'unanimità all'interno del Consiglio, parallelamente alla procedura di codecisione del Parlamento europeo.

2.6

Il 24 gennaio 2006 la Commissione ha presentato una proposta che modifica alcuni punti del regolamento 883/2004 e determina il contenuto dell'allegato XI. Questa proposta è stata lanciata dopo aver consultato gli Stati membri. Le modifiche dei singoli punti del regolamento 883/2004, che comunque non è ancora applicabile, sono motivate dal fatto che alcune materie, per le quali gli Stati membri hanno chiesto di inserire una voce specifica nell'allegato XI, sono state riconosciute come materie orizzontali, che devono quindi essere disciplinate per tutti gli Stati membri. L'inserimento di tali modifiche nel regolamento di base evita che nell'allegato XI debbano figurare voci analoghe per diversi Stati membri.

3.   Osservazioni generali e particolari del CESE

3.1

Il CESE ha già accolto con favore in diversi pareri le nuove norme di coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale che costituiscono un passo importante verso il miglioramento della libera circolazione nell'Unione europea, dichiarandosi in particolare soddisfatto dell'estensione dell'ambito di applicazione «ratione personae» e «ratione materiae» del regolamento, delle semplificazioni rispetto alle norme in vigore attualmente e di tutte le misure intese a migliorare la cooperazione fra le istituzioni di sicurezza sociale.

3.1.1

Il CESE reputa opportuno mirare ad un'applicazione il più possibile rapida del nuovo regolamento, il che comporta anche una sollecita entrata in vigore del regolamento d'applicazione proposto così come un accordo sul contenuto dell'allegato XI. Il CESE invita pertanto tutti gli attori interessati a far avanzare il più rapidamente possibile l'esame della proposta di regolamento d'applicazione e del regolamento in questione che determina il contenuto dell'allegato XI (4).

3.1.2

Nel suo parere sul regolamento d'applicazione il CESE ha inoltre osservato che il lasso di tempo fra l'adozione definitiva del regolamento di applicazione e la sua entrata in vigore non deve in alcun modo superare i 6 mesi previsti dalla proposta della Commissione (5).

3.2

Gli Stati membri possono chiedere l'inserimento di voci specifiche nell'allegato XI per poter continuare ad applicare determinate disposizioni nazionali che essi considerano sensibili. Ciò si giustifica principalmente con l'assimilazione generale dei fatti stabilita dal regolamento 883/2004, in virtù del quale tutti i fatti o avvenimenti con effetti giuridici nell'ambito della sicurezza sociale che si sono verificati in un altro Stato membro devono essere considerati dallo Stato membro interessato come se si fossero verificati sul suo territorio nazionale (6).

3.2.1

L'assimilazione di fatti significa per esempio che il beneficio di una pensione erogata da un'istituzione di sicurezza sociale di un altro Stato membro deve produrre gli stessi effetti giuridici del beneficio di una pensione concessa dallo Stato membro competente. E se un incidente avvenuto sul territorio nazionale dà diritto per esempio ad una pensione di invalidità, quest'ultima deve essere concessa anche in caso di incidente avvenuto in un altro Stato membro.

3.2.2

In passato la Corte di giustizia delle Comunità europee si è pronunciata il più delle volte a favore di una concezione ampia dell'assimilazione dei fatti, per garantire la protezione dei lavoratori migranti. Il regolamento 1408/71 in vigore attualmente non prevede un'assimilazione generale dei fatti, ma solo singole assimilazioni espressamente disciplinate. Nei casi non espressamente disciplinati, si è spesso adita la Corte di giustizia. Per esempio è stato giudicato inammissibile il fatto che la durata di versamento di una rendita di orfano venga prorogata solo della durata del servizio militare prestato nello Stato membro interessato (7) o che i periodi di invalidità vengano conteggiati nella pensione di anzianità solo se l'interessato è soggetto alla legislazione dello Stato membro interessato al momento in cui sopravviene l'invalidità (8).

3.2.3

Il CESE è consapevole del fatto che un'applicazione incondizionata di questo principio dell'assimilazione dei fatti, che impedisce al legislatore nazionale di limitarsi ai fatti verificatisi sul suo territorio in materia di sicurezza sociale, avrebbe notevoli ripercussioni sui sistemi di sicurezza sociale. Anche i considerando da 9 a 12 del regolamento 883/2004 indicano che al principio dell'assimilazione dei fatti vengono posti dei limiti. Nel considerando 12 si afferma per esempio che si deve provvedere «affinché il principio dell'assimilazione di fatti o avvenimenti non porti a risultati oggettivamente ingiustificati o al cumulo di prestazioni della stessa natura per lo stesso periodo». E il considerando 11 prevede che «l'assimilazione di fatti o avvenimenti verificatisi in uno Stato membro non può in nessun caso rendere un altro Stato membro competente né rendere la sua legislazione applicabile».

3.2.4

Per escludere gli effetti indesiderati dell'assimilazione dei fatti, sono state incluse nel regolamento di base 883/2004 deroghe orizzontali applicabili a diversi Stati membri. Gli effetti indesiderati specifici che riguardano il sistema di sicurezza sociale di un solo Stato membro possono essere evitati inserendo un'apposita voce nell'allegato XI.

3.3

Il contenuto dell'allegato XI si basa sui contributi degli Stati membri. Esistono singole disposizioni su fatti specifici che gli Stati membri non possono adottare o lasciare in vigore a livello nazionale senza che ne risulti in determinate circostanze un conflitto con il testo del regolamento 883/2004. L'allegato XI mira dunque a garantire che in questi specifici punti il regolamento sia adattato in riferimento ad alcuni Stati membri, in modo che l'applicazione del regolamento non ponga alcun problema nei singoli Stati membri.

3.3.1

Tenuto conto della possibile miriade di richieste di inserimento di voci nell'allegato XI, quest'ultimo costituisce un fattore sensibile per l'entrata in vigore del regolamento 883/2004. Il CESE riconosce che alcune voci sono necessarie, ma invita ad evitarne una proliferazione e a limitarne al massimo il numero, accettando solo quelle che sono effettivamente indispensabili al buon funzionamento delle norme di coordinamento nello Stato membro interessato e che rispondono al principio di proporzionalità. Il CESE giudica particolarmente importante stabilire il principio secondo cui nella pratica del coordinamento le voci che figurano nell'allegato XI non devono mai comportare uno svantaggio per i cittadini.

3.3.2

Il CESE è consapevole della complessità delle questioni da chiarire, ma chiede ciononostante che la difesa di interessi particolari non comporti ulteriori ritardi nell'applicazione delle nuove norme di coordinamento, specie tenuto conto del fatto che il Consiglio deve deliberare all'unanimità e in linea con la procedura di codecisione del Parlamento europeo.

3.4

In occasione delle consultazioni sul regolamento 883/2004, gli Stati membri sono già stati invitati a presentare proposte al fine di garantire un'applicazione agevole delle singole disposizioni. Gli Stati membri hanno presentato circa 150 richieste di inserimento di voci nell'allegato XI. I servizi della Commissione hanno valutato queste proposte e le hanno discusse con i funzionari competenti degli Stati membri interessati. Una cinquantina di esse sono state accolte nell'allegato. In questo modo si è giunti al contenuto che figura nella proposta della Commissione all'esame. Il gruppo di lavoro del Consiglio competente per gli affari sociali sta procedendo attualmente all'esame finale delle voci dell'allegato XI, parallelamente all'esame dei capitoli corrispondenti del regolamento d'applicazione.

3.4.1

Considerata la complessità della materia, che riguarda questioni puntuali del diritto sociale degli Stati membri, il CESE non si pronuncerà sulle diverse voci in dettaglio. A prima vista, il Comitato ritiene che le voci che figurano nell'allegato XI apparentemente non pongano problemi, né per gli assicurati che si spostano nell'UE né per le imprese e le istituzioni responsabili della sicurezza sociale.

3.5

Il fatto che la maggior parte delle voci non sia stata accolta è comprensibile: alcune voci non sono state incluse per motivi di ridondanza o di incompatibilità con il regolamento 883/2004; altre richieste di inserimento di voci sono state convertite in proposte di modifica del regolamento 883/2004. Si tratta di proposte che non riguardano specificamente un paese, ma rivestono un carattere generale.

3.5.1

Le proposte di modifica del regolamento 883/2004, contenute anche nella proposta di regolamento all'esame, hanno permesso di evitare che nell'allegato XI figurassero molte voci analoghe per i diversi Stati membri. L'allegato risulta così più breve e l'intero regolamento più leggibile.

3.5.2

Come esempio di raggruppamento di questioni orizzontali si può citare l'articolo 1 della proposta di regolamento. I chiarimenti ivi contenuti riguardano numerosi Stati membri e vengono pertanto incorporati nel testo stesso del regolamento 883/2004, evitando così di inserire una lunga serie di voci nell'allegato XI.

3.5.2.1

L'articolo 1, paragrafo 1, riguarda la modifica dell'articolo 14 del regolamento 883/2004 «assicurazione volontaria o assicurazione facoltativa continuata». Questa nuova aggiunta dà a tutti gli Stati membri la possibilità di stabilire nella loro legislazione nazionale che un'assicurazione volontaria nel loro regime di sicurezza sociale, che subordini il diritto a tale assicurazione al fatto che il beneficiario risieda in tale Stato membro o che abbia precedentemente svolto un'attività subordinata o autonoma, è possibile solo a condizione che il beneficiario sia già stato in passato, in un qualsiasi momento, soggetto alla legislazione dello Stato membro in questione sulla base di un'attività subordinata o autonoma. Senza tale possibilità di deroga, in base all'assimilazione generale dei fatti di cui all'articolo 5 del regolamento 883/2004, chiunque avesse in passato risieduto o lavorato in un posto qualunque dell'Unione europea potrebbe sottoscrivere un'assicurazione volontaria nello Stato membro in questione. Dato che negli ordinamenti di alcuni Stati membri l'assicurazione volontaria è legata a condizioni estremamente vantaggiose, un'apertura incondizionata potrebbe in alcuni casi avere conseguenze destinate a generare squilibri nel regime d'assicurazione dello Stato membro in questione, e quindi a creare gravi problemi agli assicurati di quello Stato membro. Si è pertanto deciso che tutti gli Stati membri possono subordinare l'assicurazione volontaria all'esercizio di un'attività subordinata o autonoma precedente nello Stato membro.

3.5.2.2

L'articolo 1, paragrafo 3, prevede una modifica dell'articolo 52 del Regolamento 883/2004 relativo alla «Liquidazione delle prestazioni».

La modifica stabilisce, per tutti gli Stati membri (quindi orizzontalmente), i casi in cui la determinazione della prestazione non è soggetta al metodo della proratizzzazione (o «pro rata temporis») (9):

l'obiettivo è di evitare in qualsiasi caso che le persone che si spostano all'interno dell'UE si ritrovino ad essere, dal punto di vista assicurativo, discriminate rispetto ai cittadini che non si spostano,

per motivi di completezza, va altresì ricordato che il Consiglio ha esaminato il testo proposto dalla Commissione e lo ha rielaborato,

in base all'accordo parziale raggiunto temporaneamente al Consiglio, i regimi per i quali i periodi di tempo risultano irrilevanti per il calcolo delle prestazioni non sono tenuti ad applicare la proratizzazione, purché figurino all'allegato VIII del regolamento 883/2004,

sono compresi, tra gli altri, i regimi a contribuzione definita, ai quali fa riferimento il testo originale della Commissione.

3.5.3

La proposta relativa al regolamento di applicazione affronta altre questioni di carattere orizzontale. Si tratta soprattutto di proposte di natura tecnica. Le voci che figurano nell'allegato XI si devono pertanto limitare a disposizioni specifiche per determinati Stati membri.

3.6

Il CESE riconosce gli sforzi di semplificazione portati avanti con successo da tutti gli interessati. L'allegato XI contiene pertanto molti meno punti rispetto al corrispondente allegato VI dell'attuale regolamento di coordinamento 1408/71.

3.6.1

È opportuno proseguire nella stessa direzione e valutare obiettivamente, soprattutto nell'ambito di eventuali future richieste di inserimento di voci nell'allegato XI (da parte ad esempio della Romania o della Bulgaria in seguito all'adesione) se non si tratti di una questione orizzontale che debba logicamente essere affrontata nel regolamento di base o in quello di applicazione.

È ad esempio il caso delle clausole di salvaguardia in vigore in diversi Stati membri nel quadro delle prestazioni nazionali di sicurezza sociale concesse a persone la cui situazione in materia di sicurezza sociale ha sofferto per ragioni politiche, religiose o legate alla loro discendenza (10), oppure delle disposizioni speciali a favore delle vittime di guerra, degli ex prigionieri di guerra, delle vittime della criminalità, del terrorismo o di regimi totalitari. Tali clausole di salvaguardia, che offrono a determinati gruppi di persone una protezione in termini di sicurezza sociale (ad esempio assicurazione contro le malattie, versamento di una pensione) oppure un indennizzo, normalmente non fanno parte del regime di sicurezza sociale. Anche per questi casi, sarebbe pertanto opportuno introdurre nel regolamento di base un articolo applicabile a tutti gli Stati membri. In tal modo, si potrebbero generalmente escludere dal regolamento le disposizioni che prevedono una prestazione o un indennizzo da parte dello Stato, ma che non sono soggette al regime di sicurezza sociale.

3.6.2

Al tempo stesso, il CESE chiede agli esperti dei singoli Stati membri di effettuare un'analisi approfondita della loro legislazione, alla luce delle nuove disposizioni di coordinamento. Eventualmente si dovrebbero introdurre nuove richieste di inserimento di voci nell'allegato XI in caso di ostacoli alla corretta applicazione del regolamento 883/2004. Se le legislazioni nazionali in materia di sicurezza non sono conformi alle disposizioni di coordinamento, vi è il rischio che vengano presentati numerosi ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia europea.

4.   Ulteriori osservazioni sugli aspetti pratici del coordinamento

4.1

La mobilità transfrontaliera in Europa è una delle priorità dell'agenda dell'Unione europea. L'uso che i cittadini dell'UE faranno della mobilità dipenderà essenzialmente dall'efficacia del coordinamento dei regimi di sicurezza sociale. A questo proposito, i cittadini si aspettano giustamente che la cooperazione comunitaria possa arrecare loro vantaggi di ordine pratico.

4.2

In tale contesto, il CESE chiede agli Stati membri e alla Commissione di intensificare i loro sforzi per familiarizzare i potenziali utilizzatori del regolamento con le regole e i vantaggi di un coordinamento dei regimi di sicurezza sociale. Il Comitato giudica necessario predisporre quanto prima gli opportuni preparativi. Gli attuali strumenti di informazione e consultazione in materia di mobilità (11) devono essere maggiormente resi noti e potenziati.

4.3

Il CESE ha altresì sottolineato la necessità di preparare in tempo utile il personale che opera nelle istituzioni responsabili della sicurezza sociale sulle nuove norme e sui principi di base ad esse collegati. È indispensabile fornire a tali persone un'adeguata istruzione e formazione nei rispettivi Stati membri.

4.4

Per rendere rapidamente applicabile il regolamento di base, il CESE chiede pertanto agli Stati membri di dotare sin d'ora le istituzioni preposte alla sicurezza sociale delle risorse umane e tecniche necessarie a tale rapida riconversione. Gli strumenti attualmente a disposizione degli operatori e degli utenti a livello nazionale — in particolare le reti TRESS che negli Stati membri riuniscono gli ambienti e gli operatori interessati (12) — dovrebbero essere utilizzati per valutare adeguatamente l'applicazione pratica di detto regolamento dopo la sua entrata in vigore nei diversi paesi.

4.5

Il CESE si riserva di riesaminare, in un parere d'iniziativa a parte, alcune questioni relative al funzionamento pratico del coordinamento. In tale documento il Comitato valuterà in particolare in quale misura i cittadini possono di fatto beneficiare dei presunti vantaggi della mobilità transfrontaliera, anche in riferimento alla tessera sanitaria europea.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 318 del 23.12.2006.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, COM(2006) 16 def. — 2006/0006 (COD), relatore: GREIF, GU C 324 del 30.12.2006.

(3)  COM(2006) 7 def.

(4)  Come richiesto di recente anche nel parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità e il Regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71, relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO, GU C 24 del 31.1.2006, e nel parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, COM(2006) 16 def. — 2006/0006 (COD), relatore: GREIF, GU C 324 del 30.12.2006.

(5)  GU C 324 del 30.12.2006, relatore GREIF, punto 4.4.1.

(6)  Cfr. articolo 5 del regolamento 883/2004:

«Assimilazione di prestazioni, redditi, fatti o avvenimenti

Fatte salve disposizioni contrarie del presente regolamento e in considerazione delle disposizioni particolari di attuazione previste, si applica quanto segue:

a)

laddove a titolo della legislazione dello Stato membro competente il beneficio di prestazioni di sicurezza sociale o altri redditi producano effetti giuridici, le pertinenti disposizioni di detta legislazione si applicano altresì in caso di beneficio di prestazioni equivalenti acquisite a titolo della legislazione di un altro Stato membro o di redditi acquisiti in un altro Stato membro;

b)

se, in virtù della legislazione dello Stato membro competente, sono attribuiti effetti giuridici al verificarsi di taluni fatti o avvenimenti, detto Stato membro tiene conto di fatti o avvenimenti analoghi verificatisi in un altro Stato membro come se si fossero verificati nel proprio territorio nazionale»

(7)  Causa C-131/96, Mora Romero, Rec. 1997, I-3676.

(8)  Causa C-45/92 e C-46/92, Lepore e Scamuffa, Rec. 1995, I-6497.

(9)  Il metodo della proratizzazione (o «pro rata temporis») prevede che la pensione parziale versata dallo Stato venga determinata in base ad un calcolo pro rata. Il metodo si basa su un calcolo fittizio in cui si presume che l'assicurato abbia maturato tutti i diritti previsti dal periodo assicurativo nel territorio nazionale. La pensione parziale versata dallo Stato verrà allora calcolata come la percentuale corrispondente al periodo assicurativo trascorso nel territorio nazionale rispetto all'intero periodo. Ciononostante vi sono casi in cui il calcolo basato esclusivamente sui periodi trascorsi nel territorio nazionale (prestazione autonoma) è sempre superiore al calcolo pro rata. In questi casi, riportati all'allegato VIII, l'istituto competente può rinunciare ad applicare la proratizzazione.

(10)  Cfr.la richiesta n. 5 dell'Austria, allegato XI.

(11)  Cfr. a tale proposito Disposizioni comunitarie sulla sicurezza socialeI diritti di coloro che si spostano nell'Unione europea:

http://ec.europa.eu/employment_social/publications/2005/ke6404022_it.pdf.

Cfr. anche la banca dati MI SOC sui regimi di sicurezza sociale in vigore negli Stati membri.

http://ec.europa.eu/employment_social/social_protection/missoc_en.htm

(12)  Training and Reporting on European Social Security (cfr. anche: http//www.tress-network.org).


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: La famiglia e l'evoluzione demografica

(2007/C 161/19)

Il Comitato economico e sociale europeo ha ricevuto una richiesta di parere, con lettera datata 19 ottobre 2006, da parte della futura presidenza tedesca su: La famiglia e l'evoluzione demografica

L'Ufficio di presidenza del Comitato ha ritenuto opportuno elaborare un parere che prendesse in considerazione anche la comunicazione della Commissione europea dal titolo Il futuro demografico dell'Europa, trasformare una sfida in un'opportunità (COM(2006) 571 def.), in merito alla quale la Commissione, in data 12 ottobre 2006, aveva deciso di consultare il Comitato, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni e proposte

1.1   Reagire a una situazione senza precedenti

1.1.1

L'articolo 33 della Carta dei diritti fondamentali legittima la partecipazione dell'Unione europea alle riflessioni e alle proposte in materia di politica familiare, anche se è chiaro che per ragioni di efficacia e di sussidiarietà la definizione concreta delle politiche e la loro attuazione spettano agli Stati membri e agli enti locali, o addirittura ai servizi pubblici e alle imprese.

1.1.2

Nel suo Libro verde pubblicato nel marzo 2005, la Commissione aveva giustamente definito la situazione demografica in Europa come un fenomeno «senza precedenti». La comunicazione dell'ottobre 2006 sottolinea che si tratta di «una delle principali sfide che l'UE dovrà affrontare nel corso dei prossimi anni». Non ci si può accontentare di semplici constatazioni, bensì occorre chiedersi cosa fare sul piano comunitario, specialmente nel settore delle politiche della famiglia e di conciliazione della vita familiare e professionale. Va sottolineato che anche il Consiglio d'Europa ha di recente invocato l'elaborazione di una grande politica europea a favore delle famiglie.

1.1.3

Il Comitato raccomanda di realizzare un programma di studi, azioni d'informazione, proposte ed una verifica; più in generale chiede che gli studi d'impatto, oggi obbligatori per qualsiasi proposta legislativa, prendano in considerazione anche le implicazioni della proposta per le famiglie, se direttamente interessate, e che essi siano collegati agli altri grandi ambiti d'azione socioeconomici dell'UE, come l'occupazione, la crescita, gli sviluppi energetici e le loro conseguenze.

1.2   Programma di studi

1.2.1

Per rispondere in modo appropriato ai cambiamenti demografici, i responsabili delle decisioni politiche a livello europeo, nazionale e locale hanno bisogno di una diagnosi approfondita delle evoluzioni demografiche. Il primo forum demografico europeo tenutosi nell'ottobre 2006 costituisce in questo senso un'iniziativa eccellente da ripetere con cadenza periodica.

1.2.2

È altresì necessario studiare attentamente i cambiamenti demografici (distribuzione geografica della popolazione, movimenti naturali, flussi migratori, ripartizione della popolazione per età e sesso, aumento della speranza di vita, ecc.) e le loro cause (fattori economici, sociali, culturali e ambientali, difficoltà di conciliare vita familiare e professionale, condizioni delle donne e delle madri sul mercato del lavoro, flessibilità dell'occupazione per ragioni familiari, importanza dei rischi e delle esigenze della vita professionale, ecc.) tenendo conto delle diversità a livello nazionale e regionale. Questi studi dovranno necessariamente essere realizzati da entità indipendenti in quanto i loro risultati potranno rimettere in discussione le politiche nazionali.

1.2.3

Si potrebbero condurre studi comparativi sui diversi regimi fiscali o sociali per aiutare madri e padri a riprendere il lavoro dopo essersi occupati dell'educazione dei figli, nonché sui dispositivi che possono incoraggiare gli uomini a condividere le responsabilità familiari. Sarebbe altresì interessante studiare i diversi sistemi di incentivi fiscali in grado di sviluppare servizi pubblici o privati per le famiglie che siano accessibili a tutti.

1.2.4

Alle famiglie in condizioni particolari (donne sole con bambini, figli disabili, genitori anziani a carico, famiglie d'immigrati con difficoltà d'integrazione, ecc.) dovrebbero essere dedicati studi mirati.

1.2.5

L'invecchiamento (1), in tutte le sue forme e dimensioni geografiche, dovrà essere oggetto di studi specifici che tengano conto in particolare del suo impatto sulla vita familiare e sulla politica della famiglia. Quest'ultima, però, è stata considerata soprattutto dal punto di vista dei rapporti genitori/figli in tenera età e adolescenti, mentre ora bisogna esaminarla anche sotto l'aspetto delle relazioni figli/genitori anziani, in particolare in termini di organizzazione dell'orario di lavoro e di aiuto da parte della collettività.

1.2.6

Si dovrà altresì considerare come, in futuro, i lavoratori anziani in migliori condizioni di salute, più dinamici e indipendenti possano fornire un contributo più efficace e duraturo alla vita familiare, economica e sociale, soprattutto grazie a un adattamento dei posti di lavoro e a un'accresciuta partecipazione attiva alla vita cittadina e ai rapporti tra generazioni (ad esempio coinvolgendo persone relativamente anziane nel funzionamento di scuole, doposcuola o asili nido). La famiglia si compone non solo di genitori e figli, ma anche di nonni, che sono spesso chiamati a svolgere un ruolo importante di aiuto e sostegno (custodia dei bambini, sostegno materiale, ecc.).

1.2.7

Nel Settimo programma quadro della Comunità europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) occorrerebbe arricchire il contenuto della ricerca socioeconomica, dotandola di risorse finanziarie più adeguate in modo da potenziare la ricerca demografica (2).

1.3   Informazione

1.3.1

La Commissione dovrebbe istituire un vero e proprio registro europeo delle buone prassi riguardanti la politica della famiglia, la conciliazione della vita familiare e professionale, le pari opportunità tra i sessi e le politiche specifiche a favore di madri e padri che si fanno carico delle proprie responsabilità familiari. Si potrebbero così proporre agli Stati membri le esperienze più riuscite in Europa per permettere alle coppie di realizzare il loro desiderio di avere un figlio (l'attuale media è di 1,5 figli per nucleo familiare, mentre, stando agli studi più recenti, gli intervistati ne desidererebbero un numero nettamente maggiore).

1.4   Proposte

1.4.1

Gli effetti dei mutamenti demografici potranno essere sensibilmente mitigati solo attraverso la tempestiva attuazione di numerose misure tra loro coordinate in campo sociale, economico ed ambientale, nonché in materia di politica familiare e di parità tra i sessi: ciò presuppone una prospettiva molto ampia e un mix che combini le politiche più efficaci. A tale riguardo l'UE dovrebbe presentare un piano d'azione articolato su più anni che proponga gli interventi già collaudati da alcuni Stati membri in materia di politiche della famiglia e di conciliazione della vita familiare e professionale.

1.4.2

Visto che in campo demografico le politiche vanno condotte sul lungo termine, l'UE deve insistere sull'urgenza della situazione e proporre agli Stati membri delle azioni per una politica sostenibile della famiglia.

1.4.3

Il metodo aperto di coordinamento dovrebbe diventare uno strumento di raffronto in materia di politica della famiglia, pari opportunità e politica economica e sociale, che consenta all'UE di far tesoro di quanto vi è di più prezioso nella diversità culturale dei suoi Stati membri e delle loro politiche nazionali.

1.4.4

Per un'azione incisiva, il Consiglio europeo, il Parlamento e la Commissione dovrebbero promuovere, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la stipula di un Patto europeo per la famiglia tra gli Stati membri che potrebbe contenere i seguenti impegni:

affermare la volontà degli Stati membri di impegnarsi ad attuare politiche che tengano conto del numero di figli desiderati dalle coppie nell'UE. Queste politiche dovrebbero tradursi, ad esempio, in prestazioni finanziarie dirette, nell'adeguamento del carico impositivo e nell'offerta di attrezzature pubbliche o private (varie forme di asili infantili, compresi quelli aziendali o interaziendali, ecc.), di scuole a tempo pieno e di servizi finanziariamente sostenibili; quel che conta, in questo caso, non è soltanto la quantità, ma anche la qualità delle attrezzature offerte,

fissare un importo minimo per gli stanziamenti pubblici destinati alla famiglia e ai figli, e quindi agli investimenti per il futuro, onde evitare che essi possano essere eventualmente intaccati dai costi complessivi della gerontocrescita, che rischiano di essere considerati prioritari da un elettorato che invecchia,

assicurare la promozione di un ambiente favorevole alle famiglie, alle madri, ai padri e ai figli, supponendo di mettere in pratica l'idea certamente non nuova e raramente realizzata di facilitare la conciliazione della vita familiare e professionale tramite la garanzia di un'autentica parità tra i sessi, tenendo veramente conto dell'evoluzione degli stili di vita e di lavoro (frammentazione degli orari, distanze, costi elevati delle abitazioni nei centri città, mancanza di infrastrutture per la prima infanzia),

impegnarsi ad adottare misure all'insegna della continuità e della sostenibilità a favore dell'infanzia e della famiglia, poiché la continuità di questo tipo di interventi è una delle chiavi del loro successo. Tale impegno dovrebbe tradursi nel mantenimento nel tempo della quota della spesa destinata ai giovani rispetto a quella per la sanità e le pensioni, il cui aumento sembra però inevitabile di fronte all'invecchiare della popolazione. È cruciale garantire che le nuove generazioni crescano nelle migliori condizioni possibili. Ciò significa che occorre mantenere e migliorare la salute e la sicurezza dei bambini, offrire a tutti un'educazione di qualità elevata, proporre sistemi di assistenza e di sostegno ai genitori perché possano far fronte ai loro bisogni e alle loro difficoltà. Particolare attenzione andrebbe riservata alle famiglie e ai bambini che vivono in condizioni di grande povertà, a chi ha bisogno di un sostegno specifico o è cresciuto in un contesto di immigrazione. Il Comitato, pur prendendo atto dell'invecchiamento della popolazione europea e pensando che il ricambio generazionale sia indispensabile per la sopravvivenza del continente, ricorda che il riassorbimento della disoccupazione di massa, l'accesso all'occupazione durevole per la fascia d'età compresa tra i 25 e i 35 anni, e la garanzia reale dei percorsi professionali in generale dovrebbero agevolare il finanziamento del periodo della pensione — attivo o meno che sia.

1.4.5

L'essere umano non è soltanto un produttore e un consumatore, in quanto possiede una dimensione sociale e affettiva su cui si fonda la sua dignità. Ogni politica realmente incentrata sull'uomo deve non soltanto considerare, ma anche salvaguardare questa dimensione essenziale della vita umana. Le politiche della famiglia contribuiscono appieno alla realizzazione personale e all'armonia delle società. Adottando un Patto europeo per la famiglia, l'UE manterrebbe fede agli impegni assunti nella sua Carta europea dei diritti fondamentali.

2.   Introduzione

2.1

Dopo il Libro verde Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici  (3), la Commissione ha appena pubblicato una nuova comunicazione dal titolo Il futuro demografico dell'Europa, trasformare una sfida in un'opportunità, mostrando così quanta importanza ascrive a una questione così determinante per il futuro dell'UE.

2.2

Va riconosciuto che, fino al Trattato di Nizza, gli Stati membri avevano mantenuto un profilo alquanto basso riguardo a questo tema, quando invece, da una ventina di anni ormai, i demografi tentavano di attrarre l'attenzione dei politici sull'inverno demografico che si preannunciava e sulle difficoltà che avrebbe comportato. Non si può non deplorare questa reazione così tardiva visto che numerosi sono stati gli avvertimenti lanciati a più riprese e che la crisi demografica è ormai una realtà.

2.3

Da una decina di anni a questa parte la Commissione continua senza sosta a sottolineare le dimensioni di un fenomeno che potrebbe vanificare tutti gli obiettivi della strategia di Lisbona, dando così prova di una lucidità encomiabile.

2.4

In effetti, senza voler mostrare un pessimismo eccessivo, anche se il tasso di natalità non è l'unica condizione per il dinamismo degli Stati membri e va associato a uno sviluppo delle competenze, della formazione e della creatività delle diverse generazioni, la situazione demografica comunitaria resta comunque un'importante sfida per lo sviluppo economico futuro e l'equilibrio sociale dell'UE.

2.5

Se non si presta la dovuta attenzione alla qualità del lavoro e all'aggiornamento delle prassi di lavoro, la scarsità di manodopera qualificata può far venir meno le condizioni necessarie per la crescita della produttività. In effetti, le professioni del futuro e le competenze che esse richiederanno saranno differenti da quelle di oggi: di qui l'importanza della formazione permanente. Purtroppo in Europa vi sono oggigiorno circa 17 milioni di disoccupati, ai quali vanno aggiunte le persone costrette ad accettare un lavoro a tempo parziale in mancanza di uno a tempo pieno. Una delle sfide maggiori per l'UE è quella di consentire a queste persone di ritrovare un impiego stabile, riducendo così in una certa misura l'impatto negativo, sul piano economico, del calo della popolazione attiva.

2.6

Cronologicamente, la fase del cambiamento demografico si colloca dopo il periodo definito dalla scienza demografica come transizione demografica e caratterizzato da un forte calo della mortalità, soprattutto infantile e materna. Questo fenomeno si accompagna a una diminuzione del tasso di natalità legata a una riduzione della mortalità e ad un forte aumento della speranza di vita alla nascita.

2.7

La transizione demografica e poi l'aumento della speranza di vita per la terza età (fenomeno che interessa l'Europa dagli anni Settanta) costituiscono progressi estremamente importanti. Occorre però garantire il ricambio generazionale e il mantenimento dell'equilibrio tra nascite e decessi, cosa che non avviene in Europa. In numerosi Stati membri, infatti, il numero di decessi supera quello delle nascite.

2.8

Il fatto di raggiungere un'età avanzata nelle migliori condizioni possibili è una conquista preziosa e resterà pertanto un obiettivo da perseguire anche in futuro. Tale evoluzione provocherà un aumento delle spese sanitarie, ma richiederà anche la creazione di nuovi tipi di servizi e di beni destinati alle persone anziane. Essa obbligherà inoltre a potenziare la produttività della popolazione attiva e a prolungare l'attività della terza età, talvolta esclusa dal mondo del lavoro contro la propria volontà.

2.9

Anche in futuro l'immigrazione compenserà probabilmente in parte — in alcuni Stati membri — il deficit demografico europeo, purché accompagnata da programmi di integrazione per i migranti (apprendimento delle lingue, formazione professionale, ecc.) (4). Tuttavia non potrà essere l'unico modo per affrontare la sfida demografica visto che in questo caso non si tratta solo di fornire la manodopera necessaria all'Europa, ma anche di risolvere un problema umano e sociale. Oltretutto, sarebbe inaccettabile privare i paesi in via di sviluppo del loro potenziale umano e in particolare dei loro elementi meglio formati e più qualificati. L'UE deve anche trovare sistemi e strumenti propri per risolvere i problemi demografici.

3.   La comunicazione della Commissione dell'ottobre 2006

3.1

La comunicazione della Commissione (COM(2006) 571 def.) si apre citando un aspetto troppo spesso trascurato nelle discussioni in corso: l'invecchiamento della popolazione, che la scienza demografica definisce invecchiamento dall'alto, è prima di tutto una buona notizia perché indica un allungamento della speranza di vita nella terza età e quindi progressi considerevoli sul piano medico, sociale ed economico.

3.2

In Europa questa maggiore longevità si accompagna però a un forte calo delle nascite. La situazione demografica dell'Europa è di conseguenza caratterizzata dai quattro elementi che seguono:

allungamento della speranza di vita,

basso numero medio di figli per donna (1,5 nell'UE-27),

calo delle nascite negli ultimi decenni,

forte flusso d'immigrazione.

3.3

Come risultato, la popolazione europea potrebbe calare leggermente, ma soprattutto raggiungerà un'età molto più avanzata man mano che le generazioni del baby boom del dopoguerra si avvicineranno all'età della pensione.

3.4

La Commissione dispone di proiezioni fino al 2050 che si basano per definizione su calcoli statistici e che a suo giudizio vanno utilizzate soprattutto come strumento di sensibilizzazione e per stimolare il dibattito.

3.5

Secondo queste proiezioni, nel 2050 nell'UE potrebbero esservi due persone in età lavorativa per ciascuna persona con oltre 65 anni, mentre oggi il rapporto è di quattro a una.

3.6

Partendo da tali proiezioni, la Commissione constata che l'invecchiamento della popolazione potrebbe avere un forte impatto sul mercato del lavoro, la produttività e la crescita economica, nonché sulla protezione sociale e le finanze pubbliche.

3.7

In un primo tempo il tasso di occupazione delle donne e dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni potrebbe aumentare (fino al 2017 circa), ma si tratterebbe solo di un sollievo momentaneo in seguito al quale il cambiamento demografico farebbe sentire tutto il suo peso sulla crescita economica.

3.8

L'invecchiamento della popolazione potrebbe automaticamente comportare una flessione del tasso di crescita medio annuo del PIL dell'UE dal 2,4 % nel periodo 2004-2010 all'1,2 % soltanto tra il 2030 e il 2050, decretando così la fine delle ambizioni e degli obiettivi della strategia di Lisbona.

3.9

In mancanza di interventi concreti, l'invecchiamento potrebbe al tempo stesso portare a un aumento significativo della spesa pubblica (pensioni, assistenza sanitaria e servizi agli anziani) che, accentuando i disavanzi di bilancio, produrrebbe una spirale di indebitamento pubblico insostenibile.

3.10

Di fronte a queste difficoltà annunciate, per la Commissione si tratta ora di immaginare quale aiuto l'UE possa fornire agli Stati membri in una strategia di lungo periodo la cui attuazione, di fatto e di diritto, dipende essenzialmente dalla loro volontà politica e dalle loro competenze.

3.11

La Commissione propone pertanto spunti pertinenti di riflessione e di possibile intervento che restano però abbastanza vaghi o generali dal momento che le competenze in materia spettano agli Stati membri o addirittura agli enti locali.

3.12

Le proposte formulate riguardano la politica della famiglia e mirano a favorire il ricambio demografico, perfezionando in particolare gli strumenti per conciliare vita professionale, privata e familiare (potenziamento dei sistemi di custodia dell'infanzia e dei congedi parentali, maggiore flessibilità nell'organizzazione del lavoro, forum demografico annuale).

3.13

La Commissione raccomanda inoltre una serie di misure volte ad aumentare sia il tasso di occupazione dei lavoratori di più di 55 anni sia la produttività in Europa, nonché disposizioni che consentano di organizzare meglio la migrazione legale e l'integrazione del migrante regolare.

3.14

La Commissione, infine, raccomanda di mettere a punto una varietà sufficiente di strumenti finanziari per salvaguardare i regimi pensionistici, in particolare l'accumulazione del risparmio e del capitale privato, affinché i cittadini possano decidere con maggiore autonomia il livello di reddito di cui intendono disporre da pensionati; ciò presuppone un funzionamento efficace e trasparente dei mercati finanziari e un'elevata qualità del controllo, soprattutto per i fondi pensione.

3.15

L'invecchiamento della popolazione europea condurrà non solo a un cambiamento di mentalità, ma anche a una riforma dei regimi di protezione sociale e delle politiche della famiglia: si tratta infatti di trasformare una sfida difficile in un'opportunità.

3.16

Dal momento che l'UE non dispone di competenze proprie in questo settore, la Commissione ha dovuto limitarsi ad enunciare principi generali. È difficile del resto immaginare come l'UE potrebbe avere competenze operative in un settore in cui le risposte da fornire variano a seconda delle condizioni specifiche dei singoli Stati e a seconda delle abitudini e delle tradizioni sociali e culturali di ciascuna delle popolazioni interessate. Oltretutto, la messa in pratica di talune misure, come lo sviluppo di sistemi di custodia dell'infanzia, può essere organizzata solo sul piano locale, che è quello più vicino alle famiglie. Una mobilitazione a livello europeo per far fronte alla sfida demografica resta però comunque necessaria ed urgente.

3.17

La presidenza tedesca, che ha mostrato interesse per la comunicazione della Commissione, ha auspicato un approfondimento dell'aspetto relativo alla politica della famiglia e ha chiesto al Comitato di valutare in quale misura una politica sostenibile in materia potrebbe contribuire allo sviluppo economico e sociale dell'Europa.

4.   La famiglia: una realtà umana che si è via via adattata agli sviluppi economici e sociali

4.1

In due secoli, i forti mutamenti politici, economici e sociali intervenuti in Europa hanno avuto ripercussioni anche sulla famiglia, sullo stile di vita e sul sistema di valori. La rivoluzione industriale e l'urbanizzazione hanno modificato il quadro familiare. La famiglia, da allargata che era, è diventata più ristretta e si sono create nuove forme di vita familiare, i legami tra generazioni si sono modificati, le mentalità si sono evolute, le solidarietà economiche sono cambiate o hanno perso la loro forza e, allo stesso tempo, la crescente indipendenza economica delle donne ha aumentato il livello di benessere delle famiglie bireddito.

4.2

La vita familiare si è modificata e diversificata. I matrimoni appaiono in calo e si celebrano in età più avanzata. È aumentato il numero di figli nati fuori dal vincolo del matrimonio, come pure quello delle adozioni, soprattutto di bambini non europei. È aumentato il numero di divorzi e di famiglie ricostituite con figli nati da un precedente matrimonio. È in aumento il numero di genitori soli, soprattutto donne, e in queste famiglie monoparentali spesso le condizioni materiali sono difficili. La situazione delle famiglie con figli disabili pone problemi particolari che richiedono un'attenzione speciale da parte delle autorità pubbliche. Si sono sviluppate nuove reti familiari per offrire un aiuto reciproco basato sulla solidarietà e i legami di amicizia (ad esempio, gli asili familiari). È diminuito il numero di componenti del nucleo familiare e sempre più persone o coppie vivono da sole o sono senza figli. Una crescente importanza è destinata ad assumere la questione delle coppie anziane, del loro ruolo nella società e del sostegno di cui avranno bisogno. Con il fenomeno dell'immigrazione, in Europa hanno fatto la loro comparsa nuove culture familiari che rendono maggiormente complessa la situazione.

4.3

In una società prevalentemente rurale, la famiglia era caratterizzata da una tripla unità affettiva, economica e geografica. In pratica, l'attività economica si svolgeva il più delle volte nel medesimo luogo in cui si era stabilita la famiglia, vale a dire la fattoria, il laboratorio o il negozio. Questa tripla unità si è ormai allentata o è scomparsa con l'industrializzazione e l'urbanizzazione. Nella maggior parte dei casi, il luogo in cui dimora la famiglia è diverso da quello in cui svolge la propria attività; oltretutto i membri della famiglia non lavorano tutti nella stessa struttura o nello stesso settore. I genitori sono meno presenti in casa, gli ascendenti e i collaterali sono spesso distanti e le solidarietà familiari meno sistematiche. Capita quindi con maggiore frequenza che alcuni bambini siano lasciati a se stessi, ma i figli, nella maggioranza dei casi, tendono anche a restare più a lungo in famiglia, soprattutto perché si dilata la durata dei loro studi ed aumentano le difficoltà di accesso al mercato del lavoro. Il fenomeno dei giovani trentenni che ancora vivono con i genitori, da cui dipendono economicamente, è alquanto diffuso in alcuni Stati membri. Si rileva inoltre che, rispetto al passato, i servizi di assistenza, i servizi sociali e l'istruzione sono accessibili a un numero molto superiore di bambini.

4.4

Se l'aspirazione a legami affettivi forti resta, oggi come ieri, il fondamento della famiglia, perché si tratta di un'aspirazione umana universale, è chiaro che l'unità economica e geografica è diventata un'eccezione (aziende agricole, attività commerciali tradizionali, artigianato, ecc.).

4.5

La vita moderna è divenuta più complessa e le persone — forse — più individualiste. I valori della competizione individuale sono divenuti un obiettivo molto importante, che però troppo spesso tende ad avere la meglio sui valori della solidarietà.

4.6

Nonostante i mutamenti economici, l'urbanizzazione e il primato dell'individuo sulla comunità, la famiglia è sopravvissuta e si è adattata pur diventando più fragile; essa infatti corrisponde a un'aspirazione naturale e fondamentale dell'umanità, che cerca affetto, amore, aiuto reciproco e solidarietà. Del resto i sondaggi realizzati tra la popolazione e soprattutto tra le fasce più giovani mostrano il persistere di questa aspirazione.

4.7

Ad ogni modo, tra le sfide maggiori emerge però ben chiara quella di rendere possibile e compatibile la vita professionale, personale e familiare per i due sessi, senza distinzioni, e di far fronte alle esigenze sempre maggiori derivanti dalle responsabilità che incombono ai genitori.

4.8

Come conseguenza diretta dell'evoluzione economica e sociale delle società europee, una politica della famiglia che si rispetti deve affrontare numerosi nodi fondamentali: custodia e educazione dei bambini, assistenza e aiuto ai genitori anziani o molto anziani e dipendenti, flessibilità nell'organizzazione del lavoro, congedi parentali e per assistere un familiare malato, sostegno al genitore che vuole riprendere il lavoro dopo averlo interrotto per prendersi cura dei figli, sostegno o aiuto all'educazione dei bambini, che rappresentano il futuro della società, lotta contro la povertà e la disoccupazione, sostegno alle famiglie colpite da malattia, alcolismo o altre forme di dipendenza (droga, tabagismo, ecc.), lotta contro la violenza domestica, sostegno alle famiglie dei disabili, ecc.

4.9

È opportuno infatti proporre misure concrete ed efficaci per evitare una pressione eccessiva sui giovani in età per diventare genitori. Inoltre, se si chiede alle donne di mettere al mondo figli, portare avanti una carriera professionale ed incrementare la loro presenza nel mondo del lavoro, occorre al contempo proporre loro misure di accompagnamento che permettano di conciliare le loro vite di madri e in famiglia con l'attività professionale. È altresì opportuno sviluppare misure forti ed efficaci per incoraggiare il coinvolgimento dei padri nella vita familiare, il loro senso di responsabilità nei confronti dei figli e l'equa ripartizione degli impegni familiari in termini di cura dei figli. Ciò comporta anche l'introduzione di disposizioni in materia di diritto del lavoro che consentano ai genitori di figli in tenera età, compresi i padri, di prendere un congedo parentale e di adattare il loro orario di lavoro per occuparsi dei figli negli Stati membri che non dispongono ancora di tali dispositivi.

5.   La famiglia: una realtà già riconosciuta e consacrata dall'UE dal punto di vista umano, economico e sociale

5.1

L'UE ha già voluto sottolineare solennemente il proprio interesse per la famiglia. L'articolo 33, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali recita infatti: «È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale». Da ciò si evince che la famiglia, l'economia e l'organizzazione sociale non sono realtà estranee o totalmente indipendenti le une dalle altre, ma al contrario interagiscono, ed è responsabilità degli Stati membri garantire la protezione giuridica, economica e sociale della famiglia.

5.2

In questo la Carta dei diritti fondamentali si riallaccia a un testo ben precedente, sottoscritto da tutti gli Stati membri: la Dichiarazione universale dei diritti umani dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, proclamata nel 1948, all'articolo 16, paragrafo 3, recita infatti: «La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato».

5.3

La Carta dei diritti fondamentali dell'UE, del resto, è ancora più esplicita riguardo ai legami esistenti tra la famiglia e l'economia visto che in questo campo l'articolo 33, paragrafo 2, assegna all'UE l'obiettivo di «conciliare vita familiare e vita professionale».

5.4

Pertanto, in un testo che definisce i suoi valori fondamentali l'UE sottolinea già la particolare importanza che annette alla vita familiare e professionale e la necessità di evitare un conflitto tra queste due dimensioni.

5.5

Si noti infine che, con l'articolo 33, la Carta legittima il ruolo dell'UE in materia di politica della famiglia almeno per stimolare, sensibilizzare, informare o addirittura incitare al coordinamento gli Stati membri, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

6.   La famiglia: fonte di prosperità economica, di solidarietà sociale e di equilibrio affettivo

6.1

Com'è noto, il glorioso trentennio del boom economico è stato anche contrassegnato — non a caso — da una forte espansione demografica. La demografia dinamica — condizione essenziale da sostituire all'inverno demografico europeo — deve essere associata alla possibilità per tutte le generazioni di sviluppare le proprie competenze e la propria creatività e di raggiungere una realizzazione personale, rispettando l'ambiente e il buono stato di salute ecologica del pianeta.

6.2

La famiglia è una comunità economica fondamentale e il legame tra famiglia ed economia è naturale. La famiglia in quanto comunità ha esigenze che assumono una dimensione economica per diversi aspetti: alimentazione, alloggio, attrezzature, accesso alla cultura e alle attività del tempo libero, qualità dell'aria, dell'acqua, ecc. In alcuni Stati membri la famiglia beneficia anche di trasferimenti di reddito e di servizi sociali. Evidentemente, essa è uno dei motori dell'economia, quando i suoi membri dispongono di un potere d'acquisto dignitoso e stabile.

6.3

Riconoscere che la famiglia è una comunità economica non significa né ridurla alla mera funzione economica, né considerarla solo dal punto quantitativo. In fin dei conti, famiglia ed economia contribuiscono entrambe al bene comune, al benessere e all'equilibrio affettivo dell'essere umano (5).

6.4

Inoltre la famiglia porta in sé alcuni elementi favorevoli allo sviluppo economico ed all'equilibrio sociale per almeno quattro aspetti specifici:

la famiglia è un luogo di solidarietà affettiva, economica e sociale che permette a molti di reagire meglio agli imprevisti della vita economica. Se beneficiano di un aiuto familiare, psicologico e/o finanziario, le persone rimaste senza lavoro riescono ad intraprendere con maggior facilità i passi necessari per trovare una nuova occupazione, scegliere un ciclo di formazione, eventualmente creare un'impresa — anche se la disoccupazione resta una prova dura e difficile per tutta la famiglia,

la famiglia è un luogo diretto di creazione economica perché è all'origine di ciò che gli economisti chiamano capitale umano. Di conseguenza, è opportuno fornire ai genitori tutto l'appoggio necessario perché possano svolgere la loro funzione educativa. Dell'inverno demografico che sta attraversando ora l'Europa si sente tutto il peso quando si considerano le future difficoltà in fatto di finanziamento delle pensioni, spopolamento delle zone rurali — con la scomparsa indotta delle attività economiche e le difficoltà per garantire i servizi pubblici — o calo delle iscrizioni di studenti in alcuni dei settori più promettenti. Il fatto di investire in capitale umano può rafforzare la produttività e la crescita economica e contribuire in modo duraturo a far fronte agli sviluppi sopra citati, va altresì sottolineato il ruolo della famiglia

nel valorizzare il capitale umano grazie all'istruzione impartita, ai valori trasmessi, al sostegno e all'incentivazione forniti dai genitori ai figli. Alcune qualità indispensabili nella vita professionale e sociale si acquisiscono inizialmente in seno alla famiglia: il rispetto degli altri, il senso dell'impegno, lo spirito di squadra, la tolleranza, il senso della vita in una collettività, l'autonomia responsabile, ecc.,

in conclusione si può affermare che la famiglia è uno stimolo duraturo per l'economia e serve a mobilitare le capacità economiche dei genitori per soddisfare i bisogni della famiglia. La responsabilità parentale di impartire un'istruzione ai figli e di preparare il loro futuro sostiene il risparmio e l'investimento in prospettiva, in termini finanziari e immobiliari, in termini di formazione e di conoscenze. È anche per mantenere un ambiente accettabile per i loro figli che i genitori si mobiliteranno per ridurre l'inquinamento di qualunque origine. La maggior parte dei bambini riceve oggi dai genitori e dalla società un capitale ben più consistente di quanto ricevuto a suo tempo dai loro genitori o i loro nonni, sotto forma di cure, di istruzione, di servizi sanitari e sociali o di investimenti immobiliari (e, per molti, anche di eredità). È quanto intendeva l'economista e demografo Alfred Sauvy quando scriveva che il bambino è un elemento attivo della società. A tale riguardo si può affermare che la famiglia introduca una dimensione temporale storica nella vita delle persone sul piano sia economico che sociale ed affettivo.

6.5

Già nel Rinascimento Jean Bodin scriveva che «non c'è ricchezza, né forza, che non sia fatta di uomini». Tutti gli Stati membri dell'UE riconoscono il contributo positivo della famiglia sul piano umano, economico, sociale e dell'equilibrio affettivo; pertanto tutti, in un modo o nell'altro, conducono politiche della famiglia poiché sanno che i popoli hanno una sola garanzia di futuro: i loro figli.

7.   Politiche della famiglia presenti, anche se diverse, nell'intera UE

7.1

In tutta l'UE vengono condotte politiche della famiglia e strategie volte a garantire la parità tra i sessi e a permettere di conciliare vita professionale, sociale e familiare. Questi tre aspetti sono tra loro legati e formano un tutt'uno coerente anche se, a seconda dei paesi, uno di essi può ricevere un'attenzione maggiore rispetto agli altri. In ogni caso, queste politiche esistono ovunque, implicite o esplicite, forti o deboli che siano.

7.2

Le motivazioni sono le più varie: a volte sono di ordine morale e civico, a volte, invece, di ordine più economico o politico. Ad ogni modo, il benessere morale, sanitario ed educativo dei bambini è sempre un elemento di base delle politiche della famiglia, al pari della preoccupazione di permettere ai genitori di realizzarsi portando avanti contemporaneamente la loro vita familiare, professionale e sociale.

7.3

La rivendicazione della parità tra i sessi per quanto riguarda la vita professionale, ma anche le responsabilità e gli oneri della vita familiare, ispira alcune politiche della famiglia, soprattutto nei paesi scandinavi. Infatti, le misure tendenti a rendere compatibile vita professionale e familiare in un contesto in cui il luogo di lavoro è distante dal domicilio e in cui le interruzioni di carriera a causa della nascita e dell'educazione dei figli non sono sempre accettate e comprese all'interno dell'impresa, sono una delle chiavi di una politica sostenibile della famiglia intesa a permettere l'accettazione del bambino da parte della società.

7.4

La volontà di garantire ai bambini pari opportunità nella società può altresì sostenere le politiche della famiglia. Spesso occorrono anche provvedimenti intesi a compensare le costrizioni economiche e gli oneri derivanti dalle responsabilità familiari. Tra di essi figurano le diverse misure per alleviare le difficoltà incontrate dai padri e specialmente dalle madri di famiglia sul mercato del lavoro a causa degli obblighi educativi, che incombono per lo più a queste ultime, soprattutto nei confronti dei figli in tenera età.

7.5

In altri casi, la questione viene affrontata dal punto di vista sociale, più che familiare. Si tratta allora di organizzare una ridistribuzione dei redditi per combattere la povertà, senza invariabilmente collegare questa politica all'idea di compensare determinati oneri familiari.

7.6

Esistono, infine, politiche più favorevoli alle nascite, le quali prevedono esplicitamente la necessità di rilanciare le nascite in un'Europa che mette al mondo troppi pochi figli.

7.7

Tutti gli studi condotti in Europa sul rapporto tra numero di nascite e tasso elevato di occupazione femminile dimostrano che un indice sintetico di fecondità migliore è una conseguenza evidente delle possibilità offerte per conciliare gli obblighi familiari e la vita professionale. Un tasso di natalità più elevato sarebbe possibile adottando misure volte a sostenere i padri dei bambini in tenera età e a consentir loro di condividere in modo più appropriato le responsabilità familiari con le madri. Questo è un elemento importante da portare all'attenzione delle nuove generazioni.

7.8

L'allungamento della durata della vita e della carriera scolastica dei giovani, nonché il protrarsi degli interventi di formazione a tutta l'esistenza hanno modificato le modalità di organizzazione della vita professionale e familiare, e altrettanto faranno anche in futuro. Sarebbe utile riflettere sui modi per accrescere la flessibilità sia dei percorsi di formazione che di quelli professionali, per consentire a chi lo desideri di fondare una famiglia con maggior facilità senza dover rinunciare alla propria realizzazione professionale.

8.   Misure favorevoli alla famiglia e alla parità tra i sessi sul piano professionale

8.1

In pratica le caratteristiche salienti delle principali misure politiche attuate a favore della famiglia sono gli aiuti finanziari diretti e i servizi, sovvenzionati o gratuiti, per la custodia dei bambini (asili nido, doposcuola, promozione di reti di assistenti materne, ecc.). È opportuno garantire che queste misure favoriscano la conciliazione tra vita professionale e familiare. È altresì importante che i servizi per la custodia dei bambini siano aperti e accessibili a tutti.

8.2

Alcune strategie sono fortemente orientate verso le infrastrutture per l'assistenza ai bambini, verso i congedi parentali per poter allevare i figli in condizioni più attrattive e verso una politica attiva che consenta di conciliare attività remunerata e vita familiare, nonché di facilitare il reinserimento professionale al termine del congedo parentale.

8.3

Altre strategie puntano invece a un regime fiscale favorevole per le famiglie monoreddito e a un sistema di indennità per il genitore che resta a casa nei primi anni di vita del figlio.

8.4

Alcuni paesi combinano degli aiuti finanziari per compensare gli oneri indotti dall'educazione dei bambini con misure volte a conciliare vita professionale e responsabilità familiari, in particolare grazie a congedi parentali, servizi di custodia dell'infanzia, scuola materna gratuita, ecc. Tale combinazione di aiuti finanziari e di servizi alle famiglie appare efficace.

8.5

La questione della parità tra i sessi in termini di responsabilità familiari e di conciliazione della vita familiare e professionale è evidentemente molto importante per riuscire a dare nuovo impulso alle famiglie europee. Essa va di pari passo con la necessità di eliminare le cause strutturali delle sperequazioni di reddito tra uomini e donne, dovute in particolare al fatto di riversare troppo spesso solo sulle madri gli oneri della custodia e dell'educazione dei figli.

8.6

Il fatto di raggiungere parità ed equilibrio tra uomo e donna — in funzione delle aspirazioni, dei gusti e delle doti di ciascuno — rispetto alla possibilità di guadagnarsi da vivere, di condividere le responsabilità parentali, familiari e domestiche, di prendere parte all'azione politica o ad altre attività d'interesse collettivo riveste una funzione di grande importanza per la demografia e il tasso di natalità. Al pari degli uomini, la maggioranza delle donne desidera a buon diritto un'attività professionale, dei figli e la possibilità di svolgere un ruolo nel tessuto sociale.

8.7

Ovunque in Europa si assiste a un avanzamento generale dell'età della maternità e della paternità che non è privo di conseguenze sulla fecondità, anche se la medicina moderna e la ricerca in materia di sanità pubblica permettono di combattere i rischi di infertilità che sopravvengono con l'avanzare dell'età. Le ragioni delle maternità più tardive sono in particolare il protrarsi degli studi, ma anche l'attesa da parte di entrambi i componenti della coppia di avere ciascuno un impiego sufficientemente stabile e retribuito per poter pensare a un figlio. A tale riguardo la disoccupazione giovanile e la precarietà di alcuni lavori, soprattutto femminili, possono avere conseguenze soltanto negative sulla fecondità e la vita familiare. In linea generale, l'organizzazione della vita economica e sociale in Europa, in base alla quale i giovani accedono sempre più tardi a un'attività professionale stabile, mentre la popolazione attiva cessa di lavorare sempre prima, e i nuovi stili di vita dei giovani non incoraggiano l'assunzione di responsabilità familiari e parentali.

8.8

Per migliorare la situazione e raggiungere maggior equità tra i sessi, occorre combinare insieme misure a favore della famiglia e della parità, con cui si intendono, ad esempio, strutture di qualità per l'infanzia, compresi gli asili aziendali, nonché misure giuridiche, fiscali e sociali che consentano a donne e uomini indistintamente di conciliare vita parentale, professionale e sociale. Sarebbe auspicabile stabilire in che misura i nonni ancora attivi potrebbero adattare il loro orario di lavoro in modo da svolgere il loro ruolo nei confronti dei nipoti. In mancanza di tali provvedimenti, vi è il forte rischio che le donne continuino a rinunciare ai figli e alla vita familiare per dedicarsi esclusivamente alla ricerca di una soddisfazione professionale.

8.9

È altresì opportuno garantire che le politiche attuate agevolino la libera scelta di riprendere l'attività lavorativa remunerata dopo un'interruzione causata dalla nascita di uno o più figli o dal tempo dedicato ad allevarli. In questo senso si dovrebbe puntare maggiormente sull'offerta di corsi di formazione durante il congedo parentale, oppure su orari di lavoro appositamente strutturati per consentire ai genitori di occuparsi dei figli in tenera età. Nella stessa logica, occorre incoraggiare il ricorso volontario al lavoro a tempo parziale senza però ostacolare il ritorno all'orario completo quando viene meno la necessità di quello parziale. Una volta, infine, che il padre o la madre che hanno interrotto la loro carriera lavorativa per occuparsi dei figli sono reintegrati nella vita professionale al termine del congedo parentale, va loro garantito un posto di lavoro non inferiore alle loro competenze. Il fatto di aver beneficiato da poco di un congedo parentale non va considerato un elemento a sfavore del lavoratore nel momento in cui il suo datore di lavoro procede a una riduzione dell'organico a seguito di difficoltà economiche.

8.10

Per i servizi pubblici e le imprese, che dovrebbero essere dalla parte del cittadino, è importante attuare o promuovere politiche, prassi e innovazioni sociali che facilitino la vita professionale delle coppie in attesa o già con figli. Al di là dei discorsi e delle disposizioni legislative, si tratta anche di introdurre un atteggiamento collettivo e psicologico in base al quale il bambino non sia considerato un elemento di disturbo e, di conseguenza, la madre o il padre di famiglia non siano giudicati elementi meno produttivi o meno competitivi. L'iniziativa — sempre più diffusa — dell'asilo aziendale creato da una singola impresa o da più imprese situate in una stessa zona dovrebbe essere incoraggiata. Essa costituisce infatti un servizio molto utile alle coppie che esercitano responsabilità professionali, in quanto ne riduce gli spostamenti e ne semplifica la gestione del tempo.

8.11

È importante altresì che i servizi pubblici e le imprese non ignorino i problemi che i padri di bambini in tenera età possono incontrare nel corso della loro vita professionale al momento di optare per il congedo parentale o di ridurre l'orario di lavoro per motivi di famiglia. I servizi pubblici e le imprese dovrebbero creare condizioni tali da consentire anche ai padri di occuparsi dei loro figli. Le parti sociali hanno un ruolo importante da svolgere in questo senso.

8.12

In linea generale è necessario incoraggiare i padri a condividere concretamente le responsabilità familiari a tutti i livelli, soprattutto quello educativo. Da numerosi studi sociologici emerge infatti che l'assenza del padre produce maggiori difficoltà nell'educazione dei figli.

8.13

Le politiche già adottate o ancora da adottare sono quindi diverse, le difficoltà da superare diversi, ma gli obiettivi concordi: permettere cioè agli uomini ed alle donne che lo desiderino di formare una famiglia e di avere figli. Da tutte le indagini condotte emerge però che il desiderio di figli non trova soddisfazione nei cittadini europei e che il sogno del terzo figlio viene di frequente espresso, ma non realizzato, spesso per ragioni finanziarie o materiali e per le difficoltà incontrate nel cercare di conciliare carriera professionale e vita familiare, specialmente da parte delle madri.

8.14

Esiste anche un aspetto più impalpabile. L'UE, pur essendo una delle regioni del mondo più prospere e sviluppate, attraversa un periodo di profonda inquietudine. Dopo il glorioso trentennio le incertezze economiche, l'apprensione di fronte al degrado ambientale e al cambiamento climatico, alcune conseguenze negative della globalizzazione, la complessità delle società moderne, la perdita di fiducia della popolazione nella capacità dei governi di incidere sugli eventi hanno instillato in Europa un pessimismo diffuso poco propizio alla natalità. Per la prima volta dopo tanto tempo, in numerosi paesi europei i genitori hanno la sensazione di non poter, in realtà, promettere ai loro figli un futuro migliore.

8.15

C'è anche da chiedersi se la cultura dominante sia favorevole alla famiglia e all'idea di allevare dei figli, se l'immagine del successo familiare sia sufficientemente valorizzante, se l'individualismo e un certo materialismo consumistico facciano dimenticare che l'uomo è un essere distinto, sì, ma fatto per vivere in una collettività. Le preoccupazioni più profonde e più urgenti degli europei riguardano del resto la vita familiare: istruzione, alloggio, sbocchi professionali, stabilità affettiva e realizzazione personale. Forse si dovrebbe adottare, prima di tutto, una visione più ottimista e generosa della vita familiare visto che, quando si affronta la questione della famiglia e della natalità, si tocca, per definizione, uno degli aspetti più intimi dell'essere umano. Le autorità pubbliche, la cui vocazione è quella di cercare il bene comune, devono offrire nuove possibilità, garantire realmente alle donne ed agli uomini di oggi la libertà di poter fondare una famiglia e di avere il numero di figli che desiderano, senza intervenire nelle scelte operate dai singoli per valorizzare la propria personalità.

8.16

Le famiglie sono fonte di prosperità economica, soprattutto quando entrambi i genitori possono contare su un lavoro retribuito, e di solidarietà sociale. L'UE dovrebbe pertanto incoraggiare l'integrazione della dimensione familiare nelle sue politiche economiche e sociali e dovrebbe promuovere una politica della famiglia sostenibile tramite il ricorso ad esempi di buone prassi.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  In demografia, per invecchiamento della popolazione si intende l'aumento della percentuale di anziani, a cui in genere fa da corollario un calo proporzionale dei giovani. L'aumento del numero di anziani viene ora definito gerontocrescita. L'invecchiamento della popolazione e la gerontocrescita non presentano necessariamente la medesima intensità in tutti i paesi o territori e in tutti i periodi considerati, ma possono divergere in funzione della diversa combinazione delle cause rispettive.

(2)  Cfr. parere CESE del 15.9.2004 sul tema Verso il Settimo programma quadro per la ricerca: Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demograficiQualità di vita degli anziani ed esigenze tecnologiche, relatrice: HEINISCH (GU C 74 del 23.3.2005, pagg. 44-54),

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2005/c_074/c_07420050323it00440054.pdf

(3)  COM(2005) 94 def.

(4)  Cfr. parere CESE del 13.9.2006 sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile, relatore: PARÍZA CASTAÑOS (GU C 318 del 23.12.2006).

(5)  Cfr. parere esplorativo CESE sul tema L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio, relatrice: FLORIO.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d'insolvenza del datore di lavoro (versione codificata)

COM(2006) 657 def. — 2006/0220 (COD)

(2007/C 161/20)

Il Consiglio, in data 23 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SOARES.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.

La proposta di direttiva in esame si inserisce nel programma della Commissione volto a semplificare e chiarire la legislazione comunitaria, al fine di renderla più accessibile e comprensibile per i comuni cittadini.

2.

La codificazione è un procedimento amministrativo di grande importanza, che, dovendo svolgersi nel rispetto del normale procedimento legislativo comunitario, non può comportare alcuna modifica sostanziale degli atti che ne formano l'oggetto.

3.

L'obiettivo della presente proposta è quello di procedere a una codificazione della direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d'insolvenza del datore di lavoro. La nuova direttiva sostituirà i diversi atti in essa incorporati, ma ne preserverà integralmente il contenuto, limitandosi a riunirli e apportando solo le modifiche formali richieste dallo stesso procedimento di codificazione.

4.

Benché la codificazione sia un procedimento che, per sua natura, non può né deve modificare gli atti che ne formano oggetto, il Comitato ritiene che la Commissione, nell'esercitare le sue competenze, non debba limitarsi a effettuare una mera semplificazione normativa. Essa, infatti, dovrebbe analizzare il contenuto delle varie direttive allo scopo di risolvere le questioni relative a determinati punti che nel frattempo si siano dimostrati poco chiari o che alla prova dei fatti si siano rivelati in parte superati.

5.

Tuttavia, in considerazione del fatto che l'oggetto del presente parere è una proposta di codificazione, il Comitato, tenendo conto degli obiettivi menzionati al punto 1 e delle garanzie di cui ai punti 2 e 3, dà parere favorevole a tale proposta.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — La protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell'Unione nei paesi terzi

COM(2006) 712 def.

(2007/C 161/21)

La Commissione europea, in data 28 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al: Libro verde — La protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell'Unione nei paesi terzi

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore VOLEŠ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato sottolinea che il diritto alla protezione diplomatica e consolare per i cittadini dell'UE nei paesi terzi da parte di un altro Stato membro rafforza il loro sentimento di cittadinanza dell'Unione.

1.2

A questo proposito il Comitato ritiene necessario che i cittadini siano molto meglio informati su questo diritto e giudica insufficienti i risultati ottenuti dalle attività di informazione svolte finora. Chiede che le organizzazioni della società civile i cui membri si recano nei paesi terzi partecipino alle attività di informazione condotte dall'UE e dagli Stati membri.

1.3

Il Comitato segnala che nel portale web deputato dell'UE www.travel-voyage.consilium.europa.eu non sono accessibili dati su quali Stati membri abbiano sedi di rappresentanza nel paese terzo selezionato, né gli indirizzi o recapiti di queste ultime. Il Comitato raccomanda di concentrare queste e tutte le altre informazioni necessarie in un unico portale di facile accesso e con un indirizzo semplice.

1.4

Le informazioni sul diritto alla protezione nei paesi terzi di cui all'articolo 20 del Trattato CE dovrebbero essere riprodotte obbligatoriamente su ogni passaporto rilasciato da uno Stato membro dell'UE.

1.5

Le raccomandazioni per coloro che si recano nei paesi terzi dovrebbero essere meglio coordinate e pubblicate in modo da essere il più possibile accessibili, ad esempio all'indirizzo web menzionato al punto 1.3.

1.6

Il Comitato raccomanda che tutte le misure riguardanti il diritto alla protezione siano pubblicate non solo nella Gazzetta ufficiale ma anche negli organi di informazione di tutti gli Stati membri, e che entrino a far parte della strategia di comunicazione della Commissione.

1.7

Il Comitato approva la proposta di uniformare la portata e la base giuridica della protezione consolare accordata dai singoli Stati membri nei paesi terzi, e chiede che tale uniformazione venga effettuata quanto prima, se necessario anche attraverso l'armonizzazione delle normative nazionali. Finché non sarà raggiunta un'armonizzazione in questo settore, però, occorrerà rendere pubbliche la portata e le condizioni della protezione accordata dai singoli Stati membri.

1.8

Il Comitato accoglie con favore la proposta di estendere la protezione consolare ai cittadini di paesi terzi che siano familiari di cittadini dell'UE.

1.9

Il Comitato approva la proposta di estendere la protezione anche all'identificazione e al rimpatrio delle salme dei cittadini dell'UE e dei loro familiari che non siano cittadini dell'UE, e chiede che gli Stati membri che non l'hanno ancora fatto firmino in tempi rapidi l'Accordo del Consiglio d'Europa sul trasferimento delle persone decedute del 26 ottobre 1973 (ratificato finora soltanto da 15 Stati membri).

1.10

Il Comitato raccomanda di semplificare la procedura per la prestazione di assistenza finanziaria ai cittadini dell'UE nei paesi terzi, ad esempio consentendo il rimborso degli anticipi pecuniari direttamente alle autorità dello Stato che ha prestato l'assistenza, rinunciando a tale rimborso nel caso di importi esigui, introducendo un sistema semplice di compensazione dei debiti tra Stati membri ecc.

1.11

La creazione di uffici comuni nelle regioni in cui gli Stati membri sono relativamente poco rappresentati è una giusta iniziativa, anche se occorre chiarirne tutti gli aspetti legislativi e di diritto internazionale. Il Comitato raccomanda di ricorrere attivamente anche ad altre forme di cooperazione, ad esempio distaccando impiegati consolari dei paesi non rappresentati presso gli uffici di rappresentanza di un altro Stato membro, consentendo che un posto consolare di uno Stato membro eserciti delle funzioni consolari per conto di un altro Stato dell'UE o che diversi Stati membri nominino la stessa persona come funzionario consolare, conformemente agli articoli 8 e 18 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, oppure attuando programmi di formazione destinati al personale consolare degli Stati membri.

1.12

Il Comitato preferirebbe che le linee direttrici relative alla protezione consolare dei cittadini dell'UE nei paesi terzi, elaborate dal gruppo di lavoro per la cooperazione consolare (COCON), diventassero giuridicamente vincolanti, in modo da evitare che i cittadini dell'UE bisognosi di assistenza in tali paesi si trovino in una situazione di incertezza giuridica.

1.13

Le missioni diplomatiche e gli uffici consolari degli Stati membri rappresentati in un paese terzo dovrebbero avere a disposizione i recapiti regolarmente aggiornati degli uffici competenti degli Stati membri che in quel paese non sono rappresentati, per consentire ai cittadini dell'UE di prendere contatto con loro in caso di necessità. Dovrebbero disporre anche di elenchi di interpreti che traducono verso le lingue degli Stati membri non rappresentati in quel paese.

1.14

Le delegazioni della Commissione europea nei paesi terzi potrebbero essere utilizzate a fini di protezione consolare dei cittadini dell'UE, mettendo a profitto l'esperienza derivante dalla loro competenza in materia di protezione delle imbarcazioni e dei pescatori degli Stati membri.

1.15

Bisognerebbe rafforzare il ruolo della Commissione nel coordinare le attività degli Stati membri finalizzate alla protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell'UE nei paesi terzi.

2.   Introduzione

2.1

Il 28 novembre 2006 la Commissione europea ha pubblicato il Libro verde intitolato La protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell'Unione nei paesi terzi. Il diritto alla protezione diplomatica e consolare è sancito dall'articolo 20 del Trattato di Maastricht, che recita «ogni cittadino dell'Unione gode, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato (1)». Lo stesso diritto è entrato a far parte della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea solennemente proclamata nel 2000, ove figura all'articolo 46 (2). L'articolo 20 del Trattato dispone anche che «gli Stati membri stabiliscono tra loro le disposizioni necessarie e avviano i negoziati internazionali richiesti per garantire detta tutela».

2.2

Gli Stati membri hanno adottato la decisione 95/553/CE (3), che definisce cinque possibili circostanze in cui un cittadino dell'Unione ha il diritto di fare domanda di protezione diplomatica o consolare presso la rappresentanza di un altro Stato membro:

decesso,

incidente o malattia grave,

arresto o detenzione,

atti di violenza subiti,

necessità di aiuto e rimpatrio in caso di difficoltà.

Le rappresentanze degli Stati membri in un paese terzo possono assistere i cittadini dell'UE che lo richiedano anche in altre circostanze.

2.3

Il cittadino che richiede assistenza deve esibire il passaporto oppure un documento di identità da cui risulti che è cittadino di uno Stato membro; in caso di perdita o furto dei documenti può essere ammessa qualsiasi altra prova di cittadinanza, eventualmente previa verifica presso le autorità dello Stato membro di cui l'interessato si dichiara cittadino. È stata introdotta anche una procedura per concedere anticipi pecuniari ai cittadini dell'UE, a condizione di ottenere l'autorizzazione del ministero degli Esteri o della missione diplomatica dello Stato membro di cui il richiedente ha la cittadinanza. Nella decisione era previsto anche che essa fosse sottoposta a revisione a cinque anni dalla sua entrata in vigore, avvenuta nel 2002.

2.4

Gli Stati membri hanno creato un gruppo di lavoro per la cooperazione consolare, il COCON, concepito come strumento per lo scambio di esperienze. Il COCON ha elaborato delle linee direttrici non vincolanti per la protezione consolare dei cittadini dell'UE nei paesi terzi (4).

2.5

Nella comunicazione sull'attuazione del programma dell'Aia la Commissione ha presentato alcune proposte in materia di protezione diplomatica e consolare (5). L'ex ministro degli Esteri francese, Michel Barnier, ha elaborato una relazione dettagliata per il Consiglio dell'UE nella quale propone una serie di misure intese a creare un sistema di protezione civile all'interno e all'esterno dell'UE, di cui farebbe parte anche la protezione diplomatica e consolare (6). La presidenza austriaca del Consiglio, nella relazione del 15 giugno 2006, ha elencato alcune misure adottate per rafforzare la protezione dei cittadini dell'UE nei paesi terzi (7). Nel 2007 la Commissione presenterà la quinta relazione sulla cittadinanza dell'UE, che dovrebbe contenere anche delle proposte volte a rafforzare la protezione diplomatica e consolare.

2.6

La protezione dei cittadini dell'UE assume sempre maggiore importanza sia per la forte crescita del numero di coloro che si recano in paesi terzi da uno degli Stati membri (180 milioni di viaggiatori all'esterno dell'UE ogni anno), sia per il fatto che non tutti gli Stati sono rappresentati in ogni paese terzo. Da un sondaggio effettuato dall'Eurobarometro nel luglio 2006 è emerso che quasi la metà degli interpellati prevedeva di recarsi in un paese terzo nei prossimi tre anni (8).

2.7

Nel Libro verde, pertanto, la Commissione dà il via ad una consultazione su una serie di misure che dovrebbero rafforzare il principio della protezione dei cittadini dell'UE nei paesi terzi, in quanto importante diritto conferito a ogni cittadino di uno Stato membro dalla cittadinanza dell'Unione. Le misure proposte tengono anche conto dell'esperienza acquisita in occasione di catastrofi naturali come lo tsunami e l'uragano Katrina, dei conflitti militari nei Balcani e in Libano, e degli attacchi terroristici a Bali e a Sharm-El-Sheik.

2.8

Le misure proposte comprendono:

il miglioramento del livello d'informazione dei cittadini dell'UE sul loro diritto alla protezione diplomatica e consolare nei paesi terzi e sulla rappresentanza degli Stati membri dell'UE nei paesi terzi,

la riproduzione dell'articolo 20 del Trattato CE nei passaporti dei cittadini degli Stati membri dell'UE,

il coordinamento dei consigli ai viaggiatori,

l'analisi della portata, delle condizioni e della base giuridica dei regimi di protezione, che sono diverse in ogni Stato membro, e la valutazione della possibilità di ravvicinarle,

l'inserimento della protezione dei cittadini dell'UE negli accordi bilaterali conclusi dagli Stati membri e dall'UE con i paesi terzi, compresa la possibilità di autorizzare le delegazioni della Commissione europea nei paesi terzi a prestare assistenza diplomatica,

l'estensione della protezione consolare ai familiari di cittadini dell'UE che hanno la cittadinanza di un paese terzo,

l'inclusione dell'identificazione e del rimpatrio delle salme nella protezione prevista,

la semplificazione della procedura per la concessione di anticipi pecuniari,

la creazione di uffici consolari comuni in un primo tempo nelle regioni dei Caraibi, dei Balcani, dell'Oceano indiano e dell'Africa occidentale, e l'invito ai cittadini dell'UE ad iscriversi presso tali uffici,

la formazione del personale consolare degli Stati membri e dei funzionari della Comunità.

3.   Osservazioni sulle singole proposte della Commissione

3.1

Il Comitato ribadisce che il diritto dei cittadini dell'UE ad essere protetti, nei paesi terzi, dalla rappresentanza di uno Stato membro diverso da quello di cui sono cittadini è un segno tangibile dei vantaggi offerti dall'UE, rafforza il loro sentimento di appartenenza comune ed è espressione del significato della cittadinanza dell'UE.

3.2

A questo proposito il Comitato ritiene necessario che i cittadini siano molto meglio informati sul diritto alla protezione consolare nei paesi terzi. I dati attuali mostrano che il livello di informazione al riguardo è minimo. Secondo il sondaggio di Eurobarometro, soltanto il 23 % dei cittadini dell'UE che intendono recarsi nei paesi terzi è a conoscenza di questo diritto. Non bastano l'affissione di manifesti negli aeroporti, nei porti o nelle stazioni, né la distribuzione di opuscoli e depliant tramite le agenzie di viaggio. Alle attività di informazione dovrebbero partecipare anche le associazioni di imprenditori, di datori di lavoro e le organizzazioni non governative, poiché molti cittadini che si recano nei paesi terzi non sono turisti, bensì imprenditori, commercianti, impiegati oppure operatori di organizzazioni umanitarie. Si potrebbero inserire collegamenti alle informazioni sulla protezione consolare disponibili sul portale dell'UE nelle pagine web delle organizzazioni i cui membri si recano nei paesi terzi.

3.3

Per esercitare il diritto alla protezione nei paesi terzi è fondamentale sapere quali Stati membri siano rappresentati in un determinato paese ed avere indirizzo e recapito di tali rappresentanze. Queste informazioni sono però di accesso molto difficile, poiché la funzione della pagina web www.travel-voyage.consilium.europa.eu che dovrebbe fornire i suddetti dati non è ancora disponibile. Il Comitato raccomanda di concentrare queste ed altre informazioni in un unico portale web di facile accesso con un indirizzo semplice, al quale, in caso di bisogno, sia possibile collegarsi anche da un paese terzo per trovare le informazioni necessarie.

3.4

Le informazioni sul diritto alla protezione nei paesi terzi di cui all'articolo 20 del Trattato CE dovrebbero essere riprodotte obbligatoriamente su ogni passaporto rilasciato da uno Stato membro dell'UE. Sarebbe opportuno che nel passaporto fossero indicati anche gli indirizzi da contattare per ottenere le informazioni concrete di cui al punto 3.2, oppure che tali informazioni fossero inserite nel passaporto al momento del rilascio.

3.5

Le indicazioni e i consigli per i viaggiatori sono emanati dalle autorità nazionali: a volte capita che le raccomandazioni formulate dai diversi Stati membri riguardo ai viaggi in un paese terzo siano diametralmente opposte. Anche se tali discrepanze possono avere ragioni oggettive (il diverso approccio di un paese terzo nei confronti dei singoli Stati membri), sarebbe opportuno che gli Stati membri coordinassero meglio tra loro i consigli ai viaggiatori, ricorrendo alle rappresentanze diplomatiche e consolari nei paesi terzi, e pubblicassero detti consigli in modo tale da garantire il massimo dell'accessibilità. Si dovrebbe valutare la possibilità di pubblicare le raccomandazioni in modo centralizzato su Internet come spiegato nel punto 3.2.

3.6

La Commissione propone di pubblicare le misure di attuazione dell'articolo 20 nella Gazzetta ufficiale, affinché i cittadini siano meglio informati sui propri diritti. Il Comitato approva la proposta, ma la giudica insufficiente: tali misure dovrebbero infatti essere pubblicate anche dagli organi di informazione di tutti gli Stati membri ed entrare a far parte della strategia di comunicazione della Commissione.

3.7

Il Comitato condivide l'idea della Commissione secondo cui è opportuno uniformare la portata e la base giuridica della protezione consolare offerta dai singoli Stati membri nei paesi terzi e chiede che questa uniformazione venga avviata quanto prima, se necessario anche attraverso un'armonizzazione delle normative nazionali. Ciò consentirebbe di superare le restrizioni poste da alcuni Stati membri all'esercizio di tale diritto (ad esempio alcuni paesi non consentono di avviare un procedimento amministrativo in base al reclamo di un cittadino per mancata assistenza oppure sequestrano il passaporto nei casi in cui prestano assistenza finanziaria). Finché non sarà raggiunta l'armonizzazione, però, la portata e le condizioni della protezione concessa dai singoli Stati membri dovrebbero essere liberamente accessibili a tutti i cittadini dell'UE sul portale centralizzato di cui sopra.

3.8

Il Comitato approva la proposta di estendere la protezione ai familiari dei cittadini dell'UE che hanno la nazionalità di un paese terzo e raccomanda di applicare la procedura di cui all'articolo 22 del Trattato CE che consente l'estensione dei diritti sanciti dal Trattato. Si tratta di una questione umanitaria che richiede una soluzione rapida, come hanno dimostrato eventi quali lo tsunami, la guerra in Libano ecc.

3.9

Il Comitato sostiene la proposta di estendere la protezione anche all'identificazione e al rimpatrio delle salme di cittadini UE e dei loro familiari cittadini di paesi terzi. A questo proposito invita gli Stati membri che non l'hanno ancora fatto a ratificare in tempi rapidi l'Accordo del Consiglio d'Europa del 26 ottobre 1973 sul trasferimento delle persone decedute (ratificato finora solo da 15 Stati membri).

3.10

Una delle esigenze più frequentemente manifestate dai cittadini UE nei paesi terzi riguarda l'assistenza finanziaria in caso di bisogno, che sia a seguito di catastrofi naturali oppure di furti, malattie o incidenti. Il Comitato raccomanda di semplificare il sistema attuale che richiede il consenso delle autorità dello Stato membro di cui il richiedente è cittadino e il successivo rimborso degli importi tramite le autorità di detto Stato, di valutare la possibilità di rimborsare il debito direttamente alle autorità dello Stato che ha prestato l'assistenza, di rinunciare a tali rimborsi quando si tratti di importi esigui, di introdurre un sistema semplice di compensazione dei debiti tra Stati membri ecc.

3.11

La creazione di uffici comuni nelle regioni in cui gli Stati membri sono relativamente poco rappresentati è una giusta iniziativa per rafforzare la cooperazione nel campo della rappresentanza diplomatica e consolare. Il Comitato auspica però che vengano chiariti tutti gli aspetti legislativi e di diritto internazionale, in particolare lo status di tali uffici, la giurisdizione in cui rientreranno, il collegamento con la delegazione della Commissione nel paese in questione, le modalità di finanziamento, il consenso del paese di insediamento sulla creazione degli uffici e sulle loro competenze, nonché il rispetto della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche e della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari.

3.12

Il Comitato raccomanda di ricorrere attivamente ad ulteriori forme di cooperazione, ad esempio consentendo che un posto consolare di uno Stato membro eserciti delle funzioni consolari per conto di un altro Stato dell'UE o che diversi Stati membri nominino la stessa persona come funzionario consolare, distaccando impiegati consolari dei paesi non rappresentati negli uffici di rappresentanza di altri Stati membri e attuando programmi di formazione destinati al personale consolare degli Stati membri.

3.13

Il Comitato sostiene l'iniziativa della Commissione che prevede l'utilizzo degli uffici comuni anche per approfondire la cooperazione tra Stati membri nel settore della politica dei visti, contemplando la possibilità di procedere congiuntamente alla ricezione delle domande di visto e al loro rilascio. Ritiene tuttavia che questa problematica non sia direttamente collegata a quella del diritto dei cittadini dell'UE alla protezione consolare e che non sia quindi opportuno metterle in relazione.

4.   Proposte integrative del Comitato

4.1

Il Comitato riterrebbe utile che le linee direttrici relative alla protezione consolare dei cittadini dell'UE nei paesi terzi elaborate dal gruppo di lavoro per la cooperazione consolare (COCON) diventassero giuridicamente vincolanti, in modo da evitare che i cittadini dell'UE bisognosi di assistenza nei paesi terzi si trovino in una situazione di incertezza giuridica.

4.2

Le missioni diplomatiche e gli uffici consolari degli Stati membri rappresentati nei paesi terzi dovrebbero avere a disposizione i recapiti regolarmente aggiornati degli uffici competenti degli Stati membri che in quei paesi non sono rappresentati, in modo da consentire ai cittadini dell'UE di prendere contatto con loro in caso di necessità.

4.3

Come dimostrato da un sondaggio di Eurobarometro, una delle esigenze principali dei cittadini dell'UE è la possibilità di comunicare nella loro lingua materna in caso di emergenza. A questo fine sarebbe auspicabile che le rappresentanze degli Stati membri di un dato paese avessero a disposizione degli elenchi di interpreti che traducono verso le lingue degli Stati membri non rappresentati.

4.4

Il Comitato raccomanda di esaminare la possibilità di utilizzare maggiormente le delegazioni della Commissione europea nei paesi terzi a fini di protezione consolare dei cittadini dell'UE, mettendo a profitto l'esperienza derivante dalla loro competenza in materia di protezione delle imbarcazioni e dei pescatori degli Stati membri. Raccomanda quindi di avviare negoziati con i paesi terzi interessati perché riconoscano a tali delegazioni il diritto di accordare protezione ai cittadini dell'UE nei casi convenuti.

4.5

Il Comitato è a favore di un potenziamento del ruolo della Commissione nel coordinare le azioni degli Stati membri in materia di protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell'UE nei paesi terzi, come previsto dal progetto di Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, inteso a rafforzare i diritti dei cittadini dell'UE.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 325 del 24.12.2002.

(2)  Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Nizza 7 dicembre 2000.

(3)  GU L 314 del 28.12.1995, pagg. 73-76.

(4)  Linee direttrici in materia di tutela consolare dei cittadini dell'UE nei paesi terzi, Consiglio dell'UE, 10109/06 del 2.6.2006.

(5)  Comunicazione della Commissione COM(2006) 331 def. del 28.6.2006.

(6)  Relazione di Michel Barnier Per una forza europea di protezione civile: Europeaid, 9.5.2006.

(7)  Relazione della Presidenza del Consiglio dell'UE 10551/06, Rafforzamento delle capacità di risposta dell'Unione europea in caso di emergenza e di crisi, del 15.6.2006.

(8)  Flash Eurobarometer 188 (NdT: disponibile solo in inglese) — luglio 2006.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: i servizi sociali d'interesse generale nell'Unione europea

COM(2006) 177 def.

(2007/C 161/22)

La Commissione europea, in data 26 aprile 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore HENCKS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 61 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Raccomandazioni e valutazione

1.1

I servizi sociali di interesse generale (SSIG) hanno lo scopo di garantire la coesione sociale, territoriale ed economica tramite la realizzazione di forme di solidarietà collettiva volte a rispondere in particolare a tutte le situazioni di vulnerabilità sociale che possono pregiudicare la salute fisica e morale dei cittadini: malattia, vecchiaia, inabilità al lavoro, disabilità, precarietà, povertà, esclusione sociale, tossicodipendenza, problemi familiari e abitativi e, nel caso degli stranieri, difficoltà d'integrazione.

Essi esercitano inoltre una funzione integrativa che va oltre la semplice assistenza e l'azione a favore dei più indigenti. Sono infatti anche finalizzati a realizzare tutto ciò che è necessario per permettere a tutti di accedere ai servizi sociali fondamentali: in questo senso contribuiscono quindi all'esercizio effettivo della cittadinanza e dei diritti fondamentali.

1.2

Non si tratta quindi di contrapporre valori economici e valori sociali, bensì di promuovere una sinergia costruttiva e una sintesi armonica tra queste due categorie di valori.

1.3

In tale prospettiva il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, invece di soffermarsi su una rischiosa distinzione — che si va peraltro evolvendo — tra carattere economico o non economico di un servizio di interesse generale, si debbano considerare la natura del servizio, le sue funzioni e i suoi obiettivi e stabilire quali servizi rientrino nel campo d'applicazione delle norme sulla concorrenza e sul mercato interno e quali invece, per ragioni di interesse generale e di coesione sociale, territoriale ed economica, debbano esserne esentati, conformemente al principio di sussidiarietà, dalle autorità pubbliche comunitarie, nazionali, regionali o locali.

1.4

Occorre quindi definire a livello comunitario riferimenti e norme comuni che valgano per tutti i servizi di interesse generale (siano essi di tipo economico o non economico), compresi quelli sociali, e inserirli in una direttiva quadro, da adottarsi in codecisione, che introduca una disciplina comunitaria adatta alle loro specificità.

1.5

Affinché i compiti di interesse generale siano assolti in modo non abusivo, non discriminatorio e trasparente, occorre che gli Stati membri indichino le ragioni per cui dati servizi sono di interesse generale e concorrono alla coesione sociale, territoriale ed economica in un atto giuridico di affidamento ufficiale, o equivalente, e in norme di autorizzazione. L'atto e le norme dovrebbero indicare il compito che l'autorità pubblica competente di uno Stato membro affida al prestatore di un determinato servizio di interesse generale (SIG) e fissare inoltre i diritti e doveri di quest'ultimo, ferma restando la facoltà di iniziativa riconosciuta agli operatori dalle normative vigenti.

1.6

Per quanto riguarda la valutazione, il CESE ricorda in questo contesto la sua proposta di creare un osservatorio indipendente per la valutazione dei servizi di interesse generale di tipo economico e non economico, composto da rappresentanti del Parlamento europeo e del Comitato delle regioni e da esponenti della società civile organizzata rappresentata presso il CESE. A livello nazionale, regionale e locale le autorità pubbliche devono associare alla regolamentazione dei servizi sociali di interesse generale tutti i soggetti che prestano servizi sociali o ne beneficiano, le parti sociali, gli organismi dell'economia sociale e di lotta all'esclusione, ecc.

2.   Introduzione

2.1

I servizi sociali di interesse generale — come tutti i SIG, di cui sono una componente — danno sostanza alla dignità umana e garantiscono il diritto dei cittadini alla giustizia sociale e al pieno rispetto dei loro diritti fondamentali, definiti nella Carta dei diritti fondamentali e in impegni internazionali quali la Carta sociale europea riveduta e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Essi contribuiscono all'effettivo esercizio della cittadinanza e hanno lo scopo di creare coesione sociale, territoriale ed economica attraverso la realizzazione di forme di solidarietà collettiva che rispondano in particolare a tutte quelle situazioni di vulnerabilità sociale che possono pregiudicare la salute fisica e morale dei cittadini: malattia, vecchiaia, inabilità al lavoro, disabilità, precarietà, povertà, esclusione sociale, tossicodipendenza, problemi familiari e abitativi e, nel caso degli stranieri, difficoltà d'integrazione.

La funzione integrativa che essi esercitano va tuttavia al di là della semplice assistenza e dell'azione a favore dei più indigenti. Sono infatti anche finalizzati a realizzare tutto ciò che è necessario per permettere a tutti di accedere ai servizi sociali fondamentali.

2.2

L'apporto specifico dei servizi sociali di interesse generale si fonda quindi su un preciso legame con i diritti fondamentali, il cui esercizio effettivo è di competenza delle autorità pubbliche locali, regionali, nazionali ed europee. Ciò è conforme ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, i quali stabiliscono che l'azione comunitaria non deve andare oltre quanto necessario per conseguire gli obiettivi del Trattato.

2.3

Poiché le tariffe applicate a tali servizi non sempre ne rispecchiano il costo effettivo o il costo risultante dalla legge della domanda e dell'offerta, essi non potrebbero essere forniti a un prezzo accessibile a tutti senza una quota di finanziamento pubblico.

2.4

Oltre ad assicurare il finanziamento dei SSIG, l'autorità pubblica ha la responsabilità globale di garantire il loro funzionamento e il mantenimento di un elevato tenore qualitativo, nel rispetto delle competenze dei soggetti coinvolti.

2.5

Inoltre i servizi sociali di interesse generale, come peraltro tutti i servizi di interesse generale, non solo sono un importante elemento di coesione economica e sociale, ma contribuiscono anche in modo significativo alla competitività dell'economia europea e rappresentano un importante bacino potenziale di lavoro di prossimità.

2.6

I servizi sociali coprono uno spettro molto vasto, comprendente case di riposo per anziani; istituti per disabili; centri di accoglienza per persone in situazioni di emergenza; istituti per l'infanzia, per le donne vittime della violenza domestica, per immigrati e per profughi; centri di convalescenza; case di cura; organismi per l'edilizia popolare, per la tutela dei minori o per attività sociali ed educative; collegi scolastici; centri di accoglienza diurna; asili e nidi d'infanzia; centri medico-sociali, sanitari, di riadattamento e di formazione professionale; servizi di sostegno alla persona e di assistenza domiciliare e alla famiglia.

2.7

In tutti gli Stati membri tali servizi sono forniti da operatori con statuti diversi, tra i quali figura un numero considerevole di organismi di solidarietà dell'economia sociale e cooperativa privi di scopo di lucro (associazioni, mutue, cooperative, fondazioni) e di origine estremamente varia (enti pubblici, benefici, filantropici, religiosi, privati ecc.). Le loro attività sono regolate da quadri normativi e finanziari stabiliti dalle autorità pubbliche.

3.   La proposta della Commissione

3.1

Nel quadro dell'attuazione del programma comunitario di Lisbona, il 26 aprile 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sui servizi sociali di interesse generale che fa seguito al Libro bianco sui servizi di interesse generale (COM(2004) 374 def.) e alla votazione della direttiva sui servizi nel mercato interno da parte del Parlamento europeo, il 16 febbraio 2006.

3.2

La comunicazione in esame ha carattere «interpretativo», dovendo apportare i chiarimenti giuridici richiesti. Essa riguarda esclusivamente i servizi sociali (mentre i servizi sanitari saranno oggetto di un'iniziativa distinta nel 2007) e non prevede l'adozione di iniziative legislative nell'immediato. La Commissione esaminerà la necessità e la possibilità giuridica di presentare una proposta legislativa alla luce del processo aperto e continuo di consultazione di tutti i soggetti interessati, delle relazioni biennali sui servizi sociali e dello studio attualmente in corso per l'elaborazione di una prima relazione nel 2007.

3.3

La comunicazione si colloca nel contesto della condivisione di responsabilità, da parte della Comunità e degli Stati membri, stabilita dall'articolo 16 del Trattato CE per i servizi di interesse economico generale.

3.4

La comunicazione suddivide i SSIG in due gruppi: da una parte i regimi obbligatori previsti dalla legge e i regimi complementari di sicurezza sociale, dall'altra i servizi essenziali prestati direttamente al cittadino, come l'assistenza alle persone confrontate a difficoltà personali o a momenti di crisi, l'aiuto all'inserimento completo nella società, l'integrazione delle persone disabili o con problemi di salute, l'edilizia popolare.

3.5

Tutti questi servizi sociali si basano su una serie di elementi caratteristici come la solidarietà, la polivalenza e la personalizzazione (adeguamento ai bisogni dei singoli destinatari), l'assenza di scopo di lucro, il volontariato, il radicamento culturale o un rapporto asimmetrico tra fornitore e utente.

3.6

La Commissione ritiene che la modernizzazione dei servizi sociali sia una delle sfide centrali dell'Europa attuale: essa riconosce che i servizi sociali fanno parte integrante del modello sociale europeo e che, pur non costituendo una categoria giuridica distinta all'interno dei servizi di interesse generale, occupano un posto specifico in quanto pilastri della società e dell'economia europea poiché contribuiscono a rendere effettivi i diritti sociali fondamentali.

3.7

La Commissione constata che questo settore, attualmente in piena espansione, è soggetto a un processo di modernizzazione volto a consentirgli di far fronte alle opposte spinte dell'universalità, della qualità e della sostenibilità finanziaria. Una parte crescente dei servizi sociali fin qui gestiti direttamente dalle autorità pubbliche, infatti, è ora sottoposta alle norme comunitarie che regolano il mercato interno e la concorrenza.

3.8

Da un lato la Commissione riconosce che, per gli operatori pubblici e privati del settore sociale, la situazione giuridica dei SSIG rispetto alle norme sulla concorrenza rappresenta una fonte di incertezza, dall'altro sostiene di adoperarsi per ridurre o chiarire l'impatto di tale incertezza senza tuttavia poterla eliminare.

4.   Osservazioni generali

4.1

Nel Libro bianco sui servizi di interesse generale, la Commissione annunciava la pubblicazione, nel corso del 2005, di una comunicazione sui servizi sociali di interesse generale. Secondo il suddetto Libro bianco, questi ultimi comprendevano i servizi sanitari, l'assistenza a lungo termine, i servizi previdenziali, i servizi per l'occupazione e i servizi di edilizia popolare.

4.2

In tempi come quelli attuali, dominati dall'incertezza rispetto alla crescita e all'occupazione, in cui il fossato tra gli strati più poveri e quelli più agiati e tra le regioni più ricche e le più povere dell'Unione va allargandosi malgrado i programmi comunitari e nazionali di lotta all'esclusione e alla povertà, il fabbisogno di servizi sociali di interesse generale aumenta sempre più, anche perché l'evoluzione demografica genera nuove esigenze.

4.3

Il CESE non può quindi che rallegrarsi della pubblicazione della comunicazione in esame, che rispecchia l'importanza dei servizi sociali per i cittadini, lo speciale ruolo che essi rivestono all'interno di un modello sociale europeo di cui sono parte integrante e l'utilità di disporre di un metodo sistematico per individuare e riconoscere le specificità di questi servizi al fine di chiarire il quadro in cui operano e possono essere, per usare la terminologia della Commissione, «modernizzati». Piuttosto che di modernizzazione il CESE preferisce tuttavia parlare di miglioramento della qualità e dell'efficacia.

4.4

Non si tratta infatti di seguire una determinata moda o tendenza, di qualunque natura essa sia, né, come fa la Commissione (1), di associare la modernizzazione all'esternalizzazione delle funzioni del settore pubblico e al loro affidamento al settore privato, bensì di adeguare periodicamente le prestazioni ai bisogni sociali dei cittadini e degli enti territoriali, così come ai progressi tecnici ed economici e ai nuovi imperativi dettati dall'interesse generale.

4.5

Il CESE si rammarica inoltre che la Commissione, contrariamente a quanto annunciato, escluda dalla comunicazione in esame i servizi sanitari, quando invece le interazioni e le sinergie tra questi ultimi e i servizi sociali sono particolarmente numerose. La richiesta di definire «il legame fra i servizi sanitari e i servizi connessi, quali i servizi sociali e l'assistenza di lunga durata», che figura nella consultazione del 26 settembre 2006 sull'azione comunitaria nel settore dei servizi sanitari e a cui la Commissione chiede una risposta entro il 31 gennaio 2007, avrebbe quindi dovuto essere fatta prima di decidere di adottare una comunicazione dedicata esclusivamente ai servizi sociali.

4.6

In mancanza di una nota esplicativa tale scelta risulta incomprensibile, tanto più che nell'enumerazione dei servizi sociali la Commissione cita espressamente le attività che favoriscono l'integrazione delle persone con esigenze a lungo termine legate a un problema di salute.

4.7

Fino a oggi i servizi sanitari basati sul principio di solidarietà, intesi a garantire a tutti i cittadini un'assistenza di qualità, sono sempre stati considerati strumenti di politica sociale alla stessa stregua dei servizi di assistenza sociale personalizzati.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Descrizione dei servizi sociali di interesse generale

5.1.1

Ferme restando le osservazioni formulate al punto 4.5 del presente parere, il CESE condivide la descrizione delle particolarità specifiche dei servizi sociali di interesse generale proposta dalla Commissione nella comunicazione. Si tratta di una descrizione ampia ed estendibile, che lascia quindi un margine sufficiente per tenere conto degli sviluppi futuri.

5.1.2

Il CESE approva il rimando della Commissione al ruolo particolare dei servizi alla persona nell'esercizio dei diritti fondamentali, cosa che mette in evidenza l'importanza e la ragion d'essere dei servizi sociali.

5.1.3

La descrizione delle condizioni per l'applicazione del quadro comune fornita dalla Commissione, tuttavia, si limita a coprire i casi più consueti. Il CESE fa osservare che i sistemi utilizzati variano da uno Stato membro all'altro: non sempre l'enumerazione delle categorie (delega completa o parziale per una missione sociale, partenariato pubblico-privato) corrisponde a queste differenze e diversità. Il CESE approva quindi la consultazione pubblica prevista, ritenendola un importante strumento per acquisire maggiori informazioni sull'attività legata ai servizi sociali e sulle loro modalità di funzionamento.

5.2   Il mercato interno CE e le norme in materia di concorrenza

5.2.1

Il Trattato CE riconosce agli Stati membri la facoltà di definire compiti di interesse generale e di stabilire i principi organizzativi che ne derivano per i prestatori di servizi incaricati del loro svolgimento.

5.2.2

Tuttavia, nell'esercizio di tale facoltà (che deve avvenire nella trasparenza, senza abuso della nozione d'interesse generale), gli Stati membri devono tener conto del diritto comunitario e, ad esempio nell'organizzazione di un servizio pubblico, compresi i servizi sociali, hanno l'obbligo di rispettare il principio di non discriminazione e le norme comunitarie in materia di appalti pubblici e concessioni.

5.2.3

Inoltre, quando si tratta di servizi considerati economici, bisogna anche garantire che le loro modalità organizzative siano compatibili con altri aspetti del diritto comunitario (in particolare la libertà di fornire servizi, la libertà di stabilimento e le norme in materia di concorrenza).

5.2.4

In base alla giurisprudenza comunitaria, può essere considerata attività economica la quasi totalità dei servizi prestati nel settore sociale ad eccezione dei regimi previdenziali basati sulla solidarietà.

5.2.5

La definizione estensiva data dalla Corte di giustizia e accettata dalle altre istituzioni europee (2), che qualifica i servizi sociali di interesse generale come attività economiche, ha come conseguenza la progressiva applicazione a tali servizi delle norme comunitarie sulla concorrenza e sul mercato interno (aiuti di Stato, libera prestazione di servizi, libertà di stabilimento, direttiva sugli appalti pubblici) e del diritto derivato: ciò determina incertezze crescenti tanto per le autorità pubbliche che per i prestatori e i destinatari dei servizi stessi. Se perdurasse, tale situazione potrebbe comportare un'alterazione degli obiettivi dei SSIG, che pure sono al centro del «modello sociale europeo».

5.2.6

Gli obiettivi e i principi su cui si basa il quadro comunitario per i servizi di interesse economico generale rispecchiano una logica fondata essenzialmente su parametri per la valutazione delle prestazioni economiche. Essendo questa logica diversa da quella dei servizi sociali di interesse generale, non è pertinente né applicabile in tale forma alla realtà dei servizi sociali nell'Unione europea.

5.2.7

Come il CESE aveva già evidenziato nel suo parere Il futuro dei servizi di interesse generale (CESE 976/2006), la distinzione tra carattere economico e non economico rimane vaga e incerta. Quasi tutte le prestazioni di interesse generale, anche quelle fornite senza scopo di lucro o a titolo volontario, hanno un certo valore economico, senza che per questo debbano rientrare nell'ambito del diritto della concorrenza. Inoltre, uno stesso servizio può avere al tempo stesso carattere economico e non economico. Analogamente, un servizio può avere carattere economico senza che il mercato sia in grado di garantirne la prestazione secondo la logica e i principi che regolano i servizi di interesse generale.

5.2.8

Nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, ad esempio, la nozione di attività economica è molto ampia: viene infatti considerata tale «qualsiasi attività che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato» da parte di un'impresa «a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento» (sentenze del 23 aprile 1991, Höfner e Elser/Macrotron, Racc.1991, pagg. I-1979, e del 12 settembre 2000, Pavlov e.a., Racc.2000, pagg. I-6451) ed è indifferente il fatto che le attività dell'operatore abbiano scopo di lucro o meno (cfr. sentenza del 25 ottobre 2001, Ambulanz Glöckner, Racc.2001, pagg. I-8089).

5.2.9

La crescente accentuazione del carattere economico dei servizi di interesse generale da parte della Corte di giustizia e della Commissione non è controbilanciata dal riconoscimento e dalla tutela dei compiti di interesse generale che questi assolvono: ciò crea numerose incertezze giuridiche per gli operatori e i beneficiari. Si passa dunque dalla considerazione dell'interesse generale a quella dell'interesse lucrativo. Ora, la distinzione da fare non è fra «economico» e «non economico», bensì fra «lucrativo» e «non lucrativo».

6.   Un quadro giuridico stabile e trasparente

6.1

Il CESE dubita che la flessibilità che, secondo la Commissione, viene praticata nell'applicare il Trattato al riconoscimento delle specificità proprie dei compiti di interesse generale, ai sensi dell'articolo 86, paragrafo 2, basti a eliminare tutte le incertezze giuridiche e a garantire a tutti l'accesso ai servizi sociali. Lo stesso vale per il metodo aperto di coordinamento.

6.2

Tutti i servizi di interesse generale, compresi i SSIG, concorrono all'attuazione degli obiettivi della Comunità definiti agli articoli 2 e 3 del Trattato, in particolare a un elevato livello di protezione sociale, al miglioramento della qualità della vita, a un elevato livello di protezione della salute e al rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale.

6.3

Essendo responsabile della realizzazione di questi obiettivi, l'Unione europea è quindi responsabile anche dei SIG economici e non economici in quanto strumenti di attuazione dei diritti fondamentali e della coesione sociale. Deve quindi adoperarsi per garantire, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità e nel quadro di una condivisione di competenze con gli Stati membri, l'esistenza di SIG efficaci, economicamente e tecnicamente accessibili a tutti e di buona qualità.

6.4

Considerati, da un lato, la difficoltà di definire la nozione di SIG/SIEG in modo esauriente e, dall'altro, il rischio insito nell'adozione di un approccio restrittivo, bisognerebbe abbandonare la distinzione tra carattere economico e non economico per concentrarsi sullo specifico compito dei servizi in questione e sui requisiti (obblighi di servizio pubblico) che vengono loro imposti perché assolvano alle loro funzioni, requisiti che dovranno essere chiaramente stabiliti.

6.5

Inoltre, vista l'estrema diversità delle situazioni, regole e pratiche nazionali o locali e degli obblighi a carico dei gestori e delle autorità pubbliche, le norme da attuare dovranno tener conto delle particolarità di ciascuno Stato membro.

6.6

Non si tratta quindi di stabilire se un servizio sia economico o meno, bensì di determinare quali servizi rientrino nel campo d'applicazione delle norme sulla concorrenza e sul mercato interno e quali invece, per ragioni di interesse generale e di coesione sociale, territoriale ed economica, debbano esserne esentati, conformemente al principio di sussidiarietà, dalle autorità pubbliche comunitarie (per i SIG europei), nazionali, regionali o locali.

6.7

Come il CESE chiede ormai da anni (3), occorre quindi definire a livello comunitario riferimenti e norme comuni (in particolare per quanto riguarda le modalità di gestione e di finanziamento, i principi e i limiti dell'azione comunitaria, la valutazione indipendente delle prestazioni, i diritti dei consumatori e degli utenti e uno zoccolo minimo di compiti e obblighi di servizio pubblico) che valgano per tutti i servizi di interesse generale, compresi i SSIG, e inserirli in una direttiva quadro, da adottarsi in codecisione, che introduca una disciplina comunitaria adatta alle loro specificità in modo da completare la direttiva sui servizi.

6.8

Affinché i compiti di interesse generale siano assolti in modo non abusivo, non discriminatorio e trasparente, occorre che gli Stati membri indichino le ragioni per cui dati servizi sono di interesse generale e concorrono alla coesione sociale, territoriale ed economica in un atto giuridico di affidamento ufficiale, o equivalente, e in norme di autorizzazione. L'atto e le norme dovrebbero indicare il compito che l'autorità pubblica competente di uno Stato membro affida al prestatore di un determinato SIG e fissare inoltre i diritti e doveri di quest'ultimo, ferma restando la facoltà di iniziativa riconosciuta agli operatori dalle normative vigenti.

6.9

Tale atto (che potrà assumere forma di legge, contratto, convenzione, decisione ecc.) potrebbe precisare in particolare:

la natura dello specifico compito di interesse generale, le esigenze ad esso legate e gli obblighi di servizio pubblico che ne derivano, compresi i requisiti tariffari, le disposizioni per assicurare la continuità del servizio e le misure per evitare eventuali interruzioni della sua prestazione,

le norme per la stesura e, se del caso, la modifica dell'atto ufficiale,

il regime di autorizzazione e le qualifiche professionali richieste,

le modalità di finanziamento e i parametri in base ai quali calcolare la compensazione degli oneri legati all'assolvimento del compito specifico,

le modalità di valutazione ed esecuzione dei SIG.

6.10

Il CESE caldeggia l'adozione di un apposito quadro giuridico comune ai servizi sociali e sanitari di interesse generale, nell'ambito di un approccio globale basato su una direttiva quadro applicabile a tutti i SIG. Ciò dovrebbe consentire di assicurare un'adeguata stabilità giuridica e trasparenza a livello comunitario, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà e in particolare delle competenze degli enti locali e regionali in materia di definizione dei compiti e di gestione e finanziamento di tali servizi. I principi contenuti in tale quadro giuridico dovrebbero informare le posizioni adottate dall'UE nei negoziati commerciali internazionali.

7.   Valutazione

7.1

Il Libro bianco sui servizi di interesse generale sottolinea in modo particolare la necessità di sottoporre i SIG a una valutazione, tramite un meccanismo da definirsi in una futura comunicazione.

7.2

Per approfondire lo scambio e la trasmissione reciproca di informazioni tra gli operatori e le istituzioni europee, la Commissione propone una procedura di monitoraggio e dialogo articolata in rapporti biennali.

7.3

In questo contesto, il CESE ricorda di aver proposto la creazione di un osservatorio indipendente per la valutazione dei servizi di interesse generale di carattere economico e non economico, composto da rappresentanti del Parlamento europeo e del Comitato delle regioni e da esponenti della società civile organizzata rappresentata presso il Comitato economico e sociale europeo.

7.4

Le autorità pubbliche dovranno coinvolgere tutti i soggetti nazionali, regionali e locali — prestatori e beneficiari di servizi sociali, parti sociali, organismi dell'economia sociale e di lotta all'esclusione ecc. — nella regolamentazione dei servizi di interesse generale in tutte le sue fasi, vale a dire nell'organizzazione, nella determinazione e nel monitoraggio del rapporto costo/efficacia e nell'applicazione di norme di qualità.

7.5

Tale osservatorio dovrebbe prevedere un consiglio direttivo incaricato di definire gli obiettivi e i capitolati d'oneri delle valutazioni, selezionare gli organismi incaricati di realizzare gli studi, esaminare le relazioni presentate e formulare un parere in merito. Esso dovrebbe essere affiancato da un comitato scientifico incaricato di esaminare la metodologia adottata e, all'occorrenza, di formulare raccomandazioni in materia. Il consiglio direttivo dovrebbe inoltre assicurare che i rapporti di valutazione vengano presentati e discussi pubblicamente in tutti gli Stati membri insieme a tutte le parti interessate: a questo fine dovrebbero essere a disposizione nelle diverse lingue di lavoro dell'Unione.

Bruxelles, 15 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. COM(2006) 177 def., punto 1.2, terzo trattino.

(2)  Così, ad esempio, nella comunicazione sui servizi generali del 20 settembre 2000 (COM (2000) 580 def.) la Commissione scriveva che «stando alla giurisprudenza della Corte di giustizia, molte attività esercitate da enti le cui funzioni sono principalmente sociali, che non realizzano profitti e non si prefiggono di svolgere un'attività industriale o commerciale, sono di norma escluse dall'applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza e di mercato interno» (punto 30), mentre nella comunicazione del 26 aprile 2006 si legge che «la quasi totalità dei servizi prestati nel settore sociale deve essere ritenuta 'un'attività economica' conformemente agli articoli 43 e 49 del trattato CE.»

Si veda anche il parere del CESE sul tema I servizi sociali privati senza scopo di lucro nel contesto dei servizi d'interesse generale in Europa (GU C 311 del 7.11.2001, pag. 33).

(3)  Cfr. parere del CESE sul tema I servizi d'interesse generale (GU C 241 del 7.10.2002, pag. 119);

parere del CESE in merito al Libro verde sui servizi di interesse generale (GU C 80 del 30.3.2004, pag. 66);

parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Libro bianco sui servizi di interesse generale (GU C 221 del 8.9.2004, pag. 17);

parere del CESE sul tema Il futuro dei servizi di interesse generale (GU C 309 del 16.12.2006, pag. 135).


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 1.3

Sostituire il testo:

« In tale prospettiva il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, invece di soffermarsi su una rischiosa distinzione che si va peraltro evolvendo tra carattere economico o non economico di un servizio di interesse generale, si debbano considerare la natura del servizio, le sue funzioni e i suoi obiettivi e stabilire quali servizi rientrino nel campo d'applicazione delle norme sulla concorrenza e sul mercato interno e quali invece, per ragioni di interesse generale e di coesione sociale, territoriale ed economica, debbano esserne esentati, conformemente al principio di sussidiarietà, dalle autorità pubbliche comunitarie, nazionali, regionali o locali. I servizi non possono esulare dal campo d'applicazione delle norme sulla concorrenza e sul mercato interno semplicemente per ragioni di principio. La concorrenza, che è volta ad agevolare il completamento del mercato unico basato sulle regole dell'economia di mercato ed è soggetta alle norme antitrust, costituisce un diritto democratico sostanziale; essa limita non soltanto il potere dello Stato, ma anche e soprattutto l'abuso di posizione dominante, e tutela i diritti del consumatore. Inoltre, la concorrenza e le regole di mercato interno nell'UE consentono di accogliere la natura non commerciale dei SSIG. La garanzia del diritto universale ai servizi sociali è essenziale. »

Motivazione

Come evidenziato a più riprese nel parere, in particolare al punto 6.5, i SSIG sono contraddistinti da tradizioni storiche diverse e da una grande varietà di situazioni, regole e prassi locali, regionali o nazionali. Il gruppo Datori di lavoro, in accordo con la posizione espressa dal Parlamento europeo, ritiene pertanto che l'intervento comunitario più appropriato consisterebbe nell'adozione di raccomandazioni od orientamenti, che rispetterebbero appieno i principi chiave della sussidiarietà e della proporzionalità: un quadro legislativo comunitario vincolante per i SSIG imporrebbe un unico modello uguale per tutti, che è semplicemente incompatibile con i SSIG. Una direttiva, che di certo si baserebbe sul principio del minimo comune denominatore, non fornirebbe alcuna garanzia in termini di qualità o di accesso ai servizi per gli utenti, né costituirebbe un qualunque passo avanti per il mercato interno. Viceversa, l'adozione di una raccomandazione consentirebbe di chiarire gli obblighi connessi ai SIG di cui tener conto nell'applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 82

Voti contrari: 91

Astensioni: 12

Punto 1.4

Modificare come segue:

«Occorre quindi definire a livello comunitario riferimenti e norme principi e valori comuni che valgano per tutti i servizi di interesse generale (siano essi di tipo economico o non economico), compresi quelli sociali, e inserirli in una direttiva quadro raccomandazioni od orientamenti comunitari, da adottarsi in codecisione, che introduca introducano una disciplina comunitaria adatta alle loro specificità.»

Motivazione

Come evidenziato a più riprese nel parere, in particolare al punto 6.5, i SSIG sono contraddistinti da tradizioni storiche diverse e da una grande varietà di situazioni, regole e prassi locali, regionali o nazionali. Il gruppo Datori di lavoro, in accordo con la posizione espressa dal Parlamento europeo, ritiene pertanto che l'intervento comunitario più appropriato consisterebbe nell'adozione di raccomandazioni od orientamenti, che rispetterebbero appieno i principi chiave della sussidiarietà e della proporzionalità: un quadro legislativo comunitario vincolante per i SSIG imporrebbe un unico modello uguale per tutti, che è semplicemente incompatibile con i SSIG. Una direttiva, che di certo si baserebbe sul principio del minimo comune denominatore, non fornirebbe alcuna garanzia in termini di qualità o di accesso ai servizi per gli utenti, né costituirebbe un qualunque passo avanti per il mercato interno. Viceversa, l'adozione di una raccomandazione consentirebbe di chiarire gli obblighi connessi ai SIG di cui tener conto nell'applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 81

Voti contrari: 94

Astensioni: 10

Punto 1.6

Modificare come segue:

«Per quanto riguarda la valutazione, il CESE ricorda in questo contesto la sua proposta di creare un osservatorio indipendente per la valutazione dei servizi di interesse generale di tipo economico e non economico il suo impegno nei confronti del principio di valutazione e propone di sostenere la procedura proposta dalla Commissione con la creazione di una rete informale , composto composta da rappresentanti del Parlamento europeo e del Comitato delle regioni e da esponenti della società civile organizzata rappresentata presso il CESE. A livello nazionale, regionale e locale le autorità pubbliche devono associare alla regolamentazione dei servizi sociali di interesse generale tutti i soggetti che prestano servizi sociali o ne beneficiano, le parti sociali, gli organismi dell'economia sociale e di lotta all'esclusione, ecc.»

Motivazione

Come evidenziato a più riprese nel parere, in particolare al punto 6.5, i SSIG sono contraddistinti da tradizioni storiche diverse e da una grande varietà di situazioni, regole e prassi locali, regionali o nazionali. Il gruppo Datori di lavoro, in accordo con la posizione espressa dal Parlamento europeo, ritiene pertanto che l'intervento comunitario più appropriato consisterebbe nell'adozione di raccomandazioni od orientamenti, che rispetterebbero appieno i principi chiave della sussidiarietà e della proporzionalità: un quadro legislativo comunitario vincolante per i SSIG imporrebbe un unico modello uguale per tutti, che è semplicemente incompatibile con i SSIG. Una direttiva, che di certo si baserebbe sul principio del minimo comune denominatore, non fornirebbe alcuna garanzia in termini di qualità o di accesso ai servizi per gli utenti, né costituirebbe un qualunque passo avanti per il mercato interno. Viceversa, l'adozione di una raccomandazione consentirebbe di chiarire gli obblighi connessi ai SIG di cui tener conto nell'applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 85

Voti contrari: 93

Astensioni: 11

Punto 6.7

Modificare come segue:

«Come il CESE chiede ormai da anni, occorre quindi definire a livello comunitario riferimenti e norme comuni (in particolare per quanto riguarda le modalità di gestione e di finanziamento, i principi e i limiti dell'azione comunitaria, la valutazione indipendente delle prestazioni, i diritti dei consumatori e degli utenti e uno zoccolo minimo di compiti e obblighi di servizio pubblico) che valgano per tutti i servizi di interesse generale, compresi i SSIG, e inserirli in una direttiva quadro raccomandazioni od orientamenti comunitari , da adottarsi in codecisione, che introduca una disciplina comunitaria adatta alle loro specificità in modo da completare la direttiva sui servizi

Motivazione

Come evidenziato a più riprese nel parere, in particolare al punto 6.5, i SSIG sono contraddistinti da tradizioni storiche diverse e da una grande varietà di situazioni, regole e prassi locali, regionali o nazionali. Il gruppo Datori di lavoro, in accordo con la posizione espressa dal Parlamento europeo, ritiene pertanto che l'intervento comunitario più appropriato consisterebbe nell'adozione di raccomandazioni od orientamenti, che rispetterebbero appieno i principi chiave della sussidiarietà e della proporzionalità: un quadro legislativo comunitario vincolante per i SSIG imporrebbe un unico modello uguale per tutti, che è semplicemente incompatibile con i SSIG. Una direttiva, che di certo si baserebbe sul principio del minimo comune denominatore, non fornirebbe alcuna garanzia in termini di qualità o di accesso ai servizi per gli utenti, né costituirebbe un qualunque passo avanti per il mercato interno. Viceversa, l'adozione di una raccomandazione consentirebbe di chiarire gli obblighi connessi ai SIG di cui tener conto nell'applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 84

Voti contrari: 99

Astensioni: 7

Punto 6.10

Modificare come segue:

«Il CESE caldeggia l'adozione di un apposito quadro giuridico comune ai servizi sociali e sanitari di interesse generale, nell'ambito di un approccio globale basato su una direttiva quadro applicabile a tutti i SIG raccomandazioni od orientamenti comunitari. Ciò dovrebbe consentire di assicurare un'adeguata stabilità giuridica e trasparenza a livello comunitario, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà e in particolare delle competenze degli enti locali e regionali nella definizione dei compiti e nella gestione e nel finanziamento di tali servizi. I principi contenuti in tale quadro giuridico tali raccomandazioni od orientamenti comunitari dovrebbero informare le posizioni adottate dall'UE nei negoziati commerciali internazionali.»

Motivazione

Come evidenziato a più riprese nel parere, in particolare al punto 6.5, i SSIG sono contraddistinti da tradizioni storiche diverse e da una grande varietà di situazioni, regole e prassi locali, regionali o nazionali. Il gruppo Datori di lavoro, in accordo con la posizione espressa dal Parlamento europeo, ritiene pertanto che l'intervento comunitario più appropriato consisterebbe nell'adozione di raccomandazioni od orientamenti, che rispetterebbero appieno i principi chiave della sussidiarietà e della proporzionalità: un quadro legislativo comunitario vincolante per i SSIG imporrebbe un unico modello uguale per tutti, che è semplicemente incompatibile con i SSIG. Una direttiva, che di certo si baserebbe sul principio del minimo comune denominatore, non fornirebbe alcuna garanzia in termini di qualità o di accesso ai servizi per gli utenti, né costituirebbe un qualunque passo avanti per il mercato interno. Viceversa, l'adozione di una raccomandazione consentirebbe di chiarire gli obblighi connessi ai SIG di cui tener conto nell'applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 78

Voti contrari: 97

Astensioni: 10

Punti 7.3, 7.4 e 7.5

Sostituire il testo:

«In questo contesto, il CESE ricorda di aver proposto la creazione di un osservatorio indipendente per la valutazione dei servizi di interesse generale di carattere economico e non economico, composto da rappresentanti del Parlamento europeo e del Comitato delle regioni e da esponenti della società civile organizzata rappresentata presso il Comitato economico e sociale europeo.

Le autorità pubbliche dovranno coinvolgere tutti i soggetti — prestatori e beneficiari di servizi sociali, parti sociali, organismi dell'economia sociale e di lotta all'esclusione ecc. — a livello nazionale, regionale e locale nella regolamentazione dei servizi di interesse generale in tutte le sue fasi, vale a dire nell'organizzazione, nella determinazione e nel monitoraggio del rapporto costo/efficacia e nell'applicazione di norme di qualità.

Tale osservatorio dovrebbe prevedere un consiglio direttivo incaricato di definire gli obiettivi e i capitolati d'oneri delle valutazioni, selezionare gli organismi incaricati della realizzazione degli studi, esaminare le relazioni presentate e formulare un parere in merito. Esso dovrebbe essere affiancato da un comitato scientifico incaricato di esaminare la metodologia adottata e, all'occorrenza, di formulare raccomandazioni in materia. Il consiglio direttivo dovrebbe inoltre assicurare che i rapporti di valutazione vengano presentati e discussi pubblicamente in tutti gli Stati membri insieme a tutte le parti interessate: a questo fine dovrebbero essere resi disponibili nelle diverse lingue di lavoro dell'Unione.»

«Il CESE propone di sostenere la procedura suggerita dalla Commissione con la creazione di una rete informale. Il CESE svolgerebbe un ruolo attivo in questa rete composta di parti sociali e di altre organizzazioni della società civile. Esso promuoverebbe uno scambio di esperienze e di informazioni sulle buone prassi, soprattutto tramite un forum su Internet.»

Motivazione

Il gruppo Datori di lavoro sostiene il principio di promuovere gli scambi di informazioni e di valutare i SIG. È contrario invece all'attuale proposta di introdurre ulteriori procedure farraginose e burocratiche sotto forma di un osservatorio indipendente.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 88

Voti contrari: 99

Astensioni: 5


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/89


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Mantenere l'Europa in movimento — Una mobilità sostenibile per il nostro continente — Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea

COM(2006) 314 def.

(2007/C 161/23)

La Commissione, in data 22 giugno 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BARBADILLO LÓPEZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 3 voti contrari e 24 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La situazione generale, nel cui contesto era stato elaborato il Libro bianco sui trasporti del 2001, si è evoluta in maniera assai diversa rispetto alle previsioni; la crescita economica inferiore al previsto, il prezzo del petrolio in forte aumento, la dimensione continentale conferita all'UE dall'allargamento, i nuovi sviluppi tecnologici alla base della trasformazione dei trasporti in un settore ad alta tecnologia, la costante minaccia terroristica e l'evoluzione della ripartizione modale rendono necessario un riorientamento della politica dei trasporti.

1.2

Gli obiettivi generali della politica dei trasporti restano tuttavia invariati: una mobilità competitiva e sostenibile di persone e merci, che sia sicura e tuteli gli utenti, sia rispettosa dell'ambiente e offra una più elevata qualità dell'occupazione. Questi obiettivi sono pienamente in linea con l'agenda di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione, ma non coincidono ancora del tutto con gli obiettivi a lungo termine della strategia riveduta per lo sviluppo sostenibile e con la sfida posta dal cambiamento climatico. In particolare, il riesame non definisce ancora una strategia coerente a lungo termine per la realizzazione del primo obiettivo del trasporto sostenibile, che è fissato nella strategia riveduta per lo sviluppo sostenibile, vale a dire quello di «dissociare crescita economica e domanda di trasporti».

1.2 (a)

Pur approvando tutte le misure proposte dalla Commissione affinché i vari modi di trasporto siano più efficienti dal punto di vista energetico e producano meno carbonio, il Comitato si chiede se questo sarà, alla fine, sufficiente a realizzare la riduzione di tutte le emissioni di carbonio che l'Europa deve conseguire entro la metà di questo secolo. Sollecita pertanto la Commissione ad avviare immediatamente studi sui tipi di misure che possano rivelarsi necessarie per ottenere una diminuzione della domanda complessiva di trasporto a lungo termine. In tale contesto le misure di adattamento dovrebbero prevedere anche segnali di prezzo appropriati e una riformulazione delle politiche di pianificazione urbanistica e territoriale al fine di incoraggiare un approvvigionamento di beni e servizi di ogni tipo effettuato in misura maggiore a livello locale, e con l'obiettivo di ridurre la dipendenza di persone e merci da trasporti a raggio sempre più ampio. Tra tali misure vi dovrebbero essere anche quelle volte a considerare le modalità da utilizzare per aprire un più ampio dibattito pubblico su questi temi e a esplorare con quali modalità le persone e le imprese responsabili possano contribuire al meglio alla sostenibilità di lungo periodo attraverso le loro decisioni di trasporto e spostamento e attraverso il loro comportamento.

1.3

Il territorio dell'UE è molto differenziato e presenta caratteristiche orografiche, territoriali e demografiche molto diverse; vi coesistono paesi centrali, caratterizzati da un alto grado di congestione e da traffico intenso, e territori periferici molto estesi, dove le infrastrutture non sono sottoposte a questa pressione costante. Il Comitato sottolinea la necessità di incorporare nella politica dei trasporti un approccio geograficamente differenziato.

1.4

Il CESE è favorevole all'obiettivo del Libro bianco riveduto, vale a dire l'ottimizzazione di tutti i modi di trasporto, singolarmente e in combinazione tra loro, adeguando le possibilità specifiche di ciascuno di essi per realizzare sistemi di trasporto meno inquinanti e più efficienti, che garantiscano la mobilità sostenibile delle persone e delle merci.

1.5

Il CESE ritiene necessario migliorare l'interoperabilità tra i modi di trasporto e aumentare il livello di competitività dei trasporti ferroviari, marittimi e fluviali in maniera da accrescerne l'efficacia e l'efficienza e al fine di aumentarne la quota nella ripartizione modale e garantirne la sostenibilità economica a lungo termine. Reputa inoltre che i poteri pubblici possano promuovere il coordinamento tra i diversi modi.

1.6

Il Comitato raccomanda che si tenga conto del servizio di trasporto pubblico collettivo interurbano su strada come strumento per raggiungere gli obiettivi perseguiti dalla Commissione, quali la riduzione della congestione del traffico, dell'inquinamento, del consumo di carburanti e l'aumento della sicurezza stradale; questo in considerazione della sua elevata capacità di trasporto e al fine di aumentare decisamente il ruolo del trasporto pubblico rispetto all'utilizzo del veicolo privato.

1.7

Il trasporto aereo ha registrato una crescita notevole negli ultimi dieci anni in seguito all'apertura del mercato, però l'applicazione non omogenea del terzo pacchetto nei vari Stati membri e le limitazioni esistenti nel mercato interno stanno provocando distorsioni della concorrenza. Occorre pertanto migliorare il funzionamento del mercato interno.

1.8

L'assenza di un mercato interno del trasporto marittimo impedisce all'UE di ottimizzare la regolamentazione del traffico interno e semplificare in tal modo il commercio intracomunitario, con tutte le conseguenze negative che questo comporta sull'integrazione di tale modo di trasporto nelle catene modali interne.

1.9

Il settore dei trasporti è uno dei grandi datori di lavoro dell'UE, però la mancanza di personale sta comportando un aumento di assunzioni di lavoratori provenienti da paesi terzi. Per questo motivo è necessario intensificare gli sforzi al fine di migliorare, tra i giovani, la formazione, l'immagine e la qualità del lavoro nelle professioni legate ai trasporti, e le parti sociali devono svolgere un ruolo di rilievo a questo riguardo.

1.10

La politica comune dei trasporti deve continuare ad influire sull'armonizzazione tecnica, fiscale e sociale, per ciascun modo in particolare e per l'insieme dei modi, allo scopo di favorire la creazione di un quadro di riferimento caratterizzato da una reale parità delle condizioni di concorrenza.

1.11

Aumentare la qualità del servizio è essenziale per far sì che i modi di trasporto risultino attraenti agli occhi dell'utente. Il Comitato accoglie con soddisfazione l'attenzione che, nel riesame intermedio del Libro bianco, si presta ai diritti degli utenti di tutti i modi di trasporto, e in particolare alle persone a mobilità ridotta, pur tenendo conto delle particolarità di ciascun modo.

1.12

La protezione dei modi di trasporto deve essere un obiettivo prioritario. Per questo motivo sarebbe necessario estendere le misure di sicurezza a tutti i modi di trasporto e alle loro infrastrutture, evitando tuttavia i controlli inutili, salvaguardando i diritti umani e rispettando la vita privata degli utenti.

1.13

Il settore dei trasporti è un grande consumatore di energia proveniente dai combustibili fossili. Deve essere pertanto prioritario ridurre la dipendenza da queste fonti energetiche e diminuire le emissioni di CO2. A questo fine è necessario elaborare un programma di ricerca, sviluppo e innovazione specifico per il settore dei trasporti, che sia dotato di risorse finanziarie adeguate e consenta di potenziare l'utilizzo delle energie alternative, soprattutto in ambito urbano, e di avviare una politica di differenziazione, specie in materia fiscale, volta ad agevolare l'integrazione e l'utilizzo di nuove tecnologie rispettose dell'ambiente.

1.14

Le infrastrutture costituiscono la rete fisica necessaria per lo sviluppo del mercato interno dei trasporti, e la loro ottimizzazione deve rispondere a due sfide: ridurre la congestione del traffico e aumentare l'accessibilità, attraverso la mobilitazione di tutte le fonti di finanziamento.

1.15

L'infrastruttura di trasporto, specie nelle aree urbane, dovrebbe servire allo sviluppo del trasporto pubblico. Nella politica di investimento occorre limitare gradualmente lo spazio concesso al trasporto automobilistico individuale.

2.   Introduzione e proposta della Commissione

2.1

Il Libro bianco sui trasporti, pubblicato nel 1992 dalla Commissione e intitolato Lo sviluppo futuro della politica comune dei trasporti  (1), aveva come obiettivo precipuo quello di creare il mercato unico dei trasporti, facilitando in generale la mobilità attraverso l'apertura del mercato stesso. Dopo dieci anni gli obiettivi in linea generale erano stati raggiunti, con l'eccezione del settore ferroviario.

2.2

Nel settembre del 2001 la Commissione europea ha pubblicato un nuovo Libro bianco intitolato La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte  (2), in cui si proponevano 60 misure volte a creare un equilibrio tra i modi di trasporto, eliminare le strozzature, porre gli utenti al centro della politica dei trasporti e gestire gli effetti della globalizzazione.

2.3

Per accelerare il ritmo delle decisioni e verificare i progressi compiuti, nel Libro bianco del 2001 veniva stabilito un meccanismo di revisione in base al quale la Commissione doveva presentare un calendario con una serie di scadenze legate ad obiettivi precisi, tracciare un bilancio globale, nel 2005, dell'attuazione delle misure indicate nel Libro bianco e apportare quindi le eventuali modifiche. Il risultato di questo processo è la comunicazione della Commissione oggetto del presente parere.

2.4

L'approccio adottato nel riesame intermedio del Libro bianco si basa, tra l'altro, sul riorientamento della domanda di trasporti verso modi più rispettosi dell'ambiente, soprattutto nei trasporti sulle lunghe distanze, nelle aree urbane e lungo i corridoi congestionati. Allo stesso tempo, tutti i modi di trasporto devono diventare più ecologici, sicuri ed efficienti dal punto di vista energetico.

2.5

La comunicazione della Commissione Mantenere l'Europa in movimentoUna mobilità sostenibile per il nostro continente è stata elaborata sulla base del processo di consultazione svoltosi nel 2005. Tale consultazione ha evidenziato il ruolo centrale dei trasporti per la crescita economica e la necessità di dare nuovi orientamenti alle politiche in materia.

2.6

Gli obiettivi generali della politica dei trasporti restano invariati: una mobilità competitiva e sostenibile di persone e merci, che sia sicura, tuteli gli utenti, migliori la qualità dell'occupazione e sia rispettosa dell'ambiente. Questi obiettivi sono pienamente compatibili con l'agenda di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione e con la strategia riveduta per lo sviluppo sostenibile.

2.7

L'innovazione è presentata come uno degli strumenti più importanti per raggiungere questi obiettivi, attraverso la realizzazione di sistemi di trasporto intelligenti che utilizzano le tecnologie di comunicazione, di motori più avanzati dal punto di vista tecnologico per consentire una maggiore efficienza energetica e mediante la promozione e l'impiego di carburanti alternativi.

2.8

Il punto chiave del riesame intermedio del Libro bianco è tuttavia la co-modalità, vale a dire l'uso efficiente dei vari modi di trasporto, singolarmente e in combinazione tra loro, grazie alla quale «le risorse disponibili saranno utilizzate in modo ottimale e sostenibile». Questo approccio rappresenta la garanzia migliore per conseguire allo stesso tempo un livello elevato di mobilità e di protezione dell'ambiente.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE conferma e ribadisce le posizioni espresse nel suo parere del 19 giugno 2002 in merito al Libro bianco che, insieme alle osservazioni relative al riesame intermedio, non possono che puntare chiaramente, data l'evoluzione del settore dei trasporti e della situazione economica, politica e sociale dell'Unione, all'adeguamento immediato e efficace della politica comune dei trasporti ai cambiamenti avvenuti nel periodo considerato e ai prevedibili sviluppi futuri.

3.2

Il Comitato sostiene inoltre le politiche volte a sfruttare maggiormente il potenziale tecnologico per ottenere soluzioni innovative che contribuiscano direttamente alle priorità europee in materia di competitività, sicurezza, ambiente e affari sociali.

3.3

Lo scenario è molto diverso da quello che si prevedeva al momento dell'elaborazione del Libro bianco sui trasporti nel 2001, e questo in termini di crescita economica inferiore alle aspettative, tensioni geopolitiche, aumento del prezzo del petrolio, effetti dell'allargamento dell'UE, globalizzazione, nuovi sviluppi tecnologici, costante minaccia terroristica ed evoluzione della ripartizione modale. La comunicazione della Commissione si prefigge di adattare la politica dei trasporti dell'UE alla situazione che deve costituire il quadro di riferimento dello sviluppo e delle politiche future.

3.4

Il riesame intermedio del Libro bianco del 2001 non è riconducibile soltanto al nuovo scenario descritto, ma risponde anche alla necessità di portare avanti le politiche di trasporto dell'UE che figurano nel Libro bianco stesso. Il riesame di quest'ultimo deve influire con pari intensità su una politica dei trasporti volta ad ottimizzare tutti i modi, attraverso processi che li rendano più competitivi, sostenibili, socialmente proficui, rispettosi dell'ambiente e sicuri, con una sostenibilità basata sulla loro stretta relazione con il progresso e la crescita economica, e sul necessario coordinamento tra i diversi modi che può essere promosso dai poteri pubblici.

3.5

Nel riesame intermedio figura inoltre l'auspicabile subordinazione del settore dei trasporti, nell'ambito del concetto di «trasporto sostenibile», al tema dell'ambiente, e ciò in misura analoga per tutti i modi di trasporto. Va tuttavia segnalato che negli studi su trasporto e ambiente, riportati dalla Commissione nella terza parte dell'allegato II della comunicazione, non viene operata alcuna distinzione tra i vari modi per quanto riguarda il trasporto su strada, separando per esempio i dati relativi all'utilizzo del trasporto pubblico da quelli riguardanti i mezzi privati, al fine di usarli come paradigma delle conseguenze negative che soprattutto l'uso intensivo e illimitato dell'automobile ha, tra l'altro, sulla congestione, la sicurezza, l'inquinamento e i consumi energetici.

3.6

Di fronte alla continuità di questa politica dei trasporti, il CESE ritiene che occorra difendere una posizione più realistica, vale a dire:

a)

vanno snelliti i processi normativi per creare sistemi di navigazione marittima e di trasporto ferroviario basati su una concorrenza regolata, come mezzo per rafforzarne l'efficacia e l'efficienza;

b)

gli effetti del trasporto su strada, derivanti dalla congestione del traffico e dall'inquinamento, la cui causa principale sono i veicoli privati, insieme alla crescita inarrestabile prevista dalla stessa Commissione per il periodo 2000-2020, devono essere oggetto di misure specifiche volte a risolvere questi problemi, al fine di ridurre l'impatto negativo di tale crescita (nuove infrastrutture, tecnologie, ecc.);

c)

il trasporto pubblico collettivo di passeggeri è essenziale per raggiungere i risultati perseguiti da tali politiche;

d)

si deve determinare in maniera precisa l'impatto dei veicoli commerciali di peso inferiore alle 3,5 tonnellate sulla sicurezza, l'ambiente, le condizioni di lavoro e l'economia.

3.7

Risulta pertanto necessario potenziare l'efficacia e l'efficienza del trasporto marittimo, fluviale e ferroviario, rafforzando le condizioni che consentono a tali settori di essere competitivi, attraverso il potenziamento del coordinamento e dell'intermodalità, con le misure necessarie affinché il trasporto su strada possa continuare a prestare i propri servizi a livelli adeguati di flessibilità e prezzo.

3.8

A parere del Comitato gli studi effettuati finora non sono soddisfacenti in quanto essi non si occupano direttamente dell'obiettivo fondamentale della strategia per lo sviluppo sostenibile riveduta, vale a dire quello consistente nel dissociare la crescita economica dalla domanda di trasporto. Inoltre, essi non esaminano a fondo le implicazioni della sfida del cambiamento climatico e delle riduzioni di emissioni di CO2 che saranno necessarie nei prossimi 50 anni. Data la rapida crescita della mobilità negli ultimi 50 anni, e il fatto che manifestamente continua la richiesta di una crescita ancora maggiore di mobilità (sia in Europa sia, ancora di più, nei paesi in via di sviluppo), il Comitato ha forti dubbi sulla possibilità che semplicemente grazie alla promozione di una maggiore efficienza energetica nei vari modi di trasporto e all'ottimizzazione dell'equilibrio tra di essi — per quanto desiderabili siano tutti questi obiettivi — si arriverà a ottenere le riduzioni di emissioni di carbonio nel settore dei trasporti necessarie per evitare la catastrofe climatica. Il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe urgentemente avviare studi riguardanti il tipo di misure che possono essere necessarie per scoraggiare la crescita di una domanda di mobilità ancora più spinta. Queste dovrebbero includere segnali di prezzo appropriati e politiche di pianificazione urbanistica e territoriale tali da incoraggiare un approvvigionamento di beni e servizi di ogni tipo effettuato in misura maggiore a livello locale per andare incontro alle esigenze delle persone senza che queste siano costrette a percorrere distanze sempre maggiori per soddisfarle. Tra tali misure vi dovrebbero essere anche quelle volte a considerare le modalità da utilizzare per aprire un più ampio dibattito pubblico su questi temi e a esplorare con quali modalità le persone e le imprese responsabili possano contribuire al meglio alla sostenibilità di lungo periodo attraverso le loro decisioni di trasporto e spostamento e attraverso il loro comportamento.

3.9

La politica dei trasporti deve puntare sulla qualità, la sicurezza, l'ambiente, e l'efficacia del trasporto e garantire all'utente la possibilità di scelta dei modi di trasporto. I trasporti devono raggiungere dei livelli di copertura sostenibili dal punto di vista economico e sociale, senza dimenticare, eventualmente, gli obblighi di servizio pubblico e il diritto alla mobilità sancito nei Trattati.

3.10

La distribuzione della popolazione nell'UE è molto diseguale. Se la media è pari a 116 abitanti per km2, la densità abitativa varia dai 374 abitanti per km2 nei Paesi Bassi a un valore compreso tra i 15 e i 21 nei paesi nordici. Anche la percentuale di popolazione urbana rispetto alla popolazione nazionale totale differisce da uno Stato all'altro: a fronte di una media europea dell'80 %, la percentuale di abitanti negli agglomerati urbani varia dal 97,2 % in Belgio al 59,9 % in Grecia. Va inoltre sottolineata la problematica legata all'esistenza di utenti dipendenti dai mezzi di trasporto nelle zone rurali.

3.11

Il CESE desidera evidenziare la necessità di introdurre nella politica dei trasporti un approccio differenziato sul piano geografico, dato che l'UE è un territorio molto diversificato in termini di caratteristiche orografiche, territoriali, demografiche, ecc., in cui coesistono paesi centrali, caratterizzati da aree con alti livelli di congestione e forte traffico, e territori periferici molto estesi o territori rurali non sottoposti a questa pressione costante sulle infrastrutture. I due modelli richiedono un trattamento distinto e specifico nell'ambito della politica comune dei trasporti.

3.12

A questa problematica si aggiunge quella dei paesi periferici, che sono lontani dai grandi centri di popolazione e di produzione, e devono far fronte a costi di trasporto, e quindi anche di produzione e di commercializzazione, più elevati, dovuti all'impatto negativo dell'ubicazione periferica. Il CESE ritiene pertanto che il miglioramento dell'accessibilità debba essere uno strumento prioritario per rafforzare la capacità competitiva di un paese o di una regione e per migliorare la coesione territoriale.

3.13

Sia la comunicazione della Commissione che il Libro bianco sui trasporti del 2001 dovrebbero essere più circostanziati, dato che a) le analisi di tipo economico-finanziario e di bilancio legate alle problematiche che la Commissione ritiene siano da affrontare non sono chiare; b) la politica dei trasporti non assegna alla concorrenza regolata il ruolo da protagonista che le attribuisce la Commissione stessa; c) negli studi ambientali e di altro genere sarebbe necessario analizzare con maggior precisione la suddivisione per modi e categorie di trasporti, allo scopo di analizzare gli effetti e le eventuali misure correttive.

Il CESE ritiene necessario avviare delle azioni di concertazione mirate a definire, una volta esaminati i problemi, delle iniziative per dotare l'UE, in futuro, di un sistema di trasporti coeso e sostenibile.

3.14

Nella comunicazione della Commissione si sottolinea che la maggioranza delle misure previste nel Libro bianco sono già state adottate o proposte, e che gli effetti previsti sono descritti e valutati nell'allegato 3, il quale non figura nella comunicazione. Il CESE chiede che al documento si alleghi un elenco dettagliato, organizzato in ordine cronologico, delle misure adottate e del loro impatto, oppure si indichi espressamente l'indirizzo Internet dove è pubblicato tale elenco.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Al fine di effettuare un'analisi sistematica della comunicazione sul riesame intermedio del Libro bianco del 2001, verranno esposti di seguito, seguendo la struttura della comunicazione in esame, gli aspetti di carattere generale in merito ai quali il CESE considera necessario apportare contributi costruttivi.

4.2   Mobilità sostenibile nel mercato interno — collegare gli europei

4.2.1

La Commissione afferma che «il mercato interno dell'UE è il principale strumento disponibile per promuovere un settore dei trasporti dinamico capace di incentivare la crescita e l'occupazione. Come hanno dimostrato l'aviazione e altri settori come quello delle telecomunicazioni, il processo di liberalizzazione del mercato interno stimola l'innovazione e gli investimenti a fornire servizi migliori a un prezzo inferiore. Questi risultati possono essere ottenuti per l'intero settore dei trasporti». Nel trasporto aereo, questo si è tradotto in una maggiore possibilità di scelta per l'utente e in tariffe più basse.

4.2.2

Trasporto stradale: per analizzare con obiettività il problema del trasporto su strada è necessario operare una differenziazione per modo e per categoria, dato che la maggior parte dei trasporti comunitari avviene su strada, modo che rappresenta il 44 % del totale dei trasporti di merci e l'85 % di quello di passeggeri. Nell'UE gli autoveicoli (3) sono così distribuiti: 212.000.000 veicoli privati, 30.702.000 camion, 25.025.000 veicoli a due ruote, e 719.400 autobus e pullman. Queste cifre mostrano chiaramente la causa fondamentale dei notevoli problemi di congestione e ambientali.

4.2.2.1

Nella comunicazione si dimentica il trasporto collettivo interurbano su strada, compromettendo così gravemente la possibile soluzione consistente nel trasferire viaggiatori dal veicolo privato a questo modo di trasporto, il che comporterebbe vantaggi e risparmi di ogni genere in materia di sicurezza, ambiente, utilizzo del suolo, flessibilità, ecc. Il CESE ritiene che si dovrebbe tenere conto di questo modo di trasporto per raggiungere gli obiettivi perseguiti. A questo fine è necessario elaborare una normativa che consenta lo sviluppo della concorrenza regolata, in modo tale che si possano istituire dei servizi di trasporto regolare interurbano su strada, la cui creazione dovrà essere sottoposta alle regole di pubblicità e di concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea.

4.2.2.2

La Commissione sta valutando come ridurre i divari eccessivi esistenti tra i vari livelli di tassazione dei carburanti per il trasporto stradale, invece di affrontare questo problema da una prospettiva globale con l'attuazione di una politica fiscale comune per tutti i modi di trasporto che non penalizzi nessun modo rispetto a un altro, al fine di assicurare parità di trattamento.

4.2.3

Trasporto ferroviario: dal 1970 ad oggi la quota di mercato delle ferrovie è passata dal 10 % al 6 % del traffico di passeggeri e dal 21 % all'8 % di quello di merci. I treni merci internazionali attraversano l'UE a una velocità media di 18 chilometri all'ora. Le sfide principali cui devono far fronte le ferrovie sono la competitività con gli altri modi, l'interoperabilità dei vari sistemi e la specializzazione di questo modo di trasporto per filiere merceologiche.

4.2.3.1

Il CESE ritiene che aumentare la competitività del trasporto ferroviario sia l'unica maniera per far sì che questo modo raggiunga i livelli di efficienza ed efficacia auspicati, e pertanto per aumentarne la domanda, recuperandone così la redditività a lungo termine. Questo implica una revisione approfondita di tutto l'acquis in materia e la sua applicazione nei vari Stati membri.

4.2.3.2

Tuttavia, come già affermato nel parere in merito al Libro bianco sui trasporti del 2001 (4), il CESE è favorevole all'applicazione del principio di «concorrenza regolata» ai servizi di interesse economico generale, com'è il caso del trasporto collettivo su rotaia e su strada, i quali, come indica l'articolo 16 del Trattato che istituisce la Comunità europea, svolgono un ruolo essenziale nella promozione della coesione sociale e territoriale.

4.2.4

Trasporto aereo: il quadro normativo per la liberalizzazione, creato con i regolamenti (CEE) n. 2407/92, 2408/92 e 2409/92 (il cosiddetto «terzo pacchetto» di liberalizzazione del mercato interno dell'aviazione), ha favorito la trasformazione dei servizi di trasporto aereo, che sono divenuti più efficienti e più accessibili. Tuttavia, l'applicazione non omogenea delle disposizioni del terzo pacchetto nei vari Stati membri e il perdurare di restrizioni sui servizi aerei infracomunitari causano distorsioni della concorrenza (per esempio diversità di requisiti per il rilascio delle licenze di esercizio, trattamento discriminatorio nei collegamenti con i paesi terzi, discriminazione tra vettori a seconda della nazionalità, ecc.). È pertanto necessario riesaminare il funzionamento del mercato interno e realizzare i necessari adeguamenti per eliminare eventuali distorsioni, nonché completare il quadro normativo sul Cielo unico europeo che renderà più efficace il trasporto aereo nell'UE.

4.2.5

Trasporto marittimo: oltre il 90 % dei trasporti effettuati tra l'Europa e il resto del mondo passa per dei porti marittimi, e il 40 % dei trasporti intraeuropei è effettuato via mare. Il trasporto marittimo, in particolare quello a corto raggio (short sea shipping), ha registrato un aumento simile al trasporto di merci su strada, e presenta grandi possibilità di sviluppo, data l'estensione del litorale europeo dopo l'allargamento. Il CESE ritiene che la Commissione debba effettuare il monitoraggio dei flussi marittimi e adottare le misure necessarie per adattarsi a questa evoluzione (5).

4.2.5.1

L'inesistenza di un mercato interno dei trasporti marittimi, dovuta al fatto che i viaggi per mare tra due Stati membri sono considerati esterni per via delle normative internazionali, impedisce all'UE di ottimizzare la regolamentazione del traffico interno e semplificare il commercio intracomunitario, e ha inoltre un impatto negativo sull'integrazione di questo modo nelle catene intermodali interne.

4.2.5.2

Il CESE ritiene che una migliore integrazione dei servizi portuali costituisca una premessa indispensabile per elaborare e attuare una politica comune dei trasporti marittimi, che contribuirà allo sviluppo delle cosiddette «autostrade del mare» e al potenziamento del trasporto marittimo a corto raggio, rendendo questo modo di trasporto marittimo più efficiente e competitivo all'interno della catena logistica, fatto che, a sua volta, contribuirà a rafforzare la mobilità sostenibile.

4.3   Mobilità sostenibile per il cittadino — trasporto affidabile, sicuro e protetto

4.3.1

Condizioni di lavoro: il settore dei trasporti è uno dei principali datori di lavoro dell'UE (rappresenta il 5 % dei posti di lavori totali), però con livelli di occupazione in via di stabilizzazione. La mancanza di personale qualificato registrato in alcuni settori, come il trasporto ferroviario o stradale, sta comportando un aumento della manodopera proveniente da paesi terzi. Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità di intensificare gli sforzi per migliorare la formazione e la qualità dell'occupazione per i lavoratori di questo settore, al fine di rendere più attraenti le professioni legate ai trasporti e motivare i giovani a optare per questo settore.

4.3.1.1

Per raggiungere questi obiettivi sarà necessario elaborare dei programmi di formazione, guidati dalle parti sociali, conformi alle caratteristiche e alle esigenze di ciascun modo di trasporto (formazione iniziale e continua), e dotati di finanziamenti adeguati.

4.3.1.2

Per quanto riguarda la normativa sociale dei trasporti su strada, occorre salvaguardare la parità di trattamento tra i lavoratori sia dipendenti che autonomi: per questo motivo, la direttiva 2002/15/CE, dell'11 marzo 2002, concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, deve essere applicata immediatamente ai lavoratori autonomi, senza attendere la fine del periodo transitorio previsto, dato che l'obiettivo perseguito dalla direttiva è quello di assicurare la sicurezza stradale, evitare distorsioni della concorrenza e promuovere migliori condizioni di lavoro.

Per gli stessi motivi di cui sopra sarebbe necessario includere, nelle varie normative relative al trasporto di merci su strada, i veicoli commerciali di peso inferiore alle 3,5 tonnellate che effettuano trasporti professionali.

4.3.2

Diritti dei passeggeri: è essenziale rafforzare i diritti degli utenti per migliorare la qualità del servizio nei vari modi di trasporto (ad esempio, in termini di frequenza, puntualità, comodità per tutte le categorie di utenti, sicurezza, acquisto di biglietti senza rischio di overbooking, politica tariffaria e rimborsi, ecc.). Il Comitato raccomanda di realizzare questo rafforzamento al più presto, tenendo però sempre conto delle caratteristiche specifiche di ciascun modo, specie di quelli che devono condividere le stesse infrastrutture.

4.3.2.1

Il Comitato accoglie con favore la particolare attenzione che il riesame del Libro bianco presta all'accesso e alle condizioni di trasporto per le persone a mobilità ridotta. Desidera tuttavia segnalare che le condizioni di accesso riguardano non soltanto i modi di trasporto, ma anche le infrastrutture, siano esse di trasporto aereo, marittimo, fluviale, ferroviario o su strada, e i problemi particolari che i trasbordi pongono a queste persone.

4.3.3

Sicurezza: l'introduzione di un vasto insieme di norme ha avuto come risultato un miglioramento della sicurezza in tutti i modi di trasporto, in particolare nel trasporto aereo e in quello marittimo, come è avvenuto con la redazione di una lista nera delle compagnie aeree non sicure e con la creazione di agenzie europee per tutti i modi di trasporto (Agenzia europea per la sicurezza marittima, AESM; Agenzia europea per la sicurezza aerea, AESA; Agenzia ferroviaria europea, AFE), salvo che per il trasporto su strada. Per raggiungere l'obiettivo proposto di dimezzare gli incidenti stradali è quindi necessario elaborare una politica comune della sicurezza stradale, nel quadro della quale venga stabilito un regime comune di classificazione delle infrazioni e delle sanzioni, e venga definita una «patente a punti europea», che consenta la deduzione di punti per ogni infrazione commessa in qualsiasi Stato membro dell'Unione.

4.3.3.1

Non va tuttavia dimenticato che anche il progresso tecnico, la nuova progettazione dei veicoli, la cooperazione veicolo-infrastruttura (la cosiddetta «eSafety») e il miglioramento delle infrastrutture attraverso l'eliminazione dei punti critici, o punti neri, sono tutti elementi che contribuiranno a migliorare la sicurezza stradale.

4.3.3.2

Il CESE desidera segnalare la necessità di differenziare le statistiche sui sinistri a seconda del modo di trasporto, specie per quei modi che comprendono i veicoli privati, dato che sono questi ultimi a registrare la percentuale più elevata di incidenti.

4.3.4

Protezione: dopo gli eventi dell'11 settembre 2001 è stata rafforzata la sicurezza del trasporto aereo. Il Comitato considera che, dopo gli attentati di Madrid e di Londra e data la costante minaccia terroristica, la protezione di tutti i mezzi e di tutte le infrastrutture debba essere un obiettivo prioritario dell'Unione. Per questo è necessario estendere le norme di sicurezza a tutti i modi di trasporto e alle catene intermodali. Nell'attuare tutti i controlli e le norme di sicurezza si dovrà tuttavia evitare di effettuare operazioni inutili e costose e si dovranno salvaguardare i diritti umani e tutelare la vita privata degli utenti.

4.3.5

Trasporti urbani: la Commissione propone la pubblicazione di un Libro verde sul trasporto urbano, che dovrà avere come strategia prioritaria la promozione dei trasporti collettivi e includere un catalogo delle buone pratiche. Inoltre, come il Comitato ha già affermato nel parere in merito al Libro bianco sui trasporti del 2001, sarà necessario realizzare dei nuovi investimenti e dei piani di trasporto volti a migliorare la qualità del trasporto pubblico nei grandi agglomerati urbani congestionati, sulla falsariga dell'iniziativa Civitas, del progetto Transurban (6) e della Strategia tematica per l'ambiente urbano (7). A tal fine sarà necessario prevedere maggiori risorse finanziarie provenienti dai fondi europei, sempre nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, dato che il trasporto urbano è per natura una competenza degli enti locali e regionali. Queste misure saranno tuttavia incomplete se non si attua una politica dei trasporti urbani che consenta e agevoli l'integrazione dell'iniziativa privata nella prestazione dei servizi urbani di trasporto collettivo di passeggeri, integrazione che contribuirà a liberare e ottimizzare le risorse pubbliche.

4.4   Trasporti ed energia

4.4.1

I trasporti sono uno dei settori che consumano più energia; rappresentano infatti circa il 70 % del consumo totale di petrolio dell'UE, ed è il trasporto stradale a registrare i consumi più elevati di questa fonte energetica (60 %), a causa soprattutto delle dimensioni del parco di veicoli privati, pari a oltre 465 autovetture per 1.000 abitanti. Il trasporto aereo rappresenta circa il 9 % del consumo totale di petrolio e quello ferroviario all'incirca l'1 %. Una concorrenza equa tra i vari modi di trasporto richiede una tassazione omogenea del consumo di petrolio. Per questo motivo occorre esaminare la possibilità di sopprimere l'esenzione fiscale per il carburante per aerei.

4.4.2

Ridurre la dipendenza dai combustibili fossili deve essere pertanto una priorità, insieme alla diminuzione delle emissioni di CO2. Per raggiungere questi obiettivi (la Commissione stima per il settore dei trasporti un potenziale di risparmio energetico entro il 2020 pari al 26 % (8)), è necessario elaborare un programma di ricerca, sviluppo e innovazione dotato delle risorse necessarie e in grado di potenziare l'utilizzo delle energie alternative (9), specie nell'ambito del trasporto urbano di superficie.

4.4.3

Per promuovere lo sfruttamento dei nuovi sviluppi tecnologici che consentano di ridurre le emissioni di CO2 e la dipendenza dal petrolio è necessaria una politica dei trasporti differenziata, soprattutto in ambito fiscale, che favorisca l'acquisizione e l'utilizzo di nuove tecnologie capaci di ridurre l'inquinamento e aumentare il risparmio energetico, nonché la creazione di un carburante specifico per i servizi di trasporto pubblico, soggetto a una fiscalità ridotta applicabile esclusivamente a questa categoria di veicoli meno inquinanti (Euro IV e, in futuro, Euro V), analogamente a quanto è stato fatto per altri modi di trasporto. L'approccio alle questioni ambientali non dovrà essere basato su penalizzazioni fiscali, bensì sull'esatto contrario: occorre premiare i trasporti che integrano le nuove tecnologie volte a diminuire l'inquinamento e risparmiare energia.

4.5   Ottimizzazione delle infrastrutture

4.5.1

Le reti transeuropee di trasporto forniscono l'infrastruttura fisica per lo sviluppo del mercato interno dei trasporti, però il loro sviluppo non è omogeneo in tutta l'UE e non tutte le infrastrutture presentano problemi di congestione.

4.5.2

Il Comitato è favorevole all'idea di catene logistiche co-modali, che rappresentano una soluzione più efficiente al problema dei corridoi congestionati, dando la possibilità di ottimizzare l'uso delle infrastrutture di trasporto all'interno dei singoli modi di trasporto e fra di essi, come accade ad esempio con i tunnel transalpini, i corridoi ferroviari e i nodi intermodali di trasporto.

4.5.3

È necessario insistere sul problema della perifericità o ultraperifericità di certe regioni e certi paesi. Affinché queste zone lontane dal centro dell'UE possano beneficiare appieno del mercato interno è indispensabile completare le reti transeuropee di trasporto nei tempi previsti, e per fare questo occorrerà aumentare i fondi assegnati in bilancio dall'UE per la costruzione di tali reti, specie di quelle riguardanti i collegamenti transfrontalieri più congestionati (la Commissione menziona l'esempio della permeabilità dei Pirenei/collegamenti Spagna-Francia e Alpi). In sintesi, una migliore accessibilità comporta una più forte competitività, nonché maggiori aspettative di sviluppo regionale.

4.5.4

Oltre agli aumenti delle dotazioni di bilancio menzionati, l'Unione europea deve puntare decisamente sulla promozione di sistemi di finanziamento misto per la fornitura di infrastrutture, offrendo stabilità e garanzie giuridiche per la partecipazione di capitali privati nella costruzione e nello sfruttamento di infrastrutture di trasporto.

4.6   Mobilità intelligente

4.6.1

Come si è affermato in precedenza, i sistemi intelligenti di trasporto contribuiscono a garantire un uso più efficiente e razionale delle infrastrutture, riducendo così gli incidenti e le congestioni, e a proteggere l'ambiente.

4.6.2

Il sistema europeo di navigazione satellitare Galileo, che sarà in funzione dal 2010, offrirà future applicazioni per tutti i modi di trasporto, quali: l'automobile intelligente (10), che promuove l'utilizzo delle nuove tecnologie nei veicoli; il programma SESAR, che contribuirà a migliorare la gestione del traffico aereo nel Cielo unico europeo; e il sistema ERMTS, che aumenterà l'interoperabilità fra le reti ferroviarie nazionali.

4.6.3

Il CESE sostiene pienamente l'approccio basato sulla co-modalità, quale risposta dei trasporti al fenomeno della globalizzazione e all'apertura dei mercati mondiali. Per sviluppare tale approccio sarà necessario adattare le infrastrutture per dare impulso a collegamenti che garantiscano la continuità del trasporto ed evitino ritardi e interruzioni nella catena logistica. La promozione della co-modalità consentirà di potenziare tutti i modi di trasporto, specie quelli eventualmente sottoutilizzati.

4.7   La dimensione globale

4.7.1

Il CESE ribadisce quanto già affermato nel suo parere sul Libro bianco del 2001 (11), vale a dire che la politica dei trasporti a livello internazionale è un elemento ulteriore della politica commerciale e, per alcuni aspetti, della politica estera e di sicurezza comune (PESC). Per tale motivo ritiene che la Commissione europea debba avere, in quest'ambito, le competenze attribuitele dal Trattato in materia di negoziazione degli accordi commerciali internazionali, affinché, agendo su mandato del Consiglio, rappresenti l'intera Unione in materia di trasporti presso tutti gli organismi internazionali competenti nell'ambito delle politiche dei trasporti, e abbia la facoltà di negoziare, a nome degli Stati membri, accordi in materia con paesi terzi.

4.7.2

Allo stesso tempo, il Comitato ritiene che sia fondamentale effettuare una semplificazione delle procedure doganali per far sì che, senza compromettere la qualità del servizio (12), esse non incidano negativamente sul suo costo, e garantire, attraverso accordi mirati, come l'accordo di Schengen o altri accordi successivi, il rispetto dei principi che limitano la creazione di frontiere interne nell'UE.

Bruxelles, 15 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Comunicazione della Commissione — Lo sviluppo futuro della politica comune dei trasportiUna strategia globale per la realizzazione di un quadro comunitario atto a garantire una mobilità sostenibile (COM(92) 494 def. del 2.12.1992).

(2)  Libro biancoLa politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte (COM(2001) 370 def. del 12.9.2001).

(3)  Energy and transport in figures 2005, direzione generale Energia e trasporti della Commissione.

(4)  GU C 241 del 7.10.2002.

(5)  Cfr. il parere di iniziativa del CESE sul tema La futura accessibilità dell'Europa via mare: anticipare gli sviluppi (GU C 157 del 28.6.2005).

(6)  Il progetto Transurban (sviluppo di sistemi di trasporto per la regione urbana) è sostenuto dall'UE nel quadro del programma di cooperazione interregionale Interreg III.

(7)  Cfr. comunicazione della Commissione relativa ad una Strategia tematica sull'ambiente urbano (COM(2005) 718 def. dell'11.1.2006).

(8)  Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità (COM(2006) 545 def.).

(9)  Cfr. parere di iniziativa del CESE sul tema Sviluppo e promozione dei carburanti alternativi per il trasporto stradale nell'Unione europea (GU C 195 del 18.8.2006, pag. 75).

(10)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'iniziativa «automobile intelligente»«Sensibilizzazione all'uso delle TIC per dei veicoli più intelligenti, più sicuri e più puliti» (COM(2006) 59 def.).

(11)  GU C 241 del 7.10.2002.

(12)  Cfr. parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione doganale nella Comunità (Dogana 2013) (GU C 324 del 30.12.2006, pag. 78).


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il testo che figura qui di seguito contenuto nel progetto di parere riveduto è stato eliminato sulla base di un emendamento adottato dall'Assemblea plenaria, ma ha ottenuto un numero di voti pari almeno a un quarto dei voti espressi:

Punto 4.6.4

In relazione alla logistica del trasporto merci, il CESE propone di sostituire le restrizioni temporanee alla circolazione stabilite dalle autorità nazionali con limitazioni coordinate dall'Unione, per le quali si rende necessario adottare una normativa comunitaria in materia. Tale misura deve essere coordinata con l'indicazione di una rete stradale transeuropea minima che, non essendo soggetta a queste restrizioni, assicuri la realizzazione senza interruzioni del trasporto su gomma.

Esito della votazione:

Voti favorevoli all'emendamento: 82 Voti contrari all'emendamento: 72 Astensioni: 9


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente un programma comunitario di etichettatura relativa ad un uso efficiente dell'energia per le apparecchiature per ufficio

COM(2006) 576 def. — 2006/0187 (COD)

(2007/C 161/24)

Il Consiglio, in data 19 ottobre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, primo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore VOLES.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 83 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore il nuovo accordo concluso con gli USA per prolungare di altri cinque anni il coordinamento dei programmi di etichettatura Energy Star per un uso efficiente dell'energia. Esprime inoltre apprezzamento per gli sforzi della Commissione volti a introdurre specifiche tecniche più rigorose per le apparecchiature per ufficio, in linea con i progressi tecnologici e all'insegna di una maggiore flessibilità. Condivide la proposta di procedere alla rifusione del regolamento (CE) n. 2422/2001 per adeguare il programma comunitario Energy Star al nuovo accordo. Desidera tuttavia formulare le osservazioni che seguono.

1.2

Mentre negli USA la registrazione nella banca dati del programma Energy Star è una condizione indispensabile per la partecipazione agli appalti pubblici, il testo in esame si limita a proporre che negli appalti pubblici di apparecchiature per ufficio venga incentivato l'uso di requisiti di efficienza energetica non meno rigorosi di quelli previsti dal programma Energy Star. Il CESE propone che il rispetto dei requisiti del programma Energy Star sia reso più vincolante in tutti gli appalti pubblici di apparecchiature per ufficio.

1.3

Nell'UE esistono diversi programmi di etichettatura relativa all'efficienza energetica, ad esempio il marchio di qualità ecologica, la progettazione ecocompatibile e molte etichette nazionali. La Commissione ha cercato di creare una qualche forma di coordinamento tra i diversi programmi di etichettatura vigenti nell'UE, senza tuttavia ottenere risultati tangibili. Il CESE chiede alla Commissione un coordinamento più efficiente dei programmi di etichettatura per evitare di confondere i consumatori.

1.4

Poiché il logo Energy Star è ancora poco noto al pubblico, il CESE chiede che venga mantenuto l'obbligo per la Commissione e gli Stati membri di pubblicizzarlo e consentire a finanziarne la promozione tramite gli specifici programmi per l'efficienza energetica, come ad esempio il programma Energia intelligente — Europa e la Campagna europea per l'energia sostenibile.

1.5

Il CESE chiede che si riesamini la composizione del comitato della Comunità europea per il programma (Energy Star European Community Energy Star Board — ECESB), l'organo consultivo della Commissione per il programma in questione, includendovi rappresentanti di tutti gli Stati membri e rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali interessate.

1.6

Il CESE chiede alla Commissione di sostenere maggiormente lo sviluppo tecnologico per il miglioramento dell'efficienza energetica delle apparecchiature per ufficio tramite il Settimo programma quadro e altri programmi a favore della scienza, della ricerca e dell'innovazione.

1.7

La Commissione e gli Stati membri dovrebbero monitorare l'idoneità dei prodotti alla registrazione effettuando i necessari controlli e verifiche e pubblicando i risultati, positivi o negativi che siano, capaci di rafforzare la credibilità dell'etichetta Energy Star.

2.   Introduzione

2.1

La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente un programma comunitario di etichettatura relativa ad un uso efficiente dell'energia per le apparecchiature per ufficio costituisce una rifusione del regolamento (CE) n. 2422/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001 (1), che stabilisce norme precise per l'etichettatura relativa ad un uso efficiente dell'energia per le apparecchiature per ufficio (compresi computer, schermi, stampanti, fotocopiatrici e fax) recanti il logo Energy Star. L'Unione europea ha aderito al programma Energy Star, entrato in vigore negli USA dal 1992 ed esteso poi ad altri paesi, tramite un accordo concluso con gli USA il 19 dicembre 2000. Il CESE ha adottato il proprio parere in merito al succitato regolamento nel 2000 (2).

2.2

La Commissione è stata designata ente gestore responsabile dell'attuazione del programma Energy Star. Il regolamento (CE) n. 2422/2001 ha inoltre creato l'ECESB, organo consultivo composto da rappresentanti di produttori, esperti, commercianti, consumatori e ambientalisti degli Stati membri, con il compito di valutare l'attuazione del programma e proporre nuove specifiche tecniche per ridurre il consumo di energia delle apparecchiature per ufficio.

2.3

Nella comunicazione del 27 marzo 2006 sull'attuazione del programma Energy Star nella Comunità europea nel periodo 2001-2005, la Commissione ha proposto di rinnovare l'accordo con gli USA sul programma Energy Star, scaduto nel giugno 2006, per altri cinque anni, in base alle motivazioni seguenti:

l'efficienza energetica è uno dei maggiori pilastri dell'energia sostenibile, così come la definisce la Commissione nel Libro verde sull'efficienza energetica,

le apparecchiature per ufficio rappresentano una grossa quota, peraltro in costante aumento, del consumo di energia elettrica nel settore dei servizi e dell'utenza domestica,

il programma Energy Star offre uno strumento per coordinare gli sforzi della Comunità e degli Stati membri in vista di una migliore efficienza energetica,

fornendo inoltre un quadro per il coordinamento degli sforzi europei con quelli intrapresi allo stesso fine da USA, Giappone, Corea e altri mercati importanti,

è ipotizzabile che la maggior parte dei produttori si adeguerà ai requisiti tecnici stabiliti dal programma Energy Star, il che dovrebbe contribuire a una notevole riduzione del consumo energetico dell'intero settore,

il carattere volontario del programma rappresenta un valido complemento all'etichettatura energetica obbligatoria dei prodotti sancita dalle direttive 92/75/CE e 2005/32/CE sull'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile, e porta maggiore trasparenza nel mercato.

2.4

Il nuovo accordo, approvato dal Consiglio il 18 dicembre 2006 e firmato a Washington il 20 dicembre 2006, prevede requisiti tecnici più severi per i prodotti. La principale novità è l'introduzione di specifiche in materia di consumo energetico non solo nel modo «veglia» (stand-by), ma anche in altri rilevanti modi di funzionamento, in particolare il modo «acceso» (on). L'allegato C comprende requisiti rigorosi e innovativi per computer, schermi e dispositivi grafici (fotocopiatrici, stampanti, scanner e fax), che, secondo le stime dell'ECESB, potrebbero contribuire a ridurre il consumo energetico di un massimo di 30 TWh nell'UE a 27 nel prossimo triennio.

2.5

Secondo l'ECESB il programma Energy Star dovrebbe essere attuato in modo più efficace nei prossimi cinque anni e consentire un più rapido adeguamento delle specifiche tecniche agli sviluppi tecnologici e alle trasformazioni del mercato. La semplificazione del programma dovrebbe tradursi in un risparmio di risorse sia per l'amministrazione comunitaria sia per gli Stati membri.

2.6

La proposta di regolamento in esame modifica i seguenti articoli del regolamento (CE) n. 2422/2001:

art. 6 — Promozione del logo. La Commissione propone di abolire l'obbligo per gli Stati membri e la Commissione di promuovere il logo, in quanto trattasi di un programma volontario la cui promozione è nell'interesse dei produttori,

art. 8 — La relazione sulla penetrazione nel mercato dei prodotti recanti l'etichetta Energy Star non sarà più elaborata dall'ECESB, ma data in appalto. Inoltre la Commissione non sarà più tenuta a informare il Consiglio e il Parlamento europeo delle attività dell'ECESB, in quanto tutte le informazioni saranno disponibili nel portale internet della Commissione dedicato al programma,

art. 10 — Piano di lavoro. La Commissione e l'ECESB elaboreranno congiuntamente un piano di lavoro triennale che verrà riesaminato almeno una volta l'anno e reso accessibile al pubblico,

art. 11 — Procedure preparatorie per il riesame dei criteri tecnici. La Commissione e l'ECESB potranno di loro iniziativa modificare l'accordo, in particolare le specifiche tecniche comuni. Vengono ridotti gli obblighi a carico dell'ECESB per quanto riguarda la revisione delle specifiche tecniche,

art. 13 — Attuazione. L'articolo viene abrogato non avendo gli Stati membri alcun obbligo di riferire alla Commissione.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore la decisione del Consiglio di proseguire il programma Energy Star e concludere un nuovo accordo di collaborazione con gli USA. Dato che le apparecchiature per ufficio sono sempre più numerose e che il loro uso è sempre maggiore, migliorarne l'efficienza energetica è il modo giusto per contenere l'aumento del consumo di energia elettrica. Il CESE sostiene pertanto gli sforzi della Commissione per introdurre nel nuovo accordo specifiche tecniche più rigorose, e in linea con i progressi tecnologici, per le varie categorie di apparecchiature per ufficio.

3.2

Nel suo parere sul regolamento (CE) n. 2422/2001, il Comitato sottolineava l'esigenza di aggiornare periodicamente l'accordo adeguando le specifiche in materia di efficienza energetica agli sviluppi tecnologici: questo requisito rimane valido anche per il nuovo programma Energy Star.

3.3

Mentre negli USA la registrazione nella banca dati del programma Energy Star è una condizione indispensabile per partecipare agli appalti pubblici, nell'UE non vi è alcun obbligo di questo tipo. Il Comitato è favorevole a che il regolamento imponga alla Commissione e alle istituzioni pubbliche degli Stati membri di applicare requisiti energetici almeno altrettanto rigorosi di quelli stabiliti dal programma Energy Star per le gare d'appalto finalizzate all'acquisto di attrezzature per ufficio, e si aspetta che la Commissione dia essa stessa il buon esempio applicando detti requisiti nei suoi appalti pubblici, compresi quelli aggiudicati nel quadro degli aiuti comunitari allo sviluppo.

3.4

Il programma comunitario Energy Star fa parte di una serie di programmi di etichettatura relativi all'efficienza energetica dei prodotti, molti dei quali riguardano anche le apparecchiature per ufficio: ad esempio, il marchio comunitario di qualità ecologica, la progettazione ecocompatibile e etichette nazionali come Nordic Swan nei paesi scandinavi, TCO in Svezia, Blauer Engel in Germania e altre ancora. La Commissione ha cercato di coordinare il programma Energy Star con altri sistemi di etichettatura comunitari, ma senza risultati tangibili. Il CESE chiede pertanto alla Commissione di adoperarsi per coordinare queste attività in modo più efficace al fine di comparare, concordare e utilizzare specifiche tecniche comuni che forniscano ai consumatori e agli utenti una visione più chiara delle norme energetiche ed ecologiche dei prodotti disponibili, e non li facciano perdere nel mare magnum delle etichette. Chiede alle autorità dei singoli Stati membri di esaminare attentamente, ove necessario, le specifiche del programma Energy Star.

3.5

Il primo accordo presupponeva la realizzazione di vaste e dinamiche attività promozionali per diffondere maggiormente il logo tra consumatori e utenti. Il CESE giudica insufficienti i risultati ottenuti in questo senso sia dalla Commissione che dagli Stati membri. Il logo resta infatti poco noto al pubblico e la sua presenza non influisce in realtà sulla scelta delle apparecchiature da ufficio acquistate: ciò a sua volta fa sì che i produttori siano meno inclini a curarne la promozione, cui non partecipano peraltro né i consumatori, né le associazioni delle imprese e dei datori di lavoro. Il CESE chiede pertanto che venga mantenuto l'obbligo per la Commissione e gli Stati membri di pubblicizzarlo e di intensificarne la promozione. Raccomanda di ammettere queste attività ai finanziamenti del programma Energia intelligente — Europa (EIE), della Campagna europea per l'energia sostenibile e di altri programmi.

3.6

Sul sito www.eu-energystar.org è disponibile un calcolatore d'energia che consente di quantificare a titolo esemplificativo il consumo di singole apparecchiature. Bisognerebbe tuttavia indurre i produttori a inserire i dati relativi alle specifiche del programma Energy Star nei manuali di istruzione, indicando come utilizzare il prodotto in modo da ottimizzarne l'efficienza energetica.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

L'attuale composizione dell'ECESB non assegna un'adeguata rappresentanza ai datori di lavoro, alle associazioni dei lavoratori, alle ONG interessate e a tutti gli Stati membri. Il Comitato chiede perciò alla Commissione di ripensare tale composizione per renderla più trasparente e quanto più rappresentativa possibile.

4.2

La Commissione dovrebbe sostenere maggiormente lo sviluppo di specifiche tecniche più rigorose in materia di efficienza energetica, anche attraverso programmi per la scienza, la ricerca e l'innovazione, e in modo particolare tramite il Settimo programma quadro.

4.3

In questo contesto occorre distinguere in maniera più netta tra il logo Energy Star delle apparecchiature più vecchie e quello delle apparecchiature conformi ai più severi criteri dell'allegato C del nuovo accordo. Alcuni dei sistemi di etichettatura indicano la data di adozione delle specifiche. Il Comitato raccomanda di discutere questo punto con gli interlocutori statunitensi.

4.4

La Commissione dovrebbe pubblicare periodicamente dati sul risparmio ottenuto con l'applicazione dei più rigorosi criteri del programma Energy Star alle apparecchiature per ufficio e fornire esempi specifici di risparmio energetico nel settore pubblico, nelle imprese e nell'utenza privata.

4.5

L'accordo Energy Star prevede che i partner controllino l'idoneità dei prodotti alla registrazione. Il regolamento dovrebbe perciò affidare alcuni compiti di controllo anche agli Stati membri e stabilire gli orientamenti di base da seguire nella loro esecuzione. Nessun documento della Commissione contiene informazioni sul controllo o sul monitoraggio dei prodotti registrati nella banca dati. Se esistono dati in materia, sarebbe bene metterli a disposizione sul sito web del programma, mentre se tali dati non esistono sarebbe utile testare le apparecchiature e pubblicare i risultati dei controlli effettuati. In caso contrario, si potrebbe nuocere alla credibilità del logo.

4.6

Il CESE raccomanda di mantenere l'obbligo originario per la Commissione di elaborare e presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio per monitorare l'efficienza energetica delle apparecchiature per ufficio e di proporre misure complementari prima che scadano i cinque anni di validità dell'accordo.

Bruxelles, 15 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU L 332 del 15.12.2001.

(2)  GU C 204 del 18.7.2000.


13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/100


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'applicazione di regole di concorrenza ai settori dei trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili (versione codificata)

COM(2006) 722 def. — 2006/0241 (COD)

(2007/C 161/25)

Il Consiglio, in data 12 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 171 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 81 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Introduzione

1.1

Nel contesto della cosiddetta «Europa dei cittadini» è estremamente importante semplificare e chiarire la legislazione comunitaria affinché risulti più comprensibile e accessibile al cittadino comune, offrendogli nuove possibilità di far valere i diritti che la normativa sancisce. Questo obiettivo non potrà essere realizzato fintanto che le innumerevoli disposizioni, modificate a più riprese e spesso in modo sostanziale, rimangono sparse, costringendo chi le voglia consultare a ricercarle sia nell'atto originario sia negli atti di modifica. L'individuazione delle norme vigenti richiede pertanto un notevole impegno di ricerca e di comparazione dei diversi atti. Per tale motivo è indispensabile codificare le disposizioni che hanno subito frequenti modifiche, se si vuole che la normativa comunitaria sia chiara e trasparente.

1.2

La proposta in esame si prefigge l'obiettivo di avviare la codificazione del regolamento (CEE) n. 1017/68 del Consiglio, del 19 luglio 1968, relativo all'applicazione di regole di concorrenza ai settori dei trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili. Il nuovo regolamento sostituisce i vari regolamenti oggetto della codificazione e ne preserva appieno la sostanza, limitandosi a riunire le norme in esse contenute e ad apportarvi le modifiche formali necessarie ai fini della codificazione.

2.   Osservazioni

2.1

Nonostante la proposta di regolamento in esame soddisfi a quanto indicato al punto 2, il Comitato economico e sociale europeo si chiede se l'attuale paragrafo 2 dell'articolo 5 non sia obsoleto. In effetti, il termine «entro sei mesi dalla data dell'adesione» ivi menzionato per i paesi elencati (Austria, Finlandia, Svezia e il successivo gruppo di 10 nuovi Stati membri) è già scaduto da tempo. Detto paragrafo 2 potrebbe aver ragion d'essere solo qualora le decisioni, le pratiche concordate o gli accordi considerati formassero ancora oggetto di esame o di dibattito da parte di un'istituzione europea, cosa che andrebbe comunque verificata preliminarmente.

2.2

In tal caso, però, sarebbe opportuno riprendere letteralmente il testo del paragrafo 1 dell'articolo 81 del Trattato, dato che non tutti gli accordi, bensì unicamente gli accordi «tra imprese», e non tutte le decisioni, bensì unicamente le decisioni «di associazioni di imprese», possono rientrare nel paragrafo 1 dell'articolo 81.

2.3

Il Comitato coglie l'occasione per far nuovamente presenti alle istituzioni europee i grandi malintesi politici che possono essere provocati dal fatto di raggruppare la navigazione marittima e la navigazione fluviale sotto la denominazione «navigazione per via navigabile», come previsto nel «Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti 2001-2010», nel Programma legislativo e di lavoro per il 2007 della Commissione europea, nel Programma della presidenza tedesca, compreso il Programma pluriennale delle presidenze tedesca, portoghese e slovena, o ancora nel dibattito in corso al Parlamento europeo sulla proposta della Commissione UE circa la responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente. Le vie navigabili interne e le navi adibite alla navigazione interna presentano un quadro giuridico completamente diverso da quello della navigazione marittima a corto o lungo raggio. Ad ogni modo, la proposta in esame fa riferimento ad un quadro giuridico corretto, segnatamente quello dei trasporti terrestri, comprendenti i trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili, nonché le relative combinazioni.

Bruxelles, 15 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS