ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 294

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

48o anno
25 novembre 2005


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

419a Sessione plenaria del 13 e 14 luglio 2005

2005/C 294/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 77/91/CEE per quanto riguarda la costituzione delle società per azioni e la salvaguardia e le modificazioni del loro capitale sociale COM(2004) 730 def. — 2004/0256 (COD)

1

2005/C 294/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 78/660/CEE del Consiglio relativa ai conti annuali di taluni tipi di società e la direttiva 83/349/CEE del Consiglio relativa ai conti consolidati COM(2004) 725 def. — 2004/0250 (COD)

4

2005/C 294/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Prospettive della ricerca europea nel settore del carbone e dell'acciaio

7

2005/C 294/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale COM(2005) 33 def.

14

2005/C 294/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione Un partenariato più forte per le regioni ultraperifericheCOM(2004) 343 def.

21

2005/C 294/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al mercato dei servizi portuali COM(2004) 654 def. — 2004/0240 (COD)

25

2005/C 294/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il contributo della società civile alle relazioni tra UE e Russia

33

2005/C 294/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema REACH — Legislazione in materia di sostanze chimiche

38

2005/C 294/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Portata ed effetti della delocalizzazione delle imprese

45

2005/C 294/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica, in relazione alla durata di applicazione dell'aliquota minima in materia di aliquota normale, la direttiva 77/388/CEE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto COM(2005) 136 def. — 2005/0051 (CNS)

54

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

419a Sessione plenaria del 13 e 14 luglio 2005

25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 77/91/CEE per quanto riguarda la costituzione delle società per azioni e la salvaguardia e le modificazioni del loro capitale sociale

COM(2004) 730 def. — 2004/0256 (COD)

(2005/C 294/01)

Il Consiglio, in data 13 gennaio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

Preambolo

1.   Premessa

1.1

Nel quadro del processo di semplificazione della legislazione sul mercato interno (SLIM), la Commissione ha pubblicato, nel settembre 1999, uno studio redatto da un gruppo di lavoro sul diritto delle società, che si è occupato in particolare della semplificazione della prima e seconda direttiva. Nel rapporto dal titolo Un quadro regolamentare moderno per il diritto europeo delle società, pubblicato nel novembre 2002, il Gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario ha rilevato che la maggior parte dei suggerimenti SLIM meritava di essere tradotta in pratica con una direttiva.

1.2

La proposta di direttiva in esame mira a semplificare alcuni aspetti della seconda direttiva, che attualmente fissa i seguenti requisiti:

le azioni non possono essere emesse per un importo inferiore al valore nominale e, in mancanza di questo, al valore contabile. Il divieto si applica senza eccezioni a tutte le emissioni di azioni e non solo all'emissione iniziale al momento della costituzione della società. Ciò non implica che le emissioni successive non possano essere effettuate ad un valore nominale o ad un valore contabile inferiori a quelli di un'emissione precedente, purché il prezzo di emissione delle nuove azioni venga fissato nel rispetto del predetto obbligo,

l'emissione di azioni come corrispettivo di conferimenti non in contanti è soggetta all'obbligo di valutazione da parte di uno o più esperti indipendenti,

la razionalizzazione della proprietà del capitale della società, nei casi in cui è possibile, deve essere, in linea di principio, prevista dallo statuto e dall'atto costitutivo e/o autorizzata preventivamente dall'assemblea generale,

l'acquisizione da parte della società di azioni proprie è, in linea di principio, soggetta all'autorizzazione dell'assemblea generale, accordata soltanto per un certo periodo di tempo e per una determinata quota del capitale della società,

la società può fornire un aiuto finanziario ad un terzo per l'acquisizione di azioni proprie della società soltanto in casi molto limitati e fino ad un certo limite,

l'esclusione dei diritti di opzione in caso di aumento di capitale dietro conferimento in denaro è soggetta all'approvazione dell'assemblea generale e deve essere oggetto di una relazione scritta dell'organo di amministrazione o di direzione della società,

nei casi di riduzione del capitale, spetta agli Stati membri precisare le condizioni per l'esercizio da parte dei creditori del diritto di ottenere adeguate garanzie.

2.   Contenuto della proposta di direttiva

2.1

La proposta di direttiva è ispirata alla considerazione che una semplificazione della seconda direttiva contribuirebbe in modo significativo a promuovere l'efficienza e la competitività delle aziende, senza peraltro ridurre la protezione degli azionisti e dei creditori.

2.2

In questa ottica, i diversi articoli della proposta di direttiva mirano, in modo diretto o indiretto, a:

dare la possibilità alle società di attirare apporti di natura diversa dal denaro contante, senza l'obbligo di ricorrere ad una perizia — salvo opposizione, naturalmente,

fare in modo che le società possano acquistare le proprie azioni nel limite delle loro riserve distribuibili,

accordare la facoltà di concedere un aiuto finanziario ad un terzo intenzionato ad acquistare le loro azioni, nei limiti delle riserve distribuibili,

prevedere che le società possano aumentare il capitale sociale — a certe condizioni — senza dover sottostare all'obbligo di informazione relativo alla limitazione o soppressione di diritti preferenziali,

accordare ai creditori la possibilità di mettere in opera procedimenti giudiziari o amministrativi quando ritengano che i loro diritti sono compromessi,

prevedere che gli azionisti di una società quotata in borsa, detentori di una maggioranza preponderante (90 %), possano acquisire il resto della partecipazione.

2.3

Per prevenire abusi di mercato, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione, ai fini dell'applicazione della direttiva, le disposizioni delle direttive 2003/6/CE e 2004/72/CE riguardanti le prassi di mercato ammesse ed una serie di disposizioni miranti a garantire la trasparenza della gestione e le responsabilità degli organi direttivi.

3.   Considerazioni di carattere generale

3.1

Il Comitato approva le finalità che la proposta di direttiva persegue e, in linea generale, le modalità con le quali la Commissione si propone di raggiungerlo. Occorre peraltro fare una distinzione fra la semplificazione vera e propria, che lascia intatto il senso e la portata delle disposizioni preesistenti, e una semplificazione modificativa che, eliminando certe modalità in origine concepite come garanzie per i terzi, per il mercato o per le società stesse, può comportare un cambiamento — non importa se sostanziale o secondario — nell'approccio «garantistico» delle precedenti direttive.

3.2

Una semplificazione modificativa non è necessariamente da respingere, anzi può rivelarsi utile se ha il merito di adeguare le disposizioni alle realtà del mercato e della vita delle aziende. Ma nell'adottarla la Commissione non può andare oltre i limiti del mandato che le è stato affidato, che è quello di semplificare, non modificare, la normativa vigente. In altri termini, ogni modifica è accettabile se si può dimostrare che essa contribuisce a semplificare la governance aziendale, migliorando la competitività e diminuendo i costi delle società e non è invece accoglibile se implica una diminuzione dei diritti dei terzi, in particolare degli azionisti di minoranza o dei creditori. Il CESE attira l'attenzione del Parlamento e del Consiglio su questo punto, che è di fondamentale importanza se si vuole evitare di dare al cittadino l'impressione che ci si voglia avvalere di un processo di semplificazione per introdurre modifiche sostanziali che con la semplificazione nulla hanno a che fare. È in tale spirito che il CESE intende offrire il suo contributo, limitandosi a commentare i soli aspetti che meritano attenzione, restando inteso che quelli non menzionati ricevono la sua adesione.

4.   Considerazioni di carattere specifico

4.1

L'articolo 10 bis. 1 prevede che gli Stati membri possono decidere di non applicare le disposizioni garantistiche dell'articolo 10, paragrafi 1, 2 e 3 della direttiva 77/91/CE, quando un nuovo apporto al capitale sociale sia costituito da entità diverse dal numerario: in pratica, se l'apporto è costituito da titoli quotati. In questo caso la certificazione di un esperto potrà essere sostituita da una valutazione sulla base del loro prezzo medio ponderato negli ultimi tre mesi.

4.1.1

Il Comitato è d'accordo, ma fa rilevare che il calcolo sulla base del prezzo medio ponderato degli ultimi tre mesi è sulla base di valori pregressi, che non tengono conto delle prospettive future, le quali potrebbero essere al rialzo — ma anche al ribasso. La norma dovrebbe essere integrata prevedendo che il prezzo medio ponderato sia considerato come un massimo, con facoltà degli organi deliberativi di una diversa e motivata valutazione.

4.1.2

Le semplificazioni di cui al paragrafo 1 dovrebbero essere introdotte a livello comunitario, infatti affidandole alla discrezionalità degli Stati membri si corre il rischio che in alcuni di questi non si realizzi l'auspicata deregolamentazione.

4.2

L'articolo 10 bis. 2 prevede che le disposizioni garantistiche di cui al punto 4.1 possono non essere applicate anche nel caso in cui un nuovo apporto di capitale sia costituito da valori diversi dai titoli quotati in borsa (titoli non quotati, immobili, ecc.). In tal caso, peraltro, la valutazione deve essere stata fatta in precedenza da un esperto indipendente, che deve essere una persona con una formazione ed esperienza sufficienti.

4.2.1

Il Comitato ritiene che si dovrebbe sopprimere la lettera (a), che riguarda la figura dell'esperto, perché il concetto di «formazione ed esperienza adeguate» è troppo generico. Ai fini della direttiva è sufficiente che si tratti di un esperto indipendente abilitato dalle autorità competenti.

4.2.1.1

Nel paragrafo 2, lettera (b), che riguarda il periodo di riferimento per la valutazione del conferimento, occorrerebbe estendere la scadenza da tre ad almeno sei mesi.

4.2.2

La seconda osservazione riguarda il punto (c), ove si prescrive che l'esperto faccia le sue valutazioni «conformemente ai principi e alle norme di valutazione generalmente riconosciuti nello Stato membro»: il CESE propone che vengano esplicitamente citate le norme contabili riconosciute per legge o dalla regolamentazione ufficiale.

4.2.3

Il paragrafo 3 prevede la possibilità di non applicare le norme di valutazione qualora il conferimento non in contanti risulti dai «conti» dell'esercizio precedente. Occorrerebbe chiarire il concetto di «attività»; non è infatti chiaro se si tratti o no di valori di bilancio.

4.3

Nell'articolo 10 ter 2 si prescrive che «ogni Stato membro designa un'autorità amministrativa o giudiziaria indipendente incaricata di verificare la legalità dei conferimenti non in contanti». Il CESE osserva — ma la questione è di pura forma — che un'autorità giudiziaria è sempre indipendente, e suggerisce quindi una lieve modifica del testo. Più importante sembra invece osservare che di tale autorità si parla a più riprese nel testo della direttiva, ogni volta citando funzioni diverse ma senza pervenire a definire il suo ruolo preciso e l'elenco delle sue funzioni.

4.3.1

È noto che in ogni Stato membro esistono autorità amministrative o giudiziarie, con funzioni notarili, autorizzative, di controllo; sembra giunto il momento che, almeno all'interno di ogni Stato membro, sia fatta chiarezza e si pervenga alla definizione di un'unica autorità competente («uno sportello unico» sulla linea della direttiva «servizi») in materia di regolamentazione e controllo delle società: un passo decisivo sulla via non solo della semplificazione, ma anche e soprattutto della realizzazione del mercato interno.

4.4

L'articolo 19.1 stabilisce che nei paesi che permettono alle società di acquistare le proprie azioni, l'autorizzazione all'acquisto sia data dall'assemblea generale per un periodo massimo di cinque anni. Il CESE osserva che un periodo di cinque anni è decisamente troppo lungo: la situazione del mercato e dell'azienda stessa può cambiare radicalmente e portare a far ritornare sui propri passi gli organi decisionali. Un mandato di acquisto valido cinque anni non è conforme alla pratica aziendale: meglio sarebbe — per prudenza e per riservare all'assemblea degli azionisti un margine di discrezionalità — ridurlo a due anni, con la possibilità di rinnovi, magari annuali o biennali.

4.4.1

Nell'articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, occorrerebbe sopprimere le parole «su iniziativa e» (dell'organo di amministrazione o di direzione). Il concetto è troppo vago e può essere inteso soltanto come esempio. Il termine di cinque anni previsto per l'analisi del flusso di cassa appare troppo lungo e andrebbe ridotto a due anni.

4.5

L'articolo 23 bis stabilisce il diritto degli azionisti di contestare l'approvazione data dall'assemblea generale ad un'operazione di apporto diverso dal numerario, chiedendo all'autorità giudiziaria o amministrativa competente di decidere sulla legalità, o meno, di tale approvazione. Il CESE osserva che le deliberazioni di un'assemblea degli azionisti hanno valore legale e che, difficilmente, un'autorità con poteri esclusivamente amministrativi può deciderne l'annullamento o la modifica. Questo aspetto rende ancor più necessario definire i ruoli degli organi competenti (cfr. sopra, punto 4.3) e la creazione di uno «sportello unico» con funzioni anche di tipo giudiziario (tribunale amministrativo).

4.6

Nell'articolo 29 viene inserito un paragrafo che prevede l'esenzione, per gli organi di amministrazione o direttivi autorizzati, dall'obbligo di presentare un rapporto scritto sulla limitazione o l'esclusione del diritto di opzione in caso di aumento di capitale. Il CESE non vede il motivo di questa disposizione, che sembra contrastare i principi di trasparenza senza d'altra parte semplificare le procedure in modo apprezzabile; è da notare, inoltre, che gli azionisti «possono chiedere di indicare le ragioni della limitazione o dell'esclusione»; né tanto meno viene previsto il caso di un rifiuto di fornire informazioni o di mancato accordo degli azionisti sulla comunicazione da essi ricevuta. Il principio generale dovrebbe essere ispirato, comunque, ai principi generali del diritto societario: l'assemblea è sovrana per quanto riguarda i poteri delegati agli organi societari, ma ha sempre, ed in ogni caso, il diritto di essere informata di quanto è stato fatto e di ricevere un rendiconto riguardante ogni posta di bilancio, sia in entrata che in uscita. Il CESE propone la soppressione di questo paragrafo.

4.7

L'articolo 39 bis non introduce, a rigore, una semplificazione, ma tenta di codificare — sulla traccia della direttiva «OPA», articolo 15 — una norma che esiste solo in qualche paese: un «azionista di maggioranza» — volendo indicare con tale dizione un azionista proprietario di una quota uguale o superiore al 90 % di una società quotata — può obbligare gli azionisti di minoranza a vendergli le azioni in loro possesso «ad un giusto prezzo». Gli Stati membri possono elevare la quota fino ad un massimo del 95 %. Nel preambolo alla proposta di direttiva si parla di «azionista di maggioranza» anche nel caso di una pluralità di azionisti, mentre la redazione dell'articolo fa pensare ad un solo ed unico azionista: è necessario che il testo finale chiarisca il dubbio.

4.7.1

Una norma del genere è stata codificata — come sopra si è detto — nella direttiva «OPA», ma il caso della proposta in esame è diverso: mancano infatti le garanzie di trasparenza connesse ad una OPA e i presupposti che l'hanno ispirata. Mentre è indubbio l'interesse dell'azionista di maggioranza di controllare la società al 100 % — specialmente in presenza di una minoranza ostruzionista o rissosa — dal punto di vista dell'azionista di minoranza la questione può prestarsi, a seconda delle circostanze e delle situazioni individuali, a valutazioni diverse e di segno opposto. Un azionista che non ha nessuna influenza sulla guida della società potrebbe considerare positivamente la possibilità di cedere il proprio pacchetto azionario a condizioni di favore, superiori comunque a quelle che potrebbe avere vendendo i titoli in borsa. Ma se il titolo dà un buon reddito o ha prospettive di crescita, un investitore/azionista potrebbe desiderare mantenerne la proprietà, e non si vede perché dovrebbe essere obbligato a separarsene. In definitiva, mentre da un lato una minoranza azionaria del 10 % non è tale, di norma, da ostacolare la governance aziendale, dall'altra occorre riconoscere la piena libertà di scelta alla quale ogni azionista ha diritto. Non si possono peraltro escludere casi marginali, nei quali la governance esige il controllo della totalità della compagine azionaria: solo in questi casi, e con l'autorizzazione delle autorità di controllo, la norma in questione avrebbe ragione di esistere.

4.8

L'articolo 39 ter — ispirato all'articolo 16 della direttiva «OPA» — è speculare al precedente: gli azionisti di minoranza possono, individualmente o congiuntamente, obbligare l'azionista di maggioranza ad acquistare le loro azioni, sempre «ad un giusto prezzo». Valgono, mutatis mutandis, le considerazioni fatte nel paragrafo precedente; anche in questo caso il consenso delle autorità competenti ad un obbligo di vendita dovrebbe essere previsto nei soli casi di dimostrata necessità, esclusa comunque quella di liberarsi della partecipazione azionaria in previsione di un cattivo andamento della società.

4.8.1

Le conclusioni del Comitato nei due casi sopra citati si ispirano ad un unico concetto di equità e di rispetto dei principi generali del diritto: la libertà di scelta degli azionisti deve essere pienamente mantenuta e non può essere ristretta da considerazioni estranee ai loro interessi, salvo comprovate esigenze di diversa natura.

Bruxelles, 13 luglio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/4


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 78/660/CEE del Consiglio relativa ai conti annuali di taluni tipi di società e la direttiva 83/349/CEE del Consiglio relativa ai conti consolidati

COM(2004) 725 def. — 2004/0250 (COD)

(2005/C 294/02)

Il Consiglio, in data 3 febbraio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44, primo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla: proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BYRNE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere:

1.   Sintesi

1.1

La proposta che modifica le direttive contabili fa seguito al piano di azione adottato dalla Commissione il 21 maggio 2003Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europeaUn piano per progredire.

1.2

Scopo della proposta è rafforzare la fiducia nei bilanci e nelle relazioni sulla gestione delle società europee fornendo agli azionisti e alle altre parti direttamente interessate (come ad esempio lavoratori e fornitori) informazioni affidabili, complete e facilmente accessibili.

1.3

Il Comitato, pur formulando osservazioni su taluni specifici punti del documento in esame, nel complesso condivide tuttavia l'obiettivo della proposta e giudica l'iniziativa necessaria per offrire una tutela a tutti i soggetti interessati.

2.   Analisi della proposta della Commissione

2.1

La proposta prevede la modifica delle direttive contabili (78/660/CEE e 83/349/CEE) al fine di:

(a)

stabilire la responsabilità collettiva dei membri degli organi di amministrazione; ciò vuol dire che la responsabilità della redazione dei bilanci spetta collettivamente a tutti i membri degli organi di amministrazione, gestione e vigilanza;

(b)

accrescere la trasparenza delle operazioni con le parti correlate, ovverosia tutte le operazioni delle società con i loro direttori, i familiari di questi ultimi o altre cosiddette parti correlate che non avvengono alle normali condizioni di mercato;

(c)

accrescere la trasparenza delle disposizioni fuori bilancio aggiornando gli obblighi di informazione previsti attualmente nelle direttive contabili, ad esempio per le società veicolo (Special Purpose Entities, SPE);

(d)

introdurre una dichiarazione sul governo societario in modo che ciascuna società quotata sia tenuta a fornire, in una sezione specifica della sua relazione sulla gestione, informazioni sulle pratiche utilizzate nel quadro di una «dichiarazione sul governo societario».

2.2

La Commissione sottolinea di aver adottato un approccio fondato sui principi inteso a garantire la proporzionalità e la flessibilità delle misure adottate.

2.3

Essa riconosce che la materia non rientra nella sfera di competenza esclusiva della Comunità, ma sottolinea che per migliorare la fiducia dei cittadini nei bilanci delle società occorre fare in modo che questi siano comparabili in tutto il territorio comunitario.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE riconosce l'esigenza di migliorare la fiducia generale nei bilanci delle società europee, alla luce dei recenti scandali verificatisi sia in Europa che altrove nel mondo, e caldeggia pertanto l'iniziativa in esame.

3.2

Il CESE approva il fatto che nell'impostare la proposta si siano privilegiati i principi, in quanto le norme troppo specifiche si prestano ad essere aggirate o rischiano di diventare presto obsolete.

3.3

Data la necessità di incoraggiare l'imprenditoria e l'occupazione all'interno dell'UE, è importante evitare di imporre obblighi di informazione eccessivi, i quali potrebbero avere l'ulteriore svantaggio di distogliere l'attenzione dagli aspetti che contano veramente. Il CESE apprezza pertanto l'inserimento nella proposta del criterio dell'«importanza» e si chiede anzi se esso non debba diventare il criterio dominante delle due direttive in esame.

3.4

Il CESE ritiene altresì importante evitare che gli obblighi di informazione impongano oneri eccessivi alle PMI non quotate, che rappresentano un motore di crescita per l'UE. Il Comitato prende atto della facoltà degli Stati membri di concedere alle piccole e medie imprese obblighi di informazione ridotta. Esso propone di intraprendere un riesame completo delle soglie per le piccole e medie imprese finalizzato specificamente a ridurre gli oneri a carico delle aziende più piccole (1).

3.5

Il CESE è al corrente del fatto che lo IASB (International Accounting Standards Board) ha attualmente in cantiere la definizione di un insieme di standard specifici per le PMI e si rallegra dell'iniziativa.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Responsabilità dei membri degli organi di amministrazione

4.1.1

Il CESE appoggia la proposta volta a stabilire la responsabilità collettiva dei membri degli organi di amministrazione per quanto riguarda le relazioni sulla gestione e i conti societari; l'idea della responsabilità collettiva viene già generalmente accettata nell'UE. Tuttavia, nei casi in cui esiste una struttura a due livelli, è importante assegnare la responsabilità a ciascuno degli organi di amministrazione, gestione e sorveglianza in base alle rispettive funzioni, senza eccedere le competenze assegnate a ciascuno dalla legislazione nazionale.

4.1.2

Il CESE propone di imporre l'obbligo ai membri degli organi di amministrazione, gestione e sorveglianza di fornire in buona fede ai revisori tutte le informazioni ritenute pertinenti ai fini delle relazioni sulla gestione e i conti societari senza la necessità di specifiche richieste in questo senso.

4.2   Operazioni con parti correlate

4.2.1

Il CESE apprezza l'intento della Commissione di aumentare la trasparenza delle operazioni con parti correlate delle società non quotate al fine di ristabilire la fiducia generale nei bilanci delle società. Tali operazioni spesso svolgono un ruolo particolarmente significativo nelle società private, in particolare le PMI.

4.2.2

Il testo dell'articolo 1, che modifica l'articolo 43, punto 7 ter della Quarta direttiva prevede che venga resa nota «la natura, l'obiettivo commerciale e l'importo» di ogni operazione realizzata da una società con parti correlate quando l'operazione «non è stata conclusa alle condizioni di mercato normali». Tali obblighi di informazione vanno oltre i requisiti previsti dallo IAS 24, in particolare l'obbligo di rendere noto «l'obiettivo commerciale» delle operazioni in questione.

4.2.3

Il CESE si interroga sull'opportunità di prevedere obblighi maggiori di quelli previsti dallo IAS 24 imponendo così verosimilmente a molte società non quotate costi aggiuntivi superiori ai benefici derivanti agli utenti dai bilanci.

4.3   Disposizioni fuori bilancio e società veicolo

4.3.1

La Commissione propone di migliorare gli obblighi di informazione prescrivendo espressamente che le disposizioni fuori bilancio di una certa importanza, comprese le SPE, debbano figurare nell'allegato al bilancio. Il CESE è favorevole alla soluzione proposta ma esprime preoccupazione per la mancata definizione del termine «disposizioni», che rimane quindi un concetto piuttosto vago e indeterminato: il Comitato segnala pertanto l'esigenza di fornire chiarimenti e indicazioni in merito, eventualmente attraverso esempi appropriati.

4.3.2

Per limitare l'impatto degli obblighi di informazione sulle piccole e medie imprese, il CESE raccomanda di consentire agli Stati membri di richiedere soltanto le informazioni strettamente necessarie per valutare la posizione finanziaria della società.

4.4   Dichiarazione sul governo societario

4.4.1

Il CESE accoglie positivamente l'introduzione dell'obbligo per le società quotate di pubblicare informazioni sulle strutture di governo dell'impresa che rivestono grande importanza per gli investitori. L'inserimento della dichiarazione nella relazione sulla gestione costringerà i revisori a pronunciarsi sulla concordanza o meno della suddetta dichiarazione con il bilancio relativo allo stesso esercizio finanziario, requisito già previsto per la relazione sulla gestione ai sensi dell'articolo 51, paragrafo 1, della Quarta direttiva.

4.4.2

È tuttavia probabile che insorgano problemi in quest'ambito in quanto alcuni Stati membri sono andati oltre quanto previsto dalla Quarta e dalla Settima direttiva imponendo per la relazione sulla gestione, che in futuro dovrebbe contenere anche la dichiarazione sul governo societario, l'obbligo di verifica contabile integrale. Il CESE ritiene che non tutti gli elementi della dichiarazione sul governo societario si prestino a una verifica completa. Il problema si potrebbe risolvere richiedendo alle società quotate di fornire la dichiarazione sul governo societario «unitamente alla relazione sulla gestione e ai conti societari»; fermo restando che la dichiarazione rimarrà soggetta alla verifica della concordanza di cui al punto 4.4.1.

4.4.3

Il CESE ritiene che l'articolo 46 bis, paragrafo 3, sia troppo generico e propone in alternativa la formulazione seguente: «la descrizione dei principali aspetti dei sistemi interni di controllo e gestione del rischio della società in relazione al processo di informativa finanziaria».

4.5   Altri punti

4.5.1

La terminologia utilizzata all'articolo 2 della proposta in esame, contenente le modifiche alla Settima direttiva («informazioni […] direttamente rilevanti e utili»), differisce da quella impiegata invece nella Quarta direttiva («informazioni […] significative e utili»). Tale manifesta contraddizione non risulta avere alcuna motivazione. Il CESE propone di usare in entrambi i casi la seconda formulazione, che comprende l'importante termine «significative».

4.5.2

All'articolo 1, che modifica l'articolo 43, paragrafo 1 della Quarta direttiva, nel nuovo punto 7 ter viene utilizzata l'espressione «non concluse alle condizioni di mercato normali.» Una formulazione analoga viene impiegata nelle modifiche relative alla Settima direttiva, articolo 34, punto 7 ter, mentre nella relazione, per definire l'espressione «non concluse alle condizioni di mercato normali» viene aggiunto il testo seguente: «ovvero, non arm's length». Essendo quest'ultima l'espressione generalmente accettata in ambito contabile, si ritiene più appropriato utilizzare tale terminologia nelle modifiche alle direttive.

Bruxelles, 13 luglio 2005

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Gli articoli 11 e 27 della Quarta direttiva stabiliscono i criteri numerici utilizzati all'interno della direttiva stessa per definire le piccole e medie imprese:

 

articolo 11

(Piccole imprese)

articolo 27

(Medie imprese)

Totale dello stato patrimoniale:

EUR 3 650 000

EUR 14 600 000

Importo netto del volume d'affari

EUR 7 300 000

EUR 29 200 000

Numero dei dipendenti occupati in media durante l'esercizio

50

250


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Prospettive della ricerca europea nel settore del carbone e dell'acciaio

(2005/C 294/03)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o luglio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Prospettive della ricerca europea nel settore del carbone e dell'acciaio.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 giugno 2005, sulla base del rapporto introduttivo del relatore LAGERHOLM e del correlatore GIBELLIERI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 57 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1   Prospettive aperte dal Fondo di ricerca carbone e acciaio

1.1.1

L'esperienza della ricerca in collaborazione in ambito CECA ha avuto termine con la scadenza del Trattato istitutivo di tale organizzazione il 23 luglio 2002. Tuttavia, l'ammontare residuo del patrimonio della CECA (costituitosi, nella vigenza di quel Trattato, mediante prelievi sulle imprese del settore carbosiderurgico) consente oggi di proseguire questo tipo di ricerca collettiva. Il Trattato di Nizza, infatti, ha sancito la decisione di devolvere tale patrimonio (pari, al netto delle passività, a circa 1,6 miliardi di euro, secondo la stima effettuata all'atto della liberazione delle obbligazioni CECA) alla Comunità europea e di destinarne i proventi alla ricerca. Nel febbraio 2003 è stato istituito il Fondo di ricerca carbone e acciaio (Research Fund for Coal and Steel, anche detto RFCS), la cui base giuridica è costituita dall'allegato al Trattato di Nizza relativo alle conseguenze finanziarie della scadenza del Trattato CECA, nonché dalle decisioni del Consiglio del 1o febbraio 2003 (2003/76/CE, 2003/77/CE, 2003/78/CE), pubblicate nella Gazzetta ufficiale del 5 febbraio 2003.

1.1.2

Orientamenti tecnici e finanziari stabiliscono le condizioni di funzionamento del programma di ricerca del Fondo.

1.1.3

Scopo del presente documento è segnalare, dopo tre anni dall'entrata in funzione di questo nuovo sistema, alcuni problemi riscontrati nel funzionamento del Fondo e, soprattutto, tentare di delinearne le prospettive future.

1.1.4

Preliminarmente, va osservato che, soprattutto grazie all'alto livello di efficienza di cui ha dato prova il finanziamento della ricerca in ambito CECA, e salvo alcune eccezioni di cui si dirà più avanti, lo spirito della ricerca in collaborazione in ambito CECA è stato mantenuto, e ciò costituisce motivo di soddisfazione.

1.2   Aspetti finanziari: una temporanea e significativa diminuzione degli aiuti

1.2.1

L'RFCS è gestito dalla DG Ricerca, unità Fondo carbone e acciaio. In termini di bilancio, esso è finanziato con gli introiti derivanti dall'investimento a lungo termine del patrimonio summenzionato. La dotazione annuale di bilancio a disposizione del Fondo dipende quindi dalla redditività di tali investimenti ed è ripartita tra i settori dell'acciaio e del carbone secondo una chiave di ripartizione prestabilita (rispettivamente, il 72,8 % e il 27,2 %). In pratica, negli ultimi due esercizi finanziari tale dotazione è stata, per la ricerca nel settore dell'acciaio, di circa 43 milioni di euro (più precisamente, di 43,68 milioni nel 2003 e nel 2004 e di 41,20 milioni per il 2005) e ha finanziato 50 progetti circa all'anno. Per quanto concerne il settore del carbone, negli ultimi tre anni il finanziamento è stato, rispettivamente, di 16,13 milioni di euro nel 2003, 15,27 milioni nel 2004 e 16,13 milioni per il 2005.

1.2.2

Occorre rilevare una significativa diminuzione dell'importo complessivo degli aiuti che, alla fine degli anni Novanta e ancora all'inizio di questo decennio, ammontava a circa 55-56 milioni di euro per l'acciaio e a 28-31 milioni di euro per il carbone. Si può inoltre osservare come l'aiuto medio disponibile per partecipante sia destinato a ridursi sensibilmente anche nei prossimi anni, dato che, in seguito all'allargamento, è aumentato il numero dei partecipanti al programma di ricerca. Così come è accaduto dopo le adesioni precedenti, i nuovi Stati membri apporteranno il loro contributo, ma ciò avverrà progressivamente e solo tra il 2006 e il 2009. I loro contributi al capitale del Fondo saranno versati in scaglioni successivi (per un totale di 169 milioni di euro), ma i relativi effetti si avvertiranno pienamente solo nel 2011.

1.2.3

La redditività della ricerca siderurgica in ambito CECA è ormai consolidata (un ROI di 13:1). Tale ricerca industriale, mirata alle esigenze fondamentali dell'industria siderurgica e condotta in collaborazione con le parti interessate (ossia le industrie e, ove necessario, altri soggetti, come i produttori di componenti o i clienti principali), ha dato prova di grande efficacia. E di questo tipo di ricerca vi è ancora assoluto bisogno per mantenere la competitività dell'industria europea dell'acciaio ai livelli attuali, ossia tra i più elevati del mondo. I progetti pilota e dimostrativi, che hanno costituito l'elemento di originalità dei programmi CECA, da qualche anno sono in netto regresso; devono invece restare lo strumento privilegiato e il veicolo di elezione per il rapido trasferimento di sviluppi tecnologici alle unità operative (gli stabilimenti industriali).

1.2.4

La ricerca europea nel settore carbonifero finanziata dalla CECA ha raggiunto un elevato livello di efficienza. Dalla valutazione (1) di tale programma di ricerca risulta un rapporto costi/benefici favorevole che varia in media tra 7 e 25. Inoltre, la RST in questo settore comporta spesso ricadute tecnologiche importanti per altri settori industriali, ad esempio nel campo dei metodi di prospezione, di perforazione e di sperimentazione dei materiali.

1.3   Il monitoraggio e la gestione dei programmi

1.3.1

Sul piano procedurale, sono intervenuti cambiamenti di rilievo per quanto concerne il processo di selezione e approvazione dei progetti annuali. Da un lato, la Commissione è assistita da un comitato per i fondi di ricerca carbone e acciaio (COSCO), in cui siedono i rappresentanti degli Stati membri, e da gruppi consultivi acciaio (GC acciaio) e gruppi consultivi carbone (GC carbone) con rappresentanti dell'industria e altri importanti operatori del settore. Dall'altro, le valutazioni sono effettuate da esperti indipendenti. Sul piano sostanziale, fin da quando il sistema è divenuto operativo, la Commissione ha garantito il corretto svolgimento di tali valutazioni, migliorandone ogni anno le condizioni.

1.3.2

La qualità dei progetti approvati, e quindi del programma RFCS, dipende dalla qualità del lavoro di valutazione. E, trattandosi della valutazione di programmi di ricerca industriale, è indispensabile che essa venga effettuata da esperti con un'approfondita conoscenza specifica delle esigenze e delle priorità dell'industria e dello stato della ricerca, ma anche delle competenze dei partner. Gli esperti dei gruppi tecnici, ad esempio, soddisfano tali condizioni, ma la Commissione e i gruppi siderurgici devono ancora perfezionare le condizioni pratiche della partecipazione di tali esperti.

1.3.3

Per quanto riguarda il settore acciaio, nove gruppi tecnici sostituiscono già i 17 comitati esecutivi precedenti, per quanto concerne il monitoraggio dei progetti e gli scambi di informazioni tecnologiche, con una sostanziale riduzione nel numero degli esperti partecipanti. Ciò verrà parzialmente compensato dall'aumentato coinvolgimento di esperti provenienti dai 10 nuovi Stati membri Il sistema di tutoraggio realizzato (che prevede l'assegnazione ad un esperto di un progetto o di un numero limitato di progetti) ha mostrato la sua efficacia nel garantire un monitoraggio più diretto, interattivo e rigoroso dei progetti. Una valutazione intermedia dei nuovi progetti nell'ambito del programma RFCS, che sarà effettuata nella primavera del 2005, fornirà maggiori informazioni al riguardo.

1.3.4

Per quanto riguarda il settore carbone, tre gruppi tecnici (GT) (i cui rispettivi ambiti di competenza sono le tecnologie minerarie (GT1), quelle di conversione (GT2) e quelle pulite per il carbone (GT3)) hanno iniziato a sostituirsi ai cinque comitati esecutivi operanti nell'ambito del programma di ricerca sul carbone della CECA.

1.3.5

Mentre in ambito CECA il livello di coinvolgimento delle imprese e degli istituti di ricerca degli attuali 10 nuovi Stati membri (all'epoca candidati all'adesione) nei progetti sottoposti per l'anno 2000 era stato pressoché nullo, in relazione al programma RFCS, invece, la quota di proposte da loro presentate, in esito all'invito per il 2004, nei settori carbone e acciaio è stata, rispettivamente, del 4,2 % e del 14,16 %. Complessivamente, i rappresentanti dei 10 nuovi Stati membri nei vari comitati e gruppi consultivi o tecnici sono 25 (11 nel COSCO, 5 nel GC acciaio, 4 nel GC carbone, 3 nei GT acciaio e 2 nei GT carbone).

2.   Il settore dell'acciaio

2.1   La situazione generale del settore dell'acciaio

Nel 2004 la favorevole congiuntura economica mondiale ha fornito un notevole stimolo all'economia europea, ma la domanda interna non è cresciuta in misura significativa. Le previsioni per il 2005 dipendono in gran parte dalla situazione economica mondiale, dato che l'economia dell'area dell'euro è fortemente dipendente dalla domanda finale generata al suo esterno.

Dipenderà dalla Cina e da altri paesi asiatici se l'economia mondiale, e con essa il mercato dell'acciaio, continuerà ad espandersi anche l'anno prossimo. L'economia cinese sembra essere entrata in una fase di graduale rallentamento, e la sua crescita sta diventando più sostenibile.

2.1.1

Quest'anno, date le previsioni di un rallentamento della crescita economica mondiale e di una modesta ripresa nell'Europa continentale, si prevede che la crescita reale dei consumi sia meno elevata che nel 2004. Tuttavia, dato che in taluni paesi le scorte di alcuni prodotti hanno raggiunto livelli troppo elevati, si può anche prevedere un rallentamento della crescita apparente dei consumi.

2.2   Le prospettive future della ricerca acciaio

2.2.1   I risultati dei primi bandi di gara del dopo-CECA: in forte calo la percentuale di successo dei progetti presentati nell'ambito del programma RFCS

Sulla base di un nuovo contratto-tipo, sono stati firmati 49 contratti nel 2003 e 51 nel 2004; nel 2005 dovranno esserne firmati un'altra cinquantina. Tuttavia, la percentuale di successo è drasticamente calata, poiché il numero di progetti presentati non è affatto diminuito rispetto all'importo degli aiuti disponibili, ma è anzi avvenuto il contrario. Ad esempio, nel 2002 sono stati presentati 116 progetti, 143 nel 2003 e 173 nel 2004. La percentuale di successo dei progetti è attualmente dell'ordine del 30 %, mentre era del 50-55 % all'inizio del decennio in corso. Va tenuto presente che questa tendenza recente si registra in una fase in cui i nuovi Stati membri partecipano ancora in misura limitata al programma RFCS.

2.2.2   La Piattaforma tecnologica dell'acciaio: il quadro adeguato per una visione a lungo termine della ricerca siderurgica

L'industria dell'acciaio deve affrontare numerose sfide su diversi piani quali, in particolare, la necessità di essere competitivi derivante dalla globalizzazione, la forte crescita di nuovi, grandi produttori (come oggi la Cina), la legislazione ambientale riguardante sia i prodotti che i processi di produzione, le esigenze dei clienti e degli azionisti, la salute e la sicurezza sul lavoro, la formazione delle risorse umane.

L'ambizione dell'industria europea dell'acciaio è quella di mantenere, o addirittura rafforzare, la sua leadership mondiale, anche sul piano della sostenibilità e della competitività.

Per conseguire questo obiettivo, un gruppo di personalità ha deciso di lanciare un'iniziativa di R&S determinata, strutturata e a lungo termine, nel quadro della Piattaforma tecnologica dell'acciaio varata il 12 marzo 2004.

La CCMI è uno dei partecipanti alla piattaforma ed è rappresentata nel relativo comitato di pilotaggio.

2.2.2.1

Oltre 100 persone sono state coinvolte in sei gruppi di lavoro (corrispondenti ai 4 pilastri dello sviluppo sostenibile) costituiti sui seguenti temi: «Profitti», «Partner» (riguardante sia il settore automobilistico che quello delle costruzioni), «Pianeta e Persone» nonché «Energia». I gruppi di lavoro hanno delineato tre grandi programmi industriali complementari di R&S, con un impatto sociale ad ampio raggio, ognuno dei quali copre diverse aree tematiche della R&S.

2.2.2.2

Sono stati così proposti tre programmi industriali con un impatto sociale ad ampio raggio:

Tecnologie sicure, pulite, redditizie e a bassa intensità di capitale

Utilizzo razionale delle risorse energetiche e gestione dei residui

Soluzioni per l'acciaio attraenti per i consumatori finali.

2.2.2.3

Per quanto concerne il primo grande programma, nell'intera catena di produzione dell'industria dell'acciaio è necessaria una grande flessibilità per realizzare a basso costo una gamma di prodotti sempre più ampia. Il settore dell'acciaio trarrebbe indubbio vantaggio da linee di produzione più compatte, con brevissimi tempi di risposta e una maggiore versatilità produttiva. D'altro canto, laddove le tecnologie convenzionali sono ormai abbastanza mature e robuste da garantire un livello stabile di prestazioni, un'intelligente tecnologia produttiva dovrebbe contribuire allo sviluppo di processi di fabbricazione più flessibili. Sulla base di tecnologie organizzative avanzate e innovative, occorre progettare e sviluppare nuovi sistemi di produzione, come i processi di fabbricazione intelligenti, e un'efficiente organizzazione produttiva, per garantire lo sviluppo di nuovi processi, prodotti e servizi.

2.2.2.4

Nel primo grande programma sono state individuate tre importanti aree tematiche:

nuove vie integrate ai processi «senza ossidazione» e che consentono un utilizzo efficiente dell'energia,

catena di produzione flessibile e multifunzionale,

tecniche di fabbricazione intelligenti.

2.2.2.5

Anche il secondo grande programma è incentrato su tre importanti aree tematiche della R&S:

il problema dei gas a effetto serra,

l'efficienza energetica e il risparmio di risorse,

lo sviluppo di prodotti «verdi» che tengono conto dell'impatto sociale dei materiali impiegati.

2.2.2.6

Il terzo grande programma mira ad affrontare la sfida posta dalla domanda di un'ampia gamma di materiali ad elevate prestazioni sempre più sofisticati, essenzialmente destinati a due mercati: il settore auto e quello delle costruzioni. Un terzo settore, quello dell'energia, viene preso in considerazione quest'anno.

2.2.2.7

Nel loro insieme, tali programmi mirano a svolgere un ruolo di rilievo nel favorire la competitività, la crescita economica e il relativo impatto sull'occupazione in Europa. Le corrispondenti aree tematiche della R&S, individuate in quegli stessi programmi, stanno contribuendo in misura considerevole all'impostazione rivolta allo sviluppo sostenibile. La protezione dell'ambiente (emissioni di gas a effetto serra, in particolare di CO2) e il miglioramento dell'efficienza energetica costituiscono entrambe importanti questioni «trasversali», comuni all'insieme dei programmi di RST proposti. La salute e sicurezza è il terzo, importante obiettivo da perseguire, non solo nei relativi settori industriali, ma anche nella vita quotidiana dei clienti utilizzatori di applicazioni in acciaio (automobili, costruzioni, produzione energetica e trasporti, ecc.), sviluppando nuove soluzioni intelligenti e più sicure.

2.2.2.8

Si è tenuto conto anche di un altro importante tema trasversale, quello riguardante le risorse umane (attrarre e mantenere personale qualificato, che aiuti a conseguire gli ambiziosi obiettivi del settore dell'acciaio). In quest'ottica:

è stata individuata, fra i soggetti interessati della Piattaforma tecnologica dell'acciaio dell'UE, una grande rete europea (Top Industrial Managers for Europe (TIME), 47 università di tutti e 25 gli Stati membri), coinvolta in attività di istruzione, formazione, comunicazione e informazione, che dovrebbe svolgere un ruolo di punta sia nell'analizzare i modi in cui il sistema di istruzione potrebbe soddisfare in futuro la domanda di personale qualificato nel settore siderurgico europeo sia nel proporre approcci efficaci per affrontare i problemi di cui si prevede l'insorgenza,

le risorse umane, in quanto detentrici delle competenze fondamentali di un'impresa, costituiscono un patrimonio di cruciale importanza che dovrebbe essere ottimizzato in maniera dinamica. Analizzando le misure adottate dalle imprese siderurgiche europee per gestire il cambiamento e avanzare verso un'«organizzazione della conoscenza», e promovendo lo scambio delle buone pratiche evidenziate da tale analisi, si potrebbe contribuire in misura significativa a quel processo di ottimizzazione.

2.2.2.9

Il calendario strategico di ricerca (Strategic Research Agenda) adottato il 15 dicembre scorso dal comitato di pilotaggio della Piattaforma, descrivendo gli scenari futuri, delinea le prospettive della ricerca sull'acciaio per gli anni e i decenni a venire.

2.2.2.10

La seconda versione del calendario di ricerca indicherà alcune priorità e conterrà alcune proposte per quanto concerne la definizione dei temi e degli ambiti di ricerca nei vari programmi europei: RFCS, Programma quadro di ricerca e sviluppo (PQRS), Eureka, programmi nazionali e regionali, ecc. Vi si troveranno quindi indicati i grandi temi — identificati consensualmente — della ricerca, destinati ad essere sviluppati nell'ambito del programma RFCS.

2.2.2.11

La natura dei temi di ricerca indicati nel calendario strategico dovrà, combinata con le competenze dei soggetti che è necessario coinvolgere, orientare la scelta del programma comunitario appropriato: a mero titolo esemplificativo, l'RFCS per le ricerche specificamente rivolte all'acciaio e il PQRS, (per brevità, PQ) per quelle che implicano la partecipazione di soggetti operanti in diversi settori industriali (per es. fornitori e produttori di componenti, in tema di sviluppo di nuove tecnologie; clienti e utilizzatori, quali l'industria automobilistica e delle costruzioni, in tema di sviluppo di soluzioni siderurgiche innovative, ecc.). Un orientamento analogo dovrà esistere nel contesto di un'azione tecnologica congiunta, per i grandi programmi a lungo termine, che richiedono cospicui investimenti, incentrati su problematiche europee selezionate con ampio consenso.

2.2.2.12

Per essere pienamente efficace, l'impostazione dianzi suggerita richiede naturalmente il coordinamento dei diversi programmi. Il calendario strategico di ricerca della Piattaforma, quindi, deve costituire un testo di riferimento per la prossima revisione degli orientamenti sull'acciaio. Inoltre il coordinamento dei programmi dovrebbe consentire di offrire le stesse opportunità a tutti i progetti, indipendentemente dal programma europeo nel quale rientrano.

2.2.2.13

Il prossimo PQ7 e gli altri programmi comunitari (Eureka, ecc.), i programmi nazionali e anche quelli regionali, dovrebbero offrire l'opportunità di dare attuazione al calendario strategico di ricerca. In ogni caso, le iniziative tecnologiche comuni, unitamente ai finanziamenti erogati dalla Banca europea per gli investimenti, consentiranno, nei prossimi decenni, lo sviluppo di tecnologie avanzate e innovative e il loro impiego industriale su larga scala.

2.2.2.14

Inoltre, la selezione consensuale, nel calendario strategico della piattaforma, delle tematiche che assumono un rilievo prioritario e specifico per il programma acciaio, dovrebbe costituire una riserva di temi prioritari di ricerca (il cui sviluppo richiede cospicui mezzi finanziari e tecnici) da sottoporre in risposta ai bandi di gara annuali della ricerca acciaio RFCS. Ciò offrirebbe anche la possibilità di evitare l'eccessivo frazionamento degli aiuti e, soprattutto, di aumentarne l'efficacia, concentrando i mezzi a disposizione su temi di importanza vitale per la competitività dell'industria dell'acciaio.

2.2.2.15

Uno dei progetti (ULCOS, Ultra low CO2 Steel Making) del Secondo programma della Piattaforma tecnologica dell'acciaio mira a ridurre drasticamente le emissioni di CO2 nella produzione di acciaio. Ha le seguenti caratteristiche:

affronta una questione che interessa tutta l'Europa ed è inserita nel 7o programma quadro,

presenta obiettivi industriali chiaramente individuati che sono importanti per la competitività del settore dell'acciaio a lungo termine,

si tratta di un consorzio che è già stato formato con i principali attori dell'industria dell'acciaio europea. I loro impegni figurano in un accordo di consorzio.

Considerate le caratteristiche di questo progetto, l'industria, nel febbraio 2005, ha informato la Commissione dell'interesse della Piattaforma a creare un'iniziativa tecnologica congiunta. Tuttavia, nella proposta della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 6 aprile 2005, la ESTEP (European Steel Technology Platform) non è stata selezionata per un'iniziativa tecnologica congiunta.

2.2.2.16

Infine, il regolare aggiornamento dei programmi dovrebbe consentire di mantenerli perfettamente adeguati alle esigenze dell'industria stessa.

3.   Il settore carbonifero

3.1   La situazione generale del settore carbonifero

3.1.1

L'Europa è il terzo consumatore mondiale di carbone. Fra le risorse utilizzate per produrre energia per l'Unione europea, il carbone è una delle più importanti e contribuisce a garantire un mix energetico equilibrato; in seguito all'allargamento dell'Unione, poi, il carbone ha assunto un rilievo ancora maggiore. Inoltre, esso è un combustibile di fondamentale importanza per la produzione di ferro e acciaio, mentre, nel campo della produzione di energia elettrica, il carbone, con una quota del 32 %, è tuttora una fonte energetica di elezione, date la sicurezza del suo approvvigionamento e la competitività del suo costo.

3.1.2

Il settore minerario carbonifero europeo è estremamente sviluppato. Date le loro caratteristiche geologiche, i bacini carboniferi europei risultano più difficili da sfruttare dei giacimenti extraeuropei. Tuttavia, proprio i problemi posti dalla necessità di sfruttare giacimenti di carbon fossile situati a maggiore profondità hanno fatto di quella europea una tecnologia mineraria all'avanguardia nel mondo. Infatti, nel mercato mondiale (in espansione) di tale tecnologia, l'Europa detiene oggi una quota superiore al 50 %, anche grazie ai finanziamenti CECA destinati alla RST (2).

3.1.3

Se vuole mantenere questa posizione di leadership nel mercato, l'Europa deve finanziare in modo appropriato la ricerca. Così facendo, non solo si favorirà l'occupazione nel settore, ma si migliorerà anche il saldo della bilancia dei pagamenti dell'UE e si produrranno altri effetti moltiplicatori. Ciò vale per le tecnologie minerarie così come per quelle che consentono l'uso pulito del carbone, poiché i progressi tecnologici dovranno riguardare tutti gli aspetti fondamentali della catena di produzione del carbone.

3.2   Le prospettive della ricerca nel settore carbonifero

3.2.1

Il settore carbonifero dispone di eccellenti infrastrutture di ricerca, che collaborano con successo a livello europeo. Da anni i partner degli ex-paesi candidati all'adesione (ora nuovi Stati membri) sono coinvolti in progetti comuni di ricerca. La rete di industrie sostenibili di estrazione e trasformazione dei minerali (Network of European Sustainable Mineral Industries-NESMI), che è finanziata dal PQ5 e comprende circa 100 soggetti interessati nel campo dell'industria e della scienza minerarie europee, esiste dal 2002. Un'importante realizzazione di questa rete è la Piattaforma tecnologica europea per le risorse minerarie sostenibili (European Technology Platform for Sustainable Mineral Ressources-ETP SMR), la cui creazione, prevista per il settembre 2005, è stata annunciata il 15 marzo 2005 alla conferenza della NESMI.

3.2.2

Gli obiettivi strategici della RST nel settore del carbone sono i seguenti:

garantire per il futuro l'approvvigionamento energetico dell'Europa,

sviluppare tecnologie di produzione innovative e sostenibili,

migliorare l'efficienza nell'uso del carbone, al fine di ridurre le emissioni,

garantire un uso sostenibile delle fonti di energia,

creare un valore aggiunto europeo attraverso una leadership tecnologica fondata sulla R&S.

3.3   La RST nella tecnologia mineraria

3.3.1

Gli obiettivi prioritari delle attività di RST sono la produttività e il risparmio sui costi in ogni fase del processo di produzione.

Lo sfruttamento minerario a basso costo richiede, se si vogliono evitare tempi morti, una conoscenza ottimale del giacimento, e questa deriva dalle ricerche già effettuate. Occorrono quindi nuovi metodi di esplorazione sotterranea, che dovrebbero essere sviluppati sulla base di un approccio multidisciplinare. Per conseguire l'obiettivo di un ulteriore risparmio sui costi di progettazione, sviluppo e controllo operativo, è necessario continuare a sviluppare metodi moderni di sondaggio, anche con l'ausilio di tecnologie satellitari.

3.3.2

Lo sviluppo sicuro e redditizio dei giacimenti richiede metodi di produzione flessibili e intelligenti, come ad esempio nuove tecniche di escavazione e di estrazione, con l'impiego di sistemi robotizzati, automazione avanzata e intelligenza artificiale. In questo campo, la maggiore automazione, il migliore controllo del processo produttivo e l'integrazione dei sistemi di funzionamento e manutenzione degli impianti sono altrettanti concetti fondamentali.

3.3.3

Per quanto riguarda l'automazione, occorre sviluppare sensori e attuatori intelligenti e autonomi, reti di sensori senza fili, nuove procedure di misurazione fisica, sistemi di localizzazione e navigazione, e sistemi intelligenti di elaborazione di immagini.

3.3.4

Il perfezionamento e la razionalizzazione delle tecniche di consolidamento e sostegno del terreno sono assolutamente prioritari, se si vuol garantire alle attività di sfruttamento minerario un supporto più economico e sicuro, tanto più quando tali operazioni sono condotte a notevole profondità. In proposito, è estremamente importante garantire l'ulteriore sviluppo di quel particolare contributo al miglioramento della pianificazione costituito dal modellamento meccanico della roccia.

3.3.5

Un elemento fondamentale, che deve essere presente in ogni fase del processo produttivo, è costituito dal miglioramento delle tecnologie dell'informazione, ivi comprese le tecniche di acquisizione, monitoraggio e analisi dei dati. Più precisamente, si tratta di sviluppare le tecnologie di comunicazione (in particolare quella mobile sotterranea), inclusi i relativi terminali. I sistemi di realtà virtuale, sviluppati con successo nell'ambito di un progetto comune del programma RFCS, potrebbero consentire l'ulteriore sviluppo delle tecnologie impiegate nelle stazioni di controllo delle miniere. Il miglioramento della gestione dei processi computerizzati consentirà di aumentare sia l'efficienza che la sicurezza sul luogo di lavoro.

3.3.6

Le operazioni di montaggio e smontaggio rendono più difficile conseguire un ulteriore aumento della produttività, dato che occorre operare entro spazi limitati e le dimensioni e il peso unitario dei componenti sono sempre crescenti. Uno dei principali obiettivi consiste pertanto nel ridurre i tempi dedicati a queste operazioni, grazie a nuove tecniche di montaggio e smontaggio, e nel limitare i componenti ad un numero ridotto di elementi compatti e standardizzati. Anche in questo caso, la moderna tecnologia dell'informazione può fornire un valido sostegno. Considerazioni analoghe valgono per il trasporto sotterraneo di materiali. Al riguardo, gli obiettivi primari sono l'automazione del trasporto con l'ausilio di moderni sistemi di sensori e l'ottimizzazione della movimentazione dei materiali.

3.3.7

I costi delle misure di salvaguardia dell'ambiente e il problema dell'accettazione da parte dei cittadini dell'attività mineraria condotta in aree densamente popolate fanno sì che il tema della tutela ambientale assuma un indubbio rilievo per la ricerca futura, allo scopo di eliminare o ridurre i diversi effetti dannosi delle miniere o delle cokerie. Ogni progresso metodologico in questo campo avrà un effetto considerevole sulle potenzialità di esportazione ed enormi ripercussioni sugli altri comparti industriali, oltre ad essere assolutamente necessario per la società nel suo insieme. Ciò vale sia per le miniere ancora in attività che per le operazioni di chiusura delle miniere e il loro utilizzo successivo.

3.3.8

La R&S è necessaria se, ad esempio, si vuol disporre di procedure che consentano di prevedere con maggiore precisione i ricorrenti innalzamenti del livello dell'acqua nelle miniere e le emissioni di gas dopo la cessazione dell'attività estrattiva. Inoltre, e più in generale, occorre sostenere l'adeguamento, ai fini dell'applicazione nel settore minerario, delle innovazioni tecnologiche sviluppate negli altri comparti industriali, le cui ricadute sull'estrazione sotterranea del carbon fossile dovrebbero essere sfruttate il più possibile. Al riguardo, le nanotecnologie, la bionica, i sensori sviluppati nelle tecnologie aerospaziali e la robotica sono concetti fondamentali.

3.4   La RST per un uso pulito del carbone

3.4.1

In questo campo gli obiettivi principali, che corrispondono ad altrettante fasi dell'uso pulito del carbone, sono i seguenti:

aumento del rendimento delle centrali onde ridurne le emissioni e garantire un uso sostenibile delle risorse,

cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica (CO2).

3.4.2

Per un uso pulito del carbone, attualmente l'opzione preferita è quella di aumentare l'efficienza delle centrali, poiché ciò riduce le emissioni e contribuisce a conseguire l'obiettivo della conservazione delle risorse. Tale strategia viene preferita in quanto, per il periodo 2010-2020, è prevista la necessità di sostituire e costruire ex novo nell'UE-15 centrali elettriche per una capacità di oltre 200 gigawatt. Si prevede che circa il 60 % di tale energia debba essere fornita da centrali alimentate da combustibili fossili in genere, e in particolare il 23 % dal solo carbone. Ciò offre ampie possibilità di impiego delle tecnologie volte a massimizzare l'efficienza delle centrali.

3.4.3

Impiegando la tecnologia oggi disponibile per le centrali a vapore, è possibile ottenere un rendimento massimo del 45-47 % con il carbon fossile. Tale rendimento dovrebbe aumentare di oltre il 50 %, soprattutto grazie a un ulteriore aumento dei parametri di pressione e temperatura (fino ad oltre 700 °C) nel processo di produzione energetica. In proposito, un ruolo fondamentale è svolto dallo sviluppo e dalla sperimentazione di nuovi materiali capaci di resistere ad elevate temperature. Rispetto alla tecnologia attualmente impiegata in Germania, ciò comporterebbe una riduzione delle emissioni di CO2 pari a circa il 30 %.

3.4.4

È dunque possibile apportare un contributo significativo alla riduzione delle emissioni di CO2, garantendo nel contempo la conservazione delle risorse nel breve periodo, soprattutto sviluppando questi processi di produzione dell'energia nelle centrali a vapore convenzionali. In futuro, quindi, sarà questo uno dei campi principali di ricerca in cui concentrare i finanziamenti.

3.4.5

Oltre allo sviluppo di processi produttivi più efficienti nelle centrali convenzionali, nel medio o lungo termine un'altra alternativa è costituita dall'impiego di procedimenti a ciclo combinato. Tra questi ultimi, i principali oggi disponibili sono la gassificazione integrata del carbone (IGCC) e la combustione del carbone polverizzato sotto pressione. Utilizzando questi processi, sarebbe possibile aumentare il rendimento delle centrali di oltre il 50 %. Le ricerche attualmente condotte in questo campo devono quindi essere intensificate.

3.4.6

Vi è inoltre bisogno di ricerca per sviluppare le cosiddette centrali a emissioni zero, sempre che vi sia una volontà politica in tal senso. L'installazione di un impianto di separazione dell'anidride carbonica, tuttavia, determina per la centrale una perdita di efficienza che va da 6 a 14 punti percentuali, che non soltanto comporta a sua volta un aumento dei costi del prodotto finale, ma contraddice anche l'obiettivo della conservazione delle risorse. È fondamentale sviluppare tecnologie che consentano la progettazione di centrali elettriche con il massimo rendimento possibile, in particolare nella prospettiva dell'obiettivo a lungo termine costituito dalla realizzazione di centrali che non emettano CO2.

3.4.7

Quella di una centrale a emissione zero di CO2 è una visione a lungo termine. La protezione preventiva del clima richiede, al fine di evitare l'immissione di CO2 nell'atmosfera, il tempestivo sviluppo di processi tecnicamente ed economicamente validi di separazione dei gas residui a effetto serra dalle emissioni delle centrali elettriche.

3.4.8

Attualmente, lo sviluppo di tecnologie di separazione dell'anidride carbonica (prima parte del processo) appare più semplice da realizzare rispetto allo stoccaggio sicuro e a lungo termine di quel gas una volta separato (seconda parte del processo), dal momento che si sa ancora molto poco del comportamento nel lungo periodo di grandi quantità di CO2 stoccate in camere sigillate. Oggi il dibattito verte soprattutto sulle possibilità di stoccare tale gas in giacimenti esauriti di idrocarburi o in falde acquifere salate situate in profondità. Un'impresa, questa, che richiederà cospicui investimenti nel campo della logistica.

3.4.9

Secondo gli esperti, attualmente non sussistono ostacoli tecnici insormontabili a tali sviluppi, benché questi comportino notevoli rischi economici ed ecologici. Ridurre al minimo tali rischi è una delle sfide principali che sia i governi che le industrie dovranno affrontare nei prossimi anni.

4.   Conclusioni e raccomandazioni

Dopo un periodo transitorio di tre anni, il programma di ricerca RFCS si è rivelato efficiente ed efficace, avendo in sostanza integrato la rete di esperti dei precedenti programmi di ricerca della CECA. Il CESE raccomanda di mantenere, per il prossimo futuro, sia gli stessi organi consultivi (COSCO, GC acciaio e GC carbone, gruppi tecnici) preposti alla gestione del programma che la stessa procedura di valutazione. Il CESE chiede alla Commissione di considerare come aumentare la partecipazione di esperti ai gruppi tecnici.

4.1

Benché, per ragioni amministrative, il programma di ricerca RFCS riguardi sia il carbone che l'acciaio, ciascuno dei relativi settori ha caratteristiche proprie specifiche e dovrebbe essere gestito in modo tale da favorire il conseguimento dei rispettivi obiettivi tecnici e scientifici e da aumentarne la competitività. Il CESE sostiene la creazione delle Piattaforme tecnologiche europee, in cui sia il settore dell'acciaio che quello carbonifero possono trovare l'ambiente appropriato per sviluppare e coordinare le rispettive politiche e attività di RST utilizzando tutte le risorse disponibili a livello europeo.

4.2

Il CESE è assolutamente favorevole ad una rapida ed effettiva integrazione delle imprese, degli istituti di ricerca e delle università dei nuovi Stati membri nel programma di ricerca RFCS e nelle attività connesse alle relative Piattaforme tecnologiche europee per i settori dell'acciaio e del carbone.

4.3   Il settore dell'acciaio

Il CESE prevede che, nei prossimi decenni, l'industria dell'acciaio avrà assoluto bisogno della ricerca in collaborazione per mantenere e magari rafforzare la posizione di leadership mondiale che essa detiene attualmente; una posizione che dovrà essere sia sostenibile che competitiva. L'utilizzo dell'acciaio è essenziale per soddisfare le esigenze future della società, nonché per la creazione di nuove opportunità commerciali. In futuro l'industria siderurgica dovrà far fronte in particolare a una maggiore domanda di prodotti non nocivi per l'ambiente e alla necessità di disporre di nuove applicazioni dell'acciaio.

4.3.1

Al riguardo, il CESE ritiene che i temi più importanti siano:

la protezione dell'ambiente (in particolare, la riduzione delle emissioni di CO2) e l'incremento dell'efficienza energetica, che costituiscono altrettanti temi prioritari «trasversali» dei programmi di RST. Dovranno essere sviluppati nuovi processi, più integrati e flessibili di quelli esistenti,

la salute e la sicurezza, che costituiscono anch'esse un obiettivo molto importante da conseguire, non solo nei settori industriali interessati, ma anche nella vita quotidiana degli utilizzatori di applicazioni in acciaio (automobili, costruzioni, produzione energetica e trasporti, ecc.), sviluppando nuove soluzioni intelligenti e più sicure. Un obiettivo comune è inoltre quello dello sviluppo di nuovi prodotti in acciaio di peso inferiore a quelli esistenti. In ogni caso, l'attenzione alle ripercussioni sociali dell'uso dei materiali contribuirebbe in modo significativo al perseguimento degli obiettivi a lungo termine del settore siderurgico (ossia il rafforzamento della posizione competitiva dei prodotti siderurgici e la sostenibilità dei processi di produzione dell'acciaio),

la capacità di attrarre risorse umane qualificate e di assicurarsene il prezioso contributo, che costituisce un altro obiettivo molto importante, la cui realizzazione concorrerà a conseguire gli ambiziosi traguardi dell'industria dell'acciaio,

l'individuazione consensuale di specifici temi prioritari per la Piattaforma tecnologica europea, destinati ad essere tradotti in pratica con l'ausilio dei vari strumenti a disposizione della RST europea (RFCS, PQ7, programmi nazionali e anche regionali), i quali tuttavia devono essere coordinati fra loro,

il sostegno delle autorità europee in modo che la Piattaforma tecnologica dell'acciaio venga adottata quale piattaforma prioritaria che beneficerà di una iniziativa tecnologica congiunta.

4.4   Il settore carbonifero

Il CESE esprime apprezzamento per le nuove priorità energetiche europee che, oltre a sottolineare l'importanza delle tecnologie per l'uso pulito del carbone ai fini della protezione del clima e dell'ambiente, nonché della sicurezza dell'approvvigionamento di energia nell'Unione europea, annunciano l'impegno a considerare tali tecnologie come un'assoluta priorità per la ricerca nell'ambito del 7o programma quadro di RST.

Il programma dovrebbe quindi mirare al miglioramento dell'efficienza, al fine di ridurre le emissioni, e a promuovere un uso sostenibile delle risorse, nonché le tecnologie di cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica. Poiché la Piattaforma tecnologica mineraria europea di più ampio respiro consentirà di elaborare strategie e strumenti per tutti i settori della ricerca mineraria, occorre mantenere il carattere complementare del programma RFCS, che dovrebbe essere mirato alla RST mineraria specifica del settore carbonifero.

Bruxelles, 13 luglio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Effettuata nel 1995 dalla Geoffrey Walton Practice e dalla Smith Vincent & Co., e nel 1996 dal comitato Ricerca carbone della DG XVII.

(2)  Il Consiglio mondiale dell'energia (World Energy Council) ha previsto un rapido aumento, pari a 3 000 miliardi di dollari nei prossimi 25 anni, del volume globale degli investimenti per la realizzazione di miniere e dei relativi impianti.


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale

COM(2005) 33 def.

(2005/C 294/04)

La Commissione europea, in data 9 febbraio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 giugno 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ENGELEN-KEFER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 60 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La nuova Agenda sociale per il periodo 2006-2010 desta particolari aspettative. In concomitanza con la revisione intermedia della strategia di Lisbona, si tratta di mettere maggiormente in rilievo l'importanza della politica sociale per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. Occorre realizzare l'obiettivo ambizioso della strategia di Lisbona, che consiste nell'accompagnare al miglioramento della competitività e all'aumento della crescita economica la creazione di posti di lavoro più numerosi e migliori e il rafforzamento della coesione sociale. A tal fine è necessaria una politica europea che persegua tali obiettivi in ugual misura, garantendo così una strategia di Lisbona equilibrata. Deve esistere un rapporto armonioso tra la politica economica, sociale e dell'occupazione, nonché quella ambientale, in modo da poter garantire stabilmente il modello sociale europeo.

1.2

Il Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, dedicato al rilancio della strategia di Lisbona, ha sottolineato che va posto l'accento, in via prioritaria, sulla promozione della crescita e dell'occupazione e ha ricordato l'importanza in questo caso decisiva della politica macroeconomica (1). È assolutamente necessario concentrarsi su questi assi fondamentali in quanto la congiuntura continua ad essere debole e la disoccupazione elevata. In tale contesto, il Consiglio parte da un approccio in cui la politica economica, quella sociale e quella dell'occupazione si rafforzano a vicenda quando afferma che «per raggiungere tali obiettivi, l'Unione deve mobilitare maggiormente tutti i mezzi nazionali e comunitari appropriati […] nelle tre dimensioni economica, sociale e ambientale della strategia per utilizzarne meglio le sinergie in un contesto generale di sviluppo sostenibile» (2). Tuttavia, a parere del Comitato, il prevalente orientamento verso la crescita e l'occupazione non porta automaticamente a un miglioramento della situazione sociale, anche se una crescita maggiore è un presupposto fondamentale per la lotta alla disoccupazione e per il miglioramento della situazione sociale. La politica sociale va considerata, piuttosto, un fattore produttivo che, a sua volta, influisce in modo positivo sulla crescita e l'occupazione. In tale contesto, l'Agenda sociale «contribuisce alla realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona rafforzando il modello sociale europeo basato sulla ricerca della piena occupazione e una maggiore coesione sociale» (3).

1.3

«Il modello sociale europeo si basa su buoni risultati economici, elevato livello di protezione sociale, istruzione e dialogo sociale» (4). Esso è fondato sui valori fondamentali della democrazia, della libertà e della giustizia sociale, che sono comuni a tutti gli Stati membri. Questa adesione all'economia sociale di mercato e ai summenzionati valori fondamentali è sancita per la prima volta per tutta l'Unione nella futura Costituzione europea, e in particolare nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. In tutti gli Stati membri, pur dotati, nello specifico, di un'organizzazione diversa, lo stato sociale presenta delle caratteristiche comuni che, nel loro insieme, costituiscono il modello sociale europeo. Di queste caratteristiche comuni fanno parte:

sistemi sostenibili di sicurezza sociale basati sul principio di solidarietà per l'assicurazione contro i grandi rischi della vita,

condizioni di lavoro disciplinate per legge o contratto di categoria al fine di proteggere i lavoratori e promuovere l'occupazione,

diritti di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali,

sistemi di relazioni industriali o di dialogo sociale autonomo tra le parti sociali,

servizi di interesse generale orientati al bene comune.

È compito della politica sociale europea preservare e sviluppare ulteriormente questo modello sociale mediante strumenti efficaci a livello europeo. Il contributo particolare della politica sociale consiste nella strategia europea per l'occupazione e nelle misure di coordinamento per l'integrazione sociale e la riforma dei sistemi di sicurezza sociale, nonché nella «parificazione nel progresso» delle condizioni di vita e di lavoro mediante standard sociali minimi.

1.4

Per realizzare gli obiettivi di Lisbona è necessario rafforzare la politica sociale quale politica europea a se stante, e questo deve avvenire mediante misure attive volte a:

evitare la disoccupazione e provvedere al reinserimento dei gruppi particolarmente svantaggiati,

lottare contro la povertà e l'emarginazione sociale, tenendo conto in modo particolare dei nuovi rischi di povertà (per esempio i lavoratori poveri o working poor),

lottare contro le discriminazioni di ogni tipo e ottenere pari opportunità per le donne,

approfondire lo scambio di esperienze sulle strategie di riforma nel settore della sicurezza sociale al fine di rendere compatibile il mantenimento della loro funzione sociale con la sicurezza a lungo termine della loro base di finanziamento,

applicare norme sociali minime per proteggere i lavoratori e mantenere i loro diritti di partecipazione e coinvolgimento, nonché di una rappresentanza sindacale all'interno delle imprese.

Il Comitato appoggia fermamente la nuova procedura approvata dalla Commissione, in base alla quale ogni proposta legislativa dovrà essere valutata in base al suo impatto sulla crescita e l'occupazione e alla sua compatibilità con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione.

1.5

Un contributo importante all'elaborazione della nuova Agenda sociale viene dal gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale nell'Unione europea allargata (di seguito denominato «gruppo ad alto livello»), che ha presentato la propria relazione nel maggio 2004. Il Comitato ritiene che i risultati e le proposte di tale gruppo ad alto livello andrebbero presi maggiormente in considerazione nella nuova Agenda sociale (5).

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Nella comunicazione all'esame la Commissione sottolinea anzitutto il proprio impegno a favore dell'ammodernamento e dello sviluppo del modello sociale europeo, nonché della promozione della coesione sociale quale parte integrante della strategia di Lisbona. L'Agenda sociale individua le priorità verso le quali dovrà orientarsi l'attività dell'Unione. L'attuazione dell'Agenda deve basarsi sui seguenti principi:

garantire un'interazione positiva tra la politica economica, sociale e dell'occupazione,

promuovere la qualità dell'occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali in modo da migliorare il «capitale umano e sociale»,

modernizzare i sistemi di protezione sociale adeguandoli alle attuali esigenze della società, basandosi sulla solidarietà e potenziando il loro ruolo di fattore produttivo,

tenere conto dei costi prodotti dalla mancanza di una politica sociale (6).

2.2

Partendo da questi principi, viene proposto un approccio strategico basato su due elementi:

rafforzare la fiducia dei cittadini nei cambiamenti sociali adottando un'impostazione intergenerazionale, creando partenariati a favore del cambiamento e cogliendo le occasioni offerte dalla globalizzazione,

fissare le priorità sulla base degli obiettivi strategici della Commissione per il periodo 2005-2009 nei seguenti settori: promozione dell'occupazione e gestione dei cambiamenti strutturali, società solidale e pari opportunità.

3.   Rafforzare la fiducia: le condizioni di successo

3.1

Quanto al rafforzamento della fiducia nei cambiamenti sociali, vengono annunciate tre misure concrete:

il Libro verde sui cambiamenti demografici e il contributo all'iniziativa europea per i giovani,

un partenariato per il cambiamento mediante l'organizzazione di un forum annuale per valutare l'Agenda sociale,

l'integrazione del modello sociale europeo nei contesti di lavoro internazionali e l'impegno a favore di un concetto di mondo del lavoro rispettoso della dignità umana a livello mondiale.

3.2

Anche il Comitato reputa necessario aumentare la fiducia dei cittadini nell'unificazione europea e nello sviluppo della società nel suo complesso. Questo, però, sarà possibile solo se la politica europea porterà a un effettivo miglioramento della situazione sociale delle persone. Il Comitato reputa necessaria anche un'analisi rigorosa delle conseguenze sociali dei cambiamenti demografici e si compiace della pubblicazione del già annunciato Libro verde, (7) che consentirà un ampio dibattito europeo. Nello spirito di un'impostazione intergenerazionale, un'attenzione particolare meritano le conseguenze per le giovani generazioni. Non è chiaro, però, cosa la Commissione, nella proposta all'esame, intenda per contributo all'iniziativa europea per i giovani e come concepisca il proprio ruolo al riguardo. I governi di Francia, Germania, Spagna e Svezia hanno recentemente presentato al Consiglio europeo un documento comune su un patto europeo per la gioventù che propone misure da attuare nel settore dell'occupazione e dell'integrazione sociale, dell'istruzione e della formazione professionale, della mobilità e degli scambi tra giovani, e che è stato adottato dal Consiglio europeo di primavera (8).

La proposta fa esplicito riferimento anche al già citato Libro verde sui cambiamenti demografici. Il Comitato si duole che la Commissione nella propria comunicazione (9) non si soffermi più a lungo su questa proposta dei governi.

3.3

Il Comitato ritiene opportuna, in linea generale, l'organizzazione di un forum annuale per valutare l'attuazione dell'Agenda sociale. A suo giudizio, tale forum dovrebbe analizzare le prospettive del modello sociale europeo e coinvolgere tutti i gruppi sociali direttamente interessati, e andrebbe concepito in modo tale da consentire un dibattito tra i partecipanti.

3.4

Il Comitato sostiene ad oltranza l'intenzione della Commissione di integrare attivamente i vantaggi del modello sociale europeo nei contesti di lavoro internazionali e di adoperarsi a livello mondiale a favore di condizioni di lavoro dignitose, conformemente alle norme dell'OIL. In questo caso l'Unione può essere credibile solo se preserva e sviluppa ulteriormente il modello sociale europeo anche in un quadro economico generale diverso e se si impegna in modo convincente affinché il progresso economico e quello sociale procedano di pari passo. In tale contesto essa dovrebbe altresì fare riferimento in modo esplicito alla Carta sociale europea riveduta e alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione.

4.   Occupazione e qualità del lavoro, gestione dei cambiamenti strutturali

4.1   Strategia europea per l'occupazione

4.1.1

Quanto alla strategia europea per l'occupazione, la Commissione annuncia che nel 2005 si adotterà un nuovo orientamento improntato alle priorità individuate nella relazione presentata nel 2003 dalla commissione KOK sull'occupazione: promuovere l'adattabilità, migliorare l'integrazione nel mercato del lavoro, aumentare gli investimenti nelle risorse umane, controllare in modo più efficace la fase di attuazione. Questo dovrà avvenire in collegamento con gli indirizzi di massima per le politiche economiche. Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che il gruppo ad alto livello ha presentato proposte concrete per le priorità da adottare nel quadro dei nuovi orientamenti per l'occupazione. In base a tali proposte, gli orientamenti dovrebbero concentrarsi su un'integrazione precoce e migliore dei giovani nel mercato del lavoro, sulla creazione di passerelle tra mondo della scuola e del lavoro, nonché sull'integrazione delle donne e dei lavoratori anziani. Un'altra priorità, sempre secondo il gruppo ad alto livello, dovrebbe essere la promozione della qualità del lavoro tramite misure relative all'organizzazione del lavoro e alla protezione della salute e della sicurezza sul lavoro, il che faciliterà al tempo stesso l'integrazione delle persone più anziane. Anche nel campo dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita il gruppo ad alto livello ha presentato diverse misure da integrare negli orientamenti per l'occupazione. La gestione delle conseguenze sociali dei cambiamenti strutturali e il sostegno fornito al riguardo, soprattutto nei nuovi Stati membri, dovranno anch'essi avere un'importanza maggiore in tali orientamenti. Negli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione presentati nel frattempo, queste proposte vengono riprese solo in parte (10).

Il Comitato ritiene necessario attribuire maggior rilievo alla qualità dell'occupazione nell'ambito della ridefinizione degli orientamenti in materia di occupazione, evitando così il fenomeno dei lavoratori poveri.

4.1.2

Il ruolo del Fondo sociale europeo (FSE) a sostegno della strategia europea per l'occupazione viene menzionato solo nel contesto del miglioramento dei meccanismi di gestione dell'attuazione della strategia; a tale proposito viene anche annunciata una strategia di comunicazione. Il Comitato critica il fatto che la Commissione non faccia cenno alla funzione del FSE in quanto importante strumento di promozione delle risorse umane e delle misure di formazione e perfezionamento professionale collegate al mercato del lavoro. A giudizio del Comitato questa importante funzione del FSE a sostegno della formazione continua non risulta sufficientemente chiara. Eppure la competenza e le qualifiche sono un vantaggio competitivo essenziale per l'Unione (11).

4.1.3

Il Comitato giudica in modo sostanzialmente positivo le osservazioni formulate nell'Agenda sociale in merito all'accompagnamento dei cambiamenti strutturali in campo economico, che evidentemente si ispirano alle proposte del gruppo ad alto livello. Sorprende però che la Commissione non si soffermi sulle conseguenze sociali delle ristrutturazioni di imprese. Eppure si tratta proprio di definire strategie per far fronte a tali conseguenze, e di strutturarle in modo da consentire il giusto equilibrio tra considerazioni economiche e interessi dei lavoratori. La Commissione propone essenzialmente procedure e strumenti, come ad esempio l'istituzione di un forum ad alto livello di tutti gli attori e le parti interessate per accompagnare le ristrutturazioni aziendali, senza però specificare la composizione di una tale piattaforma, né tanto meno i suoi obiettivi e i suoi contenuti. Parimenti, la Commissione non fa riferimento neanche all'importanza dei diritti dei lavoratori o alla legislazione sociale europea per far fronte alle conseguenze sociali dei cambiamenti strutturali. Il Comitato reputa tuttavia che le direttive relative rispettivamente alla tutela in caso di licenziamenti collettivi e di trasferimenti di imprese, all'informazione e alla consultazione dei lavoratori, nonché ai comitati aziendali europei siano strumenti importanti per far fronte alle conseguenze sociali dei cambiamenti strutturali con la partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali.

4.1.4

Il Comitato si compiace che sia stata avviata la seconda fase di consultazione delle parti sociali europee sulla questione delle ristrutturazioni e sulla revisione della direttiva relativa ai comitati aziendali europei. Reputa tuttavia che queste due tematiche andrebbero affrontate separatamente. A prescindere dall'importante ruolo che i comitati aziendali europei svolgono nelle ristrutturazioni, la revisione della direttiva europea sui comitati aziendali è comunque attesa da tempo. Il Comitato ha già affrontato l'argomento e ha affermato che «questo (…) strumento (…) ha fortemente contribuito a sviluppare la dimensione europea delle relazioni industriali» (12).

4.1.5

Il Comitato è favorevole anche all'intenzione di creare maggiori sinergie tra le misure politiche e gli strumenti finanziari per la loro attuazione, e in particolare il FSE. Non è chiaro però cosa la Commissione voglia dire esattamente con questo, né cosa intenda quando parla di «potenziamento del legame tra la strategia europea a favore dell'occupazione e l'evoluzione dei quadri normativi e contrattuali».

4.2   Una nuova dinamica delle relazioni industriali

4.2.1

La Commissione vuole imprimere una nuova dinamica all'evoluzione delle relazioni industriali sviluppando ulteriormente la legislazione sociale, rafforzando il dialogo sociale e promovendo la responsabilità sociale delle imprese. In tale contesto essa intende presentare un Libro verde sull'evoluzione del diritto del lavoro, in cui verranno analizzati le attuali tendenze in materia di sviluppo dei rapporti di lavoro e il ruolo del diritto del lavoro nella creazione di un contesto sicuro e nell'adeguamento agli eventi più recenti. Secondo la Commissione, il dibattito sul Libro verde potrà condurre a un ammodernamento e a una semplificazione delle norme vigenti. Il Comitato ritiene opportuna l'elaborazione del Libro verde, ma reputa prematuro anticipare, anche solo per accenni, le possibili conclusioni di un tale dibattito. Il Comitato è fondamentalmente convinto che la revisione del diritto del lavoro — nella quale vanno coinvolte le parti sociali — debba essere guidata dalle disposizioni del Trattato, secondo le quali le prescrizioni minime devono portare alla «parificazione nel progresso» delle condizioni di vita e di lavoro (cfr. art. 136 del Trattato CE).

4.2.2

La Commissione annuncia inoltre che nel 2005 intende presentare un'iniziativa in merito alla tutela dei dati personali dei lavoratori, rivedere la direttiva sui trasferimenti di imprese e quella sui licenziamenti collettivi e codificare numerose disposizioni legislative in materia di informazione e consultazione dei lavoratori. Il Comitato ricorda che è arrivato il momento di realizzare tali iniziative. La revisione delle direttive, conformemente a quanto previsto dall'articolo 136 del Trattato CE, dovrebbe avere come obiettivo «la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso».

Quanto alla codifica delle norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, il Comitato reputa che il parametro dovrebbe essere costituito dal livello dei diritti di partecipazione previsto nella direttiva sulla società europea.

4.2.3

Il Comitato condivide le proposte presentate dalla Commissione nel settore della salute e della sicurezza sul posto di lavoro, e soprattutto il rilievo dato al concetto di prevenzione nel quadro delle iniziative annunciate. La comunicazione sulla nuova strategia in materia di protezione della salute e della sicurezza sul lavoro per il periodo 2007-2012 dovrebbe soprattutto analizzare anche i nuovi rischi per la salute, prevedere la tutela di categorie di lavoratori finora non coperte e affrontare la questione di come migliorare e sostenere, in particolare nei nuovi Stati membri, l'attuazione delle norme vigenti in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

4.2.4

Il Comitato si compiace anche dell'intenzione della Commissione di promuovere ulteriormente il dialogo sociale sia a livello interprofessionale che settoriale, e appoggia in particolare la decisione di fornire alle parti sociali europee un maggiore sostegno logistico e tecnico. A giudizio del Comitato questo è particolarmente necessario soprattutto nei nuovi Stati membri, in quanto le loro strutture di dialogo sociale sono, in molti casi, poco sviluppate e ancora in corso di realizzazione. Il dialogo sociale bilaterale tra le parti sociali europee è un elemento fondamentale del modello sociale europeo. Il ruolo particolare di tale dialogo consiste nella legittimazione e nella rappresentatività delle parti sociali, nonché nella loro facoltà di concludere accordi vincolanti a livello europeo, come esse hanno affermato nella loro dichiarazione congiunta per il vertice di Laeken (13). Altrettanto importante è il dialogo con la società civile, che trova espressione soprattutto nella consultazione del CESE quale forum della società civile organizzata (14). Proprio nei nuovi Stati membri sia il dialogo civile che lo sviluppo di relazioni industriali stabili tra le parti sociali hanno bisogno del sostegno della Commissione.

4.2.5

La Commissione intende presentare ulteriori iniziative nel campo della responsabilità sociale delle imprese allo scopo di promuovere l'elaborazione di principi in materia. Il Comitato ritiene che i numerosi buoni esempi relativi a codici di condotta e ad altre misure volontarie adottate dalle imprese ai fini dell' assunzione della loro responsabilità sociale e presentati al forum delle parti interessate costituiscano una buona base in questo senso. In tale contesto andrebbero contemplate anche iniziative in materia di apprendimento lungo tutto l'arco della vita. Il Comitato appoggia pertanto gli sforzi della Commissione volti ad adottare iniziative che promuovano lo sviluppo dei principi della responsabilità sociale da parte delle imprese a livello europeo, nonché la loro trasparenza.

4.3   Il mercato europeo del lavoro

4.3.1

La Commissione intende presentare diverse iniziative per eliminare gli attuali ostacoli alla mobilità transfrontaliera e promuovere la creazione di un vero e proprio mercato europeo del lavoro. Una di tali iniziative consiste nella proposta di direttiva sulla trasferibilità dei diritti acquisiti nel quadro dei regimi pensionistici aziendali. A parere del Comitato è necessario presentare senza indugio questa proposta di direttiva visto che, a causa delle posizioni divergenti in merito alla portata di una tale regolamentazione, non sono stati avviati negoziati tra le parti sociali.

4.3.2

Un'altra proposta della Commissione riguarda la creazione di un quadro facoltativo per la contrattazione collettiva transnazionale a livello aziendale o settoriale. Secondo la Commissione un siffatto quadro potrebbe essere utilizzato per risolvere a livello transfrontaliero questioni relative all'organizzazione del lavoro, all'occupazione, alle condizioni di lavoro e al perfezionamento professionale, in base a un partenariato a favore del cambiamento. «Facoltativo» significa che spetta alle parti sociali decidere se avvalersi o no di un tale quadro normativo.

L'esperienza dei comitati aziendali europei mostra che le parti sociali, in molti casi, non solo hanno utilizzato il loro diritto ad essere informate e consultate, ma hanno anche stipulato, su base volontaria, accordi relativi ad alcuni dei temi citati. Anche nel dialogo sociale a livello settoriale sono riscontrabili esattamente gli stessi esempi di accordi. Il Comitato è favorevole all'obiettivo, che traspare da questa iniziativa, di promuovere il dialogo sociale a livello aziendale e settoriale tenendo conto, più di quanto non sia avvenuto finora, del fatto che le imprese operano a livello transfrontaliero e gli accordi volontari hanno quindi un'importanza transfrontaliera.

Il Comitato raccomanda alla Commissione di discutere quanto prima possibile la sua proposta di una siffatta normativa quadro con le parti sociali europee, di chiedere la loro posizione in merito e di tenerne conto.

4.3.3

Come spiega la Commissione, la libera circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali in Europa. Pertanto, anche secondo il Comitato, gli strumenti esistenti, come la rete EURES e il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale dei lavoratori migranti, vanno continuamente migliorati. Il Comitato reputa quindi opportuna la proposta della Commissione di istituire, già nel 2005, un gruppo ad alto livello che si occupi dell'impatto dell'allargamento dell'Unione sulla mobilità e sul funzionamento dei periodi transitori, e di presentare una relazione in merito nel 2006. Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che le parti sociali e le organizzazioni non governative (ONG) hanno maturato una profonda esperienza in questo settore. Esorta pertanto la Commissione a inserire nel gruppo ad alto livello rappresentanti delle parti sociali e delle ONG.

5.   Una società più solidale: pari opportunità per tutti

5.1

Nel quadro di questa seconda priorità tematica la Commissione si sofferma sul rafforzamento dello scambio di esperienze sulla riforma dei sistemi di sicurezza sociale, sulle politiche in materia di lotta contro la povertà, l'emarginazione sociale e la discriminazione, nonché sul ruolo dei servizi sociali.

5.2

La Commissione ribadisce la sua proposta di razionalizzare e semplificare il coordinamento in materia di inclusione sociale, pensioni e sanità. Il Comitato ha già affrontato questo argomento in un precedente parere (15). In questo contesto ricorda che, a suo giudizio, il ricorso al metodo aperto di coordinamento deve tener conto delle particolarità dei singoli settori. In particolare, reputa che l'applicazione, già molto avanzata, del metodo aperto di coordinamento nel campo dell'integrazione sociale vada portata avanti mediante piani d'azione nazionali e relazioni con cadenza biennale. Secondo il Comitato questo è particolarmente importante anche perché, nonostante gli sforzi comuni, non si è riusciti a ridurre in modo significativo la povertà. Circa il 15 % della popolazione totale dell'Unione è povera, con punte superiori al 20 % in taluni Stati membri. Uno dei motivi determinanti è la disoccupazione, e in tale contesto le famiglie con molti figli e quelle monoparentali sono particolarmente colpite (16). Anche l'occupazione, però, non protegge dalla povertà, come dimostra il crescente numero di lavoratori poveri (17). Pertanto, sono necessari maggiori sforzi per combattere la povertà e l'esclusione sociale.

5.3

A questo proposito la Commissione vuole proseguire il dibattito sui dispositivi nazionali di reddito minimo e intende avviare una consultazione in merito nel corso del 2005. Il Comitato si chiede in quali sedi si sia svolto tale dibattito e chi vi abbia partecipato. A suo parere spetta agli Stati membri fornire assistenza sociale a ciascun cittadino, in caso di bisogno, sotto forma di un reddito minimo che consenta un'esistenza dignitosa. Da quanto affermato dalla Commissione non è chiara la ragione per cui questo dibattito sui redditi minimi nazionali vada condotto a livello europeo. Il Comitato vorrebbe sollevare anche la questione dell'eventuale opportunità di anticipare a prima del 2010, data l'urgenza dei problemi, l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

5.4

Il Comitato appoggia le misure adottate dalla Commissione in materia di parità di trattamento tra uomini e donne e di lotta contro la discriminazione in generale. La Commissione annuncia che nel 2005 presenterà una nuova comunicazione in cui intende illustrare la propria strategia politica e valutare l'opportunità di adottare iniziative volte a completare il quadro giuridico esistente.

Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che in molti Stati membri le direttive sul divieto di discriminazione sono state appena recepite negli ordinamenti nazionali o la loro attuazione è tuttora in corso. Reputa quindi che sarebbe opportuno presentare una relazione sullo stato del recepimento di tali direttive e, su questa base, proporre ulteriori misure politiche.

Il Comitato approva le misure annunciate in materia di parità tra donne e uomini, e soprattutto la creazione di un istituto europeo per l'uguaglianza di genere e l'aggiornamento del piano d'azione sulle pari opportunità per i disabili.

5.5

Nel 2005 la Commissione intende altresì presentare una comunicazione sull'importanza dei servizi sociali. Il Comitato è favorevole a questo progetto, soprattutto perché immagina che la comunicazione si ripercuoterà sul controverso dibattito in merito alla direttiva sui servizi nel mercato interno e contribuirà a fornire chiarimenti. Nel Libro bianco sui servizi di interesse generale, la Commissione ha già evidenziato le particolarità dei servizi sociali, che consistono soprattutto nella loro funzione di interesse pubblico e nel fatto che sono orientati alle persone. I servizi sociali, siano essi forniti dal settore pubblico o da quello privato, sono profondamente diversi da altri servizi offerti nel mercato interno in quanto si basano sul principio di solidarietà, sono concepiti per soddisfare le esigenze dei singoli individui e, attuando il diritto fondamentale alla protezione sociale, contribuiscono alla coesione sociale di una determinata società. Il Comitato reputa pertanto che i servizi sociali, in particolare quelli sanitari, vadano fondamentalmente trattati in modo diverso dai servizi di tipo puramente commerciale.

5.6

Il Comitato deplora che la Commissione non si soffermi sull'importanza che i servizi sociali senza scopo di lucro hanno per l'occupazione e la coesione sociale. Il Comitato ha già affrontato questo argomento nel suo parere sulla revisione intermedia dell'agenda per la politica sociale, spiegando che «il contributo dei servizi sociali senza scopo di lucro, in termini di occupazione e di impatto sociale, è sempre più riconosciuto e valorizzato, con risultati significativi in termini di promozione e tutela dei diritti delle persone svantaggiate, in corrispondenza di bisogni educativi, di assistenza sociale, di assistenza sanitaria, di sostegno alle politiche di inclusione e di riduzione delle disuguaglianze sociali. Le organizzazioni non profit contribuiscono a riconoscere ed esplicitare la domanda sociale emergente, soprattutto dalle fasce più svantaggiate della popolazione; investono per ripristinare i tessuti sociali compromessi e bisognosi di rigenerare legami positivi; mobilitano la solidarietà civile e la partecipazione sociale quale premessa necessaria per favorire la vita democratica anche nelle aree più svantaggiate» (18).

6.   Conclusioni

6.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore la comunicazione della Commissione europea sull'Agenda sociale e ritiene che essa contribuisca a mettere in risalto l'importanza della politica sociale per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. Reputa tuttavia che, nonostante il suo approccio strategico, essa non soddisfi in tutto e per tutto le particolari aspettative formulate nel contesto della revisione intermedia della strategia di Lisbona. Mentre la Commissione, nella precedente agenda sociale, si era fatta guidare ancora dal ruolo della politica sociale quale fattore produttivo, nella nuova proposta non è più esplicitamente così. Il Comitato è dell'avviso che la politica sociale non debba essere subordinata alla politica economica, ma collocarsi al contrario al medesimo livello. La promozione della coesione sociale e la costruzione di uno Stato sociale attivo fanno parte degli obiettivi della strategia di Lisbona (così come è stata adottata al vertice europeo del marzo 2000) tanto quanto il miglioramento della competitività e la promozione di una crescita economica sostenibile. Un elevato livello di protezione sociale è uno degli elementi centrali del modello sociale europeo e contribuisce in modo decisivo alla coesione sociale.

6.2

Diversamente dalla posizione espressa a più riprese, secondo la quale le spese sociali elevate ostacolerebbero gli obiettivi di politica economica, i dati empirici raccolti in diversi paesi europei dimostrano il contrario, un aspetto questo evidenziato dal gruppo ad alto livello nella sua relazione. Secondo uno studio del 2004 del Centro di politica europea, la Svezia, la Danimarca, l'Austria, il Lussemburgo e i Paesi Bassi presentano sia prestazioni economiche relativamente buone che un elevato livello di protezione sociale. Inoltre, i paesi che nella classifica internazionale del Forum economico mondiale si collocano ai posti migliori in termini di competitività, investono anche molto nella politica sociale e nei sistemi di sicurezza sociale e, al tempo stesso, hanno tassi di occupazione elevati e un basso tasso di povertà dopo i trasferimenti sociali (19).

6.3

Il Comitato rileva criticamente che la nuova Agenda sociale contiene meno misure concrete di quelle precedenti. Questo rende difficile una valutazione in quanto non è sempre evidente in quale direzione politica vadano le proposte. Ciò vale soprattutto per la legislazione sociale, in merito alla quale la Commissione si limita alla revisione di direttive già in vigore e, praticamente, non presenta proposte nuove. Il Comitato si aspetta quindi che il quadro strategico venga integrato con misure concrete. Reputa inoltre che la nuova Agenda sociale vada accompagnata da un programma di azione per i prossimi cinque anni. In tale contesto ci si dovrebbe orientare verso i diritti sociali fondamentali sanciti dalla futura Costituzione dell'Unione. Partendo da questa base, il programma di azione sociale dovrebbe contenere sia proposte di revisione di direttive in vigore, sia proposte di nuove direttive e, al tempo stesso, dovrebbe contemplare anche i dibattiti e le misure di coordinamento in programma ai fini dell'ulteriore sviluppo della politica sociale europea. Secondo il Comitato, proprio nel quadro della revisione intermedia della strategia di Lisbona, l'importante è rendere visibile la politica sociale europea e il suo ruolo produttivo a favore della crescita e dell'occupazione.

6.4

In questo contesto il Comitato desidera affrontare anche la questione del finanziamento della politica sociale: sebbene la Commissione, già in occasione della presentazione delle prospettive finanziarie, abbia richiamato l'attenzione sul fatto che il futuro bilancio dell'Unione, come struttura e dotazione finanziaria, deve rispecchiare e promuovere la strategia di Lisbona, c'è da temere che la proposta all'esame non sia all'altezza di questa aspirazione.

6.5

Nella pertinente sottorubrica delle prospettive finanziarie (Competitività per la crescita e l'occupazione) (20) si registra un aumento, ma esso riguarda soprattutto le misure relative alla competitività e alle iniziative imprenditoriali. Il confronto con le attuali spese in campo sociale e occupazionale mostra però che nella futura politica sociale non è previsto un vero aumento. In questo settore la Commissione propone sostanzialmente un bilancio invariato.

6.6

A questo proposito il Comitato ha già affermato chiaramente, tra l'altro nel proprio parere sul programma quadro Progress (21), di non capire questo obbligo di «neutralità di bilancio» nei riguardi dell'occupazione e della politica sociale, soprattutto di fronte al deludente bilancio intermedio della strategia di Lisbona. Chiede pertanto di aumentare anche le risorse previste per la politica sociale analogamente a quanto avvenuto per le altre misure attuate nel quadro della rubrica Crescita e occupazione.

Bruxelles, 21 giugno 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  «Condizioni macroeconomiche solide sono essenziali per sostenere gli sforzi a favore della crescita e dell'occupazione» (Consiglio europeo di Bruxelles del 22 e 23 marzo 2005, conclusioni della presidenza, punto 7).

(2)  Idem, punto 6.

(3)  Idem, punto 29.

(4)  Consiglio europeo di Barcellona del 15 e 16 marzo 2002, conclusioni della presidenza, punto 22.

(5)  Relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale nell'Unione europea allargata, maggio 2004.

(6)  COM(2005) 33 def. del 9.2.2005, pag. 2.

(7)  COM(2005) 94 def. del 16.3.2005.

(8)  Consiglio europeo di Bruxelles del 22 e 23 marzo 2005, conclusioni della presidenza, allegato I.

(9)  Parere CESE 253/2005, del 10.3.2005, in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma «Gioventù in azione» per il periodo 2007-2013 (relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO).

(10)  COM(2005) 141 def. del 12.4.2005.

(11)  Parere CESE 250/2005, del 9.3.2005, in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo (relatrice: ENGELEN-KEFER).

(12)  Parere CESE sul tema Applicazione concreta della direttiva sull'istituzione del comitato aziendale europeo (94/45/CE) e aspetti da sottoporre a eventuale revisione (GU C 10 del 14.1.2004, relatore: PIETTE).

(13)  CES, UNICE e CEEP: dichiarazione congiunta del 7.12.2001.

(14)  Parere CESE sul tema La governance europea - Libro bianco (GU C 125 del 27.5.2002, pag. 61, relatrice: ENGELEN-KEFER, correlatrice: PARI).

(15)  Parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Potenziare la dimensione sociale della strategia di Lisbona: razionalizzare il coordinamento aperto nel settore della protezione sociale (GU C 32 del 5.2.2004, pag. 60, relatore: BEIRNAERT).

(16)  Relazione comune sull'inclusione sociale (2004), maggio 2004.

(17)  Relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale nell'Unione europea allargata, maggio 2004.

(18)  Parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Revisione intermedia dell'agenda per la politica sociale (GU C 80 del 30.3.2004, punti 3.3.6 e 3.3.7, relatore: JAHIER).

(19)  Relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale nell'Unione europea allargata, maggio 2004, pag. 61.

(20)  COM(2004) 101 def./2 del 26.2. 2004.

(21)  Parere CESE 386/2005 del 6.4.2005 in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress (COM(2004) 488 def.).


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione «Un partenariato più forte per le regioni ultraperiferiche»

COM(2004) 343 def.

(2005/C 294/05)

La Commissione, in data 27 maggio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione Un partenariato più forte per le regioni ultraperiferiche

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LÓPEZ ALMENDÁRIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 62 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Consiglio europeo di Siviglia del giugno 2002 aveva invitato la Commissione a presentare una strategia globale e coerente relativa alle caratteristiche delle regioni ultraperiferiche e gli strumenti per farvi fronte. In risposta a tale richiesta, il 26 maggio 2004 la Commissione ha adottato una comunicazione intitolata Un partenariato più forte per le regioni ultraperiferiche  (1).

1.2

L'invito del Consiglio europeo, giunto alla vigilia dell'ampliamento dell'UE e nel contesto della crescente globalizzazione, rappresentava un'iniziativa importante per la definizione di una strategia globale a favore dello sviluppo delle regioni ultraperiferiche (RUP), basata sull'applicazione dell'articolo 299, paragrafo 2, del Trattato.

1.3

Il 29 maggio 2002, poco prima del Consiglio europeo di Siviglia, il Comitato economico e sociale europeo aveva adottato un parere d'iniziativa sul tema Una strategia per il futuro delle regioni ultraperiferiche dell'Unione europea  (2), in cui proponeva di elaborare una strategia globale a favore di dette regioni, indicandone i principi, gli obiettivi e gli strumenti disponibili e fissando un calendario per l'adozione delle relative misure.

1.4

Allo scopo di rilanciare una politica globale e coerente per le regioni ultraperiferiche, nel giugno 2003 i governi regionali e gli Stati membri interessati hanno presentato delle note in cui sottolineavano l'importanza delle caratteristiche specifiche che contraddistinguono le regioni ultraperiferiche rispetto alle altre regioni europee.

1.5

Il progetto di Trattato costituzionale ribadisce, agli articoli III-424 e IV-440, paragrafo 2, lo specifico riconoscimento giuridico delle regioni ultraperiferiche e aggiunge agli obiettivi di coesione economica e sociale un nuovo obiettivo di coesione territoriale.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

La Commissione europea propone un partenariato rafforzato con le regioni ultraperiferiche dell'Unione. La nuova strategia si inscrive nel quadro della riforma della politica europea di coesione per il periodo 2007-2013 e contempla tre assi prioritari:

competitività: migliorare la competitività delle RUP mediante la creazione e lo sviluppo di condizioni economiche favorevoli all'insediamento delle imprese,

accessibilità: rafforzare gli sforzi di coesione a vantaggio delle regioni ultraperiferiche per ridurre le difficoltà connesse alla lontananza, quali la frammentazione in arcipelaghi o l'isolamento in regioni poco accessibili. La riduzione di tali svantaggi e dei costi supplementari di produzione delle regioni ultraperiferiche rappresenta infatti una delle principali priorità dell'azione dell'Unione a favore di tali regioni,

inserimento regionale: le regioni ultraperiferiche e i paesi terzi limitrofi condividono lo stesso contesto regionale, il che rappresenta una condizione favorevole allo sviluppo degli scambi di beni e servizi. Per tale motivo occorre promuovere l'inserimento delle RUP nell'ambiente geografico circostante.

2.2

La Commissione indica due risposte specifiche per consentire alle regioni ultraperiferiche di sviluppare tutte le loro potenzialità:

il programma specifico di compensazione degli svantaggi. Finanziato dal FESR per il periodo 2007-2013, esso è destinato a ridurre gli svantaggi specifici che gravano sull'economia delle regioni ultraperiferiche e che sono elencati all'articolo 299, paragrafo 2, del Trattato CE: grande distanza, insularità, superficie ridotta, topografia e clima difficili, dipendenza economica da un numero limitato di prodotti,

il piano d'azione Grande vicinato si prefigge di ampliare la naturale sfera di influenza socioeconomica (anche per trattare i problemi legati ai flussi migratori) e culturale delle regioni ultraperiferiche. Si tratta di ridurre le barriere che limitano le possibilità di scambi con il centro geografico di tali regioni, le quali sono molto distanti dall'Europa continentale ma assai vicine ai mercati geografici di Caraibi, America e Africa. Il piano d'azione «Grande vicinato» prevede misure non soltanto in materia commerciale e doganale, ma anche nell'ambito della cooperazione transnazionale e transfrontaliera.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato è lieto che il progetto di Trattato costituzionale abbia ribadito, agli articoli III-424 e IV-440, paragrafo 2, il riconoscimento specifico delle RUP al massimo livello legislativo, sottolineando così il carattere eccezionale delle regioni ultraperiferiche e fornendo mezzi legislativi e regolamentari tali da poter servire come strumenti orizzontali per la modulazione delle politiche comuni in tali regioni.

3.2

Il Comitato esprime inoltre soddisfazione per la capacità dell'Unione di rispondere alle specifiche necessità regionali, riconoscendo in particolare le caratteristiche delle regioni ultraperiferiche all'interno dell'Unione e la loro differenza rispetto ad altri territori caratterizzati da svantaggi geografici o demografici.

3.3

Il Comitato si compiace che la Commissione europea abbia accolto favorevolmente la sua raccomandazione, formulata nel parere Una strategia per il futuro delle regioni ultraperiferiche dell'Unione europea, di potenziare il gruppo interservizi RUP dotandolo di maggiori risorse umane, attraverso la creazione di un'unità specifica all'interno della DG REGIO, e spera che la funzione di coordinamento tra i diversi servizi non incontri ostacoli.

3.4

Il Comitato accoglie con soddisfazione il riconoscimento, da parte della Commissione, del fatto che lo status speciale delle regioni ultraperiferiche si fonda sui principi di uguaglianza e di proporzionalità. Ciò consente un trattamento differenziato di dette regioni in funzione della loro situazione particolare, affinché i cittadini delle regioni ultraperiferiche possano fruire delle stesse opportunità concesse agli altri cittadini dell'Unione.

3.5

Il Comitato nota inoltre con favore la constatazione della Commissione secondo cui l'insieme di svantaggi permanenti di cui soffrono le regioni ultraperiferiche è causa di costi aggiuntivi in materia di approvvigionamento di energia e soprattutto di prodotti agricoli destinati al consumo locale. Tali costi sono imputabili, tra le altre cose, alle seguenti difficoltà:

dimensioni limitate dei mercati,

lontananza dai mercati principali,

mancanza di economie di scala al livello della produzione e necessità per le imprese di disporre di giacenze consistenti,

durata limitata di ammortamento dei beni, il che implica l'esigenza di assoggettare gli impianti a norme di sicurezza più severe o di sostituirli più frequentemente (difficoltà legate al clima e alla topografia),

problemi di sovradimensionamento degli strumenti di produzione legati all'organizzazione tecnologica della produzione e della distribuzione,

mancanza di manodopera qualificata dovuta all'esiguità del mercato del lavoro e alle difficoltà di accesso al mercato del lavoro continentale,

costi aggiuntivi dell'approvvigionamento di energia e dei prodotti agricoli destinati al consumo locale,

mancanza di accesso ai collegamenti ad alta velocità e alle reti di telecomunicazioni, e costi aggiuntivi dei servizi di comunicazione elettronica,

problemi nell'organizzare la promozione delle produzioni locali al di fuori della regione,

ostacoli legati all'osservanza delle norme ambientali,

doppia insularità, vale a dire la frammentazione territoriale di alcune RUP, che a loro volta si compongono di diverse isole.

3.6

Il Comitato concorda con la Commissione quando afferma che occorre inserire le regioni ultraperiferiche nelle strategie di Lisbona e Göteborg al fine di potenziare l'occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale. Raccomanda pertanto di sfruttarne le potenzialità nell'ambito della società della conoscenza.

3.7

Il Comitato ritiene che il settore del turismo fornisca, grazie al suo dinamismo, un importante valore aggiunto che contribuisce a rafforzare la competitività delle regioni ultraperiferiche sul piano economico. Non bisogna tuttavia favorire uno sviluppo esagerato di detto settore, in quanto ciò potrebbe determinare squilibri o effetti negativi sulla sostenibilità ambientale di queste regioni.

4.   Osservazioni specifiche sulla comunicazione della Commissione

4.1

Il Comitato approva che la Commissione abbia ripreso nella comunicazione alcune delle raccomandazioni formulate nel precedente parere d'iniziativa, (3) pur rammaricandosi che altre osservazioni non siano state prese in considerazione.

4.2

Il Comitato desidera sottolineare che la posizione comune delle regioni ultraperiferiche e dei relativi Stati circa l'inserimento di tali regioni nella futura politica di coesione proponeva l'ammissibilità automatica all'ex obiettivo 1 (l'attuale obiettivo «Convergenza») quale sistema migliore per far fronte alla loro situazione specifica, garantendo in tal modo l'uniformità di trattamento di dette regioni e le risorse finanziarie necessarie per far fronte ai loro svantaggi permanenti.

4.3

Il Comitato osserva che la Commissione ha optato per una proposta alternativa che prevede l'applicazione alle regioni ultraperiferiche del quadro generale della politica di coesione e al tempo stesso la creazione di due strumenti specifici: un programma per la compensazione degli svantaggi delle RUP e il piano d'azione «Grande vicinato».

4.4

Il Comitato nota l'assenza di un riferimento esplicito alla portata giuridica del nuovo articolo III-424 del progetto di Trattato costituzionale (4).

4.5

Si rammarica inoltre che la Commissione, nella sua strategia a favore delle zone ultraperiferiche, abbia assegnato un ruolo centrale e quasi esclusivo alla politica di coesione, trascurando di prendere in considerazione altri ambiti settoriali.

4.6

Il Comitato spera che i progressi realizzati nella definizione delle caratteristiche di tali regioni e nel riconoscimento dell'inadeguatezza di alcune politiche settoriali possano tradursi in una strategia orizzontale per le regioni ultraperiferiche, la quale tenga conto dell'esistenza di una realtà specifica e differente all'interno del territorio comunitario.

4.7

Ritiene pertanto che la scarsa attenzione attribuita al ruolo delle altre politiche comunitarie impedisca di parlare in senso stretto di una strategia globale e coerente a favore delle regioni ultraperiferiche, quale invece era stata richiesta dal Consiglio europeo di Siviglia.

4.8

Il Comitato si rammarica per questa omissione, specie nel capitolo dedicato all'agricoltura, in quanto non permette di dare risposta a numerosi problemi delle regioni ultraperiferiche che esigono una soluzione rapida.

4.9

Il Comitato deplora inoltre l'assenza di disposizioni in materia di politica dell'immigrazione atte a risolvere i problemi spinosi cui devono far fronte costantemente alcune delle regioni ultraperiferiche, e chiede che la futura politica dell'immigrazione tenga conto delle specificità delle RUP.

4.10

Il Comitato esprime riserve sull'opportunità di applicare alle regioni ultraperiferiche i criteri generali di ammissibilità stabiliti dalla politica di coesione. Ritiene infatti che le RUP non dispongano di infrastrutture di base adeguate e non presentino le condizioni di competitività necessarie per conseguire gli obiettivi di Lisbona e di Göteborg.

4.11

Il CESE osserva che la strategia proposta dalla Commissione per le regioni ultraperiferiche si basa quasi esclusivamente su due strumenti specifici: il programma per la compensazione degli svantaggi permanenti e il piano d'azione «Grande vicinato» (5).

4.12

Si compiace infine che, nel quadro del nuovo obiettivo 3 del FESR «Cooperazione territoriale europea», le RUP siano ammissibili a titolo non solo della cooperazione transnazionale ma anche di quella transfrontaliera, e ritiene tale estensione essenziale per l'integrazione di dette regioni nel rispettivo contesto geografico.

5.   Raccomandazioni

5.1

Il Comitato ritiene che la Commissione europea debba elaborare una strategia globale per le regioni ultraperiferiche mettendo a disposizione le risorse necessarie per la sua attuazione, conformemente agli impegni presi nella relazione del marzo 2000 e citati nelle conclusioni del Consiglio di Siviglia del giugno 2002. Pertanto è opportuno mettere in chiaro che l'attuale articolo 299, paragrafo 2, del Trattato, corrispondente al futuro articolo III-424 della Costituzione, è la base giuridica unica e comune di tutte le misure destinate alle regioni ultraperiferiche, sia che queste ultime presuppongano una deroga allo stesso Trattato sia che implichino modifiche o adeguamenti del diritto derivato.

5.2

Per tutti questi motivi, il Comitato ritiene necessario e opportuno formulare una serie di raccomandazioni, invitando la Commissione a:

5.2.1

prevedere la non applicazione alle regioni ultraperiferiche dei criteri generali di ammissibilità stabiliti dalla politica di coesione, in quanto soluzione più adeguata per far fronte agli svantaggi permanenti di cui queste soffrono e garantire inoltre l'uniformità di trattamento;

5.2.2

assegnare ai due strumenti specifici proposti sufficienti risorse economiche affinché possano rispondere alle esigenze e ai problemi di tutte le RUP;

5.2.3

non lesinare sforzi o risorse per dotare di contenuto il piano d'azione «Grande vicinato» mediante un coordinamento efficace e coerente con la politica di sviluppo dell'UE e, in particolare, con le disposizioni dell'Accordo di Cotonou, con i programmi MEDA (paesi della sponda meridionale del Mediterraneo e del Medio Oriente) e ALA (paesi dell'America Latina e dell'Asia) e con gli altri programmi e iniziative comunitarie che saranno intrapresi in futuro con altre regioni del mondo;

5.2.4

preservare gli interessi dell'intero settore comunitario delle banane in vista del futuro cambiamento di regime previsto nel quadro di detta OCM, migliorando l'attuale equilibrio del mercato affinché i produttori dei paesi meno avanzati possano accedere al mercato comunitario e a quello mondiale compatibilmente con il mantenimento del reddito dei produttori comunitari e dell'occupazione, attraverso la fissazione di un dazio adeguato e sufficientemente elevato per garantire il futuro di questo settore;

5.2.5

tener conto dell'esito dei negoziati OMC al momento di fissare il livello del dazio unico, proponendo, se necessario, misure atte a garantire l'occupazione e il reddito dei produttori comunitari di banane. Tali misure potrebbero consistere in un miglioramento dei meccanismi previsti dal sistema di sostegno interno;

5.2.6

tener conto, nell'ambito della modifica dei programmi POSEI in campo agricolo, delle potenzialità di tali strumenti, che non sono state pienamente utilizzate perché ancora troppo recenti. Sarà opportuno pertanto rispettare i massimali stabiliti assegnando a questi programmi risorse economiche sufficienti per raggiungere gli obiettivi prefissati;

5.2.7

soddisfare le esigenze specifiche delle regioni ultraperiferiche nel quadro della politica di sviluppo rurale attraverso: l'eliminazione di disposizioni volte a limitare o a impedire l'accesso agli aiuti strutturali; la compensazione dei costi aggiuntivi sostenuti da produttori o allevatori; la fissazione di livelli di intensità degli aiuti compatibili con le necessità di dette regioni; l'estensione della copertura comunitaria a misure di accompagnamento. Questo concerne in particolare i seguenti settori: sistemi produttivi specifici (promozione di un'adeguata meccanizzazione), sistemi assicurativi in campo agricolo, promozione dell'associazionismo, programmi di lotta contro gli organismi dannosi;

5.2.8

adottare nuove misure che favoriscano la competitività di prodotti agricoli quali il pomodoro o altri frutti, piante e fiori, costretti a concorrere sugli stessi mercati con prodotti simili provenienti da altri paesi che hanno sottoscritto accordi di associazione con l'UE (ad esempio il Marocco) o che beneficiano di regimi preferenziali (ad esempio gli Stati ACP);

5.2.9

adottare le misure necessarie per mantenere — nel quadro sia del Fondo di sviluppo rurale sia del futuro Fondo europeo della pesca — la dotazione di fondi e l'intensità degli aiuti attualmente previste per tutte le regioni ultraperiferiche;

5.2.10

rafforzare il ruolo del Fondo sociale europeo nelle RUP al fine di promuovere, in particolare, la riduzione del tasso di disoccupazione, particolarmente elevato nella maggior parte di queste regioni, e le pari opportunità dei loro cittadini rispetto a quelli delle altre regioni dell'Unione;

5.2.11

appoggiare la creazione, e se necessario il rafforzamento, di consigli economici e sociali, al fine di conoscere più a fondo il parere degli attori economici e sociali e delle organizzazioni della società civile in generale;

5.2.12

rivedere le sue proposte in materia di aiuti di Stato tenendo conto delle disposizioni del Trattato costituzionale e mantenere, anzi intensificare, il trattamento specifico delle regioni ultraperiferiche per quanto riguarda gli aiuti di Stato nei settori agricolo, della pesca e del trasporto di merci;

5.2.13

definire misure adeguate per includere debitamente le RUP in tutti gli strumenti della politica comune dei trasporti suscettibili di avere ripercussioni sul loro sviluppo e per tenere conto delle specificità di dette regioni nell'ambito della regolamentazione comunitaria relativa agli obblighi di pubblico servizio, garantendo livelli di qualità e di prezzi conformi alle necessità della loro popolazione;

5.2.14

completare e migliorare le regole di concorrenza nell'ambito dei trasporti marittimi e aerei per quanto concerne le regioni ultraperiferiche, in particolare quelle che soffrono di una «doppia insularità»;

5.2.15

dare un vero e proprio contenuto ai riferimenti specifici alle RUP che figurano nella proposta della Commissione relativa al Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico, in modo da agevolare la partecipazione delle RUP alle azioni comunitarie in questo campo, in particolare nei seguenti settori: climatologia, vulcanologia, oceanografia, biodiversità e calamità naturali;

5.2.16

riconoscere la situazione particolare delle RUP nel processo di liberalizzazione del mercato interno del gas e dell'elettricità, al fine di non penalizzare i consumatori di queste regioni per quanto concerne la regolarità dei rifornimenti, la qualità dei servizi e le tariffe applicate. Ciò impone un approccio flessibile alla definizione degli obblighi di servizio pubblico e degli aiuti di Stato;

5.2.17

adottare con urgenza misure per assicurare lo sviluppo sostenibile delle regioni ultraperiferiche, in particolare in settori quali la protezione della biodiversità, la rete Natura 2000 e la gestione dei rifiuti;

5.2.18

dare prova di immaginazione al momento di stabilire meccanismi e procedure specifiche per le RUP, affinché possano anch'esse beneficiare dei vantaggi del grande mercato interno, promuovendo ad esempio l'uso di energie rinnovabili e l'accesso alle reti a banda larga;

5.2.19

garantire la continuità dei regimi fiscali differenziati a favore delle RUP, in quanto strumenti essenziali per lo sviluppo economico di tali regioni;

5.2.20

prevedere la partecipazione attiva delle regioni ultraperiferiche ai negoziati in vista degli accordi di partenariato economico (APE) con i paesi ACP, favorendo la creazione di un canale di dialogo fluido e permanente tra le autorità regionali e/o nazionali da un lato e, dall'altro, le associazioni regionali con le quali l'UE negozia gli APE, per rendere questi ultimi più efficaci, complementari e coerenti.

Bruxelles, 13 luglio 2005

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2004) 343 def.

(2)  GU C 221 del 17.9.2002, pag. 10 (relatrice: LÓPEZ ALMENDÁRIZ).

(3)  GU C 221 del 17.9.2002.

(4)  «Articolo III-424 - Tenuto conto della situazione socioeconomica strutturale della Guadalupa, della Guayana francese, della Martinica, della Riunione, delle Azzorre, di Madera e delle isole Canarie, aggravata dalla grande distanza, dall'insularità, dalla superficie ridotta, dalla topografia e dal clima difficili, dalla dipendenza economica da alcuni prodotti, fattori la cui persistenza e il cui cumulo recano grave danno al loro sviluppo, il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta leggi, leggi quadro, regolamenti e decisioni volti, in particolare, a stabilire le condizioni di applicazione della Costituzione a tali regioni, ivi comprese politiche comuni. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo.

Gli atti di cui al primo comma riguardano in particolare le politiche doganali e commerciali, la politica fiscale, le zone franche, le politiche in materia di agricoltura e di pesca, le condizioni di rifornimento di materie prime e di beni di consumo primari, gli aiuti di Stato e le condizioni di accesso ai fondi a finalità strutturale e ai programmi orizzontali dell'Unione.

Il Consiglio adotta le misure di cui al primo comma tenendo conto delle caratteristiche e dei vincoli specifici delle regioni ultraperiferiche senza compromettere l'integrità e la coerenza dell'ordinamento giuridico dell'Unione, compresi il mercato interno e le politiche comuni».

(5)  Cfr. nota 1.


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al mercato dei servizi portuali

COM(2004) 654 def. — 2004/0240 (COD)

(2005/C 294/06)

Il Consiglio, in data 2 dicembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 91 voti favorevoli, 49 voti contrari e 17 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Dopo la pubblicazione del Libro verde del 1997 sui porti e sulle infrastrutture marittime, mentre il Libro bianco sulla politica europea dei trasporti era ancora in preparazione, nella sua prima proposta di direttiva «sull'accesso al mercato dei servizi portuali» (2001), la Commissione enumerava i seguenti temi come altrettanti punti nodali del «pacchetto portuale»:

l'integrazione dei porti marittimi nella rete transeuropea di trasporti,

l'approccio organico da seguire per regolamentare l'accesso al mercato dei servizi portuali,

il finanziamento pubblico dei porti marittimi e delle infrastrutture portuali.

1.2

Tali punti venivano d'altronde ampiamente sviluppati nell'introduzione alla succitata proposta di direttiva (1) sul secondo tema chiave dell'accesso al mercato, respinta dal Parlamento in terza lettura.

1.3

Avvalendosi della sua prerogativa di unica istituzione dotata di potere d'iniziativa, la Commissione torna tuttavia sul medesimo tema con la sua nuova proposta di direttiva (2) sull'accesso al mercato dei servizi portuali, poiché ritiene suo diritto e dovere riproporre l'adozione di una normativa in materia, in applicazione del Trattato CE.

1.4

Nella sua nuova proposta, la Commissione afferma in limine che la filosofia, i principi e gli obiettivi definiti nella proposta iniziale del 2001 rimangono immutati, ma che alcuni degli emendamenti proposti sono stati presi in considerazione in quanto elementi in grado di arricchire la proposta di partenza.

1.5

Prima di esaminare la natura e la portata delle modifiche apportate alla nuova proposta di direttiva, vale la pena di ricordare alcuni dei principali ostacoli con cui si è scontrata la proposta iniziale:

è stata posta in dubbio la necessità stessa di una tale direttiva,

fin dal Libro verde del 1997 per quanto concerne il Comitato (3), ma ancora una volta con riguardo alla proposta di direttiva del 2001, si è rimproverato alla Commissione di non aver preso concretamente in considerazione la dimensione sociale nel settore portuale,

si è ritenuto che neppure le esigenze di sicurezza e di tutela dell'ambiente, nonché la nozione di servizio pubblico (art. 86 del Trattato CE), siano state tenute nella dovuta considerazione,

il pilotaggio dovrebbe essere escluso dall'ambito di applicazione della direttiva (il relatore del Parlamento aveva proposto di escluderne anche la movimentazione, senza però riscuotere su questo punto il consenso della maggioranza dei membri della commissione parlamentare),

il principio o la portata dell'autoproduzione e, in tema di movimentazione delle merci, soprattutto il rigido requisito di almeno due fornitori di servizi per porto, hanno suscitato numerose critiche e provocato persino uno sciopero europeo degli scaricatori di porto,

il termine di validità delle autorizzazioni ha formato oggetto di lunghe discussioni, al pari dell'indennità da corrispondersi dai nuovi prestatori di servizi a quelli già presenti sul mercato: si trattava di non frenare gli investimenti, anche in scadenza dell'autorizzazione, e di tutelare gli interessi economici dei prestatori di servizi,

l'apertura al maggior numero possibile di prestatori di servizi, criticata per ragioni di efficienza economica e redditività degli investimenti, in funzione della dimensione reale del mercato e di altre considerazioni, come il rispetto della strategia di sviluppo o della specializzazione dei porti.

2.   La nuova proposta di direttiva della Commissione

2.1

La proposta attuale presenta una motivazione molto articolata e numerosi considerando. La Commissione sostiene di riallacciarsi alla sua proposta iniziale del 2001, tenendo conto però della propria proposta modificata del 2002 e della posizione comune del Consiglio, nonché dei testi risultanti dalla procedura di conciliazione avviata dopo la seconda lettura in Parlamento.

2.2

I motivi addotti a sostegno di un'iniziativa europea sono essenzialmente i seguenti:

le quattro libertà fondamentali sancite dal Trattato,

le sollecitazioni ricevute al riguardo da parte del Consiglio,

il fabbisogno crescente di trasporti (cfr. Libro bianco del 2001) e la necessità di trasferire una quota più rilevante di tale aumento verso il trasporto marittimo,

l'esigenza di completare il mercato interno e la necessità di creare le condizioni per una concorrenza trasparente sia tra i porti che all'interno dei singoli porti, sulla base di regole armonizzate a livello comunitario,

la creazione di posti di lavoro nel settore e il rispetto dei diritti sociali dei lavoratori.

2.3

La filosofia e i principi fondamentali, nonché un gran numero di punti specifici, restano comunque immutati rispetto alla proposta iniziale del 2001.

2.4

In particolare, la proposta iniziale non ha subito modifiche per quanto riguarda i seguenti punti:

l'ambito di applicazione,

i criteri per il rilascio delle autorizzazioni,

il pilotaggio, considerato un servizio di natura commerciale,

l'obbligo, per l'ente gestore del porto o del sistema portuale, di tenere una contabilità trasparente (un punto, questo, che, a differenza dei precedenti, non aveva dato adito a contestazioni e ha già formato oggetto di una direttiva sulla trasparenza finanziaria e di orientamenti sugli aiuti di Stato).

2.5

Le principali novità che figurano nella nuova proposta della Commissione riguardano:

l'autoproduzione nelle operazioni su merci e passeggeri, mediante ricorso al personale di terra, ma anche, in certe condizioni, a quello di bordo,

le autorizzazioni per i prestatori di servizi e l'esercizio dell'autoproduzione diventano obbligatorie; i prestatori di servizi già in attività dovranno ottenere nuove autorizzazioni entro un «termine ragionevole», al fine di conformarsi alle disposizioni della direttiva, pur tenendo conto delle legittime aspettative dei prestatori di servizi già presenti sul mercato, al massimo dopo un anno dalla data finale prevista per l'attuazione della direttiva,

il principio generale è quello dell'accesso del maggior numero possibile di prestatori di servizi al mercato dei servizi portuali in senso lato, mentre la limitazione del loro numero costituisce l'eccezione (art. 9),

infine, il termine di validità delle autorizzazioni varia in funzione degli investimenti realizzati dai prestatori di servizi ed è conforme alle norme generali in tema di ammortamento dei beni mobili e immobili,

la questione della concorrenza tra i porti è affrontata mediante l'applicazione della direttiva sulla trasparenza finanziaria (art. 16) e degli orientamenti in materia di aiuti di Stato (art. 17).

3.   Osservazioni preliminari

3.1

Un certo numero di porti marittimi appartiene e/o è gestito da enti pubblici (comuni o altri enti territoriali, altri enti di diritto pubblico, ecc.). I gestori sono pertanto assoggettati in tutto o in parte alle norme che disciplinano la contabilità pubblica e tengono contabilità analitiche. Le pratiche e la contabilità dei diversi porti marittimi dovrebbero essere sottoposte alla sorveglianza delle autorità nazionali della concorrenza e, se del caso, delle corti dei conti regionali o nazionali e le relazioni di questi organi di controllo dovrebbero essere trasmesse alla DG Concorrenza della Commissione.

3.2

In questi ultimi anni, nella maggior parte dei nuovi e dei vecchi Stati membri si è registrata una tendenza verso la privatizzazione dei porti marittimi, molti dei quali hanno assunto la forma giuridica di società per azioni.

3.3

I porti più importanti d'Europa si affacciano sul Mare del Nord o sulla Manica. Il volume delle merci e il numero dei container movimentati variano molto a seconda della posizione geografica dei porti sui diversi mari europei. Entro l'ambito di applicazione della direttiva proposta, tale volume va da 1,5 milioni a decine, se non centinaia, di milioni di tonnellate, mentre il numero dei container arriva a diversi milioni all'anno (a Rotterdam e Anversa, per esempio). Il Comitato ritiene che l'applicazione di norme uniformi a porti marittimi diversissimi per dimensioni, attività, forme proprietarie e gestionali rischi di non essere adeguata alle situazioni e alle esigenze concrete dei porti considerati. La concorrenza tra porti è una realtà da molto tempo ormai. Andrebbero quindi tenute presenti considerazioni relative alla sussidiarietà e alla proporzionalità.

3.4

Molti porti forniscono essi stessi un certo numero di infrastrutture e servizi essenziali al traffico marittimo, e non ritengono che la loro competenza debba limitarsi alla gestione dello spazio marittimo e terrestre del porto, alla manutenzione di quest'ultimo e a quella delle relative banchine. L'offerta di determinati servizi può rispondere ad esigenze di interesse generale o anche essere funzionale, per le autorità portuali, al conseguimento di un equilibrio finanziario complessivo o anche, per gli enti portuali privati, a produrre utili da distribuire agli azionisti. Il divieto di «sovvenzioni incrociate» indebolirebbe le capacità d'investimento dei porti.

3.5

Il Comitato deplora che gli importanti sviluppi intervenuti dopo la pubblicazione del Libro verde e la presentazione del primo «pacchetto portuale» non siano stati presi in considerazione. Esso chiede pertanto alla Commissione di rivedere la sua proposta in funzione di una valutazione d'impatto che tenga conto delle realtà attuali dei porti europei e della loro innegabile competitività sul piano internazionale; il Comitato prende nota del fatto che, nel corso dell'audizione organizzata dal Comitato il 31 gennaio 2005, la Commissione ha annunciato la pubblicazione di tale documento verso la fine di giugno 2005. Esso ritiene che, in assenza di un comitato del dialogo sociale competente in materia, dovrebbero essere consultate anche le parti sociali. Il progetto dovrebbe essere modificato in profondità seguendo le normali procedure per il miglioramento normativo (in particolare partecipazione, consultazioni e valutazioni di impatto): in effetti per il secondo progetto, che seguiva molto da vicino il primo, non sono stati realizzati sufficienti studi preparatori.

3.6

Un porto costituisce una piattaforma logistica complessa, collegata a un entroterra di profondità geografica ed economica variabile, regionale, nazionale o internazionale, nonché a vie di navigazione interna, infrastrutture ferroviarie e stradali, pipeline e reti di navigazione costiera, e deve elaborare strategie legate allo sviluppo del settore geografico la cui economia serve al suo bacino d'occupazione, alle esigenze di natura economica che vi si manifestano e alla loro evoluzione. A giudizio del Comitato bisogna promuovere l'intermodalità favorendo il trasporto marittimo, in particolare il cabotaggio, ma nella formulazione attuale il dispositivo della proposta di direttiva non tiene direttamente conto di questa necessità imprescindibile.

3.7

Il ruolo dei porti commerciali, specializzati o generalisti, pubblici o privati, non si limita a fornire il supporto materiale (vie d'accesso, bacini, banchine e spazi terrestri) di una piattaforma multimodale. Alla loro funzione organizzativa, di ripartizione degli spazi, di previsione in materia di sviluppo di infrastrutture, deve anche corrispondere una remunerazione sul piano economico, ed essi devono supplire alle eventuali carenze degli operatori privati in determinati campi, onde garantire la funzionalità continua di tale piattaforma.

3.8

Occorre tenere nella dovuta considerazione i loro progetti di sviluppo e la loro specializzazione. Oltre che dallo spazio disponibile e dalle restrizioni materiali all'accesso, il numero di prestatori di servizi dovrebbe essere limitato anche per ragioni di efficienza economica e di redditività dei fornitori stessi, di sicurezza delle operazioni, di organizzazione del porto, di tutela ambientale e sociale, di conservazione dei posti di lavoro. Ciò rientra essenzialmente nell'ambito della sussidiarietà. Inoltre, un eccesso di concorrenza può condurre a una dispersione dei mezzi e delle competenze pregiudizievole agli interessi degli utenti del porto.

3.9

Il CESE riconosce che la nuova proposta della Commissione garantisce una maggiore flessibilità alle autorità portuali nella fissazione di limiti al numero di operatori per tipologia di servizio, tenendo conto della natura del porto e delle condizioni locali.

3.10

La durata delle concessioni e licenze accordate dall'autorità competente ai prestatori di servizi o degli accordi commerciali stipulati dall'autorità competente con i prestatori di servizi deve essere proporzionale alla natura e all'entità degli investimenti che i prestatori di servizi devono realizzare per dare esecuzione alle clausole di tali concessioni, licenze o contratti, in modo da consentire l'ammortamento e garantire la redditività dei capitali investiti (ad esempio 10 anni se non vi sono investimenti significativi, 15 anni in caso di investimenti significativi in attività mobiliari e formazione, e 45 anni in caso di investimenti significativi in attività immobiliari e mobiliari).

3.11

I diritti e le condizioni di attività degli operatori portuali che hanno stipulato contratti di locazione di terreni portuali o che dispongono di autorizzazioni per la fornitura di servizi portuali non dovrebbero essere perturbate dall'entrata in vigore della direttiva, in quanto un tale fatto comporterebbe l'annullamento di impegni contrattuali da parte delle autorità portuali e sarebbe tale da impegnare la responsabilità dello Stato.

3.12

Il CESE osserva tuttavia che le modifiche riguardanti la movimentazione e il pilotaggio non corrispondono alle aspettative già espresse dal Comitato stesso, da diversi Stati membri e dal Parlamento (4).

3.13

Il numero di posti di lavoro nei servizi portuali non è correlato, come afferma la Commissione, al numero dei prestatori di tali servizi, ma al traffico effettivo del porto e/o alla diversificazione dei servizi offerti. La moltiplicazione dei prestatori di servizi non moltiplicherà il numero degli occupati. Solo l'incremento del traffico portuale e la comparsa di servizi diversi da quelli tradizionali serviranno a creare nuovi posti di lavoro.

3.14

Nella maggior parte degli Stati membri, le nuove disposizioni riguardanti la movimentazione e l'autoproduzione, previste per le autostrade del mare e il cabotaggio nel mercato interno, rimetterebbero essenzialmente in discussione i contratti collettivi che, pur essendo validi sul piano della legislazione lavoristica e sociale nazionale e internazionale, potrebbero talvolta essere ritenuti non conformi al diritto comunitario della concorrenza in riferimento alla direttiva proposta. La Corte di giustizia riconosce che il rispetto dei contratti collettivi può limitare l'applicazione delle norme di concorrenza. A livello internazionale numerosi Stati membri hanno ratificato le convenzioni marittime dell'OIL sulla movimentazione portuale (5), le condizioni di lavoro e la sicurezza degli equipaggi. Il Comitato osserva che le misure previste dalla Commissione non tengono conto di tali disposizioni negoziate in un quadro tripartito.

3.15

Il Comitato ha a cuore una forte concorrenza nel mercato dei servizi la qualità, la sicurezza e la continuità della movimentazione portuale. Tuttavia, qualora per i servizi di movimentazione portuale venisse consentita l'autoproduzione, verrebbero a crearsi condizioni di concorrenza ineguali tra le imprese di movimentazione portuale già esistenti e gli operatori che praticano l'autoproduzione. Le imprese di movimentazione portuale si sono installate nei porti con la privatizzazione o mediante procedure di selezione e hanno investito nelle sovrastrutture e nelle infrastrutture. D'altra parte gli operatori che praticano l'autoproduzione possono accedere al mercato dei servizi portuali senza partecipare a procedure di selezione e senza impegni in materia di investimenti, possono utilizzare gratuitamente le infrastrutture create da altri e, a differenza delle imprese di movimentazione, svolgere la propria attività senza alcun limite temporale. I porti sono luoghi con un rischio di incidenti particolarmente elevato e, per questo motivo, sono necessari un rispetto e un controllo severo dei requisiti di protezione sul posto di lavoro. È probabile che autorizzando l'autoproduzione vi sarà un maggior numero di incidenti. Malgrado l'asserita dimensione sociale della proposta di direttiva, le sue disposizioni negherebbero di fatto le attese degli scaricatori di porto, i quali temono la perdita di posti di lavoro riconosciuti, qualificati e remunerati a tariffe negoziate, e la loro sostituzione con impieghi precari e regolati da contratti individuali e una perdita di garanzie sociali e salariali ad opera di una concorrenza imposta tra gli operatori. L'autoproduzione comporterebbe un aumento delle mansioni del personale di bordo e del rischio di incidenti sul lavoro, in un momento in cui gli equipaggi sono spesso ridotti al minimo. Ciò comporterebbe inoltre responsabilità e obblighi addizionali per i comandanti.

3.16

Il Comitato ritiene che il pilotaggio non sia assimilabile puramente e semplicemente ad un servizio di natura commerciale. Si tratta dell'applicazione di competenze tecniche complesse, di conoscenza, talvolta evolutiva, dei luoghi, impiegata per garantire la sicurezza del trasporto, della popolazione locale e dell'ambiente, in funzione dei prodotti trasportati. Si tratta quindi di un servizio di interesse generale che non ha una natura essenzialmente commerciale, pur essendo spesso dato in concessione a imprese private sotto il controllo dell'autorità portuale, e in quanto tale dovrebbe essere escluso dall'ambito di applicazione della direttiva. Ciò non impedisce ai porti di continuare a rilasciare autorizzazioni di pilotaggio ai capitani la cui esperienza e conoscenza dei luoghi sia tale da consentire loro di pilotare direttamente la nave fino alla banchina, senza bisogno di alcuna assistenza. Si deve però tener conto del fatto che molte navi trasportano sostanze pericolose per la sicurezza delle altre navi, delle installazioni e del personale operante nel porto nonché per le popolazioni che vivono nelle zone circostanti.

3.17

Il Comitato osserva che il porto è anche il luogo in cui lo Stato del porto esercita competenze sovrane, sulle quali la direttiva non deve incidere, potendo alcuni compiti (quali il contributo alla lotta contro il terrorismo, contro la criminalità organizzata e l'immigrazione clandestina, che impongono spesso spese e investimenti lasciati a carico dei porti) essere delegati all'autorità portuale.

3.18

Le nuove disposizioni in materia di autorizzazioni sono misure di evidente buon senso, benché la redazione dei capitolati d'oneri debba tener conto delle condizioni e particolarità locali; l'applicazione ai porti marittimi dei principi di trasparenza e separazione contabile è indiscutibile. Il Comitato non può che prendere atto della necessità di rispettarli, in applicazione della direttiva «trasparenza».

3.19

Nella direttiva dovrebbero essere previsti requisiti concreti, nei confronti di coloro che offrono servizi portuali, in merito alle condizioni da soddisfare perché le autorizzazioni siano prorogate rispettivamente dopo 8, 12 o 30 anni.

3.20

Sembra, infine, che l'obiettivo fondamentale della proposta sia quello di abbattere i costi dei servizi portuali. Il Comitato ritiene tuttavia che il rispetto delle norme in materia di sicurezza, di tutela ambientale e il rispetto dei diritti sociali siano parametri importanti del buon funzionamento delle piattaforme portuali nell'interesse dell'economia dei trasporti e della loro sicurezza e regolarità.

3.21

L'estrema eterogeneità delle situazioni, delle regole e pratiche nazionali o locali, degli obblighi degli enti gestori e delle autorità pubbliche, esigono che le regole da attuare a livello europeo tengano pienamente conto delle caratteristiche proprie di ciascun porto. Ogni porto, nel corso del tempo, ha effettuato degli adeguamenti e opera alle condizioni che gli sono più favorevoli nel proprio contesto territoriale. Lo sforzo di uniformare le condizioni operative può ripercuotesi negativamente sul lavoro dei porti.

3.22

Il Comitato ritiene che l'applicazione della sussidiarietà nella legislazione proposta e la coerenza locale delle politiche di sviluppo portuale siano da preferirsi alle disposizioni uniformi raccomandate nella proposta di direttiva. I porti sono profondamente diversi l'uno dall'altro per dimensioni e natura. Una concorrenza troppo spinta tra prestatori di servizi in un determinato porto potrebbe condurre a investimenti eccessivi e sprechi e a una regressione sul piano sociale.

3.23

In linea con i principi di sussidiarietà e proporzionalità, le autorità nazionali antitrust e gli organi di controllo potrebbero avere il potere di controllo per intervenire ove l'autorità portuale concentrasse, senza alcuna giustificazione economica o esigenza di servizio pubblico, i servizi portuali sotto il proprio controllo o non osservasse i principi di trasparenza o le regole in materia di contabilità. L'intervento comunitario in materia di concorrenza o di aiuti di Stato potrebbe piuttosto concentrarsi sulle eccezioni, ad esempio nel caso in cui le autorità antitrust nazionali e le corti dei conti regionali o nazionali non esercitassero la loro funzione di controllo in modo soddisfacente nel quadro del diritto comunitario in vigore.

3.24

Per quanto riguarda gli aiuti di Stato, la giurisprudenza attuale della Commissione in materia pone la questione del trasferimento sui contribuenti locali o nazionali di determinati costi relativi ad alcune opere (dragaggio, realizzazione di canali e bacini) volte a garantire l'accesso alle installazioni portuali ed il loro funzionamento.

3.25

La collettività può essere chiamata a contribuire finanziariamente solo per la realizzazione di interventi di interesse generale, e non per abbattere i costi a favore dei soli utenti (nazionali e internazionali), soprattutto i maggiori, dei porti marittimi. La determinazione in concreto dell'interesse generale è compito della democrazia e non del mercato.

4.   Conclusioni

4.1

Alla direttiva proposta sembra preferibile una direttiva quadro molto meno dettagliata, che lasci adeguato spazio alla sussidiarietà: dovrebbe essere sufficiente menzionare l'applicabilità della legislazione pertinente in materia di trasparenza o di appalti pubblici, senza entrare nei dettagli dell'applicazione ai servizi portuali; la definizione di un quadro comunitario non dovrebbe intaccare la prerogativa dell'ente gestore del porto di tutelare l'interesse generale posto sotto la sua autorità.

4.1.1

Una tale direttiva quadro non dovrebbe incidere in alcun modo sui diritti e gli obblighi derivanti agli Stati membri dalle rispettive legislazioni sociali e norme sul lavoro, la sanità pubblica, l'ambiente, la sicurezza e l'ordine pubblico, o i servizi di interesse generale, né dovrebbe influire sui contratti collettivi conclusi nel rispetto del diritto nazionale applicabile; essa dovrebbe inoltre tenere conto degli impegni internazionali assunti dagli Stati membri, come le convenzioni marittime dell'OIL.

4.1.2

Il Comitato si rammarica infine del fatto che la direttiva proposta non sia stata oggetto di una valutazione di impatto, in contraddizione con l'impegno a favore del miglioramento della legislazione assunto dalla Commissione fin dalla pubblicazione del Libro bianco sulla governance; ogni progetto legislativo soggetto a codecisione dovrebbe comportare una tale valutazione, accompagnata da informazioni sulle consultazioni condotte, in particolare con le parti sociali.

Bruxelles, 13 luglio 2005

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne Marie SIGMUND


(1)  COM(2001) 35 def.

(2)  COM(2004) 654 def., del 13.10.2004.

(3)  Parere del CESE sul Libro verde della Commissione sui porti e sulle infrastrutture marittime, GU C 407 del 28.12.1998, pag. 92.

(4)  Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al mercato dei servizi portuali, GU C 48 del 21.2.2002, pag. 122.

(5)  In particolare la Convenzione 137, ratificata da numerosi paesi marittimi membri dell'UE. Tale Convenzione prevede un registro unico per l'immatricolazione degli scaricatori di porto e la priorità di accesso al lavoro portuale per gli iscritti a tale registro.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur avendo ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti durante il dibattito.

Punto 1.5, primo capoverso

Modificare come segue:

Prima di esaminare la natura e la portata delle modifiche apportate alla nuova proposta di direttiva, val la pena di ricordare alcuni dei principali ostacoli con cui si è scontrataoa individuati dal Comitato economico e sociale europeo nell'esaminare in riferimento alla proposta iniziale:

Motivazione

È opportuno precisare chi abbia ravvisato degli ostacoli riguardo alla proposta iniziale. Ciò infatti non risulta con chiarezza dai punti precedenti, che parlano del Consiglio e del Parlamento.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 42

Voti contrari: 63

Astensioni: 3

Punto 3.1

Modificare come segue la terza frase:

Lasciando inalterate le competenze della Commissione europea, le Le pratiche e la contabilità dei diversi porti marittimi dovrebbero essere sottoposte alla sorveglianza delle autorità nazionali della concorrenza e, se del caso, delle corti dei conti regionali o nazionali e le relazioni di questi organi di controllo dovrebbero essere trasmesse alla DG Concorrenza della Commissione.

Motivazione

La procedura proposta non deve far passare in secondo piano le competenze della Commissione.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 54

Voti contrari: 71

Astensioni: 5

Punto 3.1

Spostare tra i punti 3.17 e 3.18, modificando opportunamente la numerazione del capitolo 3.

Motivazione

Come osservazione iniziale, è troppo tecnica, per cui è meglio collocarla tra i due punti relativi alle questioni finanziarie.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 50

Voti contrari: 74

Astensioni: 10

Punto 3.4

Sopprimere l'ultima frase:

Molti porti forniscono essi stessi un certo numero di infrastrutture e servizi essenziali al traffico marittimo, e non ritengono che la loro competenza debba limitarsi alla gestione dello spazio marittimo e terrestre del porto, alla manutenzione di quest'ultimo e a quella delle relative banchine. L'offerta di determinati servizi può rispondere ad esigenze di interesse generale o anche essere funzionale, per le autorità portuali, al conseguimento di un equilibrio finanziario complessivo o anche, per gli enti portuali privati, a produrre utili da distribuire agli azionisti. Il divieto di «sovvenzioni incrociate» indebolirebbe le capacità d'investimento dei porti.

Motivazione

Una concorrenza equa non consente sovvenzioni incrociate. I costi ne risulterebbero «camuffati», ai danni della trasparenza.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 61

Voti contrari: 80

Astensioni: 6

Punto 3.6

Sopprimere l'ultima frase:

Un porto costituisce una piattaforma logistica complessa, collegata a un entroterra di profondità geografica ed economica variabile, regionale, nazionale o internazionale, nonché a vie di comunicazione terrestri, e deve elaborare strategie legate allo sviluppo del settore geografico la cui economia serve, al suo bacino d'occupazione, alle esigenze di natura economica che vi si manifestano e alla loro evoluzione. A giudizio del Comitato bisogna promuovere l'intermodalità favorendo il trasporto marittimo, in particolare il cabotaggio, ma nella formulazione attuale il dispositivo della proposta di direttiva non tratta direttamente conto di questa necessità imprescindibile.

Motivazione

Nella maggior parte dei casi l'entroterra non è raggiungibile via mare. Per questo motivo non è opportuno esprimere una preferenza, tanto meno parlandone come di una necessità imprescindibile. In tale contesto una lancia potrebbe invece essere spezzata a favore della navigazione interna. La promozione del cabotaggio ha inoltre già trovato spazio nel programma autostrade del mare.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 59

Voti contrari: 83

Astensioni: 9

Punto 3.17

Sopprimere:

Il Comitato osserva che il porto è anche il luogo in cui lo Stato del porto esercita competenze sovrane, sulle quali la direttiva non deve incidere, potendo alcuni compiti (quali il contributo alla lotta contro il terrorismo, contro la criminalità organizzata e l'immigrazione clandestina, che impongono spesso spese e investimenti lasciati a carico dei porti) essere delegati all'autorità portuale.

Motivazione

La proposta della Commissione esprime già questa idea. In questo punto tuttavia si lascia anche intendere che, in caso di delega senza compensazione da parte dello Stato, il porto non deve far ricadere i costi sui clienti, cosa che a sua volta crea una situazione di concorrenza sleale rispetto agli altri porti.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 55

Voti contrari: 84

Astensioni: 13

Punti 3.23 e 3.24

Sopprimere.

3.23

Per quanto riguarda gli aiuti di Stato, la giurisprudenza attuale della Commissione in materia pone la questione del trasferimento sui contribuenti locali o nazionali di determinati costi relativi ad alcune opere (dragaggio, realizzazione di canali e bacini) volte a garantire l'accesso alle installazioni portuali ed il loro funzionamento.

3.24

La collettività può essere chiamata a contribuire finanziariamente solo per la realizzazione di interventi di interesse generale, e non per abbattere i costi a favore dei soli utenti (nazionali e internazionali), soprattutto i maggiori, dei porti marittimi. La determinazione in concreto dell'interesse generale è compito della democrazia e non del mercato.

Motivazione

I costi sostenuti dalle autorità portuali per opere destinate ai porti devono essere imputati agli utenti o alle parti interessate. Il testo tuttavia dà l'impressione che a tale principio si possa contravvenire per motivi di interesse generale.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 55

Voti contrari: 82

Astensioni: 17

Aggiungere un nuovo punto 3.25, formulato come segue

Per accertare sin dalle prime fasi della programmazione se i futuri investimenti portuali siano compatibili con il diritto comunitario, il Comitato esorta la Commissione europea a pubblicare quanto prima, al di là della sua proposta, tutte le proposte di linee guida comunitarie sugli aiuti di Stato ai porti, chiarendo quali forme di finanziamento siano compatibili con il mercato interno, in base a quanto affermato durante l'audizione del 31 gennaio 2005.

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 59

Voti contrari: 85

Astensioni: 14

Punto 4.1

Modificare come segue:

Per quanto anche il Comitato caldeggi la liberalizzazione dei servizi portuali relativi al trasporto, al pari degli altri servizi di trasporto, esso ritiene che Aalla direttiva proposta sembra sia preferibile una direttiva quadro molto meno dettagliata, che lasci adeguato spazio alla sussidiarietà: dovrebbe essere sufficiente menzionare l'applicabilità della legislazione pertinente in materia di trasparenza o di appalti pubblici, senza entrare nei dettagli dell'applicazione ai servizi portuali. La definizione di un quadro comunitario non dovrebbe intaccare la prerogativa dell'ente gestore del porto di tutelare l'interesse generale posto sotto la sua autorità, fermo restando che tale prerogativa non può andare a detrimento della concorrenza leale e della trasparenza.

Motivazione

Su questo punto non vi sono state divergenze di opinioni nel gruppo di studio e la modifica proposta riflette con chiarezza il contesto nel quale sono da intendere le nostre osservazioni e conclusioni. L'interesse generale non può essere un pretesto per ignorare questi due principi fondamentali dell'UE.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 61

Voti contrari: 86

Astensioni: 12


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il contributo della società civile alle relazioni tra UE e Russia

(2005/C 294/07)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o luglio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29 del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Il contributo della società civile alle relazioni tra UE e Russia.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore Filip HAMRO-DROTZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Ragioni per elaborare il parere

1.1

La Federazione russa, che svolge un importante ruolo internazionale, è un partner strategico per l'UE. L'ampliamento dell'UE evidenzia ulteriormente l'importanza del rapporto di vicinato tra la stessa UE e la Russia e sviluppare le migliori relazioni possibili, nel quadro dell'estensione dei comuni valori europei di democrazia e di rispetto dei diritti dell'uomo e del cittadino, è fondamentale tanto per l'UE quanto per la Russia.

1.2

Per sviluppare la società, migliorare le condizioni di vita, creare lo Stato di diritto, garantire un clima e condizioni più prevedibili per le imprese e costruire un'economia di mercato occorrerà agire in modo deciso. Malgrado le dichiarazioni formali dei dirigenti della Federazione russa a sostegno di tali obiettivi, lo stato di avanzamento della loro realizzazione e la prassi della vita quotidiana sono lontani dalle aspettative sia della società russa che di quella internazionale. A giudizio del CESE l' atteggiamento dell'attuale leadership russa nei confronti degli attori economici, dei media, ecc., non è tale da corroborare l'affermazione di principio delle autorità in merito alla promozione della democrazia e al rafforzamento della società civile. L'effettiva direzione che ha preso lo sviluppo della situazione in Russia desta preoccupazione, non solo fra i suoi cittadini. La Russia si allontana sistematicamente dalla democrazia, il governo controlla i media, l'esercito russo — contrariamente agli impegni internazionali — staziona in Georgia e in Moldova, il sistema giudiziario è asservito alla politica. A livello pratico pertanto la costruzione di una società civile organizzata è estremamente difficile in tali condizioni.

1.3

La sempre maggiore integrazione realizzata dall'UE al proprio interno, attraverso il mercato interno, la moneta unica e una crescente collaborazione in un numero sempre maggiore di settori di intervento, costituisce, malgrado le recenti difficoltà, un fondamentale obiettivo storico, per il quale tutti gli Stati membri si sono impegnati. Questa evoluzione non deve tuttavia condurre ad una progressiva separazione dell'UE da quella parte dell'Europa che non ha avuto uno sviluppo analogo, perché ciò potrebbe provocare una divisione del continente.

1.4

La dichiarazione sull'unificazione europea pronunciata il 9 maggio 1950 dal ministro degli esteri francese Robert Schuman si ispirava all'idea che l'integrazione del continente deve basarsi: sulla volontà di cooperare in condizioni di parità per realizzare obiettivi definiti congiuntamente, sulla condivisione dei valori, sulla riconciliazione e sulla visione di un futuro comune da parte dei cittadini. Sempre secondo Schuman, l'Europa non poteva essere costruita in modo immediato, bensì attraverso una serie di risultati pratici e innanzitutto sviluppando un'autentica solidarietà. Il contenuto della dichiarazione è rilevante anche ai fini delle relazioni tra UE e Russia e degli sforzi per rafforzare la loro cooperazione.

2.   Il contributo della società civile alle relazioni tra UE e Russia

2.1

Per consolidare le relazioni tra UE e Russia occorre anche un forte contributo della società civile organizzata dell'UE. Gli sforzi della società civile dell'UE sono diretti a realizzare una migliore cooperazione fra l'UE e la Russia, nonché ad aiutare a costruire le strutture della società civile e della democrazia in Russia.

2.2

L'esperienza dei nuovi Stati membri, che in 10 anni sono riusciti a completare la transizione dal sistema comunista, costituisce un importante termine di riferimento; tali paesi possono fornire un prezioso contributo alla cooperazione tra UE e Russia; in particolare, per quanto riguarda la democratizzazione e la protezione dei diritti umani e civili in Russia, un ruolo fondamentale può essere svolto dalle organizzazioni della società civile (ONG) di detti paesi.

2.3

L'organo di cooperazione delle confederazioni imprenditoriali degli Stati membri, UNICE, ha presentato per vari anni le sue raccomandazioni e considerazioni in merito allo sviluppo delle relazioni economiche, mentre i dirigenti d'impresa dell'UE e della Russia si occupano regolarmente della stessa questione nel quadro delle cosiddette tavole rotonde degli industriali ed espongono il loro punto di vista nei vertici UE-Russia. Anche la Confederazione europea dei sindacati CES espone il suo punto di vista nel quadro dei vertici e, nel 2004, insieme con la Federazione dei Sindacati Indipendenti della Federazione russa (FNPR), ha inviato al presidente della Commissione europea e al presidente russo una lettera in cui proponeva che anche alle associazioni sindacali dell'UE e della Russia venisse riconosciuto lo stesso ruolo che riveste la Tavola rotonda degli industriali di UE e Russia. Anche altri soggetti della società civile hanno definito di propria iniziativa modalità specifiche per dar voce al loro punto di vista circa lo sviluppo delle relazioni tra UE e Russia nei rispettivi settori. La società è ancora scarsamente organizzata in Russia, le organizzazioni non governative si sviluppano lentamente e il loro ruolo è modesto.

2.4

Dal canto suo il CESE ha dedicato alle relazioni UE-Russia, negli ultimi anni, vari pareri, nei quali prende in esame anche il funzionamento della società civile russa. I più importanti di tali pareri sono elencati nella nota 1. Le proposte e le constatazioni formulate in tali pareri sono state tenute presenti anche nel presente documento, pur senza farvi specifico riferimento (1). Nel corso di questo lavoro il Comitato ha stabilito contatti diretti con numerosi soggetti della società civile russa.

3.   Raccomandazioni

3.1   Definire una politica più integrata nei confronti della Russia e applicarla pragmaticamente.

3.1.1

Lo sviluppo di una cooperazione coerente tra l'UE e la Russia ha risentito del fatto che singoli Stati membri dell'UE perseguono i propri interessi a livello bilaterale con la Russia anche in settori affidati alla competenza comunitaria. Non si deve ovviamente impedire agli Stati membri di mantenere relazioni bilaterali costruttive ed aperte con la Russia in settori che non rientrano nel mandato comunitario. Al contrario, l'azione bilaterale, regionale e settoriale è particolarmente importante e ogni Stato membro deve esserne responsabile.

3.1.2

Per ottenere buoni risultati nella cooperazione con la Russia, le società civili dell'UE dovrebbero adottare posizioni più proattive, volte a condividere con la società civile russa le pratiche di organizzazione autonoma e di ricostituzione delle reti di solidarietà. L'Unione europea può mettere al servizio della società civile russa, e quindi della Russia, gli elementi che costituiscono la sua ricchezza, vale a dire la diversità, la pluralità delle sue forme di organizzazione sociale, la forma di diffusione democratica, sociale e culturale che sta alla base di tale diversità e pluralità. Tutti gli Stati membri devono perseguire, nella propria azione, gli obiettivi comuni, e ciò è ancora più necessario dopo l'ampliamento. È inoltre evidente che un approccio lineare produce risultati migliori ai fini dello sviluppo delle relazioni tra UE e Russia. L'UE dovrebbe inoltre predisporre l'assistenza tecnica necessaria per aiutare la Russia a diventare un paese stabile, democratico e prospero; a tal fine si dovrebbe valutare nuovamente la struttura dell'assistenza tecnica attuale e procedere a piccoli passi, ma con determinazione.

3.2   Applicare le tabelle di marcia per promuovere la preparazione di un accordo dinamico tra l'UE e la Russia.

3.2.1

L'UE e la Russia stanno ampliando e approfondendo le loro relazioni sulla base di tabelle di marcia relative ai cosiddetti quattro spazi comuni, essi sono: 1) lo spazio economico; 2) lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia; 3) lo spazio comune di cooperazione in materia di sicurezza esterna; 4) lo spazio comune della ricerca, dell'istruzione e della cultura. Le tabelle di marcia definiscono circa 400 misure da attuare nei prossimi anni. Il Comitato apprezza molto tale approccio e sottolinea che l'UE dovrebbe accrescere gli sforzi volti a rafforzare una relazione politica, economica e sociale aperta e di ampio respiro con la Russia.

3.2.2

Vari aspetti delle tabelle di marcia sono importanti per la società civile: ad esempio i settori prioritari del dialogo normativo ed economico; la promozione della concorrenza, degli investimenti e del commercio; la cooperazione interregionale e transfrontaliera; l'ambiente; la promozione dei contatti tra le persone; la circolazione delle persone; la gioventù; la cooperazione nel campo della protezione civile; la ricerca e l'istruzione; e infine la graduale integrazione delle reti di trasporto.

3.2.3

Il CESE invita l'UE e la Russia ad attuare le tabelle di marcia al più presto. Il loro contenuto dovrebbe essere costantemente aggiornato per facilitarne al massimo l'applicazione, inoltre la sua attuazione andrebbe verificata congiuntamente ogni anno. Sia l'UE che la Russia dovrebbero anche designare gli organismi responsabili dell'attuazione. Nel seguito che darà al presente parere il Comitato è pronto a contribuire attivamente a questo processo, nei settori che rivestono importanza per la società civile. A tale fine esso si ripropone di presentare delle proposte sul contenuto e sull'attuazione delle tabelle di marcia e di intensificare i propri contatti diretti con i principali soggetti della società civile russa (cfr. punti 3.4.3 e 3.5.5).

3.2.4

Nel 2007, se entrambe le parti lo vorranno, terminerà il periodo iniziale di 10 anni dell'accordo di partenariato e di cooperazione tra UE e Russia, che era stato predisposto nella prima metà degli anni '90. Le tabelle di marcia per i quattro spazi comuni dovrebbero fungere da base per un nuovo accordo tra UE e Russia, adeguato ai tempi e basato su un partenariato strategico. Si dovrebbe incoraggiare la Russia a rimuovere gli ostacoli residui agli scambi di beni e servizi, a garantire un efficiente quadro normativo per gli investimenti, in modo che l'UE e la Russia possano iniziare a redigere un accordo di libero scambio basato sullo status di economia di mercato della Russia e sulla sua appartenenza all'OMC.

3.2.5

Analogamente occorre collaborare con la Russia per aggiornare la cooperazione a livello regionale, la dimensione settentrionale (compresa la cooperazione nel Baltico, nel Mare Artico e nel Mar Nero). Il CESE si compiace di osservare che questo aspetto è stato tenuto in considerazione nelle tabelle di marcia e invita ad adottare ulteriori misure per sviluppare la cooperazione regionale nel quadro delle relazioni tra UE e Russia.

3.3   Accrescere il ruolo della società civile nelle tabelle di marcia per la cooperazione tra UE e Russia

3.3.1

Le possibilità di intensificare in maniera duratura le relazioni tra UE e Russia sono limitate se l'azione delle due parti non è guidata da valori comuni, tra cui la responsabilità individuale, lo Stato di diritto, il rispetto dell'individuo e della proprietà, la tutela dei diritti umani (ossia la libertà dei mezzi di informazione, elezioni libere, pluralismo politico, parità di opportunità e diritti delle minoranze), la trasparenza, l'integrità, la dignità umana, l'equità, la libertà di espressione, i diritti sindacali e lavorativi di base, un dialogo sano tra le parti sociali e un livello adeguato di protezione sociale. Se non si inseriscono tali valori in modo duraturo nelle fondamenta stesse della vita socioeconomica e politica russa non si può creare alcuna piattaforma di cooperazione e di intesa reciproca.

3.3.2

Il CESE ritiene che le tabelle di marcia abbiano obiettivi generali pertinenti e constata con compiacimento che in tre di esse (spazio comune di sicurezza esterna, spazio di libertà, sicurezza e giustizia e spazio della ricerca, dell'istruzione e della cultura) viene menzionata la basilare importanza dei valori comuni.

3.3.3

Il rafforzamento della cooperazione tra UE e Russia è legato a quanto avverrà in Russia in questo campo. Il CESE raccomanda di riservare speciale attenzione alla questione dei valori comuni nell'attuazione delle tabelle di marcia e chiede di inserire in dette tabelle di marcia ulteriori azioni concrete volte a definire detti valori comuni, che sono infatti fondamentali per sviluppare una società civile attiva.

3.3.4

È importante che in Russia si creino condizioni generali tali da consentire alle parti sociali e agli altri soggetti della società civile organizzata di agire in maniera autonoma e di partecipare con fiducia alla preparazione delle decisioni sociali ed economiche che li riguardano. Per realizzare ciò occorre un dialogo aperto e delle reti, le quali a loro volta presuppongono l'autonomia dei mezzi di informazione. Un'altra condizione indispensabile è che nella prassi vengano rispettati i principali accordi internazionali, come ad esempio le norme dell'OIL.

3.3.5

Affinché vi sia una società civile dinamica occorre che i soggetti economici e sociali abbiano un'elevata rappresentatività e siano indipendenti e disponibili ad avviare un dialogo costruttivo e trasparente, basato sulla competenza specifica, con le autorità e con gli altri soggetti sociali.

3.3.6

Il CESE si compiace del fatto che nella primavera 2005 sono state avviate, nel quadro del secondo spazio comune, delle consultazioni tra UE e Russia sul tema dei diritti umani e dei diritti correlati, ad esempio quelli delle minoranze. Le consultazioni dovrebbero vertere tra l'altro sulla risoluzione delle questioni di autodeterminazione nazionale e locale e sulla rinuncia a metodi che provocano conflitti (Cecenia), che espongono a dei rischi la popolazione russa e costituiscono una minaccia anche per i cittadini comunitari.

3.3.7

Nel corso degli anni l'UE ha mostrato la sua capacità di produrre, grazie al dialogo, importanti cambiamenti nei paesi terzi; questo obiettivo andrebbe perseguito anche nelle relazioni con la Russia. In tale contesto risulta ovviamente molto importante il ruolo del Consiglio d'Europa e dell'OSCE; il Comitato constata con soddisfazione che l'UE e la Russia hanno stabilito nelle tabelle di marcia di rafforzare la loro cooperazione nell'ambito di questi due organismi.

3.3.8

Per sviluppare le relazioni con la Russia, l'UE deve offrire un'assistenza finanziaria adeguata; in particolare bisognerebbe ricorrere maggiormente alle risorse di Tacis per sviluppare la società civile, l'istruzione e i mezzi di informazione indipendenti. Anche nel quadro dello strumento europeo di prossimità e di partenariato bisognerà tenere conto dell'esigenza di un sostegno economico da parte dell'UE. Il Comitato invita la Commissione ad avanzare una proposta su come fare affinché la società civile russa benefici in misura maggiore dei pertinenti strumenti dell'UE.

3.4   Dare alla società civile un ruolo adeguato nell'attuazione delle tabelle di marcia per la cooperazione UE-Russia

3.4.1

L'UE ha sottolineato che nello sviluppo delle relazioni con la Russia bisogna perseguire soluzioni e approcci qualitativamente sostenibili. Per garantire tale risultato è importante avvalersi dei punti di vista dei vari gruppi di interesse della società civile; è questa la ragione per cui è tanto importante sviluppare la società civile in Russia.

3.4.2

Il Comitato raccomanda di rafforzare il ruolo dei soggetti più credibili della società civile nel meccanismo di cooperazione tra UE e Russia, istituendo un comitato consultivo sulla base dell'articolo 93 dell'Accordo di partenariato e cooperazione; in tal modo si potrà sfruttare nel modo migliore la loro esperienza. Organismi del genere hanno dato buona prova di sé, tra l'altro nel contesto delle relazioni dell'UE con i paesi dell'area mediterranea, con l'India, l'America latina e i paesi ACP. Il Comitato reputa che anche in Russia siano presenti numerosi soggetti in grado di offrire un contributo.

3.4.3

Il CESE vuole essere in prima linea nel promuovere il contributo della società civile alla cooperazione tra UE e Russia; il suo proposito di intensificare i contatti con i principali soggetti della società civile russa, menzionato più sotto ai punti 3.2.3 e 3.5.5, dovrebbe dar vita nel prossimo futuro ad un forum consultivo nel contesto della cooperazione formale tra UE e Russia.

3.5   Rafforzare la cooperazione tra la società civile dell'UE e quella russa

3.5.1

Alcuni gruppi di interesse dell'UE, tra cui sindacati, consumatori, datori di lavoro, associazioni agricole e altri raggruppamenti della società civile, hanno stabilito nel corso degli anni delle relazioni con i corrispondenti settori russi; ciò è avvenuto a livello sia comunitario che bilaterale. Spesso anche organizzazioni russe partecipano alla cooperazione internazionale nel rispettivo settore, con l'obiettivo di promuovere le relazioni dirette, la creazione di reti, le interazioni e lo scambio di esperienze e di informazioni tra cittadini a livello di base. La cooperazione a livello di società civile dovrebbe mirare innanzi tutto a promuovere ed estendere relazioni di fiducia tra UE e Russia.

3.5.2

Tuttavia, bisogna ancora diversificare e approfondire tali relazioni, perché varie organizzazioni russe non hanno ancora contatti adeguati sia tra di loro che con organizzazioni analoghe di altri paesi. Il CESE invita tutti i soggetti della società civile organizzata a rafforzare ulteriormente e ad estendere la loro cooperazione nei campi di rispettivo interesse con le loro controparti russe; l'UE dovrebbe da parte sua favorire tale cooperazione.

3.5.3

Gli Stati membri dovrebbero intensificare gli sforzi volti a coinvolgere la società civile nella definizione di progetti comuni, nella promozione di programmi di istruzione e di scambio in questo quadro e nell'avvio di progetti economici comuni. Inoltre i governi degli Stati membri dovrebbero anche diffondere maggiori informazioni sui progetti esistenti, e contribuire a formare la società civile in relazione alla preparazione di progetti.

3.5.4

È importante anche reperire gli strumenti per stabilire relazioni con tutte le parti della Russia, compresa Kaliningrad. Le proposte avanzate dal Comitato delle regioni (2) in merito allo sviluppo della cooperazione regionale tra UE e Russia sono pertinenti sotto questo aspetto. Il CESE le appoggia e raccomanda che il Consiglio permanente di partenariato (CPP) dia rilievo a questo punto nella sua agenda.

3.5.5

Il CESE, grazie alla sua posizione, promuoverà lo sviluppo di contatti tra la società civile organizzata dell'UE e della Russia. Un primo passo in tale direzione consisterebbe nell'organizzare contatti regolari, seminari congiunti ecc. con partner russi su specifici argomenti (ad esempio riforme economiche e occupazione, riforma dei sistemi di sicurezza sociale, sviluppo del dialogo sociale con la Russia, coinvolgimento dei soggetti della società civile nella cooperazione tra UE e Russia). L'obiettivo sarebbe quello di realizzare una cooperazione regolare e più intensa tra le due parti, che dovrebbe a suo tempo dar luogo ad un forum consultivo con funzioni di supporto del meccanismo di cooperazione (cfr. punti 3.2.3, 3.4.2 e 3.4.3).

3.6   Sostenere la cooperazione tra la Russia e i suoi vicini e tra soggetti delle rispettive società civili

3.6.1

È importante che, parallelamente al consolidamento delle relazioni dell'UE con i suoi vicini dell'Est, si intensifichino anche i rapporti reciproci tra la Russia e i suoi vicini dell'Europa orientale, ad esempio l'Ucraina ma anche la Moldova e la Belarus. Occorrono relazioni più strette e più intense nel campo della politica economica e sociale, allo scopo di migliorare la cooperazione europea. Il CESE propone che l'UE sostenga tali sviluppi nel quadro della sua politica di vicinato e partenariato.

3.6.2

Il CESE raccomanda che in questo contesto vengano promossi anche i contatti tra le società civili di questi due paesi. Esso, da parte sua, ha già avviato delle misure volte a sviluppare il dialogo e intende riferire regolarmente alla Commissione su tale argomento.

3.7   Promuovere la mobilità transfrontaliera tra UE e Russia

3.7.1

Per la mobilità transfrontaliera occorrono buoni collegamenti e una certa facilità negli spostamenti. Il CESE sostiene gli sforzi per sviluppare e integrare le linee di trasporto, processo che richiede investimenti destinati al miglioramento delle infrastrutture e della logistica sia nell'UE che in Russia; a tal fine è richiesto un maggiore coinvolgimento dei principali organi internazionali di finanziamento, come la BEI e la BERS.

3.7.2

Il CESE osserva con soddisfazione che le tabelle di marcia menzionano l'obiettivo di facilitare i contatti tra i cittadini al livello di base e gli spostamenti di persone tra l'UE e la Russia, in particolare grazie all'integrazione delle reti di trasporto, alla semplificazione delle procedure di frontiere e della concessione dei visti e all'introduzione di principi in materia di riammissione. Gli accordi relativi alle frontiere aiutano a facilitare la mobilità transfrontaliera.

3.7.3

L'attuale procedura dei visti, lenta e costosa, costituisce una soglia e persino un ostacolo per il turismo e per un'attiva interazione transfrontaliera tra i soggetti della società civile, compresi i giovani e gli studenti. Occorre semplificare le procedure di rilascio dei visti e dei permessi di lavoro, onde promuovere la mobilità e le relazioni transfrontaliere. Per tale ragione è importante che i negoziati in corso tra l'UE e la Russia in materia di semplificazione del rilascio dei visti giungano quanto prima ad una conclusione soddisfacente per entrambe le parti.

Bruxelles, 13 luglio 2005

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Le relazioni tra l'UE e la Russia, l'Ucraina e Belarus, 1995

Il programma comunitario di sostegno Tacis per la Russia e gli altri paesi dell'Europa orientale, 1998

Le relazioni tra l'UE e i paesi che si affacciano sul Mar Baltico, 1998

La dimensione settentrionale dell'UE comprese le relazioni con la Russia, 1999

La dimensione settentrionale: Piano d'azione per la dimensione settentrionale nelle politiche estera e transfrontaliera dell'Unione europea 2000-2003, 2001

Partenariato strategico UE-Russia: le prossime tappe 2002

Europa ampliata - Prossimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali, 2003

(2)  CdR 105/2004.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

A.

Il seguente emendamento è stato respinto in sessione plenaria, ma ha ottenuto più di un quarto dei voti espressi:

Punto 1.3

Sopprimere

Motivazione

Al punto 1.1 del parere si afferma già che la Federazione russa è un partner strategico per l'UE e tale affermazione rende superfluo il contenuto del punto 1.3.

Votazione:

Voti contrari 64

Voti favorevoli 33

Astensioni 8


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema REACH — Legislazione in materia di sostanze chimiche

(2005/C 294/08)

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 14 dicembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto alle modalità d'applicazione dell'articolo 29 del Regolamento interno, di elaborare un di parere sul tema REACH — Legislazione in materia di sostanze chimiche.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 giugno 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BRAGHIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 52 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Premessa

1.1

Un ampio dibattito ha coinvolto le istituzioni europee, le autorità nazionali, l'industria chimica e non chimica, le organizzazione sindacali e molte ONG a seguito della pubblicazione della proposta di regolamento che istituisce un'Agenzia europea e stabilisce la procedura per la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (1).

1.2

Una serie di indicazioni emerse dal precedente parere del Comitato (2) hanno trovato interessanti riscontri nel dibattito in corso, tra cui in particolare tre esigenze:

una serie di studi ulteriori per valutare le conseguenze dell'applicazione della proposta in alcuni settori industriali, le dimensioni e le conseguenze dell'eventuale uscita dal mercato di sostanze critiche, la costituzione di partenariati strategici per la sperimentazione di progetti pilota di implementazione, l'impatto sui nuovi Stati membri,

la necessità di procedere ad una semplificazione degli impegni richiesti alle imprese e ad una riduzione dei costi per evitare perdite di competitività o delocalizzazione delle imprese, pur senza intaccare l'obiettivo prioritario di tutelare la salute e l'ambiente,

l'opportunità di un ruolo potenziato e meglio articolato dell'Agenzia, con un'adeguata rappresentanza di tutti gli attori coinvolti.

1.3

Due studi condotti nell'ambito del Memorandum di intenti tra la Commissione e UNICE-CEFIC hanno portato ad una migliore comprensione delle problematiche di specifici settori industriali. Tali ulteriori studi di impatto hanno dimostrato che alcuni timori espressi inizialmente erano eccessivi, ma che comunque permangono preoccupazioni che inducono ad uno sforzo ulteriore per rendere più efficace e coerente il sistema.

1.3.1

Tra i risultati più rilevanti dello studio condotto dalla società di consulenza KPMG come Business Impact Case Study  (3) si segnalano i seguenti:

non è sufficientemente dimostrato che sostanze prodotte o importate in quantità maggiori siano soggette ad un possibile ritiro dal mercato nel quadro del sistema di registrazione REACH. Le sostanze prodotte o importate in quantità minori (sotto le 100 tonnellate) rischiano maggiormente di perdere in parte o totalmente la loro redditività con l'applicazione del sistema REACH. Delle 152 sostanze esaminate in dettaglio, soltanto 10 sembrano correre il rischio di essere ritirate dal mercato, perché esse hanno perso o visto scemare la capacità di generare profitto,

non è sufficientemente dimostrato che verranno ritirate dal mercato sostanze che rivestono per gli utilizzatori a valle una considerevole importanza tecnica. Tali sostanze saranno registrate, talvolta, nonostante la loro vulnerabilità commerciale,

i costi una tantum di registrazione per i fornitori di prodotti chimici possono essere talvolta considerevoli e portare ad una razionalizzazione del portafoglio. Questo effetto riguarderebbe principalmente sostanze che i fornitori di prodotti chimici non considerano tecnicamente essenziali per i loro clienti,

se si verificasse un considerevole ritiro di sostanze dal mercato, l'entità e i costi di riformulazione e di progettazione potrebbero risultare elevati (anche per la necessità di studi, test e validazione presso gli utenti),

i costi sostenuti saranno per lo più assorbiti o traslati, ma questo potrebbe risultare difficile per le PMI,

l'impatto di REACH sull'innovazione appare incerto. Non è dimostrato, nei casi esaminati dallo studio, che talune risorse di ricerca e sviluppo (R&S) saranno automaticamente trasferite a causa di REACH, né sono previsti aumenti per la R&S,

le imprese hanno identificato alcuni benefici commerciali offerti da REACH, tra cui: migliori informazioni sulle proprietà delle sostanze e sui componenti pericolosi nei preparati, una facilitata gestione del rischio e una razionalizzazione del portafoglio sostanze,

sono state espresse preoccupazioni riguardo a problemi specifici di fattibilità e confidenzialità. Taluni formulatori e utilizzatori a valle nutrono il timore che i produttori di sostanze chimiche possano non voler indicare certi usi nel loro dossier di registrazione,

gli utilizzatori di sostanze inorganiche (specialmente delle materie prime) necessitano ulteriori chiarificazioni sulle disposizioni di registrazione di REACH.

1.3.2

Lo studio sui nuovi Stati membri (4) rivela una conoscenza ancora limitata di REACH e riscontra l'esistenza di alcuni punti critici quali:

solo in pochi casi sono stati identificati incrementi sostanziali dei costi,

i costi diretti da sostenere in alcuni specifici casi potrebbero essere elevati in rapporto al fatturato o in termini di erosione dei margini di profitto,

solo poche sostanze sono state identificate come vulnerabili, in quanto già ora caratterizzate da margini di profitto limitati,

le imprese dipendenti dai mercati orientali non UE saranno le più colpite.

1.4

Le risultanze di questi studi e il dibattito in corso hanno posto in luce alcuni aspetti ritenuti critici dagli operatori economici coinvolti, su cui il Comitato intende apportare un ulteriore contributo, in stretto coordinamento con i lavori in corso a livello di Consiglio e di Parlamento europeo.

2.   Criteri e tempi di registrazione

2.1

La proposta di regolamento in oggetto supera l'attuale artificiosa distinzione tra «sostanze esistenti», ossia tutte le sostanze chimiche dichiarate come esistenti sul mercato al settembre 1981, e le «nuove sostanze», ossia quelle immesse sul mercato successivamente a tale data. Stabilisce un obbligo di registrazione delle sostanze in quanto tali o in quanto componenti di preparati (art. 5) per ogni sostanza fabbricata o importata in quantità pari o superiore a 1 tonnellata all'anno (art. 5, par. 1, comma II). Afferma il principio che solo le sostanze registrate possono essere fabbricate o importate nella Comunità (art. 19, par. 1).

2.2

Viene stabilito un «regime transitorio» per le sostanze attualmente fabbricate o immesse sul mercato interno (stimate in circa 30 000), cioè un'introduzione graduale nel sistema di registrazione in funzione delle quantità prodotte o importate dalla singola impresa (art. 21). Il regime transitorio prevede la scadenza di 3 anni per la registrazione delle quantità maggiori (oltre 1 000 t/anno) e per le sostanze attualmente classificate come CMR (5) categoria 1 e 2, di 6 anni per le sostanze pari o superiori a 100 t/anno, di 11 anni per le sostanze pari o superiori a 1 t/anno.

2.3

Tale approccio in funzione delle quantità è stato messo in discussione con varie argomentazioni, prima fra tutte quella di non consentire la distribuzione nel tempo della registrazione in funzione degli effettivi rischi connessi a ciascuna sostanza. Una priorità definita in base al rischio sarebbe più giustificata sul piano scientifico ed economico, ma al fine di definire le sostanze prioritarie bisognerebbe intraprendere un processo iterativo per identificare il pericolo intrinseco (hazard) e i rischi connessi all'esposizione (exposure) per giungere ad una valutazione (assessment) e conseguente gestione del rischio (risk management).

2.4

Il CESE ritiene quindi che il criterio di prioritizzazione basato sui volumi, ancorché grossolano come già affermato nel precedente parere (6), sia comunque quello più pratico per conseguire gli obiettivi voluti e pervenire alla sostituzione dell'attuale sistema, ritenuto universalmente poco efficiente. Il sistema proposto infatti tiene conto anche delle sostanze che destano gravi preoccupazioni come le sostanze CMR categoria 1 e 2. L'approccio della Commissione, che si fonda sulle quantità (indice grossolano dell'esposizione potenziale) non trascurando la pericolosità intrinseca, sembra essere più semplice nell'applicazione, trasparente e meglio in grado di garantire un sufficiente grado di certezza giuridica per gli operatori.

3.   Semplificazione normativa

3.1

La struttura del regolamento proposto presenta a parere del CESE una complessità e una difficoltà di comprensione che almeno in parte sono all'origine delle perplessità se non dei timori di molti operatori, specie di settori industriali che non producono sostanze chimiche nel senso proprio del termine, nonché degli importatori, delle PMI e degli utilizzatori a valle, a volte privi delle conoscenze e delle strutture tecniche necessarie per descrivere, nei casi in cui venga loro richiesto, gli usi particolari e la gestione dei relativi rischi. L'ampiezza degli allegati tecnici costituisce a sua volta un ostacolo per la piena comprensione e applicazione del sistema REACH.

3.2

Il CESE auspica quindi che la Commissione possa fare, in funzione dei pareri e degli emendamenti raccolti in prima lettura, anche uno sforzo per migliorare la leggibilità del regolamento valutando la possibilità di una ristrutturazione del testo attraverso la trasposizione di capi e articoli in punti diversi. In primo luogo bisognerebbe rendere chiari con definizioni più precise il campo di applicazione e le esenzioni di categorie, oltre ai tempi di registrazione e agli impegni differenziati richiesti in funzione del tonnellaggio.

3.3

Una volta chiariti gli obblighi che incombono ai produttori/importatori, in funzione della dimensione della loro produzione e delle caratteristiche del processo produttivo, risulteranno più comprensibili anche aspetti più complessi quali i meccanismi di condivisione dei dati, le responsabilità e le modalità di informazione lungo la catena di approvvigionamento, gli impegni e le responsabilità degli utilizzatori a valle.

3.4

Il Comitato suggerisce altresì che gli allegati che per loro natura non rientrano nelle norme di legge, come per esempio l'allegato X, continuino ad essere espressamente menzionati e quindi a costituire un punto di riferimento operativo, ma siano soggetti ad un'elaborazione congiunta fra autorità ed esperti dei settori coinvolti, sul modello dei BAT e BREF (7) previsti dalla direttiva IPPC. Quanto più si semplifica e si rende comprensibile tale imponente mole di informazioni tecniche, tanto più facilmente si potrà effettuare una corretta valutazione dell'impegno e dei costi dell'adempimento da parte delle imprese. Tale distinzione permetterà inoltre un adeguamento allo sviluppo tecnico e scientifico più rapido e senza vincoli procedurali eccessivi.

3.5

Il CESE apprezza lo sforzo di elaborazione di guideline operative in corso da parte della Commissione nell'ambito dei cosiddetti RIP, REACH Implementation Projects: ritiene tali strumenti essenziali per la praticabilità della proposta, in quanto permettono agli operatori e alle autorità coinvolte di impratichirsi e di comprendere a fondo i meccanismi di funzionamento del sistema.

3.6

Il CESE auspica che uno sforzo ulteriore sia dedicato al coinvolgimento delle associazioni industriali, sindacali e di categoria affinché sul territorio si crei una valida collaborazione tra autorità, imprese e organizzazioni professionali e sindacali per una efficace implementazione del sistema. In tale logica auspica lo sviluppo di strutture di sostegno come gli Help Desk nazionali che la Commissione sta studiando.

4.   Registrazione preliminare

4.1

L'articolo 26 prevede un obbligo di registrazione preliminare: ogni dichiarante potenziale di una sostanza soggetta al sistema di registrazione REACH deve trasmettere all'Agenzia il set di informazioni previste al più tardi 18 mesi prima delle scadenze, di 3 anni (per quantità superiori a 1 000 t.) e di 6 anni (per quantità superiori a 1 t.). I produttori/importatori di quantitativi inferiori ad 1 t o gli utilizzatori a valle possono contribuire volontariamente alla condivisione dei dati.

4.2

Il set di informazioni previste all'articolo 26, paragrafo 1 costituisce una base adeguata per favorire la condivisione delle informazioni relative alle singole sostanze e quindi possibili accordi per la presentazione congiunta dei dati e dei test da effettuare (con conseguente riduzione dei costi). Il CESE non lo ritiene però sufficiente per valutare il potenziale rischio di una sostanza e quindi permettere di individuare nuovi criteri di prioritizzazione ai fini della registrazione. Ove si volesse conseguire anche questo risultato, sarebbe necessario richiedere un set più complesso di dati, il che non solo implica tempi più lunghi ma anche costi e oneri burocratici che rischierebbero di essere eccessivi per i piccoli produttori e gli importatori, e per la stessa Agenzia che li dovrebbe gestire.

4.3

Il CESE ritiene che nell'ambito delle varie proposte in discussione si devono preferire quelle che salvaguardano gli obiettivi di fondo e le scadenze attualmente previste (evitando incertezze e confusione negli operatori coinvolti) e che possono rendere meno oneroso l'impatto per gli operatori più vulnerabili in base ai case studies condotti.

5.   Raccomandazioni per un sistema REACH efficace e gestibile

Il meccanismo di registrazione per funzionare in modo efficace deve chiarire agli operatori:

1.

le sostanze che rientrano nel sistema proposto;

2.

il campo di applicazione, esplicitando in particolare i criteri e le categorie di esenzione previste (citate attualmente in articoli diversi del regolamento);

3.

gli obblighi inerenti al flusso di informazioni tra i produttori, gli importatori e gli utilizzatori a valle (sia industriali sia professionali) di una medesima sostanza;

4.

i meccanismi, gli incentivi e i premi a consorziarsi ai fini della registrazione di una sostanza.

5.1

Definizione di sostanza. I case studies condotti hanno confermato che esistono ampi margini di incertezza sulle sostanze (specialmente inorganiche) che rientrano nel sistema REACH.

Il CESE si compiace che sia in corso di elaborazione uno specifico REACH Implementation Project (RIP) che chiarirà ad autorità e imprese quali sostanze sono effettivamente comprese nel sistema REACH.

5.2

Campo di applicazione. Sarebbe opportuno predisporre per gli operatori un tavola sinottica con il quadro preciso delle categorie esenti, in particolare quelle già regolate da altre norme comunitarie vigenti, in quanto idonee a garantire il conseguimento degli obiettivi di tutela della salute e dell'ambiente posti a premessa del sistema REACH. Il CESE condivide la necessità di evitare ogni sovrapposizione e conseguente duplicazione di impegni, ed auspica che indicazioni precise al riguardo tolgano ogni dubbio residuo.

5.3

Flusso di informazioni. Il sistema REACH può funzionare efficacemente solo se vi è un flusso adeguato di informazioni tra operatori a monte ed operatori a valle. Senza tale flusso di informazioni up e down, anche tra settori manifatturieri diversi, diventa impossibile prendere le corrette misure di gestione del rischio e di protezione dei lavoratori, dei consumatori e dell'ambiente. Il CESE condivide l'approccio che il produttore/importatore debba operare una valutazione degli scenari di esposizione e dei rischi relativi agli «usi identificati», quando richiesto, operando in buona fede e con la «diligenza del buon padre di famiglia», concetti chiari e consolidati nel diritto e nella giurisprudenza.

5.3.1

Il CESE sottolinea l'opportunità che i dati raccolti dall'Agenzia sulle sostanze registrate, e in seguito anche su quelle valutate, depurate da ogni informazione confidenziale o di rilievo commerciale, siano messi a disposizione degli operatori economici in generale (attualmente si prevede siano comunicate solo a produttori, importatori e utilizzatori di una specifica sostanza e limitatamente ad essa), dei rappresentanti dei lavoratori e delle categorie professionali cui possono esser utili nell'espletamento dei loro compiti (servizi medici, di sicurezza, di protezione, ecc.).

5.4

Condivisione dei dati. La proposta prevede, per le sostanze soggette a regime transitorio, la partecipazione ad un Forum per lo scambio di informazioni tra tutti i fabbricanti e gli importatori di una specifica sostanza che siano ricorsi alla registrazione preliminare. Il CESE condivide tale approccio e il sottostante obiettivo di ridurre al minimo le ripetizioni di esperimenti e anche dei test non condotti su animali.

5.5

Il CESE insiste sulla necessità di evitare la duplicazione dei test non solo per quanto attiene alla sperimentazione animale. Sarebbero opportune azioni mirate a sviluppare modelli di valutazione e di screening tipo QSAR (Quantitative StructureActivity Relationship), test e metodi alternativi a quelli animali studiando quali procedure possono rendere più rapida la loro valutazione e, se possibile, la loro utilizzazione prima ancora di una formale approvazione definitiva da parte degli organismi responsabili.

5.6

Costo/efficacia. L'obiettivo della riduzione dei costi a carico delle imprese è opportuno sia preso espressamente in considerazione nella messa in opera del sistema, onde inserirsi con coerenza nella strategia di Lisbona e in quella di uno sviluppo sostenibile, che il CESE ha sempre sostenuto. Perseguire l'obiettivo di competitività in parallelo agli obiettivi di tutela della salute e dell'ambiente è la sfida fondamentale di REACH. Si deve in particolare evitare che nella ripartizione dei costi di registrazione si faccia gravare un onere eccessivo su specifici segmenti della supply chain o su alcuni settori industriali soggetti a una concorrenza particolarmente agguerrita oppure strutturalmente più deboli.

5.7

In considerazione del fatto che si è calcolato che il 60 % dei costi diretti della registrazione è connesso ai test richiesti, il CESE ritiene di grande rilevanza i meccanismi atti a favorire accordi fra aziende, su base volontaria, al fine di procedere congiuntamente alla condivisione dei risultati e alla realizzazione dei test. Altrettanto importante è un sistema equo ed armonizzato di partecipazione ai costi da parte di chi usufruisce di dati raccolti in precedenza o congiuntamente.

5.8

Il CESE suggerisce pertanto di modificare alcune indicazioni sui costi, non ritenute sufficienti o eque, tra cui in particolare:

la riduzione della tassa di registrazione: mentre essa è modesta per le piccole quantità, diventa significativa per i tonnellaggi più elevati. È opportuno prevedere una riduzione più significativa rispetto all'attuale terzo (art. 10, par. 2), qualora lo stesso insieme di dati venga presentato da una molteplicità di imprese partecipanti ad un consorzio,

la ripartizione dei costi inerenti la sperimentazione animale tra i consorziati (prevista all'art. 28, par. 1, II comma, e all'art. 50, par. 1): non sembra equa una ripartizione tra i partecipanti al Forum in misura uguale, senza tener conto delle dimensioni della loro produzione rispettiva. Il CESE suggerisce come criteri più equi dei parametri di ripartizione correlati al fatturato di quella specifica sostanza o ai volumi venduti nell'ultimo triennio,

l'importo pari al 50 % del costo delle sperimentazioni animali effettuate dai precedenti dichiaranti previsto all'articolo 25, paragrafi 5 e 6 sembra ancora più iniquo, in quanto tale soglia per un late registrant può rilevarsi un insormontabile costo di ingresso in quel segmento di mercato.

6.   Considerazioni sulle proposte in discussione a livello di Consiglio

6.1

Tra le proposte in discussione ha trovato un certo seguito il cosiddetto sistema OSOR (One Substance, One Registration), proposto da Regno Unito e Ungheria, ampiamente discusso in seno al Consiglio. Il principio è condivisibile, in quanto tale sistema permetterebbe una drastica riduzione dei test da compiere evitando molte duplicazioni di studi, ma permangono dubbi sulla possibilità di una sua applicazione concreta.

6.1.1

Il CESE individua in questo progetto talune lacune e/o problemi irrisolti in relazione ai seguenti aspetti:

la tutela della confidenzialità (che difficilmente può essere garantita, se non affidandosi a terzi operanti per conto di un pool di imprese), data la previsione di obbligatorietà della condivisione dei dati (questo è infatti il vincolo obbligatorio, non la costituzione in consorzi),

la complessità inevitabile qualora si voglia coprire la totalità degli operatori che maneggiano una determinata sostanza, se non altro perché si includerebbero operatori disseminati in tutti gli Stati dell'UE, con ovvi problemi linguistici,

la quantità di imprese partecipanti ai molteplici SIEF (Substance Information Exchange Forum), anche se tale difficoltà viene attenuata dalla previsione di tre fasi di registrazione preliminare in funzione dei volumi,

il lungo tempo presumibilmente necessario per il raggiungimento di un accordo da parte degli esperti designati a decidere quali dati debbano essere trasmessi a partire dai vari pacchetti di «core data» condivisi, anche in considerazione del fatto che l'inserimento di un test piuttosto che di un altro può avere conseguenze economiche rilevanti per l'azienda grazie al meccanismo di compartecipazione ai costi relativi,

la presentazione congiunta del dossier (o comunque il riferimento ad un dossier comune), che potrebbe indurre ad una deresponsabilizzazione dei singoli operatori coinvolti.

6.1.2

Inoltre, il sistema OSOR non prevede, né fornisce certezze sulla possibilità di condivisione della determinazione dell'esposizione e della caratterizzazione e gestione dei rischi, quando richiesta, in quanto problematica se non impossibile da concordare da parte di una molteplicità di soggetti con caratteristiche diverse. Ciò lascerebbe spazio alla necessità di registrazioni in parte separate, in contraddizione con il principio alla base del concetto di OSOR.

6.2

La recente proposta maltese — slovena, relativa alle sostanze comprese fra 1 e 10 t., persegue obiettivi di semplificazione e di riduzione dei costi utili per le imprese operanti in questa fascia di tonnellaggio, spesso PMI. Essa non modifica aspetti essenziali della proposta di regolamento, come gli intervalli quantitativi e le scadenze, e propone modalità operative che appaiono semplici e flessibili.

6.2.1

I contenuti principali della proposta sono:

semplificazione dell'impegno registrativo fondandosi sulle informazioni disponibili sulla sostanza e sul relativo uso, con un semplice set di base di informazioni, comprese quelle fisico-chimiche ed (eco)tossicologiche, comunque necessarie,

individuazione di meccanismi semplici per descrivere l'esposizione:

principali categorie di utilizzo (industriale/professionale/consumatori),

modalità più significative di esposizione,

tipologia di esposizione (accidentale/infrequente; occasionale; continua/frequente),

individuazione di criteri di prioritizzazione (definiti dall'Agenzia) che si applicano automaticamente al verificarsi di 2 o più condizioni specificate in un apposito allegato,

rivisitazione periodica (ogni 5 anni) e flessibile, che tenga conto cioè dell'esperienza acquisita con le applicazioni precedenti.

6.2.2

Il CESE ritiene positivo il fatto che non si prevedano scadenze basate sulle quantità diverse dall'attuale proposta, e che non si richieda l'integrazione delle informazioni disponibili e/o di quelle relative ai test previsti all'Allegato 5 se non quando la selezione operata dall'Agenzia lo indica come opportuno. Va sottolineato infatti che al verificarsi dei criteri di prioritizzazione si procede ad un controllo, che può portare l'Agenzia a richiedere ulteriori informazioni e test per approfondimenti specifici o, se insorgono gravi preoccupazioni inerenti i rischi della sostanza, ad iniziare l'iter di valutazione.

6.3

La proposta svedese sulle sostanze contenute negli articoli merita particolare attenzione, se non altro per la generalizzata preoccupazione in merito all'applicazione pratica dell'art. 6. Essa sottolinea una serie di aspetti rilevanti quali:

la definizione di «articolo» è troppo generica per permettere di distinguere i vari tipi di articoli,

le quantità di sostanze pericolose rilasciate, anche non intenzionalmente, possono essere molto elevate, e il rilascio può variare significativamente in funzione della lavorazione degli articoli, del loro uso, o quando diventano rifiuti,

si ritiene problematica la identificazione delle sostanze rilasciate che possono avere «effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente» (art. 6.2), senza una specifica valutazione del rischio,

la presenza di sostanze CMR o PBT o vPvB (elencate nell'Allegato XIII) non viene necessariamente segnalata alle autorità né è oggetto di registrazione,

si individua una situazione di svantaggio per i produttori europei di articoli che operano secondo REACH lungo tutta la catena produttiva, rispetto ai loro diretti concorrenti non UE che rientrano nel sistema REACH per le sole sostanze pericolose rilasciate dagli articoli,

l'informazione sui contenuti di sostanze pericolose negli articoli è rilevante nel processo di acquisto e di marketing degli articoli stessi, compresa l'informazione ai consumatori, ma nella proposta di regolamento tale estensione non è prevista.

6.3.1

Per garantire un approccio che permetta di conseguire gli obiettivi di tutela della salute e dell'ambiente, senza aumentare in modo eccessivo il carico amministrativo-burocratico e i costi, il CESE concorda con alcune misure proposte sul tema e in particolare:

l'obbligo di fornire informazioni a valle lungo la catena produttiva, agli utilizzatori professionali e agli utilizzatori/consumatori di articoli,

la registrazione per le sostanze di maggior preoccupazione, indipendentemente dai quantitativi inclusi negli articoli, e per le sostanze pericolose se presenti in quantitativi superiori a 1 t., se aggiunte intenzionalmente e rilevabili come tali in essi,

l'obbligo per l'Agenzia di rendere disponibili informazioni strutturate sull'uso delle sostanze negli articoli, e il suo diritto di chiedere ulteriori informazioni ai produttori/importatori di articoli relativamente a sostanze non registrate o che ricadono nell'art. 54 f),

un «diritto a conoscere» (right to know) le sostanze chimiche pericolose contenute in un articolo, anche per gli utilizzatori professionali,

una «guiding list» per le sostanze pericolose che possono essere rilasciate non intenzionalmente, identificando i tipi di articoli sotto osservazione.

6.3.2

Il CESE sostiene altresì la proposta di anticipare l'applicazione dell'art. 6 qualora siano ottemperate una serie di fasi e di accordi volontari che ne dimostrino la pratica applicabilità, come suggerito dagli stakeholder del settore.

6.4

Il CESE conferma infine la necessità di rafforzare il ruolo dell'Agenzia, come già espresso nel precedente parere (8), e quindi condivide la proposta francese al riguardo (Shape the Agency for EvaluationSAFE) in particolare ove questa attribuisce all'Agenzia la responsabilità dei tre tipi di valutazione (sui test proposti, sui dossier presentati, sulle sostanze) previsti nella proposta di regolamento, e per quanto riguarda la responsabilità diretta del rolling plan delle sostanze da valutare con priorità.

7.   L'impatto sulla catena produttiva (supply chain)

7.1

Un'analisi che il Comitato ritiene ancora da sviluppare riguarda la supply chain e quindi le conseguenze differenziate nei vari suoi segmenti. La trasversalità dell'uso delle sostanze chimiche oggetto del regolamento fa sì infatti che una stessa impresa possa essere produttrice e utilizzatrice a valle nello stesso tempo, e cioè possa essere coinvolta in più d'uno dei ruoli previsti da REACH per i produttori/importatori e per gli utilizzatori a valle.

7.1.1

In ogni processo produttivo infatti si utilizzano sostanze e preparati chimici ausiliari, per i quali però l'onere della registrazione spetta al fornitore diretto, oppure è trasferito più a monte nella catena di approvvigionamento, a meno che l'utilizzatore a valle non operi per un uso non previsto e non preventivamente dichiarato al fornitore stesso.

7.2

Per tentare di individuare le caratteristiche delle diverse tipologie e dei diversi tipi di difficoltà che si debbono affrontare, è utile identificare sei protagonisti tipici, con ruoli diversi lungo la catena di approvvigionamento:

i produttori/importatori di sostanze chimiche primarie,

le grandi imprese manifatturiere non chimiche,

le PMI che producono sostanze chimiche soggette all'obbligo di registrazione,

i formulatori,

le PMI manifatturiere non chimiche,

gli importatori di sostanze chimiche o di articoli.

7.3

I produttori/importatori di sostanze chimiche primarie (come per esempio etilene e butadiene) sono relativamente poco numerosi e operano su grandi quantità, per cui sono coinvolti plausibilmente nella prima scadenza di registrazione, ma con bassa incidenza relativa dei costi sul loro fatturato.

7.4

Le grandi imprese non chimiche (tra cui in particolare le siderurgiche, le cartiere, i cementifici) sono contemporaneamente utilizzatori a valle — per i molteplici usi di sostanze e preparazioni ausiliarie che entrano nel loro processo di fabbricazione — e produttori/importatori, in base alla corrente definizione di sostanze. Salvo una più precisa definizione delle sostanze esenti, peraltro auspicabile, sono per lo più coinvolte nel processo registrativo già per la prima scadenza.

7.5

Nel corso della stesura di questo documento si sono acquisiti nuovi dati riguardanti le PMI che producono sostanze o composti chimici soggetti all'obbligo di registrazione. Malgrado ciò i dati disponibili non consentono una percezione completa e dettagliata della realtà. È certo che un numero sostanziale (dell'ordine di qualche migliaio) di PMI saranno soggette all'obbligo di registrazione, ma non è noto né per quante sostanze né per quali volumi, e di conseguenza con quali impegni e scadenze registrativi. Gli studi di impatto più recenti mostrano che per questo tipo di imprese i costi di registrazione potrebbero incidere anche significativamente sulla loro competitività o sulla permanenza nel mercato di alcune sostanze. Il CESE auspica che questo aspetto sia attentamente monitorato, anche per la rilevanza delle prevedibili conseguenze negative a valle.

7.6

I miscelatori di sostanze, cioè i formulatori di preparati, che utilizzano più sostanze per un unico preparato, sono coinvolti nella registrazione di sostanze non acquistate sul mercato interno. Gli studi condotti hanno confermato che essi sono anche i più attenti alla comunicazione di dati e informazioni che possono rivelare segreti di fabbricazione: in particolare la segnalazione del codice di ogni sostanza che entra in un preparato permetterebbe di risalire alla formulazione, compromettendone la competitività. Al riguardo il CESE suggerisce che tale richiesta sia applicata solo alle sostanze classificate come pericolose.

7.6.1

È quindi plausibile che soprattutto ai formulatori si applicherà l'articolo 34, paragrafo 4, che prevede anche per un utilizzatore a valle la predisposizione di un CSR (Chemical Safety Report) conformemente all'Allegato XI, per ogni uso non previsto dallo scenario di esposizione comunicato nell'SDS (Safety Data Sheet) del fornitore delle materie prime che entrano nel preparato. I formulatori dovranno ottemperare anche all'obbligo (già previsto dalla legislazione vigente) di preparare l'SDS per i preparati commercializzati, quando questi ultimi sono classificati come pericolosi ai sensi della direttiva 99/45/CE.

7.7

Le PMI manifatturiere non chimiche sono sostanzialmente utilizzatori a valle, plausibilmente modesti utilizzatori di sostanze (il cui onere registrativo compete comunque al produttore/importatore), ma più frequentemente di preparati. Avranno a disposizione la scheda di sicurezza (SDS) o la relazione sulla sicurezza chimica (CSR), se richiesto, il che permetterà un uso più controllato delle sostanze e una più efficace messa in opera di misure di gestione del rischio. Per questa categoria di imprese gli oneri economici saranno prevalentemente indiretti, con un impegno amministrativo e burocratico sostanzialmente nuovo.

7.8

Il CESE auspica, come già indicato al punto 3.6, che le associazioni industriali, sindacali e di categoria operanti sul territorio possano farsi parte attiva nell'accompagnare e semplificare i processi di applicazione, e svolgano un compito informativo che risulterà sicuramente utile per la piena ottemperanza del regolamento e per favorire la partecipazione degli operatori ai consorzi in casi specifici.

8.   Sicurezza e salute

8.1

Le valutazioni di impatto si sono finora concentrate essenzialmente sui costi e sulla fattibilità del sistema REACH; meno approfondite se non assenti sono valutazioni quantitative degli effetti positivi in termini di salute e di sicurezza sul posto di lavoro, e dei benefici per la salute e per l'ambiente. Molti operatori hanno lamentato gli oneri eccessivi del sistema REACH, chiedendone modifiche sostanziali. Alcuni settori industriali peraltro, nonché grandi catene commerciali, hanno valutato positivamente la proposta di regolamento, malgrado i costi e l'impegno amministrativo richiesto.

8.2

Il CESE si è già espresso nel precedente parere sul valore aggiunto in termini di qualità e di sicurezza dei processi produttivi e dei prodotti, e suggerisce di approfondire ulteriormente questi aspetti, anche in relazione al Piano di azione su «Ambiente e salute» (9). Il CESE apprezza che siano stati programmati alcuni studi specifici a questo riguardo, come per esempio lo studio dell'impatto di REACH sulla salute professionale (malattie della pelle e respiratorie) lanciato dal Trade Union Technical Bureau for Health and Safety.

8.3

La definizione degli scenari di esposizione e della gestione sicura delle sostanze utilizzate è già prevista nella direttiva sulla sicurezza dei lavoratori, ma l'applicazione concreta non sempre è soddisfacente. Il sistema REACH, ampliando le informazioni disponibili, costituisce indubbiamente un passo avanti per meglio tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti i settori produttivi. La disponibilità di più approfonditi e documentati SDS e CSR per le sostanze pericolose costituirà certamente uno strumento utile a tal fine, senza dimenticare che tali documenti saranno disponibili per un maggior numero di sostanze, e saranno diffusi più ampiamente tra gli operatori economici.

8.4

Un altro aspetto trascurato che merita grande attenzione sono le esigenze di formazione e di qualificazione dei diversi addetti (operatori e lavoratori) nella supply chain e le ricadute in termini di trasparenza e di informazione dei consumatori. Il CESE auspica una politica attiva al riguardo, attraverso piani di formazione dei lavoratori e meccanismi per rendere disponibili informazioni utili non confidenziali come già suggerito. Tali aspetti deriveranno certamente dall'attuazione del sistema REACH, ma sarebbe opportuno predisporre delle azioni specifiche al riguardo perché la loro efficacia sia massima.

9.   Innovazione

9.1

Uno degli obiettivi del sistema REACH è stimolare l'innovazione: il Comitato valuta favorevolmente l'equiparazione prevista per le nuove sostanze, in particolare l'esenzione dalla registrazione per le sostanze in fase di ricerca per 5 anni (rinnovabili) e l'incremento dei volumi ai fini della notificazione. Il CESE auspica però che siano studiati e posti in essere ulteriori strumenti e misure. Tra essi in particolare suggerisce che sia espressamente presa in considerazione la ricerca chimica nell'ambito del 7o programma quadro di cui sta iniziando la discussione, e che siano studiati specifici meccanismi di incentivi all'innovazione e di technology transfer per favorire lo sviluppo di sostanze con rischi potenziali minori.

9.2

I due case studies recenti mostrano che non saranno drammatiche né la diversione né la riduzione delle risorse destinate alla R&S, ma che comunque tale fenomeno si verificherà, non essendo previsto un incremento negli investimenti in ricerca: questo fatto, accompagnandosi all'aumento dei costi, potrebbe comportare una perdita di capacità innovativa e quindi di competitività. Poiché tale conseguenza potrebbe essere particolarmente significativa per le PMI, anche gli Stati membri dovrebbero sostenere la ricerca in tale tipologia di aziende, approfittando della nuova normativa degli aiuti di stato a favore delle PMI. Il fatto peraltro che le aziende intervistate non abbiano colto le opportunità ipotizzate fa pensare che sia necessaria un'azione di illustrazione dei vantaggi che REACH può presentare, a compensazione almeno parziale degli inevitabili oneri.

9.3

L'impatto di REACH sul sistema produttivo aprirà plausibilmente nuove opportunità per le imprese più attente agli sviluppi del mercato, flessibili ed efficienti, con possibilità di acquisire nuove quote di mercato e di proporre nuove soluzioni per le sostanze più critiche di cui è opportuna la sostituzione. Non va dimenticato che l'esperienza accumulata creerà un vantaggio competitivo quando altre regioni del globo dovranno adeguarsi a standard di produzione più rispettosi della salute umana e dell'ambiente. Bisogna poi considerare anche le ricadute di REACH sulla ricerca associata alla necessità di nuove conoscenze (dalla chimica analitica al computer modelling, dalla tossicologia ai nuovi approcci dei test, dai metodi di campionamento e di misura allo sviluppo di software applicativi).

9.4

Tali processi dovranno però essere tenuti in considerazione dai legislatori e dai decisori politici affinché tutte le politiche comunitarie siano coerenti e facilitino il conseguimento degli obiettivi di competitività e di innovazione, oltre che di una efficace tutela dell'ambiente, come la strategia di Lisbona impone. Il Comitato auspica che un approfondito e continuo dialogo fra le autorità competenti e gli stakeholder faciliti l'individuazione di politiche e di strumenti efficaci da affiancare alle leve di mercato per uno sviluppo innovativo della chimica, attento alla tutela della salute e dell'ambiente.

Bruxelles, 13 luglio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Documento COM(2003) 644 def. del 29.10.2003.

(2)  GU C 112 del 30.4.2004.

(3)  KPMG, Business Impact Case Study REACH, presentato il 28 aprile 2005.

(4)  JCR-IPTS, Contribution to the analysis of the impact of REACH in the new European Member States, presentato il 28 aprile 2005.

(5)  Sostanze cancerogene, mutagene, tossiche per la riproduzione.

(6)  GU C 112 del 30.4.2004, punto 3.3.2.

(7)  Si tratta delle Best Available Techniques (BAT) e dei BAT Reference Documents (BREF), documenti elaborati dall'Ufficio europeo di Siviglia competente per l'applicazione della direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (Integrated Pollution Prevention and Control, IPPC), che sono elaborati congiuntamente da esperti comunitari e degli stakeholder.

(8)  GU C 112 del 30.4.2004, punto 3.2.

(9)  GU C 157 del 28.6.2005


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Portata ed effetti della delocalizzazione delle imprese

(2005/C 294/09)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Portata ed effetti della delocalizzazione delle imprese.

La commissione consultiva per le Trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere in data 13 giugno 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore RODRÍGUEZ GARCÍA CARO e dal correlatore NUSSER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 15 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Viviamo in un mondo di crescente globalizzazione — processo che accelera la perdita di significato delle frontiere — caratterizzato dall'internazionalizzazione del commercio e da uno sviluppo tecnologico vertiginoso (1). L'aumento degli investimenti istituzionali (2) e quello degli investimenti incrociati transfrontalieri, la delocalizzazione delle attività, i rapidi cambi di proprietà e un maggiore impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione fanno sì che l'identità geografica si stemperi e che, pertanto, la competitività raggiunga una dimensione globale. In questo modo, la competitività si configura come l'obiettivo generale della dimensione economica, la cui interazione con la dimensione sociale, con quella ambientale e quella politico-istituzionale definisce il processo di sviluppo sostenibile.

1.2

L'Unione europea appare attualmente come un importante nucleo d'integrazione nel contesto della globalizzazione, con un mercato unico e un'Unione economica e monetaria e progressi notevoli in materia di politica estera e di sicurezza comune, di giustizia e affari interni.

1.3

Una società deve essere competitiva nel suo insieme. Da questo punto di vista, la competitività va intesa come la capacità di una società di anticipare, adeguare ed influenzare costantemente l'ambiente che la circonda (3). Così, la Commissione europea, nella sua comunicazione dell'11 dicembre 2002 intitolata La politica industriale in un'Europa allargata  (4) definisce come segue la competitività: la capacità di un'economia di garantire su basi sostenibili alla propria popolazione livelli di vita elevati e in crescita e alti tassi d'occupazione. Inoltre, l'importanza della competitività globale viene sottolineata dalla Commissione europea nelle apposite relazioni pubblicate regolarmente dal 1994 (5).

1.4

Nel caso delle imprese, la competitività è la capacità di soddisfare le esigenze dei clienti in modo sostenibile e più efficace rispetto ai loro concorrenti, offrendo loro beni e servizi più interessanti in termini di prezzo e di altri fattori (6). La competitività «organizzativa» può essere così definita: la misura in cui un'organizzazione riesce a produrre beni e servizi di qualità che abbiano successo e siano accettati nel mercato globale (7). Le organizzazioni devono inoltre soddisfare le tre «E»: efficienza, efficacia ed effettività. Efficienza nella gestione delle risorse, efficacia nel raggiungimento degli obiettivi ed effettività nel generare un impatto sull'ambiente circostante.

1.5

Il fattore umano costituisce un elemento fondamentale della capacità di competere delle imprese. In questo senso, è importante la motivazione delle persone, le possibilità di formazione e di promozione e il loro contributo nel quadro del dialogo sociale.

1.6

Oggi, le imprese operano in un ambiente in costante evoluzione. La liberalizzazione sempre crescente dei mercati, lo sviluppo delle infrastrutture, dei mezzi di comunicazione e di trasporto, il costante processo di innovazione delle tecnologie e delle loro applicazioni, e infine una concorrenza sempre più intensa, determinano il quadro nel quale le imprese devono portare avanti la loro attività quotidiana.

1.7

Per quanto riguarda concretamente l'UE, il 1o maggio 2004 ha rappresentato una pietra miliare della sua storia, con l'adesione di dieci nuovi Stati. Come si può leggere nel parere del Comitato sull'ampliamento (8)«L'ampliamento del mercato unico comporterà numerosi vantaggi economici e rafforzerà la competitività dell'Europa in seno all'economia mondiale, a condizione che le potenzialità esistenti vengano messe a frutto e non trascurate». Tuttavia occorre tener presente che le strutture economiche dei nuovi Stati membri non hanno ancora raggiunto gli standard dell'Europa dei 15. Secondo la relazione sulla competitività del 2003, i 10 PECO (9) hanno, rispetto all'Europa dei 15, un vantaggio per quanto concerne le industrie ad alta intensità di manodopera, risorse ed energia, mentre soffrono di svantaggi comparati in termini di industrie ad alta intensità di capitale, tecnologia e qualificazioni. Questo comporta, per i 10 PECO, vantaggi comparati nelle materie prime (beni di base) e nei beni di consumo (beni finali), ma svantaggi per quanto riguarda i prodotti intermedi e i beni strumentali.

1.8

Un mercato interno di quasi 455 milioni di persone, in cui le imprese possono operare nell'ambito di un quadro comune, capace di garantire condizioni macroeconomiche stabili in una zona di pace, stabilità e sicurezza, rappresenta il primo vantaggio dell'ampliamento del 1o maggio 2004. In questo senso, se da un lato è vero che, dopo l'allargamento, la popolazione dell'UE è aumentata del 20 % e il prodotto interno lordo (PIL) è salito del 5 %, è altrettanto vero che i costi orari della manodopera e la produttività lavorativa si sono abbassati, in media, nell'intero territorio dell'UE a 25.

1.9

L'ampliamento dell'Unione non dovrebbe tuttavia essere considerato di per sé una minaccia per i «vecchi» Stati membri. I precedenti ampliamenti dell'Unione dimostrano come il PIL e gli standard di vita dei paesi che diventano membri dell'UE migliorano. Ciò è esemplificato dall'aumento dei PIL di Irlanda (10), Spagna (11) e portogallo (12) dopo la loro adesione. Non va inoltre dimenticato che dal 1o maggio 2004 il futuro dell'UE è il futuro dei suoi 25 Stati membri.

1.10

D'altro canto, l'ampliamento offre l'opportunità alle imprese europee di approfittare dei vantaggi offerti dai nuovi membri dell'UE, non solo in termini di costo o di istruzione, ma anche di vicinanza geografica e analogie culturali e linguistiche, maggiori rispetto a quelle offerte da altre possibili localizzazioni.

1.11

Il fenomeno della delocalizzazione è una sfida per la società europea, che può essere affrontata da una doppia prospettiva: da un lato, la delocalizzazione di imprese verso altri Stati membri, alla ricerca di migliori condizioni, dall'altro, la delocalizzazione verso paesi terzi, ad esempio i paesi del Sudest asiatico (13) o verso paesi con economie emergenti (14), tra cui la Cina assume un significato speciale. Nel secondo caso, gli sviluppi sono, in parte, dettati da condizioni di produzione favorevoli e, soprattutto, dalle nuove opportunità che sorgono con la penetrazione in nuovi mercati di grandi dimensioni e con un enorme potenziale di crescita.

1.12

Il fenomeno della delocalizzazione, oltre ad avere come conseguenza diretta la perdita di posti di lavoro, potrebbe comportare altri problemi connessi, come un incremento degli oneri sociali per gli Stati, un aumento dell'esclusione sociale ed un rallentamento della crescita economica nel suo complesso, dovuto tra l'altro ad una riduzione globale della domanda. D'altro canto, va segnalato che, nella migliore delle ipotesi, la delocalizzazione della produzione industriale può contribuire a far sviluppare i diritti sociali nei paesi destinatari degli investimenti ed esige necessariamente un trasferimento regolare di know-how; essa può di conseguenza contribuire in misura notevole al livellamento dei rispettivi vantaggi comparati descritti al punto 1.7 e all'incremento ulteriore della competitività delle imprese delocalizzate.

1.13

Nonostante gli effetti succitati, la stessa Commissione europea riconosce, nella sua comunicazione Ristrutturazioni e occupazione del 31 marzo 2005 (15), che non c'è nessuna ragione per cui le ristrutturazioni debbano essere sinonimo di regresso sociale e perdita di base economica. Inoltre, nella comunicazione citata si dice anche che le operazioni di ristrutturazione sono spesso necessarie per la sopravvivenza e lo sviluppo dell'impresa, ma che questa evoluzione va accompagnata in modo che i suoi effetti sull'occupazione e sulle condizioni di lavoro siano quanto più possibile temporanei e contenuti.

1.14

Oggi investire in un altro paese non è più una questione riguardante solo le grandi imprese, in quanto anche quelle piccole e medie, e specie quelle con un elevato valore aggiunto tecnologico, già si stanno insediando in altri paesi o esternalizzano una parte della loro attività.

1.15

Da un lato, la creazione di processi tecnologici più avanzati in paesi con costi elevati è uno dei fattori che frenano la delocalizzazione di imprese, dando origine a nuovi settori di attività e migliorando la competenza professionale del personale e il know-how delle imprese. Dall'altro, le economie emergenti e i paesi del Sudest asiatico presentano mercati con un grande potenziale, con regimi fiscali e prezzi dell'energia, tra gli altri, spesso più favorevoli rispetto all'UE; in questi paesi, inoltre, i costi della manodopera sono molto più bassi, spesso a causa dello sviluppo inferiore dei diritti sociali, in alcuni casi inesistenti se si considerano le norme fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), e al minor costo della vita. Questo consente alle imprese ivi ubicate di competere su scala globale, sulla base di costi inferiori. Tali paesi inoltre favoriscono gli investimenti esteri, talvolta ricorrendo a tal fine a zone franche in cui le norme del diritto del lavoro e i diritti sociali sono di livello inferiore a quelli che si applicano nel resto del paese, perché sono consapevoli che tali investimenti costituiranno entrate notevoli per la loro economia. Per tale motivo, sono sempre più numerose le imprese che valutano la possibilità di trasferire verso questi paesi la parte di attività che genera un più basso valore aggiunto, processo che di solito è affiancato dalla creazione di posti di lavoro di bassa qualità e a basso salario.

1.16

In questo senso, il decollo dei paesi con economie emergenti e dei paesi del Sudest asiatico è evidenziato dal fatto che si registra un aumento effettivo degli investimenti diretti esteri in queste aree (IDE) e, al tempo stesso, un'intensificazione dei flussi commerciali della stessa UE con queste regioni. Di conseguenza, anche se le cifre mostrano che l'Europa è riuscita a mantenere una quota importante di IDE, i flussi complessivi hanno registrato un cambiamento di direzione e si rivolgono in misura crescente verso l'Asia.

1.17

È così che la nuova direzione che sta interessando il commercio estero dell'Unione europea è confermata dai dati più recenti, dal cui esame emerge che, sebbene gli Stati Uniti continuino ad essere, ampiamente, i suoi principali partner commerciali, essi tendono a perdere d'importanza a favore di paesi quali la Cina (16).

1.18

A questo punto, è opportuno cercare di definire i concetti di delocalizzazione e deindustrializzazione:

delocalizzazione: fenomeno che consiste nella cessazione, totale o parziale di un'attività e della sua successiva ripresa all'estero per mezzo di un investimento diretto. Nell'Unione europea, si potrebbe distinguere tra due tipi di delocalizzazione:

a)

delocalizzazione interna: trasferimento totale o parziale dell'attività in un altro Stato membro;

b)

delocalizzazione esterna: trasferimento totale o parziale dell'attività verso paesi non membri;

deindustrializzazione: in ordine a tale concetto, va fatta una distinzione tra:

a)

deindustrializzazione assoluta: processo che comporta un declino dell'occupazione, della produzione, della redditività e dello stock di capitale nell'industria e un calo delle esportazioni di beni industriali, e che determina disavanzi commerciali persistenti in tale settore;

b)

deindustrializzazione relativa: processo che consiste nella riduzione della quota dell'industria nell'economia e rispecchia un processo di cambiamento strutturale per quanto riguarda il rapporto tra la produttività dell'industria e il settore dei servizi (17).

Oltre alla delocalizzazione interna e a quella esterna, va menzionato anche un fenomeno venuto alla luce recentemente in alcuni siti di produzione: la «delocalizzazione inversa», che si verifica quando l'imprenditore spinge i suoi dipendenti ad accettare condizioni di lavoro meno soddisfacenti dinanzi al rischio di una delocalizzazione. Questo fenomeno ha conseguenze particolarmente deleterie perché si basa sulla creazione di un clima di concorrenza fra i lavoratori e perché può produrre un effetto «a macchia d'olio».

2.   Cause e implicazioni

2.1

Per mitigare gli effetti negativi della delocalizzazione, è evidente la necessità di adottare provvedimenti di natura economica e sociale volti a favorire la creazione di ricchezza, benessere e occupazione. A tal fine, occorre prestare particolare attenzione alle piccole e medie imprese data l'importanza del loro contributo all'occupazione nell'UE. Pari attenzione va prestata anche alle imprese dell'economia sociale (piccole, medie e grandi) perché tendono a creare ininterrottamente occupazione e inoltre, dato il loro statuto, generano posti di lavoro in linea di massima più difficilmente delocalizzabili. In tale contesto, il Comitato esprime il suo sostegno alla Commissione europea per la proposta di decisione che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013) (18), in cui propone la creazione di tre sottoprogrammi destinati a offrire un quadro comune per incentivare la produttività, la capacità d'innovazione e la crescita sostenibile. Il primo di tali sottoprogrammi, il programma per l'innovazione e l'imprenditorialità è diretto ad appoggiare, migliorare, sviluppare e promuovere, tra l'altro, l'accesso e il finanziamento per la creazione e la crescita delle piccole e medie imprese, l'innovazione settoriale, i cluster e le iniziative riguardanti lo spirito imprenditoriale e la creazione di un ambiente favorevole alla cooperazione delle piccole e medie imprese. Per incentivare la creazione di cluster regionali è essenziale ottenere che le multinazionali decidano di non delocalizzare e favoriscano, così, l'attività delle piccole e medie imprese nel loro contesto territoriale.

2.2

Si deve anche tener conto degli effetti indiretti che il rischio di delocalizzazione può avere sui salari e le condizioni di lavoro. Le parti sociali, attraverso i processi di contrattazione collettiva e la creazione e l'uso ottimale dei comitati aziendali europei, ovunque siano previsti per legge, dovrebbero minimizzare tali rischi e assicurare il futuro dell'impresa e condizioni di lavoro di qualità.

2.3

Storicamente l'UE a 15 è stata caratterizzata da squilibri regionali nei livelli di reddito, di occupazione e di produttività, i quali a loro volta riflettono le differenze nei livelli di indebitamento, nei vantaggi fiscali e nell'atteggiamento verso l'innovazione. Dopo l'ampliamento del 1 maggio 2004, queste disparità regionali si sono notevolmente accentuate (19).

2.4

A livello regionale, le conseguenze della delocalizzazione delle imprese possono essere drammatiche soprattutto quando le regioni si specializzano in uno specifico settore di attività. È per questo motivo che una massiccia delocalizzazione di imprese in un determinato settore può avere un forte impatto, tra l'altro in termini di tasso di disoccupazione, sensibile diminuzione della domanda, riduzione della crescita economica, aumento dell'emarginazione sociale, ecc., con tutte le conseguenze negative che questo comporta. Per evitare tali fenomeni, la Commissione europea, nel suo terzo rapporto sulla coesione (20), sottolinea l'importanza di concentrare i suoi sforzi sulla coesione al fine di migliorare l'efficacia e la competitività dell'economia europea, il che implica la mobilizzazione di tutte le sue risorse e regioni (21).

2.5

È essenziale impegnarsi nel campo della qualificazione della manodopera, dell'aumento degli investimenti in innovazione e dello sviluppo di incentivi volti a promuovere lo spirito imprenditoriale nell'Unione europea.

2.6

Secondo i dati dell'Osservatorio europeo sul cambiamento di Dublino, il fenomeno della delocalizzazione colpisce alcuni settori più di altri (22). La posizione di un'impresa nei confronti della delocalizzazione dipende inoltre dal suo grado di autonomia, in funzione della sua struttura societaria e tecnologica. Le filiali di imprese multinazionali con sede in un paese straniero o le imprese che non possiedono le tecnologie relative ai loro prodotti o processi sono quelle maggiormente a rischio.

2.7

Gli insufficienti risultati dell'Europa in termini di ricerca e innovazione sono preoccupanti nella misura in cui le delocalizzazioni non sembrano più limitarsi a settori caratterizzati dall'intensità della manodopera. Oramai, sono sempre più frequenti delocalizzazioni nei settori intermedi e anche in alcuni settori ad alta tecnologia, in cui si tende a delocalizzare attività quali la ricerca e i servizi. La Cina e l'India sono i maggiori beneficiari di questi cambiamenti o trasferimenti.

2.8

Inoltre alcune imprese riportano le loro produzioni nel loro paese d'origine in ragione delle buone condizioni offerte dall'UE per la produzione di prodotti e servizi avanzati. Anche se il trasferimento della produzione verso paesi con costi bassi continuerà, l'obiettivo deve essere quello di contribuire al mantenimento e alla creazione di buone condizioni per la produzione di prodotti e servizi avanzati, al fine di attirare produzioni ad elevato valore aggiunto.

2.9

Gli Stati Uniti sono la prima potenza economica mondiale e il principale partner commerciale dell'UE. Nel corso degli anni '90 vari paesi, ma soprattutto gli Stati Uniti, hanno subito un complesso di trasformazioni che ha dato luogo alla cosiddetta «nuova economia». Il rapido sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e la loro applicazione all'interno delle imprese hanno provocato un'accelerazione del tasso di incremento del prodotto interno lordo e una forte riduzione del tasso di disoccupazione. In questo modo, la rivoluzione avvenuta nel settore delle telecomunicazioni si è estesa alla società e all'economia in generale.

2.10

Nonostante la promozione della ricerca sia estremamente importante per frenare il processo di delocalizzazione, che già desta preoccupazioni in alcune regioni europee, veramente importante è l'applicazione dei risultati della ricerca. Vale a dire che l'applicazione dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica è ciò che produce, nella realtà, lo sviluppo e la crescita di un'economia. Per questo motivo è lecito affermare che la chiave non sta nella tecnologia in quanto tale, bensì nell'uso che di quest'ultima si fa, vale a dire nell'innovazione.

2.11

Nondimeno, vi deve essere consapevolezza del fatto che l'innovazione, da sola, non eviterà la delocalizzazione di attività industriali tradizionali, che vengono trasferite in altri luoghi di produzione perché non competitive. Invece, l'innovazione costituirà sì un fattore che renderà più facile in queste aeree la sostituzione delle attività delocalizzate con prodotti, processi e servizi alternativi.

2.12

Un'economia basata sull'integrazione dei progressi tecnologici nei processi produttivi mette a disposizione una vasta gamma di nuovi prodotti e processi di elevato valore aggiunto, a livello sia di produzione che di consumo. In tale contesto, i paesi che il 1o maggio 2004 sono entrati a far parte dell'UE dovrebbero essere considerati come una fonte di opportunità nella misura in cui, con l'aiuto di un'adeguata politica industriale, le imprese europee saranno in grado di concepire una nuova strategia su scala continentale, approfittando al massimo delle opportunità offerte dall'ampliamento.

2.13

Si ha delocalizzazione quando un'impresa trasferisce, in tutto o in parte, la sua attività da un luogo ad un altro. Come le persone, anche le imprese abbandonano il luogo d'origine con un unico obiettivo: migliorare. All'interno di spazi economici altamente sviluppati e con mercati parzialmente saturi, il potenziale di crescita delle economie nazionali nei rispettivi mercati raggiunge progressivamente i limiti naturali. Pertanto, interi settori industriali devono cercare opportunità future in altri spazi economici. Nell'epoca della globalizzazione, inoltre, le imprese devono far fronte ad una intensa concorrenza sia nel mercato interno sia nei mercati di esportazione. In tal senso, la competitività delle imprese non dipende solo dalla qualità dei loro prodotti o servizi e dai loro fornitori, ma anche dai prezzi praticati, dai movimenti relativi delle valute e dalla possibilità di contare su mercati globali aperti e competitivi le cui regole siano rispettate da tutti.

2.14

La scelta della localizzazione diventa dunque una questione strategica per le imprese obbligandole a prendere in considerazione una serie di aspetti di diversa natura. Le imprese basano le loro decisioni in funzione, tra altri fattori, di un livello di formazione elevato e pertinente, di buoni servizi pubblici, del livello moderato del costo del lavoro, della stabilità politica, dell'esistenza di istituzioni sufficientemente affidabili, della prossimità di nuovi mercati, della presenza di risorse produttive e infine di livelli ragionevoli d'imposizione fiscale. La posizione delle imprese nei confronti della delocalizzazione dipende inoltre dai costi delle infrastrutture e delle operazioni, nonché dal loro grado di indipendenza, in funzione della loro struttura societaria e tecnologica e dell'efficienza dell'amministrazione pubblica. Pertanto, il costo del lavoro non è l'unico criterio nella scelta delle imprese a favore o contro la delocalizzazione e, inoltre, esso va ponderato con la produttività, giacché il rapporto produttività/costo è determinante per la competitività.

2.15

I costi relativi dell'attività sono, in larga misura, funzione di caratteristiche nazionali o regionali. Il paese che accoglie un investimento imprenditoriale deve possedere un livello minimo di infrastrutture, di istruzione della popolazione e di sicurezza. L'assunzione di rischi da parte di un'impresa si basa sulla seguente logica: prima la stabilità, poi la fiducia, infine l'investimento. In tale contesto svolgono un ruolo indiscutibile determinati avvenimenti che generano instabilità o incertezza per coloro che decidono gli investimenti. I responsabili politici devono essere consapevoli al massimo grado dell'importanza di attirare investimenti che creino posti di lavoro di qualità, promuovano lo sviluppo tecnologico e potenzino la crescita economica. D'altra parte, al momento di configurare l'aiuto allo sviluppo dovrebbero tenere maggiormente conto del miglioramento dei diritti politici, civili e sociali nei paesi che ne sono i beneficiari. Le imprese devono contribuire a tale obiettivo applicando il principio di responsabilità sociale (23).

2.16

Una responsabilità particolare per la creazione di regole stabili sul mercato occupazionale ricade sulle parti sociali. I contratti collettivi, nel quadro di un dialogo sociale autonomo, garantiscono uguali condizioni di concorrenza a tutte le imprese e rappresentano un elemento di equilibrio tra mercato e diritti dei lavoratori; ciò si traduce a sua volta in elevati livelli di crescita economica, sicurezza e opportunità di sviluppo, tanto per le imprese quanto per i lavoratori.

2.17

Vi sono poi altri aspetti che svolgono un ruolo fondamentale. Da un lato, il tipo e le caratteristiche dei prodotti e dei servizi offerti rendono in molti casi opportuna la loro produzione e prestazione nei mercati cui sono destinati o in quelli vicini. Dall'altro, esiste spesso, soprattutto per il settore delle industrie di approvvigionamento, la necessità di seguire i propri clienti nelle localizzazioni scelte da questi ultimi. Infine, in molti casi non è possibile aprire nuovi mercati se non si garantisce per lo meno un certo grado di valore aggiunto locale.

2.18

Infine, non va dimenticato che, poiché i consumatori annettono grande importanza al prezzo e anche la domanda dei consumatori influisce sull'offerta, esiste una forte pressione sui commercianti al dettaglio perché abbassino i prezzi. In tal senso i grandi dettaglianti, decisi a offrire prezzi bassi al consumatore, fanno pressione sui fornitori perché questi riducano i prezzi. È quindi normale che i fornitori, soprattutto quelli di piccole dimensioni non dispongano di risorse economiche per soddisfare le esigenze dei grandi dettaglianti (24).

2.19

Il differenziale esistente tra le economie degli Stati membri dell'UE, da un lato e, dall'altro, tra quella dell'UE nel suo complesso e quelle dei paesi asiatici genera, fra gli altri, alcuni fattori che favoriscono la delocalizzazione delle imprese:

approvvigionamenti più economici,

vantaggi fiscali,

possibilità di accesso a nuovi mercati,

tecnologia,

costi del lavoro più bassi.

2.20

Il trasferimento di imprese, soprattutto fuori dell'UE, potrebbe creare alcuni problemi, quali:

perdita di competitività: le imprese che rimangono nell'UE potrebbero vedersi obbligate a far fronte a costi più elevati rispetto ai loro concorrenti; ciò si tradurrà, probabilmente, in una perdita di quote di mercato nel commercio mondiale e, pertanto, in un elemento estremamente negativo ai fini del conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona (crescita sostenibile con più posti di lavoro e migliore qualità, maggiore coesione sociale e rispetto dell'ambiente),

minore creazione di know-how : le imprese europee, obbligate a competere con altre imprese che devono sostenere costi inferiori, potrebbero essere costrette eventualmente ad investire sempre meno nella ricerca; ciò potrebbe tradursi in una perdita di capacità di innovazione, fattore determinante per la sopravvivenza nel mercato attuale,

perdita di posti di lavoro e diminuzione delle opportunità occupazionali per un numero sempre più grande di lavoratori nelle regioni e nei settori interessati: questo determinerà un aumento dell'emarginazione sociale, il che obbligherà lo Stato a stanziare più fondi di bilancio per far fronte all'aumento delle spese per le prestazioni sociali; i gruppi più colpiti saranno i lavoratori di imprese filiali di multinazionali estere e quelli delle imprese che non sono proprietarie della tecnologia relativa ai loro prodotti o ai loro processi produttivi,

minore crescita dell'economia: provocata in parte da una contrazione della domanda interna, conseguenza a sua volta dell'effetto che la moderazione salariale, la perdita di posti di lavoro e il deterioramento delle opportunità nel mercato del lavoro avranno sulla popolazione.

3.   Conclusioni

3.1

In risposta alla preoccupazione espressa dal Consiglio europeo (25) e consapevole dell'inquietudine che suscita il rischio di deindustrializzazione e la maniera in cui si deve anticipare e affrontare le trasformazioni strutturali in atto nell'industria europea, il 20 aprile 2004 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione intitolata Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata  (26); la comunicazione delinea i contorni di una politica industriale per l'Unione europea ampliata e su di essa il Comitato ha elaborato un parere specifico in cui accoglie con soddisfazione l'iniziativa della Commissione (27).

3.2

In questo documento, la Commissione europea indica che, nonostante nella maggior parte dei settori si registri un aumento della produzione e non si possa parlare di un fenomeno generalizzato di deindustrializzazione, l'Europa sta subendo un processo di ristrutturazione che implica il trasferimento di risorse e di posti di lavoro verso attività ad alta intensità di conoscenze. A tale proposito, la Commissione segnala che nel periodo compreso tra il 1955 e il 1998, il numero di posti di lavoro nel settore industriale è diminuito in tutti gli Stati membri.

3.3

La Commissione segnala inoltre che l'ampliamento offre all'industria diverse opportunità e che, in taluni casi, può contribuire a mantenere in Europa una produzione che altrimenti sarebbe stata delocalizzata in Asia. Per anticipare i cambiamenti e proseguire le politiche necessarie per sostenerli, la Commissione invita ad agire nel contesto delle nuove prospettive finanziarie fino al 2013, in tre ambiti:

i)

migliorare il contesto normativo nazionale e comunitario delle imprese, il che non significa necessariamente ridurre il numero di normative, bensì disporre di norme chiare applicabili in modo uniforme in tutto il territorio dell'UE;

ii)

realizzare la massima sinergia tra le politiche dell'UE al fine di promuovere la competitività, agendo in particolare in settori quali la ricerca, la formazione, le regole di concorrenza e gli aiuti regionali;

iii)

adottare misure in settori concreti al fine di dare risposte politiche che soddisfino le esigenze specifiche, migliorare la catena di valore, anticipare ed accompagnare le trasformazioni strutturali.

3.4

L'industria svolge indubbiamente un ruolo propulsivo nell'economia e pertanto la sua buona salute e il suo dinamismo possono rilanciare l'economia nel suo complesso; un calo nella competitività industriale e una produzione industriale in rallentamento possono invece provocare un ristagno generale dell'attività economica. In tale contesto, è fondamentale portare avanti una politica industriale (28) che promuova la creazione e l'espansione di imprese che, all'interno dell'UE, investano in misura significativa nell'innovazione e nello sviluppo invece di competere con la riduzione dei costi. Solo potenziando i vantaggi che l'Europa offre (quali ad esempio: qualità delle infrastrutture della società dell'informazione, elevati investimenti nella ricerca e nelle nuove tecnologie e loro applicazione adeguata all'interno delle imprese, potenziamento dell'istruzione e della formazione continua dei lavoratori, dialogo sociale e tutti i vantaggi del mercato interno), si riuscirà a mantenere e a migliorare la competitività dell'industria europea. In questo modo sarà possibile promuovere la crescita economica e realizzare progressi verso la piena occupazione e lo sviluppo sostenibile.

3.5

Con l'obiettivo di accrescere e sostenere la competitività delle imprese dell'UE, il Comitato invita a migliorare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e la loro applicazione nei paesi terzi.

3.6

È necessario promuovere un modello di produzione in cui potenziare altri fattori oltre ai prezzi dei prodotti fabbricati. È importante sottolineare che la competitività non si fonda solo sui costi o sulle agevolazioni fiscali: le persone rappresentano una parte fondamentale della capacità competitiva delle imprese. La ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie che permettano di ridurre i costi di produzione e di migliorare la capacità produttiva sono sì fondamentali, ma non si può dimenticare che il vero valore di tali progressi risiede proprio nella loro applicazione. È quindi prioritario disporre delle conoscenze necessarie per un'applicazione adeguata di questi processi, conoscenze tali da consentire di sviluppare il notevole potenziale di miglioramento da essi offerto e di far crescere nelle imprese l'interesse per la ricerca di nuove applicazioni per le tecnologie già esistenti, vale a dire potenziare un atteggiamento innovativo. In questo processo è fuori discussione il ruolo fondamentale svolto sia dagli imprenditori sia dai lavoratori. Per tale motivo, occorre in definitiva far sì che le imprese europee basino la maggior parte del loro valore aggiunto e dei loro vantaggi competitivi sul capitale umano. Di conseguenza, è indispensabile adottare misure di formazione continua dei lavoratori e di rilancio degli investimenti nell'innovazione e nella ricerca. Anche qui, le parti sociali europee svolgono un ruolo determinante attraverso il loro programma congiunto di lavoro (29).

3.7

Nondimeno, alcune misure risultano pertinenti solo nel caso di delocalizzazioni all'interno dell'UE.

3.7.1

L'allargamento dell'Unione europea e di conseguenza del mercato interno impedisce di applicare restrizioni di qualsiasi tipo alla delocalizzazione di imprese dall'Europa occidentale all'Europa centrorientale. Occorre valutare la possibilità di introdurre criteri per il sostegno comunitario che garantiscano che a ricevere gli aiuti siano solo le imprese che avviino una nuova attività o una nuova linea commerciale e non quelle che si limitano a delocalizzare i prodotti e i servizi esistenti all'interno dell'Unione. Potrebbero così essere incentivate iniziative che si mostrino atte a colmare quanto più rapidamente possibile l'enorme divario esistente tra Est e Ovest per quanto riguarda le condizioni di produzione in generale e i costi di produzione in particolare.

3.7.2

La conclusione più importante è la necessità di un processo continuo di miglioramento della competitività dell'UE. Tale processo, che è in sintonia con la strategia di Lisbona, va guidato dalle imprese (sviluppo di prodotti migliori, creazione di modelli imprenditoriali innovativi, processi produttivi più efficienti) e agevolato da una migliore legislazione a livello europeo e nazionale.

3.7.3

Sarebbe opportuno potenziare gli incentivi agli investimenti in risorse umane e infrastrutture. L'Unione europea ha bisogno di una base industriale forte, innovatrice e ad alta tecnologia. Per conseguire questo obiettivo è necessario comprendere a fondo la situazione attuale di tutti i settori economici, sia a livello regionale che nazionale, in modo che si riescano a sfruttare in modo ottimale i vantaggi specifici a livello locale.

3.7.3.1

Allo scopo di contribuire al mantenimento delle imprese nelle sedi originarie, vanno aumentati gli incentivi regionali nel quadro della formazione; sarebbe inoltre opportuno incoraggiare altre iniziative come gli scambi con università in materia di ricerca o la partecipazione degli enti locali allo sviluppo di cluster regionali di sostegno alle imprese (30).

3.7.3.2

Il Comitato approva la proposta della Commissione di prolungare da 5 a 7 anni il periodo in cui un'impresa, che abbia ricevuto sostegno finanziario, deve mantenere l'investimento per cui questo sostegno fu richiesto (31). In questo modo si incentiverà il radicamento nel territorio delle imprese che, d'altro canto, se non rispettano questo requisito, dovranno restituire gli aiuti finanziari ricevuti.

3.7.4

Dati la rilevanza e l'interesse che solleva questa questione, il Comitato seguirà l'evoluzione del fenomeno della delocalizzazione in Europa (32).

4.   Raccomandazioni

4.1

Come segnala la Commissione europea nella sua comunicazione sugli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008) (33), da un lato l'UE deve sfruttare le opportunità che offre l'apertura dei mercati in rapida espansione, come Cina o India e, dall'altro, essa ha un grande potenziale in termini di uno sviluppo più intenso dei suoi vantaggi competitivi, ed è essenziale che agisca con determinazione per sfruttarlo.

4.2

Il Comitato considera che per incentivare il potenziale di crescita e per essere in grado di affrontare le sfide future è essenziale creare una società della conoscenza, basata su politiche delle risorse umane, dell'istruzione, della ricerca e dell'innovazione. Inoltre, il Comitato considera che la crescita sostenibile esige anche un maggiore dinamismo demografico, il miglioramento dell'integrazione sociale e lo sfruttamento di tutto il potenziale rappresentato dalla gioventù europea, come ha riconosciuto il Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, al momento dell'adozione del patto europeo per la gioventù.

4.3

Il Comitato considera necessaria una convergenza e una sinergia maggiori tra le diverse politiche, azioni e obiettivi interni dell'UE. Ciò esige inoltre un forte coordinamento interno nella Commissione, e l'approfondimento del suo dialogo con il Parlamento europeo e il Consiglio.

4.4

Il Comitato raccomanda alla Commissione di adottare oltre a un approccio orizzontale, anche un approccio settoriale alla politica industriale, dato che le raccomandazioni dei gruppi di lavoro ad alto livello nei settori farmaceutico, del tessile e dell'abbigliamento, della costruzione navale e in quello automobilistico indicano che ciascuno di essi ha problemi specifici che esigono soluzioni distinte e un'impostazione adattata al loro caso (34), problemi per i quali non è possibile trovare una soluzione attraverso un approccio orizzontale.

4.5

Per evitare, nei limiti del possibile, gli effetti negativi del fenomeno delle delocalizzazioni in Europa, è opportuno far leva, tra gli altri, sui seguenti aspetti:

4.5.1

Istruzione, formazione e qualificazione. Il capitale umano riveste già una enorme importanza per la competitività delle imprese, e tale importanza è destinata probabilmente ad aumentare (un chiaro esempio è il fatto che la mancanza di manodopera qualificata costituisce il primo limite allo sviluppo delle PMI). Nei prossimi anni, diventerà evidente che la disponibilità di personale qualificato costituisce un fattore determinante per la competitività internazionale a lungo termine dell'industria europea; un grande valore verrà dunque attribuito alla formazione e all'immigrazione nel quadro della legislazione e della politica comune dell'Unione. La politica industriale europea deve mettere l'istruzione, la formazione e la qualificazione al centro della sua strategia e rivolgere una particolare attenzione alla formazione continua dei lavoratori.

Il capitale umano e il know-how rappresentano vantaggi concorrenziali

4.5.2

Ricerca e innovazione. Si tratta di un fattore chiave della competitività dell'industria europea. L'Europa deve cercare di conseguire l'obiettivo di destinare alla ricerca il 3 % del suo PIL e raddoppiare gli sforzi per potenziare la ricerca nel settore pubblico e privato. Per tale motivo, la creazione di uno spazio europeo della ricerca risulta essenziale affinché l'UE disponga delle necessarie basi per il progresso scientifico e tecnologico.

È inoltre importante tradurre la ricerca in progressi sotto il profilo dell'innovazione industriale, nonché aumentare gli investimenti privati in beni strumentali che diano effettivamente origine al cambiamento tecnologico.

L'innovazione scientifica e tecnologica è un importante fattore di differenziazione

4.5.3

Politica di concorrenza. Anche se i collegamenti tra la politica industriale e quella di concorrenza sono sempre più intensi, esse sono ancora troppo lontane; è necessaria tra loro una maggiore interconnessione. L'applicazione appropriata delle regole di concorrenza, collegate con gli obiettivi della politica industriale, contribuirà in maniera significativa alla crescita e all'occupazione nel lungo periodo.

È necessario aumentare la vigilanza sui mercati e che le nuove direttive e le revisioni di quelle in vigore comprendano le condizioni in grado di garantirne un'applicazione uniforme in tutti gli Stati membri.

È necessario collegare la politica di concorrenza e la politica industriale

4.5.4

Sensibilizzazione. Considerato il ruolo dell'attuale modello di consumo, in cui il prezzo è un aspetto fondamentale, sarebbe opportuno sensibilizzare i consumatori sulle ripercussioni del loro comportamento. Le imprese possono contribuire a sensibilizzare l'opinione pubblica utilizzando marchi sociali, di qualità, ecc. (35). Inoltre, si potrebbe anche immaginare che le imprese informino in modo più preciso i consumatori in merito all'origine dei propri prodotti.

È necessario rendere i consumatori consapevoli delle ripercussioni del loro comportamento

4.5.5

Settori chiave. È necessario disporre di una politica industriale più attiva, specialmente per settori, volta a dare impulso alla cooperazione pubblico-privato. In questo senso, secondo il Comitato andrebbero prese in considerazione, tra l'altro, le analisi quantitative e qualitative che l'Osservatorio europeo sul cambiamento di Dublino sta sviluppando con l'obiettivo di mettere a disposizione basi di dati più complete per il dibattito pubblico sulle delocalizzazioni.

Una maggiore cooperazione tra il pubblico e il privato nei settori chiave appare fondamentale per accelerare lo sviluppo

4.5.6

Risposta a shock imprevisti. Per tutti i settori, conformemente alla comunicazione della Commissione europea sulle ristrutturazioni e l'occupazione (36), occorre «rivedere gli strumenti finanziari comunitari per anticipare e gestire meglio le ristrutturazioni» adeguandone di conseguenza la dotazione finanziaria, tenuto conto dell'impatto sociale. Inoltre, è auspicabile che le autorità pubbliche intervengano in caso di «crisi impreviste o dal notevole impatto regionale o settoriale». Per questo motivo il Comitato sostiene la creazione di «riserve per gli imprevisti» all'interno dei fondi strutturali.

L'Unione deve dotarsi di strumenti finanziari abbastanza flessibili per far fronte a shock imprevisti

4.5.7

Infrastrutture. È necessario migliorare le reti di trasporto, telecomunicazioni ed energia, a livello nazionale, intracomunitario e con i paesi limitrofi. Il buon funzionamento dei servizi pubblici è un elemento di attrazione ed è necessario allo sviluppo delle imprese, in particolare delle PMI. Le infrastrutture sono elementi fondamentali della competitività e per questo è necessario metterle a disposizione delle imprese a costi concorrenziali.

Agevolare il compito delle imprese attraverso investimenti nelle infrastrutture rappresenta uno stimolo alla loro permanenza in Europa

4.5.8

Promuovere lo spirito d'iniziativa e incentivare le attività imprenditoriali. Per garantire il futuro dell'industria europea è essenziale assicurare un ambiente favorevole alla creazione e allo sviluppo dell'attività imprenditoriale, prestando particolare attenzione alle piccole e medie imprese. Va migliorato l'accesso delle imprese ai finanziamenti, nelle fasi iniziali e intermedie della loro vita, e occorre snellire il più possibile le procedure fissate per la loro creazione e gestione.

È altresì opportuno promuovere un cambiamento di mentalità, che favorisca l'assunzione dei rischi inerenti all'impresa.

È assolutamente indispensabile promuovere la creazione di imprese per garantire la crescita

4.5.9

Politiche sociali. Il modo migliore per affrontare le logiche preoccupazioni sulle conseguenze negative della delocalizzazione delle imprese consiste nel concepire e applicare adeguatamente politiche sociali dirette a promuovere un atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento, a permettere che i lavoratori adattino e migliorino le loro capacità e a incentivare la creazione di posti di lavoro.

È necessario concepire e applicare politiche sociali che minimizzino le possibili conseguenze negative della delocalizzazione di imprese

4.5.10

Dialogo sociale. A livello aziendale, settoriale e interprofessionale, la politica industriale europea deve essere definita e attuata con la partecipazione delle parti sociali, le cui conoscenze specifiche si rivelano fondamentali in quanto provengono dalle parti più direttamente interessate. Questo esige che le imprese comunichino chiaramente i loro obiettivi entro termini temporali che consentano concretamente alle altre parti interessate di intervenire in modo appropriato. Sarebbe opportuno che le parti sociali europee affrontassero tale questione, nel quadro delle ristrutturazioni e nel contesto della nuova agenda del dialogo sociale europeo, anche a livello settoriale.

Nel quadro del dialogo sociale, i contratti collettivi sono un fattore importante per creare condizioni di concorrenza equa per le imprese.

Occorre adoperarsi costantemente per un equilibrio costruttivo e creativo tra gli interessi dei vari soggetti coinvolti

4.5.11

Competitività e regole del gioco a livello internazionale. Sebbene le delocalizzazioni rappresentino un fenomeno di trasformazione strutturale, risulta inaccettabile che i mutamenti siano motivati, seppure in parte, da una politica eccessivamente flessibile dell'UE in materia di negoziato e successivamente di interpretazione delle regole internazionali di base. È necessario tener conto della dimensione sociale della globalizzazione e cercare un'adeguata interazione tra le politiche dell'UE per dare impulso alla cooperazione tra l'OMC e l'OIL. Per questo, l'azione dell'UE in tali organismi internazionali deve essere diretta ad assicurare il rispetto delle norme e, se così non è, ad ottenere l'applicazione dei meccanismi esistenti con la massima efficacia.

Sono necessari mercati globali aperti e competitivi le cui regole siano rispettate da tutti

4.6

Occorre dunque promuovere nuovi investimenti in Europa, mantenere quelli esistenti e continuare ad investire al di fuori dell'Unione.

Bruxelles, 14 luglio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  In un articolo del numero speciale monografico della rivista francese Problèmes économiques (n. 2859) pubblicato nel settembre 2004 e dedicato alle delocalizzazioni, si afferma che il termine «globalizzazione» è un anglicismo utilizzato per fare riferimento al fenomeno noto in francese col termine mondialisation. Si tratta del passaggio da un'economia internazionale, nella quale nazioni politicamente indipendenti organizzano il loro spazio economico nazionale e mantengono scambi economici di maggiore o minore importanza, ad un'economia globale che non è legata alle normative nazionali.

(2)  Per «investimenti istituzionali» si intendono quelli effettuati da organismi con un volume consistente di risorse proprie o riserve. Un esempio di investimenti istituzionali sono quelli realizzati, tra gli altri, dai fondi d'investimento, dalle banche, dalle compagnie di assicurazione o dai fondi pensione.

(3)  Cfr. parere del CES del 19.3.1997 sul tema Occupazione, competitività e globalizzazione dell'economia GU C 158 del 26.5.1997.

(4)  COM(2002) 714 def. e relativo parere del CESE del 17.7.2003GU C 234 del 30.9.2003.

(5)  Cfr. in particolare la settima relazione pubblicata nel 2003 (SEC(2003) 1299) e l'ottava relazione pubblicata nel 2004.

(6)  Cfr. il parere del CES citato alla nota 2.

(7)  John M. Ivancevich, Management, Quality and Competitiveness (1996).

(8)  Cfr. il parere d'iniziativa del Comitato del 12.12.2002 sul tema Gli effetti dell'ampliamento dell'Unione sul mercato unico GU C 85 dell'8.4.2003.

(9)  L'abbreviazione fa riferimento ai seguenti dieci paesi dell'Europa centrale e orientale: Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Slovenia, più Bulgaria e Romania.

(10)  Il PIL è aumentato dal 63,3 % della media dell'UE a 15 nel 1970 al 123,4 % di tale media nel 2004. Fonte: Allegato statistico dell'economia europea - primavera 2005 (ECFIN/REP/50886/2005).

(11)  Il PIL è aumentato dal 71,9 % della media dell'UE a 15 nel 1986 all'89,7 % di tale media nel 2004. Fonte: Allegato statistico dell'economia europea - primavera 2005 (ECFIN/REP/50886/2005).

(12)  Il PIL è aumentato dal 55,8 % della media dell'UE a 15 nel 1986 al 67,4 % di tale media nel 2004. Fonte: Allegato statistico dell'economia europea - primavera 2005 (ECFIN/REP/50886/2005).

(13)  Brunei Darussalam, Birmania/Myanmar, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Filippine, Singapore, Tailandia, Vietnam, Timor orientale (fonte: Commissione europea).

(14)  Il termine designa «ogni economia con redditi pro-capite medi o bassi caratterizzata dal fatto di trovarsi in un processo di transizione da un'economia chiusa ad un'economia di mercato, processo che comporta la realizzazione di una serie di riforme strutturali di carattere economico, e dal fatto di ricevere un elevato volume di investimenti stranieri». (Antoine W. Agtmael, Banca mondiale, 1981). Esempi di economie emergenti: Cina, India, Brasile e Messico.

(15)  COM(2005) 120 def.

(16)  Per quanto concerne i flussi commerciali dell'UE con i paesi terzi, i dati pubblicati da Eurostat il 22 febbraio 2005 (cfr. allegato 3), corrispondenti al periodo gennaio-novembre 2004, mostrano un notevole aumento delle importazioni provenienti da Cina (21 %), Russia, Turchia e Corea del sud (18 % ciascuna), mentre l'unica diminuzione corrisponde alle importazioni dagli Stati Uniti (-11 %). Quanto alle esportazioni dell'UE, gli incrementi più significativi si sono registrati in quelle verso la Turchia (30 %), la Russia (22 %), la Cina (17 %) e Taiwan (16 %). Si può così rilevare che, nel periodo analizzato, il commercio dell'UE a 25 è stato caratterizzato da un aumento del disavanzo commerciale con la Cina, la Russia e la Norvegia, mentre è aumentato l'avanzo relativo alle operazioni commerciali dell'UE con gli Stati Uniti, la Svizzera e la Turchia.

(17)  Cfr. a tale proposito lo studio intitolato The significance of Competitive Manufacturing industries for the Development of the Service Sector, Brema, dicembre 2003. Può essere consultato sul seguente sito: http://www.bmwi.de/Navigation/Service/bestellservice,did=31812,render=renderPrint.html

Da tale studio emerge principalmente quanto segue:

il fatto che la quota del PIL rappresentata dal settore manifatturiero diminuisca non equivale ad una sua minore importanza,

i collegamenti fra il settore manifatturiero e quello dei servizi si vanno intensificando,

i servizi per le attività imprenditoriali che sono caratterizzati da una rapida espansione dipendono in modo particolare dalla domanda del settore manifatturiero,

l'industria è una fonte importante di tecnologia per l'innovazione dei prodotti e dei processi nel settore dei servizi.

(18)  COM(2005)121 def. del 6.4.2005: Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013).

(19)  Secondo i dati Eurostat pubblicati il 7 aprile 2005, il PIL pro-capite nell'Unione europea (UE-25) si situava tra il 32 % della media UE-25 della regione di Lubelskie, in Polonia, al 315 % della regione del centro di Londra, Regno Unito. Tra le 37 regioni che mostrano un PIL pro-capite superiore al 125 % della media europea, sette si trovano nel Regno Unito e sette in Italia; sei in Germania; quattro nei Paesi Bassi, tre in Austria, due in Belgio e in Finlandia; da ultimo la Repubblica ceca, Spagna, Francia Irlanda e Svezia, hanno ciascuna una regione con un PIL pro-capite superiore al 125 % della media europea, oltre al Lussemburgo. Tra i nuovi Stati membri, l'unica regione con un PIL pro-capite superiore al 125 % della media europea è la regione di Praga nella Repubblica ceca (153 %). D'altra parte, tra le 64 regioni il cui PIL per abitante è risultato inferiore al 75 % della media comunitaria 16 si trovano in Polonia, sette nella Repubblica ceca, sei in Ungheria e Germania, cinque in Grecia, quattro in Francia, Italia e Portogallo, tre in Slovacchia e Spagna; infine Belgio e Regno Unito, come pure Estonia, Lettonia Lituania e Malta hanno ciascuno una regione con un PIL inferiore al 75 % della media comunitaria.

(20)  COM(2004) 107 def. del 18.2.2004, cfr. il parere del CESE sull'argomento (ECO/129).

(21)  Il Comitato ha elaborato un parere d'iniziativa sul tema Le trasformazioni industriali e la coesione economica, sociale e territoriale GU C 302 del 7.12.2004.

(22)  Secondo l'Osservatorio europeo del cambiamento (www.eurofound.eu.int) i settori più colpiti dalle delocalizzazioni, a partire dall'anno 2000, sono stati quelli dei metalli, delle telecomunicazioni e i settori automobilistico, elettrico, tessile, alimentare e chimico.

(23)  Il Comitato economico e sociale europeo nel suo parere sul tema Libro verde - Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese riconosce che «un principio fondamentale della responsabilità sociale delle imprese è il suo carattere volontario» (GU C 125 del 27.5.2002).

(24)  Cfr. il parere del CESE La grande distribuzione: tendenze e conseguenze per agricoltori e consumatori.

(25)  Consiglio europeo dell'ottobre 2003, durante la presidenza italiana.

(26)  COM(2004) 274 def. del 20.4.2004.

(27)  GU C 157 del 28.6.2005

(28)  La necessità di una politica industriale attiva è stata riconosciuta dal Consiglio europeo nel vertice di primavera che si è tenuto a Bruxelles il 22 e 23 marzo 2005.

(29)  Cfr. Dichiarazione congiunta sulla revisione intermedia della strategia di Lisbona presentata al vertice sociale tripartito del 22 marzo 2005.

(30)  Il programma quadro per la competitività e l'innovazione COM(2005) 121 def. del 6.4.2005 già citato (cfr. punto 2.1) prevede misure in questo senso.

(31)  Cfr. le proposte della Commissione europea per i fondi strutturali.

(32)  In questo senso si dovrebbe tener conto, tra l'altro, dell'analisi quantitativa e qualitativa che sta portando avanti l'Osservatorio sul cambiamento di Dublino.

(33)  COM(2005) 141 def, del 12.4.2005.

(34)  Il principale obiettivo comune di tali gruppi ad alto livello istituiti dalla Commissione europea tra il 2001 e il 2005 è quello di stimolare il dibattito sulle iniziative che faciliteranno l'aggiustamento dei singoli settori alle sfide principali e miglioreranno le condizioni di competitività dell'industria europea collegata. Di tali gruppi ad alto livello, tre hanno pubblicato le loro relazioni (settore farmaceutico, nel maggio 2002; tessile e abbigliamento nel giugno 2004, sebbene esso abbia ripreso i lavori a livello degli sherpa per proseguire il dibattito su questioni non concluse e per monitorare la situazione del settore nel 2005; cantieristica nell'ottobre 2003). La relazione del gruppo ad alto livello CARS21 (acronimo di European Automobile Manufacturers Association per il 21o secolo) è attesa prima della fine del 2005.

(35)  Cfr. il parere sul tema Strumenti di misura e di informazione sulla responsabilità sociale delle imprese in un'economia globalizzata (relatrice: PICHENOT) adottato l'8 giugno 2005.

(36)  COM(2005) 120 def.


25.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 294/54


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica, in relazione alla durata di applicazione dell'aliquota minima in materia di aliquota normale, la direttiva 77/388/CEE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto

COM(2005) 136 def. — 2005/0051 (CNS)

(2005/C 294/10)

Il Consiglio, in data 27 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, nel corso della 419a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 91 voti favorevoli, nessuno voto contrario e 2 astensioni.

1.   Premessa

1.1

A norma dell'art. 12, par. 3, lettera a), secondo comma, della direttiva 77/388/CEE, il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale europeo, fissa all'unanimità il livello dell'aliquota normale dell'IVA. Nel gennaio 1993 la Commissione aveva presentato alcune proposte miranti a creare un regime di armonizzazione fiscale definitivo, ma il Consiglio non poté adottarle in mancanza della necessaria unanimità.

1.2

Fu invece raggiunto un accordo su un ravvicinamento delle aliquote, istituendo con la direttiva 92/77/CEE un'aliquota minima del 15 %; la data di scadenza di tale decisione, inizialmente stabilita al 31 dicembre 1996, fu prorogata tre volte; la data ultima è quella del 31 dicembre 2005.

2.   La proposta della Commissione

2.1

In vista della scadenza ormai prossima, la Commissione ha presentato una proposta di proroga della direttiva in vigore fino alla nuova data del 31 dicembre 2010. Rimangono per contro invariate le disposizioni in vigore: l'aliquota normale non può essere inferiore al 15 % e la base imponibile è identica per la cessione di beni e per la prestazione di servizi.

3.   Osservazioni del Comitato

3.1

Considerata la situazione attuale delle politiche degli Stati membri in materia fiscale, e particolarmente nel campo dell'IVA, il Comitato non può che dichiararsi d'accordo sull'iniziativa della Commissione, che è in pratica un atto dovuto.

3.2

Il Comitato coglie peraltro l'occasione per formulare talune considerazioni supplementari, nella speranza che esse raccolgano l'attenzione degli Stati membri.

3.3

La mancanza di unità d'intenti fra gli Stati membri in materia fiscale, e nel campo dell'IVA in particolare, non costituisce certamente una novità: essa perdura sin dalla fondazione dell'Unione europea, e i successivi allargamenti dagli originali 6 Stati agli attuali 25 non hanno fatto che allargare il dissenso. Non si è riusciti, negli anni, nemmeno ad accettare le proposte della Commissione che prevedevano almeno una forcella, fra tasso minimo e massimo, compresa tra il 15 % e il 25 % (anche se nella pratica tale forcella esiste); tanto meno si è raggiunto un accordo sull'applicazione uniforme del principio del pagamento dell'IVA nel paese d'origine, né si è mai seriamente affrontato l'argomento della soppressione delle numerose esenzioni e deroghe concesse a tutti i Paesi, con giustificazioni diverse di volta in volta e con scadenze — quand'anche indicate — quasi mai rispettate.

3.4

In questa situazione parlare di un «regime provvisorio» dell'IVA, alludendo a un regime che dura da decenni in attesa di un «regime definitivo» quanto mai problematico, è una mistificazione che il CESE non è più disposto ad accettare. Il Consiglio dovrebbe dichiarare, in virtù della trasparenza nei confronti del cittadino più volte evocata e invocata, che continuerà a perseguire l'obiettivo strategico dell'armonizzazione fiscale in materia di IVA, il quale non è peraltro realisticamente raggiungibile nel breve-medio termine. Si eviterà in tal modo di disperdere energie e risorse nel vano tentativo di acquisire l'unanimità in indirizzi che rivestono un'importanza fondamentale per la politica fiscale e sociale di ciascuno Stato membro, e che ognuno di essi intende quindi mantenere senza concessioni.

Bruxelles, 14 luglio 2005.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND