ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 318

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

49o anno
23 dicembre 2006


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

429a Sessione plenaria del 14 settembre 2006

2006/C 318/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lo sviluppo sostenibile come forza trainante delle trasformazioni industriali

1

2006/C 318/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività

12

2006/C 318/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alla competitività europea, alle trasformazioni industriali e allo sviluppo del capitale sociale

20

2006/C 318/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I servizi e le industrie manifatturiere europee: i processi di interazione e l'impatto su occupazione, competitività e produttività

26

2006/C 318/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione COM(2006) 91 def. — 2006/0033 (COD)

38

2006/C 318/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'esercizio dei diritti di voto da parte degli azionisti di società aventi la sede legale in uno Stato membro e le cui azioni sono ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato e recante modifica della direttiva 2004/109/CE COM(2005) 685 def. — 2005/0265 (COD)

42

2006/C 318/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per la fornitura delle informazioni di base sulle parità di potere d'acquisto, nonché per il loro calcolo e la loro diffusione (presentata dalla Commissione) COM(2006) 135 def. — 2006/0042 (COD)

45

2006/C 318/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente un ambiente privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio COM(2005) 609 def. — 2005/0247 (COD)

47

2006/C 318/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Attuazione del programma comunitario di Lisbona: proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno e recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2000/12/CE e 2002/65/CE COM(2005) 603 def. — 2005/0245 (COD)

51

2006/C 318/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) COM(2005) 650 def. — 2005/0261 (COD)

56

2006/C 318/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione degli autoveicoli riguardo alle emissioni e all'ottenimento di informazioni sulla riparazione del veicolo e che modifica la direttiva 72/306/CEE e la direttiva …/…/CE COM(2005) 683 def. — 2005/0282 (COD)

62

2006/C 318/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il turismo sociale in Europa

67

2006/C 318/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche strutturali sulle imprese COM(2006) 66 def. — 2006/0020 (COD)

78

2006/C 318/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi COM(2006) 93 def. — 2006/0031 (COD)

83

2006/C 318/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ad una Strategia tematica sull'ambiente urbano COM(2005) 718 def. — SEC(2006) 16

86

2006/C 318/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche)

93

2006/C 318/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come far fronte alle sfide del cambiamento climatico — il ruolo della società civile

102

2006/C 318/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Smaltimento delle carcasse di animali e utilizzo di sottoprodotti animali

109

2006/C 318/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo a misure speciali in favore della bachicoltura (versione codificata) COM(2006) 4 def. — 2006/0003 (CNS)

114

2006/C 318/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/769/CEE per quanto riguarda le restrizioni alla commercializzazione di alcune apparecchiature di misura contenenti mercurio COM(2006) 69 def. — 2006/0018 (COD)

115

2006/C 318/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa al miglioramento della situazione economica dell'industria della pesca COM(2006) 103 def.

117

2006/C 318/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo al glucosio e al lattosio (versione codificata) COM(2006) 116 def. — 2006/0038 (CNS)

122

2006/C 318/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La società civile bielorussa

123

2006/C 318/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile

128

2006/C 318/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea

137

2006/C 318/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La partecipazione della società civile alla lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo

147

2006/C 318/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche

157

2006/C 318/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Accrescere la visibilità e l'efficacia della cittadinanza europea

163

2006/C 318/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 COM(2006) 92 def.

173

2006/C 318/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I corridoi paneuropei di trasporto 2004-2006

180

2006/C 318/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'approvvigionamento energetico dell'UE: strategia per un mix energetico ottimale

185

2006/C 318/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito ai seguenti documenti: — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera — COM(2005) 586 def. — 2005/0236 (COD), — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime — COM(2005) 587 def. — 2005/0237 (COD), — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al controllo da parte dello Stato di approdo — COM(2005) 588 def. — 2005/0238 (COD), — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione — COM(2005) 589 def. — 2005/0239 (COD), — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica le direttive 1999/35/CE e 2002/59/CE — COM(2005) 590 def. — 2005/0240 (COD), — Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente — COM(2005) 592 def. — 2005/0241 (COD), — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità civile e alle garanzie finanziarie degli armatori — COM(2005) 593 def. — 2005/0242 (COD)

195

2006/C 318/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive COM(2005) 646 def. — 2005/0260 (COD)

202

2006/C 318/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Programma Galileo: portare a buon fine l'insediamento dell'Autorità di vigilanza europea

210

2006/C 318/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione sulla promozione del trasporto sulle vie navigabili interne Naiades — Programma di azione europeo integrato per il trasporto sulle vie navigabili interne COM(2006) 6 def.

218

2006/C 318/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Colmare il divario nella banda larga COM(2006) 129 def.

222

2006/C 318/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 417/2002 sull'introduzione accelerata delle norme in materia di doppio scafo o di tecnologia equivalente per le petroliere monoscafo e abroga il regolamento (CE) n. 2978/94 del Consiglio COM(2006) 111 def. — 2006/0046 (COD)

229

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

429a Sessione plenaria del 14 settembre 2006

23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lo sviluppo sostenibile come forza trainante delle trasformazioni industriali

(2006/C 318/01)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Lo sviluppo sostenibile come forza trainante delle trasformazioni industriali.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIECKER e dal correlatore ČINČERA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 11 voti contrari e 11 astensioni.

Parte prima — Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Comitato

A.

Nel gennaio 2003 il CESE ha adottato un parere d'iniziativa intitolato Le trasformazioni industriali: situazione attuale e prospettive futureun approccio globale, con l'obiettivo di passare in rassegna le questioni più pressanti e le tendenze più marcate relative alle trasformazioni industriali e, inoltre, di mettere in luce il ruolo della CCMI e del suo futuro lavoro. Tra le materie di competenza affidate alla CCMI in questo contesto figuravano le seguenti:

«analizzare le trasformazioni industriali e le loro cause, da un punto di vista economico, sociale, territoriale e ambientale, nonché valutare l'impatto di tali trasformazioni sui vari settori, sulle aziende, sulla manodopera, sui territori e sull'ambiente,

cercare approcci comuni per favorire lo sviluppo sostenibile […].»

Il parere sottolineava anche la necessità di conciliare la competitività con lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale e territoriale nell'attuazione della strategia di Lisbona, e proponeva un concetto operativo di «trasformazioni industriali» in grado di inglobare sia i processi evolutivi che riguardano le imprese sia le interazioni tra le imprese e il contesto in cui operano.

Finora la CCMI si è concentrata essenzialmente sulla valutazione dell'impatto delle trasformazioni industriali sui vari comparti dell'industria, sulle aziende, sui lavoratori, sui territori e sull'ambiente. Il presente parere d'iniziativa intende esaminare in che modo lo sviluppo sostenibile possa fungere da catalizzatore per le trasformazioni industriali.

B.

Il parere di cui sopra giungeva alla conclusione che «le trasformazioni nel settore industriale europeo sono spesso state affrontate dal punto di vista della ristrutturazione. In realtà si tratta di un concetto molto più dinamico. Il mondo dell'impresa è strettamente legato al contesto politico e sociale europeo nel quale si sviluppa e che, a sua volta, influenza il processo di trasformazione industriale. Le trasformazioni industriali si realizzano principalmente in due forme: attraverso l'adattamento evolutivo e per cambiamenti radicali». L'obiettivo del presente parere d'iniziativa è precisamente quello di studiare come lo sviluppo sostenibile, così come definito da Brundtland (uno sviluppo che soddisfi i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro), possa fungere da catalizzatore per trasformazioni industriali progressive e proattive.

C.

Il parere fornisce essenzialmente esempi presi dal settore energetico e dai settori ad esso collegati, ma i processi descritti in questa sede possono essere applicati anche ad altri settori. Le ragioni alla base di questa scelta sono diverse:

la definizione di sviluppo sostenibile data da Brundtland comporta la necessità di spostarsi verso risorse naturali rinnovabili,

l'energia è una questione intersettoriale,

gli insegnamenti tratti dall'introduzione di nuove tecnologie in questo campo possono essere estrapolati e applicati ad altri settori,

i 25 Stati membri importano attualmente circa il 50 % del loro fabbisogno di petrolio e gas; questa percentuale potrebbe salire al 70 % entro il 2030, periodo in cui secondo la Commissione la maggioranza dei fornitori potrebbero trovarsi in «zone geopoliticamente insicure».

D.

Il momento in cui una particolare tecnologia diventa disponibile viene determinato dalla R&S. Il momento in cui essa viene realmente usata, invece, viene determinato dal mercato. La distanza tra i due momenti può essere inoltre influenzata dalla politica. Grazie ad un mix equilibrato di misure politiche (sovvenzioni, promozioni, misure fiscali), le imprese svedesi e giapponesi si sono ben presto impegnate, rispettivamente, nello sviluppo di pompe di calore e di pannelli solari. Anche grazie a questo approccio, questi paesi sono riusciti a conquistare una posizione dominante sul mercato.

E.

Il CESE ribadisce che i tre pilastri della strategia di Lisbona sono ugualmente importanti. Tuttavia si sottolinea spesso che le considerazioni ambientali e sociali trovano spazio solo nel contesto di un'economia sana e in crescita. Si tratta di una spiegazione della strategia troppo semplicistica, in quanto è vero anche il contrario: un'economia sana e in crescita non può esistere in un ambiente malato né in una società lacerata dal dissenso. Il Comitato accoglie con favore le azioni intraprese in questo campo, descritte nell'allegato 2 alla comunicazione della Commissione sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile (1).

F.

La sostenibilità non è soltanto un'opzione tra molte. È piuttosto l'unica linea di condotta possibile per garantire un futuro vivibile. Il concetto di sostenibilità è un concetto ampio, che non si limita all'ambiente e investe anche le questioni relative alla sostenibilità economica e sociale. La continuità di un'impresa è una forma di sostenibilità economica che può essere raggiunta al meglio mantenendo la redditività. L'Europa può fornire il suo contributo in tal senso rafforzando la competitività attraverso l'innovazione e stimolando le attività di ricerca e sviluppo attraverso una politica attiva e un mix di misure mirate (cfr. ad esempio la Svezia e il Giappone).

G.

Promuovere la sostenibilità sociale significa far sì che le persone vivano in modo sano e producano un reddito, garantendo nel contempo un livello ragionevole di sicurezza sociale a coloro che non sono in grado di fare altrettanto. Il CESE sostiene che l'Europa può dare un contributo in tal senso impegnandosi a costruire una società che consenta alle persone di mantenere le proprie qualificazioni professionali, offrendo loro un lavoro dignitoso in un ambiente sano e sicuro e in un contesto in cui vi sia spazio per i diritti dei lavoratori e un fruttuoso dialogo sociale.

H.

L'«ecoindustria» offre numerose opportunità di crescita economica, e sotto questo profilo l'Europa si trova in una posizione di forza in diversi settori. Per mantenere e sviluppare la propria forza e raggiungere una posizione analoga anche in altri settori, il CESE ritiene che l'Europa debba dimostrarsi più ambiziosa.

I.

Una politica industriale mirata allo sviluppo sostenibile può contribuire alla competitività di tutta l'economia europea, non solo dei nuovi settori emergenti, ma anche dei settori industriali tradizionali. Il CESE auspica che la Commissione appoggi tale politica. Gli esempi illustrati in questo parere dimostrano che meccanismi di aiuto ben congegnati (combinazione di incentivi fiscali, remunerazione garantita, promozione e regolamentazione), messi in pratica nel processo di introduzione di nuove tecnologie ambientali, possono contribuire a creare, proprio per queste tecnologie, un mercato in grado poi di svilupparsi autonomamente. Gli eventuali meccanismi di sostegno devono essere marcatamente degressivi: il costo degli aiuti di Stato non dovrebbe limitare la competitività internazionale delle altre industrie.

J.

Il CESE osserva che le sovvenzioni e gli incentivi non sono sempre efficaci e, se usati in maniera non corretta, possono comportare gravosi oneri finanziari e scarsi benefici per l'economia. Sovvenzioni e regolamentazioni dovrebbero aiutare a creare il mercato e ad avviarne lo sviluppo, fino a quando la tecnologia non sia abbastanza matura da consentire una sopravvivenza autonoma. I fattori cruciali di un sostegno efficace sono i seguenti:

la giusta durata nel tempo,

una definizione appropriata,

la degressività nel tempo,

l'annuncio anticipato,

la cooperazione tra Stato e settore privato.

K.

Lo sviluppo sostenibile, avendo una dimensione globale, non deve limitarsi al contesto europeo. La politica europea di sostenibilità dovrebbe essere dotata di strumenti tali da evitare che i posti di lavoro vengano delocalizzati in altre regioni. Per garantire condizioni di partenza uguali per tutti (level playing field) è necessario un duplice approccio: all'interno dell'UE da un lato e all'esterno dell'Unione dall'altro. Per quanto riguarda il primo, si dovrebbero introdurre strumenti appropriati per fare in modo che i costi sociali e ambientali derivanti da metodi di produzione non sostenibili all'interno dell'Unione europea vengano internalizzati nel prezzo dei prodotti, a sostegno dell'elemento chiave della relazione della Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione, cioè l'esortazione alla coerenza tra le politiche dell'OIL, dell'OMC, dell'FMI e della Banca mondiale (cfr. parere CESE 252/2005). In base a questa relazione l'UE dovrebbe fare il possibile nelle pertinenti sedi internazionali (in particolare nell'OMC) per inserire negli accordi internazionali sul commercio criteri di tipo non commerciale, quali ad esempio le norme sociali e ambientali fondamentali, con l'intento di agevolare il miglioramento delle politiche di sostenibilità dei concorrenti dell'Europa. Paesi quali gli Stati Uniti, l'India e la Cina hanno un vantaggio economico comparato rispetto all'Europa, in quanto non sono tenuti al rispetto degli obiettivi di riduzione di CO2 previsti dal protocollo di Kyoto. Tali accordi dovrebbero essere applicati su scala mondiale: il commercio può infatti essere veramente libero solo se è anche equo.

Parte seconda — Motivazione del parere

1.   Osservazioni di carattere generale

1.1

La nostra economia si fonda attualmente sulla disponibilità di energia e materie prime a basso costo. Le riserve però non sono illimitate: è questo, almeno in parte, il motivo per cui esse stanno diventando notevolmente più costose. Si rendono quindi necessarie tutte le possibili trasformazioni strutturali e tecnologiche, e l'Europa deve contribuire a realizzarle, per aiutare l'industria europea a far fronte alla sfida. I settori ad alto consumo di energia e di materie prime dovranno passare in futuro ad una produzione più sostenibile, per ridurre il ricorso alle risorse naturali. Questi settori continueranno infatti ad essere necessari, dato che il valore industriale si fonda proprio sulla produzione di materiali di base e semilavorati.

1.2

È necessario evitare che i concorrenti non UE che usano metodi di produzione meno sostenibili estromettano dal mercato le industrie europee ad alto consumo energetico che hanno introdotto processi produttivi sostenibili e nei sono competitivi sui mercati internazionali. Per evitare tutto questo è necessaria una cooperazione tra governo e società civile intesa a creare parità di condizioni tra i settori interessati.

1.3

La sfida più grande che ci si presenta è quella dello sviluppo di una società sostenibile che possa mantenere l'attuale livello di prosperità e nel contempo neutralizzare gli effetti collaterali negativi degli attuali schemi di consumo. Una delle condizioni principali consiste nell'imparare a rispondere ai bisogni energetici in maniera diversa, e nell'operare una transizione verso una nuova forma di produzione industriale.

1.4

La necessità di una transizione graduale ad un modello di società più sostenibile è indiscutibile. Le ragioni che sono alla base di quest'esigenza sono molteplici. Tra gli esperti non c'è identità di vedute circa il periodo di tempo durante il quale i combustibili fossili saranno ancora disponibili a prezzi ragionevoli, ma tutti concordano sul fatto che essi diventeranno sempre più rari e costosi. Inoltre, a causa delle nostre abitudini di consumo, ci troviamo di fronte ad una delle principali minacce del nostro tempo: il cambiamento climatico.

1.5

Idealmente, il modo migliore per arrestare questi processi sarebbe smettere di bruciare combustibili fossili come facciamo adesso. Nel breve termine, tuttavia, ciò è impossibile sia sotto il profilo politico che sotto quello economico. Dobbiamo adottare altri approcci: qualcosa deve cambiare, se non tanto rapidamente quanto vorremmo, almeno il più rapidamente possibile.

1.6

Applicando la cosiddetta «trias energetica» (2), un modello in base al quale è possibile stimolare, in tre fasi, l'uso efficiente dell'energia, è possibile, nel breve termine, cominciare a spostarsi verso un consumo e una produzione sostenibili. Le tre fasi sono le seguenti:

ridurre la domanda di energia, rendendo il consumo più efficiente,

utilizzare al massimo fonti di energia sostenibili e rinnovabili,

applicare tecnologie efficienti che consentano un uso più pulito del combustibile fossile rimanente.

1.7

È pertanto necessario un pacchetto di misure intese tanto a realizzare questi obiettivi quanto ad agevolare il passaggio ad una produzione industriale più sostenibile. Queste misure devono basarsi su un calcolo economico e strategico. Nel fare tali calcoli si giunge inevitabilmente a un momento in cui si impone una scelta tra interessi in conflitto. Tali conflitti non devono essere evitati. Indubbiamente esistono situazioni in cui tutti risultano vincenti (win-win situations) e le politiche dovrebbero sempre mirare a creare situazioni del genere, ma, nella pratica, ciò può rivelarsi molto difficile. In tal caso è necessario scegliere tra le opportunità di un cambiamento sostenibile e la protezione degli interessi in gioco, tenendo conto del naturale movimento di espansione e di declino di determinati settori rispetto ad altri. Tali interessi contrapposti dovrebbero essere chiaramente espressi e affrontati.

1.8

Il concetto di sostenibilità presuppone che gli aspetti economici, ambientali e sociali abbiano tutti la stessa importanza. Il presente parere:

si concentra prevalentemente sulle fonti energetiche rinnovabili e sugli sforzi diretti a conseguire l'efficienza energetica e delle materie prime (punti 2 e 3),

analizza le opportunità di sviluppo sostenibile in una serie di settori (punto 4),

affronta diversi aspetti sociali (punto 5).

2.   Fonti energetiche rinnovabili

2.1   Introduzione

2.1.1

Ogni anno la Terra assorbe tre milioni di exajoule (EJ) di energia solare. La riserva totale di combustibili fossili è pari a 300.000 EJ, cioè al 10 % dell'insolazione annua totale. Il consumo annuo totale di energia è di 400 EJ. I tre milioni di EJ di energia assorbita dalla Terra sono disponibili sotto forma di 90 EJ di energia idroelettrica, 630 EJ di energia eolica e 1.250 EJ di biomassa. Il resto è disponibile sotto forma di energia solare (3). Esiste pertanto energia sostenibile sufficiente per soddisfare i nostri bisogni. Il problema è la sua accessibilità.

2.1.2

Dato che, visti i costi e la mancanza di tecnologie adeguate, le fonti energetiche rinnovabili non potranno far fronte alla crescente domanda di energia nel breve termine, sarà necessario ricorrere ad altre fonti. I combustibili fossili potranno essere usati in maniera pulita, per esempio eliminando il CO2 e immagazzinandolo per evitarne il rilascio nell'atmosfera. La tecnologia di cattura e stoccaggio di CO2 è in pieno sviluppo: una dozzina di installazioni pilota sono già in fase di avvio o costruzione in Europa, America del Nord e Cina, e un bilancio positivo è atteso a partire dal 2015/2020.

2.1.3

La durata dei meccanismi di sostegno per il settore energetico è cruciale, dato che il ritiro prematuro del sostegno potrebbe mettere a rischio la nuova industria, e che, d'altra parte, un sostegno prolungato non è efficace. Poiché le attività di ricerca e sviluppo e le economie di scala abbassano il costo della tecnologia, il sostegno può essere eliminato gradualmente. Anche la corretta definizione del meccanismo di sostegno è di grande importanza. È infine importante che i meccanismi di sostegno vengano annunciati con anticipo in modo che le imprese abbiano il tempo di prepararsi alle nuove condizioni di mercato.

2.1.4

Come dimostrano il Libro verde dal titolo «Una strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura» (4) e le conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2006, il dibattito sull'energia nucleare sta diventando sempre più importante. Mentre in alcuni paesi la maggioranza è a favore dell'energia nucleare, in altri accade il contrario, soprattutto a causa del problema delle scorie (5). Ciononostante l'energia nucleare per molto tempo continuerà ad essere indispensabile per far fronte ad una domanda in forte crescita, dato che si tratta di una fonte energetica senza emissioni e che, rispetto alla quantità di energie generata, il volume delle scorie è relativamente basso. Nel lungo termine la fusione nucleare potrebbe fornire una soluzione agli svantaggi della fissione.

2.1.5

Va osservato che al trattamento delle fonti di energia idroelettriche non è dedicato un punto specifico, perché questa tecnologia (con l'eccezione dell'energia delle maree) è considerata pienamente sviluppata e perfettamente operativa. Non si vuole però in alcun modo sminuire la sua importanza nel contesto della sostenibilità.

2.2   Biomassa

2.2.1

La biomassa è materiale organico derivato da piante e alberi coltivati appositamente a fini energetici. Per produrla vengono usati legno e piante a crescita rapida, con un elevato rendimento per ettaro, nonché i sottoprodotti dell'agricoltura, soprattutto quelli alimentari, quali, ad esempio, la paglia e il colletto della barbabietola da zucchero. I flussi di biomassa possono essere ottenuti anche dagli scarti, ad esempio dai rifiuti delle piante e della loro potatura, o da quelli domestici, delle imprese e dell'industria. Alcuni esempi sono la frutta, la verdura, i rifiuti del giardinaggio, gli scarti del legname, le deiezioni liquide, la segatura e i gusci di cacao.

2.2.2

La biomassa può anche essere usata per sostituire parzialmente i combustibili fossili. Il consumo annuale di energia da combustibili fossili è pari a 400 EJ. La disponibilità annuale di energia da biomassa è pari a 1.250 EJ. Ciò non significa tuttavia che la transizione possa essere immediata. Sulla base della tecnologia disponibile è attualmente possibile produrre 120 EJ di energia da biomassa. L'attuale consumo mondiale di energia da biomassa è pari a 50 EJ (6). Un aumento limitato nell'uso di energia da biomassa per i combustibili è quindi impossibile nel breve termine, e per consentire lo sfruttamento di questo potenziale saranno necessarie innovazioni tecnologiche.

2.2.3

Diverse iniziative hanno dato risultati promettenti. Negli ultimi dieci anni in Austria l'uso della biomassa per il riscaldamento è aumentato di sei volte, e in Svezia di otto volte. Negli Stati Uniti oltre 8.000 MW della capacità produttiva installata sono prodotti grazie all'impiego della biomassa. In Francia il 5 % dell'energia usata per il riscaldamento viene prodotta dalla biomassa. In Finlandia la bioenergia rappresenta già il 18 % della produzione totale di energia, e si intende arrivare al 28 % entro il 2025. In Brasile l'etanolo viene prodotto su vasta scala come carburante per le auto, e attualmente rappresenta circa il 40 % dei carburanti diversi dal diesel (7).

2.2.4

Lo sviluppo della biomassa è importante sotto diversi aspetti:

a.

Politica ambientale: il ciclo di vita della biomassa in quanto materiale rinnovabile non incide sulle emissioni di CO2 e di SO2. Inoltre quando la biomassa viene usata su larga scala è possibile chiudere il ciclo minerale e quello dell'azoto.

b.

Politica agricola: in Europa diversi terreni agricoli sono stati ritirati dalla produzione. Si calcola che per la produzione di biomassa come fonte di materie prime e di energia potrebbero essere usati 200 milioni di ettari di terreno agricolo e da 10 a 20 milioni di ettari di terreni marginalmente produttivi. La necessità di una produzione agricola più estensiva va considerata sullo sfondo dell'esigenza di salvaguardare la ricchezza dei paesaggi europei, conseguire l'obiettivo dell'UE di arrestare la perdita di biodiversità e garantire che alla protezione della natura sia destinata un'estensione di territorio sufficiente. Si dovrà inoltre tenere debitamente conto del necessario equilibrio tra questi aspetti.

c.

Politica sociale: in termini globali, per ogni megawatt di capacità produttiva installata vengono creati 11 nuovi posti di lavoro. Ciò significa che se per il 2010 (8) in Europa l'uso della biomassa come fonte di energia dovesse aumentare dal 4 % (dato del 2003) a circa il 10 %, sarebbero creati 160.000 nuovi posti di lavoro.

d.

Politica regionale: quando la conversione avviene vicino al sito di produzione, la biomassa può essere usata come fonte decentrata di energia, attraverso impianti di generazione di piccola dimensione. Ciò può promuovere la stabilità sociale a livello regionale, in particolare nelle aree economicamente svantaggiate.

e.

Obbligo di produrre elettricità verde: una direttiva europea, in effetti, impone ai produttori europei di elettricità di generare una determinata percentuale di elettricità a partire da energie rinnovabili. Tale percentuale varia a seconda dei paesi, ma è in continuo aumento, e in caso di mancato rispetto delle percentuali stabilite sono previste penalità (o l'eliminazione dei sussidi). È evidente che la produzione di elettricità da biomassa, sola o in combustione combinata (miscelata con carbone), contribuirà in maniera determinante a realizzare gli obiettivi stabiliti in materia di elettricità verde.

2.3   Energia eolica

2.3.1

In tutto il mondo il potenziale teorico dell'energia eolica è di oltre due volte superiore al fabbisogno energetico previsto per il 2020. Il suo potenziale e la sua posizione concorrenziale che, grazie al progresso tecnologico, è in continuo miglioramento, fanno dell'energia eolica un sostituto essenziale dei combustibili fossili. Tuttavia, dato il carattere fluttuante del suo approvvigionamento, l'energia eolica non potrà mai coprire completamente il fabbisogno energetico.

2.3.2

Gli ultimi decenni hanno visto un enorme aumento della capacità di produzione installata raggiunta grazie all'impiego dell'energia eolica. La capacità delle turbine commerciali è aumentata da 10 KW (diametro del rotore 5 metri) a oltre 4.500 KW (diametro del rotore superiore a 120 metri) (9). Negli ultimi otto anni la capacità di produzione installata raggiunta grazie all'impiego dell'energia eolica è aumentata di oltre il 30 % all'anno (10). Stando alle proiezioni dell'Associazione europea dell'energia eolica (EWEA — European Wind Energy Association), nel 2020 la capacità totale dell'energia eolica sarà sufficiente a coprire il 12 % del fabbisogno di energia elettrica. Ciò comporta un aumento nella capacità di energia eolica da 31 GW alla fine del 2002 a 1.260 GW nel 2020, cioè una crescita del 23 % all'anno. I leader del mercato e i maggiori esportatori sono il Regno Unito, la Danimarca e la Germania, mentre i principali mercati di esportazione sono la Cina, l'India e il Brasile. La situazione è destinata a cambiare in Cina in cui l'industria degli impianti per l'energia eolica sta crescendo rapidamente. Rispetto al 2004 il numero dei produttori in Cina nel 2005 è cresciuto del 60 %. Ciò comporta che l'industria europea degli impianti per l'energia eolica può trovarsi di fronte allo stesso scenario che si è presentato a quella dei pannelli solari e perdere massicce quote di mercato a vantaggio dei suoi concorrenti cinesi.

2.3.3

Il settore dell'energia eolica è ancora in parte dipendente da varie misure di sostegno. La più importante di queste è il prezzo pagato ai produttori per l'energia venduta alla rete, accanto alla certezza di un livello di prezzo garantito per i successivi 10/20 anni. Grazie a queste misure il settore dell'energia eolica è in rapida crescita in alcuni Stati membri. Lo svantaggio è che queste misure portano alla creazione di grandi parchi eolici centralizzati, in grado di realizzare grossi profitti, piuttosto che di una rete capillare di piccole centrali di produzione di energia eolica decentrate. L'opposizione dell'opinione pubblica verso questo fenomeno su grande scala continua a crescere. Ovviamente, in ultima analisi, l'energia eolica deve anche essere in grado di sopravvivere autonomamente, senza sovvenzioni né remunerazioni garantite.

2.3.4

Per migliorare ulteriormente la posizione concorrenziale dell'energia eolica è necessario intensificare gli sforzi nel settore della ricerca e dello sviluppo. Si deve inoltre prestare costante attenzione alle regolamentazioni giuridiche e agli obiettivi politici. Altre grandi sfide sono rappresentate dallo sviluppo di nuove sedi per i parchi eolici in prossimità del mare e dall'eliminazione delle incertezze sulla realizzabilità dell'energia eolica.

2.3.5

Lo sviluppo dell'energia eolica è importante per una serie di aspetti:

a.

Politica ambientale: l'energia eolica è un tipo di energia pulita senza emissioni di CO2 o altri inquinanti. La sua disponibilità, benché soggetta a fluttuazioni, è enorme.

b.

Politica sociale: nel 2002 l'energia eolica ha contribuito all'occupazione nella misura di 20 posti di lavoro per megawatt di capacità installata. Tuttavia, come risultato dell'esperienza acquisita nella progettazione, nella fabbricazione e nell'installazione delle turbine, l'occupazione non sta crescendo proporzionalmente e si prevede anzi che il suo impatto sull'occupazione nel 2020 scenderà a 9,8 posti di lavoro per megawatt di capacità installata. Il che significa che l'occupazione nel settore dell'energia eolica passerà da circa 114.000 posti di lavoro del 2001 a 1.470.000 nel 2020 (11).

c.

Politica regionale: grazie ai meccanismi di sostegno l'energia eolica si sta sviluppando sotto forma di grandi parchi eolici centralizzati, i cui profitti sono molto attraenti per gli investitori. L'opinione pubblica si oppone a quest'evoluzione, dimostrandosi invece più favorevole a reti integrate di piccole centrali eoliche decentrate.

2.4   Energia solare

2.4.1

L'energia solare può essere usata con due obiettivi: fornire riscaldamento e acqua calda, e produrre elettricità (12). Gli impianti di riscaldamento solare sono relativamente semplici e a basso costo, e sono già in uso in molti paesi.

2.4.2

La ragione principale per sviluppare al massimo l'uso dell'energia solare sta nel fatto che si tratta di un'energia inesauribile, che ha un enorme potenziale in tutto il mondo e che, se utilizzata correttamente, è molto rispettosa dell'ambiente.

2.4.3

L'energia solare può essere accumulata quasi ovunque nel mondo, e in diversi modi: attraverso impianti molto piccoli in località isolate, attraverso pannelli solari sui tetti delle case e attraverso i grandi impianti di generazione.

2.4.4

Gli impianti di riscaldamento solari sono molto diffusi. Il mercato più ampio per questi impianti è la Cina, soprattutto perché nelle aree rurali mancano le infrastrutture di distribuzione del gas e dell'elettricità. In questi casi l'energia solare rappresenta la soluzione più efficace. Un altro importante mercato è la Turchia. Tra il 2001 e il 2004 la vendita mondiale di pannelli solari è aumentata di una percentuale annua che si colloca tra il 10 e il 15 %. La Cina ha assorbito il 78 % della produzione mondiale totale e la Turchia il 5,5 %.

2.4.5

In Europa i principali mercati per gli impianti di riscaldamento a energia solare sono la Germania, l'Austria, la Spagna e la Grecia. Per l'installazione di questi impianti i governi di Germania e Austria offrono incentivi finanziari. In alcune regioni della Spagna l'installazione di tali impianti nei nuovi edifici è obbligatoria. A seguito di queste misure di supporto la Germania e l'Austria sono di gran lunga i principali produttori di impianti ad energia solare in Europa, e rappresentano il 75 % della produzione europea. I dati europei diventano tuttavia insignificanti rispetto alla produzione di tali impianti in Cina: mentre l'Europa ha prodotto 0,8 milioni di m2, la Cina ne ha infatti prodotti 12 milioni. Ciò si spiega soprattutto con il fatto che il governo cinese ha subito riconosciuto l'importanza del riscaldamento ad energia solare, e nei suoi piani quinquennali ha promosso la produzione di questi impianti con varie misure.

2.4.6

Nonostante la sua inesauribilità, l'elettricità generata dall'energia solare rappresenta attualmente solo una piccola parte del nostro fabbisogno. Ciò è dovuto al fatto che il costo della produzione continua a essere molto più elevato rispetto a quello dell'elettricità prodotta a gas o a carbone. Per uscire da questo circolo vizioso l'energia solare dovrebbe essere usata quanto più possibile, per realizzare delle economie di scala nella produzione e nell'installazione. Solo a quel punto la tecnologia potrà ulteriormente rinnovarsi e migliorarsi.

2.4.7

La generazione di elettricità attraverso piccole unità dal rendimento variabile (a seconda dell'insolazione) richiede inoltre un approccio diverso rispetto a quello adottato finora. Il passaggio all'energia solare è un progetto di medio termine, ma è molto importante che lo sviluppo nel settore venga fortemente promosso fin d'ora.

2.4.8

Benché il mercato fotovoltaico sia in rapida crescita, in realtà i principali mercati mondiali sono solo tre: il Giappone, la Germania e la California. Queste tre aree rappresentano l'80 % della produzione mondiale degli impianti ad energia solare. La produzione viene incoraggiata concedendo sovvenzioni elevate e pagando ai produttori privati (domestici) un buon prezzo per l'elettricità generata in questo modo. Nel 2004 la produzione di celle solari a livello mondiale è stata equivalente a una capacità di generazione di 1.150 MW. Aggiungendo i circa 3.000 MW di capacità di generazione già installata alla fine del 2003, risulta che nel 2005 la capacità totale è aumentata a circa 4.500 MW.

2.4.9

Il mercato giapponese è nato nel 1994 da un programma di incentivi che prevedeva sovvenzioni pari al 50 %. Le sovvenzioni sono state ridotte ogni anno del 5 %, e il 2004 è stato l'ultimo anno nel quale era disponibile una sovvenzione, pari al 5 %. Dato che il programma creava una forte domanda, l'industria giapponese beneficiava delle economie di scala. Ogni anno i prezzi sono diminuiti del 5 %, cosa che ha mantenuto stabili i prezzi al consumo. Benché le sovvenzioni non siano più disponibili, il mercato continua a crescere ad un ritmo pari a circa il 20 % annuo. La stabilità della domanda ha consentito alle imprese giapponesi di investire in attività di ricerca e sviluppo e in nuove tecnologie di produzione. È per questo che attualmente il Giappone rappresenta circa il 53 % del mercato mondiale.

2.4.10

La Germania ha vissuto un processo analogo, cominciato però circa cinque anni dopo, cioè nel 1999. La coesistenza di prestiti a basso tasso di interesse, di sovvenzioni e di prezzi stabili per la vendita dell'elettricità alla rete hanno comportato una rapida crescita del mercato fotovoltaico. Nel 2001 la Germania ha sorpassato gli USA in termini di capacità installata. I produttori locali si sono sviluppati, e adesso la metà della produzione europea (13 % della produzione mondiale) proviene dalla Germania. Il lancio di un nuovo programma di sostegno nel 2004, con prezzi di acquisto stabili per l'elettricità garantiti per i prossimi 20 anni, ha dato nuovo impulso al processo. Il mercato tedesco è quello che conosce la crescita più rapida a livello mondiale: intorno al 40 % nel 2004 e 2005. La domanda interna consente ai produttori di sviluppare la propria produzione e anche di spostarla verso il mercato d'esportazione quando quello interno comincia ad essere saturo.

2.4.11

Lo sviluppo dell'energia solare è importante per una serie di aspetti:

a.

Politica ambientale: l'energia solare è un tipo di energia pulita senza emissioni di CO2 o altri inquinanti. Il suo potenziale è enorme dato che la Terra assorbe ogni anno 3 milioni di exajoule (EJ) di energia solare. Per dare un termine di paragone, le riserve totali di combustibili fossili sono stimate a 300.000 EJ.

b.

Politica sociale: lo sviluppo dell'energia solare creerà posti di lavoro nella progettazione, nel miglioramento, nella produzione e nell'installazione degli impianti di energia solare. È d'altra parte vero che altri posti di lavoro andranno perduti, in quanto sarà necessario un numero inferiore di grandi centrali.

c.

Politica regionale: l'energia solare termica può essere usate in aree remote e povere, sprovviste di infrastrutture per la distribuzione dell'energia. È una soluzione poco costosa per il riscaldamento e per la fornitura di acqua calda.

2.5   Energia geotermica

2.5.1

L'energia geotermica può essere usata mediante pompe di calore per riscaldare e raffreddare edifici. Queste pompe usano solo una minima parte della quantità di gas o elettricità usati dai sistemi convenzionali di riscaldamento/raffreddamento. L'energia usata per riscaldare (o raffreddare) proviene dall'ambiente (aria, acqua o terra) (13).

2.5.2

I principali mercati per le pompe di calore sono gli USA, il Giappone e la Svezia, che, insieme, rappresentano il 76 % della capacità totale installata. Sono seguiti dalla Cina, dalla Francia, dalla Germania, dalla Svizzera e dall'Austria. Il mercato europeo è cresciuto da 40.000 unità nel 1997 a 123.000 unità nel 2004. Nel 2004 il mercato nel suo insieme è cresciuto del 18 %. La produzione e l'installazione di pompe di calore sono concentrate in quei paesi i cui governi offrono forti incentivi finanziari e di altro genere.

2.5.3

La Svezia rappresenta un buon esempio di questo approccio. Il governo svedese ha incoraggiato l'uso delle pompe di calore fin dagli anni '90, introducendo misure quali aiuti finanziari diretti, incentivi fiscali e attività promozionali. Anche la nuova legislazione che stabilisce i requisiti dettagliati per la temperatura dei sistemi di riscaldamento, applicabile al settore delle costruzioni, ha contribuito alla diffusione dell'uso delle pompe di calore.

2.5.4

In questo modo in Svezia è stato creato un mercato per la produzione delle pompe di calore. Adesso il paese ha un'industria consolidata, con tre attori principali sul mercato mondiale, e rappresenta il 50 % della domanda europea. Il mercato svedese delle pompe di calore adesso si sostiene da solo. Il numero di quelle in uso è in continua crescita, anche senza misure di sostegno da parte del governo. Oltre il 90 % dei nuovi edifici in Svezia è adesso dotato di una pompa di calore.

2.5.5

Uno sviluppo analogo si è registrato in Austria, dove i governi regionali hanno erogato sovvenzioni pari al 30 % del costo di acquisto e di installazione delle pompe di calore. L'Austria ha adesso sette produttori di queste pompe. In entrambi i paesi lo sviluppo di un'industria delle pompe di calore, capace adesso di operare senza sostegno, è stato possibile grazie alla combinazione di aiuti finanziari diretti, norme edilizie e campagne promozionali.

2.5.6

Lo sviluppo dell'energia geotermica è importante per una serie di aspetti:

a.

Politica ambientale: l'energia geotermica è una fonte di energia inesauribile, pulita e efficiente. Il suo potenziale è enorme dato che i 6 km più esterni della crosta terrestre immagazzinano un quantitativo di energia di 50.000 volte superiore alle riserve mondiali di petrolio e gas (14).

b.

Politica sociale: lo sviluppo dell'energia geotermica creerà posti di lavoro nella progettazione, nel miglioramento, nella produzione e nell'installazione di impianti di energia geotermica. È d'altra parte vero però che molti posti di lavoro andranno perduti, perché sarà necessario un numero inferiore di grandi centrali.

c.

Politica regionale: l'energia termica geotermica offre una soluzione a buon mercato per il riscaldamento e per la fornitura di acqua calda in aree remote dove non vi sono infrastrutture per la distribuzione dell'energia. Per sfruttare l'energia geotermica è necessaria l'elettricità, ma in misura significativamente inferiore a quella richiesta per il riscaldamento diretto e per la fornitura diretta di acqua calda.

3.   Efficienza delle materie prime

3.1

Non è solo l'energia proveniente dai combustibili fossili che è limitata, ma anche le riserve di materie prime metalliche, minerali e biologiche per la produzione industriale (15). Il mondo industrializzato utilizza un enorme volume di materie prime, ed è per questo motivo che il 20 % della popolazione mondiale consuma più dell'80 % di tutte le materie prime.

3.2

Questo modello di consumo è incompatibile con l'uso sostenibile delle risorse naturali disponibili. Partendo dal presupposto che le riserve di materie prime sono il nostro patrimonio comune e che l'accesso ad esse è un diritto universale ed inalienabile, l'Europa dovrà ridurre di quattro volte il suo utilizzo di materie prime entro il 2050 e di dieci volte entro il 2080 (16). Il CESE apprezza le iniziative in questo campo come la dematerializzazione ed il Piano d'azione per le tecnologie ambientali (ETAP).

3.3

Nell'analisi finale, ogni prodotto comporta un danno per l'ambiente: che sia durante la produzione ovvero durante il suo impiego o al momento della sua eliminazione oppure ancora alla fine del suo ciclo di vita. Il ciclo ha molte fasi: l'estrazione di materie prime, la progettazione, la produzione, l'assemblaggio, il marketing, la distribuzione, la vendita, il consumo e l'eliminazione. In ogni fase sono coinvolti diversi soggetti progettisti: fabbricanti, commercianti, consumatori, e così via. Una politica integrata di produzione tenta di migliorare il coordinamento di queste fasi (per esempio considerando già nella fase di progetto un riciclaggio ottimale) per migliorare la qualità ambientale del prodotto in tutto il suo ciclo di vita.

3.4

Con così tanti e così diversi prodotti e soggetti in causa, non è possibile formulare un solo provvedimento uniforme che risolva tutti i problemi. Si rende necessaria un'intera serie di strumenti politici, di tipo sia volontario che obbligatorio. Questi strumenti devono essere applicati in stretta collaborazione con i settori pubblici e privati e con la società civile.

3.5

Anche le organizzazioni dei consumatori dovrebbero svolgere un ruolo più stimolante e di sostegno rispetto a quello avuto finora. Fino a oggi queste organizzazioni si sono concentrate soprattutto su come ottenere il prodotto migliore possibile per il prezzo più basso possibile. Ciò significa in pratica che la produzione non avviene nel modo più sostenibile.

3.6   Sistema di cogenerazione di calore ed energia (CHP — cogeneration of heat and power)

3.6.1

Usare il calore prodotto nel processo di generazione dell'elettricità significa migliorare nettamente l'efficienza dell'uso dell'energia, nonostante le restrizioni tecniche derivanti dalla distanza tra il luogo di produzione del calore (ambiente industriale) e il luogo di consumo (abitazione), che si traduce in una grande perdita di energia. Microunità di CHP possono operare in primo luogo per soddisfare il fabbisogno termico di un edificio fornendo elettricità come sottoprodotto. Possono essere configurati prodotti alternativi per la domanda di elettricità in primo luogo e con la produzione di calore come sottoprodotto. La maggior parte delle vendite finora è costituita da micro CHP di calore, sebbene le celle a combustibile siano configurate più comunemente per soddisfare la domanda di elettricità.

3.6.2

La tecnologia CHP può aggirare questo ostacolo, e nel contempo rappresenta una sfida economica per l'industria europea. La CHP viene usata in primo luogo per riscaldare edifici a destinazione abitativa e commerciale, e, come prodotto secondario, genera elettricità. Nel 2004 erano già state installate circa 24.000 unità. La CHP può essere usata con varie fonti di energia. La più promettente è l'idrogeno (celle a combustibile), che però deve prima essere ulteriormente sviluppata.

3.6.3

Grazie alle sovvenzioni per gli utenti finali degli impianti CHP, il Giappone ha realizzato i progressi più notevoli nello sviluppo di questa tecnologia, anche perché la tecnologia delle celle a combustibile è fortemente promossa dall'industria automobilistica. Il governo giapponese vuole che l'industria giapponese acquisisca una posizione centrale nella tecnologia delle celle a combustibile, come ha già fatto con l'energia solare. A questo scopo il Giappone sta promuovendo e finanziando le attività di ricerca e sviluppo, e concedendo agli utenti finali sovvenzioni per l'acquisto già in una fase precoce dello sviluppo del mercato.

3.6.4

Lo sviluppo della CHP è importante per una serie di aspetti:

a.

Politica ambientale: l'energia geotermica è una fonte di energia a buon mercato e efficiente. Inoltre è molto pulita e la produzione di acqua calda e elettricità con la CHP determina una diminuzione delle emissioni di CO2 pari al 20 %.

b.

Politica sociale: lo sviluppo della CHP creerà posti di lavoro nella progettazione, nel miglioramento, nella produzione e nell'installazione degli impianti di CHP. È d'altra parte vero che altri posti di lavoro andranno perduti, in quanto sarà necessario un numero inferiore di grandi centrali.

4.   Implicazioni di sostenibilità per una serie di settori

La crescita dei settori impegnati nella ricerca e nello sviluppo nel campo delle tecnologie relative alle energie rinnovabili dimostra che esistono considerevoli opportunità economiche nello sviluppo sostenibile. Queste opportunità non solo esistono in quei settori dove le tecnologie di sostenibilità sono sviluppate direttamente, ma anche in quelle nelle quali le nuove tecnologie devono essere applicate.

4.1   I trasporti

4.1.1

Il settore dei trasporti è uno dei maggiori utilizzatori di combustibili fossili. È un settore in cui esistono opportunità promettenti per l'uso sostenibile dell'energia, come dimostrano le numerose e utili raccomandazioni della relazione finale CARS 21 (17). Una migliore pianificazione dello sviluppo e dell'infrastruttura urbani e un impiego più intensivo delle tecnologie TIC aprono buone prospettive per migliorare l'efficienza dei trasporti. Insieme con una tecnologia del motore a combustione ulteriormente perfezionata, ciò determinerà un sostanziale risparmio di energia. A breve termine vi sono inoltre opportunità promettenti per il passaggio parziale ad altri carburanti, come il gas naturale o il carburante ricavato dalla biomassa (BTL — Biomass to liquid). Nel lungo termine l'idrogeno offre possibilità interessanti e inoltre la tecnologia ibrida che si sta sviluppando è una soluzione provvisoria promettente.

4.1.2

La quota massima potenziale di mercato di carburante derivante dalla biomassa è stimata al 15 % e l'UE ha fissato l'obiettivo di una quota di mercato del 6 % entro il 2010. Sta già funzionando un progetto pilota iniziale per la produzione di carburante da biomassa su vasta scala.

4.1.3

Il gas naturale produce emissioni di CO2 più basse della benzina (-16 %) o del diesel (-13 %) e, in presenza di un regime fiscale favorevole, potrebbe conquistare una quota di mercato maggiore. Se così fosse potrebbe svilupparsi un mercato stabile sia per i produttori che per gli utenti. La tecnologia è già disponibile. Le opportunità sono particolarmente vantaggiose per il trasporto pubblico urbano, in quanto esso permetterebbe di utilizzare in modo ottimale stazioni di rifornimento del gas. Sarebbe possibile raggiungere una quota di mercato del 10 % entro il 2020 (18).

4.1.4

Gli esempi in altri paesi (in particolare il Brasile) mostrano che per raggiungere una quota di mercato di queste dimensioni non basta assicurare la disponibilità del carburante biologico. Per incoraggiare il consumatore a modificare le sue abitudini sono inoltre necessarie politiche di accompagnamento quali l'introduzione di incentivi fiscali, nonché una legislazione, regolamentazione e promozione mirate.

4.1.5

Un'altra faccia della medaglia è il fatto che l'uso accresciuto di biocarburanti provenienti da aree ecologicamente sensibili (come l'olio di palma dell'Asia sudorientale) può determinare la distruzione su larga scala di foreste pluviali, che vengono rimpiazzate dalle piantagioni di palme da olio. Nel mondo ci sono 23 grandi ecosistemi, 15 dei quali, secondo un recente studio delle Nazioni Unite, sono esauriti o fortemente inquinati.

4.2   Settore delle costruzioni

4.2.1

Il settore delle costruzioni — ad esempio l'edilizia abitativa — offre un potenziale enorme per l'uso di tecniche più sostenibili. Già adesso è possibile costruire case a consumo energetico zero con costi supplementari bassi, in particolare se si considera che qualsiasi costo supplementare viene rapidamente recuperato grazie ai risparmi di energia. Costruire in questo modo costa in media l'8 % in più di quanto costerebbe costruire con i metodi tradizionali. Le economie di scala potrebbero ridurre questa differenza al 4 % in dieci anni. Norman Foster, uno degli architetti più famosi del mondo, ha affermato che, calcolando i costi complessivi di un edificio per un periodo di 25 anni, i costi di costruzione reali rappresentano soltanto il 5,5 %. durante lo stesso periodo i costi legati all'occupazione dell'edificio (energia, piccola e grande manutenzione, tassi d'interesse sul mutuo e sull'affitto) arrivano fino all'86 % dei costi totali. Così, anche se costruire in modo sostenibile può essere leggermente più costoso nel breve termine, nel lungo termine si rivela invece la modalità di gran lunga meno costosa.

4.2.2

In Germania ed in Austria l'attività di costruzione efficiente dal punto di vista energetico si sta espandendo più velocemente che nel resto dell'Europa. Il Passiv Haus Institut in Germania ha commissionato progetti di abitazioni che utilizzano pochissima energia, ricorrendo all'energia solare in combinazione con un efficace isolamento ermetico. Più di 4.000 case di questo tipo sono già state costruite in Germania e più di 1.000 in Austria. Il principio, inoltre, trova un'applicazione crescente nella costruzione di edifici commerciali.

4.2.3

Il comune di Friburgo ha stabilito nuove regole sulla costruzione efficiente dal punto di vista energetico. Queste regole sono parte integrante di ogni contratto d'affitto o d'acquisto che l'ente locale stipula con le imprese di costruzioni o sviluppo immobiliare. In questo modo l'ente locale fa un uso ottimale dei suoi poteri legali per promuovere la gestione dell'energia su vasta scala. Gli accordi affermano che qualsiasi costruzione su terreni venduti o dati in affitto dall'ente deve seguire gli orientamenti relativi all'efficienza energetica; gli immobili devono essere disegnati in modo da utilizzare al massimo l'energia solare, ed i tetti devono essere adatti all'installazione di pannelli solari. Nelle zone dove gli immobili sono costruiti con questi criteri vengono ottenuti risparmi del 40 % sull'utilizzo dell'acqua calda.

4.3   Industria

4.3.1

Il Comitato accoglie favorevolmente il fatto che l'approccio della Commissione alla politica tiene conto delle preoccupazioni di sostenibilità, come annunciato nella comunicazione Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UEverso un'impostazione più integrata della politica industriale  (19). Il conseguimento degli obiettivi di lisbona esige un'industria europea competitiva. Per questo il CESE apprezza l'istituzione del gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente, una delle sette principali iniziative politiche intersettoriali destinate a rafforzare le sinergie tra i diversi settori d'intervento sulla base di considerazioni di competitività. Il Comitato accoglie inoltre favorevolmente gli sforzi compiuti dalla stessa industria europea in questo campo.

4.3.2

Attualmente, l'industria rimane in gran parte dipendente dai combustibili fossili. Tuttavia, in numerosi casi la scelta dell'elettricità consente l'utilizzo di tutti i tipi di fonti d'energia primaria, permettendo nel contempo, nella maggior parte di casi, risparmi di energia (20). Nei processi di produzione sono certamente possibili risparmi energetici su vasta scala, ed esistono inoltre tecniche per scambiare l'energia residua tra i complessi industriali ed altri settori o complessi residenziali. Così, il calore residuo del complesso industriale Europoort viene usato per riscaldare il più grande complesso di serre dell'Europa nordoccidentale a Westland, a una distanza di 20 chilometri.

4.3.3

Il petrolio greggio è la base dell'industria chimica, ma in futuro la sua disponibilità si ridurrà. Un'alternativa è la biosintesi, la produzione cioè di prodotti chimici di base a partire dalla biomassa utilizzando i batteri: un settore molto complesso, ma anche promettente. Negli ultimi anni la nostra conoscenza della composizione genetica di microorganismi come i batteri ha fatto grandi progressi. Le nuove tecnologie rendono possibile modificare geneticamente questi organismi, in modo da convertire il materiale originale in determinate sostanze specifiche. I batteri diventano una sorta di minireattore programmabile.

4.3.4

Attualmente questa tecnologia basata sui microrganismi viene impiegata dalle industrie dei prodotti alimentari e dei prodotti farmaceutici, per esempio nella produzione di formaggi, birra e penicillina. Anche in questi settori le opportunità per la bioconversione sono considerevoli, ma adesso anche l'industria dei prodotti chimici comincia ad interessarsi a questa tecnologia. Per ottenere le sostanze dal petrolio greggio e purificarle è necessaria tutta una serie di reazioni chimiche. La tecnologia ha bisogno di essere sviluppata molto più a fondo, ma è teoricamente possibile passare alla conversione diretta della biomassa in prodotti chimici di base ed in altri prodotti. Questo ridurrà la necessità di utilizzare il petrolio, con tutti i vantaggi economici ed ambientali che ne conseguono — riduzione delle emissioni, chiusura del circuito e gestione della catena.

4.3.5

I settori ad elevata intensità energetica possono incontrare problemi particolari nel garantire una transizione graduale alle fonti di energia rinnovabili. Il livello di sostenibilità della produzione è funzione diretta del livello di tecnologia impiegato e non ci si devono aspettare in futuro grandi progressi in questo campo. Il settore dell'acciaio e dell'alluminio in Europa, per esempio, sta ottenendo già buoni risultati in questo campo, investendo molto in nuove tecnologie per una produzione più sostenibile, specie attraverso il progetto ULCOS (Ultra Low CO 2 Steelmaking, il più grande progetto europeo dell'acciaio finora concepito in Europa) e prevede che le emissioni di CO2 si dimezzino entro il 2040 circa. La produzione di alluminio primario in Europa è caratterizzata da un uso particolarmente elevato di energia rinnovabile (44,7 %). Dato che l'energia usata nella produzione di alluminio secondario da rottame è solo il 10 % di quella necessaria per la produzione di alluminio primario, è evidente che questo settore presenta un grande potenziale di risparmio energetico. Tuttavia il rottame di alluminio del mercato europeo viene acquistato dalla Cina in grandi quantità, grazie a incentivi statali istituiti per risparmiare energia.

4.3.6

L'industria siderurgica europea sta ottenendo buoni risultati nel campo dell'efficienza e del riciclaggio delle materie prime. La metà dell'acciaio mondiale è prodotta utilizzando ferraglia, e i rifiuti riciclati vengono utilizzati in maniera molto vantaggiosa. Nell'impianto Corus di IJmuiden il 99 % dei rifiuti è riutilizzato in loco o all'esterno.

4.3.7

Se, da una parte, nel prossimo futuro l'uso delle fonti di energia fossili come materia prima per la produzione industriale sarà inevitabile, dall'altra è vero che l'impiego di materiali nuovi produrrà un risparmio energetico nelle applicazioni concrete della produzione industriale, per esempio riducendo il peso degli autoveicoli. Per promuovere tali innovazioni l'industria europea deve conservare la propria competitività, e deve farlo a cominciare dalle industrie estrattive, dove comincia la catena di valore.

5.   Aspetti sociali

5.1

La necessità di una graduale transizione verso la produzione sostenibile è inevitabile ed indiscussa. La deindustrializzazione, la delocalizzazione della produzione e la concorrenza crescente delle economie emergenti hanno condotto all'incertezza ed al timore. In questo clima si è cominciato a credere che il passaggio a una produzione più sostenibile compromettesse la competitività dell'Europa, ostacolasse la crescita dell'industria e provocasse la perdita di posti di lavoro, e che fosse dannoso per l'economia e per l'occupazione.

5.2

L'occupazione in Europa ha subito effetti negativi. Diversi studi prevedono che, a causa del meccanismo di scambio delle quote di emissioni, in Germania entro il 2010 andranno perduti 27.600 posti di lavoro, cifra destinata a salire a 34.300 entro il 2020 (21). Sempre in Germania, e sempre entro il 2010, altri 6.100 posti di lavoro andranno perduti a seguito dell'applicazione della legge sull'energia rinnovabile (22), e altri 318.000 con l'applicazione degli accordi del protocollo di Kyoto (23). Queste cifre, che devono essere messe a confronto con i nuovi posti di lavoro creati, dimostrano che una politica improntata agli obiettivi di lotta contro il cambiamento climatico si traduce, in effetti, in una «trasformazione industriale»: tra l'altro nel 2005 in Germania con le energie rinnovabili sono stati realizzati 16,4 miliardi di euro e sono stati creati, finora, 170.000 posti di lavoro nel settore (24). In Germania la tutela dell'ambiente e la lotta contro il cambiamento climatico attualmente garantiscono, grazie a una produzione pari a 55 miliardi di euro nel 2004, il mantenimento di circa 1,5 milioni di posti di lavoro, e, grazie ad una percentuale sulle esportazioni pari a 31 miliardi di euro nel 2003, contribuiscono, tra l'altro, a mantenerne molti altri (25).

5.3

L'impatto, comunque, non è soltanto negativo. Uno studio approfondito sulla perdita di posti di lavoro in Europa ha dimostrato che meno del 5 % degli impieghi perduti sono scomparsi a seguito del trasferimento di produzione verso altre regioni (26). Nonostante i limiti metodologici derivanti dalle tecniche di raccolta dei dati, quest'indagine rimane un'utile fonte di informazione, in particolare se affiancata da ad altri indicatori pertinenti. Si potrebbe inoltre sostenere che solo una piccola percentuale della perdita di impieghi è dovuta alla legislazione ambientale.

5.4

Vi è stato altresì un aumento dei posti di lavoro. L'ecoindustria impegnata nella ricerca e nello sviluppo nel campo delle tecnologie sostenibili è un settore dinamico in cui l'occupazione aumenta al ritmo del 5 % all'anno. Questo settore, con più di due milioni di posti di lavoro diretti e a tempo pieno, in Europa fornisce lo stesso numero di posti di lavoro delle industrie farmaceutiche e aerospaziali (27).

5.5

Uno studio dell'OCSE (28) ha dimostrato che la produzione sostenibile non comporta automaticamente l'aumento dei costi, anzi, nel lungo termine può anche, in una certa misura, ridurli. La produzione sostenibile può inoltre compensare questi costi. Chiari vantaggi commerciali, la legislazione e una regolamentazione d'accompagnamento determinano investimenti nell'innovazione sostenibile, incoraggiano un impiego più efficiente delle materie prime, rafforzano i marchi, migliorano l'immagine delle imprese ed infine conducono ad una maggior redditività ed a una maggiore occupazione. Affinché questo processo sia coronato da successo occorre un approccio comune basato sulla responsabilità condivisa da parte delle imprese, dei lavoratori e dello Stato.

5.6

Ciò che deve assolutamente essere evitato è che l'industria europea subisca uno svantaggio competitivo significativo rispetto ad altre regioni a causa dei costi più alti risultanti da leggi e regolamentazioni ambientali e sociali. Quando l'Europa stabilisce delle norme per la produzione sostenibile per la propria industria è inaccettabile e irragionevole che, allo stesso tempo, essa permetta che produttori di altre regioni immettano sul mercato prodotti che non sono stati fabbricati nel rispetto di queste norme. Per stimolare la produzione sostenibile è necessario un duplice approccio: uno all'interno dell'UE, e uno al suo esterno.

5.6.1

Quanto al primo, andrebbero introdotti strumenti appropriati per fare in modo che i costi sociali e ambientali derivanti da metodi di produzione non sostenibili all'interno dell'Unione europea venissero internalizzati nel prezzo dei prodotti, allo scopo di valorizzare l'elemento chiave della relazione della Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione, cioè l'esortazione alla coerenza delle politiche dell'OIL, dell'OMC, dell'FMI e della Banca mondiale, come segnalato nel parere del CESE La dimensione sociale della globalizzazione.

5.6.2

In base al secondo approccio l'UE dovrebbe fare il possibile, nelle pertinenti sedi internazionali (in particolare nell'OMC), per inserire negli accordi internazionali sul commercio considerazioni di tipo non commerciale, quali ad esempio le norme sociali e ambientali fondamentali, allo scopo di agevolare il miglioramento delle politiche di sostenibilità dei concorrenti dell'Europa. Paesi quali gli Stati Uniti, l'India e la Cina hanno un vantaggio economico comparato rispetto all'Europa, in quanto non sono tenuti al rispetto degli obiettivi di riduzione di CO2 previsti dal protocollo di Kyoto. Tali accordi dovrebbero essere applicati su scala mondiale dato che il commercio può essere veramente libero solo quando è anche equo.

5.7

L'ecoindustria europea detiene oggi circa un terzo del mercato mondiale e genera un avanzo commerciale di più di 600 milioni di EUR. Nel 2004 le esportazioni sono cresciute dell'8 %. Si tratta inoltre di un mercato in espansione, dato che in avvenire tutti i paesi, anche Cina ed India, passeranno sempre più ai prodotti ed ai processi di produzione sostenibili.

5.8

La società sostenibile e innovativa alla quale aspiriamo ha bisogno, oltre che di lavoratori ben preparati, di una accurata campagna d'informazione rivolta a cittadini e consumatori, per sensibilizzarli e creare un'ampia base sociale. Negli ultimi anni l'Europa ha prestato troppo poca attenzione a questo aspetto. La ricerca delle parole «formazione», «apprendimento», «acquisizione di competenze specifiche» e «istruzione» nel testo inglese di dieci direttive europee in materia di sostenibilità e innovazione ha rivelato che soltanto la prima («formazione») ricorre, una volta, in una direttiva.

5.9

Una serie di comunicazioni della Commissione precedenti a queste direttive hanno analizzato a fondo la necessità della formazione. Nelle direttive, però, tale aspetto è completamente assente. E, mentre le comunicazioni sono semplicemente parole, le direttive sono fatti. Una politica non consiste in ciò che si dice, ma in ciò che si fa. Il Comitato accoglie con favore il fatto che nella nuova politica industriale dell'UE si presti molta attenzione all'importanza dell'istruzione, e esorta la Commissione a continuare sulla stessa linea.

5.10

Nella strategia di Lisbona l'Europa si è proposta l'obiettivo di diventare entro il 2010 l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Per sviluppare e mantenere questo tipo di società è necessaria una forza lavoro dotata di una buona formazione. Se non si investe abbastanza nella formazione dei lavoratori, gli obiettivi di Lisbona non solo non saranno raggiunti entro il 2010, ma non lo saranno mai.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 658 def./2, del 27.2.2006.

(2)  Triade energetica: un approccio alla sostenibilità energetica messo a punto dall'Università di Delft.

(3)  Fonte: Energie Centrum Nederland, www.ecn.nl.

(4)  COM(2006) 105 def., dell'8.3.2006.

(5)  Eurobarometro n. 227 (Radioactive waste (Scorie radioattive), giugno 2005) e n. 247 (Attitudes towards Energy (atteggiamenti nei confronti dell'energia), gennaio 2006).

(6)  Fonte: Energie Centrum Nederland, www.ecn.nl.

(7)  www.worldwatch.org.

(8)  Comunicazione della Commissione «Piano d'azione per la biomassa» (SEC(2005) 1573).

(9)  Fonte: Energie Centrum Nederland, www.ecn.nl.

(10)  Fonti: www.ewea.org e www.wind-energie.de

(11)  Fonte: Energie Centrum Nederland. www.ecn.nl.

(12)  Cfr. Allegato I.

(13)  Cfr. Allegato II.

(14)  Fonte: Informatiecentrum Duurzame Energie.

(15)  Cfr. parere CESE Rischi e problemi relativi alla fornitura di materie prime all'industria europea.

(16)  Review of the European Sustainable Development Strategy.

(17)  Gruppo ad alto livello CARS 21: Competitive automotive regulatory System for the 21st century.

(18)  Cfr. COM(2001) 547 def. — direttiva 2003/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 maggio 2003, sulla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti — Relazione sui carburanti alternativi del gruppo di contatto sui carburanti alternativi, dicembre 2003 (Alternative Fuels Report Of The Fuels Contact Group, December 2003).

(19)  COM(2005) 474 def., punto 4.1.

(20)  Cfr. Electricity For More EfficiencyElectric Technologies and Their Energy Savings Potential (Luglio 2004) — Union of the Electricity Industry–Eurelectric/UIE.

http://www.uie.org/library/REPORT_FINAL_July_2004.pdf. Documento disponibile solo in inglese.

(21)  Zertifikate Handel für CO2 Emissionen auf dem Prüfstand, 2002 Arbeitgemeinschaft für Energie- und Systemplanung (AGEP) Rheinisch-Westfalisches Institut für Wirtschaftsforschung (RWI).

(22)  Gesamtwirtschaftliche, sektorale und ökologische Auswirkungen der Erneuerbare-Energien-Gesetzes (EEG), 2004 Energiewirtschaftliches Institut an der Universität zu Köln (EWI, Colonia), Institut für Energetik und Umwelt (IE, Lipsia), Rheinisch-Westfalisches Institut für Wirtschaftsforschung (RWI, Essen).

(23)  Das Kyoto–protokoll und die Folgen für Deutschland 2005, Institut für politische Analysen und Strategie (IPAS) in cooperazione con l'International Council for Capital Formation (ICCF).

(24)  Comunicato stampa 179/2006 del ministero dell'Ambiente tedesco, 10 luglio 2006.

(25)  Comunicato stampa 81/2006 del ministero dell'Ambiente tedesco, 20 aprile 2006.

(26)  www.emcc.eurofound.eu.int/erm/.

(27)  Hintergrundpapier Umweltschutz und Beschäftigung Umweltbundesamt, aprile 2004 (Documento di base Tutela dell'ambiente e occupazione Agenzia federale per l'ambiente). http://www.uie.org/library/REPORT_FINAL_July_2004.pdf.

(28)  www.oecd.org/dataoecd/34/39/35042829.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/12


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività

(2006/C 318/02)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul: La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI e dal correlatore GIBELLIERI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 181 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni:

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Consiglio europeo del marzo del 2006 ha focalizzato il rilancio della strategia di Lisbona da un lato sulla crescita e l'occupazione e dall'altro su di un approccio integrato di governance di fronte alle nuove sfide della globalizzazione.

1.2

L'UE deve impegnarsi per assicurare uno sviluppo che sia innovativo, competitivo e sostenibile per i suoi cittadini, nonché per conseguire una maggiore coesione economica e sociale sul suo territorio tramite la creazione e lo sviluppo di nuove imprese, di nuovi profili professionali e di una maggiore e migliore occupazione, mantenendo il modello sociale europeo, orientato verso l'economia della conoscenza.

1.2.1

Il Comitato è fermamente convinto che, senza «un nuovo ciclo di governance basata sul partenariato e sulla titolarità» (1), tutti gli sforzi di rilancio competitivo ed occupazionale dell'Europa risulterebbero vani e che occorra l'adozione e la rapida e generalizzata implementazione di nuovi paradigmi di governance.

1.2.2

Secondo il Comitato, sia il Settimo programma quadro di RSTD che il nuovo CIP, presentano tuttora un eccessivo orientamento «dall'alto verso il basso» e non permettono ancora di cogliere le opportune integrazioni e le necessità di partecipazione responsabile degli attori pubblici e privati dello sviluppo a livello locale e regionale, ottimizzando il ruolo essenziale delle parti sociali per prospettive di crescita sostenibili e durature.

1.3

L'Unione europea dovrebbe incentivare, anche attraverso i due strumenti suddetti, questo nuovo tipo di partenariato a livello locale con le autorità e gli attori economici, e specie con le parti sociali, favorendo una nuova generazione di «patti territoriali per lo sviluppo nella globalizzazione» (2).

1.4

Il CESE è convinto che non esistano percorsi di governance in grado di essere validi per tutti. Appartiene a ciascun livello regionale/locale ricercare le formule che meglio rispondono alle esigenze di governabilità territoriale, compatibili con il quadro nazionale, europeo e internazionale di riferimento.

1.5

Il Comitato ritiene che possano però essere indicati taluni criteri comuni a tali formule:

la presenza di un dialogo civile e sociale strutturato,

la valutazione, regolare e pubblica, della qualità e dell'impatto delle azioni realizzate,

la formazione di agenti e integratori di sviluppo,

le passerelle strutturate accademia-industria-governo,

le strutture educative e formative di qualità,

l'inserimento in reti di centri d'eccellenza scientifico-tecnologica,

la creazione/rafforzamento di strutture di aggregazione avanzate (distretti, parchi high-tech, conglomerati produttivi e finanziari, ecc.),

un territorio attrezzato, sostenibile, attraente ed informatizzato,

delle strutture di consenso e di decisione efficienti ed accettate, che si basino sul coinvolgimento dei cittadini.

1.5.1

È infine imprescindibile che di tale politica integrata del territorio sia parte integrante un dialogo sociale strutturato, realizzato anche attraverso la valorizzazione dei consigli economici e sociali territoriali esistenti, con le parti sociali ed i rappresentanti della società civile organizzata, e la creazione di forme efficaci di partenariato economico e sociale (3).

1.5.2

A tale proposito va perseguita la strada indicata dal CESE, con il coinvolgimento dei consigli economici e sociali, o organismi similari, dei singoli paesi europei, in un dialogo strutturato con il CESE medesimo.

1.6

La misura del successo della nuova governance dipenderà sempre più dalla capacità di individuare il livello di prossimità più efficace per la gestione dei problemi e delle soluzioni, conformemente al principio della sussidiarietà, ma salvaguardando un quadro di coerenza e di visione comune con gli altri livelli d'intervento (4).

1.7

Il Comitato è convinto che la pratica di esplorare le possibilità di percorsi, azioni ed interventi in una visione a medio-lungo termine condivisa attraverso esercizi di Foresight partecipativi può dare un valido contributo dal basso verso l'alto alla crescita culturale della società e può contribuire ad arricchire le scelte dei decisori politici e amministrativi ma anche, e soprattutto, far emergere e rafforzare sul territorio le interazioni tra settori tecnologici, economici, sociali, politici e culturali essenziali per la governance di uno sviluppo sostenibile e competitivo.

1.8

Ciò richiede, innanzitutto, il coinvolgimento delle parti sociali e dei rappresentanti della società civile organizzata, per arrivare ad una chiara percezione dei punti di forza e di debolezza e per poter individuare nuove posizioni sul mercato domestico e su quello internazionale.

1.9

Se da una parte la globalizzazione esercita una pressione competitiva per modernizzare, innovare e spostare verso l'alto la catena dei valori, e permette di produrre e distribuire beni e servizi nel modo più efficiente ed economico, dall'altra essa rischia però di generare, se non si interviene per tempo, nuove segmentazioni e frammentazioni del tessuto economico e sociale, soprattutto a livello territoriale.

1.9.1

Da qui la necessità, per il Comitato, di procedere quanto prima alla creazione di nuove competenze capaci di orientare i cittadini verso i cambiamenti. Vanno organizzate azioni di formazione congiunte per i manager di distretto, i responsabili di impresa, i responsabili dei sistemi finanziari e creditizi, da attuare con i decisori politici, con i responsabili del settore pubblico, con i quadri degli enti locali e territoriali.

1.10

Solo un approccio territoriale integrato e partecipato è in grado, a parere del Comitato, di far sì che le conoscenze accumulate attraverso gli investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione ed educazione, possano generare capacità innovative e vantaggi competitivi per la base industriale europea, in grado di attrarre capitali umani e finanziari sul territorio.

1.10.1

In tale contesto è di primaria importanza studiare nuove forme per attirare tale capitale umano: ad esempio, la garanzia di un maggiore equilibrio tra tempo di vita e di lavoro o l'introduzione di incentivi, in particolare per le professioni intellettuali e ad alta qualificazione come quadri, ricercatori o professionisti dell'industria, che permettano agli interessati di trovare, nel corso della vita lavorativa, dei benefici sufficientemente attraenti.

1.11

Il Comitato ritiene che il nuovo CIP 2007-2013 non possa essere visto disgiuntamente dalle altre politiche e programmi d'intervento comunitari sul territorio, poiché vuole affrontare tali problemi attraverso tre linee di intervento: il programma per l'imprenditorialità e l'innovazione; il programma di sostegno alle tecnologie della comunicazione e dell'informazione; il programma per l'energia intelligente.

1.12

In tale ottica, il Comitato sostiene la necessità di un forte coordinamento del CIP con gli interventi di politica regionale e di coesione e cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale nonché con il Settimo programma quadro di RSTD che dedica una parte consistente del proprio programma «Capacità» allo sviluppo della ricerca per le PMI, alle «regioni della conoscenza», al sostegno all'innovazione e ai servizi innovativi per le imprese nonché ai necessari rapporti tra il mondo della formazione e quello degli imprenditori.

1.13

A parere del Comitato è indispensabile che tali iniziative, oltre ad un elevato grado di coordinamento per assicurare sinergie ed evitare sovrapposizioni o incongruenze, siano prioritariamente rimodulate ed adeguatamente recepite dal territorio in un quadro di priorità di partenariato di sviluppo locale condiviso.

1.14

Il Comitato ribadisce, infine, quanto già espresso in alcuni suoi pareri recenti in tema di politica industriale moderna: «Ciò che manca è un collegamento chiaro tra l'impegno a livello comunitario e il necessario coinvolgimento dei governi, delle imprese e delle parti direttamente interessate ai livelli nazionale e regionale».

2.   Definizioni

Nel parere si fa riferimento ad alcuni concetti, il cui significato viene qui sotto riportato

2.1

Governance : la letteratura antropologica distingue tre tipi di governance  (5). La governance«dalla base», che prevede un coordinamento di tutti gli attori, a livello locale, ed è caratterizzata da una predisposizione marcata verso tutte le attività tecnologiche. La governance«a rete», impostata su un elevato grado di coordinamento in rete di tutti gli attori, e particolarmente delle aziende, degli enti di ricerca, degli organismi finanziari. La governance«dirigista», che si basa su un elevato grado di coordinamento e su una gestione centrale di molti degli aspetti particolarmente importanti, quali i finanziamenti e le competenze in materia di ricerca.

2.2   Territorio socialmente responsabile (6)

Un territorio può essere definito socialmente responsabile quando orienta il proprio sviluppo verso i temi della sostenibilità, cioè quando ingloba nel proprio sviluppo la dimensione economica, sociale e ambientale. Un territorio può definirsi socialmente responsabile se riesce a:

integrare considerazioni sociali e ambientali nelle decisioni economiche,

condividere un modello di valori e una metodologia partecipativa nei processi decisionali,

favorire le buone pratiche e il confronto continuo tra i portatori di interesse, per aumentare l'innovazione e la competitività.

Per poter progettare un territorio socialmente responsabile, è necessario:

identificare la comunità che lo abita,

individuare i valori che la guidano.

2.3   Capitale sociale di un territorio

Il capitale sociale può presentarsi sotto forme diverse: cultura di cooperazione o concorrenza; consenso associativo, o gruppi di interesse polarizzati; modalità di apprendimento. Le tradizioni culturali e il tipo di organizzazione possono influire notevolmente sugli ostacoli che si possono incontrare verso la realizzazione di un territorio socialmente responsabile. Un esame più approfondito delle risorse sociali disponibili in un territorio (capitale sociale) ci impone una distinzione tra: capitale istituzionale; capitale culturale; capitale simbolico; capitale psicosociale; capitale cognitivo.

Capitale istituzionale: si tratta delle capacità delle istituzioni formali di un territorio di concentrarsi sulla soluzione dei problemi, della loro capacità di azione, della rapidità del processo decisionale, del grado di informazione delle organizzazioni e della loro flessibilità e infine del tipo di rapporti esistente tra le diverse organizzazioni,

capitale culturale: è costituito dal patrimonio di tradizioni del territorio, dai suoi valori e convinzioni, dalla ricchezza della sua lingua e infine dalle sue relazioni sociali e modalità di comportamento (7),

capitale simbolico: è rappresentato dalla capacità di un territorio di mobilitare le energie necessarie per garantire la propria evoluzione, nonché dalla sua potenzialità di fungere da immagine di riferimento per le imprese che vi operano,

capitale psicosociale: questo tipo di capitale si basa principalmente sul concetto di fiducia, sulla convinzione che vi è una comunità e che questa ha un potenziale di sviluppo, e infine sulla consapevolezza che vi è la possibilità di organizzare una cooperazione con i gruppi e con le associazioni,

capitale cognitivo: è rappresentato dal know-how collettivo e non va confuso con il capitale umano dei singoli. Il capitale cognitivo si sedimenta nelle organizzazioni che costituiscono le infrastrutture del sapere, vale a dire università, centri di ricerca, nonché nelle organizzazioni culturali e di categoria, nelle imprese e negli organismi deputati a sviluppare il dialogo sociale (8).

2.4   Il Foresight (9): l'avvenire come costruzione sociale

L'avvenire è da costruire. Sono le persone che, attraverso le loro azioni volontarie e le conseguenze talvolta inattese di queste ultime, lo costruiscono. Quindi il futuro non è fatto per essere semplicemente predetto, ma per essere costruito socialmente. Una riflessione sistematica sugli avvenimenti probabili o possibili può contribuire a questa costruzione. In quanto campo di investigazione, lo studio sistematico del futuro è uno strumento per cercare di creare un domani più rispondente ai nostri desideri. Lo scopo dell'esercizio di Foresight non è, quindi, quello di predire il futuro, ma di immaginare un futuro diverso dal presente, reso possibile da fattori quali il cambiamento della tecnologia; degli stili di vita e di lavoro; della regolamentazione; della geopolitica mondiale, ecc.

2.4.1

Con lo scopo di sostenere le linee decise dal Consiglio europeo di Lisbona, la Commissione ha creato le condizioni per organizzare lo Spazio europeo della ricerca (SER) (10) i cui finanziamenti sono stati inseriti nel Sesto programma quadro, con un'attenzione particolare al Foresight territoriale (11). Successivamente, nel 2001, la Commissione ha dato vita all'unità «Prospettiva scientifica e tecnologica, rapporti con l'IPTS (12)», con lo scopo di diffondere il Foresight, come modello di innovazione.

2.5   Democrazia di prossimità

2.5.1

Fra le tendenze degli ultimi anni, oltre all'affermazione della sussidiarietà, ha acquistato importanza la questione della prossimità, vale a dire l'atteggiamento culturale attraverso il quale il cittadino esprime il desiderio di sentirsi protagonista nelle decisioni che coinvolgono la sfera sociale. Grazie alle nuove tecnologie la conoscenza si sta diffondendo con una velocità e con un'ampiezza prima impensabili.

3.   Motivazione

3.1

All'inizio del terzo millennio l'UE si trova di fronte a mutamenti strutturali profondi, che hanno rivoluzionato nel giro di pochi anni l'ambiente mondiale in cui l'economia europea si trova ad operare e a competere. Fra questi mutamenti figurano in particolare i seguenti:

la forza lavoro presente sul libero mercato è raddoppiata con l'ingresso di oltre due miliardi di persone nell'area economica di mercato, regolata dall'OMC,

la rivoluzione economica, causata dalla globalizzazione, ha modificato modelli economici radicati, alterando l'equilibrio tra la domanda e l'offerta,

sono emersi nuovi competitori economici, tra loro aggregati, che si sono aggiunti ai tradizionali attori sul mercato,

l'impresa è sempre più concepita come un soggetto integrato in un sistema, che garantisce reti di conoscenza integrate,

il successo di un'impresa diventa sempre più conseguenza della nuova governance pubblica del territorio, che deve operare in una visione strategica condivisa,

le nuove governance, pubbliche e private, presenti nei territori, coesistono all'interno di un quadro mondiale che presenta forti dislivelli demografici ed economici,

nel nuovo mercato globale liberalizzato si sono immesse prepotentemente nuove strategie aggressive di penetrazione economica e commerciale, essenzialmente miranti ad individuare i punti di debolezza dei mercati esteri, per trarne vantaggi competitivi.

3.2

La relazione Aho (13) ha ribadito la necessità di nuovi paradigmi di governance, per ottenere un'Europa competitiva e consapevole delle sfide che i mutamenti strutturali stanno apportando al sistema.

3.2.1

L'adozione di questo nuovo paradigma di governance passa attraverso:

un netto cambiamento per realizzare in concreto l'unicità del mercato europeo, per favorire l'innovazione e per commercializzare prodotti e servizi nuovi, in contrapposizione con una frammentazione che costituisce il principale ostacolo agli investimenti, alle imprese e all'occupazione,

una rivisitazione degli schemi di mobilità nell'UE, rivolti alle risorse umane: questa dovrà prevedere canali di interscambio e mobilità sia tra scienza, industria e governo che tra i vari paesi nonché nuovi strumenti di dialogo per valorizzare il modello sociale europeo della conoscenza e per favorire la nascita di nuove generazioni di distretti del sapere, di nuovi parchi tecnologici ed industriali e poli di eccellenza, di piattaforme tecnologiche e raggruppamenti,

una nuova visione strategica comune, con strumenti di foresight partecipativo, per affrontare le sfide sociali interne e le sfide economiche esterne e per colmare il fossato tra le suggestioni politiche e le necessità concrete di partecipazione di tutte le regioni che vogliono entrare nell'economia della conoscenza,

lo sviluppo nel territorio di figure di «Integratori di sviluppo» (14), di alta professionalità,

il sostegno alla creazione dell'Istituto tecnologico europeo (15) per evitare la fuga dei cervelli e richiamarli da altre parti del mondo per dare sviluppo ed impulso a ricerca ed innovazione sul territorio dell'Unione,

una forte azione europea di sostegno alla riqualificazione professionale e alla formazione di validi profili multidisciplinari.

3.3

La ricerca e lo sviluppo, il design, i sistemi di fabbricazione, i sistemi logistici (16), il marketing e i servizi alla clientela sono funzioni sempre più integrate, che agiscono congiuntamente come una sola entità che collega i clienti agli ideatori di nuovi prodotti.

3.4

La nuova architettura d'impresa è sempre meno legata alla disponibilità di attrezzature fisiche e sempre più alla proprietà di beni intangibili. Essa ha bisogno di un «territorio attrezzato», dotato di strutture di governance territoriale, che sappiano sostenere le capacità produttive e distributive di beni e di servizi e garantire, al meglio, i servizi post vendita.

3.5

Lo sviluppo di una chiara identità territoriale, che si manifesta nel capitale sociale, si rivela fondamentale, sia per evitare rischi di delocalizzazione, sia perché ai nuovi insediamenti si richiedono specificità e alti standard qualitativi di servizi sul territorio. Questi standard si possono ottenere solo con personale sensibile e preparato.

3.6

La consapevolezza di un'identità regionale/locale tra cittadini, decisori politici e parti sociali, permette un approccio integrato di sostenibilità ambientale e sociale, che rappresenta un fattore supplementare di attrazione di nuovi investimenti.

3.7

La valorizzazione dell'identità territoriale si basa su di un amalgama di adesione, riconoscimento ed empatia verso un insieme di valori comuni, in un quadro di visione prospettica condivisa. La promozione dell'identità territoriale fa ricorso a:

modelli di governance partecipativi e trasparenti, attuati grazie a una distribuzione dei poteri tra i differenti attori e i vari centri decisionali pubblici e privati; ad azioni di capacity building intese a garantire l'ottimizzazione della struttura organizzativa, gestionale e operativa, nonché a un uso sostenibile delle risorse del territorio, includendo tra di esse i trasporti, i servizi sanitari, le risorse fisiche, le infrastrutture e i servizi TIC,

costruzione di un'immagine «gradevole» del territorio,

analisi SWOT (17),

esercizi di foresight partecipativi, per acquisire consapevolezza di visioni/percorsi comuni,

networking e scambi di migliori pratiche tra identità territoriali,

esercizi di benchmarking per assicurare vantaggi territoriali comparati.

4.   L'Approccio territoriale integrato (ATI) ed i sistemi di foresight per innovazione e ricerca sul territorio

4.1   L'ATI e le risorse umane locali

4.1.1

Diversi sono i campi di intervento prioritario, per la valorizzazione del patrimonio di risorse umane presenti nel territorio:

visione strategica comune e condivisa (Foresight) delle prospettive, a medio e lungo termine di sviluppo tecnologico ed innovativo del territorio,

dialogo sociale strutturato a livello territoriale. Al riguardo è essenziale che gli strumenti legali esistenti per l'informazione e la consultazione siano pienamente rispettati (18),

formazione realizzata con strutture di qualità, volte a qualificare permanentemente le risorse umane verso i profili professionali necessari alle nuove prospettive di sviluppo regionale, nel quadro di una competizione globale,

utilizzo dei numerosi strumenti sociali, previsti per le risorse umane colpite vuoi da mutamenti repentini di mercato che le escludono dalle possibilità di sviluppo, vuoi dal declino territoriale di zone in crisi,

una politica rivolta all'inclusione sociale e al rispetto delle minoranze etniche,

una gestione intelligente e responsabile della flessibilità per più ampie possibilità di realizzazioni professionali («flessicurezza» (19)),

il pieno coinvolgimento dei cittadini.

4.2   L'ATI e lo sviluppo di una nuova e più forte imprenditorialità

4.2.1

Un approccio territoriale integrato può incoraggiare e promuovere la creazione e lo sviluppo delle imprese, specie le PMI, attraverso la creazione di un ambiente favorevole in termini di:

semplificazione degli oneri amministrativi ed eliminazione degli ostacoli burocratici alla creazione ed allo sviluppo anche dimensionale delle imprese,

strutture di istruzione, formazione professionale, apprendistato sotto forma di formazione-lavoro, formazione permanente lungo tutta la vita attiva, gestite dalle parti sociali attraverso gli enti bilaterali secondo una progettualità rivolta al futuro,

reti integrate tra università, imprese e centri di ricerca, con piani di lavoro e metodologie d'azione e strutture omogenee, finalizzate al trasferimento tecnologico,

creazione e rilancio dei nuovi distretti industriali e tecnologici del sapere e delle piattaforme industriali integrate: in esse i soggetti della filiera tecnologica si espandono per assorbire nuovi luoghi di elaborazione cognitiva e di ricerca applicata e, superando il concetto di appartenenza territoriale, elaborano sistemi produttivi e distributivi che fanno capo a valori e strategie comuni di learning communities,

creazione, anche attraverso agenzie di sviluppo regionale, di parchi industriali e tecnologici in rete, per sviluppare delle aree territoriali attrezzate, dotate di servizi di assistenza allo sviluppo di nuove imprese,

miglioramento dell'accesso alle fonti di finanziamento e di credito, anche attraverso la messa in opera, su tutto il territorio UE, di meccanismi quali quelli dell'iniziativa Jeremie (Joint European Resources for Micro-to-Medium Enterprises), per le imprese minori e le microimprese,

sviluppo e diffusione dei meccanismi di responsabilità sociale dell'impresa,

promozione e rafforzamento dei sistemi di cooperazione tra parti sociali e attori economici e sociali locali, tramite un potenziamento delle loro capacità istituzionali e del dialogo sociale,

modernizzazione del sistema digitale locale di comunicazione tra tutti gli attori politici, economici e sociali presenti sul territorio, e le autorità ed istituzioni pubbliche e private di riferimento. Ci si dovrà in particolare concentrare sugli strumenti quali l'e-government, l'e-business, l'e-commerce, il telelavoro, nonché le reti di comunicazione a banda larga ed alta potenzialità, quali la rete GEANT (20) di trasmissione dati ed i sistemi GRID (21),

rafforzamento di valori sostenuti dal programma Jessica, rivolto all'integrazione delle aree periferiche metropolitane,

contesti di sicurezza fisica, economica e sociale del cittadino, del mondo delle imprese e del lavoro,

sostenibilità dell'approccio territoriale integrato della politica industriale regionale e locale, con l'ottimizzazione della tutela ambientale nelle mutazioni economiche e industriali.

4.3   L'ATI, il CIP ed il Settimo programma quadro e la coerenza con altre politiche comunitarie

Nel 2005 i capi di Stato e di governo hanno dato ulteriore impulso politico alla rinnovata strategia di Lisbona, in particolare sottolineando il modo in cui i valori europei possono ispirare la modernizzazione dell'economia e della società in un mondo globalizzato.

4.3.1

Il Consiglio europeo del marzo 2006 ha indicato le priorità da perseguire nel contesto del rinnovato partenariato per la crescita e l'occupazione:

investire di più nella conoscenza e nell'innovazione,

sbloccare il potenziale delle imprese, soprattutto quello delle PMI,

aumentare le opportunità di occupazione, nuove e durevoli, per le categorie prioritarie, specie giovani (22), donne, lavoratori anziani, disabili, immigrati legali e minoranze.

4.4

È in particolare il programma per l'imprenditorialità e l'innovazione (CIP) che unifica in un quadro coerente molte delle attività volte ad affrontare problematiche essenziali per la competitività e l'innovazione del tessuto economico e sociale dell'UE, orientando lo sviluppo verso azioni innovative e produttive, rispettose dell'ambiente, improntate a un uso efficiente delle risorse e socialmente valide.

4.5

Dal canto suo, il citato programma specifico «Capacità» del Settimo programma quadro si propone di rafforzare le capacità di ricerca ed innovazione in particolare:

venendo incontro alle esigenze delle PMI che hanno bisogno di esternalizzare le attività di ricerca,

favorendo le reti transnazionali delle «regioni della conoscenza», per agevolare la nascita di cluster, metadistretti e parchi tecnologici e industriali, che aggreghino università, centri di ricerca, imprese ed autorità regionali,

sbloccando il potenziale di ricerca e innovazione delle regioni della convergenza e ultraperiferiche, in sinergia con gli interventi dei fondi strutturali e di coesione.

4.5.1

L'ottimizzazione della partecipazione delle PMI alle attività di ricerca ed innovazione deve tuttavia realizzarsi anche negli altri programmi specifici del Settimo programma quadro (vale a dire i programmi «Cooperazione», «Idee», «Persone»).

4.5.2

Un'altra caratteristica essenziale, comune a tutti i programmi, è l'obbligo di promuovere la valorizzazione dei risultati della ricerca, cosa che si realizza, in modo determinante, a livello territoriale. In tale ottica, il CESE ritiene indispensabili livelli elevati di coordinamento, di coerenza e di sinergia con gli interventi comunitari di politica regionale e di coesione e degli altri strumenti comunitari di sostegno della cooperazione territoriale e della educazione e della formazione.

4.5.3

Esiste inoltre la necessità di coordinare le azioni precedentemente descritte con le politiche regionali aventi come riferimento i fondi strutturali europei riformati.

4.6

Tali iniziative, oltre a richiedere un elevato grado di coordinamento per assicurare sinergie ed evitare sovrapposizioni o incongruenze, esigono prioritariamente, per essere adeguatamente recepite dal territorio:

un ambiente di utilizzo ricettivo attrezzato, in grado di attivare sinergie, con i programmi regionali e locali pertinenti, capace di sviluppare reti di partner di ricerca internazionali; l'obiettivo è quello di aderire ai criteri di transnazionalità dei progetti europei, nonché di tradurre i risultati della ricerca in termini di reale crescita competitiva e occupazionale, direttamente finalizzabile alle mutazioni industriali in atto, attraverso reti territoriali permanenti di interazione tra università, industria e centri di ricerca,

strutture educative e formative avanzate, orientate a rispondere funzionalmente alle esigenze dello sviluppo economico e industriale, basato sulla conoscenza; tali strutture dovranno basarsi su programmi formativi orientati ai nuovi paradigmi tecnologico-produttivi, distributivi e di consumo, nonché su sistemi di formazione permanente, in grado di anticipare le risposte alle mutazioni industriali e di mercato,

azioni di capacity building istituzionale e associativo e di dialogo sociale, in grado di gestire in modo efficace le progettualità e di ottimizzarne la ricerca ed il trasferimento tecnologico: il tutto dovrà avvenire in un quadro di visioni condivise da tutti gli attori economici e sociali impegnati in prima persona sul territorio, e perseguire l'obiettivo di nuove opportunità imprenditoriali e formative, qualificazioni avanzate e nuovi profili professionali per le risorse umane,

una politica integrata del territorio, che sappia valorizzare le potenzialità di sviluppo locale, rafforzando le capacità di adattamento e di anticipazione innovativa, per trarre profitto dai benefici dei nuovi flussi di beni e di servizi, dalle risorse umane e dai capitali generati dalla globalizzazione,

un dialogo sociale consolidato a livello regionale/locale, quale strumento chiave per massimizzare i benefici delle visioni anticipative delle mutazioni industriali e di mercato, nonché dei flussi di istruzione e formazione delle risorse umane; un dialogo altresì capace di garantire una nuova sicurezza di percorsi professionali e delle nuove flessibilità all'organizzazione produttiva, distributiva e dei servizi.

4.6.1

Secondo il Comitato, sia il Settimo programma quadro di RSTD che il nuovo CIP, sui quali il CESE ha già avuto modo di pronunciarsi, presentano tuttora un eccessivo orientamento «dall'alto verso il basso» e non permettono ancora di cogliere, come sarebbe auspicabile, le opportune integrazioni e le necessità di partecipazione responsabile degli attori pubblici e privati dello sviluppo a livello locale e regionale. Con questo approccio, non viene sostanzialmente conferito agli attori locali il ruolo loro spettante, in quanto corresponsabili della governance europea.

4.6.2

L'Unione europea dovrebbe incentivare, anche attraverso i due strumenti suddetti, questo nuovo tipo di partenariato a livello locale con le autorità e gli attori economici, e specie con le parti sociali, favorendo una nuova generazione di «patti territoriali per lo sviluppo nella globalizzazione» (23). In essi dovrebbero confluire tutti gli stakeholders dello sviluppo economico e occupazionale, al fine di rispondere adeguatamente alle sfide dei mercati e della competitività, andando al di là del localismo, che tende sempre più a rappresentare un limite pericoloso di fronte a realtà mondiali interconnesse.

4.7   L'ATI, la governance partecipativa, le parti sociali e la società civile

4.7.1

Una parte rilevante delle azioni per la competitività sostenibile sono di competenza del livello locale e regionale; per esse diventano prioritari i sistemi di governance e la cooperazione tra le diverse collettività locali e regionali, le differenti autorità ed istituzioni, le parti sociali, le imprese e gli attori economici sociali della società civile che interagiscono sul territorio.

4.7.2

In merito al concetto di governance, ci si riferisce a quanto precedentemente espresso dal Comitato in proposito: «anche le parti interessate del settore privato devono agire ed assumere delle responsabilità, mediante contributi ed azioni tangibili. Il dialogo sociale e quello civile costituiscono strumenti importanti» (24).

4.7.3

Per quanto riguarda il potenziamento del dialogo sociale: «il Comitato condivide l'idea che le parti sociali, sulla base della conoscenza del proprio settore, possono svolgere un ruolo informativo e richiamare l'attenzione dei poteri pubblici».

4.7.4

Secondo il Comitato, si tratta di saper porre in essere dei sistemi di ingegneria sociale e decisionale basati sulla partecipazione, snelli, proattivi e reattivi, in grado di mantenere un elevato livello qualitativo di democrazia politica, economica e sociale, senza appesantire e rallentare lo sviluppo di azioni ed iniziative.

4.7.5

Lo sviluppo di una visione comune a medio e lungo termine diventa essenziale, così come l'individuazione e la ripartizione di responsabilità intorno ad obiettivi intermedi condivisi, nonché il ricorso a strumenti avanzati e comprovati a livello regionale quali quelli del foresight.

4.8

L'ATI e una strategia di governance per lo sviluppo di un territorio socialmente responsabile

4.8.1

In un contesto come il nostro, aperto alla competizione globale, una strategia di governance per uno sviluppo territoriale socialmente responsabile deve assicurare dinamiche durature di sviluppo economico e di elevata qualità sociale. Una tale strategia dovrà agire in particolare tramite:

miglioramenti costanti delle qualità e capacità cognitive e innovative del sistema produttivo territoriale, attraverso la realizzazione di analisi sistematiche e di previsioni partecipate dello sviluppo sociale, economico e tecnologico,

lo sviluppo di reti globali di riferimento per il settore pubblico e privato, che assicurino flussi biunivoci costanti di interazione con il mercato globale,

livelli elevati di sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo, sia sul piano della produzione che su quello del consumo,

circuiti efficienti e consolidati di creazione, diffusione e circolazione della conoscenza, dell'informazione e della formazione permanente di operatori tecnologici, utenti e consumatori finali,

elaborazione di «bilanci sociali territoriali» in grado di misurare, monitorare e valutare le dinamiche utili per il raggiungimento di obiettivi qualitativi e quantitativi, sulla base di standard e metodologie comuni, a livello europeo.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo del 23-24 marzo 2006, punto 4.

(2)  Cfr. Pacte industrial de la regio metropolitana de Barcelona ( http://www.pacteind.org/eng/activities/) in cui si afferma che «la competitività del territorio sta nella qualità delle imprese e dei loro lavoratori, …».

(3)  Cfr. Linee guida della Commissione europea sulla politica di coesione: un attivo partenariato orizzontale (parti sociali, società civile organizzata, amministratori); Un efficace partenariato verticale (Commissione europea, governi nazionali, amministrazioni regionali e locali) V REG.CE/1260/1999 del 21.6.1999 e COM(2002) 598 del 7.11.2002.

(4)  Cfr. La democrazia di prossimità.

(5)  P. Cooke ed altri, 1998, Regional Innovation SystemThe role of governance in a globalised world.

(6)  Questo concetto è alla base del nuovo programma Jessica, varato dalla DG REGIO, finanziato dalla BEI e rivolto, in particolare, al recupero delle aree metropolitane ove maggiore è il degrado.

(7)  In senso antropologico, la cultura è costituta da «modalità di comportamento acquisite e trasmesse mediante simboli, segni atti, opere dello spirito» (Alberoni, Consumi e società).

(8)  F. Alburquerque ed altri, Learning to innovate, seminario OCSE 30.9-1.10.1999 Malaga, Spagna.

(9)  Definizione di Foresight: processo sistematico e partecipativo, che comporta la rilevazione di informazioni e la creazione di visioni sul futuro, a medio e a lungo termine, destinato a orientare le decisioni e a mobilitare i mezzi per le azioni congiunte.

(10)  COM(2002) 565 def., del 16.10.2002.

(11)  http://www.cordis.lu/rtd2002/foresight/main.htm.

http://www.cordis.lu/rtd2002/foresight/seminar.htm.

http://www.regional-foresight.de/.

http://prospectiva2002.jrc.es/.

(12)  Istituto di prospettive tecnologiche. È uno dei 7 istituti che dipendono dal CCR (Centro comune di ricerca).

(13)  Creare un'Europa innovativa, rapporto del gruppo di esperti indipendenti europei su R&S, presidente Esko Aho, gennaio 2006.

(14)  Persone preparate socialmente e tecnologicamente che, con l'aiuto dei poli tecnologici, sappiano aiutare le micro e le piccole imprese nei processi di innovazione.

(15)  Cfr. Conclusioni del Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006.

(16)  Cfr. Politica europea in materia di logistica.

(17)  L'acronimo inglese SWOT sta per Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats, ovvero punti di forza e di debolezza, opportunità e minacce.

(18)  Cfr. il documento della Confederazione europea dei sindacati (CES) RistrutturazioniAnticipare e accompagnare la ristrutturazione per lo sviluppo dell'occupazione: il ruolo dell'UE (Comitato esecutivo della CES, Bruxelles, 14 e 15 giugno 2005).

(19)  Flessicurezza: il caso della Danimarca, ECO/167 relatrice Anita VIUM.

(20)  Il progetto GEANT è nato dalla collaborazione tra 26 reti nazionali di ricerca e istruzione di 30 paesi europei, la Commissione europea e DANTE (Delivery of Advanced Network Technology to Europe). Il suo scopo principale era quello di sviluppare la rete GEANT, una rete paneuropea multigigabit di comunicazione dati destinata specificatamente a fini di ricerca e istruzione.

(21)  Il GRID è un sistema che integra e coordina risorse ed utenti all'interno di domini differenti, quali ad esempio la postazione utente e il server centrale, diverse unità amministrative nella medesima azienda o aziende diverse; affronta inoltre questioni che sorgono in queste configurazioni, quali la politica di sicurezza, i pagamenti, l'appartenenza ecc.

(22)  Cfr. ad es. Il patto per i giovani definito dal governo francese.

(23)  Cfr. Pacte industrial de la regio metropolitana de Barcelona ( http://www.pacteind.org/eng/activities/) in cui si afferma che «la competitività del territorio sta nella qualità delle imprese e dei loro lavoratori, …».

(24)  Cfr. Verso la società europea della conoscenzaIl contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona (parere esplorativo) — relatori OLSSON, BELABED, van IERSEL.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alla competitività europea, alle trasformazioni industriali e allo sviluppo del capitale sociale

(2006/C 318/03)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere sul tema: Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alla competitività europea, alle trasformazioni industriali e allo sviluppo del capitale sociale.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore KRZAKLEWSKI e dal correlatore SZŰCS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 181 voti favorevoli, 6 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo è convinto che l'Unione europea debba servirsi dell'applicazione degli strumenti elettronici all'istruzione e alla formazione (e-learning) (1) per realizzare attività volte ad aumentare l'efficacia e la qualità dell'apprendimento e in particolare a consentire lo svolgimento di azioni di istruzione e formazione sul luogo di lavoro. Iniziative di questo tipo avranno inoltre lo specifico vantaggio di ridurre i costi di formazione dei lavoratori e, conseguentemente, di migliorare in modo incisivo la competitività delle imprese, specie le PMI.

1.2

Il Comitato ritiene che all'interno dell'UE sussistano ancora delle disparità per quanto riguarda l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione a sostegno dell'apprendimento e della formazione. Tali disparità sono frutto della diversità culturale e linguistica dell'Unione nonché dell'immaturità dei mercati in questione.

1.2.1

Per modificare questo stato di cose, bisogna favorire una maggiore apertura delle istituzioni nei confronti di tutti i settori educativi, ivi compresa la formazione permanente (apprendimento lungo tutto l'arco della vita (2)), onde fare in modo che le nuove tecniche di formazione vengano effettivamente messe in atto e applicate in modo sempre più universale, contribuendo così a coniugare conoscenze teoriche e prassi per creare sinergie con lo sviluppo tecnologico ed economico previsto.

1.2.2

Il Comitato è dell'avviso che, nel contesto sopra descritto, la Commissione europea sia l'istituzione maggiormente in grado di imprimere una nuova direzione. La questione della comunicazione e del coordinamento riveste quindi particolare importanza per i servizi della Commissione, in particolare nei settori dell'istruzione e della società dell'informazione.

1.2.3

È giunto il momento di prendere atto della sempre maggiore diffusione dell'e-learning e del fatto che in questo settore si è formato un know-how che garantisce l'applicazione di metodi coerenti e contribuisce alla creazione di valore aggiunto.

1.3

Il CESE è convinto che si debba sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica europea alla questione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in particolare spiegando meglio come utilizzarle a sostegno dei corsi di formazione del settore industriale e della formazione permanente, prevedendo in tale sforzo:

iniziative di formazione realizzate principalmente sul luogo di lavoro e incentrate sulla risoluzione dei problemi incontrati attualmente in un determinato contesto,

metodi e impostazioni che tengano conto delle acquisizioni pregresse — ivi comprese quelle ottenute tramite il lavoro e la pratica — e che incoraggino la partecipazione diretta alle attività di formazione sia individuali che collettive.

1.4

Il CESE esorta le istituzioni dell'Unione europea e gli Stati membri a ricordare, in sede di attuazione dei programmi di sviluppo legati alla creazione della società dell'informazione, che questi meccanismi non devono condurre ad alcuna forma di esclusione e che quindi non è permesso porre nessuna restrizione sociale, economica o geografica all'accesso alle infrastrutture elettroniche in quanto strumento di formazione.

1.4.1

Il Comitato sottolinea che nelle zone rurali e nei piccoli centri urbani in modo particolare l'applicazione delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazione alla formazione permanente è subordinata al sostegno dell'UE e dei governi degli Stati membri alla creazione di connessioni a Internet ad alta velocità (3) che consentano di accedere ai sistemi di apprendimento elettronico. Il fatto che queste realtà territoriali presentino situazioni particolarmente difficili nei nuovi Stati membri non fa che corroborare ulteriormente la validità della tesi per cui non deve sussistere alcun tipo di ostacolo all'accesso a Internet a banda larga.

1.4.2

In questo contesto il Comitato si rivolge alla Commissione europea chiedendo che venga riconosciuto il fatto che la questione dell'accesso alla connessione ad alta velocità va inserita in una strategia più ampia mirante a conferire all'accesso ai servizi elettronici lo statuto di servizio di pubblica utilità.

1.5

Il Comitato reputa che nel settore dell'istruzione e della formazione elettronica a distanza si debba fare particolare attenzione al pericolo della comparsa di un divario generazionale, anche perché le attività legate alla formazione permanente destinate agli adulti utilizzeranno in modo sempre più massiccio lo strumento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

1.6

Il CESE vorrebbe inoltre sottolineare la necessità di prevedere l'uso dell'e-learning in quanto strumento accessibile ai non vedenti. Poiché le applicazioni tecniche utilizzabili a questo fine sono ben note, gli autori dei manuali di e-learning dovrebbero avvalersi delle raccolte di regole predisposte dalle organizzazioni che rappresentano le associazioni di non vedenti.

1.7

Il Comitato esprime la convinzione che e-learning debba costituire uno strumento efficace per migliorare la competitività delle imprese e aumentare il loro potenziale d'attività economica, in particolare quello delle PMI, che svolgono un ruolo chiave in quanto motori della crescita economica e nella creazione di posti di lavoro.

1.8

Il Comitato ritiene che, estendendo il campo di applicazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione alla formazione permanente, si concorrerà in misura decisiva a rafforzare non soltanto la competitività delle imprese, ma anche il capitale sociale rappresentato dai lavoratori all'interno dell'Unione, contribuendo così ad aumentare il valore del capitale delle imprese europee.

1.9

Il CESE prende atto della necessità di definire quanto prima il nuovo ruolo che devono svolgere la società civile e il dialogo tra le parti sociali, nell'ambito del mercato del lavoro dell'UE, nella promozione e attuazione della formazione permanente attraverso l'e-learning. Preparando tutte le società europee ad apprendere lungo tutto l'arco della vita grazie alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione si contribuirà a costruire lo spazio europeo della conoscenza e la società della conoscenza (4).

1.10

Il Comitato osserva che l'integrazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel settore della formazione, così come il consolidamento dell'apprendimento elettronico nella sfera professionale, sono stati inferiori al previsto. Invita pertanto le autorità europee e nazionali competenti a prendere misure che portino a un progresso significativo nell'adozione dell'e-learning. Un'evoluzione in questo senso potrebbe contribuire notevolmente al miglioramento della competitività e della produttività dell'industria europea.

1.11

Il CESE esorta le istituzioni europee ad accordare speciale attenzione alle esigenze delle PMI, alle loro reti e alle organizzazioni che le rappresentano per fare in modo che esse si avvalgano effettivamente delle possibilità offerte dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel settore della formazione.

1.12

Il Comitato ritiene necessario apportare un sostegno permanente e sistematico, attraverso programmi generali e incentivi, ai docenti che si occupano dell'iniziazione alle tecnologie e ai metodi moderni (pedagogia informatica).

1.13

Il CESE desidera sottolineare il fatto che la Commissione europea dovrebbe altresì prestare una speciale attenzione alla questione dei diritti di proprietà intellettuale nell'ambito dell'insegnamento informatico.

1.14

Da ultimo, al termine della serie di suggerimenti formulati nelle presenti conclusioni e raccomandazioni, il Comitato propone che, in linea con le scelte terminologiche inaugurate con denominazioni come «e-Europe», «e-learning» per l'apprendimento elettronico, «e-skills» per le competenze elettroniche — per citarne solo alcune -, per designare la formazione permanente tramite le tecnologie dell'informazione e della comunicazione venga adottato l'acronimo «e-LL» (e-lifelonglearning), così da sottolineare il ruolo di questo tipo di formazione nel programma e-Europe e in quelli che lo seguiranno e la necessità di svilupparne e generalizzarne l'uso in quest'ambito.

2.   Introduzione e motivazione del presente parere

2.1

Il presente parere esamina il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione alla competitività, alle trasformazioni industriali e allo sviluppo del capitale sociale nell'Unione europea.

2.2

Nel contesto dell'attuazione della strategia di Lisbona, la formazione permanente diventa uno dei concetti più importanti della politica comunitaria dell'istruzione e dei nuovi programmi varati dall'UE in questo settore per il periodo 2007-2013 (5). I metodi di istruzione e formazione flessibili e aperti che portano all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione svolgeranno sicuramente un ruolo determinante nello sviluppo dell'economia della conoscenza.

2.3

Nell'attuazione del programma innovativo e-Europe e delle azioni destinate alla realizzazione dell'e-learning, che hanno già dato risultati promettenti, occorre stabilire in che modo si possano sfruttare i progressi compiuti a vantaggio delle trasformazioni industriali, sviluppare le possibilità che si sono aperte e infine tracciare possibili prospettive per il futuro.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Parlamento europeo e il Consiglio, riconoscendo l'importanza degli strumenti informatici nel processo di sviluppo delle risorse umane, hanno adottato un programma pluriennale (2004-2006) (6) mirante a integrare efficacemente le tecnologie dell'informazione e della comunicazione nei sistemi di istruzione europei. Il principale obiettivo di tale programma è quello di sfruttare queste tecnologie per fare in modo che le iniziative di istruzione e formazione realizzate nel quadro della formazione permanente siano di elevato livello qualitativo.

3.2

Accanto all'e-learning, nell'ultimo decennio sono prevalse le formazioni aperte, flessibili e a distanza, che oggi vengono riconsiderate in un contesto più ampio. La formazione basata sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione o l'e-learning consentono maggiore flessibilità nella vita, nella formazione e nel lavoro e sono considerate tra i principali strumenti per il conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona. L'apprendimento non formale (7) e informale (8), così come la formazione sul luogo di lavoro, acquistano maggiore importanza.

3.3

Il parere intitolato Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona, adottato dal CESE nel 2004 (9), sottolineava la necessità di esaminare le nuove possibilità offerte dall'economia della conoscenza e l'importanza di favorire lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e dei processi di innovazione.

3.3.1

Nel parere venivano inoltre evidenziate le carenze dei sistemi di istruzione e sottolineata la necessità di integrare meglio la dimensione sociale nelle azioni realizzate.

3.4

Nel corso dell'ultimo decennio sono state avviate iniziative comunitarie in materia di utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel campo dell'apprendimento: alcune di queste iniziative hanno dato ottimi risultati, ma le altre hanno rivelato una certa mancanza di coesione e non hanno prodotto i risultati attesi in termini sia quantitativi che qualitativi.

3.4.1

Inizialmente i modelli applicati all'e-learning erano incentrati sui singoli individui e si limitavano a trasmettere un sapere stabilito «dall'alto». Totalmente privi di sostegno pedagogico e dell'appoggio dei valutatori, essi hanno deluso in parte le aspettative di quanti avevano iniziato precocemente a tentare di adeguarsi a questa forma di apprendimento.

3.4.2

I progressi tecnologici sostenuti, l'aumento delle pressioni economiche e le misure politiche adottate a ritmi variabili dai governi in questi ultimi anni nell'intento di favorire l'integrazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'istruzione e nella formazione, non sono riuscite a sostenere adeguatamente il consolidamento dello sviluppo professionale.

3.5

Tra gli obiettivi che l'UE si è data per il 2010, vi è quello di coinvolgere in diversi tipi di formazione permanente il 12,5 % della popolazione adulta di età compresa fra i 25 e i 64 anni, mentre attualmente la percentuale è in media del 10 % (10). Il solo modo per arrivare all'obiettivo fissato è quello di intensificare le iniziative miranti a generalizzare l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'istruzione e nella formazione.

3.5.1

Le sfide che dovranno affrontare i programmi di istruzione e di formazione approntati dalla Commissione e dagli Stati membri sono tanto più vaste in quanto nei prossimi cinque anni soltanto il 15 % dei nuovi posti di lavoro sarà destinato a persone scarsamente qualificate, mentre il 50 % di tali posti dovrà essere ricoperto da lavoratori dotati di qualifiche elevate (11).

3.6

La nuova iniziativa avviata nell'UE in collegamento con la comunicazione della Commissione in merito all'iniziativa «i2010» (12) riguarda al tempo stesso l'integrazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e il loro utilizzo a fini di inclusione sociale (13). La politica dell'e-inclusion ha lo scopo di eliminare le barriere che ostacolano l'applicazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e promuovere l'uso di queste ultime per lottare contro l'esclusione e migliorare la produttività economica e le opportunità di impiego.

3.6.1

All'interno del programma di e-inclusion anche la formazione a distanza con l'ausilio delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione riveste una certa importanza in quanto strumento per attenuare, se non impedire completamente, l'emarginazione sociale di categorie professionali che hanno più difficilmente accesso all'insegnamento scolastico a causa della loro situazione geografica, della loro posizione sociale o di esigenze educative specifiche.

3.6.2

Questo tipo di formazione offre in particolare i seguenti vantaggi: l'insegnamento non è legato ad un determinato luogo, il ritmo di apprendimento può essere adeguato alle esigenze individuali dei soggetti che seguono la formazione, si tratta di processi pedagogici che utilizzano tecnologie informatiche moderne e che offrono opportunità di formazione anche ai membri dei gruppi sociali sfavoriti.

3.6.3

In un parere recente (14) il CESE ha esortato i rappresentanti dei governi e del mondo economico a studiare e sostenere misure per promuovere l'istruzione e la formazione nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in vari gruppi sociali minacciati dall'esclusione digitale (15).

3.6.4

L'attuazione del programma di e-inclusion è legata anche alla promozione della cosiddetto alfabetismo digitale (16), divenuto sinonimo della società della conoscenza attuale. Riconoscere prima possibile (17) che la cultura digitale costituisce una delle competenze chiave della formazione permanente, come ha fatto recentemente il CESE in un suo parere, appare non soltanto come una necessità, ma come l'ammissione di un dato di fatto che si impone all'evidenza.

3.7

La realizzazione del programma sulle competenze elettroniche (e-skills) (18) eserciterà una notevole incidenza sui diversi aspetti delle trasformazioni industriali. L'espressione «competenze elettroniche» abbraccia tutte le competenze che sono in relazione con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Nel quadro del suo vasto programma sulle competenze elettroniche la Commissione ha recentemente proposto una serie di interventi, molti dei quali riguardano l'industria e la diffusione generale delle competenze elettroniche sul mercato del lavoro, nonché lo sviluppo di nuove attitudini di questo tipo e il loro ampliamento (19).

3.7.1

Nelle attività riguardanti le competenze elettroniche e l'insieme delle questioni legate all'introduzione della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione svolge un ruolo importante il partenariato tra le parti interessate, vale a dire:

i sindacati,

i rappresentanti delle imprese, in quanto utenti delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che necessitano di manodopera qualificata,

i rappresentanti delle diverse industrie che curano l'applicazione delle nuove tecnologie e che sono più al corrente dei tipi di qualifiche richieste,

i rappresentanti dell'industria delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione,

i ricercatori operanti nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e gli sviluppatori attivi in questo stesso campo,

i ricercatori che studiano gli aspetti quantitativi e qualitativi delle competenze elettroniche,

i responsabili politici dei settori dell'istruzione, della ricerca, dell'impresa, dell'innovazione e della società dell'informazione,

gli specialisti del foresight, che possiedono una visione globale delle trasformazioni che interessano la collettività e delle interazioni tra società e tecnologia.

3.8

Ai fini della realizzazione degli obiettivi formulati nella strategia i2010 e in particolare nei progetti di e-inclusion, una misura particolarmente importante consiste nella diffusione della connessione a Internet ad alta velocità, che non deve essere riservata esclusivamente alle grandi città, bensì essere accessibile anche agli abitanti delle regioni meno sviluppate (20).

3.8.1

È interessante osservare che nelle zone urbane dell'UE a 15 all'incirca il 90 % delle imprese e delle famiglie ha accesso alla connessione ad alta velocità; la percentuale scende invece al 60 % nelle regioni rurali e periferiche. Queste disparità sono nettamente più accentuate nei nuovi Stati membri.

3.8.2

Le reti di servizi informatici e di telecomunicazione a banda larga rivestono un'importanza fondamentale non soltanto in quanto stimolano la competitività delle imprese e lo sviluppo economico delle regioni, ma svolgono un ruolo essenziale anche nel settore dell'istruzione e della formazione, specie nel caso delle attività di tale settore che sfruttano l'e-learning per la realizzazione di programmi di insegnamento.

3.9

Sarebbe altamente auspicabile affrontare ora tale questione nel discorso politico, onde perfezionare la prassi dell'applicazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione alla formazione permanente e migliorare l'efficacia di questo tipo di formazione. In questo contesto specifico, il livello di governo maggiormente in grado di imprimere una direzione politica nuova è quello europeo.

3.9.1

Gli orientamenti attuali della politica in materia attribuiscono una priorità di fatto all'introduzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione negli istituti per l'apprendimento formale, in particolare le scuole e l'università. Nel caso della formazione continua e non formale o informale destinata agli adulti, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione ricevono molta meno attenzione e i mezzi previsti per incentivare il loro utilizzo sono nettamente più modesti.

4.   Osservazioni specifiche

Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alla competitività e alla produttività europea

4.1

In linea con le tesi enunciate nella comunicazione della Commissione Produttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee, del 2002 (21), e del parere del CESE sul tema Formazione e produttività, si può affermare che la produttività è la chiave per aumentare la competitività delle imprese e delle economie europee, nonché la crescita economica. Il miglioramento della competitività dipende in gran parte dai progressi compiuti nell'applicazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione da parte delle imprese e dall'adattamento della manodopera alle esigenze dell'industria attuale.

4.1.1

Se, malgrado la pubblicità tonante di cui hanno beneficiato, le tecnologie elettroniche non hanno risposto, nella prima fase del loro sviluppo, alle attese in esse riposte, è vero anche che i settori della società e dell'economia incentrati su tali tecnologie mostrano uno sviluppo senza precedenti e presentano tuttora un potenziale notevole.

4.1.2

In questo contesto, la Commissione europea evidenzia e apprezza, a giusto titolo, l'importanza delle moderne tecnologie dell'informazione e della comunicazione in quanto motori della competitività e dell'innovazione, nonché il loro contributo alla creazione di un'economia fondata sulla conoscenza, in particolare nel caso delle PMI.

4.2

La formazione professionale effettuata tramite programmi e metodi di insegnamento basati sull'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione deve diventare uno strumento per il miglioramento della competitività economica europea. La creazione di sistemi di istruzione e formazione coerenti, mobili e flessibili destinati a chi cerca impiego, a chi si prepara per il mondo del lavoro ma anche ai lavoratori del settore industriale consentirà di accelerare l'acquisizione delle conoscenze e di realizzare trasformazioni e innovazioni tecnologiche sostanziali nelle imprese di produzione, migliorando così la loro competitività.

4.2.1

In questo contesto, l'introduzione della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione nelle imprese e nel loro ambiente dovrebbe aumentare la competitività delle imprese stesse e contribuire alla crescita del capitale sociale costituito dalle persone che vi lavorano, favorendo così l'aumento del valore del capitale delle imprese europee.

4.3

Per quanto riguarda l'attuazione efficace e modulabile dell'e-learning, è stata segnata una tappa decisiva intorno al 1994, quando l'industria, e in primis le grandi imprese, ha cominciato a servirsi massicciamente di questo metodo per le formazioni realizzate all'interno delle imprese e lo sviluppo delle risorse umane. Si trattava di un segno di maturità: l'e-learning aveva infatti dimostrato di saper offrire soluzioni valide e durature, superando così la fase precedente, caratterizzata da messaggi promozionali e da un marketing semplicistico. Nel frattempo tuttavia, per una serie di ragioni, le PMI sono venute a rappresentare un gruppo praticamente svantaggiato di utenti dell'e-learning, che applica poco questo metodo di formazione, così come le stesse tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e la maggior parte dei lavoratori in esse impiegati rischia di essere escluso dall'accesso alle opportunità della formazione permanente. La progressiva adozione dell'e-learning potrebbe costituire un fattore potenzialmente importante per migliorare la competitività e l'efficacia delle PMI. Le autorità competenti, sia a livello europeo che nazionale, dovrebbero sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema e attuare delle misure per promuovere nelle PMI l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione a fini di formazione.

Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione allo sviluppo del capitale sociale

4.4

Il capitale sociale comprende le risorse che posseggono i singoli individui in termini di competenze, informazione, cultura, conoscenze e creatività e le relazioni tra gli individui e le organizzazioni. A questo proposito, occorre valutare il ruolo svolto dagli strumenti in questione ai fini dello sviluppo economico e le trasformazioni industriali che lo accompagnano esaminando il rapporto tra lo sviluppo, la promozione e l'utilizzo di tali strumenti da un lato e, dall'altro, il valore aggiunto che essi generano.

4.4.1

Un capitale sociale di livello elevato determina direttamente la capacità di formazione di una società fondata sulla conoscenza, che sarà creativa, innovatrice, aperta al cambiamento, capace di tessere legami sociali ed economici durevoli. Uno dei fondamenti della costruzione di una società di questo tipo sono gli investimenti nell'istruzione, nell'educazione e nella formazione.

4.4.2

In tutti i programmi e le azioni relative all'istruzione e alla formazione basate sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in particolare quelle riguardanti la formazione permanente, la capacità di agire congiuntamente, che si esprime attraverso la creazione di partenariati tra i soggetti interessati, va ad aumentare il capitale sociale (si veda il punto 3.7.1).

Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alle trasformazioni industriali, in particolare per quanto riguarda l'investimento a favore delle competenze dei lavoratori, lo sviluppo delle risorse umane e la lotta alla disoccupazione

4.5

L'istruzione e la formazione a distanza con l'ausilio delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione possono consentire un più rapido, economico e sistematico trasferimento delle conoscenze: ciò riveste un'importanza cruciale nell'industria, in quanto le conoscenze rappresentano un aspetto considerevole delle risorse umane e il loro trasferimento dai centri di ricerca al settore industriale ne risulta facilitato.

4.5.1

La disponibilità di quadri qualificati, che sviluppano ulteriormente le loro qualifiche attraverso la formazione, è un fattore che influenza in maniera significativa il valore di una società o di una determinata impresa. È grazie a queste risorse che l'impresa è in grado di modificare le sue tecnologie di produzione e il profilo di queste ultime e di adeguarsi alle esigenze del mercato del lavoro.

4.6

La Commissione europea sottolinea (22) che, data la rapidità dello sviluppo tecnologico e la mutevolezza delle condizioni economiche, è ora indispensabile investire in modo duraturo nello sviluppo delle risorse umane attraverso la partecipazione dei privati, delle imprese, delle parti sociali e delle autorità pubbliche. Purtroppo negli Stati membri dell'UE non si evidenzia una chiara tendenza all'aumento della spesa pubblica per l'istruzione, che si aggira in media intorno al 5 % del PIL, con differenze significative e talvolta veramente eccessive da uno Stato membro all'altro.

4.7

Gli investimenti per lo sviluppo delle risorse umane incidono direttamente sull'aumento della produttività e costituiscono inoltre un'interessante forma di investimento dal punto di vista microeconomico e sociale. Alcuni studi (23) mostrano che ogni anno di formazione contribuisce direttamente ad un aumento della crescita economica pari al 5 % sul breve periodo e al 2,5 % sul lungo periodo. Questi risultati sono confermati anche dalle conclusioni del Consiglio europeo (24), il quale sottolinea che gli investimenti nel campo dell'istruzione e della formazione generano profitti di gran lunga superiori ai costi che comportano.

4.8

Il rapido sviluppo tecnologico determina la comparsa di strutture di produzione moderne spesso dotate di materiale informatico: per poterle utilizzare bisogna disporre di lavoratori che sappiano usare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Se non è sempre possibile procurarsi immediatamente risorse di questo tipo, sarà evidentemente più facile reperirle sul mercato del lavoro grazie all'applicazione su larga scala delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione all'istruzione e alla formazione, in particolare nel quadro della formazione permanente.

4.9

Per i motivi sopraccitati e nel contesto delle trasformazioni industriali attuali, occorre intraprendere azioni intensive che consentano di applicare rapidamente le tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel settore della formazione permanente. Queste azioni dovrebbero accelerare il processo tramite cui i lavoratori delle imprese di produzione europee e i disoccupati che seguono corsi di formazione acquisiscono nuove conoscenze e competenze. Bisogna, per l'appunto, consentire in particolare ai disoccupati di accedere ai corsi di formazione basati sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione sostenuti da fondi pubblici (25).

4.9.1

I disoccupati sono poco motivati ad apprendere autonomamente, avendo sempre poche possibilità di applicare le conoscenze acquisite. Il miglior modo di motivarli sarebbe quello di dare loro l'opportunità concreta di ottenere un nuovo lavoro grazie alla frequenza di un corso di formazione o di perfezionamento, che idealmente dovrebbe essere fornito dall'impresa che offre il posto di lavoro stesso.

4.9.2

Una situazione di questo tipo potrebbe creare le condizioni favorevoli per l'attuazione della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ma le zone che ne hanno particolarmente bisogno, ovvero le zone rurali, che hanno assistito alla chiusura di imprese di produzione (una situazione caratteristica dei nuovi Stati membri), non dispongono di infrastrutture sufficienti.

4.9.3

In queste zone occorre un sostegno da parte dello Stato e dell'Unione europea per migliorare le infrastrutture, in quanto le imprese del settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione non sono disposte a sostenere i costi necessari per connettere a Internet questi territori poveri (centri urbani di piccole dimensioni e zone rurali).

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  E-learning: utilizzo delle nuove tecnologie multimediali e di Internet per migliorare la qualità dell'apprendimento grazie ad un accesso agevolato ai materiali e ai servizi didattici, nonché alla comunicazione e alla cooperazione a distanza.

(2)  Apprendimento lungo tutto l'arco della vita (formazione permanente): con questa espressione si riconosce oggi il fatto che l'acquisizione di nuove conoscenze è un processo continuo, che non si esaurisce con la fine degli studi secondari o universitari, ma prosegue ininterrottamente lungo tutto l'arco della vita professionale di un individuo protraendosi anche oltre il pensionamento. Comprende tutte le tappe della vita e interessa tutti i gruppi sociali, in gran parte grazie alle possibilità offerte dall'apprendimento tramite gli strumenti di comunicazione elettronica (fonte: www.elearningeuropa.info).

(3)  Accesso a Internet ad alta velocità/a banda larga: canale di comunicazione ad alta velocità che consente un accesso flessibile e rapido alle fonti di informazione e ai progetti di e-learning (fonte: www.elearningeuropa.info).

(4)  Società della conoscenza: società la cui azione organizzata è fondata sulla produzione, diffusione e utilizzo delle conoscenze in una prospettiva di incremento permanente delle competenze e di impegno totale nella vita familiare, sociale e professionale, cfr. COM(2001) 678 def.

(5)  Programma d'azione integrato nel campo dell'apprendimento permanente, COM(2004) 474 def., 14.7.2004.

(6)  Decisione n. 2318/2003/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 dicembre 2003, recante adozione di un programma pluriennale (2004-2006) per l'effettiva integrazione delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) nei sistemi di istruzione e formazione in Europa (programma eLearning).

(7)  L'apprendimento non formale: è frutto di un insegnamento impartito parallelamente a quello dei sistemi di istruzione e formazione pubblica. Solitamente non conduce all'acquisizione di certificati ufficiali. Può essere organizzato sul luogo di lavoro oppure impartito da gruppi e organizzazioni della società civile (come le associazioni giovanili, i sindacati, i partiti politici, ecc.) e presentarsi sotto forma di corso o di servizio inteso a completare l'insegnamento offerto dai sistemi di insegnamento formale. Cfr. Commissione europea, SEC(2000) 1832.

(8)  L'apprendimento informale è il prodotto delle esperienze quotidiane maturate nell'ambiente di lavoro, in famiglia o nel tempo libero. Non è né organizzato né istituzionalizzato, né in termini di definizione di obiettivi, né di durata, né di risorse. L'apprendimento informale avviene per lo più in maniera non intenzionale e non porta solitamente all'acquisizione di certificati.

Cfr. Commissione europea, SEC(2000) 1832.

(9)  Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona.

(10)  Modernizzare l'istruzione e la formazione: un contributo fondamentale alla prosperità e alla coesione sociale in Europa, [COM(2005) 549 def./2], del 30.11.2005.

(11)  Conclusioni del Consiglio Istruzione, gioventù e cultura del 21.2.2005.

(12)  i2010Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione, COM(2005) 229 def. dell' 1.6.2005.

(13)  ICT for an Inclusive Society (Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per una società inclusiva), Conferenza ministeriale, Riga, 11.6.2006.

(14)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: eAccessibilità.

(15)  Si tratta della cosiddetta e-exclusion, ovvero l'esclusione dalla partecipazione alla comunicazione elettronica.

(16)  L'alfabetismo digitale costituisce una delle competenze fondamentali per partecipare attivamente alla società della conoscenza e alla nuova cultura dei media. Riguarda essenzialmente l'acquisizione di qualifiche e attitudini nel settore delle nuove tecnologie, che diventano sempre più indispensabili nella vita quotidiana, cfr. programma e-Learning, 5.12.2003.

(17)  Parere del Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente, maggio 2006.

(18)  RAND Europe, The Supply and Demand of E-skills in Europe (Offerta e domanda e di competenze elettroniche in Europa), settembre 2005.

(19)  L'espressione «competenze elettroniche» designa le qualifiche personali nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nonché le attitudini e disposizioni relative alla loro applicazione che consentono di svolgere compiti di lavoro ad un livello qualitativo adeguato.

(20)  Comunicazione della Commissione europea Colmare il divario nella banda larga, COM(2006) 129 def. del 20.3.2006.

(21)  COM(2002) 262 def.

(22)  Comunicazione della Commissione Investire efficientemente nell'istruzione e nella formazione: un imperativo per l'Europa, COM(2002) 779 def., del 10.1.2003.

(23)  De la Fuente e Ciccone, Il capitale umano in un'economia mondiale fondata sulla conoscenza, relazione finale elaborata per la DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità della Commissione europea nel 2002.

(24)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 23 e 24.3.2006 (documento 7775/2006).

(25)  Parere Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni i2010Una società europea dell'informazione.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I servizi e le industrie manifatturiere europee: i processi di interazione e l'impatto su occupazione, competitività e produttività

(2006/C 318/04)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul I servizi e le industrie manifatturiere europee: i processi di interazione e l'impatto su occupazione, competitività e produttività.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore CALLEJA e dal correlatore ROHDE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli, 3 voti contrari e 4 astensioni.

Conclusioni e raccomandazioni

Nel parere si sostengono le seguenti posizioni.

Osservazioni generali

È necessario riconoscere l'importanza dei servizi alle imprese per i livelli di crescita, di competitività e di occupazione dell'industria manifatturiera europea. L'utilizzazione di servizi competitivi alle imprese andrebbe promossa mediante un insieme coerente di provvedimenti a livello europeo. Il progetto di piano d'azione elaborato nel 2005 dal Forum dell'UE sui servizi collegati alle imprese (Business-related service Forum — BRSF) fornisce una valida piattaforma per portare avanti il dibattito.

Obiettivi politici e follow-up

Il ruolo positivo dei servizi alle imprese per lo sviluppo delle industrie manifatturiere e di servizi pubbliche e private dovrebbe essere incoraggiato, il che può avvenire attraverso una serie di misure. Al livello dell'UE, le seguenti azioni vengono fortemente raccomandate dal CESE:

prevedere azioni dirette e integrative per completare il mercato interno dei servizi alle imprese e soprattutto per eliminare i fattori che ostano al corretto funzionamento del settore (ostacoli all'integrazione del mercato, alla mobilità del lavoro e alla crescita economica),

riconoscere quanto prima i servizi alle imprese come parte integrante di qualsiasi politica industriale; la Commissione europea dovrebbe tenere conto di tale esigenza e adoperarsi per integrare i servizi alle imprese nella politica industriale europea,

istituire un Osservatorio europeo dei servizi alle imprese che serva a raccogliere dati, incoraggiare la ricerca, stimolare il dibattito, formulare proposte e monitorare l'attuazione delle raccomandazioni politiche,

rafforzare il dialogo sociale per seguire e valutare in che modo le condizioni e le opportunità di lavoro vengano modificate dalle trasformazioni strutturali su cui poggia la nuova economia dei servizi alle imprese.

Esistono più in generale altre misure che devono essere adottate a livello del mercato e incoraggiate da parte delle amministrazioni pubbliche, ad esempio:

promuovere i servizi alle imprese come strumento per migliorare i risultati economici e industriali e ottenere vantaggi competitivi rispetto a paesi a basso costo e ad altri paesi concorrenti sul mercato mondiale,

incoraggiare un uso più capillare ed efficiente dei servizi alle imprese tra le PMI,

potenziare l'occupazione e far progredire le condizioni di lavoro nei servizi alle imprese in modo da migliorare la produttività, la qualità dei servizi e le condizioni di vita,

mettere a punto programmi di formazione e di riconversione professionale mirati per potenziare le capacità di adattamento e di occupazione dei lavoratori vittime di cambiamenti strutturali.

R&S, innovazione e prestazione digitale

I programmi pubblici di R&S al livello nazionale e comunitario dovrebbero mirare in particolare ad azioni e progetti volti a incrementare la produzione e l'uso di servizi innovativi alle imprese,

bisognerebbe inoltre prestare attenzione a progetti specifici sui servizi a elevata intensità di conoscenze nel settore manifatturiero, tali da aprire prospettive di innovazione e di elevata produttività e crescita (ad esempio, TIC e servizi R&S),

i servizi alle imprese rappresentano una fonte di innovazione nell'economia della conoscenza. La ricerca andrebbe incoraggiata a proseguire nello sviluppo della cosiddetta «scienza dei servizi», e in particolare del know-how metodologico da applicare nei processi aziendali,

per incoraggiare le imprese a investire di più in R&S e innovazione si dovrebbero rafforzare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e altri meccanismi di protezione mediante l'adozione della legislazione sui brevetti,

il ruolo delle TIC nell'innovazione dei servizi va riconosciuto e promosso attraverso appositi obiettivi: ad esempio, garantire la prestazione dei servizi, specie nelle PMI, mediante un accesso a Internet a banda larga e ad alta velocità in tutta Europa, sforzandosi nel contempo di risolvere i problemi di sicurezza e di riservatezza legati alle reti digitali per l'e-business. L'iniziativa «i2010» della Commissione europea svolge un ruolo importante in tal senso.

Ingegneria dei servizi e standard

L'ingegneria dei servizi è una nuova disciplina che, attraverso una programmazione più sistematica, può fungere da base per migliorare la qualità dei servizi forniti alle imprese. Questo approccio innovativo merita di essere sviluppato come ambito specialistico di ricerca e studio nelle università, nelle scuole aziendali e in altri istituti di formazione,

gli standard possono rivelarsi utili nel migliorare la qualità dei servizi e nell'accrescere l'integrazione dei mercati dell'UE. A tale scopo, bisognerebbe incoraggiare la standardizzazione su base volontaria dei servizi in generale e dei servizi alle imprese in particolare.

Migliorare la conoscenza e l'occupazione nel settore dei servizi alle imprese europei

Trovare soluzioni per potenziare il capitale umano nell'UE e invertire la crescente tendenza alla fuga di cervelli dalle attività di ricerca dell'UE,

introdurre nuovi incentivi per il settore privato perché aumenti la sua quota di attività di R&S in linea con gli obiettivi della strategia di Lisbona,

migliorare i dati e le informazioni sui servizi alle imprese e su quelli forniti dalle imprese industriali,

rendere più trasparenti i mercati dell'offerta dei servizi alle imprese,

stanziare maggiori risorse per il miglioramento dell'istruzione, della formazione, dell'e-learning e delle competenze linguistiche per permettere lo sviluppo di servizi alle imprese transfrontalieri.

Motivazione

1.   Introduzione

1.1

Il presente parere esamina l'impatto dei servizi alle imprese sull'occupazione, la competitività e la produttività delle industrie manifatturiere europee e si chiede in che modo questo settore possa essere ulteriormente sviluppato, in linea con l'agenda di Lisbona. Vengono osservati con attenzione gli sviluppi della nuova disciplina nota come «ingegneria dei servizi» e l'impatto dell'esternalizzazione o outsourcing dei servizi alle imprese.

1.2

Le prospettive dell'economia europea e le sue reazioni di fronte all'emergere di una forte concorrenza delle economie a basso costo destano preoccupazioni. In Europa il settore manifatturiero e quello dei servizi hanno perso molti impieghi a favore di paesi che presentano un vantaggio comparativo in termini di costi e di qualificazioni professionali (si pensi per esempio alla Cina per l'attività manifatturiera, e all'India per i servizi alle imprese). Malgrado tali sviluppi, il settore manifatturiero continua a svolgere un ruolo chiave nell'economia dell'Europa. Secondo le ultime statistiche disponibili per il 2004, l'UE è il primo esportatore mondiale di merci, con una cifra di oltre 1.200 miliardi di dollari USA (1).

1.3

L'industria manifatturiera continua a essere considerata la principale fonte di evoluzione tecnologica e innovazione nell'UE, ma si rileva anche che nell'ultimo decennio essa non è riuscita ad aumentare le sue attività nei settori a tecnologia avanzata e a più elevato valore aggiunto. La crescita collegata ai servizi alle imprese, in particolare attraverso il ricorso a servizi ad alta intensità di conoscenze, costituisce un canale complementare per lo sviluppo delle nuove tecnologie, per la creazione di nuove opportunità di lavoro e per l'acquisizione di vantaggi competitivi. I servizi alle imprese sono anche all'origine dell'innovazione non tecnologica (per esempio, sul piano organizzativo), la quale migliora il patrimonio immateriale delle imprese e le competenze dei lavoratori.

1.4

Nelle economie molto sviluppate, il considerevole spostamento dei consumi a favore dei servizi non è il segnale di una tendenza alla deindustrializzazione, come si ipotizza talora. Questi sviluppi possono essere letti come un riflesso statistico dell'intensificarsi della divisione del lavoro nelle economie sviluppate e di una disaggregazione delle catene verticali di valore precedentemente integrate. Servizi che precedentemente venivano forniti all'interno delle imprese manifatturiere vengono ora offerti da fornitori di servizi specializzati. Si sono sviluppate nuove società di servizi che sostengono gli sforzi dell'industria europea per aumentare di efficienza e assorbire le nuove tecnologie che generano nuovi prodotti a più elevato valore aggiunto.

1.5

Recenti studi mostrano che il tipo di economia che si sta sviluppando è un'economia in cui i servizi e l'industria manifatturiera sono integrati e hanno carattere complementare. La domanda di servizi esiste ovunque vi sia una forte economia industriale e si sviluppa come conseguenza di essa. In altri termini, l'una non esclude l'altra (2).

1.6

Il presente parere non invoca una promozione speciale dei servizi che porti a trascurare l'industria manifatturiera, ma sottolinea l'interdipendenza tra il settore manifatturiero e quello dei servizi (3), mettendo in risalto il potenziale di miglioramento e di espansione dei servizi alle imprese. Il Comitato sottolinea il contributo positivo dei servizi alle imprese all'incremento della produttività e della competitività del settore manifatturiero europeo. contemporaneamente, il settore dei servizi alle imprese migliora la propria produttività attraverso l'innovazione, compresa l'adozione rapida delle nuove tecnologie, attirando un maggior numero di lavoratori altamente qualificati e migliorando le condizioni di lavoro (4).

1.7

L'esternalizzazione o outsourcing dei servizi ai fornitori specializzati di servizi che possono sfruttare le economie di scala e la continua innovazione dei processi ha un impatto positivo sui costi e sulla produttività. Eppure il ricorso da parte delle PMI a conoscenze e servizi innovativi alle imprese non sembra ancora sufficiente. Anche la capacità dei lavoratori di passare dal settore manifatturiero a quello dei servizi alle imprese deve essere aumentata attraverso programmi appropriati di riqualificazione.

1.8

Oggi sono gli operatori nazionali a fornire la maggior parte dei servizi alle imprese. Tuttavia, non vi sono garanzie che continuerà a essere così in futuro. Una serie di servizi potrà essere fornita dall'estero su un più ampio piano europeo che includa i nuovi Stati membri e i paesi candidati, o magari a livello mondiale, in funzione dei costi e dell'opportunità (near-shoring outsourcing e offshore outsourcing). Gli ultimi dati mostrano che nel 2004 l'UE a 25 ha registrato un saldo positivo di 42,8 miliardi di euro nell'interscambio dei servizi (con un aumento di 5,8 miliardi di euro rispetto al 2003) (5).

1.9

È necessaria un'analisi permanente e completa delle strutture e dei processi delle imprese per individuare quelle funzioni che possono essere acquistate da fornitori specializzati di servizi alle imprese o da reti di società (servizi condivisi), in grado di gestire tali funzioni in modo più efficiente operando su scala più vasta e mettendo in comune la loro esperienza specifica. Nonostante il potenziale impatto sull'occupazione nel settore manifatturiero, tale approccio può a volte aiutare a controbilanciare gli eventuali effetti negativi dell'offshore outsourcing, a preservare le industrie manifatturiere in Europa e a far espandere la domanda di lavoro nel settore dei servizi alle imprese. Il potenziamento degli impieghi nei servizi per lavoratori qualificati all'interno delle imprese offre nuovi vantaggi competitivi.

2.   Sfide per l'industria europea: una sfida per i servizi alle imprese

2.1

Tutti i settori dell'economia europea avvertono gli effetti della globalizzazione e la necessità di trasformazioni per adattarsi alle nuove circostanze. La politica industriale può svolgere un ruolo positivo in tale contesto. Nella comunicazione Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Unione europea allargata  (6), la Commissione europea ha affermato che intende sviluppare una politica industriale idonea ad accompagnare le trasformazioni industriali:

l'industria europea deve far fronte a un processo di mutamento strutturale che è nel complesso positivo e dovrebbe essere incoraggiato attraverso politiche atte a facilitare lo sviluppo e l'utilizzo delle conoscenze,

l'internazionalizzazione economica offre una serie di opportunità all'industria europea a patto che la politica industriale sostenga le trasformazioni necessarie e che il possibile impatto negativo sui lavoratori venga neutralizzato mediante politiche occupazionali e sociali attive,

l'ampliamento dell'UE ha comportato non solo l'espansione del mercato interno ma anche la possibilità di riorganizzare le catene del valore nel continente per approfittare al massimo dei vantaggi competitivi dei nuovi Stati membri,

la transizione a un'economia della conoscenza sarà cruciale e richiederà una certa prudenza sotto il profilo della regolamentazione per evitare di incidere sulla competitività industriale dei nuovi Stati membri.

Il CESE esorta a procedere più celermente verso risultati concreti nell'ambito della politica industriale dell'UE e verso l'integrazione in tale politica dei servizi alle imprese.

2.2

Più recentemente la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione intitolata Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UEVerso un'impostazione più integrata della politica industriale  (7). In questo documento la Commissione ha individuato sette grandi iniziative politiche intersettoriali:

iniziativa in materia di diritti di proprietà intellettuale e contraffazione,

gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente,

aspetti esterni della competitività e accesso ai mercati,

nuovo programma di semplificazione legislativa,

miglioramento delle competenze settoriali tramite l'individuazione degli attuali fabbisogni settoriali in materia di competenze e delle relative carenze,

gestione delle trasformazioni strutturali nel settore manifatturiero,

impostazione europea integrata della ricerca e innovazione industriale.

Un grave difetto della comunicazione è che essa trascura i servizi in generale, e i servizi alle imprese in particolare. Il Comitato chiede che i servizi alle imprese formino parte integrante di ogni politica industriale ed esorta la Commissione ad ampliare il campo d'azione delle future strategie di politica industriale integrandovi i servizi alle imprese. Una politica industriale efficace dovrà inoltre tenere conto delle implicazioni sociali e occupazionali delle trasformazioni industriali, il che significa dare più importanza all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e prevedere aiuti diretti ad agevolare la mobilità dei lavoratori.

2.3

L'Europa deve recepire più ampiamente e profondamente le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC). L'intensificazione delle TIC e la loro integrazione nell'industria è importante tanto quanto lo è nei servizi alle imprese. In termini di ricorso alle tecnologie dell'informazione l'Europa accusa un ritardo rispetto ai suoi principali concorrenti. La spesa pro capite per le tecnologie dell'informazione ammontava nel 2004 a 732 euro per l'Europa occidentale, 1.161 euro per gli Stati Uniti e 1.012 euro per il Giappone, mentre la spesa per tali tecnologie in percentuale del PIL era il 3,08 % per l'Europa occidentale, il 4,55 % per gli Stati Uniti e il 3,59 % per il Giappone (8). Un ruolo importante in tale contesto è svolto dalla task force della Commissione europea sulla competitività nelle TIC.

2.4

Il ritardo di produttività dei produttori europei è spesso attribuito alla mancata adozione delle nuove tecnologie e a uno sfruttamento insufficiente del potenziale delle TIC, in particolare da parte delle PMI. Il problema non sembra risiedere nei costi dell'hardware, ma piuttosto nella mancanza di conoscenze e di competenze nel campo delle TIC da parte delle PMI, il che ne complica l'adattamento ai rapidi cambiamenti, e nella maggiore complessità delle TIC. Esiste un «divario digitale» che separa le piccole imprese dalle medie, con la conseguenza che non tutto il potenziale dei modelli delle TIC e dell'e-business è stato ancora realizzato (9). Il ruolo dei servizi alle imprese è importante per rendere il settore delle TIC efficiente e determinare in tal modo incrementi di produttività sostenibili.

2.5

Il mercato interno dei servizi in generale, e dei servizi alle imprese in particolare, non è completo e in realtà esistono molti fattori che ostacolano l'efficienza, la competitività e la creazione di nuovi sbocchi lavorativi. Numerosi ostacoli sono riconosciuti nella relazione Lo stato del mercato interno dei servizi  (10), ma si registra anche qualche passo avanti nella attuazione della strategia di Lisbona. In aggiunta agli aspetti normativi dei mercati dei servizi alle imprese, servono politiche complementari come quelle indicate in questo documento per garantire la necessaria competitività dell'UE sul mercato globale e il progresso sociale ed economico.

3.   L'importanza dei servizi alle imprese e la loro interazione con l'industria

3.1   Definizione dei servizi alle imprese

I servizi alle imprese sono tradizionalmente definiti come un sottogruppo (NACE 70-74) dei servizi collegati alle imprese (cioè servizi alle imprese, servizi di trasporto, comunicazioni, distribuzione commerciale e servizi finanziari) (11). Il criterio su cui si basa la definizione di entrambi i concetti consiste nei potenziali clienti dei servizi. Questi ultimi sono infatti prevalentemente destinati non già a dei consumatori finali, ma a delle imprese. Sono attività reali che influenzano in primo luogo la competitività delle aziende (non sono incompatibili con la prestazione di servizi ai consumatori) grazie al loro impiego come fattori produttivi intermedi nella catena del valore e anche grazie agli incrementi di qualità e di innovazione risultanti dall'interazione tra fornitore, cliente e servizio. I servizi alle imprese hanno la particolarità che nella maggior parte dei casi possono essere concepiti al livello intra-aziendale o esternalizzati a ditte specializzate.

3.2

I servizi alle imprese comprendono un gruppo molto eterogeneo di attività che vanno dai servizi professionali (es.: ingegneria, contabilità, servizi giuridici) ai servizi ad elevato valore aggiunto (es.: servizi TIC, consulenza gestionale), ai servizi inerenti alle risorse umane (es.: selezione del personale, ricollocazione esterna, lavori interinali) e ai servizi di sostegno alle imprese, inclusi quelli a basso valore aggiunto (es.: pulizia, sicurezza, ristorazione) e quelli a valore aggiunto crescente (es.: gestione energetica, fornitura e trattamento delle acque e di altri fluidi, e trattamento dell'aria e dei rifiuti). In questi gruppi di attività meritano particolare attenzione le condizioni lavorative e sociali.

Tavola 1.   Principali servizi necessari per il funzionamento delle imprese (approccio funzionale) (12)

Funzioni nelle imprese

Principali servizi connessi alle imprese

 

Funzioni nelle imprese

Principali servizi connessi alle imprese

Amministrazione

Consulenza gestionale

Servizi giuridici

Auditing e contabilità

 

Gestione dell'informazione

Servizi informatici e di TI

Telecomunicazioni

Risorse umane

Lavoro temporaneo

Assunzioni

Formazione professionale

 

Commercializzazione e vendite

Pubblicità

Commercio e distribuzione

Relazioni pubbliche

Fiere ed esposizioni

Servizi post-vendita

Intermediazione finanziaria

Attività bancarie

Assicurazioni

Locazione e leasing

 

Trasporti e logistica

Logistica

Servizi di trasporto

Servizi di corriere espresso

Produzione e funzioni tecniche

Ingegneria e servizi tecnici

Prove e controllo di qualità

servizi di R & S

Design industriale

Manutenzione e riparazione di attrezzature

 

Gestione degli impianti

Servizi di sicurezza

Servizi di pulizia

Ristorazione

Servizi ambientali/

smaltimento dei rifiuti

Servizi di distribuzione di energia e acqua

Immobili (magazzini)

3.3   Il posto dei servizi alle imprese nell'economia

I servizi alle imprese costituiscono un elemento importante dell'economia europea di mercato. La loro caratteristica più rilevante, tuttavia, è che essi sono presenti e integrati in ciascuna fase della catena del valore. La crescita dei servizi alle imprese viene spiegata di solito con la migrazione di posti di lavoro dall'industria manifatturiera al settore dei servizi causata dall'outsourcing delle funzioni di servizio. Ma le ragioni di tale espansione sono molteplici: altri importanti fattori sono i cambiamenti nei sistemi di produzione, una maggiore flessibilità, una più intensa concorrenza sui mercati internazionali, il ruolo crescente delle TIC e delle conoscenze e l'emergere di nuovi tipi di servizi. «Secondo le statistiche strutturali sulle imprese (SSI), il settore dei servizi connessi alle imprese (esclusi i servizi finanziari) rappresentava nel 2001 il 53 % dell'occupazione complessiva nell'economia di mercato dell'UE contro il 29 % del settore manifatturiero (pari a circa 29 milioni di persone occupate) […]. Il valore aggiunto totale generato dai servizi connessi alle imprese nel 2001 rappresentava il 54 % rispetto al 34 % del settore manifatturiero» (13).

3.4

Sempre più imprese del settore manifatturiero si lanciano oggi nei servizi. Non solo esse offrono servizi postvendita, ma scoprono in misura crescente il valore aggiunto che deriva dalla vendita di consulenza ad altre imprese nel campo dell'ingegneria, della progettazione o dell'innovazione dei processi, come parte della loro attività. Sta così emergendo un nuovo modello ibrido di impresa che abbina attività produttive e attività di servizio. I clienti sono sempre più alla ricerca di «soluzioni» anziché di semplici prodotti, ed è spesso la capacità di fornire servizi aggiuntivi che determina il vantaggio competitivo di un'impresa produttrice.

3.5

Mancanza di dati statistici specifici sui servizi alle imprese  (14). Le informazioni statistiche sulla domanda di servizi sono carenti. Le interrelazioni tra i vari settori non sono sufficientemente documentate. La revisione del sistema di classificazione NACE prevista per il 2007 dovrebbe auspicabilmente migliorare le informazioni sulle attività di servizio e sul loro contributo alle economie degli Stati membri dell'UE. La nuova classificazione fornirà un quadro più preciso della struttura e dello sviluppo del settore dei servizi (15). Mancano inoltre dati che consentano di valutare in quale misura le imprese industriali forniscano servizi.

3.6

Frammentazione e scarsità delle informazioni e delle analisi inerenti ai servizi alle imprese. Il CESE rileva la necessità di un Osservatorio europeo dei servizi alle imprese che raccolga informazioni, incoraggi la ricerca, stimoli il dibattito, formuli proposte sull'attuazione delle raccomandazioni politiche e ne monitori l'andamento. La creazione di un osservatorio o un'iniziativa analoga porterebbe a una migliore comprensione dei nuovi e incalzanti sviluppi in atto nel settore e servirebbe da punto di incontro per decisori politici e parti interessate.

3.7

Standardizzazione dei servizi. L'ulteriore accelerazione della standardizzazione volontaria dei servizi basata sulle esigenze del mercato e su dati attendibili interessa il miglioramento dei parametri di base della sicurezza, della qualità e dei risultati e la promozione della concorrenza e dell'innovazione nella prestazione dei servizi. Questa sfida deve essere raccolta dal CEN, dall'ISO e dagli enti nazionali di normalizzazione. Lo sviluppo di standard volontari per il settore dei servizi avrebbe sicuramente un effetto incentivante sul commercio di servizi transfrontalieri e contribuirebbe alla crescita del mercato interno dei servizi.

4.   Il contributo dei servizi alle imprese al miglioramento della competitività industriale (16)

4.1

I servizi alle imprese svolgono un ruolo di grande importanza nell'aiutare le PMI a concretizzare il loro contributo potenziale all'innovazione e alla crescita. È ormai provato che la maggior parte delle PMI più dinamiche fa un largo uso dei servizi alle imprese. Di fronte alla pressione dell'internazionalizzazione, deve essere promosso un maggiore ricorso a questi servizi da parte di un più vasto spettro di PMI.

4.2

Capacità innovativa nazionale.

La capacità di un paese di produrre nuove idee e commercializzare un flusso di tecnologie innovative nel lungo periodo è influenzata da una serie di fattori (17):

infrastruttura innovativa complessiva,

condizioni quadro essenziali/politiche d'accompagnamento,

interconnessione del sistema d'innovazione complessivo,

sistema generale d'istruzione.

4.3

L'85 % della ricerca dell'UE si concentra nel settore manifatturiero (per gli Stati Uniti la percentuale è del 66 %) e non esistono dati affidabili sulla ripartizione delle attività di R&S del settore dei servizi. Di tutta la ricerca del settore manifatturiero, l'87,5 % viene condotta in otto aree specifiche (chimica, ingegneria meccanica, macchine per ufficio, macchine elettriche, semiconduttori — comunicazioni, strumentazione, veicoli a motore, settore aerospaziale).

4.4

L'UE non solo non è riuscita a colmare il divario con gli Stati Uniti in termini di valore assoluto della spesa in R&S, ma lo ha visto crescere nell'ultimo decennio.

4.5

Una maggiore concentrazione dei finanziamenti per la R&S nei servizi a elevata tecnologia e ad alta intensità di conoscenze (con margine elevato) è di importanza fondamentale per la competitività dell'industria europea. L'«obiettivo del 3 %» (18) sarebbe più facile da raggiungere se i governi accrescessero i loro impegni finanziari e se il settore privato fosse incoraggiato e aiutato a investire maggiormente in tal senso, anche in relazione ai servizi alle imprese.

4.6

Un Istituto europeo di tecnologia come quello proposto dalla Commissione europea in una recente comunicazione (19) è certamente utile, ma la tecnologia deve essere accompagnata da strategie imprenditoriali e organizzative efficaci.

4.7

La tavola alla pagina seguente illustra l'impatto delle funzioni innovative dei servizi alle imprese.

Tavola 2.   Funzioni innovative dei servizi alle imprese (20)

Funzioni innovative

Principali elementi d'innovazione

Servizi alle imprese (alcuni settori rappresentativi)

Innovazione tecnologica

Maggiore integrazione di tecnologia

Uso della tecnologia esistente

Adattamento della tecnologia ai bisogni delle imprese

Efficienza nei processi avanzati di informazione e comunicazione

Automazione dei processi di routine

Flessibilizzazione delle strutture produttive

Miglioramento della qualità

Servizi IT

Servizi di ingegneria

Servizi di progettazione

Servizi di telecomunicazione

Servizi on-line di comunicazione elettronica

Servizi di controllo della qualità

Innovazione organizzativa

Efficienza dell'organizzazione interna

Articolazione dei processi di controllo e coordinamento

Miglioramento della selezione, formazione e utilizzazione del fattore umano

Miglioramenti nelle diverse specializzazioni funzionali

Consulenza di gestione e gestione

Audit e servizi legali

Servizi relativi al personale (selezione, formazione e lavori interinali)

Innovazione strategica

Flessibilità per ambienti dinamici

Posizionamento nei mercati complessi

Informazioni strategiche riguardanti possibili alleanze

Informazioni relative all'adeguamento dei prodotti

Informazioni relative all'ubicazione e ai mercati

Difesa in un contesto legale di conflitto

Servizi di gestione

Servizi on-line

Servizi di audit

Servizi legali

Servizi fieristici ed espositivi

Servizi di marketing

Innovazione commerciale

Progettazione competitiva di prodotto

Commercializzazione innovativa

Sfruttamento delle opportunità

Ricerca e relazioni con il cliente

Marketing innovativo

Cura dell'immagine

Servizi di progettazione

Fiere e mostre

Pubblicità

Marketing diretto

Relazioni pubbliche

Servizi alla clientela

Innovazione operativa

Divisione funzionale del lavoro

Concentrazione sui compiti essenziali

Cura della capacità operativa

Cura dell'immagine

Servizi linguistici

Servizi di corriere

Servizi di sicurezza

Servizi operativi

Fonte: Rubalcaba, Business services in European Industry («I servizi alle imprese nell'industria europea»), Commissione europea, Bruxelles, 1999.

4.8

Alcune delle imprese più innovative dell'Europa rientrano nel settore dei servizi alle imprese, ma il livello generale di R&S in questo settore è troppo basso e non strutturato. Spesso i nuovi modelli di servizi e di attività economica giungono dopo lunghi e costosi tentativi e insuccessi da parte di singole imprese. L'UE deve sostenere la ricerca in determinati settori per aggiornare il know-how delle imprese nelle più importanti tecnologie di punta globali.

4.9

È importante fare in modo che le PMI abbiano un migliore accesso ai risultati della ricerca e riescano a integrarli nello sviluppo dei prodotti a breve termine.

4.10

Perché le imprese investano maggiormente nell'innovazione e nella R&S, è necessario garantire un'adeguata protezione dei diritti di proprietà intellettuale da parte della Commissione europea e adoperarsi per attuare la proposta in sospeso sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici.

4.11

Servono inoltre una migliore legislazione e una migliore regolamentazione.

5.   Il sistema di creazione della conoscenza dell'UE

5.1

È necessaria una revisione radicale del sistema UE di creazione delle conoscenze. Ciò significa tra l'altro:

riorientare le attività di R&S verso le imprese ad alta tecnologia produttrici di TIC,

arrestare la fuga dei cervelli europei dall'UE agli Stati Uniti (il flusso di ricercatori UE che vanno a lavorare negli Stati Uniti è il doppio rispetto al flusso in direzione contraria, e la R&S USA è eseguita per il 40 % da ricercatori formati nell'UE),

aumentare la spesa totale in ricerca per raggiungere l'obiettivo di Lisbona del 3 % del PIL,

considerare le abilità nell'uso delle TIC, l'alfabetizzazione digitale e le abilità di e-business come competenze essenziali. I programmi scolastici devono contemplare le abilità nell'uso delle TIC sin dai primi anni di scuola,

prendere atto che la banda larga avanzata fissa e mobile sarà l'infrastruttura dell'economia basata sulla conoscenza in questo secolo. L'iniziativa i2010 lanciata dalla DG Società dell'informazione e media nel 2005 svolge un ruolo importante in tale contesto.

6.   Il ruolo dell'«ingegneria dei servizi»

6.1

L'innovazione nei servizi è stata oggetto di intense ricerche e di studi approfonditi soprattutto in Germania sin dalla metà degli anni '90. L'ingegneria dei servizi è in gran parte all'origine dello slancio che ha caratterizzato l'attività accademica e pratica in questo campo. Nel tempo si è andata formando una disciplina tecnica interessata allo sviluppo e alla progettazione sistematici di prodotti di servizio utilizzando i modelli, i metodi, e gli strumenti adatti. Sebbene l'ingegneria dei servizi comprenda anche aspetti della gestione operativa dei servizi, il fulcro dell'attività è lo sviluppo di nuovi servizi. Essa si preoccupa anche della progettazione dei sistemi di sviluppo, in altre parole delle questioni riguardanti la gestione generale della R&S e dell'innovazione inerenti ai servizi.

6.2

La ricerca di base in nuovi modelli, metodi e strumenti imprenditoriali darà un prezioso impulso all'ingegneria dei servizi. Gli approcci integrati per l'ingegneria applicata congiuntamente ai beni materiali, al software e ai servizi diventeranno una prassi corrente. Infine, la crescente armonizzazione degli standard di servizio incoraggerà la specificazione e lo sviluppo efficiente di nuovi servizi (21).

6.3

L'ingegneria dei servizi è uno dei pochi campi del settore dei servizi a essere stato modellato in maniera sostanziale dalla ricerca europea. Per mantenere un ruolo guida in futuro in questo campo sono essenziali una più stretta integrazione nelle reti internazionali e lo sviluppo sistematico di una comunità indipendente di ingegneria dei servizi (22).

7.   L'importanza della prestazione digitale dei servizi

7.1

La tendenza all'intensificarsi delle prestazioni di servizi on-line. Si registra un'attenzione crescente alla crescita e all'impatto dell'international sourcing (approvvigionamento a livello internazionale), permesso dalle TIC, dei servizi di tecnologia dell'informazione e dei servizi per i processi delle imprese. Si assiste inoltre a un riorientamento dei servizi per i processi delle imprese con l'applicazione delle TIC e la tendenza all'intensificarsi delle prestazioni di servizi on-line. L'accento è posto sulla prestazione digitale in campi quali i servizi di software, i servizi di R&S e i servizi di verifica tecnici, i servizi di consulenza e quelli per lo sviluppo delle risorse umane, e i servizi di offerta di lavoro. È un fenomeno guidato soprattutto dal mercato a causa:

delle nuove domande e aspettative dei clienti,

della spinta a migliorare la capacità di arrivare al mercato ed espandere i mercati,

dei miglioramenti qualitativi e dell'approfondimento delle relazioni con i clienti,

degli incrementi nell'efficienza operativa e nelle economie di scala,

delle riduzioni di costo attraverso il miglioramento e l'ampliamento delle opzioni di produzione e prestazione a basso costo.

7.2

Esplorare i potenziali benefici dell'offshoring per l'economia UE. Nella prestazione continua di servizi esternalizzati da ogni parte del mondo vanno emergendo nuove sfide globali. L'Europa dovrebbe quindi essere pronta a fornire e a esportare servizi di elevata qualità nei paesi terzi. La prestazione digitale e il correlato sostegno all'e-business sono destinati a crescere. L'offshoring internazionale dei servizi collegati alle imprese è incentrato oggi sulle funzioni di retrosportello (ad esempio, servizi IT, servizi finanziari e di contabilità, mansioni di call center). Nei servizi a più alto valore aggiunto come l'ingegneria, la ricerca e l'analisi nel campo delle tecnologie dell'informazione, l'UE sta mantenendo la propria posizione. Tuttavia, gli sviluppi tecnologici, la disponibilità delle competenze e i costi correlati sul mercato globale sono destinati a incidere in più larga misura sulle decisioni delle imprese europee in futuro. Ne deriva la sfida per il mercato del lavoro europeo di fornire più sbocchi occupazionali con un livello di qualifica elevato e combattere la disoccupazione (23).

7.3

Ostacoli alla prestazione digitale generalizzata dei servizi. Esistono ostacoli allo sviluppo della prestazione digitale che dovrebbero essere studiati a fondo e per i quali dovrebbero essere trovate soluzioni, in modo che le ditte europee di servizi alle imprese possano diventare più aggressive ed espandersi maggiormente oltre i confini esterni dell'UE. Tra tali ostacoli si annoverano la mancanza di standard e interoperabilità, fiducia e sicurezza in relazione al commercio elettronico, la mancanza di investimenti nelle infrastrutture fisse e mobili a banda larga e il ricorso ancora troppo esiguo alle TIC da parte delle PMI.

8.   Il potenziale d'occupazione nei servizi alle imprese

8.1

L'occupazione nei servizi alle imprese è cresciuta in modo impressionante negli scorsi decenni. I tassi annui di crescita tra il 1979 e il 2002 si sono collocati intorno al 4,5 %, ben al di sopra di quelli registrati in tutti gli altri settori dell'economia. La quota dell'occupazione nei servizi alle imprese nell'occupazione totale si situa intorno al 9 % nel 2003 nell'UE a 15 e all'8,6 % nell'UE a 25. Il settore dei servizi in generale e i servizi alle imprese in particolare saranno di importanza fondamentale per creare nuova occupazione nel futuro e compensare il declino dell'occupazione nelle industrie manifatturiere.

8.2

La tavola 3 riportata qui di seguito mette a confronto l'incremento dell'occupazione nei servizi alle imprese fino al 2002 con i dati riguardanti il complesso dell'economia.

Tavola 3.   Tassi annui di crescita dell'occupazione nei servizi alle imprese (1979-2002) (24)

Paese

Tutta l'economia

Servizi alle imprese

Settore immobiliare

Servizi di locazione

Servizi professionali

Contratti di R&S

Servizi di TIC

Servizi operativi

LU

2,6

7,6

5,2

4,4

7,5

6,5

12,4

7,4

PT

0,4

6,9

6,5

5,5

6,7

7,7

8,1

7,0

IE

2,0

6,4

5,3

4,6

6,0

0,8

10,5

6,5

IT

0,5

6,4

4,4

8,0

6,1

4,1

6,5

6,7

DE

0,6

5,3

4,2

3,4

4,5

2,9

6,5

5,8

FI

0,1

5,4

1,0

1,6

4,3

3,3

8,5

6,0

ES

1,1

5,4

3,7

6,0

4,9

3,2

7,4

5,8

NL

1,6

4,7

3,7

5,3

4,1

3,4

8,1

4,7

AT

0,3

4,8

1,4

2,6

4,3

4,0

9,6

4,8

SE

0,2

4,7

1,2

2,7

4,3

4,2

6,1

4,7

EL

0,8

4,6

5,9

3,4

4,2

4,0

8,1

4,8

UK

0,4

3,3

4,8

2,2

2,8

-0,4

6,9

3,5

FR

0,5

3,2

1,3

4,1

2,5

1,7

4,7

3,8

DK

0,3

3,1

1,5

2,8

1,8

-0,8

5,8

4,3

BE

0,3

3,6

3,9

0,9

3,2

-1,7

5,0

4,0

UE 15

0,6

4,4

3,3

3,3

3,9

1,7

6,4

4,7

USA

1,4

4,7

1,6

3,5

3,5

2,9

8,8

5,3

8.3

Una crescita dinamica dell'occupazione nei servizi, e nei servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenze in particolare, è un aspetto caratteristico delle economie moderne. Sebbene i livelli di occupazione nei servizi alle imprese, così come i tassi di crescita, varino da paese a paese in Europa, si può affermare che non esistono paesi poveri con molti servizi alle imprese e non esistono paesi ricchi in cui i posti di lavoro nei servizi alle imprese siano scarsi (25).

8.4

È verosimile che la crescita dell'occupazione nei servizi, e in particolare nei servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenze, continui, sebbene a un tasso leggermente più moderato. Nondimeno, dalla tavola 4 emerge che tale tasso sarà più elevato di quelli relativi alle altre attività economiche. Si attendono tassi di crescita sostanzialmente più elevati nei nuovi Stati membri, dove lo sviluppo dei servizi parte da livelli assoluti decisamente più bassi.

Tavola 4.   Evoluzione dell'occupazione settoriale in Europa occidentale

Image

Nota: Europa occidentale = Europa a 15 + Norvegia + Svizzera

Fonte: Cambridge Econometrics, What has happened to the Lisbon Agenda? («Che ne è stato dell'agenda di Lisbona?») (comunicato stampa), novembre 2005.

8.5

Un aspetto peculiare dell'occupazione nei servizi alle imprese è l'alto livello dei titoli di studio. Come mostra l'indagine sulla manodopera dell'UE nel 2003, la quota d'occupazione degli impieghi altamente specializzati era passata al 41 %, dal 38 % del 1998. Il livello di persone con scarsa specializzazione era sceso al 17 %, dal 25 % del 1998. Il fatto che la maggior parte dei posti di lavoro nei servizi alle imprese richieda competenze medio-alte rappresenta anche una sfida per i sistemi d'istruzione europei (e in particolare per le politiche di apprendimento lungo tutto l'arco della vita), dato che la trasformazione strutturale delle industrie europee indurrà più persone a lanciarsi nei servizi alle imprese abbandonando altri ambiti occupazionali. L'applicazione rigorosa dell'agenda di Lisbona 2010 in materia di istruzione sarà di estrema importanza in tale contesto. La tavola 5 mostra i livelli dei titoli di studio in vari settori.

Tavola 5.   Livelli dei titoli di studio per attività economica e servizi alle imprese, UE a 15, 2003 (26)

Image

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Statistiche sul commercio dell'OMC, 2004.

(2)  Luis Rubalcaba-Bermejo, Business services in European Industry («Servizi alle imprese nell'industria europea»), Commissione europea, 1999.

(3)  Cfr. sintesi della relazione finale di Kalmbach et al. dal titolo The significance of competitive manufacturing industries for the development of the services sectors («L'importanza delle industrie manifatturiere competitive per lo sviluppo dei settori dei servizi»), Università di Brema, dicembre 2003.

(4)  Cfr. il parere CESE sul tema La sfida della competitività per le imprese europee, che sottolinea l'importanza di garantire condizioni sociali appropriate, cercando nel contempo di migliorare la produttività e la competitività. Al riguardo si vedano, in particolare, i punti da 2.5 a 2.5.3: nel punto 2.5.2, ad esempio, il CESE afferma che «diviene urgente rafforzare la competitività del sito Europa nei confronti della concorrenza, in condizioni che assicurino il suo sviluppo economico e sociale, la sua coesione, i suoi posti di lavoro e il suo ambiente».

(5)  Comunicato stampa Eurostat 17/2006 del 13.2.2006.

(6)  COM(2004) 274 def. Parere CESE del 15.12.2004 (relatore: van IERSEL, correlatore: LEGELIUS), GU C 157 del 28.6.2005, pag. 75.

(7)  COM(2005) 474 def. Parere CESE del 20.4.2006 (relatore: EHNMARK), GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 80. Cfr. anche il parere complementare della CCMI (relatore: PEZZINI).

(8)  EITO 2005, pag. 263.

(9)  E-business Report, 2005.

(10)  COM(2002) 441 def. del 30.7.2002.

(11)  Cfr. la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni La concorrenzialità dei servizi connessi alle imprese e il loro contributo al rendimento delle imprese europee (COM(2003) 747 def. del 4.12.2003), accessibile al seguente indirizzo Internet:

http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2003/com2003_0747it01.pdf (si vedano, in particolare, la sezione I.2 e il riquadro 1).

(12)  Fonte: La concorrenzialità dei servizi connessi alle imprese e il loro contributo al rendimento delle imprese europee (COM(2003) 747 def.), Allegato I («Classificazione dei servizi e dati aggiuntivi»), accessibile al seguente indirizzo Internet:

http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2003/com2003_0747it01.pdf.

(13)  COM(2003) 747 def., sezione II.2, pag. 12.

(14)  Si veda lo studio dal titolo Analisi settoriale delle delocalizzazioni: quadro fattuale di riferimento (in particolare le pagg. 107 e 177-179), commissionato dalla CCMI e usato come base per la relazione informativa sul tema Analisi settoriale sulle delocalizzazioni (relatore: van IERSEL, correlatore: CALVET CHAMBON).

(15)  Relazione del Forum dell'UE sui servizi collegati alle imprese, giugno 2005.

(16)  Cfr. COM(1998) 534 def. e COM(2003) 747 def.

(17)  Stern, Furman e Porter, 2002.

(18)  Cfr. il parere CESE sul 7o programma quadro di RST. Secondo il parere, in linea con la strategia di Lisbona, «il Consiglio europeo di Barcellona (primavera 2002) ha definito gli obiettivi del sostegno alla ricerca anche dal punto di vista quantitativo: entro il 2010 la spesa complessiva per la ricerca nell'UE andrà portata al 3 % del PIL e i finanziamenti dovranno provenire per i due terzi dal settore privato (obiettivo del 3 %). Il Comitato fa però notare che, data la gara globale a chi investe di più, quest'obiettivo rappresenta un bersaglio in movimento; chi lo raggiunge troppo tardi rimarrà sempre più indietro» (punto 2.5).

(19)  COM(2006) 77 def.

(20)  Fonte: Luis Rubalcaba e Henk Kox, The Contribution of Business Services to European Employment, Innovation and productivity («Il contributo dei servizi alle imprese per l'occupazione, l'innovazione e la produttività europea»), Palgrave-Macmillan, in corso di stampa.

(21)  Hans-Jorg Bullinger, Klaus-Peter Fahnrich, Thomas Meiren, Service engineeringMethodical development of new service products («L'ingegneria dei servizi: lo sviluppo metodologico di nuovi prodotti di servizi»).

(22)  Thomas Meiren, Fraunhofer Institute for industrial Engineering, Stoccarda, Germania.

(23)  Relazione del Forum dell'UE sui servizi collegati alle imprese, 2005.

(24)  Fonte: Luis Rubalcaba e Henk Kox, The Contribution of Business Services to European Employment, Innovation and productivity («Il contributo dei servizi alle imprese per l'occupazione, l'innovazione e la produttività europea»), Palgrave-Macmillan, in corso di stampa.

(25)  Rubalcaba, Kox, 2006, pag. 42.

(26)  Fonte: Rubalcaba e Kox (2006), in base a dati Eurostat, Indagine sulla manodopera, 2004.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione

COM(2006) 91 def. — 2006/0033 (COD)

(2006/C 318/05)

Il Consiglio, in data 27 marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 159, terzo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore van IERSEL e dal correlatore GIBELLIERI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, 10 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Il CESE accetta la proposta della Commissione europea riguardante l'istituzione di un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG in appresso). Il CESE approva l'obiettivo di intervenire, tramite il FEG, nei casi in cui per i lavoratori sorgano difficoltà sociali dirette ed estese in conseguenza di gravi e imprevedibili perturbazioni economiche.

1.2

Il CESE concorda sul fatto che sono gli Stati membri a detenere la responsabilità principale e che il FEG dovrebbe intervenire soltanto su richiesta di uno Stato membro e previa decisione corrispondente dell'autorità di bilancio. Le regole devono essere chiare.

1.3

Nei periodi di gravi perturbazioni economiche si rivelano cruciali i seguenti fattori: una politica lungimirante, un'imprenditorialità dinamica, la responsabilità regionale, nonché misure tempestive e un atteggiamento cooperativo da parte delle parti direttamente interessate — imprese, parti sociali, governo, enti regionali, ecc. Il FEG, in quanto strumento della solidarietà comunitaria, ha una funzione complementare, ma, per garantirne la credibilità, non bisogna suscitare aspettative esagerate.

1.4

Le azioni specifiche, finanziate dal FEG, devono inserirsi nella programmazione globale di tutte le parti direttamente interessate. Il FEG non dovrebbe intervenire nei settori in cui gli Stati membri hanno una competenza esclusiva. Andrebbe precisato che il Fondo è destinato a creare specifiche opportunità di lavoro per persone che hanno urgenti necessità economiche.

1.5

Il CESE invita la Commissione a garantire la partecipazione attiva delle parti sociali nei processi di creazione di posti di lavoro per il personale licenziato. L'obiettivo di reinserimento rapido nel mercato del lavoro di dipendenti colpiti da licenziamento è di solito un compito difficile. L'esperienza mostra che i processi di questo tipo richiedono molto tempo.

1.6

Si dovrebbe garantire un coordinamento rigoroso tra i diversi strumenti esistenti, in particolare tra il FEG ed i fondi strutturali, al fine di aumentare efficacia e coerenza.

2.   La proposta della Commissione

2.1

Nel marzo 2006 la Commissione ha presentato una proposta per l'istituzione di un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (1) diretto a fornire un appoggio specifico e una tantum allo scopo di facilitare il reinserimento lavorativo dei lavoratori di comparti o settori che subiscono lo shock di una grave perturbazione economica.

2.2

Questa può comportare la delocalizzazione dell'attività economica verso paesi terzi, un aumento massiccio delle importazioni o un declino progressivo della quota di mercato dell'Unione europea in un dato settore. Il criterio principale per il FEG è quello di un numero di licenziamenti superiore a 1 000 in una società o in un gruppo di società ubicati in regioni con un tasso di disoccupazione più alto della media.

2.3

Le azioni ammissibili a titolo del FEG dovrebbero creare le condizioni per un rapido reinserimento nel mercato del lavoro delle persone licenziate. Il sostegno ha un carattere complementare rispetto alle disposizioni nazionali e ai programmi regionali mirati. Le azioni ammissibili sono pertanto la riqualificazione, l'assistenza a favore della ricollocazione professionale e dell'avviamento di imprese, nonché le integrazioni salariali speciali.

2.4

Il FEG interverrà unicamente su richiesta di uno Stato membro. Il contributo versato dall'UE non può superare il 50 % del totale dei costi stimati per il complesso delle misure previste dallo Stato membro.

2.5

Nelle prospettive finanziarie non vi è una disposizione finanziaria specifica per il Fondo. Esso sarà finanziato attraverso stanziamenti sottoutilizzati e stanziamenti d'impegno annullati. Ogni intervento sarà deciso dall'autorità di bilancio; ciò significa che il Consiglio ed il PE sono i diretti responsabili.

2.6

È prevista una procedura di bilancio dettagliata. Gli Stati membri si assumono la responsabilità della gestione delle azioni sostenute dal FEG. La Commissione ha un ruolo di vigilanza. Nei casi in cui l'importo speso sia inferiore al contributo versato si dovrà procedere al rimborso.

2.7

La Commissione effettuerà una valutazione continua dei risultati, dei criteri e dell'efficacia del regolamento e una valutazione ex post. A partire dal 2008, la Commissione presenterà una relazione annuale sulle attività svolte dal Fondo, oltre alle valutazioni.

3.   Contesto del FEG

3.1

La proposta, che intende dimostrare la solidarietà dell'UE verso i lavoratori licenziati a seguito di improvvise trasformazioni nella struttura del commercio mondiale, è basata sulle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2005. In quanto soluzione di compromesso, essa è parte dell'accordo riguardante le prospettive finanziarie. È stata condotta una valutazione d'impatto (2) che contiene in particolare informazioni pertinenti sul contenuto e sul campo d'applicazione del FEG.

3.2

Il FEG, che non rientra tra i fondi strutturali, rappresenterà uno degli strumenti comunitari intesi a promuovere l'adattamento e la competitività dell'economia europea (3).

3.3

I fondi strutturali hanno come obiettivo azioni strategiche a lungo termine basate su un approccio pluriennale, mentre il FEG non è pensato per affrontare i problemi della ristrutturazione. Esso è specificamente diretto a singoli individui nelle regioni che hanno subito gravi shock a causa di profonde trasformazioni nella struttura del commercio mondiale. Tali situazioni critiche, benché rare, possono richiedere un sostegno una tantum, limitato nel tempo e personalizzato. Alcuni obiettivi del FEG non sono coperti dai fondi strutturali.

3.4

In una certa misura si è preso a modello il programma d'assistenza all'adeguamento commerciale (Trade Adjustment Assistance — TAA) adottato negli Stati Uniti nel 1962. Il TAA è inteso a correggere l'asimmetria tra gli effetti negativi e i vantaggi complessivi derivanti dall'apertura degli scambi e dalla liberalizzazione internazionale in singoli casi specifici o in particolari regioni. Un raffronto tra il TAA e il FEG non è facile, tuttavia, a causa dei criteri diversi e delle differenze culturali tra Stati Uniti e UE.

3.5

Il FEG dovrebbe funzionare conformemente alle prassi migliori individuate dall'OCSE che sottolinea la necessità di identificare chiaramente i gruppi di lavoratori che subiscono le conseguenze delle delocalizzazioni e l'assistenza per periodi limitati secondo i principi dell'efficienza economica, della trasparenza e dell'assunzione di responsabilità.

3.6

Il FEG è volto a contribuire allo sviluppo nell'UE del metodo della flexicurity (flessicurezza), che indica l'equilibrio tra flessibilità e sicurezza del posto di lavoro, e intende completare le priorità e le politiche strategiche pluriennali dei fondi strutturali.

4.   Osservazioni generali

4.1

Nella parte iniziale il regolamento fa riferimento all'effetto complessivamente positivo della globalizzazione sulla crescita e sui posti di lavoro nell'UE. Il CESE osserva però, da parte sua, che sono anche possibili effetti tangibili e negativi a livello settoriale e regionale. Il FEG rappresenterà, pertanto, uno strumento specifico volto a incrementare le opportunità di ricollocazione dei lavoratori che subiscono una grave perturbazione economica. Il CESE si rammarica che nella valutazione d'impatto (4) non siano stati analizzati casi concreti.

4.2

Dal momento che il quarto considerando del regolamento stabilisce che «le azioni del FEG devono essere coerenti e compatibili con le altre politiche comunitarie e conformi all'acquis comunitario», le proposte dovrebbero essere esaminate attentamente da una serie di responsabili politici della Commissione, soprattutto in seno alla DG Concorrenza, per evitare qualsiasi concessione ingiustificata di aiuti di Stato.

4.3

Il FEG costituisce un reale passo avanti dell'UE verso una gestione delle conseguenze negative dei gravi shock che colpiscono il commercio estero e il mercato globale. In futuro si potrebbe considerare l'introduzione di un meccanismo analogo destinato a mitigare le conseguenze negative del commercio interno e del mercato unico europeo (quali le delocalizzazioni a livello comunitario e la politica fiscale).

4.4   Criteri d'intervento

4.4.1

Si rendono necessari criteri d'intervento rigorosi. Tuttavia, il criterio citato all'articolo 1 — sostegno ai lavoratori licenziati in conseguenza di trasformazioni rilevanti della struttura del commercio mondiale, nei casi in cui questi licenziamenti abbiano un notevole impatto negativo sull'economia regionale o locale — è piuttosto vago. Gli Stati membri sono i primi responsabili della presentazione delle domande di contributo a titolo del FEG. La Commissione dovrebbe garantire l'applicazione uniforme dei criteri in tutti i casi e in tutti gli Stati membri.

4.4.2

Nel caso delle domande di contributo, l'onere della prova incombe agli Stati membri. Le domande vengono esaminate e monitorate attentamente dalla Commissione, tramite anche la pubblicazione di orientamenti, mentre il finanziamento viene concesso dall'autorità di bilancio caso per caso. Tutto ciò comporta un processo di apprendimento attraverso la pratica (learning by doing) e l'esperienza per la Commissione, gli Stati membri e l'autorità di bilancio. Le ambiguità vanno evitate: in tutta l'UE devono valere ed essere in applicazione regole e metodi identici.

4.4.3

Per quanto riguarda il livello minimo di licenziamenti in regioni specifiche, i criteri d'intervento di cui all'articolo 2 sono definiti in modo chiaro. Il criterio dei «1 000 dipendenti» non si riferisce a una sola azienda, ma comprende anche i lavoratori delle imprese a monte e a valle.

4.4.4

Di norma la logica alla base dei tagli di personale sarà il prodotto di una serie di fattori, come la modernizzazione, la razionalizzazione, la trasformazione dei metodi di produzione, nonché dei modelli commerciali su scala internazionale. Di rado un fattore specifico prevarrà del tutto sugli altri.

4.4.5

Il TAA americano è stato preso ad esempio. Ancora una volta, però, nella descrizione del funzionamento del TAA fornita dalla Commissione, il collegamento tra la trasformazione dei modelli commerciali e le azioni governative per attenuare il loro effetto sui licenziamenti è piuttosto vago. Oltretutto, i criteri e la storia dell'applicazione del TAA sono assai differenti da quanto previsto nell'UE.

4.4.6

Al finanziamento del FEG si farà appello nel caso di shock economici e di circostanze non prevedibili. Di solito, però, le tendenze evolutive sono già visibili prima che venga avvertito il vero impatto di questo cambiamento. Una buona gestione degli affari presuppone l'adozione tempestiva di azioni anticipatrici.

4.4.7

Questo significa che qualunque misura di sostegno programmata a livello nazionale e comunitario dovrà prendere in considerazione il modo in cui le imprese e le parti sociali stesse hanno anticipato il cambiamento. Qual è il senso, infatti, di una misura di sostegno se l'impresa e le parti sociali hanno omesso di identificarne per tempo gli sviluppi potenzialmente pericolosi per i mercati e/o l'occupazione?

4.5   La definizione delle azioni ammissibili

4.5.1

Tra i fondi strutturali e il FEG vi è una triplice differenza: a) la dotazione complessiva è di 44 miliardi di EUR per i fondi strutturali contro i 500 milioni di EUR all'anno del FEG per il prossimo periodo di programmazione 2007-2013, b) l'impostazione è diversa: interventi di lungo periodo e strategici sugli aspetti generali della modernizzazione per i primi, contro interventi di breve periodo e mirati a un rapido reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro per il secondo, c) dato il loro volume e il loro campo d'azione, infine, i fondi strutturali prevedono di solito procedure amministrative alquanto elaborate, mentre per il FEG si punta a un approccio più snello.

4.5.2

Deve essere garantita una distinzione rigorosa tra i fondi strutturali e il FEG. Quest'ultimo è per definizione a breve termine e limitato nel tempo, e si concentra su casi specifici. Per il più lungo periodo possono essere previsti impegni addizionali dei fondi strutturali nel quadro di un contesto regionale più ampio. Nei casi in cui le azioni sono complementari, andranno rispettate la diversa logica e struttura di ciascun fondo.

4.5.3

Non sarà facile creare le condizioni per un reinserimento rapido di dipendenti licenziati nel mercato del lavoro, se il contesto e le circostanze non sono favorevoli, come nel caso delle regioni in cui predomina una sola industria, nelle regioni arretrate o in mancanza di strutture di formazione e riqualificazione in loco, ecc. Particolare attenzione andrebbe riservata al personale d'inquadramento intermedio e superiore onde evitare un'eventuale fuga di cervelli. In questi casi specifici sarà probabilmente necessario combinare assieme il FEG e i fondi strutturali, nonché utilizzare al meglio la rete EURES per favorire le occasioni di mobilità su tutto il territorio europeo. La mancanza di un efficace coordinamento potrebbe porre problemi. A tale riguardo, quanto disposto all'articolo 5, paragrafo 3, richiede un'attenzione particolare.

4.5.4

Le azioni ammissibili definite all'articolo 3 vanno viste nel contesto delle disposizioni degli articoli 5 e 6, soprattutto in termini di correlazione e interazione tra azioni regionali, nazionali e comunitarie. Poiché le azioni comunitarie sono complementari a quelle nazionali e regionali, l'esperienza acquisita in passato nell'UE (cfr. ad esempio le iniziative Resider, Rechar e RETEX) e in altre situazioni può tornare utile visto che al FEG non è stato affidato alcun compito di ristrutturazione.

4.5.5

In casi specifici, può essere vantaggioso ricorrere all'approccio settoriale nel quadro della nuova politica industriale per valutare le analisi e individuare gli strumenti da usare.

4.5.6

Per una serie di Stati membri riveste particolare importanza e interesse il fatto che le politiche salariali e occupazionali restino di competenza nazionale e che la Commissione non possa interferire nei settori di competenza nazionale. Di conseguenza, nell'insieme di misure elaborate da uno Stato membro per affrontare una particolare crisi, il contributo dell'UE deve concentrarsi esplicitamente sui singoli individui e sulle azioni che promuovano il reinserimento dei lavoratori licenziati nel mercato del lavoro. A questo proposito, il CESE rimanda ai criteri di applicazione dell'ex capitolo sociale della Comunità del carbone e dell'acciaio, che possono contribuire ad evitare le sovrapposizioni e i conflitti istituzionali.

4.6

L'autorità di bilancio ha un ruolo determinante. È positivo che il regolamento prescriva correttamente e dettagliatamente le procedure finanziarie da rispettare.

4.7

Il regolamento è stato pensato per i casi specifici di emergenza, che in generale richiedono un'azione veloce ed efficace. Questo significa che, nell'applicazione delle regole, la burocrazia deve essere comunque ridotta al minimo, mentre è richiesta al contempo la necessaria cautela. L'obiettivo dovrebbe rimanere quello di fornire un sostegno efficace nel più breve tempo possibile.

4.8

Nel passato (recente), la ristrutturazione è stata portata a termine con successo in una serie di casi, anche complicati. Sebbene ogni caso concreto sia comunque unico nel suo genere, l'ampia gamma di ristrutturazioni ha dimostrato che gli sforzi regionali concentrati di tutte le parti direttamente interessate, spesso sostenute dai rispettivi governi, con una chiara focalizzazione sulla creazione delle condizioni necessarie per imprese nuove o rafforzate, industriali e di servizi e per la ricollocazione, hanno favorito il successo degli interventi.

4.9

Nella maggior parte dei casi, i piani economici e sociali sono stati elaborati in stretta collaborazione con il governo nazionale, gli enti regionali e le parti sociali, che, di norma, hanno organizzato tavole rotonde e coinvolto tutte le parti direttamente interessate nella regione.

4.10

Per il FEG vanno previste e applicate procedure analoghe perché gli interventi nel quadro del Fondo ottengano buoni risultati. A tal fine i rappresentanti della Commissione dovranno partecipare in prima persona a questo tipo di incontri e di riunioni a livello regionale e locale.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Benché la dotazione finanziaria di 500 milioni di EUR assegnata al FEG sia stata decisa dalla Commissione a seguito di simulazioni statistiche fondate su casi concreti, il suo importo andrebbe valutato e possibilmente adeguato di anno in anno alla luce della situazione in continuo mutamento e di un reale feedback sull'applicazione di questo fondo.

5.2

L'articolo 2 enumera le gravi perturbazioni economiche che fanno scattare l'intervento del FEG. Il CESE sollecita il Consiglio ad esaminare, prima dell'entrata in vigore del regolamento, le definizioni dei fenomeni citati nel paragrafo introduttivo di questo articolo. Le definizioni eccessivamente generali possono impedire in una fase successiva un processo decisionale efficace in sede di autorità di bilancio. Definizioni troppo ristrette possono avere lo stesso effetto. Una discussione in sede di Consiglio può contribuire a risolvere il dilemma e raggiungere un punto di equilibrio. Tale discussione può inoltre fornire un utile contributo agli orientamenti della Commissione.

5.3

Le ragioni di un intervento del FEG devono essere specificate. Andrebbero prese in considerazione le azioni anticipatorie adottate dalle imprese stesse, dalle parti sociali e da altri soggetti direttamente interessati. Tutto ciò potrebbe essere inserito negli orientamenti della Commissione.

5.4

Nell'ambito della valutazione annuale e in vista di una possibile modifica in virtù dell'articolo 20, andrebbe considerata la possibilità di valutare i criteri di intervento di cui all'articolo 2 (numero di lavoratori interessati, dimensione territoriale e indicatori di occupazione) in modo da garantire che tali criteri presentino anche una flessibilità tale da consentire di tener conto della diversità di alcune regioni specifiche, specie nel caso di piccoli paesi che contano principalmente aziende di dimensioni medio-piccole.

5.5

L'articolo 3 ripartisce tra a) e b) le azioni ammissibili all'intervento finanziario del FEG. Il CESE nota che le misure di politica salariale come i diritti a pensione e le prestazioni sociali sono di competenza esclusiva degli Stati membri. Il FEG dovrebbe limitarsi a finanziare strutture preposte all'istruzione e alla formazione e la creazione di condizioni generali favorevoli. In circostanze determinate ciò può comprendere un'integrazione salariale di sostegno per le persone che hanno o sono in cerca di lavoro.

5.6

L'articolo 10, paragrafo 1, fissa il contributo massimo del FEG al 50 % dell'insieme di misure previste dallo Stato membro. Il CESE non intende discutere l'ammontare di questa percentuale, ma segnala che esiste una relazione tra il livello di contributo finanziario del FEG e il numero e le dimensioni dei casi che saranno trattati.

5.7

Per l'articolo 12, paragrafo 1, lettera b), il CESE propone la seguente formulazione: «le prove che sussistono le condizioni di cui all'articolo 2 e i requisiti di cui all'articolo 6».

5.8

A giudizio del CESE, le parti sociali ed altri diretti interessati nelle regioni devono essere coinvolti in ogni fase della procedura FEG. Anche il CESE e il Comitato delle regioni dovrebbero essere informati dalla Commissione.

5.9

Dal 2008 in poi la Commissione presenterà relazioni annuali sulle attività del FEG. Questa valutazione ex post potrà essere discussa in sede di Consiglio. L'articolo 20 prevede una revisione formale del regolamento entro il dicembre 2013. Il CESE raccomanda alla Commissione di inserire una valutazione del FEG anche nel Libro bianco prima dell'analisi intermedia del bilancio UE prevista entro il 2009.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (COM(2006) 91 def. — 2006/0033 (COD)).

(2)  Valutazione d'impatto allegata al regolamento che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, SEC(2006) 274.

(3)  Competitività e localizzazione industriale, Ufficio dei consiglieri per le politiche europee dell'UE, BEPA (2005) 26.10.2005.

(4)  SEC(2006) 274.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'esercizio dei diritti di voto da parte degli azionisti di società aventi la sede legale in uno Stato membro e le cui azioni sono ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato e recante modifica della direttiva 2004/109/CE

COM(2005) 685 def. — 2005/0265 (COD)

(2006/C 318/06)

Il Consiglio, in data 31 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 83 voti favorevoli, 9 voti contrari e 18 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni del CESE

1.1

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione in quanto le barriere all'esercizio transfrontaliero del diritto di voto provocano delle distorsioni nel mercato unico.

1.2

Il «blocco» delle azioni — ovvero l'obbligo, per poter votare, di bloccare le azioni mediante deposito, o in altro modo, presso un altro soggetto alcuni giorni prima di un'assemblea generale — sussiste ancora in diversi paesi dell'UE. In alcuni Stati membri, infatti, il «blocco» delle azioni è obbligatorio per legge. Si tratta di una procedura dispendiosa, che impedisce agli azionisti di negoziare le azioni prima di un'assemblea generale e che viene considerata dalla maggioranza degli investitori istituzionali come uno dei maggiori ostacoli all'espressione del voto. L'articolo 7 della direttiva proposta elimina ogni sistema di «blocco» delle azioni basato sull'obbligo di depositarle prima di un'assemblea generale. Il CESE apprezza particolarmente questa disposizione, pur essendo consapevole del fatto che il numero di paesi in cui tale prassi è ancora consentita è limitato.

1.3

Il CESE ritiene che la direttiva debba prendere atto dell'impegno a favore del miglioramento normativo. In particolare, il Comitato rimanda al punto 34 del progetto interistituzionale Legiferare meglio, del dicembre 2003, che esorta gli Stati membri a «redigere e rendere pubblici, nell'interesse proprio e della Comunità, prospetti indicanti, per quanto possibile, la concordanza tra le direttive e i provvedimenti di recepimento».

1.4

Il CESE auspica che venga fatto maggiore uso del voto elettronico, onde migliorare la trasparenza e incentivare la partecipazione degli azionisti. Pur ritenendo che spetti alle società interessate incrementarne la diffusione, esso è dell'avviso che gli Stati membri debbano evitare di frapporre ostacoli alla diffusione della partecipazione per via elettronica alle assemblee generali.

1.5

In linea con le considerazioni sopraesposte, il CESE si attende un incremento dell'uso del voto sicuro via Internet ed eventualmente anche tramite SMS. Questi sistemi di votazione andrebbero incoraggiati ma non imposti tramite una direttiva CE.

1.6

Il CESE apprezza particolarmente le proposte riguardanti il voto per delega, di cui all'articolo 10, e in particolare la soppressione dei vincoli esistenti in alcuni Stati membri, che limitano il conferimento della delega ai soli famigliari degli azionisti.

1.7

Il CESE è favorevole all'idea che gli Stati membri possano fissare un'unica data, che preceda di un determinato numero di giorni l'assemblea generale, e sollevare la società dall'obbligo di rispondere alle domande presentate dopo tale termine.

1.8

Il CESE auspica un rafforzamento delle disposizioni di cui all'articolo 5, riguardanti le informazioni da mettere a disposizione degli azionisti prima di un'assemblea generale.

2.   La proposta della Commissione

La proposta in esame affronta gli ostacoli che si frappongono all'esercizio transfrontaliero del diritto di voto da parte degli azionisti.

2.1

La recente ondata di scandali europei e americani legati al malgoverno societario evidenzia l'esigenza di incoraggiare gli azionisti a svolgere un ruolo più attivo attraverso l'esercizio del diritto di voto nelle assemblee generali. La proposta in esame mira a proteggere i diritti degli azionisti non soltanto nell'UE ma anche nel resto del mondo.

2.2

Essa intende migliorare il governo delle società quotate all'interno dell'UE rafforzando i diritti che gli azionisti possono esercitare in relazione alle assemblee. In particolare la proposta si prefigge di conseguire tale obiettivo garantendo ai proprietari di azioni di società che hanno sede legale e sono quotate in un altro Stato membro la possibilità di votare senza difficoltà nelle assemblee di tali società.

2.3

La direttiva proposta affronta quattro questioni fondamentali:

(a)

l'abolizione del «blocco» delle azioni;

(b)

la convocazione delle assemblee con sufficiente anticipo (ivi compreso l'obbligo di convocare ogni assemblea generale degli azionisti con almeno 30 giorni di anticipo);

(c)

la rimozione degli ostacoli giuridici alla partecipazione per via elettronica;

(d)

la possibilità di votare senza partecipare all'assemblea.

2.4

Il testo in esame fa parte di una serie di misure a breve termine proposte nella comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 21 maggio 2003, Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europeaUn piano per progredire  (1).

2.5

La Commissione osserva che le procedure di voto nelle assemblee generali delle società variano molto da uno Stato membro all'altro, che sono spesso complesse e che diventano ancor più complicate in caso di azionariato transfrontaliero.

2.6

La Commissione ritiene che la normativa comunitaria in vigore non sia sufficiente per dare una soluzione adeguata al problema dell'esercizio transfrontaliero del diritto di voto. Attualmente, a norma dell'articolo 17 della direttiva 2004/109/CE (direttiva sulla trasparenza), le società emittenti hanno l'obbligo di mettere a disposizione un numero limitato di informazioni in funzione delle assemblee generali. Tuttavia, la direttiva sulla trasparenza non affronta il problema della procedura di voto degli azionisti.

2.7

La procedura di voto può essere complessa. Spesso le azioni sono nelle mani di intermediari, che le detengono per conto degli investitori. In questi casi, il voto può comportare tutta una serie di passaggi che coinvolgono le società emittenti, i soggetti incaricati della tenuta dei libri sociali, le banche presso cui le azioni sono in custodia, i gestori di investimenti, i depositari centrali di titoli e le società specializzate nel voto per delega.

3.   Opzioni

3.1

Non vi è alcuna garanzia che il mercato provvederà con sufficiente rapidità a migliorare i diritti degli azionisti, né che tutti gli Stati membri adotteranno misure legislative adeguate per affrontare il problema della complessità delle procedure di voto.

3.2

Pur non avendo carattere vincolante, una raccomandazione della Commissione sarebbe però abbastanza flessibile da poter essere attuata nei sistemi nazionali degli Stati membri sulla base degli orientamenti formulati dalla Commissione.

Essa non assicurerebbe tuttavia l'introduzione di norme minime in settori chiave che sono all'origine del problema dell'esercizio transfrontaliero del diritto di voto e dell'aumento dei costi, come ad esempio il blocco delle azioni, dato che l'esistenza di un tale requisito a livello nazionale può avere l'effetto di scoraggiare gli investitori.

3.3

Un regolamento introdurrebbe un trattamento uniforme, a prescindere dalla normativa in vigore nei singoli Stati. Potrebbe inoltre garantire l'introduzione di un rigoroso quadro comune per le pertinenti questioni transfrontaliere. In più, offrirebbe il vantaggio di evitare che gli Stati membri aggiungano altri requisiti, non previsti dalla normativa stessa, in sede di recepimento.

Tuttavia, la Commissione ritiene che un regolamento potrebbe comportare costi notevoli, in quanto non consentirebbe alcuna flessibilità rispetto alle differenze esistenti tra le tradizioni giuridiche dei vari Stati membri.

3.4

Una direttiva, invece, terrebbe conto dell'esistenza di pratiche diverse negli Stati membri, impedirebbe che si creino squilibri tra diverse categorie di azioni e di azionisti e favorirebbe la formazione di norme minime di base.

4.   Costi e benefici

4.1   Benefici

4.1.1

A breve termine, a beneficiare della proposta saranno principalmente gli investitori istituzionali che attualmente hanno in portafoglio azioni transfrontaliere. Gli ostacoli che si frappongono all'esercizio transfrontaliero del diritto di voto comportano dei costi, che impediscono agli investitori di partecipare al governo delle società attivamente come magari vorrebbero.

4.1.2

Nel lungo periodo, la proposta potrebbe incitare i piccoli investitori, attualmente scoraggiati dall'acquisto di azioni transfrontaliere dagli elevati costi associati al voto, ad aumentare il capitale investito in azioni di questo tipo. Ciò consentirà loro di diversificare ulteriormente il loro portafoglio in modo da ridurre il rischio. Complessivamente, a lungo termine la proposta dovrebbe portare a un aumento della liquidità disponibile sul mercato europeo dei capitali.

4.1.3

Attualmente sussiste una serie di barriere all'esercizio transfrontaliero del diritto di voto. In alcuni paesi il blocco delle azioni continua a essere un problema: esso è visto da molti investitori come un forte impedimento al voto e come tale rappresenta un ostacolo al buon funzionamento del mercato transfrontaliero dei capitali. Regna inoltre una certa confusione tra gli investitori riguardo all'esatta natura delle disposizioni in materia di blocco vigenti nei diversi Stati membri dell'UE; per loro anche questo elemento costituisce un costo notevole, che la direttiva proposta dovrebbe contribuire a ridurre.

4.1.4

Per quanto riguarda le informazioni fornite in funzione delle assemblee generali, esiste un'ingiusta distinzione tra azionisti nazionali e azionisti transfrontalieri. Il testo proposto dalla Commissione garantisce che vengano fornite informazioni adeguate e tempestive in tutti i mercati e dovrebbe quindi contribuire ad alleviare il problema.

4.1.5

La giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee sottolinea l'esigenza che gli Stati membri impediscano gli abusi da parte di una categoria di investitori a danno di altre.

4.1.6

Il voto per delega e i requisiti di ulteriore registrazione sono spesso onerosi e, secondo la valutazione d'impatto effettuata dalla Commissione, tali da scoraggiare effettivamente i piccoli fondi dalla partecipazione al voto. La proposta della Commissione dovrebbe semplificare il processo di conferimento delle deleghe e chiarire chi possa riceverle aumentando inoltre, in alcuni paesi, i diritti di cui godono i rappresentanti.

4.1.7

Qualora il presidente dell'assemblea abbia ricevuto deleghe da parte di alcuni azionisti, dovrebbe avere l'obbligo di attenersi strettamente alle istruzioni di voto di questi ultimi.

4.2   Costi

4.2.1

Stabilendo un periodo di preavviso uniforme, come è stato proposto, si introdurrebbe un elemento di rigidità per quegli Stati membri che richiedono un preavviso di soli 14 giorni per la convocazione di un'assemblea generale straordinaria.

4.2.2

L'obbligo di fornire risposte scritte alle domande presentate per iscritto dagli azionisti riveste un'importanza essenziale.

4.2.3

Gli articoli 5 e 7 della direttiva proposta prevedono un periodo di 30 giorni tra la data di registrazione e la data dell'assemblea, onde contribuire a fare in modo che gli azionisti siano in grado di esercitare il diritto di voto connesso alle loro azioni.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione in quanto le barriere all'esercizio transfrontaliero del diritto di voto provocano delle distorsioni nel mercato unico.

5.2

Poiché il settore finanziario esercita un importante influsso sullo sviluppo economico e sulla crescita dell'occupazione, ogni comportamento che ostacoli la partecipazione degli azionisti al governo societario va scoraggiato: è questo l'obiettivo della proposta della Commissione.

5.3

Attualmente a priori il voto transfrontaliero comporta costi maggiori per gli azionisti transfrontalieri che per quelli che risiedono nel paese in cui la società è quotata, e ciò costituisce un esempio di distorsione del mercato.

5.4

Il Comitato ritiene che gli eccessivi vincoli che attualmente si frappongano al voto per delega rendano questa procedura estremamente laboriosa in alcuni Stati membri.

5.5

Il «blocco» delle azioni — ovvero l'obbligo, per poter votare, di bloccare le azioni mediante deposito, o in altro modo, presso un altro soggetto alcuni giorni prima di un'assemblea generale — sussiste ancora in diversi paesi dell'UE. In alcuni Stati membri, infatti, il «blocco» delle azioni è obbligatorio per legge. Si tratta di una prassi dispendiosa, che impedisce agli azionisti di negoziare le azioni anche per settimane prima di un'assemblea generale e che viene considerata dalla maggioranza degli investitori istituzionali come uno dei maggiori ostacoli all'espressione del voto.

5.6

Il CESE condivide l'idea della Commissione che il fatto di mettere a disposizione le informazioni rilevanti ai fini di un'assemblea generale tardivamente o in forma incompleta, la presentazione delle risoluzioni in forma sintetica e i periodi di preavviso troppo brevi sono tra i maggiori ostacoli che gli investitori transfrontalieri devono affrontare nell'esercizio dei diritti di cui godono in quanto azionisti. Tutti i documenti pertinenti, ivi comprese le relazioni dei revisori, le risposte alle domande degli azionisti, gli avvisi di convocazione delle assemblee generali e le mozioni da presentare in tali assemblee dovrebbero essere messe a disposizione in formato elettronico, oltre che cartaceo.

5.7

L'articolo 8 verte sulla partecipazione per via elettronica alle assemblee generali. Dati i rapidi progressi della tecnologia, la Commissione propone che gli Stati membri «non vietino la partecipazione degli azionisti all'assemblea generale per via elettronica».

5.8

Il testo della Commissione non affronta specificamente il problema delle cosiddette «azioni al portatore»: con i detentori di tali azioni, la comunicazione avviene essenzialmente attraverso la pubblicazione di avvisi sulla stampa. Il CESE ritiene che la comunicazione elettronica sia uno strumento più moderno, rapido e sicuramente più economico.

5.9

L'articolo 10 precisa le modalità del voto per delega e abolisce le disposizioni utilizzate da alcune società per limitare il novero dei soggetti cui può essere conferita la delega.

5.10

Il CESE non ritiene opportuno mantenere la situazione attuale, astenendosi da qualsiasi iniziativa al riguardo, in quanto gli ostacoli esistenti rendono proibitivo l'esercizio transfrontaliero del diritto di voto per i piccoli azionisti e molto oneroso per gli investitori istituzionali.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europeaUn piano per progredire (COM(2003) 284 def.).


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per la fornitura delle informazioni di base sulle parità di potere d'acquisto, nonché per il loro calcolo e la loro diffusione (presentata dalla Commissione)

COM(2006) 135 def. — 2006/0042 (COD)

(2006/C 318/07)

Il Consiglio, in data 20 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SANTILLÁN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 182 voti favorevoli, 3 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento che stabilisce una base giuridica per il calcolo delle parità di potere d'acquisto (PPA), che permetterà di migliorare la trasparenza, la tempestività e la qualità dell'intero processo di elaborazione delle PPA sia a livello comunitario che nazionale.

1.2

Data l'importanza della materia sulla quale verte la proposta di regolamento e la necessità di disporre di norme vincolanti che delimitino le competenze della Commissione e degli Stati membri, stabilendo nel contempo basi omogenee di calcolo e di trasmissione di dati in materia di PPA, il Comitato raccomanda di approvare rapidamente la proposta di regolamento.

1.3

Il CESE comunica tuttavia che, per ragioni di costo, attualmente la Commissione (Eurostat) calcola le PPA per paese e non per regione (1). Tuttavia, questi calcoli sono utilizzati, tra l'altro, per valutare i risultati economici delle regioni. I dati attuali indicano chiaramente che esistono, all'interno degli Stati membri, differenze regionali, a volte considerevoli, nei prezzi dei beni e dei servizi. Anche se gli istituti statistici che raccolgono le informazioni di base applicano fattori di rettifica spaziale, è essenziale che tali correttori siano adeguati per evitare distorsioni nel calcolo delle PPA. Si raccomanda pertanto che gli Stati membri facciano tutto ciò che è in loro potere sul piano economico e tecnico, perché i fattori di rettifica spaziale riflettano il più precisamente possibile le differenze geografiche in materia di prezzi.

1.4

Per le ragioni indicate al punto precedente, il termine minimo di sei anni per la revisione dei fattori di rettifica spaziali sembra eccessivo e, pertanto, è consigliabile ridurlo. Inoltre, dato che la frequenza nella fornitura delle informazioni di base è, secondo la stessa proposta di regolamento, una frequenza minima (2), è opportuno che le informazioni relative ai prezzi vengano date, se possibile, ogni due anni (3) (la proposta fissa un minimo di tre anni).

1.5

In generale va messa in risalto la necessità di compiere uno sforzo per incrementare l'efficacia del sistema statistico dell'UE, per quanto concerne sia le risorse tecniche ed umane a disposizione sia il coordinamento tra Eurostat e gli istituti di statistica degli Stati membri che hanno importanti responsabilità nel calcolo delle PPA.

2.   Le parità di potere d'acquisto (PPA)

2.1

Il programma Eurostat-OCSE è stato istituito all'inizio degli anni '80 per confrontare, periodicamente e con tempestività, il PIL degli Stati membri dell'Unione europea e dei paesi dell'OCSE (4). Le PPA sono tassi di conversione delle valute grazie ai quali è possibile convertire indicatori economici espressi in monete nazionali nominali in una valuta comune artificiale denominata standard di potere d'acquisto (SPA), la quale parifica il potere d'acquisto delle varie valute nazionali.

2.2

Gli aggregati economici di volume in SPA sono ottenuti dividendo il loro valore originario in moneta nazionale per la PPA corrispondente. I PIL dei singoli paesi, tradotti in SPA impiegando le PPA come fattori di conversione, forniscono così un'effettiva comparazione dei volumi, poiché la componente «livello dei prezzi» è stata eliminata.

2.3

In altre parole le PPA sono al tempo stesso deflatori dei prezzi e convertitori valutari. L'adozione dell'euro negli Stati membri della zona euro ha consentito per la prima volta di confrontare direttamente i prezzi tra tali paesi. Nei singoli paesi della zona euro, l'euro ha tuttavia un potere d'acquisto che varia in funzione dei livelli dei prezzi nazionali. Di conseguenza, per i paesi che non fanno parte della zona dell'euro le PPA fungono da convertitori valutari che eliminano gli effetti delle differenze nei livelli di prezzo, mentre per i paesi della zona euro esse svolgono soltanto la funzione di deflatori dei prezzi.

2.4

Le PPA si calcolano in base ad un paniere di beni e servizi comparabili, selezionati prendendo come base sistemi quali ad es. la classificazione dei consumi individuali secondo la funzione (Classification of Individual Consumption by Purpose — Coicop (5)) e la classificazione dei prodotti per attività (Classification of Products by Activity — CPA). Il lavoro sul campo è realizzato in una o più città del territorio economico (generalmente soltanto nelle capitali degli Stati membri). La maggior parte degli Stati membri applica fattori di rettifica spaziale per tenere conto delle differenze regionali, anche se vi sono Stati membri che utilizzano solo i dati della capitale in quanto ritengono che, data la ridotta estensione geografica, tali differenze non esistano.

3.   Le PPA e il prodotto interno lordo (PIL)

3.1

Il PIL riflette il risultato dell'insieme delle attività degli operatori economici all'interno di una data zona economica e nell'ambito di un dato periodo, generalmente di un anno. Il PIL viene calcolato conformemente ad un sistema di contabilità nazionale che, per l'Unione europea, è il sistema europeo di conti economici integrati del 1995 (SEC 95). Può venire calcolato in funzione della produzione, della spesa o delle entrate. Ai fini delle PPA risulta di particolare importanza la misurazione della spesa in quanto essa rivela in che misura beni e servizi prodotti (o importati) dall'economia di un paese vengono destinati ai consumi privati, a quelli pubblici, alla formazione di capitale o alle esportazioni.

3.2

Per poter effettuare un confronto reale è necessario utilizzare fattori di conversione (deflatori spaziali) che riflettano le differenze di livello di prezzo tra paesi. Non si possono utilizzare i tassi di cambio poiché questi ultimi riflettono generalmente altri elementi oltre alle differenze di prezzo.

3.3

Di conseguenza, sono state elaborate PPA specifiche fra le valute di diversi paesi che possono essere utilizzate adeguatamente come fattori di conversione spaziale.

4.   Perché si utilizzano le PPA?

4.1

Ad utilizzare le PPA erano, all'inizio, soprattutto organizzazioni internazionali quali Eurostat, il Fondo monetario internazionale, l'OCSE, la Banca mondiale e le Nazioni Unite. Tuttavia, l'utilizzo di statistiche concernenti le PPA si è col tempo esteso, facendo così aumentare il numero degli utilizzatori: agenzie governative, università, istituti di ricerca, imprese pubbliche e private. Le banche si servono delle PPA per realizzare le loro analisi economiche e per seguire i tassi di cambio. I singoli individui e i loro datori di lavoro le usano per calcolare le retribuzioni in caso di trasferimento da un paese ad un altro.

Le PPA possono inoltre essere utilizzate nelle negoziazioni collettive transnazionali sui salari.

4.2

Le PPA sono indicatori essenziali per l'UE da un punto di vista economico e politico. Da un lato, la normativa stabilisce di utilizzarle per l'applicazione dei fondi strutturali (6), dall'altro, esse sono il riferimento obbligatorio per l'applicazione del Fondo di coesione (7). È tuttavia importante sottolineare che mentre nel primo caso (fondi strutturali) il calcolo si basa sul prodotto interno lordo (PIL) pro capite, nel secondo (Fondo di coesione) si tiene conto del prodotto nazionale lordo (PNL) pro capite. La proposta di regolamento oggetto del presente parere considera unicamente il PIL (8).

4.3

Inoltre, le PPA servono anche a calcolare i coefficienti correttori da applicare alle retribuzioni e alle pensioni dei funzionari e degli altri agenti delle Comunità europee (9).

5.   La proposta di regolamento

5.1

La proposta di regolamento mira a colmare un vuoto giuridico stabilendo un quadro normativo per il calcolo delle PPA. Si intende quindi migliorare la trasparenza e la qualità dei dati forniti dagli Stati membri fissando norme comuni per la fornitura delle informazioni (art. 1). L'obiettivo perseguito avrebbe, quindi, effetti positivi su Eurostat, in quanto coordinatore dei risultati, ma anche sugli istituti statistici dei singoli paesi.

5.2

Delimitazione delle responsabilità e delle competenze. La Commissione avrà il compito, mediante Eurostat, di coordinare la fornitura delle informazioni di base, di calcolare e pubblicare le PPA e di sviluppare la metodologia in consultazione con gli Stati membri (art. 4, par. 1), mentre questi ultimi saranno incaricati di fornire le informazioni di base, certificare «per iscritto» i risultati delle indagini e verificare l'attendibilità dei dati (art. 4, par. 2).

5.3

Gli istituti statistici degli Stati membri trasmetteranno ad Eurostat le informazioni di base elaborate secondo parametri comuni e secondo uno stesso formato tecnico (art. 5 e allegato I).

5.4

Le unità statistiche sono quelle definite nel regolamento (CEE) n. 696/93 o altre che verranno stabilite in futuro (art. 6). La Commissione (Eurostat) e gli Stati membri istituiranno un sistema di controllo della qualità (art. 7).

5.5

Eurostat calcolerà le PPA una volta all'anno (art. 8) e sarà incaricata di pubblicarle a livello aggregato per ogni Stato membro (art. 9).

5.6

Il progetto di regolamento non obbliga gli Stati membri a svolgere indagini unicamente allo scopo di fissare i coefficienti correttori da applicare alle retribuzioni e alle pensioni dei funzionari e altri agenti delle Comunità europee (art. 10).

5.7

Fattori di rettifica temporale e spaziale. Le PPA vengono calcolate con riferimento ai prezzi medi annui nazionali (art. 2.2). Dato che «la rilevazione dei dati può essere limitata a una o più località entro il territorio economico» e «ad uno specifico periodo di tempo», gli Stati membri devono applicare un fattore di rettifica temporale (che non deve risalire a più di un anno prima) e un fattore di rettifica spaziale (che non deve risalire a più di sei anni prima) (allegato I — Metodologia, numeri da 2 a 4).

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Le regioni NUTS 2 esistenti sono 254. Cfr. il regolamento (CE) n. 1059/2003, allegato I.

(2)  Allegato I «Metodologia», punto 2.1.

(3)  Si fa in tale contesto riferimento ai «prezzi dei beni di consumo e servizi e relativi indicatori di rappresentatività», ai «prezzi dei beni strumentali» e ai «prezzi dei progetti edilizi».

(4)  Tuttavia, l'origine dei raffronti internazionali del PIL in termini di prezzo e di volume risale ai raffronti sperimentali condotti dall'Organizzazione per la cooperazione economica europea (OEEC) negli anni '50.

(5)  Sistema utilizzato da istituzioni internazionali (Nazioni Unite, FMI, ecc.).

(6)  Conformemente al regolamento (CE) n. 1260/99 del Consiglio, i fondi strutturali si applicano alle regioni il cui PIL pro capite misurato in standard di potere d'acquisto, è inferiore al 75 % alla media comunitaria. Questo vale anche per i paesi che hanno aderito all'UE successivamente (allegato II dell'atto d'adesione del 2003).

(7)  Per quanto riguarda il Fondo di coesione, questa disposizione figura nell'articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1164/94 del Consiglio, del 25 maggio 1994, in base al quale si applica agli «… Stati membri aventi un prodotto nazionale lordo (PNL) pro capite, misurato sulla base delle parità di potere d'acquisto, inferiore al 90 % della media comunitaria».

(8)  L'articolo 3 contiene la seguente definizione: «a) “parità di potere d'acquisto” o “PPA”: i deflatori spaziali e i convertitori valutari che annullano gli effetti delle differenze di livello dei prezzi tra i paesi, consentendo comparazioni in termini di volume tra le componenti del PIL, nonché confronti tra i livelli dei prezzi».

(9)  Statuto dei funzionari, allegato XI, articolo 1 («le parità economiche sono calcolate in modo che ogni voce elementare possa essere (…) verificata con un'indagine diretta almeno una volta ogni cinque anni») e regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee.


23.12.2006   

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C 318/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente un ambiente privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio

COM(2005) 609 def. — 2005/0247 (COD)

(2006/C 318/08)

Il Consiglio, in data 17 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 190 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta della Commissione riguarda un nuovo progetto di informatizzazione doganale che dovrebbe rendere, a termine, il sistema doganale europeo totalmente automatizzato, interoperabile, sicuro, accessibile e funzionante su base interamente elettronica, senza supporti cartacei. Essa costituisce il necessario complemento per la messa in opera del nuovo codice doganale comunitario proposto dalla Commissione (1), sul quale il CESE si è già pronunciato in un parere separato.

1.2

L'adozione del sistema di informatizzazione proposto comporta lo sforzo congiunto e coordinato di tutti i paesi membri, non soltanto per quanto riguarda le dogane, ma anche nei confronti degli enti responsabili delle frontiere diversi dalle dogane, i quali si devono assumere l'impegno di attuare nella pratica i concetti di interfaccia unica e di sportello unico: questi due obiettivi consentiranno agli operatori uno svolgimento semplificato, più veloce e più economico delle operazioni doganali, e alle dogane dei controlli più efficaci di gestione dei rischi.

1.3

Gli Stati membri hanno già effettuato notevoli investimenti per la messa in opera di sistemi doganali informatizzati: fra di essi tuttavia esistono notevoli differenze, sia in termini di livello di sofisticazione sia per quanto riguarda la normativa e l'utilizzo dei dati. L'armonizzazione sin qui conseguita è quindi insufficiente e a questo si aggiunge un problema ancora più importante, e finora irrisolto, che è quello della mancanza di interoperabilità dei sistemi.

1.4

L'interoperabilità permetterà lo scambio di informazioni fra le amministrazioni dei diversi paesi; dando prova di attenzione verso i cittadini, il progetto prevede anche la possibilità di fornire interfacce con gli operatori commerciali, non solo per permettere l'attuazione del principio dello sportello unico ma anche per garantire lo scambio di informazioni. Quando sarà interamente a regime, il nuovo sistema informatizzato costituirà un deciso progresso — almeno sotto il profilo puramente doganale — verso la realizzazione di un mercato interno unificato, le cui uniche frontiere sono quelle esterne. Si tenga peraltro presente che la dimensione globale dei mercati esige che si tenga conto dei rapporti con i paesi terzi: un aspetto che non viene evocato nel documento della Commissione.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

La Commissione fa notare che gli obiettivi dell'informatizzazione basata su sistemi interoperabili avrebbero potuto essere conseguiti anche elaborando un sistema doganale centralizzato; essa osserva, tuttavia, che tale soluzione non è possibile per diversi motivi, fra i quali la difficoltà di trasferire le responsabilità operative dagli Stati membri alla Commissione stessa, derogando ai principi di proporzionalità e di sussidiarietà. Il vero motivo di tale impossibilità risiede però, probabilmente, nella resistenza degli Stati membri a cedere le proprie prerogative, pur sapendo che una parte dei proventi doganali è di competenza diretta del bilancio comunitario. Orbene, il CESE ritiene che la gestione comunitaria delle dogane debba figurare tra gli obiettivi a lungo termine dell'Unione: una gestione di tale tipo presenta vantaggi dal punto di vista della semplicità, dell'affidabilità e dei costi, nonché delle possibilità di interconnessione con altri sistemi dell'UE e dei paesi terzi. Di fronte ai potenziali ritardi nell'applicazione dei sistemi di base sviluppati da ciascuno dei 25 Stati membri, occorre valutare se non sarebbe preferibile introdurre sistemi totalmente automatizzati, come i sistemi automatizzati di importazione e esportazione collegati tra loro da un unico punto di accesso europeo.

2.2

L'iniziativa della Commissione costituisce in primo luogo un «atto dovuto», in quanto la messa in opera del nuovo codice doganale esige che le procedure siano coerenti con le nuove norme. Al di là di questo, essa fa parte di una serie di altre iniziative adottate in diversi altri settori nel campo della eEurope e dell'eGovernment  (2), e più specificamente fa seguito agli impegni assunti nel 2003 con la comunicazione della Commissione al Consiglio Un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio  (3). Tali impegni erano d'altro canto già stati delineati — almeno per la parte che riguarda l'eliminazione dei supporti cartacei — nel programma Dogana 2007  (4) e ribaditi in occasione della modifica del 2004 al regolamento del codice doganale (5).

2.3

Il CESE non può che commentare con favore le principali innovazioni introdotte dal sistema proposto dalla Commissione: l'interconnessione dei sistemi nazionali, la creazione di un'interfaccia per gli operatori mediante lo sportello unico, la possibilità di inoltrare per via elettronica le domande di sdoganamento e la gestione integrata dei rischi costituiscono innegabili fondamenti di progresso, a condizione che i costi per la collettività e per gli operatori risultino sostenibili. A tal fine sarebbe opportuno valutare le conseguenze di queste trasformazioni per il personale delle dogane (strumenti, opportunità di formazione, carriere, adattamento).

2.4

Il CESE non può tuttavia esimersi dal formulare qualche osservazione a proposito dell'integrazione dei sistemi informatici e della loro complementarietà. La Commissione intende arrivare alla piena interoperabilità dei sistemi doganali: le amministrazioni doganali dovranno cioè potere scambiare le informazioni fra di esse e altresì con «altre autorità interessate al trasporto internazionale delle merci». In questa definizione non sono certamente comprese le amministrazioni incaricate della riscossione dell'IVA; eppure un collegamento organico fra le dogane e le amministrazioni IVA potrebbe essere utile per controllare, almeno in certi casi e per alcune merci, la contraffazione dei marchi d'origine. Non si tratta certo di un fatto nuovo, ma anzi di un fenomeno in continua espansione: spesso merci importate da paesi terzi vengono rimesse in circolo (pagando l'IVA) all'interno della Comunità con marchi di origine europea o con marche «europee» falsificate.

2.5

Il CESE intende inoltre richiamare l'attenzione sul secondo considerando della proposta di decisione: «L'iniziativa paneuropea di governo elettronico richiede misure intese a rendere più efficace la lotta contro la frode, la criminalità organizzata ed il terrorismo». La dichiarazione d'intenti è chiara; meno chiaro risulta invece come le disposizioni contenute nella proposta possano raggiungere lo scopo. La raccolta dei dati ai fini doganali non può infatti servire ad altri scopi senza la predisposizione di un sistema al colloquio con altri sistemi.

2.5.1

Nel dicembre 2004 il Consiglio ha adottato, sulla base di una valutazione della Commissione (6) e di una raccomandazione del PE del 14 ottobre 2004 il «programma dell'Aia». Tale programma definiva una serie di misure e di azioni per rafforzare la sicurezza nell'UE, e in particolare per «stabilire una cooperazione di polizia, doganale e giudiziaria». In un successivo documento, del 10 giugno 2005, veniva elaborato un piano d'azione per realizzare il programma dell'Aia, il quale richiamava una risoluzione del Consiglio GAI (Giustizia e Affari interni) del 30.3.2004 in materia di cooperazione doganale, nonché una comunicazione sulla lotta al traffico transfrontaliero di merci proibite o regolamentate. In un documento ancora successivo (7) la cooperazione doganale veniva nuovamente citata fra le priorità. Tutti i progetti previsti nei documenti suddetti si fondano sulla disponibilità di informazioni in materia di repressione, elemento che figura anche nel programma dell'Aia. Dato l'insieme della materia e la natura dei progetti in corso, il CESE considera evidente che nel progettare un sistema doganale informatizzato — destinato a durare nel tempo — non si può non prevedere che al momento della sua messa in opera o in tempi successivi la banca dati doganale dovrà interagire con altri sistemi, e in particolare con quelli di sicurezza interna, europei e dei paesi terzi, fermo restando, ovviamente, l'obbligo di rispettare la vita privata, il segreto professionale e la protezione dei dati.

2.5.2

Di tale preoccupazione non si trova traccia nel documento della Commissione, all'infuori della citazione di cui al punto 2.5.1. Né, d'altro canto, la relazione introduttiva della Commissione ricorda in qualche sua parte il programma dell'Aia: sotto il titolo Coerenza con le altre politiche e con gli obiettivi dell'Unione vengono infatti citate soltanto la strategia di Lisbona e le iniziative per la eEurope e l'eGovernment. Pur tenendo conto dell'articolo 3, punto d) — del quale si dirà più oltre — un'omissione di tale importanza non può essere casuale e la Commissione dovrebbe spiegarne chiaramente le ragioni; resta comunque fermo il fatto che non sarebbe accettabile un semplice rinvio a tempi futuri di un'iniziativa che dovrebbe invece essere adottata fin d'ora.

2.5.3

Nella fase preparatoria del documento la Commissione ha organizzato ben sei seminari nell'arco di due anni, ha interpellato gli utenti, ha discusso nell'ambito del comitato del codice doganale, del gruppo di politica doganale, del gruppo Dogana 2007 per l'informatizzazione doganale e del gruppo di contatto sul commercio; per contro, nessun cenno è fatto a contatti con Europol, OLAF o con altre direzioni della Commissione. Un sistema non può essere progettato soltanto in funzione delle esigenze dei suoi utilizzatori diretti; se deve essere strutturato per collegarsi ad altri sistemi non può prescindere dalla conoscenza delle loro caratteristiche e necessità. Il CESE ha l'impressione che trovino ora conferma le riserve già manifestate nel suo parere sul codice doganale comunitario circa l'assenza di una reale presa di coscienza dell'interdipendenza delle varie amministrazioni pubbliche nella lotta ai fenomeni criminosi.

2.5.4

Un totale cambiamento di approccio nel senso indicato al punto precedente è probabilmente reso difficile dalla ristrettezza dei tempi di attuazione imposti dal programma; non sembra tuttavia impossibile prevedere sin d'ora misure di sicurezza riguardanti le «merci sensibili» (armi, esplosivi, materiali nucleari, macchine e attrezzature per l'industria chimica, nucleare o bellica, narcotici, alcol, tabacco). Tali misure potrebbero tradursi in rilevazioni da trasmettere, in via automatica o su richiesta, alle autorità competenti per materia.

2.6

I costi finanziati dal bilancio comunitario sono, in base al principio di sussidiarietà, quelli necessari per assicurare l'interoperabilità dei sistemi, l'interfaccia unica e i portali doganali. Tali costi sono stimati in circa 180 milioni di euro, ripartiti in stanziamenti annuali di importo crescente, che vanno dai 4 milioni del 2006 ai 111 milioni dell'anno 2011 e seguenti. Il CESE manifesta il proprio accordo, ma considera con perplessità la decisione di porre a carico del bilancio comunitario le spese relative ai portali nazionali: anche se è vero che questi sono in linea di principio a disposizione di tutti gli operatori, siano essi nazionali o di altri paesi dell'Unione, è da prevedere che ognuno di essi sarà usato in grande maggioranza dagli operatori nazionali. Apparirebbe quindi più opportuno che il costo di tali portali fosse sostenuto da ciascuno Stato membro piuttosto che dalla Comunità. Naturalmente, diverse sarebbero le condizioni qualora la Commissione intendesse alludere ai portali europei, dei quali non si parla esplicitamente.

2.7

In materia di tempi di attuazione la Commissione ha elaborato un calendario di scadenze, obbligatorie per tutti gli Stati membri, calcolate a partire dalla data di pubblicazione della decisione sulla GU: tre anni per adottare sistemi di sdoganamento automatizzati ed interoperabili, sistemi di registrazione degli operatori economici e portali d'informazione; cinque anni per costituire una rete di punti d'accesso unici e un contesto tariffario conforme alle norme comunitarie; sei anni per assicurare servizi d'interfaccia unica. Il CESE ritiene che queste scadenze, specie la prima, siano state fissate con un certo ottimismo: tre anni non sono molti se si tiene conto che essi devono comprendere alcuni mesi di prova dei programmi e di interscambio con gli altri partecipanti. Inoltre, non tutti gli Stati membri sono allo stesso livello di informatizzazione e di disponibilità di risorse finanziarie e umane. Sarebbe dannoso per il funzionamento del sistema, ed ancor più per la sua credibilità, se il mancato rispetto dei termini da parte di uno o più Stati membri dovesse obbligare la Commissione a concedere proroghe. L'attuale piano strategico pluriennale va pertanto riveduto in modo da tener conto:

della necessità per tutti gli Stati membri di applicare il sistema in tutte le sue parti prima di renderlo operativo,

della necessità da parte delle imprese di disporre di almeno 12 mesi durante i quali preparare i sistemi, dopo aver ricevuto i requisiti completi dalle amministrazioni doganali nazionali. Le imprese industriali e commerciali non dovrebbero avere l'obbligo di presentare le dichiarazioni sommarie per le importazioni e le esportazioni prima dell'applicazione a pieno regime di sistemi omogenei.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Articolo 2: obiettivi. Fra gli obiettivi, la proposta cita quello di ricercare un approccio comune per il controllo delle merci pericolose ed illegali; se si tiene conto di quanto suggerito dal CESE al punto 2.5.4, questo obiettivo dovrebbe essere formulato diversamente.

3.2

Articolo 3: scambio dei dati. Al punto (d) l'articolo prevede che i sistemi doganali devono permettere lo scambio dei dati con «altre amministrazioni o agenzie interessate al trasporto internazionale di merci». Il CESE ha già ampiamente illustrato il suo pensiero circa la limitatezza di questa definizione (cfr. punto 2.4 e seguenti). Se il suggerimento di includere il programma dell'Aia nel capitolo Coerenze con le altre politiche comunitarie verrà preso in considerazione, la formulazione di questo paragrafo dovrà essere modificata in conseguenza. In ogni caso, deve essere resa più chiara la redazione del testo, che influisce sulla sua interpretazione alternativa: o si parla di «amministrazioni interessate al trasporto internazionale di merci», come alternativa alle «agenzie», o si parla di «amministrazioni» in generale, nel qual caso occorrerebbe ben specificare che con tale dizione la Commissione ha voluto marcare un'apertura coerente con il programma dell'Aia. La formulazione, alquanto vaga, e la sua conseguente interpretazione, lasciano largo spazio all'incertezza.

3.3

Articolo 4: sistemi e servizi, scadenzario. Come detto al punto 2.7, i tempi di attuazione del sistema sembrano eccessivamente ottimistici: la Commissione dovrebbe discuterne ancora, sul piano tecnico, con gli Stati membri e con i loro servizi direttamente interessati, per assicurarsi che tutti diano esplicita assicurazione di essere in grado di far fronte agli impegni nei tempi stabiliti.

3.4

Articolo 9: risorse. L'articolo ripartisce fra la Commissione e gli Stati membri le risorse da mettere a disposizione in termini di personale, di bilancio e di mezzi tecnici: la Commissione è responsabile per le componenti comunitarie, gli Stati membri per quelle nazionali. La formulazione di questo articolo è corretta, ma è collegata con il disposto dell'articolo 10 per quanto riguarda il significato e il contenuto delle nozioni di «componenti comunitarie» e di «componenti nazionali».

3.5

Articolo 10: disposizioni finanziarie. Anche questo articolo non si presta a critiche sul piano della formulazione, ma presenta dei rischi a livello della sua interpretazione. Il terzo paragrafo stabilisce che gli Stati membri si facciano carico delle componenti nazionali, «comprese le interfacce con altri enti governativi e con gli operatori economici». Si dovrebbe presumere che i portali — che di norma funzionano in lingua nazionale e sono realizzati secondo le necessità dell'operatore del paese — siano considerati fra le componenti nazionali. La relazione introduttiva spiega invece (cfr. punto 2.6) che essi sono stati inclusi fra le componenti comunitarie: un'interpretazione che sarebbe sfuggita a chi leggesse soltanto il testo dell'articolo. Il CESE ritiene che questo paragrafo debba essere rivisto: nella sostanza, qualora si accettassero le sue osservazioni, ma almeno nella forma in caso contrario, per rispettare il principio di trasparenza.

3.6

Articolo 12: relazioni. Entro il 31 dicembre di ogni anno gli Stati membri devono trasmettere una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori e sui risultati conseguiti; da parte sua la Commissione invia agli Stati membri, entro il 31 marzo di ogni anno, un rapporto consolidato, che dovrebbe includere i risultati di eventuali missioni di monitoraggio e di altri controlli. In linea di massima non vi sarebbe nulla da eccepire, ma ci si chiede quali siano le implicazioni delle «missioni di monitoraggio» e se i loro risultati debbano essere resi pubblici.

3.7

Articolo 13: consultazione degli operatori economici. Si prevede che la Commissione e gli Stati membri consultino «sistematicamente» gli operatori economici in tutte le fasi di elaborazione, sviluppo e attuazione dei sistemi e servizi. La consultazione dovrebbe aver luogo attraverso un meccanismo che riunisca regolarmente un gruppo rappresentativo di operatori economici. Il CESE considera che questo tipo di meccanismo sia coerente con la normale pratica comunitaria e rispetti i principi della consultazione e della trasparenza; è peraltro necessario, alla luce delle esperienze, che la consultazione non faccia emergere troppe esigenze disparate o tendenze contrastanti suscettibili di creare ostacoli il cui superamento implicherebbe tempi lunghi e compromessi non razionali. Occorre quindi che la fase consultiva sia tanto approfondita da essere compatibile con l'esigenza di una presa di decisione senza ritardi.

3.8

Articolo 14: paesi candidati e in via di adesione. Questo articolo prevede che la Commissione informi tali paesi delle iniziative prese e dei progressi realizzati nelle diverse fasi, consentendo loro di parteciparvi. La formulazione è vaga: non si dice se tali paesi possano partecipare come membri attivi o soltanto come osservatori, se essi siano autorizzati a mettere in opera sistemi doganali paralleli in vista della loro adesione, e se in questo caso essi possano fruire di contribuzioni a carico del bilancio comunitario. Il CESE chiede che questa disposizione sia formulata in modo più trasparente.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 608 def.

(2)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il ruolo dell'eGovernment per il futuro dell'Europa (COM(2003) 567 def.), del 26.9.2003.

(3)  COM(2003) 452 def., del 24.7.2003, citato nel parere sul codice doganale.

(4)  COM(2002) 26 def., del 21.3.2002, oggetto del parere del CESE: GU C 241 del 7.10.2002.

(5)  COM(2003) 452 def., del 24.7.2003, oggetto del parere del CESE: GU C 110 del 30.4.2004.

(6)  COM(2004) 401 def.

(7)  COM(2005) 184 def.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Attuazione del programma comunitario di Lisbona: proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno e recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2000/12/CE e 2002/65/CE

COM(2005) 603 def. — 2005/0245 (COD)

(2006/C 318/09)

Il Consiglio, in data 18 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 47, paragrafo 2, e 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore FRANK von FÜRSTENWERTH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 191 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene, al pari della Commissione europea, che per realizzare il mercato interno sia indispensabile sopprimere tutte le frontiere interne alla Comunità in modo da consentire la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. A tal fine è essenziale disporre di un mercato interno dei servizi di pagamenti che funzioni bene; allo stato attuale, però, questo mercato non esiste ancora. Dopo l'introduzione riuscita dell'euro, il CESE si dichiara favorevole alla creazione di un'area unica dei pagamenti in euro (AUPE) (Single Euro Payment Area — SEPA).

1.2

Il CESE sostiene gli sforzi intrapresi dalla Commissione per creare il quadro normativo necessario alla creazione dell'AUPE e considera la proposta di direttiva un passo decisivo in questa direzione.

1.3

Il CESE plaude alle iniziative già avviate dalla Commissione e dal settore creditizio europeo al fine di istituire l'AUPE, il cui obiettivo — senz'altro ambizioso — è quello di consentire di effettuare i pagamenti transfrontalieri in euro all'interno del mercato unico con facilità, comodità, sicurezza e convenienza economica.

1.4

Il CESE fa però osservare che con la proposta di direttiva la Commissione ha optato per un approccio assai completo, che va al di là del quadro normativo necessario per i servizi di pagamento transfrontalieri. Il CESE teme pertanto che — anche in considerazione dei tempi di attuazione necessari agli Stati membri e ai prestatori e utenti dei servizi di pagamento — si possa mancare l'obiettivo di istituire l'AUPE nel 2008 a causa di un quadro normativo sovraccarico ed eccessivamente esteso. Il CESE invita a prendere maggiormente in considerazione gli strumenti di autoregolamentazione e di coregolamentazione.

1.5

Per raggiungere l'obiettivo fissato dalla Commissione per il 2008, potrebbe essere sufficiente creare le basi giuridiche per l'addebito diretto transfrontaliero e rivedere le disposizioni giuridiche pertinenti di cui al Titolo II (Prestatori di servizi di pagamento) e al Titolo IV (Diritti ed obblighi in relazione alla prestazione di servizi di pagamento) della proposta di direttiva (in materia, tra l'altro, di autorizzazione, revocabilità e rimborso degli addebiti diretti previsti al Titolo IV). Così facendo, si potrebbe rispettare la scadenza del 2008 per la creazione dell'AUPE.

1.6

Il CESE è dell'avviso che, anche in considerazione degli atti giuridici finora adottati, il fatto di concentrarsi solo su quanto necessita effettivamente di una regolamentazione risponda al principio noto come «legiferare meglio». Nell'interesse dei prestatori e degli utenti di servizi di pagamento, la preoccupazione primaria della proposta di direttiva dovrebbe essere quella di favorire e facilitare le operazioni di pagamento, non gravandole di procedure burocratiche che incrementano il costo dei sistemi e riducono l'accettazione da parte dell'utente.

1.7

Il CESE fa rilevare che, nel contesto della creazione di un mercato interno dei servizi di pagamento, restano alcune questioni che non è stato ancora possibile risolvere in questa sede. Si tratta, da una lato, della sicurezza dei pagamenti elettronici e degli aspetti ad essi correlati e, dall'altro, dell'accesso a un conto corrente, senza il quale non è più possibile partecipare alla vita economica — un tema questo di crescente attualità negli Stati membri.

1.8

Il CESE raccomanda qui di seguito alcune modifiche da apportare al testo della proposta di direttiva.

2.   Contenuto della proposta di direttiva

2.1

La proposta di direttiva è intesa a creare un quadro normativo uniforme per l'AUPE, che dovrebbe agevolare in particolare i pagamenti transfrontalieri. Scopo della proposta è armonizzare le diverse normative vigenti negli Stati membri, contribuendo così a:

incrementare la concorrenza tra i mercati nazionali garantendo parità di condizioni,

accrescere la trasparenza del mercato sia per i prestatori che per gli utenti di servizi di pagamento,

uniformare i diritti e gli obblighi dei prestatori e degli utenti di servizi di pagamento.

La proposta di direttiva contiene in sostanza le seguenti disposizioni:

2.2   Diritto di prestare servizi di pagamento al pubblico (Titolo II)

2.2.1

L'armonizzazione dei requisiti necessari ai prestatori di pagamento diversi dagli enti creditizi per accedere al mercato mira a creare condizioni di parità, a favorire la concorrenza sui mercati nazionali e a tener conto dell'evoluzione di tali mercati negli ultimi anni, incentivando l'accesso al mercato di una nuova generazione di prestatori di servizi, gli istituti di pagamento.

2.3   Requisiti di trasparenza e di informazione (Titolo III)

2.3.1

Norme chiare e coerenti sulla trasparenza dei servizi di pagamento dovrebbero rafforzare la concorrenza, offrendo agli utenti una maggiore scelta e una miglior tutela. La Commissione propone quindi, per i servizi di pagamento, requisiti chiari e succinti in materia di informazioni, che si sostituiranno alle regolamentazioni nazionali.

2.4   Diritti ed obblighi degli utenti e dei prestatori di servizi di pagamento (Titolo IV)

2.4.1

La proposta di direttiva definisce i diritti e gli obblighi fondamentali degli utenti e dei prestatori di servizi di pagamento. L'obiettivo è quello di accrescere la fiducia degli utenti nei sistemi di pagamento elettronici aumentando così l'efficienza e l'accettazione di questi sistemi.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE appoggia l'obiettivo della direttiva di creare un'AUPE soprattutto per i servizi di pagamento transfrontalieri. Un mercato interno dei servizi di pagamento, da lungo tempo atteso, dovrebbe, come programmato, realizzarsi nel 2008.

3.2

L'approccio per cui ha optato la Commissione è assai completo e prevede alcune disposizioni che vanno al di là del quadro normativo necessario per l'AUPE. Oltretutto una normativa armonizzata esiste già per i bonifici (direttiva 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri), la commercializzazione a distanza di servizi finanziari (direttiva 2002/65/CE concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori) e la moneta elettronica (direttiva 2000/46/CE riguardante l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica).

3.3

Il mantenimento di procedure già dimostratesi più efficienti e convenienti in termini di costi non costituisce affatto un ostacolo per l'AUPE. Al contrario, queste procedure possono servire da base per una standardizzazione che, da un lato, mantiene il livello di sicurezza ed efficienza già raggiunto e, dall'altro, consente di realizzare un'AUPE di qualità elevata tramite una gestione intelligente delle diverse interfacce. Ispirandosi al principio «legiferare meglio», il CESE propende per limitare le disposizioni previste a quanto appare essenziale per migliorare i sistemi di pagamento nel mercato unico europeo e invita a prendere maggiormente in considerazione gli strumenti di autoregolamentazione e di coregolamentazione.

3.4

Il CESE ritiene che l'AUPE costituisca un presupposto importante per uno sviluppo trasparente dei prodotti su scala europea in un regime di libera concorrenza per i prestatori di servizi di pagamento a vantaggio dei clienti. Il CESE giudica altresì fondamentale garantire anche in futuro al consumatore l'attuale libertà di scegliere tra i diversi strumenti di pagamento in modo che si possa tener conto delle sue preferenze.

3.5

Un problema è costituito dall'accesso ai sistemi di pagamento da parte degli istituti di pagamento sprovvisti di licenza bancaria. In questo caso si rende necessario un livello uniforme di vigilanza prudenziale a garanzia di una concorrenza equa, altrimenti si rischiano distorsioni della concorrenza e problemi in termini di efficienza e di sicurezza delle operazioni di pagamento e dei prestatori di servizi di pagamento (ad es. casi di insolvenza).

3.6

Il CESE raccomanda di limitarsi alle disposizioni giuridiche del Titolo II (Prestatori di servizi di pagamento) e del Titolo IV (Diritti ed obblighi in relazione alla prestazione di servizi di pagamento) della proposta di direttiva necessarie ai fini dell'introduzione dell'addebito diretto europeo (tra queste, alcune disciplinano l'autorizzazione, la revocabilità e il rimborso degli addebiti diretti). Così facendo dovrebbe essere ancora possibile adottare la direttiva e recepirla nel diritto interno degli Stati membri secondo il calendario previsto, in modo da poter rispettare il termine del 2008 per l'introduzione dell'AUPE, che comporta condizioni generali uniformi per i prestatori di servizi di pagamento e l'addebito diretto europeo.

3.7

Il CESE accoglie con grande favore l'articolo 79 della proposta di direttiva, il quale prevede che, entro due anni dall'adozione della direttiva, la Commissione presenti al Parlamento europeo, al Consiglio e al CESE una relazione sull'applicazione della direttiva.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Seguono ora le principali osservazioni riguardo alla proposta di direttiva:

4.2   Articolo 2, paragrafo 1 — È meglio escludere le transazioni con prestatori di servizi di paesi terzi

4.2.1

L'inserimento nell'ambito di applicazione della direttiva (articolo 2, paragrafo 1) dei pagamenti destinati a o provenienti da Stati non appartenenti all'Unione europea o allo spazio economico europeo (paesi terzi) esula evidentemente dall'obiettivo di creare un quadro normativo uniforme all'interno del mercato unico europeo. Oltretutto, questo aspetto non sembrerebbe rientrare tra le competenze del legislatore europeo e risulta anche problematico. Il legislatore europeo non può certo garantire l'adozione da parte del paese terzo di disposizioni analoghe a quelle vigenti sul territorio comunitario. In assenza di tali disposizioni, sarebbe — a titolo di esempio — del tutto inappropriato imporre al prestatore dei servizi di pagamento del pagatore la responsabilità oggettiva per l'esecuzione del pagamento nel paese terzo (articolo 67).

4.2.2

Il CESE raccomanda di limitare l'ambito di applicazione della direttiva ai servizi di pagamento nel mercato unico europeo.

4.3   Articolo 5 e successivi — È preferibile un livello uniforme di vigilanza prudenziale a garanzia di una concorrenza equa

4.3.1

I requisiti prudenziali per l'accesso al mercato degli istituti di pagamento sprovvisti di licenza bancaria (articolo 5 e successivi) dovrebbero discostarsi da quelli previsti per il settore creditizio solo nei casi in cui un istituto di pagamento non sia comparabile a un ente creditizio provvisto di licenza. In caso contrario si rischiano distorsioni della concorrenza a danno degli enti creditizi e si compromette gravemente il buon funzionamento delle operazioni di pagamento. Inoltre la forzatura di concedere ad istituti di pagamento privi di licenza bancaria l'accesso ai sistemi di pagamento potrebbe mettere in pericolo l'integrità e la funzionalità della procedura europea di addebito diretto in corso di preparazione qualora tali istituti non soddisfino gli stessi requisiti in materia di capitale di rischio proprio, competenza professionale e affidabilità dei dirigenti, piano e organizzazione aziendale, nonché vigilanza permanente dell'istituto, comprese le eventuali sanzioni necessarie, che si applicano agli enti creditizi. Soprattutto, però, la mancanza di un livello adeguato di vigilanza minerebbe in modo duraturo la fiducia dei consumatori nell'AUPE. Lo stesso discorso vale anche per la tutela da eventuali insolvenze e per le necessarie misure di separazione dei fondi dei clienti.

4.3.2

Il CESE giudica pertanto indispensabile imporre a tutti gli istituti di pagamento i medesimi requisiti prudenziali in fatto di rischi e pericoli propri delle operazioni di pagamento ed istituire autorità di vigilanza ad hoc dotate delle necessarie competenze.

4.4   Articolo 30 e successivi — È preferibile non formalizzare eccessivamente i requisiti di informazione

4.4.1

Al pari della Commissione, il CESE giudica essenziali per i consumatori — e perché l'AUPE sia ben accolta — disposizioni chiare e coerenti sulla trasparenza dei servizi di pagamento. Le informazioni devono essere chiare, comprensibili e leggibili. Informazioni eccessivamente articolate e abbondanti possono sortire l'effetto contrario e comportare una minore, invece di una maggiore, trasparenza. Nel contesto dell'AUPE, inoltre, l'utente privato ha bisogno di informazioni diverse rispetto al commerciante. Il fatto, poi, che la Commissione preveda requisiti diversi di trasparenza in situazioni tra loro comparabili genera confusione — e anche spese aggiuntive. In questo caso si rimanda in particolare alle disposizioni in materia di trasparenza della direttiva sulla commercializzazione a distanza.

4.4.2

Dal punto di vista del consumatore, la scelta della piena armonizzazione e del riconoscimento reciproco per quanto riguarda la sua tutela può risultare problematica. Non è escluso infatti che ciò comporti una regressione del livello di tutela raggiunto in taluni Stati membri.

4.4.3

Sarebbe opportuno semplificare le disposizioni relative alle modalità di informazione di cui all'articolo 30. Per quanto concerne in particolare la comunicazione all'utente delle modifiche contrattuali (articolo 33), dei pagamenti eseguiti (articolo 36) e di quelli ricevuti (articolo 37) dovrebbe restare applicabile l'attuale pratica, conveniente per il consumatore in termini di costi, di mettere a sua disposizione le informazioni tramite estratto conto o consultazione del conto on-line — sempre che si tratti di una pratica in uso convenuta tra le parti in causa; dovrebbe esistere inoltre la possibilità di adempiere all'obbligo di informazione tramite l'affissione delle tariffe o la loro pubblicazione su Internet. Dagli articoli 31 e 37 dovrebbe emergere con maggior chiarezza che i prezzi delle diverse componenti del servizio cui si riferisce una commissione globale vanno comunicati al cliente singolarmente solo se per alcune componenti esistono combinazioni di prodotti separate o differenti.

4.4.4

Dal punto di vista dell'utente è importante che i pagamenti in entrata e in uscita siano accompagnati, oltre che da informazioni chiare sul pagatore e sul beneficiario, anche dai riferimenti completi del pagamento forniti nella causale. Solo così si può automatizzare completamente l'assegnazione di tali pagamenti alle linee di bilancio o il collegamento con gli importi dovuti.

4.5   Articolo 41, secondo comma — Dovrebbe essere permesso ogni tipo di autorizzazione

4.5.1

Il CESE condivide l'approccio adottato dalla Commissione secondo cui un'operazione di pagamento è da considerarsi autorizzata solo se il pagatore ha espresso il suo consenso in relazione all'ordine di pagamento rivolto al prestatore di servizi di pagamento. All'articolo 41, secondo comma, della proposta di direttiva il pagatore deve dare il proprio consenso sotto forma di autorizzazione esplicita ad effettuare «un'operazione di pagamento o una serie di operazioni di pagamento». Questa formulazione non risulta chiara. La necessità di un'autorizzazione esplicita per ogni addebito diretto nel quadro di un regime contrattuale limiterebbe notevolmente l'esecuzione di questa procedura e ne aumenterebbe i costi.

4.5.2

Per potersi in futuro avvalere di procedure ormai consolidate e convenienti in termini di costi anche per il consumatore, come l'autorizzazione di addebito in conto, la direttiva non dovrebbe puntare alla piena armonizzazione senza eccezioni, ma ad un coordinamento minimo.

4.6   Articolo 48 — paragrafi 2 e 3 — La ripartizione dell'onere della prova in caso di operazione di pagamento contestata è poco equilibrata

4.6.1

L'AUPE non sarà ben accolta dal consumatore se questi dovrà, nel caso di un'autorizzazione contestata, affrontare difficoltà insormontabili per produrre le prove. Il CESE condivide l'approccio adottato dalla Commissione di concedere all'utente alcune agevolazioni riguardo alle prove da presentare.

4.6.2

Tale approccio non deve però arrivare al punto di impedire al prestatore di servizi di pagamento, in caso di grave abuso, di fornire una controprova. L'articolo 48, paragrafo 2, impedisce invece al prestatore di servizi di pagamento di dimostrare la negligenza grave o addirittura la premeditazione da parte dell'utente del servizio. Il fatto di non poter più dimostrare che l'utente ha agito con negligenza grave o addirittura intenzionalmente induce a non rispettare i normali requisiti di sicurezza nelle transazioni e incoraggia gli abusi. L'esistenza di tale regola fa sì che l'offerta di determinate procedure di pagamento elettronico resti molto limitata.

4.6.3

Il CESE si pronuncia a favore di una ripartizione più equa dell'onere della prova. Spetta di conseguenza al prestatore di servizi di pagamento dimostrare che il titolare dello strumento di convalida del pagamento ha dato l'ordine di pagamento. Se il pagamento è stato effettuato con dispositivi di sicurezza particolari riconosciuti come securizzati, dovrebbe essere sufficiente la prova prima facie che l'utente del servizio ha autorizzato personalmente il pagamento o che per lo meno ha agito con negligenza grave. Del resto, l'apprezzamento della prova da parte dei tribunali nazionali non dovrebbe essere ristretto eccessivamente, tanto più che il diritto processuale civile dei singoli Stati membri non è stato armonizzato.

4.7   Articolo 49 — È opportuno garantire la certezza giuridica nel caso di operazioni di pagamento non autorizzate tramite un termine unico di prescrizione del rimborso

4.7.1

Nella relazione che introduce la proposta di direttiva, la Commissione sottolinea che nella Comunità i sistemi di pagamento consentono di effettuare ogni anno 231 miliardi di operazioni. Già così appare chiaro che, ad un certo punto, sorge la necessità di avere la certezza giuridica che la transazione sia stata autorizzata. Per garantire un livello adeguato di certezza giuridica, la possibilità di far richiesta di rimborso di un pagamento non autorizzato da parte dell'utente dovrebbe essere limitata nel tempo. Tale periodo di tempo, che deve essere equo, andrebbe fissato, secondo il CESE, a un anno.

4.7.2

Ai sensi dell'articolo 45 l'utente di servizi di pagamento è tenuto a controllare periodicamente le operazioni eseguite sul suo conto e a presentare con la massima sollecitudine un reclamo in caso di operazioni di pagamento non autorizzate. Costituisce pertanto un provvedimento logico ed equilibrato limitare a un anno la possibilità per l'utente di richiedere il rimborso di pagamenti eseguiti senza la sua autorizzazione. Entrambe le parti — prestatori e utenti di servizi di pagamento — avrebbero così la certezza giuridica che, allo scadere del termine, la procedura di pagamento è da considerarsi definitiva. Il termine di un anno coinciderebbe inoltre con il periodo previsto per l'obbligo di conservazione delle registrazioni interne di cui all'articolo 44.

4.8   Articoli 49 e 50 — È opportuno rivedere la ripartizione delle responsabilità

4.8.1

Il CESE è dell'avviso che si debbano ripartire equamente le responsabilità tra prestatore e utente di servizi di pagamento. Solo così il consumatore ricorrerà a questo servizio di pagamento e il prestatore di servizi di pagamento potrà offrire tale servizio a prezzi convenienti.

4.8.2

La responsabilità oggettiva del prestatore di servizi di pagamento in caso di pagamenti non autorizzati (proposta all'articolo 49) è, a giudizio del CESE, pertinente qualora l'utente utilizzi tale strumento scrupolosamente e in linea con quanto previsto dal contratto.

4.8.3

Il CESE giudica appropriato limitare a 150 EUR (articolo 50) la responsabilità dell'utente che, pur prendendo le necessarie precauzioni, abbia perso inavvertitamente lo strumento di convalida, dandone però notifica immediata una volta accortosi della perdita. Se non procede con la massima sollecitudine alla notifica, pur avendone l'obbligo ai sensi dell'articolo 46, e impedisce così al prestatore di servizi di pagamento di evitare o limitare i danni, l'utente non dovrebbe godere di un trattamento privilegiato in termini di responsabilità rispetto a chi abbia agito in modo scrupoloso.

4.9   Articolo 53 — È opportuno definire in modo chiaro i termini per il rimborso

4.9.1

I termini per la presentazione della richiesta di rimborso costituiscono un elemento caratteristico della procedura di addebito diretto europeo. In questo contesto è essenziale che la scadenza dei termini per presentare la richiesta di rimborso di un pagamento autorizzato sia definita in modo chiaro nell'interesse di tutte le parti in causa. Far coincidere l'inizio di questo periodo (articolo 53, paragrafo 1, prima frase) con il momento in cui il pagatore ne riceve informazione non serve a tale scopo, in quanto né il beneficiario del pagamento né il suo prestatore di servizi sanno in quale momento il prestatore dei servizi del pagatore ha di fatto comunicato al pagatore l'esecuzione dell'operazione sul suo conto.

4.9.2

Ciò è dovuto al fatto che la frequenza di invio degli estratti conto tende nella pratica a variare sensibilmente: a volte può essere trimestrale, a volte, invece, settimanale o addirittura giornaliera, in quanto può dipendere dalla preferenza espressa dall'utente o dai costi. A seconda della frequenza di invio, i termini per il rimborso potranno pertanto passare, se si prendono gli esempi appena esposti, da «3 mesi + 4 settimane» a «1 mese + 4 settimane», fino addirittura a «1 giorno + 4 settimane». Risulta così pressoché impossibile stabilire quando il pagamento assuma carattere definitivo, causando un problema di difficile soluzione per l'addebito diretto europeo in corso di preparazione e compromettendo seriamente l'introduzione di questa forma di pagamento.

4.9.3

Il CESE propone pertanto — ai sensi dell'articolo 53, paragrafo 1 — di concedere dal momento in cui il cliente viene informato un periodo di 4 settimane, che però termina inderogabilmente 8 settimane dopo l'addebito sul conto del pagatore.

4.10   Articoli 60, 61 e 67 — È necessaria una chiara distinzione tra gli obblighi dei diversi prestatori di servizi di pagamento coinvolti nell'esecuzione dell'operazione

4.10.1

Agli articoli 60, 61 e 67 il pagamento si considera eseguito nel momento in cui l'importo viene accreditato sul conto del beneficiario del pagamento. Ciò rappresenta, senza motivo evidente, una rottura con la legislazione europea finora vigente in materia di bonifici. In questo caso gli obblighi contrattuali dei prestatori dei servizi di pagamento del pagatore, da un lato, e del beneficiario, dall'altro, risultano confusi tra loro. Al prestatore dei servizi di pagamento del pagatore sarebbe così attribuito un obbligo che spetta al solo prestatore dei servizi del beneficiario e che il prestatore dei servizi del pagatore non può verificare.

4.10.2

Il CESE propone pertanto di mantenere il principio introdotto in tutti gli Stati membri dalla direttiva europea sui bonifici, in base al quale il prestatore dei servizi di pagamento del pagatore è responsabile dell'operazione fino a quando il pagamento arriva al prestatore dei servizi del beneficiario, il quale è invece responsabile dell'operazione dal ricevimento fino all'accredito di tale pagamento sul conto del beneficiario.

4.11   Articoli 60, 61 e 67 — È opportuno adottare tempi di esecuzione realizzabili

4.11.1

Il CESE giudica essenziale definire i tempi di esecuzione in modo tale che, da un lato, essi migliorino in modo evidente la situazione attuale e che, dall'altro, la loro applicazione non produca però, per ragioni tecniche, costi sproporzionati, con conseguente aumento dei prezzi delle operazioni di pagamento.

4.11.2

I tempi di esecuzione (giorno di accettazione + 1 giorno lavorativo) di cui agli articoli 60 e 61 potrebbero in alcuni casi risultare, nelle condizioni odierne, troppo ambiziosi. Attualmente la direttiva europea sui bonifici transfrontalieri prevede, di regola, un periodo di 6 giorni lavorativi (giorno di accettazione + 5 giorni lavorativi + 1 giorno di accredito = 5 giorni a disposizione del prestatore dei servizi di pagamento del pagatore per effettuare l'accredito sul conto del prestatore dei servizi di pagamento del beneficiario + 1 giorno per il prestatore dei servizi di pagamento del beneficiario per effettuare l'accredito sul conto del beneficiario) da cui però ci si può discostare. I prestatori di servizi di pagamento sono stati in molti a dichiarare di non poter rispettare questi tempi di esecuzione. Il periodo (massimo) previsto dalla proposta di direttiva per l'esecuzione del pagamento (1 giorno a disposizione del prestatore di servizi del pagatore per l'accredito sul conto del beneficiario) costituirebbe un sesto di quello in vigore finora. Secondo gli stessi prestatori di servizi di pagamento una sua applicazione comporterebbe altresì sul piano tecnico costi sproporzionati producendo inevitabilmente un aumento dei prezzi delle operazioni di pagamento. Lo stesso settore creditizio europeo si è impegnato volontariamente (nell'ambito della convenzione Credeuro) ad adottare per i pagamenti in euro un periodo massimo di esecuzione di 3 giorni lavorativi bancari e per i pagamenti in altre valute europee un periodo, di regola, di 3 giorni lavorativi bancari.

4.11.3

Nella misura in cui ciò comporta svantaggi concorrenziali per i prestatori di servizi di pagamento regionali o di piccole dimensioni, il CESE raccomanda, durante un adeguato periodo transitorio, di fissare un tempo di esecuzione di 3 giorni, mantenendo comunque la possibilità di fissare tempi di esecuzione più brevi per i pagamenti esclusivamente nazionali (articolo 64).

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I)

COM(2005) 650 def. — 2005/0261 (COD)

(2006/C 318/10)

Il Consiglio, in data 24 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore FRANK von FÜRSTENWERTH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 191 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo si compiace dell'iniziativa della Commissione, volta a disciplinare i conflitti di leggi in materia di obbligazioni contrattuali mediante un regolamento comunitario. Ciò permetterà infatti di sviluppare ulteriormente e coerentemente la normativa europea sui conflitti di leggi, e di colmare una lacuna dell'ordinamento comunitario vigente. Il regolamento proposto è utile e necessario per lo sviluppo di uno spazio giuridico uniforme europeo, data la necessità di aggiornare le norme vigenti in materia di obbligazioni contrattuali, finora dettate dalla convenzione di Roma del 1980 (1). Tuttavia, il carattere multilaterale di questa rende difficile tale operazione, che sarebbe comunque possibile solo attraverso lunghi negoziati.

1.2

Il Comitato appoggia pienamente la Commissione e la invita a completare la sua iniziativa il più presto possibile tenendo conto delle proposte formulate in questo parere, in modo da consentire l'entrata in vigore del regolamento.

1.3

Il Comitato si compiace degli sforzi della Commissione per colmare, grazie a una piena armonizzazione, l'attuale vuoto normativo dovuto all'assenza di un atto comunitario applicabile agli Stati membri che disciplini i conflitti di leggi in materia di obbligazioni contrattuali. Tale armonizzazione semplificherà notevolmente il lavoro di quanti saranno chiamati ad applicare la legge: costoro potranno infatti basarsi su un unico corpus di norme, che, data l'applicabilità diretta del regolamento, saranno identiche in tutti gli Stati membri. La proposta in esame è un necessario complemento di quella concernente il regolamento «Roma II» (2), che si trova già in una fase avanzata dell'iter legislativo: insieme, infatti, i due regolamenti (Roma I e II) garantiranno per la prima volta all'UE un sistema (più o meno) completo di norme sui conflitti di leggi in materia di obbligazioni contrattuali.

1.4

Il Comitato sollecita le competenti istituzioni europee ad accogliere i seguenti emendamenti:

trasformare l'articolo 3, paragrafo 1, terza frase, in una norma interpretativa,

integrare l'articolo 3, paragrafo 3, in modo che la legge applicabile al contratto di consumo possa essere modificata solo dopo l'insorgere di una controversia relativa al contratto stesso,

verificare se, in casi eccezionali che si configurano in modo particolare, sia opportuno applicare un criterio di collegamento meno rigido di quello di cui all'articolo 4, paragrafo 1,

in relazione all'articolo 5, verificare se e a quali condizioni la libertà di scegliere la legge applicabile possa essere concessa anche nei casi in cui una società opera nello Stato di residenza del consumatore o dirige le proprie attività verso tale Stato,

eliminare l'articolo 22, lettera c).

Il regolamento dovrebbe essere adottato il più presto possibile, in modo da consentirne l'entrata in vigore in tempi rapidi.

1.5

Il Comitato prende atto con soddisfazione della volontà del governo irlandese di partecipare all'adozione del regolamento. Deplora però che quest'ultimo non entri in vigore né nel Regno Unito né in Danimarca, il che renderà gli effetti dell'armonizzazione più limitati di quanto sarebbe stato possibile. Il Comitato invita la Commissione a fare quanto in suo potere affinché questi due Stati membri rendano applicabile il regolamento, o almeno ne recepiscano le norme, nei rispettivi ordinamenti interni.

2.   Osservazioni generali

2.1   Motivazione dell'iniziativa

2.1.1

Il regolamento proposto prevede un quadro giuridico uniforme sui conflitti di leggi in materia di obbligazioni contrattuali nell'ambito dell'Unione europea. In realtà, entro certi limiti un tale corpus di norme esiste già dal 1980, anno in cui la maggioranza dei paesi occidentali decise di stipulare la convenzione di Roma, cui in seguito aderirono altri Stati. Lo strumento della convenzione multilaterale venne scelto perché all'epoca il Trattato CE non offriva alcuna base giuridica per l'adozione di un atto comunitario in materia. A più di un quarto di secolo dalla sua entrata in vigore, la convenzione di Roma è ampiamente riconosciuta come un effettivo passo avanti e le soluzioni da essa previste sono ancora valide nei loro aspetti fondamentali, anche se la convenzione va riveduta e aggiornata per porre rimedio ad alcuni difetti riconosciuti. Essendo un trattato multilaterale, la convenzione potrebbe essere riveduta solo in seguito a una nuova tornata di negoziati, operazione lunga e dall'esito incerto. Tuttavia, ciò non è più necessario, in quanto il Trattato CE dispone ormai di una base giuridica per adottare un atto comunitario in materia (l'articolo 61, lettera c), e l'articolo 65, lettera b)). Inoltre, per agevolare l'applicazione delle norme, queste dovrebbero essere identiche in tutti gli Stati membri, e l'unico atto comunitario che garantisce tale uniformità è il regolamento.

2.1.2

Nel 2004 la Commissione ha condotto un'audizione pubblica sulla base del Libro verde del 2003 (3). In tale occasione la grande maggioranza degli interpellati si è pronunciata a favore di un regolamento. Anche il CESE (4) e il PE (5) si sono detti favorevoli a modernizzare le norme della convenzione di Roma e a trasformare quest'ultima in un regolamento comunitario.

2.2   Il contesto normativo

2.2.1

Il regolamento in esame va considerato nel contesto delle attività della Commissione nel campo del diritto civile e processuale civile, volte a concorrere alla creazione di uno spazio giuridico uniforme europeo e ad agevolare l'accesso dei cittadini al diritto. In varie occasioni, il Comitato ha preso posizione su una serie di proposte presentate in materia dalla Commissione (6).

2.2.2

L'iniziativa all'esame si ricollega in maniera particolarmente stretta al lavoro della Commissione in materia di conflitti di leggi, ossia alla sua proposta concernente il regolamento Roma II. Quest'ultimo è complementare al regolamento Roma I e ne costituisce il seguito ideale.

2.3   Base giuridica, sussidiarietà, proporzionalità e forma giuridica

2.3.1

Il regolamento proposto mira ad armonizzare le norme sui conflitti di leggi in materia di obbligazioni contrattuali. La base giuridica per tale opera di armonizzazione è costituita dal disposto combinato degli articoli 61, lettera c), e 65, lettera b), del TCE. La Commissione è competente a presentare proposte in tal senso, quando ciò sia necessario per il buon funzionamento del mercato interno. Secondo il Comitato, è questo il caso dell'armonizzazione delle norme sui conflitti di leggi, dato che essa contribuirà a garantire la parità di trattamento degli operatori economici nella Comunità nelle fattispecie transfrontaliere, ad aumentare la certezza del diritto, a semplificare l'applicazione delle norme giuridiche e quindi a favorire la stipula di negozi transfrontalieri. Inoltre, essa favorisce il riconoscimento reciproco degli atti giuridici, in quanto consente anche ai cittadini di altri Stati membri di verificarne immediatamente la regolarità del contenuto.

2.3.2

Questi obiettivi non si possono raggiungere con misure al livello dei singoli Stati membri: a tal fine, infatti, è necessaria l'azione dell'UE, che appare giustificata alla luce dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (articolo 5 TCE).

2.4

La Commissione ha giustamente optato per un regolamento, che a differenza della direttiva non lascia agli Stati membri alcun margine di manovra nella sua attuazione. Una direttiva creerebbe infatti un'incertezza giuridica che è opportuno evitare.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Campo d'applicazione materiale e applicazione della legge di un paese terzo (articoli 1 e 2)

3.1.1

Il regolamento proposto si applica ai conflitti di leggi riguardanti le obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale (articolo 1, paragrafo 1). Al riguardo il legislatore può ricorrere alla terminologia utilizzata nella convenzione di Bruxelles (articolo 1) e adoperata anche nella proposta di regolamento Roma II, considerato che il suo contenuto è ben definito. L'esclusione delle materie fiscali, doganali e amministrative dal campo di applicazione del regolamento in esame appare ovvia: questa indicazione è pertanto superflua, anche se priva di conseguenze.

3.1.2

Il regolamento non intende disciplinare l'intero ambito dei conflitti di leggi in materia civile, né tanto meno prevedere una disciplina che serva a valutare ogni singola fattispecie in materia di obbligazioni contrattuali. Il legislatore fa bene a non prefiggersi uno scopo così ambizioso per non mettere a repentaglio la realizzabilità del progetto. Si giustifica così l'esclusione delle questioni di stato e capacità delle persone fisiche dall'ambito di applicazione del regolamento (articolo 1, paragrafo 2, lettera a)). Tradizionalmente, infatti, i conflitti di leggi attinenti a tali materie sono regolati da strumenti giuridici autonomi (finora pressoché esclusivamente costituiti da accordi multilaterali) (7) a causa delle loro implicazioni sociali. Per analoghi motivi, è condivisibile l'esclusione delle obbligazioni derivanti dai rapporti di famiglia, comprese le obbligazioni alimentari, e di quelle derivanti dai regimi patrimoniali tra coniugi o da regimi analoghi, dai testamenti e dalle successioni (articolo 1, paragrafo 2, lettere b) e c)), che andrebbero disciplinate anch'esse con strumenti giuridici specifici.

3.1.3

L'esclusione delle obbligazioni derivanti da cambiali, assegni e vaglia cambiari (articolo 1, paragrafo 2, lettera d)) è giustificata dal fatto che tali materie sono già regolamentate in modo appropriato da apposite convenzioni (8) che esulano dall'ambito di azione della Comunità e la cui esistenza non dovrebbe essere messa in discussione.

3.1.4

I compromessi, le clausole compromissorie e le convenzioni sul foro competente (articolo 1, paragrafo 2, lettera e)) sono esclusi perché tali materie attengono al diritto processuale civile internazionale, nell'ambito del quale possono essere meglio regolamentate, e in parte anche ad accordi che esulano dall'ambito di azione della Comunità. Tale osservazione vale altresì per la prova e la procedura (articolo 1, paragrafo 2, lettera h)).

3.1.5

L'esclusione delle questioni inerenti al diritto delle società, associazioni e persone giuridiche (articolo 1, paragrafo 2, lettera f)) è inevitabile, perché tali questioni sono così strettamente connesse con la disciplina di tali enti che la loro regolamentazione deve inserirsi in quel contesto. Il trust , poi, è un istituto specifico del diritto angloamericano e come tale era già stato escluso dall'ambito di applicazione della convenzione di Roma (articolo 1, paragrafo 2, lettera g), della convenzione), per cui è logico che il regolamento proposto faccia altrettanto (articolo 1, paragrafo 2, lettera g)).

3.1.6

L'esclusione delle obbligazioni derivanti da un rapporto precontrattuale (articolo 1, paragrafo 2, lettera i)) si riferisce a obbligazioni considerate extracontrattuali. Queste ultime vengono trattate in maniera sistematica dalla proposta di regolamento Roma II e quindi sono giustamente escluse dal campo di applicazione del regolamento in esame.

3.1.7

Il Comitato prende atto con soddisfazione della volontà del governo irlandese di partecipare all'adozione del regolamento, ma deplora che il Regno Unito non abbia deciso di fare altrettanto. Le norme del regolamento non si applicheranno in Danimarca (articolo 1, paragrafo 3) fintantoché questo Stato non avrà concluso un accordo in tal senso con la Comunità europea o recepito volontariamente tali norme nel proprio ordinamento giuridico. Il Comitato invita quindi la Commissione a fare quanto possibile affinché questi due Stati rendano applicabile il regolamento, o quanto meno ne recepiscano le disposizioni, nei rispettivi ordinamenti interni. Il rifiuto di alcuni Stati membri di vincolarsi al rispetto del regolamento comprometterebbe l'obiettivo da esso perseguito, ossia l'uniformazione delle norme sui conflitti di leggi a livello europeo. Sarebbe deplorevole che in questi Stati membri si continuasse a dover applicare la convenzione di Roma, dato che il suo contenuto non coincide con quello del regolamento Roma I. Infatti, poiché la scelta del foro è ancora in certa misura arbitraria — nonostante il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, la convenzione di Bruxelles e quella di Lugano -, tale situazione potrebbe condurre a decisioni giudiziarie diverse su una medesima controversia: una conseguenza che sarebbe difficilmente accettabile nella Comunità.

3.1.8

La legge designata dal regolamento proposto si applica anche se non è quella di uno Stato membro (articolo 2). Così disponendo, il regolamento ottempera a un principio generalmente riconosciuto in tema di norme sui conflitti di leggi, quello cioè di non discriminazione nei confronti degli altri ordinamenti giuridici, cosa di cui il Comitato si compiace. Se si accetta che i criteri di collegamento assegnino la disciplina di una data fattispecie a un determinato ordinamento giuridico, allora non fa alcuna differenza che si tratti di quello di uno Stato membro o di un paese terzo.

3.2   Criteri generali di collegamento (articoli 3 e 4)

3.2.1

Ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, in linea di principio il contratto è disciplinato dalla legge scelta dalle parti. Il Comitato si compiace di questa disposizione, perché essa tiene conto dell'autonomia contrattuale, principio fondamentale in materia di diritto delle obbligazioni, ed è conforme alla regola generale vigente nel diritto internazionale privato. Tale disposizione, inoltre, corrisponde in larga misura a quella, generalmente ritenuta appropriata, di cui all'articolo 3, paragrafo 1, della convenzione di Roma. Il Comitato accoglie con favore questo approccio, ma ritiene che esso comporti un rischio: quello che, all'atto dell'applicazione pratica di questa norma, il giudice cerchi di ricostruire una ipotetica volontà delle parti senza disporre di elementi sufficienti al riguardo. Si tratta di un rischio da scongiurare, ad esempio chiarendo questo punto nel settimo considerando. Inoltre, la libertà di scelta è spinta così innanzi da consentire alle parti di convenire in qualsiasi momento la modifica della legge regolatrice del contratto (articolo 3, paragrafo 3). In linea di principio il Comitato si compiace che sia loro accordata questa facoltà, tuttavia ritiene che essa possa comportare un rischio per la tutela del consumatore, il quale può non essere in grado di valutare appieno la portata di una tale operazione. Il Comitato raccomanda che, conformemente all'articolo 17, paragrafo 1, del citato regolamento concernente la competenza giurisdizionale, la scelta della legge applicabile ai contratti di consumo possa essere modificata solo in un momento successivo al sorgere di una controversia, in quanto allora il consumatore sarà stato messo in guardia e agirà quindi con maggiore prudenza.

3.2.2

L'articolo 3, paragrafo 1, terza frase, trae dall'accordo delle parti riguardo al foro competente la presunzione che esse abbiano inteso scegliere anche la legge dello Stato membro del foro come legge regolatrice del contratto (a meno che non abbiano espressamente optato per una legge diversa). Tale disposizione rispecchia la volontà di far coincidere il foro con la legge sostanziale applicabile, il che consente in genere di agevolare le decisioni giudiziarie. Tuttavia, il Comitato si chiede se una formulazione così rigorosa non finisca per travisare la volontà delle parti. Sarebbe allora più appropriato attenuare un po' il rigore del testo, riformulandolo in modo da farne un mero ausilio all'interpretazione della frase precedente. Ad esempio, si potrebbe riformulare la frase in esame nei seguenti termini:

A tal fine si deve tener conto in particolare della clausola del contratto relativa al foro scelto dalle parti.

3.2.3

Il Comitato desidera trattare in modo più dettagliato un punto che riveste un'importanza cruciale per l'avvenire dello spazio giuridico europeo, ossia l'eventuale creazione di uno strumento opzionale o 26 o regime da parte della Comunità europea. Con ciò si intende che le parti potranno scegliere di assoggettare il contratto a un diritto civile europeo la cui creazione è attualmente all'esame e di cui il quadro comune di riferimento (QCR) oggi in fase di elaborazione potrebbe costituire una prima tappa. L'articolo 3, paragrafo 2, è una norma di apertura che consente alle parti di scegliere una legge regolatrice sopranazionale. Finora tale possibilità non era espressa con chiarezza nel diritto internazionale privato, e il Comitato esprime il suo apprezzamento senza riserve per questa apertura: per la prima volta, infatti, le parti potrebbero effettivamente utilizzare in larga misura dei modelli europei uniformi di contratto, il che costituirebbe un notevole progresso verso il completamento del mercato interno. (9)

3.2.4

L'articolo 4, paragrafo 1, detta i criteri di collegamento in base ai quali determinare la legge applicabile a una serie di contratti. Tali criteri completano le disposizioni dell'articolo 4, paragrafo 2, del regolamento proposto, che sono riprese dalla convenzione di Roma. A norma di questa convenzione, essi avrebbero potuto essere dedotti solo attraverso un'interpretazione dell'articolo 4, paragrafo 2: pertanto, la loro elencazione espressa proposta dalla Commissione conferisce senz'altro una maggiore certezza del diritto. Tuttavia, tale certezza giuridica è ottenuta a prezzo di un rigore e di una rigidità che non tollerano alcuna eccezione, neppure in singoli casi in cui sarebbe appropriato derogare ai suddetti criteri. Il Comitato ravvisa in questo caso un passo indietro rispetto alla convenzione di Roma e teme che possano derivarne effetti controproducenti. Sono infatti ipotizzabili dei casi eccezionali in cui l'applicazione dei rigidi criteri previsti dalla proposta in esame non condurrebbe ad una soluzione adeguata. In questi casi eccezionali, dare al giudice la possibilità di applicare una legge più appropriata permetterebbe forse di addivenire a una soluzione più soddisfacente. Tuttavia, se si vuol conseguire l'obiettivo di un'elevata certezza del diritto e della prevedibilità della legge applicabile, una tale deviazione dai criteri legali non può in alcun caso risolversi in una scelta arbitraria della legge applicabile da parte del giudice: quest'ultimo, quindi, dovrà valutare attentamente la necessità di discostarsi da tali criteri e motivare adeguatamente una eventuale decisione in tal senso. Alla luce di quanto precede, il Comitato invita a considerare l'opportunità di apportare delle modifiche al testo del regolamento proposto.

3.2.5

Il Comitato comprende bene lo scopo che la Commissione intende conseguire con l'articolo 4, paragrafo 1, lettera f). Tuttavia, desidera far notare che, a causa del modo in cui sono costituiti, molti diritti di proprietà industriale possono essere trasferiti a condizioni diverse da quelle previste dalla legge del paese in cui il titolare del diritto ha la residenza abituale. Poiché l'articolo 4, paragrafo 1, non contiene alcun vincolo alla legge del paese in cui il titolare del diritto risiede abitualmente all'atto della costituzione del rapporto giuridico, la modifica della legge applicabile in conseguenza del sopravvenuto cambiamento della residenza potrebbe porre dei problemi riguardo al fondamento giuridico di tale diritto. Il Comitato invita la Commissione a considerare questo problema e a proporre una soluzione appropriata.

3.3   Criteri speciali di collegamento (articoli 5-17)

3.3.1

L'articolo 5 del regolamento proposto rielabora in modo sostanziale le norme della convenzione di Roma in materia di contratti di consumo, spesso ritenute poco comprensibili e bisognose di revisione. Secondo il Comitato, la Commissione procede nella direzione giusta, poiché consente di evitare in futuro la complessa situazione derivante dall'applicazione di due diversi ordinamenti giuridici, finora imposta dall'articolo 5 della convenzione di Roma. Non vi è dubbio che il consumatore che stipula un contratto con un professionista vada tutelato anche per quanto concerne il conflitto di leggi. Tale tutela è in principio garantita applicando la legge dello Stato membro nel quale il consumatore ha la residenza abituale (articolo 5, paragrafo 1), dato che si tratta della legge che il consumatore conosce (nella migliore delle ipotesi), di cui domina la lingua e riguardo alla quale gli è più facile ottenere consulenza giuridica. Il testo proposto richiede inoltre che l'attività commerciale del professionista si svolga nello Stato membro in cui il consumatore ha la residenza abituale o sia diretta verso tale Stato. Analogamente alla convenzione di Roma, il regolamento tiene conto degli interessi del professionista (che, per motivi di comodità, tenderà a preferire l'applicazione della sua legge nazionale), consentendogli di scegliere la sua legge nazionale nei restanti casi. Tuttavia, il Comitato si chiede se sia davvero necessario privare completamente le parti di un contratto di consumo della libertà di scelta, come fa l'articolo 5, paragrafo 2. Al contrario, secondo il Comitato, anche il consumatore trarrebbe probabilmente vantaggio dalla possibilità di scegliere la legge applicabile al contratto, quantomeno in presenza di determinate misure di tutela di cui egli ha indubbiamente bisogno, essendo la parte meno esperta e più debole. Pertanto il Comitato invita la Commissione a riesaminare questa disposizione alla luce di tali considerazioni.

3.3.2

Le disposizioni relative ai contratti individuali di lavoro (articolo 6) rispecchiano la particolare esigenza di tutelare i lavoratori. Esse riprendono quelle dell'articolo 6 della convenzione di Roma, integrandole con delle norme che tengono in debito conto le mutate condizioni del lavoro dipendente. L'espressione «a partire dal quale» è stata aggiunta per conformarsi alla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa all'articolo 18 della convenzione di Bruxelles. Tuttavia, in assenza di una definizione davvero esplicita nel regolamento stesso o di chiarimenti nella motivazione della proposta, il Comitato si chiede che cosa si intenda, nell'articolo 6, paragrafo 2, lettera a), per lavoro «temporaneo» in un altro paese. Il significato di questa espressione, infatti, deve assolutamente essere precisato, poiché, in quanto criterio di collegamento, il fatto di compiere un lavoro «in modo temporaneo» riveste un'importanza decisiva. Inoltre, tale lacuna non può essere colmata ricorrendo all'articolo 2 della direttiva sul distacco dei lavoratori (10), dato che neppure quest'ultima norma contiene una definizione precisa. Infine, il Comitato stenta a comprendere la necessità di una disposizione riguardante «uno spazio non sottoposto ad una sovranità nazionale» (articolo 6, paragrafo 2, lettera b)). Si tratta forse di un riferimento alle piattaforme di perforazione situate in acque internazionali, ma bisognerebbe precisarlo almeno nella motivazione.

3.3.3

L'articolo 7 concerne i contratti conclusi da un intermediario, per i quali la convenzione di Roma prevede una disciplina solo parziale, dato che omette di considerare il rapporto giuridico tra l'intermediario e il terzo. Era opportuno colmare questa lacuna (articolo 7, paragrafo 2, del regolamento). È difficile rispondere alla questione su quale diritto si debba applicare a questo rapporto, dato che in esso sono in gioco gli interessi sia dell'intermediario che del terzo. Di regola, se l'intermediario eccede i suoi poteri o agisce senza averne l'autorità, il terzo è il soggetto più bisognoso di tutela. Il testo proposto si sforza di tener conto degli interessi di entrambi e incontra quindi il favore del Comitato.

3.3.4

Le leggi di polizia sono una materia difficile, poiché la libertà di scelta delle parti non dovrebbe essere limitata più del necessario e bisognerebbe evitare nella misura del possibile che l'applicazione della legge regolatrice del contratto fosse ostacolata da norme estranee alla disciplina del contratto stesso. L'articolo 8 del regolamento corrisponde in sostanza all'articolo 7, paragrafo 2, della convenzione di Roma. Il regolamento tiene conto della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia (11), fornendo una definizione legale delle «norme di polizia» e dando loro efficacia. Per l'utente del diritto, questi casi sono complicati dal fatto che per regolare una data fattispecie non vi è più un quadro normativo unico, ma trova applicazione una serie di norme non armonizzate o persino contraddittorie che in definitiva occorre conciliare. Ciò richiede del tempo, è tecnicamente complesso e aumenta l'incertezza in ordine alla legge applicabile. Tuttavia, considerato lo stato di avanzamento del processo di ravvicinamento dei diritti nazionali, il Comitato non vede alternative, tanto più che anche la dottrina giuridica si mostra in prevalenza favorevole all'applicazione di queste norme nei casi di conflitto di leggi.

3.3.5

Secondo il Comitato, gli articoli da 10 a 17 non pongono sostanzialmente problemi e non richiedono osservazioni dettagliate, in particolare quando si limitano a riprendere le norme corrispondenti della convenzione di Roma.

3.3.6

Data la crescente diffusione dei contratti a distanza, l'articolo 10 (validità formale del contratto) risponde all'esigenza di semplificare le norme in materia di validità formale dei contratti e degli atti giuridici unilaterali, introducendo degli ulteriori criteri di collegamento.

3.3.7

La cessione di crediti e i negozi giuridici che, in alcuni ordinamenti, danno luogo alla surrogazione convenzionale del terzo, che adempie l'obbligazione, nei diritti del creditore, svolgono funzioni economiche simili (12). Pertanto, è giusto che i conflitti di leggi concernenti l'uno o l'altro di questi istituti siano disciplinati nello stesso articolo (l'articolo 13). Il paragrafo 3 di tale articolo introduce una nuova norma volta a regolare il conflitto di leggi in materia di opponibilità della cessione o della surrogazione ai terzi, che giustamente rispecchia la soluzione adottata nel quadro della convenzione della CNUDCI, del 12 dicembre 2001, sulla cessione di crediti commerciali.

3.3.8

L'articolo 14 disciplina il conflitto di leggi in materia di surrogazione legale. Dato che tale fattispecie è prevista dalla maggior parte degli ordinamenti, era necessario prevedere un'apposita regola sui conflitti di leggi in materia. L'articolo 15 completa quello precedente, introducendo delle disposizioni sui conflitti di legge in materia di responsabilità solidale dei debitori in caso di surrogazione legale. Sarebbe stato logico integrare queste disposizioni nell'articolo 14, ma non si tratta di una modifica indispensabile.

3.4   Altre disposizioni e disposizioni finali (articoli 18-24)

3.4.1

Quelle contenute nei Capi III e IV sono perlopiù disposizioni di carattere tecnico che corrispondono ai principi e alle norme generalmente vigenti in tema di conflitti di leggi e non richiedono quindi dei commenti circostanziati. Ciò vale in particolare per gli articoli 19 (esclusione del rinvio), 21 (sistemi giuridici non unificati), 20 (ordine pubblico) e 23 (rapporti con convenzioni internazionali in vigore), i quali corrispondono rispettivamente agli articoli 15, 19, 16 e 21 della convenzione di Roma.

3.4.2

Il criterio di collegamento costituito dalla residenza abituale (articolo 18) di una persona svolge un ruolo centrale nell'odierno diritto internazionale privato. Benché la determinazione della residenza abituale di una persona fisica non ponga alcun problema, potrebbero sorgere dei dubbi riguardo a quella di una persona giuridica. Il regolamento proposto risolve questo problema nel modo appropriato, situando la residenza abituale di una persona giuridica nel luogo della sua amministrazione centrale. Non sarebbe stato giusto, invece, riprodurre qui il disposto dell'articolo 60 del citato regolamento (CE) n. 44/2001, dato che quest'ultimo in generale prevede come criterio di collegamento il domicilio anziché la residenza abituale. Inoltre, la triplice soluzione ivi adottata (per determinare il domicilio) avrebbe comportato una minore certezza giuridica.

3.4.3

Il testo dell'articolo 22, lettera c), è difficilmente comprensibile. Esso sembra presupporre che atti comunitari successivi possano prevedere norme loro proprie sui conflitti di legge, le quali prevarrebbero su quelle del regolamento proposto. Tuttavia, i risultati ormai raggiunti nell'armonizzazione del diritto internazionale privato dovrebbero essere mantenuti anche in futuro. È da evitare una frammentazione tra le fonti giuridiche, poiché ciò determinerebbe la coesistenza di norme sostanzialmente difformi. Se in futuro si dovesse rendere necessaria l'adozione di norme speciali, queste dovrebbero essere integrate nel regolamento in esame.

Il Comitato raccomanda dunque di eliminare la lettera c) dell'articolo 22.

3.5   Allegato I

3.5.1

Gli atti elencati nel terzo e nel quarto trattino dell'Allegato I sono, rispettivamente, la seconda direttiva «assicurazione diversa dall'assicurazione sulla vita» e la seconda direttiva «assicurazione sulla vita». A prescindere dal fatto che quest'ultima direttiva è stata abrogata e che la Commissione intende probabilmente riferirsi alla direttiva relativa all'assicurazione sulla vita (13) che ha sostituito quella abrogata, entrambi i trattini pongono alcuni problemi. Il Comitato non si spinge fino a chiederne la soppressione, ma richiama con forza l'attenzione della Commissione sui notevoli problemi che essi comporterebbero. Si rischia, infatti, di perdere una preziosa occasione per semplificare e armonizzare le norme sui conflitti di leggi e risolvere i problemi di questo ramo del diritto. Il combinato disposto dell'articolo 22, lettera a), e del terzo e quarto trattino dell'Allegato I comporterebbe l'inapplicabilità del regolamento proposto ai conflitti di leggi in materia di contratti di assicurazione diretta (14) volti a coprire un rischio situato nell'UE, dato che tali contratti sono disciplinati dalle direttive in questione.

3.5.2

I conflitti di legge in materia di contratti di assicurazione diretta che coprono rischi situati al di fuori dell'UE o, pur coprendo rischi situati nell'UE, sono stati conclusi con un assicuratore di un paese terzo, nonché quelli in materia di contratti di riassicurazione, sarebbero invece disciplinati dal regolamento. Ciò perpetuerebbe una situazione che è già fonte di confusione per chi è chiamato ad applicare queste norme (15). Dopo l'adozione delle direttive sulle assicurazioni, le norme sui conflitti di leggi in materia di contratti assicurativi differiscono dalle regole generali sui conflitti di leggi in materia di obbligazioni contrattuali (articolo 1, paragrafo 3, della convenzione di Roma), benché ovviamente anche quei contratti siano fonti di obbligazioni. Tale divergenza non è dovuta a ragioni obiettive, ma al fatto che, all'atto della firma della convenzione di Roma, i lavori relativi alla «seconda generazione» di direttive sulle assicurazioni non erano ancora iniziati e, prima di stabilire le norme sui conflitti di leggi in materia, si voleva vedere come si sarebbero presentate le norme di vigilanza (16): una situazione transitoria che ormai non ha più ragione di essere.

3.5.3

Le norme di diritto internazionale privato costituiscono un corpo estraneo alle direttive in questione, le cui disposizioni sono improntate al principio del diritto di controllo. Un utente non esperto non si aspetterebbe di trovarvi delle norme sui conflitti di leggi. La frammentazione della normativa tra diverse fonti giuridiche orizzontali e settoriali rende eccessivamente complesso il diritto internazionale privato in materia di assicurazioni. Per ragioni di coerenza del sistema giuridico, sarebbe opportuno riunire le norme in materia, abrogando quelle di carattere speciale.

3.5.4

Non sembra opportuno incorporare tali e quali nel regolamento Roma I le norme di diritto internazionale privato contenute nelle direttive in questione. In tal caso, infatti, ai contratti di assicurazione continuerebbero ad applicarsi, senza alcuna ragione obiettiva, norme diverse a seconda che il rischio coperto sia situato o meno nell'Unione europea. Non si può giustificare questo approccio in nome del principio del diritto di controllo: la vigilanza sulle imprese di assicurazione si esercita in base al criterio dello Stato di origine (quello cioè in cui si trova la sede sociale dell'impresa), la cui applicazione, nel caso dei contratti transfrontalieri, conduce comunque alla dissociazione tra il controllo e la localizzazione del rischio, a prescindere dal fatto che quest'ultimo sia o meno situato nell'Unione europea. Sarebbe invece opportuno applicare il criterio generale di collegamento previsto dal regolamento anche ai contratti di assicurazione conclusi per la copertura di rischi situati nell'UE. Infatti, l'adozione di quest'ultimo criterio — quello cioè della scelta delle parti — consentirebbe in futuro alle imprese di assicurazione e alla loro clientela commerciale di godere delle maggiori opportunità offerte dalla libera scelta della legge applicabile, il che è senz'altro positivo. Assoggettando le loro polizze a una medesima legge regolatrice, scelta con oculatezza, tali imprese potrebbero offrire prodotti assicurativi identici in tutta l'UE anziché dover sviluppare una pletora di prodotti distinti. In passato, la necessità di disporre di un'ampia gamma di prodotti diversi ha praticamente impedito alle imprese di assicurazione di trarre vantaggio dalla libera circolazione dei servizi anche riguardo ai contratti conclusi per la copertura di rischi minori. Per quanto concerne la libertà di scelta, anche in materia di contratti di assicurazione sono solo i consumatori privati ad aver bisogno di una protezione giuridica completa. Le categorie degli imprenditori e degli altri lavoratori autonomi, che oggi godono anch'esse di una certa tutela, benché più limitata, ma non dispongono di una completa libertà di scelta, non necessitano affatto di una tutela particolare: a differenza dei consumatori, infatti, questi soggetti possiedono un'esperienza sufficiente in materia per comprendere i rischi che si assumono quando abbandonano la loro legge nazionale e in quali casi hanno bisogno di consulenza giuridica.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, del 19.6.1980. La versione in vigore è pubblicata nella GU C 27 del 26.1.1998, pag. 34.

(2)  COM(2006) 83 def. — 2003/0168 (COD).

(3)  COM(2002) 654 def.

(4)  Parere del Comitato economico e sociale europeo, del 29.1.2004, in merito al Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima (INT/176).

(5)  Risoluzione del Parlamento europeo sulle prospettive per il ravvicinamento del diritto processuale civile nell'Unione europea (COM(2002) 654 def. e COM(2002) 746 def. — C5-0201/2003-2003/2087(INI)), A5-0041/2004.

(6)  Val la pena di citare, a titolo di esempio:

 

l'adozione, nel 1968, della convenzione di Bruxelles in forma di regolamento (ossia il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU L 12 del 16.1.2001, pag. 1)) e il relativo parere del CESE (GU C 117 del 26.4.2000, pag. 6 — relatore: MALOSSE),

 

il regolamento (CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (GU L 143 del 30.4.2004, pag. 15) e il relativo parere del CESE (GU C 85 dell'8.4.2003, pag. 1 — relatore: RAVOET),

 

il regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (GU L 160 del 30.6.2000, pag. 37) e il relativo parere del CESE (GU C 368 del 20.12.1999, pag. 47 — relatore: HERNÁNDEZ BATALLER),

 

il regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale (GU L 174 del 27.6.2001, pag. 1) e il relativo parere del CESE (GU C 139 dell'11.5.2001, pag. 10 — relatore: HERNÁNDEZ BATALLER),

 

il regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza (GU L 160 del 30.6.2000, pag. 1) e il relativo parere del CESE (GU C 75 del 15.3.2000, pag. 1 — relatore: RAVOET),

 

la direttiva sul credito al consumo (COM(2002) 443 def. dell'11.9.2002) e il relativo parere del CESE (GU C 234 del 30.9.2003, pag. 1 — relatore: PEGADO LIZ),

 

la direttiva concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29) e il relativo parere del CESE (GU C 159 del 17.6.1991, pag. 35 — relatore: HILKENS),

 

il Libro verde sul procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento e sulle misure atte a semplificare ed accelerare il contenzioso in materia di controversie di modesta entità (COM(2002) 746 def.) e il relativo parere del CESE (GU C 220 del 16.9.2003, pag. 5 — relatore: von FÜRSTENWERTH),

 

la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento (COM(2004) 173 def./3) e il relativo parere del CESE (GU C 221 dell'8.9.2005 — relatore: PEGADO LIZ).

(7)  Cfr. le varie convenzioni dell'Aia, ad esempio la convenzione del 12.6.1902 per regolamentare la tutela dei minori, la convenzione del 24 ottobre 1956 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari nei confronti dei fanciulli, la convenzione del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, ecc.

(8)  La convenzione di Ginevra del 7.6.1930 destinata a regolare alcuni conflitti di leggi in materia di cambiali e di vaglia cambiari e la convenzione di Ginevra del 19.3.1931 destinata a regolare alcuni conflitti di leggi in materia di assegni bancari.

(9)  Se un giorno si riuscisse a realizzarlo, uno strumento opzionale o 26o regime potrebbe aspirare ad essere il miglior sistema di diritto civile possibile. Scegliendo concordemente di applicare tale regime anziché un diritto nazionale, ovviamente non vi sarebbe più alcun bisogno di effettuare modifiche o procedere a un ravvicinamento normativo a causa delle leggi di polizia nazionali (o per garantire la compatibilità con l'ordine pubblico del foro — art. 20). Infatti, la scelta di applicare un corpus normativo sovranazionale ne comporterebbe un'applicazione piena e illimitata, dato che esso riprodurrebbe le norme generalmente accettate nell'Unione europea. Poiché l'articolo 3, paragrafo 2, consente già in linea di principio una scelta in tal senso, tale norma sarebbe la sede più idonea per fissare le condizioni alle quali è possibile avvalersi dei vantaggi offerti dallo strumento opzionale. Si dovrebbe prevedere espressamente che l'articolo 8 non si applica se le parti concordano di applicare un regime sovranazionale (e lo stesso dovrebbe valere anche per l'«ordine pubblico» di cui all'articolo 20).

(10)  Direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.12.1996 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (GU L 18 del 21.1.1997).

(11)  Sentenze del 23.11.1999 nelle cause C-369/96 e C-374/96.

(12)  Osservazione: questa affermazione è formulata in modo esplicito solo in alcune versioni (come quelle francese e italiana) della motivazione della proposta di regolamento, mentre — incomprensibilmente — non lo è in quella tedesca, dato che nel diritto tedesco non esiste un istituto giuridico corrispondente. Tuttavia, per ragioni di completezza, si dovrebbe almeno parafrasarla.

(13)  Direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all'assicurazione sulla vita (GU L 345 del 19.12.2002, pag. 1).

(14)  Così denominati per distinguerli da quelli di riassicurazione.

(15)  La situazione attuale è la seguente: ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 3, della convenzione di Roma, le disposizioni di tale convenzione non si applicano ai contratti di assicurazione per la copertura di rischi localizzati nei territori degli Stati membri della Comunità europea. La convenzione stessa non chiarisce di quali casi si tratti, per cui a tal fine occorre far riferimento alle direttive in materia di assicurazioni. La convenzione di Roma è invece applicabile ai contratti di riassicurazione e ai contratti per la copertura di rischi situati al di fuori dell'UE.

(16)  Giuliano e Lagarde, Relazione sulla convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (GU C 282 del 31.10.1980, pag. 13).


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione degli autoveicoli riguardo alle emissioni e all'ottenimento di informazioni sulla riparazione del veicolo e che modifica la direttiva 72/306/CEE e la direttiva …/…/CE

COM(2005) 683 def. — 2005/0282 (COD)

(2006/C 318/11)

Il Consiglio, in data 31 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 180 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE esprime il proprio accordo sulla necessità di promuovere il continuo miglioramento dei livelli di emissioni delle autovetture attraverso atti legislativi che introducono obiettivi man mano più ambiziosi. Accoglie quindi con favore la proposta della Commissione che rappresenta un'ulteriore tappa in questa direzione.

1.2

Il CESE concorda inoltre con la decisione della Commissione di optare per un regolamento invece che per una direttiva e con l'iter legislativo che prevede un regolamento in codecisione completato, per gli aspetti più tecnici, da un regolamento elaborato con l'assistenza di un comitato regolatore (regolamento «comitologico»).

1.3

Il CESE deve tuttavia rilevare che la proposta di regolamento nell'attuale formulazione crea notevoli problemi sia per l'industria che per le amministrazioni degli Stati membri incaricate della omologazione ed immatricolazione delle vetture.

1.3.1

In particolare il CESE raccomanda di rivedere le date di entrata in vigore delle nuove prescrizioni contenute nella proposta in esame e di fissarle rispettivamente al 1o gennaio 2010 (per l'omologazione di nuovi tipi di vetture) ed al 1o gennaio 2011 (per le nuove immatricolazioni) o, in alternativa, rispettivamente a 36 e 48 mesi dopo la pubblicazione dei nuovi regolamenti sulla Gazzetta ufficiale dell'UE. Il CESE raccomanda inoltre di mantenere l'ulteriore periodo di un anno a favore dei veicoli N1 (1) classe II e III.

1.3.2

Il CESE concorda con i limiti proposti per i veicoli con motore diesel. Solleva invece dubbi sulla reale necessità di ridurre ulteriormente i limiti sui veicoli con motori alimentati a benzina o a combustibili gassosi.

1.3.3

Il CESE ritiene corretto mantenere l'esenzione che permette a determinati veicoli adibiti al trasporto di passeggeri, veicoli M1 (2) che assolvono funzioni specifiche o sono mezzi di lavoro, (p. es. minibus), di essere omologati secondo i limiti previsti per i veicoli commerciali leggeri (N1). Invita pertanto la Commissione a introdurre una definizione di tali veicoli più precisa e circoscritta di quella contenuta nell'attuale direttiva.

1.3.4

Il CESE raccomanda di evitare che il regolamento proposto contenga prescrizioni che sono più correttamente coperte da altri regolamenti/direttive per altro già in vigore.

1.3.5

Il CESE invita infine la Commissione a rivedere quei punti del testo della proposta che possono ingenerare incertezze di tipo amministrativo, avvalendosi allo scopo del supporto degli esperti nazionali, i quali sono coinvolti quotidianamente con i problemi legati all'omologazione per tipo e all'immatricolazione delle autovetture.

2.   Ragioni e contesto legislativo

2.1

Ad oggi, le emissioni delle autovetture (veicoli M1) e dei veicoli commerciali leggeri (veicoli N1) sono regolamentate dalla direttiva 70/220/CEE e dai suoi successivi emendamenti. Gli aggiornamenti più recenti, comunemente noti come Euro 4 (3), sono entrati in vigore a partire rispettivamente dal 1o gennaio 2005 (nuovi tipi di vetture) e dal 1o gennaio 2006 (nuove immatricolazioni).

2.2

La proposta in esame prevede di rendere più severe le prescrizioni legislative sulle emissioni degli autoveicoli, mediante l'adozione di un regolamento al posto dell'attuale direttiva. Questa scelta dello strumento giuridico trova la sua ragione nella diretta applicazione da parte degli Stati membri del regolamento e quindi degli obiettivi in esso individuati — e nel venir meno della necessità — inerente invece alla direttiva — di operarne il recepimento nella legislazione nazionale. Allo stesso tempo il nuovo regolamento abroga le direttive esistenti.

2.3

La Commissione propone di adottare un iter legislativo che segue due strade parallele:

a)

un regolamento che definisce i principi generali — proposto come regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio — da approvarsi secondo la procedura di codecisione (proposta in codecisione);

b)

un regolamento che definisce i dettagli tecnici d'applicazione, che sarà adottato dalla Commissione con l'assistenza del Comitato per l'adattamento al progresso tecnico (proposta «comitologica»).

2.4

A complemento della proposta, è stata inoltre pubblicata anche la valutazione dell'impatto economico del regolamento proposto e, dunque, la stima dei costi delle misure da attuare sui veicoli per renderli conformi alla riduzione delle emissioni prevista.

3.   Contenuto della proposta

3.1

La proposta di regolamento, noto nel gergo comunitario come «Euro 5», si applica alle autovetture e ai veicoli commerciali leggeri alimentati a benzina, gas naturale, GPL e diesel e stabilisce i valori limite per le emissioni degli inquinanti a suo tempo valutati dalla Commissione come prioritari, quali particolato (PM), ossidi di azoto (NOx), monossido di carbonio (CO) e idrocarburi (HC).

3.2

In particolare, la proposta impone limiti per le emissioni allo scarico dei veicoli ad accensione comandata (benzina e combustibili gassosi) e diesel, secondo lo schema seguente:

alimentazioni a benzina e gas: è proposta una riduzione del 25 % per NOx ed HC,

alimentazioni diesel: è proposta una riduzione dell'80 % delle emissioni di particolato, richiesta che implica la necessità di installare sui veicoli i filtri antiparticolato (DPF). È anche prevista una riduzione del 20 % delle emissioni di NOx,

la Commissione completa quindi le proposte sui limiti per le emissioni allo scarico con regole riguardanti la durata dei sistemi di controllo delle emissioni, le verifiche di conformità dei veicoli in uso, la diagnostica imbarcata (OBD), le emissioni per evaporazione, le emissioni al minimo, le emissioni dal carter, la fumosità e la misura dei consumi di combustibile.

3.3

La Commissione prevede, infine, misure circa la messa a disposizione delle informazioni sulla riparazione dei veicoli al di fuori del circuito degli autoriparatori autorizzati. Queste informazioni, secondo quanto proposto, dovranno essere accessibili attraverso siti web, nel formato standardizzato sviluppato da un comitato tecnico internazionale (norma OASIS (4)).

3.4

La Commissione propone che il regolamento si applichi a:

autovetture e veicoli commerciali leggeri classe I — rispettivamente 18 mesi dopo la pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta ufficiale dell'UE per i nuovi modelli e 36 mesi dopo tale data per tutte le nuove immatricolazioni,

veicoli commerciali leggeri classi II e III — 30 mesi per i nuovi modelli e 48 mesi per tutte le nuove immatricolazioni,

per le autovetture ciò potrebbe tradursi in un'eventuale introduzione delle norme proposte a partire dalla prima metà del 2008.

4.   Valutazioni generali

4.1

Il CESE accoglie con favore la scelta della Commissione di optare per un regolamento invece che per una direttiva: in questo modo, infatti, non essendo necessaria la procedura di recepimento nella legislazione nazionale, il regolamento potrà avere un'immediata e contemporanea applicazione in tutti gli Stati membri.

4.2

Il CESE concorda con il nuovo iter legislativo a due vie parallele, ma, allo stesso tempo, richiama l'attenzione sulla necessità che i due regolamenti, l'uno in codecisione e l'altro «comitologico», siano pubblicati contemporaneamente sulla Gazzetta ufficiale. L'industria ha bisogno di ambedue gli atti per completare l'ingegnerizzazione delle soluzioni tecniche da adottare per rispettare le nuove prescrizioni.

4.3

Il CESE esprime un parere positivo per quanto riguarda l'intenzione di introdurre limiti più severi sulle emissioni dei veicoli diesel.

4.4

Il CESE riconosce che le tecnologie per ridurre le emissioni di particolato (PM) dei veicoli con motorizzazione diesel sono oggi disponibili e che i valori limite proposti ne impongono un impiego generalizzato.

4.5

Con riferimento alla valutazione dell'impatto economico del regolamento proposto, il CESE esprime, invece, notevoli perplessità:

in primo luogo, in forte contrasto con le modalità di lavoro del Programma CAFE (5) (aria pulita per l'Europa), non è stato reso disponibile nessuno dei risultati ottenuti dai modelli utilizzati per le valutazioni dei rapporti tra costi ed efficacia degli interventi attuabili nei vari settori causa dell'inquinamento atmosferico, come suggerito da CARS 21 (6),

la valutazione d'impatto economico riporta unicamente i costi aggiuntivi conseguenti all'entrata in vigore dei nuovi limiti sulle emissioni delle autovetture e la corrispondente riduzione degli inquinanti emessi in tonnellate/anno. Non permette così alcun giudizio comparativo su costi/efficacia di misure attuabili in altri settori, secondo i modelli CAFE,

per lo scenario Euro 5 proposto dal regolamento, le cifre stimate dal gruppo di esperti indipendenti (7), scelto dalla DG Imprese e industria a tale scopo, risultano ridotte del 33 % per tenere conto delle economie di scala conseguenti l'aumento dei volumi di produzione, senza che sia addotta alcuna motivazione sulla scelta di questa percentuale (8),

in particolare la stima effettuata dal gruppo di esperti indipendenti sui costi degli interventi da effettuare sui veicoli per renderli conformi ai vari scenari di riduzione delle emissioni, include già una diminuzione del prezzo dei metalli preziosi pari al 30 %. I metalli preziosi sono uno degli elementi fondamentali dei sistemi di post-trattamento dei gas di scarico e la loro quotazione di mercato influisce notevolmente sui costi dei sistemi stessi. Il fatto che, negli ultimi cinque anni, si sia assistito ad un continuo aumento delle quotazioni del platino non giustifica l'ipotesi di cui sopra.

4.6

Il CESE esprime dubbi anche sulle date di applicazione del regolamento:

il periodo di 18 mesi a decorrere dall'entrata in vigore del nuovo regolamento non è sufficiente poiché introdurre in produzione una tecnologia conosciuta ma non ancora applicata su modelli specifici richiede almeno tre anni,

il regolamento proposto dovrebbe confermare il 1o gennaio 2010 come data di entrata in vigore dei nuovi requisiti per l'omologazione dei nuovi tipi di vetture o imporre un periodo di 36 mesi dalla data di pubblicazione del regolamento, previo chiarimento sui valori limite e sui protocolli di prova,

l'industria ha pianificato, in accordo con i suoi fornitori, l'introduzione degli standard Euro 5 per il 2010/2011, secondo quanto chiaramente indicato nella comunicazione della Commissione sugli incentivi fiscali del gennaio 2005 (9). Sono già state programmate le modifiche ai diversi modelli e i relativi processi di produzione; pertanto non è possibile accelerare i tempi, essendo già brevissimo l'intervallo che intercorre per l'introduzione di Euro 5.

4.7

Infine, al paragrafo 4 dell'articolo 5 la Commissione fissa requisiti specifici all'omologazione, senza tuttavia prevedere ulteriori linee guida o istruzioni. Al riguardo, il CESE esprime la propria preoccupazione perché in assenza di tali istruzioni non è possibile valutare l'effettivo impatto della proposta sull'ingegneria del veicolo e sull'ambiente.

5.   Commenti particolari

5.1

La tabella 1 dell'Allegato 1 della proposta di regolamento riporta i valori limite delle emissioni Euro 5 di HC e NOx previsti per i veicoli a benzina ad accensione comandata: si tratta di una riduzione del 25 %, che porta gli HC a 75 mg/km e gli NOx a 60 mg/km. Orbene questa diminuzione dei valori limite rispetto a quelli stabiliti dagli standard Euro 4, non è giustificata dai risultati ottenuti dal programma Auto Oil II sulla qualità dell'aria, né d'altro canto si prevede alcun scenario di riduzione dei livelli di NOx ed HC di tali veicoli nell'analisi del CAFE e nel documento Thematic Strategy on Air Pollution  (10).

5.2

Stando ai risultati del CAFE, il CESE deve concludere che non esiste alcuna motivazione evidente in termini di benefici per la qualità dell'aria, tale da giustificare le misure indicate dalla proposta in esame, e ciò per le seguenti ragioni:

valori limite di NOx : la riduzione proposta costituirebbe un ulteriore ostacolo all'abbassamento dei consumi di combustibile, e quindi delle emissioni di CO2 delle vetture con motore a benzina, vale a dire la sfida più importante con cui l'industria si deve oggi confrontare. Allo stesso tempo, i vantaggi in termini ambientali sarebbero del tutto trascurabili dato che, secondo i dati di CAFE, i veicoli a benzina contribuiranno solo al 4 % delle emissioni totali di NOx dovute al traffico veicolare (11),

valori limite di HC: il nuovo limite proposto rappresenterebbe un ostacolo insormontabile per le vetture a gas naturale che pur offrono vantaggi considerevoli dal punto di vista ambientale. Infatti le emissioni di HC sono costituite per il 90 % da gas metano, e cioè un gas notoriamente stabile e non inquinante nel quale sono inoltre assenti gli idrocarburi aromatici; le emissioni di CO2 di tali vetture sono poi del 20-25 % inferiori a quelle delle vetture a benzina. Se la riduzione del 25 % degli idrocarburi incombusti introdotta dal regolamento fosse confermata, non sarebbe più possibile produrre e immettere sul mercato veicoli a gas naturale con impatto negativo sulle emissioni di CO2. Ci si porrebbe, inoltre, in conflitto con gli obiettivi di sostituzione stabiliti dalla Commissione nella comunicazione sui carburanti alternativi (12).

5.3

La proposta della Commissione elimina l'esenzione che permette ai veicoli adibiti al trasporto di passeggeri, veicoli M1, con una massa superiore a 2,5 tonnellate (ma inferiore a 3,5 tonnellate), di essere omologati secondo i limiti previsti per i veicoli commerciali leggeri (N1).

5.3.1

Il CESE ritiene che sia necessario distinguere tra quei veicoli pesanti progettati per rispondere a precise esigenze di lavoro e quelli spesso acquistati per seguire le mode e scalare i marciapiedi delle grandi città! Esempi del primo tipo sono invece:

i veicoli progettati per accogliere sette o più posti. Si tratta di veicoli adibiti a funzioni di trasporto locale (es. minibus, navette, camper e veicoli destinati a fini particolari, come le ambulanze). La capacità di accogliere un elevato numero di passeggeri e la maggiore capacità di carico richiedono la progettazione di un veicolo più pesante, più alto e più largo con cambi specifici e dunque, emissioni leggermente superiori,

i veicoli fuori strada, con una massa massima superiore alle 2,5 tonnellate. Questi veicoli sono uno strumento di lavoro essenziale per le comunità rurali, così come per i servizi di soccorso, per le organizzazioni di pubblica utilità e per molte altre applicazioni importanti, incluse quelle militari. Per questo motivo, i loro bisogni specifici sono tenuti in considerazione in diversi sistemi legislativi e dovrebbero continuare a beneficiare di tale trattamento,

i volumi di produzione in questi due segmenti sono assai ridotti e le emissioni a loro attribuibili risultano trascurabili nel computo totale delle emissioni autoveicolari. Il loro impatto sulla qualità dell'aria è dunque trascurabile a patto che vengano loro applicate le stesse regole che valgono per i veicoli commerciali leggeri.

5.3.2

La posizione della Commissione secondo cui non esistono più le condizioni per giustificare che i veicoli M1 con massa massima superiore a 2,5 t possano essere omologati nei limiti previsti per i veicoli commerciali leggeri non può essere condivisa. Allo stesso tempo il CESE riconosce la necessità di definire meglio quali veicoli possano godere di tale eccezione.

5.3.3

Infine l'abrogazione indiscriminata di tale eccezione per tutti i veicoli M1 pesanti comporterebbe il passaggio a motorizzazioni a benzina, con un corrispondente incremento dei consumi di combustibile e quindi delle emissioni di CO2.

5.4

Il CESE è d'accordo con la Commissione nel ritenere che, per facilitare la libera circolazione di veicoli sul mercato interno, siano necessari l'accesso alle informazioni sulla riparazione dei veicoli e una concorrenza efficace sul mercato dei servizi di riparazione e di informazione. Ciò è confermato, tra l'altro, sia dal regolamento (CE) n. 1400/2002, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, sia dalle direttive 98/69/CE e 2002/80/CE.

5.4.1

Il CESE sottolinea tuttavia la necessità che l'accesso alle informazioni sulla riparazione dei veicoli sia illimitato e standardizzato. Nella pratica, infatti, i costruttori tendono a disseminare queste informazioni in diversi mezzi di comunicazione e centri di documentazione. Ciò rappresenta un notevole ostacolo per gli operatori dell'aftermarket indipendenti e multimarca, soprattutto per le piccole imprese che rappresentano gran parte del mercato europeo dei riparatori indipendenti. Il CESE appoggia quindi la proposta della Commissione di includere nel regolamento l'obbligo di rendere disponibili le informazioni sulla riparazione dei veicoli anche attraverso siti web che adottino un formato standardizzato.

6.   Valutazioni e raccomandazioni specifiche

6.1

Nel testo della proposta di regolamento, si fa diverse volte riferimento alla futura direttiva xxxx/xx/CE. Dato che questa direttiva modificherà la direttiva Quadro sull'omologazione, si dovrebbe fin d'ora indicare chiaramente che s'intende fare riferimento alla Direttiva quadro sull'omologazione per tipo 70/156/CEE, quale modificata dalla direttiva xxxx/xx/CE.

6.2

Il considerando (13) introduce i requisiti circa un metodo normalizzato di misura del consumo di combustibile e circa la necessità da parte di clienti ed utenti di disporre d'informazioni precise ed oggettive: questi requisiti sono peraltro già obbligatori (direttiva 1999/94/CE) e il fatto di evidenziare nuovamente questi aspetti risulta del tutto superfluo.

6.3

Il CESE rileva che il testo dell'articolo 2, paragrafo 1, dell'articolo 4, paragrafo 1, e dell'articolo 5 della proposta di regolamento in esame non è chiaro. In particolare:

6.3.1

l'articolo 2, paragrafo 1, specifica gli autoveicoli cui si applica il regolamento. L'articolo 4, paragrafo 1, e l'articolo 5 sembrano poi imporre l'obbligo per tutti i modelli di veicoli coperti dal regolamento (cioè quelli elencati nell'articolo 2) di risultare conformi alla seguente lunga lista di requisiti: emissioni dallo scarico; emissioni a bassa temperatura ambiente; emissioni per evaporazione; funzionamento del sistema diagnostico di bordo (sistema OBD); durata e dispositivi antinquinamento; emissioni al minimo; emissioni dal carter; emissioni di CO2 e consumo di combustibile; opacità del fumo.

6.3.2

Quanto elencato sopra comporterebbe però un aumento ingiustificato delle prove da effettuare al momento dell'omologazione dei modelli. A titolo d'esempio, misurare le emissioni al minimo o le emissioni per evaporazione di un veicolo diesel è del tutto inutile. Sarebbe stato più appropriato e meno equivoco utilizzare la tabella proposta in figura I.5.2 nell'Allegato I della direttiva 70/220/CEE (13).

6.4

Il CESE rileva, infine, una scarsa chiarezza nella definizione del campo d'applicazione per quanto riguarda i veicoli M (veicoli adibiti al trasporto passeggeri) con motore ad accensione comandata, esclusi i motori a GN e GPL. Il testo del regolamento, (articolo 4 e articolo 5), sembra infatti estendere l'intero set di requisiti anche ai veicoli di categoria M2 e M3 laddove in passato i veicoli M con massa superiore a 3,5 tonnellate (per altro rarissimi in Europa) dovevano essere conformi unicamente ai requisiti delle emissioni al minimo e dal carter.

6.5

Nell'articolo 4, paragrafo 3, si sottolinea l'obbligo del costruttore di fornire all'acquirente le informazioni tecniche sulle emissioni e sul consumo del veicolo. Poiché tale obbligo è già previsto nella direttiva 1999/94/CE, modificata dalla direttiva 2003/77/CE, tale paragrafo è superfluo.

6.6

L'articolo 10 tratta dell'omologazione di componenti di ricambio non originali. In particolare esso vieta la vendita e l'installazione di convertitori catalitici di ricambio ammessa solo se sono di un tipo omologato ai sensi della proposta di regolamento. Non risulta chiaro se la Commissione intenda limitare l'utilizzo di tali catalizzatori per i veicoli immatricolati prima del 1992 (e dunque per i veicoli pre-OBD) escludendolo per i veicoli più recenti. Inoltre la necessità dell'omologazione dovrebbe essere estesa ad eventuali altri componenti non originali del sistema di controllo delle emissioni quali i filtri per il particolato.

6.7

L'articolo 11, paragrafo 2, autorizza gli Stati membri a introdurre incentivi finanziari per l'istallazione di sistemi retrofit  (14) che allineino le emissioni allo scarico dei veicoli in circolazione ai limiti fissati dal regolamento. La Commissione non precisa tuttavia secondo quali procedure si possa dimostrare la conformità di tali sistemi, né specifica se tali procedure siano già disponibili.

6.8

L'articolo 17 elenca una lista di direttive (15) che saranno abrogate 18 mesi dopo la data di entrata in vigore del regolamento. A tale proposito si osserva tuttavia quanto segue:

se l'intenzione della Commissione era quella di includere tutte le direttive che modificano la direttiva 70/220/CEE sulle emissioni dei veicoli e la direttiva 80/1268/CEE sul consumo di carburante, questa lista è incompleta (ad es. la direttiva 70/220/CEE ha subito 18 modifiche, ma solo 6 di queste sono state menzionate). Pertanto, un approccio più semplice potrebbe essere quello di ricorrere ad una formulazione del tipo seguente: «Direttiva 70/220/CEE, modificata da ultimo dalla direttiva 2003/76/CE e la direttiva 80/1268/CEE, modificata da ultimo dalla direttiva 2004/3/CE sono abrogate a decorrere da …».

6.8.1

L'abrogazione delle citate direttive sulle emissioni dei veicoli e sul consumo di combustibile prevista dal regolamento con effetto a 18 mesi dall'entrata in vigore del regolamento stesso solleva seri problemi.

6.8.2

Tale data si troverebbe a coincidere con quella di entrata in vigore delle prescrizioni per l'omologazione anche se limitatamente ai nuovi modelli M1 introdotti da un costruttore. I modelli M1 già omologati prima della data di cui sopra possono infatti essere immatricolati per un periodo ulteriore di 18 mesi, senza che sia necessaria una nuova omologazione. Condizioni simili si applicano per i veicoli N1 classe II e classe III: i nuovi modelli beneficiano di un ulteriore periodo di 12 mesi per essere omologati, mentre quelli già omologati in precedenza e che necessitano di essere immatricolati, godono di un periodo ulteriore di 30 mesi.

6.8.3

Il problema è capire come sia possibile emettere il certificato di conformità richiesto al momento dell'immatricolazione, giacché tale certificato può solo fare riferimento ad una direttiva che é stata abrogata.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  I veicoli di categoria N sono quei veicoli con almeno 4 ruote adibiti al trasporto di merci. Essi si dividono in 3 classi, N1, N2 e N3, in base alla massa massima: N1 < 3.500 kg; N2 < 12.000 kg; N3 > 12.000 kg. La classe N1, si divide poi in 3 sottoclassi, dette NI, NII ed NIII, sempre identificate in base alla massa.

(2)  Per veicoli di categoria M, si intendono quei veicoli con almeno 4 ruote adibiti al trasporto passeggeri. Essi si dividono in 3 classi (M1, M2, M3) in base al numero dei posti e in base alla loro massa massima: M1 < 9 posti; M2 > 9 posti e < 5.000 kg; M3 > 9 posti e > 5.000 kg.

(3)  GU L 350 del 28.12.1998, direttiva 1998/69/CE.

(4)  OASIS, Organization for the Advancement of Structured Information Standards.

(5)  CAFE, Clean Air for Europe. È un programma lanciato attraverso la comunicazione COM(2001) 245 def., volto a sviluppare una strategia di analisi per valutare le direttive sulla qualità dell'aria, l'efficacia dei programmi in corso negli Stati membri, un costante monitoraggio della qualità dell'aria e la divulgazione delle informazioni al pubblico, la revisione e l'aggiornamento dei limiti di emissioni e lo sviluppo di nuovi sistemi di monitoraggio e modellazione.

(6)  CARS 21, Competitive Automotive Regulatory System for the 21st Century. È un gruppo di esperti formato da rappresentanti della Commissione, del Parlamento europeo, degli Stati membri, dell'industria, dei sindacati, delle ONG e dei consumatori. Esso ha il compito di fornire raccomandazioni per migliorare la competitività dell'industria automobilistica europea, considerando gli aspetti socioambientali connessi.

(7)  In occasione della riunione del Motor Vehicle Emissions Group (dicembre 2005), la DG Imprese e industria ha distribuito il documento, prodotto dal gruppo di esperti indipendenti, in cui sono esposti i risultati dell'analisi effettuata sul rapporto tecnologie-costi per i veicoli rispondenti alla norma Euro 5.

(8)  SEC(2005) 1745, Impact Assessment della proposta di regolamento in esame, par. 6.2: Scenarios of the Regulatory Approach, Table 1Scenario G, pag. 17.

(9)  SEC(2005) 43, Commission Staff Working Paper, Fiscal incentives for motor vehicles in advance of Euro 5.

(10)  COM(2005) 446 def.

(11)  Informazioni disponibili sul sito web dell'IISA, International Institute for Applied Systems Analysis.

(12)  COM(2001) 547 def., in cui l'obiettivo di sostituzione dei carburanti tradizionali con gas naturale viene fissato al 5 % nel 2015 e 10 % nel 2020.

(13)  Tale tabella identifica le prove da effettuare a seconda del tipo di veicolo.

(14)  Con il termine retrofit ci si riferisce a un dispositivo dai installare su un veicolo già in uso per contenerne ulteriormente le emissioni.

(15)  Direttiva 70/220/CEE, direttiva 80/1268/CEE, direttiva 89/458/CEE, direttiva 91/441/CEE, direttiva 93/59/CEE, direttiva 94/12/CE, direttiva 96/69/CE e direttiva 2004/3/CE.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il turismo sociale in Europa

(2006/C 318/12)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul Il turismo sociale in Europa

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore MENDOZA CASTRO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

A.   PARTE PRIMA: ANALISI DELLA SITUAZIONE ATTUALE

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo, nel quadro dei diversi pareri che sta elaborando con l'obiettivo di contribuire alla definizione di una politica europea del turismo, ha voluto formulare un parere sul cosiddetto «turismo sociale», analizzandone le origini, la sua diffusione e la sua realtà attuale in Europa, le diverse esperienze dei singoli Stati membri e i valori a cui si ispira. Il Comitato vuole in particolare presentare una serie di raccomandazioni alle varie istituzioni pubbliche o private ai fini di una maggiore efficacia, di una generalizzazione e di un miglioramento del turismo sociale in Europa. Il presente parere costituisce inoltre un contributo al dibattito attualmente in corso in merito alla politica turistica europea attraverso lo studio del turismo sociale come parte integrante del modello turistico europeo.

1.2

Il turismo in Europa: situazione attuale e sfide future. diversi studi, relazioni e pareri hanno esaminato la situazione attuale del turismo da punti di vista molto differenti: economici, sociali e ambientali, ovvero sotto il profilo della sua notevole importanza nell'attività economica dell'Europa in generale e di alcuni paesi in particolare, o anche nei suoi sviluppi positivi, in quanto fattore di ricchezza e occupazione in Europa: tutti elementi che tracciano un quadro di grande forza, stabilità e crescita. In un'altra ottica si sono prese in considerazione le varie realtà e le minacce (sia interne che esterne, nel breve, medio e lungo termine), inerenti al turismo in relazione alla stagionalità, all'utilizzo — talvolta all'abuso — delle risorse naturali, alla scarsa valorizzazione del patrimonio culturale e della realtà locale, e alla preoccupazione per il terrorismo, che condiziona la sicurezza delle popolazioni e dei turisti. Queste due prospettive obbligano a riconoscere che il turismo presenta sfide di notevole importanza, che dobbiamo affrontare se vogliamo che tale attività continui a svilupparsi in maniera sostenibile. A mero titolo di esempio, tra queste sfide si possono menzionare l'accessibilità effettiva al turismo per tutti i cittadini, il suo contributo concreto alla sviluppo di molti paesi del terzo mondo, la sostenibilità ambientale, il rispetto del codice etico del turismo, la stabilità e la qualità dell'occupazione nel settore, e il contributo alla pace mondiale. La risposta a queste sfide e a molte altre ancora rappresenta il necessario contributo di un'industria strategica, come è quella del turismo in Europa, per garantire una migliore qualità della vita per tutti.

1.3

La politica turistica nell'Unione europea. Il 6 aprile 2005 il Comitato economico e sociale europeo ha adottato un parere sul tema La politica turistica nell'Unione allargata , in cui si analizzano da un lato, in modo approfondito, l'attuale politica turistica alla luce del Trattato costituzionale, e dall'altro l'impatto dell'ultimo e del prossimo allargamento. In tale documento si dà una valutazione positiva del ruolo svolto dal turismo nelle azioni di sostegno, di coordinamento e di complemento delle altre politiche europee. Il turismo, ad esempio, presenta forti legami con la politica dell'occupazione e con quella sociale, con il miglioramento della qualità, con la ricerca e lo sviluppo tecnologico, con la protezione dei consumatori, con la politica ambientale e con molti altri settori d'intervento. Il presente parere intende in particolare individuare e analizzare il contributo concreto del turismo alla politica dell'occupazione e a quella sociale appena citate. Con i vari pareri formulati in relazione con il turismo, il CESE sta promuovendo la definizione di politiche europee intese a configurare un modello turistico europeo fondato non tanto sulle norme quanto sui valori. Il turismo sociale e i valori ad esso collegati possono essere pertanto considerati importanti elementi costitutivi di tale modello, i quali contribuiscono alla sua attuazione e diffusione.

1.4

La sfida della strategia di Lisbona e il turismo sociale. Occorre dedicare particolare attenzione alla sfida che la strategia di Lisbona comporta per il turismo, specie per quello sociale. Se l'obiettivo strategico di tale strategia è di rendere l'Europa l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale, sarà necessario analizzare se il turismo sociale contribuisca in modo efficace e positivo a conseguire tale obiettivo, come lo faccia e come possa dare un contributo ancora maggiore. Va detto subito che, a parere del Comitato, questo contributo esiste, come vedremo più avanti nel parere, ma che esso può essere potenziato e a tal fine si proporranno misure ai differenti soggetti che agiscono nell'ambito del turismo sociale.

1.5

Antecedenti del presente parere. Gli antecedenti del presente parere sono molto differenti, sia dal punto di vista teorico (studi, relazioni, giornate) che pratico (le varie manifestazioni e realtà del turismo sociale in Europa). Tra tali numerosi contributi, che sono il frutto degli sforzi delle varie istituzioni pubbliche e private, riteniamo importante menzionare due pareri del CESE: il primo adottato il 29 ottobre 2003 sul tema Un turismo accessibile a tutti e socialmente sostenibile , nel cui punto 5.5.2 figurava già il turismo sociale come una delle 100 iniziative proposte; e il secondo sul tema La politica turistica nell'Unione allargata, adottato il 6 aprile 2005, nel quale si suggeriva il progetto di turismo sociale europeo come possibile progetto pilota di cooperazione istituzionale europea.

2.   Il concetto di turismo sociale

2.1

Il diritto al turismo come fondamento del turismo sociale. Ogni individuo ha diritto al riposo, con diversi orizzonti temporali: giornaliero, settimanale o annuale; ognuno ha diritto di disporre di tempo libero per sviluppare pienamente tanto i diversi aspetti della sua personalità quanto la sua integrazione sociale. In definitiva, ciascuno deve poter esercitare quello che è un diritto generale allo sviluppo personale. Il diritto al turismo è indubbiamente un'espressione concreta di tale diritto generale e il desiderio di universalizzare e garantire la reale accessibilità del turismo a tutti costituisce il fondamento del turismo sociale. Pertanto quest'ultimo non è un'attività né marginale né estranea rispetto all'insieme delle attività generali del settore turistico, il quale costituisce un'industria possente sia a livello mondiale che in tutta Europa, e in particolare in diversi paesi dell'UE, bensì rappresenta un modo per realizzare concretamente questo diritto di ognuno a praticare tale attività, a viaggiare e a conoscere altre regioni e paesi, il che costituisce la base stessa del turismo. Va dato particolare risalto al fatto che tale diritto è sancito nell'articolo 7 del codice etico mondiale del turismo approvato dall'organizzazione mondiale del turismo il 1o ottobre 1999 a Santiago del Cile e fatto proprio dalle Nazioni Unite il 21 dicembre 2001.

2.2

Definizione di turismo sociale. Date le molteplici teorie esistenti riguardo alla natura o alla percezione che si ha del turismo sociale, non è facile definirne con esattezza il concetto. Le varie istituzioni che hanno affrontato questa tematica hanno infatti utilizzato metodi molto diversi, come l'individuazione del contenuto, dei risultati attesi, dell'insieme degli obiettivi, delle idee e delle convinzioni — con un punto fermo però, ovvero che tutte le persone, anche le meno favorite, necessitano di riposo, di tempo libero e di tempo di recupero dal lavoro e vi hanno diritto con cadenza giornaliera, settimanale e annuale. Il Bureau International du Tourisme Social (BITS) definisce il turismo sociale come l'insieme dei rapporti e dei fenomeni legati alla partecipazione al turismo da parte delle fasce sociali con redditi modesti, partecipazione che è stata resa possibile attraverso misure dal carattere sociale ben definito. Attualmente, il BITS sta riesaminando questa definizione, al fine di estenderla alle attività turistiche intese some contributo allo sviluppo e alla solidarietà.

2.2.1

La Commissione europea (1) segnala che in alcuni paesi il turismo sociale è organizzato da associazioni, cooperative e sindacati ed ha lo scopo di rendere i viaggi effettivamenteaccessibili al maggior numero possibile di persone, specie alle fasce meno favorite della popolazione. Questa definizione, ormai lontana nel tempo, è in corso di revisione in seguito alle riunioni tecniche svoltesi negli ultimi anni. Il Comitato considera che nessuno dei due tentativi di definire il fenomeno sia sufficientemente preciso, ma, come accade spesso nell'ambito delle scienze sociali non è tanto importante la definizione esatta del fenomeno quanto l'individuazione delle sue manifestazioni concrete.

2.2.2

Per tale motivo, senza voler definire esattamente il turismo sociale e partendo dal presupposto che il turismo è un diritto generale che bisogna cercare di rendere accessibile a tutti, si può affermare che per parlare di turismo sociale devono essere soddisfatte le seguenti tre condizioni:

deve essere constatata una vera e propria incapacità totale o parziale ad esercitare pienamente il diritto al turismo. Questa situazione può essere dovuta a condizioni economiche, a fenomeni di invalidità fisica o mentale, a condizioni di isolamento personale o familiare, ad una mobilità ridotta, a difficoltà geografiche o ad una grande diversità di cause che in definitiva costituiscono un ostacolo reale,

qualcuno, ente pubblico o associazione privata, impresa, sindacato o un semplice gruppo organizzato di persone, decide di agire ed effettivamente agisce per superare o ridurre gli ostacoli che impediscono ad una persona di godere del suo diritto al turismo,

questa azione deve essere veramente efficace e consentire ad un gruppo di persone di praticare il turismo in condizioni basate su valori quali la sostenibilità, l'accessibilità e la solidarietà.

2.2.3

In definitiva, così come il turismo in generale è un'attività che concerne diversi settori e ambiti di sviluppo, anche il turismo sociale è l'insieme di una serie di iniziative che consente a persone che soffrono di particolari difficoltà di praticare il turismo e al tempo stesso produce effetti positivi sul piano sociale ed economico, anch'essi in diversi settori, attività, gruppi ed ambiti.

2.3

Storia del turismo sociale

È difficile stabilire con esattezza quando siano comparse le prime attività di turismo sociale così come le intendiamo oggi; la loro origine può forse essere individuata negli organismi, apparsi all'inizio del XX secolo, specializzati nell'organizzazione di vacanze basate sull'esercizio fisico in montagna, come ad esempio le colonie di vacanze organizzate in Svizzera e in Francia e destinate ai figli di famiglie svantaggiate.

L'intervento da parte dei poteri pubblici nelle prime forme di turismo sociale si può far risalire al secondo dopoguerra: si tratta in sostanza di interventi collegati ai movimenti operai. In alcuni paesi europei (Francia, Italia, Portogallo e Spagna) vengono organizzate attività di turismo sociale, altri paesi (Regno Unito, Paesi Bassi) si distinguono semplicemente per un atteggiamento non interventista.

È a partire dagli anni '50 e '60 che si registra un'intensificazione degli sforzi mirati alla promozione del turismo sociale e nascono diverse organizzazioni, associazioni e organi di coordinamento, tra cui il Bureau International du Tourisme Social con sede a Bruxelles, il quale continua a svolgere un'attività promozionale e rappresentativa di ampio respiro.

2.4

Le basi del turismo sociale. Come suggerisce il BITS, il turismo sociale si basa su cinque criteri.

2.4.1

Il diritto al turismo per il maggior numero possibile di persone. È forse la volontà di dare concreta realizzazione a tale diritto a costituire la giustificazione e il fondamento principali delle varie iniziative di turismo sociale. È evidente che le fasce sociali che attualmente possono godere di un periodo di vacanze sono aumentate notevolmente in seguito alla socializzazione del fenomeno turistico; ciononostante continuano ad esservi numerosi gruppi che, per i più svariati motivi, non hanno possibilità di andare in vacanza. La mancanza di risorse economiche sufficienti è forse l'ostacolo più comune all'effettiva universalizzazione di tale diritto. Ci si interroga inoltre sulla possibilità e sulla necessità che i poteri pubblici garantiscano con fondi pubblici il diritto a fare turismo, ad andare in vacanza. Le risposte a tale interrogativo variano molto tra i diversi paesi, con alcuni più attaccati a criteri di giustizia sociale, e altri più accomodanti nei confronti dei fattori che ostacolano l'accessibilità generalizzata delle vacanze. È importante sottolineare che il turismo sociale non deve essere assolutamente identificato con un turismo di qualità inferiore o di seconda categoria. Al contrario, le attività del turismo sociale devono essere contraddistinte dalla massima attenzione alla qualità totale, per quanto concerne sia le infrastrutture sia il personale.

2.4.2

Il contributo del turismo sociale alla socializzazione. Il turismo è un potente strumento di socializzazione, che consente non solo di farci entrare in contatto con realtà diverse dal punto di vista culturale, geografico e delle tradizioni, ma soprattutto di mettere in relazione tra di loro persone che, se non fosse per i viaggi, le vacanze o il turismo, non potrebbero incontrarsi, dialogare e riconoscersi come essenzialmente uguali, ma culturalmente diverse. Questo scambio culturale, questa fruizione del tempo libero costituisce un importante strumento di sviluppo personale tanto per i turisti quanto per coloro che li accolgono nella loro realtà locale. Lo scambio culturale generato dal turismo è particolarmente importante per i giovani, sia per la loro formazione intellettuale sia perché possano giungere ad una visione più ricca del mondo. Per quanto riguarda l'Unione europea, il turismo sociale può rappresentare un ottimo contributo alla costruzione dell'Europa dei cittadini. È opportuno sottolineare l'opinione generale secondo cui i circuiti del turismo sociale non devono essere differenziati rispetto a quelli del turismo in senso lato, ma devono servire a scopo di integrazione sociale. Sono i diversi gruppi del turismo sociale che devono trovare, all'interno dei circuiti turistici generali, le condizioni idonee per godere delle loro vacanze e non il contrario. Chiaramente questo impone sforzi in termini non solo di condizioni materiali ma anche di servizi e, dunque, di formazione specifica destinata agli operatori del settore.

2.4.3

La creazione di strutture turistiche sostenibili. Non sempre le infrastrutture delle zone e delle destinazioni turistiche possono essere definite sostenibili: pare piuttosto che spesso lo sviluppo turistico sia avvenuto in base a criteri di profitto nel breve termine, di sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, e di occupazione delle zone migliori, specie sulla costa e in alta montagna. Il turismo sociale, caratterizzato com'è da una visione che privilegia le condizioni sociali rispetto a quelle economiche, può contribuire alla costruzione o al recupero delle destinazioni turistiche in base a criteri di sostenibilità di tipo economico, sociale e ambientale. Le modalità di gestione del turismo sociale nelle sue varie manifestazioni sono di fondamentale importanza ai fini di una maggiore sostenibilità delle zone e delle destinazioni turistiche. Se la sostenibilità consiste fondamentalmente nell'equilibrio tra i diversi aspetti dell'attività umana, il turismo sociale costituisce chiaramente uno strumento di sviluppo sostenibile per un gran numero di paesi sottosviluppati, che vedono nel turismo una fonte di attività economica che li può fare uscire dalla povertà.

2.4.4

Il contributo del turismo sociale all'occupazione e allo sviluppo economico. Il settore del turismo nel suo insieme è attualmente e diventerà forse in futuro l'industria più forte del mondo, uno dei settori che contribuiranno maggiormente alla crescita dell'occupazione, allo sviluppo, alla ricchezza e alla qualità della vita degli abitanti che vivono nelle destinazioni turistiche. Sebbene partecipi pienamente di tale importanza economica, il turismo sociale non ha ancora preso sufficientemente coscienza della propria forza, della propria rilevanza economica, e pertanto del proprio potere di imporre la sostenibilità come condizione per la scelta di una destinazione. Nell'esercizio delle loro attività, le imprese e gli organismi operanti nel settore del turismo sociale non devono tener conto soltanto di criteri esclusivamente economici. Un criterio da applicare è sicuramente quello della creazione di posti di lavoro stabili e di qualità, fattore chiave per lo sviluppo sostenibile di una destinazione turistica. In particolare, il maggiore o minore contributo del turismo sociale alla lotta contro la stagionalità costituisce un criterio di azione fondamentale legato all'obiettivo della qualità e della stabilità dell'occupazione, criterio che deve diventare parte integrante del modello di turismo europeo. Un ottimo strumento e un ottimo indicatore del rispetto di tale criterio si può rinvenire nella presenza di partenariati pubblico-privato nella gestione del turismo sociale.

2.4.5

Il contributo del turismo sociale allo sviluppo mondiale. Si è già menzionato che il turismo, e in particolare il turismo sociale, può tradursi per molti popoli in una via d'uscita da una situazione di sottosviluppo, di crisi industriale edi abbandono delle attività minerarie, industriali o agricole. Esiste una totale coincidenza tra le condizioni di sviluppo del turismo sociale e quelle per cui un territorio e i suoi abitanti trovano nell'attività turistica il motore del proprio sviluppo. Nella misura in cui la popolazione può vivere dell'attività turistica, vengono potenziate l'economia locale e l'integrazione sociale. Come hanno raccomandato numerosi organismi internazionali, l'attività turistica costituisce un ottimo antidoto contro le guerre e i disastri di ogni tipo che esse provocano. Il turismo è accoglienza, scambio, valorizzazione della realtà locale, amicizia e comunicazione interpersonale, mentre la guerra è aggressione, invasione e distruzione della natura. Se si ama soltanto ciò che si conosce, il turismo rappresenta uno strumento di avvicinamento, di conoscenza tra i popoli ed è pertanto uno strumento di pace, armonia e sviluppo. Dal canto suo, il turismo sociale può e deve riaffermarsi e contribuire alla realizzazione in tutto il mondo di condizioni di uguaglianza, giustizia, democrazia e benessere per consentire uno sviluppo di tutti i popoli del mondo basato sulla solidarietà.

2.5

Principi, condizioni e gestione del turismo sociale. È importante analizzare gli elementi ed i criteri che definiscono le attività del turismo sociale e le relative modalità di gestione. Questo ci consentirà di distinguere tra ciò che si può definire turismo «sociale» e ciò che non merita tale appellativo. Seguono alcuni criteri che secondo il BITS definiscono il concetto generale di turismo sociale:

avere come finalità principale di base l'ampliamento dell'accessibilità delle attività turistiche a tutti i gruppi sociali che vi hanno accesso con difficoltà o ad alcuni di essi,

essere aperto a gruppi e a settori molto diversi tra loro. Essere aperto anche a varie formule di gestione e a vari tipi di operatori attivi nel settore,

definire correttamente i gruppi a cui si rivolgono le attività (classi sociali, fasce di età, disabili), fermo restando il criterio della non discriminazione in base alla razza, alla cultura o alla situazione sociale,

comprendere iniziative e obiettivi di carattere umanistico, pedagogico, culturale e in generale di sviluppo personale,

essere trasparente sotto il profilo del regime economico dell'attività in base al quale gli utili si limitano al livello necessario per il raggiungimento degli obiettivi sociali,

integrare nel prodotto turistico un valore aggiunto di tipo non monetario,

manifestare una chiara volontà di integrazione, in maniera sostenibile, dell'attività turistica nel contesto della destinazione,

gestire il personale secondo criteri di valorizzazione e integrazione, sulla base della qualità del posto di lavoro dei lavoratori delle organizzazioni operanti nel settore del turismo sociale.

Questi criteri e altri simili possono servire da un lato come linee guida per gli operatori del turismo sociale, e dall'altro come punti di riferimento per identificare la presenza di questa attività.

2.6

La redditività delle imprese e il turismo sociale. Il turismo sociale deve essere ed è un'attività economica, certo non unicamente economica, ma come tale deve essere gestita in base ai principi fondamentali sia della redditività degli investimenti che della generazione degli utili necessari per proseguire e conseguire gli obiettivi originari. Solo le imprese sia competitive che redditizie in senso lato possono operare in base a criteri di qualità, sicurezza e garanzia per i consumatori. La variegata realtà del turismo sociale al giorno d'oggi dimostra che le imprese e le organizzazioni operanti in questo settore sono redditizie quando già dispongono di una struttura consolidata, di un mercato adeguato e di prezzi appropriati per tale mercato. A tale riguardo va menzionata la creazione di posti di lavoro riconducibile alle organizzazioni del turismo sociale, sia nel corso dell'intero anno che durante i periodi di scarso sfruttamento della capacità, ovviando così alla disoccupazione dei lavoratori interessati.

2.7

La redditività sociale del turismo. Se il turismo è un'attività economica, esso è anche chiaramente un'attività sociale, con benefici sociali: l'utente riceve vantaggi in termini di vacanze, i lavoratori del settore in termini di posto di lavoro, e la società nel suo insieme in termini di benefici per la collettività. Per quanto riguarda l'europa, il turismo sociale contribuisce alla costruzione dell'Europa dei cittadini, contributo che sicuramente crescerà in futuro. I viaggi effettuati dal maggior numero possibile di cittadini nei vari paesi europei si tradurranno indubbiamente in un maggior livello di conoscenza, comprensione e tolleranza.

2.8

Diverse concezioni e visioni del turismo sociale in Europa. Vi sono oggi diverse concezioni del turismo sociale nei vari Stati membri dell'Unione che svolgono programmi di questo tipo, ma si può affermare che vi sono tre elementi comuni:

la capacità reale di avere tempo libero per andare in vacanza,

la capacità monetaria per potersi spostare e viaggiare,

l'esistenza di modalità, strutture o strumenti che consentano di fruire in pratica di tali diritti.

2.8.1

Si possono così far rientrare nel turismo sociale il complesso di viaggi e di attività organizzato dai sindacati, quello di tipo familiare, quello di ispirazione religiosa, quello organizzato dalle imprese per i propri lavoratori, quello organizzato dalle istituzioni pubbliche, quello organizzato per i disabili, i giovani, gli anziani, e altre svariate realtà.

2.9

Gli organismi operanti nel settore del turismo sociale. Esiste inoltre una gran varietà di organismi operanti nel settore del turismo sociale in tutta Europa, tra cui:

le federazioni e i consorzi nazionali,

gli enti pubblici che si occupano esclusivamente di turismo sociale o che svolgono solo alcune attività di turismo sociale,

le associazioni di turismo sociale, sportive o culturali,

gli enti cooperativi,

i sindacati,

gli organismi a gestione mista o paritetica.

3.   I soggetti che agiscono nell'ambito del turismo sociale e il loro ruolo

3.1

Le istituzioni europee. Le istituzioni europee stanno mostrando un crescente interesse nei confronti delle attività di turismo sociale, come dimostrano i vari studi, pareri, relazioni e conferenze organizzati, promossi o coordinati dal Parlamento, dalla Commissione e dal CESE. La loro attività è fondamentalmente incentrata sulla raccolta, sulla classificazione e sulla diffusione dell'ampia gamma di esperienze dei vari paesi europei. La Commissione, in particolare, da un lato si sta facendo promotrice di nuove iniziative al livello degli Stati membri e dall'altro si sta adoperando per mettere in contatto fra loro i responsabili nazionali per iniziative di cooperazione transnazionale. Non sembra che la Commissione si stia assumendo attualmente il ruolo di coordinamento generale a livello comunitario delle esperienze nazionali di turismo sociale. Va dato particolare rilievo all'inchiesta recentemente realizzata dall'unità Turismo della direzione generale Imprese e industria sulla percentuale di cittadini europei che effettuano periodi di vacanza e sui motivi per cui il 40 % circa della popolazione europea non partecipa ad attività turistiche. Non sembra fuori luogo che la Commissione in futuro assuma il ruolo di coordinamento e di integrazione di una piattaforma di turismo sociale a livello europeo, ruolo che non dovrebbe richiedere necessariamente un contributo finanziario da parte delle istituzioni europee per lo sviluppo di tale piattaforma comune transnazionale.

3.2

I governi degli Stati membri. Come si è già affermato in precedenza, la presenza dei governi degli Stati membri dell'Unione europea nelle attività di turismo sociale varia molto da un paese all'altro per motivi legati al loro grado di coinvolgimento nonché per motivi storici, ideologici e sociali. In taluni Stati il governo, sia esso nazionale, regionale o locale, fornisce notevoli aiuti finanziari, aiuti spesso distribuiti a diversi gruppi sociali (i giovani, gli anziani, i disabili, le persone sfavorite, ecc.). Attualmente i governi si stanno adoperando per superare i limiti nazionali dei loro programmi di turismo sociale attraverso modalità di scambio transnazionale.

3.3

Gli imprenditori. È importante tenere in considerazione il fatto che esistono iniziative, come il cosiddetto «buono vacanze», mediante le quali i datori di lavoro offrono un contributo economico per permettere ai loro dipendenti di andare in vacanza. Va ricordato inoltre che, come si è già affermato, il turismo sociale è un'attività economica di grande rilevanza e forza e come tale attira gli imprenditori del settore turistico, che vi vedono la possibilità di espandere la propria attività di prestazione di servizi o di intermediazione. Un'iniziativa degna di nota è quella di Mundo Senior, un'impresa spagnola che raccoglie diverse grandi imprese turistiche inizialmente unitesi per gestire il programma di turismo sociale del ministero del Lavoro e della sicurezza sociale e che ha in realtà ampliato il proprio oggetto sociale e la propria attività offrendo prodotti turistici destinati in modo specifico agli anziani. È evidente che il requisito della competitività non si oppone al carattere sociale dell'attività. È chiaro che in futuro possono e devono svilupparsi iniziative di partenariato pubblico-privato sia all'interno dei vari Stati membri sia tra i diversi paesi per dar vita a programmi di turismo sociale redditizi.

3.4

I lavoratori. Sin dalle origini del fenomeno del turismo sociale, i sindacati, quali organizzazioni di tutela dei lavoratori, sono stati molto presenti nelle attività turistiche per ottenere benefici per i loro affiliati. Tale presenza si è tradotta nel sostegno alle infrastrutture materiali, ai centri di vacanza, alle residenze, ecc. oppure nella semplice erogazione di un servizio specializzato. Sebbene le esperienze e il grado di coinvolgimento varino da un paese all'altro, in quasi tutti i paesi esiste una qualche forma di turismo sociale di origine sindacale. A tale proposito vanno menzionate in particolare le organizzazioni sindacali presenti nei nuovi paesi membri dell'UE, alla ricerca di un valido modello di turismo sociale e di contatti con organismi che hanno esperienze più consolidate. Nel maggio 2005 il BITS ha inoltre effettuato un interessante studio riguardante le attività di tipo turistico svolte dalle varie organizzazioni sindacali a favore dei lavoratori, studio che passa in rassegna una per una le attività in corso negli attuali 25 Stati membri europei. Si tratta indubbiamente di un adeguato strumento per la conoscenza e l'analisi della realtà di questo fenomeno.

3.5

Le associazioni specializzate. Tra le varie associazioni esistenti vanno menzionate da un lato le cooperative di consumatori, che in alcuni paesi (Italia e Regno Unito) dispongono di un'ampia rete di agenzie che organizzano attività di turismo sociale. Meritano una citazione anche le organizzazioni giovanili e ambientali che operano in questo ambito. In questa sezione vanno menzionati anche gli organismi di carattere associativo delle stesse organizzazioni dedite al turismo sociale: è questo il caso del BITS, che svolge attività di sostegno, coordinamento e promozione di importanza vitale.

3.6

I gruppi coinvolti direttamente o indirettamente nel turismo sociale. È chiaro che gli utenti sono i veri protagonisti dei vari programmi e delle diverse attività di turismo sociale. Sono loro a beneficiare in primo luogo di certi vantaggi economici che consentono loro di godere del loro tempo libero e delle loro vacanze praticando le attività sportive e culturali favorite. In secondo luogo sono proprio loro a trarre vantaggio da un turismo rispettoso delle risorse territoriali, patrimoniali e ambientali e dalla relazione che si instaura tra gli utenti stessi e con gli abitanti dei luoghi di accoglienza, tutte attività che consentono di promuovere la conoscenza reciproca tra le persone, il riposo e lo sviluppo personale. Anche le comunità locali in cui viene praticato il turismo sociale ne traggono vantaggi, in termini di creazione di posti di lavoro, di promozione dell'attività economica e di sviluppo.

4.   La realtà attuale del turismo sociale in Europa

4.1

Quadro teorico, normativo e programmatico. Sebbene in Europa il quadro teorico, normativo e programmatico del turismo sociale non sia attualmente molto ricco, sono relativamente abbondanti gli studi e le ricerche che cercano di catalogare e analizzare in modo comparato le varie realtà del turismo sociale esistenti in Europa. Alcune di esse sono riportate nella sezione D del presente parere come riferimenti bibliografici e tecnici.

4.2

Diverse esperienze concrete in Europa. Come segnalato in precedenza, nel corso dei lavori del gruppo di studio, durante l'audizione svoltasi a Barcellona il 4 e 5 maggio 2006, e attraverso le esperienze illustrate nel corso della conferenza intitolata Turismo per tutti organizzata dalla Commissione e dal BITS, è stato possibile rilevare e conoscere numerose esperienze concrete portate avanti in Europa, le quali possono essere considerate veramente positive. L'obiettivo del presente parere non è di analizzare nei minimi dettagli tali esperienze ma di citarne alcune tra le più significative, le quali certamente contribuiranno a mettere in luce il valore del turismo sociale e potranno dare un orientamento agli sforzi di altri operatori del settore o degli Stati o enti territoriali che, per vari motivi, non dispongano di programmi in questo ambito.

4.2.1

L'Agenzia nazionale dei buoni vacanze (ANCV) in Francia, il cui fatturato è molto elevato e nel 2005 è stato valutato intorno al miliardo di euro. L'Agenzia è un ente pubblico di carattere industriale e commerciale creato nel 1982 e dopo più di 23 anni di lavoro continua ad essere uno strumento utile di politica sociale a favore del turismo.

4.2.1.1

I suoi obiettivi si articolano intorno a tre assi:

consentire al maggior numero possibile di persone, in particolare quelle con il reddito più basso, di andare in vacanza,

offrire libertà di scelta, grazie ad una vasta rete di professionisti del turismo in grado di soddisfare con un buon livello qualitativo qualsiasi richiesta,

contribuire allo sviluppo turistico grazie ad una migliore ripartizione territoriale dell'attività turistica.

4.2.1.2

È opportuno sottolineare che ogni anno due milioni e mezzo di persone percepiscono il buono vacanze, il quale consente a 7 milioni di persone di viaggiare. Gli organismi che partecipano al suo finanziamento sono più di 21.000, mentre gli operatori nel campo del turismo e del tempo libero che prestano i loro servizi sono circa 135.000.

4.2.1.3

Il programma permette inoltre a gruppi particolarmente svantaggiati, a gruppi di invalidi, ai giovani, ecc. di viaggiare grazie a borse di viaggio il cui valore ammonta a 4 milioni e mezzo di euro. Di una certa importanza è anche l'attività d'investimento dell'Agenzia, volta a modernizzare le attrezzature del turismo sociale.

4.2.1.4

Pare che la continuità e la redditività del programma siano nel complesso assicurate; senza dubbio gli studi economici confermano che grazie all'impatto sull'attività economica vi sia un reale rientro finanziario.

4.2.1.5

L'obiettivo dell'Agenzia per gli anni futuri è quello di estendere e diffondere la sua attività tra gli utenti e gli operatori del turismo. Un altro obiettivo potrebbe forse essere quello di dare carattere transnazionale al programma, mediante accordi con altri paesi europei. I vantaggi sarebbero certamente reciproci, esemplari e di grande portata economica e sociale.

4.2.2

Il programma di turismo sociale dell'Imserso in Spagna, che risponde ad obiettivi analoghi ma con un approccio distinto e con strumenti diversi. In questo caso, più di un milione di persone, in prevalenza anziani, approfittano annualmente di viaggi organizzati in gruppo e in periodi di bassa stagione. Lo Stato spagnolo investe annualmente nel programma circa 75 milioni di euro. Tuttavia, grazie a diversi meccanismi fiscali (IVA, l'imposta sulle attività economiche, l'imposta sugli utili delle imprese e sul reddito delle persone fisiche), grazie ad un aumento degli introiti derivanti dai contributi alla previdenza sociale e grazie alle economie realizzate sui sussidi di disoccupazione, il programma riesce ad ottenere circa 125 milioni di euro, con una grande redditività economica.

4.2.2.1

Il programma è caratterizzato da una redditività sociale ed economica ben evidente. Innanzitutto, ha permesso ad ampi strati della popolazione anziana di viaggiare per la prima volta, di conoscere altre città e altre realtà, di allargare le relazioni sociali su un piano di parità, di migliorare lo stato fisico, il tutto seguendo principi adeguati di qualità e garantendo la soddisfazione degli utenti. Inoltre, per ogni euro investito nel programma, è stato possibile recuperare un euro e settanta centesimi.

4.2.2.2

È opportuno sottolineare l'importanza di questo programma sul piano dell'occupazione. Sono infatti circa 10.000 i lavoratori diretti che durante la bassa stagione non perdono il loro impiego, in quanto gli alberghi, gli altri stabilimenti e gli altri servizi restano aperti.

4.2.2.3

Il programma è in costante crescita ed evoluzione e va alla ricerca di nuove formule di turismo sociale che abbiano contemporaneamente un maggiore valore culturale, sanitario e sociale, come è il caso dei soggiorni termali, di indiscusso successo, o dei circuiti e degli eventi culturali.

4.2.2.4

Così come accade in Francia, le possibilità di crescita del programma sono molto elevate, non solo all'interno del paese ma anche a livello transnazionale. Attualmente l'Imserso è già convenzionato con il suo omologo portoghese per uno scambio di turisti e si propone di fare lo stesso con la Francia. Questo potrebbe rivelarsi un modello esportabile di grande valore per gli altri paesi europei.

4.2.3

Altre esperienze. Oltre a questi due importanti programmi di turismo sociale, esistono in Europa altri buoni esempi, forse più limitati e maggiormente centrati su un gruppo specifico di utenti, ma non per questo meno positivi. È ad esempio il caso della Piattaforma rappresentativa statale degli invalidi fisici (Predif), illustrata nel corso dell'audizione di Barcellona, destinata ad un gruppo ben specifico, ma che gestisce a favore di tale gruppo un nutrito programma di vacanze.

4.2.3.1

Da un altro punto di vista molto interessante, è importante citare l'esperienza condivisa da tre organizzazioni, una britannica ( Family Holiday Association ), una belga ( Tourisme Vlaanderen ) e una francese ( Vacances Ouvertes ), che si coordinano tra di loro per concretizzare il principio «Turismo per tutti» nei loro tre paesi.

4.2.3.2

Attività di turismo sociale esistono anche in altri Stati europei. È il caso, tra l'altro, di Portogallo, Polonia e Ungheria, in cui assumono un ruolo importante i sindacati, e dell'Italia, che dispone di un programma promosso dalle cooperative di consumo. Per concludere, si può affermare che il numero di esperienze, la quantità di utenti e la diversità si stanno consolidando e ampliando in tutta Europa.

4.2.3.3

Analogamente, è opportuno constatare che alcune regioni e comuni stanno portando avanti, in diverse forme, esperienze di turismo sociale. È il caso della Comunità autonoma delle Isole Baleari con il suo Piano OCI 60.

4.2.3.4

Inoltre, sempre in ambito regionale, il governo dell'Andalusia (Spagna) ha elaborato il programma di Residenze per il tempo libero e il programma Conoce tu costa , basato sulla cooperazione tra l'amministrazione regionale e i comuni per favorire il turismo di persone anziane all'interno della stessa Comunità autonoma.

4.2.3.5

Va citata infine la presenza del turismo sociale nel portale dell'Unione europea sul turismo (www.visiteurope.com), che opera come centro di consultazione per tutta l'attività turistica europea, compreso il turismo sociale.

4.3

Valutazione globale del turismo sociale. Tra i numerosi valori che il turismo sociale esprime e apporta alla società si possono menzionare:

la soddisfazione degli utenti, non solo per la vacanza in sé, quanto per la maniera «speciale» in cui essa si svolge,

la dimensione e i valori umani dell'attività,

un miglior equilibrio e un maggior grado di sviluppo personale degli utenti e delle comunità di accoglienza,

la redditività e i benefici economici nell'industria turistica, specie per via dell'allungamento dell'alta stagione,

il suo impatto positivo sulla creazione di posti di lavoro stabili e di qualità durante tutto l'anno,

il mantenimento di condizioni di sostenibilità nelle destinazioni turistiche,

la valorizzazione della realtà locale, delle sue risorse naturali, sociali, culturali e patrimoniali,

il potenziamento delle conoscenze e degli scambi tra i diversi paesi dell'Unione.

4.3.1

Tutto questo insieme di valori, unitamente alle realtà del turismo sociale già esistenti e riconosciute valide, alle prospettive di crescita di questa attività e alla ricerca e all'introduzione di nuovi prodotti, conferiscono al turismo sociale in Europa un'immagine estremamente positiva sotto tutti i punti di vista.

4.3.2

Questa immagine positiva in tutti gli aspetti e sotto tutte le angolazioni è quello che ci permette di definire comunemente l'attività del turismo sociale un «miracolo», in cui tutti gli operatori e gli utenti conseguono ogni tipo di vantaggio: vantaggi economici, sociali, sanitari, occupazionali, di cittadinanza europea …, nessuno può sentirsi danneggiato da questa attività. In definitiva è difficile trovare un'attività umana ed economica che goda di un riconoscimento e di un sostegno tanto unanimi.

4.3.3

Tenendo conto di quanto precede, non resta che raccomandare vivamente, nell'ambito del presente parere, proposte e formule che, da un lato, consentano di consolidare e migliorare i programmi esistenti e, dall'altro, estendano i loro effetti positivi ad un maggior numero di cittadini.

B.   PARTE SECONDA: PROPOSTE

5.   Per una piattaforma europea nel campo del turismo sociale

5.1

Condizioni preliminari. Nei punti precedenti si è potuto constatare che, a prescindere dalla sua definizione, dalle sue modalità di finanziamento e di gestione, il turismo sociale è una realtà socioeconomica potente, redditizia e stabile che, da un lato, raggiunge i propri obiettivi con un elevato livello di soddisfazione da parte degli utenti e, dall'altro, contribuisce all'occupazione e alla destagionalizzazione dell'attività turistica. Si tratta pertanto di una realtà di notevole rilevanza in tutto il mondo e in modo particolare in Europa. La questione è quindi di vedere come estendere e generalizzare l'effetto benefico attualmente esercitato dal turismo sociale sulle persone, sulle imprese e sulla società nel suo insieme.

5.1.1

Non è facile riassumere in un unico concetto un'attività come quella del turismo sociale a livello europeo: si può parlare di piattaforma, di progetto, di programma o di iniziativa. Pur non avendo lo stesso significato, tutti questi concetti fanno riferimento ad un'attività organizzata di ambito sopranazionale europeo che presenta alcuni obiettivi ben definiti. Nel presente parere, visto che si tratta di una proposta generica, questi sostantivi saranno utilizzati in maniera indifferenziata, nell'attesa che questa piattaforma futura scelga, nell'ambito della propria realtà, il termine più idoneo.

5.1.2

D'altro canto si constata che la realtà turistica a livello europeo presenta al momento diverse carenze ed è soggetta a diverse minacce nel medio termine:

l'aggravamento del già esteso fenomeno della stagionalità nell'industria turistica, sia nell'Europa settentrionale, sia in quella centrale e sulle coste del Mediterraneo, in cui intere zone risultano abbandonate durante la bassa stagione e mancano infrastrutture adeguate per tutto l'anno,

il sottoutilizzo delle risorse umane durante la media e la bassa stagione,

il notevole incremento della popolazione attiva a causa della migrazione, che rende necessaria l'espansione dell'attività economica per salvaguardare il tenore di vita,

la difficoltà per l'industria turistica di mantenere livelli adeguati di prezzi e di utilizzazione durante tutto l'anno, che garantiscano la sua redditività nel medio termine,

l'esistenza di limiti obiettivi nella ricettività turistica utilizzabile,

la necessità imprescindibile ai fini di uno sviluppo sostenibile dell'industria turistica di incrementare il valore aggiunto della ricettività turistica durante tutto l'anno: aumentando la qualità e quindi il prezzo ovvero innalzando l'utilizzazione media annua mediante l'allungamento della stagione di apertura degli impianti turistici,

l'emergere di numerose destinazioni turistiche in tutto il mondo che offrono prodotti e servizi innovativi concorrenziali. Questa nuova concorrenza deve essere anzitutto un nuovo stimolo per migliorare sia in qualità che in competitività.

5.1.3

Esistono, tuttavia, fattori che rappresentano chiare opportunità in termini di fattibilità di un'eventuale piattaforma di turismo sociale europeo:

l'incremento graduale, in termini sia assoluti che relativi, del numero di cittadini europei che non svolgono alcuna attività e che dispongono però di una pensione e di un tenore di vita adeguati,

l'aumento progressivo della speranza di vita dei cittadini europei,

l'aumento del tempo libero di cui dispone in media ciascuno nel corso della vita, specie in età matura,

la riduzione dei costi di trasporto grazie al boom delle compagnie aeree a basso costo, fenomeno che promuove la mobilità e il turismo,

la crescita del livello culturale, che incoraggia un'attività turistica responsabile e sostenibile,

la presenza di esperienze positive nell'ambito dei programmi di turismo sociale in tutta Europa,

l'adesione di nuovi paesi all'Unione europea, il che amplia il mercato e con esso le possibilità e le opportunità di viaggiare.

5.2

Un'eventuale piattaforma di turismo sociale europeo potrebbe avere diversi obiettivi, tra cui:

generalizzare e ampliare sia i programmi attuali che il numero di utenti del turismo sociale nei vari paesi europei fino a quando tutti gli Stati non dispongano di un proprio programma,

integrare gli elementi transnazionali dei programmi già esistenti attraverso accordi di cooperazione di tipo bilaterale o multilaterale,

creare le condizioni propizie per la messa a punto e l'avvio di una piattaforma di turismo sociale di portata europea, della quale tutti i cittadini europei possano beneficiare per visitare altri paesi a costi accessibili e in maniera sostenibile. A tale proposito sarebbe interessante conoscere il numero di cittadini europei che non si è mai recato in un altro paese europeo; si tratterebbe sicuramente di un gruppo piuttosto numeroso che potrebbe svolgere un ruolo chiave nel programma stesso,

promuovere l'affermarsi graduale di un'attività di turismo sociale su scala europea a cui partecipino il maggior numero possibile di Stati.

5.3

Gli operatori e i gruppi coinvolti nella piattaforma di turismo sociale europeo. Tra i gruppi e gli operatori che potrebbero essere eventualmente coinvolti si possono menzionare:

le organizzazioni che attualmente gestiscono i programmi di turismo sociale nei vari paesi,

le organizzazioni sindacali e le cooperative interessate allo sviluppo del programma,

gli imprenditori del settore turistico (nel senso più ampio del termine) interessati al miglioramento della redditività delle loro strutture in maniera sostenibile,

i governi nazionali, regionali e locali interessati ad intervenire nel settore turistico, a contribuire al suo miglioramento e a promuovere lo sviluppo personale e sociale dei loro cittadini,

l'Unione europea e le sue istituzioni, interessate ad ampliare e a promuovere l'occupazione, le attività economiche e il concetto di cittadinanza europea. In considerazione delle dimensioni sovranazionali della piattaforma, le istituzioni dell'Unione europea dovrebbero svolgere anche un ruolo di coordinamento e di monitoraggio nei confronti delle condizioni di sviluppo del programma, ed essere leader nella sua introduzione,

le organizzazioni di turismo sociale, specie il BITS.

5.4

Elementi essenziali del turismo sociale europeo. Per essere realizzabile dal punto di vista sociale ed economico, la piattaforma di turismo sociale dovrebbe includere i seguenti elementi:

essere rivolta ai gruppi meno favoriti dal punto di vista socioeconomico o territoriale. In particolare ai disabili fisici e mentali o a gruppi con difficoltà di spostamento derivanti dalla realtà geografica in cui vivono, come per esempio gli abitanti delle isole europee. Questo implica farsi carico del finanziamento parziale, equo e paritario del viaggio e dei soggiorni, indipendentemente dalla durata, in modo da compensare la realtà delle persone svantaggiate, intese in senso molto ampio,

essere complessivamente redditizio dal punto di vista socioeconomico, nel breve, medio e lungo termine, nel settore pubblico e in quello privato,

creare occupazione stabile e di qualità durante tutto l'anno. Per realizzare l'obiettivo dell'occupazione, è necessario assicurare una gestione centralizzata e cercare di ottenere il massimo dal soggiorno nelle strutture turistiche,

svolgersi nei periodi di bassa stagione turistica,

essere attuato in condizioni di sostenibilità e mirare a esperienze arricchenti sotto il profilo sia personale che sociale tanto per gli utenti quanto per le comunità di accoglienza,

salvaguardare un elevato livello di qualità delle prestazioni in linea con gli obiettivi da raggiungere,

assumere la forma di partenariato pubblico-privato.

Se queste condizioni vengono rispettate, il turismo sociale sarà, senza dubbio, un elemento integrante fondamentale del modello di turismo europeo.

5.5

La cooperazione tra il settore pubblico e quello privato nel quadro del progetto. Se, da un lato, può rappresentare un forte condizionamento, dall'altro, un'efficace cooperazione tra il settore pubblico e quello privato nelle fasi di concezione, messa a punto e gestione del progetto può favorire la fattibilità del programma. Non dovrebbe essere difficile trovare organizzazioni e imprese europee disposte a parteciparvi.

6.   Effetti e risultati di una piattaforma di turismo sociale europeo

6.1

Impatto sulla crescita e sull'occupazione. In caso di avvio della piattaforma, nelle sue diverse articolazioni, gli effetti sulla crescita e sull'occupazione sarebbero considerevoli, contribuendo indubbiamente al conseguimento dell'obiettivo fissato nel vertice di Lisbona. Per esempio, l'esperienza dell'Imserso in Spagna è una chiara dimostrazione degli effetti positivi del turismo sociale sul mantenimento e la creazione di posti di lavoro durante la bassa stagione.

6.2

Impatto sull'effettivo diritto di accesso al turismo. Se è vero che, secondo le statistiche disponibili, attualmente circa il 40 % della popolazione non va in vacanza, la piattaforma di turismo sociale europeo avrebbe come obiettivo la riduzione di detta percentuale e indubbiamente aiuterebbe in modo sostanziale a conseguirlo e a realizzare concretamente il diritto a un turismo per tutti, contribuendo alla conoscenza reciproca dei popoli d'Europa.

6.3

Effetti sul modello turistico europeo. In vari pareri in materia di turismo, il CESE ha espresso la convinzione che la costruzione di un modello di turismo europeo, basato non tanto sulle norme quanto su valori generalmente accettati e applicati, sia possibile. Uno dei principi alla base di tale modello sarebbe sicuramente l'universalizzazione del turismo, il cosiddetto turismo per tutti. La piattaforma di turismo sociale europeo potrebbe contribuire notevolmente a promuovere tale modello.

7.   Il contributo del turismo, e in particolare del turismo sociale, alla creazione di un'identità e di una dimensione europea

7.1

Si è potuto recentemente constatare che la costruzione europea non è un cammino semplice né breve: ancora oggi persistono infatti molte incertezze e difficoltà da superare. Il turismo sociale può costituire pertanto un potente strumento di informazione, di mutua conoscenza fra i cittadini e di solidarietà fra i popoli: esso può contribuire a costruire l'Europa dei cittadini, non con sforzi o sacrifici bensì mediante la fruizione del tempo libero, dei viaggi e delle vacanze. In particolare sembra che i giovani siano un gruppo che può intensificare i suoi viaggi nell'alta stagione, periodo in cui diverse strutture residenziali per studenti non sono occupate e potrebbero accogliere temporaneamente attività turistiche analoghe al programma Erasmus.

7.2

L'attività turistica pare un buon modo di costruire l'Europa dei cittadini; i differenti gruppi in questione, il settore economico turistico e le comunità locali possono trovare una convergenza di interessi e farlo in maniera gradevole e accessibile a tutti.

C.   PARTE TERZA: CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

8.   Conclusioni

8.1

Dopo aver analizzato, nell'ambito del presente parere, la situazione attuale del turismo sociale in Europa, si può innanzitutto concludere che si tratta di un'attività sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale, nonché di primaria importanza in ciascuno di questi tre ambiti.

8.2

I vantaggi economici e sociali per la salute e l'integrazione di cui godono tutti gli utenti e gli operatori che partecipano ai programmi sono ampiamente riconosciuti a livello generale e presentano un grande valore aggiunto.

8.3

I diversi gruppi di utenti del turismo sociale, in particolare gli invalidi e le persone a mobilità ridotta, ottengono dai programmi un contributo straordinario per la loro piena integrazione in quanto individui.

8.4

La realtà del turismo sociale in Europa presenta una grande diversità di operatori, di forme di sviluppo, di obiettivi pubblici, di strumenti finanziari, ecc., che l'arricchisce, la diversifica e contribuisce al suo sviluppo e alla sua evoluzione.

8.5

Un'altra conclusione particolarmente importante riguarda la dimostrazione del fatto che tale attività presenta una redditività sociale compatibile con quella economica e positivamente legata ad essa.

8.6

È economicamente fattibile e socialmente auspicabile che ogni paese europeo elabori un programma nazionale di turismo sociale e che tale programma presenti diversi approcci e formule di gestione.

8.7

Anche la creazione di una piattaforma o programma transnazionale di turismo sociale europeo risulta economicamente fattibile e socialmente auspicabile.

8.8

Qualsiasi attività nel campo del turismo sociale deve prevedere, nel suo sviluppo, un insieme di valori improntati alla sostenibilità e alla creazione di posti di lavoro, in linea con la strategia di Lisbona.

8.9

Il turismo sociale può costituire uno strumento di grande valore per la creazione di un'Europa dei cittadini, di tutti i cittadini, ma in questo processo assume grande importanza, in particolare, il ruolo dei giovani.

8.10

Il turismo sociale è un'attività che apporta una serie di valori che possono far parte integrante del modello turistico europeo.

8.11

Tutte le comunità locali europee possono beneficiare dalle attività di turismo sociale in virtù del contributo di quest'ultimo alla salvaguardia del patrimonio culturale e locale.

8.12

In guisa di conclusione generale va detto che l'attività di turismo sociale è oggi un'attività matura, con ampia diffusione in numerosi Stati d'Europa, con buoni gestori e strutture organizzative adeguate, pronta a fare il salto per estendersi in modo generalizzato in tutti i paesi e per dare un carattere transnazionale alla sua offerta di servizi, che porti con sé un aumento quantitativo e qualitativo dei suoi obiettivi.

9.   Raccomandazioni

9.1

La raccomandazione fondamentale da rivolgere ai potenziali utenti dei programmi del turismo sociale è chiaramente quella di invitarli a partecipare ad un'attività come il turismo, alla quale hanno diritto come persone, ma cui non hanno avuto accesso per una serie di circostanze. Il turismo sociale è un fattore di chiara e profonda integrazione, di conoscenza e di sviluppo personale e in quanto tale la partecipazione alle sue attività è auspicabile.

9.2

Per quanto concerne i diversi operatori che partecipano alla gestione dei vari programmi del turismo sociale, è in primo luogo opportuno riconoscere i vantaggi della loro attività, il loro impegno a svolgere la funzione di organizzatori e l'attenzione posta nella prestazione di un servizio accessibile ma di qualità agli utenti. Tuttavia, è anche opportuno incoraggiare detti operatori a migliorare costantemente i loro prodotti e servizi, ad investire nel potenziamento delle infrastrutture e a creare nuovi prodotti, specie di carattere transnazionale. Il coordinamento dei programmi e l'associazionismo degli organismi responsabili sono buoni strumenti per il miglioramento e lo scambio di esperienze.

9.3

Alle imprese del settore turistico si raccomanda di partecipare con impegno alle attività del turismo sociale. Quest'ultimo presenta valori compatibili con una corretta gestione imprenditoriale, con la competitività e la redditività, a breve ma soprattutto a media e lunga scadenza, e permette di garantire posti di lavoro a molte persone durante tutto l'anno.

9.4

Alle istituzioni e ai governi nazionali, regionali e locali si raccomanda di promuovere la creazione di programmi di turismo sociale, per via dei benefici sociali ma anche economici che tali programmi presentano. Il maggior gettito da imposte o da contributi e le economie sui sussidi di disoccupazione sono chiaramente degli incentivi a fornire adeguate sovvenzioni a gruppi svantaggiati dal punto di vista economico, sociale o fisico nella certezza di recuperare i costi e di garantire la redditività.

9.5

Alle istituzioni europee si raccomanda di considerare il turismo sociale come un'attività importante che condivide i suoi obiettivi con il turismo in generale e con la politica sociale. È un'attività che merita un riconoscimento, uno sviluppo, un'assistenza tecnica specializzata, un sostegno e un incentivo non necessariamente di carattere economico. L'animazione, il coordinamento tecnico, la diffusione di esperienze e l'essere un punto di incontro per la conclusione di accordi transnazionali sono alcune delle funzioni che la Commissione, attraverso l'unità Turismo, potrebbe svolgere con i suoi stessi mezzi per l'istituzione di una grande piattaforma/programma europeo di turismo sociale. La leadership della Commissione in questi aspetti della promozione del turismo sociale sarebbe indubbiamente un valido strumento per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

9.6

Tutte le istituzioni dovrebbero porsi la questione del rafforzamento delle loro politiche di eliminazione di tutti i tipi di barriere, nelle infrastrutture di comunicazione, nelle strutture ricettive e nei servizi turistici. Il caso delle isole europee è un esempio evidente del fatto che la realtà geografica condiziona pesantemente la mobilità e l'accesso al turismo dei cittadini delle isole.

9.7

Il Parlamento europeo dovrebbe lanciare iniziative per promuovere un dibattito e adottare risoluzioni per incentivare il turismo sociale in Europa, in considerazione della sua dimensione politica, sociale ed economica.

9.8

Il CESE è d'accordo sul fatto che il presente parere sia pubblicato e diffuso come Dichiarazione di Barcellona sul turismo sociale europeo, e che rappresenti il contributo del CESE al Forum europeo sul turismo e alla Giornata mondiale del turismo, entrambi previsti quest'anno.

D.   PARTE QUARTA: RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E TECNICI

Les différentes notions du tourisme social: l'évolution de l'offre et de la demande, Commissione europea, DG XXIII, unità Turismo, 1993

Dichiarazione di Montreal. Per una visione umanistica e sociale del turismo, BITS, settembre 1996

Codice etico mondiale del Turismo. OMT Santiago del Cile, 1o ottobre 1999

Atti del seminario sugli aiuti alle vacanze nell'Unione europea, Parlamento europeo, Strasburgo, marzo 2000

Les concepts de tourisme pour tous et de tourisme social dans l'Union Européenne, BITS, seminario di Bruges, giugno 2001

Relazione sui risultati del sondaggio Turismo per tutti, giugno 2001

Parere del CESE sul tema Un turismo accessibile a tutti e socialmente sostenibile, ottobre 2003

Studio sul programma di vacanze per la terza età, Imserso, Spagna, maggio 2004

Forum europeo del turismo sociale, BITS, Budapest, aprile 2005

Relazione sul turismo e lo sviluppo (A6-0173/2005), Parlamento europeo, maggio 2005

Relazione sulle nuove prospettive e le nuove sfide per un turismo europeo sostenibile (A6-0235/2005), Parlamento europeo, luglio 2005

Turismo accesible para todas las personas, piano di azione del CERMI (Comité Español de Representantes de personas con Discapacidad), dicembre 2005

Consultation sur les activités en matière de tourisme pour les travailleurs, BITS, Bruxelles, maggio 2005

Conferenza europea sul turismo sociale, la crescita economica e l'occupazione, Govern Balear, Palma di Maiorca, novembre 2005

Conferenza Tourisme Pour Tous: État des lieux et pratiques existantes dans l'UE, Commissione europea, direzione generale Imprese e industria, unità Turismo, gennaio 2006.

Congresso mondiale del turismo sociale in Provenza, Verso un turismo di sviluppo e di solidarietà, Aubagne (Francia), maggio 2006.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Direzione generale XXIII, Unità Turismo — Les différentes notions du tourisme social: l'évolution de l'offre et de la demande (Le diverse nozioni di turismo sociale: l'evoluzione della domanda e dell'offerta).


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche strutturali sulle imprese

COM(2006) 66 def. — 2006/0020 (COD)

(2006/C 318/13)

Il Consiglio, in data 27 marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 285, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Premessa

1.1

Il 20 dicembre 2000, il Consiglio europeo ha deciso di avviare un Programma pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità, in particolare per le piccole e medie imprese  (1). Con questo nuovo quadro di riferimento l'Unione europea mirava a migliorare la competitività delle imprese in una economia fondata sulla conoscenza, a semplificare e a facilitare il loro ambiente normativo, amministrativo e finanziario, soprattutto per favorire la ricerca e l'innovazione, ad agevolare il loro accesso ai servizi, ai programmi comunitari, nonché a promuovere l'imprenditorialità.

1.2

All'inizio del 2003 la Commissione europea ha presentato il Libro verdeL'imprenditorialità in Europa  (2) nel quale sottolineava la necessità di un sostegno mirato e sollecitava politiche strategiche a favore del settore industriale e manifatturiero che, in Europa — ormai da anni — registrava un rischioso rallentamento, soprattutto se comparato con altre aree del mondo.

1.2.1

Le principali azioni suggerite per sostenere ed aumentare lo spirito imprenditoriale in Europa erano:

abbattere le barriere amministrative allo sviluppo dell'impresa,

bilanciare i rischi e i vantaggi dello spirito imprenditoriale,

sollecitare un approccio più positivo a livello di tutta la società riguardo la creazione di nuove imprese.

1.3

Facendo seguito a una consultazione delle parti interessate basata sul Libro verde, nel 2004 la Commissione ha presentato un piano d'azione sulla imprenditorialità (3), che tiene conto delle nuove risposte ricevute, e integra il piano pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità.

1.4

Le materie chiave come la politica industriale, il sostegno ai servizi, l'occupazione quale motore per la crescita economica sono strettamente legate, sia a livello nazionale che europeo, alle priorità di carattere occupazionale e sociale, che rappresentano un obiettivo importante delle scelte politiche dell'Unione europea. Anche in questo campo, negli ultimi anni, le istituzioni europee hanno preso diverse iniziative, tra cui la presentazione da parte degli Stati membri di un piano annuale.

1.5

Con il vertice di Lussemburgo del 1997, fu lanciata la strategia europea per l'occupazione (EES) che, successivamente, fu considerata un elemento chiave della strategia di Lisbona. È infatti la strategia di Lisbona che pone l'obiettivo di ammodernare l'economia europea attraverso l'abbattimento del tasso di disoccupazione e la creazione di posti di lavoro altamente qualificati. Un passaggio imprescindibile per raggiungere questi traguardi è dato dall'attenzione verso le politiche sociali e di pari opportunità fra i diversi livelli della popolazione. Quest'ultimo obiettivo costituisce una sorta di prerequisito, a monte di una sostanziale ristrutturazione del sistema economico, in vista dell'obiettivo del raggiungimento di un tasso di crescita in aumento e di un contesto economico «sano».

1.6

Altri elementi di questo ambizioso progetto dovevano essere lo «Spazio europeo della ricerca», una completa integrazione dei mercati e la creazione di un ambiente favorevole per le piccole-medie imprese. Nella proposta relativa al Programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013)  (4), la Commissione stessa afferma che la promozione delle tecnologie e della ricerca è direttamente connessa con lo sfruttamento delle opportunità offerte dal mercato ai prodotti, servizi e processi aziendali nuovi. Inoltre occorre alimentare la volontà di assumere rischi e sperimentare nuove idee sul mercato. L'insufficiente innovazione è una delle cause principali dei risultati deludenti della crescita europea.

1.7

Per quanto riguarda la coesione sociale, erano auspicati interventi immediati nel campo della formazione e della protezione sociale. Per assicurare il coordinamento fra gli Stati membri nella formulazione delle loro politiche, si prevedeva la possibilità di un meccanismo di coordinamento aperto (MOC), che mettesse a disposizione le migliori pratiche e performance in ciascun campo, attraverso lo scambio delle best practices.

1.8

Grazie proprio alla valutazione di medio periodo della strategia di Lisbona, la Commissione europea presenta nel 2005 una comunicazione su Crescita e occupazione  (5), focalizzando l'attenzione su due punti importanti: realizzare una crescita economica solida e duratura e creare posti di lavoro sempre migliori e più numerosi. Questi obiettivi si ritenevano possibili attraverso una sinergia dei livelli comunitario e nazionale.

2.   Osservazioni generali

2.1

Le trasformazioni del mondo economico e produttivo sono un processo costante e rapido: i diversi settori industriali e i relativi operatori si modificano e si innovano per adeguarsi all'evoluzione del mercato, nel tentativo di rimanere competitivi e di creare opportunità di crescita e di profitto sempre maggiori.

2.1.1

In un mercato come quello europeo, ove le imprese evolvono ad un ritmo incalzante e i tradizionali settori si compenetrano (produzione, commercio, distribuzione, ecc.), accade che la linea di demarcazione tra i vari tipi di attività sia di ardua definizione. Inoltre, nella valutazione e classificazione della tipologia delle imprese, è sempre più difficile stabilire l'ambito preponderante di attività (commerciale, agricolo, manifatturiero, artigianale, servizi, ecc.).

2.1.2

Data l'evoluzione in materia di economia sociale, che riguarda ampie e crescenti percentuali del mercato europeo, le rilevazioni statistiche fanno fatica a tenere il passo con una realtà che si modifica e rinnova continuamente. I rappresentanti di Eurostat affermano di avere avuto difficoltà nella definizione di tale campo perché non sempre le attività di economia sociale sono registrate come attività imprenditoriali. Tuttavia, il Comitato reputa che occorra fare tutto il possibile per misurare la crescente importanza del settore legato all'economia sociale, che è cruciale per la realizzazione degli obiettivi di Lisbona. La mancanza di dati in materia costituisce un ostacolo a una migliore comprensione degli sviluppi del mondo imprenditoriale e del mercato.

2.1.3

Il possedere dunque statistiche strutturali sulle imprese europee, che siano aggiornate e focalizzate soprattutto all'attività, alla competitività, al rendimento e alla struttura delle imprese dell'Unione europea, si è dimostrato essere un obiettivo importante. Nel sottolineare l'importanza del supporto statistico, non bisogna dimenticare che la raccolta di dati e la conseguente elaborazione comporta investimenti in risorse umane e finanziarie che potrebbero essere rilevanti specialmente per le piccole imprese.

2.1.4

La crescita economica è, per tutti i paesi dell'Unione europea, una priorità assoluta, come ribadito in innumerevoli occasioni dal Consiglio europeo e dalle altre istituzioni europee. Tale crescita economica deve essere necessariamente accompagnata dalla nascita di nuovi e migliori posti di lavoro. Ciò deve realizzarsi in tutti i settori, ma particolarmente nell'industria manifatturiera e nel settore dei servizi, in modo da alimentare la crescita stessa e dare la possibilità ai cittadini europei di farne propri i benefici.

2.2

Il modello di sviluppo europeo è un modello che si distingue dagli altri per il ruolo rilevante che viene attribuito alla componente sociale ed alla nozione stessa di sostenibilità della crescita economica. Di questo occorre tenere conto ogni qualvolta le istituzioni europee si propongono di legiferare nell'ambito delle loro competenze.

2.3

Di conseguenza, per dare vita a normative realmente efficaci, utili, coerenti, occorre avere un'idea ben precisa di quella che è la realtà europea industriale. Le scelte politiche si basano su un'analisi della realtà e dei relativi problemi, proponendo soluzioni che prendano in considerazione quanti più elementi possibili, cercando di prevedere anticipatamente l'effetto e l'impatto che le decisioni prese avranno su quella realtà politica, economica, giuridica, sociale, nazionale e territoriale.

2.4

Un fattore fondamentale per un'analisi compiuta ed efficace della realtà è certamente lo strumento statistico. Il lavoro compiuto da Eurostat dalla sua origine a oggi è un supporto prezioso e indispensabile al processo decisionale e politico dell'Unione europea.

2.4.1

Lo strumento statistico riveste una importanza fondamentale perché è in grado di saggiare, studiare e descrivere la realtà fenomenica in numerosi e diversi aspetti. La disponibilità di informazioni statistiche è basilare per la formulazione e la valutazione delle politiche, per la gestione dei servizi e delle funzioni pubbliche, per una migliore regolamentazione giuridica, per un monitoraggio permanente e periodico dei successi e dei progressi apportati dalle politiche adottate.

2.5

Ciò è vero per tutti gli ambiti di competenza dell'Unione europea e, conseguentemente, Eurostat, supportato e coadiuvato dagli istituti di statistica degli Stati membri, ha il compito di elaborare e fornire dati aggiornati e attendibili. Fondamentali sono stati negli ultimi anni i dati raccolti nel campo dell'economia e finanza, dell'agricoltura, delle politiche demografiche, della sicurezza sociale, del commercio, della ricerca scientifica, dell'ambiente, dei trasporti e, non meno importante, del mondo industriale e degli indicatori di mercato che gli sono propri.

2.5.1

Per avere un'idea dell'importanza attribuita al mondo imprenditoriale europeo e al suo sviluppo, basti pensare alle recenti iniziative che la Commissione e il Consiglio hanno preso negli ultimi anni al riguardo.

3.   La proposta di regolamento relativo alle statistiche strutturali sulle imprese

3.1

Il regolamento (CE/Euratom) n. 58/97 approvato dal Consiglio il 20 dicembre 1996 è stato modificato ben quattro volte nel corso di questi ultimi 10 anni, e questa rappresenta l'ultima proposta di rifusione, che permetterebbe una migliore coerenza di analisi ed applicabilità delle politiche e delle strategie mirate a sostegno del mondo industriale e produttivo europeo.

3.1.1

Al fine di rispondere al bisogno accresciuto di statistiche, la Commissione propone alcuni miglioramenti, con un'attenzione particolare ai servizi che sono stati al centro di un ampio dibattito negli ultimi mesi per la loro importanza economica e per le potenzialità non ancora del tutto espresse a livello europeo, inserendo inoltre un annesso sulla demografia delle imprese e dei servizi alle imprese.

3.2

Per una serie di attività relative soprattutto ai servizi alle imprese la Commissione ha verificato che non esistono statistiche dettagliate e recenti; la nuova proposta rappresenta dunque la possibilità di adattare i regolamenti in vigore, in modo che possa essere comparabile l'attività economico-produttiva delle imprese con quella dei servizi.

3.2.1

Inoltre proprio per sostenere delle raccomandazioni strategiche sullo spirito imprenditoriale, la Commissione ha ritenuto necessario disporre di dati armonizzati sulla demografia delle imprese (creazione, attività, cessazione) ed il loro impatto sull'occupazione. I dati «demografici» delle imprese fanno già parte degli indicatori strutturali utilizzati per il monitoraggio degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona. È proprio in questo quadro che va analizzata la proposta di revisione della Commissione.

3.3

La proposta individua lo strumento di riferimento per la raccolta dei dati statistici nel codice NACE (6). La NACE è normalmente utilizzata dai servizi della Commissione per tutte le statistiche articolate per attività economiche. Lo stesso codice NACE ha subito delle revisioni, aggiornamenti resi necessari da esigenze mirate a meglio comprendere le evoluzioni economico-produttive dell'UE.

3.4

La NACE riv. 1.1, indice di riferimento, costituisce un semplice aggiornamento della NACE riv. 1 e non comporta una sua significativa riorganizzazione. L'aggiornamento aveva lo scopo di riflettere:

le nuove attività non ancora esistenti al momento dell'elaborazione della NACE riv. 1,

le attività cresciute in importanza dopo l'elaborazione della NACE riv. 1, in seguito a cambiamenti tecnologici o a modifiche della realtà economica,

le correzioni di errori presenti nella NACE riv. 1 originaria, errori già evidenti all'epoca e non dovuti a cambiamenti della filosofia dell'operazione.

3.4.1

Sarà varata nei prossimi mesi, ed è attualmente al Parlamento europeo in seconda lettura, una ulteriore revisione della NACE, che comporterà nuove modifiche e aggiornamenti.

3.5

La rilevazione statistica, definita dal campo di applicazione (art. 2) è organizzata in moduli, come elencati nell'art. 3 del regolamento proposto:

un modulo comune per le statistiche strutturali annuali,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali nel settore industriale,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali nel settore del commercio,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali nel settore della costruzione,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali nel settore delle assicurazioni,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali sugli enti creditizi,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali sui fondi pensione,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali sui servizi alle imprese,

un modulo dettagliato per le statistiche strutturali sulla demografia delle imprese,

un modulo flessibile per condurre una piccola raccolta di dati ad hoc sulle caratteristiche delle imprese.

3.5.1

Gli ultimi 3 moduli sono stati inseriti con questa proposta di regolamento rifuso e per tutti è previsto un allegato che ne chiarisce i contenuti e l'utilizzo.

3.6

Sono inoltre previsti studi pilota solo per alcuni moduli. Tali studi pilota hanno sempre accompagnato la raccolta dati statistici per moduli; in questo caso è da rilevare l'inserimento di studi pilota ad hoc per il settore della sanità e dell'educazione. Si tratta di studi volontari, che secondo Eurostat servirebbero a dare una valutazione più precisa sulla incidenza delle attività di mercato nei suddetti settori.

4.   Considerazioni particolari

4.1

Il CESE riconosce il contributo fondamentale dello strumento statistico alla definizione delle priorità in materia di politica industriale nel quadro della strategia di Lisbona. Sempre nel (Programma quadro per la competitività e l'innovazione 2007-2013)  (7) la Commissione sostiene l'utilità di analisi comparative quale strumento utile all'elaborazione delle politiche, insieme agli studi e scambi di buone prassi tra autorità nazionali e regionali.

4.2

Per questo il CESE ritiene importante un aggiornamento del regolamento (CE/Euratom) n. 58/97, suggerendo alcune modifiche.

4.3

Nel modulo comune (allegato I), la voce «costi della sicurezza sociale», che era già presente nelle precedenti versioni, alla luce delle novità del mercato interno, risulta essere vaga e di difficile interpretazione. L'organizzazione della sicurezza sociale negli Stati membri è differenziata e si distingue per sistemi e prassi: la stessa definizione di «sistema di sicurezza sociale» è difficile per i 25 paesi dell'UE e andrebbe probabilmente sviluppata e articolata.

4.4

Sempre nell'allegato I, ma si ritrova anche negli allegati seguenti, i dati relativi all'occupazione sono eccessivamente limitati e non rispecchiano una realtà del mercato del lavoro molto più complessa in tutti i paesi dell'UE. Ci si limita infatti a rilevazioni sul numero di dipendenti a tempo parziale e a tempo pieno: la realtà dei rapporti di lavoro è molto più diversificata. Inoltre non sono presenti rilevazioni disaggregate di genere, che invece ritroviamo solo nel modulo riguardante il settore bancario (allegato VI).

4.4.1

A maggior ragione, dato che già nelle versioni precedenti del regolamento (CE/Euratom) n. 58/97 si scriveva (art. 1) che tra gli obiettivi della raccolta delle statistiche c'era anche quello di analizzare la «politica delle imprese», questa rifusione poteva essere anche l'occasione per saggiare ed esaminare con più cura e profondità la politica occupazionale delle imprese, data l'importanza che riveste nelle politiche dell'Unione europea.

4.5

Per quanto riguarda gli studi pilota, ci sembra impropria la modalità scelta dalla Commissione che ritiene di dovere analizzare settori come la sanità e l'educazione per «valutare se sia possibile fare rientrare in tali sezioni attività di mercato e attività non di mercato». In particolare, con riferimento al testo provvisorio proposto dalla Commissione sulla direttiva «servizi» che li esclude dal campo di applicazione, crediamo sia inopportuno che tali settori sensibili siano inseriti nell'ambito delle statistiche strutturali sulle imprese. A partire dalle nuove proposte di regolamentazione in materia di servizi nel mercato interno, il CESE ritiene opportuno che la Commissione preveda il lancio di una rilevazione statistica ad hoc su tali settori.

4.6

Nell'allegato II (modulo settore industriale) la Commissione ha ritenuto opportuno cancellare dalla rilevazione i dati sulle spese complessive e sul personale addetto destinati alla ricerca ed allo sviluppo. Alla luce della strategia di Lisbona tale assenza di dati rappresenta un limite per comprendere meglio l'evoluzione del mondo imprenditoriale e la natura e il fine degli investimenti.

4.7

La Commissione ha scelto di cancellare le rilevazioni riguardanti gli acquisti di prodotti energetici. Queste rilevazioni hanno invece una notevole importanza, perché forniscono un quadro generale sui consumi e l'utilizzo di energia da parte delle imprese; per di più all'art. 1 del regolamento proposto si afferma che l'elaborazione delle statistiche ha per oggetto anche «i fattori di produzione utilizzati» e, senz'ombra di dubbio, l'energia è uno di questi. Oltretutto, questi indicatori sono ritenuti prioritari nelle ultime dichiarazioni del Consiglio e del Parlamento europeo, tra i quali ricordiamo il recente Libro verdeUna strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura  (8).

4.8

L'allegato VIII è stato inserito ex novo e riguarda la struttura, l'attività e il rendimento dei servizi alle imprese, mentre l'allegato IX riguarda la demografia delle imprese. La rilevazione statistica in questi due campi necessiterebbe un monitoraggio molto più frequente. Anche il modulo sulla demografia delle imprese è privo di dati disaggregati sia per tipologia del rapporto di lavoro, che per distinzione di genere, mentre invece sarebbe molto utile capire l'andamento occupazionale e l'inquadramento professionale dei dipendenti al momento della nascita e della morte delle imprese.

5.   Conclusioni e raccomandazioni

5.1

L'Unione europea ha bisogno di dati statistici migliori che siano di supporto alle correnti politiche industriali settoriali.

5.2

Per questo il CESE sottolinea il ruolo fondamentale svolto da Eurostat, quale strumento di monitoraggio delle politiche dell'Unione europea. Il CESE ritiene quindi che vada rafforzata l'attività di Eurostat valorizzando e potenziando il sistema a rete di rilevazione statistica nei singoli Stati membri.

5.3

Il CESE appoggia complessivamente la proposta di rifusione del regolamento (CE/Euratom) n. 58/97 relativo alle statistiche industriali.

5.4

Le rilevazioni statistiche sono un importante strumento sia a livello comunitario, che nazionale; per questo è necessario pensare a strumenti di sostegno che ne migliorino sempre più l'efficacia, la tempestività e l'affidabilità.

5.4.1

Le rilevazioni statistiche dovrebbero basarsi, per quanto possibile, su dati aggiornati e già esistenti presso le autorità amministrative o enti autorizzati. Il peso amministrativo della rilevazione statistica deve essere calibrato al tipo di dimensione dell'impresa. In alcuni paesi la rilevazione statistica per le PMI è affidata alle associazioni industriali di rappresentanza locale o regionale. Uno scambio tra gli Stati membri di queste buone pratiche potrebbe essere utile.

5.5

Sarebbe importante disporre di statistiche sempre più mirate ed aggiornate sulla struttura delle imprese e sulla loro attività produttiva, tenendo conto delle dimensioni e delle diverse attività che possono fare capo alla stessa impresa (produzione, commercio, distribuzione).

5.6

A parere del Comitato è importante che vi sia un buon sistema di consultazione e confronto tra Eurostat, le parti sociali, il mondo accademico e le associazioni. Tale meccanismo andrebbe perfezionato e ampliato in seno al CEIES-Eurostat (un rappresentante degli utenti per Stato membro).

5.7

Sui costi della sicurezza sociale, ad esempio, un migliore confronto da parte di Eurostat con le parti sociali permetterebbe di definire meglio (e non sotto un'unica voce) l'impegno delle imprese in questo settore, che non risulta essere lo stesso nei 25 paesi dell'UE.

5.8

I dati sull'occupazione, pur essendo oggetto di altre statistiche mirate, se più dettagliati renderebbero il quadro sullo stato delle attività di impresa più chiaro. Per quel che concerne i rilievi sull'occupazione, il Comitato osserva che le statistiche strutturali sulle imprese, incluse quelle sulla demografia, non possono prescindere da una analisi attenta sulla qualità dell'occupazione. L'occupazione è un fattore fondamentale del successo delle attività imprenditoriali e quindi la rilevazione relativa al rapporto di lavoro, distinto solo tra tempo pieno e tempo parziale, risulta del tutto insufficiente, specie alla luce delle costanti evoluzioni del mercato del lavoro. Inoltre il Comitato non ritiene utile scindere completamente le statistiche strutturali sulle imprese dalle rilevazioni sull'occupazione, in quanto ambiti decisamente connessi.

5.9

L'economia sociale raggiunge, anno dopo anno, quote sempre più importanti dell'economia europea. Conseguentemente il CESE ritiene che la Commissione, attraverso Eurostat, potrebbe valutare questo settore e la sua incidenza nel mondo imprenditoriale attraverso lo strumento dello studio pilota.

5.10

Il Comitato ribadisce i propri dubbi riguardo alla opportunità di vagliare i settori della sanità e dell'educazione con il metodo dello studio pilota. Data la delicatezza di detti settori e l'importanza fondamentale che essi hanno per tutti i cittadini europei, il CESE considera fuori luogo la possibilità di far entrare tali ambiti nelle statistiche strutturali sulle imprese. A partire dalle nuove proposte di regolamentazione in materia di servizi nel mercato interno, il CESE ritiene opportuno che la Commissione preveda il lancio di una rilevazione statistica ad hoc su tali settori.

5.11

Per quanto concerne gli acquisti energetici e gli investimenti in risorse umane nel settore della ricerca e dello sviluppo, il CESE ritiene che, nonostante siano previsti degli strumenti statistici ad hoc, sarebbe importante valutare, in senso qualitativo e quantitativo, che peso hanno nella vita delle imprese. Questo alla luce sia degli obiettivi della strategia di Lisbona che delle ultime preoccupazioni ed azioni intraprese dall'Unione europea in materia di politica energetica.

5.12

Per quanto concerne le rilevazioni sulle variabili ambientali, il CESE sottolinea l'importanza che ha la raccolta dei dati sullo smaltimento dei rifiuti industriali, la depurazione delle acque di scarico, la pulizia delle aree contaminate. Sarebbe inoltre utile accertare se le attività di smaltimento dei rifiuti derivanti dall'attività industriale, vengano effettuate attraverso sistemi interni all'impresa o se sono appaltati ad operatori esterni, tenendo conto dei costi di queste operazioni.

5.13

Nell'allegato IV, che riguarda il settore delle costruzioni, sarebbe utile una differenziazione tra le diverse attività: edilizia abitativa, ad uso pubblico, rete di trasporti, infrastrutture.

5.14

Maggiore risalto andrebbe dato alle statistiche su base regionale, che indicherebbero in quali aree si sono sviluppate le attività industriali e imprenditoriali, quali le attività predominanti e in quali regioni si concentrano gli investimenti in ricerca e in quali aree si registra maggiore natalità o mortalità delle imprese.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Decisione 2000/819/CE.

(2)  COM(2003) 27 def., del 21.1.2003.

(3)  COM(2004) 70 def., dell'11.2.2004.

(4)  COM(2005) 121 def., del 6.4.2005.

(5)  COM(2005) 330 def., del 20.7.2005.

(6)  NACE: Nomenclatura generale delle attività economiche nelle Comunità europee.

(7)  Cfr. nota 4.

(8)  COM(2006) 105 def., dell'8.3.2006.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/83


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi

COM(2006) 93 def. — 2006/0031 (COD)

(2006/C 318/14)

Il Consiglio, in data 7 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 uglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 186 voti favorevoli, 7 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Sintesi della proposta della Commissione

1.1

La presente proposta mira ad aggiornare la direttiva 91/477/CEE del 18 giugno 1991 (1). Questa direttiva, le cui basi sono state poste nel Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984, considera, per la prima volta, la necessità «di una regolamentazione efficace che permetta il controllo all'interno degli Stati membri dell'acquisizione e della detenzione di armi da fuoco e del loro trasferimento in un altro Stato membro», conformemente ai criteri stabiliti dal protocollo allegato alla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata che la Commissione europea è stata autorizzata a firmare in nome della Comunità europea (2).

1.2

La proposta intende così dare forza giuridica al summenzionato protocollo allegato alla convenzione internazionale, che la Commissione ha firmato in nome dell'Unione. Grazie a questo modus operandi, l'Unione si riserva la competenza per trattare la questione conquistando un ambito di responsabilità diretta, vale a dire che non vi è più bisogno della adesione degli stati al protocollo summenzionato o a qualunque raccomandazione della Comunità, dal momento che la materia si iscrive nel titolo V del Trattato (3).

1.3

I principali obiettivi rispondono alle necessità seguenti:

armonizzare la legislazione europea relativa a questa materia,

lottare contro il mercato clandestino di armi per uso civile,

combattere l'alimentazione del mercato clandestino attraverso il furto di armi legali.

1.4

Così, la proposta all'esame promuove e dà impulso a dispositivi d'impegno tra stati che mirano a rafforzare la coerenza, l'efficacia e la rapidità della direttiva del 1991, per quanto riguarda i suoi meccanismi e le sue finalità.

1.5

La direttiva proposta:

a)

precisa la nozione di fabbricazione illecita, basandosi su tale nozione per la tipizzazione dei crimini di fabbricazione illecita, di falsificazione e di traffico, accompagnati da pene proporzionate al danno sociale causato;

b)

raccomanda misure idonee a controllare e rintracciare le armi, di cui la marcatura e le norme di neutralizzazione/disattivazione costituiscono i migliori esempi;

c)

instaura norme e misure tendenti ad aumentare il controllo di alcune attività legate al commercio delle armi.

2.   Quadro politico e sociale di riferimento della misura nell'attuale contesto internazionale

2.1

La criminalità transnazionale organizzata è una realtà inerente alle società moderne caratterizzate dal rischio, fondate sulla globalizzazione delle conoscenze, della comunicazione e dell'informazione.

2.1.1

È anche una delle principali minacce per l'integrità degli stati e, in generale, per la matrice democratica che li caratterizza. In alcuni casi estremi, può anche risultare in forme alternative ed illegittime di controllo della Comunità.

2.2

Diverse manifestazioni criminali si intersecano e si alimentano reciprocamente in questo tipo di criminalità, anche a causa della natura multidimensionale e variabile del rischio. Esiste infatti una relazione strettissima tra il terrorismo e la criminalità organizzata e tra quest'ultimi ed il traffico di armi e di munizioni (4).

2.3

Alcune stime indicano che nel mondo sarebbero in circolazione centinaia di milioni di armi leggere, responsabili della morte di alcune centinaia di migliaia di persone all'anno, di cui più della metà sarebbero vittime di conflitti interni in diversi paesi dell'Asia e dell'Africa. Si tratta con tutta evidenza di un commercio certamente lucrativo ma con conseguenze devastanti sotto il profilo umanitario.

2.4

Gli Stati membri dell'Unione europea devono rispondere a questa realtà transnazionale in modo adeguato e coerente. A tale scopo risultano essenziali soluzioni normative armonizzate, tanto preventive che repressive, capaci di dare origine a politiche integrate e comuni.

2.5

Il tema della presente proposta intreccia le regole del mercato con le questioni pertinenti di sicurezza intracomunitaria, valore predominante per qualsiasi società democratica, rispetto al quale l'Unione europea non può fare eccezione. La sicurezza è, infatti, la prima condizione dell'esercizio di tutte le libertà.

2.6

Ciò che è qui in discussione è la creazione dei presupposti per l'affermazione dell'auspicato spazio europeo di libertà, di sicurezza e di giustizia per tutti i cittadini, materia che costituisce il terzo pilastro della costruzione europea. Oltre a costituire una minaccia per l'integrità dei vari Stati membri, il traffico di armi è anche un fattore di rischio rilevante per gli affari interni dell'Unione.

2.7

La Comunità aveva già considerato la necessità di fare fronte a questa minaccia «intra muros», adottando la direttiva 91/477/CEE, del Consiglio, del 18 giugno 1991. Più tardi, attraverso l'Azione comune dell'Unione europea del 17 dicembre 1998 (5), ha incoraggiato l'adozione, da parte dei vari stati, di misure tendenti ad esercitare un controllo rafforzato sulle armi e le munizioni, di cui testimoniano le molte relazioni annuali pubblicate nel frattempo (6).

2.8

Anche le Nazioni Unite hanno prestato alla questione negli ultimi tempi un'attenzione particolare, che va fino ad incoraggiare alcune azioni in materia. Così, l'ONU ha creato nel suo ambito un comitato speciale (7) avente il compito di elaborare una convenzione internazionale contro la criminalità transnazionale organizzata, che è stata poi adottata due anni più tardi, a Palermo (8). A partire da quel momento si è rapidamente preso coscienza dell'importanza, in questo contesto, del traffico delle armi da fuoco.

2.9

Questo corso degli eventi è culminato nel processo di Vienna che avrebbe dato vita al protocollo contro la fabbricazione ed il traffico illeciti di armi da fuoco, delle loro parti, elementi e munizioni, allegato alla summenzionata convenzione delle Nazioni Unite; tale protocollo è aperto all'adesione di tutti i paesi interessati dal 1o settembre 2001, ma la sua firma e la sua ratifica procedono relativamente a rilento a livello degli Stati membri dell'Unione europea.

3.   Osservazioni generali

3.1   Base giuridica

3.1.1

Agli effetti dell'inclusione della proposta in questione nell'ordinamento giuridico comunitario, l'articolo 95 del Trattato CE rappresenta attualmente una base giuridica sufficiente, poiché questa misura si iscrive nel quadro del funzionamento del mercato interno e rientra dunque nel campo d'applicazione della procedura di cui all'articolo 251.

3.1.2

Ai sensi del principio della gerarchia delle norme, la direttiva costituisce l'atto giuridico adeguato per la legislazione da modificare.

3.1.3

Il Comitato sostiene quest'iniziativa della Commissione e considera che la base giuridica sia conforme all'obiettivo perseguito (9).

3.2   Contenuto della proposta

3.2.1

Aderendo al protocollo allegato alla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata, la Commissione si è ispirata, giustamente, ai principi fondamentali in esso sanciti relativi alla necessità di prevenire, di combattere e mettere fine alla fabbricazione ed al traffico illeciti di armi da fuoco, delle loro parti, elementi e munizioni, tenuto conto della minaccia che costituiscono per il benessere dei popoli e per il loro diritto a vivere in pace.

3.2.2

Il Comitato apprezza questa preoccupazione e sostiene senza riserve l'iniziativa della Commissione.

3.2.3

Ricorda che la questione è stata oggetto più volte dell'attenzione del Parlamento europeo, oltre che di varie interrogazioni scritte presentate alla Commissione (10).

3.2.4

D'altra parte, nel quadro delle sue relazioni esterne, il Consiglio è stato particolarmente attento alla necessità di aiutare paesi terzi ad elaborare la legislazione e la regolamentazione adeguate riguardanti il possesso, la detenzione e l'utilizzo, la vendita ed il trasferimento di armi e di munizioni, per garantire la pace e la sicurezza e contribuire allo sviluppo sostenibile (11).

3.2.5

Tuttavia, è altresì evidente che la questione è strettamente legata alla lotta contro il terrorismo (12), il riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato (13), al controllo degli esplosivi per uso civile (14) e, in generale, a tutte le misure di lotta contro il banditismo e la criminalità organizzata.

3.2.6

Di conseguenza, il Comitato accoglie con soddisfazione e saluta quest'iniziativa della Commissione, sperando che il Parlamento europeo e il Consiglio le riserveranno un'accoglienza molto favorevole.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

L'articolo 1 della proposta all'esame modifica gli articoli seguenti della direttiva 91/477/CEE:

articolo 1: aggiunta di due paragrafi,

articolo 4: nuova redazione,

articolo 16: nuova redazione,

allegato I: nuova redazione del punto III, lettera a) e aggiunta di un nuovo comma.

4.1.1

Tutte le modifiche proposte hanno l'approvazione del Comitato, in quanto esse integrano correttamente le disposizioni del protocollo cui si ispirano.

4.2

L'articolo 2 precisa il regime di obblighi per gli Stati membri che deriva dall'approvazione della direttiva proposta, in base al quale il periodo previsto per l'attuazione della direttiva rimane aperto, nonostante la sua immediata entrata in vigore (cfr. l'articolo 3).

4.2.1

A parere del comitato non è necessario prevedere un periodo di tempo lungo per l'attuazione della direttiva da parte degli Stati membri, una volta che essa sia stata approvata. In realtà, l'impatto di questa direttiva sui suoi destinatari si situa, principalmente, al livello del processo legislativo, in particolare penale, e al livello dell'adattamento degli operatori economici alle nuove norme d'accesso alla professione d'armaiolo e d'organizzazione dei registri dei flussi commerciali. Un termine da 12 a 18 mesi è giudicato sufficiente a tale scopo.

4.3

Per quanto riguarda la tipizzazione dei reati in questione il diritto comparato degli Stati membri (15) può fornire un aiuto prezioso per il totus comunitatae. Le modalità rispettive della sanzione potranno essere concretamente discusse quanto prima dal Consiglio europeo.

4.4

Varrà forse anche la pena di esaminare la necessità di precisare che il concetto di «traffico illecito» contenuto nella proposta dovrà essere considerato nel contesto della lotta contro la criminalità organizzata transnazionale in modo da limitare l'applicazione delle sanzioni penali alle situazioni che rientrino esclusivamente nell'oggetto specifico del menzionato protocollo delle nazioni Unite.

4.5

In ordine alla disposizione dell'Allegato I, punto III, lettera c) della direttiva relativa alla definizione delle armi antiche o delle repliche delle armi antiche, il Comitato invita la Commissione a procedere a una armonizzazione a livello comunitario.

4.6

Infine, occorrerebbe forse prevedere una disposizione riguardante l'utilizzo di armi nel quadro di attività venatorie, sportive o di collezionismo, poiché il primato della sicurezza deve prevalere anche in questi settori, a causa della natura, o meglio, della pericolosità degli oggetti in questione. Effettivamente, la determinazione della finalità del possesso di armi si riduce in fin dei conti ad una questione di mera volontà, suscettibile di deviazioni e abusi che occorre quanto più possibile evitare. In questo contesto e conformemente all'intenzione generale della proposta in esame, si consiglia di imporre agli Stati l'obbligo di introdurre la dichiarazione, la licenza o qualsiasi altra procedura amministrativa che autorizzi l'uso o la detenzione di armi, con la partecipazione delle autorità di sicurezza interna aventi competenze nel campo della sorveglianza e del controllo.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Direttiva 91/477/CEE del Consiglio del 18 giugno 1991 relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi (GU L 256 del 13.9.1991, pag. 51). Il CESE, ha emesso il suo parere, elaborato nell'ambito della sezione Famiglia istruzione e cultura dal relatore VAN DAM, il 17.12.1987 (GU C 35 dell'8.2.1988, pag. 5). Nel parere il CESE si è mostrato molto critico sulle misure molto restrittive adottate per il controllo del trasferimento di armi da uno Stato membro all'altro.

(2)  Decisione del Consiglio del 16.10.2001 (GU L 280 del 24.10.2001).

(3)  Vale a dire della politica estera e di sicurezza comune.

(4)  La questione della tracciabilità delle munizioni che non fa parte dell'ambito specifico della proposta della Commissione, è già stata parzialmente trattata, insieme all'immissione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile nella direttiva 93/15/CEE del 5.4.1993 (GU L 121 del 15.5.1993, pag. 20, parere CESe — GU C 313 del 30.11.1992, pag. 13), modificata dal regolamento (CE) n. 1882/2003 del 29.9.2003 (GU L 284 del 31.10.2003, pag. 1, parere CESE — GU C 241 del 7.10.2002, pag. 128) e nella direttiva 2004/57/CE del 23.4.2004 (GU L 127 del 29.4.2004, pag. 73), nonché nella decisione della Commissione 2004/388/CE del 15.4.2004 (GU L 120 del 24.4.2004, pag. 43) e nel programma di cui alla comunicazione della Commissione del 15.7.2005 relativa alle misure volte a garantire una maggiore sicurezza nella vendita e nella fabbricazione di esplosivi, detonatori e armi da fuoco.

(5)  Compresa a sua volta nell'ambito del programma dell'UE sul traffico illegale di armi convenzionali del giugno 1997.

(6)  Cfr. per gli anni dal 2001 al 2003 le GU C 216 dell'1.8.2001, pag. 1, C 330 del 31.12.2002, pag. 1 e C 312 del 22.12.2003, pag. 1.

(7)  Con la risoluzione 53/111 del 9.12.1998 dell'Assemblea generale dell'ONU.

(8)  Con la risoluzione 55/25 del 15.11.2000.

(9)  Meritano, comunque, una riflessione approfondita le argomentazioni in base alle quali la Commissione si considera competente a regolamentare una materia di natura penale nella modifica proposta all'articolo 16 della direttiva 91/477/CEE.

(10)  Si ricordano in particolare le interrogazioni scritte P-4193/97 della deputata Maria BERGER (GU C 223 del 17.7.1998, pag. 70), E-1135/01 del deputato Christopher HUHNE (GU C 350 E dell'11.12.2001, pag. 78) e E-1359/02 del deputato Gerhard SCHMID (GU C 229 E del 26.9.2002, pag. 209).

(11)  Cfr. decisione del Consiglio del 15.11.1999, relativa alla Cambogia, GU L 294 del 16.11.1999, pag. 5.

(12)  Proposta di decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo (COM(2001) 521 def. del 19.9.2001) e parere del CESE 1171/2006.

(13)  Decisione quadro del Consiglio, del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato, GU L 182 del 5.7.2001.

(14)  Direttiva 93/15/CEE del 5.4.1993, GU L 121 del 15.5.1993, modificata dal regolamento (CE) n. 1882/2003 del 29.9.2003, GU L 284 del 31.10.2003.

(15)  Per esempio in Portogallo la recente Legge n. 5/2006 del 23.2.2006, già integra tutte le misure proposte.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ad una Strategia tematica sull'ambiente urbano

COM(2005) 718 def. — SEC(2006) 16

(2006/C 318/15)

La Commissione, in data 11 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 194 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE è consapevole che per la crescita sostenibile e per il rilancio della competitività e dell'innovazione è diventato indispensabile affrontare i problemi complessi che caratterizzano attualmente le città, quali il degrado ambientale, la congestione del traffico, i problemi di alloggio, l'insicurezza e la criminalità, le crisi occupazionali e le riconversioni produttive, i cambiamenti demografici, l'esclusione sociale — specie di giovani e anziani — e la segregazione spaziale e etnica.

1.2

L'inquinamento atmosferico urbano rappresenta da tempo un'emergenza sanitaria, caratterizzata da costi sociali e sanitari altissimi. L'Organizzazione mondiale della sanità ha individuato nella cattiva qualità dell'aria nelle città la causa prima dell'aumento di molte malattie croniche, che costano molto sia per i sistemi sanitari, in termini di cure e di ricoveri, sia per i risultati economici in termini di giorni di lavoro persi.

1.3

La prevenzione dell'inquinamento è diventata indispensabile, sia a livello di responsabilità individuale, sotto forma di una limitazione dell'uso dei veicoli privati, sia a livello collettivo, attraverso nuove politiche di mobilità.

1.4

Il CESE ritiene che le autorità degli Stati membri debbano oramai smettere di riflettere e raccomanda loro di adottare invece, seguendo anche le numerose indicazioni che provengono dalla Commissione, piani di intervento concreti e immediati nel quadro di un approccio integrato, partecipato e responsabile per un miglioramento significativo, continuo e verificabile della qualità della vita e dell'ambiente.

1.5

Il Comitato è altresì convinto che la strada scelta dalla Commissione di sviluppare una strategia integrata di sviluppo dell'ambiente urbano, fortemente ancorata ai principi della sussidiarietà e della prossimità, sia un approccio vincente, soprattutto se viene impostato con una metodologia partecipata e partecipativa, nel quadro dell'Agenda rinnovata di Lisbona e di Göteborg.

1.5.1

Secondo il Comitato, l'Unione europea deve adottare meccanismi premianti che valorizzino le migliori prassi adottate dalle autorità nazionali/regionali e locali per sviluppare in concreto la suddetta strategia secondo le singole realtà di riferimento.

1.5.2

Il Comitato sottolinea che le città, per essere competitive, devono sviluppare servizi moderni, efficaci ed accessibili in linea, soprattutto nel campo della salute, dei servizi sociali e dell'amministrazione pubblica, questo per garantire una più forte coesione sociale e l'inclusione di giovani ed anziani in un quadro di rivalorizzazione dei rapporti tra centri storici e periferie, tra zone ricche e povere del territorio urbano e tra quest'ultimo e il proprio hinterland.

1.6

In sostanza, secondo il CESE, va perseguito — soprattutto nell'ambiente urbano — il modello del «territorio socialmente responsabile», cioè di un territorio che orienta il proprio sviluppo verso i principi della sostenibilità, inglobando nelle proprie dinamiche la dimensione economica, sociale e ambientale, come anche le implicazioni socioeconomiche dell'invecchiamento della popolazione.

1.7

Un territorio può essere definito «socialmente responsabile» quando riesce a coniugare sufficienti livelli di benessere con i doveri che fanno parte della responsabilità sociale.

1.7.1

L'educazione ai doveri, accanto ai diritti, nasce da una presa di coscienza informata in seno alla famiglia e si potenzia durante i processi formativi, a partire dalla scuola della prima infanzia.

1.8

L'attuale Programma quadro di ricerca e sviluppo (il Sesto) offre, attraverso l'esercizio del foresight, la possibilità di coinvolgere gli attori della società civile in una condivisione delle linee migliori verso le quali orientare le scelte, ispirandosi a un modello di futuro più consapevole della responsabilità sociale territoriale.

1.8.1

Nelle proposte di Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo, oltre alle attività di foresight è prevista, nell'ambito della priorità tematica dedicata alla Salute (1), un'attività specifica in tema di sviluppo umano ed invecchiamento comprese le interazioni tra fattori quali l'ambiente, i comportamenti individuali e le questioni di genere.

1.8.2

Il Comitato sottolinea il ruolo fondamentale che scuole, centri educativi e università, in generale, sono chiamati a svolgere per orientare i giovani e i cittadini verso lo sviluppo sostenibile.

1.8.3

Diverse sono le iniziative che, a livello internazionale, hanno cercato di identificare un nucleo di principi e di valori fondamentali a cui riferirsi quando si parla di corporate social responsability. Fra queste le più significative sono le seguenti:

la Carta europea dei diritti fondamentali, articolo 37 per la tutela dell'ambiente (2),

il Global Compact (Patto globale) delle Nazioni Unite (3),

le «linee guida» dell'OCSE (4),

la Carta dei valori di impresa dell'IEBS (Istituto europeo per il bilancio sociale) (5).

1.9

Il Comitato afferma con vigore che le azioni intese a sostenere l'applicazione concreta di tali principi e valori fondamentali devono essere considerate investimenti redditizi in quanto volti alla valorizzazione degli aspetti economici, sociali ed occupazionali del tessuto urbano e delle sue potenzialità attrattive ed espressive.

1.10

Il Comitato sostiene con vigore l'istituzione di Premi europei per la città verde per incentivare l'ottimizzazione degli sforzi e dei comportamenti delle collettività locali e dei soggetti pubblici e privati che le compongono.

1.10.1

Il Comitato ritiene importante che sia il CESE in prima persona, di concerto con il Comitato delle regioni, a dare l'esempio, esaminando la possibilità di lanciare esso stesso un Premio annuale della società civile Eurogreen City e di monitorare le migliori pratiche di sviluppo sostenibile urbano nell'ambito dell'OMU.

2.   Motivazioni

2.1

La stragrande maggioranza della popolazione europea vive in aree urbane (6) dove la qualità della vita deve spesso confrontarsi con un drammatico degrado dei sistemi di mobilità nonché delle condizioni ambientali, sociali e di accesso ai servizi di base: queste ultime necessitano di importanti interventi innovativi, di un uso più intelligente delle risorse e di comportamenti più rispettosi dell'ambiente da parte dei soggetti sia individuali che collettivi.

2.1.1

A più riprese il CESE ha avuto occasione di trattare il problema, rilevando in particolare che «Le città, per tutta una serie di motivi, sono un concentrato di problemi ambientali che i cittadini percepiscono in maniera forte: in particolare la qualità dell'aria, l'inquinamento da rumore e, nei paesi meridionali dell'Unione, le risorse idriche».

2.1.2

La problematica relativa all'integrazione degli aspetti ambientali nel processo dello sviluppo urbano si inserisce nel quadro delle priorità delineate nel Sesto programma d'azione in materia di ambiente (2002-2012) dell'Unione europea, a favore dello sviluppo sostenibile in varie aree prioritarie, documento su cui il Comitato ha già avuto modo di esprimere il proprio parere.

2.1.3

In effetti, il suddetto programma prevedeva l'elaborazione e il varo di sette strategie tematiche (7):

* inquinamento atmosferico,

* ambiente marino,

* uso sostenibile delle risorse naturali,

* prevenzione e riciclaggio dei rifiuti,

tutela dei suoli,

uso dei pesticidi,

* ambiente urbano.

2.1.4

Di queste sette strategie tematiche, cinque sono state formalizzate dalla Commissione sotto forma dei documenti seguenti: la proposta per una Strategia tematica sull'inquinamento atmosferico, adottata dalla Commissione il 21 settembre 2005 (8); la proposta di direttiva sulla strategia per l'ambiente marino, varata il 24 ottobre 2005 (9); la proposta di direttiva relativa ai rifiuti (nuova Strategia tematica sulla prevenzione ed il riciclaggio dei rifiuti), adottata il 21 dicembre 2005 (10); la proposta di una Strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali, presentata il 21 dicembre 2005 (11), mentre l'ultima proposta in materia di ambiente urbano, oggetto del presente parere, è stata presentata l'11 gennaio 2006.

2.1.5

Vi è una chiara interazione tra quanto proposto nelle quattro strategie tematiche presentate precedentemente e quella che costituisce l'oggetto del presente parere. Nell'ambiente urbano si concentrano e interagiscono strettamente:

le misure per la lotta all'inquinamento atmosferico,

le misure per la prevenzione ed il riciclaggio dei rifiuti,

le iniziative per limitare le emissioni di gas a effetto serra prodotti dai combustibili fossili e utilizzati nei trasporti urbani e nei sistemi di riscaldamento e di refrigerazione cittadini,

la tutela delle falde acquifere e delle risorse naturali di fauna e flora dei parchi urbani,

la tutela dell'ambiente marino (nel caso dei porti e delle città costiere).

2.1.6

Rilevanti sono inoltre, per una strategia tematica a favore dell'ambiente urbano, le misure di lotta all'inquinamento acustico, nel cui ambito è già stato varato nel 2002 (12) un piano d'azione per i grandi agglomerati, e la recente proposta di direttiva per la promozione di veicoli puliti nel trasporto stradale (e in particolare le proposte in materia di appalti pubblici) (13).

2.1.6.1

Strettamente collegati con la proposta di strategia in questione sono parimenti:

gli interventi comunitari di politica ambientale per la gestione urbana previsti dal Programma LIFE-PLUS,

gli interventi comunitari di politica regionale e di coesione, sia per quanto concerne il FSE, il FERS e il Fondo di coesione, oltre alle iniziative comunitarie URBAN II, EQUAL, Interreg,

gli interventi comunitari in tema di uso razionale dell'energia, risparmio energetico ed efficienza energetica, nell'ambito del Programma energia intelligente e, in futuro, del Programma quadro sulla competitività ed innovazione — CIP,

gli interventi in tema di ricerca e sviluppo comunitari, previsti dai programmi specifici del Programma quadro pluriennale CE di RSTD, riguardanti, in particolare: l'ambiente e la salute pubblica; i trasporti e l'energia; la società dell'informazione al servizio di una migliore qualità della vita; lo sviluppo della scienza e la crescita della cultura nella società; i nuovi materiali e le nanotecnologie; la radionavigazione e lo sviluppo satellitare con Galileo, GEO e GMES (14),

gli interventi per la conservazione del patrimonio architettonico, monumentale e culturale urbano previsti da programmi comunitari come Minerva, LIFE/Ricama, Cultura 2000, MEDIA PLUS e Contentplus,

gli interventi comunitari previsti per i paesi del bacino mediterraneo e dei Balcani (MEDA), e per i paesi della comunità dei Nuovi Stati indipendenti — NIS (Tacis) — che saranno oggetto, in futuro, del nuovo strumento di prossimità,

gli interventi comunitari previsti dalla politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo verso le varie aree: ACP, America Latina (Mercocidades) e Asia, e dalla politica commerciale UE (EU Trade Sustainability Impact Assessment — SIA).

2.1.7

Contributi importanti per delineare una strategia tematica per l'ambiente urbano sono venuti: dai risultati della consultazione realizzata dalla Commissione sulla sua comunicazione intermedia del 2004 (15), — da una prima analisi di possibili strategie in materia, — dalle iniziative volontarie dell'Agenda 21, — dalla Carta di Aalborg (16), — dalle conclusioni del Consiglio del 14 ottobre 2004 sulla rilevanza della tematica e sull'importanza di agire a tutti i livelli, e infine dalle conclusioni di Bristol elaborate durante la presidenza britannica (17).

2.1.8

La Commissione ha altresì elaborato un documento di lavoro, allegato alla comunicazione oggetto del presente parere, consistente in una valutazione d'impatto dei diversi scenari possibili di applicazione della strategia e del loro costo.

2.1.9

Nel 2005 il Parlamento europeo, in un suo rapporto sulla dimensione urbana nel contesto dell'allargamento (18), ha riconosciuto che le città e gli agglomerati ed aree urbane, dove converge il 78 % della popolazione UE, rappresentano luoghi dove si concentrano le difficoltà più complesse e concorrenti, ma anche luoghi dove si costruisce l'avvenire e dove si approfondiscono e consolidano tutte le forme della conoscenza. Le città, quindi, «devono svolgere un ruolo centrale ai fini della realizzazione degli obiettivi, rivisti, di Lisbona e di Göteborg». Il Parlamento ha invitato la Commissione ad «elaborare e proporre modelli e strumenti di sviluppo urbano sostenibile accessibili a tutte le città e agglomerati o aree urbane».

2.1.10

Il CESE ritiene che i decisori politici, d'intesa con le parti sociali e, in genere, con tutta la società civile, debbano conseguire l'obiettivo di un ambiente urbano che raggiunga un'alta redditività sociale attraverso politiche mirate alla formazione.

2.2   La proposta della Commissione

2.2.1

La proposta della Commissione prende atto che «La diversità sotto il profilo storico, geografico, climatico e delle condizioni amministrative e giuridiche impone soluzioni per l'ambiente urbano concepite localmente e su misura» e che «L'applicazione del principio di sussidiarietà, che prevede che le azioni siano intraprese al livello di maggiore efficacia, implica che si intervenga a livello locale». Data l'eterogeneità delle aree urbane e degli obblighi nazionali, regionali e locali vigenti e le difficoltà connesse all'istituzione di norme comuni, «si è arrivati alla conclusione che legiferare non è il modo migliore per conseguire gli obiettivi della presente strategia», come è stato confermato dalla maggior parte degli Stati membri e delle stesse autorità locali.

2.2.2

La strategia tematica proposta è articolata sulle seguenti linee:

orientamenti relativi ad una gestione ambientale integrata,

orientamenti relativi all'elaborazione di piani per un trasporto urbano sostenibile da parte delle autorità locali, anche con il supporto di orientamenti tecnici sugli aspetti principali dei piani di trasporto, con esempi di migliori pratiche, che verranno pubblicati dalla Commissione entro il 2006,

azioni comunitarie di sostegno allo scambio di migliori prassi nell'UE,

portale Internet della Commissione destinato alle autorità locali per consentire un agevole acceso a tutti i documenti pubblicati all'interno di molteplici siti destinati alle autorità locali, in linea con il piano d'azione per una migliore comunicazione sull'Europa,

formazione per consentire l'acquisizione di competenze specifiche necessarie all'approccio integrato alla gestione anche attraverso programmi di scambio destinati ai funzionari delle autorità locali ed iniziative del FSE per rafforzare l'efficienza delle amministrazioni pubbliche a livello regionale e locale (19),

ricorso alle altre politiche comunitarie: politiche di coesione (20) e politiche per la ricerca (21).

2.2.3

La proposta della Commissione, avendo un carattere trasversale, deve essere letta insieme con le altre strategie tematiche proposte, in particolare con quella per l'inquinamento atmosferico, con quelle relative alla materia dei rifiuti solidi urbani, con quella per difendere le città costiere dall'inquinamento marino e con quella per la tutela dei suoli.

2.2.4

Sarebbe oltremodo opportuno che la Commissione fornisse un testo consolidato delle disposizioni normative pertinenti allo sviluppo sostenibile delle città e degli agglomerati urbani, dei vari programmi comunitari attivabili per l'ambiente urbano e, infine, delle linee di orientamento strategico che, a vario titolo, fanno capo allo sviluppo urbano.

2.3   Osservazioni

2.3.1

Il Comitato accoglie con favore la comunicazione della Commissione nella misura in cui affronta una problematica di grande rilevanza per i cittadini europei, per la qualità della vita nelle loro città e aree urbane così come per il ruolo fondamentale che queste ultime hanno come generatrici di ricchezza e di sviluppo economico, sociale e culturale.

2.3.2

Occorre concentrarsi sui presupposti dell'azione strategica, così come disegnati dall'Accordo di Bristol del dicembre 2005 (22), che individua come prerequisiti per la creazione di comunità sostenibili in Europa:

la crescita economica, senza la quale non vi è la capacità di investire nella creazione e nel mantenimento delle comunità sostenibili,

le capacità di un approccio integrato che assicuri un equilibrio dello sviluppo sostenibile con le sfide economiche, sociali e ambientali e di inclusione e giustizia sociale,

una forte identità culturale, per fare delle città dei centri d'eccellenza internazionale nell'ottica dell'Agenda di Lisbona,

la capacità di rispondere alle sfide della segregazione sociale,

il riconoscimento che le comunità sostenibili possono esistere a diversi livelli, locali, urbani, regionali.

2.3.3

Il Comitato ritiene, coerentemente con il principio comunitario «Legiferare meno, legiferare meglio», che sia opportuno basarsi su:

metodologie di coordinamento su base volontaria, che combinino il nuovo approccio di gestione urbana integrata con i contenuti delle direttive ambientali (acqua, aria, rumore, rifiuti, emissioni gassose, cambiamenti climatici, natura e biodiversità) e con le altre strategie tematiche volute dal Sesto programma d'azione 2002-2012,

sistemi di foresight di sviluppo dell'ambiente urbano, partecipati da tutti i soggetti economici e sociali interessati, dagli stakeholders e dai gruppi di utenti finali, ivi compresi quelli più deboli ed emarginati, su cui incastonare le libere scelte dei decisori locali e sui risultati dei quali individuare indicatori comuni a livello europeo di monitoraggio e benchmarking,

una intensificazione della cooperazione tra i vari livelli di governo (locale, regionale e nazionale) e tra i diversi servizi delle amministrazioni locali, anche in tema di tutela della sicurezza del cittadino e delle attività economiche di fronte al fenomeno della criminalità e microcriminalità urbana,

interventi concreti che diano risposte ai problemi posti dall'invecchiamento della popolazione urbana, tra l'altro anche attraverso un confronto tra le esperienze di varie città europee,

il sostegno comunitario alle azioni di capacity building delle amministrazioni locali e delle organizzazioni degli attori economici e sociali e della società civile presenti sul territorio,

il sostegno comunitario alla formazione tecnica, allo scambio di buone prassi ed allo scambio di funzionari ed esperti tra amministrazioni locali di diversi Stati membri,

il ricorso alla costituzione di partenariati pubblico/privato, particolarmente per la gestione dei programmi integrati di sviluppo economico e la promozione di attività economiche ecologiche, nella progettazione urbana sostenibile e nel recupero delle aree degradate o dismesse, così come nella rivitalizzazione socioeconomica sostenibile dei centri urbani medio-piccoli o di quartieri degradati delle grandi città (23),

il coordinamento e coerenza di indirizzi tra i servizi della Commissione responsabili delle politiche e programmi focalizzati sui diversi aspetti economici, sociali e ambientali attinenti allo sviluppo urbano, mediante l'istituzione di un focal point interservizi ben identificato ed identificabile dai vari interlocutori esterni,

un supporto comunitario agli studi di fattibilità per garantire una chiara ed obiettiva visione dei costi di preparazione, adozione, implementazione, certificazione, controllo e monitoraggio, quality assessment e revisione dei Piani integrati di gestione ambientale (EMP) dei Piani di trasporti urbani sostenibili (SUTP) nonché dei Sistemi di gestione ambientale(EMS) (24) per le diverse tipologie e caratteristiche delle città ed agglomerati urbani,

il rafforzamento del sostegno comunitario a progetti concreti di sviluppo oltre che a reti di città europee e extraeuropee, come l'European Urban Knowledge Network, Eurocities, Mercocidades, Civitas-Mobilis, Urbact,

lo sviluppo delle potenzialità tecnologiche della società dell'informazione, dell'e-Government, dell'e-learning e del telelavoro al servizio dello sviluppo dell'ambiente urbano,

lo sviluppo di «curricula» formativi, da utilizzare nelle scuole e nei centri di formazione a diversi livelli, per aumentare la responsabilità dei cittadini sui temi ambientali e per creare i «lavoratori del sapere»,

sistemi di valutazione d'impatto, in grado di fornire analisi armonizzate dei progressi, sia nelle dinamiche ambientali, sia in quelle economiche, sociali, culturali e tecnologiche, delle città europee. A tale proposito appare utile prevedere la creazione di guide comuni alla valutazione d'impatto, sull'esempio dell'EU Draft Handbook for Sustainability Impact Assessment.

2.3.4

Il Comitato dà molta importanza al processo che può portare un territorio, e una città in particolare, a definirsi come «Territorio socialmente responsabile» (25); questo avviene se il territorio o la città riescono ad integrare:

considerazioni sociali e ambientali nelle decisioni economiche,

modelli di valori, integrati ad una metodologia partecipativa nei processi decisionali, per il rilancio della competitività, anche attraverso l'iniziativa comunitaria Jessica (26),

le buone pratiche e il confronto continuo tra i portatori di interesse, per aumentare l'innovazione e la competitività,

il «giusto» benessere, con la responsabilità verso l'ambiente e la salute,

una visione sensibile e partecipata, della classe politica, sullo sviluppo urbano sostenibile.

2.3.4.1

Il Comitato è convinto che lo sviluppo sociale e culturale dell'ambiente urbano rivesta un'importanza primordiale, tenuto conto anche dell'evoluzione demografica della popolazione e dei flussi migratori.

2.3.4.2

Il Comitato è altresì convinto che alla base di una strategia efficace di sviluppo sostenibile delle città vi sia la lotta alla povertà economica, sociale e culturale, al degrado fisico e allo stress mentale della persona, all'esclusione sociale, nonché all'emarginazione degli strati più deboli della popolazione cittadina nella prospettiva di una più efficace inclusione sociale dei diversi gruppi etnici e culturali.

2.3.5

Il processo deve avvenire secondo fasi ben definite, che prevedano:

l'identificazione dei valori comuni della comunità territoriale,

l'individuazione delle risorse e dei bisogni,

la definizione degli obiettivi di miglioramento e degli indicatori armonizzati di valutazione,

la stesura di un piano operativo e di individuazione degli strumenti,

la gestione e controllo dei progetti di «Territorio socialmente responsabile» di tipo bottom-up,

una forte azione di sensibilizzazione e formazione permanente, per lo sviluppo di una cultura del territorio.

2.3.5.1

Alcuni strumenti sono stati già individuati dalle autorità locali. Tra di essi, a titolo esemplificativo, si possono evidenziare i seguenti:

l'utilizzo di minibus elettrici in alternativa agli automezzi privati nei centri urbani (Salisburgo),

l'utilizzo di autobus alimentati con biocombustibile (Bologna),

l'utilizzo di biciclette «a pedalata assistita» (27), molto importanti per gli anziani e in genere per gli abitanti delle città con sviluppo non montano (Ferrara, Milano),

lo sviluppo di metropolitane leggere che colleghino gli aeroporti e i centri intermodali con i centri delle città,

lo sviluppo di piani locali di riassetto urbano, per favorire il rinnovamento della città e preservarne la qualità architettonica e l'ambiente, sull'esempio del caso esemplare del comune di Versailles (28).

2.3.5.2

Il CESE appoggia la proposta della Commissione di promuovere la diffusione di «veicoli puliti» nel trasporto stradale e quella di tassare le autovetture in base non alla cilindrata ma alle emissioni di CO2.

2.3.6

Su questi temi il CESE ritiene si debbano intensificare le azioni di sensibilizzazione a tutti i livelli, ma soprattutto a livello locale, affinché i cittadini e le imprese affrontino con impegno e responsabilità, anche attraverso l'esercizio del foresight, quanto è stato elaborato in questi ultimi anni in tema di sviluppo sostenibile e di responsabilità sociale delle imprese dagli organismi internazionali: Commissione, ONU, OCSE, Istituto europeo per il bilancio sociale.

2.3.6.1

I processi da adottare si concentrano nella ricerca e innovazione, nella politica di sostegno al rinnovo degli impianti, nella formazione, nella diffusione dei sistemi di gestione ambientale, nei controlli.

2.3.6.2

Gli strumenti più opportuni, oltre all'informazione e alla diffusione di una cultura della responsabilità, sono: le ISO 14001; EMAS (29); GHG (30); i sostegni fiscali e finanziari per raggiungere gli obiettivi; la semplificazione nelle procedure; l'esonero da adempimenti ambientali per coloro che sono previsti di certificazione.

2.3.6.3

Il Comitato riterrebbe utile l'istituzione di «Premi europei per la città verde»: tali premi possono rivelarsi strumenti validi di incentivazione per ottimizzare gli sforzi delle collettività locali e dei soggetti pubblici e privati che la compongono e per sviluppare un approccio integrato e dei comportamenti coerenti con esso.

2.3.6.4

Il Comitato ritiene importante che sia il CESE in prima persona, di concerto con il Comitato delle regioni, a dare l'esempio, esaminando la possibilità di lanciare esso stesso un Premio annuale della Società Civile Eurogreen City, di contribuire alla verifica dei progressi registrati dall'Osservatorio ORATE/ESPON (31) di individuare gli ostacoli e monitorare le migliori pratiche per uno sviluppo sostenibile urbano integrato nell'ambito dell'OMU.

2.3.7

Secondo il CESE, l'elemento centrale per una strategia efficace di sviluppo urbano è in primo luogo l'individuazione di opportuni sistemi di governance, per passare poi all'azione con una gestione integrata di situazioni complesse, che prevedono la compresenza di:

pluralità di livelli territoriali di intervento e di decisione,

molteplicità di centri decisionali, con specificità ed obiettivi prioritari propri,

articolazioni temporali con obiettivi a breve, a medio e a lungo termine.

2.3.8

Il Comitato ritiene che tra i punti più rilevanti per migliorare il sistema di governance integrata del territorio socialmente responsabile debbano figurare i seguenti:

il miglioramento del processo di consultazione in seno alla Commissione,

l'implicazione, nella formulazione delle proposte d'azione, di tutte le parti interessate alla sostenibilità socioeconomica e ambientale delle città,

un dialogo costante e strutturato con la società civile, per una diffusione trasparente delle informazioni sui rischi ambientali, sulle scelte tecnologiche pulite e sulla necessità di rendere la propria città più attraente,

una visione comune delle prospettive a medio termine, attraverso un foresight partecipativo, che coinvolga i centri decisionali pubblici e privati,

il ricorso a meccanismi di valutazione d'impatto, stabiliti sulla base di criteri e indicatori predefiniti a livello comunitario, che rispondano a una logica di approccio territoriale integrato,

l'analisi delle migliori pratiche, specie in tema di inclusione sociale, di sicurezza e di civile convivenza,

il rafforzamento dell'educazione scolastica sulla tutela ambientale nonché della formazione extrascolastica per la popolazione adulta e per gli anziani,

uno sforzo comune per sviluppare, tra l'altro con il sostegno delle iniziative comunitarie Jeremie e Jessica, il sistema di ingegneria finanziaria in grado di rafforzare la crescita, l'occupazione e l'inclusione sociale delle città, operando tramite i fondi strutturali e di coesione, la BEI, il FEI e con il supporto del PPP (partenariato tra pubblico e privato),

dei meccanismi incentivanti e dei sistemi di certificazione che premino gli sforzi volontari dei soggetti pubblici e privati per lo sviluppo di un ambiente urbano sostenibile e competitivo.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 65/02/2006, punto 5.2.2 (relatrice HEINISCH) e C 65 del 2006 (relatori WOLF e PEZZINI).

(2)  Articolo 37 — Tutela dell'ambiente : «Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile».

(3)  «Scegliamo di unire il potere dei mercati all'autorevolezza degli ideali universalmente riconosciuti. Scegliamo di riconciliare la forza creativa dell'iniziativa privata con i bisogni dei più svantaggiati e le esigenze delle generazioni future», annunciato dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, al World Economic Forum di Davos, Svizzera, nel gennaio 1999, e formalmente presentato alle Nazioni unite nel luglio 2000. Il Global Compact invita le imprese ad aderire a nove principi universali nelle aree dei diritti umani, delle condizioni di lavoro e dell'ambiente.

(4)  Le linee guida dell'OCSE sono state pubblicate nel giugno 2000 e si rivolgono alle imprese internazionali.

(5)  L'IEBS ha elaborato la «Carta dei valori di impresa» (cfr. Allegato II).

(6)  Con più di 50.000 abitanti.

(7)  Quelle contrassegnate con l'asterisco hanno già formato oggetto di direttive.

(8)  COM(2005) 446 def.

(9)  COM(2005) 505 def.

(10)  COM(2005) 667 def.

(11)  COM(2005) 670 def.

(12)  Direttiva 2002/49/CE.

(13)  COM(2005) 634 def.

(14)  Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza.

(15)  COM(2004) 60 def. Verso una strategia tematica sull'ambiente urbano.

(16)  www.aalborgplus10.dk.

(17)  Accordo di Bristol, dicembre 2005, www.odpm.gov.uk cod. prod. 05 EUPMI 03584. L'Accordo di Bristol identifica 8 caratteristiche di base della comunità sostenibile: 1) attiva, inclusiva e sicura; 2) ben governata; 3) ben collegata; 4) ben servita; 5) sensibile ambientalmente; 6) attraente; 7) ben strutturata ed edificata; 8) accogliente per tutti.

(18)  EP(2005)0272 del 21 settembre 2005.

(19)  Il Fondo sociale europeo COM(2004) 493 def. può sostenere la formazione delle amministrazioni pubbliche, ai vari livelli. Importante anche il ruolo del nuovo Programma Life+.

(20)  COM(2004) 494 e 495 def.

(21)  COM(2005) 1.

(22)  Cfr. nota 18.

(23)  È notevole, in questo campo, l'apporto della Banca europea degli investimenti (BEI).

(24)  Cfr. Allegato F del documento di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2006) 16.

(25)  Cfr. a questo proposito: Esame della strategia dell'UE in favore dello sviluppo sostenibile. Nuova strategia. Doc. del Consiglio 10117/06 del 9.6.2006, punti 29 e 30.

(26)  Jessica (Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas — Sostegno comunitario congiunto per un investimento durevole nelle zone urbane) mira a fornire soluzioni a problemi di finanziamento di progetti di riassetto e sviluppo urbani nonché a progetti di alloggi sociali, grazie ad una combinazione di sovvenzioni e di prestiti.

(27)  Con motore elettrico.

(28)  Il gruppo di studio, presieduto dal consigliere MENDOZA CASTRO, ha avuto modo di verificare in loco, su invito del consigliere BUFFETAUT, vicesindaco della città, la concezione, l'articolazione e lo sviluppo del Piano locale di sviluppo urbano (P.L.U) di Versailles, nell'ambito della realizzazione dell'Agenda 21, deliberata dal consiglio municipale della città nel 2003 (Cfr. Allegato 3).

(29)  EMAS, regolamento 1836/93, rivisto dal regolamento 761/2001.

(30)  Le nuove norme ISO 14064: un nuovo standard sul Greenhouse Gas (GHG) e direttiva 2003/87/CE.

(31)  ORATE (Observatoire en réseau de l'aménagement du territoire européen)/ESPON (European Spatial Planning Observation Network).


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/93


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche)

(2006/C 318/16)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sulLe prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dai relatori BROS e CABALL i SUBIRANA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, 6 voti contrari e 16 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ritiene che l'esistenza di aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, ultraperiferiche e soprattutto insulari) debba essere riconosciuta pubblicamente e a livello politico, in modo da permettere interventi specifici in linea con le necessità reali di tali regioni.

1.2

Mentre sono in corso i negoziati tra le regioni o gli Stati membri e la Commissione europea in merito ai programmi di sviluppo rurale e a quelli regionali in materia di competitività, il Comitato economico e sociale europeo desidera sottolineare l'importanza dell'agricoltura ed evidenziarne le esigenze nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche).

1.3

Nel constatare l'esistenza di tali svantaggi, il Comitato invita la Commissione europea a proporre strategie apposite per queste zone, in modo da coordinare le diverse politiche in materia e sviluppare sinergie tra i vari interventi in atto.

1.4

Per quanto il secondo pilastro della PAC (lo sviluppo rurale) sia considerato una politica indispensabile e pertanto altamente prioritaria dal punto di vista politico, bisogna riconoscere che esso è stato una delle principali variabili di aggiustamento per pervenire a un accordo sulle prospettive finanziarie. Nell'osservare i tagli apportati alle risorse di bilancio, il Comitato invita la Commissione e il Consiglio a dare la priorità, nell'assegnazione degli stanziamenti per lo sviluppo rurale, alle zone più fragili che ne hanno maggiormente necessità: le aree con svantaggi naturali permanenti.

1.5

Nel quadro della messa a punto dei programmi di sviluppo rurale e di quelli regionali finanziati attraverso i fondi strutturali, il Comitato invita la Commissione e gli Stati membri a sincerarsi della complementarità e della coerenza di tali programmi nelle aree con svantaggi naturali.

1.6

Il CESE propone che, analogamente a quanto avviene nelle regioni montane con le piattaforme di promozione regionale (ad esempio Euromontana), anche nelle regioni insulari e ultraperiferiche si dia impulso a questo tipo di collaborazione, soprattutto in materia di politica agricola e con la partecipazione attiva della società civile.

1.7

Data la fragilità e l'importanza dell'agricoltura in queste aree, il CESE considera della massima importanza la creazione di un apposito osservatorio europeo per le regioni montane, insulari e ultraperiferiche. In questi territori occorre infatti sviluppare una visione europea dell'agricoltura che sia allo stesso tempo punto di riferimento per il monitoraggio, l'analisi e la diffusione delle informazioni relative alla situazione dell'agricoltura locale, e luogo di incontro, riflessione e dialogo tra le amministrazioni, la società civile e i vari organismi europei, favorendo così la messa a punto di iniziative europee per la salvaguardia e lo sviluppo dell'agricoltura in tali regioni.

1.8

Il Comitato sottolinea che, oltre alle regioni montane, insulari e ultraperiferiche oggetto del presente parere, esistono numerose altre aree rurali svantaggiate, con svantaggi comparabili in termini di risorse naturali, costi di produzione e condizioni climatiche. Questo si applica sia alle «altre regioni svantaggiate» che alle «zone con svantaggi specifici», che saranno oggetto in futuro di un parere specifico del CESE.

1.9

La classificazione delle restanti aree svantaggiate dovrebbe anche mettere in evidenza quegli svantaggi naturali obiettivamente identificabili che ostacolano lo sfruttamento agricolo. Occorre inoltre tenere adeguatamente conto delle specificità regionali.

2.   Motivazione

2.1

Antecedenti del parere

Parere del CESE sul tema Il futuro delle aree montane nell'Unione europea  (1)

Pareri del CESE sullo sviluppo rurale (2)

Risoluzione del Parlamento europeo del 6 settembre 2001 sui 25 anni di applicazione del regime comunitario a favore dell'agricoltura nelle regioni montane (3)

Parere del CES sul tema Una strategia per il futuro delle regioni ultraperiferiche dell'Unione europea  (4)

Parere del CESE in merito alla comunicazione della Commissione Un partenariato più forte per le regioni ultraperiferiche  (5)

Parere del CES sul tema I problemi dell'agricoltura nelle regioni e nelle isole ultraperiferiche dell'Unione europea  (6).

3.   Parte comune: le aree con svantaggi naturali permanenti

3.1

I regolamenti relativi allo sviluppo rurale e alle politiche regionali sono ormai stati adottati. La ripartizione dei finanziamenti è stata difficoltosa per via della scarsità dei fondi destinati a tali politiche. L'accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013 ha portato a una riduzione degli stanziamenti a favore dello sviluppo rurale nei vecchi Stati membri e a una maggiore dispersione dei fondi per la politica regionale.

3.2

Se le aree montane e ultraperiferiche con svantaggi naturali permanenti sono da tempo riconosciute nel quadro della politica agricola comune e della politica regionale, nessun tipo di riconoscimento esiste ancora per le regioni insulari.

3.2.1

Le zone montane sono importanti nel contesto europeo, dato che rappresentano un terzo del territorio comunitario e ospitano circa il 18 % della popolazione dell'UE a 25. Vaste aree montuose entreranno inoltre a far parte dell'UE con l'adesione della Romania e della Bulgaria. Le zone montane europee variano notevolmente sul piano delle caratteristiche fisiche (topografia e clima) e di quelle socioeconomiche (demografia, accessibilità e collegamenti con le zone limitrofe). Differiscono inoltre in termini di assetto del territorio, ruolo dell'agricoltura, coesione sociale, ma soprattutto per il loro grado di sviluppo economico.

3.2.2

Per definire il concetto di isola, Eurostat utilizza cinque criteri: possedere una superficie minima di 1 km2; essere distante almeno 1 km dal continente; avere una popolazione stabile di almeno 50 abitanti; essere priva di collegamenti fissi con il continente; non annoverare fra le proprie città una capitale di uno Stato membro dell'UE.

3.2.3

Nella definizione di Eurostat non rientrano le isole che ospitano una capitale dell'UE. Prima dell'allargamento, questo significava l'esclusione del Regno Unito e dell'Irlanda; nel maggio 2004, tuttavia, hanno aderito all'UE due isole relativamente piccole come Cipro e Malta. Il CESE suggerisce pertanto di rivedere la definizione di cui sopra in modo da includere i due nuovi Stati membri. Questa esigenza è già stata riconosciuta dall'UE nella proposta relativa ai nuovi fondi strutturali e al nuovo Fondo di coesione, nonché nel Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, in cui è stato inserito un cenno a tale situazione.

3.2.4

Le regioni ultraperiferiche, ovvero i Dipartimenti francesi d'oltremare, le Azzorre, Madera e le Isole Canarie, pur facendo parte a tutti gli effetti dell'Unione europea, presentano una situazione del tutto particolare: si tratta infatti di regioni che vivono una realtà affine, caratterizzata da una serie di fattori geografici, fisici e storici che incidono in modo determinante sul loro sviluppo economico e sociale.

3.2.5

Altre zone specifiche meno estese, come le aree periurbane (7), le zone umide, i polder, ecc. possono trovarsi esposte a svantaggi particolari che dovrebbero formare oggetto di speciale attenzione nel quadro di un'attuazione più decentrata delle politiche europee. Il Comitato potrebbe prendere in esame tali questioni in un parere futuro.

3.3

Queste aree presentano svantaggi naturali di carattere permanente, quali l'isolamento, che genera costi supplementari di commercializzazione, approvvigionamento e prestazione dei servizi, e difficoltà di accesso ai mercati. Oltre a ciò, i costi delle infrastrutture, dei trasporti e dell'energia risultano più elevati.

3.4

Per questo, è particolarmente importante assicurare la presenza dell'attività agricola nelle zone svantaggiate nell'interesse dello sviluppo economico, della vita sociale, del patrimonio culturale (percentuale elevata della popolazione agricola nelle aree in esame) e dell'equilibrio territoriale e ambientale.

3.5

La PAC ha subito di recente numerose e profonde modifiche che non potranno non avere ripercussioni sullo sviluppo sostenibile dei territori europei, in particolare quelli con svantaggi naturali specifici, soprattutto per via dell'indebolimento del secondo pilastro nei vecchi Stati membri. In tali modifiche si può scorgere una duplice tendenza: da una parte infatti esse costituiscono una risposta europea ai negoziati in corso in sede OMC (Organizzazione mondiale del commercio) ed esprimono la ricerca di competitività sui mercati internazionali, mentre dall'altra rispecchiano la tendenza in atto verso il rafforzamento, auspicabile ma tuttora inattuato, del sostegno alla tutela dell'ambiente, al benessere animale e alle aree rurali.

3.6

In linea teorica, la riforma della PAC del 2003 punta a migliorare la competitività e a orientare la produzione agricola in funzione dei mercati. Se però l'attività agricola nelle zone svantaggiate fosse lasciata in balia delle sole forze di mercato, essa sarebbe condannata a scomparire. Occorre pertanto una politica volontaristica per mantenere in vita l'agricoltura in queste zone difficili.

3.7

È difficile valutare l'impatto della riforma del primo pilastro adottata il 29 settembre 2003 e caratterizzata dal disaccoppiamento, dalla condizionalità e dalla modulazione, dato che le scelte strategiche adottate da ciascuno Stato membro e da ciascuna regione differiscono le une dalle altre. Appare chiaro, tuttavia, che la riforma comporta dei rischi in termini di abbandono e/o delocalizzazione di alcune produzioni (dato che la concessione di aiuti diretti non è più vincolata alla produzione), ad esempio in materia di produzione animale e ingrasso finale del bestiame.

3.8

Mentre sono in corso i negoziati tra la Commissione, da una parte, e le regioni e gli Stati membri europei, dall'altra, sui programmi in materia di sviluppo rurale e di politica regionale, è indispensabile che le zone con svantaggi naturali di carattere permanente siano oggetto di particolare attenzione, in modo da assicurare la coesione territoriale necessaria al successo della strategia di Lisbona. Incentrare le politiche pubbliche solo su strategie di competitività sarebbe di ostacolo al conseguimento degli obiettivi fissati, eppure sembra proprio questa la direzione intrapresa da alcuni Stati membri dell'UE.

3.9

L'agricoltura deve rimanere un'attività economica basata sulla volontà imprenditoriale degli agricoltori. Non si tratta di trasformare le zone svantaggiate in musei di pratiche agricole desuete, né tanto meno in aree in cui le sfide ambientali rivestono un'importanza preponderante o esclusiva. Il settore agricolo ha saputo svilupparsi e modernizzarsi per rispondere alle aspettative dei consumatori e dei cittadini, e questo processo va portato avanti al fine di valorizzare la capacità di innovazione e lo spirito di impresa degli agricoltori. L'agricoltura praticata nelle zone svantaggiate deve proseguire su questa strada e consentire al settore agroalimentare di svilupparsi sulla base della produzione locale, assicurando così la sostenibilità economica di tali zone. A ciò devono dare un contributo particolare gli aiuti di Stato a finalità regionale.

4.   Le regioni montane

4.1

Introduzione: le particolarità dell'agricoltura montana e le sfide legate allo sviluppo rurale

4.1.1

L'agricoltura montana in Europa presenta un certo numero di tratti specifici. Benché le zone di montagna europee non abbiano caratteristiche uniformi né sotto il profilo ambientale, pedologico e climatico, né dal punto di vista economico e sociale, esse hanno in comune una serie di impedimenti (o svantaggi) all'esercizio dell'attività agricola dovuti alla presenza di pendenze, a una topografia accidentata e a condizioni climatiche per lo più sfavorevoli. Tali impedimenti limitano la varietà di produzione alle colture foraggere e alle produzioni animali; rendono inoltre l'agricoltura meno facilmente adattabile alla concorrenza e determinano costi aggiuntivi che non consentono una produzione competitiva e a prezzi ridotti. D'altro canto, l'attività agricola presenta numerosi vantaggi in termini di sviluppo sostenibile dei territori montani.

4.1.2

Le sfide dello sviluppo rurale nelle zone montane riguardano sostanzialmente la scarsa disponibilità di terreni coltivabili, la concorrenza con altri fenomeni come la silvicoltura o l'urbanizzazione, l'abbandono dei terreni agricoli, il degrado dei paesaggi, lo sviluppo del turismo, l'accessibilità (o l'isolamento), i servizi di interesse generale e la gestione delle risorse idriche e naturali, e in particolare la salvaguardia della biodiversità. Tali problematiche sono inoltre legate alla sicurezza dei beni e delle persone, per via del ruolo positivo svolto dall'agricoltura e dalle foreste nella lotta contro rischi naturali come frane, piene torrenziali, smottamenti o incendi.

4.2   Necessità di una definizione armonizzata all'interno dell'Unione europea

Si rammenta la posizione espressa al riguardo nel parere del CESE sul tema Il futuro delle aree montane nell'Unione europea  (8):

«[Per quanto riguarda le zone montane] vi sono quindi differenze considerevoli da uno Stato membro all'altro […]. Pertanto, pur mantenendo un certo livello di sussidiarietà nell'individuazione finale delle zone in questione, sarebbe opportuno armonizzare la nozione europea di montagna, adattando di conseguenza l'attuale definizione comunitaria con valori massimi e minimi per ciascuno dei tre criteri [pendenza, altitudine, clima]».

4.2.1

Con la relazione della Corte dei conti europea e lo studio dal titolo Zones de montagne en Europe: analyse des régions de montagne dans les États membres actuels, les nouveaux États membres et d'autres pays européens («Zone di montagna in Europa: analisi delle regioni montane negli Stati membri attuali, nei nuovi Stati membri e in altri paesi europei»), effettuato su incarico della Commissione europea e diffuso in Internet nel gennaio 2004 (http://europa.eu.int/comm/regional_policy/sources/docgener/studies/study_fr.htm), la Commissione dispone ormai degli strumenti necessari per giungere a una definizione armonizzata del territorio montano.

4.3   L'esigenza di una politica comunitaria specifica per le zone montane

4.3.1

L'agricoltura montana incide in modo incomparabile sull'ambiente e sul territorio. Gli agricoltori apportano una serie di vantaggi all'economia locale, all'ambiente e alla società nel suo insieme.

Si tratta delle cosiddette «esternalità positive» o del carattere «multifunzionale» dell'agricoltura. In effetti, l'agricoltura costituisce uno strumento efficace di pianificazione territoriale e di gestione delle risorse naturali, ed è un elemento chiave nella configurazione dei paesaggi rurali. Questi aspetti rivestono un'importanza particolare nelle zone montane, per via delle importanti risorse idriche e della biodiversità caratteristica di tali zone, nonché delle sfide legate al settore turistico che interessano la quasi totalità dei territori montani. L'attività agricola contribuisce inoltre alla salvaguardia di talune specie animali e vegetali sia attraverso il loro sfruttamento diretto (razze bovine o ovine esportate in tutto il mondo per la loro rusticità, o determinate specie vegetali come le piante da profumo o taluni cereali, oggi riscoperte dai consumatori) sia per effetto dell'attività agricola stessa (mantenimento degli alpeggi, ecc.). Essa concorre poi alla diversificazione delle produzioni agricole e alimentari sul mercato europeo, non da ultimo perché spesso fornisce prodotti originali e rinomati sui quali la concorrenza è meno intensa, consentendo in tal modo la salvaguardia delle abilità tradizionali. Infine l'agricoltura montana rappresenta una fonte di occupazione ed è strettamente legata alle attività rurali di tipo non agricolo, data la quota elevata di lavoratori pluriattivi osservabile in molte regioni montane.

4.3.2

A meno che non si consideri la possibilità di fatturare i servizi prestati nell'ambito di tali esternalità positive, cosa che in generale per ora non avviene, una riduzione globale degli aiuti erogati agli agricoltori di montagna avrebbe immediate ripercussioni su questi ultimi, accelerando la scomparsa delle aziende agricole e pertanto della funzione di conservazione del territorio che esse svolgono. Si tratta di una questione di interesse generale che riguarda la totalità dei responsabili politici e l'intera società, e che non si può ignorare se veramente si intendono privilegiare vie e strumenti di sviluppo sostenibile.

4.3.3

Particolarmente avvertita per l'economia rurale è l'esigenza di mantenere in vita un'attività agricola produttiva che consenta la trasformazione dei prodotti e pertanto la creazione di valore aggiunto in queste zone, e che sia sinonimo di occupazione, crescita e altro ancora. Spesso, inoltre, i prodotti montani sono alla base di un patrimonio culturale particolarmente ricco nei territori montani, la cui sopravvivenza dipende dalle produzioni locali: alcuni esempi sono il formaggio artisou de Margeride  (9) (che dà vita a sua volta alla «festa degli artisous»), il formaggio di Mahon o quello dell'anice a Rute, ecc.

4.3.4

L'agricoltura montana è soggetta a vincoli specifici e di carattere permanente. La creazione del primo pilastro della PAC, basata storicamente sulla produttività dei sistemi agricoli, ha fatto sì che alle aree montane venisse erogato un livello di aiuti inferiore rispetto alle zone pianeggianti. Di fatto, per i territori montani gli aiuti assegnati nell'ambito del secondo pilastro rivestono un'importanza pari a quelli del primo pilastro. I problemi specifici delle aziende agricole montane, siano esse di tipo agricolo o pastorale, devono poter essere considerati in modo globale e coerente grazie a una politica apposita per tali aree. Tale politica deve partire dal presupposto che la società si deve attrezzare per promuovere un'agricoltura montana dinamica, capace di adempiere alla duplice funzione di produzione agricola e di conservazione del territorio, attività ritenute fondamentali ai fini dell'assetto territoriale e dello sviluppo futuro di tali zone.

4.3.5

Nel quadro della rete europea di sviluppo rurale, il Comitato invita la Commissione a istituire un gruppo di lavoro tematico sulle questioni montane.

4.3.6

Nelle zone montane mediterranee gli svantaggi caratteristici dei territori montani si aggiungono a quelli legati al clima mediterraneo (siccità, incendi, temporali, ecc.). Per consentire un adattamento delle politiche su scala regionale occorre pertanto tenere conto di questa peculiarità a livello europeo.

4.4   Privilegiare le aree montane nell'assegnazione di finanziamenti nell'ambito del secondo pilastro

4.4.1

Mentre nei vecchi Stati membri le dotazioni allocate allo sviluppo rurale diminuiscono o restano stazionarie e i nuovi paesi membri sono tentati di assegnare le risorse disponibili alle zone più produttive nel breve periodo, la Commissione europea deve garantire che gli aiuti europei vengano destinati in via prioritaria alle aree con svantaggi naturali permanenti, dove il bisogno di finanziamenti è continuo.

4.5   Consolidare le misure in materia di indennizzi a favore degli agricoltori montani: una misura fondamentale

4.5.1

La compensazione degli svantaggi naturali, e quindi dei costi supplementari di produzione, costituisce la principale misura di sostegno all'agricoltura montana. Nessuno oggi mette in discussione l'importanza di tale misura, ma essa non dispone di risorse sufficienti per conseguire gli obiettivi fissati.

4.5.2

Le condizioni della produzione agricola in montagna sono essenzialmente caratterizzate da forti vincoli che vanno dall'altitudine alla pendenza, all'innevamento e alle difficoltà di comunicazione. Tali vincoli hanno due ordini di ripercussioni: in primo luogo comportano costi supplementari in termini di attrezzature (edifici e materiali) e di trasporti, e in secondo luogo riducono la produttività dei fattori di produzione (terreni, capitali, lavoro) in proporzioni più o meno elevate in funzione dei sistemi di produzione utilizzati e del livello di svantaggio che caratterizza la zona montana.

4.5.3

La minore produttività dei fattori di produzione agricola in montagna è legata alla riduzione della durata della fase vegetativa, che va dagli otto mesi nelle zone pianeggianti a meno di sei mesi a 1.000 metri di altitudine. Ciò significa che nelle zone montane occorre almeno un terzo di foraggio in più per nutrire un animale, senza dimenticare che in tali territori i terreni hanno una produttività inferiore in termini di unità foraggere.

4.5.4

L'indennità compensativa degli svantaggi naturali permanenti è il primo strumento di sostegno messo a punto per conseguire tali obiettivi. È auspicabile prevedere valori soglia per limitare l'aumento delle dimensioni delle aziende medie e grandi, garantendo così la sopravvivenza di un numero sufficiente di aziende agricole ed evitando la desertificazione.

4.6   Mantenere e rafforzare le altre misure di sostegno all'attività agricola nelle zone montane

4.6.1   La politica di allevamento estensivo al pascolo

4.6.1.1

Grazie alle misure agroambientali, nei precedenti periodi di programmazione è stato possibile attuare una politica di sostegno a favore delle colture foraggere nelle zone dedicate alla produzione estensiva. Occorre proseguire in questa direzione per mezzo di misure semplici e accessibili al maggior numero possibile di allevatori, accompagnate da altri provvedimenti più mirati per i territori con particolari problemi ambientali.

4.6.1.2

Limitare il sostegno agroambientale a quest'ultimo tipo di aree sarebbe contrario all'obiettivo fissato, poiché determinerebbe quasi inevitabilmente la scomparsa delle attività zootecniche e il ritorno a uno stato di abbandono tale da ostacolare la prevenzione dei rischi naturali, la salvaguardia del carattere multifunzionale delle aree in esame e la conservazione della biodiversità. Ad ogni modo, le misure che entreranno in vigore nel 2007 sono di fatto più selettive rispetto alle precedenti, in quanto prevedono una prestazione minima obbligatoria e non remunerata legata all'attuazione della condizionalità.

4.6.2   Misure di sostegno agli investimenti

4.6.2.1

I costi supplementari della costruzione di edifici nelle zone montane dipendono da numerosi fattori, quali la resistenza delle strutture ai carichi di neve e ai venti violenti, l'isolamento termico, i notevoli lavori di livellamento necessari e la maggiore durata della stabulazione (che comporta la necessità di immagazzinare maggiori volumi di foraggio e di effluenti). I costi supplementari della meccanizzazione sono dovuti sia alle caratteristiche specifiche dei materiali necessari per lavorare nei terreni in pendenza, sia alla loro usura precoce a causa delle condizioni climatiche, nonché al volume limitato delle serie prodotte. Proprio come la compensazione degli svantaggi naturali, le misure di sostegno agli investimenti costituiscono una premessa necessaria per la sopravvivenza delle aziende agricole e dovrebbero pertanto essere rafforzate nelle zone montane.

4.6.3   Insediamento dei giovani agricoltori e prestiti agevolati

4.6.3.1

Il numero di aziende agricole tende ad assottigliarsi, nelle zone montane come altrove, per via della mancanza di prospettive, della durezza del lavoro e del notevole capitale di esercizio necessario: su tre agricoltori che cessano l'attività, infatti, solo uno ne viene sostituito, in montagna come in qualsiasi altro territorio.

4.6.3.2

Eppure, a causa della vulnerabilità dei sistemi agricoli montani e del maggiore livello di investimenti necessari in tali territori rispetto alle zone pianeggianti, è importante incoraggiare qui più che altrove il rinnovo generazionale e l'insediamento dei giovani agricoltori: è, questo, un obiettivo che non soltanto concerne specificamente l'agricoltura, ma che, come si è sottolineato in precedenza, è anche di riconosciuto interesse generale.

4.6.4   Compensazione dei costi supplementari dei servizi

4.6.4.1

I costi supplementari dei servizi (inseminazione artificiale del bestiame, trasporto dei raccolti, ecc.) sono essenzialmente dovuti alla minore densità delle aziende agricole nelle zone di montagna, il che dilata i tempi di trasporto, e alle condizioni stesse del trasporto, che sono più difficili e determinano l'usura precoce dei veicoli. Per continuare a garantire la presenza delle aziende agricole nelle zone montane, occorre prevedere un sostegno a tali servizi, specie la raccolta del latte, i cui costi sono al momento a carico degli agricoltori. Nel contesto montano, l'argomento secondo cui tali sostegni avrebbero effetti anticoncorrenziali non è accettabile, dato che le regole di mercato non si applicano allo stesso modo e in maniera indifferenziata in tutti i territori.

4.6.5   Misure di sostegno alle industrie agroalimentari

4.6.5.1

La valorizzazione dei prodotti agricoli montani rende indispensabile la disponibilità in loco degli strumenti industriali necessari alla loro trasformazione e commercializzazione. Anche le industrie alimentari, però, sono soggette ai vincoli derivanti dalla montuosità del territorio: lontananza dai mercati, costi più elevati dei trasporti e delle costruzioni e maggiori spese di manutenzione. Tali misure determinerebbero inoltre la creazione di posti di lavoro, che riveste particolare importanza nelle zone rurali.

4.6.5.2

Per questo è legittimo e necessario prevedere un sostegno permanente per tali attività. Le industrie agroalimentari devono poter accedere agevolmente agli aiuti a finalità regionale.

4.6.6   Misure di sostegno agli investimenti nel settore agrituristico

4.6.6.1

Nelle regioni montane di alcuni paesi europei (è il caso dell'Austria), l'agriturismo è notevolmente sviluppato e assicura redditi complementari indispensabili alla sopravvivenza delle aziende agricole interessate. D'altra parte lo sviluppo dell'attività turistica in tali zone, e non solo nelle aziende agricole, trae origine dalla bellezza dei luoghi e delle culture, fortemente plasmati dall'attività agricola.

4.6.7   Sostegno alla Carta europea dei prodotti agroalimentari montani di qualità

4.6.7.1

La maggior parte delle aziende montane non può sperare di essere competitiva nei confronti di quelle situate nelle zone pianeggianti se si dedica alla produzione in massa di articoli ordinari venduti allo stesso prezzo (o a prezzi spesso inferiori, a causa dell'isolamento). Nelle zone montane, più che altrove, l'aumento dei redditi agricoli può avvenire solo attraverso la ricerca della qualità, della genuinità e dell'originalità dei prodotti, accompagnata dalla creazione di percorsi di valorizzazione della produzione e da una strutturazione delle filiere agroalimentari tale da massimizzare la creazione di valore aggiunto. Non va inoltre dimenticato che numerose denominazioni di origine provengono dalle zone montane.

4.6.7.2

Per l'avvenire dell'agricoltura montana, la tutela adeguata dei prodotti agroalimentari di qualità provenienti dalle zone montane, sinonimo di fiducia per il consumatore e di valorizzazione per il produttore, rappresenta una sfida di grande rilievo. Per questa ragione il Comitato ha sottoscritto la Carta dei prodotti agroalimentari montani di qualità (10) e auspica che le istituzioni comunitarie sostengano tale iniziativa.

4.7   Integrazione della politica agricola e di quella regionale ai fini di un impatto più positivo sui territori montani

4.7.1

La politica regionale europea, ad esempio, integra un obiettivo di coesione territoriale a malapena menzionato nella PAC e presenta una dimensione rurale che potrebbe essere potenziata. L'attuazione coordinata delle due politiche potrebbe avere un impatto deciso e positivo sullo sviluppo sostenibile nelle regioni montane.

4.8   Altri punti da prendere in considerazione

4.8.1   Serve un approccio concertato alla gestione dei grandi predatori.

4.8.1.1

La scomparsa dei grandi predatori aveva consentito l'avvio e lo sviluppo, nelle regioni montane europee, di allevamenti ovini di tipo intensivo. La loro ricomparsa (come è il caso del lupo nelle Alpi o dell'orso nei Pirenei) rimette in questione il metodo di allevamento intensivo, caratterizzato da una scarsa sorveglianza delle greggi.

4.8.1.2

Soprattutto in Italia e in Spagna sono già in atto iniziative per proporre soluzioni eque in grado di riconciliare l'esercizio della pastorizia nelle zone di montagna con la protezione dei grandi predatori: mezzi di protezione efficaci, indennizzo delle perdite, compensazione degli sforzi supplementari imposti dalla coabitazione con i predatori, ecc. Tali iniziative vanno portate avanti e valorizzate anche nelle altre regioni montane europee.

4.8.2   La silvicoltura rappresenta un elemento complementare di fondamentale importanza.

4.8.2.1

Si stima che le foreste montane, il cui tasso di crescita è superiore a quello registrato dalla foresta europea nel suo insieme, ricoprano una superficie totale di circa 28 milioni di ettari nell'UE a 15 e di 31 milioni di ettari nell'UE a 25. Va inoltre considerato che la silvicoltura costituisce una fonte di reddito complementare per gli agricoltori delle regioni montane. Nel contesto attuale di una maggiore valorizzazione della biomassa, specie a fini energetici, quest'ultima potrebbe rappresentare un'ulteriore occasione per garantire lo sviluppo sostenibile delle regioni montane, a condizione che la creazione di nuovi territori silvestri sia gestita in modo razionale. Anche la selezione di specie e varietà adeguate, principalmente in funzione delle loro proprietà meccaniche, costituirebbe un'opportunità per le regioni montane e per i mercati della costruzione in legno, consentendo inoltre di limitare le importazioni provenienti dai paesi terzi, che possono essere all'origine di disastri ecologici.

4.8.2.2

Anche dal punto di vista funzionale gli ecosistemi forestali nei territori montani presentano caratteristiche specifiche. Inoltre, essi svolgono un ruolo di fondamentale importanza per la regolazione delle acque superficiali e sotterranee, e sono particolarmente sensibili alle influenze esterne (inquinamento, presenza eccessiva di selvaggina, tempeste, insetti) e agli incendi (più difficili da prevenire e da domare in queste zone ad accesso limitato, in cui il fuoco può propagarsi molto rapidamente).

4.8.2.3

La stabilità ecologica degli ecosistemi montani riveste importanza non solo per i territori montani stessi, ma anche per la protezione delle regioni sottostanti.

4.8.3

Il Comitato accoglie con favore la ratifica, da parte della Comunità europea, del protocollo agricolo della Convenzione alpina ed esorta la Commissione europea, nel quadro di tali lavori, ad agevolare questo genere di cooperazione internazionale in tutti i territori montuosi europei.

5.   Regioni insulari

5.1   Definizione

5.1.1

Oltre 10 milioni di cittadini europei (il 3 % della popolazione totale) risiedono nelle 286 regioni insulari esistenti nell'UE che, con una superficie di oltre 100.000 km2, corrispondono al 3,2 % della superficie totale dell'Unione. Queste isole sono raggruppate in arcipelaghi e si parla quindi di 30 regioni insulari: ad esempio, le Isole Baleari sono formate da quattro isole in linea con la definizione dell'UE e costituiscono un'unica regione insulare. In generale, l'attività agricola esercitata nelle 286 isole presenta un grado di sviluppo economico inferiore a quello riscontrabile nel continente europeo. Le regioni insulari generano il 2,2 % del PIL totale dell'UE, pari ad appena il 72 % della media europea.

5.1.1.1

Le isole in esame sono fondamentalmente quelle del Mediterraneo. Qui risiede infatti il 95 % degli abitanti delle isole europee, e appena il 5 % nelle isole atlantiche o settentrionali. Le cinque regioni insulari mediterranee (Sicilia, Corsica, Sardegna, Isole Baleari e Creta) ospitano da sole l'85 % della popolazione insulare europea.

5.1.1.2

Si parla spesso dei costi dell'insularità, cioè i costi aggiuntivi legati al fatto di vivere in un'isola, ma è lecito chiedersi se essi esistano veramente: in altri termini, è davvero più costoso consumare e produrre in un'isola piuttosto che nel continente? Per rispondere affermativamente occorre accettare il presupposto secondo cui l'ambiente naturale influisce sull'attività umana e pertanto anche su quella agricola. Solo allora ha veramente senso parlare di costi dell'insularità.

5.2   Osservazioni generali

5.2.1

Pur con le dovute differenze tra una regione e l'altra, l'agricoltura insulare presenta due caratteristiche comuni a tutte: la dualità e la dipendenza. A un'agricoltura moderna «di esportazione» si affianca in altri termini un'agricoltura tradizionale, più o meno di sussistenza, con una forte dipendenza dall'esterno per quanto riguarda sia i beni materiali sia i mercati di sbocco delle varie produzioni, per il mercato locale e per quello esterno. Questo fenomeno emerge con chiarezza dall'analisi della bilancia commerciale: a fronte dell'esportazione di uno o due prodotti «specializzati», si registra l'esistenza di un'ampia gamma di produzioni agricole e zootecniche destinate al consumo interno.

5.2.2

Lo sviluppo rurale si scontra in ogni caso con una serie di problemi comuni di carattere permanente, derivanti innanzitutto dall'isolamento geografico ed economico di tali regioni e aggravati dagli altri svantaggi naturali di cui sopra.

5.3   Osservazioni specifiche

Le regioni insulari sono caratterizzate da svantaggi permanenti che le differenziano nettamente da quelle continentali. In particolare si tratta dei seguenti.

5.3.1

Svantaggi di carattere generale e di tipo agricolo:

isolamento dalla terraferma,

estensione limitata dei terreni utilizzabili,

risorse idriche limitate,

scarsità delle fonti energetiche,

calo della popolazione autoctona, specie dei giovani,

carenza di personale qualificato,

assenza di un contesto economico favorevole all'imprenditoria,

difficoltà di accesso ai servizi scolastici e sanitari,

costo elevato delle comunicazioni e delle infrastrutture marittime e aeree,

difficoltà nella gestione dei rifiuti.

5.3.2

Svantaggi di tipo agricolo:

monocoltura e stagionalità dell'attività agricola,

frammentazione del territorio, il che ne complica la gestione, l'amministrazione e lo sviluppo economico,

modeste dimensioni dei mercati locali,

isolamento rispetto ai mercati di grandi dimensioni,

esistenza di oligopoli nella fornitura di materie prime,

insufficienza di infrastrutture di trasformazione e commercializzazione,

forte concorrenza con il crescente settore turistico per l'utilizzo di terreni e acqua,

assenza di impianti di macellazione e di industrie di prima trasformazione dei prodotti locali.

6.   Regioni ultraperiferiche

6.1   Definizione

6.1.1

La Commissione europea ha deciso di adottare un approccio comune nei confronti di tali regioni attraverso programmi di orientamento specifici per ovviare alla lontananza e all'insularità (POSEI): Poseidom per i Dipartimenti francesi d'oltremare (Martinica, Guadalupa, Guyana e Riunione); Poseican per le Canarie; e Poseima per Madera e le Azzorre.

6.2   Osservazioni generali

6.2.1

Al di là della sua importanza per il PIL regionale (che è comunque superiore alla media comunitaria), l'agricoltura rappresenta un settore fondamentale dell'economia nelle regioni ultraperiferiche, con importanti effetti indiretti sui trasporti e su altre attività correlate, sull'equilibrio sociale e occupazionale, sull'assetto territoriale, sulla conservazione del patrimonio naturale e culturale nonché, per ragioni strategiche, sulla sicurezza dell'approvvigionamento.

6.3   Osservazioni specifiche

6.3.1

Le barriere naturali e le difficoltà di approvvigionamento in termini di mezzi di produzione e di tecnologie adeguate determinano costi di produzione più elevati.

6.3.2

Le produzioni locali, più costose di quelle continentali, incontrano inoltre notevoli difficoltà nel competere con le importazioni nell'ambito dei mercati locali per via della loro dispersione e della loro elevata frammentazione, e per la mancanza di strutture adeguate di trasformazione e commercializzazione dei prodotti. La crescente presenza di ipermercati e di grandi reti di distribuzione non contribuisce certo a migliorare la situazione.

6.3.3

A ciò si aggiunga l'assenza di economie di scala, le dimensioni ridotte e la frequente frammentazione dei mercati locali, la mancanza di strutture associative (cooperative, ecc.), la carenza totale o parziale di impianti di macellazione e le modeste dimensioni delle industrie di trasformazione.

6.3.4

Neppure l'industria locale di trasformazione, il cui sviluppo incontra ostacoli analoghi, rappresenta un cliente adeguato: le possibilità di ottenere un valore aggiunto sono pertanto scarse.

6.3.5

Problemi simili affliggono le esportazioni: dispersione ed eccessiva frammentazione dell'offerta, sistemi e infrastrutture di commercializzazione differenti, difficoltà nell'accedere ai centri di distribuzione al consumo e nel reagire per tempo ai cambiamenti del mercato.

6.3.6

Si osserva un calo della popolazione autoctona dedita all'agricoltura, soprattutto giovani, che migra verso altri settori economici, specie quello turistico, o verso regioni non insulari.

6.3.7

Le aziende agricole, in cui le donne svolgono un ruolo determinante, sono generalmente di dimensioni ridotte e a conduzione familiare, e presentano un'elevata percentuale di lavoratori a tempo parziale. Per tali aziende, la pratica di un'agricoltura estensiva si scontra con evidenti ostacoli, dovuti all'eccessiva parcellizzazione dei terreni e alle difficoltà di meccanizzazione.

6.3.8

In mancanza di un settore industriale significativo, lo sviluppo economico si orienta verso il settore turistico, il che aggrava la fragilità ambientale e ingenera una situazione in cui l'agricoltura (in posizione svantaggiata) e il turismo si contendono i migliori terreni, l'acqua e la manodopera. Il dislocamento della popolazione verso le aree meno pianeggianti crea problemi di erosione e di desertificazione.

6.4   Svantaggi di tipo agricolo

6.4.1

I prodotti agricoli quali il pomodoro, la frutta tropicale, le piante e i fiori si trovano a dover competere sugli stessi mercati con prodotti analoghi provenienti da altri paesi firmatari di accordi di partenariato o di associazione con l'UE (ad esempio gli Stati ACP e il Marocco), o che beneficiano di regimi preferenziali.

6.4.2

I programmi POSEI in campo agricolo non sono stati pienamente utilizzati soprattutto perché alcune delle misure previste sono ancora troppo recenti. Sarà pertanto opportuno rispettare i massimali stabiliti, assegnando a tali programmi risorse economiche sufficienti per raggiungere gli obiettivi stabiliti.

6.4.3

L'entrata in vigore del nuovo regime previsto nel quadro dell'OCM nel settore della banana, che dovrebbe consentire il mantenimento del reddito dei produttori comunitari e dell'occupazione per garantire il futuro di questo settore.

6.4.4

L'esito dei negoziati OMC e la proposta di modifica dei livelli di dazio. Se necessario, occorrerà adottare misure atte a garantire l'occupazione e il reddito degli agricoltori appartenenti ai settori interessanti.

6.4.5

Dato il contesto in cui si trovano queste regioni, sarebbe necessario prevedere e rafforzare i controlli fitosanitari e zootecnici, mettendo a disposizione tutti i mezzi umani e tecnici necessari a tale scopo.

7.   Proposte per le regioni insulari e ultraperiferiche

7.1

Il Comitato prende atto del ruolo strategico svolto dall'attività agricola in tali regioni come fattore di equilibrio sociale, culturale, territoriale, naturale e paesaggistico.

7.2

In seguito all'esame dei diversi documenti già menzionati, il Comitato constata l'esistenza di svantaggi strutturali che ostacolano lo sviluppo delle attività agricole nelle regioni insulari e in quelle ultraperiferiche.

7.3

Il Comitato considera pertanto necessario formulare una serie di raccomandazioni all'indirizzo della Commissione europea, esortandola a mettere a punto misure specifiche intese a compensare gli svantaggi connessi con l'insularità e l'ultraperifericità (aspetti che riguardano ben 16 milioni di cittadini europei), e in particolare a promuovere lo sviluppo delle attività agricole in tali territori.

7.4

In relazione alle regioni insulari e ultraperiferiche, il Comitato esorta la Commissione europea a:

7.4.1

Concedere a tutti i territori in questione lo status di zona agricola svantaggiata. Gli svantaggi specifici che ostacolano lo sviluppo dell'agricoltura nelle isole di Malta e Gozo (11) costituiscono un precedente importante per l'attuazione di questa misura nei territori insulari e in quelli ultraperiferici.

7.4.2

Definire un regime di aiuti sia per il trasporto dei prodotti agricoli tra tali territori e il continente, sia per i collegamenti interinsulari. Sovvenzionare i costi di trasporto significa consentire ai prodotti agricoli provenienti dalle regioni insulari e da quelle ultraperiferiche di competere sul mercato europeo a parità di condizioni con le produzioni agricole del resto dell'UE.

7.4.3

Definire un piano che garantisca in tali territori parità di prezzi per i fattori fondamentali della produzione agricola (carburanti, concimi, macchinari, ecc.), al fine di compensare i maggiori costi di produzione agricola sostenuti nelle zone insulari e in quelle ultraperiferiche. Occorre inoltre adottare misure finalizzate al sostegno delle importazioni di prodotti di base per l'alimentazione animale.

7.4.4

Includere i cofinanziamenti europei o accrescerne la quota nei programmi di sviluppo rurale che prevedano la costruzione e gli investimenti in infrastrutture specificamente concepite per superare gli svantaggi connessi con l'insularità e l'ultraperifericità, ad esempio piani di irrigazione con l'utilizzo di acque depurate, sistemi di drenaggio, infrastrutture portuarie e di immagazzinaggio, aiuti alla commercializzazione, ecc.

7.4.5

Mettere a punto misure speciali per garantire la vigilanza e il controllo degli assetti oligopolistici, fenomeno particolarmente diffuso nelle isole, in quanto le dimensioni ridotte del mercato locale favoriscono l'emergere di un numero limitato di aziende di distribuzione che talvolta riescono ad appropriarsi di ampi margini commerciali. La lotta contro tali pratiche dovrebbe agevolare lo sviluppo del libero mercato in tali territori.

7.5

Per quanto riguarda invece le misure specificamente destinate alle regioni insulari (non ultraperiferiche) dell'UE, il Comitato esorta la Commissione a:

7.5.1

Adottare programmi d'azione specifici per le regioni insulari non ultraperiferiche dell'Unione. Tali programmi, analogamente a quelli approvati per le regioni ultraperiferiche (12), dovrebbero consentire alle regioni insulari di conseguire risultati simili a quelli ottenuti dalle sette regioni ultraperiferiche: infatti, nei periodi di programmazione 1994-1999 e 2000-2006 a tali territori è stata erogata una quota di finanziamenti per abitante proveniente dai fondi strutturali superiore del 33 % a quella assegnata alle altre regioni interessate dall'Obiettivo 1. Tali aiuti hanno favorito la crescita economica e contribuito a ridurre i tassi di disoccupazione in misura maggiore rispetto a quanto avvenuto in altre regioni dell'UE.

7.5.2

Aumentare, per il nuovo periodo di programmazione della politica regionale (2007-2013), la partecipazione dei fondi europei fino a raggiungere il tetto massimo dell'85 % dei costi totali ammissibili, tetto che già si applica alle regioni ultraperiferiche e alle isole greche periferiche (13). La nuova proposta della Commissione (14) per il periodo 2007-2013 (che prevede un massimale del 60 %) è chiaramente insufficiente rispetto ai bisogni delle regioni insulari.

7.5.2.1

Permettere agli enti territoriali di attuare il programma Jeremie (15) sotto forma di fondi di investimento, in modo da attribuire aiuti finanziari ai giovani agricoltori che intendano dedicarsi alle colture alimentari.

7.5.3

Nel quadro dei nuovi fondi strutturali, il Comitato propone di introdurre un trattamento specifico per le regioni insulari.

7.6

Nel constatare le conseguenze derivanti dalla mancanza di una politica specifica a compensazione dei costi dell'insularità, il CESE sollecita l'istituzione di una piattaforma che consenta di centralizzare tutte le istanze al fine di risolvere i problemi esistenti, con l'obiettivo ultimo di continuare a garantire la presenza di agricoltori in tutte le regioni insulari.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 61 del 14.3.2003, relatore: Jean-Paul BASTIAN.

(2)  GU C 302 del 7.12.2004 e CESE 251/2005, GU C 234 del 22.9.2005, relatore: Gilbert BROS.

(3)  2000/2222(INI), GU C 72E del 21.3.2002.

(4)  GU C 221 del 17.9.2002, relatore: Philippe LEVAUX.

(5)  GU C 294 del 25.11.2005, relatrice Margarita LOPEZ ALMENDARIZ.

(6)  GU C 30 del 30.1.1997, relatore: Leopoldo QUEVEDO ROJO.

(7)  GU C 74 del 23.3.2005.

(8)  Cfr. nota 1.

(9)  Per maggiori informazioni su questo formaggio, cfr. il sito http://www.artisoudemargeride.com.

(10)  Cfr. il sito Internet http://www.mountainproducts-europe.org/sites/euromontana/.

(11)  Trattato di adesione all'Unione europea della Repubblica ceca, dell'Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell'Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia.

(12)  Programma Poseidom per le regioni ultraperiferiche francesi, Poseicam per le Isole Canarie e Poseima per le Azzorre e Madera.

(13)  Regolamento (CE) n. 1260/1999.

(14)  COM(2004) 492 def.

(15)  GU C 110 del 9.5.2006, relatore: Antonello PEZZINI.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come far fronte alle sfide del cambiamento climatico — il ruolo della società civile

(2006/C 318/17)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere di: Come far fronte alle sfide del cambiamento climaticoil ruolo della società civile.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore EHNMARK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 59 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni:

A.   Conclusioni

A.1

Il cambiamento climatico è un processo che non può essere arrestato, almeno non nei prossimi quindici o vent'anni. In questa prospettiva dobbiamo imparare a convivere con tale fenomeno e cercare modi per attenuarne gli effetti e per adattarci ad essi.

A.2

Il dibattito sul cambiamento climatico è eccessivamente incentrato sui «macro-sistemi» e su eventi che avranno luogo in un lontano futuro. Occorre invece avviare un dibattito sugli effetti, presenti e futuri, del cambiamento climatico sulla vita quotidiana dei cittadini. Le tematiche relative a tale fenomeno devono essere riformulate in modo da essere più comprensibili e concrete.

A.3

Alle parti sociali e alla società civile organizzata spetta un ruolo cruciale nel comunicare ai cittadini le questioni relative al cambiamento climatico e nel promuovere dibattiti a livello locale su come le comunità possono preparare delle azioni concrete per adattarsi al cambiamento climatico.

A.4

Il cambiamento climatico avrà un impatto su larghi settori della società, ed il CESE ha messo in luce diversi esempi di questo fenomeno. La conclusione, in generale, è che le comunità dell'UE, insieme con le parti sociali e la società civile organizzata, devono assumersi maggiori responsabilità nel preparare e pianificare le conseguenze del cambiamento climatico.

A.5

Il CESE propone che la società civile organizzata e le parti sociali lancino insieme un dialogo pubblico, a livello dell'UE, riguardante il cambiamento climatico ed incentrato sulle conseguenze che tale fenomeno produrrà sulla vita quotidiana. L'obiettivo principale del dialogo sarà di sensibilizzare i cittadini e di predisporre delle misure nel corso dei prossimi quindici o vent'anni, quando i cambiamenti climatici in corso si aggraveranno a prescindere da qualsiasi intervento umano.

A.6

Il CESE propone che ogni Stato membro dell'UE individui e/o istituisca un ufficio di informazione e coordinamento del cambiamento climatico, incaricato di promuovere i collegamenti tra i livelli locali, regionali e nazionali.

A.7

Il CESE si rammarica del fatto che il cambiamento climatico, nella maggior parte dei casi, sia discusso in termini di prospettive a lungo termine. Tale fenomeno, invece, non riguarda più principalmente, o soltanto, un lontano futuro.

Il cambiamento climatico è un problema di attualità per tutti noi.

1.   Introduzione

1.1

L'esistenza del cambiamento climatico è ampiamente riconosciuta, ma lo sono meno la natura e la portata delle sue conseguenze. Ciò si spiega da un lato con l'esigenza di maggiori conoscenze da ottenere attraverso la ricerca e la preparazione di studi prospettici, dall'altro con la natura stessa del cambiamento climatico: un'evoluzione essenzialmente latente interrotta da eventi drammatici sempre più frequenti. Un terzo elemento è il fatto che il cambiamento climatico, nel dibattito pubblico, è spesso trattato come una questione che riguarda gli altri. Una quarta ragione è l'enfasi posta sulle «macro-tendenze» e su prospettive a lungo termine, che sembrano offuscare le questioni più concrete che interessano la vita quotidiana dei cittadini.

1.2

Lo scioglimento dei ghiacci polari può essere preso come esempio. Nei mesi scorsi i mass media hanno prestato grande attenzione ai calcoli secondo cui tale scioglimento potrebbe causare un aumento del livello degli oceani anche di 13 metri (stima fornita dall'Agenzia europea per l'ambiente). Un altro esempio è la corrente del Golfo: un'alterazione dei meccanismi che la governano potrebbe portare ad una drastica diminuzione delle temperature nell'Europa settentrionale. Nonostante il loro indubbio interesse e la loro importanza, tali informazioni non motivano i cittadini ad affrontare il cambiamento climatico in un modo più immediato e concreto.

1.3

È comunque importante sottolineare che i cambiamenti climatici cui stiamo assistendo e che stiamo tentando di affrontare sono solo l'inizio di un lungo processo ancora da venire. Per i prossimi quindici o vent'anni la situazione potrà infatti soltanto peggiorare, per il semplice motivo che il genere umano ha già immesso, e sta ancora immettendo, sufficienti sostanze nocive nell'atmosfera sotto forma di gas ad effetto serra. Il nostro compito è quindi quello di prepararci e adattarci al cambiamento climatico. Tuttavia, ciò che accadrà oltre i prossimi quindici o vent'anni sarà anche responsabilità delle generazioni attuali, nel senso che agendo ora con determinazione si possono attenuare i cambiamenti climatici che avverranno in un futuro più remoto. I dibattiti che si svolgono nel quadro della UNFCCC (Convenzione quadro dell'ONU sul cambiamento climatico) e del protocollo di Kyoto offrono un'opportunità di azione oltre il 2012 che va assolutamente colta. In caso contrario, infatti, vi sarà un ulteriore peggioramento del clima, e occorreranno interventi ancora più drastici per invertire la tendenza. Non è quindi sorprendente che un numero sempre maggiore di governi consideri il cambiamento climatico una priorità molto importante, ma non è poi detto che tali governi agiscano di conseguenza.

1.4

Il dibattito sul cambiamento climatico è ampiamente dominato dai governi e dalla comunità scientifica. Le ONG ambientali si dedicano al problema con grande impegno, ma dispongono di scarse risorse. Di regola, invece, le grandi organizzazioni di rilievo, come i sindacati e le organizzazioni di datori di lavoro, non partecipano molto attivamente al dibattito su come affrontare e attenuare il cambiamento climatico. La società civile organizzata dovrebbe svolgere un ruolo cruciale, ma dimostra una certa riluttanza a rendersene conto.

1.5

Il CESE ritiene fermamente che la preparazione al cambiamento climatico e il dibattito in materia debbano essere estesi fino a comprendere attivamente le parti sociali e la società civile organizzata in generale. Il cambiamento climatico sta entrando in una fase in cui l'attenuazione e l'adattamento assumono importanza per la vita quotidiana: esso, infatti, non è più essenzialmente, o soltanto, una questione che riguarda un lontano futuro. Il cambiamento climatico avviene anche qui e ora. Ed è quindi fondamentale che le parti sociali e la società civile organizzata affermino e rivendichino la loro funzione fondamentale nel quadro del dibattito e dei preparativi in materia.

1.6

È essenziale che il dibattito in atto sul cambiamento climatico tenga conto in misura molto maggiore di prospettive più circoscritte, che partano dalla situazione dei singoli cittadini e delle comunità locali. Occorre analizzare in che modo i cittadini possono attenuare gli effetti del cambiamento in corso in termini di costi (cfr. costi per l'energia), di assicurazioni oppure di scelte dei consumatori, per citare solo alcuni esempi.

1.7

Il presente parere ha come obiettivo innanzitutto quello di esaminare il ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata nell'analizzare, pianificare e adottare una serie di provvedimenti che consentano di affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico. Esso è incentrato sulla ricerca di modalità e mezzi per affrontare il problema in termini economici, sociali e di coesione attraverso un approccio concreto, dal basso verso l'alto.

1.8

La scelta di concentrarsi sui prossimi quindici o vent'anni è motivata dal fatto che in quel periodo il cambiamento climatico continuerà sulla base di quanto è già stato fatto. È altrettanto chiaro che dobbiamo adattarci ora agli effetti iniziali del processo mentre ci prepariamo a quelli che si manifesteranno in futuro.

1.9

Viene spesso fatto notare che la quantità di notizie e informazioni sul cambiamento climatico sono tanto sconvolgenti quanto di difficile assorbimento da parte dei cittadini che cercano risposte su come il cambiamento climatico può influenzare e influenzerà la loro vita quotidiana. Sono disponibili tantissime informazioni sul cambiamento climatico, e questo pone una sfida in termini di comunicazione. Tale situazione richiederà una leadership politica, poiché alcune azioni, inevitabili, provocheranno senz'altro degli inconvenienti nella vita quotidiana dei cittadini.

1.10

È importante sottolineare che sono in via di elaborazione numerosi studi molto soddisfacenti: particolare importanza riveste in tale contesto il Programma europeo per il cambiamento climatico, che è ora nella seconda fase. Nell'ambito del programma sono stati istituiti numerosi gruppi di lavoro in materia di scambio delle quote di emissione, domanda e offerta di energia, trasporti, industria, agricoltura e silvicoltura, per citare solo alcuni temi. Il secondo programma europeo per il cambiamento climatico, lanciato dalla Commissione nell'ottobre 2005, prevede la creazione di nuovi gruppi di lavoro in materia di adeguamento, cattura e stoccaggio geologico del biossido di carbonio, trasporti aerei e approccio integrato alle emissioni di CO2 dei veicoli commerciali leggeri, nonché di molti altri gruppi incaricati di valutare l'attuazione delle azioni precedenti. Nel complesso, i programmi per il cambiamento climatico stanno fornendo una grande quantità di analisi e informazioni, e hanno posto le basi per molte decisioni del Consiglio.

1.11

È necessario ampliare ulteriormente il Programma? La risposta è sì, nel senso che vi è un'esigenza diffusa di informazioni più concrete che comprendano, in particolare, un maggior numero di esempi di iniziative riuscite. Inoltre, la gestione del cambiamento climatico richiede la partecipazione attiva delle parti interessate e, in ultima analisi, degli stessi cittadini. La Commissione europea ha compreso questa necessità e ha lanciato un'importante campagna di informazione e comunicazione. L'iniziativa è accolta con grande favore. Bisogna tuttavia intraprendere ulteriori sforzi di informazione, che coinvolgano tutti gli Stati membri, coordinino le attività svolte a livello dell'UE, nazionale e locale, e soprattutto portino tali tematiche a conoscenza dei cittadini.

2.   L'ampiezza delle sfide poste dal cambiamento climatico

2.1

Il cambiamento climatico produrrà effetti rilevanti su un gran numero di settori delle società moderne, e tali effetti non saranno limitati a condizioni meteorologiche estreme. Un elenco non esauriente delle possibili conseguenze comprende inondazioni, incendi nelle foreste, danni alle infrastrutture, ristrutturazioni agricole, problemi relativi alla qualità dell'aria, soprattutto nelle zone metropolitane, problemi di approvvigionamento energetico, restrizioni all'uso delle risorse idriche e impatti sull'industria, soprattutto manifatturiera. A questo elenco si possono aggiungere la pianificazione urbana e l'adozione di nuove soluzioni architettoniche finalizzate al risparmio energetico.

2.2

Il fatto che il cambiamento climatico interesserà una così vasta gamma di settori trasversali viene compreso solo poco a poco e, pertanto, il sostegno pubblico necessario per le azioni da compiere sta prendendo forma solo lentamente.

2.3

In molti casi lo sforzo di contrastare il cambiamento climatico mediante azioni specifiche provocherà effetti evidenti e talvolta sgradevoli per la vita quotidiana dei cittadini.

2.4

La questione presenta un'evidente analogia con il dibattito in corso sulla strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile. Sin dalle prime fasi del dibattito, infatti, è risultato chiaro che i cittadini non sono consapevoli degli sforzi che imporrà la promozione dello sviluppo sostenibile sia nell'UE che a livello globale. Le sfide future in materia di sviluppo sostenibile, infatti, sono descritte come cause di cambiamenti radicali nelle modalità di funzionamento delle nostre società (1).

2.5

La lotta contro il cambiamento climatico è indubbiamente parte integrante degli sforzi volti a mettere in atto uno sviluppo sostenibile. Come tutti gli sforzi in tal senso, tale lotta deve svolgersi su un piano concreto e quotidiano.

2.6

La strategia di Lisbona viene talvolta considerata la fase iniziale, decennale, della realizzazione del progetto dello sviluppo sostenibile. Va ricordato che tale strategia, fondata su pilastri economici, sociali e ambientali, ha definito sin dall'inizio obiettivi molto ambiziosi in materia di ambiente, cambiamento climatico e sviluppo sostenibile in generale. Pertanto, la lotta al cambiamento climatico non può essere considerata una questione totalmente distinta: essa rientra infatti in un progetto più ampio, ed è strettamente legata alla necessità più generale di intervenire.

2.7

Un'osservazione ricorrente a proposito della strategia di Lisbona è che gli Stati membri e i loro governi non hanno dato la priorità necessaria alle azioni e agli investimenti concordati. Si può rispondere che gli effetti di tale strategia sui cittadini non sono abbastanza diretti né abbastanza tangibili. Tuttavia, gli effetti del cambiamento climatico, ad esempio le catastrofi naturali, spesso lo sono in misura estrema, e i cittadini dovranno compiere adeguati preparativi per riuscire ad attenuarli.

2.8

Il cambiamento climatico viene spesso identificato solo con perdite finanziarie. Ciò non dà un quadro completo: vanno infatti pienamente riconosciuti anche gli aspetti sociali di tale fenomeno. Non si tratta soltanto di cittadini che perdono l'abitazione o il posto di lavoro, ma anche della necessità di sostenere costi più elevati per l'energia, il tempo libero e le vacanze. Si tratta di motivare i cittadini a cambiare il loro comportamento in termini di consumi. E, oltre a molti altri aspetti, vi è il rischio che l'adattamento al cambiamento climatico provochi nuovi squilibri socioeconomici, con effetti negativi per i cittadini che vivono in regioni periferiche o dispongono di un reddito limitato.

2.9

Il CESE sottolinea l'importanza della coesione sociale nella lotta contro il cambiamento climatico. Nel fare ampio ricorso a fattori economici come strumento di persuasione dei cittadini vanno considerati anche i possibili effetti negativi sul piano sociale. Anche altri strumenti per affrontare il cambiamento climatico devono essere valutati tenendo conto dei loro effetti sulla coesione sociale. Ciò mette in luce l'importanza fondamentale di coinvolgere la società civile organizzata nell'intero processo di lotta contro il cambiamento climatico.

2.10

Occorre analizzare ulteriormente le conseguenze del cambiamento climatico sulla vita lavorativa. Esse comprendono non solo il passaggio a metodi di produzione a risparmio di energia che consentano di salvaguardare le risorse naturali, ma anche la delocalizzazione delle unità di produzione in funzione della disponibilità di risorse energetiche rinnovabili a basso costo. Per i lavoratori, il passaggio a nuovi metodi di produzione e la comparsa di nuovi settori di attività metterà in luce l'esigenza di perfezionare ulteriormente le loro competenze e di seguire corsi di formazione permanente. Il dialogo sociale, soprattutto a livello dell'UE, dovrebbe sottolineare l'impatto sociale del cambiamento climatico e, in particolare, i suoi effetti sulla vita professionale. Le parti sociali a livello dell'UE dovrebbero farne una questione prioritaria. A questo proposito è importante sottolineare che il cambiamento climatico non comporta, di per sé, il rischio della perdita di posti di lavoro. Gli effetti di tale fenomeno possono invece offrire nuove opportunità in questo campo (cfr. punto 2.13).

2.11

I consumatori percepiranno presto gli effetti del cambiamento climatico, poiché esso porterà inevitabilmente a modifiche dei modelli di consumo, per quanto riguarda sia gli alimenti, sia i trasporti, gli alloggi o le vacanze. Ma i consumatori sono anche soggetti potenzialmente in grado di attenuare gli effetti di tale fenomeno, e costituiscono la base per un'azione a lungo termine volta ad arrestarlo. Il modo migliore per mettere in atto modelli sostenibili di produzione è indubbiamente fare ricorso ad un movimento di consumatori, consolidato e potente, che sia in grado di raggiungere i cittadini. Occorre considerare i consumatori ciò che in effetti sono o potrebbero essere, vale a dire attori fondamentali nell'attenuare l'impatto del cambiamento climatico sui singoli cittadini.

2.12

La dimensione globale del cambiamento climatico viene percepita sotto forma di catastrofi meteorologiche in altri paesi, che causano perdite ingenti in termini di vite umane e danni alle cose. Inoltre, a seguito del cambiamento climatico, le malattie tropicali possono diffondersi in nuove zone, rendendo più ardue le sfide future. Il cambiamento climatico metterà alla prova la solidarietà tra popoli e nazioni, e i paesi industrializzati dovranno rafforzare la propria capacità di fornire sostegno e aiuto. Bisognerebbe tenere presente che, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sono molto più spesso i poveri a dover portare il peso del cambiamento climatico. La dimensione sociale globale del cambiamento climatico riveste un'importanza fondamentale: in tale ambito, infatti, si può fare molto per risolvere problemi che altrimenti potrebbero facilmente moltiplicarsi.

2.13

Del cambiamento climatico si parla spesso soltanto in termini di minacce e problemi, ma le azioni volte ad attenuarne gli effetti offrono anche delle opportunità. L'esigenza, sempre più pressante, di conseguire un risparmio energetico nella produzione e nei trasporti, ha aperto infatti un nuovo campo per la ricerca, per lo sviluppo di nuove tecnologie e per l'immissione sul mercato di nuovi prodotti. Ciò dovrebbe costituire una parte importante della risposta dell'UE alle sfide poste dal cambiamento climatico. Nel quadro dell'iniziativa avviata dalla Commissione in materia di politica industriale integrata, una priorità molto elevata dovrebbe essere attribuita al sostegno e al coordinamento dello sviluppo di tecnologie rispettose dell'ambiente. In questo campo anche le piccole e medie imprese possono svolgere una funzione importante.

2.14

L'impegno ad affrontare e attenuare gli effetti del cambiamento climatico può sollevare nuove questioni: ad esempio, l'importanza attribuita recentemente alla produzione di etanolo a partire da prodotti agricoli sta portando ad ottimi risultati in alcuni paesi. Ne consegue che alcune colture, come il granturco, vengono sempre più impiegate per la produzione di etanolo. Tuttavia, le stesse colture rivestono anche un'importanza fondamentale nel quadro dell'assistenza alimentare fornita alle zone colpite da carestia nei paesi in via di sviluppo. Questo esempio illustra l'importanza di evitare soluzioni unilaterali.

2.15

L'ampiezza della sfida futura può essere illustrata da questa citazione: «La scienza ci dice che dobbiamo puntare a contenere i futuri aumenti della temperatura del pianeta a 2oC al di sopra dei livelli preindustriali se vogliamo limitare i danni. Questo obiettivo dei 2oC impone l'adozione di politiche finalizzate all'adattamento al cambiamento climatico e all'attenuazione degli effetti di tale fenomeno. Anche se le politiche già adottate saranno attuate, è probabile che le emissioni su scala planetaria aumenteranno nei prossimi vent'anni, imponendo riduzioni delle emissioni mondiali pari almeno al 15 % rispetto ai valori del 1990 entro il 2050; tutto questo richiederà un notevole impegno.» (Comunicazione della Commissione — Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici  (2)). L'ultima parte della citazione può essere considerata una notevole sottovalutazione del problema; essa illustra, tuttavia, l'importanza di radicare il processo al livello locale e regionale e presso i cittadini.

3.   Dieci settori per la partecipazione della società civile

3.1

La pianificazione urbana e delle comunità è un settore in cui si può ottenere molto, in termini di attenuazione del cambiamento climatico e di risparmio energetico. Una valida pianificazione urbana dovrebbe comprendere soluzioni che rispettino il clima, sia per le abitazioni che per i trasporti. Alcuni studi hanno confermato gli effetti molto positivi in termini di energia indotti dall'orientamento degli edifici nel paesaggio o nella comunità (3). Le soluzioni architettoniche sono importanti sia per sfruttare al massimo l'energia solare sia per l'isolamento degli edifici. Un aspetto ulteriore è ovviamente l'importanza di tali soluzioni per far sì che i piccoli centri, i sobborghi e le aree metropolitane diventino luoghi dove sia facile abitare e ben funzionanti sul piano sociale. È essenziale che le parti sociali e la società civile organizzata siano coinvolti in una fase precoce della pianificazione urbana e comunitaria.

3.1.1

La Commissione europea dovrebbe avviare delle consultazioni con enti locali e regionali ed altri soggetti per definire degli orientamenti per la pianificazione urbana nella prospettiva di un'accelerazione del cambiamento climatico. Il CESE propone alla Commissione di preparare del materiale informativo di base per la pianificazione urbana, insieme con orientamenti riguardanti soluzioni già adottate con successo.

3.2

La lotta contro il cambiamento climatico metterà in luce la necessità di modernizzare e isolare gli edifici esistenti, ricorrendo a tutte le tecniche e ai materiali adeguati per il risparmio energetico. Nel settore dei materiali da costruzione, in particolare per quanto riguarda l'isolamento termico, occorrono nuove iniziative. Non si tratta soltanto di aumentare l'efficienza dei sistemi di riscaldamento, bensì di isolare gli edifici in modo più efficace rispetto alle temperature esterne, sia basse che alte. Non bisogna dimenticare l'esperienza dell'estate torrida in Europa di qualche anno fa. Si potrebbe ricorrere ad incentivi fiscali per incoraggiare i proprietari privati ad installare nuovi sistemi di isolamento degli edifici e degli appartamenti. Il CESE raccomanda di introdurre un sistema di certificati di efficienza energetica, in modo da fornire ai consumatori le informazioni pertinenti sui costi abitativi, in termini di energia, di una specifica casa o appartamento.

3.3

Il trasporto su strada sta registrando un rapido aumento nell'UE. I sistemi ferroviari, infatti, incontrano difficoltà a competere con i vantaggi del trasporto su strada in termini di rapidità della consegna rapida «da porta a porta». Questa tendenza è insostenibile, per quanto riguarda sia le emissioni di CO2 che l'aumento dei costi del carburante. Per vincere la battaglia contro il cambiamento climatico bisogna riuscire a scindere l'aumento del PIL dalla crescita del trasporto su strada, ma le azioni concrete in tal senso devono ancora essere definite. La costruzione di un sistema per il trasporto merci rapido su ferrovia sarebbe la risposta logica, tanto più in un'Unione allargata. Tuttavia, un aumento delle merci trasportate per ferrovia richiederà investimenti enormi. In una certa misura, i prezzi possono essere utilizzati per incoraggiare il trasporto ferroviario delle merci. Per i consumatori è essenziale che la distribuzione dei prodotti alimentari sia rapida ed efficiente, mentre per l'industria è fondamentale che le consegne siano semplici, efficienti e puntuali. Allo stesso tempo le autostrade trafficate sono inquinanti potenti e le flotte di automezzi pesanti obsoleti contribuiscono all'inquinamento. Non vi è quindi una soluzione facile alle questioni relative ai trasporti nel quadro più ampio del cambiamento climatico. Occorre invece una strategia composta di azioni molteplici, che comprendano misure di sostegno alle soluzioni di tipo ferroviario, e maggiori sforzi di ricerca e sviluppo, tra l'altro per mettere a punto motori, destinati agli automezzi pesanti, efficienti, rispettosi dell'ambiente e che funzionino con carburanti alternativi. Sarà importante che i consumatori conoscano i costi reali di trasporto di una determinata merce.

3.4

Il settore dei viaggi e del tempo libero dovrà adeguarsi a costi energetici sempre più elevati, che avranno un impatto sui trasporti stradali e aerei. Il prezzo del petrolio è rapidamente aumentato negli scorsi anni, e costituisce ora un argomento molto convincente perché i consumatori scelgano soluzioni alternative. La rapida crescita dell'interesse nell'acquisto di autovetture più piccole e più efficienti sul piano energetico è un segnale molto promettente. Questo è infatti un chiarissimo esempio di situazione che porta vantaggi a tutti nella lotta contro il cambiamento climatico: da un lato, autovetture più piccole e meno inquinanti e, dall'altro, un enorme mercato globale potenziale per questo tipo di automobili e di soluzioni. Appare promettente anche la scelta, compiuta in alcuni paesi, di introdurre incentivi fiscali per l'impiego di carburanti alternativi.

3.5

A questo proposito, bisognerà prestare particolare attenzione al volume del traffico dei pendolari in direzione e in provenienza dalle zone metropolitane. La rapida crescita di tali aree, nell'UE come in altre parti del mondo, rende urgente la necessità di sperimentare nuovi approcci per il trasporto dei pendolari e delle merci. Esperimenti volti ad imporre tasse per l'accesso al centro cittadino hanno dato risultati essenzialmente positivi se combinati con investimenti cospicui intesi a garantire trasporti pubblici rapidi e convenienti. Ostacolare l'utilizzo delle automobili senza fornire in cambio un'alternativa adeguata darà adito soltanto alle proteste dei cittadini, che lotteranno per il diritto ad utilizzare l'automobile se le alternative non sono adeguate. La società civile organizzata può svolgere un ruolo fondamentale in questo campo.

3.6

Le sfide summenzionate fanno anche parte del problema, più ampio, posto dalla necessità di diminuire l'importazione e l'utilizzo dei combustibili fossili nell'Unione europea. Le incertezze riguardanti l'approvvigionamento di carburanti fossili nell'inverno 2005/2006 hanno reso ancora più urgente la necessità di trovare soluzioni nuove. Alcuni Stati membri stanno lanciando programmi ambiziosi volti a ridurre drasticamente l'impiego dei combustibili fossili e puntano ad alternative rinnovabili, insieme con politiche nuove per la promozione di soluzioni efficienti dal punto di vista energetico. In alcuni paesi, come la Svezia, i governi hanno avviato degli studi su come ridurre drasticamente le importazioni di combustibili fossili. La Commissione europea dovrebbe lanciare delle consultazioni con le parti interessate e i governi degli Stati membri per definire nuovi sforzi intesi a ridurre nettamente le importazioni di combustibili fossili nell'UE. Entro la fine di questo decennio, tutti gli Stati membri dell'UE dovrebbero avere intrapreso delle iniziative volte a individuare modalità per ridurre considerevolmente le importazioni e l'utilizzo di combustibili fossili. Si tratterebbe di un notevole contributo al prossimo programma di Kyoto e allo sforzo per arrestare il cambiamento climatico nel lungo periodo, e costituirebbe anche un'importante opportunità tecnologica ed industriale per l'Unione europea. Infine, la società civile organizzata ricaverebbe grandi benefici da un simile impegno.

3.7

I prezzi agricoli, e quindi i prezzi alimentari, subiranno le conseguenze dirette del cambiamento climatico e dei suoi effetti sul costo dell'energia. Nell'UE, la desertificazione delle aree meridionali richiederà speciali misure di sostegno, in linea con la solidarietà prevista dalla PAC. La Commissione dovrebbe avviare degli studi riguardo agli effetti del cambiamento climatico sull'agricoltura dell'UE, basati su relazioni e analisi nazionali. È essenziale mettere in luce l'importanza della ricerca nel continuare a ridurre l'impiego di input agricoli nelle pratiche di coltivazione e mettere a punto sostituti per i derivati del petrolio impiegando materie prime agricole. Inoltre il ruolo dell'agricoltura nella diversificazione dell'approvvigionamento energetico potrebbe divenire sempre più importante. Infine, sarebbe opportuno incoraggiare gli agricoltori a produrre la propria energia.

3.8

Le sfide per l'industria rappresentano un altro settore in cui è essenziale pianificare e adeguarsi in anticipo. Il problema non interessa soltanto le industrie situate nei territori pianeggianti in cui le inondazioni possono costituire, o costituiranno, un grave problema. Per l'industria è essenziale anche trovare soluzioni funzionali ed efficaci alle esigenze del trasporto merci, in quanto l'approvvigionamento di materie prime a prezzi ragionevoli è fondamentale. Per l'industria, tuttavia, il cambiamento climatico è anche fonte di nuove opportunità: il mercato globale delle tecnologie che consentono un risparmio energetico sarà immenso, e le imprese con capacità sufficiente per investire nello sviluppo di tali tecnologie possono guardare al futuro con ottimismo.

3.9

Un altro settore in cui è importante pianificare in anticipo è il mondo del lavoro. Infatti, con l'avvento di tecnologie che consentono un maggiore risparmio energetico e l'applicazione di tali tecnologie alla produzione di beni, vi sarà una forte domanda di un ulteriore perfezionamento di qualifiche e competenze. Alcune nuove tecnologie, per espandersi, sottoporranno la manodopera ad una forte pressione, ad esempio nell'applicazione delle nanotecnologie. I problemi relativi alle sfide del mondo del lavoro sono resi più gravi dall'aumento del costo dell'energia. Vi sarà un interesse sempre più diffuso per le opportunità di telelavoro: ciò richiede però un miglioramento delle TIC, tra cui gli impianti a banda larga.

3.10

La gestione delle catastrofi è un altro tema importante nel quadro del cambiamento climatico. Le catastrofi meteorologiche sono sempre più frequenti e hanno effetti sempre più vasti. A livello dell'UE occorrerebbe creare un organo di reazione alle catastrofi in grado di prestare un'assistenza tempestiva anche con breve preavviso. In alcuni Stati membri tali unità esistono già, ma vanno create in tutti gli Stati membri e va garantito un certo livello di cooperazione e coordinamento. In questo modo l'UE avrebbe la capacità di soccorrere le vittime di catastrofi meteorologiche non solo sul proprio territorio ma anche in altre parti del mondo.

3.11

Le catastrofi causate da condizioni meteorologiche estreme pongono anche gravi problemi di assistenza finanziaria, in primo luogo alle compagnie di assicurazione: la frequenza di tali catastrofi metterà il settore ancora di più sotto pressione, e ciò si ripercuoterà sui costi assicurativi per i cittadini. La Commissione europea dovrebbe compiere uno studio su questi temi, al fine di garantire un sistema di assicurazioni funzionante anche nel lungo periodo.

4.   Adeguamento e attenuazione: in che modo e da parte di chi?

4.1

Occorrerà un grande impegno per comunicare al pubblico il cambiamento climatico e le sue conseguenze. È però importante adottare un approccio equilibrato e in una certa misura pragmatico nelle azioni di sensibilizzazione: non bisogna terrorizzare i cittadini, bensì concentrarsi sui provvedimenti pratici da adottare per garantire a tutti una buona qualità di vita.

4.2

Il CESE propone che tutti gli Stati membri istituiscano uffici di contatto, informazione e coordinamento in grado di fornire servizi di consulenza e di preparare studi sull'adeguamento e l'attenuazione del cambiamento climatico. Lo scambio di esperienze con altri Stati membri e la diffusione di tali informazioni alla società civile e ai comuni dovrebbe essere una parte importante delle attività. I contatti con le comunità locali, le parti sociali e la società civile organizzata rivestiranno grande importanza, come pure i contatti con l'industria e le imprese.

4.3

Il CESE propone di lanciare, a livello dell'UE, un dialogo sul cambiamento climatico riguardante i modi e i mezzi per contrastare il deterioramento delle condizioni climatiche e per prendere misure che consentano di adattarsi ai cambiamenti già in atto. Il dialogo dovrebbe essere sostenuto dalle istituzioni dell'UE, ma la responsabilità delle azioni concrete dovrebbe spettare ai comuni, agli istituti di istruzione, ai sindacati e alle organizzazioni dei datori di lavoro, degli agricoltori, dei consumatori, ecc. Il CESE intende partecipare attivamente al dialogo e fungere da «camera di compensazione» per gli scambi e le valutazioni.

4.4

Il CESE esprime soddisfazione per il lancio, da parte della Commissione europea, di un ampio programma di informazione e comunicazione dell'UE sul cambiamento climatico, che fornirà un contributo essenziale alla sensibilizzazione dei cittadini su questo tema. La proposta del CESE in merito ad un dialogo sul cambiamento climatico è rivolta alle comunità locali, alle regioni e agli Stati, e in particolare alle parti sociali e alla società civile organizzata. I due programmi potrebbero completarsi reciprocamente in modo costruttivo.

4.5

Una componente essenziale del dialogo sul cambiamento climatico sarà la diffusione delle informazioni riguardanti esempi di buone pratiche, provenienti, ad esempio, da paesi che stanno cercando di elaborare piani di azione per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Altri esempi potrebbero essere le misure adottate da certe aree metropolitane per ridurre l'uso delle automobili come mezzo per recarsi nel centro della città (Londra e Stoccolma costituiscono solo due esempi).

4.6

Il dialogo dovrebbe iniziare nell'inverno 2006-2007 e non richiede una scadenza finale. Dovrebbe essere strettamente collegato agli sforzi intesi a comunicare la visione dello sviluppo sostenibile. Affrontare le questioni relative al cambiamento climatico offrirà chiaramente un'opportunità di rendere più tangibili le problematiche legate allo sviluppo sostenibile.

4.7

Non sarà possibile alcun dialogo con i cittadini sul cambiamento climatico senza la partecipazione chiara e costante delle parti interessate a livello locale e regionale. Inoltre dovrebbe essere messo a disposizione un sostegno finanziario per attività di pianificazione e di scambio. È però evidente che ci vorrà del tempo per creare le capacità necessarie nell'ambito delle comunità e nella società civile organizzata come pure tra le parti sociali.

4.8

Nel 2012 si terrà una nuova conferenza dell'ONU sullo sviluppo sostenibile, che farà seguito alle conferenze di Rio del 1992 e di Johannesburg del 2002. Il CESE raccomanda vivamente di incentrarla specificamente sul cambiamento climatico e sul suo impatto globale. La cooperazione avviata tra il CESE e l'OIL, come pure tra il CESE e il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, offrirà delle opportunità per preparare studi congiunti sugli effetti globali del cambiamento climatico. Questa cooperazione aiuterà anche a mettere in evidenza come le parti sociali e la società civile organizzata possano diventare parti attive nella lotta contro il cambiamento climatico.

5.   Strumenti di sensibilizzazione e sostegno

5.1

Sensibilizzare i cittadini sul cambiamento climatico e sulle sue conseguenze dovrebbe rientrare essenzialmente nelle responsabilità dei livelli locali, regionali e nazionali, con il sostegno dell'UE ed iniziative su scala europea. Bisogna adottare un approccio dal basso verso l'alto che inviti i cittadini a proporre le soluzioni che preferiscono, senza fornire risposte preconfezionate.

5.2

Tra le organizzazioni della società civile, le organizzazioni dei consumatori avranno una funzione molto importante nel mobilitare i consumatori e nel promuovere un impegno motivato. I consumatori esercitano, o possono esercitare, una pressione considerevole sul mercato attraverso i beni e i servizi che acquistano. Per i movimenti europei dei consumatori si tratterà di una grande sfida.

5.3

Alle parti sociali incomberà la responsabilità particolare di analizzare l'impatto del cambiamento climatico sulla vita lavorativa e di proporre adeguate strategie di attenuazione degli effetti del fenomeno o di adeguamento. La dimensione sociale della lotta al cambiamento climatico è una componente essenziale dell'impegno complessivo.

5.4

Non sarà possibile vincere la battaglia contro il cambiamento climatico senza il sostegno e la cooperazione attivi dell'industria e delle imprese. L'industria può svolgere un ruolo fondamentale nell'inserire le problematiche relative al cambiamento climatico nella attività di pianificazione, produzione, commercializzazione e valutazione. Le industrie potrebbero beneficiare dall'inserimento, nelle relazioni annuali, di maggiori informazioni sulle loro attività riguardo al cambiamento climatico. Essere attivi in questo campo potrebbe rivelarsi una mossa vincente sul piano del marketing.

5.5

Nei dibattiti sugli effetti del cambiamento climatico, molti osservatori si pronunciano a favore di varie forme di tassazione o altri incentivi finanziari. Anche se tali incentivi possono indubbiamente produrre risultati molto evidenti, essi dovrebbero essere introdotti con estrema cautela. Ad esempio, la tassazione dei carburanti per le automobili avrà un impatto sociale negativo sui cittadini delle aree scarsamente popolate. Il sistema che prevede l'accesso a pagamento per gli automobilisti alle zone centrali delle città migliora la situazione generale del traffico, ma deve essere accompagnato da nuovi investimenti nei trasporti pubblici. In caso contrario l'introduzione della tassa creerà nuovi squilibri socioeconomici: i cittadini che possono permetterselo continueranno ad utilizzare l'automobile, mentre gli altri dovranno affidarsi ad un sistema di trasporti pubblici che non necessariamente sarà molto efficiente.

5.6

Un altro strumento importante per sensibilizzare i cittadini sarebbe l'introduzione di processi di gestione ambientale, come il Sistema di ecogestione ed audit (EMAS), un sistema volontario, istituito dal regolamento (CE) n. 761/2001 del Consiglio ed inteso a riconoscere e a premiare le organizzazioni che, oltre a rispettare le norme di legge, migliorano costantemente le proprie prestazioni ambientali.

5.7

Applicando l'EMAS, le organizzazioni individuali e le istituzioni sperimentano modalità concrete di misurare e ridurre l'impatto ambientale di diverse attività, come ad esempio l'impiego di energia e di materiali e gli spostamenti in automobile oppure per ferrovia o in aereo. Il Comitato economico e sociale europeo potrebbe considerare l'introduzione di EMAS, esplorando in particolare la possibilità di valutare le emissioni prodotte dagli spostamenti per le riunioni e adottando quindi eventuali misure di compensazione (cfr. allegato con alcune valutazioni preliminari).

5.8

Un'altra proposta in esame è quella di calcolare i costi di trasporto come parte del prezzo totale di una merce. In questo modo si potrebbero fornire ai consumatori informazioni più importanti al momento della scelta tra diverse merci.

6.   Una sfida per la società civile

6.1

La società civile organizzata a livello europeo si è impegnata sulle questioni dello sviluppo sostenibile sin dalle conferenze globali di Rio e Johannesburg.

6.2

Alla società civile organizzata si offre ora un'occasione unica per svolgere un ruolo prezioso nel dialogo europeo proposto sul cambiamento climatico. Il suo contributo potrebbe concretizzarsi in cinque azioni principali:

partecipare attivamente alla sensibilizzazione dei cittadini sul cambiamento climatico e sui suoi effetti,

incoraggiare i consumatori e altri gruppi fondamentali ad adottare preferenze chiare in materia di consumo che tengano conto dell'impatto del cambiamento climatico,

avviare, influenzare e sostenere nuovi programmi di pianificazione urbana che riguardino gli alloggi, i trasporti e gli spostamenti dei pendolari,

fungere da canale di comunicazione tra i cittadini e i governi sul tema dell'attenuazione degli effetti del cambiamento climatico e, più a lungo termine, dell'arresto dei processi in atto,

cooperare con la società civile di altri paesi e regioni per avviare azioni costruttive intese ad attenuare gli effetti del cambiamento climatico.

6.3

In linea con le dichiarazioni del Consiglio europeo, il CESE ha creato una rete interattiva con tutti i consigli economici e sociali degli Stati membri dell'UE. Le attività di tale rete sono particolarmente incentrate sulla strategia di Lisbona.

6.4

Il CESE è disposto a valutare la possibilità di estendere le competenze di tale rete, includendovi anche questioni attinenti al cambiamento climatico e alle soluzioni proposte dall'Europa per contrastare gli effetti di tale fenomeno.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. la dichiarazione di ROCARD nel corso del forum consultivo organizzato dal CESE nell'aprile 2001.

(2)  COM(2005) 35 def., pag. 9.

(3)  Ad esempio, il progetto di edilizia residenziale di Friburgo.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/109


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Smaltimento delle carcasse di animali e utilizzo di sottoprodotti animali

(2006/C 318/18)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere: Smaltimento delle carcasse di animali e utilizzo di sottoprodotti animali.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SANTIAGO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 32 voti contrari e 16 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

L'informazione svolge un ruolo fondamentale nella società, e il consumatore ha diritto a ricevere informazioni e spiegazioni corrette e puntuali in merito alla qualità degli alimenti che consuma. Il CESE ritiene pertanto che sia necessario realizzare adeguate campagne di informazione e spiegazione rivolte ai consumatori. Il Comitato riafferma che la tutela della salute pubblica e la garanzia della sicurezza alimentare nella produzione europea formano parte dei principi fondamentali da esso difesi.

1.2

Il Comitato propone che la Commissione europea prosegua e ampli quanto più rapidamente possibile gli studi in corso per dimostrare senza il minimo dubbio che le farine provenienti da animali non ruminanti possono essere impiegate nell'alimentazione dei suini e del pollame, senza alcun rischio per la salute umana.

1.2.1

L'individuazione delle proteine e i metodi utilizzati per la tracciabilità delle rispettive farine dovranno fornire al consumatore la garanzia assoluta che i suini sono alimentati con farine provenienti esclusivamente da sottoprodotti avicoli e il pollame con farine derivanti unicamente da sottoprodotti suini.

1.2.1.1

Una volta conclusi questi studi, i sottoprodotti provenienti dalla macellazione, in mattatoi diversi, di animali sani potranno essere utilizzati nella produzione di farine, le cui proteine saranno chiaramente individuabili e la cui origine rintracciabile.

1.3

Al fine di prevenire la possibile diffusione di malattie attraverso il trasporto delle carcasse, è fondamentale sviluppare programmi di ricerca che permettano di trovare metodi di distruzione in loco delle carcasse negli stessi impianti zootecnici.

1.4

Il CESE raccomanda di promuovere la ricerca su sistemi, possibilmente energetici, che integrino il trattamento di tutti i sottoprodotti e residui zootecnici allo scopo di armonizzare la produzione, garantendo la difesa dell'ambiente nel breve e medio periodo, badando all'equilibrio economico degli allevamenti, garantendo la sicurezza sanitaria del bestiame e la salute degli stessi allevatori.

2.   Introduzione

2.1

A sei anni dalla crisi BSE, il Comitato ha ritenuto opportuno riesaminare il problema dello smaltimento delle carcasse e dell'utilizzo di sottoprodotti animali, tenendo conto della sicurezza alimentare, della tutela della salute del consumatore e dei problemi economici legati alla produzione.

2.1.1

La produzione alimentare in Europa è soggetta a standard di sicurezza assai più elevati che nei paesi terzi; essi sono del resto garanti della sicurezza degli alimenti per i consumatori, della salvaguardia dell'ambiente, della salute e del benessere degli animali. Il mantenimento di tali standard, con i costi aggiuntivi di produzione che essi comportano, sarà possibile solo conservando la produzione in Europa.

2.2

Prima dello scoppio della crisi BSE, lo smaltimento in loco delle carcasse dei suini morti negli impianti di allevamento non costituiva un problema per i produttori, dato che esse potevano essere utilizzate per la produzione di farine di carne, a loro volta impiegate nell'alimentazione animale. Accadeva così che in vari paesi le imprese produttrici di tali farine effettuassero gratuitamente il ritiro delle carcasse.

2.3

In seguito allo scoppio della crisi e all'adozione del regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 ottobre 2002, non solo è stato introdotto il divieto di utilizzare farine di carne nell'alimentazione animale, ma le carcasse sono passate ad essere considerate materiale a rischio di categoria 2, classificazione che implica il trasporto e la distruzione per incenerimento, il tutto esclusivamente attraverso aziende convenzionate.

2.4

Com'è logico, questa situazione ha comportato dei costi aggiuntivi per i produttori, ed ha pertanto accentuato la distorsione della concorrenza rispetto a paesi terzi: i produttori hanno pertanto ricercato soluzioni, pur sempre efficaci sotto il profilo ambientale e della biosicurezza, ma meno onerose per l'economia del settore.

2.5

Attualmente il commercio è caratterizzato dalla tendenza verso un mercato mondiale aperto, in cui vige solamente la legge della domanda e dell'offerta. In Europa, tuttavia, continuiamo a soffrire le conseguenze di una terribile distorsione della concorrenza: varie decisioni di carattere tecnico-scientifico, infatti, hanno portato a posizioni politiche che aumentano in modo significativo i nostri costi di produzione rispetto a quelli dei paesi terzi.

2.6

Un esempio che illustra la situazione appena descritta è la decisione 2000/766/CE del Consiglio, del 4 dicembre 2000, che all'articolo 2, paragrafo 1, vieta in tutti gli Stati membri la somministrazione di proteine animali al bestiame. La decisione si applicava a tutte le specie animali. Il regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 ottobre 2002, all'articolo 22, paragrafo 1, lettera a), conferma tale divieto, estendendone la durata.

2.7

Come si può facilmente comprendere, la crisi innescata con la comparsa della BSE nei bovini e la sua relazione con le encefalopatie spongiformi trasmissibili ha colpito quei settori in cui viene praticato l'allevamento intensivo (suinicoltura e avicoltura) che non ricevono alcun tipo di aiuti o premi alla produzione, lavorano con margini molto ridotti e devono far fronte a notevoli ostacoli allo sviluppo a causa delle norme legislative per la tutela dell'ambiente e del benessere animale, e a causa di difficoltà di ordine sanitario.

2.8

Il divieto di somministrare farine di carne ha danneggiato enormemente il settore, che non solo ha dovuto fare a meno di una fonte di proteine nell'alimentazione animale, ma ha visto anche crescere notevolmente il prezzo delle proteine vegetali per via dell'aumento della domanda. Da fonte di reddito, i sottoprodotti della macellazione si sono d'altro canto trasformati in un costo; circostanza, questa, che associata all'aumento del prezzo delle farine si è inevitabilmente tradotta in un incremento dei prezzi al consumo.

3.   Osservazioni generali

3.1   Aspetti legali e contraddizioni tecnico-scientifiche relative allo smaltimento di carcasse suine

3.1.1

Il regolamento (CE) n. 1774/2002, che ha stabilito l'obbligo di ritiro e distruzione delle carcasse per mezzo di aziende convenzionate e il divieto di utilizzare proteine animali, ha provocato problemi economici non solo ai produttori residenti nei paesi in cui questo sistema era già in uso, ma anche e in forma molto più grave agli Stati in cui esso non esisteva e che hanno dovuto attuarlo a costi ancor maggiori. Questa situazione ha indotto i produttori di tali paesi a chiedersi se la norma intenda compensare finanziariamente le aziende di lavorazione dei sottoprodotti per il divieto di vendere farine di carne.

3.1.2

La questione assume ulteriore rilievo se si osserva che il regolamento prevede un'eccezione per le zone isolate a bassa densità animale, in cui possono essere ancora utilizzati i metodi tradizionali di smaltimento delle carcasse: non si può infatti ignorare che in tali regioni i costi di ritiro sarebbero elevatissimi. A questa eccezione se ne aggiungono due ulteriori:

gli animali da compagnia morti possono essere eliminati direttamente come rifiuti mediante sotterramento,

i sottoprodotti di origine animale possono essere eliminati come rifiuti mediante combustione o sotterramento in loco, quando si manifesti una malattia di cui alla lista A dell'Ufficio internazionale delle epizoozie (UIE), qualora l'autorità sanitaria competente ritenga che sussista il rischio di trasmissione della malattia attraverso il trasporto, o gli impianti di trasformazione siano giunti a saturazione.

3.1.3

Al giorno d'oggi è sempre più sentita la necessità di ubicare i siti di allevamento il più lontano possibile sia dai luoghi abitati che da altri impianti, quando ciò sia fattibile. Le zone isolate sono pertanto sempre più ricercate per non disturbare gli abitanti delle zone circostanti e tutelare al tempo stesso la salute dei lavoratori.

3.1.4

Come si è già menzionato in precedenza, il processo di ritiro delle carcasse è costosissimo, per cui occorre trovare soluzioni che vadano oltre quanto stabilito nel regolamento e siano compatibili con la realtà attuale. Nel prendere in esame tali opzioni occorre sempre tenere in considerazione la salute e la sicurezza umana, la salute e il benessere animale, e la tutela dell'ambiente.

3.2   Aspetti legali e contraddizioni tecnico-scientifiche relative all'uso di farine di carne

3.2.1

Non esiste alcuna prova scientifica circa i rischi di trasmissione della BSE a suini e pollame. Nel Regno Unito non vi sono dubbi sul fatto che questi animali siano stati esposti all'agente infettivo (prione) dell'encefalopatia spongiforme bovina. Anche quando sono stati alimentati con le stesse proteine animali che hanno provocato la BSE nei bovini, non si è registrato un solo caso di animali di queste specie colpiti dall'infezione. Quanto ai polli, gli studi realizzati indicano che non sono soggetti al contagio né per via parenterale né per via orale (1).

3.2.2

In questioni connesse con la tutela della salute e della sicurezza dei consumatori, la Commissione adotta misure per il controllo del rischio sulla base dei dati più recenti a disposizione e di una solida consulenza scientifica, com'è quella che si può ritrovare negli orientamenti emanati dal comitato scientifico direttivo (CSD). Lo stesso CSD si appoggia ad un gruppo ad hoc EST/BSE composto da scienziati europei.

3.2.3

Ai limiti delle conoscenze in materia di EST fanno riferimento i seguenti lavori:

parere scientifico sul tema Oral exposure of humans to the BSE agent: Infective dose and species barrier (esposizione orale delle persone agli agenti patogeni della BSE: dose infettiva e barriera di specie), adottato dal CSD in occasione della riunione del 13-14 aprile 2000,

relazione scientifica sull'innocuità della farina di carne e di ossa proveniente da mammiferi somministrata con la dieta ad animali non ruminanti, adottata dal CSD il 24 e 25 settembre 1998.

3.2.4

La tematica delle EST nei suini è stata affrontata dal CSD nei seguenti pareri:

parere scientifico sul tema Fallen stock and dead animals (animali trovati morti), adottato dal CSD in occasione della riunione del 24 e 25 giugno 1999,

parere scientifico sul tema The risk born by recycling animal by-products as feed with regard to propagating TSE in non-ruminant farmed animals (il rischio insito nel riciclare come mangime sottoprodotti di origine animale ai fini della trasmissione delle EST ad animali di allevamento non ruminanti), adottato dal CSD il 17 settembre 1999,

parere scientifico sulla somministrazione di proteine animali a tutte le bestie, adottato dal CSD in occasione della riunione del 27 e 28 novembre 2000.

3.2.5

In breve, la conclusione che possiamo trarre dai pareri scientifici di cui sopra è che non esiste alcuna prova epidemiologica che suini, pollami e pesci siano suscettibili di contrarre la BSE né che la BSE abbia mai colpito queste specie. Ad oggi non è stato effettuato alcun esperimento scientifico che mostri lo sviluppo di EST in suini, pollame o pesci.

3.3   Analisi dello stato attuale dei problemi e possibilità di trattare i sottoprodotti in loco

3.3.1

Il trattamento dei residui di un impianto zootecnico deve essere considerato in una prospettiva globale, integrando gli aspetti della sicurezza alimentare, dell'igiene, del benessere animale e del rispetto dell'ambiente.

3.3.2

Nell'UE vengono prodotti annualmente oltre 170 milioni di tonnellate di residui zootecnici (2). La gestione degli allevamenti moderni è assai complessa e include la questione del trattamento dei residui. Quanto alla gestione delle carcasse, occorre ricercare metodi maggiormente efficienti e redditizi.

3.3.3

La problematica delle carcasse è molto complessa: infatti, se da un lato è necessario prendere in considerazione l'ambiente circostante, dall'altro occorre altresì esaminare le possibilità di trasmissione di malattie attraverso il trasporto, senza trascurare gli aspetti connessi con l'igiene, la sicurezza e la salute pubblica (3).

3.3.4

Con questo lavoro intendiamo ampliare il ventaglio di opzioni possibili per il produttore, fermo restando il principio di tutela della salute pubblica e dell'ambiente. Suggeriamo pertanto l'utilizzo dell'idrolisi, senza però scartare tutti gli altri metodi che soddisfino le condizioni di cui sopra (4).

3.3.5

Sotto il profilo biologico l'idrolisi, come trattamento primario delle carcasse, non differisce dall'idrolisi del resto delle materie organiche suscettibili di degradarsi in condizioni controllate. Il ciclo biochimico dell'idrolisi è determinato dalla capacità di autolisi. Il processo consiste essenzialmente in una scissione delle proteine in aminoacidi, dei glucidi in zuccheri, e dei lipidi in acidi grassi e alcool. Nel caso dei suini, l'esterificazione della materia grassa determina l'aspetto denso e viscoso del risultato finale dell'idrolisi, che dal punto di vista idraulico si comporta come un liquido viscoso: ciò costituisce un vantaggio per il suo trattamento in condizioni controllate, consentendone la veicolazione idrodinamica. Affinché l'idrolisi sia più efficace, occorre controllare alcuni fattori come le dimensioni delle particelle (triturazione previa delle carcasse), la temperatura e il tempo, e l'O2 atmosferico, per evitare l'emanazione di cattivi odori. Il liquido proveniente dall'idrolisi può successivamente essere trattato insieme agli effluenti, il che comporta vantaggi quali:

la biosicurezza (le carcasse sono gestite in loco in condizioni controllate, diminuendo in tal modo la possibilità di trasmissione della malattia ad altri impianti di allevamento),

una maggiore efficacia del processo tradizionale di gestione degli effluenti,

l'eliminazione degli elementi patogeni,

una migliore gestione dell'impianto, dato che il trattamento delle carcasse e degli effluenti è effettuato in loco in tempo reale (5).

3.3.6

La produzione di energia da biogas riveste grande importanza e a tal fine si possono utilizzare dei depositi comunicanti, che impediscono il riflusso dei gas stessi o il loro contatto con l'atmosfera. Tuttavia, di grande interesse è anche lo studio di processi più semplici, adeguati ad impianti di minori dimensioni, che garantiscano anche la tutela della salute pubblica, della situazione sanitaria negli allevamenti e dell'ambiente.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Nella società attuale l'informazione svolge un ruolo fondamentale. Il consumatore ha il diritto di essere debitamente e correttamente informato, cosa che accade raramente, dato che la stampa dà sempre risalto a catastrofi e incidenti, e dedica poco spazio a quanto si fa di positivo. Si deve pertanto compiere uno sforzo enorme per rendere noto tutto il lavoro svolto nel settore della salute pubblica, in modo tale che il consumatore possa effettuare scelte consapevoli.

4.2   Conseguenze economiche relative allo smaltimento delle carcasse e dei residui animali

4.2.1

Nei paesi che non disponevano già di un sistema di ritiro, la gestione delle carcasse sta causando una serie di problemi di ordine logistico, e in alcuni casi il ritiro stesso è incompatibile con le buone pratiche in materia di tutela sanitaria degli impianti zootecnici.

4.2.2

È necessario analizzare l'impatto economico della direttiva in due casi concreti.

4.2.2.1

Nei paesi in cui non veniva effettuato il ritiro delle carcasse, saranno necessari investimenti a livello degli impianti zootecnici (ad esempio per la costruzione di magazzini frigoriferi e la definizione di piani di ritiro sicuro delle carcasse), a livello delle aziende di trasporto (per l'acquisto di automezzi debitamente attrezzati) e a livello di fabbriche di sottoprodotti (con modifiche per consentire il trattamento di animali interi) (6).

4.2.2.2

Nei paesi che dispongono già di un sistema di ritiro delle carcasse non sono necessari investimenti aggiuntivi. A causa del divieto di utilizzare farine di carne occorre tuttavia considerare i costi di ritiro e distruzione delle carcasse stesse (7).

4.3   Conseguenze economiche relative all'utilizzo di sottoprodotti animali

Il divieto di somministrare, con la dieta, proteine animali a suini, pollame e pesci ha determinato un incremento significativo dei costi di produzione europea: sono così aumentati i problemi di distorsione della concorrenza rispetto ad altri paesi, quali il Brasile, l'Argentina e gli Stati Uniti, dove non vige lo stesso divieto. Queste conseguenze si sono registrate a vari livelli, dato che i sottoprodotti della macellazione hanno cessato di essere una fonte di reddito per comportare dei costi di smaltimento, e l'aumento della domanda di proteine vegetali ha determinato un incremento del loro prezzo e il conseguente rialzo del prezzo dei mangimi (8).

4.3.1

In concreto, i nostri costi di produzione sono superiori a quelli dei paesi terzi a causa di:

Smaltimento di sottoprodotti:

:

6 euro/100 kg di carcasse suine (9)

Mancato utilizzo di farine animali:

:

0,75 euro/100 kg (10)

Aumento del prezzo della soia:

:

1,5 euro/100 kg (11)

Questi valori, moltiplicati per la produzione annuale di suini, forniscono un'indicazione delle perdite totali subite, pari a 173 milioni di euro in tutta l'Unione europea. Oltre all'aumento dei costi di cui sopra occorre considerare una serie di fattori di produzione, quali l'alimentazione, l'energia, la manodopera, le norme in materia di benessere animale e di tutela dell'ambiente: si arriva così ad avere, in Brasile (12), un costo pari a 0,648 euro/kg per carcassa suina, rispetto a 1,25 euro/kg nell'UE (13).

4.3.2

Nell'ambito dei negoziati OMC, questa distorsione della concorrenza non potrà mai essere messa all'ordine del giorno: se lo fosse verrebbe infatti immediatamente respinta dato che non è sostenuta da alcuna prova scientifica. Se questa situazione perdura, occorre prevedere delle compensazioni per la produzione europea, altrimenti se ne minaccia la sopravvivenza.

4.4   Elementi da considerare per un'eventuale abolizione del divieto di somministrare a suini e pollame farine di carne di origine non ruminante

4.4.1

Deve essere innanzitutto garantita l'assenza, nelle farine di carne, di contaminazioni incrociate: un gruppo di ricercatori provenienti da diversi organismi belgi è stato così incaricato di esaminare e applicare delle tecniche per determinare la presenza, nei mangimi, di proteine animali di origine ruminante. Nel primo semestre del 2004 il gruppo ha concluso con successo i propri lavori e ha inviato alla DG SANCO una relazione finale datata 24 settembre 2004 e intitolata Determination of Processed Animal Proteins Including Meat and bone Meal in Feed, in cui vengono presentati dei metodi che garantiscono l'individuazione delle proteine animali nei mangimi. Già questa situazione ci consentirebbe di definire delle filiere di produzione di farine di carne provenienti da non ruminanti per cui potrebbero essere garantiti una tracciabilità (vale a dire la facile determinazione dell'origine) e un monitoraggio perfetti: si potrebbe così creare un primo livello di filiere di produzione e riutilizzo di questi ingredienti, con la garanzia totale di assenza di farine ottenute da ruminanti (14).

4.5   Ultimo ostacolo per riprendere la somministrazione a suini e pollame di farine di carne provenienti da non ruminanti

4.5.1

Attualmente restano solamente da sviluppare delle tecniche in grado di distinguere le proteine di origine suina da quelle di origine avicola, soddisfacendo così un'altra richiesta del Parlamento europeo: garantire l'assenza di cannibalismo. In riferimento alle farine di carne non è corretto parlare di cannibalismo. Questo termine indica un consumo diretto che può intervenire soltanto in maniera accidentale in alcuni impianti di allevamento: pertanto in relazione agli aminoacidi e agli acidi grassi non è accettabile parlare di cannibalismo.

4.5.2

Comunque, indipendentemente dalle considerazioni precedenti, esiste attualmente la possibilità reale di definire un meccanismo di monitoraggio delle filiere che forniscono esclusivamente proteine di origine suina per mangimi avicoli oppure proteine di origine avicola per mangimi per suini, e questo per le seguenti ragioni:

non è possibile produrre nello stesso impianto farine di carne suina e avicola, dato che le due specie devono essere macellate in impianti separati,

dato che esistono fabbriche che producono esclusivamente mangimi avicoli e altre solamente mangimi per suini, non è possibile che i due vengano mescolati,

lo stesso vale per le fabbriche che dispongono di linee di produzione separate per le due specie.

Bruxelles, 14 settembre 2006.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  (D. Mattews e B. C. Cooke, Rev. Sci. Tecl. Int. Eprit. 2003, 22(1), 283 — 296). Si segnala inoltre il seguente studio: Poultry, pig and the risk of BSE following the feed ban in Francea spatial analysis. Abrial D, Calavas D, Jarrige N, Ducrot C; Vet. Res. 36 (2005), 615-628.

(2)  Cfr. tabella n. 1 — Elenco dei residui zootecnici (UE a 15) — Fonte Eurostat/Ministero spagnolo dell'Agricoltura, della pesca e dell'alimentazione, 2003.

(3)  Cfr. tabella n. 2 — Situazione del settore zootecnico europeo (Fonte: Eurostat/Ministero spagnolo dell'Agricoltura, della pesca e dell'alimentazione).

(4)  

Risk assessment: use of composting and biogas treatment to dispose of catering waste containing meat (Final report to the department for Environment, Food and Rural Affairs). Gale P. (2002). Il documento è consultabile al seguente indirizzo: http://www.defra.gov.uk/animalh/by-prods/publicat/

Informe final relativo a los resultados obtenidos en los proyectos de estudio de alternativas a sistemas de cadáveres. Antonio Muñoz Luna, Guillermo Ramis Vidal, Francisco José Pallarés Martínez, Antonio Rouco Yáñez, Francisco Tristán Lozano, Jesús Martínez Almela, Jorge Barrera, Miriam Lorenzo Navarro, Juan José Quereda Torres. (2006)

(5)  Su questo tema sono stati realizzati i seguenti studi:

Informe final de resultados sobre la hidrolización de cadáveres animales no ruminantes: experiencia en ganado porcino. Lobera JB, González M, Sáez J, Montes A, Clemente P, Quiles A, Crespo F, Alonso F, Carrizosa JA, Andujar M, Martínez D, Gutiérrez C.

Parámetros Físico-químicos y bacteriológicos de la hidrolización de cadáveres de animales no ruminantes con bioactivadores. Gutiérres C, Fernández F, Andujar M, Martín J, Clemente P, Lobera JB CARM-IMIDA. Lo studio è consultabile al seguente indirizzo: http://wsiam.carm.es/imida/publicaciones%20pdf/Ganader%EDa/Gesti%F3n%20de%20Residuos%20Ganaderos/Hidrolizaci%F3n%20de%20Cad%E1veres/Resultados%20del%20Estudio%20Preliminar.pdf

(6)  In base ai calcoli effettuati, occorre considerare un aumento dei costi di produzione che varia da 0,36 a 0,96 € per animale prodotto, in funzione dell'ubicazione e delle dimensioni dell'impianto; va inoltre considerato che inevitabilmente le aziende più piccole sono maggiormente penalizzate.

(7)  Il costo aggiuntivo di produzione varia da 0,3 a 0,5 € per animale prodotto.

(8)  Studi effettuati dal gruppo di lavoro dell'Università di Murcia che fa capo al Prof. Antonio Muñoz Luna, DMV, PhD, MBA.

(9)  Fonte: INRA (Institut National de Recherche Agricole).

(10)  Calcolo effettuato sulla base del prezzo medio delle materie prime prima e dopo l'introduzione del divieto, sottoponendo il suino da ingrasso a una dieta tipo.

(11)  Idem.

(12)  Costo di produzione di un impianto di allevamento di 1200 scrofe a ciclo chiuso con una produttività di 20,3 suini svezzati per scrofa/anno, nello Stato di Paraná.

(13)  Impianti di allevamento di 500 scrofe a ciclo chiuso con una produttività di 23 suini svezzati per scrofa/anno, in Portogallo.

(14)  Sono stati inoltre realizzati i seguenti studi in materia:

Effective PCR detection of animal species in highly processed animal by products and compound feeds. Fumière O, Dubois M, Baeten V, von Holst C, Berben G. Anal Bioanal Chem (2006) 385: 1045-1054.

Identification of Species-specific DNA in feedstuffs. Krcmar P, Rencova E.; J. Agric. Food Chem. 2003, 51, 7655-7658.

Species-specific PCR for the identification of ovine, porcine and chicken species in meat and bone meal (MBM). Lahiff S, Glennon M, O'Brien L, Lyng J, Smith T, Maher M, Shilton N. Molecular and Cellular Probes (2001) 15, 27-35.


23.12.2006   

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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo a misure speciali in favore della bachicoltura

(versione codificata)

COM(2006) 4 def. — 2006/0003 (CNS)

(2006/C 318/19)

Il Consiglio, in data 8 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LE NOUAIL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 168 voti favorevoli, 7 voti contrari e 17 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta della Commissione ha lo scopo di codificare il regolamento (CEE) n. 845/72, relativo a misure speciali in favore dell'allevamento del baco da seta o bombice del gelso (Bombyx mori, Linneo, 1758), secondo la procedura accelerata prevista dall'accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994.

1.2

La codificazione si applica agli atti legislativi che hanno subito numerose modifiche nel corso del tempo e che risultano perciò di più difficile lettura.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il succitato regolamento, entrato in vigore oltre trent'anni fa, è stato profondamente rimaneggiato a più riprese: di conseguenza per i destinatari della normativa è difficile comprenderne il contenuto e la portata senza effettuare un lavoro di ricerca giuridica e di ricomposizione del testo effettivamente applicabile.

2.2

Il Comitato approva pertanto la proposta di codificazione in esame, che rende la normativa più accessibile ai cittadini europei e contribuisce, come richiesto e auspicato dal Comitato in alcuni suoi pareri precedenti (1), a migliorare la legislazione in vigore.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Bisogna considerare l'opportunità di ricorrere anche ad altre procedure di semplificazione, come ad esempio l'abrogazione o l'aggiornamento della normativa interessata.

3.2

A partire dal XIII secolo la sericoltura ha conosciuto un grande sviluppo nell'Europa meridionale. Una volta raggiunto il suo apogeo nel XIX secolo, essa ha subito un crollo in seguito all'epidemia che ha colpito il baco da seta, il cui bozzolo, necessario per la metamorfosi del baco, è costituito da un unico filo di seta utilizzato nell'industria tessile. La reintroduzione di uova di baco (2) sane non è riuscita tuttavia a risollevare le sorti della bachicoltura, che richiede grandi cure e la produzione di gelso su scala massiccia: le foglie del gelso costituiscono infatti il solo alimento della larva, la quale ne consuma quantità enormi, che vanno raccolte quotidianamente. Oggi l'industria dipende quasi esclusivamente dalle importazioni, soprattutto dalla Cina e dal Vietnam.

3.3

Tenuto conto della necessità di disporre di qualità di seta diverse per i diversi impieghi che ne vengono fatti e delle nuove applicazioni che la ricerca consente di immaginare in futuro, il Comitato ritiene che si debbano mantenere le basi di una sericoltura in Europa: questa attività consente tra l'altro di conservare posti di lavoro nelle regioni sfavorite o periferiche (3). La concessione di aiuti in base ai telaini messi in produzione, come previsto dal regolamento, è indispensabile per la sopravvivenza di quest'attività, sottoposta a una forte concorrenza per le massicce importazioni provenienti da paesi terzi che dispongono di manodopera a bassissimo costo. La seta europea si presta inoltre ad alcune applicazioni attuali e la possibilità che se ne aggiungano eventualmente delle altre in futuro giustifica il mantenimento di una produzione comunitaria.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Si veda, inter alia, il parere esplorativo Legiferare meglio 2005 (relatore: RETUREAU), INT/265 — GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39.

(2)  Uova del Bombyx mori.

(3)  La metà della produzione europea proviene dalle Isole Canarie.


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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/769/CEE per quanto riguarda le restrizioni alla commercializzazione di alcune apparecchiature di misura contenenti mercurio

COM(2006) 69 def. — 2006/0018 (COD)

(2006/C 318/20)

Il Consiglio, in data 8 marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice CASSINA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 181 voti favorevoli, 5 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Sulla base di quanto argomentato nei punti 2 e 3, il CESE:

a)

sostiene la proposta della Commissione e la scelta della base giuridica (articolo 95 del Trattato) e concorda con l'obiettivo della strategia di pervenire ad una totale eliminazione del mercurio dalle apparecchiature di misurazione citate al punto 2;

b)

ritiene che la proposta in esame sia coerente con altre norme e politiche comunitarie in materia di ambiente e di salute pubblica;

c)

auspica che la sostituzione con prodotti alternativi privi di mercurio sia accelerata (con eventuali incentivi e campagne di informazione e sensibilizzazione per impedire il protrarsi nel tempo della circolazione di apparecchi al mercurio potenzialmente pericolosi) e che sia considerato l'onere della sostituzione in termini di costi anche per i consumatori;

d)

chiede che siano indicati percorsi di raccolta differenziata e che siano i venditori a farsi carico di raccogliere le apparecchiature dismesse (come avviene, in altro ambito, per le apparecchiature elettriche ed elettroniche);

e)

chiede alla Commissione di precisare quali garanzie esistano perché i settori esclusi (ambienti professionali e industriali) siano obbligati ad operare in conformità dell'obiettivo della non dispersione del mercurio nell'ambiente;

f)

invita le autorità comunitarie e quelle degli Stati membri a verificare con attenzione che i prodotti importati siano conformi alla legislazione UE.

2.   Introduzione e contenuto della proposta

2.1

La proposta direttiva in esame si muove sulle linee indicate dalla comunicazione del 28 gennaio 2005 relativa ad una Strategia comunitaria sul mercurio  (1). Tale strategia, partendo dalla considerazione, ormai accertata a livello globale, che il mercurio è nocivo e costituisce un grave pericolo per gli esseri umani, gli ecosistemi e la fauna selvatica, propone una serie di interventi volti alla tutela della salute umana e dell'ambiente. E ciò a partire dalla eliminazione del mercurio da tutte quelle attività dove risulta sin d'ora possibile la sua sostituzione con sostanze o prodotti alternativi, capaci di evitare gli effetti nocivi oggi riscontrabili sullo sviluppo neurologico, sul sistema immunitario e sull'apparato riproduttivo.

2.2

In tale quadro la Commissione propone la modifica (2) della direttiva 76/769/CEE, come passo nell'applicazione della strategia generale. Vi si prevede il divieto della commercializzazione dei seguenti strumenti contenenti mercurio:

a)

termometri per la temperatura corporea;

b)

altre apparecchiature di misurazione destinate alla vendita al grande pubblico (come i manometri, i barometri, gli sfigmomanometri, ecc.).

2.3

Sulla base di divieti e/o restrizioni già in atto in alcuni Stati membri e, quindi, sulla base di esperienze acquisite, si esclude però l'applicazione della proibizione a strumenti e apparecchiature usati in ambito scientifico ed industriale, perché tali apparecchiature sarebbero relativamente limitate nel numero e verrebbero manipolate in ambienti altamente specializzati, già sottoposti a norme e procedure di controllo per la sicurezza del lavoro e la gestione dei rifiuti pericolosi, oppure rientranti nell'applicazione di REACH.

3.   Osservazioni generali

3.1

Anche se in alcuni Stati membri è iniziata la progressiva eliminazione del mercurio, sostituito con prodotti alternativi, ancora oggi in Europa si stima (3) un impiego di circa 33 tonnellate annue di mercurio destinato ad apparecchiature di misura e di controllo, dei quali circa 25-30 tonnellate sono immesse nel mercato attraverso i termometri.

3.2

Di conseguenza, il mercurio e i suoi derivati più tossici sono presenti nei flussi dei rifiuti domestici perché i termometri e le altre apparecchiature di misurazione vengono gettati per lo più nella spazzatura a fine uso o in caso di rottura. Il passaggio alle discariche o a forme di smaltimento non adeguate permette ai residui di mercurio di filtrare nelle acque reflue e di disperdersi nell'ambiente. Si verifica, di conseguenza, una presenza di mercurio nelle derrate alimentari, con particolare pericolo per la catena alimentare acquatica, il che rende particolarmente vulnerabili i consumatori di pesce e di molluschi (specie nelle zone mediterranee).

3.3

Il CESE nota che esistono e sono già in commercio strumenti che assolvono la medesima funzione delle apparecchiature indicate nella proposta di direttiva e che contengono sostanze alternative al mercurio. La sostituzione, pertanto, è possibile da subito e, apparentemente, senza costi aggiuntivi (cfr. tuttavia anche il punto 4, lettere b), c), ed e)). Tuttavia, lo studio di impatto non accenna minimamente all'onere dei costi della sostituzione che graverà sui consumatori, mentre il CESE chiede che esso sia quantificato e che siano integrate, nel meccanismo di attuazione della direttiva, misure di sostegno.

3.4

Il CESE appoggia decisamente l'obiettivo della Commissione di vietare la commercializzazione delle apparecchiature a contenuto di mercurio indicate nella proposta: la pericolosità e la persistenza del mercurio non hanno bisogno di essere dimostrate e proibire gli strumenti che contengono mercurio contribuisce a perseguire un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana, come indica la base giuridica del provvedimento (articolo 95 del Trattato), che il CESE considera assolutamente corretta e adeguata.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE osserva, tuttavia, che:

a)

l'esclusione delle apparecchiature contenenti mercurio usate in ambiente professionale o industriale dovrebbe essere garantita dalla certezza che, una volta dismesse, il loro smaltimento o recupero implichi un trattamento del mercurio che eviti la dispersione di quest'ultimo e i relativi rischi per l'ambiente e la salute umana; è importante che esistano adeguati controlli, sostegni formativi e consulenza, in particolare nelle imprese orafe artigianali o di piccole dimensioni, dove il mercurio è ancora usato ampiamente per specifiche lavorazioni;

b)

tanto nello studio di impatto quanto nella proposta, appare sottovalutato il problema dell'immissione nei rifiuti urbani delle apparecchiature oggi ancora in uso e contenenti mercurio: sarebbe utile indicare agli Stati membri la necessità/utilità di attuare un sistema di incentivi (tipo «rottamazione») affinché la sostituzione delle apparecchiature oggetto di questa direttiva sia il più possibile accelerata;

c)

il ritiro degli apparecchi a mercurio ancora in circolazione può essere incentivato con misure di sostegno finanziario, ma soprattutto con adeguate campagne di informazione rivolte agli utenti per renderli consapevoli e responsabili di fronte al rischio esistente, invitarli a non disperdere il mercurio nei rifiuti urbani e ancora meno a permetterne la manipolazione da parte dei bambini; nel contempo, andrebbero offerti incentivi adeguati ai consumatori che accelerino la sostituzione;

d)

il ritiro degli apparecchi in questione dovrebbe avvenire attraverso una raccolta differenziata gestita dai venditori degli apparecchi oggetto della presente proposta di direttiva, sul modello di quanto previsto nella direttiva per le apparecchiature elettriche ed elettroniche;

e)

una particolare attenzione deve essere riservata anche alla conformità dei prodotti di importazione affinché i benefici indotti dalla legislazione restrittiva a livello europeo non vengano vanificati da prodotti di paesi terzi che non tengono conto dei rischi derivanti dall'uso improprio del mercurio.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 20 def.

(2)  Attraverso l'aggiunta di un punto specifico 19 bis, nell'allegato I della direttiva 76/769/CEE.

(3)  Sulla base delle informazioni disponibili presso la Commissione.


23.12.2006   

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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa al miglioramento della situazione economica dell'industria della pesca

COM(2006) 103 def.

(2006/C 318/21)

La Commissione, in data 9 marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SARRÓ IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli, 16 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE, in considerazione dell'importanza economica e sociale del settore della pesca nell'Unione europea, importanza che trascende il suo contributo diretto al PIL (1), concorda con la diagnosi della Commissione (2) circa la difficile situazione economica di tale settore e, pur persuaso che occorra agire per migliorare tale situazione, reputa che le misure proposte per salvarlo dalla crisi non siano né realistiche né sufficienti. Non sono realistiche perché le imprese coinvolte sono in maggioranza PMI, proprietarie di una sola imbarcazione, che operano in zone di pesca con risorse limitate, si avvalgono di equipaggi ridotti al minimo, devono rispettare norme di gestione rigorose e dispongono di un margine di manovra molto ristretto per realizzare azioni che permettano loro di ristrutturarsi e di recuperare redditività nel breve periodo.

1.2

In più, in assenza di un nuovo bilancio comunitario separato da quello dello SFOP/FEP (3), le possibilità di mettere in pratica le nuove misure sono molto limitate. Il Comitato ritiene dunque che la comunicazione in esame avrà effetti pratici modesti per la maggior parte delle imprese.

1.3

Osserva nondimeno che alle imprese, che per le loro dimensioni potranno accedere agli aiuti di salvataggio e ristrutturazione, la comunicazione dovrebbe offrire:

un bilancio comunitario differente da quello dello SFOP/FEP,

aiuti di salvataggio a fondo perduto di durata superiore a 6 mesi,

flessibilità e agilità dei programmi nazionali presentati dagli Stati membri, affinché le imprese interessate possano beneficiare più rapidamente degli aiuti previsti.

1.4

Per far fronte alle gravi ripercussioni dei rincari del carburante sulle imprese e sui lavoratori del settore bisognerebbe ricorrere, oltre che agli aiuti di salvataggio e per la ristrutturazione delle imprese in crisi, ad un'altra serie di misure. Il CESE propone alla Commissione e al Consiglio di adottare in particolare i seguenti provvedimenti:

a)

innalzamento a 100.000 euro per impresa del massimale degli aiuti de minimis;

b)

arresto temporaneo dell'attività in caso di «evento non prevedibile», estendendo tale nozione alla crisi provocata dal prezzo elevato del gasolio;

c)

autorizzazione di aiuti per finanziare i premi di polizze di copertura, come nel caso delle assicurazioni nel settore agricolo;

d)

istituzione di un fondo comunitario speciale per lo smantellamento delle imbarcazioni, dotato di un bilancio straordinario, che dia priorità ai segmenti di flotta con più problemi e consenta agli armatori che abbandonano volontariamente l'attività di farlo in condizioni dignitose;

e)

massimo sostegno pubblico, sia nazionale che comunitario, attraverso i fondi destinati alle attività di R&S + I (4), ai progetti presentati dal settore della pesca per migliorare l'efficienza energetica dell'attività di pesca, per ricercare carburanti alternativi o complementari al gasolio e per sviluppare delle piattaforme tecnologiche per la pesca;

f)

sforzi volti a favorire un cambiamento di mentalità e quindi orientare i pescatori a partecipare direttamente alla commercializzazione dei prodotti della loro attività, accrescendone così il valore aggiunto;

g)

revisione del regime fiscale dell'attività della flotta da pesca sottocosta, esenzione dall'imposta sulle società per i concessionari delle sale d'asta ittiche in relazione al loro intervento nella prima vendita del pesce, riduzione dell'IVA sulle operazioni di intermediazione effettuate da tali operatori;

h)

inserimento della flotta per la pesca di altura che opera al di fuori delle acque comunitarie nei secondi registri che esistono per la flotta mercantile in vari Stati membri, con una modifica degli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato al settore della pesca.

2.   Motivazione

2.1

Oltre a fornire una percentuale rilevante delle proteine necessarie per il consumo umano, il settore della pesca contribuisce anche in modo significativo al tessuto socioeconomico di molte comunità costiere dell'UE. Secondo i dati della Commissione (5), l'Unione europea ampliata (UE-25) rappresenta con 7.293.101 tonnellate di produzione (catture e acquacoltura), il 5 % della produzione totale mondiale di prodotti della pesca, collocandosi al secondo posto dopo la Cina. Dispone inoltre di una flotta di quasi 90.000 navi da pesca che generano 229.702 posti di lavoro.

2.2

Questo settore è impegnato a realizzare difficili adeguamenti a causa del depauperamento di gran parte degli stock ittici, alcuni dei quali si sono esauriti, e delle condizioni sfavorevoli del mercato. Secondo la comunicazione, dalla metà degli anni '90, sono diminuite le quote assegnate ai battelli che pescavano nelle acque dell'Europa occidentale le principali specie demersali (merluzzo bianco, eglefino, merlano, merluzzo carbonaro e nasello) e specie bentoniche (passera di mare, sogliola, rana pescatrice e scampo).

2.3

La riforma del 2002 della politica comune della pesca, malgrado abbia avviato l'ammodernamento del settore, nell'ottica della sostenibilità, ha introdotto misure volte a limitare il prelievo ittico, come i piani di ricostituzione, con una conseguente, drastica flessione degli utili, che si protrarrà anche in futuro.

2.4

Questa situazione, combinata ai continui aumenti dei costi e al sensibile rincaro del carburante, fa sì che molti pescherecci operino attualmente con gravi perdite.

2.5

La comunicazione della Commissione espone le cause di questa situazione economica, che coinvolge gran parte della flotta comunitaria, e suggerisce delle soluzioni.

3.   Contesto

3.1

La Commissione individua tra le cause due circostanze facilmente comprensibili:

flessione del reddito,

aumento dei costi.

3.1.1

La flessione del reddito dipende da:

Stagnazione dei prezzi di mercato:

quota crescente delle importazioni di pesce,

sviluppo dell'acquacoltura,

concentrazione della vendita nelle grandi catene di distribuzione.

Rendimenti meno elevati:

attività di pesca concentrata su determinate popolazioni ittiche,

riduzione insufficiente delle capacità della flotta.

3.1.2

I costi di gestione dei pescherecci, che tendono a crescere anno dopo anno, sono aumentati enormemente a partire dal 2003 a causa dei rincari dei carburanti. Ne ha sofferto l'intera flotta da pesca comunitaria, e in particolare il suo segmento più importante, quello della pesca a strascico. Quest'ultimo ha attualmente un risultato netto di esercizio negativo.

4.   Osservazioni generali

4.1

Per risolvere questa situazione critica la Commissione propone tra l'altro:

misure a breve termine per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese di pesca di cui è possibile ripristinare la redditività attraverso opportuni cambiamenti strutturali,

misure a lungo termine, per consentire l'adeguamento del settore alla nuova situazione di mercato caratterizzata da prezzi elevati del carburante.

4.1.1   Salvataggio e ristrutturazione a breve termine

4.1.1.1

Per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese sul punto di fallire o in declino finanziario accertato la comunicazione prevede la possibilità di utilizzare gli strumenti esistenti e la disciplina vigente per gli aiuti di Stato, basata sugli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in crisi (6) e sugli orientamenti per l'esame degli aiuti di Stato nel settore della pesca e dell'acquacoltura (7). Inoltre, prevede alcune eccezioni che vanno oltre tali orientamenti (cfr. punti 4.1.1.5 e 4.1.1.6).

4.1.1.2

L'aiuto di salvataggio, di durata non superiore a sei mesi, assume la forma di un prestito rimborsabile o di una garanzia. L'obiettivo è fare in modo che le imprese di pesca possano adeguarsi alla nuova situazione dei prezzi dei carburanti; questo vale in particolar modo per i pescherecci operanti con attrezzi da traino che si dedicano alla pesca degli stock di fondale. Se all'aiuto al salvataggio fa seguito un piano di ristrutturazione debitamente approvato, l'importo erogato può essere rimborsato grazie al sostegno ricevuto dall'impresa sotto forma di aiuto alla ristrutturazione.

4.1.1.3

Il CESE reputa che l'aiuto al salvataggio, per essere realmente efficace, debba consistere di un contributo a fondo perduto e non già di un prestito rimborsabile, perché in questo modo esso avrebbe un valore aggiunto che lo renderebbe più attraente per l'impresa. Un prestito rimborsabile, invece, può essere ottenuto presso qualsiasi organismo finanziario, e senza bisogno dell'autorizzazione della Commissione europea.

4.1.1.4

Gli interventi di ristrutturazione volti a ripristinare la redditività delle imprese di pesca comporteranno in molti casi la realizzazione di investimenti per l'adeguamento dei pescherecci. Gli orientamenti sugli aiuti di Stato nel settore della pesca disciplinano tra l'altro il sostegno concesso per l'ammodernamento e l'attrezzatura dei pescherecci, sostegno che è subordinato al rispetto del regolamento dello strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP (8)). Alla concessione di aiuti di Stato per tali finalità si applicano quindi le stesse condizioni degli aiuti comunitari a titolo del regolamento dello SFOP (9).

4.1.1.5

La Commissione prevede che possano essere concessi eccezionalmente aiuti nazionali per determinati interventi di ammodernamento non contemplati dal regolamento dello SFOP, purché siano finalizzati alla ristrutturazione delle imprese di pesca e rientrino nell'ambito di programmi nazionali di salvataggio e ristrutturazione. In vista della loro autorizzazione, la Commissione esamina tali regimi di aiuto alla luce degli orientamenti comunitari sugli aiuti alle imprese in difficoltà, a condizione che la ristrutturazione sia basata su ipotesi economiche realistiche nel contesto attuale, tenendo conto anche dello stato e della possibile evoluzione degli stock ittici oggetto dell'attività di pesca. La ristrutturazione deve essere finalizzata ad assicurare la redditività dell'impresa, riducendo i costi operativi senza comportare un aumento dello sforzo di pesca e della capacità globale attuale.

4.1.1.6

L'autorizzazione, concessa dalla Commissione in via eccezionale, agli aiuti di Stato nel quadro dei programmi nazionali per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà, riguarderà i seguenti investimenti:

a)

una prima sostituzione degli attrezzi da pesca con attrezzi atti a consentire tecniche di pesca che comportino un minor dispendio di carburante;

b)

l'acquisto di attrezzature destinate a migliorare il rendimento del carburante, quali econometri;

c)

una sostituzione del motore, a condizione che:

1.

per le navi di lunghezza fuori tutto inferiore a 12 m non operanti con reti da traino, la potenza del nuovo motore sia uguale o inferiore a quella del motore sostituito;

2.

per tutte le altre navi di lunghezza fuori tutto non superiore a 24 m, la potenza del nuovo motore sia inferiore almeno del 20 % a quella del motore sostituito;

3.

per i pescherecci da traino di lunghezza fuori tutto superiore a 24 m, la potenza del nuovo motore sia inferiore almeno del 20 % a quella del motore sostituito e il peschereccio opti per una tecnica di pesca che comporti un minor dispendio di carburante.

4.1.1.7

Nell'ambito di programmi nazionali che autorizzino piani di ristrutturazione di imprese operanti con più pescherecci di lunghezza fuori tutto superiore a 12 m, la Commissione potrebbe accettare che la riduzione della potenza motrice definita qui sopra al punto 4.1.1.6, lettera c), paragrafi 2 e 3, possa essere applicata in modo globale all'impresa. Anche lo smantellamento di un peschereccio effettuato senza aiuti pubblici sarà conteggiato ai fini del tasso di riduzione prescritto.

4.1.1.8

Questo principio potrebbe valere anche per i regimi nazionali che autorizzino piani di ristrutturazione presentati da raggruppamenti di piccole e medie imprese (PMI). In questo caso gli interventi attuati da un'impresa potrebbero incidere positivamente sulla redditività di altri membri del gruppo, come nel caso dello smantellamento di un peschereccio.

4.1.1.9

Le imprese potrebbero anche chiedere gli aiuti di Stato per la cessazione temporanea delle attività nel tempo necessario a realizzare gli investimenti autorizzati, a condizione che ciò avvenga nel quadro di regimi finalizzati al salvataggio e alla ristrutturazione.

4.1.1.10

La valutazione globale dei programmi di ristrutturazione e della redditività a lungo termine dovrà tener conto di qualsiasi altro aiuto pubblico, anche erogato dalla Comunità, concesso a un'impresa in difficoltà.

4.1.1.11

Gli Stati membri dovranno notificare alla Commissione, entro due anni dalla pubblicazione della comunicazione, i regimi nazionali di salvataggio e ristrutturazione, nonché eventuali piani specifici destinati a imprese più grandi. Entro due anni dall'approvazione dei piani medesimi da parte della Commissione, gli Stati membri dovranno pubblicare le decisioni amministrative relative ai piani di ristrutturazione.

4.1.1.12

Tenuto conto della situazione particolarmente precaria dei pescherecci operanti con attrezzi da traino, la Commissione ritiene che gli aiuti alla ristrutturazione dovrebbero essere destinati in via prioritaria a questo segmento della flotta.

4.1.1.13

La Commissione esclude qualsiasi intervento pubblico volto a compensare gli attuali costi elevati del combustibile, perché un siffatto intervento costituirebbe un aiuto diretto al funzionamento, incompatibile con il Trattato.

4.1.1.14

In alternativa la Commissione potrebbe accettare un regime di garanzia, proposto dal settore della pesca, nel quale eventuali aumenti improvvisi delle spese per il carburante sarebbero compensati dai fondi conferiti dal settore nei periodi di congiuntura favorevole. La Commissione potrebbe autorizzare un regime di questo tipo solo in presenza di opportune garanzie di rimborso, in condizioni di mercato, di tutti gli aiuti pubblici erogati.

4.1.1.15

Il CESE concorda con la diagnosi della Commissione circa la difficile situazione economica del settore comunitario della pesca ma reputa che le misure proposte per salvarlo dalla crisi non siano né realistiche né sufficienti. Non sono realistiche perché le imprese coinvolte sono in maggioranza a conduzione familiare, proprietarie di una sola imbarcazione, che operano in zone di pesca con risorse limitate, si avvalgono di equipaggi ridotti al minimo, devono rispettare norme di gestione rigorose e dispongono di un margine di manovra molto ristretto per realizzare azioni che permettano loro di ristrutturarsi e di recuperare redditività nel breve periodo. In più, data l'assenza di un nuovo bilancio separato da quello dello SFOP/FEP, le possibilità di mettere in pratica le nuove misure sono molto limitate. Il Comitato ritiene dunque che la comunicazione in esame avrà effetti pratici modesti per la maggior parte delle imprese.

4.1.1.16

Ritiene nondimeno che alle imprese, che per le loro dimensioni potranno accedere agli aiuti di salvataggio e ristrutturazione, la comunicazione dovrebbe offrire:

un bilancio differente da quello relativo allo SFOP/FEP,

aiuti di salvataggio a fondo perduto di durata superiore a 6 mesi,

flessibilità e agilità dei programmi nazionali presentati dagli Stati membri, affinché le imprese interessate possano beneficiare più rapidamente degli aiuti previsti.

4.1.1.17

Il CESE ricorda alla Commissione che a breve termine una misura efficace potrebbe consistere nell'applicare aiuti de minimis. Ritiene tuttavia che la soglia prevista dall'attuale normativa, pari a 3.000 euro per impresa in un periodo di tre anni, sia molto ridotta e non corrisponda alla realtà, specie se si considera che nei rimanenti settori, fuorché l'agricoltura, tale soglia ammonta a 100.000 euro. Considera pertanto necessario rivedere le disposizioni concernenti gli aiuti de minimis nel settore della pesca e innalzare la soglia sino a 100.000 euro, come nei rimanenti settori. Il Comitato ha già esposto questa considerazione nel parere intitolato Piano d'azione nel settore degli aiuti di StatoAiuti di Stato meno numerosi ma più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009  (10).

4.1.1.18

Un'altra misura che potrebbe risultare molto benefica per le imprese e gli equipaggi, consisterebbe nell'assimilare la grave situazione economica del settore della pesca agli «eventi non prevedibili» di cui all'articolo 16 del regolamento dello SFOP, che consente di concedere una compensazione ai pescatori e ai proprietari di imbarcazioni da pesca in seguito a un arresto temporaneo della flotta dovuto al verificarsi di un evento di questo tipo.

4.1.1.19

Inoltre, ai fini di un più rapido adeguamento della capacità di pesca allo stato delle risorse, suggerisce alla Commissione di istituire a breve termine un fondo comunitario per lo smantellamento dei pescherecci, dotato di un bilancio straordinario e soggetto ad applicazione obbligatoria ed esclusiva da parte degli Stati membri nei confronti delle imprese che lo richiedano per le proprie navi. Tale fondo potrebbe privilegiare quei segmenti di flotta che presentano i maggiori problemi.

4.1.1.20

Ritiene altresì che la Commissione dovrebbe rivedere nel breve periodo gli orientamenti in materia di aiuti di Stato per il settore della pesca, consentendo di istituire negli Stati membri dei registri speciali delle imbarcazioni da pesca, al fine di accrescere la competitività della flotta di alto mare che opera al di fuori delle acque comunitarie, come è stato fatto negli anni '90 per la flotta mercantile.

4.1.1.21

Reputa utile il regime di garanzia per gli aumenti improvvisi del prezzo del combustibile, in grado di sostenere l'attività dei pescherecci nella difficile situazione attuale; è quindi favorevole a tale regime, nonostante ne ritenga molto improbabile l'applicazione alle condizioni previste dalla Commissione e nelle attuali circostanze economiche. Per tale ragione è convinto che la Commissione dovrebbe permettere agli Stati membri di coprire, parzialmente o per intero, i premi delle polizze di copertura stipulate dalle organizzazioni del settore per garantire un massimale del prezzo del gasolio per un determinato periodo, come avviene nel caso delle assicurazioni agricole.

4.1.1.22

Considera inoltre adeguato rivedere il regime fiscale della flotta che opera sottocosta. In pratica, giudica che si potrebbe autorizzare l'esenzione dall'imposta sulle società per i proventi dei concessionari delle sale d'asta ittiche in relazione al loro intervento nella prima vendita del pesce, come pure la riduzione dell'IVA sulle operazioni di intermediazione effettuate da tali operatori.

4.1.2   Misure e iniziative a lungo termine

4.1.2.1

Nel lungo periodo le prospettive del settore possono essere positive solo se gli stock riprenderanno consistenza e se si applicheranno pratiche di pesca sostenibili. In tale contesto la comunicazione propone le seguenti misure:

a)

migliorare la gestione della pesca;

b)

promuovere una maggiore adesione alle regole di gestione della pesca;

c)

intervenire sull'organizzazione e sul funzionamento dei mercati ittici;

d)

incoraggiare la ricerca su tecniche di pesca a minor consumo di carburante e a minor impatto ambientale.

4.1.2.2

Il Comitato ritiene che tutte queste misure a lungo termine siano già previste nella nuova PCP. Desidera tuttavia far notare alla Commissione che per realizzare un regime di gestione della pesca che offra un rendimento massimo sostenibile, una volta superati i piani di recupero e di gestione degli stock maggiormente minacciati, occorrono nuove idee pratiche.

4.1.2.3

Il CESE sostiene pienamente gli sforzi compiuti dalla Commissione per vigilare in tutta l'Unione sulla corretta applicazione della politica comune della pesca. Ribadisce che la Commissione, come essa stessa ha affermato nella comunicazione in esame, dovrà cooperare pienamente con l'Agenzia comunitaria di controllo della pesca e dotarla di personale e risorse economiche sufficienti per svolgere l'importantissimo compito che le è stato assegnato.

4.1.2.4

Il Comitato invita la Commissione ad intensificare la lotta contro la pesca illegale, clandestina e non regolamentata; ritiene che al fine di contrastare tali attività sarebbe decisivo chiudere ai relativi prodotti il mercato comunitario, che ne costituisce la principale destinazione. Un'altra misura di contrasto efficace sarebbe il divieto di effettuare trasbordi in alto mare.

4.1.2.5

Il Comitato considera necessaria la valutazione dell'organizzazione del mercato della pesca proposta dalla Commissione. Per migliorare i risultati finanziari delle imprese può infatti essere utile ricorrere a nuovi strumenti, che consentano di ottimizzare la commercializzazione del pescato e dei prodotti ittici, consentendo ai produttori di dare un valore aggiunto a tali prodotti in occasione della prima vendita e di partecipare al processo di commercializzazione. Giudica che le organizzazioni di produttori possano svolgere un ruolo importante in tale contesto e ritiene pertanto che debbano essere favorite. Affinché questo obiettivo venga raggiunto, la Commissione e gli Stati membri dovrebbero concentrare i loro sforzi su un cambiamento di mentalità dei pescatori in merito a tali questioni.

4.1.2.6

Il CESE appoggia l'idea della Commissione di elaborare un codice di comportamento per la commercializzazione dei prodotti della pesca nell'UE e di promuovere l'introduzione di un marchio di qualità ecologica una volta che giunga a termine il dibattito in materia, cui il Comitato stesso ha dato il proprio contributo in un recente parere.

4.1.2.7

Nell'ambito della comunicazione in esame, il Comitato ritiene essenziale l'ultima delle misure a lungo termine proposte dalla Commissione, vale a dire incoraggiare la ricerca su tecniche di pesca a minor consumo di carburante e con minor impatto ambientale; in tale contesto auspica che si concretizzino le garanzie di finanziamento esposte dalla Commissione nella comunicazione e che venga dato il massimo sostegno ai progetti presentati dalle organizzazioni che rappresentano il settore della pesca e allo sviluppo delle piattaforme tecnologiche per la pesca.

4.1.2.8

In considerazione della situazione attuale dei prezzi dei carburanti, che non pare reversibile, il CESE ritiene estremamente importante eseguire ricerche in tutti i campi menzionati nella comunicazione. Ritiene necessario condurre ricerche nel campo delle energie rinnovabili, e in special modo sullo sviluppo e l'applicazione pratica di nuovi tipi di biocombustibili e sul miglioramento del rendimento energetico, chiedendo il sostegno economico della Commissione europea e degli Stati membri per i progetti presentati dalle organizzazioni del settore della pesca.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Prodotto interno lordo.

(2)  COM(2006) 103 def. del 9.3.2006.

(3)  Strumento finanziario di orientamento della pesca/Fondo europeo per la pesca.

(4)  Ricerca, sviluppo e innovazione.

(5)  La PCP in cifre — Dati essenziali sulla politica comune della pesca, edizione 2006, Commissione europea.

(6)  GU CE C 244 dell'1.10.2004.

(7)  GU CE C 229 del 14.9.2004.

(8)  Regolamento (CE) del Consiglio n. 1263/1999, del 12.6.1999.

(9)  Regolamento (CE) n. 2792/1999 del 27.12.1999.

(10)  GU CE C 65 del 17.3.2006.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/122


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo al glucosio e al lattosio (versione codificata)

COM(2006) 116 def. — 2006/0038 (CNS)

(2006/C 318/22)

Il Consiglio, in data 2 maggio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 308 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore DONNELLY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 187 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta in esame mira ad avviare la codificazione del regolamento (CEE) n. 2730/75 del Consiglio, del 29 ottobre 1975, relativo al glucosio e al lattosio. Il nuovo regolamento (risultante dalla codificazione) abroga e sostituisce i vari regolamenti di cui incorpora le norme, preservandone appieno la sostanza. Esso, infatti, si limita a riunire tali norme, apportandovi unicamente le modifiche formali necessarie ai fini dell'opera di codificazione.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Nel contesto di un'Europa dei cittadini, il Comitato economico e sociale europeo appoggia l'intento della Commissione di semplificare e chiarire la formulazione della normativa comunitaria per renderla più comprensibile e accessibile ai comuni cittadini e — così facendo — offrire loro nuove opportunità e la possibilità di far valere i diritti previsti da tale normativa.

2.2

Il Comitato ritiene che la codificazione vada intrapresa garantendone la massima conformità alla normale procedura legislativa della Comunità europea.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La società civile bielorussa

(2006/C 318/23)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: La società civile bielorussa.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore STULÍK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Sintesi del parere

1.1

Con il presente parere d'iniziativa il Comitato economico e sociale europeo intende esprimere sostegno, solidarietà e simpatia a tutte le organizzazioni bielorusse della società civile che lottano per affermare nel proprio paese la democrazia, i diritti dell'uomo, lo Stato di diritto, la libertà d'associazione e la libertà d'espressione, ovvero i valori sui quali si fonda l'Unione europea.

1.2

In particolare il Comitato offre il suo sostegno morale, tra le organizzazioni della società civile, ai gruppi di pressione nel campo dei diritti umani e del monitoraggio della democrazia e dello Stato di diritto, alle organizzazioni giovanili indipendenti, alle fondazioni indipendenti, alle associazioni indipendenti di datori di lavoro e imprenditori e ai sindacati indipendenti che lottano per affermare la democrazia, i diritti dell'uomo, lo Stato di diritto e i valori europei.

1.3

Nell'ambito dei contatti con la società civile bielorussa un ruolo e un compito significativo spettano ai contatti interpersonali diretti quali gli scambi reciproci, in particolare tra i giovani. Per sostenerli e intensificarli è indispensabile che l'UE e gli Stati membri attuino una politica di concessione dei visti meno restrittiva nei confronti dei cittadini bielorussi.

1.4

L'Unione europea nel suo complesso dovrebbe impegnarsi per dar vita a una politica informativa adeguata, comprensibile e mirata e a una strategia complessiva che illustri ai cittadini bielorussi i valori fondamentali e i meccanismi di funzionamento dell'Unione europea.

1.5

Condizione irrinunciabile per un sostegno finanziario europeo alla società civile bielorussa è il fatto di dare a questo sostegno forme adeguate e flessibili, in modo tale che gli aiuti arrivino davvero ai destinatari che ne hanno bisogno.

1.6

Il Comitato raccomanda che le istituzioni dell'UE, nel definire strategie di sostegno alle organizzazioni della società civile bielorussa, ricorrano all'esperienza e al know-how di cui dispongono, in materia di «transizione», le organizzazioni della società civile dei nuovi Stati membri.

2.   Introduzione generale

2.1

Con il presente parere d'iniziativa il Comitato economico e sociale europeo intende esprimere sostegno, solidarietà e simpatia a tutte le organizzazioni bielorusse della società civile che lottano per affermare nel proprio paese la democrazia, i diritti dell'uomo, lo Stato di diritto, la libertà d'associazione e la libertà d'espressione, ovvero i valori sui quali si fonda l'Unione europea.

2.2

Il Comitato annette grande importanza all'esistenza in Bielorussia di una società civile autentica e non controllata, presupposto per la stabilizzazione a lungo termine e lo sviluppo della democrazia.

2.3

Il Comitato esprime netta disapprovazione per la condotta delle autorità e dell'amministrazione statale e pubblica del paese, culminata nelle elezioni presidenziali assolutamente non trasparenti e irregolari del 19 marzo 2006. Allo stesso modo il Comitato si oppone ai procedimenti giudiziari avviati da responsabili politici, sulla base di accuse costruite, contro attivisti democratici ed esponenti delle ONG che intendevano solo esercitare i propri diritti civili e monitorare lo svolgimento delle elezioni presidenziali. Ultimamente sono state loro comminate condanne esemplari ed ingiuste (per esempio nel caso dei rappresentanti dell'ONG «Partenariato»).

2.4

Il Comitato osserva che in Bielorussia, vale a dire un paese direttamente confinante con l'UE, si verificano atti di violenza a sfondo politico contro cittadini bielorussi e violazioni tanto dei diritti umani fondamentali, quanto dei Trattati e delle convenzioni internazionali in vigore in materia di diritti umani. È una realtà inaccettabile per le organizzazioni della società civile dei venticinque Stati membri dell'UE.

2.5

Il Comitato disapprova e si oppone alle vessazioni inflitte alle organizzazioni bielorusse della società civile che hanno contestato l'azione arbitraria degli organi statali e alla loro conseguente criminalizzazione.

2.6

Con il presente parere il Comitato intende proporre alle istituzioni europee una via da seguire per i rapporti con il paese ed il sostegno alla sua società civile. La strategia europea di sostegno alla società civile bielorussa dovrà essere impostata sul medio termine ed essere concreta, realizzabile e sostenibile, soprattutto in questa fase postelettorale in cui l'attenzione internazionale inizia a volgersi altrove.

2.7

Il Comitato intende allo stesso tempo far conoscere meglio il caso bielorusso alle organizzazioni della società civile europee e stimolarne l'interesse per la sorte e i problemi dei loro partner bielorussi, in modo da dare impulso e aprire la strada a una collaborazione reciproca.

3.   Situazione della società civile in Bielorussia

3.1

A prima vista, in Bielorussia il quadro giuridico su cui si deve necessariamente basare l'esistenza formale di un'organizzazione della società civile può sembrare sufficiente e conforme agli standard di una società moderna. Il problema di tale quadro giuridico, però, consiste nella possibilità di un'interpretazione troppo fiscale e negli ostacoli creati artificialmente al funzionamento e alla registrazione delle organizzazioni. In pratica vi è una situazione tale per cui è possibile per l'attuale regime trovare pretesti per negare la registrazione alle organizzazioni scomode.

3.2

È caratteristico della società civile della Bielorussia, come d'altronde di qualsiasi paese a regime autoritario o totalitario, il fatto di comprendere una componente ufficiale e un'altra componente che, nel migliore dei casi, opera a fatica nella legalità e, negli altri casi, in modo semilegale o anche clandestino. Le autorità bielorusse attribuiscono finalità politiche a questo tipo di organizzazioni e le assimilano all'opposizione. Va qui osservato che i diritti fondamentali e i valori europei contemplano, tra l'altro, il diritto dei cittadini di associarsi liberamente per difendere i loro interessi particolari e anche pubblici e che, pertanto, anche nei paesi dell'Unione europea le situazioni di «conflitto» tra società civile e potere politico ufficiale sono comuni e normali. Nelle democrazie tradizionali, però, i «conflitti» di questo tipo non hanno per effetto una minore legittimità di queste organizzazioni, ma sono un modo per l'opinione pubblica di controllare e farsi coinvolgere nella gestione della cosa pubblica.

3.3

In Bielorussia operano numerose organizzazioni ufficiali fedeli al regime oppure direttamente controllate o istituite da organi statali. Sono queste ciò che lo Stato spaccia per «società civile bielorussa» (1). D'altra parte esistono organizzazioni della società civile che esprimono posizioni critiche verso il regime e che, di conseguenza, sono criminalizzate e spesso anche dichiarate illegali.

3.4

Allo stesso tempo sono attive nel paese organizzazioni informali o associazioni di cittadini che vanno anch'esse considerate componenti della società civile. Si tratta di gruppi di cittadini di particolare dinamismo e coscienza civica che, date le attività che svolgono, non hanno possibilità di diventare organizzazioni ufficiali e, di conseguenza, sono destinati a un'esistenza informale. I cittadini che si organizzano autonomamente in questo modo sono soggetti a vessazioni, procedimenti giudiziari, perdita del posto di lavoro o privazione della possibilità di studiare. È quindi importante chiedersi come sia possibile aiutare questi gruppi che, pur avendo carattere informale, spesso rappresentano il cuore della società civile indipendente del paese.

3.5

Analogamente, continua a operare un gran numero di organizzazioni della società civile alle quali, in base a diversi motivi e pretesti insignificanti, formalistici e assurdi, è stata negata la nuova registrazione: è questo lo strumento impiegato dalle autorità bielorusse per liquidare formalmente le organizzazioni scomode. Si tratta soprattutto di ONG attive come gruppi di pressione nel campo dei diritti umani e del monitoraggio della democrazia e dello Stato di diritto, di organizzazioni giovanili indipendenti, di fondazioni indipendenti, di associazioni indipendenti di datori di lavoro e imprenditori e di sindacati indipendenti: tutte queste organizzazioni non possono più condurre un'esistenza formale come soggetti di diritto.

3.6

Anche se la Bielorussia conta complessivamente più di 2.500 (2) organizzazioni non governative, il numero di organizzazioni indipendenti che si occupano anche accessoriamente, per esempio, di problemi sociali, è in diminuzione; ciò è dovuto alle vessazioni, agli interventi delle autorità amministrative e all'esigenza di soddisfare i requisiti per la nuova registrazione. Nel campo dei diritti umani, per esempio, una delle poche organizzazioni che continua a operare legalmente è il Comitato di Helsinki, che ultimamente però sta subendo a sua volta pressioni sempre più forti da parte delle istituzioni.

3.7

Nella categoria delle associazioni e dei gruppi indipendenti di imprenditori, industriali e datori di lavoro esistono solo alcune organizzazioni di piccole dimensioni (come «Perspektyva»), i cui soci però sono spesso vittime di arresti e procedimenti giudiziari basati su accuse costruite.

3.8

In Bielorussia operano sia organizzazioni sindacali ufficiali (aderenti alla Federazione dei sindacati bielorussi), che un movimento sindacale indipendente denominato Congresso bielorusso dei sindacati democratici. La libertà di associazione e i diritti degli iscritti a sindacati indipendenti, però, sono soggetti a sistematiche violazioni. Il recente appello (3) rivolto alla Commissione europea dalla Confederazione europea dei sindacati (CES), dalla Confederazione internazionale dei sindacati liberi (ICFTU) e dalla Confederazione mondiale del lavoro (CMT) faceva proprio riferimento alla violazione dei diritti sindacali in Bielorussia.

3.8.1

L'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) critica e condanna da anni le gravi e sistematiche violazioni dei diritti fondamentali riconosciuti a lavoratori e sindacati, come la libertà di associazione e la libertà di contrattazione collettiva (Convenzioni 87 e 98). Nel 2004 la commissione d'inchiesta istituita l'anno precedente dal Consiglio di amministrazione dell'OIL ha pubblicato un rapporto in cui condannava l'ingerenza del governo bielorusso negli affari interni dei sindacati e le sue leggi e normative antisindacali. Dopo l'adozione del rapporto l'OIL ha fortemente criticato il governo bielorusso per non avere messo in atto le raccomandazioni della commissione d'inchiesta o per averlo fatto solo in parte. La recente 95a sessione della Conferenza internazionale del lavoro dell'OIL (giugno 2006) ha invitato il governo a compiere passi concreti verso l'attuazione delle raccomandazioni, in modo che il Consiglio di amministrazione potesse registrare progressi reali e tangibili nella sua sessione del novembre 2006. In caso contrario, la Conferenza si è dichiarata convinta che il Consiglio d'amministrazione avrebbe iniziato a vagliare la possibilità di assumere gli ulteriori provvedimenti previsti dallo statuto dell'OIL. Questi ultimi comprenderebbero interventi della Conferenza internazionale del lavoro per raccomandare agli Stati membri, alle organizzazioni datoriali e ai sindacati di riesaminare i loro rapporti con la Bielorussia.

3.9

Il Comitato esprime pieno sostegno alle organizzazioni bielorusse della società civile che si riconoscono nei valori europei, non legittimano né appoggiano il regime autoritario mediante le loro attività e iniziative e non sono in altro modo legate ad esso. Il Comitato invita le istituzioni europee e le organizzazioni della società civile degli Stati membri a offrire loro un sostegno analogo (anche finanziario).

3.10

D'altra parte, tuttavia, il Comitato si rende conto della necessità di portare avanti un dialogo e colloqui anche con quelle organizzazioni che, con le loro attività o modalità di funzionamento, legittimano l'attuale regime politico autoritario, mettendo così in dubbio i valori fondamentali europei.

3.11

Complessivamente le organizzazioni bielorusse della società civile devono impegnarsi, anche in collaborazione con partner stranieri, per rompere il loro isolamento dal resto della società e per conquistarne la fiducia illustrando i risultati ottenuti e la loro importanza per la società stessa.

3.12

La situazione e il ruolo della società civile bielorussa sono ulteriormente complicati dal fatto che una fetta consistente della cittadinanza riconosce come legittima l'attuale leadership politica e le garantisce il suo sostegno. Le organizzazioni della società civile, invece, non godono di un ampio sostegno popolare e il regime, anche grazie alla sua politica di informazione, riesce a metterle in cattiva luce agli occhi del cittadino medio bielorusso.

4.   Raccomandazioni generali sulla strategia dell'UE nei confronti della Bielorussia

4.1

Essenzialmente il Comitato approva e appoggia il documento Country Strategy Paper: National Indicative Programme Belarus, 2005-2006, adottato dalla Commissione europea il 28 maggio 2004. L'interesse e l'appoggio del Comitato sono rivolti in particolare ai punti del programma in cui si tratta del sostegno dell'UE alla società civile bielorussa. Il Comitato si candida a partecipare attivamente alle consultazioni sulla forma più opportuna da dare a questo sostegno.

4.2

Il Comitato, inoltre, auspica che la Commissione presenti un programma analogo anche per il periodo successivo. Infatti numerose organizzazioni bielorusse si attendono un maggiore impegno dell'UE a favore dei diritti umani e della democrazia nel loro paese e piani e programmi di questo tipo hanno un effetto motivante e stimolante sulla società civile.

4.3

Il Comitato osserva perciò che, per contribuire alla fine di un regime autoritario che si sforza di dare l'impressione che la situazione del paese è sotto controllo, saranno necessari un lavoro quotidiano e, in molti casi, una politica di «piccoli passi». Ciò vale in particolare per le organizzazioni della società civile bielorussa: in una situazione in cui sono soggette a restrizioni perfino le associazioni civiche apolitiche, infatti, anche la loro attività assume un carattere politico.

4.4

Le istituzioni e gli Stati membri dell'UE devono prendere iniziative nei confronti della Bielorussia nonché coordinare e armonizzare le proprie strategie di sostegno alla società civile tra di loro, con la Commissione europea e con altri donatori internazionali (fondazioni, governi di altri paesi).

4.5

L'eventuale applicazione di sanzioni economiche e di altro tipo deve essere preceduta da un'analisi molto accurata dei loro possibili effetti positivi e negativi. Avendo nella pratica il controllo di tutti i mezzi di comunicazione, il regime del presidente Lukashenko non avrà grosse difficoltà a far apparire l'UE come istituzione ostile agli occhi dei cittadini bielorussi (specialmente se non vivono nella capitale, Minsk) e, così facendo, a ridurre anche la capacità d'attrazione di un orientamento «europeo» per il futuro sviluppo politico-economico del paese.

4.6

Riguardo alle sanzioni, va fatta una distinzione a seconda che abbiano un impatto diretto sui cittadini oppure solo sui rappresentanti del potere statale. Se si decidesse di farvi ricorso, questa distinzione andrebbe considerata al momento di elaborarle. Le eventuali sanzioni, infatti, non dovrebbero colpire direttamente la stessa popolazione e, in ogni caso, non dovrebbero prevedere l'esclusione della Bielorussia dal sistema di preferenze generalizzate (SPG). Qui si tratta infatti della concessione di un accesso preferenziale al mercato dell'UE in cambio del rispetto di alcune regole di base. Il governo bielorusso, inoltre, avrà tempo e occasioni a sufficienza per ovviare alle principali critiche che gli sono state rivolte in ordine alla violazione dei diritti sindacali fondamentali.

4.7

Anche se la Bielorussia è ufficialmente inclusa nella politica europea di vicinato (PEV), alle condizioni attuali non è possibile consentirle di godere pienamente dei vantaggi offerti da questa politica. Il Comitato condivide il punto di vista della Commissione e del Consiglio secondo cui la sua inclusione nel relativo programma dovrà essere possibile non appena le autorità del paese dimostreranno chiaramente di essere disposte a rispettare i valori democratici e i principi di funzionamento dello Stato di diritto. Ciononostante, sarebbe opportuno che la Commissione europea lavorasse su uno scenario unilaterale (o elaborato in collaborazione con gli esponenti della società civile) che preveda un rapido coinvolgimento della Bielorussia nella PEV nel caso in cui la situazione politico-economica del paese muti drasticamente. La situazione si presta a un paragone con la Slovacchia degli anni Novanta, quando era un paese candidato sotto la guida di V. Mečiar (4). Svolgendo un'analoga opera di avvicinamento con la Bielorussia e dimostrandosi flessibile nei suoi confronti, l'UE terrebbe la società civile del paese in uno stato di continua mobilitazione e le presenterebbe un attraente scenario alternativo «europeo».

4.8

Uno dei paesi più determinanti per lo sviluppo della Bielorussia e più interessati a quest'ultimo è stato, è e sarà sempre la Russia. Poiché si tratta di un partner strategico dichiarato dell'Unione europea, risulta indispensabile coinvolgerlo in un dialogo sulla situazione bielorussa, non solo con i suoi leader politici ma anche con i rappresentanti della sua società civile.

5.   Problematiche concrete della società civile bielorussa e misure pratiche proposte

5.1

Libertà dei mezzi di comunicazione e accesso a informazioni obiettive e imparziali. Oggi si registra in pratica un monopolio dell'informazione da parte del regime. La società civile non ha accesso ai mezzi di comunicazione né ai canali mediatici e informativi ufficiali. Con svariate motivazioni, la maggior parte dei giornali indipendenti sono stati chiusi. Ai periodici che rimangono viene praticamente impedito di accedere alla rete statale di distribuzione. Anche l'accesso a Internet è limitato, tranne che nella capitale Minsk e nei capoluoghi regionali, in cui però il prezzo delle connessioni rimane su livelli elevati. L'UE dovrebbe perciò, con la massima priorità, assicurare in via permanente ai cittadini bielorussi delle fonti d'informazione indipendenti, sostenerle e rafforzarle, nonché assicurare la disponibilità di server per Internet non sottoposti a censura. In questo campo meriterà di essere sostenuta ogni iniziativa indipendente proveniente dalla base.

5.2

Sostegno dell'UE alla società civile bielorussa. Pur essendo una priorità dichiarata dell'UE, il sostegno alle organizzazioni bielorusse della società civile incontra una serie di ostacoli sostanziali e formali che rendono difficile farlo giungere direttamente ai destinatari. Le attuali procedure di finanziamento dell'UE sono estremamente complesse, lunghe e dispendiose. Il Regolamento finanziario in vigore dovrebbe essere adattato in modo da consentire un'erogazione di finanziamenti più flessibile e di più facile applicazione non solo alle ONG ufficialmente registrate, ma anche alle iniziative civiche prive di registrazione, specialmente nei paesi in cui il contesto è ostile. Il Comitato invita la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio a esaminare modi per semplificare le attuali procedure di finanziamento della società civile nel redigere nuovi emendamenti al Regolamento finanziario e alle sue Modalità di esecuzione. Un modo adatto per far giungere gli aiuti necessari potrebbe consistere nello sfruttare le reti europee esistenti di organizzazioni della società civile e nel far rappresentare le organizzazioni bielorusse (incluse quelle non registrate) da queste reti.

5.3

Il Comitato accoglie con favore la recente proposta della Commissione di creare uno strumento finanziario distinto volto a promuovere la democrazia e i diritti dell'uomo in tutto il mondo e il fatto che sia destinato soprattutto ai paesi in cui le libertà fondamentali sono più minacciate. Il Comitato spera di avere l'occasione di esprimersi in merito a questa proposta e auspica che essa si fondi innanzitutto sui principi dell'accessibilità per tutti coloro che ne hanno bisogno e della flessibilità di utilizzo da parte delle organizzazioni della società civile.

5.4

Il Comitato sostiene anche le recenti iniziative, discusse nell'ambito del Parlamento europeo e delle organizzazioni non-profit europee, la cui finalità è l'affermazione di un nuovo strumento finanziario (Fondazione/Agenzia europea per la democrazia) destinato a sostenere le forze democratiche in paesi, appunto, come la Bielorussia. Questo strumento consentirebbe di far giungere l'indispensabile sostegno anche a quelle organizzazioni senza statuto formale cui le autorità governative negano la registrazione.

5.5

Per il futuro della Bielorussia democratica è essenziale consolidare le forze democratiche e la società civile indipendente e determinare indirizzi strategici per il loro ulteriore sviluppo nella fase immediatamente successiva alle elezioni. L'UE dovrebbe concentrarsi in priorità sul sostegno a questi soggetti, in collaborazione con gli altri donatori e paesi che perseguono gli stessi obiettivi e interessi in Bielorussia.

5.6

Sia le «vecchie» e affermate organizzazioni democratiche della società civile bielorussa che le organizzazioni e iniziative di nuova creazione dovrebbero godere di pari accesso al sostegno (non solo finanziario) dell'UE e ai contatti con le istituzioni europee.

5.7

Livello di conoscenza reciproca. A differenza di altri paesi, la Bielorussia non dispone di una delegazione della Commissione europea, sebbene l'UE abbia presentato ufficialmente — e invano — domanda per aprirne una a Minsk. Non esiste nemmeno una rete di centri di documentazione europea. È pressoché impossibile ottenere informazioni di base obiettive sull'UE, sulle sue modalità di funzionamento, sui suoi valori e le sue politiche. Sarebbe quindi opportuno riflettere sui possibili modi per accrescere il livello di conoscenza dell'UE da parte dei cittadini bielorussi, cosa che a sua volta aumenterebbe la capacità d'attrazione di un possibile percorso di sviluppo «europeo» per il paese (5).

5.8

L'UE dovrebbe avviare l'elaborazione di una strategia d'informazione complessiva in grado di illustrare ai cittadini bielorussi i valori fondamentali europei. Dato che in Bielorussia non è ancora aperta in via continuativa una delegazione della Commissione, cosa di cui è responsabile l'UE, sarebbe opportuno che gli uffici di rappresentanza dei suoi Stati membri lavorassero insieme alla diffusione dei valori europei, per esempio creando a Minsk un «centro europeo comune».

5.9

Il Comitato ritiene che sarebbe utile istituire la carica di rappresentante speciale dell'UE per la Bielorussia, come è stato già fatto per altre regioni (6). Tale rappresentante, nominato dagli Stati membri, terrebbe informate le istituzioni europee sulla situazione del paese e sull'evoluzione dei suoi rapporti con l'UE. Dovrebbe essere incaricato di coordinare le politiche estere dei singoli Stati membri verso la Bielorussia e di proporre iniziative congiunte e una posizione comune dell'UE nei suoi confronti. Tra i suoi compiti dovrebbe anche rientrare il mantenimento di contatti con gli esponenti della società civile e dell'opposizione democratica nonché con le autorità e le istituzioni ufficiali del paese.

5.10

Allo stesso tempo bisogna constatare che nell'ambito dell'UE, pur con notevoli variazioni tra uno Stato membro e l'altro, non vi è sufficiente conoscenza e consapevolezza delle difficili condizioni in cui versano le organizzazioni della società civile in Bielorussia.

5.11

Mantenimento dei contatti tra organizzazioni della società civile europee e bielorusse. Nei fatti le autorità bielorusse escludono o pregiudicano la possibilità che gli esponenti delle organizzazioni della società civile si incontrino con i loro partner europei e viaggino al di fuori del paese. Sono particolarmente gravi gli ostacoli frapposti alle possibilità di incontro tra giovani: spesso il regime vieta agli studenti di studiare all'estero e di dedicarsi ad attività nell'ambito di organizzazioni non governative. I contatti personali tra esponenti delle organizzazioni bielorusse ed europee dovrebbero essere, perciò, una delle priorità della politica dell'UE nei confronti della Bielorussia. L'esistenza di legami personali è imprescindibile se, per esempio, si vogliono trasmettere informazioni ed esperienze e fornire un sostegno morale. L'UE dovrebbe pertanto finanziare scambi giovanili e studenteschi e fornire non solo borse di studio e contributi per tirocini, in modo da agevolare iniziative congiunte di più organizzazioni della società civile, ma anche un'assistenza finalizzata agli opinion leader.

5.12

Il Comitato esprime viva preoccupazione per la politica attualmente seguita dagli Stati membri dell'UE nel rilascio di visti a cittadini bielorussi. Se da un lato l'UE dichiara che si sta impegnando nel semplificare le procedure di visto per determinati gruppi di cittadini (compresi i rappresentanti delle organizzazioni della società civile), dall'altro, nella pratica, i bielorussi che richiedono un visto di ingresso per un paese dell'UE sono soggetti a umiliazioni e flagranti violazioni della dignità umana. Il fatto che le procedure per il rilascio dei visti si dilunghino e risultino spesso umilianti e degradanti per i richiedenti (7) induce i cittadini bielorussi a mettere in dubbio i valori che l'UE fa valere e sui quali si fonda. Questo stato di cose, insieme al recente aumento delle tasse amministrative per l'emissione dei visti, limita notevolmente i contatti interpersonali, compresi quelli tra rappresentanti delle organizzazioni della società civile.

5.13

Il Comitato invita quindi le istituzioni europee e tutti gli Stati membri a ridurre al minimo gli ostacoli burocratici, formali e informali, che complicano l'ottenimento di visti d'ingresso nell'UE da parte di quei cittadini bielorussi che osservano e non infrangono la legislazione vigente e, inoltre, a ridurre le relative tasse di emissione. Gli Stati membri dovrebbero vagliare le possibilità per un rilascio semplificato del visto per motivi umanitari, scientifici e di studio. L'importo delle tasse dovrebbe essere proporzionale al potere d'acquisto locale dei cittadini del paese in cui è presentata la richiesta di visto. Occorrerà allo stesso tempo garantire che i richiedenti di visto siano trattati con rispetto. Solo così l'UE invierà alla società bielorussa un segnale credibile in merito alla serietà del suo proposito di intensificare i contatti interpersonali tra i cittadini dell'UE e bielorussi.

5.14

Per le organizzazioni bielorusse una preziosa fonte di know-how ed esperienza è rappresentata dai loro partner dei nuovi Stati membri. Particolarmente preziose sono le nozioni e le esperienze (anche negative) legate al passaggio da un regime totalitario alla democrazia, per quanto riguarda l'adozione di legislazione transitoria, la creazione delle istituzioni democratiche fondamentali e l'instaurazione dei principi di funzionamento dello Stato di diritto, il funzionamento di una società civile libera e aperta e di mezzi di comunicazione indipendenti, l'instaurazione di rapporti equilibrati tra i settori pubblico e privato e il terzo settore, l'attuazione di riforme socioeconomiche e dell'apparato statale (forze armate, forze dell'ordine e apparato giudiziario compresi). L'UE nel suo insieme dovrebbe quindi sostenere il trasferimento alle organizzazioni bielorusse di questo specifico know-how in materia di «transizione».

5.15

Il trasferimento di esperienze e competenze non dovrebbe essere realizzato solo invitando esponenti bielorussi ad attività svolte all'esterno del loro paese, bensì anche provvedendo ad organizzare direttamente in Bielorussia visite e attività diverse, seminari, convegni e tavole rotonde che vedano la partecipazione di partner provenienti dagli Stati membri dell'UE. Andrebbero concessi uno spazio e un sostegno sufficienti al lavoro e all'attività delle fondazioni private che realizzano e finanziano progetti di questo tipo. Le buone pratiche e i modelli positivi derivanti da attività analoghe svolte con organizzazioni della società civile ucraina potranno servire da esempio.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie Sigmund


(1)  Nel suo discorso del 26 maggio 2006 il presidente Lukashenko ha invitato a «costruire la nostra società civile».

(2)  Commissione europea, Country Strategy Paper, National Indicative Programme, pag. 22. Tra queste organizzazioni il 10 % circa svolge esclusivamente attività politica.

(3)  Agenzia Belapan, 30 maggio 2006.

(4)  La strategia di preadesione dell'UE ha permesso alla Slovacchia di «recuperare» molto rapidamente il ritardo di qualche anno accumulato rispetto ai paesi vicini.

(5)  Secondo un recente sondaggio di opinione sociologico, solo l'1,1 % dei bielorussi associa un futuro miglioramento della situazione all'Unione europea, mentre fino al 77,7 % lo associa alla persona del presidente Lukashenko!

(6)  Per esempio: rappresentante speciale dell'UE per la Moldova, per il Sudan o per il Caucaso meridionale. Per ulteriori informazioni sul ruolo e l'importanza dei rappresentanti speciali, cfr.

http://www.consilium.europa.eu/cms3_fo/showPage.asp?lang=it&id=263&mode=g&name=

(7)  Per una descrizione dettagliata di queste pratiche e dei metodi degradanti impiegati dagli organi di rappresentanza degli Stati membri dell'UE nei confronti dei richiedenti di visto bielorussi (dichiarazioni integrali dei richiedenti, descrizione di esperienze personali), cfr. il rapporto della fondazione polacca Batory «Visa Policies of European Union Member States. Monitoring Report», Varsavia, giugno 2006, disponibile in inglese all'indirizzo http://www.batory.org.pl/english/intl/pub.htm.

A titolo di esempio, una citazione tratta dal rapporto: «Praticamente nessuno dei consolati garantisce condizioni adeguate alle persone che fanno la fila all'esterno davanti all'edificio. Non c'è alcun riparo né protezione contro la pioggia o la neve, nessuna possibilità di sedersi. Può sembrare una carenza di poco conto, ma assume grande importanza quando si sa che l'attesa di fronte a un consolato può durare tutta la notte» (pag. 22).


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/128


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile

(2006/C 318/24)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul: L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 181 voti favorevoli, 7 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nel 2002 il CESE ha elaborato un parere di iniziativa sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata  (1), allo scopo di avviare a livello comunitario un dibattito politico e sociale per fare delle politiche di integrazione una componente fondamentale delle politiche comuni di immigrazione e di asilo.

1.2

Il Comitato proponeva tra l'altro l'elaborazione di un programma comunitario volto a favorire l'integrazione sociale degli immigrati. Il CESE reputa necessario creare programmi per promuovere l'integrazione dei nuovi immigrati, delle persone giunte in Europa per ricongiungersi con la propria famiglia e dei rifugiati e dei richiedenti asilo, il cui status è riconosciuto dall'Unione europea e che sono inoltre protetti dalla legislazione internazionale.

1.3

Il 9 e 10 settembre 2002, in collaborazione con la Commissione europea, il CESE ha organizzato un convegno con la stessa finalità. Vi hanno partecipato oltre 200 rappresentanti degli interlocutori sociali, come pure le ONG più rappresentative dei 25 Stati membri e delle reti europee. Il convegno si proponeva specificamente di coinvolgere la società civile nella promozione delle politiche europee di integrazione.

1.4

Nelle conclusioni del convegno si affermava che gli interlocutori sociali e le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo essenziale ai fini dell'integrazione. Sempre secondo tali conclusioni, l'Unione europea e gli Stati membri devono promuovere, specie in ambito locale e regionale, l'integrazione degli immigrati, dei rifugiati e delle minoranze; a tale scopo è necessario un programma europeo  (2).

1.5

Nel 2003 il Consiglio europeo ha costituito le cellule nazionali di contatto per l'integrazione e ha incaricato la Commissione di presentare una relazione annuale sulla migrazione e l'integrazione (3). La Commissione ha elaborato la Comunicazione su immigrazione, integrazione e occupazione  (4), con un approccio generale al tema dell'immigrazione che è stato appoggiato dal CESE nel relativo parere (5). Nel novembre 2004 la Commissione ha pubblicato il «Manuale per l'integrazione» (Handbook on Integration for policy-makers and practitioners)  (6).

1.6

Il programma dell'Aia, adottato dal Consiglio nella seduta del 4 e 5 novembre 2004, sottolinea che è necessario un migliore coordinamento tra politiche nazionali e iniziative dell'UE nel campo delle politiche di integrazione; vi si afferma inoltre che le politiche dell'UE si baseranno su principi comuni e strumenti di valutazione chiari.

1.7

Il quadro politico e legislativo in cui si inseriscono le politiche di immigrazione è ora più sviluppato. Il presente, nuovo contributo del CESE, si concentra in particolare sull'azione dei soggetti sociali e politici di livello regionale e locale, cioè del livello in cui si possono affrontare nel modo più efficace le sfide e in cui gli interventi possono conseguire i migliori risultati.

1.8

Nel contesto dell'elaborazione del presente parere il CESE ha organizzato un'audizione a Barcellona, intesa a consentire uno scambio di buone pratiche nelle politiche delle amministrazioni locali e regionali (una relazione in merito figura nell'allegato 2) e un'altra audizione a Dublino allo scopo di analizzare le buone pratiche sull'integrazione e la lotta contro la discriminazione sul luogo di lavoro, in collaborazione con l'OIL e la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (una relazione in merito figura nell'allegato 3).

2.   L'Agenda comune per l'integrazione

2.1

Il 1o settembre 2005 la Commissione ha pubblicato una comunicazione intitolata Un'agenda comune per l'integrazioneQuadro per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi nell'Unione europea  (7) che il CESE accoglie con favore, dato che sviluppa una proposta formulata dallo stesso CESE nel parere e nel convegno del 2002.

2.2

La comunicazione fa appello agli Stati membri affinché intensifichino gli sforzi compiuti a livello nazionale nel quadro delle rispettive strategie di integrazione degli immigrati e mira a un maggiore coordinamento fra le politiche nazionali di integrazione e le iniziative dell'UE.

2.3

Il presente parere viene redatto dal CESE di propria iniziativa e pertanto non si riferisce specificamente alla comunicazione della Commissione. Nondimeno esso contiene anche il punto di vista del Comitato sul documento COM(2005) 389 def.

2.4

Il Consiglio Giustizia e affari interni ha adottato nella riunione del 19 novembre 2004 alcuni principi fondamentali comuni a sostegno di un quadro europeo coerente per le politiche di integrazione. La Commissione sviluppa tali principi sotto forma di azioni, che «andrebbero viste come costituenti principali di tutte le politiche di integrazione» (8) nazionali e dell'UE. Le azioni proposte sono esposte sotto forma di 11 principi (9). Il CESE ritiene che tali principi, sviluppati nell'Agenda comune, costituiscano una base adeguata per sviluppare politiche di integrazione equilibrate e coerenti a livello europeo e nazionale.

2.5

Nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013 viene proposto di istituire un Fondo europeo per l'integrazione dei cittadini dei paesi terzi (10), che si basa sui suddetti principi comuni. Il CESE è favorevole a questa proposta (11) e si augura che venga inserita nel futuro bilancio dell'UE.

2.6

Il programma propone azioni da sviluppare a livello nazionale e altre di livello comunitario. La Commissione intende predisporre una procedura di valutazione continua dei programmi.

2.7

Essa afferma che «nel pieno rispetto delle competenze degli Stati membri e delle loro autorità locali e regionali è essenziale promuovere, a livello dell'UE, una strategia di integrazione più coerente» (12).

2.8

La Commissione ha proposto di ricorrere a un metodo aperto di coordinamento delle politiche in materia di immigrazione (13), che però non è stato accettato dal Consiglio. Il Comitato (14), che ha appoggiato la suddetta proposta della Commissione, considera che la rete di cellule nazionali di contatto, i principi comuni e il procedimento di valutazione delle politiche di integrazione costituiscano un passo in avanti nel coordinamento delle politiche nazionali, nel quadro di un approccio comune. Il CESE propone alla Commissione e al Consiglio di adottare il metodo aperto di coordinamento in base alle esperienze positive maturate.

2.9

È necessario continuare a sviluppare a livello europeo un quadro giuridico (politica comune) relativo alle condizioni di ammissione e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi. Gli Stati membri devono recepire adeguatamente le direttive sui soggiornanti di lungo periodo e sul ricongiungimento familiare (15) adottate nel 2003.

2.10

La Commissione mette in evidenza il nesso tra una politica comune in materia di immigrazione e una strategia comune di integrazione. Nondimeno a tutt'oggi non è ancora stata approvata la direttiva sull'ammissione degli immigrati per motivi economici. Il CESE (16) condivide l'affermazione della Commissione europea secondo cui «qualunque strumento futuro sulla migrazione dovrà tenere conto della parità di trattamento e dei diritti dei migranti» (17). La Commissione annuncia che pubblicherà la seconda edizione del manuale di integrazione, creerà un sito Internet per l'integrazione, istituirà un Foro europeo sull'integrazione e renderà più complete le relazioni annuali sulla migrazione e l'integrazione. Il CESE accoglie con favore gli obiettivi annunciati e manifesta la volontà di collaborare con la Commissione.

2.11

Il CESE esprime il suo fermo sostegno all'avvio di tale programma e ricorda quanto ha già affermato in un precedente parere: «Il CESE propone che la Commissione gestisca, nel quadro del coordinamento delle politiche nazionali, un programma europeo per l'integrazione dotato di adeguate risorse finanziarie; sottolinea l'importanza che il Consiglio conceda alla Commissione gli strumenti politici, legislativi e di bilancio necessari per promuovere l'integrazione degli immigrati. Il CESE evidenzia l'importanza di istituire, in collaborazione con le associazioni della società civile, validi ed efficaci programmi di accoglienza degli immigrati» (18).

2.12

Il Comitato propone inoltre che l'UE dedichi fondi sufficienti all'accoglienza umanitaria dei numerosi migranti privi di documenti che stanno giungendo dai paesi dell'Europa meridionale. Affinché l'Europa segua una politica comune, gli Stati membri devono dar prova di solidarietà e responsabilità.

3.   Le politiche di integrazione

3.1

L'integrazione è un processo bidirezionale, fondato su diritti e obblighi per i cittadini dei paesi terzi e per la società ospitante, e volto a garantire agli immigrati una piena partecipazione. In un suo precedente parere il CESE ha definito l'integrazione come «la progressiva equiparazione degli immigrati al resto della popolazione, per quanto riguarda diritti e doveri, l'accesso ai beni, ai servizi e alle basi di partecipazione civile in condizioni di parità di opportunità e di trattamento» (19).

3.2

Questo approccio bidirezionale presuppone che l'integrazione non riguardi solo gli immigrati, ma anche la società di accoglienza. Non si tratta quindi di integrazione degli immigrati nella società di accoglienza, ma piuttosto con essa. Entrambe le parti devono integrarsi. Le politiche di integrazione devono pertanto essere orientate verso entrambe le parti, con l'obiettivo di pervenire ad una società in cui tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti e doveri e condividano i valori di una società democratica, aperta e pluralista.

3.3

Gli immigrati hanno il dovere di comprendere e rispettare i valori culturali della società di accoglienza e quest'ultima ha il dovere di comprendere i valori culturali degli immigrati. Spesso le questioni culturali vengono utilizzate con finalità discriminatorie. Ma l'integrazione non consiste nell'adeguamento culturale degli immigrati alla società di accoglienza. Alcuni insuccessi sono dovuti a questa visione errata. Le società europee sono pluralistiche sotto il profilo culturale, e questa tendenza si accentuerà ancor più in futuro a causa dell'estendersi e dell'aumento del fenomeno dell'immigrazione.

3.4

Non va dimenticato che in vari Stati membri vivono un gran numero di persone appartenenti a minoranze, con origini nazionali o culturali differenti, e di cui bisogna tutelare e garantire i diritti.

3.5

Il CESE ritiene che la diversità culturale e il principio della laicità dello Stato contraddistinguano l'Europa pluralista e democratica. L'immigrazione proveniente da paesi terzi apporta elementi nuovi alla nostra diversità, arricchendo socialmente e culturalmente le nostre società. La cultura delle comunità umane va considerata non come un'entità immobile, bensì come qualcosa che si evolve in permanenza, arricchendosi attraverso i più svariati contributi. I principi di indipendenza e di neutralità delle istituzioni nei confronti delle religioni contribuiscono ad una buona relazione tra gli immigranti e la società di accoglienza. Le società europee devono promuovere dei programmi di formazione interculturale. La Convenzione dell'Unesco (20) per la diversità culturale è uno strumento fondamentale per le politiche europee.

3.6

L'integrazione sociale degli immigrati è anch'essa un processo di equiparazione di diritti e doveri, ed è strettamente correlata alla lotta contro la discriminazione. Quest'ultima costituisce una violazione illegale dei diritti dell'individuo. In vari Stati membri, a causa di disposizioni molto restrittive sul ricongiungimento familiare, non viene adeguatamente garantito il diritto alla vita familiare. Anche la direttiva in materia adottata dal Consiglio risulta inadeguata (21).

3.7

In base al principio di sussidiarietà le politiche di integrazione, in un quadro europeo coerente, non sono di esclusiva responsabilità degli Stati membri. Tali politiche avranno un successo maggiore se coinvolgeranno le amministrazioni regionali e locali, nel quadro di un'attiva collaborazione con le organizzazioni della società civile. Il CESE propone che gli enti locali e regionali intensifichino i loro sforzi e promuovano nuove politiche di integrazione.

3.8

Le amministrazioni locali e regionali, nel quadro delle competenze di cui sono investite nei rispettivi Stati membri, dispongono di strumenti politici, normativi e di bilancio che devono utilizzare adeguatamente nelle politiche di integrazione.

3.9

Sia gli immigrati che le società di accoglienza devono manifestare un atteggiamento favorevole all'integrazione. Le parti sociali e le organizzazioni della società civile devono anch'esse impegnarsi nelle politiche di integrazione e nella lotta contro la discriminazione.

3.10

Le organizzazioni della società civile devono far fronte ad una sfida molto importante: promuovere un atteggiamento favorevole all'integrazione nelle società europee di accoglienza. Le parti sociali, le organizzazioni di difesa dei diritti umani, le associazioni culturali e sportive, le comunità religiose, le associazioni di quartiere, le comunità educative, i mezzi di informazione ecc. devono costituire l'avanguardia dell'integrazione e devono quindi aprire le loro porte e promuovere la partecipazione degli immigrati.

3.11

In alcuni settori minoritari della società europea crescono la discriminazione, il razzismo e la xenofobia. Alcuni politici irresponsabili e alcuni mezzi di comunicazione che amplificano socialmente l'effetto di atteggiamenti di questo tipo non fanno che alimentarli. Tuttavia molte organizzazioni della società civile in Europa sono impegnate nella lotta sociale e politica contro questi comportamenti.

3.12

Gli enti locali e regionali in collaborazione con le organizzazioni della società civile hanno la responsabilità di informare gli immigrati e la società di accoglienza dei loro diritti e doveri.

3.13

Le organizzazioni e le comunità degli immigrati svolgono un ruolo molto importante ai fini dell'accoglienza e dell'integrazione. Queste organizzazioni devono anche promuovere delle dinamiche di integrazione tra i propri membri e rafforzare i loro legami con le organizzazioni della società di accoglienza.

3.14

Le amministrazioni locali e regionali devono appoggiare il lavoro di queste organizzazioni e consultarle prima di adottare decisioni politiche in materia.

3.15

Le direttive contro la discriminazione (22) sono state adottate e recepite nelle legislazioni nazionali. Il Comitato attende di conoscere le relazioni di valutazione concernenti gli effetti e i risultati di tali provvedimenti.

3.16

Tuttavia numerosi immigrati o discendenti di immigrati, o persone appartenenti a minoranze etniche o culturali, sono vittime di discriminazioni sul luogo di lavoro (pur possedendo le stesse qualifiche professionali): esse hanno difficoltà maggiori a trovare un lavoro, svolgono lavori di bassa qualità e vengono licenziate più frequentemente.

3.17

È indispensabile che gli interlocutori sociali, a livello locale e regionale, lottino contro queste pratiche discriminatorie, che sono contrarie alle leggi europee e costituiscono nuovi ostacoli all'integrazione. La discriminazione sul lavoro, inoltre, costituisce un ostacolo al successo delle imprese. L'integrazione sul lavoro, in condizioni di parità di trattamento, senza discriminazioni professionali dei lavoratori stranieri rispetto a quelli nazionali è una condizione imprescindibile per il successo delle imprese e per l'integrazione sociale (23). Nell'allegato 3 figura un resoconto dell'audizione sulle buone prassi di integrazione professionale, che si è svolta a Dublino.

4.   I programmi regionali e locali per l'integrazione

4.1

In taluni Stati membri si è ritenuto, in altri tempi, che non occorresse definire una politica di integrazione, perché gli immigrati venivano considerati alla stregua di ospiti, destinati a rientrare nel proprio paese al termine dell'attività lavorativa. Questo approccio erroneo ha causato numerosi problemi di segregazione ed emarginazione sociale, problemi che si tenta di risolvere con le politiche attuali.

4.2

In altri Stati membri si è pensato per anni che l'integrazione degli immigrati avvenisse in maniera facile e automatica, anche in assenza di politiche attive in questo campo. Con il passare del tempo, tuttavia, si sono consolidate delle situazioni di segregazione e di marginalità, che sono sfociate in gravi conflitti sociali. Adesso si intende correggere, con nuove politiche, gli errori del passato.

4.3

Non va dimenticato che, quando l'immigrazione passa per canali irregolari, le politiche di integrazione risultano più difficili, perché gli immigrati «irregolari» si trovano in una situazione di precarietà e di grande vulnerabilità. In alcuni Stati membri si sono avviati processi volti a regolarizzare la permanenza di questi immigrati e a promuoverne l'integrazione.

4.4

Sebbene nell'ambito del Consiglio dell'Unione europea permangano dei dubbi concernenti la sussidiarietà, la maggior parte dei capi di Stato e di governo ritiene necessario promuovere delle politiche coerenti di integrazione a tutti i livelli: comunitario, nazionale, regionale e locale.

4.5

Il CESE ritiene che queste politiche, per essere efficaci, debbano essere proattive e svilupparsi in un quadro coerente e con un approccio integrato. Spesso invece le autorità intervengono a posteriori, quando i problemi si sono già manifestati ed è difficile porvi rimedio.

4.6

L'integrazione costituisce un processo multidimensionale, cui devono partecipare le varie amministrazioni pubbliche e gli attori sociali. Le autorità europee, nazionali, regionali e locali devono elaborare dei programmi nell'ambito delle rispettive competenze. Detti programmi devono integrarsi e coordinarsi in modo adeguato, affinché sia garantita la loro efficacia e la loro coerenza globale.

4.7

I cittadini e le amministrazioni locali subiscono le conseguenze delle politiche erronee dei governi. Le amministrazioni comunali, in particolare, sono le prime a risentire degli insuccessi delle suddette politiche, ragion per cui già da tempo varie regioni ed enti locali elaborano proprie politiche di accoglienza e integrazione. Le esperienze maturate sono molto diverse: in alcuni casi si tratta di buone prassi, in altri casi, di insuccessi.

4.8

Mentre da un lato è impossibile non riconoscere l'importanza attuale e futura dei processi migratori e delle sfide che ne derivano, dall'altro le risorse economiche e le azioni politiche delle regioni e degli enti locali sono insufficienti.

4.9

Il CESE considera che le amministrazioni comunali e regionali debbano elaborare, in collaborazione con le organizzazioni della società civile, piani e programmi di integrazione, che stabiliscano anche gli obiettivi e prevedano le necessarie risorse; le politiche definite solo «sulla carta», senza risorse finanziarie, sono infatti inefficaci.

4.10

Il CESE reputa ragionevole prevedere di destinare alle politiche di accoglienza e di integrazione una parte dei vantaggi economici derivanti dall'immigrazione.

4.11

È essenziale che, nell'elaborare i programmi e i piani di integrazione, vengano consultate anche le associazioni di immigrati più rappresentative.

4.12

In vari comuni e regioni europee esistono sistemi e organi di partecipazione e di consultazione volti a consentire che le organizzazioni della società civile collaborino con le autorità nell'elaborazione e nella gestione delle politiche di integrazione.

5.   Gli strumenti, i bilanci e le valutazioni

5.1

I piani e i programmi locali e regionali per l'integrazione devono essere dotati di risorse sufficienti e disporre di strumenti propri di gestione e di valutazione.

5.2

Vi sono numerosi esempi di città e di regioni europee che si sono dotate di organi e dipartimenti specifici, con ampi contenuti politici e tecnici.

5.3

Molte città e regioni dispongono anche di organi di consultazione e di partecipazione per le organizzazioni della società civile. Sono stati istituiti vari fori e organi consultivi cui prendono parte le organizzazioni della società civile e le associazioni di immigrati.

5.4

Il CESE ritiene che questi siano esempi di buone pratiche che bisognerebbe estendere all'intera UE.

5.5

In varie città vi sono anche uffici specializzati che si occupano dell'assistenza agli immigrati e dell'attuazione pratica dei piani di integrazione.

5.6

Si discute del rischio di segregazione cui gli immigrati sono esposti quando vengono assistiti da servizi specializzati creati appositamente per loro. Il CESE ritiene che occorra evitare la segregazione nell'uso dei servizi pubblici, sebbene talvolta sia necessario disporre di servizi specifici, specie per accogliere gli immigrati al loro arrivo.

5.7

Il CESE ritiene che i piani e i programmi comunali e regionali per l'integrazione debbano essere elaborati e gestiti con la partecipazione delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile.

5.8

È utile anche promuovere la cooperazione tra le amministrazioni locali e regionali dei paesi europei di accoglienza e quelle dei paesi di origine. Vi sono esempi di buone prassi che si dovrebbero applicare in maniera più estesa.

5.9

Alcune amministrazioni stanziano dei fondi solo per limitare i conflitti una volta che si siano manifestati. Le politiche di integrazione, per essere efficaci, devono invece essere proattive.

5.10

L'integrazione costituisce una sfida per le società europee. Alcuni avvenimenti, prodottisi di recente in diversi paesi hanno messo in luce il fatto che gli obiettivi perseguiti non vengono raggiunti. Sebbene la situazione vari da uno Stato membro all'altro e alcuni problemi siano di natura specifica, in tutta Europa è necessario migliorare le politiche in materia di uguaglianza di trattamento, di integrazione e di lotta contro la discriminazione.

5.11

Il CESE propone che le varie amministrazioni pubbliche a livello europeo, nazionale, regionale e comunale elaborino, conformemente alle prassi di ciascun paese, dei programmi di integrazione, dotati di adeguati finanziamenti e aventi un approccio proattivo.

5.12

Tali programmi devono disporre di sistemi di valutazione, con indicatori precisi e procedimenti trasparenti. Inoltre la società civile deve partecipare al processo di valutazione.

6.   Gli obiettivi

6.1

Gli argomenti e gli approcci da includere nei programmi regionali e comunali per l'immigrazione sono svariati; qui di seguito vengono indicati i principali:

6.2

L'osservazione della realtà — Se si vuole che le azioni da sviluppare siano appropriate occorre che le istituzioni analizzino a fondo la realtà dell'immigrazione e la situazione delle minoranze in un dato territorio.

6.3

La prima accoglienza — Creazione di centri di accoglienza; assistenza sanitaria e legale; alloggio temporaneo in casi specifici; organizzazione di corsi di lingua; informazioni sulle leggi e i costumi del paese di accoglienza; assistenza nella ricerca del primo impiego ecc. Nel contesto di queste azioni bisogna dedicare una particolare attenzione ai minori e ad altre persone che si trovano in una situazione di vulnerabilità.

6.4

L'insegnamento della lingua — Gli enti locali e regionali devono realizzare politiche attive per l'insegnamento della lingua perché per integrarsi è necessaria una conoscenza adeguata della lingua della società di accoglienza. I programmi di insegnamento devono essere organizzati vicino al luogo di residenza e i relativi orari devono essere molto flessibili. Le autorità dovrebbero offrire a tutti gli immigrati l'opportunità di partecipare ai corsi.

6.5

Accesso all'occupazione — Il lavoro costituisce senza dubbio un aspetto prioritario dell'integrazione. I servizi di collocamento pubblici devono disporre di programmi adeguati: corsi di formazione professionale, consulenza in materia di occupazione ecc.

6.6

La discriminazione sul posto di lavoro costituisce un ostacolo molto forte all'integrazione. Gli interlocutori locali e regionali devono essere agenti attivi nella lotta contro tale discriminazione.

6.7

Accesso all'alloggio — Una delle grandi sfide delle politiche locali e regionali consiste nel garantire senza discriminazioni l'accesso ad alloggi di qualità. Le autorità devono adeguare con sufficiente anticipo le proprie politiche urbanistiche per prevenire la formazione di ghetti urbani degradati, dove si concentra un gran numero di immigrati. Il miglioramento della qualità della vita in questi quartieri dev'essere una priorità.

6.8

L'insegnamento — I sistemi di insegnamento devono garantire ai figli degli immigrati l'accesso a scuole di qualità. È necessario prevenire l'eccessiva concentrazione di tali alunni in centri scolastici ghettizzati e di pessima qualità, come si verifica in numerose occasioni. L'educazione e l'istruzione dei bambini, in tutte le sue fasi, costituisce la base per l'integrazione delle nuove generazioni.

6.9

L'insegnamento deve tenere conto della diversità interna delle società europee. Occorre disporre di mediatori interculturali e rafforzare le risorse di personale docente, onde superare le difficoltà linguistiche e culturali.

6.10

I programmi di insegnamento destinati agli adulti devono prevedere la partecipazione della popolazione immigrata, e specialmente della sua componente femminile. La formazione ai fini occupazionali è fondamentale per favorire l'accesso degli immigrati all'occupazione.

6.11

Accesso alla salute — Occorre promuovere l'accesso degli immigrati alla salute e all'assistenza sanitaria. In talune circostanze sarà necessario avvalersi della collaborazione dei servizi di mediazione interculturale.

6.12

Adattamento dei servizi sociali — L'immigrazione solleva spesso delle questioni alle quali i servizi sociali non sono preparati a rispondere. Essi si devono adattare alla nuova situazione: la gestione della diversità.

6.13

La formazione degli operatori — Gli impiegati dei servizi sociali, dell'istruzione, dei corpi di polizia, dei servizi sanitari e di tutti gli altri servizi pubblici devono ricevere una formazione integrativa per essere in grado di assistere adeguatamente la popolazione immigrata e le minoranze.

6.14

La diversità è un fatto positivo — I programmi culturali devono riconoscere la diversità culturale. Essa è un aspetto caratteristico delle città europee di oggi. La diversità si manifesta anche nei credi religiosi.

6.15

È anche necessario che gli enti locali diano impulso alla pedagogia della convivenza e promuovano il principio secondo cui tutte le persone, di qualsiasi origine esse siano, si adeguano alle forme di vita della città dove risiedono. A tale pedagogia della convivenza devono partecipare sia le popolazioni immigrate che le società di accoglienza, per migliorare la comprensione fra le culture e promuovere l'integrazione sociale.

6.16

Tutte le persone devono godere del diritto di vivere in famiglia, si tratta di uno dei diritti fondamentali riconosciuti internazionalmente dalle convenzioni sui diritti umani. Tuttavia numerose legislazioni nazionali, come pure la direttiva europea sul ricongiungimento familiare (24), non garantiscono adeguatamente tale diritto a vivere nella propria famiglia, che costituisce tra l'altro un fattore utile ai fini dell'integrazione.

6.17

La prospettiva relativa al genere — In tutte le politiche di integrazione si deve tenere conto della prospettiva relativa al genere. Sono particolarmente importanti le politiche rivolte alla formazione professionale per favorire l'integrazione nel mondo del lavoro.

6.18

La partecipazione civica — Una della componenti principali dell'integrazione consiste nell'accesso ai percorsi di integrazione civica. Occorre garantire ai cittadini di paesi terzi con residenza stabile o di lungo periodo l'esercizio dei diritti civili e il diritto di voto nelle elezioni comunali, come è stato proposto dal CESE in vari pareri (25).

7.   Nuove strategie per gli enti locali e regionali (dalle conclusioni dell'audizione di Barcellona)

7.1   Necessità di lavoro in rete e di coordinamento tra le varie istituzioni

7.1.1

Il lavoro in rete e il coordinamento interistituzionale sono essenziali; essi possono essere orizzontali, quando avvengono tra amministrazioni locali, o verticali, quando hanno luogo tra le amministrazioni locali, quelle regionali e quelle nazionali. Le sfide connesse con l'immigrazione e l'integrazione non possono essere affrontate separatamente da ciascuna amministrazione. Il CESE propone che le amministrazioni pubbliche migliorino i sistemi di coordinamento e che il lavoro in rete disponga di procedure di valutazione. Anche il CESE desidera stabilire una migliore collaborazione con il Comitato delle regioni nella promozione delle politiche di integrazione.

7.1.2

Alcune regioni, come la Catalogna e lo Schleswig-Holstein, hanno fatto osservare che una parte importante del loro lavoro è consistita nel coinvolgere i comuni nella pianificazione delle loro azioni. La regione Campania, dal canto suo, ha sottolineato il proprio impegno nel lavoro in rete con i sindacati, gli organi religiosi ecc. In generale, le amministrazioni locali hanno fatto presente che per svolgere compiti come l'accoglienza degli immigrati è importante lavorare in rete con gli organismi specializzati in questo campo.

7.1.3

Le esperienze di lavoro in rete tra amministrazioni locali si stanno moltiplicando in ambito europeo. Eurocities, un'organizzazione nata nel 1986, riunisce 123 città europee. È strutturata in gruppi di lavoro, uno dei quali si occupa di immigrazione e integrazione, con la partecipazione attiva di alcune città presenti all'audizione, come Rotterdam e Leeds. Nel quadro di dette reti vengono promossi non soltanto lo scambio di esperienze e di buone pratiche, ma anche progetti europei, con la partecipazione di varie città.

7.1.4

Un'altra rete, di costituzione più recente e rivolta in modo specifico alla politica di immigrazione e di integrazione è la ERLAI (European Regional and Local Authorities on Asylum and Immigration), cui partecipano 26 amministrazioni locali e regionali. Anche questa rete ha per obiettivi lo scambio di informazioni ed esperienze, come pure lo sviluppo di azioni e di progetti congiunti.

7.1.5

Sono in corso anche altre esperienze, promosse da diversi enti. La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro sta anch'essa collaborando con una rete di città per il coordinamento delle politiche di integrazione.

7.1.6

A livello europeo la rete di cellule nazionali di contatto in materia di integrazione, coordinata dalla Commissione europea, ha anch'essa come obiettivo lo scambio di esperienze. Ha contribuito all'elaborazione del «Manuale sull'integrazione» (26) e alla Prima relazione annuale su migrazione e integrazione  (27).

7.2   I piani per l'integrazione e la partecipazione della società civile

7.2.1

Le amministrazioni locali e regionali che hanno elaborato dei piani integrati e che dispongono di dipartimenti dedicati alla gestione dell'immigrazione ottengono migliori risultati rispetto a quelle che si limitano ad interventi occasionali. Per far fronte all'immigrazione e all'integrazione è indispensabile disporre di una pianificazione, di risorse adeguate e di strumenti di gestione.

7.2.2

Il CESE considera importantissimo che le organizzazioni della società civile partecipino all'elaborazione delle politiche e alle azioni in questo campo. La partecipazione della società civile è fondamentale per il successo del piano di integrazione. In quest'ottica il Land Schleswig-Holstein, prima di approvare il proprio progetto in materia, ha coinvolto esponenti della società civile e varie altre entità in un vasto dibattito sull'integrazione, sensibilizzando così la società alla necessità di attuare politiche di integrazione. Anche altre regioni e città hanno dato l'esempio nel campo dei processi partecipativi, tra esse Copenaghen, Barcellona ed Helsinki.

7.3   Il Fondo europeo per l'integrazione

7.3.1

Le amministrazioni locali e regionali acquisiscono maggiore efficacia quando dispongono del sostegno economico dei rispettivi governi nazionali, dal momento che le politiche di integrazione richiedono risorse economiche, e gli Stati membri devono impegnarsi di più. Il Land Schleswig-Holstein ha riferito che uno dei suoi principali interventi è stato volto a sensibilizzare il governo tedesco sulla necessità di far fronte alla questione; i risultati sono stati positivi.

7.3.2

Altre amministrazioni locali, tra cui quelle di Lubiana e di Brescia, hanno riconosciuto di non potere attuare politiche di più ampio respiro a causa dello scarso sostegno che ricevono dai rispettivi governi. Come ha segnalato la regione francese Midi-Pyrénées, questo problema si fa più acuto quando le amministrazioni regionali dispongono di risorse proprie limitate.

7.3.3

Il Fondo europeo per l'integrazione, varato dal Consiglio e dal Parlamento per il periodo 2007-2013, avrà un ruolo fondamentale, perché mobiliterà consistenti risorse economiche a favore delle politiche di integrazione, facendo sì che nell'UE vengano attuate in un quadro coerente e integrato e nel rispetto della sussidiarietà. I nuovi Stati membri hanno manifestato un particolare interesse per questo Fondo. Il CESE esprime ancora una volta il proprio compiacimento per la creazione di questo Fondo; chiede alla Commissione di essere consultato nell'elaborazione del relativo regolamento.

7.4   I servizi specializzati non devono generare segregazione

7.4.1

Bisogna evitare che la creazione di servizi specializzati per gli immigrati favorisca la segregazione. La rappresentante della città di Budapest ha per esempio segnalato che i comuni ungheresi dispongono di servizi per l'assistenza familiare, l'infanzia, l'occupazione ecc., ai quali si possono rivolgere gli immigrati come qualsiasi altro cittadino. Tuttavia in generale le città e le regioni che hanno predisposto politiche di integrazione lo hanno fatto attraverso piani specifici, risorse ad hoc e servizi specializzati. Il rappresentante della città di Helsinki ha osservato che i servizi specifici per gli immigrati non dovrebbero essere necessari, ma di fatto lo sono. Con ciò si vuol dire che le prestazioni erogate dai servizi comuni, da sole, non risolvono le carenze, gli svantaggi, le difficoltà e le necessità specifiche degli immigrati.

7.4.2

Per gli immigrati e per la loro integrazione occorrono piani, progetti e risorse specifiche. Permane il problema di come procedere verso una normalizzazione, ossia evitare che la specificità finisca per generare una segregazione. Il rappresentante del comune di Brescia ha fatto presente che i servizi destinati all'immigrazione non sono paralleli bensì complementari; non sostituiscono i servizi ordinari, ai quali anzi gli immigrati devono continuare a rivolgersi per tutte le questioni per le quali tali servizi sono competenti.

7.4.3

Anche il rappresentante di Copenaghen sottolinea che una delle preoccupazioni del Consiglio di integrazione è fare in modo che le sue azioni non legittimino alcun tipo di segregazione a danno degli immigrati e delle minoranze. Tali azioni dovrebbero essere inclusive e generare vicinanza e integrazione tra tutti i settori della popolazione.

7.4.4

In quest'ottica è importante fare in modo che la popolazione autoctona non percepisca le azioni destinate agli immigrati come un privilegio concesso a questi ultimi, perché ove ciò avvenisse si potrebbe produrre un aumento dei pregiudizi e della segregazione. È quanto afferma il rappresentante della Catalogna, il quale fa presente che quando si realizzano interventi specifici per gli immigrati bisogna dedicare particolare attenzione al rischio di possibili sentimenti di rigetto da parte della popolazione autoctona. Vi è quindi la necessità di spiegare in modo pedagogico gli interventi delle amministrazioni locali e regionali nei confronti dell'immigrazione.

7.5   Obiettivi dell'integrazione

7.5.1

Gli interventi delle varie città e regioni hanno messo in luce i diversi concetti di integrazione, dimostrando che il dibattito su questo tema in Europa non è ancora concluso, dato che esistono diverse culture politiche e giuridiche e anche diversi modelli di integrazione.

7.5.2

Il Land Schleswig-Holstein, al termine di un intenso dibattito partecipativo, afferma che l'integrazione si deve sviluppare intorno a tre assi principali: la parità di partecipazione, l'equiparazione dei diritti e dei doveri e lo sviluppo di misure inclusive e antidiscriminatorie, che coinvolgono sia gli immigrati che la società di accoglienza.

7.5.3

Questo approccio inclusivo caratterizza l'intervento dell'organizzazione «La Misericordia» in Portogallo e, in generale, le politiche portoghesi di integrazione. Tali politiche sono incentrate sull'uguaglianza e su un più facile accesso alla cittadinanza portoghese.

7.5.4

La città di Barcellona ha segnalato tre direttrici di azione, che consistono nella promozione dell'uguaglianza (riconoscimento dei diritti, promozione della parità di opportunità e di trattamento), nel riconoscimento della diversità culturale e nella promozione della convivenza (migliorando il grado di coesione sociale ed evitando lo sviluppo di mondi paralleli, quello della popolazione autoctona e quello dei gruppi di immigrati).

7.5.5

La città di Rotterdam ha avviato nel 2004 un importante dibattito circa il modello di integrazione che si era sviluppato sino ad allora. La necessità di tale dibattito scaturiva dalla constatazione che, malgrado anni di politica attiva dell'integrazione, la società si stava frammentando e si accentuavano processi di segregazione (specie nei confronti della popolazione musulmana). Il principale oggetto della discussione è stato l'approccio «noi di fronte a loro» che aveva permeato la società.

7.5.6

Il Comitato europeo di coordinamento dell'alloggio sociale (Cecodhas) imposta il dibattito sull'integrazione in termini di eliminazione della disuguaglianza e parità di opportunità. Quest'organizzazione, la cui attività si concentra sulla questione dell'alloggio, segnala che la discriminazione in questo campo costituisce una delle cause principali di segregazione degli immigrati.

7.5.7

Il CESE ritiene che gli 11 principi fondamentali comuni dell'Agenda per l'integrazione (cfr. allegato 1) si basino su un approccio adeguato ed equilibrato; tale giudizio è stato condiviso dalla maggior parte dei partecipanti all'audizione di Barcellona.

8.   Nuove sfide per l'integrazione lavorativa (alcune conclusioni dell'audizione di Dublino)

8.1

Gli immigrati, attraverso il loro lavoro, contribuiscono utilmente allo sviluppo economico e al benessere sociale dell'Europa. Il CESE ritiene che l'immigrazione in Europa possa offrire nuove opportunità di migliorare la competitività delle imprese, le condizioni di lavoro e il benessere sociale.

8.2

L'occupazione costituisce una parte fondamentale del processo di integrazione, perché un posto di lavoro dignitoso, oltre ad essere la chiave per l'autosufficienza economica degli immigrati, favorisce le relazioni sociali e la conoscenza reciproca fra immigrati e società di accoglienza. Il CESE chiede che l'inserimento professionale si effettui in condizioni di parità di trattamento, senza discriminazioni tra lavoratori autoctoni e immigrati, nonché tenendo conto dei necessari requisiti professionali.

8.3

I lavoratori immigrati hanno diritto ad un trattamento equo in Europa e sono tutelati dalle convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo e dai principi e dai diritti sanciti nelle convenzioni dell'OIL. Il CESE ribadisce la proposta che gli Stati membri dell'UE ratifichino la «Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie» del 1990.

8.4

Le direttive dell'UE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica sono strumenti giuridici essenziali per determinare la legislazione e le pratiche degli Stati membri nella lotta contro la discriminazione e la promozione dell'integrazione nel mondo del lavoro.

8.5

In ambito lavorativo, la legislazione e le politiche pubbliche devono essere integrate dalla collaborazione delle parti sociali, perché l'integrazione lavorativa è anche una questione di atteggiamento sociale e di impegni sindacali e del datore di lavoro.

8.6

I servizi pubblici relativi all'occupazione devono promuovere programmi per migliorare l'accesso degli immigrati all'occupazione, agevolando il riconoscimento delle qualifiche professionali, migliorando la formazione linguistica e professionale e fornendo un'adeguata informazione sui sistemi lavorativi del paese di accoglienza.

8.7

A livello locale, i sindacati, le organizzazioni imprenditoriali, le associazioni di immigrati e le altre organizzazioni della società civile svolgono un ruolo fondamentale per la trasmissione delle informazioni e per agevolare l'accesso degli immigrati all'occupazione. In Europa sono molto attive le organizzazioni sociali che promuovono l'inserimento lavorativo degli immigrati e dei loro figli mediante programmi di formazione, di consulenza in materia occupazionale, di appoggio alla creazione di piccole imprese, ecc.

8.8

Sempre più imprese approfittano delle opportunità che si creano grazie all'assunzione di immigrati e alla crescente diversità. Il CESE ritiene che le imprese possano contribuire ad una maggiore sensibilizzazione della società di accoglienza contro la discriminazione, respingendo ogni manifestazione di xenofobia e di esclusione nella contrattazione lavorativa.

8.9

È essenziale istituire una procedura di regolamentazione dei flussi migratori, attuata nei paesi di origine e vincolata alle effettive possibilità di inserimento professionale e quindi di integrazione sociale.

8.10

Anche la bassa qualità dell'occupazione costituisce un fattore di discriminazione nei casi in cui si impiegano gli immigrati in quanto manodopera «più vulnerabile».

8.11

I sindacati talvolta manifestano tendenze corporativiste, difendendo solo alcuni interessi particolari ed escludendo gli immigrati. Il CESE ritiene che i sindacati debbano accogliere fra le loro fila i lavoratori immigrati e agevolare il loro accesso alle funzioni di rappresentanza e di direzione. Un gran numero di sindacati applica buone prassi, volte a garantire ai lavoratori la parità di trattamento indipendentemente dalla loro origine o nazionalità.

8.12

Le organizzazioni patronali devono raccogliere la sfida cruciale della trasparenza dei mercati del lavoro. Il CESE ritiene che, insieme ai sindacati dei lavoratori, debbano collaborare con le autorità pubbliche regionali e locali per evitare situazioni di discriminazione e promuovere comportamenti favorevoli all'integrazione.

8.13

Le parti sociali, che sono attori fondamentali del funzionamento dei mercati del lavoro e costituiscono i pilastri della vita economica e sociale europea, hanno un ruolo importante da svolgere nell'integrazione. Nell'ambito delle contrattazioni collettive, devono assumersi la responsabilità che spetta loro nell'integrazione degli immigrati, eliminando dai contratti collettivi e dalle norme e pratiche lavorative qualsiasi elemento diretto o indiretto di discriminazione.

8.14

L'Europa vanta numerosi esempi di buone pratiche degli interlocutori sociali e delle organizzazioni della società civile che il CESE intende diffondere. Nel corso dell'audizione di Dublino sono state esaminate le esperienze positive maturate all'interno di imprese, sindacati, organizzazioni imprenditoriali e organizzazioni sociali. Fra queste il Comitato intende evidenziare gli impegni assunti dalle parti sociali irlandesi per gestire la diversità nelle imprese e lottare contro la discriminazione, come pure l'accordo concluso dalle parti sociali spagnole per regolarizzare il lavoro illegale e l'immigrazione irregolare e affrontare la questione dell'immigrazione per motivi di lavoro con spirito di cooperazione e nel quadro del dialogo sociale.

8.15

Il CESE ritiene che siano necessarie politiche attive e nuovi impegni delle parti sociali per incoraggiare i comportamenti favorevoli all'integrazione, la parità di trattamento e la lotta contro la discriminazione sul luogo di lavoro. Il dialogo sociale europeo può costituire un quadro adeguato per indurre le parti sociali ad assumere nuovi impegni al livello che ritengano opportuno.

8.16

Il dialogo sociale europeo è responsabilità esclusiva degli interlocutori sociali: la CES e l'UNICE hanno elaborato l'agenda del dialogo sociale europeo. Il CESE spera che conseguano gli obiettivi previsti.

8.17

Il CESE può costituire un foro permanente per il dialogo sulle buone prassi in materia di integrazione e immigrazione. A tale proposito continuerà a lavorare in collaborazione con la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e con l'OIL per far sì che in Europa si sviluppino politiche e pratiche che favoriscono l'integrazione; organizzerà nuovi incontri e forum con la partecipazione delle organizzazioni sociali e di altre organizzazioni della società civile allo scopo di studiare e scambiare le buone pratiche realizzate in Europa in materia di integrazione.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie Sigmund


(1)  GU C 125 del 27.5.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS, correlatore: MELÍCIAS).

(2)  Cfr. le conclusioni generali del convegno.

(3)  COM(2004) 508 def.

(4)  COM(2003) 336 def.

(5)  GU C 80 del 30.3.2004 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(6)  http://europa.eu.int/comm/justice_home/doc_centre/immigration/integration/doc/handbook_en.pdf

(7)  COM(2005) 389 def.

(8)  Cfr. COM(2005) 389 def. capitolo 2.

(9)  Allegato 1.

(10)  Cfr. COM(2005) 123 def.

(11)  Parere del CESE sul tema Gestione di flussi migratoriGU C 88 dell'11.4.2006 (relatrice: Le NOUAIL-MARLIÈRE).

(12)  Cfr. COM(2005) 389 def. capitolo 3.

(13)  COM(2001) 387 def.

(14)  GU C 221 del 17.9.2002 (relatrice: zu EULENBURG).

(15)  Direttive 2003/109/CE e 2003/86/CE.

(16)  Parere in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 286 del 17.11.2005).

(17)  Cfr. COM(2005) 389 def., punto 3.2.

(18)  GU C 80 del 30.3.2004, punto 1.10 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(19)  GU C 125 del 27.5.2002, punto 1.4 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(20)  Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali. Cfr.

http://portal.unesco.org/culture/en/ev.php-URL_ID=11281&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html

(21)  Cfr. direttiva 2003/86/CE e i pareri del CESE, GU C 204 del 18.7.2000 (relatrice: CASSINA) e GU C 241 del 7.10.2002 (relatore: MENGOZZI).

(22)  Direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE.

(23)  Si pensi all'azione positiva svolta dalle parti sociali in Irlanda.

(24)  Cfr. direttiva 2003/86/CE e i pareri del CESE, GU C 204 del 18.7.2000 (relatrice: CASSINA) e GU C 241 del 7.10.2002 (relatore: MENGOZZI).

(25)  Cfr. il parere Integrazione nella cittadinanza dell'Unione europea, GU C 208 del 3.9.2003 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(26)  http://europa.eu.int/comm/justice_home/doc_centre/immigration/integration/doc/handbook_en.pdf

(27)  COM(2004) 508 def.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/137


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea

(2006/C 318/25)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul: I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 76 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo riconosce il ruolo essenziale dei comitati aziendali europei (CAE) che stimolano e sostengono la coesione sociale e costituiscono uno strumento di integrazione dei lavoratori europei, facilitando attraverso la reciproca conoscenza e comprensione la percezione della cittadinanza europea. Gli oltre 10.000 delegati CAE attivi in Europa, sono attori diretti e motivati della costruzione di una nuova società.

1.2

Il modello sociale europeo, basato sulla ricerca del consenso e del dialogo sociale, sul rispetto dell'identità e della dignità della persona, sul contemperamento dei diversi interessi, sulla capacità di coniugare lo sviluppo con l'attenzione per la persona e per l'ambiente, postula la individuazione di una sede di incontro e confronto nell'ambito di imprese transnazionali. Il CESE ritiene che la direttiva 94/45/CE abbia svolto un ruolo importante per il raggiungimento di questi obiettivi.

1.3

La Commissione era tenuta a riesaminare al più tardi entro il 22 settembre 1999, «in consultazione con gli Stati membri e le parti sociali a livello europeo», le modalità d'applicazione della direttiva per proporre al Consiglio, «se del caso, le necessarie modifiche».

1.4

La Commissione ha avviato la consultazione delle parti sociali. L'UNICE e il CEEP si sono dichiarate contrarie alla revisione della direttiva; la Confederazione europea dei sindacati (CES), al contrario, ne ha richiesto in più occasioni una urgente revisione.

1.5

Il CESE ha svolto un esame approfondito della situazione attuale, anche attraverso una larga audizione di esponenti del mondo del lavoro, delle imprese e della società civile.

1.6

Le esperienze ad oggi registrate presentano numerosi aspetti positivi. Come riferiscono vari studi in materia, come hanno rilevato le parti sociali in alcuni seminari congiunti, e come ricorda il CESE, sono stati stipulati, su base volontaria, accordi relativi all'organizzazione del lavoro, all'occupazione, alle condizioni di lavoro e al perfezionamento professionale, in base ad un partenariato a favore del cambiamento. Anche l'adeguata esecuzione di questi accordi dipende solo dalla volontà delle parti.

1.7

L'esperienza dei CAE mostra anche dei punti critici: quello più evidente è costituito dalla percentuale ancora assai bassa di costituzione di CAE rispetto al numero di imprese obbligate ai sensi della direttiva, che prevede la possibilità di costituire un CAE a iniziativa delle imprese o dei lavoratori di almeno due paesi membri. Tra le cause della non completa applicazione della direttiva figura anche la mancata iniziativa dei lavoratori, la quale però, in taluni paesi potrebbe essere dovuta alla mancanza di legislazioni di tutela dei diritti sindacali nelle aziende.

1.8

Negli anni successivi alla direttiva 94/45/CE si è rafforzato il quadro normativo comunitario sui diritti di informazione e consultazione, in particolare nelle direttive 2001/86/CE, 2002/14/CE e 2003/72/CE, le quali forniscono nozioni di informazione e consultazione più avanzate di quelle previste nella direttiva 94/45/CE e procedure di coinvolgimento dei lavoratori orientate nel senso dell'anticipazione della consultazione rispetto alle decisioni. Tali procedure concorrono a rendere più competitive le imprese europee sul piano globale.

1.9

Il CESE individua tre punti principali che suggerisce di prendere in considerazione per un rapido aggiornamento della direttiva 94/45/CE:

coordinare le disposizioni in materia di informazione e consultazione contenute nella direttiva 94/45/CE con quelle di analogo argomento contenute nelle direttive summenzionate,

modificare il numero dei rappresentanti dei lavoratori nella Delegazione speciale di negoziazione (DSN) e nei CAE, tenendo conto dell'allargamento dell'Unione e del diritto dei rappresentanti di ogni paese interessato a farne parte, numero che la direttiva aveva a suo tempo stabilito ad un massimo di 17, corrispondente allora al numero dei paesi destinatari della direttiva,

riconoscere il diritto dei sindacati nazionali ed europei di far parte della DSN e dei comitati aziendali europei, con la possibilità di ricorrere a propri esperti anche al di fuori delle riunioni previste.

1.10

Il CESE propone che, successivamente ad un periodo ragionevole di integrazione dei nuovi Stati membri e in base a quello che le parti sociali evidenzieranno dagli insegnamenti sui CAE in corso di discussione in appositi seminari, si proceda ad un riesame della direttiva che tenga conto di queste esperienze e delle indicazioni che già oggi si possono fornire.

1.11

Il CESE sostiene la dimensione sociale dell'impresa nell'Unione europea e il ruolo che i CAE svolgono. Il dibattito europeo ha focalizzato nello sviluppo sostenibile e nel modello sociale europeo le peculiarità dell'Unione. La responsabilità sociale d'impresa nell'economia globale rappresenta una delle risposte europee ai problemi posti dalla globalizzazione, i cui effetti negativi potrebbero essere attenuati se tutti gli Stati aderenti all'Organizzazione mondiale del commercio rispettassero le norme fondamentali dell'OIL. L'impresa viene considerata un soggetto importante nel contesto sociale, capace di fornire un contributo essenziale al miglioramento della qualità della vita di tutte le parti direttamente interessate e delle regioni. Va osservato che, come si è verificato — soprattutto a livello transnazionale — per lo stesso Comitato aziendale europeo, i progressi del dialogo sociale sono tanto più rilevanti quanto più passano per il piano normativo.

1.12

Il CESE prende atto di quanto affermato dalla Commissione europea nella comunicazione sulla CSR, circa l'importanza del ruolo dei lavoratori e dei loro sindacati nell'applicazione di pratiche di responsabilità sociale (1). In essa si sostiene che: «Il dialogo sociale, in particolare a livello settoriale, è stato uno strumento efficace per promuovere le iniziative di RSI e i comitati aziendali europei hanno anche svolto un ruolo costruttivo nella definizione di buone pratiche legate alla RSI. Nonostante ciò, occorre ancora migliorare l'adozione, l'applicazione e l'integrazione strategica della RSI da parte delle imprese europee. I lavoratori dipendenti, i loro rappresentanti e i sindacati devono svolgere un ruolo più attivo nello sviluppo e nell'applicazione delle pratiche della RSI. Le parti interessate esterne, in particolare le ONG, i consumatori e gli investitori dovranno impegnarsi maggiormente per incoraggiare e ricompensare il comportamento responsabile delle imprese.»

1.13

Il modello sociale europeo, oltre che per le tutele offerte ai più deboli e per il welfare, si caratterizza per il rispetto dei diritti costitutivi della dignità della persona, in ogni sede e in ogni circostanza. I diritti di cittadinanza, nell'Europa moderna, si devono infatti poter esercitare ovunque, compresi i luoghi di lavoro e in particolare nell'ambito transnazionale dell'impresa. Il CESE richiede alla Commissione di riconoscere i positivi elementi di novità intercorsi dall'adozione della direttiva 94/45/CE e di individuare le misure più opportune per rinsaldare i sentimenti di appartenenza nell'Unione.

2.   Il contesto socioeconomico e normativo nel quale operano i comitati aziendali europei (CAE)

2.1

Il CESE intende in primo luogo valorizzare i vari aspetti positivi che emergono dall'esperienza ormai decennale di applicazione della direttiva 94/45/CE, senza però ignorare le difficoltà e i punti critici che hanno caratterizzato l'esperienza dei comitati aziendali europei. A tal fine intende sollecitare tutti i soggetti interessati, sia le istituzioni e gli organi comunitari sia le parti sociali ai vari livelli organizzativi, a collaborare al fine di migliorare questo strumento democratico di rappresentanza, che appare ormai indispensabile per il consolidamento del modello sociale europeo e al quale il CESE conferma il suo sostegno per uno stabile sviluppo e rafforzamento.

2.2

Con il presente parere d'iniziativa, il CESE intende contribuire a rendere più incisivo il ruolo dei CAE, mediante un aggiornamento della direttiva 94/45/CE, per favorire l'integrazione e la coesione sociale, obiettivo che riveste un'importanza politica sempre maggiore, soprattutto nella fase attuale caratterizzata da una minore tensione verso la costruzione di una Unione europea socialmente più forte ed unita.

2.3

A dodici anni dall'approvazione della direttiva, molte cose sono cambiate nell'Unione. Il processo di allargamento, sostenuto dal CESE, ha determinato l'ingresso di dieci paesi a partire dal maggio 2004, mentre altri due (Bulgaria e Romania) sono in procinto di entrare. Non v'è dubbio che, nonostante i notevoli sforzi diretti ad armonizzare le normative nazionali con l'acquis comunitario, e i rilevanti progressi realizzati nella tutela delle condizioni di lavoro, in alcuni di questi paesi le organizzazioni dei lavoratori e delle imprese hanno ancora delle difficoltà a consolidare il loro livello di rappresentanza.

2.4

Il CESE auspica il rafforzamento del dialogo sociale e ritiene che i CAE siano uno strumento indispensabile a questo fine, perché introducono sistemi di relazioni e di reciproco ascolto che possono promuovere la cultura del dialogo sociale negli Stati membri.

2.5

L'adozione da parte del Consiglio dei ministri, il 22 settembre 1994, della direttiva 94/45/CE, riguardante «l'istituzione di un Comitato aziendale europeo (CAE) o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensione comunitaria», estesa al Regno Unito attraverso la direttiva 97/74/CE del Consiglio del 17 novembre 1997, ha rappresentato un progresso determinante per lo sviluppo di un dialogo sociale europeo a livello d'impresa, in sintonia con la struttura transnazionale delle imprese e dei gruppi di imprese. Questo nuovo strumento, dalla natura transnazionale, ha fortemente contribuito a sviluppare la dimensione europea delle relazioni industriali (2).

2.6

Ai sensi dell'articolo 15 della direttiva 94/45/CE, la Commissione era tenuta a riesaminare al più tardi entro il 22 settembre 1999, «in consultazione con gli Stati membri e le parti sociali a livello europeo», le sue modalità d'applicazione per proporre al Consiglio, «se del caso, le necessarie modifiche». Il riesame avrebbe dovuto vertere sulle modalità d'applicazione della direttiva e, dunque su tutti gli aspetti relativi alla costituzione e al funzionamento dei comitati aziendali europei, e in particolare sulla validità dei limiti numerici relativi al personale.

2.7

Pur considerando che si sarebbe trattato di un processo indubbiamente innovativo, la Commissione riteneva che alla data del 22 settembre 1999 i negoziati condotti e le attività svolte in seno ai comitati aziendali europei avrebbero fornito sufficienti elementi ed esperienze concrete per consentire il riesame della direttiva.

2.8

Il 4 aprile 2000 la Commissione presentava al Parlamento e al Consiglio la propria relazione sullo stato di applicazione della direttiva. Pur vertendo essenzialmente sulla valutazione delle misure di recepimento adottate dagli Stati membri, la relazione esaminava anche lo stato di attuazione della direttiva stessa. Indipendentemente dalla qualità degli atti di recepimento, la Commissione sottolineava che alcuni suoi punti restavano ancora da interpretare e indicava inoltre che di solito erano le parti interessate, oppure l'autorità giudiziaria, a dirimere queste problematiche. La Commissione non riteneva dunque necessario proporre una modifica della direttiva in quella fase.

2.9

Del riesame della direttiva si è interessato anche il Parlamento europeo. Nella sua Risoluzione sullo stato di attuazione della direttiva e sulla necessità di una sua revisione, approvata il 4 settembre 2001, il Parlamento europeo metteva in evidenza il ruolo degli organismi transnazionali di rappresentanza dei lavoratori e valutava i limiti e le opportunità derivanti dall'esercizio dei diritti di informazione e consultazione (3). Il PE pertanto invitava la Commissione a presentare in tempi brevi una proposta di modifica della direttiva recante una serie di migliorie: oltre a quella relativa alla possibilità per i lavoratori di esercitare un'influenza sul processo decisionale della direzione dell'impresa e alla previsione di sanzioni adeguate, il PE riteneva opportuno rivedere la stessa nozione di impresa di dimensioni comunitarie, con riferimento ai limiti numerici. Secondo il PE l'ambito di applicazione della direttiva sarebbe dovuto passare dal limite di 1.000 a quello di 500 dipendenti e da 150 a 100 dipendenti per le articolazioni presenti in almeno due Stati membri (come è noto, anche nell'iter di approvazione della direttiva, le proposte del Parlamento e della Commissione indicavano una soglia numerica più bassa di quella poi prevista dalla direttiva 94/45/CE) (4).

2.10

Nel 2004, al termine di un lungo periodo di attuazione della direttiva 94/45/CE, la Commissione riteneva opportuno procedere ad un esame ulteriore dello stato di applicazione della direttiva stessa, tanto più che la questione figurava nell'Agenda sociale adottata a Nizza nel dicembre 2000.

3.   Il processo di riesame della direttiva 94/45/CE

3.1

Il 20 aprile 2004 la Commissione ha avviato la prima fase di consultazione delle parti sociali sul riesame della direttiva 94/45/CE, chiedendo alle parti sociali la loro opinione su:

quale sia il modo migliore per garantire che le capacità e potenzialità dei CAE nel promuovere un dialogo sociale transnazionale costruttivo e fruttuoso a livello di impresa siano pienamente realizzate negli anni a venire,

la possibile direzione dell'azione comunitaria al riguardo, incluso il riesame della direttiva sui CAE,

il ruolo che intendono svolgere le parti sociali nell'impostare le questioni connesse alla gestione di un contesto in rapido e profondo mutamento e alle conseguenze sociali ad esso connesse.

3.2

Nell'atto di avvio delle consultazioni, la Commissione ha affermato che il quadro di riferimento istituzionale è profondamente mutato rispetto a quello esaminato nella sua relazione del 4 aprile 2000. In effetti questa non prendeva in considerazione elementi nuovi come l'Agenda di Lisbona e l'ampliamento dell'Unione. Con particolare riferimento a questo secondo aspetto, la Commissione ha messo in evidenza che «l'estensione delle attività nei nuovi paesi membri farà aumentare il numero delle imprese che ricadranno nelle finalità della direttiva» e che «laddove le imprese o i gruppi con società affiliate nei nuovi paesi membri hanno già dei CAE, questi dovranno essere estesi per garantire la rappresentanza delle nuove società affiliate». Come effetto, l'applicazione della direttiva sui CAE, dopo il 1o maggio 2004, comporterà maggiori e nuovi rappresentanti da parte dei nuovi paesi membri con differenti condizioni economiche, tradizioni sociali, lingue e culture cui si aggiungono una maggiore complessità ed un aumento dei costi.

3.3

Il Comitato economico e sociale europeo adottava un suo parere il 24 settembre 2003, nel quale sottoponeva all'attenzione della Commissione alcuni aspetti da prendere in considerazione per un'eventuale revisione della direttiva (5).

3.4

L'UNICE ha risposto alla Commissione di essere fortemente contraria ad una revisione di una direttiva sui CAE (6). Il modo migliore per sviluppare l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese comunitarie è quello del dialogo a livello delle società interessate dalla direttiva. Un intervento del legislatore UE sarebbe controproducente perché potrebbe ridurre la dinamica dei graduali progressi nel funzionamento dei CAE. A sua volta il CEEP si è dichiarato contrario ad una revisione della direttiva in questa fase. Il CEEP non è d'accordo con una revisione della direttiva 94/45/CE, ma chiede che si faccia un uso migliore degli strumenti esistenti, segnatamente della procedura di informazione e di consultazione. Le parti sociali europee possono svolgere un ruolo chiave in tale processo, specialmente nell'ambito dei nuovi Stati membri. Inoltre, i case studies che hanno determinato le basi per orientare la gestione del cambiamento e le sue conseguenze sociali, mettono in luce l'importanza di una informazione e di una consultazione effettiva e ispirano le ulteriori attività delle parti sociali, in particolare nei nuovi Stati (7).

3.4.1

La CES invece ha risposto in senso positivo, confermando alcune osservazioni già svolte in una sua precedente risoluzione del 1999 (8). Ragionando sulla base degli accordi e delle prassi sin qui registrati, la CES ritiene che i limiti e le carenze imputabili alla normativa non possano essere corretti solo attraverso lo strumento negoziale, e su base volontaria, magari continuando a monitorare le pur positive esperienze delle buone pratiche, ma che sia assolutamente «urgente e necessaria» (9) una revisione della direttiva stessa.

3.5

La Commissione ha proceduto alla seconda fase di consultazione delle parti sociali europee sul riesame della direttiva relativa ai comitati aziendali europei, ma congiuntamente alla consultazione relativa alle ristrutturazioni. Sull'avvio di tale seconda fase di consultazione in merito al riesame della direttiva 94/45/CE, il CESE ha espresso il proprio compiacimento ma anche le proprie riserve, in considerazione del fatto che la relativa procedura è stata effettuata in modo contestuale e congiunto con una tematica differente: «A prescindere dall'importante ruolo che i CAE svolgono nelle ristrutturazioni, la revisione della direttiva europea sui comitati aziendali europei è comunque attesa da tempo» (10).

4.   L'esperienza dei CAE. Una questione di metodo: valorizzare gli aspetti positivi e riflettere sui risultati negativi

4.1

Le esperienze ad oggi registrate presentano numerosi aspetti positivi. Gli studi mettono in rilievo come un numero crescente di CAE stiano funzionando effettivamente anche nelle nuove condizioni. Come ha sottolineato la dichiarazione congiunta dei partner sociali dell'aprile 2005: «Insegnamenti sui comitati d'impresa europei», i CAE hanno contribuito, tra l'altro, a migliorare la comprensione del mercato interno e della cultura d'impresa transnazionale in un'economia di mercato da parte dei rappresentanti dei lavoratori e dei lavoratori stessi. Degli studi rivelano che un numero crescente di CAE funzionano in maniera efficace, partecipando anche al miglioramento del dialogo sociale settoriale. Come riferiscono vari studi in materia, come hanno rilevato le parti sociali in alcuni seminari congiunti, e come in particolare ricorda il CESE, sono stati stipulati, su base volontaria, accordi relativi all'organizzazione del lavoro, all'occupazione, alle condizioni di lavoro e al perfezionamento professionale, in base ad un partenariato a favore del cambiamento (11).

4.1.1

Tutte le proposte di riesame analizzano i principali problemi emersi nel corso dei monitoraggi effettuati a più riprese sull'attività dei CAE in Europa. In una recentissima ricerca (12) è stato evidenziato come quasi il 75 % dei CAE attualmente non rispetti le previsioni della direttiva nel fornire informazioni in tempo utile in caso di ristrutturazioni. Un altro elemento molto importante scaturito dall'esame delle risposte di 409 delegati appartenenti a 196 CAE è la segnalazione da parte di 104 delegati che nell'ambito di tutti i rispettivi comitati europei sono stati negoziati e conclusi dei testi congiunti. Se consideriamo che nel 2001, secondo un importante studio dell'European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions  (13), gli accordi sottoscritti direttamente o indirettamente dai CAE erano 22, abbiamo, anche se parzialmente, la chiara visione di come ci sia una costante evoluzione del ruolo dei CAE, che stanno sviluppando una vera e propria capacità negoziale.

4.2

L'esperienza dei CAE mostra anche dei punti critici che esigono una riflessione attenta al fine di migliorare questo strumento democratico di rappresentanza e di coinvolgimento dei lavoratori, divenuto ormai elemento indispensabile del modello sociale europeo. Tra i punti critici quello più evidente è costituito dalla percentuale assai bassa di CAE rispetto al numero di imprese obbligate a costituirli su richiesta dei lavoratori, ai sensi della direttiva. Nel dicembre 2004, a fronte di oltre 2.000 imprese destinatarie della direttiva, erano stati costituiti circa 800 CAE (14), rappresentativi di circa il 70 % della forza lavoro impiegata nelle suddette imprese. Tra le cause della non completa applicazione della direttiva figura anche la mancata iniziativa dei lavoratori, la quale però, in taluni paesi è dovuta alla debolezza delle rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che potrebbe dipendere anche da normative nazionali che non offrono sufficienti tutele. Questo aspetto meriterebbe di essere approfondito per individuare possibili rimedi.

4.3

Il nuovo e più esteso ambito territoriale di applicazione della direttiva 94/45/CE fa senz'altro ritenere necessario un processo di riflessione e di studio che consenta a tutti gli interessati, sia dei paesi di più antica appartenenza sia dei paesi di più recente adesione all'UE, di assimilare elementi e dati appartenenti a culture, prassi e realtà diverse e di superare gli ostacoli legati alle differenze sociali, economiche e culturali, in modo da rafforzare il sistema delle relazioni industriali europee nel suo complesso.

4.3.1

Le questioni connesse all'ampliamento dell'Unione sono tuttavia solo un aspetto del più ampio e generale cambiamento del mercato del lavoro e del sistema delle imprese dell'UE. L'accelerazione delle ristrutturazioni transnazionali, divenute ormai una costante nella vita delle imprese, e la nuova natura che esse hanno assunto, costituiscono infatti per i comitati aziendali europei, delle sfide sicuramente più incisive di quelle che il legislatore comunitario aveva preso in considerazione nella direttiva 94/45/CE, come dimostra la successiva produzione normativa in materia di coinvolgimento dei lavoratori.

4.4

In effetti il contesto legislativo è assai mutato. Sono state infatti emanate nuove norme comunitarie nel settore dell'informazione e della consultazione dei lavoratori, da un lato quelle relative al quadro transfrontaliero, come la direttiva 2001/86/CE dell'8 ottobre 2001 sul coinvolgimento dei lavoratori nella società europea, la direttiva sulla società cooperativa europea (SCE) e la direttiva sulle fusioni, e dall'altro quelle relative al quadro nazionale, come la direttiva 2002/14/CE dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea.

4.5

Il nuovo e più impegnativo ruolo che dovrebbero svolgere i CAE è ugualmente esposto nella comunicazione della Commissione relativa alle ristrutturazioni delle imprese transfrontaliere (15).

4.6

Il CESE ha espresso in numerosi pareri il suo apprezzamento positivo e il suo sostegno allo sviluppo e al rafforzamento dei CAE (16), trattando del loro importante ruolo nelle ristrutturazioni transfrontaliere. Nel settore metalmeccanico, il ruolo dei CAE in molte vertenze di ristrutturazione è stato essenziale, contribuendo a realizzare accordi volti a mantenere i siti produttivi e a salvaguardare i posti di lavoro.

5.   Il ruolo della direttiva 94/45/CE nell'evoluzione delle relazioni industriali europee

5.1

La direttiva 94/45/CE è una delle più importanti normative adottate nel campo delle relazioni industriali a livello europeo. Malgrado determinati limiti e lacune, da più parti segnalati, essa ha senza dubbio contribuito in misura rilevante ad avviare il processo di costruzione di «nuove pratiche transnazionali di relazioni industriali» coniugando nuovi modelli di solidarietà tra lavoratori di paesi diversi e di confronto costruttivo tra rappresentanze dei lavoratori e imprese transnazionali, e prevedendo per la prima volta forme comuni di rappresentanza e di tutela «senza frontiere» di alcuni fondamentali diritti dei lavoratori.

5.2

Da alcuni anni però, come dimostrano i dati relativi all'applicazione della direttiva, il suo contributo dinamico alla costruzione di un modello integrato di relazioni industriali e al consolidamento del modello sociale europeo appare meno incisivo. Vari elementi strutturali, concernenti le trasformazioni del mercato del lavoro e del sistema delle imprese, contribuiscono a questo indebolimento. Di essi il CESE si è già occupato nell'ambito dei pareri sull'Agenda sociale della Commissione e sulle ristrutturazioni. Altri elementi che causano una minore incidenza dell'azione dei CAE possono essere individuati nel fatto che i diritti di informazione e consultazione di cui i comitati aziendali europei dispongono non «consentono concretamente» ad essi di «intervenire in modo appropriato» sulla definizione e sull'attuazione delle politiche industriali delle imprese. In altri casi i CAE hanno visto riconosciuto il loro ruolo.

5.3

Come ha invece fatto rilevare il CESE in un recente parere, «a livello aziendale, settoriale e interprofessionale, la politica industriale europea deve essere definita e attuata con la partecipazione delle parti sociali, le cui conoscenze specifiche si rivelano fondamentali in quanto provengono dalle parti più direttamente interessate. Questo esige che le imprese comunichino chiaramente i loro obiettivi entro termini temporali che consentano concretamente alle altre parti interessate di intervenire in modo appropriato» (17).

5.4

Un fattore di debolezza dell'azione dei CAE sembra potersi individuare nel fatto che le modalità dell'informazione e della consultazione — temi oggetto del riesame della direttiva 94/45/CE — non sembrano coerenti né con il nuovo quadro economico e strutturale né con il nuovo quadro normativo comunitario, quale costituito dalle citate direttive 2001/86/CE e 2003/72/CE e dalla direttiva 2002/14/CE. In queste direttive le procedure di informazione e consultazione non costituiscono meri adempimenti formali: non si tratta quindi di obblighi di routine che l'impresa può adempiere nel rispetto solo formale delle norme di legge e «a valle» del processo decisionale, ma di procedure da espletarsi «a monte» del processo decisionale.

5.5

Nelle direttive che completano i regolamenti comunitari relativi agli statuti di SE e di SCE, le procedure informativo-consultative non hanno solo lo scopo di far conoscere ai rappresentanti dei lavoratori ciò che l'impresa ha già deciso definitivamente di fare in merito a processi rilevanti, come ad esempio le trasformazioni e riorganizzazioni societarie in ambito transnazionale, ma hanno soprattutto lo scopo di dare ai rappresentanti dei lavoratori il diritto di «esercitare un'influenza» su tali decisioni.

6.   L'informazione e la consultazione dei lavoratori, componente essenziale del modello sociale europeo

6.1

Le procedure di informazione e di consultazione dei lavoratori (nonché quelle di partecipazione, in senso stretto, ai termini delle direttive 2001/86/CE e 2003/72/CE) costituiscono elementi essenziali non solo dei sistemi di relazioni industriali dell'Unione europea ma dello stesso modello sociale europeo, come si evince dall'enunciazione di questi diritti nelle fonti primarie dell'UE (18)) e la loro costante evoluzione nel diritto derivato comunitario. I diritti in questione trovano infatti riconoscimento e tutela in un'ampia serie di direttive (19), il cui processo culmina con la firma della Carta dei diritti fondamentali nel dicembre 2000 e con la successiva incorporazione della stessa nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa (20).

6.1.1

Un rilievo particolare assume, nella Carta dei diritti fondamentali, la precisazione che i diritti in parola siano esercitati «in tempo utile»: in tal modo verrebbe favorita un'interpretazione orientata sulla natura per lo più preventiva dei diritti stessi, conforme in tal senso alle recenti acquisizioni normative (cfr. le direttive dianzi citate) e giurisprudenziali (21).

6.1.2

L'evoluzione, progressiva e costante, della normativa sui diritti di informazione e consultazione, a partire dalla metà degli anni Settanta, sia con riferimento al quadro giuridico nazionale che a quello transnazionale, trova spiegazione nell'interesse del legislatore comunitario a che le procedure in questione non si riducano a meri adempimenti formali e di routine. Un impulso determinante al rafforzamento dei diritti in questione è venuto, com'è noto, dalle vicende legate alla chiusura dello stabilimento Renault di Vilvoorde (febbraio 1997), che ebbero anche significativi risvolti giudiziari.

6.2

Un rapporto elaborato da un gruppo di esperti, il cosiddetto Gyllenhammar Group, su mandato del Consiglio europeo di Lussemburgo (novembre 1997), mise in evidenza la necessità di un nuovo quadro normativo comunitario che definisse prescrizioni minime le quali, oltre a fissare principi, regole e modalità comuni agli Stati membri in tema di informazione e consultazione, fossero coerenti con la strategia comunitaria dell'occupazione nella Comunità. Questa strategia, imperniata sui concetti di «anticipazione», «prevenzione» e «occupabilità», in seguito divenuti elementi della strategia europea dell'occupazione, deve essere integrata nelle politiche pubbliche degli Stati membri per incidere positivamente sull'occupazione attraverso l'intensificazione del dialogo sociale, anche al livello delle imprese, per facilitare un cambiamento coerente con il mantenimento dell'obiettivo prioritario dell'occupazione.

6.3

È in questo quadro che si inserisce — e viene valorizzato — il «coinvolgimento dei lavoratori nella conduzione dell'impresa e nella determinazione del suo futuro», anche per «rafforzarne la competitività» (22). Tale coinvolgimento, precisa il legislatore, costituisce «una condizione preliminare del successo dei processi di ristrutturazione e di adattamento delle imprese alle nuove condizioni indotte dalla globalizzazione dell'economia» (23).

6.4

Quest'ultima previsione è particolarmente importante ai fini dell'effettività delle procedure di informazione e consultazione, e quindi dell'effettivo, sostanziale coinvolgimento dei lavoratori, soprattutto nella parte delle disposizioni di riferimento applicabili in via sussidiaria in cui si afferma (24) che se la società «decide di non agire conformemente al parere espresso dall'organo di rappresentanza, quest'ultimo dispone della facoltà di riunirsi nuovamente con l'organo competente della società europea (SE) o della società cooperativa europea (SCE) nella prospettiva di trovare un accordo».

6.5

Le imprese europee, e in particolare quelle organizzate in grandi gruppi, sono impegnate in processi di ristrutturazione sempre più incisivi e rapidi. Il CESE ha rilevato infatti, in un suo recente parere, che «Le ristrutturazioni attuate solo a posteriori producono per lo più effetti deleteri, soprattutto per l'occupazione e le condizioni di lavoro» concludendo che «Il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori (nonché dei loro rappresentanti aziendali e dei loro sindacati) sono uno strumento essenziale per gestire ed organizzare in maniera socialmente compatibile le trasformazioni a livello aziendale» e affermando che «in tale contesto i CAE assolvono un ruolo particolare. Visti gli accordi su misure di ristrutturazione conclusi con i CAE e con le confederazioni sindacali europee, si può supporre che il dialogo transnazionale a livello aziendale continuerà a svilupparsi con decisione (25)

6.6

La qualità e l'intensità di questi processi di ristrutturazione hanno messo in evidenza la insufficienza degli strumenti legislativi e negoziali attualmente a disposizione dei rappresentanti dei lavoratori e delle parti sociali ai vari livelli e, quindi, la necessità di un maggior e più penetrante coinvolgimento delle organizzazioni sindacali ai vari livelli. Non si tratta dunque soltanto di completare la fase dell'applicazione formale della direttiva sui CAE ma, in primo luogo, di garantire piena efficacia agli accordi e alle norme nazionali di trasposizione e, in secondo luogo, di rendere le procedure di informazione e consultazione e i diritti dei comitati aziendali europei adeguati alle mutate condizioni di mercato e a più incisive politiche gestionali.

6.7

A tal fine non sembra sufficiente una più attenta e volenterosa attività negoziale, che va comunque incoraggiata, ma sono necessari opportuni interventi su quelle parti della direttiva che, se non opportunamente modificate, possono rendere insignificante il ruolo dei CAE in genere, a dispetto delle buone prassi sinora registrate. C'è anzi il rischio che il diffondersi di procedure essenzialmente di routine a livello sovranazionale — che è poi il livello cruciale di molte decisioni d'impresa altrimenti non soggette ad alcun confronto sindacale -, o il prevalere di «cattive prassi» rispetto alle varie «buone prassi» in materia di informazione e consultazione finora registrate, possano condizionare negativamente la stessa effettività dei diritti di informazione e consultazione al livello nazionale. Senza contare l'effetto controproducente, in termini di legittimazione e di autorevolezza, che ciò potrebbe produrre nel rapporto con i lavoratori e con le direzioni aziendali locali, influendo negativamente sulla cultura dei diritti di informazione e consultazione di fonte vincolante, come è quella che trova da ultimo espressione nella Carta di Nizza e nelle direttive 2001/86/CE, 2003/72/CE e 2002/14/CE (si potrebbe dire parafrasando la legge di Gresham che «la informazione cattiva scaccia quella buona»).

6.8

Fondamentale è il riconoscimento formale delle organizzazioni sindacali. Nelle direttive sul coinvolgimento dei lavoratori nella SE e nella SCE, per la prima volta si parla delle organizzazioni dei lavoratori come di soggetti che possono integrare la delegazione speciale di negoziazione. Nelle direttive precedenti (in materia di diritti d'informazione e consultazione) alle organizzazioni sindacali in quanto tali non era mai stato riconosciuto un ruolo diretto (o di sostegno) nel negoziato. Questi elementi e le specificità nazionali devono essere presi in considerazione ai fini del possibile riesame della direttiva, insieme agli altri che verranno di seguito indicati.

7.   Perché è opportuno procedere ad un riesame della direttiva, prima di rinegoziare la sua revisione

7.1

A detta di molti, i principali ordini di motivi che suggeriscono un riesame dell'impianto della direttiva sono tre.

7.1.1

Il primo motivo riguarda le evoluzioni registrate nelle direttive connesse a questo tema, per le quali si impone una messa in conformità della direttiva del 1994. Occorre fare opera di semplificazione e di coordinamento, al fine di eliminare le differenti definizioni dell'informazione e della consultazione contenute in direttive diverse.

7.1.2

Il secondo motivo che giustifica un riesame è legato all'allargamento dell'Unione, che porta logicamente a modificare il numero dei rappresentanti nelle DSN e nei comitati aziendali europei aumentando il loro numero in proporzione.

7.1.3

Un terzo motivo risiede nella necessità di riconoscere il diritto dei sindacati nazionali ed europei di partecipare ai negoziati e di fare parte dei comitati aziendali europei (per analogia con quanto prevedono le direttive sul coinvolgimento dei lavoratori nella SE e nella SCE), con la possibilità di ricorrere a propri esperti anche al di fuori delle riunioni.

7.1.4

Valutando inoltre le prassi vigenti nei CAE, un riesame della direttiva 94/45/CE appare opportuno, anche alla luce delle prospettive che si possono aprire in materia di responsabilità sociale delle imprese e del nuovo ruolo che le organizzazioni della società civile possono svolgere con le imprese a dimensione europea e globale, nonché dell'azione che queste ultime devono condurre per affermare, nel proprio ambito, il rispetto dei diritti sociali e sindacali fondamentali.

7.2

Gli insegnamenti sui comitati d'impresa europei formulati dai partner sociali (26) meriterebbero di essere approfonditi per portare ad un miglioramento delle prassi dei CAE e ad un migliore ed ulteriore sviluppo degli accordi: questo però non può impedire che inizino i lavori per un rilancio del funzionamento dei CAE nella prospettiva di definire le basi di una revisione dopo un periodo ragionevole di integrazione dei nuovi Stati membri nel processo. Nell'ambito delle future discussioni e negoziazioni, si terrà conto dei seguenti elementi:

a)

rendere più chiaro il testo attuale in ordine alle modalità e alla qualità dell'informazione e della consultazione: occorrerebbe un'esplicita affermazione in ordine al carattere preventivo (o di anticipazione) delle procedure di informazione e consultazione, in particolare sui temi «all'ordine del giorno» o sollecitati dai rappresentati dei lavoratori. Non ammettere la natura preventiva delle procedure stesse nella normativa comunitaria sui CAE darebbe luogo ad una grave asimmetria tra le procedure della direttiva 94/45/CE, da un lato, e quelle sul coinvolgimento dei lavoratori (di cui alle direttive sulla società europea e sulla società cooperativa europea), dall'altro, col rischio di indebolire queste ultime. Senza contare che la diffusione di poco efficaci procedure di informazione e di consultazione nelle imprese di dimensioni comunitarie (obbligate in base alla direttiva 94/45/CE) può produrre negativi «effetti di imitazione» sulle procedure di informazione e consultazione alle quali sono obbligate le imprese nazionali in base a varie direttive comunitarie (27);

b)

prevedere, sia nel caso di comitati molto numerosi, sia tenendo conto delle funzioni che devono svolgere, una struttura di segretariato permanente e un organismo ristretto per garantire la preparazione degli incontri, l'organizzazione della documentazione relativa all'ordine del giorno, la diffusione preventiva dell'ordine del giorno e dei documenti nelle diverse lingue e, successivamente, degli atti e documenti relativi alle decisioni assunte (28). Un'esigenza altrettanto importante riguarda la necessità del coordinamento di esperienze diverse, per esempio lungo la direttrice settore industriale/settore dei servizi;

c)

garantire regolari e agevoli comunicazioni tra i membri della DSN nelle fasi precedenti la costituzione del CAE e, successivamente, tra i membri del CAE fra una riunione e l'altra del comitato;

d)

garantire incontri di adeguata durata e organizzazione tra membri del CAE prima della sessione d'incontro con i rappresentanti della direzione;

e)

riconoscere il diritto dei sindacati nazionali ed europei — che in base a quanto previsto in sede di riesame della direttiva sono membri della DSN e dei CAE — di avvalersi, non solo per le riunioni, di esperti di fiducia;

f)

adattare gli accordi esistenti ai cambiamenti nel «perimetro» del gruppo di impresa. Occorre, in particolare, l'esplicita previsione di una specifica fase di negoziato supplementare, nel caso di concentrazioni o fusioni transfrontaliere, correlandola alle esistenti direttive in materia;

g)

offrire un sostegno alla formazione iniziale — e poi periodica — dei membri del CAE;

h)

inserire tra i temi oggetto di informazione e consultazione anche quello connesso alla RSI (come previsto nella direttiva sulla SCE), coinvolgendo le organizzazioni a livello europeo interessate alle attività dell'impresa;

i)

porre attenzione all'importanza delle ricadute e della diffusione delle informazioni legate alla vita, agli atti ed alle prese di posizione del CAE presso le rappresentanze ed i lavoratori dei singoli stabilimenti di un gruppo d'impresa in ciascuno dei paesi in cui hanno sede le articolazioni dell'impresa;

j)

provvedere ad un'adeguata rappresentanza dei portatori di handicap e ad un effettivo equilibrio tra uomini e donne all'interno dei CAE (come nella direttiva 2003/72/CE);

k)

prevedere misure incentivanti per le imprese che garantiscono la piena attuazione della direttiva e misure dissuasive per quelle che ne ostacolano la realizzazione;

l)

promuovere, attraverso gli opportuni adattamenti delle relative procedure, la partecipazione ai CAE di tutte le categorie dei lavoratori, ivi comprese le alte professionalità.

8.   L'azione dei CAE in un'Unione più ampia: il loro contributo al rafforzamento della coesione sociale europea

8.1

Uno dei temi sui quali è opportuno sviluppare una specifica riflessione è sicuramente quello derivante dal cambiamento verificatosi nel mercato del lavoro e nella realtà sociale a seguito del processo di allargamento.

8.2

Se pensiamo che solo in Polonia le aziende destinatarie di un CAE sono 425 e che, allo stato, ci sono più di 100 delegati inseriti nei CAE, sulla base di accordi volontari (29), ci rendiamo conto di come lo strumento dei CAE possa diventare un formidabile veicolo di integrazione e sviluppo di un modello sociale europeo che definisca standard minimi di riferimento. Nell'Unione a quindici, ma ancora di più in quella allargata, i CAE contribuiscono concretamente a costruire una coscienza europea attraverso la conoscenza e il riconoscimento derivante dalla diversità dei sistemi nazionali.

8.3

Ci sono molti ostacoli che si frappongono alla costituzione dei CAE sia tra i 15 paesi già membri che nei nuovi 10. In alcuni di questi paesi il livello del dialogo sociale è debole. Le legislazioni di recepimento della direttiva nei nuovi paesi sono formalmente buone, ma di fatto inefficaci. La Commissione dovrebbe accertare quali sono gli ostacoli che non hanno consentito l'effettiva attuazione della direttiva.

8.4

I CAE, ad oggi, sono uno strumento importante per consentire ai lavoratori e alle lavoratrici di avere una visione transnazionale dell'andamento dell'impresa da cui dipendono. Il processo di integrazione europea nel sistema produttivo passa attraverso il riconoscimento di un nuovo ruolo dei CAE, in particolare in una fase dell'economia nella quale le fusioni transfrontaliere e la costituzione di società europee stanno aumentando progressivamente.

8.5

Distribuzione dei CAE nei nuovi paesi

Paesi

MT

CY

LV

LT

BG

SI

EE

TR

RO

SK

CZ

HU

PL

N. di CAE potenziali (imprese che ricadono nella direttiva 94/45/CE)

56

65

155

162

163

185

181

256

263

340

636

662

819

Numero di CAE costituiti

29

33

84

87

89

108

101

136

140

199

333

334

425

Osservatori

 

 

 

 

 

3

 

3

2

2

8

2

5

Delegati

5

2

8

9

5

13

10

5

5

24

73

58

80

Nella prima riga è riportato il numero di CAE possibili, sulla base dell'attuale distribuzione di dipendenti, nella seconda riga quello dei CAE costituiti, nella terza quello degli osservatori invitati a partecipare e nella quarta i delegati nominati nell'ambito dei CAE costituiti.

Il numero dei delegati, se fossero costituiti tutti i CAE, sarebbe di 3.943 e, se in quelli costituiti fosse garantita la presenza dei delegati dei nuovi paesi, di 2.098: di fatto, invece, ne sono stati eletti solo 322 (vale a dire l'8,17 % dei delegati possibili e il 15,35 % di quelli possibili nell'ambito di CAE già costituiti) (Fonte: ETUI, op. cit.)

9.   La dimensione sociale dell'impresa nell'Unione europea e il nuovo ruolo dei CAE — La responsabilità sociale dell'impresa nell'economia globale

9.1

Il CESE ha recentemente affrontato in un importante parere anche il ruolo dei CAE nell'ambito delle strategie sulla RSI (30). Infatti, in questo parere viene evidenziata l'importanza del dialogo con le parti interessate più importanti per gli obiettivi delle imprese: lavoratori, clienti, fornitori, rappresentanze del territorio, organizzazioni dei consumatori ed ambientaliste: «l'impegno volontario (nella CSR) e un dialogo strutturato con le parti interessate sono aspetti indissociabili; questo dialogo è particolarmente importante per i soggetti che prendono parte alla catena del valore».

9.2

Ed è in questo contesto che il CESE afferma che: «Al livello europeo, l'azione volontaria e/o negoziata sulle sfide della RSI rappresenta un momento decisivo per tutte le multinazionali che dispongono di un Comitato aziendale europeo e permette di associare a tale dinamica anche i nuovi Stati membri. I comitati aziendali europei dovrebbero avere una parte nell'integrazione della RSI nella politica dell'impresa, anche perché sono la sede privilegiata degli interessati interni. Ciò detto, una politica coerente di RSI deve tenere conto anche degli interessati esterni: in particolare, l'intera comunità di lavoro (lavoratori con contratti a termine, dipendenti delle società subappaltatrici presenti in situ, artigiani o altri autonomi che lavorano per l'impresa), e nella misura del possibile anche tutti i partecipanti alla catena del valore (subappaltatori, fornitori, ecc.)

9.3

Nella sua comunicazione sulla strategia di sviluppo sostenibile (31) la Commissione ha invitato le aziende quotate a pubblicare nei loro documenti di bilancio una tripla bottom line , che misura i loro risultati con criteri economici, sociali ed ambientali. La diffusione di queste informazioni dovrebbe riguardare anche i CAE.

9.3.1

La recente direttiva sulla società cooperativa europea ha posto la responsabilità sociale tra i temi che costituiscono un oggetto di consultazione tra le imprese e i lavoratori, nelle disposizioni di riferimento, parte II, lettera b).

9.4

Il CESE accoglie con favore il fatto che, secondo questa impostazione, l'impresa non è più soltanto un mero soggetto economico, ma viene considerata anche come un soggetto importante nel contesto sociale, capace di fornire un contributo essenziale al miglioramento della qualità della vita di tutte le parti direttamente interessate e della situazione delle regioni.

9.5

Il CESE prende atto di quanto affermato nella recentissima comunicazione del 22 marzo 2006 sulla responsabilità sociale, ove la Commissione europea ha sottolineato l'importanza del ruolo dei lavoratori e dei loro sindacati nell'applicazione delle pratiche di responsabilità sociale (32).

«In questi ultimi anni si sono avuti progressi nella sensibilità per la RSI e nell'adozione di pratiche conformi ai suoi principi, grazie in parte al forum RSI e ad altre azioni sostenute dalla Commissione. Contemporaneamente, le iniziative delle imprese e delle altre parti interessate hanno fatto avanzare la RSI in Europa e nel mondo. Il dialogo sociale, in particolare a livello settoriale, è stato uno strumento efficace per promuovere le iniziative di RSI e i comitati aziendali europei hanno anche svolto un ruolo costruttivo nella definizione di buone pratiche legate alla RSI. Nonostante ciò, occorre ancora migliorare l'adozione, l'applicazione e l'integrazione strategica della RSI da parte delle imprese europee. I lavoratori dipendenti, i loro rappresentanti e i sindacati devono svolgere un ruolo più attivo nello sviluppo e nell'applicazione delle pratiche della RSI. Le parti interessate esterne, in particolare le ONG, i consumatori e gli investitori dovranno impegnarsi maggiormente per incoraggiare e ricompensare il comportamento responsabile delle imprese. Le autorità pubbliche a tutti i livelli devono continuare a migliorare la coerenza delle loro politiche a sostegno dello sviluppo sostenibile, della crescita economica e della creazione di posti di lavoro. L'ideale dell'UE di prosperità a lungo termine, solidarietà e sicurezza si estende anche alla sfera internazionale. La Commissione riconosce il legame esistente tra l'adozione di pratiche responsabili da parte delle imprese dell'UE e internazionali e ritiene che le imprese europee debbano applicare i principi della RSI ovunque esercitino le loro attività, in conformità ai valori e alle norme riconosciute sul piano internazionale».

9.6

Nella direttiva 2003/51/CE, che modifica la direttiva sui conti annuali e sui conti consolidati, l'Unione europea chiede esplicitamente che, eventualmente, per la comprensione dell'evoluzione degli affari di un'impresa, l'analisi possa includere anche degli indicatori di risultato non finanziario, in particolare con informazioni relative all'ambiente e ai lavoratori. In questa prospettiva i comitati d'impresa dovrebbero ricevere l'informazione finanziaria, ma anche non finanziaria, che inglobi il terreno della responsabilità sociale dell'impresa (sociétale). La direttiva riconosce la pertinenza delle questioni ambientali e sociali nel contesto del governo d'impresa.

9.7

Nel parere Responsabilità sociale dell'impresa  (33), il CESE preconizzava di ricorrere al sistema di coregolazione a livello europeo: «una responsabilità sociale d'impresa propria del contesto specifico dell'UE, potrebbe essere elaborata nel quadro delle pratiche comuni e di azioni volontarie tra parti sociali».

9.8

La società civile organizzata può dare a tal fine, nell'ambito di un processo dialettico e cooperativo, un grande contributo, partecipando all'elaborazione degli obiettivi (diritti dell'uomo, standard sociali, priorità di politica sanitaria e ambientale ecc.) e impegnandosi per un maggior livello di trasparenza ed apertura dell'attività dell'impresa. Non si propone certamente una confusione di ruoli, tra imprenditori, sindacati e ONG, ma un arricchimento di tutti i soggetti interessati attraverso pratiche di confronto e ragionamento sui temi condivisi. Un'impostazione del genere non può che contribuire a rinsaldare i rispettivi ruoli tradizionali e a rendere le normative vigenti più vantaggiose senza per questo impedirne l'evoluzione.

9.9

Il modello sociale europeo, oltre che per le tutele offerte ai più deboli e per il welfare, si caratterizza per il rispetto della dignità della persona, in ogni sede e in ogni circostanza. I diritti di cittadinanza, nell'Europa moderna, si devono poter esercitare ovunque, compreso il luogo di lavoro. Le direttive richiamate in materia di diritti e la direttiva sui CAE hanno il grande merito di aver armonizzato questi diritti, riconoscendo, almeno formalmente, la stessa dignità ai lavoratori di tutti i paesi dell'Unione. Il processo non è ancora compiuto: esso va rafforzato e stimolato; alla Commissione si richiede di riconoscere gli elementi di novità intercorsi in questi 12 anni e di adottare le scelte più opportune per rinsaldare i sentimenti di appartenenza all'Unione nei paesi membri.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2006) 136 def.

(2)  Parere CESE sul tema Applicazione concreta della direttiva sull'istituzione del comitato aziendale europeo (94/45/CE) e aspetti da sottoporre a eventuale revisione (relatore: PIETTE), GU C 10 del 14.1.2004, pag. 11.

(3)  Doc. PE (A 5 028/2001).

(4)  Relazione finale del Parlamento europeo A5-0282/2001, del 4.9.2001, sulla Comunicazione della Commissione sullo stato di applicazione della direttiva 94/45/CE del Consiglio.

(5)  Cfr. nota 2.

(6)  Cfr. doc. dell'1.6.2004.

(7)  Cfr. doc 18.6.2004 del CEEP: Answer to the first- stage consultation of the European Social Partners on the review of the European Work Councils Directive.

(8)  Cfr. documento dell'1.6.2004.

(9)  Trade Union Memorandum to the Luxembourg Presidency of the European Union — ETUC marzo 2005.

(10)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale (relatrice: ENGELEN-KEFER), GU C 294 del 25.11.2005, pag. 14.

(11)  Ibidem.

(12)  Jeremy Waddington, University of Manchester. The views of EWC representatives for ETUI novembre 2005

(13)  Mark Carley, Bargaining at European level, Joint texts negotiated by EWC, Dublino 2001.

(14)  Kerckhofs and Pas, EWC Database ETUI (dicembre 2004).

(15)  COM(2005) 120 def.

(16)  Parere CESE sul tema Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali, del 29.9.2005 (relatore: ZÖHRER) GU C 24 del 31.1.2006, pag. 90.

(17)  Parere del CESE sul tema Portata ed effetti della delocalizzazione delle imprese (relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO), GU C 294 del 25.11.2005, pag. 9, punto 4.5.10.

(18)  Cfr. l'articolo 137, TCE; ora articolo III-210 del nuovo Trattato di Roma.

(19)  Come quelle sulla tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi e di trasferimento d'azienda (direttive 98/59 e 2001/23), sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro (direttiva n. 89/391 e direttive particolari), sul coinvolgimento dei lavoratori in generale (direttiva 2002/14) e in particolari vicende societarie (direttiva 2001/86/CE, sul coinvolgimento dei lavoratori nella società europea e direttiva 2003/72, sul coinvolgimento dei lavoratori nella società cooperativa europea).

(20)  Articolo II-87, «Diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione», che fa propria la sostanza dell'articolo 21 della Carta sociale europea, del Consiglio d'Europa, riveduta nel 1996, nonché dei punti 17 e 18 della Carta comunitaria del 1989.

(21)  Corte di giustizia, sentenza 29.3.2001, nella causa 62/99, Bofrost; nonché sentenza 11.7.2002 nella causa 440/2000, Kuehne.

(22)  Cfr. il 7o considerando della direttiva 2002/14/CE.

(23)  Cfr. il 9o considerando della direttiva 2002/14/CE.

(24)  Cfr. direttiva 2001/86/CE, ma anche direttiva 2003/72/CE, parte seconda delle disposizioni di riferimento.

(25)  Parere CESE sul tema Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali del 29.9.2005 (relatore: ZÖHRER) GU C 24 del 31.1.2006, pag. 90.

(26)  Insegnamenti sui CAE del 7.4.2005 della CES, dell'UNICE, dell'Ueapme e del CEEP.

(27)  Tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi e di trasferimento d'azienda, nonché in base alla direttiva 2002/14/CE.

(28)  Dall'analisi degli accordi effettuata ad aprile del 2004 da Infopoint, soltanto nel 51 % dei comitati aziendali europei era stato previsto un organismo ristretto di coordinamento. Questo può rappresentare un problema perché la maggior parte dei comitati aziendali europei, circa il 70 %, prevedono un solo incontro annuo. Il non avere un organismo ristretto che possa garantire la continuità dei rapporti con i rappresentanti dei lavoratori dei singoli stabilimenti e paesi, con la direzione aziendale e con le federazioni europee, può rappresentare un grosso handicap nel funzionamento e nell'efficacia del CAE stesso.

(29)  Ricerca NSZZ Solidarnosc A. Matla 2004.

(30)  Parere del CESE sul tema Strumenti di misura e di informazione sulla responsabilità sociale delle imprese in un'economia globalizzata (relatrice: PICHENOT), GU C 286 del 17.11.2005, pag. 12.

(31)  COM(2001) 264 def.

(32)  COM(2006) 136 def.

(33)  Parere CESE in merito alla responsabilità sociale delle imprese (relatrice: HORNUNG-DRAUS), GU C 125 del 27.5.2002.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/147


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La partecipazione della società civile alla lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo

(2006/C 318/26)

La Commissione, in data 28 ottobre 2005 ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul: La partecipazione della società civile alla lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dai relatori RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO, PARIZA CASTAÑOS e CABRA de LUNA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 182 voti favorevoli, 6 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sulle «condizioni e priorità della partecipazione della società civile e il ruolo della cooperazione pubblico-privati nella lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo» — questione della massima importanza politica e sociale in Europa — ritenendo che il CESE sia un attore fondamentale. Benché il terrorismo e la criminalità organizzata siano problemi di natura diversa, il parere si occupa di entrambi, come richiesto dalla Commissione.

1.2

Il Programma dell'Aia è il quadro politico generale che definisce le politiche dell'UE in materia di libertà, sicurezza e giustizia. Il CESE ha adottato un parere (1) nel quale «auspica che la politica in materia di sicurezza sia efficace e difenda i cittadini in una società libera e aperta, nel rispetto della legge e della giustizia e nell'ambito di uno Stato di diritto». In tale documento si osserva inoltre che le politiche europee di sicurezza devono essere equilibrate sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali e della libertà.

1.3

Nelle prospettive finanziarie si prevede di sviluppare ampi programmi di lotta contro il terrorismo e la criminalità. Il CESE ha adottato un parere (2) nel quale dichiara che «la protezione dei diritti fondamentali, delle libertà e della sicurezza è responsabilità di tutti i cittadini».

1.4

La Commissione ha recentemente pubblicato una comunicazione intitolata Reclutamento per attività terroristicheAffrontare i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta  (3), che definisce obiettivi specifici per la prevenzione del reclutamento da parte dei gruppi terroristici.

1.5

Il presente parere, come richiesto dalla vicepresidente WALLSTRÖM, affronta il tema della sicurezza sotto il profilo della partecipazione della società civile e della cooperazione pubblico-privati, anche se il termine «società civile» può essere impreciso, dato che fa riferimento a organizzazioni sociali di natura diversa da quella delle imprese private. La cooperazione fra imprese e operatori privati, da un lato, e autorità pubbliche, dall'altro, è fondamentale dal punto di vista operativo e della sicurezza. La società civile ha un ruolo fondamentale in quanto promuove i valori dello Stato di diritto e contribuisce attivamente alla vita democratica.

2.   Conclusioni

2.1

La società civile ha un ruolo fondamentale in quanto promuove i valori dello Stato di diritto e contribuisce attivamente alla vita democratica. Le organizzazioni della società civile in Europa svolgono un lavoro molto utile sul piano sociale e promuovono una cittadinanza europea attiva e una democrazia partecipativa. Esse però non possono e non devono sostituirsi alle autorità nazionali ed europee nelle politiche operative.

2.2

Il CESE non può accettare che i terroristi e i delinquenti riescano a eludere l'azione della giustizia per il fatto che le frontiere interne ostacolano l'azione delle autorità giudiziarie e di polizia. Il CESE invita le istituzioni europee e gli Stati membri ad elaborare ed applicare una strategia comune di lotta contro il terrorismo superando l'attuale situazione in cui le decisioni vengono prese «a caldo».

2.3

Il CESE giudica ampiamente inadeguato e spesso inefficiente il sistema attuale, caratterizzato da una semplice cooperazione tra i governi, e pertanto appoggia la risoluzione con cui il Parlamento europeo invita ad applicare alla politica di sicurezza la maggioranza qualificata e non l'unanimità e ad adottare il metodo comunitario nell'ambito del processo decisionale. In materia di sicurezza è indispensabile più Europa.

2.4

Il CESE propone che Europol assuma un ruolo più importante di quello di coordinamento che svolge attualmente e si trasformi in un'agenzia europea, subordinata ad un'autorità politica o giudiziaria europea; e essa dovrebbe essere dotata, nel più breve tempo possibile, di una propria capacità operativa che le consenta di svolgere indagini in tutto il territorio dell'Unione europea, in collaborazione con le autorità di polizia degli Stati membri.

2.5

Il CESE sostiene l'iniziativa del Parlamento europeo che raccomanda agli Stati membri di modificare le loro norme penali, affinché i reati di terrorismo citati nella decisione quadro siano considerati imprescrittibili. Il CESE auspica fermamente che il Tribunale penale internazionale venga investito della competenza relativa a tali reati.

2.6

Il CESE propone di dare impulso a programmi scolastici a livello europeo e attività formative di educazione civica che promuovano fra i giovani i valori democratici, l'uguaglianza, la tolleranza e la comprensione della diversità culturale. L'obiettivo è di dare ai giovani gli strumenti per evitare di cadere nelle reti di chi propugna idee radicali e violente.

2.7

Nella lotta alla radicalizzazione violenta, le autorità dell'Unione e degli Stati membri devono consultare le organizzazioni della società civile che promuovono il dialogo tra religioni e culture diverse e combattono contro l'intolleranza, il razzismo, la xenofobia e l'estremismo violento. Questo permette di ridurre le tensioni che favoriscono la radicalizzazione e la violenza. La creazione di piattaforme di cooperazione pubblico-privati a livello locale può essere uno strumento positivo per affrontare anche tali questioni. L'Unione europea e gli Stati membri devono favorire e promuovere la creazione di tali piattaforme.

2.8

Il CESE propone alle istituzioni comunitarie di elaborare un quadro legislativo di norme minime per la protezione e il riconoscimento delle vittime del terrorismo. Il Comitato inoltre propone la definizione di standard, raccomandazioni, buone pratiche e linee direttrici per la protezione delle vittime del terrorismo, per orientare e guidare l'azione degli Stati in materia.

2.9

Il CESE ribadisce che l'UE dovrebbe disporre di una legislazione comune per risarcire le vittime della criminalità.

2.10

Il Comitato chiede che vengano applicate quanto prima le raccomandazioni del Gruppo d'azione finanziaria internazionale sul riciclaggio di capitali e sul finanziamento del terrorismo. Per tale motivo, invita gli Stati membri a mettere in pratica dette raccomandazioni attraverso apposite misure giuridiche.

2.11

Il CESE lancia un appello ai mass media, specie quelli pubblici, affinché definiscano codici di condotta adeguati e cooperino con i pubblici poteri per garantire, nel rispetto della libertà di stampa, la tutela della dignità e della vita privata delle vittime ed evitare di dare all'informazione un taglio che possa favorire la propaganda dei gruppi terroristici.

2.12

Il CESE approva la creazione della Piattaforma europea di cooperazione pubblico-privati proposta dalla Commissione e ritiene indispensabile disporre degli strumenti per approfittare al massimo di detta cooperazione tra gli Stati membri e tra questi e l'Unione. A tale proposito, giudica necessario che detta cooperazione sia ad ampio raggio, al fine di favorire le sinergie tra i vari partecipanti alla lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo, senza però che vi sia un'intromissione nelle prerogative consultive che sono proprie del CESE. Al punto 12.4.2 del presente parere, il CESE elenca gli obiettivi prioritari su cui deve basarsi tale cooperazione pubblico-privati.

3.   I valori e i principi dell'Unione europea

3.1

Il progetto di Trattato costituzionale definisce i valori, i principi e gli obiettivi dell'UE. La Carta dei diritti fondamentali garantisce l'equilibrio tra sicurezza e libertà e i diritti universali di tutti, tra i quali figura il diritto alla protezione dei dati personali.

3.2

Il maggior rischio per i sistemi democratici, la loro stabilità e il loro sviluppo non deriva dagli attacchi esterni, ma dalla perdita di vitalità, dinamismo e sostegno sociale delle istituzioni.

3.3

La grande conquista europea consiste nell'essere riusciti ad instaurare uno Stato di diritto, che rappresenta il miglior modo di organizzare il potere in modo democratico.

3.4

«Stato di diritto sociale» significa, da un lato, che l'esercizio del potere è sottoposto al diritto e alla supremazia della legge e a requisiti sempre più elevati in termini di legittimità democratica e, dall'altro, che l'accesso di tutti i cittadini ai beni e servizi avviene in condizioni di uguaglianza di opportunità e di trattamento.

4.   Il terrorismo e la criminalità organizzata sono attacchi contro lo Stato di diritto

4.1

Il terrorismo è uno dei principali problemi di livello mondiale. Attualmente è un problema cruciale dell'Europa. Noi europei stiamo soffrendo per il flagello del terrorismo, che ha diverse origini ideologiche. E, negli ultimi anni, si è aggiunto anche il terrorismo internazionale di matrice islamica radicale particolarmente pericoloso. Dato che è molto difficile formulare una definizione del terrorismo valida a livello internazionale, il presente parere si basa sulla definizione adottata dal Consiglio il 13 giugno 2002 (4).

4.2

Sono attive in Europa anche numerose e potenti reti criminali (5). Alcune operano su scala nazionale, ma le più pericolose hanno una dimensione europea e internazionale. L'ONU ha adottato a Palermo, nel 2002, una Convenzione internazionale in materia (6).

4.3

Il terrorismo e la criminalità organizzata mettono a rischio e indeboliscono la natura stessa dello Stato: il monopolio legittimo dell'uso della forza. Noi europei sappiamo che il terrorismo è una minaccia reale contro la quale dobbiamo lottare, ma i cittadini non percepiscono pienamente i rischi della criminalità organizzata, che si infiltra nelle istituzioni e nella società, è dotata di una grande capacità d'influenza e di corruzione e ha conseguenze devastanti sotto il profilo sia economico che sociale.

4.4

Le organizzazioni terroristiche e la criminalità organizzata utilizzano metodi simili per riciclare il denaro attraverso, fra gli altri, il sistema finanziario e il settore immobiliare. La criminalità organizzata ha un forte potere di corruzione, e cerca di esercitarlo nei confronti delle autorità politiche e amministrative e, in alcune occasioni, anche delle organizzazioni della società civile.

4.5

Esistono, a livello internazionale, settori d'attività comuni al terrorismo e alla criminalità organizzata: il traffico illegale di armi e di droga. Un esempio della convergenza tra terrorismo e criminalità organizzata è dato dal fenomeno dell'estorsione. In numerose occasioni i gruppi terroristici agiscono come organizzazioni mafiose che finanziano i loro atti di barbarie con attività criminali: traffico di stupefacenti, armi ed esseri umani, frodi compiute con carte di credito, rapine a mano armata, furti ed estorsione nei confronti di liberi professionisti e imprenditori, gioco d'azzardo clandestino, e altre forme di reati.

4.6

Il terrorismo e la criminalità organizzata sono problemi di natura diversa. Il terrorismo ha obiettivi politici e colpisce le società europee in determinati momenti della loro storia, mentre la criminalità organizzata è un problema di ordine pubblico di cui la nostra società soffre in permanenza.

4.7

Anche se differiscono per origini e obiettivi, il terrorismo e la criminalità organizzata hanno un interesse comune: distruggere o indebolire lo Stato di diritto per conseguire i loro obiettivi.

4.7.1

Le organizzazioni terroristiche che operano in alcuni paesi europei cercano di raggiungere i loro obiettivi politici attraverso il terrore, il crimine, la minaccia e l'estorsione, ma sanno che potranno realizzare il loro progetto totalitario solo se distruggeranno o indeboliranno lo Stato di diritto e la supremazia della legge.

4.7.2

La criminalità organizzata intende ridurre e limitare lo Stato di diritto e ampliare il territorio dell'impunità, dell'assenza della legge. Intende sviluppare una società parallela, ai margini della legge e della giustizia, sotto l'autorità delle mafie e delle reti criminali.

4.7.3

Talvolta il confine tra Stato di diritto e impunità è vago. In alcuni luoghi d'Europa, sia i terroristi e le loro reti sociali, che la criminalità organizzata sono riusciti ad indebolire lo Stato attraverso il terrore e la corruzione di una parte del sistema politico.

4.7.4

Lo Stato di diritto è la risposta ai problemi posti dal terrorismo e dalla criminalità organizzata: l'equilibrio tra libertà e sicurezza, l'azione congiunta della polizia e dei giudici, la cooperazione europea e internazionale, l'impegno attivo dei cittadini e della società civile.

4.7.5

È necessario che la società e i pubblici poteri non si arrendano e non desistano dalla lotta contro i terroristi e la criminalità organizzata. La possibilità che le organizzazioni terroristiche hanno di raggiungere i loro obiettivi ne favorisce la continuità. La società e i pubblici poteri devono pertanto lavorare con la determinazione di far fallire il progetto terrorista.

5.   La società civile di fronte al terrorismo e alla criminalità organizzata

5.1

Il terrorismo è una gravissima violazione dei diritti dell'uomo, poiché attenta direttamente alla vita e alla libertà.

5.2

La lotta operativa contro il terrorismo e la criminalità organizzata spetta allo Stato, il quale deve garantire la libertà e la sicurezza dei cittadini. Questa responsabilità spetta in particolare alla polizia e ai giudici. Nell'operare lo Stato deve mantenere il giusto equilibrio fra libertà e sicurezza, rispettare i valori fondamentali (diritti umani e libertà pubbliche) e i valori democratici (Stato di diritto), perché, come il CESE ha affermato in un altro parere (7), «la storia ha dimostrato che le società aperte e libere sono quelle che meglio riescono a garantire la sicurezza».

5.3

La società civile rafforza costantemente la democrazia e i valori dello Stato di diritto e in tal modo combatte il terrorismo e la criminalità organizzata nella società, per impedire e prevenire il loro sviluppo e ridurne gli effetti. Le organizzazioni della società civile non possono e non devono sostituirsi alle autorità nazionali ed europee nelle politiche operative.

5.4

Nessuna ideologia, nessuna causa giustificano il crimine, il terrore e l'estorsione. Non è legittimo l'uso del terrore per raggiungere obiettivi politici. Non vi sono cause che giustifichino il terrorismo, niente lo giustifica. Occorre proseguire senza sosta la lotta contro la legittimazione politica e sociale del terrorismo, contro le considerazioni politiche radicali che vedono nel terrorismo uno degli strumenti dell'azione politica.

5.5

Molti cittadini europei non percepiscono la gravità della minaccia terroristica e alcuni settori mantengono addirittura un atteggiamento ambiguo. I cittadini hanno il diritto di ricevere le informazioni adeguate sui rischi di sicurezza e il diritto di fare pressione sui pubblici poteri, affinché questi siano più efficaci nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.

5.6

Le organizzazioni della società civile in Europa svolgono un lavoro molto positivo sul piano sociale e promuovono una cittadinanza europea attiva e una democrazia più partecipativa.

5.7

I sistemi politici dipendono dalla propria vitalità interna. La vitalità dell'Europa è la cultura democratica della società. Le istituzioni e i sistemi politici hanno bisogno di un impulso permanente di vitalità proveniente dalla società; i cittadini e la società civile sostengono e appoggiano lo Stato di diritto sociale, che deve garantire e proteggere la loro libertà e il loro benessere sociale.

5.8

La storia europea del XX secolo ci insegna tuttavia che i valori politici della democrazia sono molto vulnerabili. I cittadini e le organizzazioni della società civile devono difendere i valori e i principi sui quali si fonda l'Europa democratica.

5.9

La democrazia partecipativa e lo Stato di diritto non si possono sostenere e trasformare senza l'impulso dei cittadini e delle loro organizzazioni. La società civile, mediante le attività delle sue organizzazioni, rivitalizza costantemente lo Stato sociale e democratico di diritto di fronte al relativismo e al radicalismo.

5.10

Una parte dei cittadini non dà prova di un impegno sufficiente: esiste una certa «tolleranza» sociale nei confronti della prostituzione, del traffico di droga, del riciclaggio di denaro sporco, della contraffazione dei prodotti di consumo, ecc.

5.11

I cittadini e le organizzazioni della società civile possono essere più attivi nella lotta contro la criminalità organizzata, perché quest'ultima ha una forte capacità di corrompere i sistemi politici.

6.   L'Europa, uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia

6.1

Il Programma dell'Aia definisce gli obiettivi dell'UE affinché l'Europa diventi uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, ma siamo ancora lontani dal conseguire questo obiettivo.

6.2

Nel frattempo, i criminali e i terroristi approfittano di questa debolezza dell'Europa per sfuggire all'azione della giustizia. La libertà di circolazione delle persone, dei capitali e delle merci permette ai delinquenti di beneficiare della permeabilità delle frontiere, mentre tali frontiere sussistono per l'azione di polizia e giudiziaria.

6.3

Il CESE non può accettare che i terroristi e i delinquenti possano eludere l'azione della giustizia per il fatto che le vecchie frontiere interne continuano a sussistere per l'azione delle autorità di polizia e giudiziarie.

6.4

L'UE deve elaborare una strategia comune di lotta contro il terrorismo. La Commissione e il Consiglio devono dare un impulso politico permanente e superare l'attuale situazione in cui le decisioni vengono prese «a caldo». La cooperazione di polizia e giudiziaria in Europa è molto limitata, perché gli strumenti politici e operativi esistenti sono inadeguati alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. La maggior parte degli strumenti è nelle mani degli Stati e, nel Trattato, rientra nel «terzo pilastro dell'UE», ossia nell'ambito intergovernativo.

6.5

La strategia europea di sicurezza si deve sviluppare nel quadro comunitario e superare la situazione attuale di semplice cooperazione intergovernativa. Il fatto che questi temi continuino a far parte del terzo pilastro dell'UE riduce la loro efficacia e la loro portata globale. Il CESE chiede al Consiglio di creare un quadro giuridico comune, globale e coerente per le politiche di sicurezza. Si può utilizzare come base giuridica l'articolo 42 del Trattato sull'Unione europea, così come ha proposto il Parlamento europeo (8), e sostituire la regola dell'unanimità con quella della maggioranza qualificata.

6.6

Le frontiere esterne sono costantemente utilizzate dalle organizzazioni criminali per le loro attività. Il codice doganale dell'UE deve essere utilizzato più efficacemente dai servizi di controllo e in primo luogo dalle dogane stesse e dai loro servizi di assistenza amministrativa internazionale reciproca. Deve prevedere un'armonizzazione delle incriminazioni e delle sanzioni su tutto il territorio doganale comunitario e la generalizzazione del diritto di inseguimento (continuità extraterritoriale dell'inseguimento all'interno dell'UE) e il riconoscimento reciproco delle sentenze pronunciate. Il CESE ha sottolineato in altri pareri la necessità di creare una guardia europea di frontiera (9).

6.7

Gli Stati membri devono rafforzare lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence e di sicurezza sull'esistenza di minacce contro la sicurezza interna ed esterna dell'UE. Devono mettere in comune le loro analisi strategiche della minaccia terroristica ed elaborare programmi congiunti per la protezione delle infrastrutture di base.

6.8

Il principio di disponibilità dell'informazione è molto importante per migliorare l'efficacia dell'azione di polizia. Questo principio stabilisce un nuovo approccio per il miglioramento dello scambio transfrontaliero delle informazioni di polizia nell'UE, basato sulla facoltà concessa a un funzionario di polizia di uno Stato membro, di ottenere da un altro Stato membro tutte le informazioni necessarie per portare a termine le sue indagini (10). La sua interoperabilità richiederà un elevato grado di fiducia tra le autorità di polizia dei vari Stati membri. Proprio la mancanza di fiducia è stata uno dei fattori decisivi che hanno frenato finora la cooperazione a livello europeo; bisognerebbe analizzare e spiegare alla società civile le cause di ciò.

6.9

È necessario cha si rafforzi il ruolo dell'UE e che la strategia europea di sicurezza si sviluppi nel quadro comunitario al fine di migliorarne l'efficacia e la trasparenza. In materia di sicurezza, è indispensabile «più Europa». Il CESE ha proposto (11) che, in tale ambito, si adotti il metodo comunitario, che conferisce alla Commissione il diritto di iniziativa e al Parlamento il potere di codecisione. Occorre anche che il Consiglio abbandoni la regola dell'unanimità e adotti le decisioni a maggioranza e che la Corte di giustizia disponga di competenze in materia.

6.10

Europol deve superare il suo semplice ruolo di coordinatore e avere una capacità operativa. Il CESE propone che si trasformi in un'agenzia con capacità operativa, con la possibilità di condurre indagini in tutto il territorio dell'UE. Il Programma dell'Aia raccomanda di intensificare nella pratica la cooperazione e il coordinamento tra le autorità di polizia, giudiziarie e doganali a livello nazionale, ma anche tra queste ultime ed Europol. Gli Stati membri devono promuovere Europol come agenzia europea e dotarla dei mezzi perché possa, insieme a Eurojust, svolgere un ruolo decisivo nella lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo. È inaccettabile che i protocolli che modificano la convenzione Europol non siano ancora stati ratificati e applicati da tutti gli Stati membri (12). È una questione particolarmente urgente se si vuole realmente dotare Europol del sostegno e dei mezzi necessari perché funzioni effettivamente come pietra angolare della cooperazione di polizia europea. A partire dal 1o gennaio 2006, Europol sostituirà le sue relazioni annuali sulla situazione in materia di criminalità nell'Unione europea con «valutazioni della minaccia» relative a forme gravi di criminalità.

6.11

Eurojust ha come obiettivo il coordinamento fra le autorità giudiziarie nazionali nella lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo, tuttavia, nonostante i progressi conseguiti dalla sua creazione, si è ancora lontani dal conseguire gli obiettivi previsti. I mezzi giuridici e le risorse economiche di cui dispone Eurojust sono scarsi; sono diversi anche gli impegni degli Stati membri, dato che in alcuni paesi le leggi non promuovono sufficientemente la cooperazione giudiziaria.

6.12

Il CESE suggerisce di utilizzare Eurojust per sviluppare efficacemente i lavori investigativi congiunti dei giudici e dei pubblici ministeri nell'UE nella lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo. Le informazioni derivanti dalle indagini nazionali vanno trasmesse a Eurojust che deve creare una buona base dati europea.

6.13

La cooperazione giudiziaria in materia penale è indispensabile ma, attualmente, le relazioni tra le autorità giudiziarie sono basate sulla sfiducia. Non esistono né una «cultura giudiziaria europea» né norme minime comuni in materia penale. Come cittadini, dobbiamo essere esigenti con le istituzioni dell'UE e gli Stati membri nel richiedere la massima cooperazione giudiziaria tra tutti gli Stati. I cittadini devono esigere che nessun terrorista o delinquente sfugga alla giustizia per problemi derivanti dalla mancanza di intesa o dall'assenza di procedure di cooperazione.

6.14

Il CESE sostiene l'iniziativa del Parlamento europeo che raccomanda agli Stati membri di modificare le loro norme penali, affinché i reati di terrorismo citati nella decisione quadro siano considerati imprescrittibili. In questo senso, il CESE (13) auspica fermamente che il Tribunale penale internazionale sia competente per i reati di terrorismo.

6.15

La situazione attuale è incomprensibile e inaccettabile per i cittadini. È infatti incomprensibile che le iniziative si blocchino perché gli Stati membri antepongono le loro prerogative alle priorità della lotta comune contro il terrorismo e la criminalità organizzata. I cittadini europei non comprendono la dispersione degli strumenti e dei mezzi nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata nell'UE. Il coordinatore della lotta contro il terrorismo del Consiglio, il commissario responsabile della giustizia, della libertà e della sicurezza, Europol, Eurojust, ecc. sono altrettanti elementi non coordinati che lavorano per lo stesso obiettivo.

6.16

La dispersione delle risorse non è certo la miglior formula per garantire l'efficienza. Eurojust e Europol devono superare i problemi attuali di cooperazione e rafforzare le squadre investigative comuni. I servizi di intelligence devono migliorare le procedure per la trasmissione di informazioni all'interno di Europol. L'OLAF deve collaborare con Europol ed Eurojust nelle investigazioni riguardanti i reati. È necessario che le diverse agenzie e i diversi servizi si scambino informazioni ed indagini affinché le loro attività siano più efficaci nella lotta contro i criminali.

6.17

Dato che il terrorismo è una minaccia globale, la lotta contro questa piaga riguarda anche la politica esterna e di sicurezza dell'UE. La cooperazione internazionale e il multilateralismo efficace sono questioni essenziali. Per il CESE è indispensabile che gli sforzi dell'UE nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata siano complementari rispetto agli sforzi analoghi condotti in seno alle organizzazioni regionali che condividono i valori e gli interessi dell'UE. È dunque importante ricordare che occorre cercare sinergie e formule per potenziare la cooperazione con organizzazioni come l'ONU, l'OCSE e il Consiglio d'Europa, in settori in cui ciascuna di esse apporta un valore aggiunto agli obiettivi definiti nelle politiche di lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata dell'UE.

6.18

Per ridurre alcuni dei rischi di radicalizzazione, l'UE deve lanciare una politica esterna che promuova i valori della democrazia, della pace, del dialogo tra le diverse culture, della lotta contro la povertà e la corruzione, dell'estensione dei diritti dell'uomo nel mondo e della cooperazione internazionale nel quadro delle Nazioni Unite.

7.   Il ruolo della società civile nella prevenzione della radicalizzazione violenta

7.1

Le organizzazioni della società civile sono l'espressione dei diritti democratici dei cittadini ad associarsi e ad impegnarsi, ad esempio, a livello sociale, politico e culturale. Le organizzazioni della società civile, nello sviluppo delle loro attività, sono attori molto importanti nella prevenzione del terrorismo, in quanto promuovono la coesione sociale e agiscono contro i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta. Esse devono disporre delle risorse necessarie per eseguire le azioni volte a diffondere l'insegnamento dei valori europei.

7.2

I terroristi non appartengono a una particolare fascia d'età o a una classe sociale determinata. Alcuni settori della società possono pertanto diventare gruppi vulnerabili. La povertà, l'insuccesso scolastico, la mancanza di opportunità occupazionali, la discriminazione, la mancanza di valori civici, i conflitti d'identità, l'esclusione sociale, ecc. creano un brodo di coltura propizio allo sviluppo di frustrazioni. Le sette, il fondamentalismo religioso, i gruppi terroristici e le organizzazioni criminali gettano le loro reti in queste acque per trovare nuove reclute.

7.3

Il CESE concorda in linea generale con la comunicazione della Commissione intitolata Reclutamento per attività terroristicheAffrontare i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta  (14). È l'ambito nel quale operano e lavorano le organizzazioni della società civile.

7.4   Il CESE desidera sottolinearne gli aspetti più importanti.

7.4.1

I programmi destinati ai giovani in età scolare sono i più necessari, per evitare che questi ultimi cadano nelle reti che propugnano idee radicali e violente. Occorre dare impulso a programmi scolastici a livello europeo e attività formative di educazione civica che promuovano fra i giovani i valori democratici, l'uguaglianza, la tolleranza e la comprensione della diversità culturale.

7.4.2

La strategia europea a favore dell'occupazione e gli obiettivi di Lisbona devono rafforzare le politiche che promuovono l'integrazione professionale delle persone e delle minoranze più vulnerabili.

7.4.3

La società civile e i pubblici poteri devono intervenire con un'ampia azione educativa, affinché tutti, a prescindere dalla loro origine, dispongano dell'informazione e della formazione adeguate sui valori del pluralismo, della libertà di coscienza e di religione, dell'uguaglianza tra i sessi, della tolleranza, della laicità dello Stato, ecc. che sono alla base della democrazia e dello Stato di diritto in Europa.

7.4.4

Il CESE ha elaborato molte proposte per fare dell'integrazione un obiettivo prioritario della politica comunitaria in materia di immigrazione (15).

7.4.5

Gli opinion leader e i media possono contribuire positivamente all'integrazione, presentando le informazioni in modo equilibrato.

7.4.6

Le società europee attuali sono interculturali e pluralistiche. Tuttavia sono numerosi i problemi di razzismo, di xenofobia e di discriminazione di cui soffrono le minoranze nazionali, etniche o religiose.

7.4.7

In Europa operano organizzazioni sociali molto attive che promuovono il dialogo tra religioni e culture diverse e lottano contro l'intolleranza, il razzismo, la xenofobia e l'estremismo violento.

7.4.8

I pubblici poteri devono consultare queste organizzazioni e stabilire sistemi di cooperazione per ridurre le tensioni che favoriscono la radicalizzazione e la violenza. Le imprese, i sindacati e tutte le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo essenziale per la formazione, l'integrazione e la lotta contro la discriminazione.

7.5

Il CESE apprezza il fatto che vengano elaborati programmi di ricerca e di analisi relativi ai processi sociali di radicalizzazione violenta, al terrorismo e alla criminalità organizzata, e propone alla Commissione di mettere a disposizione fondi per aiutare i think tanks, le università e i centri di ricerca.

8.   La considerazione nei confronti delle vittime

8.1

Le vittime del terrorismo subiscono sulla loro pelle una violenza destinata alla società nel suo insieme e ai valori che essa rappresenta. Le vittime riflettono il vero volto del terrorismo e sono la prima voce e la prima linea della società di fronte al terrorismo. Le vittime sono agenti fondamentali per promuovere l'impegno indispensabile della società contro il terrorismo e per articolare una risposta civica. Rappresentano anche il più solido elemento di delegittimazione e di isolamento politico e morale del terrorismo.

8.2

Il miglior riconoscimento nei confronti delle vittime è la difesa della democrazia e dello Stato di diritto, affinché l'Europa sia una società libera ed aperta.

8.3

Le vittime rappresentano, in un modo o nell'altro, ciò che i terroristi e la criminalità organizzata non possono ammettere: il potere legittimo e democratico sottoposto alla sovranità della legge. La società civile deve trasmettere questo insegnamento sociale e politico, affinché i cittadini accordino alle vittime il riconoscimento sociale e politico necessario: occorre rivitalizzare costantemente la democrazia e lo Stato di diritto.

8.4

La protezione delle vittime è una misura efficace di prevenzione. Le vittime del terrorismo meritano tutto il rispetto, il sostegno e l'aiuto dei cittadini e delle istituzioni. All'ingiustizia della situazione che hanno vissuto e alle ripercussioni dell'attacco subito deve corrispondere un'azione decisa della società civile, dei poteri pubblici nazionali e dell'UE che venga incontro alle loro necessità e lenisca per quanto possibile la loro sofferenza.

8.5

Il CESE propone all'UE le seguenti misure per la protezione e il riconoscimento delle vittime del terrorismo e delle loro famiglie.

8.5.1

L'elaborazione di un quadro legislativo di norme minime che garantisca il diritto alla dignità, il rispetto della vita privata e familiare, il diritto al risarcimento, il diritto all'assistenza medica, psicologica e sociale, il diritto all'accesso effettivo alla giustizia e alla tutela giuridica, il diritto al reinserimento professionale e sociale e alla formazione professionale e universitaria che consenta di disporre di pari competenze dinanzi ad un'opportunità di lavoro.

8.5.2

La definizione di standard, raccomandazioni, buone pratiche e linee direttrici per la protezione delle vittime del terrorismo, per orientare e guidare l'azione degli Stati in materia. La Commissione dovrebbe disporre di fondi per aiutare le associazioni di vittime del terrorismo a creare reti europee.

8.6

Inoltre, non dobbiamo dimenticare le altre vittime, che sono meno note per la minor ripercussione mediatica della loro situazione. Si tratta delle vittime di organizzazioni criminali che attentano ai diritti dell'uomo al pari delle organizzazioni terroristiche. Sono le vittime di estorsione, di furti, della droga, del traffico di esseri umani, della prostituzione, della tratta delle donne, nonché le vittime dello sfruttamento illegale sul lavoro.

8.7

Tutte le vittime della criminalità devono essere oggetto di una particolare attenzione da parte dei pubblici poteri e della società civile. Il CESE, in due pareri (16), ha sostenuto il principio secondo il quale l'UE dovrebbe disporre di una legislazione comune per risarcire le vittime della criminalità. Le società d'assicurazione e le mutue devono assumere nuovi impegni e includere nelle proprie polizze formule adeguate per una migliore copertura delle vittime.

9.   Il finanziamento del terrorismo e della criminalità organizzata

9.1

Il Comitato ha elaborato diversi pareri (17) nei quali presenta le sue proposte per migliorare la cooperazione pubblico-privati in materia di lotta contro il finanziamento del terrorismo e delle organizzazioni criminali. Sono gli istituti finanziari che devono assumere gli impegni maggiori.

9.2

Il CESE ha recentemente elaborato due pareri (18) sugli obblighi degli istituti finanziari di garantire una maggiore trasparenza nelle transazioni finanziarie allo scopo di ostacolare le attività illecite. Il Comitato invita gli Stati membri a prendere le opportune misure giuridiche per far sì che gli enti privati e gli organismi senza scopo di lucro che possono fare parte del circuito dove circola il denaro che finanzia azioni terroristiche rispettino le raccomandazioni del Gruppo d'azione finanziaria internazionale (GAFI) (19) sul riciclaggio di capitali e quelle sul finanziamento del terrorismo e il riciclaggio di capitali. Tuttavia questo non deve indurre a nutrire sospetti generalizzati su tutti i cittadini che fanno parte di organizzazioni della società civile.

9.3

Nel settore immobiliare si riversa sempre più spesso una grande quantità di proventi del terrorismo e delle reti della criminalità organizzata. A volte anche le autorità locali vengono corrotte da questi gruppi. Le società immobiliari, le grandi imprese di costruzione e gli attori del settore devono collaborare con i poteri pubblici nazionali per impedire sia l'utilizzo di questo settore per collocare il denaro sporco sia il riciclaggio di capitali provenienti dai terroristi e dalla criminalità organizzata.

9.4

Il mercato internazionale delle opere d'arte, della filatelia e delle antichità diventa sempre più un luogo di destinazione dei proventi delle attività criminali. Le imprese che operano in questo settore devono cooperare più attivamente con i pubblici poteri per rendere questo mercato più trasparente.

9.5

L'UE deve disporre di strumenti giuridici e amministrativi comuni per collaborare con gli Stati membri nella lotta contro queste attività illegali. Il Consiglio dell'UE deve fare in modo che ogni Stato membro disponga di una legislazione penale adeguata, nel quadro di norme comunitarie minime, per perseguire il reato di finanziamento del terrorismo e della criminalità organizzata.

9.6

Il piano d'azione dell'UE per la lotta contro il terrorismo (20) prevede misure di coordinamento delle cellule di intelligence fiscale e finanziaria che devono essere rafforzate. Tutti gli Stati membri hanno il dovere di agire con efficacia e raggiungere un buon coordinamento in seno al Consiglio.

10.   Internet e telefonia mobile

10.1

Gli operatori di Internet e di telefonia mobile devono cooperare con i pubblici poteri nel rispetto delle leggi che obbligano a conservare i dati delle comunicazioni via Internet (non il contenuto dei messaggi).

10.2

Lo stesso vale per l'ottenimento dei dati personali in occasione dell'acquisto di carte per i telefoni portatili, poiché gruppi terroristici e reti criminali si nascondono dietro l'anonimato di alcuni servizi di posta elettronica o di carte prepagate per i telefoni portatili per comunicare senza essere individuati e anche per innescare ordigni esplosivi a distanza. Il CESE ha elaborato pareri (21) a questo riguardo e il Parlamento europeo ha adottato una relazione (22) condivisa dal CESE.

10.3

La società europea è molto vulnerabile dinanzi alla criminalità informatica: le organizzazioni criminali ricorrono sempre più frequentemente a Internet per le loro attività illecite.

10.4

Internet diventa di giorno in giorno più indispensabile per il funzionamento regolare delle società europee, per le imprese e i privati, i prestatori di servizi essenziali e le amministrazioni pubbliche, nonché per la polizia e la giustizia. L'Europa si trova pertanto dinanzi ad un nuovo rischio: il cyberterrorismo che può impedire il funzionamento della società.

10.5

Gli operatori di Internet devono migliorare i loro sistemi di sicurezza e collaborare con le autorità di polizia e giudiziarie nella lotta contro questi nuovi reati.

11.   I mezzi di comunicazione

11.1

I mezzi di comunicazione hanno il diritto e il dovere di informare obiettivamente e devono evitare di dare alle informazioni un taglio che possa favorire le organizzazioni terroristiche. Devono anche evitare di divulgare immagini e informazioni che possano invadere la sfera dell'intimità e offendere la dignità delle vittime. Devono proteggere soprattutto i giovani da questi rischi. A tale proposito i mezzi di comunicazione di proprietà pubblica sono tenuti a dare l'esempio.

11.2

I media possono definire codici di condotta adeguati e cooperare con i pubblici poteri per garantire la tutela della dignità e dell'intimità delle vittime ed evitare di dare all'informazione un taglio che possa favorire la propaganda dei gruppi terroristici.

11.3

La Commissione sta organizzando una conferenza europea con la partecipazione dei principali media. Il CESE ritiene che si tratti di un'ottima opportunità per scambiare le buone pratiche, creare sistemi di autoregolamentazione, contribuire alla creazione di una opinione pubblica europea e fornire una visione costruttiva dell'Unione europea.

12.   Le infrastrutture critiche

12.1

I terroristi cercano anche di raggiungere i loro obiettivi criminali attentando alle infrastrutture strategiche e ai servizi pubblici essenziali. Sono obiettivi terroristici i mezzi e le reti di trasporto, le reti e gli operatori nel settore energetico, l'approvvigionamento di acqua potabile, i sistemi e gli operatori di telefonia e di telecomunicazioni, le grandi concentrazioni di persone, ecc.

12.2

Nuove minacce terroristiche gravano sulle società europee: i rischi radiologici e nucleari, chimici, biologici e batteriologici, che, secondo il parere della maggior parte degli esperti, costituiscono minacce concrete. I settori che utilizzano questi prodotti devono rafforzare i loro sistemi di sicurezza e cooperare efficacemente con le autorità di polizia.

12.3

Il CESE si congratula con la Commissione per l'eccellente iniziativa del programma di ricerca sulla sicurezza (SRC '06) e la incoraggia a proseguire il finanziamento di progetti di ricerca congiunti del settore pubblico e del settore privato per migliorare la sicurezza nello spazio comune dell'UE.

12.4

Sarebbe tuttavia opportuno che il programma si applicasse anche ai nostri partner, nel quadro della politica europea di vicinato dell'UE con i paesi dell'Est e del Sud (bacino del Mediterraneo).

12.5

Il settore privato dovrebbe essere pronto a mettere i propri mezzi a disposizione dei pubblici poteri in caso di crisi, per aiutare a gestire le eventuali conseguenze catastrofiche degli attentati terroristici. A tal fine, occorrerebbe individuare i settori nei quali la società civile organizzata potrebbe apportare un valore aggiunto complementare in caso di crisi e realizzare accordi e convenzioni che permettano di attivare un meccanismo efficace di gestione congiunta delle crisi.

12.6

La capacità di prevenzione e di reazione dipende dalla disponibilità delle informazioni, dalla gestione efficace delle conoscenze e dalla capacità di prevedere gli eventi futuri. Tutti gli attori interessati devono impegnarsi per raccogliere le sfide del terrorismo e della criminalità organizzata. È dunque necessario che l'informazione sia correttamente trasmessa agli attori interessati.

12.7

I responsabili delle imprese e delle organizzazioni della società civile (in particolare nei settori strategici) devono ricevere le informazioni disponibili in materia di terrorismo e di criminalità organizzata che riguardano il loro settore di competenze o di responsabilità, per potersi preparare e prevenire le minacce.

13.   La piattaforma europea di cooperazione fra il pubblico e il privato

13.1

La Commissione lavora all'elaborazione di una comunicazione sulla cooperazione pubblico-privati nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata che comprende un piano d'azione sui partenariati pubblico-privati. Secondo la Commissione, l'elemento chiave della collaborazione è la piattaforma di cooperazione pubblico-privati per la lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo. Sarà opportuno definire la composizione, le modalità di intervento e le regole di funzionamento di questa piattaforma, che dovrebbe essere creata a fine anno e riunirsi periodicamente per dibattere questioni d'interesse generale, individuare linee d'azione politiche e legislative, orientare le strategie di prevenzione, scambiare le buone pratiche e le informazioni, ecc.

13.2

Composta di rappresentanti degli Stati membri e, su base volontaria, di organizzazioni rappresentative degli imprenditori europei, di sindacati, di ONG impegnate nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, ecc., questa piattaforma intende rafforzare i vantaggi e le sinergie che possono scaturire da questo tipo di collaborazione. Lo scopo ultimo dell'iniziativa consiste nel ridurre gli effetti della criminalità organizzata e del terrorismo in Europa, facendo dell'UE un territorio sempre più sicuro per l'azione pubblica, per i cittadini e per l'attività economica.

13.3   Condizioni per la partecipazione della società civile

13.3.1

La società civile auspica che le istituzioni comunitarie e nazionali prendano nella dovuta considerazione le preoccupazioni che esprimono i cittadini. Questi ultimi chiedono un'azione efficace nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Non accettano scuse di ordine nazionale, politico o giuridico per la mancata soluzione dei problemi che emergono nella lotta contro la criminalità e il terrorismo. Esigono soluzioni e, in questa sede, si deve dare una risposta alle loro richieste.

13.3.2

Il CESE giudica positiva ma insufficiente la proposta della Commissione di creare una piattaforma di cooperazione pubblico-privati.

13.3.3

Il CESE desidera partecipare al lancio e alla valutazione di questa piattaforma.

13.3.4

La rappresentanza della società civile organizzata nell'UE, conformemente a quanto prevede il Trattato, è affidata al Comitato economico e sociale europeo. Sarà naturalmente necessaria anche la partecipazione di altri attori portavoce di interessi specifici, ma il CESE, che rappresenta gli interessi generali, deve poter contare nell'ambito della piattaforma sulla presenza di tre dei suoi membri (uno per gruppo).

13.3.5

Il CESE invita gli Stati membri a promuovere la creazione di piattaforme pubblico-private a livello locale e comunale che abbiano gli stessi obiettivi di partecipazione e collaborazione delle piattaforme che si intende creare a livello comunitario.

13.4   La cooperazione pubblico-privati nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata

13.4.1

Il CESE ritiene che sia necessario un ampio scenario di cooperazione tra il settore pubblico e quello privato per favorire e rafforzare le sinergie che possono essere impiegate nella lotta contro la criminalità e il terrorismo.

13.4.2

I principali obiettivi della cooperazione:

a)

il primo obiettivo della società civile è duplice: non solo prevenire gli atti criminali di terrorismo e di criminalità organizzata, ma anche prevenire ed evitare che persone e settori vulnerabili cadano nelle reti delle organizzazioni terroristiche e criminali;

b)

individuare i settori più vulnerabili all'azione dei gruppi criminali e promuovere misure di autoprotezione e legami con le forze di repressione impegnate nella lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo;

c)

fornire informazioni e scambiare esperienze per limitare le possibilità di reati;

d)

trasmettere alle istituzioni europee e ai poteri pubblici nazionali le preoccupazioni dei vari settori della società civile, affinché lavorino in modo prioritario sulle questioni di maggiore interesse per i cittadini in materia di prevenzione e di lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata;

e)

trasmettere alle istituzioni europee e ai poteri pubblici nazionali le principali necessità delle imprese e delle organizzazioni dell'UE in materia di protezione contro la criminalità organizzata. Esaminare inoltre con queste istituzioni i migliori metodi di protezione contro le aggressioni criminali e di persecuzione dei reati;

f)

creare ambiti di scambio di esperienze in alcuni settori e su alcuni temi molto sensibili e molto interessati dalla criminalità organizzata. Sono considerati prioritari i settori finanziario, dei trasporti, delle comunicazioni e dell'energia;

g)

dare impulso a piattaforme preventive europee;

h)

fungere da forum di dibattito per analizzare in che misura vengano considerate e soddisfatte le necessità e le rivendicazioni espresse dalle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata;

i)

orientare le strategie e le politiche comunitarie in materia di terrorismo e di criminalità organizzata partendo dalla prospettiva della società civile organizzata;

j)

rafforzare i legami tra gli esperti più qualificati di entrambi i settori per sfruttare al massimo le conoscenze e le esperienze in materia di protezione e di lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo;

k)

partecipare al lancio della piattaforma e alla sua valutazione.

13.5   Sistemi di cooperazione

13.5.1

Un sistema di cooperazione tra il settore pubblico e quello privato basato su uno strumento simile a quello proposto dalla Commissione può essere il mezzo ideale per avviare un collegamento fra i due settori. Se la piattaforma è dotata di un livello elevato di rappresentanza, la cooperazione pubblico-privati avrà maggiori ripercussioni e le misure alle quali darà vita per la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata saranno più efficaci.

13.5.2

Questo sistema di cooperazione deve permettere di creare gruppi di lavoro settoriali o specifici, concepiti in funzione del tema da trattare e vincolati alla struttura creata per la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato.

13.5.3

La piattaforma di cooperazione potrà invitare alle sue riunioni organizzazioni, imprese, esperti, istituzioni europee, autorità nazionali e tutti coloro che possano trasmettere informazioni ed esperienze o apportare un valore aggiunto alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere del CESE del 15.12.2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia — Relatore: PARIZA (GU C 65 de 17.3.2006).

(2)  Parere del CESE del 14.12.2005 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo per il periodo 2007-2013Programma generale Sicurezza e tutela delle libertà — Relatore: CABRA de LUNA (GU C 65 del 17.3.2006).

(3)  COM(2005) 313 def. del 21.9.2005.

(4)  Cfr. nota 1 del COM(2005) 313 def. in cui si rimanda alla «decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo. L'articolo 1 stabilisce che ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici nove atti intenzionali espressamente enumerati, definiti come tali in base al diritto nazionale, che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un'organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione, di costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un'organizzazione internazionale».

(5)  Operano nei seguenti ambiti: commercio e traffico illegale di droga e armi, traffico e tratta di esseri umani, furto, prostituzione, gioco clandestino, pirateria commerciale, ecc.

(6)  Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata (testo non disponibile in italiano). Cfr. il sito

http://www.uncjin.org/Documents/Conventions/dcatoc/final_documents_2/convention_eng.pdf

(7)  Parere del CESE del 15.12.2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia — Relatore: PARIZA (GU C 65 del 17.3.2006).

(8)  Risoluzione del Parlamento europeo sui progressi compiuti nel 2004 in sede di creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG), P6_TA (2005) 0227 dell'8.6.2005.

(9)  Cfr. in particolare il parere CESE del 27.10.2004 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio recante modifica della decisione 2002/463/CE che istituisce un programma d'azione finalizzato alla cooperazione amministrativa nel settore delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione (programma ARGO) — Relatore: PARIZA (GU C 120 del 20.5.2005).

(10)  La Commissione europea ha presentato il 12.10.2005 una Proposta di decisione quadro del Consiglio sullo scambio di informazioni in virtù del principio di disponibilità (COM(2005) 490 def. del 12.10.2005).

(11)  Parere CESE del 14.12.2005 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo per il periodo 2007-2013Programma generale Sicurezza e tutela delle libertà — Relatore: CABRA de LUNA (GU C 65 del 17.3.2006).

(12)  L'Irlanda e i Paesi Bassi sono gli unici Stati che non li hanno ratificati.

(13)  Parere CESE del 15.12.2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia (COM(2005) 184 def.) — Relatore PARIZA (GU C 65 del 17.3.2006).

(14)  COM(2005) 313 def.

(15)  Cfr. i pareri CESE del 21.3.2002 sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata — Relatore: PARIZA (GU C 125 del 27.5.2002), del 10.12.2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione — Relatore: PARIZA (GU C 80 del 30.3.2004) e del 13.9.2006 sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione. La collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile — Relatore: PARIZA.

(16)  Parere CESE del 20.3.2002 in merito al Libro verdeRisarcimento alle vittime di reati — Relatore: MELÍCIAS (GU C 125 del 27.5.2002).

Parere CESE del 26.2.2003 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa al risarcimento alle vittime di reato — Relatore: KORYFIDIS (GU C 95 del 23.4.2003).

(17)  Cfr. in particolare il parere CESE dell'11.5.2005 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo — Relatore: SIMPSON (GU C 267 del 27.10.2005).

(18)  Parere del CESE del 21.4.2006 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi relativi all'ordinante, da allegare ai trasferimenti di fondi — Relatore: BURANI (GU C 185 dell'8.8.2006).

Parere CESE dell'11.5.2005 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo — Relatore: SIMPSON (GU C 267 del 27.10.2005).

(19)  Gruppo creato dagli Stati del G8.

(20)  Cfr. il piano adottato dal Consiglio il 13.2.2006.

(21)  Cfr. in particolare il parere CESE del 19.1.2006 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante la conservazione di dati trattati nell'ambito della fornitura di servizi pubblici di comunicazione elettronica e che modifica la direttiva 2002/58/CE — Relatore: HERNÁNDEZ BATALLER (GU C 69 del 21.3.2006).

(22)  Cfr. relazione del Parlamento europeo A6(2005) 365 del 28.11.2005.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/157


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche

(2006/C 318/27)

La presidenza finlandese del Consiglio, in data 17 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ENGELEN-KEFER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, 3 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'Agenda di Lisbona è la risposta europea alle sfide della globalizzazione. Per migliorare la competitività dell'Europa a livello internazionale è infatti necessario promuovere un'interazione positiva fra le politiche economica, occupazionale, sociale e ambientale. Questo implica per l'economia europea la necessità di sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione creando posti di lavoro in settori economici di punta e generando una maggiore crescita mediante le innovazioni. L'Europa dovrebbe puntare sui suoi punti di forza (che consistono nella qualità elevata dei suoi prodotti e servizi, nella sua forza lavoro altamente qualificata e nel suo modello sociale) e competere con i suoi concorrenti a livello internazionale facendo leva sulla qualità anziché rincorrere le retribuzioni e le garanzie sociali più basse, condannandosi in questo modo ad una strategia sicuramente perdente. Per puntare sulla competitività qualitativa occorre una strategia globale basata sull'innovazione che si estenda fino al livello microeconomico, ossia coinvolga anche le strutture aziendali e la qualità della vita professionale.

1.2

Per quanto l'obiettivo programmatico dell'Agenda di Lisbona sia quello di creare non solo nuovi ma anche migliori posti di lavoro, il dibattito sulla sua attuazione ha sinora trascurato questo aspetto qualitativo. Il miglioramento della qualità della vita professionale è un fattore chiave per promuovere la crescita della produttività e la capacità innovativa delle imprese; altrettanto importante è un incremento degli investimenti per la ricerca e sviluppo, degli investimenti di carattere generale, nonché di quelli nella formazione generale e professionale e nella formazione permanente, necessario per far fronte alle esigenze della società della conoscenza e dell'informazione. Ciò è comprovato da vari studi scientifici condotti sul rapporto che intercorre fra qualità della vita professionale e produttività e sull'importanza che il concetto di «buon lavoro» riveste per i lavoratori interessati in termini di motivazione e di disponibilità ad impegnarsi.

1.3

La nozione di qualità del lavoro comporta tutta una serie di aspetti diversi: tra questi figurano ad esempio misure per evitare o almeno ridurre i rischi per la salute, l'organizzazione dell'attività sul posto di lavoro nonché la sicurezza sociale, che a sua volta implica un reddito adeguato, la possibilità di perfezionare le competenze e qualifiche, nonché la possibilità di conciliare meglio la vita lavorativa e quella familiare. Gli studi condotti dalla Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e presentati al CESE hanno evidenziato che dei miglioramenti in tutti questi aspetti hanno ricadute positive sulla produttività del lavoro. A tale riguardo assume una particolare importanza la promozione delle misure a favore della salute adottate a livello aziendale su base volontaria. La sicurezza del posto di lavoro, condizioni di lavoro positive per la salute, così come forme di organizzazione del lavoro che lasciano ai lavoratori un maggior margine di manovra nella loro attività costituiscono fattori importanti per accrescere sia la produttività sia la capacità innovativa, la quale risente anche delle condizioni sociali. Il CESE ritiene pertanto che sia le strutture aziendali sia la cultura d'impresa dovrebbero tenerne conto. La strategia di Lisbona va quindi attuata anche al livello delle imprese, dove gli obiettivi economici s'intrecciano con quelli sociali, e ciò comporta un ruolo importante per il dialogo sociale.

1.4

Per migliorare la qualità del lavoro occorre una strategia globale, che tenga conto sia della trasformazione del mondo del lavoro sia delle particolari esigenze dei lavoratori anziani. In linea con l'obiettivo di «benessere sul lavoro» perseguito dalla Commissione con la strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, è in primo luogo importante prevenire i rischi per la salute e ridurre costantemente gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In questo contesto si dovrà prestare un'attenzione particolare ai rapporti di lavoro precari caratterizzati da una scarsa protezione sociale. Altrettanto importante è però promuovere la soddisfazione sul lavoro e la disponibilità dei lavoratori a impegnarsi, attuando nuove forme di organizzazione del lavoro. Le forme di lavoro basate sulla cooperazione e su rapporti gerarchici trasversali e caratterizzate da una maggiore autonomia, come il lavoro di squadra o in équipe, permettono ai singoli di utilizzare a fondo le proprie conoscenze e capacità e tengono conto allo stesso tempo delle accresciute esigenze di flessibilità dell'economia. Delle buone condizioni di lavoro e delle modalità di organizzazione del lavoro che offrono adeguati margini di manovra e possibilità di partecipazione costituiscono un presupposto importante per migliorare la produttività del lavoro e al tempo stesso rafforzare la capacità innovativa delle imprese. Il Comitato appoggia pertanto la nozione di «flessicurezza», la quale implica un rapporto equilibrato tra flessibilità e sicurezza sociale, in linea con quanto approvato dall'ultimo Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del 1o e 2 giugno 2006.

1.5

Il CESE invita a commissionare ulteriori studi sul rapporto che intercorre fra la qualità del lavoro e la produttività, e considera che la Fondazione di Dublino si presterebbe particolarmente bene a svolgere questo compito. Il CESE propone inoltre di mettere a punto un indice europeo della qualità del lavoro, composto di diversi criteri di definizione del «buon lavoro» elaborati sulla base di studi specifici, da tenere regolarmente aggiornato e reso pubblico. Un indice di questo tipo potrebbe contribuire ad evidenziare i cambiamenti e progressi intervenuti, e al tempo stesso offrire un punto di partenza per nuove iniziative volte a migliorare la qualità della vita lavorativa. È opportuno che le parti sociali siano associate a tale azione e possano esprimere regolarmente il loro punto di vista.

2.   Argomentazioni e osservazioni

2.1   Antecedenti e contesto generale

2.1.1

In previsione del semestre di presidenza finlandese della seconda metà del 2006, il governo della finlandia ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sul tema della qualità della vita professionale, della produttività e dell'occupazione, tema che nelle sua intenzioni dovrebbe costituire uno dei fulcri del dibattito politico.

2.1.2

Questo parere esplorativo esaminerà pertanto in quale misura la qualità del lavoro costituisca un fattore per accrescere la produttività e favorire la crescita economica, e quale contributo il miglioramento della qualità del lavoro possa fornire allo sviluppo della società dell'informazione e della conoscenza, e di conseguenza al conseguimento degli obiettivi di Lisbona. Al riguardo la globalizzazione e i cambiamenti demografici verranno considerati come elementi del contesto generale.

2.2   Introduzione

2.2.1

La globalizzazione comporta sì dei rischi, ma anche delle nuove opportunità. Il rischio è quello che a causa dell'inasprimento della concorrenza mondiale e della nuova divisione internazionale del lavoro l'economia europea vada incontro, se non riuscirà a creare occupazione in settori nuovi e promettenti, ad una perdita di posti di lavoro a seguito della ristrutturazione d'imprese e delle delocalizzazioni. Allo stesso tempo le garanzie sociali e il modello sociale europeo in generale sono messi a sempre più dura prova, dal momento che in uno spazio monetario unico i costi salariali e sociali rappresentano un fattore concorrenziale decisivo. Uno studio di Eurostat del marzo 2006 mostra comunque che nel 2005 i costi del lavoro nell'UE a 25 sono aumentati ad un ritmo più lento che negli Stati Uniti. La strategia di lisbona è la risposta europea alle sfide della globalizzazione. La competitività dell'Europa a livello internazionale dovrà essere migliorata promuovendo una sinergia tra le politiche economica, sociale, ambientale e del lavoro.

2.2.2

È chiaro tuttavia che una strategia di aggiustamento imperniata esclusivamente sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro e sulla riduzione delle garanzie e delle prestazioni sociali non sarà idonea a conseguire tale obiettivo. Sarebbe invece più opportuno sfruttare le opportunità che la globalizzazione offre all'economia europea, tanto più che l'Europa costituisce un polo produttivo interessante grazie ai seguenti fattori:

il potere di attrazione della zona euro,

democrazie stabili e pace sociale,

affidabilità,

servizi pubblici efficienti,

infrastrutture evolute.

Il Comitato ritiene importante assicurare un rapporto equilibrato tra fattori come la flessibilità e la sicurezza sociale, che dovrebbero confluire in una «flessicurezza». Per garantire questo giusto equilibrio tra i due fattori sul mercato del lavoro occorrono quattro elementi: «la disponibilità di adeguati accordi contrattuali, di politiche attive del mercato del lavoro, di sistemi effettivi di apprendimento permanente e di moderni regimi di sicurezza sociale» (1). La risoluzione approvata il 1o e 2 giugno 2006 dal Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori illustra in maniera più particolareggiata la nozione di «flessicurezza» precisando che essa implica «accordi contrattuali che garantiscano flessibilità adeguata (…) in equilibrio con la sicurezza e le offerte di attivazione» e che «vanno garantiti diritti adeguati ai lavoratori in tutti i tipi di contratti». Nell'aggiornare i sistemi di sicurezza sociale occorre «tener conto in misura maggiore delle nuove forme di lavoro» e garantire «che le donne possano accumulare diritti a pensione propri». L'assicurazione contro la disoccupazione deve garantire «un reddito sufficiente per vivere a chi sia impossibilitato a lavorare», ma al tempo stesso «occorre incentivare e assistere la ricerca di un'occupazione». Inoltre, «politiche attive del mercato del lavoro, apprendimento permanente e formazione in seno all'azienda sono importanti per spostare l'ottica dalla sicurezza del posto di lavoro verso la sicurezza dell'occupazione» (2). Al riguardo il Comitato si compiace dell'intento di associare all'ulteriore sviluppo della politica relativa alla «flessicurezza» sia le parti sociali che le altre parti interessate.

2.2.3

Quanto alle opportunità offerte dalla globalizzazione, esse possono essere colte concentrandosi in settori economici e innovazioni promettenti e misurandosi nella competizione a livello globale puntando sulla qualità invece che sul dumping sociale e creando nuovi e migliori posti di lavoro. Delle garanzie sociali elevate, pur costituendo un fattore di costo sul piano della concorrenza internazionale, rappresentano al tempo stesso anche un vantaggio di localizzazione in quanto costituiscono un presupposto essenziale per società coese e promuovono sia la capacità innovativa sia la produttività dell'occupazione. Questo ruolo produttivo della politica sociale è l'elemento che caratterizza il modello sociale europeo, fondato «su valori condivisi, come la solidarietà e la coesione, la parità di opportunità e la lotta contro tutte le forme di discriminazione, salute e sicurezza adeguate sul posto di lavoro, accessibilità universale all'istruzione e alla sanità, qualità della vita e del lavoro, sviluppo sostenibile e partecipazione della società civile. [Senza dimenticare il ruolo dei servizi pubblici per la coesione sociale e il dialogo sociale.] Questi valori rappresentano una scelta europea a favore dell'economia sociale di mercato» (3). Per potersi imporre nella concorrenza internazionale l'Europa deve pertanto scommettere su questi elementi, che costituiscono i punti di forza del suo modello sociale (4).

2.2.4

Per realizzare gli obiettivi che l'Unione si è fissata con la strategia di Lisbona sarà assolutamente indispensabile rafforzare la coesione sociale grazie a politiche sociali attive, incrementare la produttività intensificando l'impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e migliorare in questo contesto la qualità del lavoro, la motivazione e la soddisfazione professionale dei lavoratori quali presupposti essenziali per le innovazioni. L'innovazione non è solo un fenomeno tecnico che si traduce in nuovi prodotti e nuovi processi produttivi, ma è piuttosto un processo sociale, che dipende dalle persone, dal loro sapere, dalle loro qualificazioni e capacità. Per conseguire gli obiettivi summenzionati occorrono pertanto nuove forme di organizzazione del lavoro in cui le persone possano apportare le loro conoscenze e capacità e partecipare alle decisioni: si pensa ad esempio all'introduzione del lavoro di gruppo e in équipe e ad una migliore collaborazione fra quadri, dirigenti ed altri lavoratori. Una attenzione particolare dovrà essere riservata ai problemi legati ai cambiamenti demografici che modificheranno la piramide di età dei lavoratori. Da un lato ciò renderà necessario creare, attraverso offerte di qualificazione mirate per i più anziani, le condizioni necessarie affinché essi possano adeguarsi ai nuovi profili professionali richiesti dalle trasformazioni tecnologiche e organizzative. D'altro lato occorrerà prendere in considerazione, attraverso forme di organizzazione del lavoro che tengano conto dell'età, il mutato profilo delle prestazioni professionali dei lavoratori anziani. Questi due tipi di interventi presuppongono entrambi un nuovo approccio alla politica del personale da parte delle imprese, che offra più opportunità di lavoro ai lavoratori anziani (5).

2.2.5

L'impulso alle innovazioni, come elemento indispensabile per conseguire gli obiettivi di Lisbona, richiede, oltre a maggiori investimenti nella ricerca e sviluppo, anche altre misure sia a livello statale che al livello delle imprese. Ciò implica saper utilizzare meglio le nuove tecnologie, ma anche modificare le strutture lavorative nelle imprese mediante nuove forme di organizzazione del lavoro che lascino ai singoli lavoratori un maggiore spazio di manovra e migliorino la loro collaborazione con i quadri e i dirigenti. Sarà altresì opportuno garantire una maggiore presenza delle donne negli incarichi di quadro, direttivi e dirigenziali e assicurare loro migliori possibilità di conciliare la vita professionale e quella familiare. Si tratta in sostanza di migliorare le condizioni di lavoro in generale per prevenire lo stress e le malattie professionali — in modo da salvaguardare l'occupabilità, soprattutto dei lavoratori anziani — e di assicurare condizioni di lavoro che tengano conto dell'invecchiamento della popolazione attiva. Al riguardo il Comitato sottolinea l'importanza delle misure aziendali a favore della salute che le imprese offrono ai dipendenti su base volontaria. Un sostegno sotto forma di incentivi pubblici potrebbe favorire l'adozione più frequente di misure di questo tipo, soprattutto nelle PMI. È anche molto importante integrare nell'ambiente di lavoro i giovani, perché le équipe composte di lavoratori di età diverse fanno confluire le competenze dei giovani con l'esperienza dei più anziani favorendo l'emergere delle idee migliori e più innovative.

2.2.6

Uno dei compiti principali delle parti sociali consiste nel regolare le condizioni di lavoro mediante i contratti collettivi. Il dialogo sociale a tutti i livelli riveste quindi un'importanza chiave per il miglioramento della qualità della vita professionale. Per creare condizioni di lavoro rispettose della salute dei lavoratori e promuovere nelle imprese un clima favorevole all'innovazione attraverso forme di organizzazione del lavoro che lascino ai singoli un maggiore margine decisionale e d'azione occorre promuovere la cooperazione con i lavoratori e le loro rappresentanze aziendali instaurando rapporti di partenariato. Solo coinvolgendo gli interessati e quanti rappresentano i loro interessi sarà infatti possibile realizzare l'obiettivo di Lisbona relativo alla creazione di migliori posti di lavoro. Un partenariato per il cambiamento e per una migliore qualità del lavoro che sia ispirato a tali criteri deve cominciare sin dal livello delle imprese, per proseguire poi nel contesto del dialogo sociale ai livelli settoriale e intersettoriale. Il CESE si compiace che alla vigilia della riunione informale tenuta dal Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori il 6 luglio 2006 sia intervenuto fra le parti sociali un primo scambio di vedute cui ha potuto intervenire anche un rappresentante della società civile. Il Comitato confida che le parti sociali possano convenire un contributo comune al dibattito sulla qualità del lavoro, sulla produttività e sull'occupazione, dibattito che è strettamente connesso con l'idea della flessicurezza.

2.3   Crescita, produttività e occupazione

2.3.1

Non è un segreto che gli obiettivi di crescita e occupazione fissati dal Consiglio europeo di Lisbona nel marzo del 2000, quando la situazione economica era relativamente favorevole, sono ben lontani dall'essere raggiunti, tant'è vero che nel documento del 12 luglio 2005 sugli indirizzi di massima per le politiche economiche si riconosce che «rispetto al marzo 2000, l'Unione si è allontanata sotto diversi aspetti dall'immagine di economia più competitiva del mondo che si era prefissata» (6). Si considera che uno dei motivi di tale regresso, oltre al persistere di un livello di disoccupazione elevato, che si traduce in un miglioramento totalmente insufficiente della percentuale d'occupazione (la quale nel 2003 si è attestata al 63 %, e quindi molto al di sotto dell'obiettivo del 70 % fissato per il 2010), stia nel basso incremento della produttività. Già nel novembre 2004 la relazione del gruppo di alto livello sulla strategia di Lisbona presieduto da Wim KOK aveva richiamato l'attenzione su questo punto. «La diminuzione dei tassi di crescita della produttività del lavoro nell'UE verificatasi a metà degli anni '90 può essere attribuita in proporzioni più o meno equivalenti ai minori investimenti per dipendente e al rallentamento del progresso tecnologico» (7). Secondo il gruppo di esperti, questo rallentamento «è stato attribuito agli stessi motivi addotti per spiegare la mancata realizzazione degli obiettivi di Lisbona in Europa: investimenti insufficienti per la R&S e l'istruzione; scarsa capacità di convertire i risultati della ricerca in prodotti e processi commerciabili; minore produttività delle industrie europee che producono TIC e dei servizi europei che le utilizzano dovuta ad una diffusione più lenta di queste tecnologie» (8). L'economia europea registra manifestamente un livello insufficiente d'investimenti in prodotti e tecnologie orientati al futuro e di capacità d'innovazione, aspetti che presuppongono anche investimenti nel potenziale di qualificazione professionale delle persone. Il livello modesto della spesa in ricerca e sviluppo, rispetto all'obiettivo del 3 % del PIL che si era previsto di realizzare entro il 2010, è solo un indicatore di questa situazione. Oltre a ciò, solo il 55 % della spesa per ricerca nell'Unione è finanziata dal settore privato, fatto che è considerato una delle cause fondamentali del «gap» in materia d'innovazione tra gli USA e l'UE (9).

2.3.2

Nella relazione approntata per il vertice di primavera del Consiglio europeo del marzo 2006 la Commissione giunge alla conclusione che l'UE, nonostante tutti gli sforzi, «non riuscirà probabilmente a raggiungere l'obiettivo che si era fissata di portare da qui al 2010 il livello di spesa per la ricerca al 3 % del PIL» (10). In tale contesto essa sottolinea la necessità di rafforzare gli investimenti privati per i quali la politica del mercato interno deve creare un quadro migliore. Insieme ad una politica macroeconomica improntata alla crescita e all'occupazione, solo una strategia di questo tipo, diretta alla promozione delle innovazioni, può condurre a nuovi e migliori posti di lavoro. È un aspetto, questo, che viene ribadito anche nelle conclusioni del vertice di primavera del Consiglio europeo, il quale reclama «un approccio globale alla politica dell'innovazione» comprendente anche investimenti nell'istruzione di carattere generale e nella formazione professionale (11). D'altro canto, la necessità di effettuare investimenti nella conoscenza e nell'innovazione e di adottare le misure connesse a livello sia nazionale che europeo è stata nuovamente ribadita dal Consiglio europeo durante il vertice del 15 e 16 giugno 2006 (12).

2.4   Investimenti nelle risorse umane come presupposto per un'economia innovativa basata sulla conoscenza

2.4.1

In un'economia e in una società basate sulla conoscenza le strutture di produzione e di prestazione dei servizi vengono costantemente rinnovate grazie all'impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e all'uso di prodotti e processi di produzione innovativi. Ciò implica una trasformazione dell'organizzazione del lavoro nei settori produttivo e amministrativo. Questa trasformazione strutturale comporta delle modifiche dei profili professionali richiesti, di cui bisogna tener conto al livello sia dell'istruzione scolastica e professionale sia della formazione continua. Le conoscenze informatiche e quelle nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) (o competenze mediatiche), diventano, accanto alle competenze sociali come la capacità di comunicazione e di lavorare in équipe e alla conoscenza delle lingue straniere, fattori decisivi per potersi conformare ai nuovi profili professionali richiesti. L'esigenza di fornire tali competenze chiave va tenuta presente in tutti i rami del sistema d'istruzione perché anche il miglioramento delle qualifiche dei lavoratori concorre a potenziare la capacità d'innovazione delle imprese.

2.4.2

La relazione della task force Occupazione già osserva che l'innalzamento del livello d'istruzione e il costante adeguamento delle qualifiche alle esigenze di un'economia basata sulla conoscenza sono vitali per accrescere l'occupazione. Ciò implica la necessità, da un lato di innalzare il livello generale d'istruzione e dall'altro di agevolare l'accesso alla formazione continua per i diversi profili professionali del settore sia pubblico che privato. In questo ambito dovrebbero avere la precedenza le categorie che presentano bisogni maggiori, ossia le persone scarsamente qualificate, i lavoratori anziani e i dipendenti di PMI. Al riguardo la task force occupazione sottolinea in maniera particolare la responsabilità del mondo economico e chiede ai datori di lavoro di assumersi la responsabilità dello sviluppo delle competenze dei loro salariati (13). Attraverso la combinazione di norme di legge e di regolamentazioni volontarie dovrebbe essere possibile garantire sia un volume sufficiente di investimenti da parte dei datori di lavoro nella formazione continua sia un'equa ripartizione dei costi (attraverso appositi fondi settoriali o regionali, oppure mediante sgravi fiscali o un contributo alla formazione continua, come avviene per esempio in Francia) (14). A giudizio del Comitato l'opportunità della formazione permanente deve essere aperta a tutti i lavoratori.

2.4.3

La relazione del gruppo di esperti ad alto livello sul futuro della politica sociale nell'Unione europea del maggio 2004 raccomanda che nel quadro della strategia per l'occupazione l'Unione europea si preoccupi in primo luogo di dotare il suo intero sistema d'istruzione degli strumenti indispensabili ad un'economia basata sulla conoscenza e di migliorare il sistema d'insegnamento. Il gruppo di esperti avanza una serie di proposte che riguardano tutti i livelli del sistema scolastico e di formazione professionale, soffermandosi in particolare sulla formazione professionale continua, e propone di concordare l'introduzione di un diritto generale alla formazione continua nei contratti collettivi o nei contratti di lavoro individuali. Le imprese dovrebbero inoltre predisporre piani di sviluppo delle competenze personali per ciascun lavoratore e creare al proprio interno un sistema di gestione in materia di formazione continua e di competenze (15). Le buone proposte dunque non mancano: quello che fa invece difetto è la loro attuazione pratica.

2.5   Miglioramento della qualità del lavoro per rafforzare la capacità d'innovazione e migliorare l'integrazione dei lavoratori anziani

2.5.1   Qualità della vita professionale e produttività

2.5.1.1

Il passaggio a un'economia basata sulla conoscenza, capace d'innovare, richiede nuove iniziative per il miglioramento della qualità del lavoro. Condizioni di lavoro rispettose della salute e un'organizzazione del lavoro che consenta maggiore collaborazione fra quadri, dirigenti ed altre qualifiche lavorative, come pure una cooperazione e partecipazione alle decisioni a condizioni di parità favoriscono la soddisfazione e il benessere sul posto di lavoro e contribuiscono così al successo economico di un'impresa. Viceversa, condizioni di lavoro disagiate e nocive per la salute compromettono la qualità della vita e comportano costi sociali e perdite di produttività che si ripercuotono negativamente sulla capacità d'innovazione dell'economia. Ciò è dimostrato da diversi studi scientifici, il cui numero è peraltro troppo esiguo.

2.5.1.2

Uno studio dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (2004) approfondisce il rapporto che intercorre fra qualità del lavoro e produttività (16). Un'osservazione fondamentale dell'indagine è che nell'attuale contesto caratterizzato da una concorrenza più agguerrita il successo di un'impresa non può più essere misurato unicamente sulla base delle cifre di gestione. In effetti, tendono a pesare sempre più altri elementi, come la soddisfazione della clientela, l'ottimizzazione delle relazioni aziendali interne, la capacità innovativa e la flessibilità delle strutture organizzative. Le conclusioni dell'indagine, basate sull'analisi della documentazione utilizzata, confermano che esiste una stretta interconnessione fra condizioni di lavoro soddisfacenti e successo economico di un'impresa. La qualità del lavoro influisce notevolmente sulla produttività e sulla redditività. Più specificatamente, lo studio evidenzia i seguenti tra i fattori che contribuiscono al successo di un'impresa:

il saper collegare gli obiettivi aziendali con le strategie di sviluppo del personale ai fini di un migliore conseguimento degli obiettivi,

un approccio globale alla promozione della salute che punti non solo sulle condizioni di lavoro in quanto tali, ma includa anche la motivazione al lavoro e il comportamento di quadri, direttivi e dirigenti,

delle strategie di promozione della salute soprattutto intese ad evitare i rischi sotto questo profilo,

il miglioramento dei ritmi e processi lavorativi e dell'organizzazione del lavoro in rapporto con le innovazioni tecnologiche.

2.5.1.3

Sulla base di casi di studio riguardanti diversi Stati membri e settori differenti, la medesima indagine identifica, tra i fattori in grado di contribuire al miglioramento della produttività, in particolare i seguenti:

una qualità elevata del lavoro, che comprenda anche condizioni favorevoli per conciliare la vita familiare a quella professionale,

un atteggiamento collaborativo da parte di quadri, direttivi e dirigenti, atto a favorire degli incrementi di produttività,

delle forme di organizzazione del lavoro in grado di lasciare a chi lavora una maggiore autonomia e responsabilità,

nel caso di attività fisicamente gravose, il miglioramento dei metodi di lavoro e delle attrezzature del luogo di lavoro: poiché un'azione in questo senso riduce la fatica e consente una maggiore produttività, risulta particolarmente utile investire in questo campo,

in presenza di attività che comportano particolari inconvenienti o rischi: necessità di trovare soluzioni creative per evitare al massimo gli infortuni. La produttività beneficia infatti grandemente delle minori assenze per malattia.

2.5.1.4

Ultimamente, i fattori di disagio sul lavoro si sono modificati, anche a causa dell'impiego delle TIC. Benché sia certo che continuano a esistere settori, soprattutto nell'industria, in cui rimane predominante il problema della fatica fisica, in generale, si registra un aumento dei fattori di disagio di tipo psicosociale dovuti al ritmo e alla pressione crescenti dell'attività lavorativa e alle nuove tecniche di informazione e comunicazione. Lo stress da lavoro è ormai la principale causa di disagio in tutti i campi di attività e comparti economici e costituisce il maggiore problema per la politica di prevenzione. Ora, secondo lo studio una prevenzione efficace dello stress non solo riduce i costi, ma anche contribuisce a migliorare la produttività in quanto aumenta la motivazione al lavoro e crea un clima migliore nell'ambito dell'impresa.

2.5.1.5

È cresciuta la percentuale di attività che, soprattutto nella new economy, richiedono competenze elevate e sono caratterizzate da un'autonomia accresciuta e da un minor peso della gerarchia. Al tempo stesso, però, la pressione sul lavoro si è fatta più acuta. Le giornate di lavoro hanno limiti sempre più incerti, fenomeno che va di pari passo con nuove patologie, per es. la burn-out syndrome, e nell'insieme compromette la qualità della vita. In alcuni settori si può osservare contemporaneamente anche un'altra tendenza. A causa della pressione crescente dei costi e della concorrenza si abbandonano alcune forme «umane» di organizzazione del lavoro, come per es. il lavoro di squadra nell'industria automobilistica, e vengono reintrodotte strutture di lavoro molto parcellizzate, che richiedono dai lavoratori sforzi concentrati in una sola direzione con corrispondenti rischi per la salute.

2.5.1.6

Aumenta inoltre la percentuale delle forme di lavoro precario (lavori a orario part-time imposto, a tempo determinato e interinali o «in affitto») che comportano per i lavoratori condizioni disagiate, sotto forma sia di mansioni elementari e monotone o fisicamente gravose, sia di un ambiente di lavoro pericoloso per la salute. In questo settore ciò rende particolarmente necessario effettuare degli interventi per la tutela del lavoro e della salute e trovare soluzioni idonee sotto il profilo dell'organizzazione del lavoro.

2.5.1.7

Un sondaggio rappresentativo dell'Istituto internazionale per l'economia sociale empirica (Internationale Institut für empirische Sozialökonomie unter Erwerbstätigen in Deutschland -Inifes) (17) evidenzia le attese che per parte loro i lavoratori nutrono nei confronti di un «buon lavoro». Per i lavoratori dipendenti, al primo posto figura l'elemento «sicurezza della retribuzione e dell'impiego», seguito dagli aspetti qualitativi, come un'attività interessante e varia. Al terzo posto figurano gli aspetti sociali, come l'atteggiamento collaborativo di quadri, direttivi e dirigenti e il sostegno reciproco. Più in dettaglio, gli elementi che dal punto di vista degli interessati contribuiscono maggiormente alla loro soddisfazione e disponibilità a impegnarsi sono, in ordine di preferenza, i seguenti:

1.

reddito stabile e sicuro;

2.

sicurezza del posto di lavoro;

3.

occupazione interessante;

4.

essere trattato col dovuto rispetto dai superiori gerarchici;

5.

contratto a tempo indeterminato;

6.

riconoscimento dell'importanza della collegialità;

7.

adeguata tutela della salute sul posto di lavoro;

8.

utilità del lavoro svolto;

9.

mansioni varie e non ripetitive;

10.

possibilità d'influire sui metodi di lavoro.

Su questi elementi si è concentrato il 70-90 % dei consensi. Altri aspetti che hanno raccolto notevoli consensi (oltre il 60 %), e che entrano in conto per la soddisfazione del lavoro, sono la possibilità di sviluppare ulteriormente le proprie capacità e il sostegno della gerarchia alla possibilità di ampliare le proprie competenze tecniche e professionali. Lo studio ha altresì evidenziato che un'elevata qualità del lavoro, rispondente in larga misura ai criteri soggettivi di definizione del «buon lavoro», comporta anche maggiore soddisfazione, piacere e disponibilità ad impegnarsi sul lavoro. Manifestamente, ciò influisce positivamente sulla produttività del lavoro, anche se questo aspetto non è stato esplicitamente studiato.

2.5.2   Organizzazione del lavoro in funzione dell'età

2.5.2.1

Nell'Unione europea il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani (vale a dire in età compresa fra i 55 e i 65 anni) è sempre insufficiente e l'obiettivo di Lisbona di un aumento del tasso di attività al 50 % entro il 2010 è lungi dall'essere raggiunto. Attualmente l'abbandono prematuro della vita attiva da parte delle lavoratrici e dei lavoratori anziani è essenzialmente dovuto, da un lato al logoramento della salute conseguente a condizioni di lavoro disagiate e a ritmi di lavoro particolarmente intensi, e dall'altro ai tassi di disoccupazione elevati. In passato la politica del personale delle aziende incitava i lavoratori anziani al prepensionamento, cosa che ha condotto a un esodo massiccio di tale categoria, che pesa anche notevolmente sui sistemi di previdenza sociale.

2.5.2.2

Secondo il CESE non basta limitarsi a formulare obiettivi ambiziosi senza creare simultaneamente i presupposti necessari per conseguirli. Di fronte alla grave penuria di posti di lavoro occorre anzitutto allentare la pressione cui i lavoratori sono assoggettati nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni e creare condizioni di lavoro soddisfacenti e mansioni che possano essere svolte per tutta la durata di una (più lunga) vita attiva. Per molte aziende questo implica un aumento degli addetti per ridurre la pressione e prevenire patologie precoci. Il miglioramento della qualità del lavoro mediante misure idonee di ristrutturazione e organizzazione del lavoro e la disponibilità di risorse umane in misura adeguata sono strumenti decisivi per raggiungere questo obiettivo. L'attenzione dovrebbe essere rivolta non tanto all'innalzamento del limite d'età legale della pensione, quanto piuttosto ad avvicinare l'età effettiva del pensionamento a quella legale. A tal fine occorrono soprattutto misure di riorganizzazione del lavoro e una modifica della politica del personale delle aziende nei confronti dei lavoratori anziani.

2.5.2.3

In tale contesto il gruppo di esperti ad alto livello responsabili del tema «Il futuro della politica sociale nell'UE allargata» raccomanda l'adozione di misure a tre livelli. In primo luogo esso preconizza una riforma dei sistemi di previdenza sociale per diminuire gli incentivi al prepensionamento. In secondo luogo raccomanda come cruciali le misure da prendere al livello delle imprese, e in particolare: assicurare una maggiore partecipazione dei lavoratori anziani alle azioni di formazione continua, migliorare le condizioni di lavoro e modernizzare l'organizzazione del lavoro. Attraverso le nuove forme di organizzazione del lavoro ci si dovrebbe adoperare per tener maggiormente conto delle capacità e delle competenze dei lavoratori anziani, in particolare creando posti di lavoro a loro idonei e facilitando la mobilità all'interno dell'azienda (18). Infine, secondo il gruppo, è indispensabile modificare l'atteggiamento della società nel suo complesso, spingendola a rivalutare le conoscenze maturate grazie all'esperienza e le competenze accumulate nel corso della vita attiva.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Conclusioni del Consiglio del 1o e 2 giugno 2006, pag. 15 [C/06/1489658/06 (Presse 148)].

(2)  Documento del Consiglio n. 9633/06 (SOC 254, Ecofin 179): FlessicurezzaContributo comune del Comitato per l'occupazione e del Comitato per la protezione sociale, approvato dal Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori durante la sessione del 1o e 2 giugno 2006 http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/06/st09/st09633.it06.pdf.

(3)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniI valori europei nel mondo globalizzatoContributo della Commissione alla riunione di ottobre dei capi di Stato e di governo (COM(2005) 525 def. del 20.10.2005, pag. 4).

(4)  Cfr. il parere sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo, relatore: EHNMARK, adottato dal CESE il 6 luglio 2006 http://eescopinions.eesc.europa.eu/viewdoc.aspx?doc=//esppub1/esp_public/ces/soc/soc237/it/ces973-2006_ac_it.doc.

(5)  Cfr. i seguenti pareri del CESE, riguardanti rispettivamente:

la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAumentare il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani e differire l'uscita dal mercato del lavoro (GU C 157 del 28.6.2005, pagg. 120-129; relatore: DANTIN)

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2005:157:0120:0129:IT:PDF.

la Comunicazione dalla Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoProduttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee (GU C 85 dell'8.4.2003, pagg. 95-100; relatori: MORGAN e SIRKEINEN, correlatore EHNMARK)

http://europa.eu/eur-lex/pri/it/oj/dat/2003/c_085/c_08520030408it00950100.pdf.

(6)  Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio 2005 relativa agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità (per il periodo 2005-2008) (GU L 205 del 6.8.2005, pagg. 28-37)

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2005:205:0028:01:IT:HTML.

(7)  Affrontare la sfidaStrategia di lisbona per la crescita e l'occupazioneRelazione del gruppo ad alto livello presieduto da Wim KOKnovembre 2004 (Relazione KOK), pag. 17

http://europa.eu/growthandjobs/pdf/kok_report_it.pdf.

(8)  Idem, pag. 17.

(9)  Cfr. parere del CESE del 15.9.2004 sul tema Verso il Settimo programma quadro per la ricerca: Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demograficiQualità di vita degli anziani ed esigenze tecnologiche (GU C 74 del 2.3.2005, pagg. 44-54; relatrice: HEINISCH).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2005/c_074/c_07420050323it00440054.pdf.

(10)  Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo di primaveraÈ ora di cambiare marciaIl nuovo partenariato per la crescita e l'occupazione (COM(2006) 30 def. — Parte 1, pag. 18).

(11)  Consiglio europeo di Bruxelles (23/24.3.2006): Conclusioni della presidenza, punto 22, pag. 6.

http://consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressdata/en/ec/89013.pdf.

(12)  Conclusioni della Presidenza, punti 20 e 21.

http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/en/ec/90111.pdf.

(13)  Relazione Jobs, Jobs, JobsCreating more employment in Europe della task force «Occupazione» presieduta da Wim KOK, novembre 2003, pag. 49 (documento non disponibile in italiano)

http://europa.eu/comm/employment_social/employment_strategy/pdf/etf_en.pdf.

(14)  Idem, pag. 51.

(15)  Relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale nell'Unione europea allargata, maggio 2004 (documento non disponibile in italiano)

http://europa.eu/comm/employment_social/publications/2005/ke6104202_fr.pdf.

(16)  European Agency for Safety and Health at Work: Quality of the Working Environment and ProductivityWorking Paper (2004) (disponibile unicamente in inglese)

http://osha.eu.int/publications/reports/211/quality_productivity_en.pdf.

(17)  Was ist gute Arbeit? Anforderungen aus Sicht von ErwerbstätigenKurzfassung. Inifes, November 2005 (questo documento esiste solo in tedesco)

http://www.inqa.de/Inqa/Redaktion/Projekte/Was-ist-gute-Arbeit/gute-arbeit-endfassung,property=pdf,bereich=inqa,sprache=de,rwb=true.pdf.

(18)  Relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale nell'Unione europea allargata, maggio 2004, pag. 37 (documento non disponibile in italiano)

http://europa.eu.int/comm/employment_social/publications/2005/ke6104202_fr.pdf.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/163


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Accrescere la visibilità e l'efficacia della cittadinanza europea

(2006/C 318/28)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Accrescere la visibilità e l'efficacia della cittadinanza europea.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore VEVER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 111 voti favorevoli, 22 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

L'inserimento formale dei diritti della cittadinanza europea nei recenti Trattati non è bastato a fermare l'aumento dell'euroscetticismo nell'opinione pubblica. La percezione che i cittadini stessi hanno dell'Europa risente del sommarsi di varie carenze: il deficit di visibilità, di identificazione, di informazione, di dialogo e di efficacia sono i più importanti di un elenco troppo lungo. Ne è risultato il diffondersi di una mancanza di fiducia che è costata cara al processo di ratifica del Trattato costituzionale: la situazione di stallo che ne è risultata rischia a sua volta di alimentare ancor di più l'euroscetticismo.

1.2

Bisogna dunque reagire tempestivamente: la priorità oggigiorno non è tanto elaborare nuove dichiarazioni di diritti, quanto piuttosto avviare azioni concrete che consentano il pieno esercizio della cittadinanza europea. Ciò richiede un impegno «militante» e rinnovato da parte della Commissione europea e un codice di condotta per una migliore governance delle istituzioni. Occorre inoltre por fine alla crescente sfasatura tra le ambizioni riposte nell'Europa e gli scarsi mezzi accordati. Infine, sono necessarie delle cooperazioni rafforzate tra gli Stati membri disposti ad avanzare assieme, una maggiore pressione e più iniziative da parte degli attori della società civile.

1.3

Il Comitato propone in primo luogo di colmare le lacune particolarmente ingiustificate dell'Europa, vale a dire:

ricominciare i lavori sullo statuto europeo delle associazioni e adottarlo rapidamente,

procedere nello stesso senso per uno statuto europeo delle mutue,

creare uno statuto europeo semplificato aperto alle PMI,

applicare il brevetto comunitario negli Stati membri che l'hanno ratificato,

sopprimere tutte le forme di doppia imposizione, almeno nella zona euro,

garantire una trasferibilità delle prestazioni sociali su base non discriminatoria.

1.4

In secondo luogo, il Comitato propone di sviluppare una governance dell'Unione più attenta ai cittadini, ossia:

rimediare al deficit di sensibilizzazione sulle questioni europee nei media incoraggiando le migliori pratiche, con l'appoggio di un'Agenzia europea dei mezzi audiovisivi,

rivalutare la fase consultiva della preparazione dei progetti, prestando maggiore attenzione al valore aggiunto che essi devono offrire ai cittadini,

individuare e spiegare pubblicamente per quali motivi proposte concernenti i diritti europei dei cittadini si bloccano al livello del Consiglio o vengono ritirate dalla Commissione,

promuovere, in tutti i settori che riguardano direttamente la società civile, degli approcci socioprofessionali di autoregolamentazione e di coregolamentazione,

definire, in cooperazione con le diverse agenzie di sostegno al mercato interno, un concetto di servizio pubblico europeo che a termine comprenda anche delle dogane esterne comunitarizzate,

sviluppare modalità più interattive per informare sull'Europa,

coinvolgere gli attori socioprofessionali nel quadro degli interventi dei fondi strutturali sul campo.

1.5

Il Comitato propone infine di promuovere iniziative comuni incentrate sull'identità europea, ad esempio:

dare maggiore priorità al finanziamento, mediante il bilancio comunitario, di grandi progetti europei particolarmente importanti (reti transeuropee, ricerca, alta tecnologia),

investire in programmi europei ambiziosi nel campo dell'istruzione e della formazione (anche linguistica), prevedendo anche un servizio civile volontario europeo interessante per i giovani,

invitare personaggi celebri a rivendicare pubblicamente la loro identità europea,

investire in programmi europei altrettanto ambiziosi nel campo della cultura e dei mass media, prevedendo uno statuto comune per le fondazioni e il mecenatismo,

conseguire sensibili progressi nell'integrazione economica e sociale al livello della zona euro,

adottare decisioni con un alto significato politico come, ad esempio, organizzare le elezioni europee il medesimo giorno, fare del 9 maggio il giorno festivo dedicato all'Europa e prevedere fin da ora un diritto europeo di iniziativa popolare.

1.6

Tutto sommato, il Comitato è convinto che iniziative di questo tipo consentirebbero agli europei di sentire più profondamente la loro cittadinanza europea e di esercitare in modo più efficace le libertà che essa offre, dando così all'Europa una nuova identità e un nuovo dinamismo, nonché una maggiore competitività e coesione che gli Stati membri oggi fanno fatica a garantire.

1.7

Per contribuire a questo obiettivo, è opportuno che il Comitato istituisca un gruppo permanente «Cittadinanza europea attiva» e che prossimamente organizzi un convegno su questo argomento.

2.   Introduzione

2.1

Al di là dell'attuale clima generale di profondo euroscetticismo, gli europei tengono molto alle conquiste fondamentali della costruzione europea, che essi considerano tanto naturali quanto irreversibili:

la pace e la cooperazione tra gli Stati membri,

il pieno esercizio dei loro diritti democratici,

la libera circolazione delle persone e delle merci,

la volontà di unirsi di fronte alle sfide mondiali.

2.2

Gli europei sono anche esigenti nei confronti della costruzione europea: si aspettano che essa apporti un vero valore aggiunto e in particolare che garantisca:

un rafforzamento dei loro diritti politici, civili, partecipativi, economici e sociali,

un migliore sostegno alla loro identità e alla loro qualità di vita attraverso i grandi cambiamenti,

una maggiore crescita, occupazione e sviluppo economico e sociale,

una promozione più efficace dei loro interessi comuni nel mondo.

2.3

Per molti europei, finora queste aspettative sono lungi dall'esser state soddisfatte sia per quanto riguarda le preoccupazioni della loro vita quotidiana che per il futuro. Il doppio «no» degli elettori francesi e olandesi al progetto di Trattato costituzionale è stato particolarmente indicativo dell'attuale disagio e degli interrogativi che l'opinione pubblica si pone, anche se probabilmente hanno influito anche altri motivi che nulla hanno a che vedere con l'Europa.

2.4

Ciò non toglie che i recenti Trattati (Amsterdam e Nizza), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e il Trattato costituzionale oggetto del referendum (che tra l'altro integra tale Carta nei Trattati, conferendole valore giuridico) hanno comportato veri progressi per quanto riguarda i diritti della cittadinanza europea, che erano stati sanciti per la prima volta dal Trattato di Maastricht. La Convenzione incaricata di preparare il Trattato costituzionale, che ha rappresentato una vera innovazione in quanto era formata anche da parlamentari e si è aperta alla società civile, si era impegnata in modo particolare a consolidare questi diritti a livello politico, civico, economico e sociale. In questi ultimi anni il Comitato economico e sociale europeo, oltre a partecipare alla Convenzione, si è costantemente impegnato per ottenere che i diritti dei cittadini europei fossero riconosciuti e che le loro istanze venissero prese in considerazione. Bisogna però ammettere che l'inclusione formale di questi diritti nei Trattati non è stata affatto sufficiente a fermare l'aumento dell'euroscetticismo nell'opinione pubblica. Oggigiorno l'affermazione di Jean Monnet «Noi non coalizziamo Stati, ma uniamo uomini» non viene affatto percepita come principio ispiratore del modus operandi dell'Europa.

2.5

Per tutta una serie di motivi, attualmente queste preoccupazioni dell'opinione pubblica rischiano di aggravarsi:

2.5.1

la mancata ratifica del Trattato costituzionale metterà a dura prova il funzionamento dell'Unione allargata: la pesantezza e la complessità del Trattato di Nizza, a cui il nuovo Trattato doveva porre rimedio, mostreranno ben presto i loro effetti negativi,

2.5.2

sta aumentando la sfasatura tra gli ambiziosi obiettivi fissati per l'Europa e la debolezza dei suoi strumenti di gestione sia politici (difficoltà a decidere in un'UE a 27) che di bilancio (dotazione finanziaria limitata prevista per il periodo 2007-2013),

2.5.3

non sarà possibile rendere ufficiali i nuovi diritti dei cittadini europei sanciti dal Trattato costituzionale (che integra la Carta dei diritti fondamentali),

2.5.4

questo contesto poco favorevole rischia seriamente di impedire che la situazione migliori e di confermare l'Europa nel pessimo ruolo di capro espiatorio che troppi suoi cittadini le attribuiscono già.

2.6

Come fatto presente dal Comitato nel suo contributo al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 (1), la pausa di riflessione decisa in seguito all'attuale blocco del Trattato costituzionale non dovrebbe costituire un pretesto per assumere un atteggiamento attendista riguardo a un maggiore coinvolgimento dei cittadini nelle questioni europee. È invece urgente promuovere l'immagine dell'Europa nell'opinione pubblica, altrimenti si entrerà in una spirale di diffidenze, di rinunce e di blocchi, con ripercussioni incalcolabili. Sarebbe peraltro del tutto illusorio pretendere di porre rimedio, in un modo o nell'altro, all'attuale insuccesso della ratifica del Trattato costituzionale senza cercare prima di suscitare nei cittadini un sentimento più profondo di identificazione con l'Europa. Questo presuppone che venga analizzato fin da ora dove, in quale misura e perché l'Europa manca di visibilità e non ha capacità attrattiva per troppi cittadini europei.

3.   Una percezione decisamente inadeguata della cittadinanza europea (o «cittadinanza dell'Unione»)

3.1

La «cittadinanza» si sente, in modo intuitivo e perfino emotivo, ancor prima di articolarsi in termini di diritti e di doveri. La stessa cittadinanza «europea» andrebbe percepita come un valore aggiunto che arricchisce la cittadinanza nazionale senza abolirla e come una «nuova frontiera» che conferisce maggiori diritti, libertà e responsabilità. Per quanto riguarda tutti questi aspetti, malgrado i progressi reali conseguiti a livello degli scambi, la cittadinanza europea è lungi dall'aver dato buona prova di sé. A volte si ha addirittura l'impressione che sia stato fatto quasi di tutto per scoraggiarla. Esprimiamo un giudizio facendo qualche semplice constatazione: per tutti gli europei, e in primo luogo per «il cittadino qualunque», l'Europa ha quattro lacune evidenti:

3.1.1

un deficit di visibilità e di percezione: attualmente gli obiettivi e il profilo della costruzione europea, anche in senso geopolitico (quali sono i confini dell'UE?), sono confusi sia a causa delle divergenze politiche sugli obiettivi stessi dell'integrazione, sia a causa della mancanza di criteri chiari per portare avanti il processo di allargamento, che sembra permanente,

3.1.2

un deficit di identificazione e di prossimità: malgrado le libertà e i diritti acquisiti, l'Europa sembra una questione che riguarda soprattutto gli ambienti politici e diplomatici e gli esperti, con una partecipazione solo secondaria e molto limitata dei cittadini; le stesse amministrazioni nazionali e locali non sono immuni da questo sentimento di estraneità dell'Europa, che spesso viene ancora percepita come straniera,

3.1.3

un deficit di informazione e di dialogo: gli europei non conoscono bene i propri diritti, le proprie libertà e le condizioni di funzionamento del mercato interno. Anche le loro domande sull'Europa, spesso, vengono mal comprese, sono trattate in modo inadeguato e non ricevono una risposta soddisfacente. Da parte loro, i governi tendono a presentare dell'Europa quello che conviene a loro e a denunciare o celare ciò che dà loro fastidio, anche a rischio di mettere a repentaglio la credibilità dell'Europa. I principali mezzi di comunicazione (radio, TV), che sono essenzialmente nazionali, danno chiaramente l'impressione di avere davvero poca familiarità con queste questioni, che i giornalisti stessi ritengono complesse poiché in questo settore hanno una formazione insufficiente. Essi non informano su questi temi, tranne qualche notizia puntuale, spesso sommaria e inesatta. Anche la mancanza di un'opinione pubblica «europea» che non sia una faticosa somma delle opinioni pubbliche nazionali non facilita lo sviluppo di mezzi di comunicazione europei e viceversa,

3.1.4

un deficit di efficacia economica e sociale: di fronte alla globalizzazione, per molti l'Europa non è né una vera forza propulsiva (a causa dei risultati insufficienti, anche dal punto di vista qualitativo, sul fronte della crescita e dell'occupazione) né uno scudo efficace di fronte all'accentuarsi della concorrenza esterna — che spesso viene considerata eccessiva o perfino sleale — e all'aumento delle delocalizzazioni (con tensioni inasprite anche dall'inedito aumento del differenziale dei costi di produzione anche in seno all'Unione allargata).

3.2

Gli europei che hanno maggiore familiarità con il funzionamento dell'Europa grazie ai loro contatti, alla loro professione e ai loro spostamenti, oltre a percepire allo stesso modo le quattro lacune summenzionate, reputano che ve ne siano anche altre altrettanto evidenti:

3.2.1

un deficit di coesione, che si è inevitabilmente aggravato con gli allargamenti dell'UE: le differenze a livello amministrativo e culturale e le disparità sociali sono aumentate notevolmente e in alcuni casi il divario di sviluppo è triplicato; a questo si aggiungono le differenze sul piano dell'integrazione economica e monetaria, con una zona dell'euro che attualmente è limitata a 12 Stati membri,

3.2.2

un deficit relativo al completamento del mercato interno, che pesa sul funzionamento dello stesso mercato interno, dove persiste una forte compartimentazione nei settori dei servizi (che rappresentano il 2/3 del PIL), degli appalti pubblici (16 % del PIL) e della fiscalità, come pure sul piano della libera circolazione dei cittadini dei nuovi Stati membri, tuttora soggetta a restrizioni transitorie: il mercato unico funziona tutt'al più a media potenza,

3.2.3

un deficit di semplificazione, evidente per tutti i cittadini europei in quanto utenti delle regolamentazioni: le direttive e le altre disposizioni comunitarie che si presume debbano semplificare la vita si sovrappongono troppo spesso a regole nazionali sempre più copiose,

3.2.4

un deficit di risorse, che va di pari passo con un deficit di interesse generale e di potere pubblico europeo, è altrettanto ben evidente per tutti gli osservatori: sul piano finanziario, il bilancio comunitario, ridotto all'1 % circa del PIL (contro il 20 % degli Stati Uniti, in un contesto, però, effettivamente molto diverso), è stato oggetto di negoziati tanto ardui quanto conflittuali nel quadro dell'ultima programmazione (2007-2013) e non sembra affatto all'altezza dei compiti sempre più numerosi conferiti all'Europa. Sul piano istituzionale, è generalmente difficile prendere delle decisioni a causa della molteplicità delle parti coinvolte e, in molti casi, del persistere di esigenze o di pratiche che richiedono l'unanimità degli Stati membri,

3.2.5

un deficit di infrastrutture transnazionali (trasporti, energia, telecomunicazioni) accompagnato da un deficit di risorse di bilancio: l'accordo raggiunto dal Consiglio europeo nel dicembre 2005 ha addirittura dimezzato la dotazione finanziaria proposta al riguardo dalla Commissione per il periodo 2007-2013 (solo il 2 % del bilancio invece di quasi il 4 %), anche se le ulteriori trattative con il Parlamento europeo hanno consentito di attenuare un po' queste restrizioni,

3.2.6

un deficit di disciplina comunitaria in troppi Stati membri (recepimento delle direttive e procedure d'infrazione del diritto comunitario), come si evince chiaramente dalle relazioni della Commissione,

3.2.7

il deficit di comunicazione e di attuazione della strategia di Lisbona completa infine l'elenco. Infatti, lungi dall'essere all'origine di una ripresa degli investimenti europei nella ricerca, nell'innovazione, nelle reti di infrastruttura comuni e nella formazione, concretamente questa strategia non è affatto riuscita a creare la mobilitazione necessaria né a realizzare gli obiettivi perseguiti (la programmazione di bilancio per il 2007-2013, restrittiva in tutti questi settori, è stata sintomatica al riguardo).

3.3

Logicamente, questo accumularsi, nell'insieme impressionante, di deficit percepiti nel funzionamento dell'UE finisce per suscitare nei cittadini una sensazione di sfiducia. Sarà necessario rimediare decisamente a tutte le disfunzioni constatate. A tale scopo non basterà più continuare a modificare un elenco europeo dei diritti tanto ben formulato quanto mal conosciuto e male applicato. Quello che conta ora è chiarire agli europei come accostarsi all'Europa rendendola nel contempo più accessibile e dando loro le chiavi di una cittadinanza comune più visibile e più efficace.

3.4

Non sarà possibile ottenere dei primi progressi significativi se questo approccio non verrà appoggiato maggiormente dai principali attori dell'Europa. A tal fine occorrerà:

3.4.1

un impegno «militante» e rinnovato (cioè più audace o addirittura più intransigente) in merito a queste esigenze da parte della Commissione europea, soprattutto grazie al suo potere di presentare proposte e ai suoi metodi di consultazione,

3.4.2

un migliore funzionamento delle istituzioni europee grazie a un impegno vero al servizio dei cittadini, che preveda ad esempio la definizione di un codice di condotta per una migliore governance e la disponibilità a riconoscere agli stessi europei maggiori responsabilità per le questioni che li riguardano direttamente,

3.4.3

i dirigenti politici devono parlare dell'Europa in termini più lusinghieri, evitando di farne un capro espiatorio e di utilizzare un linguaggio inutilmente tecnocratico, riservandosi unilateralmente il ruolo migliore; ciò presupporrebbe anche un atteggiamento per così dire «più pedagogico» da parte dei media,

3.4.4

un atteggiamento altrettanto responsabile da parte dei medesimi dirigenti politici, in modo tale che l'Europa che stanno costruendo assieme possa disporre dei minimi strumenti indispensabili (in termini di decisioni, di bilancio e di disciplina), finalmente all'altezza delle ambizioni ufficialmente dichiarate,

3.4.5

delle «cooperazioni rafforzate» tra gli Stati membri disposti ad avanzare assieme per fare da battistrada — in condizioni che non rimettono in causa il primato del metodo comunitario — quando l'esigenza dell'unanimità ostacola eccessivamente dei progressi che i cittadini europei considerano fondamentali,

3.4.6

una maggiore pressione e più iniziative delle parti sociali e degli altri attori della società civile: senza il loro contributo attivo e costante sarebbe illusorio prevedere lo sviluppo di una cittadinanza europea visibile ed efficace.

3.5

Come il Comitato ha fatto presente nel proprio parere in merito al programma d'azione per una cittadinanza attiva (2), il programma «Cittadini per l'Europa» (2007-2013) presentato dalla Commissione è ostacolato dall'eccessiva limitazione del suo campo d'intervento e dall'eccessiva esiguità della sua dotazione finanziaria (235 milioni di euro, ridotti poi a 190 milioni, ossia meno di mezzo euro per abitante per il periodo in questione). Malgrado le sue lodevoli intenzioni, il programma non ha gli strumenti per realizzare il proprio obiettivo di «porre i cittadini al centro della costruzione europea»: potrà svolgere al massimo un ruolo di accompagnamento.

3.6

La priorità oggigiorno non dev'essere tanto quella di elaborare nuove dichiarazioni di diritti o di accordare alcune sovvenzioni puntuali, quanto piuttosto quella di avviare azioni specifiche che consentano alla cittadinanza europea di esplicarsi pienamente. Per compiere dei progressi in tal senso, il Comitato propone di attuare nuove iniziative in tre settori:

colmare le lacune particolarmente ingiustificate dell'Europa,

sviluppare una governance dell'Unione maggiormente imperniata sui cittadini,

promuovere iniziative comuni incentrate sull'identità europea.

4.   Colmare le lacune particolarmente ingiustificate dell'Europa

4.1

I cittadini europei hanno tutte le ragioni di essere sorpresi della mancanza di strumenti comuni e di libertà europee in settori chiave che, al contrario, dovrebbero illustrare la loro appartenenza all'Unione. Questo vale soprattutto per le lacune particolarmente ingiustificate relative allo statuto europeo per le associazioni (nonché le mutue e le piccole imprese), a un brevetto comunitario unico o alla tutela fiscale europea da tutti i tipi di doppia imposizione, compresa quella sulle prestazioni sociali e sui regimi pensionistici. Tutte queste lacune vengono illustrate in appresso.

4.2

È paradossale che a cinquant'anni dalla creazione del mercato comune le migliaia di associazioni create per difendere gli interessi europei dei loro membri non possano assumere una forma giuridica di diritto europeo e siano costrette ad optare per il diritto nazionale dello Stato membro in cui si trova la loro sede centrale ossia, nella maggior parte dei casi, per il diritto belga.

4.2.1

Nell'ottobre 2005 la Commissione ha ritirato la proposta di un tale statuto europeo, assieme a una sessantina di altri progetti legislativi abbandonati anch'essi per motivi di semplificazione legislativa o perché le prospettive di adozione dei testi erano molto scarse. Ritirando il progetto di statuto senza consultare gli ambienti interessati, la Commissione, purtroppo, «ha buttato tutto al macero».

4.2.2

Il primo passo che la Commissione dovrebbe fare per rafforzare la cittadinanza europea sarebbe quello di ammettere i propri errori e di ripresentare il progetto legislativo. Ovviamente, il Parlamento europeo e il Consiglio dovrebbero impegnarsi ad adottarlo rapidamente dopo aver spiegato, o addirittura giustificato, i motivi del blocco precedente.

4.3

Lo stesso approccio andrebbe adottato anche per uno statuto europeo delle mutue, il cui progetto è stato anch'esso impropriamente ritirato dalla Commissione europea. Eppure anche un tale statuto contribuirebbe a promuovere nuove iniziative europee, confermando il riconoscimento del pluralismo delle forme imprenditoriali in Europa.

4.4

Un altro paradosso è che manchi uno statuto giuridico europeo unico e semplificato tale da facilitare la vita delle imprese piccole e medie, e che nello stesso tempo si siano ammassati i programmi pluriennali e le dichiarazioni e sia stata adottata anche una Carta delle PMI senza produrre dei cambiamenti davvero percepibili per gli imprenditori.

4.4.1

Nel 2002 il Comitato ha formulato all'unanimità delle raccomandazioni precise in merito a un tale statuto (3). Finora, però, la Commissione non vi ha dato riscontro con proposte in materia. Mentre da un lato si susseguono i comunicati ufficiali che invocano un'Europa più intraprendente e più competitiva, dall'altro la situazione diventa ogni giorno più ingiustificabile.

4.4.2

Il Comitato ribadisce pertanto il suo invito alla Commissione a presentare quanto prima un progetto di regolamento sullo statuto in parola.

4.5

Un insuccesso particolarmente emblematico è quello del brevetto comunitario che, dopo la firma avvenuta nel 1975, non è stato ancora ratificato da tutti gli Stati membri.

4.5.1

I ripetuti appelli del Consiglio europeo agli Stati membri (e quindi a se stesso) a trovare finalmente una soluzione sono stati vani. Gli inventori europei continuano ad essere soggetti a un sistema complesso e costoso per proteggere i loro diritti in modo efficace. Per un'Unione europea che si è posta l'obiettivo di diventare, entro il 2010, l'economia fondata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, questo blocco è indice di un'impotenza deplorevole.

4.5.2

Se un accordo unanime dovesse continuare a dimostrarsi impossibile, il Comitato suggerisce di cominciare ad applicare già il brevetto comunitario negli Stati membri che l'hanno ratificato, in base a modalità efficaci, semplici e competitive.

4.6

La soppressione della doppia imposizione fiscale fra gli Stati membri continua ad essere disciplinata da un groviglio tanto complesso quanto incompleto di centinaia di convenzioni bilaterali tra i diversi paesi, che lasciano i cittadini soggetti alla discrezionalità delle amministrazioni fiscali, le quali a loro volta, spesso, sono molto poco informate in merito alle disposizioni applicabili.

4.6.1

Il progetto di un regolamento unico e semplificato, presentato dalla Commissione per risolvere questo problema, non è andato in porto per mancanza di un accordo unanime degli Stati membri.

4.6.2

Sarebbe un buon passo avanti se queste disposizioni venissero approvate e applicate sin d'ora dagli Stati membri in grado di farlo. In particolare, sarebbe logico se tutti gli Stati membri della zona dell'euro decidessero di adottare il testo della proposta.

4.6.3

Il Comitato sottolinea anche la necessità di garantire una vera trasferibilità delle prestazioni sociali, senza alcuna discriminazione fiscale, nel quadro della mobilità intracomunitaria. In tale contesto richiama soprattutto l'attenzione sul suo recente parere sulla trasferibilità dei diritti a pensione complementare (4) e chiede un'armonizzazione dell'imposizione sui regimi pensionistici complementari, elemento assente dal progetto di direttiva: un trattamento fiscale diverso a seconda degli Stati membri rappresenta infatti un serio ostacolo alla mobilità in quanto i lavoratori rischiano di essere soggetti a una doppia imposizione sui contributi e sulle prestazioni pensionistiche.

5.   Sviluppare una governance dell'Unione maggiormente imperniata sui cittadini

5.1

Ancora troppo spesso la costruzione europea viene percepita come una faccenda che riguarda gli Stati, mentre i cittadini vengono relegati a un ruolo secondario. Per porre rimedio a questa situazione bisognerebbe creare una governance dell'Unione più vicina ai cittadini, ossia assicurare che il funzionamento dell'Unione sia più chiaramente al servizio dei cittadini: promuovere un approccio più europeo da parte dei mezzi di comunicazione, analizzare più accuratamente l'impatto dei vari progetti per i cittadini, utilizzare meglio le procedure di dialogo e di consultazione, spiegare i motivi per cui le proposte vengono bloccate o ritirate, promuovere maggiormente gli approcci di autoregolamentazione e di coregolamentazione, incentivare le contrattazioni collettive fra le parti sociali, attuare un concetto di servizio pubblico che dia impulso al mercato unico, con dogane esterne comunitarizzate, sviluppare un'informazione europea più interattiva, e infine coinvolgere le parti sociali e gli altri rappresentanti della società civile, sul terreno, nell'attuazione dei programmi che beneficiano di aiuti comunitari. Qui di seguito vengono illustrate queste diverse esigenze.

5.2

Se da un lato oggi i mass media vengono equiparati a un «quarto potere» che va ad aggiungersi a quello legislativo, esecutivo e giudiziario, dall'altro sorprende constatare che in questo campo, diversamente da quanto avviene per gli altri tre settori, la dimensione europea non abbia lasciato alcuna impronta, malgrado costituisca il «potere» più visibile e familiare a tutti. Non esistono grandi canali radiofonici e televisivi di portata e carattere europeo e nel panorama mediatico lo stesso multilinguismo è relegato in secondo piano. Proporzionalmente i media presentano pochissimi dibattiti e trasmissioni sulle politiche europee. La vita delle istituzioni europee, tranne eventi episodici quali i vertici europei, le crisi e le nuove adesioni, non viene praticamente commentata e resta riservata. Da una recente indagine Eurobarometro, ad esempio, si evince che solo il 30 % delle persone che si dichiarano interessate alle questioni europee (e quindi una percentuale nettamente inferiore se si considera l'intera popolazione) sarebbe in grado di dare tre risposte corrette a tre domande basilari (numero di Stati membri, elezione o designazione dei deputati europei, rappresentanza o meno di tutte le nazionalità alla Commissione). Per porre rimedio a questa disinformazione cronica, sarebbe quindi opportuno applicare opportune misure, ad esempio:

5.2.1

suscitare nei media nazionali lo spirito d'emulazione sui temi europei, incoraggiandoli a dedicare maggior spazio all'informazione sulla vita politica dell'Unione,

5.2.2

promuovere e coordinare iniziative su quei temi nei media, se del caso con il sostegno di un'Agenzia europea dei mezzi audiovisivi che agirebbe in collaborazione con eventuali organismi analoghi a livello nazionale.

5.3

Per quanto riguarda il funzionamento delle istituzioni europee, gli ultimi Trattati hanno puntato più sulle procedure di codecisione (conferendo giustamente maggiori poteri al Parlamento europeo) che non sulle modalità di consultazione, che richiederebbero molti miglioramenti.

5.3.1

All'atto pratico, soprattutto in seguito al Libro bianco sulla governance europea presentato dalla Commissione nel 2002, sono già stati compiuti primi progressi tangibili: un maggiore ricorso ai Libri verdi, consultazioni pubbliche su Internet (anche se di portata ineguale sotto il profilo operativo), richieste di pareri esplorativi rivolte al CESE in una fase più precoce dell'iter legislativo.

5.3.2

Fra i progressi che restano da fare va citato il ricorso più sistematico alle valutazioni preliminari dell'impatto delle proposte presentate dalla Commissione, analisi che dovrebbero accompagnare ciascuna proposta e dovrebbero vertere in modo particolare sul valore aggiunto e sulla reale semplificazione offerta ai cittadini e agli utenti, nonché sulla possibilità di adottare approcci alla regolamentazione alternativi a quello classico. In particolare, non sarà possibile garantire una reale semplificazione della regolamentazione senza coinvolgere a monte i rappresentanti degli utenti e senza attuare programmi di semplificazione paralleli a livello nazionale.

5.3.3

Si dovrebbe altresì provvedere a migliorare la qualità delle consultazioni; in particolare, la Commissione dovrebbe dimostrare quale seguito è stato dato ai dibattiti, specificando per quale motivo sono state accolte talune opzioni e argomentazioni piuttosto di altre. In ogni caso, la fase di consultazione dovrebbe essere ben distinta da quella di decisione o di codecisione, cosa che spesso non avviene affatto. A parte il caso dei pareri esplorativi già citati, troppo spesso l'efficacia delle consultazioni dello stesso Comitato è compromessa dalla consultazione parallela e simultanea degli organi decisionali.

5.3.4

Il Consiglio europeo del marzo 2006 ha chiesto a giusto titolo che le parti sociali e gli altri attori della società civile direttamente interessati dalla strategia di Lisbona abbiano un maggiore controllo sul processo detto, appunto, di Lisbona. Inoltre, il Comitato constata con soddisfazione che il Consiglio gli ha rinnovato il mandato di contribuire, assieme al Comitato delle regioni, a valutare e promuovere l'attuazione della suddetta strategia. Le reti di scambio che il Comitato ha messo a punto a tal fine con i consigli economici e sociali o con gli organismi rappresentativi analoghi degli Stati membri contribuiscono utilmente ad una governance dell'Unione più attenta ai cittadini.

5.3.5

Sul piano nazionale, sarebbe auspicabile che i governi e i parlamenti consultassero sistematicamente le parti sociali prima del Consiglio europeo di autunno e di primavera, al fine di coinvolgerle nella preparazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche e degli orientamenti per l'occupazione, nonché nell'attuazione della strategia di Lisbona. Le relazioni nazionali degli Stati membri dovrebbero fare esplicito riferimento a queste consultazioni.

5.4

Le istituzioni europee dovrebbero sentirsi tenute a consultare in modo adeguato i cittadini e le loro organizzazioni rappresentative non solo prima dell'adozione dei progetti o degli orientamenti che li riguardano, ma anche quando un progetto venga bloccato a lungo o ritirato, affinché sia possibile:

conoscere con precisione i motivi, le argomentazioni e le responsabilità del blocco in seno al Consiglio o del ritiro di una proposta da parte della Commissione,

conoscere il parere dei rappresentanti della società civile in merito ai possibili approcci alternativi per rimediare alle conseguenze più negative di un tale blocco o di un tale ritiro.

5.5

Un altro importante passo avanti verso una cittadinanza europea visibile ed efficace consisterebbe nel promuovere maggiormente l'approccio della coregolamentazione e dell'autoregolamentazione, in base al quale gli attori socioprofessionali vengono anch'essi coinvolti — e non solo consultati — nel quadro della definizione delle norme economiche o sociali che li riguardano direttamente.

5.5.1

Si è dovuto aspettare il Trattato di Maastricht del 1992 perché la capacità contrattuale delle parti sociali nel quadro di un dialogo autonomo, sia sul piano interprofessionale che a livello settoriale, venisse riconosciuta ufficialmente, ed è stato necessario un ulteriore decennio prima che un accordo interistituzionale europeo, concluso nel dicembre 2003 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, riconoscesse appieno l'autoregolamentazione e la coregolamentazione da parte degli attori della società civile in altri campi, precisandone le definizioni e le modalità.

5.5.2

Queste pratiche sono già notevolmente sviluppate e, oltre al dialogo sociale, riguardano soprattutto le norme tecniche e professionali, i servizi, i consumatori, il risparmio energetico e l'ambiente (5). Tuttavia esse sono ancora lungi dall'aver raggiunto il livello di sviluppo che meriterebbero, anche se, in un modo o nell'altro, interessano già tutti i cittadini europei.

5.5.3

Per promuovere un migliore esercizio della cittadinanza europea nelle regioni di confine sarebbe in particolare utile promuovere uno sviluppo della negoziazione collettiva transnazionale, come previsto dalla Commissione nella comunicazione del 2005 sull'Agenda sociale.

5.5.4

Lo sviluppo dell'autoregolamentazione e della coregolamentazione parallelamente all'azione del legislatore e, se del caso, sotto il suo controllo, dovrebbe permettere progressi dell'Europa e dei diritti di cittadinanza degli europei in moltissimi settori, ad esempio:

numerosi aspetti delle relazioni di lavoro, che possono riguardare l'occupazione, le condizioni di lavoro, la formazione professionale iniziale e permanente, la partecipazione, la protezione sociale,

la realizzazione di un vero mercato europeo dei servizi,

il rafforzamento dei diritti dei consumatori nel mercato interno,

il miglioramento dell'ambiente.

5.5.5

Da parte sua il Comitato ha adottato un approccio sistematico inteso a censire e incoraggiare le pratiche di regolamentazione alternative, ad esempio per quanto riguarda la risoluzione delle controversie, in particolare tramite le sue audizioni e la banca dati PRISM 2, che è stata ammodernata e costituisce il principale riferimento sullo stato dell'autoregolamentazione in Europa.

5.6

Tanto la normativa europea classica (direttive, regolamenti) quanto la coregolamentazione e l'autoregolamentazione dovrebbero contribuire ad approfondire il mercato unico e a migliorarne il funzionamento. I cittadini europei dovrebbero essere in grado di considerare il mercato unico come una dimensione naturale delle loro iniziative e delle loro attività.

5.6.1

Pur rappresentando un contesto naturale di emulazione e concorrenza fra gli operatori economici, il mercato unico non andrebbe posto in una contrapposizione frontale e sistematica con i concetti di servizio pubblico e d'interesse generale, che meritano anch'essi di essere valorizzati a livello europeo. Pertanto, nell'esercizio delle proprie funzioni, le varie agenzie europee istituite nei diversi Stati membri per contribuire a numerosi aspetti del funzionamento del mercato unico dovrebbero assumersi veri e propri «compiti europei di servizio pubblico». Orientamenti di questo tipo potrebbero essere utili nel dibattito sull'apertura dei servizi pubblici a livello europeo. Contribuirebbero infatti a superare l'opposizione riduttrice tra coloro che concepiscono i servizi pubblici solo in termini nazionali e coloro che equiparano a tutti i costi l'apertura europea a un aumento delle privatizzazioni.

5.6.2

Sempre in quest'ottica, a lungo termine le frontiere esterne dell'Unione andrebbero gestite da un'amministrazione comunitaria delle dogane contraddistinta da un logo identico in tutta Europa, piuttosto che da amministrazioni nazionali. Un primo passo consisterebbe nel creare, in collegamento con l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, un corpo di guardie di frontiera e di ispettori europei, prevedendo al medesimo tempo un modulo di formazione comune per tutti i doganieri e sviluppando maggiormente gli scambi reciproci, che attualmente hanno carattere troppo episodico. Sarebbero altresì necessari un'armonizzazione dei reati e delle sanzioni, come pure il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni giudiziarie e amministrative tra gli Stati membri.

5.6.3

Parallelamente, l'Europa dovrebbe dotarsi di un dispositivo comune di protezione civile mobile e performante, in grado di fornire un sostegno rapido ed efficace agli Stati membri e alle loro popolazioni in caso di catastrofi naturali o di atti terroristici.

5.6.4

Per quanto riguarda l'informazione dei cittadini in merito ai loro diritti e opportunità nel mercato unico, in tutti gli Stati membri andrebbero fornite informazioni (finora perlopiù inesistenti) in merito ai centri Solvit e ad altri punti di contatto sull'Europa creati in tutti gli Stati membri per aiutare i cittadini a risolvere i problemi che possono ancora incontrare negli scambi. Da quando sono state create le agenzie europee citate hanno fatto ben poco per farsi conoscere dal pubblico. Per rimediare a questa situazione andrebbero organizzate delle campagne d'informazione.

5.6.5

Inoltre, le informazioni sul funzionamento dell'Europa e del mercato unico, come pure sui diritti e le libertà dei cittadini in questo campo, dovrebbero adattarsi bene alle aspettative e al linguaggio degli interlocutori. Spesso è necessario prendere come riferimento le domande e le aspirazioni, soprattutto dei giovani, piuttosto che fornire delle risposte già pronte, formulate ex cathedra. Lo sviluppo dei punti di contatto e di informazione sull'Europa dovrebbe andare di pari passo con la reale capacità di tener pienamente conto del linguaggio, dell'approccio e del punto di vista degli interlocutori attraverso un dialogo interattivo che consenta un migliore assorbimento delle informazioni sull'Europa a seconda delle caratteristiche di ciascuno. L'uso di Internet risponde bene a questo obiettivo e dovrebbe essere sfruttato appieno sia dalle istituzioni europee che dalle organizzazioni della società civile, al fine di accrescere l'efficacia della cittadinanza europea.

5.7

Resta peraltro molto da fare per coinvolgere i cittadini europei negli interventi dei fondi strutturali. Mentre le disposizioni che disciplinano gli aiuti comunitari ai paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) prevedono espressamente un profondo coinvolgimento della società civile (cfr. l'accordo di Cotonou), paradossalmente non esiste nulla di simile per la partecipazione delle parti sociali e di altri attori rappresentativi della società civile organizzata europea alla politica di coesione condotta dall'UE.

5.7.1

Gli orientamenti strategici presentati dalla Commissione per il periodo 2007-2013 contengono solo riferimenti informali a una tale consultazione/partecipazione, ma i testi proposti — che si tratti degli orientamenti o dei regolamenti sui fondi strutturali — non prevedono disposizioni esplicite al riguardo.

5.7.2

Si dovrebbe porre rimedio a questa situazione e fare in modo che i testi prevedano una tale partecipazione, con disposizioni direttamente applicabili da parte delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri.

6.   Promuovere iniziative comuni incentrate sull'identità europea

6.1

I cittadini europei, aspettandosi dall'Europa un valore aggiunto rispetto alla loro identità nazionale, regionale e locale, constatano troppo spesso che questo incremento di valori è modesto se non addirittura superficiale. Indubbiamente, poco per volta i governanti europei, con le loro decisioni, hanno compiuto progressi significativi e sempre più rilevanti: inno, bandiera e passaporto europei, assistenza reciproca delle ambasciate e dei consolati e, ovviamente, una moneta unica con l'euro che viene già utilizzato in 12 Stati membri.

6.1.1

Tuttavia questi progressi sono stati realizzati in modo molto graduale e attualmente coesistono con forti ritardi sul piano dell'identità comune in altri settori spesso strettamente collegati. Per porvi rimedio si dovrebbe articolare il concetto di sussidiarietà non in un senso che va sistematicamente dall'alto verso il basso, ma in un senso adattato ai singoli casi, per i quali spesso può essere necessario l'intervento europeo.

6.1.2

In quest'ottica andrebbero promosse iniziative incentrate sull'identità europea, ad esempio: dare priorità al finanziamento dei grandi progetti europei, investire in programmi europei ambiziosi nel campo dell'istruzione e della formazione (prevedendo anche un servizio civile europeo volontario per i giovani), invitare personaggi celebri a rivendicare pubblicamente la loro identità europea, investire in programmi europei altrettanto ambiziosi nel campo della cultura e dei media (prevedendo uno statuto comune per le fondazioni e il mecenatismo), conseguire progressi particolari sul piano dell'integrazione economica e sociale al livello della zona euro. Sarebbe altresì necessario adottare decisioni con un alto significato politico come, ad esempio, organizzare le elezioni europee il medesimo giorno, ufficializzare in modo solenne la giornata dell'Europa e prevedere fin da ora un diritto europeo d'iniziativa popolare. Queste diverse raccomandazioni vengono presentate in modo più approfondito qui di seguito.

6.2

Il fatto che le risorse del bilancio comunitario siano modeste (6) dovrebbe essere un ulteriore motivo per destinare una parte più cospicua del bilancio al finanziamento di progetti veramente europei.

6.2.1

I beneficiari di tali finanziamenti dovrebbero essere soprattutto le regioni di confine, che costituisco dei «punti di saldatura dell'Europa» e che, sul piano della coesione, risentono più delle altre dell'insufficiente armonizzazione tra gli Stati membri. Agli attori socioprofessionali delle regioni transfrontaliere andrebbe riconosciuto un ruolo centrale nell'elaborazione e nell'attuazione dei programmi transfrontalieri. Andrebbe pertanto destinata loro una percentuale significativa del bilancio comunitario, quota che dovrebbe aumentare nell'arco di più anni. In particolare, andrebbe aumentata la dotazione finanziaria del programma EURES e le sue attività dovrebbero trovare riscontro nelle pubblicazioni e nei programmi televisivi e radiofonici regionali.

6.2.2

I finanziamenti comunitari, con l'appoggio di efficaci partenariati pubblico-privato, dovrebbero anche promuovere lo sviluppo di reti transeuropee (nel settore dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni) al servizio di un'Europa più performante e dotata di collegamenti migliori. Attualmente, però, vi è la tendenza opposta, come dimostra la decisione del Consiglio europeo del dicembre 2005 di ridurre della metà gli stanziamenti inizialmente proposti dalla Commissione per tali reti per il periodo 2007-2013, taglio reso poi attenuato da un successivo accordo con il Parlamento europeo.

6.2.3

Andrebbero altresì sviluppati maggiormente grandi progetti industriali e tecnologici europei avvalendosi del bilancio comunitario o di contributi speciali degli Stati membri che desiderano parteciparvi. I successi già ottenuti nel campo dell'aeronautica e dello spazio indicano la strada da seguire. Successi del genere rafforzano molto, nell'opinione pubblica, l'immagine dell'Europa e un senso comune di appartenenza, migliorando al tempo stesso la competitività europea. Resta però un ampio territorio da esplorare in termini di cooperazione e integrazione industriale e tecnologica nel settore della difesa e della sicurezza.

6.3

Andrebbero avviate iniziative ambiziose anche per rafforzare la cittadinanza europea mediante l'istruzione e la formazione su vari temi, non da ultimo la stessa Europa.

6.3.1

Nelle scuole di tutti i livelli: scuole primarie, secondarie e università andrebbe previsto un modulo didattico comune sull'Europa. L'apprendimento delle lingue dovrebbe essere notevolmente incoraggiato, basandosi su una griglia di riferimento comune dei livelli di apprendimento (ad esempio generalizzando l'iniziativa del Consiglio d'Europa, con la quale è stato istituito un «portafoglio» europeo delle lingue). L'apertura all'Europa dovrebbe essere garantita non tanto mediante insegnamenti accademici, quanto piuttosto attraverso scambi, tirocini, soggiorni ed esperienze pratiche. Andrebbero altresì favoriti in via prioritaria i gemellaggi e i percorsi scolastici e universitari europei. Anche nelle scuole di giornalismo andrebbe previsto un ampio corso dedicato allo studio di temi europei.

6.3.2

I giovani dovrebbero avere la possibilità di svolgere un servizio civile europeo volontario, interessante e formativo, su una scala molto più ampia rispetto alle prime esperienze fatte, che finora hanno coinvolto solo qualche migliaio di giovani. Una tale opportunità integrerebbe utilmente gli scambi di studenti organizzati nel quadro dei programmi Erasmus e Leonardo, che già si sono dimostrati un vero successo e di cui hanno beneficiato parecchi milioni di giovani.

6.3.3

Per promuovere un senso di identificazione con l'Europa, potrebbero essere organizzate campagne di comunicazione durante le quali personaggi celebri del mondo della cultura o dello sport potrebbero rivendicare la loro autentica identità europea per suscitare maggiore fierezza nel senso di appartenenza all'Europa.

6.4

Analogamente dovrebbero essere anche promosse iniziative ambiziose intese a valorizzare la cultura europea e ad incentivarne la diffusione nei media.

6.4.1

La ricchezza della cultura europea andrebbe maggiormente sfruttata per dare risalto sia alla solidità delle sue radici comuni sia alla grande diversità dei suoi modi di espressione. Si dovrebbe altresì promuovere la trasmissione di film, opere e programmi di altri Stati membri in lingua originale sottotitolata, facilitando così anche l'apprendimento delle lingue straniere da parte dei cittadini europei e il mantenimento di tali conoscenze linguistiche.

6.4.2

L'Unione europea dovrebbe incoraggiare la fondazione di una scuola cinematografica europea e promuovere, sul modello degli Oscar, dei premi (denominati ad esempio «Stelle» o «Luci») per ricompensare i migliori autori, registi e attori europei.

6.4.3

Anche il successo di un ambizioso programma culturale europeo dai molteplici risvolti economici e sociali verrebbe facilitato notevolmente promuovendo le fondazioni e il mecenatismo a livello comunitario. Predisponendo uno statuto europeo interessante in questi settori si contribuirebbe direttamente ad intensificare una tale cooperazione.

6.5

Infine, si dovrebbe compiere una riflessione specifica sull'euro. Attualmente sembra proprio che gli Stati che hanno adottato la moneta unica la considerino più un punto di arrivo che un punto di partenza. I cittadini della zona dell'euro potrebbero giustamente interrogarsi su questo atteggiamento.

6.5.1

Sul piano economico, poi, che cosa aspettano i paesi della zona dell'euro per approfondire la loro integrazione, intensificare gli scambi finanziari e avviare una maggiore armonizzazione fiscale? Per quale motivo l'Eurogruppo, che riunisce i dodici ministri delle Finanze della zona dell'euro, è ancora tanto lontano dal costituire l'embrione di un nuovo governo economico della zona euro, di fronte a una Banca centrale europea che è già federale? Perché non viene valutata la possibilità di prevedere una rappresentanza economica e finanziaria unica per i paesi della zona euro (in seno al FMI, al G7, ecc.) per avere un peso maggiore specialmente rispetto al dollaro? Per quale motivo i paesi della zona dell'euro non hanno ancora avviato una stretta cooperazione reciproca in materia di bilancio?

6.5.2

In un momento in cui si fa maggiormente sentire l'esigenza di attuare la strategia di Lisbona in maniera più efficace e più convergente, per quale motivo l'Eurogruppo è ancora limitato ai ministri dell'Economia e delle Finanze e non è stato creato il suo equivalente per i ministri degli Affari sociali? Nella sua duplice formazione (Ecofin e Affari sociali), a cui potrebbero aggiungersi anche i ministri dell'Industria, l'Eurogruppo non potrebbe adottare degli approcci più efficaci in merito alle riforme economiche e sociali, dare il buon esempio per quanto riguarda la promozione della ricerca e l'attuazione del brevetto comunitario e presentare, sull'attuazione della strategia di Lisbona, una relazione comune che si aggiungerebbe alle relazioni nazionali?

6.5.3

I cittadini dei paesi della zona dell'euro andrebbero consultati in modo approfondito e strettamente coinvolti in queste scelte, in particolare attraverso le loro organizzazioni rappresentative. Andrebbero altresì incoraggiati ad organizzare le loro proprie iniziative al livello della zona dell'euro. In questo modo tale zona, laboratorio di un'integrazione economica e sociale più avanzata, diventerebbe anche il laboratorio di una cittadinanza europea più consolidata.

6.5.4

Beninteso, occorrerà però anche evitare di compromettere la coesione complessiva dell'Unione: i paesi che non appartengono alla zona dell'euro dovrebbero essere quindi debitamente informati, consultati e, per quanto possibile, associati a questa maggiore cooperazione, alla quale dovranno molto probabilmente partecipare fino in fondo non appena avranno adottato l'euro.

6.6

Infine, sul piano puramente politico, talune misure, come quelle indicate qui sotto, contribuirebbero a migliorare in modo sostanziale la cittadinanza europea, aumentandone la visibilità e l'efficacia:

6.6.1

fissare il medesimo giorno per le elezioni europee a suffragio universale: la serata elettorale autenticamente europea che ne seguirebbe permetterebbe di conferire una dimensione completamente diversa ai dibattiti, agli interventi e ai commenti e collocherebbe le sfide politiche nella loro vera dimensione europea anziché circoscriverle, in modo del tutto improprio e sbagliato, solo alla loro dimensione nazionale, come attualmente avviene molto spesso,

6.6.2

ufficializzare solennemente la giornata dell'Europa (9 maggio), che meriterebbe di diventare un giorno festivo europeo (a tal fine gli Stati membri potrebbero sopprimere un altro giorno festivo, a scelta), da celebrare con manifestazioni e programmi, soprattutto culturali, improntati direttamente all'Europa,

6.6.3

prevedere il diritto europeo di iniziativa popolare, anticipando l'applicazione delle disposizioni del Trattato costituzionale (un milione di firme di cittadini di diversi Stati membri). La Commissione europea potrebbe quindi impegnarsi sin da ora ad esaminare e, se del caso, ad inoltrare tutte le proposte di iniziative popolari che hanno raggiunto una tale soglia. Essa si impegnerebbe altresì a rendere noti i motivi precisi per i quali potrebbe anche decidere di non dar seguito a una tale iniziativa.

7.   Conclusioni

7.1

Tutto sommato, al di là delle dichiarazioni e delle «carte», una cittadinanza europea più visibile e più efficace non può essere imposta per decreto. Essa va meritata ed esercitata; ha carattere evolutivo, è una forza propulsiva e si consoliderà solo man mano che verrà concretamente esercitata. E sarà solo sviluppando la dimensione partecipativa «orizzontale» della costruzione europea che la cittadinanza europea potrà garantire la piena accettazione e la stabilità della dimensione «verticale» di tale costruzione.

7.2

Attualmente la cittadinanza europea attiva ha bisogno di strumenti non tanto dichiarativi quanto piuttosto operativi, che finora, troppo spesso, sono mancati. Occorre ora dare agli europei gli strumenti che attendono e che sapranno utilizzare bene. Non vi è dubbio che essi riusciranno allora a conferire all'Europa una nuova identità e un nuovo dinamismo, nonché quella maggiore competitività e coesione che gli Stati membri attualmente faticano a garantire.

7.3

Per dar seguito alle presenti raccomandazioni e contribuire a promuovere autentici progressi, a vantaggio dei cittadini europei, il Comitato economico e sociale europeo intende creare un gruppo permanente «Cittadinanza europea attiva», incaricato in particolare di:

seguire l'andamento dei progressi e dei ritardi in questo settore,

promuovere il dialogo pubblico con gli attori della società civile,

incoraggiare e far conoscere meglio le iniziative e le migliori pratiche.

7.4

Per avviare e orientare il lavoro di monitoraggio e le necessarie misure per darvi un seguito il Comitato organizzerà un convegno sulla cittadinanza europea attiva, come già aveva previsto nel suo precedente parere in merito al programma d'azione per una cittadinanza attiva (7).

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere del CESE sul tema Contributo del CESE al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006Periodo di riflessione (relatore: MALOSSE).

(2)  Parere del CESE, del 26.10.2005, in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, per il periodo 2007-2013, il programma «Cittadini per l'Europa» mirante a promuovere la cittadinanza europea attiva (relatore: LE SCORNET; GU C 28 del 3.2.2006).

(3)  Parere del CESE, del 21.3.2002, sul tema L'accesso delle PMI ad uno statuto di diritto europeo (relatore: MALOSSE; GU C 125 del 27.5.2002, pag. 100).

(4)  Parere del CESE, del 20.4.2006, in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della trasferibilità dei diritti a pensione complementare (relatrice: ENGELEN-KEFER).

(5)  Cfr. la relazione informativa adottata dalla sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo l'11.1.2005 sul tema La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico, relatore VEVER.

(6)  Percentuali indicative pur se in contesti assai diversi: bilancio dell'UE = 1 % del PIL complessivo dei 25 Stati membri, bilancio federale degli Stati Uniti: 20 % del PIL complessivo degli Stati.

(7)  Parere del CESE, del 26.10.2005, in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, per il periodo 2007-2013, il programma «Cittadini per l'Europa» mirante a promuovere la cittadinanza europea attiva (relatore: LE SCORNET; GU C 28 del 3.2.2006).


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/173


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010

COM(2006) 92 def.

(2006/C 318/29)

La Commissione, in data 1o marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ATTARD.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il presente parere con 175 voti favorevoli, 11 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE plaude alla volontà politica della Commissione di mantenere il tema della parità tra donne e uomini in cima all'agenda per il periodo 2006-2010. Il Comitato apprezza l'impegno personale del Presidente BARROSO riguardo all'adozione di tale programma e concorda sull'importanza di coinvolgere tutte le parti interessate nell'attuazione di queste priorità.

1.2   Il CESE:

riconosce che per accrescere il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro è necessario stabilire priorità comuni nel coordinamento delle politiche occupazionali,

ritiene che i governi nazionali, gli enti nazionali per le pari opportunità e le parti sociali di tutti gli Stati membri abbiano il preciso dovere di accertarsi che i sistemi retributivi da loro adottati non diano origine a disparità retributive tra uomini e donne,

raccomanda che le strategie relative alle donne imprenditrici mirino a migliorare l'accesso delle donne ai crediti e ai servizi bancari,

raccomanda che i programmi scolastici nazionali di livello secondario e superiore comprendano l'educazione all'imprenditorialità, soprattutto per le giovani donne, e caldeggia l'adozione di misure volte ad accrescere il numero di laureate nelle discipline tecnico-scientifiche, in modo da ridurre il divario occupazionale che caratterizza settori tecnici come l'ingegneria e i servizi legati alle TIC,

propone di intensificare le strategie relative all'uguaglianza tra i sessi in materia di protezione sociale e di lotta alla povertà, in modo tale che i regimi fiscali e previdenziali tengano conto delle esigenze delle donne a rischio di povertà, con particolare attenzione alle ragazze madri; ricorda inoltre la necessità di lanciare proposte concrete per incoraggiare i genitori soli a sviluppare competenze spendibili sul mercato del lavoro, migliorando le proprie possibilità di accedervi,

ritiene che le strategie nazionali per la salute e le cure di lunga durata dovrebbero contenere politiche integrate che affrontino la questione delle norme sanitarie nei luoghi di lavoro in un'ottica femminile,

esorta a considerare, a studiare e ad analizzare più a fondo gli effetti derivanti dalla necessità di assistere familiari malati e il conseguente deterioramento della salute fisica e mentale delle donne,

propone che il metodo aperto di coordinamento venga applicato al settore della sanità e stabilisca obiettivi specifici in materia di parità tra i sessi,

riconosce il fenomeno della femminilizzazione dell'emigrazione e raccomanda che il tema della parità tra i sessi venga integrato compiutamente nelle politiche e nelle azioni comunitarie a ogni stadio del processo migratorio,

concorda con l'importanza di mettere a punto apposite misure, tra cui la definizione di obiettivi e indicatori precisi per garantire la disponibilità di servizi di assistenza ai bambini, agli anziani e ai disabili non autonomi,

raccomanda di fissare obiettivi e scadenze al fine di accrescere la partecipazione delle donne a tutte le forme di processo decisionale,

raccomanda la messa a punto di un piano d'azione europeo relativo alla violenza sulle donne,

invita gli Stati membri a garantire che vengano applicate misure intese ad accordare più diritti e sostegno alle vittime dei traffici finalizzati allo sfruttamento sessuale,

raccomanda lo sviluppo di azioni paneuropee di sensibilizzazione basate sulla «tolleranza zero» nei confronti degli insulti sessisti e delle immagini degradanti delle donne nei media,

ritiene che gli Stati membri dovrebbero sincerarsi che le comunicazioni commerciali audiovisive non comportino discriminazioni basate su razza, sesso o nazionalità, come raccomandato nella direttiva proposta dalla Commissione sul coordinamento di determinate disposizioni riguardanti l'esercizio delle attività televisive (1),

raccomanda l'introduzione di moduli sulle problematiche di genere negli organismi preposti alla formazione degli operatori dei media, nonché meccanismi rigorosi volti a un equilibrio tra donne e uomini a tutti i livelli decisionali nell'industria dei media,

raccomanda che, nel contesto della politica comunitaria di aiuto allo sviluppo, le donne abbiano un accesso adeguato agli aiuti finanziari dell'UE e che questi ultimi siano convogliati soprattutto tramite progetti nazionali realizzati da organizzazioni femminili,

raccomanda che la politica di aiuti umanitari della Commissione europea (ECHO) dia importanza prioritaria all'aiuto e all'assistenza finanziaria per le donne vittime di atti di violenza sessuale commessi nel corso di conflitti bellici,

ritiene che il miglioramento della governance sulla parità tra i sessi sia essenziale per rispettare la tabella di marcia, e raccomanda di potenziare i meccanismi di consultazione e di dialogo con la società civile organizzata, in particolare con le organizzazioni femminili di livello nazionale,

esorta a creare, nell'ambito della DG Bilancio della Commissione, un gruppo di lavoro incaricato di integrare le pari opportunità nell'elaborazione del bilancio e di procedere a una valutazione annuale dell'impatto del bilancio comunitario distinta per genere.

2.   Motivazione

2.1   Sintesi del documento della Commissione

2.1.1

L'UE ha compiuto progressi considerevoli nella realizzazione della parità di genere grazie alla legislazione sulla parità di trattamento, all'integrazione della dimensione di genere nelle diverse politiche, a provvedimenti specifici per la promozione della condizione femminile, ai programmi d'azione, al dialogo sociale e a quello con la società civile. Ciò non toglie che le disparità permangano e possano aggravarsi, poiché l'intensificarsi della concorrenza economica su scala mondiale rende necessaria una forza lavoro più mobile e flessibile. Questo stato di cose può ripercuotersi maggiormente sulle donne, che spesso sono costrette a scegliere tra i figli e la carriera per via della scarsa flessibilità degli orari di lavoro e dei servizi di custodia dei bambini, del persistere degli stereotipi di genere e dell'ineguale carico di responsabilità familiari rispetto agli uomini.

2.1.2

La tabella di marcia della Commissione delinea sei ambiti prioritari dell'azione dell'UE in tema di parità di genere per il periodo 2006-2010:

pari indipendenza economica per le donne e gli uomini,

equilibrio tra attività professionale e vita privata,

pari rappresentanza nel processo decisionale,

eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere,

eliminazione di stereotipi sessisti,

promozione della parità tra i sessi nelle politiche esterne e di sviluppo.

Per ciascun settore si indica una serie di obiettivi e di interventi prioritari. La Commissione non può conseguire questi obiettivi da sola, poiché in numerosi settori il baricentro dell'azione si colloca al livello degli Stati membri. La tabella di marcia esprime quindi l'impegno della Commissione a proseguire sulla strada della parità di genere, rafforzando la collaborazione con gli Stati membri e gli altri soggetti interessati.

2.1.3

Per migliorare la governance sulla parità tra i sessi, la Commissione definisce inoltre un certo numero di azioni chiave e si impegna a seguire da vicino i progressi realizzati.

2.2   Osservazioni generali

2.2.1

Il CESE plaude alla volontà politica della Commissione di accordare un posto prioritario alla parità di genere nell'agenda per il periodo 2006-2010. Il Comitato mostra apprezzamento per l'impegno personale assunto dal Presidente BARROSO riguardo all'adozione del programma in questione, e concorda sulla necessità di coinvolgere tutte le parti interessate nell'attuazione di queste priorità.

2.2.2

La parità tra i sessi è un diritto fondamentale, un valore che accomuna Unione europea e Stati membri e una condizione necessaria per il conseguimento degli obiettivi di crescita, occupazione e coesione sociale dell'UE, che costituiscono anche le colonne portanti dell'agenda di Lisbona. Il CESE sostiene la strategia definita nella tabella di marcia, la quale si fonda su un duplice approccio: integrazione della dimensione di genere nelle diverse politiche e adozione di misure specifiche.

2.2.3

L'attuale posizione delle donne sul mercato del lavoro non rispecchia pienamente i progressi da esse realizzati anche in settori chiave quali l'istruzione e la ricerca. L'UE non può permettersi in alcun modo di non ottimizzare il capitale umano di cui dispone: le tendenze demografiche, che si traducono nel calo dei tassi di natalità e nella contrazione della manodopera, sono infatti problemi che minacciano il ruolo politico ed economico dell'UE.

2.2.4

Il CESE accoglie inoltre con favore l'impegno della Commissione ad affrontare e eliminare la violenza sessuale e la tratta di esseri umani, fenomeni che rappresentano altrettanti ostacoli alla realizzazione della parità tra i sessi e che violano i diritti fondamentali delle donne.

2.2.5

Sostiene inoltre l'impegno della Commissione a interrogarsi sulle sfide che si pongono a livello mondiale, e a tutelare e integrare sistematicamente i diritti delle donne nelle politiche, nelle azioni e nei pertinenti programmi esterni dell'UE.

2.3   Osservazioni specifiche sulla Parte I — Ambiti prioritari dell'azione a favore della parità tra donne e uomini

2.3.1

Per intervenire efficacemente nei settori prioritari indicati nella tabella di marcia, occorre mettere a punto strategie integrate e garantire che la parità tra donne e uomini sia esplicitamente considerata e integrata in tutte le politiche al livello più appropriato, sia esso comunitario o nazionale. I meccanismi e le risorse dell'UE vanno potenziati ai fini di un'efficace integrazione della dimensione di genere a livello nazionale, conformemente al patto europeo per la parità di genere adottato in occasione del Consiglio di primavera 2006.

2.3.2

Il monitoraggio concreto della tabella di marcia va effettuato in cooperazione con gli Stati membri. Per quanto esistano già indicatori che permettono di seguire i progressi realizzati, è importante mettere a punto dati comparabili a livello UE.

2.3.3   Realizzare una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini

2.3.3.1   Conseguire gli obiettivi di Lisbona in tema di occupazione

2.3.3.1.1

Gli obiettivi di Lisbona richiedono che il tasso di occupazione femminile raggiunga il 60 % entro il 2010. Malgrado gli impegni assunti dagli Stati membri in riferimento alla strategia di Lisbona, il programma di crescita e occupazione e l'esistenza di una serie di norme comunitarie vincolanti sulla parità di genere nelle assunzioni, tra le donne e gli uomini permangono notevoli disparità. Il tasso di occupazione femminile è inferiore a quello maschile (55,7 % contro il 70 %) e scende ulteriormente (31,7 %) per quanto riguarda le donne tra i 55 e i 64 anni. Anche il tasso di disoccupazione femminile risulta più elevato di quello maschile (9,7 % rispetto al 7,8 %). Ne consegue la necessità di potenziare la dimensione di genere della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione.

2.3.3.1.2

La Commissione concentra la propria attenzione sul rispetto della legislazione in materia di parità di trattamento, su un uso efficace dei nuovi fondi strutturali e sulla necessità di rendere il lavoro remunerativo, in particolare attraverso l'individualizzazione dei diritti connessi ai regimi fiscali e previdenziali. Il CESE accoglie con favore la creazione dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, ma ritiene che perché esso funzioni in modo efficace servano risorse umane e finanziarie adeguate (2).

2.3.3.1.3

Il Comitato riconosce che per accrescere il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro occorre fissare delle priorità comuni nel coordinamento delle politiche in materia di occupazione. Nel valutare i programmi nazionali di riforma, la Commissione deve assicurarsi che il problema delle disparità fra i sessi sia affrontato in via prioritaria e che si adottino i necessari provvedimenti.

2.3.3.1.4

Il CESE ritiene che i governi nazionali, gli enti nazionali per le pari opportunità e le parti sociali di tutti gli Stati membri abbiano il preciso dovere di accertarsi che i sistemi retributivi da essi adottati non diano origine a disparità retributive tra uomini e donne.

2.3.3.1.5

Il Comitato esprime il timore che certe nuove forme di organizzazione del lavoro possano tradursi nello sfruttamento dei lavoratori e in impieghi precari spesso assegnati alle donne, ed è convinto che si debba raggiungere un equilibrio tra flessibilità e sicurezza del lavoro.

Il CESE ritiene che per favorire l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro sia fondamentale disporre di dati attendibili e comparabili ripartiti per sesso, che mostrino le barriere all'occupazione delle donne disabili.

2.3.3.2   Eliminare la disparità retributiva

2.3.3.2.1

Nonostante la legislazione comunitaria sulla parità retributiva, nell'UE le donne guadagnano in media il 15 % di meno degli uomini (3), un divario che tende a ridursi a un ritmo molto più lento di quello occupazionale. Il persistere di tale disparità è dovuto sia alla discriminazione diretta e indiretta contro le donne sia a una serie di ineguaglianze strutturali, quali la segregazione in settori, professioni e modalità di lavoro, l'interruzione della carriera per occuparsi dei figli e di altri familiari, l'accesso all'istruzione e alla formazione, sistemi di valutazione e di retribuzione discriminanti e stereotipi sessisti. Non sempre le risorse tecniche, umane e finanziarie necessarie al riguardo sono disponibili in tutti gli Stati membri.

2.3.3.2.2

Nella sua prossima comunicazione sul divario retributivo e sul coinvolgimento delle parti sociali, la Commissione dovrebbe assicurarsi che vi sia maggiore conformità tra le disposizioni giuridiche nazionali sulla parità di diritti, e che si prevedano forme agevoli di ricorso.

2.3.3.3   Le donne imprenditrici

2.3.3.3.1

Le donne costituiscono in media il 30 % degli imprenditori dell'UE. Spesso incontrano più difficoltà degli uomini nell'avviare un'impresa e nell'accedere ai finanziamenti e alla formazione. Il piano d'azione UE sull'imprenditorialità va reso più incisivo e più attento alla dimensione di genere. È necessario promuovere l'imprenditorialità femminile, l'informazione e il sostegno all'avviamento, con l'intento di favorire la creazione e lo sviluppo di nuove imprese: a tal fine si può ricorrere a vari sistemi, come ad esempio un accesso agevolato ai finanziamenti per le imprese in fase di avviamento. Servono inoltre strategie tali da migliorare l'accesso delle donne ai crediti e ai servizi bancari. Le donne imprenditrici dovrebbero inoltre essere messe in grado di collegarsi in rete con le istituzioni finanziarie per creare programmi di sostegno calibrati sulle loro esigenze, specie in materia di microfinanziamenti.

2.3.3.3.2

I programmi scolastici nazionali di livello secondario e superiore dovrebbero comprendere l'educazione all'imprenditorialità, soprattutto per le donne, in modo da favorire una cultura della partecipazione femminile allo sviluppo di idee innovative in questo settore. Non tutte le donne, però, desiderano lavorare in proprio: per questo, i programmi scolastici nazionali dovrebbero anche informarle sui loro diritti in materia di occupazione e incoraggiarle a impiegarsi in settori «non tradizionali».

2.3.3.3.3

L'adozione di una politica specifica, ma integrata, in materia di imprenditoria femminile contribuirebbe in particolare a ridurre il divario occupazionale in settori tecnici quali l'ingegneria e i servizi legati alle TIC, e in genere negli impieghi qualificati.

2.3.3.4   Parità tra donne e uomini nella protezione sociale e lotta contro la povertà

2.3.3.4.1

I sistemi previdenziali dovrebbero eliminare tutti i disincentivi che scoraggiano l'ingresso e la permanenza di donne e uomini nel mercato del lavoro, e consentire invece l'accumulo di diritti pensionistici individuali. Le donne dovrebbero poter beneficiare di diritti a pensione, e per garantire loro tale diritto bisognerebbe ideare modelli previdenziali alternativi. Le donne restano più soggette degli uomini a carriere brevi o a interruzioni di carriera, il che dà loro meno diritti degli uomini. Ciò aumenta il rischio di povertà, in particolare per le madri sole, le donne più anziane o quelle che lavorano in imprese a conduzione familiare, ad esempio nel settore agricolo e della pesca o in quello manifatturiero e della vendita al dettaglio. Gli Stati membri dovrebbero inoltre assicurare la protezione delle immigrate dallo sfruttamento in tali settori.

2.3.3.4.2

Bisognerebbe intensificare le strategie volte a consentire alle donne a rischio di povertà, siano esse dentro o fuori del mercato del lavoro, di sviluppare competenze spendibili sul mercato, che garantiscano loro la futura indipendenza finanziaria (4).

2.3.3.4.3

Il CESE propone di intensificare le strategie relative all'uguaglianza tra i sessi in materia di protezione sociale e lotta alla povertà, in modo tale che i regimi fiscali e previdenziali tengano conto delle esigenze delle donne a rischio di povertà, con particolare attenzione alle ragazze madri. Servirebbero inoltre proposte operative concrete per incoraggiare i genitori soli a sviluppare competenze spendibili sul mercato e facilitarne l'accesso all'occupazione. In alcuni Stati membri, in particolare, si avverte in maniera sempre più acuta l'esigenza di rivedere lo scarto, attualmente piuttosto ridotto, tra indennità di disoccupazione e assegni supplementari per le persone a carico, da un lato, e retribuzione nazionale minima, dall'altro.

2.3.3.4.4

In pratica, per rendere il lavoro più attraente non bisognerebbe limitarsi a intervenire sulle retribuzioni, ma proporre anche incentivi non finanziari come la flessibilità del lavoro o le possibilità di formazione per i lavoratori meno qualificati. Si dovrebbero inoltre prevedere strutture di custodia dei bambini, con finanziamenti adeguati, per le famiglie — siano esse mono o biparentali — a rischio di povertà e con due o più figli.

2.3.3.4.5

Il rischio di povertà è massimo tra le famiglie monoparentali (il 35 % della media europea), che nell'85 % dei casi hanno un capofamiglia donna. Anche le donne con più di 65 anni sono a elevato rischio di povertà. Le donne meno qualificate, dal canto loro, rischiano di perdere il lavoro prima di aver raggiunto l'età della pensione.

2.3.3.5   Riconoscere la dimensione di genere nel settore sanitario

2.3.3.5.1

Le donne e gli uomini sono esposti a rischi sanitari, malattie, problemi e pratiche specifiche che incidono in vario modo sulla loro salute. Tali fattori comprendono in particolare questioni ambientali come l'utilizzo di sostanze chimiche (cfr. la proposta REACH) e di pesticidi che spesso vengono trasmessi attraverso l'allattamento. La ricerca medica in corso e le attuali norme in materia di sicurezza e salute riguardano prevalentemente gli ambiti professionali dominati da una maggiore presenza maschile. Le conoscenze e le ricerche in questo settore andrebbero approfondite anche da un punto di vista femminile, e a tal fine servirebbero ulteriori statistiche e indicatori.

2.3.3.5.2

Nel quadro della strategia intesa a migliorare la salute e la sicurezza delle donne sul lavoro nei settori in cui le donne sono più numerose, le strategie nazionali per la salute e le cure di lunga durata dovrebbero includere politiche integrate relative alle norme sanitarie sul lavoro per gli agricoltori donne e in generale affrontare il problema della salute delle donne nelle famiglie di agricoltori. Esse dovrebbero inoltre prevedere azioni di informazione e di educazione alle tematiche dell'emancipazione.

2.3.3.5.3

Il CESE esorta inoltre a considerare, a studiare e ad analizzare più a fondo gli effetti derivanti dall'esigenza di assistere familiari malati e il conseguente deterioramento della salute fisica e mentale delle donne.

2.3.3.5.4

Il CESE concorda con gli obiettivi UE relativi alla parità tra donne e uomini e propone di integrarli nel metodo aperto di coordinamento, insistendo sull'opportunità di applicare tale metodo al settore della sanità e potenziando nel contempo i programmi di prevenzione. Appare inoltre necessario intensificare le iniziative che affrontano in una prospettiva di genere le malattie sessualmente trasmissibili (incluso l'HIV/AIDS) e le questioni di salute sessuale e riproduttiva.

2.3.3.6   Combattere la discriminazione multipla, in particolare nei confronti delle donne migranti e appartenenti a minoranze etniche

2.3.3.6.1

Le donne appartenenti a gruppi svantaggiati versano spesso in una situazione peggiore rispetto alle controparti maschili e sono vittime di forme multiple di discriminazione. Promuovere la parità tra i sessi nelle politiche di immigrazione e di integrazione è necessario per difendere i diritti e la partecipazione civica delle donne, valorizzarne pienamente il potenziale occupazionale e migliorarne l'accesso all'istruzione e alla formazione permanente.

2.3.3.6.2

Il CESE deplora che gli obiettivi dell'Aia, adottati dal Consiglio europeo e destinati al settore della libertà, della sicurezza e della giustizia per il periodo 2005-2010, non tengano conto delle specifiche esigenze delle donne migranti. Il Comitato riconosce il fenomeno della femminilizzazione dell'emigrazione e raccomanda che il tema della parità tra i sessi venga pienamente integrato nelle politiche e nelle azioni comunitarie a ogni stadio del processo migratorio, in particolare nella fase di ammissione e di inserimento nelle società di accoglienza.

2.3.3.6.3

Il recepimento e l'attuazione degli attuali strumenti in materia di asilo, in particolare la protezione temporanea e le norme minime di accoglienza, sono conformi agli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo e alla Convenzione di Ginevra del 1951. Inoltre, le politiche in materia di asilo dovrebbero tenere presente la natura sessista della persecuzione di cui sono vittime le donne che fuggono dal loro paese per questo motivo.

2.3.3.7   Azioni chiave definite dalla Commissione in questo settore

2.3.3.7.1

Il CESE approva le azioni chiave definite dalla Commissione, specie quelle che attribuiscono la priorità al monitoraggio e a una maggiore integrazione della dimensione di genere. Il Comitato concorda con le iniziative volte a razionalizzare il metodo aperto di coordinamento in settori come le pensioni, l'inclusione sociale, la salute e le cure di lunga durata, concentrandosi soprattutto sulla promozione della parità tra uomini e donne (5).

2.3.4   Favorire l'equilibrio tra attività professionale e vita familiare

2.3.4.1

Il CESE riconosce l'importanza di mettere a punto apposite misure, con la definizione di obiettivi e indicatori precisi, per garantire la disponibilità di servizi di custodia per l'infanzia dalla nascita alla scolarità obbligatoria, nonché di servizi di assistenza abbordabili e accessibili per le altre persone a carico, dato che tale disponibilità ha un'incidenza diretta sulla partecipazione femminile al lavoro retribuito. Occorrerebbe inoltre istituire servizi di doposcuola per gli adolescenti che ricalcassero gli orari di lavoro dei genitori.

2.3.4.2

Il CESE concorda con l'importanza attribuita alla necessità di favorire l'equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, e riconosce che i vantaggi derivanti dalla flessibilità degli orari di lavoro non vengono ancora sfruttati nella dovuta misura. Il Comitato esprime il timore che certe nuove forme di organizzazione del lavoro possano tradursi nello sfruttamento dei lavoratori e in impieghi precari spesso assegnati alle donne, ed è convinto che si debba trovare il giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza del lavoro.

2.3.4.3

L'UE ha riconosciuto l'importanza di tendere a un equilibrio tra vita privata e vita professionale per le donne e gli uomini (6). La ripartizione dei compiti domestici e di assistenza in casa va modificata in modo da ottenere la stessa proporzione tra uomo e donna. Il ruolo degli uomini nell'ambito familiare deve essere potenziato. Inoltre, nel quadro dei dibattiti in corso sulla revisione della direttiva in materia di orario di lavoro, è necessario stabilire orari di lavoro compatibili con le responsabilità familiari.

Il CESE riconosce l'importanza di mettere a punto apposite misure, con la definizione di obiettivi e indicatori precisi, per garantire la disponibilità di servizi di assistenza ai bambini, agli anziani e ai disabili non autonomi.

2.3.5   Promuovere la pari partecipazione delle donne e degli uomini al processo decisionale

2.3.5.1

Il problema della sottorappresentazione femminile in politica, nei processi decisionali relativi all'economia, nonché nel mondo delle scienze e della tecnologia non è ancora stato affrontato in modo efficace. Le azioni chiave proposte dalla Commissione puntano a combattere questa situazione antidemocratica, ma ciononostante l'impegno degli Stati membri a intraprendere le necessarie misure in tal senso resta molto debole. Il fenomeno della segregazione è evidente sia nel settore pubblico che in quello privato: in entrambi, infatti, le donne sono sottorappresentate ai livelli più alti e nelle posizioni di responsabilità.

2.3.5.2

Il Comitato raccomanda pertanto di fissare obiettivi e scadenze in materia di parità di genere, in modo da accrescere la partecipazione femminile a tutte le forme di decisione. Ritiene infatti che così facendo si potrebbe rafforzare efficacemente la presenza femminile nella leadership politica, nei processi decisionali economici, nelle scienze e nella tecnologia.

2.3.5.3

Tutte le istituzioni europee dovrebbero inoltre realizzare misure efficaci di azione positiva a tutti i livelli in cui le donne sono sottorappresentate nei processi decisionali, conformemente all'articolo 1 quinquies (96) dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee del 1o maggio 2004 (7). L'esito di tali misure di azione positiva dovrebbe essere regolarmente monitorato e reso noto.

2.3.6   Eliminare la violenza basata sul genere e la tratta di esseri umani

2.3.6.1

La Commissione è impegnata a lottare contro ogni forma di violenza. Le donne sono le principali vittime della violenza sessuale. Il CESE ha affrontato di recente tale tematica in un parere di iniziativa sulla violenza domestica contro le donne (8). Questo tipo di violenza ostacola l'inclusione sociale delle donne e in particolare la loro inclusione nel mercato del lavoro, e produce quindi emarginazione, povertà e dipendenza finanziaria e materiale. È necessario mettere a punto un piano d'azione europeo sulla violenza contro le donne.

2.3.6.2

La tratta di esseri umani non può essere combattuta in forma isolata. Essa è infatti parte integrante del crimine organizzato e necessita quindi della cooperazione fra tutti gli Stati membri per una politica di sicurezza più coerente e un quadro giuridico comune che consenta di operare efficacemente in quest'ambito. Gli obiettivi dell'UE in materia sono definiti dal programma dell'Aia (9) e dalla convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità transnazionale organizzata (10). Il CESE ha adottato un parere che sottolinea l'importanza di proteggere efficacemente la sicurezza dei cittadini in una società libera e aperta nell'ambito di un sistema giuridico rispettoso dello Stato di diritto (11).

2.3.6.3

Le donne vittime del traffico di esseri umani non andrebbero soggette al rimpatrio forzato nei paesi di origine, perché in questo modo rischiano di ricadere nelle mani dei trafficanti. Viceversa, bisognerebbe concedere loro il diritto di risiedere nel paese in cui sono state portate, ferma restando la necessità di prendere le dovute precauzioni contro eventuali abusi.

2.3.6.4

Il Comitato invita gli Stati membri a garantire l'attuazione di misure intese ad accordare più diritti e assistenza alle donne vittime dei traffici finalizzati allo sfruttamento sessuale. Per affrontare il problema della crescente domanda di servizi sessuali è necessario intensificare le campagne di sensibilizzazione specificamente mirate ai clienti. Questa azione dovrebbe inscriversi nel quadro di una più ampia campagna educativa volta ad ampliare l'accesso dei cittadini a lavori e a fonti di finanziamento alternative.

2.3.6.5

Gli Stati membri dovrebbero inoltre considerare l'eventualità di criminalizzare l'acquisto di servizi sessuali o, quanto meno, offrire maggiore protezione alle vittime di tali traffici o alle persone che prendono parte contro la loro volontà al commercio sessuale.

2.3.7   Eliminare gli stereotipi di genere nella società

2.3.7.1

Il CESE condivide il punto di vista della Commissione, secondo cui i media svolgono un ruolo essenziale nel forgiare gli atteggiamenti e i comportamenti individuali. Le azioni proposte per eliminare gli stereotipi sessisti nella scuola, nel mercato del lavoro e nei media affrontano tali problemi e forniscono orientamenti agli Stati membri.

2.3.7.2

Nel riconoscere che l'accesso delle donne al mondo dei media e, in particolare, alle posizioni di responsabilità in tale settore resta insufficiente, il CESE concorda con la necessità di formulare politiche in materia di pari opportunità e di media. Il Comitato raccomanda dunque:

(a)

che si mettano a punto azioni paneuropee di sensibilizzazione basate sulla «tolleranza zero» per quanto riguarda gli insulti sessisti e le immagini degradanti delle donne nei media;

(b)

che, conformemente alla direttiva proposta dalla Commissione sul coordinamento di determinate disposizioni riguardanti l'esercizio delle attività televisive (12), gli Stati membri accertino l'assenza di discriminazioni basate su razza, sesso o nazionalità nelle comunicazioni commerciali audiovisive;

(c)

che si incoraggi l'introduzione di moduli sulle problematiche di genere negli organismi preposti alla formazione degli operatori dei media e l'elaborazione di meccanismi rigorosi volti a garantire l'equilibrio tra donne e uomini a tutti i livelli decisionali nell'industria dei media;

(d)

che il sistema radiotelevisivo pubblico si configuri come uno strumento indipendente, con una missione di servizio pubblico consistente nel garantire i diritti umani e la parità tra i sessi.

2.3.7.3

Il CESE concorda con l'azione di sensibilizzazione proposta nel quadro del piano della Commissione per la democrazia, il dialogo e il dibattito (il cosiddetto Piano D) (13), nonché con le attività realizzate in materia dai suoi uffici di rappresentanza nei vari Stati membri.

2.3.8   Promuovere la parità tra donne e uomini al di fuori dell'UE

2.3.8.1

Il CESE sostiene il ruolo della Commissione nel promuovere i diritti delle donne su scala internazionale.

2.3.8.2

Le politiche esterne e di sviluppo dell'UE dovrebbero tenere presente che le donne svolgono un ruolo essenziale nell'eliminazione della povertà e che la loro emancipazione sul piano economico, educativo, politico e sessuale incide non solo su di esse, ma anche sulle loro famiglie e sull'intera comunità.

2.3.8.3

L'UE deve inoltre garantire l'integrazione e il monitoraggio delle esigenze e delle prospettive femminili al livello sia nazionale che comunitario, e assicurarsi che le donne abbiano un accesso adeguato agli aiuti finanziari dell'UE nel quadro della politica comunitaria di aiuto allo sviluppo.

2.3.8.4

Nel quadro degli interventi in caso di crisi, appare necessario integrare la prospettiva di genere nella politica europea in materia di sicurezza e di difesa (PESD), conformemente alla risoluzione 1325 dell'ONU (14) e alla risoluzione europea del novembre 2000 sulla partecipazione delle donne alla risoluzione pacifica dei conflitti.

2.3.8.5

La politica di aiuto umanitario della Commissione europea (ECHO) dovrebbe considerare prioritari l'aiuto e l'assistenza finanziaria alle donne vittime di atti di violenza sessuale commessi nel corso di conflitti bellici, ed esplorare le possibilità di ricorso attraverso i meccanismi di diritto internazionale nei periodi successivi a tali conflitti.

2.4   Parte II: Migliorare la governance sulla parità tra i sessi

2.4.1

La parità tra i sessi può essere ottenuta solo attraverso un impegno forte e chiaro ai massimi livelli politici. La Commissione promuove l'uguaglianza tra donne e uomini al proprio interno (15) e sostiene un certo numero di strutture attive nelle questioni di uguaglianza tra i sessi, il che ha portato a progressi significativi in questo campo. Tuttavia, negli ambiti chiave individuati nella tabella di marcia restano ancora da compiere importanti progressi, progressi che necessitano di una migliore governance a tutti i livelli: istituzioni UE, Stati membri, Parlamenti, parti sociali e società civile. A livello nazionale è fondamentale il sostegno dei ministri delle Pari opportunità.

2.4.2

Il Comitato raccomanda di rafforzare le strutture esistenti al livello della Commissione per promuovere la parità tra i sessi attraverso una maggiore coerenza e migliori sistemi di collegamento in rete, oltre che attraverso il potenziamento dei meccanismi di consultazione e di dialogo con la società civile organizzata. Sarebbe opportuno intensificare il sostegno e il riconoscimento alle ONG femminili nazionali, come pure le sinergie basate sul principio della democrazia partecipativa.

2.4.3

Il CESE auspica inoltre l'introduzione di una formazione obbligatoria in materia di integrazione di genere e di sensibilizzazione alle questioni di parità tra i sessi nel quadro dell'architettura istituzionale dell'UE.

2.4.4

Il Comitato raccomanda infine di creare, nell'ambito della DG Bilancio, un gruppo di lavoro incaricato di integrare gli aspetti di genere nell'elaborazione del bilancio, e di procedere a una valutazione annuale dell'impatto del bilancio comunitario distinta per genere.

2.4.5

Il CESE ritiene essenziale monitorare i progressi realizzati nell'attuazione della tabella di marcia, per garantire la realizzazione degli obiettivi in essa definiti. La revisione intermedia in programma nel 2008 dovrebbe inoltre servire, se necessario, a mettere a punto ulteriori misure appropriate in ambiti diversi da quelli individuati finora, in attesa che giunga il 2010 e con esso la prossima tappa della tabella di marcia.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive (COM(2005) 646 def.).

http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2005:0646:FIN:IT:HTML.

(2)  Parere CESE del 28.9.2005 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che costituisce un Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (relatrice: ŠTECHOVÁ), GU C 24 del 31.1.2006, pag. 29.

http://eur-lex.europa.eu/JOHtml.do?textfield2=24&year=2006&Submit=Search&serie=C.

(3)  Divario non aggiustato.

(4)  Parere del CESE del 29.9.2005 sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea (relatrice: KING), GU C 24 del 31.1.2006, pag. 95.

http://eur-lex.europa.eu/JOHtml.do?textfield2=24&year=2006&Submit=Search&serie=C.

(5)  Cfr. punto 5.2.2 del parere del CESE del 20.4.2006 in merito alla strategia per il coordinamento aperto in materia di protezione sociale (relatore: OLSSON), GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 87.

http://eur-lex.europa.eu/JOHtml.do?textfield2=24&year=2006&Submit=Search&serie=C.

(6)  Risoluzione del Consiglio e dei ministri incaricati dell'occupazione e della politica sociale, riuniti in sede di Consiglio, del 29 giugno 2000, concernente la partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini all'attività professionale e alla vita familiare (2000/C 218/02).

http://europa.eu.int/infonet/library/m/2000c21802/it.htm.

(7)  Cfr. http://www.europa.eu.int/comm/dgs/personnel_administration/statut/tocit100.pdf.

(8)  Parere CESE del 16.3.2006 sul tema Violenza domestica contro le donne (relatrice: HEINISCH), GU C 110 del 9.5.2006, pag. 89.

http://eur-lex.europa.eu/JOIndex.do?year=2006&serie=C&textfield2=110&Submit=Search.

(9)  Cfr. http://ec.europa.eu/justice_home/news/information_dossiers/the_hague_priorities/index_en.htm (in inglese).

(10)  Cfr. http://www.unodc.org/unodc/crime_cicp_convention.html (in inglese).

(11)  Parere del CESE del 15.12.2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia (relatore: PARIZA CASTAÑOS), GU C 65 del 17.3.2006, pag. 120.

http://eur-lex.europa.eu/JOIndex.do?year=2006&serie=C&textfield2=65&Submit=Search.

(12)  COM(2005) 646 def. (cfr. nota 2).

(13)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito (COM(2005) 494 def.).

http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0494it01.pdf.

(14)  Cfr. http://www.peacewomen.org/un/sc/1325.html (disponibile solo in inglese), adottata il 31.10.2000.

(15)  Allegato III della comunicazione.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/180


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I corridoi paneuropei di trasporto 2004-2006

(2006/C 318/30)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 dicembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul: I corridoi paneuropei di trasporto 2004-2006.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ALLEWELDT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 192 voti favorevoli, 4 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Obiettivi del gruppo di studio permanente

1.1

Sin dall'avvio, nel 1991, della politica paneuropea dei trasporti, che ha gettato le basi della pianificazione dei grandi corridoi, il Comitato ha collaborato attivamente e con grande convinzione a questa politica, che persegue la coesione al di là delle frontiere dell'UE. Nel 2003 il Comitato ha raccolto in un volume il lavoro dei 10 anni precedenti (1). Da allora un gruppo di studio permanente si occupa della questione. L'ultimo parere (2) ha preso a riferimento il periodo 2002-2004. Il presente documento si occupa invece degli sviluppi intervenuti fino a metà 2006.

1.2

Il gruppo di studio permanente intende collegare sin dalla fase iniziale la creazione di un'infrastruttura comune paneuropea dei trasporti, anche al di là delle frontiere dell'UE, con l'obiettivo politico di un sistema di trasporti sostenibile ed efficiente e con gli obiettivi di coesione. Nel fare ciò si deve tenere conto degli aspetti sociali, economici, operativi, ambientali, di sicurezza e regionali, e coinvolgere i corrispondenti gruppi di interesse. Il gruppo di studio permanente desidera inoltre fornire il suo autonomo contributo attraverso il lavoro pratico svolto sul campo. Il presente parere riferisce in merito alle attività e alle esperienze del periodo 2004-2006 e al tempo stesso esprime una valutazione dei cambiamenti politici intervenuti in questo settore.

2.   Conclusioni

2.1

Nell'iniziativa del CESE riveste un ruolo centrale il legame tra lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, da un lato e la realizzazione dei principali obiettivi di politica dei trasporti e la risoluzione delle più importanti questioni operative, dall'altro. A tutt'oggi tale legame mantiene tutta la sua pertinenza e urgenza. Sebbene a livello politico sia stata ripetutamente riconosciuta l'esigenza di creare tale legame, i progressi in questa direzione sono scarsi, perché non è stata elaborata alcuna procedura specifica. La speranza che gli obiettivi della politica dei trasporti andassero automaticamente di pari passo con lo sviluppo dell'infrastruttura non si è realizzata negli ultimi anni. In tale contesto un ruolo chiave potrebbe essere svolto dalle regioni, dove concretamente convergono tutte le questioni e dove risulta particolarmente necessaria una comprensione delle interrelazioni paneuropee. Nel corso di una conferenza regionale svoltasi nella Polonia nordorientale, il gruppo di studio permanente ha potuto illustrare, attraverso degli esempi, quanto sia importante tenere conto dell'impatto a livello regionale degli assi principali di trasporto previsti. La politica europea deve assumere maggiori responsabilità in questo campo, non ci si può limitare a considerare come un compito europeo la sola realizzazione dei principali assi di trasporto.

2.2

Negli ultimi due anni molto è stato fatto per adeguare la pianificazione delle infrastrutture a livello europeo alle nuove circostanze politiche. All'interno dell'UE sono stati definiti nuovi progetti prioritari, individuati nuovi assi centrali dei trasporti da e per i paesi vicini, e si è proseguita l'iniziativa per i Balcani occidentali. Il CESE considera sostanzialmente riusciti questi nuovi approcci e si compiace dell'importanza che è stata attribuita al collegamento con i paesi vicini. Tuttavia i nuovi approcci continuano a basarsi sulla concezione preesistente: si tratta pressoché esclusivamente di una pianificazione delle via di trasporto. Le questioni relative all'intermodalità e all'impatto ambientale e gli interessi economici e sociali locali vi trovano poca o nessuna considerazione e di ciò il CESE si rammarica vivamente.

2.3

Uno dei motivi alla base della revisione della pianificazione europea delle infrastrutture è stata la lentezza dei progressi della loro realizzazione, dovuta spesso alla carenza di finanziamenti. concentrarsi su un numero ridotto di progetti è diventato quindi l'obiettivo principale. Il CESE ritiene che anche i contributi europei dovrebbero aumentare e ha già avanzato, in un'altra sede, delle proposte relative al possibile aumento delle risorse finanziarie. Bisognerebbe quanto meno sfruttare meglio la possibilità di un cofinanziamento del 20 % da parte dell'UE per i progetti all'interno dell'Unione. Inoltre si possono e si devono definire in maniera più vincolante, insieme all'aumento dei contributi, anche i requisiti per i progetti infrastrutturali, ad esempio in termini di protezione dell'ambiente, intermodalità o sicurezza.

2.4

Il CESE invoca l'estensione della sfera d'attività comune tra gli organi transfrontalieri istituiti dai ministeri dei trasporti degli Stati membri (ad esempio i comitati direttivi dei corridoi) e quelli analoghi istituiti dalla Commissione. Un semplice coordinamento non è sufficiente, e può addirittura vanificare delle importanti opportunità di fare dei passi in avanti nelle politiche concrete. Diviene sempre più difficile comprendere chi sia responsabile di cosa nel quadro del perseguimento degli obiettivi generali della politica dei trasporti. La tre prime conferenze paneuropee sui trasporti, svoltesi nel 1991, 1994 e 1997, hanno permesso di definire importanti orientamenti. La dichiarazione di Helsinki, del 1997, con il suo carattere generale, continua a costituire un'eccellente base per la cooperazione. A suo tempo si cercava di verificare regolarmente i progressi compiuti, mentre oggi ci si limita quasi solo a controllare la realizzazione dei progetti di costruzioni.

2.5

La conferenza del CESE a Bialystok è stata un grande successo (3). Oltre a portare l'Europa nella regione, essa ha anche dato espressione alle aspettative dei cittadini nei confronti di un'efficace politica paneuropea dei trasporti. Il CESE metterà la sua capacità di dare questo tipo di impulso al centro delle sue attività future in questo campo. È inoltre opportuno proseguire la stretta collaborazione, nel quadro del coordinamento, con i comitati direttivi dei corridoi, con le strutture operative nell'Europa meridionale (SEETO — Osservatorio dei trasporti dell'Europa sudorientale) e ovviamente con la Commissione. In futuro bisognerà considerare e valutare con maggiore attenzione, oltre agli approcci regionali, anche le questioni legate ai modi di trasporto sugli assi principali e ai progetti prioritari nelle reti TEN-T.

3.   Un nuovo quadro per la politica paneuropea dei trasporti

3.1

Negli ultimi due anni si sono verificati in Europa importanti sviluppi. Dieci nuovi paesi hanno aderito all'Unione nel maggio 2004. L'Europa ha ribadito e rafforzato il proprio impegno nei confronti dei paesi del Balcani occidentali e concepito una nuova politica di vicinato. L'iniziativa della Commissione per il riorientamento delle reti transeuropee e lo sviluppo dei corridoi comprendeva da un lato alcuni interventi sul versante interno, volti a tenere conto dell'allargamento del 2004 e a inserire nelle politiche delle TEN alcuni elementi tratti dall'esperienza relativa ai corridoi (4). D'altro lato era previsto un ampliamento delle vie di comunicazione centrali, per attuare la nuova politica europea di vicinato, e altre misure ancora.

3.2

Nel 2002 la Commissione ha eseguito una valutazione della realizzazione della rete TEN-T e dei corridoi paneuropei, rilevando considerevoli ritardi nello sviluppo degli assi principali. È stato pertanto adottato un approccio con priorità ben definite e un impegno più ampio nei confronti dei paesi interessati. Questi ultimi possono essere ripartiti in tre zone: l'UE nella forma che assumerà tra breve con 27 Stati membri, i paesi dei Balcani occidentali (5) e gli altri paesi e regioni che confinano con l'UE-27. Per ognuna delle tre zone la Commissione europea ha istituito un gruppo ad alto livello, incaricato di elaborare delle raccomandazioni di progetti prioritari o direttrici di azione.

3.3

La prima analisi di questo tipo, relativa all'UE-27, è stata condotta nel periodo 2002-2003 dal gruppo ad alto livello guidato da Karel van Miert. Si è condotto un esame critico di tre quarti dei corridoi paneuropei e il gruppo ad alto livello ha presentato un elenco di 30 progetti di infrastrutture da realizzare sia nei vecchi che nei nuovi Stati membri e da classificare come prioritari per la rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) dell'UE a 27. Il gruppo ad alto livello ha raccomandato tra l'altro di adottare nuove disposizioni finanziarie e legislative per sostenere la realizzazione della TEN-T, e di introdurre nuovi meccanismi di coordinamento specifici per i progetti. Le raccomandazioni hanno condotto, nell'aprile 2004, ad una revisione degli orientamenti relativi alla TEN-T.

3.4

Rispetto all'UE-27 l'area dei Balcani occidentali è risultata meno omogenea ai fini della definizione della politica regionale; le differenti posizioni dei singoli paesi nei confronti dell'UE, i rapporti all'interno della regione e la dinamica delle relazioni con l'UE hanno provocato a più riprese delle correzioni di rotta. Dopo il conflitto degli ultimi anni la regione ha urgente bisogno di stabilità economica, sociale e politica e quindi, adesso più che mai, di aiuto esterno. Per questo motivo l'approccio regionale verso i paesi dei Balcani occidentali presenta uno speciale valore aggiunto; l'UE ha chiaramente sostenuto quest'impostazione, non solo nel settore dei trasporti, ma anche con gli sforzi volti a creare una zona di libero scambio e un mercato comune dell'energia.

3.4.1

La Commissione europea ha presentato nel 2000 la strategia relativa a un sistema regionale di trasporti per l'Europa sudorientale, composto da una rete multimodale di infrastrutture. La strategia è stata integrata da due studi, TIRS e REBIS (6), nei quali veniva definita la rete di base e presentate delle raccomandazioni su investimenti e finanziamento. Si sono così create le basi per l'insediamento a Belgrado di un segretariato ad hoc, denominato South East Europe Transport Observatory (SEETO) (Osservatorio sui trasporti dell'Europa sudorientale). L'Osservatorio, oltre a promuovere e coordinare lo sviluppo dell'infrastruttura, fungerà anche da punto di contatto per le richieste di informazioni dei soggetti sociali ed economici. questa funzione dell'Osservatorio viene utilizzata in misura crescente. In tale contesto si menziona espressamente anche il gruppo di studio permanente del CESE.

3.4.2

Il primo piano d'azione quinquennale, relativo al periodo 2006-2010, è stato firmato nel novembre 2005 e comprende circa 150 progetti. Il piano menziona tra l'altro circa 20 «soft projects» (progetti minori) regionali concernenti le misure complementari per la realizzazione delle reti regionali. Tuttavia di recente, a causa delle considerevoli restrizioni di bilancio, si è drasticamente ridotto a 22 il numero dei progetti infrastrutturali prioritari. Il processo coordinato dal SEETO è comparabile al precedente processo TINA (Transport Infrastructure Needs AssessmentValutazione delle esigenze di infrastrutture dei trasporti) attraverso cui, oltre agli assi principali/corridoi, deve essere completata anche la rete regionale.

3.5

Il lavoro del gruppo di alto livello guidato da Loyola de Palacio (HLG2) si è concentrato sullo sviluppo degli assi principali di trasporto con gli Stati confinanti con l'UE e ben oltre. Sono stati individuati quattro collegamenti via terra e un asse per il trasporto navale (7). Tali percorsi costituiranno i principali collegamenti internazionali, ma rafforzeranno anche la coesione regionale. Il gruppo HLG2 propone anche una serie di misure orizzontali, tra cui lo snellimento delle formalità di frontiera, l'aumento della sicurezza dei trasporti e il miglioramento dell'interoperabilità nel trasporto su rotaia. Il gruppo raccomanda inoltre di accrescere il coordinamento e la capacità di realizzazione, sostituendo i protocolli di intesa con convenzioni vincolanti. Sulla base di queste raccomandazioni, la Commissione intende pubblicare tra luglio e settembre una comunicazione in merito ai suoi programmi. Il gruppo di studio permanente considera importante che la Commissione affronti in maniera adeguata le questioni orizzontali.

3.6

Nei corridoi e nelle aree dei trasporti (per maggiori dettagli cfr. l'allegato II) il ritmo di avanzamento dei lavori non è uniforme. In particolare le aree, fatta eccezione per quella di Barents-regione euroartica, non hanno preso forma e la situazione è rimasta praticamente la stessa sin dalla loro istituzione nel 1997 (conferenza di Helsinki). La collaborazione nei corridoi tende sempre più a svilupparsi anche sotto forma di reti regionali, cosa che il CESE reputa altamente opportuna. L'assistenza finanziaria e tecnico-organizzativa, dal canto suo, non ha evidenziato, anche in questi ultimi due anni, alcun miglioramento. Il maggior sostegno che era stato spesso chiesto alla Commissione non si è manifestato. È però decisivo il fatto che, con i lavori dei due gruppi ad alto livello e le conclusioni della Commissione, il modello dei corridoi è divenuto, di fatto, obsoleto. All'interno dell'UE le priorità sono stabilite secondo i 30 progetti TEN. All'esterno, esse sono state «sostituite» dai 5 nuovi assi o vengono portate avanti con nomi nuovi. Nondimeno vi sono evidentemente ragioni sufficienti per proseguire il lavoro. I comitati direttivi sono divenuti importanti sedi di contatto e di cooperazione per i ministeri dei trasporti coinvolti e hanno sviluppato una propria identità (marchio). Essi proseguono il lavoro relativo a punti importanti per i quali manca altrimenti qualsiasi iniziativa transfrontaliera, come i progetti prioritari TEN privi di un coordinatore speciale in carica.

3.7

La Commissione ha rafforzato la sua offerta di coordinamento, e i regolari incontri di coordinamento con tutti i presidenti dei corridoi e con una serie di altri soggetti di rilievo, che hanno luogo una o due volte l'anno, costituiscono un'importante sede per lo scambio di vedute. Anche il CESE viene sempre invitato a partecipare e a fornire il proprio contributo, che è tenuto in grande considerazione. Non si tratta di un semplice scambio di vedute sugli ultimi progressi dei progetti di costruzione, ma anche di questioni riguardanti le questioni di principio e concettuali della politica paneuropea per le infrastrutture di trasporto. Si fanno qui notare alcune innovazioni strutturali: la Commissione, per promuovere la realizzazione di sezioni importanti di progetti TEN, ha designato sei coordinatori speciali per altrettanti progetti (8). Si è inoltre previsto di istituire un'agenzia per migliorare il finanziamento e l'esecuzione di importanti progetti, tenendo conto anche del volume considerevole dei finanziamenti. È infine in corso un dibattito circa una forma giuridicamente vincolante di cooperazione transfrontaliera che vada al di là degli attuali protocolli di intesa.

4.   L'orientamento dei lavori del gruppo di studio permanente — Attività

4.1

Conformemente al nuovo orientamento della politica paneuropea dei trasporti, il gruppo di studio permanente ha rivolto la sua attenzione non più solo al lavoro nei corridoi, ma anche ai progetti prioritari all'interno della rete transeuropea dei trasporti (9), e alla nuova pianificazione del gruppo di esperti guidato da Loyola de Palacio, compresa ad esempio l'idea di un collegamento ferroviario tra la Spagna e l'Africa. Dalle discussioni con gli uffici competenti della DG TREN è emerso che un contributo del CESE all'analisi socioeconomica dei progetti TEN già attuati o in programmazione sarebbe ben accolto.

4.2

Tra la fine del 2004 e l'inizio del 2005 la Commissione ha avviato i lavori preliminari della seconda relazione del gruppo di esperti sotto la direzione di Loyola de Palacio. In questa fase precoce il gruppo di studio permanente ha avuto l'opportunità di prendere posizione su una serie di questioni basilari (10). In particolare sono state avanzate le seguenti osservazioni: occorre dare maggior peso alla protezione dell'ambiente; si deve riflettere meglio nella pratica l'esigenza dell'intermodalità, che potrebbe diventare un criterio di valutazione a sé stante; bisogna assegnare un ruolo più importante al collegamento con le reti regionali dei trasporti. Il gruppo di studio permanente ha infine richiamato l'attenzione sugli aspetti orizzontali, come il ravvicinamento delle legislazioni e le questioni attinenti la sicurezza ecc., e ha sottolineato che se si vogliono realizzare gli obiettivi della politica dei trasporti è necessario occuparsi di tali questioni con più vigore e in maniera più completa. La Commissione ha risposto (11) sottolineando che intende tenere conto in particolare del suggerimento relativo al collegamento con le reti regionali dei trasporti.

4.3

Parallelamente alla seconda relazione degli esperti, la Commissione ha anche fatto un bilancio del lavoro compiuto nei corridoi. Anche in questo caso, il gruppo di studio permanente è intervenuto con una breve valutazione, nella quale chiedeva in particolare più spazio per le questioni di coesione economica e sociale e per la consultazione. Esso considerava inoltre opportuno che i comitati direttivi venissero rafforzati e collegati meglio in rete e che vi fossero più accordi vincolanti e un controllo più accurato dei risultati, attività questa che rientra anzitutto nelle competenze degli stessi comitati direttivi. Nella valutazione del questionario la Commissione perviene a quattro importanti conclusioni (12): l'idea dei corridoi ha dato buoni risultati e viene mantenuta; occorre intervenire in merito a talune questioni operative e tenere conto dei fattori socioeconomici; è opportuno verificare meglio i progressi conseguiti, ma nel farlo bisogna tenere conto delle caratteristiche specifiche di ciascun corridoio; l'impatto positivo dei corridoi potrà essere valutato solo nel lungo periodo, tuttavia il loro successo sarà tanto maggiore quanto più vincolante sarà la cooperazione.

4.4

Anche negli ultimi due anni la collaborazione con i comitati direttivi dei 10 corridoi dei trasporti ha continuato ad essere importante. La partecipazione alle riunioni dei comitati direttivi è stata più discontinua che negli anni precedenti, per ragioni pratiche e personali. Tuttavia i contatti non si sono mai interrotti del tutto, anche perché le riunioni di coordinamento che si svolgono circa due volte all'anno a Bruxelles garantiscono un'occasione regolare di incontro e di scambio di esperienze. Il gruppo di studio permanente ha introdotto un sistema di ripartizione delle responsabilità di lavoro per i singoli corridoi e questo sistema potrà garantire in futuro un livello più elevato di impegno pratico e una maggiore continuità nel gruppo stesso.

4.5

relativamente importante è stato l'impegno richiesto dall'elaborazione del parere sul ruolo delle stazioni nelle città e nelle agglomerazioni dell'Unione allargata (13), che era integrato nei lavori del gruppo di studio permanente ed è stato adottato nel febbraio 2006. La politica europea dei trasporti dovrebbe curare maggiormente, specie sotto il profilo della sicurezza, la conservazione, l'utilizzazione e la sistemazione delle stazioni, come «vetrina» del trasporto passeggeri per ferrovia e come centro di prestazione di servizi nel quadro della rete dei trasporti.

4.6

Nel periodo di riferimento del presente documento il gruppo di studio permanente ha organizzato due eventi fuori sede: nel novembre 2004 il CESE ha partecipato ad un viaggio dimostrativo in treno lungo il corridoio X, da Villach, in Austria a Zagabria, in Croazia e a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, organizzato dall'associazione di categoria «ARGE Korridor X». Questa azione voleva essere una campagna in favore di collegamenti ferroviari efficienti e della cooperazione transfrontaliera tra le ferrovie della regione. Sono stati organizzati eventi mediatici in coincidenza con le fermate del treno. Il secondo evento, che ha avuto luogo a Bialystok, in Polonia, riguardava le conseguenze regionali della pianificazione del corridoio I sulla tutela dell'ambiente, la sicurezza e la qualità della vita nella Polonia nordorientale. Questa conferenza è stata per molti versi un successo e può essere considerata come un elemento di particolare rilievo dell'attività del gruppo di studio permanente. La relativa valutazione figura pertanto nel successivo capitolo, dedicato ai principali risultati ottenuti.

5.   Principali risultati del lavoro svolto nel periodo 2004-2006

5.1

Dal 15 al 17 novembre 2005 il gruppo di studio permanente ha organizzato, su invito del presidente del voivodato di Podlaskie, una conferenza con audizione pubblica a Bialystok, accompagnata da vari colloqui e da visite al tracciato del corridoio transeuropeo I «Via baltica e ferrovia baltica» nelle vicinanze della città. L'obiettivo della conferenza era discutere, con i rappresentanti della regione, dei vari gruppi di interesse socioeconomici e con gli enti responsabili della politica dei trasporti a livello regionale e nazionale, i possibili approcci da adottare per conciliare nel modo migliore lo sviluppo del corridoio I con gli interessi regionali e la protezione dell'ambiente. La delegazione del CESE è stata accompagnata da un rappresentante della Commissione, che si occupa in particolare della ferrovia baltica (Rail Baltica). Tutti gli incontri sono stati caratterizzati da un'atmosfera di grande cordialità. Il viaggio della delegazione è stato significativo non soltanto sotto il profilo della politica dei trasporti, ma anche per il successo riscosso, da entrambi i lati, nel «comunicare l'Europa».

5.1.1

La conferenza ha riunito partecipanti della più varia provenienza: ambientalisti, politici locali, imprenditori del settore ferroviario, abitanti della zona, comitati aziendali; essa ha creato un legame concreto tra la regione e l'UE/Bruxelles. Le diverse dimensioni dell'impatto di un corridoio di trasporto sono divenute tangibili: i disagi per le persone che vivono vicino al tracciato, la speranza di uno sviluppo economico grazie alla migliore accessibilità, le carenze del trasporto pubblico di passeggeri e del trasporto ferroviario regionale, la salvaguardia del patrimonio naturale specifico della regione, la paura di perdere posti di lavoro, i problemi finanziari e le barriere burocratiche che è stato possibile individuare come tali ed eliminare solo grazie a questo incontro. Le conclusioni dell'incontro sono state molteplici e istruttive per tutti i partecipanti e alla fine sono emerse anche nuove opzioni per la risoluzione dei problemi.

5.1.2

La Via baltica, nella Polonia nordorientale, può divenire un utile esempio di politica paneuropea integrata dei trasporti. Un problema primario consiste da un lato nella congestione del traffico di cui soffre questa regione di transito e dall'altro nell'acuta esigenza di sviluppo economico, il cui presupposto è l'accessibilità, ma non il transito. Un altro importante problema, che coincide anche con la principale ricchezza della regione, è dato dall'incomparabile patrimonio naturale, che va tutelato. In tale contesto sono emerse numerose buone soluzioni, non necessariamente eccessivamente costose. Infine si è evidenziato che la ferrovia baltica (Rail Baltica) non è stata tenuta nella debita considerazione in sede di pianificazione regionale e ciò ha indotto il rappresentante del coordinatore dell'UE a perorare la causa di questo corridoio. Si è evidenziato che solo una strategia integrata di trasporti nella regione può risolvere i problemi esistenti e permettere di rimediare al blocco della pianificazione e della realizzazione della via e della ferrovia baltica. Il CESE continuerà a sostenere gli sviluppi positivi avviati in occasione della conferenza.

5.2

Alla cooperazione transfrontaliera tra i ministeri dei Trasporti dei singoli paesi nei quali passano i corridoi si sostituirà o si sovrapporrà in futuro l'iniziativa della Commissione (cfr. capitolo 3). Ciò consentirà di mettere in atto una cooperazione più stretta e omogenea, piuttosto che coordinare, come si è fatto sinora, due processi paralleli. Ne risulterà semplificata anche l'attuazione dei principali obiettivi di politica dei trasporti. Rimane irrisolto il problema di come rendere più vincolante la cooperazione transfrontaliera tra Stati membri e paesi terzi. A giudizio del Comitato la soluzione può consistere nel migliorare le relazioni contrattuali e soprattutto nel concentrare i fondi messi a disposizione dall'UE. Pertanto, anche nell'ambito degli assi prioritari, occorre concentrarsi sui progetti più urgenti e utilizzare per intero il possibile cofinanziamento del 20 % per i progetti all'interno dell'UE. Attualmente la quota di contributi effettivamente impiegata varia tra il 2 e il 5 %.

5.3

Rimane infine un settore che il Comitato considera sempre importante, ma che sinora non si è sviluppato a sufficienza, quello del collegamento tra questioni infrastrutturali e questioni operative. Sebbene tale esigenza sia stata ripetutamente riconosciuta, i passi in avanti in tal senso sono pochi, perché non si è provveduto a elaborare una specifica procedura di attuazione. La speranza che gli obiettivi della politica dei trasporti andassero automaticamente di pari passo con sviluppo dell'infrastruttura non si è realizzata negli ultimi anni. L'orientamento basato sulle grandi conferenze sui trasporti appartiene purtroppo al passato. Il futuro risiede pertanto nelle regioni, dove concretamente convergono tutte le questioni e dove risulta particolarmente necessaria una comprensione delle interrelazioni paneuropee. L'esperienza della conferenza di Bialystok conferma questa constatazione.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  CESE: Dieci anni di politica paneuropea dei trasporti, 2003 (non disponibile in italiano).

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I corridoi paneuropei di trasporto. GU C 120 del 20.5.2005, pag. 17.

(3)  Per un resoconto cfr. l'allegato I.

(4)  Sulla base della relazione del gruppo di esperti presieduto da Karel van Miert, presentata nel giugno 2003.

(5)  Per ragioni di coerenza delle politiche l'area dei Balcani occidentali viene talvolta considerata come una parte dell'Europa sudorientale, concetto questo che si riferisce in pratica — oltre che all'ex Iugoslavia — a Romania, Bulgaria e in rari casi Turchia e Repubblica Moldova.

(6)  Transportation Infrastructure Regional Study (Studio regionale sull'infrastruttura dei trasporti); Regional Balkans Infrastructure Study (Studio regionale sull'infrastruttura nei Balcani).

(7)  I collegamenti in questione sono i seguenti:

Asse sudoccidentale: collegamento dal Sud-Ovest al centro dell'UE e alla Svizzera, dall'altro lato l'asse Transmaghreb dal Marocco all'Egitto.

Asse sudorientale: collega il centro dell'UE, attraverso i Balcani e la Turchia, con il Caucaso e il Mar Caspio, e quindi con il Medio Oriente fino all'Egitto.

Asse centrale: collega il centro dell'UE con l'Ucraina e il Mar Nero, nonché con la Russia e la Siberia.

Asse nordorientale: collega l'UE con la Norvegia, la Russia e la Transiberiana.

Autostrada del mare: collega il Mar Baltico, l'Atlantico, il Mediterraneo e il Mar Nero, come pure i paesi costieri. È prevista anche un'estensione attraverso il Canale di Suez.

(8)  

I.

Collegamento ferroviario Berlino — Palermo (van Miert).

II.

Collegamento ferroviario ad alta velocità Lisbona — Madrid — Tours/Montpellier (Davignon).

III.

Collegamento ferroviario Torino-Budapest — confine ucraino (de Palacio).

IV.

Collegamento ferroviario Parigi — Bratislava (Balázs).

V.

Collegamento ferroviario «Rail Baltica» Varsavia — Helsinki (Tělička).

VI.

Corridoi ferroviari e European Railway Traffic Management System (ERTMS) (Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario) (Vinck).

(9)  Decisione 884/2004/CE del 29.4.2004; GU L 167 del 30.4.2004 e GU L 201 del 7.6.2004.

(10)  Lettera a E. Thielmann, DG TREN del 15.12.2004.

(11)  Lettera di E. Thielmann del 21.1.2005.

(12)  Valutazione presentata nella riunione di coordinamento svoltasi a Bruxelles il 21.4.2005.

(13)  Parere del CESE sul tema Il ruolo delle stazioni nelle metropoli e nelle città dell'Unione europea allargata, GU C 88 dell'11.4.2006, pag. 9.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/185


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'approvvigionamento energetico dell'UE: strategia per un mix energetico ottimale

(2006/C 318/31)

Con lettera datata 29 agosto 2005, la Commissione europea ha richiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, l'elaborazione di un parere sul L'approvvigionamento energetico dell'UE: strategia per un mix energetico ottimale.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 27 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ritiene che l'Europa debba prefiggersi l'obiettivo strategico di pervenire a un mix energetico diversificato, che soddisfi in modo ottimale le finalità economiche, di sicurezza degli approvvigionamenti e di politica climatica. Ai fini del raggiungimento di questi obiettivi tutte le fonti di energia e le tecnologie esistenti presentano vantaggi e svantaggi, che vanno considerati in maniera aperta ed equilibrata.

1.2

La diversificazione del mix energetico ha lo scopo di:

garantire costi energetici ragionevoli, creando una concorrenza tra i diversi combustibili e un'efficienza globale ottimale dei sistemi energetici, in particolare per quanto riguarda l'elettricità. Inoltre, occorre diversificare le fonti di approvvigionamento in modo da creare concorrenza tra i fornitori,

migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti attraverso l'uso di combustibili sostitutivi in caso di problemi di fornitura e aumentare il potere degli utenti sul mercato,

creare una solidarietà europea e persino mondiale per quanto riguarda l'uso delle risorse e l'impatto ambientale.

1.3

Allo stato attuale la dipendenza energetica esterna dell'UE è un fatto inevitabile. Tuttavia, l'elevata e crescente dipendenza da un'unica fonte di approvvigionamento può generare problemi politici, economici e tecnici, in particolare se tale fonte è situata in zone in cui non si rispettano le stesse regole del gioco oppure politicamente instabili, come nel caso del petrolio e del gas.

1.4

Il carbone e l'uranio disponibili sul mercato mondiale provengono invece da varie fonti, anche all'interno dell'UE, e non destano quindi alcuna preoccupazione.

1.5

Esiste un potenziale per un uso maggiore delle fonti rinnovabili per la produzione elettrica ed esso va sfruttato. Tuttavia, anche se venisse conseguito l'obiettivo proposto dal Parlamento europeo di portare la quota energetica prodotta da fonti rinnovabili al 20 % entro il 2020, è improbabile che esse possano sostituire completamente le fonti di energia tradizionali in un prossimo futuro.

1.6

L'uso del gas è aumentato e continua ad aumentare per ragioni di mercato, ma anche per effetto di scelte politiche. Oggi risulta chiaro che questa tendenza potrà difficilmente continuare in futuro: infatti, se da un lato il gas, per motivi di sicurezza degli approvvigionamenti e di costo, non potrà continuare a sostituire il carbone, dall'altro, a causa delle emissioni, non potrà neppure sostituire il nucleare. Si sono inoltre levate voci contro l'uso del gas a fini energetici, trattandosi di una materia prima preziosa e disponibile in quantità limitate che trova impiego in ambito industriale — come avviene anche per il petrolio — in lavorazioni a elevato valore aggiunto.

1.7

Per quanto riguarda la sicurezza nucleare, per poter continuare ad utilizzare, se non addirittura incrementare l'uso di questa tecnologia — che presenta vantaggi in termini di cambiamenti climatici, limitata dipendenza economica esterna e stabilità dei costi — bisogna, tenuto conto delle critiche sollevate in molti Stati membri nell'ambito del dibattito pubblico in materia, affrontare la questione, tuttora irrisolta nella maggior parte dell'Unione europea, dello smantellamento degli impianti e dello smaltimento del combustibile esaurito (e in particolare dello stoccaggio finale di quest'ultimo). Considerati i vari scenari, l'eventuale sostituzione dell'energia nucleare nel prossimo futuro comporterebbe con ogni probabilità un aumento dell'impiego di combustibili fossili.

1.8

Il CESE sostiene l'adozione di un approccio attento alle scelte future. Non è saggio ipotizzare che gli sviluppi futuri siano perfettamente prevedibili e che tutto si svolga in perfetta conformità con gli obiettivi politici fissati o secondo le migliori aspettative. Le scelte politiche devono garantire un approvvigionamento energetico sufficiente a prezzi ragionevoli anche nelle situazioni meno favorevoli. Sarebbe molto irresponsabile adottare un approccio diverso da questo.

1.9

Non ci si deve precludere alcuna opzione: gli scenari per l'UE a 25 delineati nel capitolo 4 del presente parere confortano chiaramente questa conclusione. Anche nello scenario che presuppone il massimo sviluppo dell'efficienza energetica e l'aumento delle energie rinnovabili non è immaginabile il superamento di una tecnologia energetica senza conseguenze negative sul piano economico o ambientale.

1.10

L'attuale mix dovrebbe essere indirizzato, grazie a strategie politiche, verso una minore dipendenza esterna e un maggior ricorso alle fonti energetiche disponibili in Europa e prive di emissioni, tenendo presente che gli investimenti nelle varie tecnologie vengono decisi dagli attori presenti sul mercato.

1.11

Il CESE raccomanda di elaborare una strategia per un mix energetico ottimale. In questo contesto è importante chiarire il ruolo dell'UE, degli Stati membri, delle autorità indipendenti e degli attori del mercato. Visto l'elevato grado di interdipendenza tra gli Stati membri per quanto riguarda le questioni energetiche, un migliore coordinamento delle relative politiche all'interno dell'Unione aumenterebbe la capacità di quest'ultima di reagire ai problemi interni ed esterni.

La strategia per un mix energetico ottimale dovrebbe comprendere i seguenti elementi:

1.12

l'efficienza energetica, ivi compresa la cogenerazione di calore ed elettricità, è la prima e principale risposta alle sfide della politica energetica. Infatti, pur non contribuendo direttamente a riequilibrare il mix energetico, l'efficienza agisce a sostegno di tutti gli obiettivi di tale politica: competitività, sicurezza degli approvvigionamenti e lotta ai cambiamenti climatici;

1.13

le fonti di energia rinnovabili sono ancora ricche di potenzialità nell'UE e vanno sostenute. Alcune tecnologie devono solo diventare un po' più efficienti per poter accedere al mercato, mentre altre richiedono maggiori sforzi di R&S a lungo termine. Bisogna progettare attentamente gli interventi nel settore per non contribuire alla già forte tendenza all'aumento dei prezzi dell'energia;

1.14

l'uso dei biocarburanti per i trasporti va incrementato con cautela, previa realizzazione di studi di impatto approfonditi. Bisogna innanzitutto attuare la direttiva sulla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti (1).

1.15

L'efficienza energetica nei trasporti va migliorata attraverso svariate misure (cfr. il punto 6.3.1.5 del presente parere).

1.16

Urge migliorare ulteriormente la sicurezza nucleare e trovare una soluzione alla questione, finora irrisolta nella maggior parte degli Stati, del combustibile esaurito. Si tratta di un compito che spetterà agli operatori e le autorità di vigilanza della sicurezza, mentre gli organismi internazionali competenti dovranno stabilire requisiti appropriati. Per quanto riguarda il trasporto del combustibile esaurito, devono essere rispettate sia le regole dell'UE sia gli impegni assunti in sede internazionale.

1.17

È inoltre necessario un forte impegno a favore delle tecnologie pulite del carbone — miglioramento dell'efficienza delle centrali e applicazioni commerciali della cattura e stoccaggio del carbonio. Ciò è particolarmente importante alla luce degli sviluppi mondiali.

1.18

Inoltre, occorre prevedere il ritorno a un maggiore uso delle riserve di carbone dell'UE, ivi compreso l'utilizzo del carbone in forma liquida e gassosa. In questo come in altri contesti va tenuto presente che le decisioni politiche in materia di energia hanno solitamente forti implicazioni economiche, sociali e ambientali, e che si tratta di cambiamenti di grande portata e di lunga durata.

1.19

Per ridurre i problemi legati al mantenimento e all'incremento della quota del gas nel mix energetico, bisogna incoraggiare gli investimenti nei terminali per il gas naturale liquefatto (GNL). Ciò al fine di diversificare le fonti di approvvigionamento di gas e mettere a punto strutture e misure per il suo stoccaggio.

1.20

Occorre garantire investimenti adeguati nella produzione e nella trasmissione di energia sia attraverso l'adeguamento del quadro giuridico sia tramite adeguate misure finanziarie. I contratti a lungo termine, ad esempio, possono essere un utile strumento, entro i limiti posti dall'esigenza di assicurare una concorrenza sufficiente.

1.21

L'UE dovrebbe esprimersi con una sola voce e assumere il suo ruolo di protagonista sulla scena internazionale, nei negoziati con i paesi fornitori di energia, e in particolare con la Russia. Nell'affrontare i problemi riguardanti l'approvvigionamento energetico e nei relativi negoziati bisogna tener conto dei diversi elementi della dipendenza reciproca. L'Unione non può essere un attore nei mercati dell'energia, ma, poiché in molti dei paesi produttori l'energia è in gran parte nelle mani dei governi, essa dovrebbe sostenere fortemente gli interessi degli attori comunitari.

1.22

Nel valutare il contesto in cui si effettuano le scelte energetiche, bisogna analizzare i costi esterni («esternalità») come anche l'impatto dei sussidi. Inoltre, occorre valutare attentamente l'impatto delle misure politiche, attuali e future, in materia di protezione ambientale e di lotta ai cambiamenti climatici sugli altri obiettivi della politica energetica — competitività e sicurezza degli approvvigionamenti — nonché sulla diversificazione degli approvvigionamenti.

1.23

Occorre trovare una soluzione globale per quanto riguarda le politiche climatiche successive al protocollo di Kyoto, coinvolgendo in questo sforzo almeno tutti i paesi maggiormente responsabili delle emissioni. Altrimenti, non vi sarà alcun progresso significativo nella lotta ai cambiamenti climatici, con il rischio di nuocere allo sviluppo economico e sociale dell'UE.

1.24

Gli sforzi di R&S e il sostegno comunitario alle attività di R&S nel settore energetico vanno intensificati per rispecchiare la grande importanza e la portata delle sfide energetiche per la società. A breve termine, tali sforzi devono essere diretti al miglioramento dell'efficienza energetica, delle tecnologie relative alle energie rinnovabili che ancora non riescono ad essere competitive, delle tecnologie pulite del carbone e della sicurezza nucleare. Molte energie rinnovabili e tecnologie per l'efficienza energetica necessitano soprattutto di una progettazione intelligente che ne riduca i costi. È poi necessario un lavoro di ricerca e sviluppo di base e a lungo termine, per rendere possibile la prospettiva di un futuro energetico caratterizzato dall'impiego di energie rinnovabili, della fusione nucleare e dell'idrogeno. Nel frattempo va sostenuta e incoraggiata anche la realizzazione di altre prospettive promettenti per l'avvenire.

2.   Introduzione

2.1

Dal 2002 il CESE ha elaborato numerosi pareri di iniziativa e pareri esplorativi sulle diverse fonti di energia e tecnologie energetiche — il nucleare, le fonti energetiche rinnovabili, i combustibili fossili e l'efficienza energetica. Il presente parere si basa su tali testi, senza tuttavia fare alcun riferimento specifico alle informazioni e alle discussioni in essi contenute.

2.2

È difficile prevedere con esattezza gli sviluppi del mercato dell'energia. Tutte le previsioni e gli scenari elaborati presentano infatti dei limiti. Le tendenze in atto possono essere modificate da avvenimenti imprevisti o da azioni politiche forti. Le considerazioni, e ancor più le decisioni, politiche devono però essere basate su una conoscenza approfondita della situazione attuale, sulle migliori previsioni e scenari possibili nonché sulla comprensione dei fattori che scatenano o frenano il cambiamento. Il presente parere si basa essenzialmente su scenari elaborati dall'Agenzia internazionale per l'energia (AIE) e dalla Commissione che coprono il periodo fino al 2030. Dopo quella data il quadro si fa molto meno preciso.

2.3

La scelta delle fonti energetiche e delle relative tecnologie è opera degli investitori e può essere influenzata da decisioni di tipo politico. Pur non disponendo di alcun potere diretto sugli Stati membri per quanto riguarda la scelta delle fonti energetiche, l'UE ne influenza tuttavia le decisioni indirettamente attraverso le sue competenze in materia di ambiente. Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare il più possibile l'uso delle loro risorse interne. Inoltre, con le loro scelte essi si influenzano reciprocamente. Va anche detto che solitamente gli utenti di Stati membri che non utilizzano, ad esempio, il nucleare o il carbone per produrre energia, partecipano a un mercato dell'elettricità in cui il nucleare e il carbone vengono usati.

2.4

L'interrogativo fondamentale da porsi è il seguente: siamo già in grado oggi di escludere sistemi esistenti o che potrebbero esistere in futuro o eventuali altre opzioni? In altre parole, disponiamo di conoscenze sufficienti e ci sentiamo abbastanza sicuri da poter limitare le scelte a nostra disposizione per conseguire gli obiettivi della politica energetica (approvvigionamenti energetici adeguati e sicuri, prezzi competitivi e ragionevoli, ridotta incidenza ambientale e climatica)? Il presente parere vuole dare risposta a questo interrogativo e presentare le conclusioni e raccomandazioni del CESE in materia.

3.   L'evoluzione del mercato dell'energia e delle emissioni di biossido di carbonio a livello mondiale

3.1

Il futuro energetico mondiale condiziona il futuro energetico europeo. Attualmente le zone in cui il consumo energetico è maggiore e in più rapido aumento si trovano al di fuori del continente europeo, ma la crescente domanda di combustibili fossili a livello mondiale incide sui prezzi e sulla disponibilità di energia in Europa. Le variazioni dei prezzi inducono inoltre a modificare le scelte energetiche, i comportamenti dei consumatori e delle imprese e la direzione delle attività di R&S. Tutti questi fattori incidono anche sulla situazione europea. Nel considerare le opzioni di cui dispone l'Europa è quindi fondamentale avere presente il quadro energetico mondiale. L'AIE ha presentato la sua visione del futuro energetico mondiale nel testo World Energy Outlook 2004, che prefigura due scenari per il periodo 2004-2030.

Nel primo di essi, ossia nello scenario di riferimento (WEO-R04), si tiene conto delle politiche e delle misure adottate o applicate dai governi entro la prima metà del 2004. Nel secondo, lo scenario mondiale delle politiche alternative (WEO-A04), si analizza come potrebbe evolversi il mercato mondiale dell'energia se i vari paesi del mondo adottassero una serie di politiche e misure attualmente allo studio o che verranno verosimilmente realizzate nel periodo preso in considerazione. Entrambi gli scenari sono stati parzialmente aggiornati nell'edizione 2005 del World Energy Outlook (WEO-R05, WEO-A05).

3.2

In base alle proiezioni dello scenario WEO-R05, tra il 2002 e il 2030 la domanda mondiale di energia primaria dovrebbe aumentare del 52 %. Oltre due terzi di questo aumento verranno dai paesi in via di sviluppo. È previsto un rallentamento del tasso di incremento annuale della domanda energetica, che scenderà all'1,6 % dal 2,1 % del trentennio precedente. I settori dei trasporti e della produzione di elettricità assorbiranno una quota sempre maggiore dell'energia mondiale. Nel periodo preso in considerazione il consumo mondiale di elettricità raddoppierà.

3.3

Nello scenario WEO-A05 la domanda energetica mondiale è del 10 % inferiore rispetto a quella prevista nello scenario WEO-R05.

3.4

Il consumo di energia nei settori finali aumenterà dell'1,6 % all'anno fino al 2030 (scenario WEO-R04). La domanda proveniente dal settore dei trasporti farà registrare l'aumento più rapido, con un incremento previsto del 2,1 % annuo. I consumi residenziali e quelli del settore dei servizi segneranno un aumento annuo medio dell'1,5 %, e lo stesso tasso di incremento è previsto anche per il settore industriale.

3.5

Lo scenario WEO-R04 prevede che la domanda mondiale di elettricità raddoppi tra il 2002 e il 2030. Il settore che registrerà l'aumento maggiore sarà quello dei consumi residenziali (119 %), seguito dal settore dei servizi (97 %) e dall'industria (86 %). Per soddisfare l'aumento così previsto e sostituire le infrastrutture obsolete, occorrerà aumentare la capacità di 4.800 GW ovvero costruire quasi 10.000 nuovi impianti.

3.6

In base allo scenario WEO-R05, i combustibili fossili continueranno a dominare i consumi energetici mondiali: essi rappresenteranno l'83 % dell'aumento della domanda mondiale di energia primaria. La quota del nucleare scende dal 6,4 % al 4,7 %, mentre quella delle fonti rinnovabili di energia dovrebbe, secondo le proiezioni, salire dal 13 % al 14 %.

In base allo scenario WEO-A04, entro il 2030 la domanda di combustibili fossili diminuirà del 14 % rispetto allo scenario WEO-R04, mentre l'uso del nucleare aumenterà del 14 % e quello delle energie rinnovabili non idrauliche (esclusa la biomassa) subirà un incremento del 27 %.

3.7

Il petrolio rimarrà al primo posto tra i combustibili. Fino al 2030 la domanda mondiale fi petrolio aumenterà dell'1,4 % all'anno (scenario WEO-R05). La quota del mercato mondiale detenuta dai paesi dell'OPEC passerà dal 39 % nel 2004 al 50 % nel 2030. Il commercio netto interregionale aumenterà più del doppio nel periodo considerato. A far segnare l'incremento maggiore saranno le esportazioni mediorientali.

Nello scenario WEO-A04 la domanda primaria di petrolio risulta inferiore dell'11 % rispetto a quella prevista nello scenario WEO-R04.

3.8

Per quanto riguarda il gas naturale, è previsto un incremento costante della domanda pari al 2,1 % annuo (scenario WEO-R05). Tra il 2003 e il 2030 il consumo aumenterà di tre quarti. Le centrali per la conversione del gas naturale in combustibile liquido creeranno un nuovo e importante mercato per il gas naturale, rendendo possibile l'uso di riserve situate lontano dai mercati tradizionali. I maggiori incrementi della produzione si avranno in Russia e nel Medio Oriente.

Nello scenario WEO-A04, l'aumento previsto della domanda di gas è del 10 % inferiore.

3.9

Il carbone continuerà a svolgere un ruolo fondamentale nel mix energetico mondiale, con un tasso di incremento medio dell'1,4 % all'anno (scenario WEO-R05). Il maggiore incremento della domanda di carbone si registrerà nei paesi in via di sviluppo del continente asiatico. Oltre il 95 % di tale incremento proverrà dal settore elettrico. Più del 40 % delle riserve mondiali di carbone, pari a circa 200 anni di produzione ai ritmi attuali, è situato nei paesi dell'OCSE.

Lo scenario alternativo prevede una domanda di carbone inferiore di circa un quarto rispetto al quella prevista nello scenario di riferimento.

3.10

Le emissioni mondiali di biossido di carbonio aumenteranno dell'1,6 % nel periodo 2003-2030 (scenario WEO-R05). I paesi in via di sviluppo saranno responsabili di quasi il 70 % di questo aumento, di cui circa la metà sarà dovuto alla produzione di energia, mentre i trasporti continueranno ad essere la seconda fonte di emissioni di biossido di carbonio a livello mondiale.

Nello scenario WEO-A05, nel 2030 le emissioni di biossido di carbonio sono inferiori del 16 % a quelle previste nello scenario WEO-R05. Il tasso di crescita annuale diminuisce, passando all'1,1 %.

4.   L'evoluzione del mercato dell'energia e delle emissioni di biossido di carbonio nell'UE

4.1

La Commissione europea ha elaborato numerosi scenari sul futuro energetico europeo basati su ipotesi diverse. Nel presente capitolo vengono presentati due scenari. Lo scenario di base 2005 (BL-05) delinea il quadro futuro a partire dalle tendenze attuali e dalle politiche adottate dall'UE e dagli Stati membri prima della fine del 2004. Lo scenario alti livelli di efficienza energetica ed energie rinnovabili (HLEER-04) simula gli effetti energetici e ambientali della realizzazione di politiche forti sia in materia di efficienza energetica che di energie rinnovabili, per quanto tali misure possano essere modellizzate. Poiché lo scenario HLEER-04 non è stato aggiornato nel 2005, i raffronti vengono fatti con lo scenario di base 2004 (BL-04), ossia tra due scenari non direttamente comparabili. La Commissione non ha presentato calcoli delle differenze di costo tra gli scenari BL e HLEER.

4.2

Nel 2005 il consumo di energia primaria nell'UE attuale era così suddiviso: combustibili solidi 18 % (principalmente carbone), combustibili liquidi (petrolio) 37 %, gas naturale 24 %, energia nucleare 14 %, fonti di energia rinnovabili 7 %. Per quanto riguarda l'elettricità, il 29 % veniva prodotto a partire da carbone e lignite, il 20 % dal gas, il 31 % dall'energia nucleare, il 15 % dalle fonti di energia rinnovabili (ivi comprese le grandi centrali idroelettriche) e il 5 % da prodotti del petrolio.

4.3

Lo scenario BL-05 prevede che nel 2030 la domanda di energia primaria nell'UE superi del 15 % i livelli del 2000, con un aumento dello 0,5 all'anno, a fronte di un aumento del PIL del 79 %. Questo scenario indica che continuerà la divaricazione tra domanda di energia e PIL. L'intensità energetica (rapporto tra consumo di energia e PIL) migliora dell'1,5 % all'anno.

Lo scenario HLEER-04 prevede che nel 2030 il fabbisogno di energia primaria sia inferiore del 14,1 % rispetto allo scenario BL-04, ma sempre leggermente superiore al livello del 2000.

4.4

Per quanto riguarda il consumo di energia nei settori finali, è previsto un incremento del 25 % fino al 2030 (scenario BL-05). Nel settore dei servizi, nel 2030 la domanda di energia dovrebbe essere superiore del 49 % rispetto al 2000. Tale incremento è determinato dalla crescente domanda di elettricità. Tra il 2000 e il 2030, la domanda di energia per uso domestico dovrebbe aumentare del 29 %, quella del settore dei trasporti del 21 % e quella dell'industria del 19 %.

Nello scenario HLEER-04, nel 2030 la domanda di energia è del 10,9 % inferiore rispetto a quella prevista nello scenario BL-04.

4.5

La domanda di energia elettrica nell'UE aumenterà del 43 % tra il 2005 e il 2030 (scenario BL-05), con un incremento particolarmente rapido nei consumi domestici (62 %), nel terziario (53 %) e nell'industria (26 %).

4.6

La produzione di energia elettrica nell'UE dovrebbe aumentare del 51 % tra il 2000 e il 2030 (scenario BL-05). Una quota crescente di tale produzione verrà dalla cogenerazione di calore ed elettricità, che aumenterà di quasi 10 punti percentuali, per arrivare al 24 % nel 2030. La struttura della produzione energetica si trasforma in modo significativo a favore delle fonti di energia rinnovabili e del gas naturale, mentre il nucleare e i combustibili solidi perdono quote di mercato.

Nello scenario HLEER-04, nel 2030 è prevista una diminuzione della produzione elettrica complessiva pari al 16 % rispetto ai livelli previsti nello scenario BL-04. Per una produzione elettrica comparabile, la quota dei combustibili fossili e dell'energia nucleare diminuisce, in termini assoluti (-9,3 %, nel 2030, rispetto allo scenario BL-04).

4.7

Il petrolio rimane il combustibile più importante, anche se nel 2030 i consumi non dovrebbero superare i livelli attuali (scenario BL-05). La domanda di gas naturale dovrebbe diventare molto più consistente (con un aumento del 38 % fino al 2030), dopo il notevole incremento già registrato negli anni '90. La quota dei combustibili solidi dovrebbe registrare una certa diminuzione entro il 2020, per poi ritornare ai livelli attuali nel 2030, come conseguenza degli elevati prezzi del petrolio e del gas e della progressiva eliminazione del nucleare in alcuni Stati membri.

Nello scenario HLEER-04, il minore fabbisogno energetico, unitamente alle politiche di promozione delle energie rinnovabili, è all'origine di una notevole diminuzione della futura domanda di combustibili fossili. La riduzione maggiore interessa i combustibili solidi (-37,5 % rispetto ai livelli previsti nello scenario BL-04).

4.8

Nello scenario BL-05 le fonti di energia rinnovabili aumentano, in termini relativi, più degli altri combustibili (entro il 2030, un incremento pari a più del doppio rispetto ai livelli attuali). Il loro contributo all'aumento della domanda energetica è quasi pari a quello del gas naturale.

Nello scenario HLEER-04, le politiche di promozione delle energie rinnovabili portano ad un considerevole aumento della diffusione di queste ultime nel sistema energetico dell'UE a 25 (+ 43,3 % nel 2030 rispetto ai livelli dello scenario BL-04).

4.9

Nello scenario BL-05, la quota del nucleare diminuisce leggermente tra il 2000 e il 2030 (-11 %), in seguito alla decisione politica di alcuni vecchi Stati membri di uscire gradualmente dal nucleare e a quella di alcuni nuovi Stati membri di chiudere centrali con problemi di sicurezza.

Nello scenario HLEER-04, la quota del nucleare è del 19,9 % inferiore rispetto a quella prevista nello scenario BL-04.

4.10

La dipendenza dalle importazioni continua ad aumentare, per raggiungere il 65 % nel 2030, ossia un incremento di quasi quindici punti percentuali rispetto al livello attuale (scenario BL-05). Nel 2030 la dipendenza maggiore è sempre quella dalle importazioni di petrolio (94 %), mentre le importazioni di gas naturale passano da poco più del 50 % (livello attuale) all'84 %. Analogamente, aumenta anche la quota delle importazioni dei combustibili solidi, che toccherà il 59 % nel 2030.

Nello scenario HLEER-04, la dipendenza dalle importazioni è del 4-6 % inferiore a quella prevista nello scenario BL-04.

4.11

Le emissioni di biossido di carbonio hanno registrato un calo tra il 1990 e il 2000. Oggi, tuttavia, esse si attestano agli stessi livelli del 1990. Nei prossimi anni è previsto un nuovo aumento delle emissioni, che nel 2010 dovrebbero superare del 3 % il livello del 1990 e nel 2030 del 5 %. Nel lungo periodo, il loro moderato aumento rifletterà il rallentamento del consumo energetico e il ruolo piuttosto importante delle energie rinnovabili che non producono emissioni e del nucleare.

Nello scenario HLEER-04, il livello delle emissioni è notevolmente più basso di quello previsto dallo scenario BL-04 (-11,9 % nel 2010 e -22,5 % nel 2030). La diminuzione rispetto al 2000 è prossima al 10 %.

5.   Sfide politiche

5.1   Andamento dei prezzi

5.1.1

Pur avendo un effetto sui consumatori, gli aumenti dei prezzi determinati dalla domanda e generalizzati non hanno una forte incidenza sulle economie nazionali, quando essi creano una domanda nei paesi produttori. Invece, gli aumenti che interessano un'unica area economica — come in parte avviene attualmente per l'elettricità — nuocciono sia ai consumatori che alla competitività. A lungo andare, prezzi più elevati finiscono per modificare la situazione concorrenziale delle diverse fonti e tecnologie energetiche, la redditività delle misure a favore dell'efficienza energetica nonché il comportamento in generale.

5.1.2

I prezzi del petrolio e dei prodotti petroliferi hanno subito aumenti astronomici negli ultimi anni. Numerosi sono gli elementi che potrebbero contribuire a mantenerli alti, e persino a farli aumentare ulteriormente negli anni a venire, tra cui principalmente:

le forti pressioni esercitate a livello della domanda dai paesi asiatici in rapida crescita,

l'insufficienza degli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento,

i fattori geopolitici e l'instabilità politica.

5.1.3

I prezzi del gas hanno subito forti aumenti in tutte le regioni, sulla scia dei prezzi petroliferi. In Europa essi sono solitamente indicizzati ai prezzi del petrolio. Poiché le fonti di approvvigionamento europee sono concentrate principalmente in Russia e in Norvegia, mentre è improbabile che il GNL diventi competitivo in tempi brevi, questo collegamento tra i prezzi persisterà. La concorrenza tra diverse forme di gas potrebbe spingere i prezzi verso il basso, ma l'effetto di tale pressione sarebbe ampiamente compensato dall'aumento dei costi di approvvigionamento.

5.1.4

I prezzi del carbone subiranno probabilmente degli aumenti contenuti nel lungo periodo, dato che molti dei parametri del mercato dovrebbero rimanere invariati. I fornitori attuali e potenziali sono molti, il mercato è ancora altamente competitivo e i prezzi dovrebbero rimanere bassi rispetto a quelli di altri prodotti energetici primari.

5.1.5

I costi in linea capitale dell'energia rinnovabile dovrebbero diminuire in futuro. Il calo più rapido dovrebbe interessare i costi dell'energia fotovoltaica, che è attualmente il sistema energetico a più elevata intensità di capitale. Sono previste diminuzioni notevoli anche nei costi in capitale delle tecnologie legate all'energia eolica off-shore, all'energia termica solare, all'energia delle maree e del moto ondoso. Il costo dell'energia idroelettrica è generalmente basso e stabile, il potenziale di costruzione di nuovi impianti limitato e sempre più costoso.

5.1.6

I prezzi dell'elettricità sono aumentati nell'UE per molteplici motivi. Gli elevati prezzi del gas contribuiscono a mantenere alti i prezzi dell'elettricità nella maggior parte dei paesi dell'UE in cui il gas svolge un ruolo marginale nella produzione energetica. Tuttavia, è difficile spiegare l'aumento del prezzo dell'elettricità prodotta dalle centrali a carbone con l'aumento dei prezzi delle materie prime. Comincia inoltre a incidere sui prezzi anche la tensione tra offerta e domanda. Le imprese erogatrici di energia elettrica imputano in parte l'aumento dei prezzi al sistema di scambio delle quote di emissione, per cui il «costo» dei diritti di emissione si ripercuote sui prezzi al dettaglio, mentre in realtà tali diritti sono stati loro attribuiti gratuitamente. Le misure a favore delle energie rinnovabili, come del resto la tassazione e altre forme di prelievo, hanno, in alcuni casi, fatto aumentare i prezzi dell'elettricità. Inoltre, la Commissione sta attualmente cercando di stabilire se l'insufficiente concorrenza presente nel mercato dell'elettricità abbia inciso negativamente sui prezzi.

5.2   La sicurezza degli approvvigionamenti

5.2.1

Nel Libro verde dedicato a questo tema la Commissione esprimeva gravi preoccupazioni circa la sicurezza degli approvvigionamenti e prevedeva che in trent'anni la dipendenza dell'UE da fonti energetiche esterne sarebbe passata dal 50 % al 70 %. Nel suo parere sul Libro verde (2) il CESE condivideva pienamente la preoccupazione della Commissione. Oggi la questione della sicurezza degli approvvigionamenti si impone in modo ancora più pressante.

5.2.2

La dipendenza dalle importazioni è in aumento per quanto riguarda il petrolio, ed essa è sempre più concentrata nel Medio Oriente. Anche per quanto riguarda il gas la domanda in aumento accentua la dipendenza dalle fonti esterne, in particolare dalla Russia. Un'ulteriore preoccupazione proviene dal trasporto tramite lunghi oleodotti che attraversano regioni politicamente instabili.

5.2.3

Alcune défaillance delle reti, oltre che a livello gestionale e normativo, hanno richiamato l'attenzione sull'insufficienza degli investimenti rispetto all'incremento della domanda di trasmissione e delle distanze. Malgrado i progressi compiuti nell'interconnessione delle reti elettriche e del gas in tutta l'Europa, sussistono ancora gravi strozzature strutturali tra gli Stati membri. La regolamentazione delle reti deve contribuire a garantire sicurezza, qualità e investimenti adeguati.

5.2.4

Negli ultimi vent'anni sono stati realizzati pochi investimenti nelle centrali elettriche e nelle raffinerie di petrolio. Per quanto riguarda l'elettricità, l'era della sovraccapacità sta volgendo al termine: di qui al 2030 bisogna investire per aumentare la capacità di produzione di energia elettrica di 600-750 GW, al fine di soddisfare la crescente domanda e sostituire le centrali vetuste. L'esigenza di investimenti per aumentare la capacità produttiva, in particolare per i carichi di picco, potrebbe essere parzialmente compensata da una piena interconnessione delle reti.

5.2.5

Le politiche comunitarie per promuovere l'uso delle fonti di energia rinnovabili forniscono uno strumento efficace per contrastare la crescente dipendenza da fonti energetiche esterne e nel contempo per limitare le emissioni di gas a effetto serra nonché, in alcuni casi, ridurre la dipendenza dalle reti. Nel caso della biomassa e dei biocombustibili, occorre assicurare un uso ottimale dei suoli a lungo termine.

5.2.6

L'uranio utilizzato nell'UE viene importato da varie fonti, nella misura del 95 %. Secondo l'AIEA e l'Agenzia per l'energia nucleare dell'OCSE le fonti di uranio attualmente note ed economicamente sfruttabili dovrebbero soddisfare una domanda mondiale pari all'attuale per altri 50 anni. In base alle misure geologiche, le riserve potenziali dovrebbero durare 280 anni. Inoltre, in un futuro più lontano, altre tecnologie potrebbero offrire ulteriori opzioni nell'approvvigionamento in combustibile.

5.3   I cambiamenti climatici

5.3.1

L'UE ha assunto un ruolo guida a livello mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici, dotandosi di politiche originali, estremamente avanzate e ambiziose, in particolare il sistema di scambio delle quote di emissione e la valorizzazione delle energie rinnovabili. Molti paesi del mondo non hanno seguito il suo esempio: tra questi vi sono anche i maggiori responsabili delle emissioni.

5.3.2

Nel contesto delle tendenze al surriscaldamento globale, gli obiettivi di Kyoto, seppur modesti, appaiono difficili da raggiungere per la maggior parte degli Stati membri dell'UE.

5.3.3

La maggior parte delle riduzioni di emissioni realizzate finora è stata ottenuta sostituendo il carbone con il gas per il riscaldamento e la produzione di elettricità (Regno Unito) e attraverso la chiusura e il rinnovamento delle vecchie unità produttive (Germania orientale). Molte delle riduzioni che si dovranno effettuare oggi e in futuro saranno più complesse e costose da realizzare.

5.3.4

Occorre trovare una soluzione globale per quanto riguarda le politiche climatiche successive al protocollo di Kyoto, coinvolgendo in questo sforzo almeno tutti i paesi maggiormente responsabili delle emissioni. Altrimenti, non vi sarà alcun progresso significativo nella lotta ai cambiamenti climatici, con il rischio di nuocere allo sviluppo economico e sociale dell'UE.

6.   Le opzioni future

6.1   Prospettive a lungo termine

6.1.1

Attualmente uno degli scenari energetici ideali per il futuro, tale da minimizzare l'impatto ambientale e climatico e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti mondiali, sembra prevedere il ricorso a fonti di energia rinnovabili per il riscaldamento e carichi elettrici variabili, alla fusione nucleare per l'elettricità di base e all'uso dell'idrogeno come vettore energetico. Si prevede che questo mix energetico non sia operativo prima del 2050 o, con più probabilità, molto più tardi. Un altro scenario prevede un elevato livello di efficienza energetica, l'uso delle energie rinnovabili supportato da una soluzione tecnologica al problema dello stoccaggio dell'elettricità — ad esempio l'idrogeno — e l'uso del carbone con cattura e stoccaggio del biossido di carbonio.

6.1.2

La tecnologia della fusione comporta tuttora grandi sfide e incertezze. Bisogna ancora realizzare alcuni progressi tecnici di base e, soprattutto, rimane molto da fare per rendere questa tecnologia economicamente redditizia. Per generalizzare un'economia dell'idrogeno si richiede, di nuovo, una grande disponibilità di energia elettrica. L'idrogeno basato sulle fonti di energia rinnovabili o il gas non è in grado di sostenere, per lo meno da solo, un'economia dell'idrogeno a pieno titolo.

6.1.3

È difficile stabilire il potenziale mondiale delle fonti di energia rinnovabile, tenuto conto di alcuni limiti naturali e dell'economia. Alcuni studi indicano la possibilità che nel 2050 la quota delle energie rinnovabili in Europa sia prossima al 100 %; tuttavia, tale punto di vista non è largamente condiviso, né trova sostegno negli scenari della Commissione, tra i quali neppure il più alternativo, che prevede l'uso più intenso di energie rinnovabili, assegna a queste ultime più del 15 % nel 2030. Finora, nell'UE a 25 lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabili è aumentato più lentamente rispetto agli obiettivi prefissati.

6.2   Efficienza energetica

6.2.1

L'efficienza energetica e il risparmio di energia sono elementi fondamentali della politica energetica. Nel parere elaborato recentemente in risposta al Libro verde sull'efficienza energetica, il CESE appoggia vigorosamente le iniziative intraprese in questo settore strategico e formula le proprie osservazioni in merito a tutta una serie di misure e strumenti potenziali.

6.2.2

Il miglioramento dell'efficienza influisce sul futuro mix energetico. La relativa diminuzione della domanda inciterà il mercato a diminuire l'uso delle fonti di approvvigionamento meno redditizie, oppure porterà forse all'adozione di misure politiche relative alla fonte di energia meno ricercata.

6.2.3

Nel Libro verde la Commissione stima che l'efficienza energetica possa essere migliorata del 20 %, ovvero dell'1,5 % all'anno, in modo da riportare la domanda dell'UE a 25 ai livelli del 1990. Nessuno degli scenari pubblicati dalla Commissione, neppure quello che prevede le misure politiche più decise, contempla una tale diminuzione entro il 2030.

6.2.4

Nel suo parere il CESE sostiene fortemente l'idea del miglioramento dell'efficienza energetica come presupposto dello sviluppo sostenibile, della competitività e dell'indipendenza economica. Una migliore efficienza energetica presenta vantaggi sul piano economico, a patto di non spingersi troppo oltre. Nelle imprese il miglioramento dell'efficienza energetica è una pratica quotidiana e gli accordi volontari offrono un valido strumento in questo senso. In altri settori sono necessarie numerose misure, come ad esempio campagne di sensibilizzazione e di diffusione delle conoscenze e provvedimenti economici adeguati. A giudizio del CESE, tuttavia, gli obiettivi enunciati nel Libro verde sono eccessivamente ottimistici.

6.2.5

Malgrado le misure a favore dell'efficienza, alla luce degli scenari elaborati appare improbabile che nell'UE a 25 la domanda energetica declini prima del 2030. È anzi possibile che essa aumenti. Un maggiore sviluppo dell'efficienza energetica porterebbe grandi benefici.

6.3   Opzioni nei settori di utilizzo

Per analizzare le opzioni in materia di mix energetico rispetto alle sfide politiche sopraindicate, sarà utile considerare individualmente i diversi settori di utilizzo dell'energia primaria — trasporti, riscaldamento ed elettricità -, in quanto essi sono solo marginalmente interdipendenti.

6.3.1   Trasporti

6.3.1.1

I trasporti dipendono quasi interamente dai combustibili liquidi: in pratica, dai prodotti petroliferi. Attualmente l'unica possibile alternativa al loro uso è rappresentata, in una certa misura, dal trasporto elettrico su rotaie. I trasporti pubblici utilizzano, in misura limitata ma crescente, il gas: ciò consente una certa diversificazione, ma solleva al tempo stesso problemi collegati al maggiore uso del gas.

6.3.1.2

L'UE si prefigge di sostituire i combustibili a base di petrolio con biocombustibili fino a raggiungere il 5,75 % entro il 2010. Attualmente, con gli elevati prezzi del petrolio, si discute ampiamente di una sostituzione su più vasta scala. Nel febbraio 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione per un maggiore uso dei biocombustibili (piano d'azione per la biomassa). Nel pianificare politiche di questo tipo, occorre tener conto di molti fattori, come ad esempio il bilancio energetico netto, gli scambi commerciali, gli aspetti finanziari, l'ambiente e le politiche agricole, nonché i costi per gli utenti. Altre questioni importanti sono la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti e l'impatto sugli usi alternativi della biomassa.

6.3.1.3

Gli autoveicoli con celle a combustibile sono ancora in fase di sperimentazione. Una questione fondamentale è quale tipo di carburante utilizzare. In futuro l'idrogeno potrà essere prodotto a partire da fonti di energia rinnovabili o dal gas naturale, nonché dall'acqua tramite elettricità. Attualmente, le celle a combustibile sono molto più costose dei motori a combustione.

6.3.1.4

L'elettricità può fornire una valida alternativa come vettore di energia per i trasporti, ad esempio per gli autoveicoli elettrici ibridi.

6.3.1.5

Non vi è alcuna soluzione rapida in vista per arrivare a un sistema di trasporto che faccia a meno del petrolio. Occorre perciò compiere grandi sforzi per incrementare l'efficienza energetica dei trasporti attraverso:

il miglioramento della tecnologia dei motori e del carburante,

automobili più leggere e veicoli per trasporto merci più efficienti,

migliori trasporti pubblici, integrati da pedaggi stradali per l'accesso ai centri urbani,

massimo spostamento del traffico verso le ferrovie e le vie navigabili, purché efficienti,

lotta alla congestione del traffico, ad esempio attraverso orari di lavoro flessibili.

Le esigenze di trasporto possono essere ridotte grazie alla pianificazione regionale e al telelavoro.

Per un'analisi generale più approfondita dell'infrastruttura europea di trasporto e delle sue sfide future, si rimanda al parere del CESE Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofimobilità sostenibilefinanziamento.

6.3.2   Riscaldamento e raffreddamento

6.3.2.1

In Europa, per il riscaldamento si utilizzano prevalentemente combustibili fossili: petrolio, gas e carbone. La quota del gas è in rapido aumento. L'elettricità ha una modesta diffusione, mentre nel nord è entrata in scena la biomassa e nel sud l'energia solare. Nel raffreddamento predomina ancora l'elettricità, ma si vanno affermando anche altre opzioni, in particolare i servizi di teleraffreddamento offerti dalle centrali di cogenerazione.

6.3.2.2

In Europa la percentuale dell'energia utilizzata nel riscaldamento e nel raffreddamento degli edifici è pari al 40 %. Gli esperti ritengono che vi siano grandi possibilità di miglioramento dell'efficienza e di risparmio energetico, e l'UE ha già preso iniziative in questo senso.

6.3.2.3

Le fonti di energia rinnovabili offrono grandi potenzialità in questo campo. La biomassa potrebbe essere utilizzata più ampiamente nei moderni sistemi di teleriscaldamento e teleraffreddamento, eventualmente in combinazione con la produzione di elettricità. L'energia geotermica offre un potenziale quasi del tutto inutilizzato. Il riscaldamento a partire dall'energia solare è sorprendentemente poco sviluppato in alcuni paesi del sud. Inoltre, l'estrazione del calore ambiente attraverso pompe di calore rappresenta una fonte abbondante ed efficiente di energia rinnovabile.

6.3.2.4

Il riscaldamento e il raffreddamento rimandano a un uso strettamente locale dell'energia, ed è a livello locale che vanno adottate le misure per migliorare l'efficienza energetica degli edifici. A livello comunitario bisognerebbe intervenire per sostenere lo sviluppo delle tecnologie e la condivisione delle conoscenze e delle migliori pratiche, nonché garantire il funzionamento del mercato interno per i relativi prodotti e servizi.

6.3.3   Elettricità

6.3.3.1

L'elettricità viene prodotta a partire da diverse fonti: carbone, gas, petrolio, energia idroelettrica, nucleare ed eolica, nonché combustibili solidi non fossili come la biomassa. Le tecnologie dell'energia fotovoltaica e del moto ondoso sono in via di sviluppo.

6.3.3.2

La maggioranza delle centrali energetiche europee dovrà essere sostituita nel prossimo futuro, in particolare le centrali maggiori, basate sui combustibili fossili, e quelle nucleari. Ciò offre un'opportunità unica per compiere un grande passo in direzione delle fonti di energia senza carbonio riducendo nel contempo la dipendenza esterna, nonché per migliorare l'efficienza della produzione elettrica.

6.3.3.3

Le misure per l'efficienza energetica possono essere adottate in qualsiasi punto della catena energetica: dalla tecnologia del combustibile e delle centrali alla progettazione ecoefficiente dei prodotti elettrici.

6.3.3.4

È tuttavia opinione generale che nei prossimi decenni la domanda di elettricità aumenterà ancora e che nell'UE a 25 si dovranno costruire nuovi impianti per circa 400 GW, ovvero 400-800 centrali, per coprire l'aumento della domanda. Occorrono inoltre nuove centrali per centinaia di GW per sostituire le vecchie.

6.3.3.5

Un mix energetico ottimale prevede diversi tipi e capacità di produzione, che rispondano a tipi di domanda diversi. Le centrali idroelettriche, nucleari o a combustione che utilizzano combustibili meno costosi come il carbone rappresentano l'opzione ottimale per il carico di base, laddove la domanda è stabile e continua. Nel caso di carichi variabili — sono la maggioranza — è importante poter regolare facilmente l'approvvigionamento, come avviene con l'energia idroelettrica o quella termica. I carichi di picco sono forniti di preferenza da impianti con bassi costi in capitale, di solito associati ad elevati costi di sfruttamento, come le turbine a gas. La capacità di base può anche essere utilizzata per aumentare l'energia idroelettrica per la fornitura nei carichi di picco. L'uso di fonti di energia intermittenti richiede un approvvigionamento complementare che possa essere facilmente regolato.

6.3.3.6

Per sfruttare più efficacemente le centrali elettriche e ridurre il fabbisogno di nuovi impianti occorrono reti di trasmissione adeguate, funzionanti nonché interconnesse. D'altro canto, bisogna ottimizzare il sistema per non privilegiare la trasmissione a lunga distanza rispetto alla costruzione di nuove centrali laddove la domanda è elevata. Un'opzione da sviluppare è quella della produzione diffusa, preferibilmente attraverso la cogenerazione. In un mercato che funzioni correttamente, una gestione ben concepita della domanda potrebbe contribuire a ridurre i picchi di quest'ultima.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Direttiva 2003/30/CE, GU L 123 del 17.5.2003.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale in merito al Libro verde Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico, GU C 221 del 7.8.2001, pag. 45.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Nuovo punto 2.2.1:

Il Comitato fa osservare che le previsioni su cui ci si è basati potrebbero rivelarsi sbagliate o superate a causa degli attuali sviluppi dei mercati energetici, in particolare a causa dell'evoluzione dei prezzi del petrolio. I dati di riferimento impiegati sono infatti determinanti per le previsioni ed essi si sono modificati in modo decisivo negli ultimi mesi. Così, uno studio eseguito in Germania su incarico del ministero federale dell'economia (1) ha concluso che ipotizzando oggi un prezzo del petrolio in futuro pari a 60 USD per barile i consumi energetici si ridurrebbero entro il 2030 del 17 % e si avrebbe un maggior ricorso al carbone e alle energie rinnovabili. In base all'ipotesi di un prezzo del petrolio di 37 USD, fino a oggi si era partiti dal presupposto di un aumento dei consumi.

Motivazione

È ovvio che le nostre affermazioni devono fondarsi su delle previsioni e la relatrice ha fatto bene a citare l'Agenzia internazionale per l'energia e la Commissione. Tuttavia, il Comitato dovrebbe integrare nelle sue riflessioni almeno gli sviluppi più recenti, senza che questo porti a cambiare le conclusioni del suo parere.

Esito della votazione

Voti favorevoli 69

Voti contrari 85

Astensioni 19

Punto 2.3

Modificare come segue:

La scelta delle fonti energetiche e delle relative tecnologie è opera degli investitori e può essere influenzata da decisioni di tipo politico. Pur non disponendo di alcun potere diretto sugli Stati membri per quanto riguarda la scelta delle fonti energetiche, l'UE ne influenza tuttavia le decisioni indirettamente attraverso le sue competenze in materia di ambiente. Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare il più possibile l'uso delle loro risorse interne. Inoltre con le loro scelte essi si influenzano reciprocamente. Va detto anche che solitamente gli utenti di Stati membri che non utilizzano, ad esempio, il nucleare o il carbone per produrre energia, partecipano a un mercato dell'elettricità in cui il nucleare e il carbone vengono usati.

Motivazione

L'affermazione contenuta nel periodo finale non è corretta. Infatti, nei paesi che — ad esempio — rinunciano al nucleare o intendono rinunciarvi, esistono spesso centrali con sufficiente capacità di produzione energetica che utilizzano fonti alternative. Il fatto che — ad esempio — la Germania importi elettricità prodotta da centrali nucleari francesi o ceche rientra nel funzionamento del mercato interno europeo e dipende dall'intenzionale sovrapproduzione di energia da parte di alcuni Stati membri anziché da un supposto deficit energetico che, per ipotesi, potrebbe essere colmato solo importando energia nucleare dall'estero.

Esito della votazione

Voti favorevoli 60

Voti contrari 115

Astensioni 13

Punto 5.2.6

Modificare come segue:

L'uranio utilizzato nell'UE viene importato, da varie fonti, nella misura del 95 %. Secondo l'AIEA e l'Agenzia per l'energia nucleare dell'OCSE le fonti di uranio attualmente note ed economicamente sfruttabili dovrebbero soddisfare una domanda mondiale pari all'attuale per altri 50 anni. In base alle misure geologiche, le riserve potenziali dovrebbero durare 280 anni. Tuttavia, tale durata potrebbe essere drasticamente ridotta dall'attuazione dei programmi di sviluppo nucleare di alcuni Stati. Così, ad esempio, l'India prevede di sviluppare il suo parco centrali nucleari, centuplicandone la capacità complessiva (da 3.000 MW a 300.000 MW), il che ovviamente aggraverebbe le condizioni di approvvigionamento dell'uranio su scala globale. Inoltre È vero che, in un futuro più lontano, altre tecnologie potrebbero fornire ulteriori opzioni nell'approvvigionamento in combustibile potrebbero essere offerte da altre tecnologie; tuttavia, ad oggi queste non sono ancora né sperimentate né effettivamente disponibili.

Motivazione

L'emendamento ha lo scopo di rendere più chiaro e più preciso il testo.

Esito della votazione

Voti favorevoli 62

Voti contrari 124

Astensioni 6

Punto 6.3.3.2

Modificare come segue:

La maggioranza delle centrali energetiche europee dovrà essere sostituita nel prossimo futuro, in particolare le centrali maggiori, basate sui combustibili fossili, e quelle nucleari. Ciò offre un'opportunità unica per compiere un grande passo in direzione delle fonti di energia senza carbonio dei sistemi di produzione di energia con un minore impatto ambientale (centrali termiche a blocco, tecnologia pulita del carbone), riducendo nel contempo la dipendenza esterna, nonché per migliorare l'efficienza della produzione elettrica.

Motivazione

Evidente. Del resto, già nei punti 1.17 e 1.18 si fa riferimento alla tecnologia pulita del carbone.

Esito della votazione

Voti favorevoli 62

Voti contrari 121

Astensioni 12


(1)  Elaborato dal Basler Prognos Institut e dall'Energiewirtschaftlichen Institut dell'Università di Colonia.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/195


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito ai seguenti documenti:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera

COM(2005) 586 def. — 2005/0236 (COD),

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime

COM(2005) 587 def. — 2005/0237 (COD),

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al controllo da parte dello Stato di approdo

COM(2005) 588 def. — 2005/0238 (COD),

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione

COM(2005) 589 def. — 2005/0239 (COD),

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica le direttive 1999/35/CE e 2002/59/CE

COM(2005) 590 def. — 2005/0240 (COD),

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente

COM(2005) 592 def. — 2005/0241 (COD),

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità civile e alle garanzie finanziarie degli armatori

COM(2005) 593 def. — 2005/0242 (COD)

(2006/C 318/32)

Il Consiglio, in data 25 gennaio 2006 (TEN/236), 8 febbraio 2006 (TEN/235), 14 febbraio 2006 (TEN/234 e TEN/239), 28 febbraio 2006 (TEN/237) e 15 marzo 2006 (TEN/233 e TEN/238), ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 71, paragrafo 1, e 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alle proposte di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU e dalla correlatrice BREDIMA-SAVOPOULOU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 198 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie nel complesso positivamente il terzo pacchetto di misure sulla sicurezza marittima, che costituisce un nuovo passo costruttivo e proattivo verso il miglioramento della sicurezza marittima, poiché permette di limitare gli incidenti e l'inquinamento marittimo e di controllarne meglio gli effetti. Il CESE è in gran parte favorevole alle proposte relative agli obblighi dello Stato di bandiera, al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo, al monitoraggio svolto dalle società di classificazione incaricate di procedere a controlli, alle inchieste sugli incidenti, come pure alla proposta relativa a un sistema di monitoraggio del traffico navale e d'informazione (navi in pericolo e luoghi di rifugio). Le proposte, che riflettono le principali posizioni espresse dal Comitato nei pareri dedicati ai pacchetti ERIKA I e II, migliorano diversi aspetti della catena del trasporto e testimoniano l'impegno dell'Unione europea a favore della qualità dei trasporti marittimi.

1.2

Il Comitato esprime preoccupazione per le proposte sulla responsabilità delle navi da passeggeri, la quale si basa sulla convenzione istitutiva dell'Organizzazione marittima internazionale (OMI) di Atene e sulla responsabilità civile. In particolare, la proposta sulla responsabilità civile meriterebbe un esame più approfondito.

1.3

È positivo, per il Comitato, che il pacchetto riconosca il ruolo svolto dall'OMI. Tale riconoscimento è del tutto in linea con i pareri emessi dal Comitato sin dal 1993 sulla sicurezza marittima e sulla prevenzione dell'inquinamento, in cui si dà atto della necessità di realizzare un quadro internazionale in materia di sicurezza marittima e di prevenzione dell'inquinamento.

1.4

Il Comitato raccomanda alla Commissione di intraprendere tutte le misure necessarie affinché gli Stati membri ratifichino celermente le attuali convenzioni dell'OMI, in particolare quella del 1996 sulla limitazione della responsabilità in materia di rivendicazioni marittime (convenzione LLMC). La ratifica di tali strumenti avrà un impatto diretto sulla sicurezza marittima, l'ambiente globale, la responsabilità e il risarcimento per i danni causati dall'inquinamento su scala mondiale.

1.5

Il Comitato suggerisce alla Commissione di escludere la navigazione interna dalla proposta riguardante la responsabilità nel trasporto di passeggeri per vie navigabili interne e di pubblicare una proposta specifica nel quadro del programma Naiades.

1.6

Il Comitato ribadisce l'auspicio, già espresso in riferimento ai pacchetti ERIKA I e II, che un nuovo pacchetto sulla sicurezza marittima menzioni più esplicitamente l'elemento umano, e deplora l'insufficiente attenzione attribuita dall'UE a tale aspetto in questo terzo pacchetto. Il Comitato propone che come base per l'elaborazione di disposizioni appropriate si assuma la convenzione sul Codice del lavoro marittimo adottato dalla conferenza marittima dell'OIL nel 2006, che gli Stati membri dovrebbero ratificare in vista di un'armonizzazione delle norme di base europee e internazionali. Anche la parte del Codice relativa alle «raccomandazioni» (legislazione non vincolante) andrebbe tenuta nella debita considerazione per elaborare migliori norme europee.

1.7

Il Comitato osserva che per migliorare l'iter legislativo bisogna migliorare l'applicazione delle norme esistenti, e allerta sulla necessità di agire in tal senso. Invita inoltre tutti i soggetti interessati a vigilare sull'attuazione delle disposizioni del nuovo pacchetto sulla sicurezza marittima.

1.8

Il Comitato richiama l'attenzione sulla necessità di accrescere i mezzi destinati al controllo dello Stato di approdo da parte degli Stati membri, ed esorta ad aumentare il numero degli ispettori nei porti per garantire l'effettiva attuazione delle diverse misure rientranti nei pacchetti sulla sicurezza marittima. Invita poi la Commissione a mettere in campo, in collaborazione con gli Stati membri, tutte le risorse necessarie per richiamare e assumere nuovo personale ispettivo adeguatamente qualificato.

2.   Introduzione

2.1

In seguito ai danni causati dagli incidenti delle petroliere Erika (1999) e Prestige (2002) al largo delle coste francesi e spagnole, incidenti che hanno mostrato la vulnerabilità dei litorali europei, l'Unione europea si è affrettata a prendere provvedimenti per creare un meccanismo di difesa finalizzato a proteggere le coste europee contro i rischi di sinistri e di inquinamento marittimo e a migliorare le norme di sicurezza delle navi che fanno scalo nei suoi porti. I due pacchetti legislativi adottati, ERIKA I (1) nel 2001 e ERIKA II (2) nel 2002, comprendono sei strumenti giuridici (tre direttive e tre regolamenti). Il 23 novembre 2005, la Commissione ha pubblicato un terzo pacchetto di misure relative alla sicurezza marittima al fine di rafforzare le norme comunitarie in materia e migliorare l'efficacia delle misure esistenti.

3.   Le proposte della Commissione

3.1

Con il recente ampliamento dell'UE la flotta comunitaria rappresenta ormai il 25 % di quella mondiale. L'obiettivo della Commissione europea è creare una flotta modello in grado di garantire un servizio marittimo sicuro, competitivo e rispettoso dell'ambiente.

3.2

Il terzo pacchetto sulla sicurezza marittima permetterà di garantire meglio la sicurezza del trasporto marittimo comunitario. A tal fine propone un approccio più proattivo volto a ricreare le condizioni di una concorrenza sana e sostenibile per gli operatori che rispettano le norme internazionali. Il pacchetto contiene sette proposte che tengono conto dell'esperienza maturata con l'attuazione della normativa comunitaria in materia di sicurezza marittima e di prevenzione dell'inquinamento, le quali si articolano intorno a due ambiti prioritari di intervento:

il miglioramento della prevenzione degli incidenti e dell'inquinamento, e

la gestione delle conseguenze degli incidenti.

3.3   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera

3.3.1

L'obiettivo della proposta è far sì che gli Stati membri garantiscano un controllo efficace della conformità delle navi che battono la loro bandiera alle disposizioni internazionali raccomandate dall'Organizzazione marittima internazionale (OMI). A tal fine è necessario che essi dispongano di un'amministrazione marittima rispondente a criteri di qualità elevata. La proposta mira a garantire che gli Stati membri adempiano i propri obblighi internazionali in maniera effettiva e coordinata.

3.4   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime

3.4.1

La proposta è destinata a migliorare la qualità dell'attività delle società di classificazione riconosciute (incaricate dell'ispezione e della certificazione delle navi), a riformare il sistema di sanzioni per le compagnie che non rispettano gli obblighi, infliggendo loro penalità finanziarie più graduali e proporzionali, e a rafforzare i poteri della Commissione in modo da permettere agli ispettori di accedere a tutte le navi, indipendentemente dalla loro bandiera. La qualità del lavoro svolto dalle società di classificazione dovrebbe risultare migliorata grazie all'introduzione di un sistema di controllo della qualità.

3.5   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al controllo da parte dello Stato di approdo

3.5.1

La proposta prevede una rifusione approfondita dell'attuale sistema (Protocollo di Parigi), in base al quale gli Stati membri sono tenuti a ispezionare almeno il 25 % delle navi approdate nei loro porti. Tale sistema viene ora sostituito da un obiettivo comunitario che consiste nell'ispezione sistematica di tutte le navi, ma tiene conto nel contempo della necessità di attenuare i controlli sulle navi di qualità.

3.5.2

Ulteriori misure seguiranno allo scopo di migliorare l'efficacia e la qualità dei controlli effettuati sulle navi presenti nei porti comunitari (anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro degli equipaggi). Il nuovo regime di ispezione si concentrerà sulle navi a rischio. Misure più severe saranno infine adottate per le navi al di sotto delle norme, rafforzando le disposizioni che ne vietano l'accesso nelle acque comunitarie.

3.6   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione

3.6.1

Tra gli obiettivi perseguiti dal pacchetto figura il miglioramento del quadro giuridico relativo all'accoglienza delle navi in pericolo nei luoghi di rifugio. L'identificazione di tutti i luoghi che possano eventualmente servire da rifugio andrebbe accelerata in modo da migliorare l'efficacia dei processi decisionali in caso di incidenti marittimi. La Commissione propone inoltre di dotare tutti i pescherecci di sistemi di identificazione automatici (AIS) per ridurre i rischi di collisione con navi più grandi.

3.6.2

L'estensione del sistema comunitario per lo scambio di dati SafeSeaNet a tutto il territorio dell'UE faciliterà il controllo dei movimenti delle navi e dei loro carichi. Le navi saranno informate dei rischi di formazione di ghiaccio in alcune zone marittime.

3.7   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica le direttive 1999/35/CE e 2002/59/CE

3.7.1

La qualità delle norme in materia di sicurezza marittima dipende dalla capacità di analizzare le cause degli incidenti e di trarne i relativi insegnamenti. Lo scopo della proposta è creare un quadro comunitario armonizzato che consenta lo svolgimento di inchieste sugli incidenti marittimi da parte di organi inquirenti indipendenti e debitamente autorizzati. La proposta definisce con chiarezza gli orientamenti comunitari al riguardo e favorisce la cooperazione nel settore delle inchieste tecniche sui sinistri marittimi.

3.8   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente

3.8.1

L'obiettivo della proposta è integrare nel corpus legislativo comunitario le disposizioni della convenzione di Atene del 2002 (applicabili soltanto alle rotte internazionali e non ancora entrate in vigore) ed estendere la tutela garantita dalla suddetta convenzione a tutti i passeggeri di navi nell'UE nel quadro sia del traffico marittimo interno che della navigazione sulle rotte marittime e altre vie navigabili interne.

3.9   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità civile e alle garanzie finanziarie degli armatori

3.9.1

L'obiettivo è indurre gli armatori ad agire in maniera più responsabile e obbligarli a sottoscrivere una polizza assicurativa o una qualsiasi altra garanzia finanziaria che permetta di coprire i danni causati a terzi e le spese di rimpatrio dei marittimi in caso di abbandono.

3.9.2

Il primo passo in questa direzione consiste nella ratifica da parte degli Stati membri di tutte le convenzioni OMI pertinenti, compresa quella del 1996 sulla limitazione della responsabilità in materia di rivendicazioni marittime (convenzione LLMC). Il testo della convenzione del 1996 sarà incorporato nel diritto comunitario per garantirne l'applicazione totale e uniforme in tutta l'Unione europea. In secondo luogo, la Commissione chiederà un mandato per negoziare in sede OMI una revisione del protocollo del 1996, per modificare il meccanismo in base al quale l'armatore perde il diritto di limitare la sua responsabilità. Le navi battenti bandiera di uno Stato che non abbia ratificato la convenzione del 1996 saranno soggette a un regime di responsabilità più rigorosa in caso di negligenza grave.

3.9.3

Gli Stati membri devono assicurarsi che i proprietari di navi che solcano le acque comunitarie, indipendentemente dalla loro bandiera, dispongano di una garanzia finanziaria in materia di responsabilità civile corrispondente a un importo pari al doppio dei massimali fissati dalla suddetta convenzione del 1996. Gli armatori devono inoltre dotarsi di una garanzia finanziaria che copra i casi di abbandono della gente di mare. Tale garanzia finanziaria deve essere verificabile attraverso certificati da conservare a bordo della nave.

4.   Osservazioni generali

4.1   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera

4.1.1

Il CESE è del tutto favorevole a questa proposta, che vincola gli Stati membri ad assumere le loro responsabilità in maniera adeguata e a conformarsi agli strumenti dell'OMI, in particolare le disposizioni del codice sull'attuazione degli strumenti obbligatori dell'OMI relativi agli Stati di bandiera e il sistema di audit degli Stati di bandiera.

4.1.2

Il CESE si interroga sulla pertinenza dell'articolo 9 «Inchieste dello Stato di bandiera», dato che questa materia è coperta in gran parte dal quinto strumento proposto nel terzo pacchetto sulla sicurezza marittima. È vero peraltro che tale articolo ribadisce il carattere di necessità delle inchieste e il fatto che gli Stati membri dovranno essere sollecitati e obbligati a mettere in campo le risorse adeguate a tal fine.

4.1.3

Il Comitato riconosce che l'articolo 10 «Composizione degli equipaggi per garantire la sicurezza» mira a garantire che le navi battenti bandiera di Stati membri dispongano di un equipaggio idoneo in linea con la risoluzione A.890 (21) sui principi della composizione degli equipaggi ai fini della sicurezza, adottata dall'assemblea dell'OMI. Il CESE giudica comunque fondamentale che tra gli Stati di bandiera vi siano condizioni di concorrenza eque, per cui considera che la proposta della Commissione di elaborare una relazione (cfr. articolo 15 «Accordi di cooperazione») sia da concretizzare quanto prima.

4.2   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime

4.2.1

Le responsabilità attribuite alle società di classificazione sono sempre maggiori. Queste ultime, in particolare, rispondono alle amministrazioni degli Stati di bandiera in materia di sicurezza del trasporto marittimo e di ambiente. Di conseguenza, il CESE approva le misure proposte, il cui obiettivo è migliorare la qualità del lavoro di questi organismi abilitati ad agire in nome degli Stati membri, e rafforzare i controlli e le penalità attraverso l'introduzione di un sistema graduale di sanzioni, più efficace di quello attuale.

4.2.2

Tuttavia, data l'attuale commistione tra le varie funzioni, il CESE reputa che sarebbe opportuno distinguere meglio le funzioni statutarie da quelle di classificazione, ad esempio delegandole a ispettori distinti in seno allo stesso organismo o a due organismi diversi. Al riguardo sarà forse necessario prevedere un periodo transitorio di promozione continua delle migliori pratiche attraverso negoziati tra gli Stati membri e le società interessate e tra le società di classificazione, al fine di stilare un manuale di buone pratiche volto a evitare i conflitti di interesse.

4.2.3

A norma dell'articolo 19, paragrafo 3, gli Stati membri devono cooperare con le società di classificazione da essi riconosciute alla definizione delle loro norme e/o regolamentazioni. Malgrado il disposto degli articoli 16 e 17, il CESE ritiene che le società di classificazione andrebbero assoggettate a una misura analoga di riconoscimento reciproco.

4.2.4

Il CESE accoglie con favore le disposizioni dell'articolo 20 per quanto riguarda l'esigenza che le organizzazioni riconosciute si consultino e cooperino tra loro al fine di garantire l'equivalenza e la coerenza dell'applicazione delle convenzioni internazionali.

4.3   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al controllo da parte dello Stato di approdo

4.3.1

Il CESE approva la rifusione della direttiva a fini di chiarezza, in quanto ciò permetterà di rafforzare e migliorare l'efficacia del controllo effettuato dallo Stato di approdo. Osserva che il numero di navi che hanno subito un'ispezione rafforzata obbligatoria negli ultimi sei anni è passato da 700 a 4.000.

4.3.2

Il CESE apprezza l'intento di dare un riconoscimento alle navi che rispettano le norme di qualità, sottoponendole a minori ispezioni, di concentrare gli sforzi sull'ispezione delle navi ad alto rischio e di scoraggiare l'utilizzo di navi che non soddisfano le norme, vietandone l'accesso ai porti europei. Dato che le disposizioni del nuovo sistema faranno capo ai principi di cui all'allegato III, la rifusione della direttiva rappresenta un'occasione unica per imporre e applicare senza indugi il nuovo sistema.

4.3.3

Il CESE giudica con soddisfazione la proposta di intensificare il ruolo dei piloti nel segnalare eventuali anomalie in modo tempestivo, ma esprime preoccupazione per il fatto che la commistione tra funzioni commerciali e ispettive non sarà facile da gestire per i piloti, come i piloti d'altura dipendenti da una compagnia fornitrice di servizi non obbligatori di pilotaggio.

4.3.4

Si compiace anche che la direttiva preveda l'ispezione delle condizioni di lavoro a bordo, poiché spesso il fattore umano riveste un ruolo importante negli incidenti marittimi. Il controllo delle condizioni di vita e di lavoro dei marittimi a bordo e delle loro qualificazioni impone il rafforzamento del personale ispettivo con competenze specifiche in materia. Sarebbe infatti difficile per un solo ispettore portare a termine un doppio controllo approfondito, dal punto di vista tecnico e sociale, in tempi spesso molto ridotti.

4.3.5

Il Comitato accoglie anche con favore il testo dell'articolo 20, che impone alla Commissione di stilare ogni anno una lista nera relativa al comportamento di armatori e compagnie.

4.4   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione

4.4.1

È gratificante constatare che i reiterati appelli del CESE in vista della creazione di un sistema per le navi in pericolo sono stati ascoltati (articolo 20). Il CESE sostiene quindi la proposta intesa a rafforzare la direttiva grazie all'aumento e all'armonizzazione dei requisiti in materia di luoghi di rifugio (3). Per essere ammesso in un luogo di rifugio, un certificato di adesione a un Club P&I («Protezione e indennizzo») dovrebbe costituire una garanzia finanziaria sufficiente, fermo restando che l'assenza di un tale documento non dovrebbe servire da pretesto per negare a una nave in pericolo l'accesso a un luogo di rifugio.

4.4.2

Il Comitato ritiene che l'autorità indipendente competente per gestire gli incidenti e orientare le navi in pericolo verso i luoghi di rifugio debba concentrare in sé i poteri necessari, indipendentemente dagli obblighi di consultazione delle parti interessate, ed essere in grado di prendere le decisioni e di assumere tutte le responsabilità indispensabili, comprese quelle riguardanti le possibili conseguenze finanziarie delle decisioni adottate in casi di urgenza.

4.4.3

Il CESE rileva che la pesca permane tra i settori di attività più vulnerabili, e accoglie quindi con favore l'obbligo per i pescherecci di dotarsi di un sistema di identificazione automatica (AIS). Le piccole e medie imprese, specie quelle di pesca costiera, dovrebbero beneficiare di appositi aiuti o agevolazioni (4).

4.4.4

Il CESE sostiene altresì le disposizioni che consentono agli Stati costieri di prendere le misure appropriate per limitare i possibili pericoli per la navigazione legati alla formazione di ghiacci in certe zone marittime settentrionali dell'Unione europea. Si tratta di una questione tanto più importante quando si considera l'entità che tale rischio assume nel Mar Baltico, dove transita un volume considerevole di prodotti petroliferi. Ad ogni modo, per evitare problemi con le norme delle società di classificazione sulla navigazione in zone soggette alla formazione di ghiacci, converrebbe che gli Stati uniformassero le rispettive norme in materia.

4.4.5

Il CESE condivide il giudizio secondo cui la realizzazione del sistema SafeSeaNet per lo scambio di dati marittimi contribuirà in modo sostanziale a migliorare la sicurezza marittima nelle acque comunitarie.

4.5   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica le direttive 1999/35/CE e 2002/59/CE

4.5.1

Il CESE sostiene questa proposta, poiché è solo grazie a inchieste tecniche indipendenti che si potranno prendere i provvedimenti adeguati per ridurre le probabilità che tali incidenti si riproducano. Il Comitato approva anche la creazione di organismi specializzati indipendenti per la conduzione delle inchieste, ed è favorevole a distinguere chiaramente le inchieste tecniche da quelle giudiziarie.

4.5.2

Il CESE accoglie con favore il disposto dell'articolo 7 sulla conduzione di inchieste congiunte di sicurezza.

4.5.3

Il CESE considera essenziale il disposto dell'articolo 9 sulla necessità di non divulgare le informazioni a fini diversi dall'inchiesta di sicurezza. Reputa invece preoccupante la norma che consente a un'autorità giudiziaria di autorizzare la divulgazione: a suo giudizio sarebbe opportuno che le persone che forniscono testimonianze nell'ambito di inchieste tecniche sui sinistri potessero godere dell'immunità o addirittura dell'anonimato. Sarebbe pertinente che, come avviene nel settore del trasporto aereo, anche i rappresentanti del trasporto marittimo e della società civile organizzata potessero partecipare all'attività inquirente nelle aree interessate, sia perché si tratterebbe di una preziosa fonte di insegnamento per migliorare in futuro la prevenzione, sia ai fini della trasparenza. La Commissione prevede inoltre giustamente l'allestimento di un sistema di feed-back per mettere a frutto le varie esperienze.

4.6   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente

4.6.1

Il CESE sostiene l'obiettivo precipuo della proposta: permettere a tutti i passeggeri dell'UE di beneficiare dello stesso livello di protezione in caso di incidente, caratterizzato da disposizioni aggiornate sulla responsabilità dei vettori, da un sistema di assicurazione obbligatoria e da un risarcimento massimo appropriato. Queste norme di protezione si applicano anche a tutti i passeggeri che abbiano acquistato i loro biglietti in Europa, anche se viaggiano al di fuori delle acque comunitarie o a bordo di navi battenti bandiere di paesi terzi.

4.6.2

Il CESE ricorda che, nel quadro di un progetto di decisione risalente al 2003, gli Stati membri erano stati invitati a ratificare la convenzione di Atene entro la fine del 2005, ma che il processo di ratifica era stato bloccato. La proposta attuale consentirà un'applicazione uniforme delle disposizioni della convenzione di Atene nell'Unione europea. L'inclusione di tale convenzione nel diritto comunitario non esime gli Stati membri dall'obbligo di ratificarla per garantirne l'applicazione su scala internazionale.

4.6.3

Il Comitato nota che restano da risolvere due questioni importanti riguardo alla proposta di ratifica da parte degli Stati membri e di applicazione della convenzione di Atene del 2002. La prima è la questione della guerra e del terrorismo. Il CESE richiama l'attenzione sulla risoluzione OMI, che consente agli Stati di includere una riserva nelle loro ratifiche al fine di emettere tutti i certificati di assicurazione richiesti, fatti salvi quelli riguardanti la guerra e il terrorismo. La seconda questione concerne gli importi massimi: la Confederazione internazionale dei Club P&I ha dichiarato di poter coprire i massimali previsti dalla convenzione a patto che si trovi una soluzione per il problema del terrorismo. Sono state presentate proposte alternative che potrebbero portare a soluzioni praticabili a livello internazionale e/o europeo. La revisione in corso del Fondo di solidarietà dell'Unione europea (regolamento (CE) n. 2012/2002), la cui entrata in vigore è prevista per il 2007, prevede la concessione di aiuti di emergenza in caso di catastrofi, anche derivanti da atti terroristici. Ciò, tuttavia, non può sostituire una soluzione negoziata, che il Comitato ritiene urgente trovare, al problema della copertura assicurativa dei danni causati da un eventuale attacco terroristico.

4.6.4

Il CESE riconosce l'importanza di prevedere gli stessi risarcimenti per i passeggeri di navi che effettuano rotte intracomunitarie e internazionali. Questa misura rischia però di creare difficoltà non trascurabili per talune piccole compagnie o per certi servizi.

4.6.5

Per quanto riguarda i servizi interni di trasporto di passeggeri per mare, il CESE propone un periodo di adeguamento (transitorio) nell'attuazione della proposta per minimizzare qualsiasi effetto negativo in quest'ambito. L'obiettivo è evitare che la redditività dei servizi di traghetto locali subisca un forte calo, il che nuocerebbe alla regolarità dei collegamenti con le isole.

4.6.6

In merito al versamento di anticipi alle vittime di incidenti o ai superstiti, il Comitato sostiene la proposta per quanto attiene agli incidenti di navigazione per i quali la convenzione di Atene prevede un regime di responsabilità rigoroso.

4.6.7

Le disposizioni relative ai passeggeri a mobilità ridotta e alle informazioni preliminari al viaggio andrebbero considerate complementari e non contrarie alla convenzione di Atene. Analoghe norme sono state incluse nel regolamento relativo ai diritti dei passeggeri del trasporto aereo, basato a sua volta sulla convenzione di Montreal.

4.6.8

Per quanto riguarda la navigazione interna, il CESE ritiene che il terzo pacchetto di misure sulla sicurezza marittima non tenga conto delle differenze tra il trasporto per vie navigabili interne (fiumi e delta, canali, laghi) e il trasporto marittimo (collegamenti tra continente e isole, servizi pubblici tali da garantire la continuità territoriale e collegamenti internazionali). Queste rotte sono diverse per natura e per sfruttamento, il che giustifica l'adozione di un regime giuridico differenziato (norme di navigazione/sicurezza/affidabilità, responsabilità e assicurazione obbligatoria).

4.7   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla responsabilità civile e alle garanzie finanziarie degli armatori

4.7.1

Il CESE si dice favorevole alla ratifica da parte degli Stati membri della convenzione LLMC del 1996, la quale raddoppierebbe i massimali previsti per la responsabilità civile degli armatori rispetto ai livelli indicati dalla convenzione del 1976. Il testo del 1976 è un accordo di portata orizzontale che copre tutte le rivendicazioni marittime. Il CESE prende nota tuttavia della proposta di imporre a ogni nave che entra nelle acque comunitarie (indipendentemente dalla sua bandiera) di munirsi di un certificato di responsabilità finanziaria corrispondente al doppio dell'importo stabilito dalla convenzione LLMC del 1996.

4.7.2

In base alla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM), gli Stati costieri possono applicare norme che esulino dalla suddetta convenzione solo alle navi battenti bandiera di paesi terzi che facciano scalo nei loro porti. I Club P&I hanno dichiarato di non essere disposti a emettere certificati per importi superiori ai massimali indicati nella convenzione del 1996.

4.7.3

L'assicurazione, che è preferibile all'insolvenza, deriva da una definizione chiara dei criteri di responsabilità. La soppressione delle limitazioni della responsabilità in caso di negligenza grave rischia di tradursi in una contrazione del mercato assicurativo e nell'aumento del numero di compagnie di trasporto marittimo con un'unica nave che si appellano al diritto delle società a responsabilità limitata.

4.7.4

Il CESE constata tuttavia che la percezione e la stima dei danni e della responsabilità hanno subito un'importante evoluzione negli ultimi anni. I risarcimenti erogati sono ormai molto spesso considerati di gran lunga inferiori all'entità dei danni diretti e soprattutto di quelli indiretti constatati, e un miglioramento della situazione sarebbe senz'altro benaccetto. Il Comitato invita la Commissione a sottoporre questa sua proposta a un'analisi economica: tale analisi dovrà determinare l'impatto economico derivante dalla soppressione totale delle limitazioni della responsabilità e accertare se sia il caso di aumentare i livelli delle limitazioni.

4.7.4.1

Il CESE ricorda i suoi precedenti pareri sui pacchetti ERIKA I e II e ribadisce che l'obiettivo deve essere il risarcimento rapido e garantito delle vittime per i danni subiti, e non l'incoraggiamento a protrarre le controversie e a trascinare i processi all'infinito. La ratifica di tutte le convenzioni esistenti dell'OMI dovrebbe permettere un regime più adeguato di responsabilità civile, un'assicurazione obbligatoria e un'azione diretta per rivendicazioni precise, come previsto dalla proposta di direttiva.

4.7.4.2

Secondo il CESE, la responsabilità civile deve essere disciplinata da norme chiare e trasparenti. In diritto marittimo, la «negligenza grave» (gross negligence) è un concetto giuridico applicato di norma nelle controversie riguardanti i danni causati al carico. A livello internazionale il concetto utilizzato per escludere la responsabilità senza colpa (oggettiva) è quello di «comportamento imprudente e consapevole dei danni a cui può dare luogo» (recklessness with knowledge), soluzione che il Comitato aveva sostenuto nel parere su ERIKA II, anche se nel settore dell'inquinamento petrolifero. A questo proposito il Comitato propone che nella direttiva figurino alcuni criteri oggettivi che servano ad orientare gli Stati membri al momento di verificare l'eventuale presenza di una «negligenza grave». In mancanza di una disposizione al riguardo può esservi il rischio che i singoli Stati applichino la direttiva in modo diverso.

4.7.4.3

Il CESE ribadisce che i certificati di garanzia finanziaria andrebbero convalidati da un certificato di adesione a un Club P&I, anziché da certificati rilasciati dagli Stati membri. Un certificato di adesione a un Club P&I è conforme agli obiettivi dello strumento proposto e può essere ottenuto presso i Club P&I.

4.7.5

Il CESE ritiene che, nella sua forma attuale, la proposta sia contraria al disposto della direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, la quale riconosce l'applicazione primaria delle convenzioni OMI, compresa la LLMC. Di conseguenza potrebbero sorgere problemi in materia di diritto internazionale dei Trattati per gli Stati membri firmatari delle LLMC 1976 e 1996.

4.7.5.1

Il CESE sostiene la proposta che vincola le navi a munirsi di certificati di garanzia finanziaria in caso di abbandono dei marittimi, e osserva che il gruppo di lavoro OMI-OIL si sta occupando di questo tema, che rientra fra le sue competenze a livello internazionale.

4.7.6

La responsabilità e il risarcimento in caso di scarico di sostanze chimiche e di combustibili per uso bordo sono disciplinati dalle convenzioni sulle sostanze nocive e pericolose e sullo scarico di idrocarburi delle navi, le quali riflettono il compromesso raggiunto dalla comunità internazionale. Il CESE esorta la Commissione a fare il possibile perché gli Stati membri dell'UE ratifichino in tempi brevi la convenzione sulle sostanze tossiche e pericolose e quella sugli idrocarburi delle navi, in modo che possano entrare in vigore al più presto.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il Comitato prende atto con interesse della recente 94a Conferenza internazionale del lavoro (marittimo) dell'OIL, che ha adottato una convenzione marittima consolidata comprendente una parte vincolante e una dedicata alle raccomandazioni. Tutte le convenzioni marittime adottate dagli anni '20 del secolo scorso, con le diverse modifiche, sono oggi riunite in forma aggiornata in un Codice del lavoro marittimo chiaro e universale. Il CESE prende anche atto dell'intenzione della Commissione di incorporare la convenzione dell'OIL (il Codice marittimo) nel diritto comunitario, e sostiene gli sforzi del gruppo di lavoro sul dialogo sociale per favorire l'attuazione della convenzione e riflettere sul modo migliore per affrontare la questione del suo recepimento nel diritto comunitario.

5.2

Data la sua costante preoccupazione relativa all'elemento umano nel trasporto marittimo, il CESE invita anzitutto la Commissione a esortare tutti gli Stati membri in via prioritaria affinché ratifichino al più presto questa convenzione, in modo da avere una base legislativa armonizzata. Perché essa entri in vigore occorrono le ratifiche di 30 paesi che insieme rappresentino un terzo del tonnellaggio lordo mondiale. L'UE darebbe un contributo essenziale a tal fine promuovendo anche la ratifica dei paesi dello Spazio economico europeo e dei paesi terzi con cui ha accordi di cooperazione economica.

5.3

L'impatto cumulato delle misure proposte sulle amministrazioni degli Stati di approdo e degli Stati di bandiera (rilascio di certificati, controlli sociali, ispezioni rafforzate, obiettivo di sottoporre a ispezioni il 100 % delle navi, ecc.) andrebbe valutato quanto prima dalle autorità interessate, affinché possano adottare in tempo utile le necessarie misure di organizzazione, finanziamento e assunzione.

5.4

Dati gli importanti compiti attribuiti all'Agenzia europea per la sicurezza marittima, è opportuno che essa disponga delle risorse sufficienti per eseguirli al meglio.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 95/21/CE del Consiglio relativa all'attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell'inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo),

Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/57/CE del Consiglio relativa alle disposizioni e alle norme comuni per gli organi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime,

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'introduzione accelerata delle norme in materia di doppio scafo o di tecnologia equivalente per le petroliere monoscafo (parere CESE: GU C 14 del 16.1.2001).

(2)  Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio, controllo ed informazione sul traffico marittimo,

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'istituzione di un fondo di risarcimento per l'inquinamento da idrocarburi nelle acque europee e all'adozione di misure di accompagnamento,

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la sicurezza marittima (parere CESE: GU C 221 del 7.8.2001).

(3)  Le migliori pratiche nell'ambito del sistema britannico Sosrep costituiscono un'importante fonte di ispirazione in questa materia.

(4)  Il Fondo europeo per la pesca, adottato il 16 giugno scorso dal Consiglio, consente di ottenere finanziamenti fino al 40 % dei costi delle attrezzature di sicurezza. Altre misure complementari potranno essere previste a livello degli Stati membri.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/202


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive

COM(2005) 646 def. — 2005/0260 (COD)

(2006/C 318/33)

Il Consiglio, in data 7 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 47, paragrafo 2, e 55 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore HERNANDEZ BATALLER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 53 voti favorevoli, 7 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il 13 dicembre 2005, la Commissione europea ha presentato una proposta destinata ad aggiornare la direttiva comunitaria nota come la direttiva «Televisione senza frontiere», la cui prima versione, risalente al 1989 (1), è stata modificata nel 1997 (2). Le disposizioni di detta direttiva prevalgono in caso di conflitto con la regolamentazione generale della prestazione di servizi negli aspetti riguardanti l'accesso all'attività e il suo esercizio (3).

1.2

Tale aggiornamento, previsto dalle procedure di monitoraggio e di verifica dell'osservanza delle norme, ha lo scopo di adeguare la direttiva al nuovo ambiente di convergenza tecnologica, in cui i contenuti e i servizi audiovisivi vanno ben al di là della visione classica della radiodiffusione televisiva e danno luogo a nuove esigenze di regolamentazione al fine di garantire da un lato il funzionamento del mercato unico e l'esistenza di un'industria europea dei contenuti caratterizzata da forza e creatività, e dall'altro i diritti dei cittadini. L'aggiornamento delle norme comunitarie relative ai contenuti dei mezzi audiovisivi forma inoltre parte della strategia i 2010, volta a creare una società dell'informazione europea favorevole alla crescita e all'occupazione. (4)

1.2.1

In base alla proposta di modifica, la direttiva, il cui ambito di applicazione iniziale copriva tutti i servizi audiovisivi, ha concretamente definito il suo oggetto, dopo la conferenza di Liverpool (5), nei cosiddetti «servizi di media audiovisivi» definendo livelli normativi differenti a seconda della natura lineare o non lineare di detti servizi. La direttiva fa inoltre riferimento al coordinamento di determinate disposizioni giuridiche, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla prestazione dei servizi di mezzi di comunicazione audiovisivi, e la sua denominazione diventa Direttiva servizi di media audiovisivi e non Direttiva sulla televisione senza frontiere.

1.2.2

Dall'ambito di applicazione della direttiva continuano ad essere esclusi i messaggi trasmessi privatamente, la versione on line di quotidiani e riviste, i siti Internet non destinati essenzialmente a diffondere contenuti audiovisivi e le trasmissioni di radiodiffusione sonora.

1.3

La proposta di modifica rientra nell'accordo interistituzionale «Legiferare meglio», adottato nel 2003, da un duplice punto di vista: innanzi tutto semplifica, rende più flessibile e riduce le fattispecie degli obblighi normativi dei fornitori europei dei servizi audiovisivi. In secondo luogo, promuove l'autoregolamentazione e la coregolamentazione nel settore. Un altro obiettivo è quello di consolidare un quadro regolamentare essenziale più semplice, potenziando al tempo stesso il principio del paese di origine nel momento in cui la direttiva sarà recepita nell'ordinamento giuridico dei diversi Stati membri.

2.   La proposta della Commissione

2.1

Come già segnalato, la Commissione propone di estendere l'ambito di applicazione della direttiva a tutti i servizi (6) di media audiovisivi, intesi come la fornitura di immagini animate, sonore o non, al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche. (7)

2.2

Tali servizi di media audiovisivi possono essere a loro volta:

lineari, quando l'utente è tenuto ad adeguarsi alle condizioni temporali di diffusione dei servizi o dei contenuti stabilite dal fornitore, quale che sia il canale di diffusione (televisione terrestre, via satellite o via cavo, Internet, telefonia mobile, ecc.),

non lineari, quando è l'utente a decidere il momento in cui accedere al servizio o al contenuto specifico messo a disposizione dal fornitore.

2.2.1

In base a tale distinzione, la «radiodiffusione televisiva» è definita come un servizio di media audiovisivo lineare nel quale il fornitore del servizio di media decide il momento di trasmissione di un programma specifico e stabilisce il palinsesto dei programmi mentre «l'organismo di radiodiffusione televisiva» è definito come un fornitore di servizi di media audiovisivi lineari.

2.3

Conformemente all'ampliamento dell'ambito di applicazione, la proposta di modifica della direttiva introduce il concetto generale di «comunicazione commerciale audiovisiva», che designa ogni tipo di immagini in movimento, siano esse sonore o non, che accompagnano i servizi di media audiovisivi e sono destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, l'acquisto di merci e servizi. La «pubblicità televisiva» è considerata quindi come parte della «comunicazione commerciale audiovisiva» quando ha per oggetto messaggi televisivi diretti a promuovere, a pagamento, l'acquisto di beni e servizi, oppure messaggi autopromozionali dell'organismo di radio diffusione. Lo stesso vale per il concetto di «televendita».

2.3.1

L'attuale divieto di pubblicità televisiva e di televendite di sigarette e altri prodotti del tabacco si estende a qualsiasi forma di comunicazione commerciale audiovisiva. Inoltre sussistono sia il divieto di pubblicità e di televendita di medicinali che richiedano una prescrizione medica sia le limitazioni del messaggio pubblicitario per quanto riguarda le bevande alcoliche, al fine di impedire che se ne incentivi un consumo smodato e di proteggere i minori:

la pubblicità non potrà essere diretta in modo specifico ai minori né mostrare, in particolare, minori mentre consumano questo tipo di bevande,

la pubblicità non deve collegare il consumo di alcool ad un miglioramento delle condizioni fisiche né associare consumo di alcool e guida di veicoli,

la pubblicità non deve dare l'impressione che il consumo di alcool contribuisca al successo nel campo delle relazioni sociali o sessuali,

la pubblicità non deve suggerire che le bevande alcoliche abbiano proprietà terapeutiche, un effetto stimolante o calmante, o che costituiscano un modo di risolvere i conflitti,

la pubblicità non deve stimolare il consumo smodato di bevande alcoliche oppure offrire un'immagine negativa dell'astinenza o della sobrietà,

la pubblicità, infine, non deve sottolineare come qualità positiva un alto tenore alcolico nelle bevande.

2.3.2

La proposta di modifica mantiene il divieto di «pubblicità occulta», intesa come la presentazione orale o visiva di beni, di servizi, del nome, del marchio o delle attività di un produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, qualora tale presentazione sia fatta intenzionalmente dall'emittente per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura, generalmente perché la pubblicità non è identificata come tale o perché si omette qualunque avvertenza. In tal senso, si ribadisce il concetto che la pubblicità televisiva deve essere facilmente identificabile e distinguersi chiaramente dal resto dei programmi grazie a mezzi visivi e/o acustici.

2.3.3

Ciononostante, si introduce come nuova definizione quella dell'inserimento di prodotti, che viene così distinta dalla comunicazione commerciale audiovisiva occulta, malgrado i due concetti siano descritti in modo molto simile: ogni forma di comunicazione commerciale audiovisiva che consiste nell'inserire o nel fare riferimento a un prodotto, a un servizio o a un marchio nei servizi di media audiovisivi, di norma dietro pagamento o altro compenso. Per essere lecito, l'inserimento dei prodotti deve rispettare una serie di condizioni, e in particolare:

non deve incoraggiare direttamente l'acquisto o il noleggio di beni o servizi, in particolare facendo specifici riferimenti promozionali a tali beni o servizi,

i telespettatori devono essere chiaramente informati dell'esistenza di un accordo relativo all'inserimento dei prodotti, i quali devono essere chiaramente identificabili,

i servizi di media audiovisivi non possono includere inserimenti di prodotti a base di tabacco o di sigarette, né di prodotti di imprese la cui attività principale è costituita dalla produzione o dalla vendita di sigarette o altri prodotti a base di tabacco,

i notiziari, le trasmissioni di attualità, i servizi di media audiovisivi per bambini e i documentari non possono contenere inserimenti di prodotti.

2.3.4

La proposta di modifica mantiene i riferimenti alle sponsorizzazioni e alle loro condizioni di liceità, con alcune novità destinate ad adeguare tale attività al nuovo ambito di applicazione. Viene inoltre mantenuto il divieto di utilizzare tecniche subliminali nelle comunicazioni commerciali audiovisive.

2.4

Analogamente alla direttiva in vigore, la proposta di modifica segnala, per quanto concerne i diritti e i doveri degli Stati membri:

l'obbligo di assicurare la ricezione di servizi di media audiovisivi provenienti da altri Stati membri,

l'obbligo di assicurare, con i mezzi appropriati, nell'ambito della loro legislazione, che i fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione rispettino la direttiva,

la facoltà di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nei settori disciplinati dalla presente direttiva,

la facoltà di garantire il libero accesso del pubblico ad avvenimenti di grande interesse per la società impedendo la trasmissione in esclusiva da parte delle emittenti soggette alla loro giurisdizione,

l'obbligo di assicurare che i fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione non trasmettano opere cinematografiche al di fuori dei periodi concordati con i titolari dei diritti,

l'obbligo di fare in modo (nei limiti del possibile e in alcuni casi in forma graduale) che le emittenti radiotelevisive riservino una quota maggioritaria del loro tempo di diffusione ad opere europee o assimilate e un 10 % di questo tempo (o, in alternativa, il 10 % del loro bilancio di programmazione) ad opere europee di produttori indipendenti dalle emittenti stesse, in questo caso riservando una quota adeguata ad opere recenti. Il calcolo di questo tempo non riguarda contenuti come i notiziari, le manifestazioni sportive, i giochi televisivi, la pubblicità, i servizi di teletext e le televendite.

2.4.1

Uno Stato membro può, al fine di evitare la violazione evidente, seria e grave di alcune disposizioni della direttiva, adottare misure appropriate nei confronti di un fornitore di servizi di media stabilito in un altro Stato membro, a condizione che l'attività di tale fornitore sia in tutto o in massima parte orientata verso il territorio del primo Stato membro, che lo Stato membro in cui ha sede il fornitore non adotti misure, anche se gli sono state richieste, e che la Commissione abbia dato la sua approvazione.

2.4.2

Vengono inoltre mantenute le quote, previste dalla direttiva in vigore, di produzioni audiovisive europee e nazionali e di produzioni audiovisive indipendenti, le quali si sono dimostrate valide in questi ultimi anni secondo gli studi di valutazione dell'impatto.

2.4.3

Le novità introdotte dalla proposta di modifica in relazione agli Stati membri sono le seguenti:

l'obbligo di provvedere affinché, ai fini della realizzazione di brevi estratti dell'attualità, le emittenti stabilite in altri Stati membri non siano private dell'accesso ad avvenimenti di grande interesse pubblico trasmessi da un'emittente soggetta alla loro giurisdizione, indicandone la fonte,

l'obbligo di garantire un accesso facile, diretto e permanente alle informazioni sui fornitori di servizi di media audiovisivi soggetti alla loro giurisdizione, ad esempio il nome, l'indirizzo postale o di posta elettronica, nonché sull'autorità di regolamentazione competente,

l'obbligo di assicurare che i fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione promuovano, ove possibile e con i mezzi adeguati, la produzione di opere europee e l'accesso alle stesse,

l'obbligo di assicurare che i fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione non trasmettano opere cinematografiche al di fuori dei periodi concordati con i titolari dei diritti,

l'invito a promuovere la coregolamentazione nei settori coordinati dalla direttiva, prevedendo la sua applicazione effettiva e la sua accettazione da parte di tutti i principali soggetti interessati.

2.5

Per quanto concerne la regolamentazione dei valori promossi dai servizi dei media audiovisivi, si dà una nuova formulazione a quanto già stabilito dalla direttiva attuale.

2.5.1

Così si stabilisce che tali servizi non devono:

pregiudicare lo sviluppo fisico, mentale e morale dei minori,

contenere alcun incitamento all'odio basato su differenze di sesso, origine razziale o etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età oppure orientamento sessuale.

La proposta di modifica mantiene l'attuale riferimento esplicito al divieto di trasmettere programmi che contengano scene di pornografia o violenza gratuita. Nel caso di programmi che possano pregiudicare lo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, è inoltre opportuno adottare misure tecniche di codificazione, provvedimenti cautelari in materia di orario o classificazione dei contenuti volti ad assicurare che i minori che si trovano nella zona di diffusione non assistano e non ascoltino tali programmi.

2.5.2

Le comunicazioni commerciali audiovisive non devono:

comportare discriminazioni basate su razza, sesso o nazionalità,

offendere convinzioni religiose o politiche,

incoraggiare comportamenti pregiudizievoli per la salute o la sicurezza,

incoraggiare comportamenti pregiudizievoli per la protezione dell'ambiente,

arrecare un pregiudizio morale o fisico ai minorenni. Non devono pertanto esortare i minorenni ad acquistare un prodotto o un servizio sfruttando la loro inesperienza o credulità, né incoraggiarli a persuadere i loro genitori o altri ad acquistare i beni o i servizi pubblicizzati, né sfruttare la particolare fiducia che i minorenni ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altre persone, né mostrare senza motivo minori che si trovano in situazioni di pericolo.

2.6

Per quanto riguarda le interruzioni pubblicitarie, la proposta di modifica riduce notevolmente le fattispecie normative, semplificando e rendendo molto più flessibili i criteri di applicazione.

2.6.1

La nuova proposta mantiene il carattere eccezionale degli spot pubblicitari e di televendita isolati, ad esclusione di quelli inseriti nei programmi sportivi. La nuova proposta tende inoltre a privilegiare l'introduzione di blocchi di spot tra un programma e l'altro e ammette l'interruzione di programmi con pubblicità o televendite, purché restino impregiudicati l'integrità dei programmi e i diritti degli aventi diritto.

2.6.2

I vari parametri relativi ai blocchi di spot pubblicitari concessi, alla distanza tra essi e alle eccezioni in funzione dei tipo di programma vengono sostituiti da una regola generale in base alla quale la trasmissione di film realizzati per la televisione, di opere cinematografiche, di programmi per bambini e di notiziari può essere interrotta da pubblicità e/o televendite una volta ogni 35 minuti. I programmi che trasmettono funzioni religiose continuano a non poter essere interrotti da pubblicità o da televendite.

2.6.3

Per quanto concerne infine il tempo di trasmissione dedicato alle diverse forme di pubblicità, si mantiene solo il criterio generale del 20 % di un'ora d'orologio per spot pubblicitari, televendite o altre forme brevi di pubblicità. Dal calcolo del tempo pubblicitario continuano ad essere esclusi i messaggi diffusi dall'emittente connessi ai propri programmi e ai prodotti direttamente derivati da tali programmi, gli annunci di sponsorizzazione e adesso anche gli inserimenti di prodotti.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato è d'accordo con la necessità di modificare l'attuale direttiva Televisione senza frontiere al fine di adeguarla alla nuova situazione di convergenza tecnologica e alle nuove forme di pubblicità e di vendita promozionale. Riconosce inoltre l'esigenza di definire una normativa più facilmente applicabile e più efficace che contribuisca ad un maggiore scambio dei servizi di media nel mercato unico europeo, potenziando ed infondendo dinamismo al loro sviluppo. Ritiene tuttavia che la modifica debba soddisfare sia tali requisiti di sviluppo tecnologico ed economico sia l'esigenza di protezione della dignità umana e dell'integrità personale.

3.2

Si rammarica inoltre che la Commissione non abbia approfittato dell'opportunità offerta dalla modifica proposta per eliminare determinate lacune ed alcune ambiguità della direttiva esistente, che hanno creato problemi di interpretazione ed applicazione e incertezza giuridica in sede di applicazione della direttiva e delle leggi che la recepiscono nell'ordinamento giuridico dei diversi Stati membri.

3.2.1

Ciò accade, ad esempio, con la mancanza di una definizione delle forme pubblicitarie disciplinate dalla direttiva, o addirittura di alcune fattispecie di illeciti previsti. Anche se questo aspetto sarà analizzato più a fondo nel capitolo riguardante le osservazioni specifiche, si può segnalare, ad esempio, che il considerando 44 esclude dal calcolo pubblicitario le telepromozioni senza che in alcun punto del testo vengano definiti i limiti e le caratteristiche di questa forma pubblicitaria.

Il CESE ritiene che non vi sia motivo di prevedere una esclusione del genere e che, in ogni caso, le telepromozioni dovrebbero figurare nel calcolo pubblicitario. In caso contrario, si otterrebbe l'unico risultato di penalizzare gli annunci pubblicitari e travasare le comunicazioni commerciali verso altre forme, mantenendo e addirittura incrementando il livello di saturazione pubblicitaria.

3.2.2

Non bisogna inoltre dimenticare che la combinazione di una normativa sempre più ridotta alle linee essenziali ed il consolidamento del principio del paese di origine, lungi dal promuovere un'armonizzazione delle norme tra i diversi Stati membri, può creare notevoli differenze di carattere legislativo in questo ambito, specie per quanto concerne la pubblicità e la tutela dei minori, ostacolando lo sviluppo del mercato unico o riducendo sensibilmente i livelli di protezione dei cittadini.

3.3

Per quanto concerne l'ambito di applicazione, pur se si cerca di mantenere chiaramente la differenza tra i servizi di media audiovisivi, disciplinati dalla direttiva modificata, e gli altri servizi audiovisivi, che restano comunque nell'ambito generale di regolamentazione delle comunicazioni elettroniche, è prevedibile che lo sviluppo di forme miste che prevedono una presenza sempre più indifferenziata di contenuti testuali, sonori e di immagini, renderà quanto mai arduo stabilire i limiti di tale ambito di applicazione.

3.4

Il Comitato ritiene che la modifica della direttiva debba per lo meno mantenere, e se possibile aumentare, le garanzie di protezione degli utenti dei servizi di media audiovisivi, specie se si tratta dei minori. Non si può dimenticare che, come già segnalato, oltre agli obiettivi concernenti il mercato audiovisivo, la direttiva deve promuovere una serie di valori di carattere sociale e culturale collegati alla diversità, l'identità, lo sviluppo personale dei cittadini, la dignità umana citata negli stessi considerando della proposta di modifica, il diritto all'informazione e alla libertà di espressione, tutti diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (8). Inoltre, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (9) giudica il funzionamento del sistema televisivo come un servizio d'interesse economico generale.

3.5

Secondo il Comitato, inoltre, la proposta di modifica della direttiva dovrebbe fare un passo ulteriore e proporre misure concrete relative ad aspetti quali il pluralismo e la concentrazione dei mezzi di comunicazione. Per quanto concerne la promozione della produzione europea, il CESE avrebbe auspicato una posizione più decisa nei confronti degli Stati membri, che non si limitasse ad un semplice «ove possibile», e in merito all'applicazione progressiva dei criteri di produzione europea e indipendente, nei limiti del possibile, ai servizi non lineari.

3.6

In relazione al diritto di replica previsto dalla proposta di modifica, la Commissione non ha tenuto conto della posizione del CESE (10) sulla necessità di contemplare un «diritto di rettifica», avente la stessa portata generale e soggetto alle stesse condizioni, come risposta a contenuti falsi, inesatti o poco rigorosi che ledano i diritti della persona.

3.7

Il Comitato ritiene che la proposta di modifica della direttiva dovrebbe stabilire che l'esistenza in tutti gli Stati membri di autorità di regolamentazione, caratterizzate non solo da imparzialità e trasparenza, ma anche dall'indipendenza nei confronti dei loro governi per quanto concerne la loro creazione, costituzione, e l'esercizio delle loro funzioni, sia necessaria o obbligatoria. Ritiene inoltre che occorrerà riflettere in futuro circa l'opportunità di creare un'agenzia europea, un istituto o un ente analogo di carattere sovranazionale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato ritiene che la definizione di «comunicazione commerciale audiovisiva» proposta dalla Commissione sia troppo restrittiva e che riproduca meccanicamente la definizione di «servizio di media audiovisivo». È logico che quest'ultimo venga descritto come «immagini animate sonore o non», rendendo l'immagine animata una condizione indispensabile per l'esistenza di tali servizi ed escludendo dall'ambito di applicazione della direttiva la stampa on line o la radiodiffusione sonora. Tuttavia, una volta stabilito l'ambito di applicazione, le comunicazioni commerciali audiovisive legate ai servizi di media audiovisivi possono utilizzare immagini inanimate (ad esempio un logo o un pannello pubblicitario) oppure suoni senza la presenza di immagini (ad esempio la citazione verbale di un marchio o un jingle). In questo caso, è preferibile definire la comunicazione commerciale audiovisiva come «immagini e/o suoni che accompagnano i servizi di media audiovisivi e sono destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, le merci, i servizi o l'immagine di una persona fisica o giuridica che esercita un'attività economica».

4.2

La proposta di modifica della direttiva mantiene il criterio secondo cui è «pubblicità televisiva» quella che viene trasmessa a pagamento. Secondo il Comitato si dovrebbe stabilire come criterio di definizione della natura di detta pubblicità l'intenzione di promuovere merci e servizi e non il pagamento, per coerenza con altre definizioni comunitarie, ad esempio quella contenuta nella direttiva sulla pubblicità ingannevole. In tal modo verrebbe meno la possibilità di trasmettere spot pubblicitari di prodotti che è vietato reclamizzare in televisione o di messaggi pubblicitari illeciti, che possono continuare a essere trasmessi se non viene dimostrata in maniera inconfutabile l'esistenza di un pagamento e, dunque, il loro carattere di pubblicità televisiva. Lo stesso va detto per quanto riguarda il riferimento a questo requisito di pagamento nella definizione di televendita.

4.2.1

In ogni caso, se venisse mantenuto tale criterio, la direttiva dovrebbe prevedere che gli Stati membri attribuiscano ai tribunali, in caso di procedimento civile o amministrativo, la facoltà di esigere, da parte delle emittenti, le prove di non pagamento delle comunicazioni audiovisive, come specificato nella direttiva 84/850/CEE. In caso contrario, si presume che tali comunicazioni abbiano carattere commerciale.

4.3

La proposta di modifica della direttiva mantiene pressoché identica la definizione attuale di pubblicità occulta. A parere del Comitato, tuttavia, questa definizione di «occulta» dovrebbe applicarsi al complesso delle comunicazioni commerciali audiovisive e non solo alla pubblicità televisiva, ogniqualvolta nel disposto degli articoli venga espressamente proibita la comunicazione commerciale audiovisiva occulta.

4.3.1

Il Comitato ritiene anche che il concetto di comunicazione commerciale audiovisiva occulta dovrebbe essere più esteso di quello previsto nella proposta di modifica includendo:

la presentazione o il riferimento a merci e servizi quando siano realizzati non solo in forma orale o visiva ma anche in forma sonora (ad esempio un jingle collegato ad un determinato marchio o prodotto),

per quanto concerne il contenuto della presentazione o del riferimento, non solo il nome, il marchio o l'attività di un produttore o fornitore ma anche altri caratteri distintivi dell'offerta qualora questi siano associati in maniera inequivocabile al produttore o fornitore (ad esempio un determinato tipo di confezione o uno slogan, anche senza nominare il marchio).

4.3.2

Bisognerebbe inoltre chiarire espressamente nel testo della direttiva che l'inserimento di un prodotto non sarà considerato come una comunicazione commerciale audiovisiva occulta, a condizione che rispetti i requisiti di liceità previsti dalla normativa.

4.4

Il Comitato valuta positivamente il riferimento espresso nella proposta di modifica della direttiva all'inserimento di un prodotto. Anche se, in teoria, qualsiasi inserimento di un prodotto potrebbe attualmente essere inteso come pubblicità occulta e dunque come un'attività proibita, in pratica non è mai stato considerato nemmeno come una pubblicità televisiva e quindi è rimasto al di fuori di qualsiasi regolamentazione. Il CESE tuttavia ritiene che la definizione di «inserimento di un prodotto» dovrebbe far risaltare come elementi determinanti l'intenzione di promuovere il prodotto da parte dell'emittente e la mancanza di avvertenza al pubblico (visiva o acustica) sulla natura promozionale durante (vale a dire simultaneamente a) tale inserimento, rispetto a quanto accade con altre forme, ad esempio le telepromozioni.

4.4.1

Inoltre, si dovrebbe stabilire che l'inserimento di prodotti non può influire sulla programmazione in una forma che ne intacchi l'indipendenza e l'integrità, in linea con quanto stabilito per altri formati promozionali. È inoltre opportuno estendere le restrizioni che riguardano l'inserimento di prodotti, proibendolo non solo nel caso di pubblicità vietata, nei servizi di media destinati ai minori e nei notiziari, ma anche nel caso della pubblicità di medicinali e, come si segnalerà più avanti, nel caso della pubblicità di bevande alcoliche.

4.5

La proposta di modifica della direttiva è coerente con il testo già in vigore e prevede il divieto di ricorrere a tecniche subliminali nelle comunicazioni commerciali audiovisive. Tuttavia, il testo non contiene alcuna definizione di dette tecniche. Il CESE ritiene che questo concetto dovrebbe essere espressamente elaborato, facendo riferimento all'uso di stimoli visivi o sonori diffusi con intensità che sfiorano i limiti delle percezioni sensoriali e che sono percepiti al di sotto della soglia della coscienza.

4.6

La proposta di modifica della direttiva prevede che nelle comunicazioni commerciali audiovisive l'offerta possa essere sia diretta sia indiretta. In alcuni casi, ad esempio le sigarette e gli altri prodotti del tabacco, la comunicazione commerciale è vietata anche quando è indiretta. Tuttavia, il testo non contiene una definizione di questo tipo di comunicazione commerciale audiovisiva. Il CESE ritiene che questo concetto dovrebbe essere espressamente elaborato, facendo riferimento al fatto che pur non presentando o accennando direttamente ai prodotti, vengono utilizzati marchi, simboli o altri segni distintivi di tali prodotti o imprese tra le cui attività principali o conosciute figurano la produzione o la commercializzazione di tali prodotti.

4.7

All'articolo 3, octies, lettera c) della proposta di modifica della direttiva figura l'elenco dei valori che le comunicazioni commerciali audiovisive devono rispettare. L'elenco è lo stesso di quello previsto nella direttiva in vigore per quanto concerne la pubblicità e le televendite, ma viene eliminato il riferimento alla dignità umana. Il CESE ritiene che tale riferimento debba essere mantenuto per via della sua importanza e alla luce di quanto segnalato dalla Convenzione europea sui diritti umani e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

4.8

La proposta di modifica della direttiva mantiene per gli Stati membri l'obbligo di garantire che i servizi di media audiovisivi soggetti alla loro giurisdizione non siano messi a disposizione del pubblico secondo modalità tali da poter nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori. Vengono inoltre illustrate le precauzioni da seguire nei confronti dei contenuti che possono incidere (e non solo gravemente) su tale sviluppo. Infine si rinnova il divieto assoluto della pornografia e della violenza gratuita. C'è da chiedersi quale reale efficacia abbia questo divieto alla luce della valutazione dell'applicazione della direttiva dal 1989 e se non sia più opportuno eliminarlo, garantendo la protezione dei minori nei confronti dei contenuti pornografici e violenti attraverso le misure di codificazione, le cautele orarie e gli avvertimenti già previsti dalla normativa.

4.8.1

Il CESE si rammarica che la Commissione non abbia tenuto conto, nella proposta di modifica della direttiva, di regimi di protezione con un carattere di tutela più marcato, che funzionano in modo soddisfacente in alcuni Stati membri, come ad esempio quelli che assicurano una maggiore protezione dei minori nei confronti dei contenuti pubblicitari o quelli che limitano gli abusi della pubblicità e delle televendite ingannevoli.

4.9

La proposta di modifica presenta alcune ingiustificate differenze per quanto concerne le restrizioni imposte ai servizi di media audiovisivi e alle comunicazione commerciali audiovisive ad essi associate. Pertanto, in relazione ai servizi si parla di «incitamento all'odio basato su differenze di sesso, origine razziale o etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale» mentre per quanto riguarda le comunicazione commerciali audiovisive si parla di «discriminazioni basate su razza, sesso o nazionalità». Si elimina il riferimento alla dignità umana. Inoltre, parlando dei servizi di media audiovisivi si invita a non «nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori» mentre nel caso delle comunicazioni commerciali audiovisive ci si limita ad un «pregiudizio morale o fisico ai minorenni». Per quanto concerne sempre tali comunicazioni, non si esprime il divieto di incitare o promuovere comportamenti violenti o antisociali e del maltrattamento degli animali. Il Comitato ritiene che tali restrizioni debbano essere estese, al livello più alto, sia ai servizi di media audiovisivi sia alle comunicazioni commerciali audiovisive.

4.10

Tra le informazioni essenziali che le emittenti devono fornire dovrebbero figurare, qualora esista un'autorità di regolamentazione, almeno l'indirizzo postale e quello di posta elettronica.

4.11

La comunicazione commerciale audiovisiva che reclamizza gli alcolici è limitata per quanto attiene ai suoi destinatari (non deve rivolgersi ai giovani) e al contenuto (non deve incoraggiare un consumo smodato di alcool). Il Comitato tuttavia ritiene che i gravi problemi associati al consumo di alcool, specie tra i giovani, renderebbero opportuna una regolamentazione più severa da parte della Commissione. Tale regolamentazione potrebbe essere definita in funzione di quanto segue:

i programmi e i contenuti (ad esempio non solo quelli destinati in modo specifico ai giovani ma anche quelli rivolti agli sportivi),

gli orari di trasmissione nel caso di servizi lineari (ad esempio divieto di diffondere comunicazioni commerciali audiovisive collegate a tali prodotti prima delle ore 22),

la gradazione alcolica dei prodotti (ad esempio divieto di diffondere comunicazioni commerciali audiovisive di bevande con un tenore alcolico di 18 gradi o più),

la concentrazione di spot in serie nel caso della pubblicità televisiva (ad esempio non più di uno per serie di spot/inserzionista/programma),

la forma pubblicitaria e promozionale adottata (ad esempio divieto di inserimento di un prodotto o di sponsorizzazione da parte dei fabbricanti di bevande alcoliche o per lo meno limitazione oraria come quella già sopraccitata).

4.12

Gli utenti delle diverse forme di comunicazione, in quanto consumatori, dovrebbero poter trovare nella direttiva il riferimento ai mezzi di reclamo già esistenti nel diritto comunitario, ad esempio la possibilità di avviare un'azione inibitoria per violazione di questa normativa, conformemente alla direttiva 98/27/CE, la quale non viene citata nemmeno nei considerando della proposta, contrariamente ad altre norme complementari quali la direttiva 2005/28/CE sulle pratiche commerciali sleali.

4.13

La proposta di modifica della direttiva dovrebbe prevedere maggiori funzioni per il Comitato di contatto, ad esempio le seguenti:

la definizione di norme comuni per l'individuazione dell'organo di regolamentazione responsabile del servizio di media audiovisivo,

la fissazione di norme comuni per informare gli utenti circa l'esistenza di sponsorizzazioni e di inserimento di prodotti,

la definizione di norme comuni per lo sviluppo dei regimi di autoregolamentazione e coregolamentazione,

la fissazione di norme comuni per la trasmissione o il riassunto di eventi di interesse generale da parte di altre emittenti,

la definizione di norme comuni per consentire ai cittadini di esercitare il diritto di replica e rettifica.

Occorre inoltre riconoscere il ruolo delle organizzazioni dei consumatori e degli utenti in quanto operatori coinvolti sia nella autoregolamentazione sia nella coregolamentazione (11).

4.14

La proposta di modifica dovrebbe prevedere in tutti gli Stati membri l'obbligo di creare autorità di regolamentazione competenti nelle materie contemplate dalla direttiva e garantire che tali autorità siano indipendenti, imparziali e trasparenti sia sotto il profilo della loro costituzione che dell'esercizio delle loro funzioni, sulla base dei criteri della raccomandazione 23(2000) del Consiglio d'Europa.

4.15

Sarebbe, infine, opportuno che la proposta di modifica della direttiva prevedesse misure per promuovere l'accesso delle persone disabili alla televisione digitale e ai suoi contenuti interattivi, sfruttando le possibilità offerte dalla convergenza tecnologica.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Direttiva 89/552/CEE — GU L 298 del 17.10.1989, pag. 23.

(2)  Direttiva 97/36/CE — GU L 202 del 30.7.1997, pag. 60.

(3)  COM(2006) 160 def.

(4)  Cfr. IP/05/643.

(5)  Conferenza audiovisiva di Liverpool sulla direttiva Televisione senza frontiere, organizzata dalla Commissione.

(6)  Cfr. la definizione di tali servizi, articoli 49 e 50 del Trattato.

(7)  Cfr. la definizione di tali reti, articolo 2 della direttiva quadro 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002 che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica.

(8)  GU C 364 del 18.12.2000.

(9)  Sentenza del 30 aprile 1974, causa C-15/73, Rec. pagg. 203 e seguenti, Sentenza del Tribunale di primo grado del 10 luglio 1991, causa T-69/89, Rec. II 525, Sentenza del Tribunale di primo grado del 18 settembre 2001, causa T-112/99, Rec. II-2549 e seguenti.

(10)  (GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 17), relatore: PEGADO LIZ.

(11)  Relazione informativa sul tema La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico, relatore VEVER.


Allegato

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Punto 4.1

Modificare:

Il Comitato ritiene che la definizione di «comunicazione commerciale audiovisiva» proposta dalla Commissione non sia chiara troppo restrittiva e che riproduca meccanicamente la definizione di «servizio di media audiovisivo». È logico che quest'ultimo venga descritto come servizio identico per natura alla radiodiffusione televisiva programmata. «immagini animate sonore o non», rendendo l'immagine animata una condizione indispensabile per l'esistenza di tali servizi ed escludendo dall'ambito di applicazione della direttiva la stampa on line o la radiodiffusione sonora. Tuttavia, una Una volta stabilito l'ambito di applicazione, le comunicazioni commerciali audiovisive legate ai servizi di media audiovisivi possono utilizzare immagini inanimate (ad esempio un logo o un pannello pubblicitario) oppure suoni senza la presenza di immagini (ad esempio la citazione verbale di un marchio o un jingle). In questo caso, è preferibile definire la comunicazione commerciale audiovisiva come immagini e/o suoni che accompagnano i servizi di media audiovisivi e sono destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, le merci, i servizi o l'immagine di una persona fisica o giuridica che esercita un'attività economica.

Motivazione

In questo settore è difficile tracciare distinzioni nette. Le definizioni proposte al punto 4.1 sono persino più ampie di quelle contenute nel progetto di direttiva e rendono quindi più difficile un'applicazione chiara. Per non ostacolare lo sviluppo dei servizi in questione, le definizioni dovrebbero essere quanto più chiare possibile, rispettando nel contempo gli obiettivi della protezione di minori e della dignità umana, individuando chiaramente le comunicazioni commerciali, prevedendo un diritto di replica e requisiti fondamentali di identificazione.

Esito della votazione:

Voti contrari: 40

Voti favorevoli: 32

Astensioni: 3

Punto 4.2.1

Sopprimere il punto:

In ogni caso, se venisse mantenuto tale criterio, la direttiva dovrebbe prevedere che gli Stati membri attribuiscano ai tribunali, in caso di procedimento civile o amministrativo, la facoltà di esigere, da parte delle emittenti, le prove di non pagamento delle comunicazioni audiovisive, come specificato nella direttiva 84/850/CEE. In caso contrario, si presume che tali comunicazioni abbiano carattere commerciale.

Motivazione

La proposta in base alla quale i tribunali potrebbero chiedere alle emittenti di fornire prove del fatto che per le comunicazioni audiovisive non è stato effettuato un pagamento aprirebbe la porta ad eventuali abusi. È inoltre praticamente impossibile per un'emittente presentare la prova di non aver ricevuto un pagamento.

Esito della votazione:

Voti contrari: 40

Voti favorevoli: 35

Astensioni: 1


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/210


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Programma Galileo: portare a buon fine l'insediamento dell'Autorità di vigilanza europea

(2006/C 318/34)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Programma Galileo: portare a buon fine l'insediamento dell'Autorità di vigilanza europea.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 200 voti favorevoli, 4 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Il Comitato economico e sociale europeo attribuisce la massima importanza al buon esito del programma Galileo. A questo proposito ritiene essenziale che la transizione dall'impresa comune Galileo (Galileo Joint Undertaking — GJU) all'Autorità di vigilanza Galileo (Galileo Supervisory Authority — GSA) avvenga senza intoppi, e a tal fine raccomanda di:

mettere in atto un piano per il trasferimento delle attività dell'impresa comune all'Autorità di vigilanza al fine di garantire la sicurezza giuridica di tale trasferimento,

risolvere, sul piano giuridico e pratico, la questione del trasferimento all'Autorità di vigilanza delle attività svolte dalle entità dei paesi terzi (Cina e Israele) associate all'impresa comune,

garantire il trasferimento effettivo degli stanziamenti residui dell'impresa comune all'Autorità di vigilanza,

adoperarsi per evitare sovrapposizioni di competenze tra l'impresa comune e l'Autorità di vigilanza fino alla data di chiusura dell'impresa comune,

evitare ogni interruzione nello svolgimento dei negoziati relativi al contratto di concessione,

garantire il sistema di responsabilità internazionale degli Stati di lancio per i satelliti della costellazione Galileo.

2.   Introduzione

2.1

Il trasferimento delle attività dall'impresa comune Galileo (GJU) all'Autorità di vigilanza Galileo (GSA) deve essere portato a termine entro la fine del 2006. Per garantire il successo futuro del programma Galileo è indispensabile che questo trasferimento avvenga nelle migliori condizioni possibili sia sul piano giuridico che sul piano finanziario, del personale e di bilancio.

2.2

A tal fine occorre assicurare la continuità nei negoziati relativi al contratto di concessione che sono stati avviati dall'impresa comune e che verranno proseguiti dall'Autorità di vigilanza.

2.3

Infine, occorre affrontare la questione specifica della responsabilità internazionale degli Stati nel quadro del programma Galileo, questione che dovrà essere risolta in tempo utile per la fine delle discussioni relative al contratto di concessione e i prossimi lanci di satelliti della costellazione Galileo.

3.   Osservazioni generali

3.1   Caratteristiche del programma Galileo

3.1.1

Galileo è un grande progetto scientifico e tecnico che riveste un valore emblematico per l'Unione europea. I sistemi di radionavigazione satellitare costituiscono una sfida strategica che l'Unione non poteva ignorare: essa ha dunque deciso di finanziare e mettere a punto una propria infrastruttura globale di satelliti di navigazione (GNSS), sul modello degli Stati Uniti e della Russia.

3.1.2

Galileo offrirà un servizio planetario di posizionamento estremamente preciso, solido e garantito, che sarà in grado di trasmettere un messaggio di integrità. Esso fornirà servizi autonomi di navigazione e di posizionamento posti sotto il controllo civile, ma al tempo stesso sarà compatibile ed interoperabile con i due sistemi militari esistenti: il sistema americano GPS (Global Positioning System) e il sistema russo Glonass. Galileo disporrà, inoltre, di un servizio governativo sicuro ed accessibile agli utenti autorizzati in ogni circostanza.

3.1.3

Il sistema europeo sarà basato su una costellazione di trenta satelliti e stazioni terrestri, necessari al funzionamento ottimale del sistema, i quali dovranno essere operativi entro la fine del 2010.

3.1.4

Il programma è portato avanti e sostenuto da due soggetti principali: l'Unione europea, rappresentata dalla Commissione europea, e l'Agenzia spaziale europea (ESA). La Commissione europea e l'ESA hanno creato l'impresa comune Galileo (GJU), incaricata di sovrintendere al programma e di gestire i finanziamenti dell'Unione europea ad esso destinati.

3.1.5

Al termine della fase di convalida in orbita (fase IOV — In Orbit Validation), il sistema completo verrà trasferito dalla GJU all'Autorità di vigilanza Galileo (GSA), agenzia comunitaria di regolazione che dovrà firmare un contratto di concessione con un gruppo di imprese private.

3.1.6

Il costo totale del programma Galileo per la fase di definizione, di sviluppo e di convalida in orbita è stimato a 1 500 milioni di euro.

3.1.7

I negoziati per la conclusione del contratto di concessione sono attualmente in corso e vedono coinvolte la GJU e un consorzio di imprese europee (AENA, Alcatel, EADS, Finmeccanica, Hispasat, Immarsat, Teleop e Thales).

3.1.8

Le modalità del trasferimento delle attività dalla GJU alla GSA sono in via di definizione, ed occorre evitare che esse comportino ritardi, complicazioni o duplicazioni dei costi.

3.2   L'impresa comune Galileo (Galileo Joint Undertaking — GJU)

3.2.1

L'impresa comune è stata istituita con decisione del Consiglio dell'Unione europea, adottata tramite il regolamento (CE) n. 876/2002 del 21 maggio 2002, in base all'articolo 171 del Trattato che istituisce la Comunità europea: «La Comunità può creare imprese comuni o qualsiasi altra struttura necessaria alla migliore esecuzione dei programmi di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione comunitari». Il regolamento contiene, in allegato, lo statuto della GJU.

3.2.2

I membri fondatori della GJU sono:

la Comunità europea rappresentata dalla Commissione, e

l'Agenzia spaziale europea (ESA).

3.2.3

L'articolo 1, paragrafo 3), lettera b), dello statuto della GJU prevede che qualsiasi impresa, anche di paesi terzi, possa diventare membro dell'impresa comune. Attualmente fanno parte dell'impresa un organismo cinese (il National Remote Sensing Centre of China — NRSCC) e una società commerciale israeliana (il centro Matimop). Queste due entità siedono nel consiglio di amministrazione e dispongono di un numero di voti proporzionale ai loro contributi.

3.2.4

La GJU possiede una personalità giuridica complessa dovuta proprio alla composizione del suo consiglio di amministrazione. Il regolamento indica che la GJU va considerata come un organismo internazionale ai fini della legislazione relativa alle imposte sul fatturato e alle accise. Esso precisa inoltre che la GJU è priva di finalità economiche. Secondo la Commissione, la natura giuridica della GJU la avvicina di più ad un'associazione che ad un'impresa commerciale, poiché essa riceve soltanto dei contributi da parte dei suoi membri e non genera profitti. Le autorità fiscali belghe dal canto loro (la GJU è soggetta al diritto belga per gli aspetti che esulano dalle disposizioni del suddetto regolamento) hanno stabilito che non si tratta di una società commerciale, bensì di una persona giuridica senza scopo di lucro (assimilabile, nel diritto belga, a un'associazione).

3.2.5

Il suo capitale è così ripartito:

Commissione europea

520 mio €

ESA

50 mio €

NRSCC

5 mio €

Matimop

5 mio €

3.2.6

Data la particolare natura giuridica dell'impresa, e tenuto conto del fatto che essa riceve solo contributi, la Commissione ha proposto che il termine «capitale» venga sostituito da «contributi». Ciò ha richiesto una modifica dello statuto, che è stata approvata dal consiglio di amministrazione della GJU il 2 giugno 2006. La Corte dei conti europea ha d'altronde osservato che l'impiego del termine «capitale» non è adeguato, poiché la linea di bilancio in cui rientra la GJU non prevede apporti di capitale.

3.2.7

Il compito principale della GJU è di portare a buon fine il programma Galileo nella fase di sviluppo, combinando fondi pubblici e privati, e di gestire progetti dimostrativi di rilievo. La GJU ha pure il compito di varare le iniziative di ricerca e sviluppo necessarie per completare la fase di sviluppo e il coordinamento delle attività nazionali in questo campo e di gestire quindi i contratti di ricerca stipulati nel contesto del programma quadro di ricerca e sviluppo della Commissione europea (6o PQRS).

3.2.8

La GJU è diretta da:

un consiglio di amministrazione,

un comitato esecutivo,

un direttore.

3.2.9

Inoltre, il Consiglio dell'Unione europea ha creato un consiglio di vigilanza e un consiglio di sicurezza con il compito di controllare le attività dell'impresa.

3.2.10

L'impresa comune è stata costituita per un periodo di quattro anni a decorrere dal 28 maggio 2002 (data della pubblicazione nella GU): tale periodo corrispondeva alla durata inizialmente prevista per la fase di sviluppo del programma Galileo. Il regolamento dispone che detto periodo possa essere prolungato fino al termine effettivo della fase di sviluppo, senza tuttavia definire le modalità di questa proroga. Tenuto conto della costituzione della GSA, la Commissione ha proposto di por fine alla GJU il 31 dicembre 2006. Ciò ha richiesto una modifica dello statuto allegato al regolamento del Consiglio (CE) n. 876/2002 del 21 maggio 2002 e del parere del Parlamento europeo e del CESE. Al termine della procedura di consultazione del consiglio di vigilanza della GJU e del consiglio direttore per la navigazione dell'ESA, avviata il 10 marzo 2006, il 2 giugno scorso il consiglio di amministrazione della GJU ha approvato la modifica dello statuto, consentendo così alla Commissione di adottare, il 29 giugno 2006, la proposta di regolamento che modifica lo statuto della GJU. Tale proposta è ora in via di approvazione presso il Consiglio dell'UE.

3.2.11

Al fine di promuovere un ampio utilizzo dei sistemi di navigazione satellitare e consentire ad entità di paesi terzi di partecipare alla GJU, sono stati firmati diversi accordi internazionali tra l'Unione europea e alcuni di tali paesi (fra gli altri Cina, Israele, India, Ucraina), mentre con altri (Marocco, Corea, Russia e Argentina) sono in corso dei negoziati. Tali accordi escludono espressamente ogni tipo di cooperazione per quanto riguarda il servizio riservato a fini governativi. Due accordi tecnici di cooperazione sono stati conclusi dalla GJU con entità in rappresentanza di due paesi (si tratta di due centri: il National Remote Sensing Centre per la Cina e il Matimop per Israele). In conformità dello statuto della GJU, tali accordi consentono ai rappresentanti delle suddette entità di partecipare al consiglio di amministrazione della GJU.

3.2.12

Infine, l'articolo 21 dello statuto prevede la procedura di scioglimento della GJU.

3.3   L'Autorità di vigilanza Galileo (GSA)

3.3.1

Il Consiglio dell'Unione europea ha deciso d'istituire l'Autorità di vigilanza Galileo tramite il regolamento (CE) n. 1321/2004 del 12 luglio 2004. Si tratta di un'agenzia comunitaria dotata di personalità giuridica.

3.3.2

Essa ha il compito di gestire gli interessi pubblici relativi ai programmi europei GNSS e di fungerne da autorità di regolazione.

3.3.3

All'articolo 2 del regolamento sono descritti i compiti dell'autorità, ossia:

gestire e controllare l'uso dei fondi specificamente assegnati ai programmi europei GNSS (infrastruttura globale del sistema di navigazione satellitare),

concludere il contratto di concessione con il consorzio selezionato per le fasi costitutiva ed operativa di Galileo,

subentrare all'impresa comune Galileo nella gestione dell'accordo con l'operatore economico incaricato del funzionamento di EGNOS (Sistema geostazionario europeo di navigazione di sovrapposizione),

gestire le frequenze necessarie al funzionamento del sistema (coordinamento, diritto di utilizzazione, relazioni con il concessionario),

curare l'aggiornamento e lo sviluppo di nuove generazioni del sistema,

garantire che le componenti del sistema siano debitamente certificate,

gestire gli aspetti inerenti alla sicurezza del sistema stesso.

3.3.4

Occorre sottolineare che la GSA sarà proprietaria del sistema e in particolare di tutti i beni sviluppati dal concessionario e dovrà tutelare e valorizzare gli investimenti già effettuati dalla Comunità.

3.3.5

La GSA è diretta da un consiglio di amministrazione (un rappresentante per ogni Stato membro e uno per la Commissione), un comitato per la sicurezza e la protezione del sistema, nonché un comitato scientifico e tecnico. L'autorità è rappresentata da un direttore esecutivo responsabile della gestione.

3.4   Questioni giuridiche, tecniche e finanziarie e rischi relativi al trasferimento delle attività dalla GJU alla GSA

3.4.1   Attuazione del passaggio dalla GJU alla GSA

La Commissione non ha ancora definito con chiarezza le modalità per la transizione e il trasferimento delle attività della GJU alla GSA. Tuttavia, secondo quanto indicato in un documento informale della DG Energia e trasporti della Commissione (1), fra le due entità potrebbe intervenire uno scambio di lettere o un memorandum d'intesa per fissare le modalità della loro cooperazione, in modo da garantire la complementarità delle rispettive attività ed evitare ogni sovrapposizione.

3.4.2

Se all'avvio del programma Galileo le funzioni attribuite alle due entità erano diverse per natura e per calendario di attuazione, attualmente, visto il ritardo accumulato nella fase di sviluppo (circa due anni) e nell'effettivo insediamento della GSA (il direttore è stato nominato nel maggio 2005), risulta invece necessario, per ragioni economiche, giuridiche e tecniche, autorizzare la GSA ad intervenire fin da subito e procedere al più presto allo scioglimento della GJU (2), assai prima della conclusione della fase di sviluppo e convalida. A tal fine è importante garantire un passaggio graduale delle attività della GJU alla GSA, comprese quelle riguardanti la gestione dei contratti di ricerca stipulati dalla GJU, e in particolare coinvolgere molto da vicino, sin d'ora, i rappresentanti della GSA nei negoziati relativi al contratto di concessione che deve essere firmato e gestito dall'autorità di regolazione.

3.4.3

La data di cessazione delle attività della GJU è ora fissata al 31 dicembre 2006, sempre che i suoi membri accettino la modifica dello statuto. I direttori della GJU della GSA hanno concordato un primo piano di transizione e di trasferimento delle attività e del know-how della GJU. Nel febbraio 2006 tale piano è stato presentato al consiglio di vigilanza e al consiglio di amministrazione della GJU. Esso dovrà essere definito nei dettagli e adattato al fine di garantire che il passaggio avvenga il più rapidamente possibile e nelle migliori condizioni.

3.4.4

In questa fase di transizione le due entità devono lavorare in stretta collaborazione reciproca per consentire un trasferimento armonioso e graduale delle attività e delle competenze. Questa fase deve anche permettere alla GSA di diventare pienamente operativa, per evitare qualsiasi rischio di carenze di personale proprio nel periodo in cui verranno realizzate le attività decisive per il buon esito del programma.

3.4.5

Le azioni devono essere programmate in modo da garantire la cessazione delle attività per la fine di dicembre 2006 e consentire così di avviare la fase di liquidazione all'inizio del 2007. La transizione dovrebbe essere portata a termine quanto prima, anche per consentire all'Autorità di regolazione di definire e attuare le norme di sicurezza e di protezione applicabili a Galileo, di fissare le norme relative ai diritti di proprietà intellettuale, nonché di coordinare le azioni e le posizioni degli Stati membri riguardo alle frequenze necessarie all'utilizzo del sistema Galileo.

3.4.6

Il piano di transizione dovrà prevedere delle misure atte a garantire la coerenza delle azioni condotte da ciascuna delle due entità e le condizioni per comporre eventuali controversie fra di esse. Ad oggi, è stato convenuto che in caso di difficoltà nell'attuazione della transizione il direttore della DG Energia e trasporti funga da mediatore tra la GJU e la GSA.

3.5   Garantire la sicurezza giuridica del trasferimento dei beni della GJU alla GSA mediante un piano concreto di trasferimento delle attività

3.5.1

Nella formulazione attuale, il regolamento che istituisce l'Autorità di vigilanza non prevede che questa intervenga durante la fase di sviluppo, che incombe all'ESA. Esso andrà quindi modificato per assegnare questa competenza all'Autorità di vigilanza, e a tal fine sarà necessario il parere del Parlamento europeo (e non necessariamente del CESE). Un accordo tra la GJU e la GSA consentirebbe di garantire la sicurezza giuridica delle operazioni di trasferimento dei beni della GJU alla GSA, definendo un piano concreto di trasferimento delle attività che preveda l'individuazione del ruolo dei diversi organi ed entità interessate, un inventario preciso delle attività e delle passività, le modalità concrete del trasferimento, la programmazione della fase di transizione, gli atti indispensabili da compiere, le conseguenze finanziarie e fiscali del trasferimento, ecc. Le decisioni da prendere per quanto concerne le modalità di trasferimento degli attivi della GJU alla GSA dovrebbero richiedere l'intervento di diverse entità, quali il consiglio di vigilanza e il consiglio di amministrazione della GJU, il consiglio dell'ESA, il consiglio di amministrazione della GSA, la Commissione europea, il Consiglio e il Parlamento europeo.

3.5.2

Va segnalato che, nonostante l'articolo 6 dello statuto della GJU disponga che «l'impresa comune è proprietaria di tutti i beni materiali ed immateriali creati o che le saranno ceduti nell'ambito della realizzazione della fase di sviluppo del programma Galileo», sembra che la maggior parte degli elementi messi a punto nel quadro del programma Galileo, compresi i satelliti, non siano di proprietà della GJU, bensì dell'ESA a titolo del programma GalileoSat. Infatti, in base all'articolo IV dell'allegato III della Convenzione dell'ESA, «l'Agenzia, che agisce per conto degli Stati partecipanti, è proprietaria dei satelliti, dei sistemi spaziali e degli altri beni prodotti nell'ambito del programma, come pure delle installazioni e dei beni strumentali acquisiti per la sua esecuzione. Qualsiasi alienazione di beni è decisa dal consiglio dell'ESA». Sembrerebbe quindi che, fintantoché il consiglio dell'ESA non avrà deciso di trasferire la proprietà o di concedere una licenza di utilizzo a favore della GJU, quest'ultima non avrà alcun diritto su tali elementi. Per parte sua la Commissione ritiene che sia applicabile il diritto comunitario e che dopo la modifica degli statuti della GJU e della GSA e lo scioglimento della prima, tutti i beni saranno automaticamente trasferiti alla seconda. Potrebbero quindi esservi delle divergenze di interpretazione tra l'ESA e la Commissione.

3.5.3

Questo stato di cose appare quindi suscettibile di provocare delle discussioni circa l'interpretazione dell'articolo 7 del contratto tra la GJU e l'ESA, secondo cui la proprietà dei satelliti e degli altri beni materiali e immateriali prodotti nell'ambito del programma verrà acquisita dall'ESA per conto della GJU.

3.5.4

Infatti, il concetto «per conto di» è interpretato dall'ESA in base al testo dell'articolo IV dell'allegato III della Convenzione della stessa ESA. Questo implica che l'ESA acquisisce i risultati del lavoro di sviluppo condotto per conto degli Stati partecipanti al programma dell'ESA in questione e che questi ultimi possono chiedere all'Agenzia una licenza di utilizzazione dei risultati, che può essere più o meno restrittiva a seconda delle loro esigenze (utilizzo a fini commerciali, scientifici, ecc.).

3.5.5

Tale posizione sembra confermata dal testo della dichiarazione di programma GalileoSat (articolo 12), il quale stabilisce che l'ESA è proprietaria di tutti i beni materiali e immateriali del programma in questione.

3.5.6

Invece, per quanto concerne EGNOS, l'ESA è proprietaria soltanto dei beni materiali a nome degli Stati partecipanti al programma, mentre i diritti di proprietà intellettuale restano di proprietà degli enti appaltatori dell'ESA, conformemente alle regole dell'Agenzia.

3.5.7

Quindi, l'espressione «acquisiti dall'ESA per conto della GJU» viene interpretata dall'ESA come «acquisiti dall'ESA nell'interesse della GJU».

3.5.8

Tuttavia, dalle discussioni con l'ESA non emerge in alcun modo che essa escluda di effettuare dei trasferimenti di attività alla GJU o alla GSA. L'ESA ha però fatto sapere che tale trasferimento richiede l'autorizzazione del suo consiglio (a maggioranza semplice) e che le modalità del trasferimento sono ancora da definire. Per motivi fiscali e di opportunità essa preferirebbe effettuare un trasferimento diretto alla GSA: in questo caso infatti le entità dei paesi terzi che partecipano al capitale della GJU non potrebbero reclamare diritti sui beni di cui l'ESA trasferisce la proprietà. Tali beni non entrerebbero a far parte del patrimonio della GJU e non sarebbero quindi soggetti alle procedure di scioglimento di quest'ultima.

3.5.9

Per quanto riguarda il caso specifico dei beni e dei diritti di proprietà intellettuale sviluppati dalle entità dei paesi terzi, la questione è regolamentata dagli accordi internazionali conclusi, da un lato, tra l'Unione e i paesi terzi e, dall'altro, tra le entità dei paesi terzi e la GJU (3).

3.5.10

Dal regolamento della GSA risulta tuttavia senza ombra di dubbio che l'Autorità di vigilanza «è proprietaria di tutti i beni materiali e immateriali che le sono ceduti dall'impresa comune Galileo al termine della fase costitutiva e che saranno creati o sviluppati dal concessionario durante la fase costitutiva e la fase operativa del sistema». Risulta anche che «le modalità dei (…) trasferimenti di proprietà sono fissate, con riguardo all'impresa comune Galileo, nel procedimento di scioglimento di cui all'articolo 21 dello statuto dell'impresa comune Galileo …». Per quanto concerne EGNOS, «l'Autorità è proprietaria di tutti i beni materiali e immateriali EGNOS, fatto salvo l'accordo con gli investitori EGNOS sui termini e sulle condizioni del trasferimento di proprietà da ESA della totalità o parte delle apparecchiature e degli impianti EGNOS.» Questa indicazione lascia intendere che, dal punto di vista della Commissione, non sarebbe necessaria alcuna procedura di trasferimento tra la GSA e l'ESA, poiché i beni materiali e immateriali appartengono alla GJU (contrariamente all'interpretazione attuale dell'ESA basata sulla Convenzione e sulla dichiarazione di programma).

3.5.11

Tra gli atti giuridici da compiere, vanno segnalati principalmente:

la modifica dello statuto della GJU al fine di fissare al 31 dicembre 2006 la data di chiusura della GJU e il completamento delle operazioni di trasferimento delle attività della GJU alla GSA, prevedendo un periodo di liquidazione la cui durata sarà da definire,

la modifica del regolamento della GSA per introdurvi le funzioni trasferite dalla GJU alla GSA, come la conduzione della fase di sviluppo e di convalida in volo, la gestione delle attività derivanti dai programmi quadro europei di ricerca e sviluppo, o ancora il seguito e la gestione degli sviluppi tecnici del sistema operativo (4).

3.6   Piano di trasferimento delle attività dei paesi terzi dalla GJU alla GSA

Occorre avviare rapidamente negoziati per trasferire le attività condotte dalle entità dei paesi terzi dalla GJU alla GSA tramite clausole aggiuntive di trasferimento che coinvolgano le tre parti. Bisogna stabilire dei contatti con le entità dei paesi terzi al fine di sondare la loro posizione rispetto alla chiusura della GJU e alla loro collocazione e ruolo futuri all'interno della GSA. Le disposizioni del regolamento che istituisce la GSA prevedono che i paesi terzi, in particolare quelli che hanno partecipato alle fasi precedenti del programma, debbano poter partecipare alla GSA, previa conclusione di un accordo in tal senso con la Comunità. Nell'accordo andrebbero specificate, in particolare, la natura, l'entità e le modalità di partecipazione di questi paesi ai lavori dell'autorità, comprese le disposizioni sulla partecipazione alle iniziative intraprese dall'autorità, sui contributi finanziari e sul personale. Sembra che la reazione delle entità dei paesi terzi alla decisione di sciogliere la GJU prima della fine della fase di convalida in orbita (IOV — In Orbit Validation) possa dipendere dal ruolo che sarà loro proposto in seno alla GSA. Ad esempio, a seguito dello scioglimento della GJU, il NRSCC e il Matimop potrebbero chiedere il rimborso di una parte dei contributi versati. Nel corso dei negoziati, inoltre, verrà senz'altro sollevata la questione della partecipazione dei paesi terzi al consiglio di amministrazione. Dai primi scambi di vedute su questo tema avvenuti dinnanzi alle istituzioni comunitarie le posizioni degli Stati membri risultano divergenti: alcuni non vorrebbero concedere il diritto di voto ai paesi terzi, mentre altri segnalano il rischio di compromettere la sicurezza del sistema nel caso di un'apertura troppo ampia a questi paesi. Tutti sembrano però convenire sul fatto che la partecipazione dei paesi terzi al consiglio di amministrazione della GSA non deve in alcun caso rimettere in discussione il controllo dell'UE sul sistema. Inoltre, a certe condizioni, si potrebbe accordare una posizione privilegiata ai paesi europei non membri dell'UE (Norvegia e Svizzera). Una soluzione potrebbe consistere nel raggruppare i paesi terzi in un'apposita struttura che consenta loro di far valere le loro posizioni rispetto alle decisioni prese dalla GSA.

3.7   Limitare la sovrapposizione delle competenze

3.7.1

Occorre mettere in atto un piano di riduzione del personale della GJU che preveda delle scadenze precise coerenti con la programmazione del trasferimento delle attività. Ciò consentirà di evitare la presenza di un gran numero di dipendenti alla fine di dicembre 2006, fare il punto sui contratti di lavoro ed eliminare ogni rischio di contenzioso a fine contratto che possa bloccare il trasferimento dei beni. Va osservato che, secondo i piani, dovrebbero restare in attività fino al termine ultimo previsto per i negoziati relativi al contratto di concessione, ovvero il 31 dicembre 2006, circa 24 persone. Dopo quella data rimarrebbero circa 6 persone, che dovrebbero provvedere alla fase di liquidazione della GJU.

3.7.2

Inoltre, è necessario avere una visione precisa dell'entrata a regime della GSA e quindi del suo piano assunzioni, in modo da verificarne la compatibilità con il piano di trasferimento delle attività della GJU. Va osservato che la GSA deve rispettare delle procedure comunitarie ed è soggetta ad una serie di vincoli in materia di assunzioni (livello delle retribuzioni, durata dei contratti limitata a tre anni, sede definitiva dell'Agenzia ancora da stabilire) che frenano il processo di formazione della sua struttura.

3.8   Aspetti finanziari e di bilancio

3.8.1

È importante che, alla chiusura della GJU, gli stanziamenti residui, stimati a circa 46 milioni di euro, vengano trasferiti alla GSA. La Commissione auspica che il trasferimento dei fondi della GJU alla GSA avvenga non appena l'Autorità di vigilanza sarà autorizzata a gestire la conclusione della fase di sviluppo. In questo modo, al termine delle attività l'impresa comune avrà a disposizione unicamente i fondi necessari alla propria liquidazione.

3.8.2

Il bilancio riveduto della GJU per il 2006, comportante un aumento di 7 milioni di euro rispetto al bilancio votato nel 2005, che prevedeva la chiusura nel maggio 2006 (invece dei 14 milioni di euro che la GJU aveva chiesto inizialmente, senza tenere conto del trasferimento di attività alla GSA), consente di coprire con la massima flessibilità il trasferimento delle attività alla GSA entro la fine del 2006. Questo bilancio riveduto è stato adottato dal consiglio di amministrazione e dal consiglio di vigilanza della GJU alla fine di febbraio.

3.8.3

Per quanto riguarda invece il bilancio 2006 della GSA, esso deve tenere conto dell'esigenza di procedere ad ulteriori assunzioni nel corso del 2006 e va quindi aumentato di conseguenza. Dopo l'adozione, il 23 gennaio 2006, del nuovo progetto di bilancio 2006 da parte del consiglio di amministrazione della GSA, per un importo di circa 8 milioni di euro (invece del bilancio di 5 milioni di euro inizialmente adottato nel 2005 per il 2006), il progetto di bilancio riveduto dovrà essere esaminato dal Consiglio Ecofin e successivamente dal Parlamento europeo nel corso del secondo semestre del 2006. Portare il bilancio della GSA all'importo proposto costituisce una condizione preliminare perché questa possa assumere il personale necessario a svolgere le attività che passeranno sotto la sua competenza. Le economie complessive che verranno realizzate sul bilancio della GJU grazie al trasferimento graduale delle attività alla GSA dovrebbero, in teoria, coprire l'aumento del bilancio di quest'ultima: ciò dovrebbe rassicurare i parlamentari sul corretto utilizzo dei finanziamenti europei nel quadro di tale operazione di trasferimento, anche se, nella pratica, i fondi e i bilanci in questione provengono da fonti diverse.

3.8.4

Occorre effettuare al più presto la stima dei costi di liquidazione della GJU (in particolare quelli relativi al mantenimento del personale per le operazioni di liquidazione) e dell'impatto finanziario in materia fiscale e di IVA (ad esempio imposte sui trasferimenti) derivante, appunto, dal trasferimento dei beni. La GJU, considerata dalle autorità belghe (che le hanno inviato una comfort letter) persona giuridica ai sensi del diritto belga (assimilata ad un'associazione), e non una società commerciale, non dovrebbe essere sottoposta ad alcuna imposta sul residuo attivo di liquidazione. Il prelievo fiscale dovrebbe essere quindi di entità piuttosto modesta, tanto più che la maggior parte dei fondi sono stati trasferiti prima della liquidazione. È chiaro che i problemi di questo tipo vanno affrontati in anticipo per evitare brutte sorprese.

3.9   Negoziati relativi al contratto di concessione e conclusione delle attività tecniche

3.9.1

Grazie al bilancio riveduto assegnatole per il 2006 la GJU potrà assicurare la prosecuzione dei negoziati relativi al contratto di concessione con l'obiettivo di concluderli al più tardi il 31 dicembre 2006, favorendo al contempo il trasferimento di competenze alla GSA e la partecipazione di quest'ultima ai negoziati, partecipazione che si accrescerà con l'entrata a regime delle sue attività.

3.9.2

Va sottolineato che dai rendiconti dei diversi organi di controllo della GJU e della GSA risulta che, se i negoziati non saranno conclusi entro il 31 dicembre 2006, a partire dal 1o gennaio 2007 la loro conduzione passerà sotto la responsabilità della GSA.

3.9.3

La GJU dovrà inoltre attuare una procedura o un piano d'azione che consenta di chiudere i dossier tecnici e di portare a termine la documentazione tecnica entro la data prevista per il suo scioglimento.

3.9.4

Il ruolo e le responsabilità dell'ESA nel corso della fase di collaudo e di convalida del sistema, e successivamente per gli sviluppi tecnici del sistema e il suo mantenimento in condizioni operative dopo la convalida, dovranno essere precisati in un contratto quadro da stipulare tra la GSA e l'ESA. Infatti, la partecipazione dell'ESA al consiglio di amministrazione della GSA in veste di osservatore, e non di membro come avviene invece all'interno della GJU, non le consentirà più di svolgere un ruolo altrettanto attivo nel processo decisionale. Il regolamento della GSA prevede che la cooperazione con l'ESA debba sfruttare appieno le possibilità offerte dall'accordo quadro concluso tra la Comunità europea e l'ESA il 25 novembre 2003, qualora ciò presenti un interesse (5), e che l'ESA possa essere invitata a fornire all'autorità un supporto tecnico e scientifico (6). In ogni caso, l'Autorità di vigilanza e l'ESA dovranno stipulare un primo accordo entro la fine del 2006 per coprire le attività relative alla conclusione della fase di sviluppo, e un secondo accordo entro il 2008 per organizzare le relazioni tra l'Autorità di vigilanza e l'ESA dopo la fine della fase di sviluppo, durante la fase di collaudo e di convalida del sistema e, se necessario anche oltre, in vista della fase operativa.

4.   Altri elementi complementari di riflessione: responsabilità internazionale degli Stati di lancio per i satelliti della costellazione Galileo

4.1

I satelliti lanciati nella fase IOV sono attualmente di proprietà dell'ESA (sviluppo dei satelliti nel quadro del programma ESA GalileoSat), ma dovrebbero passare alla GSA al termine di tale fase.

4.2

Conformemente all'accordo GJU/ESA, l'ESA ha la responsabilità di lanciare i primi satelliti della fase IOV e di immatricolarli presso l'Ufficio delle Nazioni Unite (Office of Outer Space Affairs a Vienna). Il primo satellite della costellazione (Giove A) è stato lanciato nel dicembre 2005 ad opera della compagnia Starsem tramite un lanciatore Soyuz-ST dalla base di Baikonur.

4.3

In pratica l'ESA dovrebbe procedere come per il trasferimento della proprietà dei satelliti che essa mette a punto per conto di terzi, come nel caso di Meteosat oppure di MetOp (Trasferimento ESA-Eumetsat). Il trasferimento della proprietà dei satelliti in orbita andrebbe poi notificato alle autorità competenti.

4.4

Per quanto concerne le disposizioni del Trattato sullo spazio del 1967 e della Convenzione sulla responsabilità internazionale del 1972, bisogna accertare quale sia la ripartizione delle responsabilità derivanti dal lancio e dall'utilizzo dei satelliti Galileo in orbita.

4.5

Sulla base dei diversi criteri adottati per definire uno Stato come «Stato di lancio» e attribuirgli quindi la responsabilità internazionale per eventuali danni arrecati (a terra o in orbita) da oggetti spaziali, l'ESA potrebbe essere considerata come uno «Stato di lancio» poiché essa risulta essere lo Stato che «fa procedere al lancio» dei satelliti nella fase IOV e che conclude il contratto di lancio con l'operatore.

4.6

Allo stesso modo, ci si potrebbe chiedere se il Belgio possa essere considerato come «Stato di lancio», dato che la GJU, la quale partecipa attivamente allo sviluppo e al lancio dei satelliti per la fase IOV, è posta sotto la giurisdizione di tale paese (la sede della GJU si trova infatti a Bruxelles). Secondo il diritto nazionale belga, lo Stato federale belga risulta essere responsabile soltanto delle attività spaziali effettuate a partire dal suo territorio o da installazioni di sua proprietà o poste sotto la sua giurisdizione o controllo (7). Pur non essendo così nella fattispecie, la questione resta ancora da dirimere sul piano del diritto internazionale.

4.7

Inoltre, una volta conclusi lo scioglimento della GJU e il trasferimento delle sue attività alla GSA, i satelliti saranno lanciati per conto di quest'ultima entità e, a questo titolo, anche la persona giuridica internazionale cui essa è collegata potrebbe essere considerata come Stato di lancio. Andrebbe quindi esaminata la possibilità di considerare l'UE come Stato di lancio, rispetto non soltanto al lancio dei satelliti della fase IOV ma anche al lancio degli altri satelliti della costellazione Galileo durante la fase di avvio e quella operativa.

4.8

Per queste due fasi, la responsabilità potrebbe essere attribuita allo Stato dove ha sede l'operatore incaricato della costellazione (la società concessionaria) che farà procedere ai lanci. Dato che la sede del concessionario, ai sensi dell'accordo del 5 dicembre 2005 tra le principali parti della concessione, è stata fissata in Francia (a Tolosa), potrebbe essere quindi invocata la responsabilità della Francia.

4.9

Infine, sarà considerato Stato di lancio anche lo Stato sotto la cui giurisdizione si trova l'operatore del lancio, come pure, eventualmente, lo Stato di cui vengano utilizzati il territorio o le installazioni. Quindi, se l'operatore incaricato sarà la società francese Arianespace, la Francia potrà essere considerata come Stato di lancio.

4.10

Nell'ipotesi che al lancio partecipino diversi Stati, occorrerà chiarire le relazioni tra le diverse entità in termini di responsabilità e di condivisione dei rischi tra questi diversi Stati nell'eventualità di danni cagionati durante il lancio o la durata di vita del satellite.

4.11

Va osservato che esiste già un accordo tra l'ESA e la Francia (accordi sul Centro spaziale della Guyana — CSG): esso contiene delle clausole relative alla responsabilità internazionale, in particolare nel caso di lanci effettuati da Arianespace, e sembra essere quindi applicabile al programma Galileo. Resta però aperta la questione relativa alla responsabilità internazionale degli Stati di lancio per la durata di vita dei satelliti in orbita: a questo proposito si potrebbe esaminare l'opportunità di concludere un accordo ad hoc tra la Francia e gli altri Stati di lancio (ESA, Belgio, UE).

Riferimenti documentari

1.

Risoluzione del Consiglio, del 19 luglio 1999, sulla partecipazione dell'Europa ad una nuova generazione di servizi di navigazione satellitare — Galileo — Fase di definizione (1999/C 221/01)

2.

Decisione del Consiglio del 18 giugno 1998 relativa all'accordo tra la Comunità europea, l'Agenzia spaziale europea e l'Organizzazione europea per la sicurezza della navigazione aerea relativo al contributo europeo all'istituzione di un sistema globale di navigazione via satellite (GNSS) — 1998/434/CE — GU L 194 del 10.7.1998, pag. 15

3.

Regolamento (CE) n. 876/2002 del Consiglio, del 21 maggio 2002, relativo alla costituzione dell'impresa comune Galileo (con in allegato lo statuto della GJU), GU L 138 del 28.5.2002, pag. 1

4.

Decisione del Consiglio, del 19 marzo 2001, che adotta le norme di sicurezza del Consiglio — 2001/264/CE — GU L 101 dell'11.4.2001, pag. 1

5.

Accordo tra l'impresa comune Galileo (GJU) e l'ESA — ESA/C(2002) 51, riv. 1, del 23 aprile 2002

6.

Galileo Joint Undertaking Organisation and Decision Process — ESA/PB-NAV(2003) 20, del 5 settembre 2003

7.

Regolamento (CE) n. 1321/2004 del Consiglio, del 12 luglio 2004, sulle strutture di gestione dei programmi europei di radionavigazione via satellite

8.

Comunicazione della Commissione — Inquadramento delle agenzie europee di regolazione, COM(2002) 718 def., dell'11 dicembre 2002

9.

Accordo tra l'UE e la Cina del 30 ottobre 2003

10.

Accordo tra l'UE e Israele del 13 luglio 2004

11.

Accordo tra la GJU e il NRSCC del 9 ottobre 2004

12.

Accordo tra la GJU e il Matimop del 6 settembre 2005

13.

Accordo tra la GJU e l'ESA per il NRSCC del 9 ottobre 2004

14.

Accordo tra la GJU e l'ESA per il Matimop del 18 ottobre 2005

15.

Diritti e doveri dei nuovi membri dell'impresa comune Galileo — ESA/PB-NAV(2004) 18 riv. 2, del 23 giugno 2004

16.

Galileo IPR: Ownership and Protection — ESA/PB-NAV(2004) 26, del 23 settembre 2004

17.

Intellectual Property Rights for the Galileo Programme — GJU-EXC-2004-50, del 2 settembre 2004

18.

Agreement between the Partners of the Prospective Galileo Concession, del 5 dicembre 2005

19.

Transition Plan of GJU Activities and Know-how to the GSA — GJU-ADB-2005-13 riv., dell'11 febbraio 2006

20.

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Integrazione del programma EGNOS nel programma Galileo, COM(2003) 123 def., del 19 marzo 2003

21.

Accordo quadro tra la Comunità europea e l'ESA, firmato il 25 novembre 2003, ESA/C-M(2004) 4

22.

Parere del CESE in merito al Programma europeo di navigazione via satellite (Galileo), del 12 settembre 2001, TEN/077

23.

Parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla costituzione dell'impresa comune Galileo, del 28 novembre 2001, COM(2001) 336 def. — 2001/0136 (CNS), TEN/089

24.

Parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Progressi del programma di ricerca Galileo all'inizio del 2004, del 20 giugno 2004, COM(2004) 112 def., TEN/179

25.

Parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'attuazione della fase di spiegamento e della fase operativa del Programma europeo di radionavigazione via satellite, del 9 febbraio 2005, COM(2004) 477 def. — 2004/0156 (COD), TEN/203.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Setting-up of the Galileo Supervisory Authority, Document for Discussion at the Executive Committee of 24 June 2004, TREN E/4/OO/bp D 11090 (2004) del 24.6.2004, pag. 1.

(2)  Si rammenta che la data inizialmente prevista per lo scioglimento della GJU era il 28 maggio 2006 (cfr. sopra — durata della GJU).

(3)  La partecipazione dei paesi terzi (non membri dell'UE) al programma Galileo è disciplinata da accordi internazionali negoziati e conclusi dall'UE a nome degli Stati membri, al termine di una trattativa riguardante le disposizioni dell'accordo condotta dalla Commissione su mandato del Consiglio. Il primo accordo è stato firmato con la Cina nell'ottobre 2003 ed è attualmente in corso di ratifica da parte degli Stati membri. Tali accordi invitano i paesi terzi a designare un'entità che partecipi al capitale della GJU (cfr. sopra — cooperazione internazionale).

(4)  La Commissione ha elaborato due note di informazione su questi argomenti indirizzate ai membri del consiglio di amministrazione della GJU: Changes to the GJU Statutes and GJU/GSA Transfer TREN B5 D(2006) del 18.1.2006; eEnvisaged Changes to the GSA Regulation and GJU/GSA Transfer, TREN B5 D(2006) del 19.1.2006.

(5)  Dodicesimo considerando del regolamento della GSA.

(6)  Articolo 2, paragrafo 2, del regolamento della GSA.

(7)  Legge belga relativa alle operazioni di lancio, di volo o di controllo a distanza di oggetti spaziali del 17.9.2005, pubblicata sul Moniteur del 16.11.2005, n. 348. L'articolo 2, paragrafo 1, dispone che «La presente legge concerne le operazioni di lancio, di volo o di controllo a distanza di oggetti spaziali effettuate da persone fisiche o giuridiche nelle zone poste sotto la giurisdizione o sotto il controllo dello Stato belga o per mezzo di installazioni, mobili o fisse, che siano di proprietà dello Stato belga oppure che si trovino sotto la sua giurisdizione o sotto il suo controllo».


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/218


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione sulla promozione del trasporto sulle vie navigabili interne «Naiades» — Programma di azione europeo integrato per il trasporto sulle vie navigabili interne

COM(2006) 6 def.

(2006/C 318/35)

La Commissione, in data 3 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 64 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il trasporto per via navigabile (TVN) deve essere sviluppato attraverso una politica europea in materia di navigazione interna basata sul Libro bianco riveduto. Per realizzare tale obiettivo è indispensabile assicurare un quadro normativo uniforme per tutti gli operatori del settore, rimuovere le strozzature infrastrutturali e istituzionali, nonché garantire il sostegno politico.

1.2

Il «Programma di azione europeo integrato per il trasporto sulle vie navigabili interne» può essere considerato come un valido punto di partenza per lo sviluppo della navigazione interna. Le misure proposte vanno attuate senza indugi e tenendo conto delle osservazioni del CESE, onde sfruttare pienamente il potenziale della navigazione interna.

1.3

Il Comitato deplora cha la Commissione non abbia tenuto conto delle raccomandazioni da esso formulate nel parere sulla politica sociale (1). Affinché tutti i diversi aspetti vengano opportunamente esaminati, e affinché ad essi venga attribuito il giusto valore, è necessario che quando tali raccomandazioni saranno messe in pratica vi sia uno stretto coordinamento tra le varie direzioni generali della Commissione interessate.

1.4

A grandi linee, il quadro giuridico che disciplina la navigazione interna in Europa è stato predisposto dalla Commissione centrale per la navigazione sul Reno (CCNR). Per migliorare il quadro amministrativo e regolamentare, le commissioni fluviali del Reno e del Danubio, in particolare la CCNR, si sono già adoperate per armonizzare la normativa riguardante gli equipaggi, i natanti, le qualifiche e la responsabilità dei comandanti: per questo motivo esse devono figurare fra i soggetti responsabili nelle tabelle della comunicazione che elencano gli strumenti.

1.5

Il CESE invita la Commissione a evitare che la responsabilità del vettore di passeggeri nella navigazione interna venga disciplinata da un nuovo regime come quello proposto nel regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente (COM(2005) 592 def.). Il Comitato rammenta il proprio parere d'iniziativa sul tema La politica sociale in un regime giuridico paneuropeo sulla navigazione interna e raccomanda di proseguire il cammino avviato dalle commissioni fluviali, inteso a rinegoziare le convenzioni (2) già concluse a livello internazionale.

1.6

Oltre a migliorare le prestazioni ambientali della catena dei trasporti, il passaggio verso la navigazione interna (modal shift) contribuisce anche alla sostenibilità dei trasporti. Occorre pertanto mettere a disposizione mezzi finanziari e fiscali sufficienti affinché sia possibile investire e sfruttare tutte le possibilità che il settore può offrire.

1.7

Attraverso un dialogo sociale costruttivo a livello europeo occorre definire una strategia per reperire personale disponibile a lavorare nella navigazione interna e per creare condizioni sociali e di lavoro che siano equivalenti in tutti gli Stati membri. Occorre altresì investire in cicli di formazione e tirocini per offrire prospettive e possibilità di carriera a quanti necessitano di una formazione.

1.8

La navigazione interna è un modo di trasporto affidabile, sicuro, rispettoso dell'ambiente ed economico. Per modificare abitudini radicate occorre impegnarsi in una vasta opera di sensibilizzazione e promuovere le effettive potenzialità del settore sotto il profilo della qualità e dell'affidabilità.

1.9

Occorre garantire che gli Stati membri provvedano ad una buona manutenzione delle infrastrutture fluviali, che si ottenga il necessario sostegno finanziario, che i progetti relativi alle infrastrutture fluviali siano effettivamente realizzati subito — come previsto nell'elenco contenente le RTE-T prioritarie — e che essi beneficino del cofinanziamento massimo previsto negli orientamenti riveduti per le RTE-T. La nomina di un coordinatore europeo per i progetti che interessano le idrovie interne (asse prioritario n. 18 Reno/Mosa-Meno-Danubio e n. 30 Senna-Schelda) accelererebbe l'eliminazione delle strozzature.

1.10

Il CESE ritiene che un quadro istituzionale adeguato rappresenterebbe lo strumento idoneo sia per attuare il programma d'azione europeo integrato per la navigazione interna che per rafforzare la posizione di quest'ultima. Nel recente parere d'iniziativa sul tema Il quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa il CESE ha appoggiato la creazione di un'organizzazione indipendente, da istituire attraverso una convenzione che riunisca organizzazioni internazionali quali l'UE, gli Stati membri dell'UE interessati dalla navigazione interna, paesi terzi quali la Svizzera e i paesi terzi rivieraschi del Danubio.

2.   Introduzione

2.1

L'Unione europea si adopera per mettere a punto una politica dei trasporti integrata intesa a far sì che il trasporto di beni e persone avvenga in maniera rapida, efficiente, sostenibile ed economica. È questo un obiettivo centrale nel contesto dell'ambizione più ampia, dichiarata nella strategia di Lisbona, di «diventare l'economia […] più competitiva e dinamica del mondo», e della strategia per lo sviluppo sostenibile decisa già nel 2001 a Göteborg, che metteva sullo stesso piano gli aspetti economici, ambientali e sociali.

2.2

La navigazione sulle vie navigabili interne, là dove esistono, offre numerose possibilità d'innovazione, sviluppo e capacità, conservazione dell'ambiente, sicurezza e protezione. Per di più le vie navigabili interne presentano un potenziale sufficiente per assorbire il flusso crescente di trasporti di merci e per allentare la congestione permanente della rete stradale.

2.3

Il CESE ha già analizzato lo stato della navigazione interna in Europa in due precedenti pareri, rispettivamente del 16 gennaio 2002 sul tema L'avvenire della rete transeuropea di vie navigabili e del 24 settembre 2003 sul tema Verso un regime paneuropeo della navigazione fluviale  (3). Il secondo parere citato presta particolare attenzione alle strozzature nelle vie navigabili interne e all'esigenza di armonizzare le regolamentazioni del settore (ciò vale sia per gli aspetti di diritto pubblico che per quelli di diritto privato). Inoltre, questo stesso parere esamina aspetti come la sicurezza, la situazione del mercato del lavoro e gli aspetti sociali, aspetto — quest'ultimo — ulteriormente approfondito nel parere d'iniziativa del settembre 2005 sul tema La politica sociale in un regime giuridico paneuropeo sulla navigazione interna  (4).

Più di recente il Comitato ha adottato un parere sul tema Il quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa  (5), dedicato appunto al problema della struttura organizzativa pubblica, che non è stato affrontato dalla comunicazione oggetto del presente parere.

2.4

Con quest'ultima comunicazione la Commissione ha presentato un ambizioso programma d'azione per la navigazione interna che, sulla scorta di uno studio approfondito, prospetta cinque azioni, nel loro insieme intese a contribuire al miglioramento della situazione generale della navigazione interna ed essere integrate nella catena logistica.

2.5

Le azioni proposte riguardano:

i mercati,

la flotta,

l'occupazione e la professionalità,

l'immagine,

l'infrastruttura.

Un capitolo a parte della proposta della Commissione è dedicato all'ammodernamento della struttura organizzativa e presenta quattro opzioni, senza però compiere ancora alcuna scelta.

I capitoli che seguono approfondiscono ciascuna delle cinque azioni proposte e analizzano la struttura organizzativa.

2.6

Il programma d'azione contempla un ampio ventaglio di provvedimenti per i quali la stessa Unione europea, gli Stati membri e l'industria (6) dovranno impegnarsi concretamente, concertandosi quando necessario. Con questa impostazione, coerente e aperta, la Commissione intende contribuire allo sviluppo sostenibile della politica europea dei trasporti.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

La creazione e il mantenimento di condizioni di parità per i diversi modi di trasporto e fra gli Stati membri sono presupposti indispensabili per il corretto funzionamento del mercato interno, dove il settore della navigazione interna è completamente liberalizzato e caratterizzato dalla libera concorrenza.

3.2

La promozione dei trasporti sulle vie navigabili interne può essere un modo per addivenire a un mercato dei trasporti più equilibrato. Per poter sfruttare pienamente il potenziale di questo modo di trasporto occorre rimuovere una serie di ostacoli che attualmente riguardano in primo luogo le infrastrutture e lo sviluppo delle reti di trasporto transeuropee. Un ulteriore ostacolo è rappresentato dall'assenza di armonizzazione legislativa e istituzionale nel settore della navigazione interna.

3.3

Con la proposta in esame la Commissione ha riconosciuto la necessità di dare impulso alla navigazione interna: a questo scopo ha messo a punto un programma d'azione integrato che s'incentra sui provvedimenti concreti necessari per sfruttare in maniera ottimale le potenzialità di questo modo di trasporto e renderlo più interessante per gli utenti. È una proposta che il Comitato accoglie con favore, ritenendo che essa contribuisca ad alleviare i problemi nel settore dei trasporti e a rafforzare il ruolo della navigazione interna.

3.4

Il CESE, che nel parere d'iniziativa del 2005 aveva formulato raccomandazioni concrete sull'argomento, deplora l'assenza di proposte in materia di politica sociale, e invita caldamente a colmare queste lacune, intervenendo come suggerito nel suddetto parere d'iniziativa.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   I mercati

4.1.1

Per promuovere l'imprenditorialità nel settore della navigazione interna occorre creare un contesto favorevole, in modo che il settore possa funzionare in maniera soddisfacente e in condizioni di parità con gli altri modi di trasporto, sotto il profilo economico, ambientale e sociale. Occorre quindi snellire le formalità necessarie, coordinando al meglio i servizi amministrativi competenti e le misure adottate nel settore.

4.1.2

Affinché la navigazione interna risulti più interessante per le nuove aziende che si affacciano sul mercato e per offrire nel contempo possibilità di crescita alle imprese esistenti, occorrono (nuovi) investimenti, accompagnati da incentivi fiscali: in particolare si fa riferimento alle azioni e agli strumenti proposti nel quadro degli orientamenti specifici per la navigazione interna in materia di aiuti di Stato e di programmi di RST. L'ostacolo all'ampliamento e all'ammodernamento del settore è costituito proprio dai costi d'investimento elevati.

4.1.3

Le grandi linee del quadro giuridico che disciplina i trasporti sulle vie navigabili interne sono state predisposte dalla CCNR. Per migliorare il quadro amministrativo e regolamentare, le commissioni fluviali del Reno e del Danubio, in particolare la CCNR, si sono già attivate per armonizzare la normativa riguardante gli equipaggi, i battelli, le qualifiche e la responsabilità dei comandanti: per questo motivo esse devono essere menzionate fra i soggetti responsabili nelle tabelle della comunicazione relative agli strumenti (7).

4.1.4

In proposito è opportuno rammentare la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla responsabilità dei vettori che trasportano passeggeri via mare e per vie navigabili interne in caso di incidente (COM(2005) 592 def.), con la quale la Commissione intende assoggettare i vettori di questi due comparti ad uno stesso regime in materia di responsabilità.

4.1.5

Tra questi due modi di trasporto esistono tuttavia differenze tali da richiedere regolamentazioni diverse, che possano tenere conto delle rispettive specificità. Per portare a livelli più alti la limitazione della responsabilità globale nella navigazione interna, attualmente disciplinata da una convenzione internazionale (8), sono attualmente in corso, sotto l'egida delle commissioni fluviali, negoziati intesi a modificare la convenzione. Queste modifiche hanno tra l'altro come oggetto l'applicazione della convenzione non solo negli Stati rivieraschi del Reno, ma anche negli altri Stati europei interessati dalla navigazione interna.

4.1.6

Per questo motivo il Comitato rimanda al proprio parere d'iniziativa sul tema La politica sociale in un regime giuridico paneuropeo sulla navigazione interna, raccomandando di proseguire il processo di negoziazione.

4.2   Flotta

4.2.1

I battelli utilizzati nella navigazione interna si distinguono per la loro longevità. Di qui l'esigenza di incoraggiare il rinnovo e l'ammodernamento dei natanti, mettendo a punto programmi che agevolino l'adeguamento ai nuovi requisiti tecnici e tengano conto degli orientamenti relativi agli aiuti di Stato. Per contribuire a far fronte alle più urgenti esigenze di ammodernamento e ad adeguare la flotta attuale ai nuovi requisiti in materia di ambiente e sicurezza, sono necessari programmi di RST e di sostegno appositamente concepiti per la navigazione interna.

4.2.2

La navigazione interna è un modo di trasporto che può ovviare alla congestione del settore, in forte crescita, e contribuire, grazie alla sua sicurezza e alle sue caratteristiche ecologiche, ad una soluzione sostenibile del problema dei trasporti. L'industria ha sempre rivolto grande attenzione alle norme in materia di gas di scarico, alla qualità del carburante, alla protezione dall'inquinamento acustico e allo smaltimento dei rifiuti prodotti sui natanti. Per il momento gli operatori dei natanti adibiti alla navigazione interna, i costruttori di motori e le autorità discutono nuovi metodi per ridurre ulteriormente le emissioni dei natanti entro i prossimi dieci anni. Tra i vari modi di trasporto, la navigazione interna è quello più rispettoso dell'ambiente, e si deve fare in modo che continui su questa strada. Per conservare questa immagine, gli operatori del settore si impegnano attivamente nel perfezionamento di metodi di lavoro poco inquinanti: è questo un impegno che va senz'altro incoraggiato.

4.2.3

Sostanzialmente la navigazione interna presenta vantaggi non solo per le proprie caratteristiche intrinseche, ma anche per altri aspetti specifici, positivi sotto il profilo della congestione, della manutenzione e dell'uso delle infrastrutture, degli incidenti e di altri importanti fattori. In questo modo il trasferimento del traffico verso la navigazione interna consente non solo di migliorare le prestazioni ambientali della catena dei trasporti, ma anche di ottenere una maggiore sostenibilità dei trasporti in generale.

4.2.4

La navigazione interna svolge un ruolo importante nella catena intermodale dei trasporti. L'idea del trasporto intermodale come alternativa ai trasporti su strada e il suo ulteriore sviluppo meritano quindi il massimo appoggio. Per quanto negli scorsi anni diverse iniziative in tal senso siano già state lanciate per i trasporti con container, lo sfruttamento ottimale delle potenzialità dei trasporti intermodali (comprendenti fra l'altro anche la navigazione interna) richiede ulteriori provvedimenti.

4.2.5

In concreto ciò significa che lungo i fiumi dovranno essere creati centri di trasbordo. Occorrerà trasformare i porti esistenti in porti intermodali e costruirne di nuovi. L'efficienza dei trasporti intermodali dipende in gran parte dal grado di efficienza dell'infrastruttura portuale e dalle rotte (disponibilità di ponti abbastanza alti sui fiumi e sui canali, ecc.).

4.3   Occupazione e professionalità

4.3.1

La professionalità è essenziale nel settore della navigazione interna, che richiede sempre maggiori conoscenze nautiche e tecniche, come pure competenze sempre più specifiche in materia di sicurezza, tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e logistica. Per assicurare e promuovere il carattere innovativo del settore, gli addetti devono disporre di una formazione adeguata. Uniformando i programmi di formazione e di addestramento in maniera analoga a quanto avviene nei trasporti marittimi si può ulteriormente accrescere la professionalità del settore, in particolare riguardo al trasporto di sostanze pericolose. Occorre mettere a punto opportuni programmi per le assunzioni, la formazione e l'addestramento, in modo da attrarre i giovani e mantenere alta la professionalità di tutti gli addetti della navigazione interna.

4.3.2

Attraverso un dialogo sociale costruttivo a livello europeo occorre mettere a punto una strategia per rendere attraente il lavoro nella navigazione interna, reperire personale disposto a lavorare nel settore, e, nel contempo, creare condizioni sociali e di lavoro equivalenti in tutti gli Stati membri.

4.3.3

Come già osservato in precedenza, la CCNR ha predisposto il quadro giuridico per i trasporti sulle vie navigabili interne. La CCNR e la commissione fluviale del Danubio si occupano anche dell'armonizzazione dei requisiti previsti per i membri degli equipaggi e per il diploma dei comandanti. Insieme alla Commissione europea, le commissioni fluviali dovrebbero lavorare su una maggiore uniformità.

4.3.4

Bisognerebbe vigilare con maggiore severità sull'applicazione della legislazione nazionale in materia sociale. La Commissione dovrebbe promuovere il coordinamento tra le autorità di vigilanza degli Stati membri. In quest'ambito bisognerebbe dedicare particolare attenzione agli «hotel galleggianti».

4.3.5

Nel proprio parere d'iniziativa sul tema La politica sociale in un regime giuridico paneuropeo sulla navigazione interna il Comitato economico e sociale europeo afferma che, a suo avviso, la Commissione europea è nella posizione ideale per promuovere la politica sociale in senso lato, anche sulla base della lunga tradizione, esperienza e competenza della CCNR e della commissione fluviale del Danubio che, da parte loro, alla politica sociale hanno sempre dato spazio.

4.4   L'immagine

4.4.1

I trasporti sulle vie navigabili interne sono un modo di trasporto affidabile, sicuro, ecologico e poco costoso. Per modificare abitudini radicate che vanno nella direzione opposta occorre sensibilizzare il pubblico sull'effettivo potenziale del settore sotto il profilo della qualità e dell'affidabilità.

4.4.2

Il sistema europeo di osservazione del mercato può forse svolgere un ruolo chiave per evidenziare le tendenze e gli sviluppi nel comparto della navigazione interna e informarne i principali soggetti interessati. La Commissione europea deve fornire le necessarie informazioni, con l'appoggio delle commissioni fluviali e dell'industria.

4.4.3

D'altra parte, si ritiene che creare e sostenere centri di promozione sia il modo migliore per trasmettere informazioni sul settore della navigazione interna agli operatori economici, i quali per conseguire buoni risultati devono poter sfruttare pienamente le potenzialità del settore, sotto la guida e la supervisione delle organizzazioni professionali.

4.5   L'infrastruttura

4.5.1

Le recenti inondazioni che hanno colpito alcuni paesi sulle rive del Danubio ripropongono il dibattito sulle misure infrastrutturali ecologicamente sostenibili. Un rapporto commissionato dalle autorità tedesche a seguito delle inondazioni dell'Elba del 2003 ha dimostrato che la navigazione interna non ha in alcun modo contribuito al fenomeno, né alle sue conseguenze.

4.5.2

L'efficienza dei trasporti di merci e di persone dipende essenzialmente dalla validità delle infrastrutture, dalla corretta manutenzione delle vie navigabili esistenti, dalla soppressione dei punti più congestionati e dalla creazione dei collegamenti mancanti. A questo proposito è necessario pensare anche alla rivitalizzazione delle vecchie infrastrutture.

4.5.3

La rete di trasporti transeuropea è notoriamente considerata come uno dei principali elementi della nuova strategia di Lisbona per la competitività e l'occupazione in Europa, e due dei trenta assi prioritari di trasporto (il n. 18 Reno/Mosa-Meno-Danubio e il n. 30 Senna-Schelda) riguardano progetti per le vie navigabili interne.

4.5.4

Nelle decisioni relative al bilancio 2007-2013 i finanziamenti per le RTE-T hanno subito tagli piuttosto drastici. Per evitare che l'auspicato cofinanziamento dei suddetti progetti per la navigazione interna risulti compromesso, il CESE invita gli Stati membri UE interessati ad avviare quanto prima le iniziative previste nel quadro delle RTE-T.

4.5.5

Inoltre, il Comitato invita la Commissione a nominare, analogamente a quanto avvenuto per i progetti ferroviari, un coordinatore per entrambi i progetti relativi alla navigazione interna, i quali dovrebbero poter assolvere un ruolo di coordinamento e di promozione.

4.5.6

Il Comitato attende il processo di consultazione annunciato dalla Commissione per la tariffazione dell'uso delle infrastrutture.

4.6   Ammodernare la struttura organizzativa

4.6.1

Una delle conclusioni più importanti cui sono giunte la recente indagine sulla navigazione interna nella relazione EFIN (European Framework for Inland Navigation) dal titolo Un nuovo quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa e la relazione PINE (Prospects of Inland Navigation in an Enlarged Europe), effettuate per conto della Commissione europea, è che questo modo di trasporto non riceve adeguata attenzione da parte dei politici, e che esso non è stato oggetto di una politica strategica sufficientemente incisiva. Di recente il CESE ha pertanto elaborato un parere d'iniziativa sul tema Il quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa. Per esigenze di brevità, in questa sede ci limitiamo a un semplice rimando a tale documento.

Bruxelles, 14 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 24 del 31.1.2006.

(2)  Convenzione di Strasburgo sulla limitazione della responsabilità nella navigazione interna (CLNI).

(3)  GU C 80 del 3.4.2002 e GU C 10 del 14.1.2004.

(4)  GU C 24 del 31.1.2006.

(5)  GU C 185 dell'8.8.2006.

(6)  In questo documento il termine «industria» comprende tra l'altro i datori di lavoro e i lavoratori dipendenti e indipendenti.

(7)  Si ricordi l'appello a favore della consultazione di queste commissioni fluviali lanciato dal CESE nel parere d'iniziativa sulla politica sociale.

(8)  Convenzione di Strasburgo sulla limitazione della responsabilità nella navigazione interna (CLNI).


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/222


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Colmare il divario nella banda larga

COM(2006) 129 def.

(2006/C 318/36)

La Commissione, in data 5 aprile 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 193 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato si compiace del fatto che il problema critico del divario digitale che si va ampliando tra le regioni più evolute e quelle meno sviluppate dell'Unione europea venga affrontato in maniera coordinata dai commissari europei responsabili rispettivamente per la società dell'informazione e i mezzi di comunicazione; la concorrenza; la politica regionale; l'agricoltura e lo sviluppo rurale.

1.2

La comunicazione della Commissione Colmare il divario nella banda larga (COM(2006) 129 def.), tuttavia, manca di ambizione e non contiene un numero di raccomandazioni concrete sufficiente a dimostrare una reale volontà di colmare il divario nella banda larga.

1.3

Il Digital Divide Forum Report  (1) contiene un'analisi del divario digitale territoriale esistente in Europa in materia di banda larga e indica possibili iniziative comunitarie mirate a colmarlo. Dati la gravità del problema individuato nel Digital Divide Forum e l'effetto ritardante determinato dal divario stesso sullo sviluppo economico e sociale, la Commissione dovrebbe affrontare il problema in modo più deciso.

1.4

Il Comitato accoglie con favore la Dichiarazione ministeriale di Riga dell'11 giugno 2006 sulla eInclusione (2), nella quale gli Stati membri si impegnano a ridurre in modo significativo le disparità regionali nell'accesso a Internet in tutta l'UE, potenziando la copertura a banda larga nelle zone insufficientemente servite e dimezzando entro il 2010 il divario esistente nell'utilizzo di Internet da parte dei gruppi a rischio di esclusione. La Commissione deve ora porre in atto tale Dichiarazione attraverso iniziative e raccomandazioni intese a colmare rapidamente il divario digitale.

Attraverso il presente parere il Comitato intende sottolineare alcune questioni di particolare rilievo e raccomandare ulteriori interventi.

2.   Raccomandazioni

2.1

Il Comitato ritiene che, data la crescente importanza dei servizi a banda larga per lo sviluppo economico e sociale, la connessione a banda larga debba essere inclusa nella definizione di servizio universale (3) quale servizio di notevole interesse pubblico.

2.2

La Commissione dovrebbe adottare tutte le misure possibili per garantire che gli Stati membri applichino in modo rigoroso il quadro normativo in materia di comunicazioni elettroniche (4).

2.3

La Commissione dovrebbe prevedere misure e sanzioni speciali per accelerare il processo di disaggregazione della rete locale negli Stati membri. Specie per le connessioni a banda larga, ritardi e impedimenti di natura tecnica nell'attuazione di tale processo costituiscono un notevole ostacolo all'introduzione di una concorrenza che, in materia di prestazione di servizi, è altamente necessaria.

2.4

Gli Stati membri dovrebbero venire incoraggiati a far valere i loro interessi nazionali al fine di mantenere o recuperare influenza sulle infrastrutture di base delle telecomunicazioni, quali le reti di trasmissione e di commutazione a lunga distanza. È necessario che i poteri pubblici conservino una determinata influenza nel settore per assicurare lo sviluppo e l'utilizzo di questo bene nazionale di importanza strategica allo scopo di conseguire obiettivi politici nazionali, come ad esempio colmare il divario nella banda larga.

2.5

Le strategie degli Stati membri in materia di banda larga dovrebbero essere riesaminate in modo da integrare azioni specifiche mirate a colmare il divario in questione entro il 2010. Tali strategie dovrebbero essere oggetto di una valutazione comparativa basata sulle migliori pratiche nel settore.

2.6

La Commissione dovrebbe attuare in tutta l'UE un efficace processo di pianificazione e di gestione in materia di banda larga, per garantire che in futuro niente possa ostacolare la fornitura a livello locale di queste infrastrutture fondamentali. Tale processo porterebbe all'integrazione di tutte le strategie nazionali e di tutti i programmi locali in materia in un piano operativo europeo per la fornitura della banda larga in tutto il territorio comunitario, prestando una particolare attenzione alle aree rurali e svantaggiate allo scopo di colmare il divario digitale.

2.7

La Commissione dovrebbe studiare le modalità con cui gli Stati membri potrebbero fornire incentivi finanziari alle aziende di telecomunicazioni (5) per indurle ad effettuare investimenti infrastrutturali nelle regioni sottosviluppate. In particolare potrebbero ricorrere a forti incentivi fiscali per partenariati pubblico-privati (PPP).

2.8

La Commissione dovrebbe ricercare meccanismi che consentano alle autorità locali e municipali di svolgere un ruolo più proattivo nella fornitura di servizi a banda larga e nella promozione della domanda di banda larga nelle rispettive regioni. Tali autorità dovrebbero essere pienamente coinvolte nello sviluppo e nell'attuazione delle strategie nazionali in materia di banda larga, come menzionato nel punto 2.6. Andrebbero inoltre presi in esame altri meccanismi: le autorità stesse, ad esempio, potrebbero divenire soci commerciali di iniziative PPP, o ancora gli Stati membri potrebbero imporre l'obbligo di fornire il servizio di connessione a banda larga o di installare i relativi cavi in tutte le nuove aree residenziali.

2.9

Per agevolare lo scambio di know-how tecnico e commerciale tra le PMI ubicate in tutto il territorio comunitario, la Commissione dovrebbe lanciare un sito Internet sugli sviluppi a livello mondiale in materia di tecnologia e servizi a banda larga. Alcuni ritengono che una rete di questo genere favorirebbe lo sviluppo di attività imprenditoriali collegate alla fornitura di connessioni e servizi a banda larga.

2.10

Allo scopo di chiarire la situazione reale della disponibilità di banda larga in Europa, la Commissione dovrebbe definire una velocità minima reale di scaricamento a partire dalla quale una connessione possa essere veramente definita «a banda larga»: ciò consentirebbe di effettuare più agevolmente una valutazione comparativa del divario territoriale riscontrabile nell'UE in materia.

2.11

I fondi strutturali e il Fondo europeo di sviluppo rurale dovrebbero essere utilizzati per organizzare campagne di informazione pubblica mirate a stimolare la domanda di mercato per le connessioni a banda larga, specie nelle zone rurali e tra gruppi specifici di consumatori nei quali l'adozione di tecnologia è problematica. Ciò avrebbe il duplice effetto di sensibilizzare i potenziali consumatori alla tecnologia e di esercitare una maggiore pressione sui fornitori affinché offrano i necessari servizi a banda larga.

2.12

La Commissione dovrebbe sostenere maggiormente gli sforzi di R&S per la messa a punto di tecnologie che risolvano in modo efficace il problema di fornire connessioni a banda larga ad alta velocità nelle aree prive di adeguate strutture di telecomunicazioni.

2.13

I responsabili politici dovrebbero definire delle linee guida per la tutela dei consumatori in materia di servizi a banda larga, semplificando la terminologia utilizzata e spiegando con un linguaggio semplice e chiaro i servizi proposti e i vantaggi che ne deriverebbero. I consumatori potrebbero così prendere più facilmente decisioni di acquisto corrette.

2.14

Per partecipare pienamente all'era dell'informazione, ciascuno studente delle scuole secondarie dovrebbe poter disporre della banda larga nel proprio istituto scolastico.

2.15

La Commissione dovrebbe appoggiare, in tutto il territorio comunitario, delle iniziative finalizzate a familiarizzare gli scolari, gli anziani e i cittadini socialmente svantaggiati con l'utilizzo della tecnologia a banda larga (ad esempio tramite l'apprendimento on-line, le videoconferenze, i servizi pubblici on-line, e così via).

2.16

La Commissione dovrebbe fare in modo che tutte le statistiche relative alla fornitura di servizi a banda larga e il monitoraggio del divario sia digitale che nella banda larga vengano raccolte ed elaborate in linea con il dettato del recente regolamento della Commissione relativo alle statistiche comunitarie sulla società dell'informazione (6).

3.   Contesto

3.1

Il 20 marzo 2006 la Commissione ha adottato la comunicazione intitolata Colmare il divario nella banda larga, incentrata sul divario territoriale per quanto concerne l'accesso alla banda larga. Essa è volta a sensibilizzare i governi e le istituzioni a tutti i livelli sulla gravità di tale divario e sui problemi posti dall'assenza di adeguati servizi a banda larga nelle regioni meno sviluppate dell'Unione. La comunicazione attua una delle priorità dell'iniziativa i2010Una società dell'informazione per la crescita e l'occupazione  (7).

3.2

La banda larga consente lo sviluppo di nuove applicazioni informatiche e rafforza la capacità di quelle esistenti; stimola inoltre la crescita economica attraverso la creazione di nuovi servizi e l'apertura di nuove opportunità di investimento e di occupazione. La banda larga, però, migliora anche la produttività di numerosi processi esistenti, assicurando salari e rendimenti degli investimenti più elevati. Le pubbliche amministrazioni a tutti i livelli hanno ormai riconosciuto il possibile impatto della banda larga sulla vita quotidiana e sono impegnate a fare sì che i suoi vantaggi siano resi disponibili a tutti (8).

3.3

Per assicurare la sostenibilità a lungo termine delle aree periferiche e rurali è necessario un approccio strategico allo sviluppo della società dell'informazione. La disponibilità di servizi a banda larga è fondamentale per aiutare le comunità locali ad attirare le imprese, agevolare il telelavoro, fornire assistenza sanitaria e migliorare i servizi educativi e amministrativi. Assicura inoltre un collegamento essenziale alle informazioni.

3.4

Nell'UE la domanda di servizi residenziali a banda larga è in rapido aumento. Negli ultimi due anni il numero di linee di accesso a banda larga è quasi raddoppiato. Nell'ottobre 2005 si contavano nell'UE a 25 circa 53 milioni di connessioni, una cifra equivalente a un tasso di penetrazione dell'11,5 % in termini di popolazione e del 20 % circa in termini di nuclei familiari. Tale evoluzione è principalmente il risultato del gioco delle forze di mercato ed è accentuata dall'aumento della concorrenza.

3.5

Nonostante l'aumento generalizzato del numero di connessioni a banda larga, nelle regioni più remote e rurali l'accesso è limitato dai costi elevati dovuti alle distanze e alla bassa densità abitativa.

3.6

La comunicazione in esame sottolinea che l'Unione europea deve intensificare i propri sforzi per incoraggiare l'adozione dei servizi a banda larga e favorirne una maggiore diffusione, in particolare nelle zone meno sviluppate. Il piano d'azione eEurope 2005 (9) metteva già in luce la possibilità di un intervento pubblico nelle zone insufficientemente servite, sottolineando il possibile ruolo dei fondi strutturali per assicurare la disponibilità della banda larga nelle regioni svantaggiate.

3.7

La comunicazione evidenzia il ruolo fondamentale delle autorità locali e regionali per lo sviluppo della banda larga nelle aree di loro competenza: esse si trovano nella posizione migliore per predisporre un progetto in materia tenendo conto dei bisogni locali e delle esigenze tecnologiche. Le strategie nazionali in materia di banda larga devono essere rafforzate al fine di prendere in considerazione e di riflettere le esigenze locali.

3.8

Nella comunicazione vengono individuati vari strumenti politici a cui possono ricorrere i poteri pubblici a livello europeo al fine di colmare il divario nella banda larga:

(i)

attuazione del quadro normativo per le comunicazioni elettroniche;

(ii)

finanziamento pubblico;

(iii)

finanziamento dell'UE: fondi strutturali e Fondo di sviluppo rurale;

(iv)

cumulo della domanda e appalti pubblici;

(v)

sostegno alla creazione di servizi pubblici moderni.

3.9

Per riassumere, la comunicazione della Commissione invita i poteri pubblici comunitari a tutti i livelli a utilizzare più attivamente gli strumenti e le tecnologie disponibili per colmare il divario digitale, che continua ad accrescersi senza sosta. Gli Stati vengono invitati ad aggiornare le loro strategie nazionali in materia di banda larga al fine di fornire ulteriori indicazioni a tutte le parti interessate. Sulla base di un partenariato attivo con le autorità regionali e sfruttando le sinergie esistenti tra le varie fonti di finanziamento (nazionali, fondi strutturali, fondo di sviluppo rurale), nei loro documenti potrebbero definire gli obiettivi in termini non solo di adozione ma anche di copertura della banda larga. Le strategie nazionali per la banda larga dovrebbero altresì fissare obiettivi precisi di connessione per le scuole, le amministrazioni pubbliche e i centri sanitari.

4.   Commenti

4.1   Commenti specifici

4.1.1

La disponibilità universale di connessioni a banda larga ad alta velocità è essenziale ai fini dello sviluppo socioeconomico di ciascuna regione dell'UE, sia urbana che rurale. Questo è particolarmente vero per l'economia globale basata sulla conoscenza che funge attualmente da potente motore di sviluppo: le aziende basate sulla conoscenza potranno infatti svilupparsi nella misura in cui esisteranno capacità e infrastrutture di appoggio. La disponibilità di infrastrutture a banda larga a basso costo e della massima qualità è fondamentale per assicurare la dinamicità dell'economia nel XXI secolo. Nel campo della sanità, dell'istruzione e degli affari sociali, inoltre, saranno sempre più numerosi i servizi avanzati che dipenderanno dalla disponibilità della banda larga: se tale accesso non fosse disponibile, i cittadini delle comunità locali disagiate sarebbero vittime di ulteriori discriminazioni.

4.1.2

A differenza di quanto è avvenuto negli Stati Uniti e in alcuni paesi asiatici, la maggioranza dei paesi europei ha tardato a rendere la banda larga disponibile ai propri cittadini. Anche il modesto tasso di penetrazione delle connessioni a banda larga menzionato nella comunicazione della Commissione, pari al 20 % dei nuclei familiari dell'UE a 25 nell'ottobre 2005, maschera da un lato una scarsa qualità delle connessioni (velocità di accesso), la cui velocità di scaricamento è assai inferiore a 512 kbps sia nelle regioni urbane che in quelle rurali, e dall'altro il fatto che gli accessi a banda larga esistenti sono essenzialmente concentrati nelle aree urbane, dato che nelle regioni rurali soltanto l'8 % dei nuclei familiari ne dispone.

4.1.3

Le comunità rurali sono particolarmente vulnerabili alle evoluzioni macroeconomiche che si stanno succedendo tanto rapidamente: senza un pari accesso alla banda larga, queste aree sono inevitabilmente condannate al declino. Nei paesi caratterizzati da un'economia della conoscenza, le regioni e le città piccole e grandi sono in competizione tra loro per attirare le imprese ad alta intensità informativa affinché si stabiliscano e si espandano nel loro territorio, accrescendone in tal modo la prosperità: in questi paesi la presenza di infrastrutture a banda larga è uno strumento strategico.

4.1.4

Un adeguato accesso a Internet ad alta velocità e a banda larga, sia a casa che sul luogo di lavoro, dovrebbe costituire un «diritto» per ciascun cittadino europeo. Il Comitato respinge pertanto l'affermazione della Commissione secondo cui «la banda larga non è ancora divenuta necessaria per la normale partecipazione alla vita sociale in misura tale che la mancanza di accesso provochi l'esclusione sociale». La Commissione dovrebbe riprendere in considerazione al più presto l'inclusione della banda larga nella definizione di servizio universale.

4.1.5

La Commissione dovrebbe definire una velocità minima reale di scaricamento al di sopra della quale una connessione Internet può essere veramente definita «a banda larga»: ciò consentirebbe di assicurare che gli standard in materia di infrastrutture e di servizi siano abbastanza elevati da consentire l'utilizzo dei nuovi servizi Internet. In tal modo, inoltre, la Commissione potrebbe chiarire la situazione reale in Europa per quanto riguarda la fornitura di connessioni a banda larga: le attuali statistiche di connessione risultano infatti esagerate, dato che la qualità dei servizi forniti ai clienti finali è troppo scarsa perché si possa veramente parlare di banda larga. Definire un valore minimo spronerebbe inoltre, com'è giusto, le aziende di servizi a fornire ai loro clienti un reale accesso a banda larga.

4.2   Barriere tecnologiche in materia di connessioni a banda larga

4.2.1

Sebbene la banda larga possa essere utilizzata su diverse piattaforme, le limitazioni di alcune delle tecnologie esistenti impediscono di offrire tale connessione in numerose aree rurali.

4.2.2

La trasmissione via cavo tipica dei sistemi televisivi, caratterizzata da alta velocità e grande capacità, può costituire un eccellente vettore per i servizi a banda larga. Malauguratamente numerose zone rurali non dispongono di tali sistemi e, anche nei casi in cui la televisione via cavo è disponibile, la fornitura della banda larga richiede spesso un ammodernamento assai costoso delle infrastrutture esistenti.

4.2.3

La tecnologia di collegamento a banda larga più utilizzata in gran parte del continente europeo è la DSL (Digital Subscriber Line, linea di collegamento digitale), le cui varianti possono fornire una larghezza di banda assai ampia a costi ridotti. Occorre tuttavia tener conto di diverse limitazioni:

l'installazione di una DSL richiede l'ammodernamento dei commutatori locali a cui sono collegati gli utenti. Gli operatori del settore sono spesso restii ad effettuare gli investimenti necessari, dato che altri ambiti della loro attività offrono un maggiore ritorno sugli investimenti. Risultato: i clienti non possono avere accesso alla banda larga.

La maggior parte delle installazioni DSL può servire solamente gli utenti ubicati entro un raggio che varia da 3 a 5 chilometri attorno all'apposito commutatore. Risultato: i clienti più lontani non possono avere accesso alla banda larga attraverso la tecnologia DSL.

Per la fornitura di servizi a banda larga la tecnologia DSL utilizza il cablaggio in rame della rete esistente a livello locale. I cavi sono però spesso vetusti e devono essere ammodernati per consentire il buon funzionamento della DSL, ma può darsi che gli operatori siano restii ad effettuare tale investimento. Risultato: anche quando il commutatore locale è attrezzato per la banda larga e il cliente si trova a meno di 5 chilometri, può essere lo stesso cavo in rame della rete locale, che collega normalmente uffici e case del luogo, a non consentire la fornitura di banda larga attraverso la tecnologia DSL.

4.2.4

Le dorsali preesistenti possono costituire un ostacolo alla fornitura di servizi a banda larga ad alta velocità, specie in aree scarsamente popolate. Negli anni Ottanta e Novanta, ad esempio, molti paesi hanno utilizzato la tecnologia digitale a microonde per realizzare le loro dorsali di telecomunicazioni. Questa tecnologia di radiodiffusione ha consentito di portare in molte zone rurali servizi di telefonia digitale di alta qualità e di trasmissione dati a bassa velocità. Numerose applicazioni della tecnologia digitale a microonde, tuttavia, hanno lasciato in eredità dorsali inadeguate per la fornitura di quei servizi Internet ad alta velocità attualmente caratteristici della banda larga (quali i servizi video Internet). Nel caso dell'Irlanda si stima che, su scala nazionale, fino al 50 % dei commutatori (quelli ubicati nelle aree rurali), che servono circa il 15 % degli utenti di telecomunicazioni, si appoggia a questo tipo di dorsale radio digitale e pertanto non potrà mai essere connesso alla banda larga attraverso essa. Risolvere il problema delle infrastrutture preesistenti collegando le zone rurali con una dorsale a fibre ottiche comporterebbe costi estremamente elevati che non potrebbero essere giustificati con argomentazioni puramente commerciali: dovrebbe essere lo Stato a sovvenzionare tale ammodernamento.

4.2.5

La Commissione dovrebbe riflettere su come affrontare a livello nazionale e comunitario, magari attraverso incentivi fiscali o partenariati pubblico-privati, il problema del costoso adattamento delle infrastrutture esistenti (dorsali, commutatori e reti a livello locale) alla fornitura di servizi a banda larga e ad alta velocità.

4.2.6

Nelle aree in cui le infrastrutture pubbliche di telecomunicazione non consentono le connessioni a banda larga si è fatto ricorso, per la fornitura di tali servizi, a tecnologie satellitari e wireless proprietarie. I costi e i problemi tecnologici legati a queste tecnologie ne limitano tuttavia l'utilità per colmare il divario nella banda larga. La R&S sta registrando progressi in numerosi campi riguardanti tecnologie wireless a banda larga e a basso costo che consentano un reale accesso alla banda larga. I responsabili politici dovrebbero appoggiare questi sviluppi in modo proattivo e affrontare i problemi di disponibilità dello spettro radio al fine di consentire la realizzazione pratica di tali soluzioni.

4.2.7

Nella fornitura universale di servizi a banda larga l'innovazione potrebbe essere ulteriormente stimolata sviluppando tra le PMI europee una rete di conoscenze in merito allo stato attuale della tecnologia. La creazione di tale rete potrebbe essere agevolata dall'esistenza di un sito Internet che potrebbe raccogliere e diffondere informazioni.

4.3   Problemi legati all'offerta di banda larga

4.3.1

Con l'emergere delle reti a banda larga e della tecnologia di rete basata sul protocollo Internet (IP), i costi si sono drasticamente ridotti e la flessibilità di offrire servizi personalizzati è divenuta quasi illimitata. In paesi come Italia, Francia, Spagna e Regno Unito, tutte le aziende di telecomunicazioni hanno realizzato reti interamente basate sul protocollo IP, ottenendo risparmi eccezionali in termini di costi operativi di rete. La riduzione dei costi di realizzazione di nuove reti IP, unita alla liberalizzazione del mercato, ha indebolito il potere degli operatori dominanti e il numero di aziende di telecomunicazioni che offrono servizi al dettaglio si è moltiplicato notevolmente.

4.3.2

Questo riorientamento tecnologico si è tradotto in un mutamento del modello commerciale adottato dalle aziende di telecomunicazioni: il nuovo modello prevede una separazione tra la proprietà della rete e la fornitura del servizio al cliente finale. In mercati efficienti e sviluppati, il nuovo modello opera una distinzione tra le aziende di telecomunicazioni all'ingrosso e quelle al dettaglio, mentre diversi fornitori di servizi all'ingrosso sono in concorrenza gli uni con gli altri per vendere larghezza di banda a una miriade di operatori al dettaglio. Questa situazione riflette l'importanza delle nuove tecnologie, delle dinamiche di costo e dei quadri normativi che stanno trasformando le telecomunicazioni da settore incentrato sulla rete, com'è stato finora, a settore incentrato sui servizi. Nei mercati meno sviluppati ed efficienti, tuttavia, la fornitura di servizi di telecomunicazioni è tuttora controllata da operatori dominanti, che non sono minimamente incentivati né a separare le loro attività all'ingrosso da quelle al dettaglio, né a permettere l'emergere di una concorrenza effettiva: una differenziazione avrà luogo solamente se promossa dai responsabili politici attraverso misure adeguate in materia di politica della concorrenza.

4.3.3

Nell'Europa di 25 anni, fa gran parte delle infrastrutture di telecomunicazione appartenevano ai poteri pubblici nazionali, che le sviluppavano nell'interesse comune. In seguito si è assistito ad una progressiva privatizzazione del settore, esperienza che si è rivelata generalmente positiva per il comparto, i clienti e la società nel suo insieme. Le aziende commerciali di telecomunicazioni, tuttavia, non perseguono obiettivi né sociali, né sanitari, né educativi, né tantomeno di sviluppo economico: la loro unica logica è quella della massimizzazione dei profitti, di una gestione efficiente del patrimonio e dell'espansione aziendale. Attualmente, quando le strutture di rete necessarie alla fornitura di servizi a banda larga presentano delle lacune, gli operatori del settore delle telecomunicazioni, le cui finalità sono essenzialmente commerciali, non sono assolutamente incentivati ad investire in queste infrastrutture fondamentali sotto il profilo sociale. Nella misura del possibile, i poteri pubblici dovrebbero pertanto conservare una forte influenza sulla fornitura e sulla manutenzione delle infrastrutture nazionali di telecomunicazione, compensando gli investimenti necessari nelle regioni sottosviluppate (assai meno attraenti dal punto di vista finanziario) con i profitti elevati derivanti da investimenti infrastrutturali effettuati in aree ad alta densità di popolazione.

4.3.4

La diffusione della banda larga in Europa, specie nelle regioni sottosviluppate, è stata ostacolata da frequenti disfunzioni di mercato. Non pochi mercati continuano ad essere caratterizzati da una scarsa apertura alla concorrenza con nuovi potenziali operatori nel campo dei servizi. In effetti, i fornitori dominanti di infrastrutture ritardano più a lungo possibile la disaggregazione della rete locale, e l'accesso alle reti dorsali nazionali è ostacolato dall'esercizio di pratiche restrittive. Nelle regioni in cui la banda larga è inesistente o di scarsa qualità, inoltre, i fornitori di infrastrutture già operativi localmente sono spesso poco incentivati ad investire.

4.4   Problemi legati alla domanda di banda larga

4.4.1

Il problema della domanda latente di servizi a banda larga, e in particolare dello scarto tra l'utilizzo dei servizi disponibili nelle aree sviluppate e i tassi di adozione assai più scarsi registrati nelle regioni meno sviluppate, ha numerose concause: fattori socioeconomici, la cattiva qualità della connettività disponibile, una scarsa concorrenza, costi elevati, e ignoranza circa i benefici di questa tecnologia o il suo modo di utilizzo.

4.4.2

I responsabili politici e i poteri pubblici possono esercitare un'influenza notevole sulla domanda di banda larga. Il Comitato accoglie pertanto con favore le raccomandazioni della Commissione affinché gli Stati membri da un lato sperimentino l'utilizzo di incentivi fiscali a favore degli abbonati ai servizi in questione, allo scopo di diminuire il costo reale legato all'introduzione della banda larga, e dall'altro diano priorità allo sviluppo di servizi pubblici on line. Il Comitato si compiace inoltre della raccomandazione di fornire una connessione a banda larga alle pubbliche amministrazioni, agli istituti scolastici e ai centri sanitari al duplice scopo di familiarizzare gli utenti ai benefici della banda larga e di promuoverne la domanda.

4.4.3

La richiesta di banda larga è influenzata negativamente dalla mancanza di chiarezza della terminologia utilizzata in materia e dalla confusione esistente in merito ai diversi pacchetti di servizi offerti dai vari fornitori. Occorre effettuare uno sforzo di semplificazione terminologica, spiegando i servizi offerti e i loro benefici in un linguaggio di facile comprensione.

4.4.4

Si potrebbero organizzare campagne di informazione pubblica al fine di stimolare la domanda di mercato per le connessioni a banda larga laddove l'adozione di tale tecnologia risulti problematica. Ciò produrrebbe il duplice effetto di sensibilizzare i potenziali consumatori e di esercitare una maggiore pressione sui fornitori affinché offrano i servizi necessari.

4.5   Una visione in materia di banda larga per collegare l'Europa

4.5.1

Nell'attuale era dell'informazione, le connessioni a banda larga rappresentano un servizio pubblico di base. La richiesta di servizi a banda larga più rapidi, meno costosi e disponibili ovunque sta crescendo in maniera esponenziale man mano che si sviluppa l'economia della conoscenza e si diversifica l'utilizzo di Internet.

4.5.2

Entro il 2010 sarà richiesto in Europa un servizio a banda larga universale con una larghezza di banda tale da consentire alla totalità degli utenti un reale utilizzo multimediale: le imprese e i cittadini potranno allora fare passi da gigante nell'ambito della società dell'informazione.

4.5.3

La Commissione può realizzare in concreto questa visione definendo i criteri tecnici e commerciali più pertinenti e promuovendo politiche mirate a superare gli ostacoli presenti sul cammino.

4.6   Necessità di pianificazione e di azione da parte dei poteri pubblici

4.6.1

I fornitori di banda larga già competitivi vorrebbero un mercato caratterizzato da una domanda strutturata, in cui i clienti sanno già quali servizi acquistare e quanto spendere, e in cui la domanda converge verso una proposta di servizi allettante agli occhi di un nuovo operatore. Una domanda strutturata consentirebbe lo sviluppo di una reale concorrenza e permetterebbe ai fornitori di servizi di rendersi conto dei benefici derivanti dal servire le regioni meno sviluppate dell'Unione. Il Comitato accoglie con favore l'iniziativa della Commissione di lanciare un sito Internet che agevolerà sia l'aggregazione della domanda sia la fornitura del servizio.

4.6.2

L'UE deve prevedere per ciascuna regione un piano coerente e integrato mirato allo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi a banda larga. Le strategie nazionali in materia di banda larga devono essere completate da piani dettagliati per la fornitura di tali servizi a livello locale in tutte le regioni. Il Comitato concorda inoltre con la Commissione sul fatto che debbano essere gli enti locali e regionali gli autori e i promotori di questi piani, che dovrebbero includere tanto una mappa particolareggiata di tutte le infrastrutture a banda larga esistenti localmente, quanto un progetto dettagliato (fino al livello delle vie interessate) circa le modalità di evoluzione delle infrastrutture pianificate (cosa, quando e come). Nel piano dovrebbe inoltre essere specificato il ventaglio minimo di servizi a banda larga offerti ai diversi gruppi di utenti nelle varie località.

4.6.3

A causa del ritmo accelerato di innovazione tecnologica e della natura sempre più dinamica del settore delle telecomunicazioni, la Commissione e i poteri pubblici degli Stati membri dovranno costantemente fare attenzione a garantire che ciascuna regione dell'UE disponga di infrastrutture a banda larga della massima qualità e al minor costo possibile.

4.6.4

Le autorità locali e comunali possono svolgere un ruolo importante nel promuovere la fornitura di servizi a banda larga nelle rispettive regioni, sostenendo iniziative di partenariato pubblico-privato o attuando norme comprendenti l'obbligo, per i promotori immobiliari, di prevedere l'installazione di infrastrutture di telecomunicazione per la banda larga.

4.6.5

Va rilevato che alcuni Stati membri sono riusciti meglio di altri ad affrontare il problema del divario digitale e hanno incluso nelle rispettive strategie nazionali delle attività specifiche mirate a colmare il divario territoriale (10).

4.6.6

Attraverso una politica sulle strategie nazionali in materia di banda larga, la Commissione può coordinare e promuovere un'azione concreta per lo sviluppo della banda larga da parte dei governi nazionali dell'UE. Tale politica dovrebbe venire ulteriormente sviluppata per consentire agli Stati membri di applicare, nell'evoluzione dei loro piani, le migliori pratiche in materia. Ciò consentirebbe di sviluppare, a livello comunitario, un piano integrato mirato a colmare il divario digitale nella banda larga entro il 2010.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie Sigmund


(1)  Digital Divide Forum Report: Broadband Access and Public Support in Under-served areas, Bruxelles, 15.7.2005.

(2)  Dichiarazione ministeriale, Riga, 11.6.2006, IP/06/769.

(3)  COM(2005) 203 def., e direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica.

(4)  Direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica; direttiva 2002/19/CE relativa alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime; direttiva 2002/77/CE relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica.

(5)  Le «aziende di telecomunicazioni» comprendono tutte le società che offrono servizi di telecomunicazione bidirezionali, incluse le compagnie di telefonia fissa e mobile, e quelle televisive via cavo che offrono i servizi in questione.

(6)  Regolamento (CE) n. 1031/2006 della Commissione, del 4 luglio 2006, recante disposizioni di applicazione del regolamento (CE) n. 808/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche comunitarie sulla società dell'informazione.

(7)  i2010Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione — COM(2005) 229 def.

(8)  Connessioni ad alta velocità in Europa: le strategie nazionali in materia di banda larga — COM(2004) 369 def.

(9)  eEurope 2005: una società dell'informazione per tutti — COM(2002) 263 def.

(10)  Il nuovo piano francese in materia di banda larga (settembre 2004) del Comité Interministériel pour l'Aménagement Du Territoire (CIADT) costituisce un buon esempio di strategia integrata.


23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/229


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 417/2002 sull'introduzione accelerata delle norme in materia di doppio scafo o di tecnologia equivalente per le petroliere monoscafo e abroga il regolamento (CE) n. 2978/94 del Consiglio

COM(2006) 111 def. — 2006/0046 (COD)

(2006/C 318/37)

Il Consiglio, in data 25 aprile 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 187 voti favorevoli, 4 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Al pari della Commissione, il CESE è convinto che gli Stati membri debbano rispettare i propri impegni politici. Lanciare iniziative — quali la proposta in esame — intese sia a sostenere gli Stati membri che già lo fanno sia a dare risonanza mondiale all'impegno dell'Unione europea per far fronte agli impegni assunti nei confronti dell'Organizzazione marittima internazionale (OMI) è molto più importante delle eventuali conseguenze negative che, in ogni caso, avrebbero un impatto limitato.

2.   Introduzione

2.1

Il regolamento (CE) n. 417/2002, emendato dal regolamento (CE) n. 1726/2003, prevede l'introduzione di norme che vietano il trasporto dei prodotti petroliferi pesanti nelle petroliere monoscafo dirette verso/provenienti da porti dell'Unione europea, per ridurre il rischio di inquinamento da idrocarburi nelle acque europee.

2.2

Un divieto analogo, basato sulle misure adottate dall'UE, è stato imposto dall'OMI, a livello mondiale, con le nuove regole 13G e 13H dell'allegato I alla convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi (convenzione MARPOL 73/78). Il paragrafo 7 della regola 13G e i paragrafi 5, 6 e 7 della regola 13H di tale convenzione prevedono tuttavia che le autorità nazionali possano, a determinate condizioni, esentare le proprie petroliere dal divieto. È stato questo il compromesso necessario per far accettare tali regole a livello mondiale. Subito dopo, la presidenza italiana dell'UE, a nome di tutti gli Stati membri e della Commissione europea, ha dichiarato, in linea con l'accordo preliminare di coordinamento, allora usuale e vincolante per tutte le parti, che nessuno degli Stati membri avrebbe invocato le deroghe previste a tale titolo. Il 18 aprile 2005, dopo che il 5 aprile era entrato in vigore il regolamento OMI, uno Stato membro ha però notificato all'OMI l'intenzione di invocare la deroga oggetto della proposta della Commissione. Nei mesi successivi, diversi Stati membri hanno poi notificato all'OMI che, in conformità con l'accordo di coordinamento, non avrebbero invocato le deroghe. Quattro Stati membri devono ancora pronunciarsi ufficialmente in merito, ma hanno già annunciato al Coreper, e quindi alla Commissione europea e agli altri Stati membri, che presto seguiranno l'esempio degli altri 19 Stati membri.

2.3

La Commissione europea ricorda gli accordi politici conclusi prima e subito dopo l'adozione del divieto OMI e la dichiarazione della presidenza italiana del dicembre 2003, che esprimeva l'impegno degli allora 15 (oggi 25) Stati membri a non ricorrere alle deroghe previste dalla convenzione MARPOL.

2.4

La Commissione europea propone un emendamento al regolamento (CE) n. 417/2002, con l'intento di trasformare in legge l'impegno politico: ciò estenderebbe il campo di applicazione del regolamento vietando il trasporto di prodotti petroliferi pesanti in tutte le petroliere monoscafo battenti bandiera di uno Stato membro, indipendentemente dalla giurisdizione territoriale cui fanno capo i porti, i terminali offshore o la zona marittima in cui operano.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il CESE ricorda il proprio parere sulla Erika II (1), nel quale si è pronunciato a favore del divieto per le petroliere monoscafo di trasportare i prodotti petroliferi pesanti più inquinanti.

3.2

In linea di principio gli Stati membri dovrebbero rispettare gli impegni politici presi a livello internazionale e garantire la coerenza della politica comunitaria. La breve relazione che precede la proposta, tuttavia, è incentrata solo sugli impegni politici, in particolare sulla dichiarazione dell'UE al momento dell'adozione della nuova regola 13H della convenzione MARPOL.

3.3

Con il parere sulla Erika II il Comitato raccomandava che l'UE proponesse all'OMI la designazione, ai sensi della convenzione MARPOL, di aree ambientali particolarmente sensibili come «aree proibite» alle petroliere che trasportano prodotti petroliferi pesanti, nonché la definizione di rotte obbligatorie ai sensi della convenzione SOLAS (2). L'OMI ha risposto alle proposte formulate dagli Stati membri interessati stabilendo una serie di aree marittime particolarmente sensibili (acque dell'Europa occidentale, Mar Baltico, Isole Canarie, arcipelago delle Galapagos) e ha esteso la Grande barriera corallina fino allo stretto di Torres (fra l'Australia e la Papua Nuova Guinea). Queste zone, come l'arcipelago di Sabana-Camagüey (Cuba), l'isola di Malpelo (Colombia) il mare intorno alla Florida e la riserva nazionale di Paracas (Perù), stabilite tra il 1997 e il 2003, sono protette da misure integrative (in quanto aree che le petroliere e le altre navi devono evitare), misure relative alle rotte, sistemi di segnalazioni e pilotaggio. La definizione di queste aree o altre aree analoghe dovrebbe essere vista come un riflesso delle politiche degli Stati costieri intese a ridurre al minimo il rischio di inquinamento provocato dalle petroliere monoscafo.

3.4

Stando alle statistiche che nell'aprile 2003 (3) gli Stati membri e la Commissione europea hanno presentato all'OMI, nel novembre 2002 erano operative circa 660 petroliere monoscafo di categoria 2 (di portata pari o superiore a 20.000 DWT), di cui 160 «superpetroliere» (VLCC e ULCC, petroliere di portata pari o superiore a 200.000 DWT) attive soprattutto nel trasporto di greggio dal Golfo Persico agli USA e al Giappone. Le petroliere possono essere ritirate dal servizio per molte ragioni diverse, o, in un determinato momento, possono essere disarmate. Per la fine del 2006 il numero massimo delle «superpetroliere» in attività sarà inferiore a 50, e ogni anno sarà ridotto secondo il calendario previsto per il ritiro progressivo, che sarà ultimato nel 2010. Queste cifre non dicono niente degli aspetti socioeconomici che possono essere rilevanti per lo Stato membro che ha optato per la deroga. Consultando i registri navali degli Stati interessati è tuttora impossibile ottenere indicazioni precise riguardo alle navi che possono essere coinvolte: non si tratterebbe quindi di nient'altro che speculazioni, cosa da cui il CESE dovrebbe astenersi. Anche se, come cifra generale, si può parlare approssimativamente di 23 navi e 300/400 marinai, il rischio di rinuncia a battere bandiera non è immediato: gli imprenditori/proprietari accorti cercheranno di trasportare altri prodotti petroliferi altrettanto richiesti.

3.5

Il campo di applicazione della proposta in esame si basa sui regolamenti vigenti per le petroliere di stazza superiore a 5.000 tonnellate. Si dovrebbe tuttavia riesaminare l'opportunità di prevedere un regolamento specifico per petroliere di stazza inferiore a 5.000 tonnellate.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE ritiene infine necessario chiarire o definire cosa si intenda per «prodotti petroliferi pesanti» nel nuovo paragrafo 3bis che l'articolo 1 della proposta di regolamento in esame propone di aggiungere all'articolo 4 del regolamento (CE) n. 417/2002.

4.2

Gli articoli 4, paragrafi 4 e 5, del regolamento (CE) n. 417/2002 (modificato) fanno riferimento all'articolo 4, paragrafo 3. Ora, nella proposta di regolamento in esame la Commissione propone di aggiungere all'articolo 4 il paragrafo 3bis: ciò renderebbe inapplicabile il suddetto riferimento, cosa che è in contrasto con gli obiettivi della proposta di regolamento.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie Sigmund


(1)  GU C 221, del 7.8.2001, pag. 54.

(2)  SOLAS: Safety of Life at Sea Convention (Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare).

(3)  Documento OMI MEPC 49/16/1.