ISSN 1725-2466 |
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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302 |
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Edizione in lingua italiana |
Comunicazioni e informazioni |
47o anno |
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II Atti preparatori |
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Comitato economico e sociale europeo |
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410a sessione plenaria in data 30 giugno1o luglio 2004 |
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2004/C 302/1 |
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2004/C 302/2 |
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2004/C 302/3 |
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2004/C 302/4 |
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2004/C 302/5 |
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2004/C 302/6 |
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2004/C 302/7 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'energia di fusione |
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2004/C 302/8 |
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2004/C 302/9 |
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2004/C 302/0 |
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2004/C 302/0 |
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IT |
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II Atti preparatori
Comitato economico e sociale europeo
410a sessione plenaria in data 30 giugno1o luglio 2004
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/1 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni «LeaderSHIP 2015 — Definire il futuro della cantieristica europea — La concorrenzialità mediante l'eccellenza»
(COM(2003) 717 def.)
(2004/C 302/01)
La Commissione, in data 21 novembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore VAN IERSEL.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.
1. Sintesi
La Commissione, in stretta collaborazione con l'industria europea della costruzione e della riparazione navale, ha messo a punto una nuova politica per il settore, ed è sorprendente che le parti interessate siano riuscite in tempi brevi a predisporre un ampio pacchetto di misure volto a garantire la produzione e la concorrenzialità del settore. Il CESE approva il metodo seguito e il contenuto di LeaderSHIP 2015. Tutti i soggetti coinvolti hanno riconosciuto che un approccio nazionale non ha più prospettive e che solo un'impostazione comunitaria può apportare soluzioni durature. In tale contesto si è giustamente optato per un pacchetto di azioni coerenti e per il rispetto della conformità al mercato. Il CESE sottolinea che la credibilità delle proposte dipenderà interamente dalla loro attuazione, il che rende essenziale un'azione di seguito. Al riguardo bisognerà assicurare la partecipazione, la trasparenza e un controllo accurato dei vari processi. Il CESE sostiene appieno l'obiettivo delle misure proposte, creare cioè norme eque di concorrenza a livello europeo, il che a sua volta dovrebbe facilitare la creazione di condizioni di equità a livello mondiale.
2. Il contesto
2.1 Il mercato della cantieristica
2.1.1 |
Da oltre due decenni il settore della cantieristica navale vive una crescita robusta e sostenuta. I rapidi progressi tecnologici hanno condotto a una considerevole riduzione dei costi dei trasporti per via navigabile, il che ha rappresentato uno stimolo efficace per il commercio mondiale e ha reso i trasporti marittimi internazionali il principale motore della globalizzazione. |
2.1.2 |
Sotto il profilo economico, le navi sono beni mobili di investimento non soggetti a importazione ma registrati sotto una bandiera scelta dall'armatore. Si tratta quindi di prodotti che non richiedono importanti sforzi di commercializzazione, né tanto meno vaste reti di rivenditori o di manutenzione. I costi di trasporto delle navi sono ovviamente molto bassi. Tale circostanza, aggiunta a costi di transazione generalmente esigui e all'assenza di norme antidumping, fa sì che il mercato della cantieristica sia fortemente influenzato dai prezzi di vendita. |
2.1.3 |
Dato il suo ruolo cruciale nel fornire un tipo di trasporto essenziale per il commercio mondiale, nel costruire attrezzature moderne per soddisfare le esigenze di sicurezza e di difesa e nel mettere a punto tecnologie di punta con numerose ricadute per altri settori, la cantieristica è vista come un settore strategicamente importante per la maggior parte dei paesi industrializzati e in via di industrializzazione. |
2.1.4 |
In Europa si è sviluppata una rete articolata di società legate alla cantieristica - tra cui cantieri navali, fabbricanti di attrezzature marittime e una varietà di fornitori di servizi specializzati - che offre più di 350.000 posti di lavoro a una manodopera molto qualificata. Il volume d'affari del settore nell'UE si aggira intorno ai 34 miliardi di euro (1). |
2.1.5 |
Eppure la cantieristica mercantile UE ha perso significative quote di mercato a causa delle dannose pratiche commerciali messe in atto soprattutto dalla Corea del Sud, e versa in gravi difficoltà. A partire dal 2000, la quota di mercato relativa ai nuovi ordini (in tonnellate grezze compensate - tlc) è calata di due terzi, passando dal 19 % del 2000 al 6,5 % del 2003 (2). La situazione si è aggravata nella metà del 2003, quando i prezzi hanno toccato il livello più basso degli ultimi 13 anni e l'euro si è ulteriormente apprezzato rispetto alla valuta di riferimento del settore, il dollaro USA, e a quelle dei principali concorrenti asiatici. L'anno scorso, in particolare, gli scambi internazionali hanno conosciuto un'imponente crescita, spinta a sua volta dallo straordinario aumento sia della domanda di energia e di materie prime proveniente dalla Cina, sia dell'import/export di manufatti. Tale domanda ha generato un quantitativo record di nuovi ordinativi di petroliere, mercantili per il trasporto di merci alla rinfusa e portacontainer. I cantieri europei hanno beneficiato di questa impennata della domanda, registrando nel 2003 un numero di ordinativi quasi doppio rispetto all'anno precedente. Ciò non toglie però che la loro presenza sul mercato cantieristico mondiale continui a ridursi. |
2.1.6 |
La tendenza negativa riscontrata fino a metà 2003 si è in certa misura stabilizzata in diversi Stati membri. Tuttavia, i recenti sviluppi positivi potrebbero non durare, per cui è necessario che l'Europa si applichi a trovare soluzioni sostenibili per la cantieristica nel prossimo futuro. In caso contrario, corre il grave rischio di perdere questo settore vitale dell'alta tecnologia. L'esperienza mostra che, una volta perse, le capacità cantieristiche sono difficili da recuperare. |
2.2 L'evoluzione della politica in materia di cantieristica
2.2.1 |
Data la sua importanza strategica, la cantieristica mondiale è tradizionalmente soggetta a un massiccio intervento statale. Anche nella Comunità europea, la politica in materia ha posto l'accento sin dagli anni '70 sulla necessità di definire le condizioni per i regimi degli aiuti di Stato. Il tetto massimo autorizzato di aiuti al funzionamento è progressivamente scemato dal 28 % del prezzo contrattuale nel 1987 al 9 % nel 1992, fino alla totale abolizione di tali aiuti nel 2000. |
2.2.2 |
Nel 1989, su iniziativa degli Stati Uniti, è stata avviata una serie di negoziati nel quadro dell'OCSE, volti a definire una nuova disciplina internazionale su tutti gli aiuti pubblici alla cantieristica. Questi negoziati si sono conclusi con successo nel 1994 e l'atto finale dell'Accordo relativo alle normali condizioni di concorrenza nel settore della costruzione e della riparazione navale commerciale è stato firmato da Comunità europea, Finlandia, Giappone, Repubblica di Corea, Norvegia, Svezia e Stati Uniti. Esso tuttavia non è mai entrato in vigore, in quanto gli Stati Uniti non hanno ultimato le procedure nazionali di ratifica. |
2.2.3 |
In mancanza di accordi internazionali, il Consiglio ha adottato nel 1998 un nuovo regolamento sulla cantieristica (CE 1540/98), stabilendo una nuova serie di norme applicabili agli aiuti di Stato e prevedendo l'abolizione unilaterale degli aiuti al funzionamento alla fine del 2000. Il regolamento chiedeva inoltre alla Commissione di tenere sotto stretta osservazione il mercato mondiale della cantieristica e appurare se i cantieri europei fossero danneggiati da pratiche anticoncorrenziali. |
2.2.4 |
Sin dalla sua prima relazione al Consiglio, pubblicata nel 1999, la Commissione ha fornito prove inconfutabili di pratiche commerciali sleali, in particolare da parte dei cantieri sudcoreani che applicavano prezzi sottocosto. Tutte le successive relazioni sullo stato della cantieristica (sette in totale fino al 2003) hanno confermato queste prime conclusioni, recando prove sempre più circostanziate. |
2.2.5 |
Alla luce di circostanze così flagranti, il Consiglio ha ripetutamente espresso viva preoccupazione e avviato consultazioni bilaterali con la Corea del Sud. Dopo numerose tornate negoziali, nel giugno 2000 è stato siglato un protocollo d'accordo relativo al mercato mondiale della cantieristica. Tuttavia, nel corso di successivi negoziati il governo sudcoreano si è rivelato incapace di attuare i principi sanciti dall'accordo. |
2.2.6 |
Visto il fallimento dei colloqui bilaterali con la Corea, nell'ottobre 2000 l'industria cantieristica ha presentato un ricorso ai sensi del regolamento sugli ostacoli agli scambi (CE 3286/94). |
2.2.7 |
La Commissione, pur rimanendo fermamente contraria a prorogare gli aiuti al funzionamento oltre il 2000, accettò in tale occasione di sottoporre la questione all'OMC per risolvere il problema delle pratiche coreane sleali, se entro fine maggio 2001 i negoziati con la Corea non avessero portato a una soluzione soddisfacente per l'UE. La Commissione propose inoltre di istituire allo stesso tempo un meccanismo difensivo temporaneo volto in modo specifico a contrastare le pratiche coreane sleali nel periodo necessario al completamento della procedura dell'OMC. |
2.2.8 |
Nell'estate 2002 la Comunità ha finalmente concretizzato la sua duplice politica in materia, inoltrando all'OMC la richiesta di creare un apposito gruppo di valutazione e adottando la decisione relativa all'introduzione di un meccanismo difensivo temporaneo (CE 1177/02). |
2.2.9 |
Nel 2002 sono ripresi i tentativi - sempre nel quadro dell'OCSE, ma questa volta senza la partecipazione degli USA - di giungere a una parità di condizioni su scala mondiale nel settore della cantieristica. Il Consiglio dell'OCSE ha istituito uno speciale gruppo di negoziazione con l'incarico di trovare una nuova ed efficace soluzione al problema. Tuttavia, i progressi registrati finora sono stati piuttosto lenti e resta da vedere in quale misura l'approccio sia praticabile. |
3. Un nuovo approccio
3.1 |
Qui di seguito figura un elenco cronologico delle iniziative che hanno portato a LeaderSHIP 2015:
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3.2 Il programma d'azione dell'industria
3.2.1 |
Mentre l'approccio comunitario alla cantieristica si è soprattutto incentrato sulla politica della concorrenza e commerciale, il settore riteneva che mancasse un terzo asse prioritario, la politica della concorrenzialità, e in particolare un coordinamento serio tra queste tre politiche. Al riguardo ha riconosciuto di non essere in grado di proporre una risposta concertata ai problemi di concorrenza che affliggono il settore. |
3.2.2 |
Con la soppressione degli aiuti al funzionamento, l'industria ha ammesso che la soluzione non erano né gli aiuti pubblici né tanto meno un protezionismo analogo a quello che ha minato la competitività del settore in alcuni paesi extracomunitari. Ciò detto, l'aggressiva politica industriale della Corea del Sud doveva essere contrastata con urgenza, il che rendeva necessario un nuovo approccio. |
3.2.3 |
Quando, nella primavera del 2002, il comitato di collegamento dei costruttori di navi dell'UE (Committee of EU Shipbuilders' Associations - CESA) ha presentato alla Commissione europea un primo progetto di proposta sull'iniziativa LeaderSHIP 2015, si è subito riconosciuto il valore del progetto come risposta specifica del settore alla strategia a lungo termine dell'UE definita dal Consiglio di Lisbona. LeaderSHIP 2015 affrontava infatti i punti chiave della strategia di Lisbona. |
3.2.4 |
Il punto era definire una strategia globale alla luce dell'approccio esistente e di un nuovo elemento: l'invito della Commissione al settore a formulare un piano integrato. Nell'ottobre 2002 il CESA ha così presentato LeaderSHIP 2015, un programma di azione per il futuro dell'industria europea della costruzione e della riparazione navale. |
3.2.5 |
Per i costruttori europei, l'obiettivo è consolidare la leadership in alcuni specifici segmenti di mercato, potenziando la competitività del settore attraverso l'innovazione e attività mirate di R&S, una maggiore attenzione al cliente, l'ottimizzazione della produzione e il miglioramento dell'assetto dell'industria. Secondo quest'ultima, inoltre, l'UE dovrebbe essere direttamente coinvolta nel perseguimento di obiettivi come la promozione di regimi avanzati di finanziamento e di garanzia, la definizione di standard ambientali e di sicurezza più elevati in rapporto ai nuovi ordinativi di navi di alta qualità, come pure il mantenimento e il miglioramento della tutela dei diritti di proprietà intellettuale europei. |
3.2.6 |
Un approccio europeo relativo alla difesa navale implica la definizione di una politica comune per l'approvvigionamento di materiali di difesa. |
3.2.7 |
Le macrotendenze individuabili nel settore di qui al 2015 riguardano in particolare l'evoluzione del trasporto multimodale, fluviale e marittimo a corto raggio, il potenziamento dell'innovazione e della R&S, l'ampliamento dell'UE, l'adozione di regolamenti in materia ambientale e sanitaria e i progressi compiuti in direzione di una politica comune di difesa. Dato l'impatto che le politiche nazionali ed europee esercitano su tutti questi settori, l'industria ritiene che la Commissione dovrebbe partecipare attivamente alla concezione delle strategie future. |
3.2.8 |
Dal canto suo, il settore della cantieristica si accolla la grande responsabilità di mettere ordine al proprio interno. Il programma d'azione caldeggia quindi lo sviluppo di nuovi tipi di navi e di nuove generazioni di attrezzature marine, in grado di associare efficacia, sicurezza, comodità, rispetto dell'ambiente e specializzazione. |
3.2.9 |
Quanto all'assetto dell'industria, sono stati prospettati due approcci complementari relativi alle imprese:
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3.3 Il gruppo consultivo ad alto livello
3.3.1 |
Agli inizi del 2003, un gruppo consultivo ad alto livello presieduto dal membro della Commissione Liikanen ha avviato il dibattito su LeaderSHIP 2015 sulla base del programma d'azione del CESA. Del gruppo facevano parte sette commissari europei, due eminenti deputati europei, i presidenti dei dieci principali cantieri comunitari, il presidente dell'Associazione delle industrie degli equipaggiamenti marittimi e il segretario generale della Federazione europea dei metalmeccanici. |
3.3.2 |
Il gruppo consultivo ha pubblicato la relazione su LeaderSHIP 2015 nell'ottobre 2003 (3). Il documento contiene otto capitoli che affrontano tutte le problematiche riferite nel programma d'azione dell'industria, più un capitolo finale sull'esigenza di consolidamento dell'industria cantieristica europea. La conclusione generale del gruppo è che «LeaderSHIP costituisce […] un buon esempio di un'efficace politica industriale europea a livello settoriale». |
3.3.3 |
Negli otto capitoli il gruppo definisce una serie di obiettivi per il settore della cantieristica e per l'UE in quanto tale. In primo luogo propone di stabilire condizioni di equità nella cantieristica mondiale attraverso la politica commerciale dell'UE, l'attuazione delle norme OMC applicabili alla cantieristica e la messa a punto di regimi vincolanti al livello dell'OCSE. |
3.3.4 |
Quanto alla questione chiave della R&S e dell'innovazione, si rende necessaria una stretta cooperazione tra l'UE e il settore della cantieristica. In effetti, il regolamento europeo in materia non prendeva pienamente in considerazione le necessità specifiche della cantieristica e delle sue tecnologie. |
3.3.5 |
Altrettanto dicasi per lo sviluppo di programmi avanzati di finanziamento e garanzia. Gli strumenti attuali non sono competitivi sul mercato mondiale. Bisognerebbe vagliare quindi la possibilità di istituire un fondo di garanzia a livello comunitario per i finanziamenti anteriori e posteriori alla consegna, nonché di intensificare la collaborazione con le società di assicurazione dei crediti all'esportazione, coperte da un'appropriata riassicurazione. |
3.3.6 |
La politica di protezione dell'ambiente marino è definita dall'Agenzia europea per la sicurezza marittima. Bisognerebbe quindi creare un comitato congiunto di esperti del settore in grado di fornire consulenza tecnica all'Agenzia e alla Commissione. Inoltre, si dovrebbe migliorare la valutazione della qualità, la sicurezza e i controlli nel ramo sia della costruzione che della riparazione, sì da garantire l'applicazione di appropriati criteri qualitativi su scala mondiale. |
3.3.7 |
Secondo il gruppo consultivo, l'UE può rispondere all'appello dell'industria per una cooperazione rafforzata nel settore della difesa promuovendo la cooperazione industriale tra i cantieri, nonché tra questi e i fornitori, l'accesso ai mercati esteri e il consolidamento dell'industria. È necessario infine che la futura agenzia europea di difesa definisca esigenze operative comuni per le marine nazionali e norme comuni per le apparecchiature di difesa. |
3.3.8 |
Dato che i produttori europei dipendono fortemente dal loro primato tecnologico, occorrerà sfruttare appieno gli attuali strumenti di tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Bisognerà quindi creare banche dati informative e migliorare il quadro normativo internazionale sulla protezione dei brevetti. |
3.3.9 |
Il settore della cantieristica ha ufficialmente istituito un comitato per il dialogo sociale a livello settoriale (il primo del genere nel settore della metallurgia), con l'incarico di sviluppare programmi volti ad analizzare e a soddisfare le nuove esigenze in materia di competenze. |
3.3.10 |
Per ottenere i risultati auspicati, è indispensabile una struttura industriale ottimale. Un processo di sviluppo dinamico sta conducendo a nuove relazioni e partenariati su progetti tra cantieri navali e fornitori, tanto che al momento il 70-80 % della produzione è realizzata di concerto con questi ultimi. Occorrerebbe agevolare il processo di consolidamento attraverso speciali incentivi fondati sul concetto di «aiuto al consolidamento». |
3.4 La comunicazione della Commissione
3.4.1 |
Con la comunicazione in oggetto (4), la Commissione traduce ufficialmente i lavori del gruppo consultivo ad alto livello nel quadro di una politica comunitaria, tornando a sottolineare che una politica orizzontale deve essere integrata da specifici approcci settoriali. Dopo aver valutato ciascun capitolo, la Commissione sostiene le raccomandazioni della relazione LeaderSHIP 2015. |
3.4.2 |
Nella comunicazione, la Commissione dà atto del ruolo strategico svolto dal settore della costruzione e della riparazione navale e, in linea con la relazione LeaderSHIP 2015, conferma la propria responsabilità e corresponsabilità nelle aree corrispondenti agli otto capitoli del documento del gruppo consultivo. In particolare, essa:
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3.5 Le conclusioni del Consiglio di novembre 2003
3.5.1 |
Il 27 novembre 2003 il consiglio Concorrenza ha esaminato la comunicazione della Commissione relativa a LeaderSHIP 2015 nel più ampio contesto della politica industriale (6). Il Consiglio ha riconosciuto l'importanza dell'analisi settoriale per affinare le politiche orizzontali e ha invitato gli Stati membri e la Commissione a rafforzare la competitività industriale, tenendo conto in particolare delle necessità e delle specificità dei singoli settori. |
3.5.2 |
Per quanto riguarda le questioni settoriali, il Consiglio si è concentrato in maniera specifica sulla cantieristica, sull'industria aerospaziale e sul settore tessile e dell'abbigliamento. |
3.5.3 |
Le osservazioni del Consiglio poggiano sulla necessità di un approccio pienamente integrato per rafforzare la concorrenzialità, e altrettanto dicasi riguardo a LeaderSHIP 2015. |
3.5.4 |
Per realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona servono analisi settoriali, il miglioramento delle condizioni quadro e un confronto aperto e trasparente con tutte le parti interessate che includa il dialogo sociale. Il Consiglio sottolinea la necessità di portare avanti le iniziative in tal senso. |
3.5.5 |
In rapporto a LeaderSHIP 2015, il Consiglio raccomanda all'industria e alle pubbliche autorità di esercitare sforzi particolari per quanto riguarda:
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3.5.6 |
Il Consiglio desidera essere regolarmente informato sui risultati dell'iniziativa LeaderSHIP 2015 e sull'attuazione delle raccomandazioni. |
4. Osservazioni generali
4.1 |
Il CESE riconosce che l'Europa necessita di un'industria cantieristica solida e che al riguardo servono specifiche politiche settoriali. |
4.2 |
A questo proposito è da notare che l'industria è riuscita a definire un programma coerente fino al 2015, e che questo esempio di moderno approccio settoriale poggia giustamente sulle norme UE riguardanti la conformità al mercato e la concorrenza. |
4.3 |
Altrettanto rilevante è il fatto che l'industria stessa e sette membri della Commissione hanno redatto un piano comune per il futuro, LeaderSHIP 2015. Questo impegno congiunto si è tradotto nell'approvazione di LeaderSHIP da parte della Commissione. |
4.4 |
Il CESE esprime apprezzamento per il nuovo approccio del consiglio Concorrenza alla politica industriale orizzontale e settoriale. Il caso di LeaderSHIP mostra con chiarezza come sia possibile adattare le esigenze legate a considerazioni settoriali con approcci orizzontali. |
4.5 |
Il CESE accoglie inoltre con favore le raccomandazioni specifiche del Consiglio sul settore della costruzione e della riparazione navale, le quali corrispondono a quelle formulate dalla Commissione e dal settore stesso in LeaderSHIP 2015. |
4.6 |
Il CESE apprezza il mutamento di rotta della politica in materia di cantieristica, che considera il frutto di un nuovo metodo operativo e di un nuovo approccio alla politica industriale su scala settoriale. Ciò potrebbe fungere da modello per iniziative simili in altri settori. |
4.7 |
Più nello specifico, ritiene che solo le posizioni, i principi e le pratiche concordate nell'UE siano in grado di creare una base solida per rendere sostenibile l'industria della costruzione e della riparazione navale in Europa, e non la prosecuzione delle varie politiche nazionali. |
4.8 |
L'ampliamento dell'Unione europea offre una serie di opportunità, giacché può apportare vantaggi preziosi tali da consentire una presenza europea in segmenti di mercato che non erano più coperti dai cantieri dell'UE prima dell'allargamento (7). Le norme comunitarie in vigore devono essere pienamente rispettate. |
4.9 |
LeaderSHIP 2015 potrà essere coronato dal successo solo se i suoi capitoli saranno oggetto di interventi simultanei da parte di tutti i soggetti interessati (industria, Commissione e, in alcuni casi, Stati membri), ognuno dei quali nei settori di cui è responsabile. |
5. Conclusioni e raccomandazioni
5.1 |
La credibilità della politica proposta dipenderà dalla sua attuazione, per cui la fondamentale azione di seguito dovrà essere trasparente e monitorata con cura. Bisognerà quindi garantire la partecipazione, la trasparenza e un controllo adeguato. In linea con le conclusioni del Consiglio, il CESE è decisamente favorevole a che la Commissione presenti ogni anno al consiglio Concorrenza una relazione sui progressi compiuti. |
5.2 |
LeaderSHIP 2015 si prefigge anzitutto l'obiettivo di stabilire condizioni di equità su scala mondiale. Il CESE sottolinea l'importanza di questo aspetto, che rappresenta la pietra angolare dell'intera strategia. Approva inoltre del tutto l'attuale approccio UE in materia di politica industriale, volto a raggiungere un efficace accordo internazionale tale da garantire una disciplina mondiale rigorosa. |
5.3 |
Il CESE sottolinea che l'impatto della concorrenza sleale di alcuni cantieri asiatici non solo costituisce una notevole minaccia per i cantieri comunitari, ma dovrebbe allarmare anche il settore europeo degli equipaggiamenti marittimi. L'annuncio di alcuni dei maggiori produttori asiatici di voler ricorrere soprattutto a fornitori locali deve essere considerato con estrema serietà. |
5.4 |
Quanto alle condizioni di equità, il documento non fa espressamente menzione della disciplina settoriale nell'UE, anche se nei vari Stati membri permangono livelli e metodi diversi di aiuto alla cantieristica. La creazione di condizioni eque, la loro trasparenza e la loro sorveglianza suscita particolare inquietudine. Per favorire la credibilità di tale processo e la fiducia verso le norme e gli obiettivi concordati, il CESE sottolinea l'importanza che la Commissione sorvegli l'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato ed eventuali pratiche sleali. |
5.5 |
Ricerca, sviluppo e innovazione rivestono un'importanza fondamentale, in quanto l'Europa resta il principale bacino di idee per la cantieristica mondiale, il che è un ulteriore fattore chiave del suo successo. Di conseguenza, è importante che vari strumenti apportino un sostegno efficace e vengano attuati in modo pragmatico. L'industria può intervenire utilmente fornendo una consulenza concreta agli organi decisionali. Ad ogni modo, l'applicazione degli strumenti innovativi dovrà avvenire in modo trasparente. |
5.6 |
Per razionalizzare gli strumenti di finanziamento a livello sia nazionale che comunitario, il CESE ritiene che il fondo europeo di garanzia proposto da LeaderSHIP dovrebbe diventare quanto prima operativo. L'attuazione di tale fondo dovrebbe rappresentare una priorità per la Commissione, in quanto esso può concorrere a creare effettive condizioni di equità nella stessa UE. |
5.7 |
Il CESE accoglie con favore l'accordo tra l'industria e la Commissione sui requisiti e le politiche ambientali necessari per il settore. L'UE dovrebbe continuare a dare il buon esempio nella protezione dell'ambiente marino e a insistere per una rigida applicazione delle relative norme internazionali. Un approccio europeo coordinato riguardo all'Organizzazione marittima internazionale potrebbe garantire un livello di efficacia soddisfacente nel difendere la facoltà dell'OMI di fissare in via esclusiva le norme a livello mondiale. |
5.8 |
La legislazione UE sulla sicurezza dei trasporti marittimi è stata sensibilmente migliorata negli ultimi anni. Come però suggerisce LeaderSHIP, occorre prestare maggiore attenzione alla definizione di norme adeguate per la riparazione navale. |
5.9 |
Notevoli carenze si registrano ancora nell'UE nell'applicazione delle norme in materia di sicurezza del trasporto marittimo. Il CESE insiste quindi sulla necessità di una cooperazione efficace tra le guardie costiere europee. |
5.10 |
Anche il rafforzamento del trasporto marittimo a corto raggio e lo spostamento del traffico dalla strada al mare sono obiettivi ambientali di rilievo. Per perseguirli occorrerà migliorare ulteriormente le infrastrutture moderne, compresi i porti e le navi. Quanto alle sovvenzioni pubbliche a tali infrastrutture, le autorità competenti devono garantire che gli investimenti effettuati vadano a beneficio dei produttori UE. |
5.11 |
Il fattore umano è un elemento essenziale, per cui il CESE accoglie con favore l'idea di intensificare il dialogo settoriale nel quale la Commissione, i datori di lavoro e i sindacati hanno ognuno un ruolo da svolgere. È interessante notare che proprio nell'ambito della cantieristica è sorto il primo comitato ufficiale di dialogo sociale dell'industria metalmeccanica, il che è un'ulteriore testimonianza dello spirito innovativo che pervade il settore. |
5.12 |
Il dialogo sociale sta già apportando un valido contributo alla discussione su un'ampia gamma di temi sociali, tra cui la formazione, l'assunzione, l'istruzione permanente e l'adeguamento ai cicli economici. Fino a oggi sono stati creati due gruppi di lavoro, uno volto a migliorare l'immagine del settore e l'altro a individuare le nuove competenze di cui necessita. |
5.13 |
Il dialogo sociale dovrebbe concentrarsi anche sui notevoli divari di produttività della manodopera a livello mondiale. |
5.14 |
Il CESE concorda con la crescente tendenza a favore di segmenti specifici dell'industria manifatturiera come la cantieristica e l'aeronautica nel quadro di obiettivi di difesa, nonché della sinergia tra industria civile e militare. |
5.15 |
In questo quadro è positivo che LeaderSHIP promuovi lo sviluppo di progetti marittimi europei e la collaborazione tra i cantieri navali, iniziative finora impedite da motivi di sicurezza nazionale e di diversità di tradizioni. A meno che la collaborazione fra i cantieri europei non si intensifichi, i costi continueranno a lievitare, minacciando così la posizione di punta dell'Europa sul piano dell'innovazione e della tecnologia. |
5.16 |
Vi sono già alcuni progetti di cooperazione riusciti, in particolare quelli tra Germania e Paesi Bassi per la costruzione di fregate e tra Francia e Regno Unito in materia di mercantili, e con la collaborazione della futura Agenzia europea per gli armamenti se ne potrebbero prevedere di nuovi. Una sinergia ottimale tra cantieri è fondamentale per mantenere e rafforzare le conoscenze e le competenze. È auspicabile che l'agenzia venga incaricata di redigere un inventario delle capacità, delle tecnologie e dell'innovazione esistenti nei cantieri navali, per tendere a un miglior rapporto qualità-prezzo nelle nuove gare d'appalto. Tenendo conto che i clienti dei cantieri navali sono i governi, è opportuno evitare che le risorse stanziate per la costruzione di navi militari possano confluire nella cantieristica civile. |
5.17 |
Il consolidamento dell'industria è visto come la chiave di volta della futura solidità del settore. Resta però da vedere come si realizzerà nella pratica, vista la complessa relazione tra le imprese di base e l'elevata percentuale di fornitori. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Questi dati provengono dallo studio sull'impatto economico delle industrie marittime in Europa commissionato dalla Commissione europea al centro studi Policy Research Corporation N.V. & ISL.
(2) Fonte: Registro Lloyds.
(3) Commissione europea, LeaderSHIP 2015 — Definire il futuro dell'industria europea delle costruzioni e riparazioni navali, Bruxelles, 2003.
(4) COM(2003) 717 def.
(5) COM(2003) 717 def., pag. 14.
(6) Conclusioni del Consiglio del 27 novembre 2003 sul contributo della politica industriale alla competitività europea - Bruxelles, 24 novembre 2003 (15472/03).
(7) Ad esempio, i grandi mercantili per il trasporto di greggio o di merci alla rinfusa, che richiedono inferiori capacità tecnologiche e presentano costi di manodopera relativamente elevati.
7.12.2004 |
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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/8 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2000/819/CE relativa a un programma pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità, in particolare per le piccole e medie imprese (PMI) (2001-2005)
(COM(2003) 758 def. — 2003/0292 (COD))
(2004/C 302/02)
Il Consiglio, in data 23 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 giugno 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore DIMITRIADIS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 1 contrario e 4 astensioni.
1. Prefazione
1.1 |
Come avveniva già prima che fossero definiti gli obiettivi di Lisbona, l'Unione europea continua ancora oggi a dover fronteggiare i seguenti problemi: a) gravi carenze in termini di competitività e di modernizzazione delle imprese europee, specie le PMI, b) scarsa efficienza degli enti pubblici e procedure amministrative troppo onerose nella promozione dell'imprenditorialità, c) mancanza di coordinamento tra gli organi rappresentativi delle PMI, gli enti pubblici e la Commissione europea nell'incoraggiare lo spirito d'impresa, d) mancanza di coordinamento tra le politiche nazionali a sostegno delle PMI, e) assenza a livello nazionale della necessaria strategia a lungo termine a favore delle PMI, f) gravi problemi di finanziamento delle imprese (specie le PMI) da parte del settore bancario e delle società di capitale di rischio, g) costi elevati dei prestiti destinati alle PMI a causa delle loro dimensioni ridotte e dei maggiori rischi che esse comportano e h) assenza di una politica consolidata per tali imprese. |
1.2 |
L'Unione europea riconosce che, nonostante il completamento del mercato unico dal punto di vista legislativo e regolamentare, le PMI non hanno ancora recepito l'attuale sistema nella sua interezza, non ne hanno colto i possibili vantaggi e non ne sfruttano appieno il potenziale. |
1.3 |
L'UE ha ingaggiato una dura lotta contro la concorrenza internazionale, nel tentativo di contrastare la solida posizione economica e politica degli Stati Uniti (1) che hanno raggiunto livelli eccezionali di competitività e produttività, nonché contro il Giappone, i paesi del Sud-est asiatico (2) e le economie emergenti (Cina, India e Brasile). |
1.4 |
Dato che il più grave problema economico e sociale per l'Unione è la disoccupazione, il suo obiettivo primario è di conseguenza creare nuovi posti di lavoro, specie nelle PMI, che costituiscono la grande maggioranza delle imprese europee. |
1.5 |
L'Unione sta compiendo uno sforzo enorme per potenziare la ricerca e la tecnologia in quanto è consapevole che solo migliorando in questi campi si potranno garantire progresso e sviluppo. Tuttavia, la strategia proposta non sempre ottiene i risultati auspicati per mancanza di meccanismi flessibili e per la presenza di quadri regolamentari che incrementano le pratiche burocratiche, riducono l'efficacia e creano ritardi controproducenti. |
1.6 |
Per far fronte a questa situazione, il Consiglio europeo di Amsterdam (giugno 1997) e il Consiglio straordinario di Lussemburgo sull'occupazione (novembre 1997) hanno posto le basi dell'iniziativa a favore della crescita e dell'occupazione, mentre il Consiglio dei ministri ha creato – con le decisioni 98/347/CE (3) e 2000/819/CE (4) – i fondamenti per un sostegno strutturato e continuo all'imprenditorialità europea, con l'intento parallelo di generare occupazione grazie a programmi specifici. |
2. Introduzione
2.1 Gli obiettivi
Scopo del programma è, da un lato, promuovere l'occupazione e, dall'altro, consentire l'insediamento e lo sviluppo di PMI portatrici di innovazione, secondo la definizione fornita dalla raccomandazione 96/280/CE della Commissione, incentivandone gli investimenti grazie a un aumento degli strumenti finanziari a loro disposizione.
2.1.1 |
Le PMI vanno sostenute perché, come è stato dimostrato, creano posti di lavoro più facilmente, in quanto hanno una maggiore capacità di adattamento al variare delle condizioni di mercato, presentano processi decisionali semplici e si adeguano più rapidamente alle nuove condizioni. Inoltre, non di rado sono proprio le PMI a incontrare le maggiori difficoltà in termini di avviamento (per la presenza di pastoie burocratiche e la scarsità di risorse finanziarie), di promozione dei progetti innovativi (per l'impossibilità di accedere a finanziamenti bancari e per la mancanza nei nuovi Stati membri di un sistema bancario in grado di gestire questa forma di investimenti), nonché di sviluppo della cooperazione transnazionale. |
2.2 Descrizione e portata del programma
Il programma prevede: a) uno strumento che finanzia fondi di capitali di rischio per le imprese (sportello MET (5) Avviamento), sotto l'egida del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), b) uno strumento di sostegno alle imprese per finanziare la creazione di joint venture transnazionali tra PMI sul territorio comunitario (Impresa comune europea - ICE), gestito dalla Commissione, e c) un meccanismo di garanzia PMI amministrato dal FEI.
2.2.1 |
Il programma disponeva in origine di un bilancio di 423,56 milioni di euro, di cui 168 per lo sportello MET Avviamento, 57 per l'ICE e 198,56 per il meccanismo di garanzia PMI. Quest'ultimo meccanismo, fortemente sollecitato, ha beneficiato di uno storno di 30,56 milioni di euro destinati originariamente all'ICE. Alla data del 29 maggio 2002 (corrispondente alla fine del periodo d'impegno dei fondi di bilancio), il FEI aveva impegnato tutta la dotazione prevista inizialmente per lo sportello MET Avviamento e per il meccanismo di garanzia PMI. Quanto all'ICE, un totale di 14,5 milioni di euro era stato impegnato, nel frattempo, per la realizzazione di varie joint venture. |
2.2.2 |
Lo sportello MET Avviamento sostiene le PMI, specie durante le fasi di avviamento e di sviluppo iniziale, e/o le imprese portatrici di innovazione, investendo in fondi specializzati di capitali di rischio. |
2.2.2.1 |
Tramite l'ICE, l'Unione fornisce contributi finanziari alle PMI per incentivare la creazione di joint venture transnazionali sul territorio comunitario. |
2.2.2.2 |
Con il meccanismo di garanzia PMI, l'Unione finanzia i costi delle garanzie e controgaranzie fornite dal FEI per incrementare il volume dei prestiti concessi alle nuove PMI portatrici di innovazione. Tale obiettivo viene raggiunto aumentando la capacità dei programmi di garanzia esistenti negli Stati membri e interessa programmi nuovi o già in atto. Il meccanismo copre parte delle perdite derivanti dalle garanzie fino a un massimale prestabilito, con particolare attenzione al finanziamento delle altre componenti delle attività svolte dalle PMI. |
3. L'impatto del programma
3.1 |
Stando alla relazione della Commissione sull'iniziativa a favore della crescita e dell'occupazione, a giugno 2002 (6) circa 206 PMI a tecnologia avanzata (biotecnologie/scienze della vita e tecnologie dell'informazione) avevano fatto ricorso allo sportello MET Avviamento, ottenendo risultati estremamente positivi anche in termini di nuovi posti di lavoro. Alla stessa data, il meccanismo di garanzia PMI aveva sostenuto oltre 112.000 microimprese, con un aumento del livello occupazionale di oltre il 30 %, mentre dell'ICE aveva beneficiato, in proporzione, un numero più limitato di progetti di joint venture (solo 137 erano stati infatti i progetti accolti). |
4. Osservazioni
4.1 |
La relazione della Commissione (7) si basa su un campione di imprese molto ristretto e giunge pertanto a conclusioni che presentano elevate probabilità di errore non solo statistico, ma anche sostanziale. |
4.2 |
Tra il 1998 (anno di inizio) e il 2002 (anno di valutazione), circa 206 PMI si sono rivolte con successo allo sportello MET Avviamento. Il Comitato giudica questa cifra esigua se confrontata con i risultati di iniziative analoghe condotte negli Stati Uniti, dove si è assistito a un proliferare di nuove PMI e l'imprenditorialità ha raggiunto un livello estremamente elevato grazie a strumenti simili basati su capitali di investimento ad alto rischio. Nel quadro dell'ICE sono state costituite solo 31 joint venture transnazionali e sono stati creati 252 nuovi posti di lavoro, cifra - questa - al di sotto delle aspettative. Positivi, invece, i risultati ottenuti con il meccanismo di garanzia PMI. |
4.3 |
Le previsioni formulate dalla relazione in termini di percentuale di occupazione nelle imprese beneficiarie del sostegno si fondano su dati precedenti (2001 e primo semestre 2002) e non si possono pertanto considerare sufficienti per nessuno dei tre strumenti. |
4.4 |
Non disponendo di dati definitivi, concreti e completi in materia di nuovi posti di lavoro per il periodo dal 1998 al 2003, il Comitato trova estremamente difficile non solo valutare la situazione, ma anche assumere una posizione netta e formulare delle conclusioni. Ribadisce tuttavia il proprio interesse per qualunque sforzo profuso al fine di creare occupazione e invita la Commissione ad attribuire a tale obiettivo la massima priorità anche al termine della revisione del programma. |
4.5 |
L'assunzione di rischi finanziari elevati è un requisito essenziale per promuovere le idee innovatrici da convertire in iniziative imprenditoriali e in progetti d'investimento riusciti. Il sorprendente successo di alcuni progetti di questo tipo compensa i fallimenti di altre iniziative innovatrici che alla fine il mercato ha mostrato di non accogliere. |
4.6 |
Il programma sembra ignorare completamente l'economia tradizionale. Il costante riferimento ad attività innovatrici preclude alle PMI tradizionali ogni possibilità di accesso alle fonti di finanziamento. L'innovazione è uno strumento molto importante per modernizzare l'economia e stimolare la competitività. Va però sottolineato che le imprese europee rischiano di perdere definitivamente le quote detenute sul mercato europeo di fronte alle importazioni da paesi terzi di prodotti tradizionali a basso costo, e che in mancanza di sostegno alle PMI tradizionali si rischia di veder nascere degli oligopoli nel settore della distribuzione e del commercio, con reazioni a catena sull'intero processo produttivo e la conseguente perdita netta di occupazione. |
4.7 |
Lo snellimento delle pratiche burocratiche grazie alla creazione di uno sportello unico incaricato di espletare tutte le procedure e l'eliminazione dei documenti superflui tramite il ricorso alle moderne tecnologie sono fattori essenziali per la partecipazione delle PMI ai programmi in questione. |
5. Conclusioni
5.1 |
Il Comitato approva le modifiche proposte dalla Commissione alla decisione 2000/819/CE. |
5.2 |
Il Comitato concorda con la posizione della Commissione secondo cui l'effettivo impatto dei tre strumenti finanziari può essere valutato solo dopo un certo lasso di tempo, ma ritiene che tra l'avvio del programma e la valutazione sia intercorso un periodo sufficiente per poter trarre delle conclusioni al fine di apportare eventuali correzioni. Inoltre, di fronte a un'economia mondiale globalizzata e contraddistinta da una competitività esasperata, non ci si può più concedere il lusso di attendere, visto il costante mutare delle tendenze e delle prospettive a livello di imprese. |
5.3 |
Il Comitato riconosce che nel biennio 2001-2002 il clima mondiale non è stato favorevole alle imprese, che l'offerta di capitali di rischio nell'Unione ha subito una contrazione e che le grandi banche hanno mostrato riluttanza a concedere prestiti alle PMI. Nel 2002 la richiesta di garanzie in Europa è aumentata sensibilmente: le grandi banche, infatti, hanno cominciato a chiedere garanzie supplementari in quanto giudicavano più elevati i rischi e i costi di gestione. Di fronte a questa situazione, il Comitato ritiene ancora più utili i tre strumenti, specie il meccanismo di garanzia e lo sportello MET Avviamento. Suggerisce altresì di rafforzare la cooperazione con le piccole banche specializzate che offrono servizi soprattutto alle PMI e dispongono di meccanismi di comunicazione flessibili. |
5.4 |
Il Comitato approva gli sforzi profusi nell'ambito dei tre strumenti e ne riconosce la necessità. Giudica tuttavia difficili, farraginose e rigide le modalità di accesso a questo tipo di programma da parte delle PMI, le quali sovente incontrano gravi problemi di informazione e di organizzazione interna. |
5.5 |
Il Comitato considera particolarmente utile il meccanismo di garanzia PMI e chiede che la dotazione finanziaria a questo destinata sia incrementata sensibilmente e che si faccia il possibile perché possano beneficiarne anche i paesi finora non coperti (Grecia, Irlanda e Lussemburgo). |
5.6 |
Sostiene inoltre gli sforzi profusi per potenziare il meccanismo di garanzia in vista dell'adesione dei nuovi Stati membri, dove migliaia di PMI non hanno accesso a prestiti bancari e non possono pertanto effettuare investimenti produttivi, né di conseguenza creare nuovi posti di lavoro. |
5.7 |
A giudizio del Comitato, la dotazione finanziaria del programma va rivista in modo da far fronte alle esigenze dei nuovi Stati membri. L'attuale dotazione era stata infatti calcolata in funzione dei precedenti 15 Stati membri e non degli attuali 25, mentre invece saranno certamente i nuovi paesi ad averne maggior bisogno. |
5.8 |
Il Comitato invita la Commissione a fare il possibile per potenziare lo sportello MET Avviamento, in quanto si tratta di uno strumento essenziale per lo sviluppo delle PMI innovatrici e il sostegno dei progetti aziendali ad alto rischio. Tali progetti, a loro volta, sono necessari per incentivare la ricerca e la tecnologia, al pari di altri progetti d'investimento destinati alle PMI che non operano nel campo delle tecnologie avanzate, ma presentano comunque un forte interesse economico e devono poter accedere a qualunque forma di finanziamento esistente. Alla luce di queste considerazioni, il Comitato propone di:
|
5.9 |
Il Comitato è dell'avviso che i capitali pubblici e privati disponibili nell'Unione per la R&ST non possano far fronte alle accresciute esigenze delle PMI a tecnologia avanzata (tecnologie dell'informazione, nuove tecnologie e biotecnologie) e chiede pertanto un aumento sostanziale di tali risorse. |
5.10 |
All'occorrenza, sarà opportuno esaminare, valutare e utilizzare i meccanismi rapidi e flessibili che così tanto successo riscuotono negli Stati Uniti. Sarebbe inoltre auspicabile una più ampia cooperazione con i fondi privati specializzati in capitali di rischio, là dove esista un interesse per questo tipo di investimenti (8). Il Comitato invita la Commissione a svolgere in tal senso un ruolo guida. |
5.11 |
Il Comitato è dell'avviso che si debbano profondere maggiori sforzi per informare le PMI in merito all'esistenza e al funzionamento del meccanismo di garanzia, ma anche trovare modalità migliori per operare e comunicare con il FEI e la ΒEI. Dall'indagine effettuata emerge che la maggioranza delle PMI ignora che l'Unione abbia messo a punto un regime strutturato di aiuti a loro destinati. Di qui la necessità di coinvolgere direttamente gli organi rappresentativi delle imprese (Camere di commercio, associazioni di esercenti, organizzazioni di PMI, ecc.) in modo da migliorare l'informazione e da rendere la comunicazione con le PMI più diretta ed efficace, nonché risolvere più rapidamente i problemi pratici che sorgono nella fase di attuazione del programma. |
5.12 |
A giudizio del Comitato, poco tempo dopo l'adesione dei nuovi Stati membri bisognerebbe procedere a una valutazione dell'effettivo ricorso agli strumenti del programma. Infatti, pur nella piena consapevolezza delle problematiche concrete di tali paesi, è anche vero che: a) la situazione reale è destinata a rivelarsi peggiore di quella descritta, b) si renderanno necessari aiuti ingenti che allo stato attuale non sono ancora valutabili, e c) sarà necessario un periodo di adattamento che nasconde gravi pericoli per le PMI. |
5.13 |
Il Comitato appoggia la proposta della Commissione di sopprimere in via temporanea l'ICE, in considerazione delle critiche rivolte alla sua attuale struttura, ma tiene comunque a ribadire il proprio appoggio ai programmi transnazionali in quanto ritiene che l'Unione accusi un serio ritardo nei progetti di cooperazione e nelle joint venture a questo livello e che in Europa vadano abolite le frontiere per le imprese. |
5.14 |
Si dovrà inoltre considerare l'eventualità di reintrodurre l'ICE o uno strumento analogo qualora, ad ampliamento avvenuto, si creino le condizioni adatte per progetti di cooperazione transnazionale in seno all'Unione e allo Spazio economico europeo, quando cioè esisterà una politica in grado di sostenere tale forma di cooperazione tra PMI. Lo scopo è raggiungere questo importante obiettivo senza gli eccessivi oneri amministrativi che hanno pesato sull'ICE fino a provocarne, almeno in parte, il fallimento. |
5.15 |
Il Comitato ritiene che, alla luce delle esperienze già acquisite con il Sesto programma quadro di R&ST, bisognerebbe reintrodurre i programmi di piccole dimensioni destinati alle PMI, i quali al momento sono del tutto esclusi dalla filosofia del programma. |
5.16 |
Il Comitato riconosce che l'attuazione di programmi a basso livello di finanziamento comporta notevoli costi di gestione, ragion per cui vi è la tendenza a ridurli considerevolmente. Constata tuttavia che tale riduzione costituisce un impedimento per le PMI, le quali non sono in grado di partecipare a programmi con un più elevato impegno finanziario. Per questi motivi, il Comitato condivide la posizione del Parlamento europeo e invita la Commissione a essere particolarmente cauta di fronte a un'eventuale riduzione o abbandono dei programmi, specie quando risultano particolarmente adatti alle esigenze concrete delle PMI. A tal fine il Comitato considera necessaria una collaborazione tra la Commissione e gli organi rappresentativi delle imprese. |
5.17 |
Il Comitato giudica un'iniziativa particolarmente importante la Carta europea delle piccole imprese, adottata in occasione del Consiglio europeo di Feira (19 giugno 2000), alla quale ha già dedicato alcuni pareri. A suo avviso, inoltre, va ribadita la necessità di tradurre i suggerimenti contenuti nella Carta in disposizioni legislative chiare. |
5.18 |
Il Comitato condivide gli obiettivi esposti all'allegato I (Descrizione dei settori di azione) per il meccanismo di garanzia PMI (allegato I, punto 4, lettera a), ii), ma crede nella possibilità di una loro ulteriore estensione (ad es. sistemi di qualità, studi ambientali, studi di qualità, assistenza tecnica e tecnologica, trasferimento di know-how) al termine di un dialogo serio e approfondito con le organizzazioni rappresentative delle PMI. |
5.19 |
Il Comitato ritiene che l'Unione debba agire con maggiore tempestività e decisione nell'incentivare le PMI innovatrici, eliminando in particolare dai programmi le procedure burocratiche (come i documenti superflui e le lungaggini amministrative) che hanno un effetto deterrente e dilatorio. |
5.20 |
Per concludere, il Comitato giudica positivamente l'evoluzione del programma e si augura che esso venga costantemente sostenuto e perfezionato. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Piano d'azione: Un'agenda europea per l' imprenditorialità» (COM(2004) 70 def.), dell'11.2.2004.
(2) Documento di lavoro dei servizi della Commissione «Relazione europea sulla competitività 2003» (SEC(2003) 1299), del 12.11.2003.
(3) Decisione 98/347/CE del Consiglio recante misure di assistenza finanziaria a favore di PMI innovatrici e creatrici di posti di lavoro - Iniziativa a favore della crescita e dell'occupazione, GU L 155 del 29.5.1998.
(4) Decisione 2000/819/CE relativa a un programma pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità, in particolare per le piccole e medie imprese (PMI) (2001-2005).
(5) MET: Meccanismo europeo per le tecnologie, istituito dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) allo scopo di fornire capitali di rischio alle PMI attive nel campo delle tecnologie, tramite fondi di capitali di rischio già esistenti.
(6) Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Iniziativa a favore della crescita e dell'occupazione: Provvedimenti relativi all'assistenza finanziaria alle piccole e medie imprese (PMI) innovative e creatrici d'occupazione - Alla data del 29 maggio 2002 (COM(2003) 758 def.), dell'8.12.2003.
(7) Id.
(8) Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo riguardante l'attuazione del piano d'azione sul capitale di rischio (PACR) (COM(2002) 563 def.), del 16.10.2002.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/12 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa a un nuovo quadro normativo per i pagamenti nel mercato interno
(COM(2003) 718 def.)
(2004/C 302/03)
La Commissione, in data 2 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore RAVOET.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 0 voti contrari e 5 astensioni.
1. Contenuto e campo d'applicazione della proposta
1.1 |
Il 2 dicembre scorso la Commissione europea ha pubblicato il documento di consultazione «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa a un nuovo quadro normativo per i pagamenti nel mercato interno». |
1.1.1 |
La Commissione rileva insufficienze di natura giuridica e tecnica nel settore dei pagamenti transfrontalieri al dettaglio in euro. Essa ritiene che una delle ragioni di tali insufficienze sia l'assenza di un quadro normativo adeguato a livello europeo. Nel settore dei pagamenti è già stata adottata una serie di atti normativi, tra cui il regolamento 2560/2001/CE (1), che introduce il principio della parità delle commissioni per i pagamenti in euro nazionali e transfrontalieri, e la direttiva 97/5/CE (2) riguardante la protezione degli utenti degli strumenti di pagamento elettronico, ma non esiste ancora un quadro giuridico organico. Disporre di servizi di pagamento economici, efficienti e sicuri è invece una condizione necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno dei beni e dei servizi. La Commissione enumera una serie di principi guida, giudicati particolarmente pertinenti nel contesto della legislazione comunitaria sui pagamenti, che vengono così formulati: 1) l'efficienza: come obiettivo permanente; 2) la sicurezza: come «conditio sine qua non»; 3) la concorrenza: sotto il profilo dell'accesso ai mercati e della parità di condizioni; 4) un elevato grado di tutela dei clienti (3); 5) la neutralità, da punto di vista tecnico, delle disposizioni di legge; 6) il valore aggiunto dell'adattamento della legislazione sui pagamenti; 7) la natura di un futuro strumento normativo. |
1.2 |
Il documento di consultazione della Commissione è il risultato di un lavoro preliminare realizzato in un arco di tempo relativamente lungo: esso dovrebbe condurre alla formulazione di un'iniziativa legislativa nel corso del 2004. |
1.3 |
Attraverso l'eliminazione degli ostacoli tecnici e giuridici la Commissione intende assicurare a tutte le parti coinvolte servizi di pagamento efficienti, parità di condizioni di concorrenza, un'adeguata tutela dei consumatori, la sicurezza dei pagamenti e la certezza giuridica. |
1.4 |
La Commissione prende atto dell'impegno profuso dagli istituti di credito europei (4) in questo campo. Il Consiglio europeo per i pagamenti, istituito nel giugno 2002, si è dotato di un vasto programma di lavoro per la realizzazione dell'area unica dei pagamenti in euro, avanzando una serie di proposte intese a modificare radicalmente il sistema dei servizi di pagamento nell'Unione europea: tra queste va citata in particolare la decisione di dare priorità all'istituzione di una nuova infrastruttura (5) che permetta di effettuare i bonifici in euro a tariffe molto contenute e di portare a 3 giorni il tempo massimo di esecuzione dei bonifici. |
1.5 |
Secondo la Commissione, la liberalizzazione dei movimenti di capitale ha agevolato i trasferimenti transfrontalieri di denaro all'interno dell'UE. Allo stesso tempo tuttavia il mercato interno, in particolare per i pagamenti al dettaglio, non è ancora efficiente come a livello nazionale. Esistono differenze anche fra le legislazioni nazionali e gli accordi relativi ai servizi di pagamento nel mercato interno. Il nuovo quadro normativo dovrebbe rimuovere, ove necessario, queste barriere giuridiche a un'area di pagamento unica, soprattutto se costituiscono un ostacolo al corretto funzionamento delle infrastrutture e dei sistemi di pagamento a livello comunitario poiché, per esempio, le regole relative alla revoca di un ordine di pagamento variano secondo dove è stato dato l'ordine nel mercato interno. L'interoperabiltà, l'uso di standard tecnici comuni e l'armonizzazione delle regole giuridiche fondamentali sono elementi essenziali. |
1.6 |
L'incertezza giuridica è un elemento che impedisce ai prestatori e agli utenti dei servizi di pagamento di agire senza remore, o semplicemente di agire. È il caso, ad esempio, delle operazioni di addebito diretto, che non esistono ancora a livello comunitario (cfr. allegato 16). Il problema riguarda inoltre anche i pagamenti regolari e periodici (ad esempio, un ordine fermo per un giornale estero o per la fornitura di un servizio pubblico a una casa di villeggiatura situata in un altro Stato membro), per i quali non è possibile la «domiciliazione». Se si vuole che gli utenti, ad esempio i consumatori e le PMI, fruiscano appieno del mercato interno, bisogna che i servizi di pagamento transfrontalieri siano altrettanto efficienti di quelli nazionali. Il nuovo quadro normativo dovrebbe quindi colmare le lacune esistenti e incrementare la fiducia e il benessere dei consumatori in un'area di pagamento unica. |
1.7 |
Nel mercato interno, la fiducia dei consumatori nelle operazioni di pagamento è particolarmente rilevante, poiché vi è spesso una dimensione transfrontaliera e poiché la fiducia è fondamentale quando si usa il potenziale del commercio elettronico all'interno del più ampio mercato comunitario. L'articolo 153 del Trattato richiede quindi un alto livello di tutela dei consumatori, il quale costituisce un principio guida del nuovo quadro normativo. Tuttavia, occorre stimare i costi di una tale tutela, poiché, in definitiva, in un modo o nell'altro, essi saranno sostenuti dal cliente. |
1.8 |
Ai fini della tutela dei consumatori, occorre introdurre l'obbligo di fornire informazioni mirate, coerenti e semplici prima e dopo l'esecuzione di un'operazione di pagamento. Attualmente, esistono già molte disposizioni a questo proposito nella legislazione comunitaria sui pagamenti, che devono essere riviste. Uno dei compiti più difficili è raggiungere il giusto equilibrio in relazione al contenuto e al volume di informazioni, in modo che l'utente dei servizi di pagamento che le legge sia in grado di capire e di conoscere i propri diritti e obblighi. |
1.9 |
La Commissione ritiene inoltre estremamente importante fornire una tutela giuridica al cliente nei casi di mancato pagamento, di pagamento inesatto o non autorizzato. |
1.10 |
La parte essenziale della comunicazione è costituita dai 21 allegati, ciascuno dei quali affronta una specifica tematica giuridica e/o tecnica riguardante il buon funzionamento del mercato interno dei pagamenti. |
2. Osservazioni generali
2.1 |
Il Comitato condivide l'obiettivo della Commissione di definire un quadro normativo organico e completo finalizzato alla realizzazione di un'area unica dei pagamenti in Europa. Le barriere che sicuramente sussistono alla realizzazione del mercato interno dei pagamenti sono il prodotto delle differenze tra i sistemi giuridici dei vari paesi. I pagamenti effettuati oggi nel mercato interno sono infatti ancora governati in gran parte da norme e/o convenzioni nazionali. E poiché il 98 % dei pagamenti al dettaglio ha carattere nazionale (6), la domanda di pagamenti transfrontalieri da parte dei consumatori nel territorio europeo è ovviamente limitata. |
2.2 |
Molti dei mercati interni per i pagamenti esistenti in Europa presentano già un elevato grado di efficienza. La legislazione deve pertanto limitarsi a eliminare gli ostacoli ai pagamenti transfrontalieri per giungere a un livello di efficienza comune. Il miglioramento dei sistemi di pagamento transfrontalieri non dovrebbe perciò comportare alcuna conseguenza negativa per i sistemi nazionali efficienti già in essere. |
2.3 |
La Commissione dovrebbe rimuovere gli ostacoli giuridici che impediscono la realizzazione di convenzioni e accordi di mercato relativi all'intero territorio comunitario, senza tuttavia regolamentare aspetti che possono essere disciplinati tramite convenzioni e accordi di questo tipo. Occorre in realtà trovare un giusto equilibrio tra autoregolamentazione e coregolamentazione da un lato e legislazione comunitaria dall'altro. |
2.4 |
Secondo il Comitato (7) si debbono sostenere l'autoregolamentazione così come la coregolamentazione. Tuttavia deve essere adottata una regolamentazione rigorosa in tutti i settori in cui le misure di autoregolamentazione o di coregolamentazione si dimostrino inadeguate, insufficienti o non vengano correttamente applicate. |
2.5 |
Il Comitato sostiene il principio di un livello elevato e comune di protezione dei consumatori in quanto obiettivo fondamentale del Trattato. |
2.6 |
Il mercato interno dei pagamenti deve essere competitivo sul piano internazionale. Se il nuovo quadro normativo comunitario dovesse comportare un aumento dei costi dei pagamenti, vi è effettivamente il rischio che le operazioni di pagamento siano gestite in misura crescente da soggetti non europei operanti al di fuori del territorio europeo e che la normativa non riesca a conseguire gli obiettivi che si prefigge. |
2.7 |
A proposito dell'ambito dei pagamenti cui si applica il nuovo quadro giuridico, il Comitato non ritiene auspicabile escludere gli assegni, in quanto in alcuni Stati membri vengono ancora utilizzati correntemente come metodo di pagamento. |
2.8 |
Sarà inoltre necessario arrivare, attraverso l'autoregolamentazione, a fare in modo che, nell'ambito del nuovo regime, le carte di credito o di debito, emesse o autorizzate da qualsiasi istituzione finanziaria riconosciuta in uno Stato membro, siano accettate da qualsiasi ATM in qualsiasi Stato membro. |
3. Osservazioni specifiche
3.1 Diritto di offrire servizi di pagamento al pubblico (allegato 1)
Ai fini della sicurezza del sistema finanziario è di fondamentale importanza affrontare questa tematica all'interno del nuovo quadro normativo per i pagamenti. Poiché il sistema dei pagamenti rappresenta la pietra angolare dell'intera economia, bisogna che i servizi di pagamento siano regolamentati in tutti gli Stati membri. È opportuno evitare il ricorso al principio del riconoscimento reciproco prima di aver stabilito requisiti minimi comuni per quanto riguarda la concessione delle licenze per la gestione di servizi di pagamento. Questo principio non garantirebbe infatti né una sufficiente sicurezza ai consumatori né condizioni di concorrenza uniformi. Uno strumento giuridico vincolante e direttamente applicabile (cioè un regolamento) per attuare la seconda soluzione proposta dalla Commissione (licenza speciale per i servizi di pagamento) garantirebbe a questa attività un quadro giuridico sicuro. Deve essere chiaro che per poter ricevere depositi un prestatore di servizi di pagamento deve essere soggetto agli obblighi previsti dalla licenza di operatore bancario (ad esempio in materia di solvibilità). In via generale, ogni regolamento riguardante questo settore si applicherà anche ai prestatori di servizi di pagamento non europei operanti all'interno del territorio dell'Unione.
3.2 Obblighi di informazione (allegato 2)
Gli istituti di credito sono soggetti agli obblighi previsti dalla direttiva 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri, dal regolamento 2560/2001/CE relativo ai pagamenti transfrontalieri in euro e dalla raccomandazione 97/489/CE sugli strumenti di pagamento elettronici. È possibile che alcuni Stati membri dispongano di normative nazionali in materia ed esistono specifiche norme comunitarie sulle questioni relative all'informazione dei consumatori, ovvero la direttiva 2002/65/CE concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e la direttiva 2001/31/CE (la «direttiva sul commercio elettronico»). I relativi obblighi, sufficienti per portata e contenuto, vengono applicati dalle banche. Il Comitato appoggia pienamente l'iniziativa della Commissione volta a consolidare le disposizioni giuridiche in vigore per arrivare a un unico testo giuridico chiaro, che abbracci la totalità degli obblighi di informazione. Bisogna che gli obblighi di informazione siano talmente generali da poter essere applicati anche a strumenti di pagamento non ancora esistenti.
3.3 Conti non residenti (allegato 3)
Questa problematica va ben oltre la questione dei pagamenti: essa dovrebbe quindi essere affrontata in altra sede.
3.4 Date di valuta (allegato 4)
3.4.1 |
La data di valuta è una questione che non riguarda soltanto i pagamenti: spesso in realtà le date di valuta non sono collegate specificamente a un'operazione di pagamento, ma possono figurare in qualsiasi operazione di conto. |
3.4.2 |
Come ammette la Commissione, la data di valuta è principalmente una questione riguardante la determinazione dei prezzi (ovvero di gestione del prodotto e di rapporto con il cliente). In quanto questione riguardante la gestione del prodotto, la data di valuta è indipendente dalla data di registrazione, che viene utilizzata per computare i movimenti effettuati sul conto. |
3.4.3 |
La data di valuta può variare a seconda della banca, dei clienti di una stessa banca e persino delle operazioni effettuate da uno stesso cliente presso uno stesso istituto bancario. |
3.4.4 |
Il Comitato approva l'idea di imporre ai prestatori di servizi di pagamento obblighi di trasparenza per quanto riguarda l'uso delle date di valuta. L'impatto finanziario della data di valuta sul consumatore andrebbe moderato. Deve anche essere affrontata la questione della convergenza della data di valuta in tutta Europa, benché, dato che i sistemi variano notevolmente da Stato membro a Stato membro, tale convergenza vada considerata un obiettivo di medio periodo. |
3.4.5 |
In questo processo di convergenza, la linea di condotta dovrebbe consistere nel far coincidere la data di valuta dell'operazione di pagamento con la data in cui avviene il flusso di denaro dell'ordine di pagamento eseguito presso il relativo prestatore di servizi di pagamento. |
3.5 Portabilità dei numeri di conto corrente bancario (allegato 5)
3.5.1 |
Il regolamento 2560/2001/CE attualmente in vigore fa riferimento ai codici IBAN (8) e BIC (9), che sono stati promossi e patrocinati dalla autorità europee, ivi compreso il SEBC (Sistema europeo delle banche centrali). Il sistema di numerazione IBAN viene accettato e funziona bene in tutta Europa e, quindi, è da considerarsi un successo. Questo sistema di codici non consente tuttavia la portabilità. Le banche dovrebbero almeno garantire al cliente la possibilità di mantenere lo stesso numero di conto nel trasferimento ad altra filiale nell'ambito di una stessa banca. |
3.6 Mobilità dei clienti (allegato 6)
In generale un mercato competitivo tenderà naturalmente verso una maggiore mobilità dei clienti. Le banche devono facilitare al massimo il trasferimento dei conti comunicando ai clienti tutte le informazioni necessarie. Il Comitato appoggia pienamente l'autoregolamentazione finalizzata ad aumentare la mobilità dei clienti ed è inoltre favorevole alla trasparenza delle spese di chiusura dei conti, che dovrebbero essere ragionevoli e basate sui costi amministrativi effettivi relativi alla chiusura e al trasferimento dei conti. La banca dovrebbe inoltre comunicarle al cliente prima dell'apertura del conto stesso.
3.7 Valutazione della sicurezza degli strumenti di pagamento e delle loro componenti (allegato 7)
Poiché le iniziative legislative rischiano di consacrare soluzioni tecnologiche già superate (le componenti di sicurezza sono per loro stessa natura in continua evoluzione), sarà opportuno che a guidare il processo di standardizzazione siano gli operatori del settore dei pagamenti nel quadro dell'autoregolamentazione proposta dalla Commissione come prima soluzione. Il Comitato ritiene che la certificazione elaborata dagli operatori del settore in materia di sicurezza debba conformarsi a principi comunitari comuni da definire onde evitare ogni confusione.
3.8 Informazioni sull'ordinante di un pagamento (SRVII del GAFI) (allegato 8)
Il GAFI è un organismo intergovernativo che ha il compito di stabilire norme ed elaborare politiche di lotta al riciclaggio del denaro sporco e al finanziamento del terrorismo a livello internazionale. A proposito dei bonifici, la Raccomandazione speciale VII, relativa al finanziamento del terrorismo, afferma che i paesi aderenti dovrebbero adottare provvedimenti che impongono agli istituti di credito e a quelli che effettuano rimesse in denaro l'obbligo di inserire nel bonifico o nelle comunicazioni allegate informazioni precise e chiare sull'identità dell'ordinante (nome, indirizzo e numero di conto), che dovranno accompagnare il bonifico per l'intero iter. I paesi aderenti dovrebbero inoltre adottare provvedimenti per garantire che gli istituti di credito e chi effettua rimesse in denaro intensifichino la sorveglianza e tengano sotto controllo i trasferimenti di fondi provenienti da attività sospette e non contenenti informazioni complete sull'identità dell'ordinante. Il Comitato propone un'attuazione totalmente armonizzata della Raccomandazione speciale VII, sotto forma di regolamento, in tutto il mercato interno, che sia tale da garantirne un'applicazione coerente e uniforme. A questo proposito è fondamentale che vengano rispettati gli obblighi di protezione della privacy. È inoltre auspicabile che la raccomandazione sia estesa ai paesi dello Spazio economico europeo. Più specificamente, tra le informazioni sull'autore del pagamento dovrebbe figurare anche il nominativo dell'intestatario del conto, in quanto potrebbe non coincidere con l'autore del pagamento: in questo modo i dati dell'intestatario del conto verranno registrati dal prestatore di servizi di pagamento e saranno quindi facilmente accessibili.
3.9 Risoluzione alternativa delle controversie (ADR) (allegato 9)
Nel parere sul Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale (10) della Commissione, il Comitato ha sostenuto FIN-NET fin dalla sua creazione da parte di quest'ultima: essa dimostra infatti che i sistemi di composizione dei contenziosi transfrontalieri possono funzionare in modo efficace e non burocratico utilizzando i meccanismi esistenti. L'efficienza di FIN-NET si deve al fatto che essa è stata applicata all'area di risoluzione extragiudiziale delle controversie (ADR) nei pagamenti transfrontalieri, allora appena istituita, sfruttando nel contempo i meccanismi non transfrontalieri già esistenti. Nel settore dei pagamenti, la rapidità della procedura è di particolare importanza per il cliente.
3.10 Revocabilità di un ordine di pagamento (allegato 10)
3.10.1 |
Al fine di garantire al cliente la certezza giuridica sarebbe più opportuno che nell'allegato in esame venisse affrontato il tema della definizione e della comunicazione al cliente del «punto di irrevocabilità» in base allo strumento di pagamento utilizzato. Il Comitato ritiene che il cliente debba essere informato delle condizioni di irrevocabilità dei vari sistemi di pagamento e dello strumento di pagamento utilizzato. |
3.10.2 |
Si deve poi tener presente che, oltre che effettuare pagamenti, i clienti ne ricevono e che per un cliente in attesa di un pagamento un periodo di revocabilità molto lungo sarebbe dannoso. |
3.10.3 |
È inoltre importante distinguere tra revocabilità da parte del cliente e revocabilità a livello di sistema. Per motivi di chiarezza e certezza giuridica, in generale un ordine di pagamento che è già stato elaborato non dovrebbe più essere revocato: questo è quanto prevede la direttiva sul carattere definitivo del regolamento (direttiva 98/26/CE). |
3.10.4 |
Il Comitato ritiene che la revocabilità sia una tematica complessa che va discussa ulteriormente. Tuttavia il prestatore di servizi di pagamento dovrebbe comunicare al cliente su richiesta il punto di irrevocabilità dello specifico pagamento in questione. |
3.11 Ruolo del prestatore di servizi di pagamento in caso di controversia tra cliente e commerciante nel commercio a distanza (allegato 11)
Il Comitato ritiene necessario operare una distinzione tra l'operazione di base e l'esecuzione del pagamento: l'operazione di pagamento in sé è totalmente neutra. Né la banca dell'ordinante né quella del beneficiario hanno alcuna influenza sull'operazione sottostante tra l'ordinante (cliente del commerciante) e il beneficiario (commerciante). Il Comitato dà atto dell'estrema complessità della questione trattata nell'allegato in esame e della necessità di discuterla ulteriormente.
3.12 Mancata esecuzione o esecuzione inesatta (allegato 12)
3.12.1 |
Il Comitato conviene sul fatto che un prestatore di servizi di pagamento dovrebbe essere responsabile della corretta esecuzione di un ordine di pagamento ed essere in grado di dimostrare l'avvenuta esecuzione e registrazione dell'operazione e l'accreditamento dell'importo sul conto del beneficiario. Egli è responsabile della parte del sistema di pagamento (in senso tecnico) che è sotto il suo controllo. È chiaro tuttavia che il prestatore di servizi di pagamento non può essere ritenuto responsabile al di là della responsabilità civile che gli incombe e sicuramente non può essere ritenuto responsabile se non vi è stata negligenza da parte sua né in caso di forza maggiore. Dovrà quindi essere il prestatore del servizio a dimostrare che l'operazione di pagamento è stata correttamente registrata, eseguita e contabilizzata conformemente ai termini in cui è stata ordinata e egli non potrà limitare né aggirare per contratto tale obbligo. |
3.12.2 |
Il Comitato ritiene che i prestatori di servizi di pagamento potrebbero offrire, come servizio a valore aggiunto, di assumersi la responsabilità per reclami relativi a questioni che esulano dal loro controllo: ciò avvantaggerebbe i consumatori e stimolerebbe la concorrenza. |
3.13 Obblighi e responsabilità delle parti contrattuali in relazione alle operazioni non autorizzate (allegato 13)
3.13.1 |
Per quanto riguarda i pagamenti con carta, gli istituti di credito sono già soggetti alle disposizioni della raccomandazione 97/489/CE, in particolare per quanto riguarda:
|
3.13.2 |
Dietro buona parte delle operazioni fraudolente si nasconde la criminalità organizzata. Il tetto dei 150 euro costituisce potenzialmente un incentivo alla frode: per questo motivo il Comitato ritiene che si debba invece introdurre un tetto basato sul rischio, in cui la responsabilità del titolare della carta dovrebbe essere stabilita in percentuale del limite totale di credito della carta stessa concordato nel contratto. Un tale approccio sarebbe equo in quanto rispecchierebbe i rischi e costi reali e allo stesso tempo sarebbe un efficace deterrente contro la frode, riducendo così il costo comune. |
3.13.3 |
Un aggiornamento parziale della raccomandazione 97/489/CE in base al nuovo quadro normativo costituisce quindi un positivo passo avanti. Il Comitato è dell'avviso che l'allegato in esame vada messo in relazione con le possibilità di utilizzo della firma elettronica trattate nella direttiva sulle firme elettroniche. |
3.13.4 |
Si può dubitare che un prestatore di servizi di pagamento possa dimostrare, in maniera conclusiva o meno, che sia stato il cliente a eseguire una transazione effettuata con strumenti elettronici di pagamento sicuri. Specialmente nel caso di operazioni bancarie on line, sembra che i prestatori di servizi di pagamento abbiano difficoltà a fornire prove in questo senso poiché le operazioni possono essere effettuate utilizzando PC che non rientrano nella loro sfera di controllo. |
3.14 Uso di «our», «ben» e «share» (11) (allegato 14)
3.14.1 |
L'allegato in oggetto si fonda sul principio dell'accreditamento al beneficiario dell'intero importo trasferito, un principio ora ben consolidato grazie all'introduzione del regolamento 2560/2001 per i pagamenti eseguibili secondo i processi dell'elaborazione diretta (Straight Through Processing, STP), ovvero in modo completamente automatizzato, purché nei pagamenti nazionali corrispondenti non venga effettuata alcuna deduzione a carico del beneficiario. |
3.14.2 |
Inoltre l'autoregolamentazione è incarnata dall'ICP (Interbank Convention on Payments, Convenzione interbancaria sui pagamenti) (12), la cui portata è oggi limitata ai bonifici in euro. L'ICP si batte per togliere alle banche intermediarie la possibilità, quando vengono utilizzate, di detrarre la propria commissione per il servizio svolto dall'importo del bonifico stesso. |
3.14.3 |
In un quadro normativo andrebbero eliminati i termini tecnici utilizzati in alcune tipologie di messaggi e sistemi (come ad esempio «share», «ben», «our»), che in molti casi sono inappropriati nel contesto interno. Il Comitato ritiene che non si debba introdurre alcuna disposizione aggiuntiva in sostituzione della direttiva 97/5/CE. Le attuali opzioni di addebito hanno lo scopo di dare al cliente la possibilità di scegliere, il che fa parte dei termini e delle condizioni negoziate dal cliente con la banca. Occorre evitare di semplificare troppo o limitare la scelta, in quanto tali opzioni di addebito rappresentano la risposta ad esigenze di mercato che vanno oltre lo strumento/gli strumenti di base intracomunitari per i trasferimenti di crediti e sono necessarie per sostenere varie tipologie di pagamenti nonché il commercio a distanza. Il Comitato auspica una maggiore trasparenza da parte degli operatori del settore circa le formule di addebito applicate. |
3.14.4 |
Esso esorta la Commissione ad eliminare la contraddizione tra la direttiva, che indica nella formula «OUR» (un meccanismo di addebito inesistente nella maggior parte degli Stati membri) l'opzione prevalente, e il regolamento, che invece privilegia l'opzione «SHARE». |
3.15 Tempi di esecuzione dei bonifici (allegato 15)
3.15.1 |
Il Comitato rammenta che le banche europee che aderiscono al Consiglio europeo per i pagamenti si sono impegnate, attraverso l'autoregolamentazione nel quadro della convenzione Credeuro, ad eseguire i bonifici entro tre giorni lavorativi bancari dalla data di accettazione dell'ordine. In realtà, i 3 giorni rappresentano un tempo standard che le singole banche possono ridurre ulteriormente. Il tempo di esecuzione rappresenta una componente centrale del servizio e il miglioramento della qualità dei servizi va lasciato alle forze della concorrenza. |
3.15.2 |
Soltanto in caso di fallimento delle iniziative settoriali si dovrà valutare se intervenire ulteriormente sul piano normativo. |
3.16 Addebito diretto (allegato 16)
3.16.1 |
Sarà cura del Consiglio europeo per i pagamenti individuare la legislazione da adottare e/o le barriere giuridiche da eliminare e comunicarle alla Commissione una volta approvato formalmente il sistema paneuropeo di addebito diretto. Quale quadro giuridico bisognerà adottare a sostegno di tale sistema dipenderà in gran parte dal modello scelto. Il Comitato è pertanto persuaso che si debba prevedere una stretta collaborazione tra il settore e il legislatore (CE). |
3.17 Rimozione delle barriere alla circolazione professionale dei capitali (allegato 17) (13)
3.17.1 |
L'allegato in oggetto non riguarda la questione dei pagamenti ed esula quindi dal campo di applicazione del nuovo quadro normativo per i pagamenti. |
3.17.2 |
nella regolamentazione non deve esserci alcuna discriminazione tra pagamenti in contanti e non. Una serie di barriere normative e tecniche ostacola lo sviluppo del trasporto transfrontaliero di fondi nella zona dell'euro, in particolare tra filiali delle banche centrali di un paese e le filiali degli istituti finanziari di un altro paese. |
3.17.3 |
L'accesso ai servizi transfrontalieri delle banche centrali nazionali fa parte del naturale sviluppo dell'utilizzo della moneta unica nella zona dell'euro. |
3.17.4 |
Per ottenere la massima efficienza occorre promuovere la concorrenza nel trasporto di valuta all'interno della zona dell'euro: il Comitato esprime tuttavia la necessità di creare a questo fine una specifica licenza transfrontaliera e di prevedere adeguati controlli sulla sua applicazione. |
3.18 Problematiche di tutela dei dati (allegato 18)
L'opzione della Commissione, che prevede l'introduzione all'interno di un regolamento di una disposizione corrispondente all'articolo 13, lettera d) della direttiva 95/46/CE (14) sulla tutela dei dati, rappresenta la soluzione migliore per armonizzare nel breve periodo le possibilità di scambio delle informazioni a fini di prevenzione delle frodi nei sistemi di pagamento (tra gli operatori e le autorità e tra gli operatori stessi, come eccezione alla direttiva sulla tutela dei dati: ad esempio una banca dati dei commercianti che hanno commesso operazioni fraudolente nei pagamenti con carta).
3.19 Firme digitali (allegato 19)
Il Comitato propone che la Commissione presenti innanzitutto la sua relazione sull'attuazione della direttiva 1999/93/CE (15) sulle firme elettroniche e la incoraggia a presentare proposte per nuove misure. In via generale il Comitato desidera evidenziare che la certificazione digitale è una questione che riguarda la gestione del prodotto, settore in cui valgono i principi della neutralità tecnica e della concorrenza.
3.20 Sicurezza delle reti (allegato 20)
Il Comitato si compiace delle azioni e iniziative che classificano come reati più gravi i crimini informatici e che puntano ad un'armonizzazione sotto questo aspetto in tutta l'UE in collaborazione con altri paesi (ad esempio gli USA). Esso giudica positivamente l'uso di sanzioni dissuasive per punire l'accesso non autorizzato ai sistemi automatici di elaborazione dei dati a scopo di frode, la distruzione o la modifica dei dati e l'alterazione del funzionamento di un sistema. Occorre inoltre punire chi fornisce dati, programmi, hardware o informazioni studiate specificamente o modificate per consentire l'accesso ai sistemi automatici di elaborazione dei dati a fini di frode. bisogna perciò distinguere tra il fatto che sono considerate come reati le attività fraudolente condotte sulle reti di pagamento, per le quali in effetti sarebbe opportuno procedere a un'ulteriore armonizzazione a livello comunitario mediante atti legislativi, e le misure preventive per rendere più sicure le reti di pagamento, da lasciare invece al settore interessato che dovrebbe operare per essere al passo con lo sviluppo tecnologico.
3.21 Guasto di una rete di pagamento (allegato 21)
3.21.1 |
Il Comitato è dell'avviso che la domanda citata nell'allegato 21 costituisca soltanto un aspetto dell'allegato 12 (mancata esecuzione o esecuzione inesatta). Si deve infatti riconoscere che:
|
3.21.2 |
I prestatori di servizi di pagamento non dovrebbero pertanto avere alcuna responsabilità per i pagamenti non ancora introdotti nel sistema al momento del guasto. La responsabilità del prestatore di servizi di pagamento è limitata alla sua responsabilità civile ed egli dovrebbe dimostrare di aver preso tutti i provvedimenti necessari per evitare il guasto. |
3.21.3 |
Nel recente caso di phishing (che consiste nel furto di identità a proprio vantaggio e l'accesso a risorse autorizzate con false credenziali) di posta elettronica contro le banche del Regno Unito, un prestatore di servizi di pagamento ha ritenuto che la soppressione del suo servizio on line fosse una componente essenziale della risposta all'attentato. Tali incidenti si sottraggono al controllo del prestatore di servizi, in quanto l'autore della truffa stabilisce un contatto diretto con il cliente attraverso la posta elettronica. Se possibile, i prestatori di servizi di pagamento dovrebbero informare in anticipo i loro clienti di un'eventuale interruzione del servizio per motivi di sicurezza. Il Comitato non ritiene opportuno penalizzare un prestatore di servizi che adotti tali misure per proteggere i propri clienti. Esso esorta inoltre i prestatori di servizi di pagamento ad adottare un comportamento proattivo nella prevenzione di questo tipo di frode. |
4. Conclusioni
4.1 |
Il nuovo quadro normativo dovrà essere in armonia con la strategia europea in materia di protezione dei consumatori, che si pone come obiettivo fondamentale il conseguimento di un livello elevato e comune di tutela dei consumatori. |
4.1.1 |
Il Comitato è favorevole agli sforzi della Commissione per rafforzare la fiducia dei consumatori, la certezza giuridica e l'efficienza del mercato dei pagamenti nel mercato interno. Giudica inoltre positivamente il metodo dell'autoregolamentazione e della coregolamentazione come possibile strumento di progresso in vari settori citati nei 21 allegati. |
4.2 |
Va data priorità alle misure legislative riguardanti i settori trattati negli allegati 1, 2, 8, 12, 13, 18 e 19. In particolare vanno esaminati urgentemente quelli riguardanti gli obblighi di informazione del cliente (2), le informazioni sull'ordinante di un pagamento (8) e le problematiche di tutela dei dati (18). |
4.3 |
Occorre prevedere una maggiore collaborazione tra la Commissione e il settore bancario per quanto riguarda la creazione di un sistema europeo di addebito diretto (allegato 16), la determinazione di chi abbia diritto a fornire servizi di pagamento al pubblico (allegato 1) nonché nel settore della certificazione della sicurezza degli strumenti di pagamento e delle loro componenti (allegato 7). |
4.4 |
Per quanto riguarda gli altri allegati, il Comitato è del parere che l'autoregolamentazione e la coregolamentazione siano strumenti più adatti per conseguire l'obiettivo della Commissione di realizzare un mercato interno dei pagamenti efficiente. Chiaramente, se l'autoregolamentazione dovesse fallire nell'intento si dovrebbe prevedere una regolamentazione a livello europeo. |
4.5 |
In questo spirito, il Comitato propone di puntare essenzialmente, con il nuovo quadro normativo, a garantire la trasparenza per i consumatori e a cercare di sfruttare al massimo le prassi esistenti e l'autoregolamentazione. Non sarà necessario regolamentare ulteriormente quei settori in cui il mercato ha già conseguito gli obiettivi perseguiti dal legislatore (non vi è ad esempio alcun bisogno di rivedere la direttiva sui bonifici transfrontalieri per ridurre i tempi di esecuzione). In alcuni settori tuttavia un approccio comune rappresenta la soluzione più idonea. |
4.6 |
La portata della comunicazione va spesso ben oltre il tema dei pagamenti e la Commissione deve evidenziare in modo molto più esplicito la differenza tra servizi commerciali e sistemi di pagamento. Le misure legislative riguardanti i pagamenti non dovrebbero trattare questioni riguardanti l'esecuzione di attività diverse dai pagamenti. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(3) Il termine sta a indicare i consumatori e altri utenti dei servizi di pagamento come ad esempio i dettaglianti e le PMI.
(4) Come ad esempio le iniziative EURO 1 e STEP 1 della Euro Banking Association (EBA).
(5) L'EBA ha effettuato la sua prima operazione il 28.4.2003.
(6) Percentuale complessiva elaborata dalla Fédération bancaire européenne (2003) riunendo dati di varie fonti (Swift, EBA, Card Systems).
(7) CESE 500/2004, relatore RETUREAU.
(8) International Bank Account Number (numero internazionale di conto bancario).
(9) Bank Identifier Code (codice di identificazione della banca).
(11) «our», «ben» e «share» sono tre opzioni per l'addebito delle commissioni relative ai bonifici bancari.
(12) Convenzione interbancaria sui pagamenti per i bonifici coperti dal regolamento 2560/2001.
(13) Sarà opportuno prestare particolare attenzione all'esattezza delle traduzioni. In italiano, ad esempio, per avvicinarsi al senso della versione originale, il titolo dell'allegato in questione dovrebbe essere tradotto piuttosto nel modo seguente: «Rimozione delle barriere al trasporto di fondi».
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/19 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di decisione del Consiglio relativa alle procedure di consultazione e d'informazione in materia di assicurazione-crediti, garanzie e crediti finanziari» (versione codificata)
(COM(2004) 159 def. — 2004/0056 (CNS))
(2004/C 302/04)
Il Consiglio, in data 13 maggio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore von FÜRSTENWERTH.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.
1. Contenuto della proposta di decisione
1.1 |
Lo scopo della proposta di decisione in esame è quello di codificare la decisione 73/391/CEE del Consiglio, del 3 dicembre 1973, relativa alle procedure di consultazione e d'informazione in materia di assicurazione-crediti, garanzie e crediti finanziari. Questa decisione è stata successivamente modificata da un'altra decisione del Consiglio (76/641/CEE), dall'atto di adesione della Spagna e del Portogallo e dall'atto di adesione dell'Austria, della Finlandia e della Svezia. |
1.2 |
Le decisioni citate interessano esclusivamente il settore dell'assicurazione dei crediti all'esportazione da parte dello Stato o di un ente pubblico e stabiliscono soprattutto in quali circostanze uno Stato membro che intenda concedere o garantire crediti esterni debba avviare una procedura di consultazione con gli altri Stati membri e la Commissione. Non hanno invece nessun rilievo per il settore dell'assicurazione dei crediti all'esportazione da parte di società private. |
1.3 |
La proposta di decisione sostituisce i vari atti oggetto di codificazione. |
1.4 |
Ne preserva in pieno il contenuto sostanziale e, pertanto, non fa altro che riunirli in un unico atto, apportando solo le modifiche formali necessarie ai fini dell'opera di codificazione. |
2. Valutazione del Comitato
2.1 |
La proposta in esame nasce dall'obiettivo della Commissione di codificare gli atti normativi che hanno subito frequenti modifiche per migliorarne la trasparenza e la chiarezza. |
2.2 |
Attualmente la disciplina del settore è dispersa in diversi atti e l'individuazione delle norme vigenti richiede pertanto un notevole impegno di ricerca e comparazione. |
2.3 |
La proposta non fa altro che accorpare questi diversi atti conservandone integralmente la sostanza. Non è necessario, infatti, apportare modifiche sostanziali. |
2.4 |
Il Comitato non può che accogliere la proposta con favore, in quanto accresce la trasparenza e migliora la comprensibilità delle disposizioni comunitarie (1). |
2.5 |
Suggerisce tuttavia alla Commissione di tener conto, in sede di codificazione, anche dei seguenti aspetti:
|
2.6 |
Inoltre andrà prestata una particolare attenzione all'esattezza delle traduzioni della proposta di decisione, in quanto eventuali imprecisioni possono dar luogo a incertezza del diritto e falsa applicazione. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Nel caso della versione portoghese, per esempio, sarebbero necessarie le seguenti modifiche:
a) |
all'articolo 4, lettera e), punti ii) e iv), l'espressione «decorrenza del credito» andrebbe tradotta con «ponto de partida do crédito» invece che con «início do crédito» in quanto i due termini non sono necessariamente identici; |
b) |
all'articolo 4, lettera e), punto iv), la formulazione «qualora i rimborsi non si suddividano in quote di importo uguale regolarmente scaglionate» andrebbe tradotta con «escalonadas em prestações iguais e espaçadas de modo regular» e non con «escalonadas por parcelas de igual montante de modo regular»; |
c) |
inoltre, il concetto di «credito di aiuto» di cui per esempio all'articolo 4, lettera f), punto i) e all'articolo 5, lettra e), punto i), andrebbe tradotto con «crédito de ajuda» e non con «crédito de auxílio» che, nella legislazione comunitaria in materia di aiuti di Stato, ha un significato completamente diverso; |
d) |
infine, andrebbero corretti numerosi errori di stampa, ad esempio all'articolo 3, paragrafo 2 (prima e terza riga: «ntureza» e «peirem»), all'articolo 10, paragrafo 1, lettera c) («desdadoravel») e nell'Allegato I, parte B, lettera d) («antiantamentos»). |
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/20 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'attuazione nella Comunità del Codice internazionale di gestione della sicurezza
(COM(2003) 767 def. — 2003/0291 (COD))
(2004/C 302/05)
Il Consiglio, in data 13 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BREDIMA SAVOPOULOU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Il Codice internazionale di gestione della sicurezza delle navi e della prevenzione dell'inquinamento (Codice ISM) è stato adottato dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) nel 1979 come strumento per promuovere lo sviluppo di una cultura della sicurezza e di una coscienza ecologica nel settore della navigazione. Nel 1994 l'IMO ha deciso di rendere il Codice obbligatorio inserendo un nuovo capitolo IX, «Gestione della sicurezza delle navi», nella convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) del 1974. |
1.2 |
L'applicazione del Codice è diventata obbligatoria in due fasi: il 1o luglio 1998 per le società di navigazione che gestiscono navi passeggeri, petroliere, chimichiere, gasiere e portarinfuse di stazza lorda pari o superiore a 500 tonnellate impiegate in viaggi internazionali, il 1o luglio 2002 per le società di navigazione che gestiscono altre navi da carico di stazza lorda pari o superiore a 500 tonnellate impiegate in viaggi internazionali via mare. |
1.3 |
In risposta alla tragedia della nave «Estonia», l'UE ha deciso di adoperarsi per anticipare al 1o luglio 1996 l'attuazione del Codice ISM nel caso dei traghetti passeggeri ro-ro impiegati all'interno della Comunità su rotte internazionali e interne, mediante il regolamento (CE) n. 3051/95 del Consiglio dell'8 dicembre 1995 (1). Il Comitato economico e sociale europeo, nel proprio parere in merito, ha accolto con favore la proposta e appoggiato l'iniziativa della Commissione (2). |
1.4 |
Il regolamento è stato modificato due volte: a) dal regolamento (CE) n. 179/98 (3), relativo all'applicazione uniforme dei documenti e dei certificati ISM ai traghetti che prestano servizio in Europa, b) dal regolamento (CE) n. 1970/2002 (4), che tiene conto delle modifiche al Codice successivamente adottate dall'IMO, entrato in vigore il 26 novembre 2002. |
2. La proposta della Commissione
2.1 |
In occasione dell'adozione del regolamento (CE) n. 3051/95, gli Stati membri e il Parlamento europeo hanno dichiarato che l'applicazione del Codice ISM ai traghetti passeggeri ro-ro non solo costituiva una priorità, ma era anche la prima di una serie di iniziative intese a migliorare la sicurezza in mare. |
2.2 |
Il nuovo regolamento proposto ha portata più generale, sostituirà il regolamento (CE) n. 3051/95 e ha per obiettivo principale quello di facilitare un'applicazione corretta, rigorosa e armonizzata del Codice in tutti gli Stati membri e nei paesi in via di adesione. Il regolamento manterrà in parallelo le vigenti disposizioni comunitarie in materia di ISM applicabili ai traghetti ro-ro impiegati in servizi di linea da e per i porti europei, a prescindere dalla bandiera battuta. |
2.3 |
Il regolamento si applicherà a tutte le società che gestiscono imbarcazioni di almeno uno dei seguenti tipi in ambito marittimo:
|
2.4 |
Il campo di applicazione del regolamento proposto si basa sulle disposizioni del capitolo IX della convenzione SOLAS e comprende tutte le navi battenti bandiera di uno Stato membro che rientrano nel campo di applicazione di tale convenzione, anche se effettuano viaggi interni. Per le navi passeggeri impiegate in viaggi interni, invece, le disposizioni si applicheranno unicamente alle navi che si spingono ad oltre 5 miglia dalla linea costiera, ma a prescindere dalla bandiera battuta. |
2.5 |
Tutte le società che gestiscono navi appartenenti ad almeno uno dei tipi sopra menzionati saranno soggette al Codice internazionale di gestione della sicurezza delle navi e della prevenzione dell'inquinamento (Codice ISM) riportato al titolo I dell'Allegato. Gli Stati membri dovranno uniformarsi agli orientamenti relativi alla procedura di certificazione («Disposizioni all'attenzione delle amministrazioni riguardanti l'attuazione del Codice internazionale di gestione della sicurezza (Codice ISM)») di cui al titolo II dell'Allegato. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il Codice ISM costituisce uno dei principali passi avanti fatti dall'IMO nel settore della sicurezza marittima, in quanto definisce un quadro di riferimento che consente un'attuazione efficace delle sue convenzioni. Il Comitato, come ha già osservato nei suoi precedenti pareri, reputa che il regolamento (CE) n. 3051/95 sia stato utile, in quanto è servito ad anticipare di due anni l'applicazione del Codice ISM ai traghetti passeggeri ro-ro e ad estenderne il campo di applicazione alle imbarcazioni di questo tipo impiegate in viaggi interni via mare. |
3.2 |
Il Comitato rileva che, per le società di navigazione che gestiscono navi da carico e navi passeggeri impiegate in viaggi internazionali, l'obiettivo del regolamento proposto è già stato raggiunto, in quanto l'obbligo di uniformarsi al Codice ISM deriva dalla convenzione SOLAS. Analogamente, per le società di navigazione che gestiscono traghetti passeggeri ro-ro impiegati in viaggi interni, l'obiettivo è stato raggiunto mediante l'attuazione del regolamento (CE) n. 3051/95. |
3.3 |
Il motivo fondamentale addotto dalla Commissione per giustificare la proposta è che il recepimento dell'intero Codice ISM e dei pertinenti orientamenti IMO nella legislazione comunitaria consentirà un'applicazione efficace del Codice nella Comunità. Il Comitato condivide tale motivazione e sostiene fino in fondo tale obiettivo nella misura in cui si riferisce a navi alle quali il Codice è già applicabile. In ordine al valore aggiunto della proposta di estendere l'applicazione del Codice ISM ad altri tipi di navi, però, il Comitato formula le seguenti osservazioni. |
3.3.1 |
Il Codice ISM ha origine da un'iniziativa dell'industria ed è uno strumento volontario diretto a promuovere una navigazione di qualità. Come previsto, l'esperienza maturata con l'attuazione del Codice ISM fin dalla prima fase, vale a dire dal 1998, ne ha rivelato i punti forti e le lacune. È generalmente riconosciuto che, a livello di tutta la comunità marittima (Stati di bandiera, società di classificazione e di navigazione), sono necessari: una maggiore comprensione degli obiettivi del Codice, un migliore collegamento tra chi rilascia i certificati ISM, standard uniformi per la formazione dei responsabili del controllo della conformità al Codice. L'elemento fondamentale di una buona gestione della sicurezza è l'impegno dall'alto. Nella sicurezza marittima e nella prevenzione dell'inquinamento sono l'impegno e la motivazione dei singoli individui a tutti i livelli a determinare il risultato finale. Senza una comprensione del Codice ISM da parte delle componenti del cluster marittimo, il Codice potrebbe diventare un esercizio burocratico, come vorrebbero lasciare a intendere gli scettici. |
3.3.2 |
Al giorno d'oggi la valutazione del rischio è largamente utilizzata come obiettivo e come strumento affidabile per misurare i miglioramenti in termini di sicurezza. Sulla base di questo approccio e tenuto conto della sua comprovata necessità, era del tutto giustificato, ed è stato appoggiato, l'obbligo di applicare il Codice ISM, nell'UE, ai traghetti che effettuano servizi di linea da e per i porti europei. Per lo stesso motivo, finora l'applicazione degli orientamenti a tutte le altre navi che effettuano viaggi interni è stata giustamente lasciata alla discrezione delle amministrazioni nazionali, in conformità con il principio di sussidiarietà. Il Comitato non è a conoscenza di alcuna legislazione nazionale che estenda l'obbligo di applicare il Codice ISM ad altre navi che effettuano viaggi interni. |
3.3.3 |
Il Codice ISM, concepito per le navi che effettuano viaggi internazionali e che quindi sono molto distanti dalle amministrazioni e dalle società, impone notevoli obblighi alle società stesse e alla loro flotta, presuppone il rispetto delle convenzioni internazionali e incoraggia l'applicazione degli standard industriali. Le navi da carico impiegate esclusivamente in viaggi interni, invece, sono soggette a un regime di sicurezza disciplinato dalla legislazione nazionale e forse saranno implicitamente tenute a soddisfare il regime applicabile alle navi da carico impiegate in viaggi internazionali. |
3.3.4 |
Il Comitato, in quanto difensore anche degli interessi delle piccole e medie imprese europee, è preoccupato per l'applicazione del Codice ISM alle piccole e medie imprese di navigazione che effettuano esclusivamente viaggi interni. Alla luce delle osservazioni sopra esposte, il regolamento proposto dovrebbe tener conto delle formalità burocratiche e del costo per la messa in conformità che deriverebbero dalla sua applicazione alle imprese di questo tipo. Saranno pertanto necessarie un'applicazione flessibile e/o delle deroghe. |
4. Osservazioni specifiche
4.1 Articolo 3 — Applicazione
4.1.1 |
Il Comitato ritiene che, per motivi pratici, possano essere necessarie deroghe nei casi delle piccole navi da carico e delle navi passeggeri impiegate in viaggi interni, soprattutto se sono gestite dall'armatore stesso o sotto la sua supervisione diretta. |
4.2 Articolo 4 — Obblighi di gestione della sicurezza
4.2.1 |
È possibile che le navi summenzionate siano implicitamente tenute a soddisfare il regime applicabile alle navi impiegate in viaggi internazionali. Il Comitato reputa che il regolamento dovrebbe stabilire chiaramente quali requisiti fondamentali del Codice ISM possano essere applicati alle navi in questione. |
4.3 Articolo 5 — Certificazione
4.3.1 |
Il Comitato è favorevole all'applicazione obbligatoria della procedura di certificazione, che costituisce la principale motivazione valida del regolamento proposto. |
4.3.2 |
Quanto ai paragrafi 2 e 6, ritiene che vada notato che i documenti di conformità e i certificati di gestione della sicurezza possono essere rilasciati da un'amministrazione anche su richiesta dello Stato di bandiera. |
4.3.3 |
Secondo il Comitato, i testi dei paragrafi 4 e 9 debbono essere chiariti e snelliti alla luce delle disposizioni del Codice ISM, in quanto impongono inutili restrizioni e danno adito a confusione. |
4.4 Articolo 7 — Procedura di salvaguardia
4.4.1 |
La procedura di salvaguardia non coinvolge, come invece dovrebbe, lo Stato membro o Stato di bandiera che ha rilasciato il certificato di conformità e che può doverne sospendere la validità o ritirarlo. |
4.5 Articolo 9 — Relazioni
4.5.1 |
L'articolo fa riferimento a un modello che la Commissione dovrà mettere a punto e che andrà utilizzato per le relazioni, ma non specifica su che cosa debbano vertere queste ultime. Va chiarito se le relazioni previste debbano riferire sul rispetto del regolamento e, più precisamente, delle procedure di certificazione da parte degli Stati membri o invece sulla conformità riscontrata a livello delle società di navigazione e della loro flotta nel quadro del controllo da parte dello Stato di bandiera e di quello di approdo. |
4.6 Articolo 13 — Entrata in vigore
4.6.1 |
Coerentemente con le osservazioni formulate nelle sezioni 3 e 4, il Comitato reputa adeguato il periodo transitorio di un anno concesso alle navi da carico e alle navi passeggeri che effettuano viaggi interni per conformarsi al regolamento all'esame. |
5. Conclusioni
5.1 |
Il Comitato appoggia il recepimento dell'intero Codice ISM e dei pertinenti orientamenti IMO nella legislazione comunitaria mediante il nuovo regolamento proposto, inteso a sostituire il regolamento (CE) n. 3051/95. Tuttavia, in termini reali, il valore aggiunto dell'estensione del campo di applicazione del regolamento potrebbe essere limitato, in quanto le navi che effettuano viaggi internazionali e i traghetti passeggeri ro-ro impiegati in viaggi interni sono già conformi al Codice. |
5.2 |
Il Comitato rileva che l'esperienza maturata con l'attuazione del Codice ISM fin dalla prima fase, vale a dire dal 1998, ne ha dimostrato i punti forti e le lacune. Tutte le componenti del cluster marittimo coinvolte nell'attuazione del Codice dovrebbero comprenderne fino in fondo gli obiettivi; in caso contrario rischierebbe di diventare un esercizio burocratico. Questa necessità è più evidente per le società di navigazione e le navi finora escluse dal regime del Codice. |
5.3 |
L'ipotesi di estendere l'applicazione del Codice ISM a tutte le navi impiegate in viaggi interni va riesaminata allo scopo di renderla più flessibile. Le nuove categorie di navi interessate potrebbero essere costrette, involontariamente e sproporzionatamente, ad uniformarsi al regime applicabile alle navi che effettuano viaggi internazionali, il che probabilmente comporterà costi di conformità proibitivi, soprattutto nel caso di navi gestite dall'armatore stesso o sotto la sua supervisione diretta. La procedura di certificazione prevista dal regolamento proposto va adeguata in modo da non imporre restrizioni inutili alle piccole e medie imprese di navigazione che effettuano viaggi interni. Pertanto potrà essere necessario prevedere delle deroghe o, in alternativa, stabilire quali requisiti fondamentali del Codice siano applicabili alle navi in questione. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Regolamento (CE) n. 3051/95 del Consiglio, dell'8 dicembre 1995, sulla gestione della sicurezza dei traghetti passeggeri roll-on/roll-off, GU L 320 del 30.12.1995, pag. 14.
(2) GU C 236 dell'11.9.1995, pag. 42.
(3) GU L 19 del 24.1.1998, pag. 35.
(4) GU L 302 del 6.12.2002, pag. 3.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/23 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della sicurezza dei porti
(COM(2004) 76 def. — 2004/0031 (COD))
(2004/C 302/06)
Il Consiglio, in data 24 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 80, par. 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BREDIMA SAVOPOULOU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere, con 154 voti favorevoli e 4 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Attraverso la Comunicazione (1) sul miglioramento della sicurezza dei trasporti marittimi e la proposta (2) di regolamento relativo al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali, la Commissione ha affrontato le questioni della sicurezza delle navi e dell'interfaccia nave/porto, proponendo azioni specifiche il cui iter legislativo è attualmente in corso. Questa proposta di regolamento limitava tuttavia il proprio campo di applicazione alla parte del porto che costituisce l'interfaccia nave/porto, vale a dire il terminale. |
1.2 |
Il relativo parere del CESE (3) accoglieva con favore le azioni proposte e sosteneva la Commissione nella sua intenzione di perseguire, come secondo passo, l'applicazione di misure comunitarie aggiuntive volte a rendere sicuri i porti e la loro interfaccia con l'entroterra. |
1.3 |
Il secondo e più difficile passo dell'iniziativa della Commissione riconosce l'esigenza di una politica per la sicurezza dei porti completa in considerazione della vulnerabilità delle aree portuali in senso ampio e della loro importanza in quanto nodi essenziali del complesso della catena dei trasporti e dei movimenti di passeggeri. |
2. La proposta della Commissione
2.1 |
La proposta integra le misure di sicurezza previste dal regolamento sul miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali, in modo da garantire che l'intera area portuale sia coperta da un regime di sicurezza. La direttiva assicurerà livelli adeguati di sicurezza per i porti della Comunità e l'attuazione armonizzata di misure di sicurezza relative alle intere aree portuali. |
2.2 |
La Commissione afferma che le misure congiunte dell'IMO e dell'OIL, attualmente in preparazione sotto forma di Codice volontario di condotta sulla sicurezza dei porti, non garantiranno la rapida creazione del regime di sicurezza richiesto. Occorre quindi che l'UE prenda l'iniziativa, di preferenza attraverso una direttiva, per garantire la necessaria flessibilità. |
2.3 |
La proposta di direttiva in esame permette di mantenere i regimi di sicurezza portuali esistenti che risultino compatibili con i suoi principi e i suoi requisiti generali. In particolare la direttiva impone di eseguire delle valutazioni di sicurezza, di definire livelli di sicurezza, di elaborare e approvare piani di sicurezza, di indicare le autorità responsabili della sicurezza, di designare gli agenti di sicurezza, di istituire i comitati di sicurezza e di promuovere l'attuazione delle misure in materia. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Le vicende e le iniziative successive agli attentati dell'11 settembre 2001 hanno confermato le previsioni secondo cui la guerra contro il terrorismo durerà a lungo. I tragici eventi di Madrid dell'11 marzo 2004 hanno evidenziato la vulnerabilità dell'intero sistema dei trasporti agli attacchi terroristici e dimostrato che la sicurezza assoluta non sarà mai raggiunta. Nel parere esplorativo sulla sicurezza dei trasporti (4) e nel successivo parere sulla sicurezza dei trasporti marittimi (5) il CESE ha affermato che l'UE dovrebbe prendere a livello internazionale l'iniziativa di sviluppare in materia di sicurezza un quadro più ampio, che affronti le cause del terrorismo piuttosto che limitarsi a prevenirne o a eliminarne le conseguenze. |
3.2 |
La sicurezza marittima, che costituisce un problema globale, ha ricevuto la giusta attenzione sia sul piano globale che da parte dell'UE. Tuttavia, mentre la sicurezza ferroviaria è stata oggetto di varie iniziative nazionali, scarsa attenzione è stata dedicata sinora al terrorismo che colpisce le strade e le vie d'acqua interne. Il Comitato sottolinea che se gli altri modi di trasporto non si faranno carico delle rispettive responsabilità, i terroristi, per infiltrare il sistema, punteranno all'anello più debole della catena. Non è realistico attendersi che i porti compensino i deficit di sicurezza degli altri modi di trasporto ed è iniquo far pesare su di loro gli oneri finanziari. |
3.3 |
Il Comitato ribadisce che le misure antiterrorismo dovrebbero essere accompagnate da altre misure volte a combattere i problemi di sicurezza tradizionali (criminalità organizzata, pirateria, frode, contrabbando, immigrazione clandestina). Questi problemi si presentano nelle aree portuali in senso più ampio e avrebbero dovuto essere affrontati con urgenza, come chiesto dal Comitato. A tale proposito, il Comitato si rammarica del fatto che vari Stati membri non abbiano ancora aderito alla Convenzione per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima (Convenzione SUA) e al relativo Protocollo; l'adesione è necessaria ed urgente perché rafforzerebbe gli strumenti giuridici di lotta contro il terrorismo. |
3.4 |
Il Comitato (6) ha accolto con favore le iniziative comunitarie tese a garantire accordi di reciprocità e collaborazione con gli Stati Uniti per creare parità di trattamento per tutti i trasporti di container in provenienza dall'UE e convertire o integrare gli accordi bilaterali esistenti in un accordo multilaterale nel quadro dell'Organizzazione mondiale delle dogane. Sarebbe opportuno cercare di stringere analoghi accordi di reciprocità con altre regioni o Stati, inquadrandoli in un sistema di scambio di informazioni. Se necessario questi accordi dovrebbero prevedere misure di cooperazione tecnica o di sostegno finanziario per i paesi in via di sviluppo affinché rinnovino le loro infrastrutture portuali. |
3.5 |
Le misure proposte sono simili a quelle previste per gli impianti portuali (terminali), con un significativo nuovo elemento costituito dall'ampliamento del campo geografico di applicazione all'intera area portuale, che dovrà essere definita dagli Stati membri in linea con quanto è stato fatto negli Stati Uniti nel quadro di un'azione analoga. Il Comitato ritiene che questo obiettivo sarebbe raggiunto nel modo migliore estendendo il campo di azione del regolamento CE 725/2004 (7), ma comprende i vincoli a una rapida estensione all'intera area portuale dell'applicazione del regime integrale di sicurezza previsto da tale regolamento, come pure l'esigenza di concedere agli Stati membri, attraverso la direttiva, la flessibilità necessaria per applicare misure appropriate considerata la grande varietà dei porti comunitari e delle attività che in essi si svolgono. Nondimeno detta flessibilità non dovrebbe determinare l'applicazione di misure molto differenti nei porti comunitari e la conseguente classificazione dei porti stranieri come «sicuri» o «insicuri» sotto il profilo della capacità di intercettare immigranti clandestini e terroristi, classificazione che potrebbe causare distorsioni del mercato e compromettere l'andamento regolare del commercio internazionale. |
3.6 |
Il Comitato ribadisce (8) che l'ampliamento conferisce maggiore rilievo al ruolo del Mediterraneo, a causa della sua prossimità alle zone in cui potrebbero sorgere problemi di sicurezza; sottolinea quindi che è necessaria una dimensione mediterranea della sicurezza marittima. Il Comitato ha espresso apprezzamento (9) per lo sviluppo di una rete euromediterranea di trasporto, avente tra i suoi obiettivi la sicurezza marittima. Ha riconosciuto che i partner mediterranei devono rafforzare le misure di sicurezza e che l'Istituto euromediterraneo per la sicurezza costituisce un passo in avanti in tale direzione. |
3.7 |
Nella sua forma attuale, la direttiva si concentra sugli aspetti amministrativi. Essa non definisce procedure armonizzate per l'applicazione delle disposizioni dettagliate definite negli allegati, ma prevede invece la possibilità di futuri adeguamenti. Il CESE si rende conto di quanto sia urgente accrescere la sicurezza al di là dell'interfaccia nave/porto, ma sottolinea che sarebbe stato più prudente fare riferimento ai progressi realizzati sinora in questo settore a livello internazionale, in particolare nell'ambito dell'IMO, dell'OIL e dell'Organizzazione mondiale delle dogane, e fornire indicazioni chiare e tempestive su come realizzare i relativi obiettivi. |
3.8 |
Il Comitato constata che la direttiva non istituisce nuovi obblighi nelle zone già coperte dal regolamento CEE/725/2004 o nelle aree portuali estese. Ribadisce nondimeno che le misure per la sicurezza dei porti dovrebbero essere proporzionate agli obiettivi perseguiti, ai costi e all'impatto sul traffico e sui flussi commerciali. Bisogna pertanto verificarne attentamente la necessità e stabilire se siano realistiche e attuabili. Dette misure devono rispettare i diritti fondamentali e i principi sanciti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE, evitando limitazioni dei diritti umani dei cittadini e violazioni dell'ordinamento costituzionale, che farebbero il gioco dei terroristi. Si deve pertanto aver cura di evitare:
|
3.9 |
Per molti porti il costo legato al rispetto delle misure aggiuntive volte a rendere sicura l'area geografica del porto che sarà sensibilmente più ampia, ossia le restrizioni di accesso, il controllo delle merci e dei bagagli e l'identificazione delle persone, risulterà moltiplicato perché l'applicazione di tali misure richiederà interventi aggiuntivi in termini di infrastrutture, attrezzature, personale e addestramento. Ricordando i suoi precedenti pareri in merito al finanziamento dei costi per la sicurezza, il Comitato ribadisce l'invito rivolto alla Commissione affinché elabori un regime comunitario per finanziarel'applicazione delle misure. In particolare il Comitato aveva affermato che «sebbene tali costi saranno trasferiti in parte ai clienti, per una questione di correttezza anche i governi dovrebbero farsi carico di una parte, dato che il terrorismo è una reazione a delle politiche governative». Il Comitato ribadisce inoltre l'invito rivolto alla Commissione affinché elabori uno studio generale di impatto in merito alle conseguenze finanziarie delle misure volte a rafforzare la sicurezza marittima e si associa all'analoga richiesta del Parlamento europeo. |
3.9.1 |
Dal momento che i porti marittimi costituiscono importanti infrastrutture nazionali, le misure rivolte a renderli più sicuri rivestono logicamente interesse generale e pertanto il loro finanziamento pubblico non rientrerebbe, a norma del Trattato UE, tra gli aiuti di Stato. Tuttavia, sono gli Stati membri a decidere se finanziare o no tali misure e quindi per evitare distorsioni della concorrenza bisognerebbe elaborare a livello di UE un approccio armonizzato, che preveda anche il finanziamento delle misure di sicurezza degli impianti portuali e sia basato sui seguenti principi:
|
3.9.2 |
È molto difficile stimare i costi di sicurezza dei porti, che comunque, dovrebbero risultare più elevati nell'UE che negli Stati Uniti, dato il maggior numero di porti presenti nell'UE. Si prevede che i costi di adeguamento per i grandi (10) e i piccoli porti saranno comparativamente molto alti. |
3.10 |
D'altronde non riuscire a reagire rapidamente alle nuove realtà del terrorismo potrebbe causare costi elevatissimi a motivo della chiusura dei porti; il rischio sicurezza può diventare un ostacolo non tariffario agli scambi. |
4. Osservazioni specifiche
4.1 |
In genere i porti sono ben definiti in senso geografico e amministrativo, e al loro interno coesistono attività differenti. Di regola i confini del porto inglobano gli impianti portuali e non viceversa, come implicano invece l'articolo 2, paragrafo 4, e le definizioni di «porto» e di «porto marittimo» nell'articolo 3. La definizione sembra indicare che l'area del porto è inferiore a quella di un «impianto portuale», che comprende le zone di ormeggio, le aree di attesa e il loro perimetro a partire dal mare. Occorrerebbe dunque specificare cosa si intenda per «prevalgono» nell'articolo 2, paragrafo 4. |
4.2 |
Anzitutto il piano di sicurezza del porto, essendo un piano generale, dev'essere compatibile con le decisioni prese durante il processo di applicazione del Codice ISPS (Codice internazionale relativo alla sicurezza delle navi e degli impianti portuali) e con il regolamento CE 725/2004, (11) concernente i criteri di sicurezza degli impianti portuali. Tale piano dovrebbe includere i piani integrati per gli impianti portuali situati entro i confini del porto. Gli impianti portuali subordinati dovrebbero entro un certo termine funzionare come sezioni del porto e i relativi piani di sicurezza dovrebbero essere parte del piano generale di sicurezza del porto, dopo essere stati eventualmente rettificati, armonizzati e coordinati con i suoi obiettivi generali; di conseguenza l'autorità e la responsabilità dovrebbero ricadere in ultima istanza sull'autorità per la sicurezza del porto. |
4.3 |
Il ruolo consultivo della prevista commissione per la sicurezza del porto renderà più efficace l'applicazione del piano di sicurezza del porto. Il Comitato presume che saranno le autorità per la sicurezza del porto a istituire i comitati, anche allo scopo di individuare gli elementi del piano per la sicurezza del porto. Tenendo presente l'obiettivo di trovare soluzioni pratiche, il Comitato è favorevole alla partecipazione di rappresentanti dei lavoratori addetti ai controlli e dei lavoratori portuali nella commissione per la sicurezza del porto. |
4.4 |
Non si dovrebbero assoggettare il carico e i passeggeri ad un doppio controllo: all'ingresso nel porto e all'ingresso nell'impianto portuale; occorre inoltre un approccio pratico per quanto riguarda i movimenti degli equipaggi, dei visitatori e dei fornitori. |
4.5 |
Le ispezioni riguardanti la conformità alle misure di sicurezza di un porto eseguite in uno Stato membro da agenti di un altro Stato membro dovrebbero essere autorizzate dalla Commissione. |
5. Conclusioni
5.1 |
I tragici eventi che si sono verificati a Madrid l'11 marzo 2004 hanno confermato i timori della vulnerabilità dell'intero sistema dei trasporti ad attentati terroristici e hanno confermato ancora una volta l'impossibilità di realizzare condizioni di sicurezza assoluta. |
5.2 |
Il Comitato sottolinea che, a meno che tutti i modi di trasporto si facciano carico delle rispettive responsabilità, i terroristi, per infiltrare il sistema, punteranno sull'anello più debole della catena. Non è realistico attendersi che i porti compensino i deficit di sicurezza degli altri modi di trasporto ed è iniquo far loro carico degli oneri finanziari. |
5.3 |
Il Comitato è fermamente convinto che una strategia basata su controlli di polizia non è una strategia di sicurezza in un mondo non sicuro. È per questo che l'UE dovrebbe assumere l'iniziativa a livello mondiale nel campo dello sviluppo di un quadro più vasto in materia di sicurezza che affronti le cause del terrorismo e non si limiti a cercare di eliminarne le conseguenze. |
5.4 |
Il Comitato valuta con favore la proposta di direttiva relativa all'attuazione di misure di sicurezza nelle aree portuali. La flessibilità che la proposta di direttiva concede agli Stati membri non deve tradursi nella classificazione dei porti stranieri come «sicuri» o «insicuri», cosa che potrebbe causare distorsioni del mercato e compromettere l'andamento regolare del commercio internazionale. |
5.5 |
Il Comitato ribadisce che alle misure antiterrorismo dovrebbero accompagnarsene altre volte a combattere i problemi di sicurezza tradizionali (criminalità organizzata, pirateria, frode, contrabbando, immigrazione clandestina). |
5.6 |
Dal momento che i porti marittimi costituiscono importanti infrastrutture nazionali, le misure rivolte a rendere più sicure le rispettive aree rivestono logicamente interesse generale e pertanto il loro finanziamento pubblico non rientrerebbe, a norma del Trattato UE, tra gli aiuti di Stato. Per evitare distorsioni della concorrenza bisognerebbe elaborare a livello comunitario un approccio armonizzato per il sostegno pubblico concesso dagli Stati membri. Il Comitato ribadisce l'invito rivolto alla Commissione affinché definisca un regime per il finanziamento comunitario, ove necessario, dell'applicazione di tali misure. Il Comitato ritiene inoltre che la dimensione economica della sicurezza dei porti costituisca una questione importante per il commercio internazionale e meriti quindi di essere trattata con urgenza dall'UE. |
5.7 |
Le misure di sicurezza delle aree portuali devono rispettare i diritti fondamentali e i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE, evitando limitazioni dei diritti dell'individuo e modifiche dell'ordinamento costituzionale. |
5.8 |
Il Comitato sottolinea l'esigenza di dare urgentemente una dimensione mediterranea alla politica comunitaria di sicurezza dei porti, esigenza che diviene vitale con l'ampliamento. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) COM(2003) 229 def. - 2003/0089 (COD)
(2) COM(2003) 229 def. - 2003/0089 (COD)
(3) GU C 32 del 5.2.2004, pag. 21.
(4) GU C 61 del 14.3.2003, pag. 174.
(5) GU C 32 del 5.2.2004, pag. 21.
(6) GU C 61 del 14.3.2003, GU C 32 del 5.2.2004.
(7) GU L 129 del 29.4.2004, pag. 6.
(8) Cfr. CESE 856/2003 GU C 32 del 5.2.2004
(9) GU C 32 del 5.2.2004 e COM(2003) 376 def.
(10) Gli scanner per container del porto di Rotterdam costano 14 milioni di euro; cfr. GU C 32 del 5.2.2004.
(11) GU L 129 del 29.4.2004, pag. 6.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/27 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'energia di fusione»
(2004/C 302/07)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: L'energia di fusione.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli e 9 astensioni.
Il presente parere completa precedenti pareri del Comitato sull'energia e la ricerca e si occupa dello sviluppo di reattori per l'impiego dell'energia di fusione e degli aspetti vantaggiosi attesi da tale forma di energia sotto il profilo della sicurezza e dell'ambiente - tutto questo avendo come sfondo la questione energetica nella sua totalità. Nel parere si procede a una breve descrizione e valutazione dei lavori di ricerca e sviluppo necessari al fine di sviluppare tale forma di energia e si esamina anche la posizione europea nelle trattative in corso sull'ubicazione di ITER.
Indice
1. |
La questione energetica |
2. |
L'energia nucleare: fissione e fusione nucleare |
3. |
Antecedenti |
4. |
Il cammino da percorrere per la messa a punto di una centrale a fusione |
5. |
Il problema dell'ubicazione di ITER |
6. |
Sintesi e raccomandazioni del Comitato |
1. La questione energetica
1.1 |
Lo sfruttamento dell'energia (1) è alla base del nostro attuale stile di vita e della nostra cultura, al punto che le attuali condizioni di vita sono da attribuire anzitutto a una disponibilità sufficiente di energia: nelle grandi nazioni industrializzate in pieno sviluppo l'aspettativa di vita, l'approvvigionamento alimentare, il benessere generale e la libertà individuale hanno raggiunto un livello senza precedenti. Senza un sufficiente rifornimento energetico queste conquiste sarebbero in pericolo. |
1.2 |
La necessità di un approvvigionamento energetico sicuro, economico, rispettoso dell'ambiente e sostenibile è al centro delle decisioni adottate dal Consiglio europeo a Lisbona, Göteborg e Barcellona. L'Unione europea, con la politica energetica, persegue quindi tre obiettivi strettamente collegati tra loro e ugualmente importanti, vale a dire la protezione e il miglioramento 1) della competitività, 2) della sicurezza dell'approvvigionamento e 3) dell'ambiente – e tutto ciò nel contesto di uno sviluppo sostenibile. |
1.3 |
Già in numerosi pareri, il Comitato ha osservato che al raggiungimento di tali obiettivi si frappongono però notevoli ostacoli; più volte ha affrontato il problema energetico che ne deriva, soffermandosi sui suoi diversi aspetti e sulle possibili soluzioni (2). In tale contesto vanno ricordati il parere del Comitato sul Libro verde della Commissione «Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico» (3) e quello sul tema «La necessità di una ricerca finalizzata a un approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile» (4). |
1.4 |
Già in tali pareri il Comitato ha sottolineato che la produzione e l'utilizzazione di energia comportano danni ambientali, rischi, esaurimento delle risorse, nonché situazioni delicate di dipendenza dall'esterno e una serie di incognite, insistendo sul fatto che la prima misura da adottare per ridurre i rischi relativi alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico e di altro tipo consiste nel diversificare ed equilibrare per quanto possibile i tipi e le forme dell'energia utilizzata, anche sforzandosi in tutti i modi di risparmiare e di utilizzare razionalmente l'energia. In tali pareri il Comitato ha inoltre illustrato brevemente i vantaggi e gli svantaggi delle singole soluzioni energetiche (5) ma, per motivi di spazio, in questa sede non è possibile ripeterli. |
1.5 |
Nessuna delle opzioni e delle tecnologie che potranno contribuire in futuro all'approvvigionamento energetico è tecnicamente perfetta, priva di un impatto negativo sull'ambiente e in grado di soddisfare tutte le esigenze; è impossibile poi valutarne il potenziale in un orizzonte temporale sufficientemente lungo. Per tale motivo una politica energetica europea lungimirante e responsabile non può nemmeno confidare nel fatto che un approvvigionamento energetico sufficiente (nel senso dei summenzionati obiettivi) possa essere garantito semplicemente utilizzando solo poche fonti energetiche. Questa osservazione vale anche per la necessità del risparmio di energia e di un uso razionale della stessa. |
1.6 |
Un approvvigionamento energetico disponibile nel lungo periodo, compatibile con la tutela ambientale e conveniente sotto il profilo economico non è quindi garantito né in Europa né a livello mondiale. (6) La risposta per delle possibili soluzioni può venire solo da un'ulteriore intensa attività di ricerca e sviluppo. La ricerca energetica (7) costituisce l'elemento strategico e il presupposto necessario di qualunque politica energetica di successo nel lungo termine. Nel parere succitato il Comitato ha raccomandato a tal fine un consistente programma europeo di ricerca nel campo energetico, di cui invero parti essenziali sono già contenute nel sesto programma quadro di ricerca e sviluppo e nel programma di ricerca e formazione Euratom, anche se la dotazione finanziaria assegnata alle attività di R&S andrebbe nettamente aumentata. |
1.7 |
Il Comitato ha inoltre osservato che lo studio del problema energetico da parte della Commissione dovrebbe essere caratterizzato da un approccio più globale e da un orizzonte temporale molto più esteso in quanto i cambiamenti, nel settore energetico, avvengono solo lentamente, le emissioni di gas nocivi per il clima non sono un problema regionale, ma globale ed è probabile che i problemi si acuiscano ulteriormente nella seconda metà del secolo. |
1.8 |
Sia le limitazioni dal lato delle risorse che la problematica delle emissioni (gas a effetto serra) vengono aggravate ulteriormente dalle previsioni in base alle quali, di qui al 2060, il fabbisogno energetico mondiale - a causa della crescita demografica e dell'esigenza dei paesi meno sviluppati di recuperare terreno - raddoppierà o addirittura triplicherà. La strategia e le prospettive di sviluppo vanno pertanto orientate oltre questo orizzonte temporale. |
1.9 |
Anche nel suo recente parere sull'uso sostenibile delle risorse naturali il Comitato ha segnalato di nuovo l'esigenza di includere nella strategia di sostenibilità un orizzonte temporale più lungo. |
1.10 |
Come peraltro già affermato dal Comitato, le osservazioni appena formulate non trovano però sufficiente riscontro nella percezione da parte dei cittadini o nei dibattiti pubblici sull'argomento. Si registra piuttosto un'ampia gamma di opinioni: si va dalla tendenza a sopravvalutare i rischi e le opportunità esistenti alla tendenza a sottovalutarli. Le opinioni spaziano da quelle di chi ritiene che non esista alcun problema energetico, che finora sia sempre andato tutto per il meglio e che, all'occorrenza, si troveranno nuovi giacimenti (del resto, ormai da decenni si è previsto il deperimento delle foreste e si afferma che le scorte di petrolio e gas naturale non dureranno più di 40 anni), a quelle di chi invece è dell'avviso che il fabbisogno energetico mondiale potrebbe essere facilmente coperto dalle fonti energetiche rinnovabili, se solo si convogliassero a tal fine tutte le risorse destinate alla ricerca e se la società si decidesse ad effettuare gli adattamenti necessari. |
1.11 |
Non esiste quindi ancora una politica energetica armonizzata a livello globale e perfino all'interno degli Stati membri dell'UE vi sono profonde differenze quanto all'atteggiamento nei confronti del problema energetico. |
2. L'energia nucleare: fissione e fusione nucleare
2.1 |
Sia la fissione di nuclei di atomi molto pesanti che la fusione di atomi molto leggeri sono processi nel cui corso vengono liberate, a parità di masse coinvolte nelle reazioni, quantità di energia che superano di un fattore pari a un milione le quantità di energia liberate durante i processi chimici. |
2.2 |
In primo luogo si scoprì (1928) che la fusione nucleare costituisce la fonte di energia, fino ad allora non spiegabile, del sole e della maggior parte delle stelle. L'energia di fusione è dunque anche la fonte energetica che, attraverso l'irradiazione solare, determina la nostra vita, tra l'altro la crescita delle piante, la formazione delle fonti energetiche fossili e anche la produzione di forme di energia rinnovabili. |
2.3 |
Non appena si scoprì la fissione nucleare (1938) e si riconobbe il suo potenziale come potente fonte energetica terrestre anche a scopi pacifici, incominciò uno sviluppo pieno di speranze e dinamico per il suo impiego. |
2.4 |
Nel corso di tale sviluppo si è visto che con la fissione nucleare si è giunti in modo straordinariamente rapido allo scopo voluto, mentre non è stato ancora possibile realizzare definitivamente la speranza di una fonte di energia terrestre praticamente illimitata derivante dalla fusione nucleare. |
2.5 |
Lo sfruttamento concreto di entrambe le forme di energia nucleare risponde all'obiettivo di: (i) produrre elettricità senza emissioni di gas a effetto serra e, inoltre, (ii) limitare il consumo degli idrocarburi importanti come carburanti per il settore dei trasporti (petrolio e gas naturale) i quali, durante la combustione, producono meno CO2 rispetto al carbone e, pertanto, vengono presi sempre più in considerazione e anche già utilizzati per la produzione di elettricità (8). |
2.6 |
Modalità e condizioni di funzionamento, aspetti connessi alla sicurezza e all'ambiente, nonché portata e disponibilità delle risorse, ecc. dei processi della fissione e della fusione nucleare si differenziano in modo sostanziale; in tutti questi ambiti la fusione nucleare presenterebbe infatti dei vantaggi dovuti ai principi su cui si basa (cfr. punto 2.11 segg.). |
2.7 |
La fissione nucleare - La fissione nucleare viene utilizzata da decenni per la produzione di energia. Le centrali nucleari hanno già contribuito in modo significativo ad evitare le emissioni di gas a effetto serra (CO2) e ad attenuare la dipendenza dovuta all'uso/importazione di petrolio e di gas. Per tale motivo il dibattito sull'energia nucleare è stato riaperto soprattutto nel contesto della riduzione delle emissioni di CO2 e degli strumenti previsti a tal fine (incentivi, penalità). Il Comitato ha affrontato recentemente questa tematica in un parere in materia (9). |
2.8 |
Come combustibile per la fissione nucleare vengono utilizzati gli isotopi (10) degli elementi particolarmente pesanti della tavola periodica, vale a dire torio, uranio e plutonio. I neutroni che si liberano in seguito alla fissione nucleare inducono nuovi processi di fissione nei nuclei degli atomi di tali materiali, dando luogo a una reazione a catena con produzione di energia, la cui portata deve essere regolata. In seguito a tale processo si formano prodotti radioattivi di fissione e attinidi, alcuni a vita molto lunga, che devono essere tenuti al riparo dalla biosfera per migliaia di anni. Ciò suscita timori e induce una parte della popolazione a rifiutare in modo assoluto l'uso dell'energia nucleare. Inoltre, nel corso della reazione vengono prodotti contemporaneamente anche nuovi materiali fissili come il plutonio (dall'uranio 238) che, essendo potenzialmente utilizzabili per le armi atomiche, sono sottoposti a controlli. |
2.9 |
Le centrali a fissione funzionano in base al principio dei reattori nucleari. A tal fine le riserve di combustibile necessarie per alcuni anni (in una centrale si tratta di quantità dell'ordine di 100 tonnellate) vengono introdotte nel nocciolo del reattore e, mediante processi regolamentati, viene consentito il numero di reazioni di fissione necessario per ottenere la potenza desiderata. Sebbene per tali procedimenti e per la garanzia della sicurezza esistano tecniche di regolazione perfezionate, la mera quantità dell'energia immagazzinata non fa che alimentare questi timori. A ciò si aggiunge il fatto che viene prodotta una notevole quantità di calore residuo, ragion per cui nella maggior parte dei tipi di reattore, dopo aver spento l'impianto, occorre continuare un intenso processo di raffreddamento per un periodo piuttosto lungo per evitare il surriscaldamento delle guaine. |
2.10 |
In relazione a tali timori, il Comitato già nel suo recente parere in materia (11) ha indicato che nel settore della tecnologia di fissione nucleare nel frattempo vengono sviluppate centrali nucleari di quarta generazione, in cui lo standard già elevato in materia di sicurezza passiva degli impianti attuali viene ulteriormente migliorato. |
2.11 |
La fusione nucleare - Rispetto alla massa di combustibile utilizzata la fusione nucleare costituisce il più efficiente processo energetico potenzialmente utilizzabile sulla terra. I reattori di fusione sono impianti per la produzione controllata dei processi di fusione e per l'impiego dell'energia da essi liberata; più precisamente, si tratta di centrali sempre in funzione per la produzione di elettricità (12), preferibilmente per il carico continuo. Come combustibili vengono usati gli isotopi pesanti dell'idrogeno (vedasi infra). L'elio, un gas nobile (13) innocuo, che ha applicazioni utili, è la «cenere» del reattore a fusione. |
2.12 |
Tuttavia, durante la reazione di fusione – che avviene solo se gli elementi coinvolti nella reazione si scontrano ad altissima velocità (14) – vengono liberati anche neutroni, che rendono radioattivi i materiali di rivestimento del reattore (e possono modificarne le proprietà meccaniche). Per questo motivo, uno degli obiettivi del programma di R&S in questo campo è quello di mettere a punto materiali la cui radiotossicità (15) si riduca fino al grado di radiotossicità delle ceneri di carbone in un arco di tempo che va da un periodo di soli cento anni ad alcune centinaia di anni al massimo, consentendo eventualmente, tra l'altro, di riutilizzare gran parte di tali materiali, attenuando così notevolmente il problema dello stoccaggio definitivo delle scorie. |
2.13 |
I presupposti tecnico-scientifici per la produzione di energia di fusione sono estremamente complessi. Sostanzialmente si tratta infatti del difficile compito di scaldare fino a temperature di oltre 100 milioni di gradi un gas formato da isotopi di idrogeno (cioè da una miscela di deuterio e trizio), portandolo così allo stato di plasma (16), di modo che i nuclei che si scontrano abbiano una velocità sufficientemente elevata per consentire lo svolgimento dei processi di fusione desiderati. Inoltre si deve riuscire a mantenere il plasma in tale stato per un periodo sufficientemente lungo, nonché ad estrarre e utilizzare l'energia di fusione generata. |
2.14 |
Durante questi processi, che avvengono nella camera di combustione del reattore a fusione, le riserve di energia del combustibile iniettato continuamente sono di un ordine di grandezza tale (pochi grammi) che, se non vengono alimentate, bastano solo per pochi minuti di produzione energetica alla volta, ragion per cui è impossibile che si verifichino delle escursioni di potenza indesiderate. Inoltre proprio il fatto che qualsiasi errore comporta un raffreddamento e quindi il disinnesco del processo di combustione «termonucleare» (17) è un ulteriore vantaggio intrinseco in termini di sicurezza. |
2.15 |
Questi elementi di sicurezza intrinseci, la possibilità di ridurre drasticamente i rifiuti radiotossici a lunga vita – nella fusione, infatti, non vengono generati prodotti di fissione né elementi radioattivi a vita lunga e particolarmente pericolosi (attinidi) – e la possibilità di disporre di una riserva di risorse pressoché illimitata farebbero perciò dello sfruttamento dell'energia di fusione una componente molto interessante e di fondamentale importanza per un futuro approvvigionamento sostenibile di energia e in tal modo contribuirebbero alla soluzione dei problemi attuali. |
2.16 |
È per questo che il Comitato, in precedenti pareri, ha sottolineato ripetutamente che i lavori di RST intesi a consentire lo sfruttamento dell'energia di fusione sono un aspetto molto importante della futura politica energetica europea, rappresentano un successo esemplare dell'integrazione europea e vanno quindi promossi con determinazione nel quadro dei programmi quadro europei di ricerca e sviluppo e dei programmi Euratom di ricerca e di formazione. |
3. Antecedenti
3.1 |
Le prime ipotesi di utilizzazione dell'energia di fusione a scopi pacifici risalgono a una cinquantina di anni fa. Mentre a quei tempi in alcuni Stati erano già disponibili le tecniche per utilizzare i processi di fusione negli armamenti (bomba all'idrogeno), il passaggio ad un uso pacifico sembrava molto promettente, ma al tempo stesso anche estremamente lungo e difficile. |
3.2 |
Due citazioni che risalgono a quell'epoca e sono utilizzate ancor oggi illustrano molto chiaramente e caratterizzano la divaricazione, immediatamente avvertita, tra le elevate aspettative e i difficilissimi problemi fisici e tecnici. Da un lato H.J. Bhabha, nel suo discorso inaugurale pronunciato alla prima conferenza sull'uso pacifico dell'energia nucleare (Ginevra 1955) affermava quanto segue: «I venture to predict that a method will be found for liberating fusion energy in a controlled manner within the next two decades.» (18) D'altro canto R.F. Post, nel primo articolo riassuntivo pubblicato negli Stati Uniti sul tema della fusione (19), ha scritto: «However, the technical problems to be solved seem great indeed. When made aware of these, some physicists would not hesitate to pronounce the problem impossible of solution.» (20) |
3.3 |
Retrospettivamente va detto che, tra le molteplici idee emerse allora circa una possibile realizzazione, vi erano già progetti relativi al cosiddetto confinamento magnetico, che si sono ora dimostrati i processi più promettenti per soddisfare le condizioni poste. D'altro canto sono stati necessari uno sviluppo e un perfezionamento, faticosi e accompagnati da ostacoli e contraccolpi, sul piano tecnico-scientifico prima di poter acquisire questa conoscenza. Si tratta del Tokamak (acronimo russo di «camera magnetica toroidale» (21)) e dello Stellarator. Ambedue i procedimenti sono varianti di un progetto comune di base inteso a confinare il plasma caldo nelle condizioni necessarie mediante campi magnetici con linee di forza a spirale strutturati adeguatamente. |
3.4 |
Il contributo che ha aperto nuove strade è in questo contesto quello del progetto comune europeo JET (Joint European Torus), la cui progettazione tecnica (22) è stata ultimata una ventina d'anni dopo questi primi passi (23). Nella fase di sperimentazione di JET è stato possibile non solo ottenere realmente, per la prima volta, le necessarie temperature del plasma ma, negli anni '90, utilizzando il processo di fusione del deuterio e del trizio, si è riusciti anche a rilasciare in modo controllato quantità rilevanti (circa 20 megajoule per ogni esperimento) di energia di fusione. Si è quindi già riusciti ad ottenere dal plasma, per un breve periodo, tramite processi di fusione, una potenza pari quasi all'energia somministrata ai fini del riscaldamento. |
3.5 |
Questo successo è stato possibile concentrando tutte le forze nel programma comunitario di ricerca sulla fusione (attuato nel quadro del programma Euratom). In questa rete i vari laboratori degli Stati membri associati all'Euratom, con i relativi impianti sperimentali e ciascuno con il suo contributo, oltre che attraverso la loro partecipazione a JET, hanno trovato un'identità comune. In questo campo lo spazio europeo della ricerca è stato realizzato rapidamente e la sua efficienza è stata dimostrata già molto presto. |
3.6 |
È stata così raggiunta con successo la prima tappa decisiva della ricerca nel settore della fusione a livello mondiale e si è dimostrato il principio fisico della produzione e del confinamento magnetico dei plasmi di fusione. |
3.7 |
Una caratteristica di questo progresso, inoltre, è il fatto che vi sia stata una cooperazione globale esemplare, coordinata tra l'altro da organizzazioni come l'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica) e l'AIE (Agenzia internazionale dell'energia). In tale contesto è stato decisivo soprattutto il contributo della ricerca europea. Nel corso dei lavori svolti con determinazione per recuperare terreno soprattutto rispetto agli Stati Uniti, essa ha ormai raggiunto una posizione all'avanguardia riconosciuta a livello internazionale. |
3.8 |
Sulla base dell'iniziativa lanciata già 17 anni fa dai Presidenti Gorbaciov e Reagan, a cui successivamente si è aggiunto anche Mitterand, è nato il progetto di sviluppare (eventualmente anche di costruire congiuntamente e di gestire come progetto comune a livello globale) ITER (24), il primo reattore sperimentale con un bilancio energetico positivo (tramite i processi di fusione il plasma libera cioè un'energia decisamente maggiore di quella somministratagli). L'obiettivo di ITER è quello di dimostrare, su scala rilevante per le centrali elettriche, che dal punto di vista tecnico e scientifico è possibile generare energia tramite la fusione nucleare, mediante la combustione di un plasma. |
3.9 |
Il termine «combustione» (detta anche «combustione termonucleare») indica le condizioni in cui l'energia sprigionatasi mediante i processi di fusione (o, più precisamente, l'energia apportata dai nuclei di elio che si sono formati) fornisce un contributo decisivo per mantenere il plasma all'elevatissima temperatura necessaria. I risultati finora ottenuti mediante gli esperimenti hanno mostrato che questo si può ottenere solo con apparecchi di dimensioni sufficienti, vale a dire già simili a quelle di una centrale; di qui le dimensioni di ITER. |
3.10 |
Attualmente il programma si trova in una fase di transizione tra la ricerca e lo sviluppo, anche se non è possibile una distinzione netta tra i due termini. Per realizzare gli obiettivi di ITER, infatti, è necessario da un lato portare a termine le ricerche sulle questioni fisiche che possono essere affrontate solo con un plasma di fusione che rimane incandescente per un periodo piuttosto lungo, dall'altra sono necessari componenti tecnici (come ad esempio magneti superconduttori di grandissime dimensioni, una camera di fusione resistente al plasma (25) unità per il riscaldamento del plasma ecc.) che in seguito – in una scala analoga e con specifiche simili – occorreranno anche per il funzionamento di un reattore di potenza. Si tratta quindi del primo passo della fisica nella tecnica delle centrali. |
3.11 |
I risultati dei lavori di progettazione di ITER effettuati a livello mondiale sono disponibili sotto forma di spiegazioni e di documenti esaurienti necessari per la costruzione, nonché sotto forma di prototipi e di componenti modello testati. Si basano sulle esperienze maturate e sull'estrapolazione dei dati accumulati nel corso di tutti gli esperimenti effettuati finora, a cominciare da JET, il fiore all'occhiello non solo del programma di fusione europeo, ma persino di quello mondiale. |
3.12 |
Le dimensioni lineari di ITER (grande diametro medio dell'anello di plasma di 12 metri, volume della camera di combustione di circa 1000 metri cubi) sono quindi quasi il doppio di quelle di JET. Con ITER – amplificando di dieci volte la potenza (26) – sarà possibile generare circa 500 MW di potenza di fusione con una combustione della durata, per il momento, di almeno 8 minuti (e, con un bilancio energetico inferiore, per una durata della combustione fondamentalmente illimitata). |
3.13 |
I costi di costruzione sono stimati a circa 5 miliardi di euro (27). |
3.13.1 |
Nella costruzione di ITER il grosso dei costi incomberà alle ditte che si aggiudicheranno l'incarico di predisporre e montare le diverse parti dell'impianto sperimentale. Una partecipazione sostanziale dell'Europa alla costruzione di ITER apporterebbe quindi all'industria europea un vantaggio in termini di forza d'innovazione e di know-how tecnico generale, dando un contributo quindi al conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona. |
3.13.2 |
Già in passato l'industria si è avvantaggiata di un gran numero di spin-off generate dal programma di ricerca sulla fusione (28). Vi è da attendersi che questo importante vantaggio collaterale si manifesti nel quadro della costruzione di ITER in modo particolarmente evidente. |
3.13.3 |
Nel periodo di costruzione di ITER gli stanziamenti europei (vale a dire della Comunità e degli Stati membri) necessari per l'intero programma ricerca sulla fusione sarebbero inferiori allo 0,2 % dei costi del consumo finale di energia in Europa. |
3.14 |
Con il partenariato ITER, che è stato avviato in un primo tempo da UE, Giappone, Russia e Stati Uniti (nel corso dei successivi e alterni sviluppi (29) gli Stati Uniti hanno abbandonato circa cinque anni fa, ma sono rientrati nel 2003, e inoltre si sono aggiunte anche la Cina e la Corea), non solo è stato possibile ripartire i costi dei lavori di pianificazione tra i grandi partner della ricerca energetica internazionale, ma si è garantito anche che tutti i risultati disponibili a livello mondiale confluissero nella progettazione. |
3.15 |
Inoltre, in tal modo è stata sottolineata l'importanza del progetto in quanto programma globale per la soluzione di un problema globale. |
3.16 |
Anche la costruzione e gestione congiunta di ITER comporterebbe un notevole miglioramento delle conoscenze e delle competenze tecniche di tutti i paesi partner (a tale proposito cfr. anche il capitolo 5), non solo per quanto riguarda questo nuovo sistema energetico, ma anche per quanto riguarda le innovazioni generali nel campo delle tecnologie di punta. |
3.17 |
Nell'evoluzione della tecnica sarebbe però una novità assoluta se venisse costruito un solo esemplare al mondo di un impianto con gli obiettivi di ITER, cioè se, in questa fase, si rinunciasse alla messa a punto e alla sperimentazione di varianti alternative altrettanto sviluppate (come è avvenuto ad esempio nel campo dell'aeronautica e dello spazio e nello sviluppo dei reattori nucleari). |
3.18 |
Questa rinuncia per motivi di risparmio dovrebbe quindi essere controbilanciata da un programma di accompagnamento particolarmente convincente, in cui vi sia spazio anche per idee innovative e per varianti di progetto (30) volte a diminuire il rischio legato allo sviluppo, che andrebbero però analizzate dapprima su scala ridotta e quindi con un impegno minore in termini di costi. |
4. Il cammino da percorrere per la messa a punto di una centrale a fusione
4.1 |
I risultati di ITER, previsti e raccolti circa 20 anni dopo l'inizio della costruzione, dovranno fornire i dati fondamentali per spiegare e costruire DEMO, il primo reattore dimostrativo a fusione in grado di produrre elettricità. La costruzione di DEMO potrebbe iniziare quindi tra circa 20-25 anni. |
4.2 |
Attualmente si pensa che sarà possibile progettare centrali a fusione caratterizzate dai seguenti aspetti:
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4.3 |
Per lo sviluppo di DEMO, oltre a risolvere questioni centrali come quella del rendimento energetico e dei processi che limitano la durata della combustione – aspetti che dovranno essere analizzati e dimostrati già con ITER – e al di là degli ambiziosi procedimenti già disponibili o da sviluppare ulteriormente a tal fine, occorre anche portare avanti e rafforzare anche altri importanti progressi tecnici. |
4.4 |
Tali progressi riguardano soprattutto il ciclo del combustibile interno (rigenerazione e trattamento del trizio), l'estrazione di potenza, la stabilità dei materiali in condizioni di pressione del plasma (interazione tra il plasma e la parete) e durante il bombardamento di neutroni, la tecnica di riparazione, il perfezionamento delle operazioni effettuate a distanza e le tecniche finalizzate a prolungare il tempo di combustione fino ad ottenere un processo di combustione assolutamente continuo. Un compito particolarmente importante è anche lo sviluppo di materiali strutturali adeguati a bassa attivazione o con un'attivazione a vita breve; data la necessità di una sperimentazione e validazione a lungo termine, tale sviluppo richiede un'intensificazione dei lavori. |
4.5 |
Tuttavia, sarebbe un errore credere che DEMO segnerà la fine di tutte le attività di RST. La storia della tecnica mostra che spesso un'intensa attività di RST è iniziata solo dopo la messa a punto del primo prototipo. |
4.5.1 |
La storia della tecnica mostra anche che i primi prototipi relativi a una nuova tecnologia spesso erano apparecchi imperfetti o addirittura rozzi rispetto ai modelli sofisticati che poi, poco per volta, sono stati sviluppati partendo da essi. |
4.5.2 |
Il perfezionamento dei motori diesel al livello attuale è avvenuto quasi 100 anni dopo la loro invenzione. Anche le centrali di fusione andranno migliorate, perfezionate e adeguate ai futuri requisiti tecnici. |
5. Il problema dell'ubicazione di ITER
5.1 |
Attualmente ai massimi livelli politici si sta discutendo sull'ubicazione di ITER, e sono in lizza Cadarache (36) per l'Europa e Rokkasho-Mura (37) per il Giappone. Dall'esito di tale competizione dipenderanno sia la partecipazione finanziaria dei vari partner sia la struttura del programma di accompagnamento necessario. |
5.2 |
Prima che gli Stati Uniti riprendessero la loro partecipazione al progetto ITER, realisticamente non vi erano dubbi sul fatto che per l'ubicazione di ITER sarebbe stata scelta una località europea, anche perché in tal modo si sarebbe garantito al meglio che ITER fosse un successo (come JET). |
5.3 |
Adesso però si è creata una nuova situazione in quanto gli Stati Uniti e la Corea appoggiano con fermezza la sede di Rokkasho-Mura (Giappone), nonostante i vantaggi tecnici evidenti e ampiamente riconosciuti del sito di cadarache. Se fosse questa la scelta finale, l'Europa perderebbe la sua posizione guida e sarebbe costretta a rinunciare ai frutti degli investimenti e dei lavori effettuati finora, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe per la ricerca e per l'industria. |
5.4 |
Di conseguenza il Comitato prende atto, apprezzandola e appoggiandola, della decisione del Consiglio europeo, del 25-26 marzo 2004, in cui quest'ultimo, ribadendo il suo sostegno unanime all'offerta europea, ha invitato la Commissione «a portare avanti i negoziati sul progetto ITER in vista del suo rapido avvio sul sito europeo candidato». |
6. Sintesi e raccomandazioni del Comitato
6.1 |
Il Comitato concorda con la Commissione sul fatto che l'uso pacifico dell'energia di fusione racchiude il potenziale per poter contribuire in modo davvero fondamentale alla soluzione a lungo termine della questione dell'approvvigionamento energetico in termini di sostenibilità, impatto ambientale, e competitività. |
6.1.1 |
Ciò è dovuto ai potenziali vantaggi di questa tecnologia del futuro, vale a dire:
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6.1.2 |
Il potenziale dell'energia di fusione integra in particolare quello delle fonti energetiche rinnovabili, ma con il vantaggio, rispetto all'energia eolica e a quella solare, di non essere dipendente sul piano temporale dalle condizioni metereologiche e dal periodo dell'anno o del giorno. Ciò vale anche per quanto riguarda un rapporto adeguato ai bisogni tra i sistemi centrali e decentrati. |
6.1.3 |
È per questo che il Comitato si è già pronunciato in numerosi pareri (39) a favore di una chiara e maggiore promozione del programma di RST sull'energia di fusione. |
6.2 |
Il Comitato rileva con soddisfazione che, soprattutto grazie al programma europeo di ricerca sulla fusione e all'esperimento comune europeo JET, è stata raggiunta con successo la prima tappa decisiva nella ricerca nel settore della fusione a livello mondiale, vale a dire la dimostrazione del principio fisico della produzione di energia mediante la fusione nucleare. In questo modo sono state create le basi per il reattore sperimentale ITER, in cui per la prima volta verrà prodotto e studiato un plasma di fusione che emette decisamente più energia di quanta gliene vada somministrata. |
6.3 |
Di conseguenza, le pluriennali attività di RST e gli investimenti necessari hanno consentito (ora nel quadro di una cooperazione a livello mondiale) di far avanzare fino allo stadio decisionale i lavori di pianificazione e le misure politiche per la costruzione e il funzionamento del reattore sperimentale ITER, le cui dimensioni sono già prossime a quelle di una centrale. |
6.4 |
Il Comitato evidenzia il contributo pionieristico e di primaria importanza fornito dal programma europeo di fusione, senza il quale oggi il progetto ITER non esisterebbe ancora. |
6.5 |
I risultati di ITER, a loro volta, dovranno fornire i dati fondamentali per spiegare e costruire DEMO, il primo reattore dimostrativo a fusione in grado di produrre elettricità. La costruzione di DEMO potrebbe pertanto cominciare fra 20-25 anni. |
6.6 |
Il Comitato sostiene la Commissione nei suoi sforzi per preparare strategicamente l'Europa ad avere una posizione solida anche nella fase dello sfruttamento commerciale e per impostare, di conseguenza, alcune parti del suo programma di ricerca sulla fusione pensando già al periodo successivo a ITER, e più precisamente a DEMO. |
6.7 |
Per lo sviluppo di DEMO sono necessari, oltre a risposte a questioni centrali, che andranno già analizzate e dimostrate nel quadro di ITER, anche ulteriori progressi in settori importanti, come ad esempio l'ottimizzazione della configurazione magnetica, lo sviluppo di materiali (per es. miglioramenti per quanto riguarda l'erosione indotta dal plasma, i danni causati dai neutroni e il tempo di diminuzione della radioattività indotta), il ciclo dei combustibili, l'estrazione dell'energia, l'attivazione della corrente di plasma e il controllo della sua distribuzione interna, il rendimento e l'affidabilità dei componenti. |
6.7.1 |
Il Comitato rileva che sarà possibile ottenere tali ulteriori progressi solo mediante un programma europeo di accompagnamento della RST di ampio respiro, che unisce gli Stati membri e che richiede una rete di esperimenti fisici e soprattutto tecnici e impianti di grandi dimensioni disponibili a sostegno e complemento di ITER. |
6.8 |
Il Comitato reputa estremamente importante mantenere l'attuale slancio e affrontare con vigore, impegno e utilizzando tutte le risorse necessarie le sfide poste da un obiettivo tecnico-scientifico così ambizioso, di straordinaria importanza per l'approvvigionamento energetico a lungo termine. Si tratta anche di un obbligo serio nel quadro della realizzazione delle strategie di Lisbona e di Göteborg. |
6.8.1 |
A tal fine è importante che alla ricerca energetica in generale e, in questo caso, soprattutto al programma di fusione, nel futuro settimo programma quadro di RST e nel programma Euratom vengano assegnate le risorse necessarie per continuare ad ottenere buoni risultati – vale a dire risorse decisamente maggiori – e che vengano sfruttate fino in fondo le altre possibilità di finanziamento di ITER. |
6.8.2 |
È necessario anche provvedere a una sufficiente disponibilità di esperti in fisica e tecnica, in modo che siano disponibili esperti europei in misura sufficiente per il funzionamento di ITER e lo sviluppo di DEMO. In tale contesto il Comitato rinvia anche al suo recente parere (40) relativo a questa tematica specifica. |
6.8.3 |
Inoltre è necessario fare in modo che le università e i centri di ricerca restino collegati in rete: in primo luogo per formare le nuove leve a livello di ricercatori e ingegneri, fornendo loro le conoscenze specialistiche necessarie, in secondo luogo affinché tali istituti, con l'esperienza che hanno nei rispettivi settori e con le loro attrezzature, siano coinvolti nei compiti da svolgere, e infine di modo che anch'essi possano fungere da anello di collegamento con la società civile. |
6.8.4 |
Infine – e si tratta di un compito particolarmente importante – è necessario anche promuovere e cercare di ottenere per tempo un impegno (sempre più necessario) da parte dell'industria europea in questo settore caratterizzato da molteplici sviluppi tecnico-scientifici all'avanguardia. Mentre l'industria europea, nel programma di fusione attuato finora, ha svolto soprattutto il ruolo di chi sviluppa e fornisce singoli componenti altamente specializzati ed estremamente sofisticati (a tale proposito occorre anche coltivare e mantenere questa ricchezza di esperienze), essa, in vista della sempre più imminente possibilità di utilizzare i reattori a fusione, dovrebbe assumere poco per volta un ruolo più autonomo e più determinante. |
6.8.5 |
Le notevoli risorse destinate agli investimenti per la costruzione di ITER e lo sviluppo di DEMO, che sono già previste e saranno convogliate verso l'industria, produrranno sia un rafforzamento dell'economia sia, cosa ancora più importante, un aumento della competenza e dell'innovazione in un nuovo campo tecnologico molto esigente. Ciò si manifesta già con il gran numero di spin-off generate dal programma di ricerca sulla fusione. |
6.9 |
A livello internazionale l'Europa deve affrontare più sfide: deve affermare da un lato il suo ruolo di leader nella ricerca in materia di fusione non solo nei confronti della ricerca statunitense, che è molto forte, ma anche nei confronti della crescente forza dei tre partner asiatici (41) di ITER. D'altro lato si tratta però di mantenere e sviluppare nel miglior modo possibile la cooperazione internazionale esemplare attuata finora. |
6.10 |
Il Comitato appoggia pertanto la Commissione nel suo intento di affrontare questa sfida ed esorta il Consiglio, il Parlamento europeo e gli Stati membri a fare altrettanto e a non rinunciare alla posizione preminente dell'Europa in questo importante settore del futuro. Ma è proprio qui che sorgono i problemi. |
6.11 |
Prima che gli Stati Uniti riprendessero la loro partecipazione al progetto ITER e la Cina e la Corea vi aderissero, realisticamente non vi erano dubbi sul fatto che per l'ubicazione di ITER sarebbe stata scelta una località europea, anche perché in tal modo si sarebbe garantito al meglio che ITER fosse un successo (come JET). |
6.12 |
Adesso però si è creata una nuova situazione in quanto gli Stati Uniti e la Corea appoggiano con fermezza la sede di Rokkasho-Mura (Giappone), nonostante i vantaggi tecnici evidenti e ampiamente riconosciuti del sito di Cadarache. Se fosse questa la scelta finale, l'Europa perderebbe la sua posizione guida e sarebbe costretta a rinunciare ai frutti degli investimenti e dei lavori effettuati finora, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe per la ricerca e per l'industria. |
6.13 |
Di conseguenza il Comitato prende atto, apprezzandola e appoggiandola, della decisione del Consiglio europeo del 25-26 marzo 2004, in cui quest'ultimo, ribadendo il suo sostegno unanime all'offerta europea, ha invitato la Commissione «a portare avanti i negoziati sul progetto ITER in vista del suo rapido avvio sul sito europeo candidato». |
6.14 |
Riassumendo e ribadendo tale osservazione, il Comitato esorta il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione ad avviare iniziative, ad esplorare tutte le possibilità e, in caso di necessità, a sviluppare nuovi schemi strutturali di ripartizione del lavoro a livello internazionale per poter in ogni caso costruire ITER in Europa, considerato il suo ruolo strategico centrale per lo sviluppo di una importante fonte energetica sostenibile. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) L'energia non si consuma, ma si trasforma e viene utilizzata. Questo avviene mediante processi di trasformazione adeguati, come ad esempio la combustione del carbone, la trasformazione dell'energia eolica in elettricità o la fissione nucleare (conservazione dell'energia; E = mc2). In questo contesto si parla anche di «approvvigionamento energetico», «produzione di energia» e «consumo energetico».
(2) Parere sul tema «Promuovere le energie rinnovabili: modalità d'azione e strumenti di finanziamento», parere in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia, parere in merito alla Proposta di direttiva (Euratom) del Consiglio che definisce gli obblighi fondamentali e i principi generali nel settore della sicurezza degli impianti nucleari e alla Proposta di direttiva (Euratom) del Consiglio sulla gestione del combustibile nucleare esaurito e dei residui radioattivi, parere sul tema «Le sfide del nucleare» per la produzione di elettricità.
(3) Parere del Comitato economico e sociale in merito al «Libro verde» Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico.
(4) Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La necessità di una ricerca finalizzata a un approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile».
(5) «La necessità di una ricerca finalizzata a un approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile», punto 2.1.3 segg.
(6) Le crisi petrolifere verificatesi finora (p.es. quella del 1973 e quella del 1979) e l'attuale controversia sull'assegnazione dei certificati di emissione – che mostra la tensione tra economia e ecologia – sono indice dell'intera problematica.
(7) Cfr. «Per questo motivo il Comitato raccomanda alla Commissione di mettere a punto una strategia per una ricerca europea integrata in campo energetico, da cui scaturisca un futuro esauriente programma europeo di ricerca in campo energetico».
(8) Vi è quindi da attendersi che si assisterà prima del previsto a un fenomeno preoccupante di mancanza di carburanti.
(9) «Le sfide del nucleare per la produzione di elettricità».
(10) Atomi del medesimo elemento, ma con massa diversa (diverso numero di neutroni nel nucleo).
(11) «Le sfide del nucleare per la produzione di elettricità».
(12) Eventualmente, solo il processo di fusione deve essere interrotto brevemente ogni ora.
(13) L'elio ha un nucleo estremamente stabile ed è chimicamente inerte (da qui il nome di «gas nobile»).
(14) Generalmente 1 000 km/sec.
(15) La radiotossicità indica la tossicità dovuta alle caratteristiche radioattive di un radionuclide introdotto nell'organismo umano.
(16) A queste temperature un gas è completamente ionizzato (questo significa che gli elettroni – vale a dire le particelle cariche di elettricità negativa – non rimangono vincolati all'atomo, ma sono liberi di muoversi come il nucleo, che è carico di elettricità positiva) e quindi è un conduttore elettrico che può essere confinato tra l'altro mediante campi magnetici. Questo stato viene definito «plasma».
(17) Per la spiegazione della reazione «termonucleare» cfr. il punto 3.9.
(18) «Mi azzardo a predire che entro i prossimi vent'anni si troverà un metodo per liberare l'energia di fusione in maniera controllata.»
(19) Rev. Mod. Phys. 28 (1956), 338.
(20) «Tuttavia, i problemi tecnici da risolvere sembrano veramente notevoli: resi consapevoli di ciò, alcuni fisici non esiterebbero a definire il problema insolubile.»
(21) «Toroidale» significa a forma di ciambella.
(22) Concepito in base a una variante del principio del Tokamak.
(23) Con JET è stato possibile anche utilizzare il metodo previsto da Bhabha, i cui prognostici hanno quindi trovato conferma.
(24) ITER, originariamente acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, oggi è considerato il nome di tale reattore.
(25) Interazione tra il plasma e la parete.
(26) Ciò significa che nel plasma di fusione viene prodotta dieci volte più energia di quanta ne venga immessa dall'esterno mediante dispositivi particolari come gli strumenti ad alta potenza per l'iniezione di neutri o i generatori di alta frequenza.
(27) Cfr. COM(2003) 215 def.; i costi di ITER nella fase di costruzione sono stimati a 4 570 milioni di euro (prezzi del 2000).
(28) Cfr. per esempio «Spin-off benefits from Fusion R..D» EUR 20229 – Fusion energy – Moving forward ISBN 92-894-4721-4, nonché l'opuscolo «Making a difference» del Culham Science Centre, Abingdon, Oxfordshire, OX 14 3DB, UK.
(29) Per ragioni di spazio si deve rinunciare a una descrizione delle complicate e alterne vicende politiche del progetto.
(30) In questa sede va citato in particolare lo Stellarator.
(31) Per confronto: una centrale a carbone necessita di circa 1 000 tonnellate di carbone.
(32) 1 GW (gigawatt) equivale a 1 000 MW (megawatt).
(33) Il litio può essere ottenuto da determinate rocce, dall'acqua dei laghi salati, da fonti idriche geotermiche e minerali, dall'acqua pompata dai campi petroliferi e dall'acqua di mare. Con le riserve oggi note si potrebbe coprire dieci volte il fabbisogno energetico mondiale attuale per molte migliaia di anni.
(34) Per confronto: a parità di produzione energetica, una centrale a carbone emette circa 1 000 tonnellate di CO2.
(35) Ad eccezione della prima carica, che può essere ottenuta ad esempio da reattori nucleari moderati ad acqua pesante (presenti in Canada).
(36) Vicino ad Aix en Provence, a nordest di Marsiglia (Francia).
(37) Nel Giappone settentrionale.
(38) Vale a dire: energia sprigionata/tempo.
(39) «stimolando lo sviluppo della fusione».
(40) Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo «I ricercatori nello Spazio europeo della ricerca: una professione, molteplici carriere».
(41) Cina, Giappone e Corea (del Sud).
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/35 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: Progressi del programma di ricerca Galileo all'inizio del 2004»
(COM(2004) 112 def.)
(2004/C 302/08)
La Commissione europea, in data 5 maggio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli e 3 astensioni.
1. Premessa
1.1 |
Per l'Unione europea, il programma Galileo rappresenta una sfida importante, che riguarda la sua indipendenza, le sue capacità tecnologiche e scientifiche, la sua economia e in primis il suo settore spaziale e quello delle telecomunicazioni. In questi ultimi anni infatti lo sviluppo del settore spaziale è stato dovuto soprattutto all'attività commerciale legata alle telecomunicazioni via satellite. Le difficoltà che hanno messo a dura prova l'industria delle telecomunicazioni non hanno risparmiato il settore spaziale, anche a causa dell'insufficiente sostegno istituzionale e politico di cui gode quest'ultimo, soprattutto rispetto ai principali concorrenti dell'Europa. |
1.2 |
Ritardato dal dibattito sulla ripartizione dei «ritorni» tra gli Stati membri dell'Agenzia spaziale europea nonché da pressioni esterne all'Europa, il programma Galileo è finalmente entrato in una fase di effettivo avvio dopo l'accordo, intervenuto il 26 maggio 2003 nell'ambito del consiglio dell'ESA, sui contributi finanziari dei suoi membri. |
1.3 |
Rispetto al GPS, il programma Galileo presenta l'importante caratteristica di essere un programma civile. Come già sottolineato dal CESE, dal Parlamento europeo e dal Consiglio, questo grande progetto infrastrutturale riveste un'importanza strategica decisiva per l'Europa e per la sua indipendenza, e si inscrive perfettamente nel quadro della strategia di Lisbona. L'importanza che un programma di tale portata riveste per il progresso dell'integrazione europea merita quindi di essere sottolineata con particolare vigore. |
1.4 |
Il sistema Galileo fornirà cinque servizi:
|
1.5 |
Essendo tuttavia un sistema di tipo civile, esso verrà utilizzato principalmente nell'ambito della vita corrente, in particolare nel settore dei trasporti. Dovrà pertanto essere in grado di garantire la continuità e la sicurezza del servizio e, a differenza del GPS, potrà vedersi imputare la responsabilità civile di eventuali guasti. |
1.6 |
Galileo, che vanterà un grado di precisione superiore a quello del GPS, e che soprattutto coprirà tutto il pianeta, possiede infine una capacità di verifica dell'integrità del segnale in tempo reale, essenziale per numerose applicazioni e soprattutto per l'aviazione civile. |
1.7 |
La comunicazione in esame mira essenzialmente a fare il punto sui progressi del programma Galileo, a delinearne le prospettive per il futuro e ad individuarne le incertezze che ancora persistono. Il progetto, il cui costo totale sarà di 3,2 miliardi di euro, consta di tre fasi:
|
2. Struttura della comunicazione e contenuto del documento
La comunicazione si articola intorno a tre temi:
— |
i progressi della fase di sviluppo, |
— |
l'aumento della cooperazione internazionale, |
— |
il passaggio alla fase di spiegamento e alla fase operativa. |
2.1 La fase di sviluppo
2.1.1 L'impresa comune
La situazione si è sbloccata grazie all'accordo intervenuto il 26 maggio 2003 al consiglio dell'Agenzia spaziale europea: dall'estate scorsa l'impresa comune Galileo è pienamente operativa, ne è stato nominato il direttore, accettato l'organigramma e adottato il bilancio per gli anni 2003/2004. Il sistema EGNOS (European Geostationary Navigation Overlay Service, Servizio europeo di copertura per la navigazione geostazionaria) dovrebbe essere posto sotto il suo controllo. Resta il problema del suo status fiscale e sociale, attualmente in discussione con il governo belga, la cui entità finanziaria (5 milioni di euro l'anno) non è affatto trascurabile. Occorre garantire ai 32 collaboratori dell'impresa comune un regime analogo a quello di cui godono i membri dell'ESA o della Commissione. Le autorità belghe non si oppongono, ma vogliono assicurarsi che ai collaboratori dell'impresa comune sia garantita una protezione sociale adeguata. Si tratta dunque di un problema più amministrativo che sostanziale.
2.1.2 Studi tecnici e lavori di ricerca
La ricerca si incentra sui seguenti aspetti:
— |
gli ultimi lavori della fase di definizione, |
— |
l'infrastruttura di base, |
— |
il sistema EGNOS, che sarà presto operativo, |
— |
il piano europeo di radionavigazione. |
2.1.3 La conferenza mondiale delle radiocomunicazioni del giugno 2003
2.1.3.1 |
L'Unione europea aveva due obiettivi, entrambi estremamente importanti:
|
2.1.3.2 |
Per quanto le discussioni si siano svolte in un contesto dominato dal monopolio storico del sistema americano GPS, l'Unione europea ha comunque ottenuto i risultati auspicati sia per quanto riguarda le condizioni di utilizzo dello spettro delle frequenze che per quanto concerne l'esigenza di un coordinamento multilaterale e imparziale. |
2.1.4 L'integrazione dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati
Sono state elaborate iniziative a livello industriale per consentire a tali paesi di partecipare pienamente al programma Galileo, come auspicato dalla Commissione.
2.2 L'aumento della cooperazione internazionale
2.2.1 |
Come il Consiglio ha sottolineato a più riprese, la cooperazione internazionale è il presupposto necessario per sfruttare al massimo i vantaggi del programma Galileo. Le richieste di partecipazione dei paesi terzi si fanno oggi sempre più numerose. A questo riguardo, la Commissione segue simultaneamente un approccio bilaterale e un approccio regionale. |
2.2.2 |
Il 30 ottobre 2003 è stato firmato un primo accordo con la Cina, mentre sono stati avviati i negoziati con l'India e Israele. Iniziative analoghe sono inoltre in corso con la Corea del Sud, il Brasile, il Canada l'Australia, il Messico e il Cile. |
2.2.3 |
Per quanto riguarda la cooperazione regionale, si sta avviando il dialogo con la regione mediterranea, l'America latina e l'Africa. |
2.2.4 |
Infine, sono stati avviati negoziati con i paesi che già dispongono di un sistema di navigazione via satellite, ovvero la Russia e gli Stati Uniti. Tali negoziati rivestono una particolare importanza in quanto mirano ad assicurare la compatibilità tecnica e l'interoperabilità tra Galileo e il sistema in uso in questi paesi. Va ricordato che in un primo tempo gli Stati Uniti avevano contestato il fondamento del programma Galileo. In ogni caso il meccanismo di concertazione attualmente in via di discussione dovrà fondarsi sulla simmetria dei diritti e dei doveri di ciascun partner nei confronti degli altri, in particolare per quanto riguarda l'esercizio di un eventuale diritto di veto. |
2.3 Il passaggio alla fase di sviluppo e a quella operativa
Il passaggio costituisce il punto cruciale: la fase di sviluppo e la fase operativa del sistema inizieranno rispettivamente nel 2006 e nel 2008.
2.3.1 La concessione del sistema
2.3.1.1 |
Tale concessione è gestita dall'impresa comune. La procedura è stata avviata nell'ottobre 2003. Sono state registrate e giudicate ammissibili quattro candidature, provenienti da consorzi formati da partner principali, ai quali si è aggiunta una costellazione di società associate. Tutti i candidati hanno espresso la convinzione che il futuro sistema europeo possa generare ingenti redditi commerciali, cosa che consentirebbe loro di finanziare una parte consistente dell'apporto richiesto con fondi propri. |
2.3.1.2 |
Questo elemento è tanto più importante in quanto il Consiglio auspica che l'apporto dei fondi comunitari non superi un terzo del finanziamento della fase di sviluppo. Per la seconda fase del negoziato competitivo sono infine stati selezionati tre consorzi (Alcatel/Alenia/Vinci, EADS/Thalès/Immarsat, Eutelsat). |
2.3.1.3 |
Sono stati individuati sei tipi di risorse:
|
2.3.2 L'inquadramento del sistema
2.3.2.1 |
La Commissione ha trasmesso al Consiglio e al Parlamento europeo una proposta di regolamento in merito alle strutture di gestione del programma europeo di radionavigazione via satellite, che prevede la creazione da un lato di un'autorità di vigilanza e dall'altro di un centro per la sicurezza da porre sotto la diretta responsabilità del Segretario generale/Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. Se la creazione della proposta autorità di vigilanza, dotata di competenze in materia di sicurezza, appare molto probabile, l'ipotesi della realizzazione del centro pare invece essere stata accantonata: in caso di crisi, sarebbe il Consiglio stesso a prendere le decisioni in tempo reale. |
2.3.2.2 |
Un altro aspetto importante della questione riguarda le eventuali minacce alla vita privata. È opportuno ricordare che il sistema Galileo non comporta di per sé alcuna minaccia in questo senso in quanto, non essendo dotato di un canale di ritorno, non riceve alcuna informazione dai suoi utenti. L'informazione acquisita dall'utente può tuttavia essere ritrasmessa usando altri sistemi (come ad esempio i telefoni cellulari) e quindi consentire di localizzare l'utente. Disciplinare l'uso delle informazioni fornite da Galileo, non spetta in alcun modo alle strutture europee di gestione del programma, ma alle autorità nazionali, che dovranno stabilire quali disposizioni adottare per regolamentare l'uso di Galileo in futuro e, fin da ora, quello del GPS. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il Comitato apprezza l'atteggiamento proattivo della Commissione rispetto a un progetto di conclamata importanza e di grande difficoltà come Galileo. Se si vuole che esso vada a buon fine, occorre considerare con la massima attenzione alcune questioni, ovvero:
|
3.2 |
Il buon esito di questo progetto dipende dalla chiara affermazione della propria volontà politica e finanziaria da parte del Consiglio e dalla sua fermezza nel mantenerla. Impegnandosi sul progetto Galileo, esso ha manifestato le ambizioni che nutre per l'Unione europea e per la sua politica spaziale. |
4. Conclusioni
4.1 |
Nella sua conclusione, la Commissione sembra manifestare talune preoccupazioni o incertezze per quanto riguarda il finanziamento del programma Galileo. Si tratta di una questione fondamentale, in quanto mettere in discussione il finanziamento significherebbe mettere in discussione l'intero programma. Il Comitato non può che ribadirne la grande importanza strategica per l'Unione europea, per il futuro del suo settore spaziale e per i progressi dell'integrazione europea, come ha già affermato con vigore e precisione nei suoi pareri in merito al Libro verde ed al Libro bianco della Commissione relativi alla politica spaziale europea (1). Il Comitato condivide la soddisfazione della Commissione per i concreti progressi realizzati nel lancio del programma e si augura che l'ottimismo manifestato finora non venga smorzato da difficoltà dell'ultima ora. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco «Spazio: una nuova frontiera europea per un'Unione in espansione – Piano di azione per attuare una politica spaziale europea» (COM(2003) 673 def.
Parere del Comitato economico e sociale in merito al Libro verde «Politica spaziale europea» (COM(2003) 17 def. – GU C 220 del 16.9.2003.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/38 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle licenze delle imprese ferroviarie (versione codificata)
(COM(2004) 232 def. — 2004/0074 (COD))
(2004/C 302/09)
Il Consiglio, in data 27 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture e società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore CHAGAS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli e 10 astensioni.
1. |
Lo scopo della proposta di direttiva è quello di avviare la codificazione della direttiva 95/18/CE del Consiglio, del 19 giugno 1995, relativa alle licenze delle imprese ferroviarie (1). |
2. |
Nel contesto dell'Europa dei cittadini, la semplificazione e la chiara formulazione della normativa comunitaria rivestono notevole importanza. Per questo motivo, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno sottolineato la necessità di procedere alla codificazione degli atti legislativi che sono stati oggetto di modifiche frequenti; a tal fine, in data 20 dicembre 1994, hanno concluso un accordo interistituzionale che autorizza il ricorso a una procedura accelerata. Mediante la codificazione non possono essere introdotte modifiche sostanziali agli atti oggetto della stessa. |
3. |
La proposta in esame rispetta queste disposizioni: il CESE non ha pertanto obiezioni in merito. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) GU L 143 del 27.6.1995, pag. 70. Parere del CESE: GU C 393 del 31.12.1994, pag. 56.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/39 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1228/2003 per quanto riguarda la data di applicazione di talune disposizioni alla Slovenia
(COM(2004) 309 def. — 2004/0109 (COD))
(2004/C 302/10)
Il Consiglio, in data 11 maggio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 158 voti favorevoli, 2 contrari e 7 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Il regolamento 1228/2003/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica mira a creare un vero e proprio mercato interno dell'energia elettrica, intensificandone gli scambi. Per quanto riguarda le tariffe della trasmissione transfrontaliera e l'assegnazione delle capacità di interconnessione disponibili, sarebbe opportuno emanare norme che, oltre ad essere immediatamente applicabili e informate ai principi di equità, aderenza ai costi e trasparenza, tenessero conto del raffronto tra gestori di rete attivi in regioni strutturalmente comparabili, e andassero ad integrare la direttiva 96/92/CE, al fine di garantire un efficiente accesso ai sistemi di trasmissione. |
2. Sintesi della proposta della Commissione
2.1 |
La Repubblica di Slovenia ha presentato alla Commissione una richiesta di modifica a questo regolamento, che consentirebbe alla Slovenia di continuare ad utilizzare fino al 1o luglio 2007 l'attuale sistema di gestione delle congestioni alle interconnessioni con Austria e Italia. Al momento, metà della capacità totale disponibile delle due interconnessioni in questione è distribuita dalla Slovenia sulla base di tale sistema. In base ad un accordo tra gli operatori dei sistemi di trasmissione interessati, il resto della capacità totale viene infatti distribuito per il 50 % dal gestore italiano e per il 50 % da quello austriaco. In base al sistema sloveno attualmente in vigore, nel caso in cui la domanda di capacità superi la capacità disponibile (congestione), quest'ultima viene assegnata ai richiedenti in modo proporzionale. L'assegnazione della capacità è inoltre gratuita. Ai sensi del regolamento in materia di energia elettrica tale sistema non può essere considerato una soluzione equa e fondata su criteri di mercato. A giustificazione della deroga richiesta si adduce il fatto che il processo di ristrutturazione dell'industria slovena non è ancora concluso, e che l'adeguamento della produzione slovena di energia elettrica alle nuove condizioni di mercato è tuttora in corso (forti investimenti nella protezione ambientale). |
3. Osservazioni di carattere generale
3.1 |
La Commissione europea basa la propria proposta sull'art. 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, articolo che figura nel capitolo «Ravvicinamento delle legislazioni». In concreto, però, sarebbe piuttosto giustificato affrontare la questione alla luce del Trattato di adesione e degli Atti di adesione in quanto il regolamento 1228/2003 è stato adottato dopo la conclusione dei negoziati di adesione e dopo la firma del relativo Trattato, di modo che la Slovenia non ha potuto partecipare al processo di approvazione del regolamento stesso. |
3.2 |
Il Trattato di adesione prevede delle disposizioni per l'applicazione delle decisioni delle istituzioni, in particolare nell'eventualità che un nuovo Stato membro non abbia potuto partecipare ai negoziati riguardanti una decisione intervenuta fra la data della firma del Trattato e dell'atto di adesione e l'effettiva adesione il 1o maggio 2004. Questo è appunto il caso della Slovenia per quanto riguarda il regolamento in questione. |
3.3 |
È nel contesto di tali disposizioni che vanno considerate sia la richiesta del governo sloveno di rinviare al 1o luglio 2007 l'applicazione dell'art. 6, par. 1, del regolamento 1228/2003 e le disposizioni dell'Allegato ad esso direttamente collegate, sia la proposta della Commissione in esame. |
3.4 |
Alla luce del principio «pacta sunt servanda» un rigetto della richiesta potrebbe essere contemplato unicamente nel caso in cui una sua accettazione arrecasse un pregiudizio irreparabile all'intera Unione. |
3.5 |
Nella sua proposta la Commissione indica tuttavia che il periodo transitorio comporterebbe conseguenze assai modeste per il funzionamento del mercato interno dell'elettricità. Il Comitato può accettare questa previsione, in quanto giudica difficile sostenere che durante il periodo transitorio richiesto la Slovenia potrebbe effettivamente diventare una piattaforma (hub) regionale di una certa importanza. |
3.6 |
Nemmeno l'argomento - effettivamente opponibile - che il regolamento 1228/2003 è stato concepito appunto per far finalmente decollare gli scambi transfrontalieri di energia elettrica (1) e che la richiesta di deroga della Slovenia, se si considerano la durata, la portata e la limitatezza geografica della richiesta stessa rischia di compromettere tale obiettivo, risulta insufficiente per giustificarne il rigetto. |
3.7 |
Un peso determinante non lo può avere nemmeno la constatazione, di per sé corretta, secondo cui una concorrenza leale tra i produttori europei di alluminio e acciaio e fra i produttori di elettricità costituisce un elemento essenziale del mercato interno. |
3.8 |
A favore per contro dell'accettazione della proposta della Commissione l'idea di assicurare alla Slovenia da un lato una rete elettrica sicura e affidabile, e dall'altro la possibilità di effettuare investimenti a favore dell'ambiente durante il periodo transitorio. |
3.9 |
Il Comitato giudica che l'approvazione della proposta sia tanto più giustificata se si considera che nel proprio parere (2) del 17 ottobre 2001 in merito al regolamento 1228/2003, esaminando appunto le conseguenze per gli Stati allora candidati, si era espresso come segue: «I settori dell'elettricità e del gas naturale dei paesi candidati si caratterizzano in generale per l'elevato grado di sostegno e intervento pubblico e per infrastrutture e metodi di gestione poco competitivi. La conseguenza immediata può essere un forte taglio di posti di lavoro nelle imprese di questi settori, tale da generare tensioni sociali insopportabili nei paesi candidati, in particolare in quelli che non dispongono di un sistema di sicurezza sociale simile a quello degli Stati membri. L'Unione europea dovrebbe pertanto mettere a disposizione di questi paesi le esperienze raccolte nei processi di liberalizzazione in atto in Europa, e fornire finanziamenti destinati all'ammodernamento delle imprese. Occorre pertanto adeguare l'apertura di questi nuovi mercati alla ristrutturazione dei loro settori energetici, in modo che le imprese dei paesi candidati siano in grado di competere a parità di condizioni.» |
4. Sintesi e conclusioni
4.1 |
Le argomentazioni avanzate dalla Commissione per rimandare al 1o luglio 2007, per la Slovenia, l'applicazione dell'articolo 6, paragrafo 1 e le relative disposizioni degli Orientamenti del regolamento 1228/2003, relativi alla gestione dei problemi di congestione, non giustificano di per sé una modifica del regolamento in parola se si considerano unicamente gli aspetti concorrenziali e il loro interesse per il mercato interno. |
4.2 |
La modifica risulta invece possibile se, come fa il CESE, si considerano il momento in cui il regolamento è stato elaborato e il momento della firma dei negoziati di adesione. Si può affermare che accettando il breve periodo transitorio richiesto non si arreca alcun pregiudizio irreparabile all'Unione nel suo insieme, anzi, si assicurerebbero al sistema elettrico sloveno maggiore sicurezza e affidabilità, oltre che la possibilità d'investimenti ambientali. Nel già citato parere sul regolamento 1228/2003 (3), il Comitato aveva raccomandato all'Unione di attivarsi per aiutare i paesi allora candidati a migliorare la loro competitività. Nella fattispecie esso ritiene che l'argomento determinante debba essere il fatto che a suo tempo la Slovenia non aveva avuto la possibilità né di negoziare né di dare il proprio benestare al regolamento 1228/2003. |
4.3 |
Indipendentemente dal fatto che sia i motivi che la base giuridica della proposta della Commissione devono essere integrati e adottati alla luce degli elementi testé evidenziati, il Comitato ritiene quindi opportuno approvare la proposta di modifica che prevede un rinvio al 1o luglio 2007 dell'applicazione del regolamento 1228/2003. |
Bruxelles, 30 giugno 2004
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica», GU C 36 dell'8.2.2002, pag. 10.
(2) Ibidem, GU C 36 dell'8.2.2002, pag. 10.
(3) Ibidem, punto 6.6.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/41 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le trasformazioni industriali e la coesione economica, sociale e territoriale»
(2004/C 302/11)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema «Le trasformazioni industriali e la coesione economica, sociale e territoriale».
La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato e adottato il proprio parere in data 7 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore LEIRIÃO e dal correlatore CUÉ.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli e 13 astensioni.
Sintesi
Il presente parere mira ad appurare l'adeguatezza degli strumenti al servizio della coesione economica, sociale e territoriale e l'eventuale esistenza di un contesto e di condizioni atti a consentire che le trasformazioni industriali si realizzino in modo compatibile con l'esigenza di competitività delle imprese.
L'inclusione di 17 punti nel capitolo «Conclusioni e raccomandazioni» evidenzia l'esigenza, rilevata dalla nostra analisi, di apportare miglioramenti a livello di politiche, strumenti, criteri di ammissibilità delle regioni ai fondi comunitari, applicazione di buone pratiche e ricerca di sinergie tra politiche e strumenti, nonché a livello di coordinamento generale dell'attuazione delle strategie fondamentali dell'UE, quali la strategia di Lisbona, le riforme strutturali e lo sviluppo sostenibile.
L'argomentazione poggia sui seguenti concetti, presentati nell'ordine, che costituiscono il filo conduttore dei diversi capitoli del parere:
— |
lo sviluppo regionale come elemento regolatore della globalizzazione attraverso la creazione di «cluster» a livello regionale, in quanto mezzo efficace di attrazione e radicamento delle imprese, |
— |
la responsabilità sociale delle imprese e l'attuazione di buone pratiche in un approccio preventivo e anticipativo della gestione del cambiamento, |
— |
la negoziazione e il dialogo sociale nelle imprese per consentire un approccio alla ristrutturazione socialmente responsabile, attraverso un atteggiamento positivo della direzione delle imprese e dei lavoratori, in modo da individuare soluzioni valide per le imprese, i lavoratori e le collettività e pervenire così a un equilibrio tra sociale ed economico, |
— |
i partenariati fra imprenditori, parti sociali, società civile (università, centri di ricerca e innovazione, associazioni, ecc.) ed enti locali, al fine di creare condizioni atte ad incrementare la produttività e migliorare il potenziale di crescita delle regioni, |
— |
la proposta di creare la figura della «regione più favorita» per le regioni con alti livelli occupazionali e di coesione sociale, che vengono improvvisamente a perdere capacità a seguito della delocalizzazione e della mancanza di attività economiche alternative atte a sostenere l'occupazione. Dette regioni potrebbero beneficiare di sostegni finanziari specificamente finalizzati alla rivitalizzazione del tessuto economico. |
Introduzione
Nel parere di iniziativa « Le trasformazioni industriali: situazione attuale e prospettive future - un approccio globale» (1), il CESE affermava: «in futuro, i lavori della CCMI dovrebbero essere destinati a (…) promuovere un quadro e delle condizioni tali che le trasformazioni industriali avvengano in modo compatibile sia con le esigenze di competitività delle aziende che con l'esigenza di coesione economica, sociale e territoriale», gettando così le basi e configurando la tipologia degli interventi e delle tematiche che detta commissione deve sviluppare nei propri pareri. La decisione di elaborare il presente parere di iniziativa sul tema «Le trasformazioni industriali e la coesione economica, sociale e territoriale» si colloca in detta prospettiva.
1. Definizioni
1.1 |
Ai fini di un corretto inquadramento e dell'esatta interpretazione del presente parere di iniziativa, per «trasformazioni industriali» s'intende «il processo, normale e costante, con cui un settore industriale risponde in maniera proattiva all'evolvere del proprio contesto economico per restare competitivo e creare opportunità di crescita» (2). Per «ristrutturazioni» si intende «una forma particolare di trasformazione industriale che di norma costituisce un processo di adeguamento ad hoc (spesso ineludibile) al contesto economico per riconquistare la competitività, il che comporta interruzioni nell'attività economica» (3). Il concetto di «anticipazione» è essenziale per la buona gestione del cambiamento in quanto permette di evitare ristrutturazioni problematiche. Più precisamente, per anticipazione si intende il processo di studio e previsione delle future condizioni della concorrenza e delle esigenze dei mercati, che consente di programmare tempestivamente gli adeguamenti minimizzando i problemi sociali e di produttività delle imprese. |
1.2 |
La globalizzazione può essere definita come la ricerca di uno scenario ove le relazioni commerciali tra i diversi paesi siano più frequenti ed agevoli, grazie anche alla rimozione delle barriere commerciali tra gli Stati, alla riduzione (soppressione) dei dazi all'importazione, al rafforzamento di raggruppamenti internazionali (quali l'Unione europea o il Mercosur). In questo processo, il governo di ciascun paese offre incentivi all'insediamento di imprese straniere sul proprio territorio e favorisce l'internazionalizzazione di tutte le attività commerciali. La globalizzazione impone anche la messa a punto e l'osservanza di regole di base comuni, valide a livello mondiale. |
1.3 |
La politica di coesione economica, sociale e territoriale mira a ridurre le disparità economiche e sociali esistenti tra gli Stati membri e tra le regioni, ad accelerare la crescita e a promuovere uno sviluppo più sostenibile aiutando le regioni più svantaggiate ad adeguarsi alle sfide dell'economia basata sulla conoscenza e coadiuvando in tal modo tutte le regioni a realizzare gli obiettivi della Strategia di Lisbona. In pratica, questa politica deve materializzarsi a livello di infrastrutture, ambiente, spirito imprenditoriale, reddito pro capite, accesso all'occupazione e alla sicurezza sociale, lotta all'esclusione sociale, accesso alle nuove tecnologie dell'informazione, educazione e formazione lungo tutto l'arco della vita, migliore amministrazione e rafforzamento delle capacità degli attori socioeconomici. |
1.4 |
Una buona definizione di «cluster» è quella formulata da Michael Porter (professore alla Harvard Business School), nel libro «Il vantaggio competitivo delle nazioni», ove per «cluster» si intende un gruppo di imprese e di istituzioni interconnesse e geograficamente vicine (università, organismi pubblici o associazioni commerciali), attive in un determinato settore e unite da rapporti di concorrenza e cooperazione. |
2. Gli effetti della globalizzazione e l'ineluttabilità delle trasformazioni industriali
2.1 |
L'intera società europea ammette il carattere ineluttabile delle trasformazioni industriali derivanti dalla globalizzazione, e quindi dalle continue modifiche dell'economia mondiale, e contraddistinte dalla rapida e profonda evoluzione dei mercati e dei comportamenti, da una crescente complessità tecnica e dall'alta partecipazione dei consumatori al processo di concezione e produzione di beni, prodotti e servizi. |
2.2 |
La globalizzazione è la forza motrice della concorrenza globale dei mercati del lavoro e della produttività. Le multinazionali riorientano gli investimenti verso paesi a basso costo di manodopera, dotati di un accesso diretto ai mercati e di competenze tecnologiche. |
2.3 |
L'aumento della concorrenza, l'invecchiamento della popolazione, le esigenze dei consumatori ed il livello dei consumi configurano nel loro insieme un quadro di riferimento attuale e in proiezione ove si producono grandi tensioni e problemi. |
2.4 |
L'Unione europea deve affrontare queste tensioni e questi problemi con determinazione, con misure atte a prevenire la disindustrializzazione dell' Europa, evitando cioè il contestuale insorgere dei tre elementi seguenti:
Sebbene questi tre fattori non si registrino ancora contemporaneamente, il calo occupazionale e il declino della bilancia commerciale sono realtà. |
2.5 |
Per poter reagire con successo a dette sfide, occorre una politica industriale dell'UE più proattiva, che garantisca trasparenza assoluta e sistematica quanto agli effetti specifici e cumulativi di qualsiasi decisione che riguardi le strutture di costi e efficienza dell'industria europea, tanto a livello orizzontale, quanto in settori industriali specifici quali la siderurgia e il tessile, e che tenga sempre conto degli effetti dell'allargamento a 25 Stati membri. |
3. Lo sviluppo regionale come regolatore della globalizzazione; i cluster
3.1 |
Paradossali sono le disparità che persistono in un'epoca in cui i progressi della scienza e della tecnica dovrebbero consentire di saziare la fame di tutti e la constatazione che la «nuova economia globale», fondata su una concorrenza sregolata, comporta seri rischi di aggravamento di dette asimmetrie. In tale contesto, lo sviluppo regionale risulta un indispensabile strumento di regolazione della stessa globalizzazione: occorre infatti ravvicinarsi ai cittadini, ovunque essi si trovino, ed agevolarne l'accesso a beni, servizi e opportunità. |
3.2 |
Lo sviluppo deve raggiungere i cittadini, ovunque essi siano; non si può partire dal presupposto che la mobilità, di cui taluni godono, sia la regola nella ricerca dello sviluppo. Le persone più prive di mezzi mancano anche di capacità di dislocazione. Le regioni devono precisare le loro ambizioni relativamente alle trasformazioni e alle ristrutturazioni industriali, stabilire gli investimenti da realizzare e definire la cooperazione tra i settori pubblico e privato, soprattutto nelle infrastrutture connesse all'istruzione e alla formazione professionale. |
3.3 |
A parere del CESE, la creazione di cluster regionali è il mezzo più efficace per attrarre e radicare le imprese. Si tratta infatti di un importante fattore di competitività regionale e al tempo stesso di un incentivo alla coesione economica, sociale e territoriale, nonché di una modalità per prevenire gli effetti economici, sociali e territoriali negativi suscettibili di derivare dalle trasformazioni industriali. Tra i fattori atti a trasformare i cluster in un sistema capace di favorire la fissazione delle imprese e di mantenere le competenze territoriali, vanno ricordati i seguenti:
|
3.4 |
Il fatto che nell'attuale contesto economico le imprese siano legate da una concorrenza a livello globale fa sì che esse si delocalizzino verso cluster connessi con i rispettivi settori di attività per trarre vantaggi competitivi fondati su fattori generici quali il livello e la qualificazione della popolazione attiva, la qualità della governance, l'infrastruttura territoriale ed il livello locale o regionale di innovazione e sviluppo e, in genere, la qualità della vita nel territorio (cosa che può esigere, ad esempio, un intervento pubblico per risanare aree industriali). A livello regionale, i cluster possono essere rilevanti per l'aumento della coesione economica, sociale e territoriale nonché motivo di localizzazione di imprese in regioni in via di sviluppo nella misura in cui, a livello UE e di governi nazionali, vengano implementati e finanziati programmi di sostegno all'installazione di imprese di base tecnologica, di sviluppo e innovazione, formazione professionale e promozione di partenariati tra imprese, università, enti locali, parti sociali e società civile. |
3.5 |
Le aree metropolitane, in quanto centri di cultura e di attività in cui gli attori pubblici e privati collaborano alla ricerca di soluzioni innovative e moderne, svolgono un ruolo determinante nella realizzazione e nel successo dei cluster. Esse sono infatti «le prime a essere interessate dalle trasformazioni tecnologiche nei settori dei trasporti, dell'edilizia e dei lavori pubblici, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, della gestione delle infrastrutture ecc. Queste trasformazioni tecnologiche sono anche alla base delle ristrutturazioni industriali e della delocalizzazione delle attività ad alta intensità di manodopera e dei servizi ad elevato valore aggiunto. I fenomeni di specializzazione economica hanno anche una componente spaziale, vale a dire i «cluster» o raggruppamenti di imprese che lavorano in rete insieme a centri di ricerca e di innovazione e università. Di conseguenza occorre rafforzare la cooperazione fra università e imprese.» (5) La grande sfida delle aree metropolitane europee include anche i problemi della coesione sociale, quali l'esclusione e la povertà, la cui soluzione implica necessariamente uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile di dette zone, ivi compreso il loro collegamento con le regioni vicine. Nondimeno, la ricerca di soluzioni adeguate risulta ardua per la mancanza di statistiche coerenti. |
4. Gli effetti delle trasformazioni e delle ristrutturazioni industriali
Gli effetti del processo di trasformazione e ristrutturazione industriale si avvertono a livelli diversi, con aspetti e sfide diverse a seconda dei settori e delle regioni.
4.1 Aspetti sociali
Tutti gli attori economici riconoscono che la ristrutturazione ed il relativo consolidamento sono una condizione per la sopravvivenza ed il miglioramento della competitività delle imprese.
La ristrutturazione costituisce un grave problema sociale quando nella regione in questione non esistono alternative occupazionali adeguate o laddove le possibilità di mobilità della gente siano inesistenti.
Inoltre, le imprese devono applicare efficacemente i principi della responsabilità sociale integrando preventivamente nei rispettivi approcci le strutture rappresentative dei lavoratori e le istituzioni locali e regionali.
La competitività industriale deve essere conseguita attraverso il dialogo sociale.
4.2 Le sfide che si pongono alle imprese
La principale sfida che si pone alle imprese consiste nell'individuare una risposta adeguata al cambiamento, tenendo conto della competitività in un contesto complesso e nel quadro di una situazione sociale ed istituzionale specifica.
Le trasformazioni industriali effettuate dalle grandi aziende hanno ripercussioni non trascurabili sulle piccole e medie imprese che lavorano in subfornitura. Occorrerebbe un meccanismo di cooperazione in rete che consentisse loro di adattarsi adeguatamente.
4.3 Effetti sull'allargamento ed in particolare impatto sull'occupazione
Occorre definire apposite politiche di sostegno allo sviluppo e all'occupazione per far sì che la gestione del cambiamento e della ristrutturazione industriale nei paesi dell'allargamento venga vista come una grande opportunità da cogliere per controllare la crescita economica e migliorare la qualità della vita e la protezione ambientale.
Gli investimenti diretti esteri provengono sostanzialmente dall'Unione europea (oltre il 60 % nel 1998). I principali interessati sono la Repubblica Ceca, l'Ungheria e la Polonia. A fine 2001, questi tre paesi beneficiavano dei degli investimenti a favore degli Stati aderenti. A titolo esemplificativo, nella siderurgia va ricordato il caso di Košice (Slovacchia) in cui l'investimento diretto estero ha consentito l'ammodernamento degli impianti locali senza una riduzione forzata dei posti di lavoro, grazie agli accordi tra imprese locali, alla mobilità della forza lavoro, agli effetti degli incentivi, dell'innovazione e della concorrenza. L'impatto sull'occupazione delle strategie delle multinazionali varia a seconda del tipo di investimento da realizzare.
IMPATTO SULL'OCCUPAZIONE: 3 POSSIBILI SCENARI
Strategia multinazionale |
Ripercussioni occupazionali |
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Paesi di provenienza dell'IDE |
Paesi destinatari dell'IDE |
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Poche o inesistenti a breve termine. A medio/lungo termine: riorganizzazione delle funzioni di back office. |
Più o meno importanti a seconda dell'acquisizione di attività esistenti (con o senza aumento di produttività) o se creazione ex novo. |
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|
Impatto immediato indiretto (mancata creazione di capacità) e possibili effetti sostitutivi a medio termine (cfr. SEAT/Škoda). |
Forti ristrutturazioni in caso di ripresa di vecchie attività. Creazione di posti di lavoro nel caso di imprese greenfield (siti non ancora industrializzati). |
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Impatto notevole a breve o medio termine (tempi del ciclo di sostituzione variabili a seconda delle attività). |
Forti ristrutturazioni in caso di ripresa di vecchie attività Creazione di posti di lavoro nel caso di imprese greenfield. Rischi a medio/ lungo termine: delocalizzazione. |
||
1 & 2 |
Negli scenari 1 e 2 si è dinanzi a strategie di investimento orizzontali. Nel primo scenario le multinazionali cercano principalmente di conquistare nuovi mercati e di estendere le proprie reti di servizi, ad esempio bancari, di trasporti o energetiche. Nel secondo, le multinazionali cercano di espandere le proprie capacità di produzione di servizi o prodotti facilmente riesportabili. |
3 |
Nello scenario 3 si assiste ad una strategia verticale di delocalizzazione con impatto soprattutto sull'occupazione. Le imprese ad alta intensità di mano d'opera (ad es. tessile e elettronica automobilistica) rientrano in questo scenario. |
4.4 Effetti sulla dimensione territoriale
4.4.1 |
In caso di ristrutturazione industriale o di delocalizzazione di imprese occorre valutare l'attivo in infrastrutture, impianti e risorse umane e promuovere l'insediamento di nuove imprese. In taluni casi, al momento di lasciare una regione, per consentirne la ridestinazione a nuovi usi, è indispensabile procedere al risanamento del suolo e del sottosuolo. Occorre potenziare e controllare la responsabilità territoriale degli investitori che hanno beneficiato di finanziamenti pubblici. Sono inoltre necessari accordi di cooperazione tra tutti gli attori per dare dinamicità alle le regioni colpite dalle trasformazioni industriali. |
4.5 Effetti sulle risorse umane
Tutti gli attori devono impegnarsi a garantire l'accesso alla formazione delle persone meno qualificate. Si tratta di una condizione imprescindibile della vitalità economica.
Sotto il profilo aziendale, la gestione delle competenze deve inglobare un accordo ed un approccio comune impresa/lavoratori in merito al fabbisogno in termini di formazione, competenze e qualificazioni.
4.6 Effetti sul modello sociale europeo
Per la sostenibilità del modello sociale europeo è fondamentale conseguire un alto livello di coesione economica, sociale, ambientale e territoriale.
La ristrutturazione industriale all'interno del modello sociale europeo sarà coronata dal successo solo nella misura in cui risulterà proficua per tutti gli attori.
4.7 Aspetti dell'interazione tra industria e servizi
4.7.1 |
A partire dagli anni '70, la crescita economica è stata caratterizzata dal predominio del terziario sull'industria manifatturiera. L'interdipendenza e l'interazione tra i due settori risultano nondimeno fondamentali per l'aumento della produttività e dell'innovazione, nonché per il miglioramento della qualità dei prodotti e dei servizi. Per quel che riguarda le trasformazioni e le ristrutturazioni industriali, l'interazione è cruciale dato che le imprese che prestano servizi (ad esempio di RST) alle industrie, seguono di norma queste ultime in caso di delocalizzazione. |
5. La responsabilità sociale delle imprese e la coesione economica e sociale
5.1 |
Nel parere del CESE sul tema «Le trasformazioni industriali in Europa: situazione attuale e prospettive future – un approccio globale» (6) si afferma che «l'Europa ha bisogno di un clima economico favorevole a un nuovo modello incentrato sulle trasformazioni industriali dal volto umano, fondate cioè sullo sviluppo sostenibile, sulla coesione economica, sociale e territoriale e sulla competitività». Detta prospettiva ha come sfondo gli obiettivi fissati dalla Strategia di Lisbona. In tale ottica, l'UE ha fatto speciale appello al senso di responsabilità sociale delle imprese, tenendo conto delle necessità e delle migliori pratiche in materia di formazione professionale per tutto l'arco della vita, organizzazione del lavoro, pari opportunità, inclusione sociale e sviluppo sostenibile. |
5.2 |
Sulla base di un comportamento improntato all'etica, è riconosciuto che la responsabilità sociale delle imprese può esercitarsi su due versanti fondamentali:
In genere le imprese vengono invitate a coinvolgere le parti sociali, gli enti locali, i consumatori e i fornitori, ciascuno al suo rispettivo livello di competenza. |
5.3 |
Questo esercizio di responsabilità sociale da parte delle imprese negli aspetti sopra riferiti può favorire la coesione economica, sociale e territoriale se viene attuato in modo proattivo un approccio preventivo della gestione delle trasformazioni o delle ristrutturazioni, a vantaggio di tutti gli interessati. |
6. Buone pratiche in materia di ristrutturazione sotto il profilo della responsabilità sociale e territoriale
6.1 |
Il fondo sociale europeo promuove e appoggia le buone pratiche in materia di realizzazione di trasformazioni industriali. L'osservatorio europeo del cambiamento, creato nell'ambito della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro con sede a Dublino, rende regolarmente conto di dette esperienze nella valorizzazione della responsabilità sociale e territoriale delle imprese. D'altro canto, la prima fase della consultazione lanciata dalla Commissione europea dal titolo «Anticipare e gestire il cambiamento – un approccio dinamico agli aspetti sociali della ristrutturazione delle imprese» ha consentito di identificare una serie di buone pratiche nell'ambito in questione. In linea generale, le esperienze in materia di buone pratiche comportano:
|
6.2 |
Per realizzare una ristrutturazione in modo responsabile sono essenziali la negoziazione e il dialogo sociale; a questo fine è molto importante che imprese e sindacati facciano prova di un atteggiamento positivo e individuino formule di ristrutturazione vantaggiose per le imprese, i lavoratori e le collettività. La Commissione ha promosso queste buone pratiche attraverso talune direttive (98/59/CE, 2001/23/CE, 94/45/CE e 2002/12/CE) che fissano orientamenti e obblighi in materia. A livello europeo va rilevata l'iniziativa del 2002 che preconizzava una «ristrutturazione socialmente intelligente» e che ha portato alla formulazione di linee direttrici nel 2003. Tutte le alternative al licenziamento vanno considerate. |
6.3 |
Esistono numerosi esempi di buone pratiche in questo campo: vi sono imprese europee che hanno fatto ricorso a pratiche socialmente responsabili per condurre strategie di trasformazione o ristrutturazione industriale come – per citare soltanto un caso – il gruppo siderurgico Arcelor (risultato dalla fusione di Arbed, Aceralia e Usinor) che, in una situazione di sovracapacità strutturale nella produzione di acciaio piatto e al fine di migliorare le sinergie, ha deciso di procedere a una chiusura graduale degli altiforni di Liegi e di ridurre la produzione a Brema e a Eisenhüttenstadt. Relativamente alla perdita di posti di lavoro derivante da queste misure, l'Arcelor si è impegnata a non abbandonare a se stesse le persone interessate dai problemi occupazionali attraverso il risanamento dei siti in questione e contribuendo, con l'aiuto di tutte le parti interessate, alla reindustrializzazione del tessuto economico locale. Come esempio negativo della mancata adozione di buone pratiche può invece citarsi quello dell'industria automobilistica nel Mezzogiorno, la quale intendeva trasferire parte delle attività in subfornitura all'estero senza prevedere adeguate misure di accompagnamento e soluzioni per i conseguenti problemi sociali. |
6.4 |
Le trasformazioni industriali necessarie per mantenere la competitività delle imprese devono avere il sostegno delle autorità e devono essere finanziate nell'ambito delle misure a favore dell'educazione e della formazione della forza lavoro; in tale contesto occorre promuovere l'uso delle nuove tecnologie. Nella creazione di nuovi e migliori posti di lavoro bisogna inoltre tenere in debito conto il rafforzamento della responsabilità sociale delle imprese e gli interessi sociali, nonché la sostenibilità ambientale delle regioni in cui dette imprese sono ubicate. |
7. Le trasformazioni industriali e la coesione economica, sociale e territoriale come strumento di sviluppo sostenibile
7.1 |
Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo fondamentale dell'Unione europea. I grandi progetti transeuropei, come le reti di trasporto stradali e altre infrastrutture, non sono sufficienti per la promozione dello sviluppo sostenibile e l'avvio allo sviluppo in genere delle regioni più svantaggiate. Le disparità in termini di produzione, produttività e accesso al lavoro che sussistono tra paesi e regioni derivano dalla carenza delle strutture in settori chiave ai fini della competitività: strutture inadeguate sotto il profilo del capitale umano e materiale, problemi ambientali e mancanza di capacità di innovazione e di governance regionale. |
7.2 |
Considerati gli effetti indotti sul tessuto economico, sociale e scientifico, nonché sul coinvolgimento della società civile e degli enti locali attraverso l'uso combinato degli strumenti e delle politiche di coesione sociale e delle politiche strutturali comunitarie, le opportunità offerte dalle trasformazioni industriali possono contribuire significativamente al processo di sviluppo sostenibile ed equilibrato. In effetti, le trasformazioni impongono uno sforzo di adattamento, ricerca e innovazione nonché nuovi atteggiamenti da parte tanto degli imprenditori come delle parti sociali e della società civile, che devono operare in partenariato allo scopo di aiutare le regioni a preservare e migliorare le proprie strutture economiche e sociali in modo equilibrato nelle zone in questione. |
8. Le proposte di modifica della terza relazione sulla coesione economica e sociale
8.1 |
La Commissione propone una nuova architettura per la politica di coesione economica sociale e territoriale dell'Unione europea, articolata attorno a tre priorità: |
Convergenza
L'obiettivo perseguito è quello di appoggiare crescita e creazione di posti di lavoro negli Stati membri e nelle regioni meno sviluppate.
Competitività regionale e occupazione - anticipare e promuovere il cambiamento
Questa priorità viene accolta con favore in quanto connette le trasformazioni industriali alla politica di coesione attraverso appositi programmi nazionali e regionali, la prevenzione, l'anticipazione e l'adattamento all'evoluzione economica, nel rispetto delle priorità politiche della strategia europea per l'occupazione, promovendo la qualità e la produttività del lavoro e l'inclusione sociale.
Cooperazione territoriale europea.
L'obiettivo perseguito è la promozione di uno sviluppo armonioso ed equilibrato del territorio dell'Unione europea attraverso misure che favoriscano la cooperazione transfrontaliera e transnazionale.
9. Osservazioni sulle proposte della terza relazione in materia di trasformazioni e ristrutturazioni industriali
9.1 |
Il CESE si compiace del fatto che la terza relazione sulla coesione economica e sociale, presentata il 17 febbraio, abbia affrontato il tema delle trasformazioni industriali ed economiche in genere in modo esplicito e obiettivo. |
9.2 |
Concorda in particolare con i principi alla base delle strategie della terza relazione sulla coesione, nonché con il collegamento fra la strategia di Lisbona e la futura politica regionale per quanto riguarda i programmi destinati alla conoscenza e i programmi nazionali e regionali volti a promuovere lo sviluppo economico delle regioni più svantaggiate. Ritiene nondimeno inadeguate dette misure e formula le osservazioni che seguono:
|
10. Conclusioni e raccomandazioni
10.1 |
Il CESE ritiene che le proposte di modifica della politica di coesione presentate dalla Commissione siano insufficienti e che non venga sfruttata appieno l' opportunità di gestire il cambiamento. Tale cambiamento è non solo inevitabile ma anche essenziale, in quanto espressione del dinamismo economico e leva dello sviluppo sostenibile. Tutto ciò è il frutto della mancata ottimizzazione e del mancato sfruttamento delle opportunità offerte dalla strategia di Lisbona, dal suo approccio positivo alle trasformazioni al cambiamento, alla competitività e alla coesione, dall'agenda politica e sociale che individua nell'anticipazione e nella gestione del cambiamento una sfida fondamentale e dalla strategia europea per l'occupazione relativamente al pilastro dell'adattabilità. |
10.2 |
Il CESE ritiene necessario pervenire ad un equilibrio tra aspetti economici e aspetti sociali, e adottare una gestione delle trasformazioni industriali mirata a una duplice finalità: garantire e promuovere obiettivi sociali globali (formazione, occupazione, opportunità e protezione sociale) e assicurare la sostenibilità delle imprese attraverso apposite politiche di sostegno che garantiscano la ristrutturazione e il consolidamento come condizione della loro sopravvivenza e di una maggiore competitività, attraverso azioni integrate e complementari che coinvolgano i principali attori, ovvero lo Stato ( ai suoi diversi livelli: centrale, regionale e locale) e le imprese. |
10.3 |
Per il successo della politica di coesione economica, sociale e territoriale, il CESE ritiene indispensabile un maggiore e migliore coordinamento nell'applicazione delle politiche di sviluppo esistenti nell'UE, in modo da includere le direttive che disciplinano il coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese; il dialogo sociale trasversale nei settori industriali; la consultazione regolare della commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) del Comitato; l'osservatorio europeo del cambiamento; l'applicazione dei fondi strutturali; la politica di concorrenza e la promozione dell'applicazione della responsabilità sociale delle imprese. A tal fine sono cruciali l'impegno ed il contributo fattivo di tutte le parti interessate. |
10.4 |
Ritiene inoltre necessario stabilire, in materia di ristrutturazione, un insieme di principi che fungano da base e supporto alle buone pratiche e comprendano la necessità di incentivare la competitività delle imprese e le esigenze di coesione economica, sociale e territoriale. |
10.5 |
A parere del CESE, il continuo deterioramento della competitività dell'Europa nei confronti degli USA deriva dalla mancata esistenza dell' obbligo del rispetto dei termini da parte degli Stati membri in sede di implementazione delle strategie e degli strumenti di base dell'Unione europea (strategia di Lisbona, riforme strutturali e sviluppo sostenibile). Laddove questa tendenza persista, l'Unione europea da seconda rischia di diventare la terza potenza mondiale (attenzione a Giappone, Cina e India). Occorre evitare che ciò avvenga. Il CESE conclude quindi che la Commissione dovrebbe mostrarsi più esigente ed espletare un ruolo più attivo nel coordinamento e nel monitoraggio dell'effettiva implementazione delle strategie in parola. Una delle principali misure di coordinamento potrebbe essere la nomina di un commissario responsabile del monitoraggio delle trasformazioni e delle delocalizzazioni industriali, in modo da meglio articolare politica industriale e protezione ambientale. |
Nell'ambito del presente parere di iniziativa il Comitato raccomanda quanto segue:
a) |
Occorre rivedere la visione strategica della coesione nel contesto delle attuali sfide dell'UE attraverso una nuova, rafforzata, definizione del concetto di coesione, che non si riduca ad un approccio economicistico dei fondi strutturali e di coesione, ma li riconsideri alla luce della seguente triplice finalità:
|
b) |
Occorre modificare il criterio assoluto del PIL pro capite per determinare l'ammissibilità agli aiuti, in quanto esso è fonte di relative iniquità nell'attuazione delle politiche strutturali. Come è noto, la ricchezza relativa non può essere ridotta ad un mero numero, come quello che esprime il PIL pro capite. I livelli di qualificazione delle risorse umane, i deficit infrastrutturali, la distanza dal centro motore dell'economia europea, la struttura demografica, sono tutti elementi che vanno presi in debito conto ai fini dell'ammissibilità delle regioni comunitarie. |
c) |
Bisogna creare nuovi criteri di valutazione delle regioni in modo da elaborare una nuova mappatura della coesione europea. |
d) |
Per quanto riguarda la coesione territoriale, la gestione del territorio comunitario va ridisegnata in modo da consentire uno sviluppo policentrico armonioso, equilibrato e sostenuto. Quest'ordinamento spaziale deve tener conto della coesione interregionale nelle sue dimensioni fisiche e economiche, integrando le autorità locali, regionali, nazionali ed europee nella costruzione di un modello di sviluppo territoriale europeo che conduca a nuove strategie economiche (investimenti, R & S) e sociali (occupazione). |
e) |
Occorre portare avanti una logica acceleratrice nella formulazione delle politiche strutturali in materia di coesione economica, sociale e territoriale come mezzo per anticipare le trasformazioni economiche in genere e le ristrutturazioni industriali in particolare. L'attuale massimale delle risorse finanziarie UE (1,24 % del reddito nazionale lordo - RNL) – è persino possibile che la percentuale venga ridotta nelle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 – è inadeguato alle esigenze e comporta una riduzione degli interventi che impedisce di raggiungere più tempestivamente gli obiettivi della coesione. |
f) |
Bisogna puntare sulle risorse umane, convogliando risorse verso un'istruzione professionalmente qualificante e verso la formazione professionale vera e propria, ma con un approccio flessibile, capace di adattarsi alle diverse tipologie di problemi che si pongono a Stati membri e regioni. |
g) |
Occorre appoggiare specificamente le regioni che fanno fronte a drammatiche ristrutturazioni a livello di produzione industriale individuando settori e regioni ad alto rischio di perdita di competitività e presentando proposte specifiche di sostegno che considerino le specificità di ciascun settore. Particolare attenzione va inoltre prestata all'impatto della ristrutturazione industriale nei nuovi Stati membri. |
h) |
Nel contesto di quanto precede, occorre stabilire il principio della regione più favorita, in modo da poter applicare sostegni monetari specifici per promuovere la riconversione della regione. A questo proposito, fondamentale è il ruolo del dialogo sociale e del dialogo civile attraverso il coinvolgimento di tutte le forze vive presenti nella regione (imprese, università, enti locali, associazioni, sindacati, ecc). In tal modo si riuscirebbe a rivitalizzare il tessuto economico della regione con la creazione di nuove attività economiche alternative. |
i) |
Bisogna appoggiare lo sviluppo di cluster regionali favorendo l'espansione dei settori della tecnologia dell'informazione e della comunicazione e delle industrie creative ed a forte base tecnologica che sviluppino le potenzialità e le competenze delle regioni promovendone le capacità di attrarre e radicare le imprese. In tal modo si contribuirebbe a far sì che le trasformazioni e le ristrutturazioni industriali avvenissero con il rafforzamento della competitività delle regioni e l'aumento della coesione economica, sociale e territoriale nonché dell'occupazione. È indispensabile elaborare studi regionali e programmare di congiunto con i governi nazionali e regionali le modalità di sfruttamento dell'intero potenziale di una regione nella creazione dei cluster. |
j) |
Occorre tener conto dell' esperienza positiva acquisita in passato con i programmi settoriali come Rechar, Resider e Retext nella formulazione di politiche di ammodernamento industriale delle regioni per poterne sfruttare appieno il potenziale di crescita. |
k) |
La Commissione deve continuare a modernizzare e attivare la politica industriale nella prospettiva di adeguare le regole al nuovo contesto mondiale. Sotto questo profilo, il CESE si compiace della recente proposta di revisione della politica industriale, presentata il 20 aprile 2004 (7). Occorre in particolare assicurare il coordinamento tra la politica industriale e le altre politiche comunitarie, specie quella ambientale. |
l) |
L'Europa deve rispettare e far rispettare rigorosamente le norme dell'OIL. Se non facciamo nulla per porre fine al dumping sociale e fiscale praticato in altre regioni che non seguono altrettanto equamente le regole del mercato, rischiamo di entrare in una crisi economica dovuta alla mancanza di competitività delle imprese europee. |
m) |
L'Europa deve entrare nella competizione mondiale attraverso l'elevata competenza tecnica, tecnologica e umana, ma per questo deve rivedere la sua politica di sostegno alla ricerca e soprattutto al capitale umano. È noto che su circa 14 000 ricercatori europei che studiano negli USA solo 3 000 intendono rientrare in Europa. Si tratta di una situazione di estrema gravità che impone l'adozione immediata di apposite misure. Un buon passo in questa direzione è costituito dall'iniziativa «Regions for knowledge» (KnowREG) nel cui ambito è stata decisa la creazione, il 27 aprile 2004, di 14 progetti pilota a promozione dell'economia della conoscenza a livello locale e regionale. |
n) |
Il CESE sottolinea la necessità che il Consiglio europeo stabilisca un chiaro collegamento fra gli obiettivi di competitività e conoscenza e la futura politica regionale. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) GU C 10 del 14.1.2004, pagine 105 e seguenti.
(2) Parere d'iniziativa del CESE sul tema «Le ripercussioni della politica commerciale sulle trasformazioni industriali, in particolare nel settore siderurgico» (CESE 668/2004)
(3) Ibid.
(4) Nel settembre 2004 il CESE adotterà un parere di iniziativa sul tema «Portata ed effetti della delocalizzazione delle imprese» (CCMI/014).
(5) Parere di iniziativa del CESE sul tema «Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Europa» (CESE 968/2004)
(6) GU C 10 del 14.1.2004, pagine 105 e seguenti.
(7) Comunicazione della Commissione «Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Unione europea allargata» (COM(2004) 274).
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/49 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti
(2004/C 302/12)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, in conformità con l'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema La convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA CASTANO.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
La convenzione internazionale sui lavoratori migranti è stata adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite mediante la risoluzione n. 45/158 del 18 dicembre 1990 ed è entrata in vigore il 1o luglio 2003 dopo essere stata ratificata dai primi 20 Stati (1). Si tratta quindi di un trattato internazionale che ha carattere vincolante per gli Stati che lo ratificano. |
1.2 |
Scopo della convenzione è quello di tutelare in tutto il mondo i diritti umani e la dignità dei lavoratori che emigrano per motivi economici o di lavoro mediante l'adozione di adeguate legislazioni e buone prassi a livello nazionale. La promozione della democrazia e i diritti umani devono essere il fondamento comune di un adeguato quadro normativo internazionale per le politiche migratorie. La convenzione assicura anche l'equilibrio tra le diverse situazioni, sia nei paesi di origine, sia in quelli di destinazione dei flussi migratori. |
1.3 |
La convenzione è uno dei sette trattati internazionali sui diritti umani adottati dalle Nazioni Unite e stabilisce che alcuni diritti umani fondamentali – sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo – devono garantire la protezione di tutti i lavoratori migranti e dei loro famigliari. La convenzione codifica in maniera completa e universale i diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie sulla base del principio di parità di trattamento. Definisce altresì i diritti che devono essere applicati sia ai lavoratori migranti in situazione regolare che a quelli illegali e fissa norme minime di protezione in termini di diritti civili, economici, politici, sociali e professionali, riconoscendo che tali lavoratori devono godere di alcuni diritti fondamentali da tutelare con norme internazionali. |
1.4 |
Ampliando la portata di precedenti convenzioni dell'OIL (2), la convenzione estende il quadro giuridico a tutte le migrazioni internazionali in generale, promovendo un giusto trattamento dei migranti e cercando di evitare lo sfruttamento degli immigranti irregolari. Essa riguarda l'intero processo migratorio: formazione, selezione, uscita e transito, residenza negli Stati in cui si esercita un'attività lavorativa e ritorno e ristabilimento nel paese di origine. |
1.5 |
La gestione dei flussi migratori è di competenza degli Stati. Il Comitato, condividendo appieno la posizione del Segretario generale delle Nazioni Unite, auspica una migliore cooperazione bilaterale, regionale e internazionale tra i paesi di origine e quelli di accoglienza dei flussi migratori. La convenzione non promuove né gestisce i movimenti migratori, mirando solo a garantire il riconoscimento universale dei diritti umani fondamentali e a rafforzarne la protezione. |
1.6 |
Nel quadro della convenzione le persone migranti non sono tutte trattate allo stesso modo dal punto di vista amministrativo: a tutti si garantisce la protezione dei diritti umani fondamentali e nei confronti degli immigranti legali anche l'applicazione di altri diritti. |
1.7 |
Con l'adozione della convenzione, la comunità internazionale e le Nazioni Unite affermano la propria volontà di migliorare la cooperazione tra le nazioni allo scopo di prevenire ed eliminare il traffico e il lavoro clandestino dei migranti in situazione irregolare ed estendere a livello mondiale il rispetto dei diritti umani fondamentali dei migranti in tutto il mondo (3). |
2. I diritti dei migranti
2.1 |
La convenzione intende garantire ai lavoratori migranti un trattamento equo e le stesse condizioni giuridiche riservate ai lavoratori nazionali, il che significa:
|
2.2 |
La convenzione stipula inoltre che i lavoratori migranti devono avere il diritto di mantenere i legami con il proprio paese d'origine, il che implica:
|
2.3 |
Il principio fondamentale su cui si basa la convenzione è che tutti i migranti devono avere accesso a un livello minimo di protezione. A seconda delle due situazioni, regolare o irregolare, in cui si trovano i lavoratori migranti, la convenzione prevede misure diverse: per coloro che sono in una situazione legale stabilisce un elenco più ampio di diritti mentre per coloro che sono in situazione irregolare riconosce alcuni diritti fondamentali. |
2.4 |
La convenzione propone l'attuazione di interventi volti a sopprimere il fenomeno dell'immigrazione clandestina, attraverso la lotta contro l'informazione ingannevole che incita gli individui ad emigrare irregolarmente e con l'applicazione di sanzioni ai trafficanti e ai datori di lavoro di lavoratori migranti sprovvisti di permessi di soggiorno. |
2.5 |
Infine, la convenzione prevede che venga istituito un comitato per la protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro familiari, composto di dieci esperti incaricati di monitorare l'applicazione della convenzione e nominati dagli Stati che l'hanno ratificata. |
3. I paesi occidentali non hanno ratificato la convenzione
3.1 |
Le migrazioni a livello internazionale sono la conseguenza delle forti disuguaglianze economiche e sociali che esistono tra i paesi ricchi del nord e i paesi in via di sviluppo, disuguaglianze che stanno crescendo nel contesto di un sistema economico sempre più globalizzato. Tuttavia gli Stati che hanno ratificato la convenzione sono per la maggior parte paesi di origine dei migranti. Sinora gli Stati membri dell'Unione europea, gli Stati Uniti d'America, il Canada, l'Australia, il Giappone e gli altri Stati occidentali che sono paesi di accoglienza di un gran numero di migranti (4) non hanno firmato né ratificato (5) la convenzione. |
3.2 |
È necessario che l'Unione europea, che intende stabilire norme internazionali in diversi ambiti (in seno all'OMC per gli scambi internazionali, mediante il Protocollo di Kyoto per la protezione dell'ambiente, ecc.), promuova anche i diritti fondamentali dei migranti mediante l'adozione di norme internazionali. |
4. La politica d'immigrazione dell'Unione europea
4.1 |
L'Unione europea costituisce uno spazio al cui interno si garantiscono e proteggono i diritti umani e in cui si applica la maggior parte degli strumenti giuridici internazionali delle Nazioni Unite. Essa dispone anche di strumenti propri, come la Convenzione europea dei diritti dell'uomo o la Carta dei diritti fondamentali. |
4.2 |
Anche l'Unione europea ha messo a punto diversi strumenti giuridici di lotta contro la discriminazione (6). Tuttavia vari esperti, come pure l'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (7), hanno segnalato le discriminazioni che subiscono gli immigranti per quanto riguarda le loro condizioni di lavoro. |
4.3 |
A partire dal Consiglio europeo di Tampere l'Unione sta elaborando una legislazione comune in materia, che ha gettato delle buone basi politiche per l'armonizzazione a livello europeo delle legislazioni sull'immigrazione e sull'asilo e per migliorare la cooperazione con i paesi terzi nella gestione dei flussi migratori. A Tampere si è altresì concordato sul fatto che le persone devono ricevere un trattamento equo e che sono necessarie politiche di integrazione e di lotta contro la discriminazione. |
4.4 |
La Commissione ha presentato una serie di iniziative legislative che sono oggetto di difficili trattative in seno al Consiglio (8). Pertanto, a quattro anni dal Consiglio di Tampere, i risultati sono scarsi: la legislazione adottata è deludente e si discosta molto dagli obiettivi di Tampere, dalle proposte della Commissione, dalla risoluzione del Parlamento e dal parere del CESE in materia. A causa del sistema attuale di veto in seno al Consiglio, nonché dell'atteggiamento di alcuni dirigenti politici, è molto difficile raggiungere accordi. |
4.5 |
Il Comitato economico e sociale europeo, in diversi pareri, ha esortato il Consiglio ad agire con maggiore responsabilità e con uno spirito più costruttivo e cooperativo, poiché diventa sempre più necessario che l'Unione europea disponga di un'adeguata legislazione comune per gestire l'immigrazione in maniera legale e trasparente. |
4.6 |
Il Comitato ha elaborato diversi pareri (9) in cui sostiene che l'Unione europea deve disporre di una politica adeguata affinché l'immigrazione per motivi economici sia canalizzata attraverso le vie legali, si eviti l'immigrazione irregolare e si lotti contro il traffico illegale di esseri umani. |
4.7 |
Occorre pertanto adottare tempestivamente la proposta di direttiva presentata dalla Commissione sulle condizioni di ingresso, soggiorno e accesso all'occupazione dei migranti (10), tenendo anche conto del parere del CESE in materia (11). |
4.8 |
Il Consiglio europeo di Salonicco ha accolto con favore la comunicazione della Commissione su immigrazione, integrazione e occupazione (12), in cui si prevede un notevole aumento dell'immigrazione di lavoratori nell'Unione europea e, di conseguenza, si ritiene necessario disporre di un'adeguata legislazione per la gestione legale dei lavoratori immigrati. Anche la Commissione sostiene che saranno necessarie politiche d'integrazione della popolazione immigrata nonché di lotta contro ogni forma di sfruttamento e discriminazione. |
4.9 |
Alcune legislazioni nazionali sull'immigrazione non sono pienamente conformi alle convenzioni internazionali sui diritti umani; per di più alcune direttive europee, come ad esempio quella sul ricongiungimento familiare, sono state considerate da diverse ONG e dal Parlamento europeo contrarie ai diritti umani fondamentali. Il CESE ritiene che le convenzioni internazionali sui diritti umani e la Carta dei diritti fondamentali dell'UE debbano essere la base dell'intera struttura legislativa europea in materia di immigrazione. |
5. I valori dell'Unione europea nel mondo
5.1 |
Negli ultimi tempi gli Stati Uniti hanno adottato un approccio unilaterale nella governance degli affari internazionali. Questa situazione sta mettendo in gravi difficoltà l'intero sistema delle Nazioni Unite rischiando di compromettere l'unico organismo esistente per la risoluzione multilaterale e cooperativa dei conflitti internazionali. |
5.2 |
L'Unione europea sta costruendo con grande fatica una politica estera comune nella quale alle Nazioni Unite è attribuito un ruolo di primo piano. Il futuro Trattato costituzionale assegnerà al mandato riguardante la politica estera un posto di rilievo tra le missioni comunitarie. |
5.3 |
Il multilateralismo, insieme con l'impegno attivo nei confronti del sistema delle Nazioni Unite, costituisce il fondamento delle relazioni esterne dell'Unione europea. In un documento recente (13), la Commissione europea afferma: La sfida che deve affrontare l'ONU è chiara: la «governanza globale» resterà debole se le istituzioni multilaterali non saranno in grado di garantire l'applicazione effettiva di decisioni e norme, sia nella sfera della politica e della sicurezza internazionale a livello di «alta politica» che nell'attuazione pratica degli impegni presi alle recenti conferenze dell'ONU in campo sociale, economico e ambientale. A questo proposito l'UE ha una responsabilità particolare. Da un lato, ha fatto del multilateralismo un principio costante delle sue relazioni esterne, ma dall'altro potrebbe e dovrebbe fungere da modello nell'applicare, e anche nel superare, i propri impegni internazionali. |
5.4 |
La globalizzazione sta generando nuove opportunità e nuovi problemi nella governance mondiale (14). Gli attuali movimenti migratori comportano grandi problemi per le persone che emigrano e per i paesi di origine e quelli di accoglienza. La sfida che ci troviamo di fronte è quella di trasformare i problemi in opportunità per tutti, per le persone che emigrano, per i paesi di origine dei migranti e per quelli che li accolgono. Il multilateralismo e la cooperazione internazionale costituiscono le tappe essenziali per una buona governance globale, per disporre di un sistema di regole e istituzioni definite dalla comunità internazionale e universalmente riconosciute. |
5.5 |
Come ha affermato il Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, davanti al Parlamento europeo il 29 gennaio 2004, la cooperazione internazionale rappresenta il modo migliore per gestire l'aumento delle migrazioni internazionali nei prossimi anni. «Solo per mezzo della cooperazione – bilaterale, regionale e mondiale – possiamo favorire, nell'interesse di tutti, accordi tra i paesi di origine e quelli di accoglienza dei migranti, trasformare l'immigrazione in un elemento propulsore di sviluppo, lottare efficacemente contro i trafficanti di essere umani e fissare norme comuni par il trattamento dei migranti e la gestione dell'immigrazione». |
5.6 |
L'Europa è uno spazio di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani di tutti gli individui. Per rafforzare questi valori in futuro, è necessario che tutti gli Stati membri dell'Unione ratifichino le convenzioni internazionali sulla protezione dei diritti umani fondamentali e che ne recepiscano i precetti giuridici sia nella legislazione comunitaria che nazionale. |
5.7 |
Secondo l'art. 7 del progetto di Costituzione europea, l'Unione intende aderire alla convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il CESE appoggia tale adesione nonché l'integrazione nella Costituzione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che costituirà una base comune per garantire i diritti di tutti gli individui in seno all'Unione europea. |
5.8 |
Tali valori devono essere promossi anche nelle relazioni internazionali dell'Unione europea affinché sulla base delle convenzioni internazionali adottate dalle Nazioni Unite venga costruito un corpus giuridico comune per la protezione internazionale dei diritti fondamentali di tutti gli esseri umani, a prescindere dalla nazionalità o dal luogo di residenza. |
6. Proposta del CESE
6.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo, basandosi sui pareri che ha adottato sulla politica europea di immigrazione e conformemente alla risoluzione del Parlamento europeo, invita gli Stati membri dell'Unione europea a ratificare la convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro famigliari adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite mediante la risoluzione n. 45/158 del 18 dicembre 1990 ed entrata in vigore il 1o luglio 2003. |
6.2 |
Il CESE invita il Presidente della Commissione e la presidenza di turno del Consiglio ad adottare le iniziative politiche necessarie per far sì che entro i prossimi due anni gli Stati membri procedano alla ratifica della convenzione e che l'UE stessa la ratifichi, quando il Trattato costituzionale la autorizzerà a sottoscrivere accordi internazionali. La Commissione, al fine di facilitare la ratifica della convenzione, realizzerà uno studio in cui si analizzeranno le legislazioni nazionali e quella comunitaria alla luce della convenzione stessa. Inoltre, le parti sociali e altre organizzazioni della società civile si uniranno al CESE e alla Commissione per promuovere la ratifica della Convenzione. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Azerbaigian, Belize, Bolivia, Bosnia -Herzegovina, Burkina Faso, Capo Verde, Colombia, Ecuador, Egitto, El Salvador, Ghana, Guatemala, Guinea, Kirghizia, Mali, Messico, Marocco, Filippine, Senegal, Seychelles, Sri Lanka, Tajikistan, Timor Orientale, Uganda, Uruguay.
(2) Convenzione n. 97 del 1949 e Convenzione n. 143 del 1975.
(3) Secondo l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, attualmente 175 milioni di persone risiedono in un paese diverso da quello di nascita o di cui sono cittadini.
(4) Il 55 % del totale dei migranti risiede in Nord America e nell'Europa occidentale.
(5) I paesi firmatari che hanno espresso la volontà di ratificare la convenzione in futuro sono: Cile, Bangladesh, Turchia, Isole Comore, Guinea-Bissau, Paraguay, São Tomé e Príncipe, Sierra Leone, Togo.
(6) Direttiva 2000/43 e direttiva 2000/78.
(7) Cfr. la relazione «Migrants, minorities and employment: exclusion, discrimination in 15 Member States of the European Union», Ottobre 2003.
(8) La Commissione ne ha già raccomandato agli Stati membri nel suo Libro bianco sulla politica sociale europea del 1994 (COM(1994) 333 def.) la ratifica della Convenzione.
(9) Cfr. i pareri del CESE in merito al ricongiungimento familiare, GU C 204 del 18.7.2000 e GU C 241 del 7.10.2002, in merito alla comunicazione della Commissione su una politica comunitaria in materia di immigrazione, GU C 260 del 17.9.2001, in merito allo status di cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo, GU C 36 dell'8.2.2002, in merito alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, GU C 80 del 3.4.2002, in merito a una politica comune in materia di immigrazione illegale, GU C 149 del 21.6.2002, in merito alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, formazione professionale o volontariato, GU C 133 del 6.6.2003 e in merito all'integrazione nella cittadinanza dell'Unione europea, GU C 208 del 3.9.2003.
(10) Cfr. GU C 332 del 27.11.2001.
(11) Parere del CESE, GU C 80 del 3.4.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).
(12) Comunicazione della Commissione COM(2003) 336 def. e parere del CESE, GU C 80 del 30.3.2004 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).
(13) COM(526) 2003 «L'Unione europea e le Nazioni Unite: la scelta del multilateralismo».
(14) Controllare la globalizzazione: un'esigenza per i gruppi più deboli.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/53 |
Progetto preliminare di parere sul tema «Verso una maggiore integrazione delle regioni gravate da svantaggi naturali e strutturali permanenti», R/CESE 631/2004 (adozione prevista per la plenaria di settembre 2004)
(2004/C 302/13)
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il 2o pilastro della PAC: le prospettive di adattamento della politica di sviluppo delle zone rurali (Il seguito della conferenza di Salisburgo) Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema Il 2o pilastro della PAC: le prospettive di adattamento della politica di sviluppo delle zone rurali (Il seguito della conferenza di Salisburgo).
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente è stata incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia.
Con lettera del 3 maggio 2004, rivolta al CESE dal Sig. Silva Rodriguez della DG Agricoltura, la Commissione europea ha fatto sapere che auspica conoscere quanto prima la posizione del Comitato economico e sociale europeo sull'argomento. Data l'urgenza dei lavori, il 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, il Comitato economico e sociale europeo ha designato Gilbert BROS relatore generale (1) e ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli e 9 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Nel novembre 2003 la Commissione ha organizzato, a Salisburgo, una conferenza sull'avvenire della politica comunitaria dello sviluppo rurale nella prospettiva dell'allargamento dell'Unione europea. Sul modello della Conferenza di Cork a favore di un «ambiente rurale vitale» (2), questa conferenza ha permesso di
Il Comitato propone pertanto che il lavoro di riflessione sugli adeguamenti della politica di sviluppo delle zone rurali per il periodo 2007-2013 prenda lo spunto dalle conclusioni della conferenza di Salisburgo. |
1.2 |
Dato che l'allargamento dell'Unione europea non solo accresce la diversità delle zone rurali, ma fa anche risaltare l'importanza preminente dei problemi sociali e occupazionali nei nuovi Stati membri, il Comitato giudica importante puntare sulla coerenza e sull'organicità fra la politica regionale e il 2o pilastro della PAC. |
1.3 |
La Commissione ha pubblicato due documenti che illustrano le prospettive finanziarie per il futuro periodo di programmazione (3) e la Terza relazione sulla coesione (4). Questi documenti evidenziano come la politica regionale tenga pienamente conto della strategia di Lisbona a favore di un'economia competitiva e della conoscenza. La futura politica dello sviluppo rurale viene affrontata in un capitolo intitolato «Gestione durevole e protezione delle risorse naturali», il quale tratta anche del 1o pilastro della PAC e dei programmi comunitari per la protezione dell'ambiente. |
1.4 |
Le conclusioni del vertice europeo di Göteborg, del 15 e 16 giugno 2001 (5), hanno permesso di adottare una strategia europea a favore dello sviluppo sostenibile in base alla quale la Politica agricola comune dovrebbe fra l'altro contribuire «... a realizzare uno sviluppo sostenibile ponendo maggiore enfasi sulla promozione di prodotti sani e di qualità elevata, di metodi produttivi sostenibili dal punto di vista ambientale...» (6). |
1.5 |
Le conclusioni del Consiglio Agricoltura e pesca svoltosi a Lussemburgo nel giugno 2003 hanno confermato il rafforzamento del 2o pilastro della PAC per «... promuovere l'ambiente, la qualità ed il benessere degli animali e per aiutare gli agricoltori a rispondere alle norme di produzione dell'UE a partire dal 2005» (7). Per questo motivo il presente parere d'iniziativa dovrà analizzare e approfondire la riflessione sui tre obiettivi indicati a Salisburgo: la competitività dell'agricoltura, la protezione dell'ambiente e il contributo alla coesione economica e sociale nelle zone rurali. |
1.6 |
Nella dichiarazione finale di Salisburgo i maggiori responsabili dello sviluppo rurale hanno pure sottolineato la necessità e l'urgenza di una semplificazione notevole della politica comunitaria per lo sviluppo rurale. Nel quadro di questa semplificazione occorre, al tempo stesso, «attribuire maggiori responsabilità alle partnership di programma al fine di formulare e attuare strategie globali basate su obiettivi e risultati chiaramente definiti». |
1.7 |
Nel quadro del presente parere d'iniziativa il Comitato si propone quindi di esaminare la coerenza fra la futura politica regionale e la futura politica dello sviluppo rurale onde limitare le «zone grigie», approfondire la proposta sui tre futuri obiettivi che costituiranno la politica dello sviluppo rurale e meglio finalizzare gli elementi di una semplificazione amministrativa. |
A LA COMPLEMENTARITÀ FRA LA POLITICA DI SVILUPPO REGIONALE E LA POLITICA PER LO SVILUPPO RURALE
2. Politica regionale: dal principio della coesione economica e sociale al principio della solidarietà territoriale
2.1 |
L'adozione dell'Atto unico nel 1986 ha accelerato il processo d'integrazione delle economie degli Stati membri. Tuttavia, i differenti livelli di sviluppo delle diverse regioni del territorio dell'Unione europea e il fatto che queste regioni fossero state messe in concorrenza fra di loro hanno costituito la molla per avviare un'autentica politica di coesione destinata a compensare i limiti che il mercato unico comportava per i paesi dell'Europa meridionale e delle regioni svantaggiate. In seguito il Trattato di Maastricht sull'Unione europea, entrato in vigore nel 1993, ha istituzionalizzato la politica di coesione economica e sociale. |
2.2 |
Parallelamente, lo sviluppo delle relazioni commerciali dell'Unione europea e la progressiva apertura del mercato interno hanno acuito questa concorrenza fra le regioni europee nonostante non partissero tutte su un piede di parità. Nel corso degli anni '90 la politica strutturale era quindi destinata a rimediare ai seguenti problemi:
|
2.3 |
Prendendo le mosse dagli elementi della politica strutturale preesistente, la riforma decisa nel 1999 (Agenda 2000) ha perseguito i seguenti obiettivi:
|
2.4 |
La dichiarazione dei ministri degli Stati membri dell'Unione europea responsabili dell'assetto del territorio (Potsdam, 10-11 maggio 1999 (8)) e le conclusioni del Consiglio europeo di Göteborg (giugno 2001) sulla definizione di una strategia europea a favore dello sviluppo sostenibile evidenziano la necessità di assicurare la coesione territoriale per uno sviluppo equilibrato e sostenibile dei territori dell'Unione europea. Quest'evoluzione è culminata con l'articolo 3 del progetto di Costituzione per l'Europa, nel quale la Convenzione ha proposto di elencare la coesione territoriale fra gli obiettivi dell'Unione (9). |
2.5 |
Il regolamento n. 1260/99 (10) recante disposizioni generali sui fondi strutturali riconosce inoltre che la valorizzazione del potenziale endogeno delle zone rurali rimane un obiettivo prioritario dello sviluppo e dell'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo. |
2.6 |
Alla luce dell'evoluzione dei principi ispiratori della politica regionale, ossia il sostegno alla crescita e lo sviluppo sostenibile, il Comitato invita la Commissione e il Consiglio a rammentare, nel quadro della coesione territoriale, che lo sviluppo delle zone rurali deve rimanere uno degli obiettivi prioritari della politica regionale. È quindi necessario poter risolvere i problemi della creazione di posti di lavoro, della formazione continua e dell'accesso alle nuove tecnologie dell'informazione nell'ambito di questa politica regionale. |
3. Politica di sviluppo rurale: dall'Europa verde al compromesso di Lussemburgo
3.1 |
Da quasi cinquant'anni il settore agricolo conosce cambiamenti radicali che, col passare del tempo, hanno plasmato l'evoluzione della politica comunitaria in materia di strutture agricole. Dal 1962 al 1972 l'intervento comunitario si è limitato a coordinare le misure di gestione dei mercati, poiché queste erano in fase di creazione. Tra il 1972 e il 1985 si sono delineate due grandi categorie d'interventi aggiuntive: da un lato le azioni orizzontali, applicabili in tutti gli Stati membri (formazione professionale, pensionamento anticipato,...), d'altro lato le azioni a livello regionale, intese a ridurre gli handicap naturali di carattere strutturale e a promuovere l'agricoltura nel suo complesso. |
3.2 |
Tra il 1985 e il 1999 la ricerca di un equilibrio fra il necessario miglioramento della competitività dell'agricoltura europea e l'aggiustamento del potenziale produttivo alle esigenze del mercato, la protezione dell'ambiente e lo sviluppo delle regioni svantaggiate hanno fatto sì che la politica delle strutture agricole si tramutasse nel capitolo agricolo della nuova strategia della politica regionale. Oltre alle azioni dette «orizzontali», la politica strutturale promuove così azioni per il mantenimento dello spazio rurale, la salvaguardia dell'ambiente e lo sviluppo delle infrastrutture rurali e turistiche, come anche delle attività agricole. |
3.3 |
Sulla base della conferenza di Cork l'Agenda 2000 ha istituito una politica integrata di sviluppo rurale mediante due strumenti giuridici (FEAOG-Garanzia e FEAOG-Orientamento), che ricercano una maggiore coerenza fra la politica di sviluppo rurale (2o pilastro della PAC) e la politica dei mercati (il 1o pilastro della PAC) promuovendo in particolare la diversificazione dell'economia rurale. |
3.4 |
È stato inoltre introdotto il meccanismo opzionale della modulazione degli aiuti diretti, che consente di accrescere i finanziamenti per le misure agroambientali, quelle relative ai prepensionamenti, quelle per l'imboschimento e quelle destinate alle zone svantaggiate mediante un prelievo sugli aiuti compensativi dei cali dei prezzi istituzionali decisi nelle organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli. |
3.5 |
Il regolamento (CE) n. 1257/1999 (11) sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) poggia sui seguenti criteri:
|
3.6 |
La serie di 22 misure che gli Stati membri possono includere nella loro programmazione in materia di sviluppo rurale è ripartita come segue nella programmazione 2000-2006 (12): 39,2 % per il miglioramento della competitività e l'adeguamento dell'agricoltura, 35 % per le zone svantaggiate e le misure agroambientali e 25 % per l'adeguamento e lo sviluppo delle zone rurali. |
3.7 |
La riforma della PAC, adottata nel giugno 2003, ha rafforzato una delle funzioni della politica dello sviluppo rurale, quella, cioè, di accompagnare l'adeguamento dell'agricoltura alle esigenze della società. La portata dei provvedimenti è stata estesa alla promozione della qualità dei prodotti, al miglioramento degli standard di produzione (ambiente, benessere degli animali), all'attuazione di Natura 2000 e al rafforzamento delle misure a favore dell'insediamento dei giovani agricoltori. |
3.8 |
Inoltre, il meccanismo della modulazione è ormai obbligatorio a livello europeo e dovrebbe equivalere ad un trasferimento finanziario di circa 1,2 miliardi di euro (su un anno intero) dagli stanziamenti destinati alla politica dei mercati a quelli riservati alla politica per lo sviluppo rurale. |
3.9 |
In merito a tale evoluzione il Comitato fa presente che il 2o pilastro della PAC deve per prima cosa perseguire l'obiettivo di «accompagnare» l'agricoltura nel suo adeguamento per rispondere all'evolvere strutturale delle aspettative dei cittadini. |
3.10 |
La comunicazione della Commissione sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 presenta un bilancio stabile e modesto, optando per un livello delle risorse proprie dell'Unione europea corrispondente all'1,24 % del PNL. Il Comitato appoggia la proposta della Commissione e fa presente che un calo delle risorse comunitarie costituirebbe un segnale negativo al momento dell'effettivo allargamento dell'Unione europea. |
3.11 |
Questa constatazione vale anche per la politica dello sviluppo rurale. In effetti, l'unica risorsa «supplementare» per questa politica consisterebbe nell'applicare la cosiddetta «modulazione», che in pratica significa permettere unicamente un trasferimento finanziario fra il 1o e il 2o pilastro della PAC. Per tali motivi il Comitato sollecita il Consiglio e il Parlamento europeo ad adoperarsi per dotare questa politica di fondi adeguati evitando di vanificarla. |
3.12 |
Infine, la futura politica per lo sviluppo rurale verrà attuata da una nuova Commissione che dovrebbe comporsi di 25 commissari. Ora, se si lasciasse che i due pilastri della PAC vengano gestiti da due diversi commissari si rischierebbe in concreto una scarsa coerenza fra le due politiche. Il Comitato tiene dunque a sottolineare che è contrario a qualsiasi progetto d'istituire direzioni generali distinte e di nominare commissari diversi per i problemi agricoli e lo sviluppo rurale. |
4. Il ruolo della multifunzionalità dell'agricoltura nella politica dello sviluppo rurale
4.1 |
Nei suoi precedenti pareri (13) il Comitato ha già fatto presente che per loro stessa natura i mercati agricoli sono caratterizzati da instabilità e da variazioni dei prezzi. Per questo motivo i meccanismi di regolazione dell'offerta e del mercato sono indispensabili per assicurare che le aziende agricole possano soddisfare alle condizioni di una produzione agricola sostenibile. Il Comitato fa altresì presente che mantenendo una politica a favore della regolazione dei mercati dei prodotti agricoli si contribuisce anche al successo di una politica per lo sviluppo delle zone rurali. |
4.2 |
D'altro canto, il collegamento fra l'atto «produttivo» e il sostegno pubblico all'agricoltura è stato soppresso con l'ultima riforma della PAC del 26 giugno 2003. Quest'evoluzione rafforza la necessità di una prospettiva di sviluppo economico delle attività agricole per tener meglio conto delle nuove esigenze, come la biodiversità, la manutenzione di paesaggi specifici o la creazione di posti di lavoro da parte di questo settore. Il Comitato desidera pertanto rammentare che l'attività agricola è la condizione sine qua non per la vitalità delle campagne, poiché consente di sviluppare il legame diretto fra le attività umane e il loro territorio. |
4.2.1 |
Il radicamento territoriale dei sistemi di produzione, i sistemi per valorizzare le produzioni agricole, segnatamente mediante le Denominazione d'origine protetta (DOP) e le Indicazioni geografiche protette (IGP), e la vendita diretta sono alcuni degli aspetti della multifunzionalità dell'agricoltura a favore dello sviluppo rurale. |
4.3 |
In un'Unione composta di 25 Stati membri l'agricoltura rappresenterà oltre 13 milioni di posti di lavoro diretti e oltre 5 milioni di posti di lavoro indiretti nei settori a monte e a valle dell'agricoltura. Questi posti di lavoro hanno per loro stessa natura un forte radicamento territoriale e l'evoluzione degli scambi comunitari verso una quota sempre più preponderante dei prodotti agroalimentari trasformati rafforza il legame fra attività agricola e settore agroalimentare. Occorre quindi dare la priorità al mantenimento e alla distribuzione delle attività agricole nelle zone rurali, altrimenti si avrebbe un freno all'integrazione delle zone rurali nell'economia regionale. |
4.4 |
Le attività agricole interesseranno il 45 % del territorio europeo, per una superficie pari a 190 a milioni di ettari (UE a 27). Nel 2001 oltre il 10 % della Superficie agricola utile (SAU) era interessata da misure agroambientali. Il 15 % delle zone classificate secondo la direttiva sulla «protezione degli habitat e degli uccelli» sono agricole, e il 38 % dei terreni agricoli dell'UE a 15 sono stati dichiarati «vulnerabili ai nitrati». Si tratta di misure che rispondono agli obiettivi locali di manutenzione dell'ambiente e/o di assetto del territorio. Ovviamente, l'attività agricola avrà sempre un ruolo di primo piano nella gestione dei territori. |
4.5 |
Il Comitato tiene a rammentare che gli aspetti multifunzionali dell'agricoltura concorrono per vari aspetti a mantenere vitali le campagne. La Commissione e il Consiglio dovranno far presente questo argomento ogniqualvolta presenteranno un nuovo orientamento per la politica di sviluppo rurale. |
4.6 |
Pur appoggiando le conclusioni della conferenza di Salisburgo sulla diversificazione dell'economia rurale, il Comitato sottolinea l'opportunità di evitare l'errore di una «riurbanizzazione delle campagne», ossia di applicare alle zone rurali le stesse azioni di sviluppo previste per le zone urbane. In proposito il Comitato sta preparando un parere d'iniziativa sull'agricoltura periurbana (14). Per tale ragione l'obiettivo «diversificazione dell'economia rurale» nel quadro della politica per lo sviluppo rurale dovrebbe concentrarsi su alcune tematiche strettamente legate all'agricoltura, in particolare i servizi alla popolazione agricola diretti a migliorarne le condizioni di vita, lo sviluppo dell'agriturismo e il sostegno alla pluriattività basato su un'attività agricola. |
5. Le specificità e i limiti della politica per lo sviluppo rurale
5.1 |
Le conclusioni della Terza relazione sulla coesione evidenziano come le persistenti disparità fra le regioni per quanto riguarda la produzione sostenibile, la produttività e la creazione di posti di lavoro siano imputabili a carenze strutturali riguardanti i principali fattori della competitività. Il Comitato fa presente che per contribuire ad un effettivo sviluppo strutturale delle zone rurali la politica di sviluppo rurale dovrà essere attenta anche a questi fattori. |
5.2 |
L'allargamento dell'Unione europea accentua i problemi dello sviluppo economico delle zone rurali a causa della notevole presenza di una «disoccupazione occulta» nei nuovi Stati membri. Il Comitato propone che i temi comuni alla politica regionale e allo sviluppo rurale vengano precisati nel quadro di un nuovo regolamento sui fondi strutturali e che il numero delle misure che potranno essere finanziate mediante l'una o l'altra di tali politiche venga limitato in modo da garantire maggiore chiarezza. |
5.3 |
Pur non potendo garantire da sola lo sviluppo delle zone rurali, l'agricoltura costituisce un settore d'attività indispensabile per il successo di qualsiasi politica di sviluppo rurale. Il radicamento territoriale dei posti di lavoro diretti e indiretti e la vastità dello spazio interessato comportano la priorità di misure di accompagnamento dell'agricoltura nel suo adattamento all'evolvere delle aspettative dei cittadini. Inoltre, sia il 1o che il 2o pilastro della PAC contribuiscono al conseguimento degli obiettivi dello sviluppo rurale mantenendo o rafforzando le attività agricole. |
5.4 |
L'allargamento dell'Unione europea presenta anche notevoli difficoltà per l'avvenire della PAC. Il Comitato fa presente che gli scambi di esperienze e i trasferimenti di metodi dovrebbero costituire un elemento importante anche per le condizioni relative all'attuazione del 2o pilastro della PAC nel prossimo periodo. |
5.5 |
Il Comitato desidera far presente che le regioni scarsamente popolate, come ad esempio le isole, i territori artici e le zone di montagna, dati i loro handicap naturali permanenti, rientrano sempre nell'obiettivo della realizzazione del mercato unico. Nelle loro modalità di attuazione la politica regionale e la politica per lo sviluppo rurale devono considerare questo aspetto, in particolare proponendo un tasso di cofinanziamento superiore in modo da tener conto di tali difficoltà. Il Comitato sta inoltre predisponendo un parere d'iniziativa dedicato in particolare ai sistemi per consentire una migliore integrazione nell'economia regionale delle zone caratterizzate da handicap naturali. |
5.6 |
Infine, il Comitato sottolinea che la politica per lo sviluppo rurale e la politica regionale non costituiscono le uniche leve a disposizione dei pubblici poteri per favorire uno sviluppo armonioso del territorio nell'Unione europea. Il Comitato fa presente che alla realizzazione dell'obiettivo della coesione territoriale si contribuisce anche fornendo servizi pubblici che tengano ben conto delle esigenze delle popolazioni locali. |
B. DEFINIRE MEGLIO LE PROPOSTE PER AFFINARE LE MISURE
6. Le misure decise nel quadro del compromesso di Lussemburgo del 26 giugno 2003
6.1 |
La riforma della PAC intervenuta nel giugno 2003 ha evidenziato il nesso più stretto che intercorre fra il 2o pilastro della PAC, relativo allo sviluppo rurale, e l'adeguamento del 1o pilastro. Alle attuali 22 misure d'accompagnamento del 1o pilastro della PAC se ne sono dunque aggiunte alcune nuove, portandone il numero complessivo a 26. |
6.1.1 |
Sono stati adottati due nuovi provvedimenti a favore della qualità dei prodotti alimentari (partecipazione volontaria a un programma nazionale di marchi di qualità riconosciuti e ad azioni di promozione e informazione su questi prodotti nei confronti dei consumatori). Le due altre nuove misure riguardano l'adeguamento delle tecniche di produzione agli standard europei relativi all'ambiente, al benessere degli animali e alla salute delle piante e degli animali. |
6.1.2 |
Inoltre, sono state adeguate numerose misure preesistenti: riguardano le questioni del benessere degli animali da tener presenti nel quadro delle misure agroambientali, un rafforzamento del sostegno pubblico all'insediamento dei giovani agricoltori, aiuti per l'attuazione della direttiva «Habitat e uccelli» e il finanziamento d'investimenti forestali nel quadro delle foreste gestite secondo criteri ambientali e sociali. |
6.2 |
Circa i nuovi Stati membri, per il periodo 2004-2006 è stato adottato un programma di sviluppo rurale temporaneo il quale finanzierà, oltre alle quattro nuove misure d'accompagnamento: l'aiuto alle associazioni degli agricoltori, un sostegno alle aziende di semi-sussistenza, l'assistenza tecnica e un complemento agli aiuti diretti del 1o pilastro della PAC. |
7. Nuove piste d'azione per i 3 obiettivi delineati a Salisburgo
7.1 |
Dati il completamento del mercato unico e la progressiva apertura del mercato interno ad economie agricole che beneficiano di vantaggi comparativi naturali o di norme meno rigorose in materia d'ambiente, permane indispensabile migliorare la competitività del modello agricolo europeo. |
7.2 |
Il Comitato afferma dunque che l'obiettivo consistente negli «aiuti agli investimenti nelle aziende agricole» nel quadro della politica di sviluppo rurale andrebbe costantemente potenziato. Gli investimenti che consentono alle aziende agricole di tener conto sia dei vincoli ambientali che dell'esigenza di migliorare il benessere degli animali e le condizioni di lavoro andrebbero sostenuti, tanto più se contribuiscono a consolidare l'attività agricola di una determinata zona. |
7.3 |
Il Comitato insiste sulla necessità di prorogare l'attuazione della misura «Consulenza agricola», che consente un sostegno all'adeguamento ai nuovi standard di produzione. In effetti, nei nuovi Stati membri essa potrà essere attuata efficacemente solo a partire dal 2006, mentre la condizionalità sarà applicata a partire dal 2005. |
7.4 |
L'indebolimento degli strumenti di regolazione dei mercati dei prodotti agricoli, i cambiamenti climatici e le misure conseguenti alle crisi sanitarie evidenziano da alcuni anni l'importanza di tenere sotto controllo il fatturato delle aziende agricole. Nel quadro della riforma della PAC decisa a Lussemburgo nel 2003 la Commissione ha previsto di studiare in una relazione la possibilità che una percentuale della modulazione possa essere utilizzata a livello nazionale per misure specifiche congegnate per far fronte ai rischi, alle crisi e alle catastrofi naturali. Il Comitato rammenta che la Commissione deve render nota tale relazione entro la fine del 2004 e studiare anche orientamenti, a livello sia nazionale che comunitario, per la messa a punto dei sistemi di assicurazione agricola. Esso chiede di analizzare eventualmente il contributo del 2o pilastro della PAC come strumento d'accompagnamento. |
7.5 |
La futura politica per lo sviluppo rurale dovrebbe confermare, come secondo obiettivo da perseguire, la protezione dell'ambiente e la gestione dello spazio, avvalendosi, come principale strumento, delle misure agroambientali e della compensazione degli handicap naturali, operando sulla base di criteri comuni per assicurare il mantenimento dell'equilibrio territoriale. |
7.6 |
La riforma della PAC ha introdotto il principio della condizionalità degli aiuti diretti all'agricoltura al rispetto della legislazione comunitaria (19 fra direttive e regolamenti) riguardante l'ambiente, la salute pubblica, degli animali e dei vegetali e il benessere degli animali. Il Comitato fa presente che questo nuovo aspetto del 1o pilastro della PAC non deve essere confuso con le misure agroambientali. Queste ultime non rispondono ad una logica regolamentare ma sostengono azioni volontarie e partecipative degli agricoltori allo scopo di applicare metodi di produzione agricola studiati per proteggere l'ambiente e preservare lo spazio naturale. |
7.7 |
Il Comitato sottolinea che le disposizioni amministrative per l'attuazione delle misure agroambientali andrebbero semplificate. Gli obiettivi di queste misure andrebbero pertanto definiti tenendo presente il principio della sussidiarietà. Il Comitato si chiede anche se sia necessario estendere ulteriormente il campo di questi provvedimenti ad altre problematiche ambientali, visto che il bilancio comunitario rimane invariato. Occorrerebbe tuttavia puntare soprattutto sulle misure agroambientali che privilegiano la diversità dei sistemi di produzione agricola per preservare l'equilibrio degli agrosistemi. |
7.7.1 |
Alla luce della dichiarazione del vertice di Göteborg, le misure agroambientali andrebbero rese obbligatorie in ciascuno dei programmi nazionali. |
7.7.2 |
Il Comitato fa presente che Natura 2000 non andrebbe finanziata a scapito delle misure in atto. Auspica pertanto che la Commissione identifichi nuovi finanziamenti per compensare i costi derivanti dall'applicazione della direttiva «Habitat e uccelli». |
7.8 |
Il terzo obiettivo della futura politica di sviluppo rurale dovrebbe incentrarsi sulla diversificazione dell'economia rurale, in rapporto all'attività agricola, per contribuire al mantenimento della popolazione nelle zone rurali. |
7.9 |
Nella Terza relazione sulla coesione la Commissione fa presente come tre tipi di azioni, ossia quelle riguardanti il turismo, l'artigianato e il patrimonio rurale, dovrebbero rientrare nell'ambito comune della politica regionale e della politica di sviluppo rurale. Il Comitato auspica vivamente che quest'equilibrio venga mantenuto. Apparentemente le infrastrutture rurali non dovrebbero più essere finanziate dai fondi strutturali: per parte sua il Comitato si dichiara contrario ad un eventuale trasferimento dell'onere di questo tipo d'investimenti dalla politica regionale alla politica di sviluppo rurale. |
7.10 |
Inoltre, il Comitato propone che, vista l'evoluzione della politica regionale, le azioni per il rinnovo o la valorizzazione del patrimonio rurale non rientranti in un progetto propriamente agrituristico non beneficino più delle misure previste nel quadro della politica di sviluppo rurale. |
7.11 |
Infine, il Comitato propone che l'obiettivo «economia rurale» inglobi un certo numero di servizi atti a migliorare la qualità della vita della popolazione agricola (ad esempio i servizi di sostituzione degli agricoltori). |
C. MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DI GESTIONE DELLA POLITICA PER LO SVILUPPO RURALE
8. |
Il lavoro per migliorare le condizioni della gestione deve puntare anzitutto alla continuità della programmazione dei piani di sviluppo rurale. Il Comitato appoggia pertanto la Commissione nel suo sforzo di mettere a punto la nuova politica di sviluppo rurale onde limitare i «tempi di latenza» fra due periodi di programmazione. |
8.1 |
Le difficoltà incontrate in taluni Stati membri nell'attuazione della politica di sviluppo rurale sul piano amministrativo mostrano come l'intervento di più strumenti finanziari caratterizzati da regole diverse possa ostacolare una maggiore chiarezza dell'intervento pubblico. Ad esempio, il previsto raggruppamento delle azioni a favore dello sviluppo rurale in un medesimo regolamento, che stando agli intenti doveva costituire un passo avanti, non ha impedito ai suoi «beneficiari» di considerarlo come una fonte di complessità amministrativa supplementare. |
8.2 |
Semplificare la programmazione implica arrivare ad un unico fondo responsabile della gestione delle iniziative per lo sviluppo rurale. Tuttavia, il Comitato fa presente che le modalità di gestione di questo fondo unico devono essere compatibili con i fondi strutturali. |
8.3 |
L'articolazione della futura politica per lo sviluppo rurale in tre obiettivi (competitività dell'agricoltura, gestione dello spazio e diversificazione dell'economia rurale) andrebbe tenuta presente anche elaborando il prossimo regolamento sullo sviluppo rurale. Questo potrebbe precisare i principi d'intervento, i tre obiettivi ed elencare i possibili tipi d'azione (aiuto agli investimenti, prestiti agevolati, aiuto pubblico pluriennale condizionato da determinate specifiche, assistenza tecnica, ingegneria finanziaria,...). Per le modalità di attuazione di ciascuna delle misure prescelte andrebbe applicato il principio della sussidiarietà nazionale. Il Comitato sottolinea che la gestione di un'unica decisione per Stato membro attraverso un documento strategico avrebbe il merito di definire un quadro comunitario fisso per il periodo di programmazione. |
8.4 |
L'attuale processo di adozione delle modifiche alle misure in comitato STAR (Comitato per le strutture agricole e lo sviluppo rurale) è poco flessibile in quanto la procedura di valutazione ex ante permane troppo lunga. Il Comitato propone che la nuova procedura da attuare s'ispiri a quella della convalida degli aiuti di Stato. In pratica, quando il piano per lo sviluppo rurale viene adottato all'inizio della programmazione, le modifiche per l'intervento delle misure potrebbero essere sottoposte alla Commissione per l'esame di legittimità (valutazione ex post). |
8.5 |
Per la convalida dei programmi operativi dovrebbe essere applicabile la sussidiarietà nazionale o infranazionale, a seconda dell'organizzazione degli Stati membri. La Commissione avrebbe dunque la responsabilità di evitare qualsiasi distorsione della concorrenza mediante azioni intese a verificare la legittimità delle modalità d'intervento e sincerarsi della coerenza con i fondi strutturali. Il Comitato fa altresì presente che, grazie all'esperienza acquisita, la Commissione potrebbe «accompagnare» il trasferimento dell'esperienza nel quadro dell'assistenza tecnica, specie per i nuovi Stati membri. |
8.6 |
Il Comitato auspica che si diminuisca il numero delle tappe per la convalida dei programmi delimitando la responsabilità dei singoli livelli decisionali: Commissione, Stati membri ed enti territoriali. |
8.7 |
Con la scelta di un fondo unico per le azioni rientranti nella politica per lo sviluppo rurale si vuole semplificare anche la gestione finanziaria. Questo nuovo fondo dovrebbe ispirarsi alle principali caratteristiche dei fondi strutturali, ossia:
|
8.8 |
Il principio di semplificare la gestione della politica per lo sviluppo regionale vale anche per l'aspetto dei controlli. Il Comitato appoggia gli orientamenti presentati dalla Commissione nel quadro della terza relazione sulla coesione, e in particolare quello della proporzionalità dei compiti di controllo: al di sotto di una certa soglia, per i programmi contemplati lo Stato membro interessato potrebbe optare per l'applicazione del proprio sistema di controllo nazionale. Il Comitato sottolinea che questi orientamenti dovrebbero essere applicabili alla gestione della politica di sviluppo rurale nella misura in cui assicurano controlli di pari efficacia, e quindi il corretto impiego dei fondi comunitari. |
8.9 |
La riserva di efficacia istituita per i fondi strutturali nel quadro dell'Agenda 2000 è intesa più che altro come una misura di «frustrazione», a causa delle incognite dell'attuazione dei programmi sul piano amministrativo. Per di più, la sua assegnazione in funzione del solo criterio basato sull'utilizzo degli stanziamenti potrebbe avere incidenze negative, inducendo prima ad una programmazione rapida, e poi ad un controllo rigoroso sull'esecuzione di tali operazioni, e tutto ciò non risponde alla filosofia di un programma pluriennale. Per questa ragione, il Comitato fa presente che il principio della riserva di efficacia non dovrebbe essere applicato alla futura politica per lo sviluppo rurale. |
8.10 |
La questione del partenariato risponde anche ad una logica di semplificazione nell'attuazione degli stessi programmi. Analogamente a quanto avviene nel quadro della politica regionale, il Comitato auspica che ciascuno Stato membro si adoperi per organizzare cooperazioni non solo fra i diversi livelli amministrativi, ma anche con le parti sociali e i rappresentanti della società civile organizzata, dalla fase di progettazione a quella di attuazione, sino a quella di monitoraggio e seguito dei programmi. |
8.11 |
Da quando è stato varata, nel 1989, l'iniziativa Leader deve il suo successo anche all'importanza centrale assegnata alla ricerca di nuovi indirizzi per lo sviluppo delle zone rurali. Inoltre, l'attuale fase di programmazione ha evidenziato l'effetto moltiplicatore degli scambi di esperienze agevolando i partenariati fra raggruppamenti locali d'azione appartenenti a Stati membri diversi. Il Comitato sottolinea che l'iniziativa Leader dovrebbe continuare ad assolvere una funzione di accompagnamento delle iniziative locali studiando nuovi indirizzi di sviluppo per le zone rurali, in particolare attraverso una determinata linea del bilancio assegnato alla politica di sviluppo rurale: i modi per anticipare le esigenze di formazione continua su un territorio, la ricerca di nuovi sbocchi per i prodotti agricoli, lo sviluppo di sinergie fra attori economici nell'ambito di una medesima zona sono tutti aspetti che potranno schiudere nuove prospettive per la politica dello sviluppo rurale. Il Comitato appoggia pertanto il proseguimento dell'iniziativa Leader nel quadro della politica di sviluppo allo scopo di ricercare soluzioni innovatrici per lo sviluppo delle zone rurali. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Fatta salva l'approvazione dell'assemblea plenaria.
Conferenza europea sullo sviluppo rurale, Cork (Irlanda), 7-9 novembre 1996,
(2) http://www.europa.eu.int/comm/agriculture/rur/cork_fr.htm (il sito è disponibile in francese, inglese o tedesco).
(3) COM(2004) 101.
(4) COM(2004) 107 (non disponibile in italiano).
Consiglio europeo di Goteborg, 15-16 giugno 2001;
(5) http://europa.eu.int/comm/gothenburg_council/sustainable_fr.htm (il sito è disponibile in francese e inglese).
(6) Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Göteborg, 15 e 16 giugno 2001, punto 31. Documento n. 200/1/01.
(7) 251a sessione del Consiglio Agricoltura e pesca, Lussemburgo, 11, 12, 17, 18, 19, 25 e 26 giugno 2003; 10272/03 (Stampa 164), pag. 7, punto 3.
Potsdam, maggio 1999;
(8) http://europa.eu.int/comm/regional_policy/sources/docoffic/official/reports/som_fr.htm (il sito è disponibile in francese, inglese o tedesco).
Articolo 3: Obiettivi dell'Unione: par. 3, terzo comma: «3. L'Unione […] promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà fra gli Stati membri».
(9) http://europa.eu.int/futurum/constitution/part1/title1/index_fr.htm#Article3
(10) Regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 recante disposizioni generali sui fondi strutturali.
(11) Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti; GU L 160 del 26.6.1999, pagg. 80-102.
(12) Fact Sheet «Riforma della PAC: Sviluppo rurale nell'Unione europea», pag. 9: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali dell'Unione europea, 2003.
«Una politica per il consolidamento del modello agricolo europeo», CESE 953/99, GU C 368 del 20.12.1999, pagg. 76-86
(13) «Il futuro della PAC», CESE 362/2002, GU C 125 del 27.5.2002, pagg. 87-99
(14) «L'agricoltura periurbana»: progetto di parere CESE 1324/2003 (adozione durante la sessione plenaria del settembre 2004)
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/60 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Terzo rapporto sulla coesione economica e sociale - Un nuovo partenariato per la coesione: convergenza, competitività e cooperazione
(COM(2004) 107 def.)
(2004/C 302/14)
La Commissione europea, in data 8 dicembre 2003 ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Terzo rapporto sulla coesione economica e sociale - Un nuovo partenariato per la coesione: convergenza, competitività e cooperazione.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere in data 8 giugno 2004 sulla base del progetto predisposto del relatore BARROS VALE.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli e 5 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Il terzo rapporto sulla coesione economica e sociale intitolato «Un nuovo partenariato per la coesione – Convergenza, competitività, cooperazione» fa un bilancio della politica di coesione nell'Unione europea (UE), analizzando in particolare i progressi effettuati in campo economico, sociale e territoriale e valutando le prospettive future. |
1.2 |
Il documento, contenente una sintesi del rapporto e una proposta di riforma della politica di coesione sotto forma di conclusioni, è suddiviso in quattro parti fondamentali.
|
1.3 |
Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con grande soddisfazione i risultati conseguiti negli ultimi anni in quella che è una delle politiche fondamentali dell'Unione europea e ritiene che le proposte contenute nel rapporto corrispondano agli obiettivi difesi dal CESE nei documenti adottati nel corso degli anni. |
1.3.1 |
A tale proposito, il CESE è lieto che la Commissione non abbia accolto alcune proposte volte a rinazionalizzare la politica di coesione. |
1.4 |
Per la complessità e la diversità degli aspetti contenuti nel rapporto, e al fine di consentire una visione migliore del problema, si è scelto di strutturare il presente parere seguendo la formula adottata nel documento della Commissione, presentando alla fine una valutazione degli sviluppi registrati e un'analisi delle prospettive future. |
2. I PARTE – Coesione, competitività, occupazione e crescita – situazione e tendenze
2.1 |
Sulla base di diversi risultati statistici, il rapporto esamina lo stato della coesione in Europa dal punto di vista economico, sociale e territoriale, in particolare per quanto riguarda gli effetti positivi sulla convergenza. |
2.2 |
Il documento analizza in maniera abbastanza dettagliata i progressi dei «paesi della coesione» in materia di convergenza reale, prendendo come riferimento dati relativi al 2001 (anche se alcuni dati riguardano il 2002), e traccia alcune prospettive. Il documento analizza anche lo stato della coesione nell'Europa allargata. |
2.3 |
Questa parte del rapporto esamina pertanto la crescita del PIL e dell'occupazione nei paesi della coesione nel corso degli anni recenti rispetto al resto dell'UE nonché l'evoluzione delle disparità tra le regioni nell'Europa dei 15 negli ultimi dieci anni, soffermandosi in particolare sulle regioni dell'Obiettivo 1. Il rapporto analizza inoltre lo sviluppo economico dei nuovi Stati membri negli ultimi anni, illustrando le differenze nei risultati da essi ottenuti e ricordando che, per avvicinarsi al livello di reddito medio dell'UE, tali paesi devono registrare tassi di crescita elevati durante un periodo di tempo prolungato. |
2.4 |
Altri aspetti evidenziati in questa parte del rapporto sono l'invecchiamento della popolazione europea, i fattori che determinano la competitività, la crescita e l'occupazione, l'innovazione e la conoscenza, e infine la protezione dell'ambiente nell'ambito degli obiettivi di Göteborg. |
2.5 Aspetti di carattere generale
2.5.1 |
Negli ultimi dieci anni, in particolare nella seconda metà degli anni '90, la coesione nazionale e regionale ha registrato notevoli progressi, essendo diminuite le disparità tra i paesi e tra le regioni dell'UE. Tuttavia, il processo di coesione tra Stati membri è stato più marcato che quello tra regioni. |
2.5.2 |
Nonostante il contributo positivo dei fondi strutturali e i progressi raggiunti, persistono tuttora importanti differenze relative in termini di prosperità e risultati economici, differenze che rispecchiano le debolezze strutturali di alcuni paesi e regioni. |
2.5.3 |
Persistono inoltre diversi problemi per quanto concerne la competitività delle regioni svantaggiate. Alcune regioni europee sono ancora troppo isolate, vi scarseggiano manodopera e investimenti e mancano i mezzi per accedere alla società dell'informazione. |
2.5.4 |
In materia di coesione sociale e di occupazione, i progressi sembrano essere stati di minore entità. |
2.5.4.1 |
La disoccupazione di lunga durata, ad esempio, appare inelastica. |
2.5.4.2 |
Nel 2001, una crescita modesta dell'occupazione nell'Unione europea a 15 ha contribuito, insieme ad una diminuzione dell'occupazione nei paesi candidati negli ultimi anni, ad accentuare ulteriormente le disparità regionali. |
2.5.4.3 |
La crescita naturale della popolazione è diminuita in varie regioni d'Europa e si prevede una sua ulteriore diminuzione nei prossimi anni (le proiezioni demografiche tendono a segnalare un calo nei diversi Stati membri e nei nuovi paesi, con talune eccezioni). |
2.5.4.4 |
Più importante, dal punto di vista dell'occupazione, è il fatto che la diminuzione della popolazione in età da lavoro è più rapida del declino della popolazione totale. Le proiezioni per il 2025 indicano che, nell'UE a 15 gli ultracinquantenni costituiranno il 35 % della popolazione in età da lavoro, contro il 26 % del 2000. A questo si affiancherà un aumento costante della proporzione di persone di età superiore ai 65 anni. |
2.5.4.5 |
I dati indicano un aumento del tasso di dipendenza delle persone anziane. Nell'Europa a 15, le persone di 65 anni o più rappresentano attualmente quasi il 25 % della popolazione in età lavorativa, vale a dire che per ogni persona che ha raggiunto l'età di pensionamento vi sono quattro persone di età compresa tra i 15 e i 65 anni. Nel 2025 questa percentuale passerà al 36 %, vale a dire meno di tre persone in età lavorativa per ogni persona in età di pensionamento. Nei nuovi Stati membri, il rapporto passerà da un tasso inferiore al 20 % ad uno superiore al 30 %. |
2.5.4.6 |
Il rapporto tuttavia richiama l'attenzione sul fatto che i dati di cui sopra non dicono quante persone in età lavorativa lavoreranno per mantenere le persone con 65 anni e oltre (nel 2002 era occupato solo il 64 % della popolazione in età lavorativa nell'UE a 15, percentuale che era del 56 % nei paesi candidati, con grandi differenze tra paesi e regioni). |
2.5.5 |
Il rapporto avverte che le disparità tra paesi e regioni dell'Unione europea, vuoi a livello di reddito, vuoi a livello occupazionale, aumenteranno ulteriormente con l'adesione dei nuovi Stati membri nel maggio 2004. Questi paesi hanno registrato elevati tassi di crescita, ma presentano ancora un basso livello del PIL pro capite e, in numerosi casi, dell'occupazione rispetto alla media dell'UE a 15. |
2.5.6 |
Data la crescente interdipendenza in termini di scambi e investimenti, lo sviluppo economico dei nuovi Stati membri potrà sostenere elevati tassi di crescita in tutta l'UE, i cui vantaggi si faranno sentire più particolarmente in Germania e in Italia. |
2.5.7 |
In seguito all'allargamento, gli Stati membri possono essere divisi in tre gruppi in funzione del PIL pro capite espresso in SPA (standard di potere d'acquisto):
|
2.5.8 |
Nella sezione dedicata alla coesione territoriale, si riconosce che la cooperazione tra le regioni, nelle sue dimensioni transfrontaliera, transnazionale e interregionale, si è rivelata importante nella promozione di uno sviluppo equilibrato del territorio comunitario. |
2.5.9 |
Per quanto concerne i fattori che determinano la crescita e la competitività, il rapporto afferma che le asimmetrie regionali persistono:
|
2.5.9.1 |
Nei nuovi Stati membri e nei paesi candidati, le spese in R e S in relazione al PIL sono meno elevate rispetto alla grande maggioranza dei paesi dell'UE a 15 ma di poco inferiori rispetto a quello delle regioni dell'Obiettivo 1. |
2.5.9.2 |
Come nell'UE a 15, anche nei paesi dell'allargamento si nota una concentrazione relativa delle spese in R e S nelle regioni più prospere. |
2.5.9.3 |
Persistono inoltre disparità regionali in termini di accesso alle Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (TIC). |
2.5.10 |
Il rapporto sottolinea la necessità di fissare determinate condizioni al fine di conseguire uno sviluppo regionale sostenibile nonché di portare avanti le strategie di promozione dell'occupazione. A livello nazionale, mette in risalto l'esigenza di garantire un ambiente macroeconomico che favorisca la stabilità e la crescita e un sistema fiscale e normativo incentivante per le imprese. A livello regionale, il rapporto indica la necessità di disporre di infrastrutture di base e di una manodopera qualificata, soprattutto nelle regioni dell'Obiettivo 1 e nei nuovi Stati membri, in cui persistono gravi lacune in entrambi i settori; il rapporto essenzialmente segnala la necessità che nelle regioni si crei quell'insieme di condizioni più direttamente collegate con le componenti immateriali della competitività, ad esempio l'innovazione, la R e S e l'uso delle TIC, al fine di conseguire gli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona. |
2.5.11 |
Il rapporto segnala infine l'esistenza di sostanziali disparità tra gli Stati membri e tra le regioni in materia di protezione dell'ambiente, tenendo conto della realizzazione degli obiettivi di Göteburg. |
2.6 I Paesi della coesione
2.6.1 |
L'analisi particolareggiata della convergenza in termini di PIL pro capite, occupazione e produttività nei paesi della coesione rivela che tali paesi continuano a recuperare i rispettivi ritardi, avendo registrato nel periodo 1994-2001 una crescita superiore alla media dell'UE. Viene sottolineato il caso dell'Irlanda in quanto dimostrazione effettiva del contributo positivo dei fondi strutturali quando si combinano con politiche nazionali orientate alla crescita. |
2.6.2 |
Il rapporto richiama l'attenzione sul significativo rallentamento della crescita economica nell'UE registrato dalla data di pubblicazione dell'ultimo rapporto. Questo ha inciso inevitabilmente sulla coesione, non solo perché ha portato ad un aumento della disoccupazione ma anche perché ha creato un clima sfavorevole ad una riduzione costante delle disparità regionali in termini di PIL e di occupazione. |
2.6.3 |
Il rallentamento della crescita economica nell'UE ha colpito praticamente tutti gli Stati membri dell'UE. Tra i paesi della coesione, il Portogallo sembra essere stato quello maggiormente colpito. Nel rapporto si dice addirittura che, sulla base dei dati relativi al 2001 e se le previsioni per il 2004 trovano conferma, il Portogallo potrebbe invertire la sua traiettoria di convergenza con la media UE. |
2.6.4 |
Il rapporto indica che fino al 2001, le disparità di reddito (PIL pro capite) tra le regioni più povere (quelle che sono state l'obiettivo principale della politica di coesione) e le altre regioni si sono ridotte. Tuttavia, non è possibile affermare cosa sia successo dal 2001, dato che da quel momento i dati suddivisi per regione non sono più disponibili. |
2.7 I nuovi Stati membri e i paesi candidati
2.7.1 |
Le disparità tra i PIL pro capite delle regioni dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati sono aumentate. Nella Repubblica ceca e in Slovacchia, il 20 % della popolazione che vive nelle regioni più ricche gode di un reddito pro capite due volte superiore al 20 % della popolazione che vive nelle regioni più povere. |
2.7.2 |
Il rapporto indica che, per avvicinare il livello di reddito di tali paesi a quello del reddito medio dell'UE a 15, è necessario raggiungere elevati tassi di crescita durante un periodo di tempo prolungato. La Commissione mette in evidenza che la crescita di questi paesi contribuirà alla crescita di tutta l'UE e permetterà di ridurre la disoccupazione e di potenziare la coesione sociale. |
2.7.3 |
Dal 2001, si registra un rallentamento della crescita economica nei nuovi Stati membri e nei paesi candidati dovuto in parte ad una riduzione della crescita nell'UE, il loro principale mercato di esportazione; ciò a sua volta ha portato ad una diminuzione dei posti di lavoro in tali paesi. |
2.7.4 |
Nel 2002, il tasso medio di occupazione nei 10 paesi allora candidati era del 56 %, assai più basso della media dell'UE a 15, che era pari a circa il 64 %. In tutti i nuovi Stati membri e nei paesi candidati, ad eccezione di Cipro, il tasso di occupazione è inferiore agli obiettivi fissati per l'Europa nella strategia di Lisbona (67 % nel 2005 e 70 % nel 2010). |
2.8 L'allargamento
2.8.1 |
L'allargamento farà aumentare le disparità tra gli Stati membri più ricchi e quelli più poveri. Nonostante i nuovi Stati membri abbiano recentemente registrato una crescita più rapida rispetto all'UE a 15, il divario in termini di PIL pro capite resta abbastanza netto. Nel 2002, solo Malta, Cipro, la Repubblica ceca e la Slovenia godevano di un PIL pro capite espresso in SPA superiore al 60 % della media UE a 15. In Polonia, in Estonia e in Lituania il PIL si avvicinava al 40 % della media UE, in Lettonia al 35 %, e infine in Bulgaria e in Romania al 25 % della media. |
2.8.2 |
L'allargamento avrà sulle disparità tra le regioni un impatto maggiore che sulle disparità tra i paesi. In base alle più recenti stime (2001), quasi 73 milioni di persone, che rappresentano il 19 % circa della popolazione dell'UE a 15, hanno un reddito pro capite inferiore al 75 % della media comunitaria. L'allargamento farà aumentare il numero di persone che vivono in regioni che hanno un PIL pro capite inferiore al 75 % della media UE a 15. Si tratta di circa 123 milioni di persone in una Unione a 25 e includendo anche la Bulgaria e la Romania, si arriverà a 153 milioni di persone, vale a dire più del doppio della cifra dell'UE a 15. |
2.8.3 |
Nel rapporto si fa osservare che l'allargamento comporterà l'effetto statistico di ridurre il PIL pro capite medio. Se i criteri che determinano lo status di regione ammissibile all'Obiettivo 1 rimanessero invariati, alcune regioni non potrebbero più rientrare in tale obiettivo, anche senza variazioni del PIL pro capite (prima e dopo l'allargamento). In base alle stime più recenti, si troverebbero in questa situazione regioni tedesche, spagnole, greche, italiane e portoghesi. |
3. II PARTE – L'impatto delle politiche degli Stati membri sulla coesione
3.1 |
Nella II parte del rapporto si analizza il contributo delle politiche nazionali come politiche complementari della politica di coesione dell'Unione europea, nel senso che sia le politiche nazionali che la politica di coesione intendono contribuire non solo ad una più equa distribuzione del reddito e delle opportunità tra le regioni, ma anche ad uno sviluppo territoriale più equilibrato dei vari paesi e dell'UE nel suo complesso. |
3.1.1 |
La Commissione rileva che le restrizioni imposte per ridurre la spesa pubblica costituiscono un incentivo a migliorare la qualità dei programmi, ma non è possibile sapere fino a che punto ciò si sia tradotto in una politica più efficace in termini di coesione regionale. |
3.1.2 |
I dati relativi alla spesa pubblica nei vari Stati membri, anche se incompleti, indicano chiaramente che una parte sostanziale della spesa pubblica negli Stati membri dell'UE, in particolare nel campo della previdenza sociale, è legata al modello sociale europeo e, intenzionalmente o no, ha dato un contributo positivo alla riduzione delle disparità di reddito e ad un miglioramento delle opportunità. |
3.1.3 |
Per quanto concerne le modifiche nella composizione della spesa pubblica si sottolinea che, nonostante l'invecchiamento della popolazione e l'aumento del numero di pensionati, nel periodo 1995-2002 si è registrata una tendenza alla riduzione delle spese per le prestazioni sociali in relazione al PIL. Tale tendenza riguarda tutta l'UE ad eccezione di Germania, Grecia, Portogallo e, in misura minore, l'Italia. |
3.1.4 |
Nella sezione dedicata alla politica di sviluppo regionale negli Stati membri, nel rapporto si osserva che gli approcci in materia di sviluppo territoriale differiscono da paese a paese a causa sia di fattori istituzionali (in particolare il grado di decentramento della politica di sviluppo economico), sia di punti di vista diversi circa gli elementi che determinano lo sviluppo economico. |
3.1.5 |
Il rapporto segnala che per il loro contributo alla creazione di posti di lavoro e per il fatto di costituire un meccanismo di trasferimento di tecnologie e know-how, le politiche di incentivo agli investimenti diretti esteri sono un elemento importante della strategia di sviluppo regionale; per tale motivo una parte significativa delle misure di sostegno regionale mira proprio ad aumentare la capacità delle regioni di attirare gli investitori stranieri. |
3.1.6 |
Anche se incompleti, i dati indicano che i flussi di investimento tendono a localizzarsi in modo sproporzionato nelle regioni economicamente più dinamiche sia all'interno di un determinato paese sia nell'UE in generale. |
3.1.7 |
In tal modo, i governi dei paesi della coesione, e anche quelli dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati, si trovano dinanzi ad un dilemma particolare dovuto all'esistenza di un potenziale trade off tra la necessità di attirare investimenti nelle regioni meno sviluppate e la naturale tendenza degli investimenti a concentrarsi nelle regioni più dinamiche. |
4. III PARTE – L'impatto delle politiche comunitarie: competitività, occupazione e coesione
4.1 |
Il secondo rapporto aveva presentato l'impatto delle politiche comunitarie sulla coesione; il presente rapporto analizza, nella III parte, i principali cambiamenti intervenuti dal 2001, alla luce degli obiettivi definiti nella strategia di Lisbona e a Göteborg. |
4.1.1 |
I risultati delle diverse iniziative intraprese nell'ambito della strategia di Lisbona segnalano progressi soprattutto nell'uso delle nuove tecnologie (scuole attrezzate con computer collegati ad Internet, sviluppo di servizi pubblici on line in tutti i nuovi Stati membri e nei paesi candidati, alcuni dei quali sono più avanzati di alcuni Stati membri dell'UE a 15 in determinati settori). |
4.1.2 |
Nonostante l'esistenza di disparità tra gli Stati membri, il rapporto permette di prendere atto degli effetti positivi che la strategia europea per l'occupazione ha avuto sul mercato del lavoro (riduzione del tasso medio di disoccupazione nell'UE e aumento del tasso di occupazione della popolazione attiva). |
4.1.3 |
Per quanto concerne il ruolo delle altre politiche comunitarie nel potenziamento della coesione economica e sociale, in particolare il ruolo delle politiche dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, della politica agricola, di quelle della pesca e dell'ambiente, si sottolinea lo sviluppo delle reti transeuropee dei trasporti, delle comunicazioni e dell'energia, le quali hanno consentito, soprattutto dal 1991, un aumento dell'accessibilità e che fanno sperare in ulteriori miglioramenti nei prossimi anni, segnatamente nei nuovi Stati membri e nei paesi candidati. |
4.1.4 |
Tenendo conto del fatto che, conformemente al Protocollo di Kyoto, lo sviluppo sostenibile è una delle priorità della politica energetica, il rapporto segnala che lo sviluppo di nuove fonti di energia permetterà alle regioni periferiche di diversificare le loro fonti e di migliorare la loro qualità di vita. Gli investimenti a favore della protezione ambientale potranno anch'essi contribuire in modo estremamente positivo alla creazione di posti di lavoro. |
4.1.5 |
Il rapporto prende atto dell'esistenza di complementarità tra gli aiuti di Stato e la politica di coesione e riconosce la necessità di controllare severamente tali aiuti al fine di raggiungere gli obiettivi fissati a Lisbona e a Göteborg. A tale scopo, gli Stati membri sono stati invitati a dare a tali aiuti un nuovo orientamento strategico verso settori orizzontali. |
4.2 |
Si fa infine riferimento alla necessità di garantire un contesto ambientale sicuro, in cui le leggi siano rispettate, come presupposto di uno sviluppo economico sostenibile. |
5. IV PARTE – L'impatto e il valore aggiunto delle politiche strutturali
5.1 |
Questa parte del rapporto passa in rassegna i risultati degli interventi effettuati nell'ambito della politica di coesione nel periodo 1994-1999 e i primi risultati dell'applicazione di alcuni programmi relativi al periodo di programmazione 2000-2006. Vengono analizzati vari aspetti della politica di coesione, ad esempio il contributo delle politiche strutturali alla crescita sostenibile delle regioni in ritardo di sviluppo, gli effetti di dette politiche al di fuori delle regioni dell'obiettivo 1, il ruolo specifico del Fondo sociale europeo per quanto riguarda gli investimenti nel campo dell'istruzione, dell'occupazione e della formazione, il ruolo delle politiche strutturali al fine di promuovere la cooperazione e il contributo degli aiuti di pre-adesione nei nuovi Stati membri. |
5.2 |
Si sottolineano in particolare i seguenti risultati: |
5.2.1 |
tra il periodo 1989-1993 e 1994-1999, c'è stato in quasi tutti i paesi dell'Obiettivo 1 un notevole aumento degli investimenti pubblici. |
5.2.2 |
I fondi strutturali hanno sostenuto lo sviluppo delle reti transeuropee dei trasporti, rendendo le regioni più attrattive e incrementando l'attività economica. |
5.2.3 |
Va riconosciuto che l'investimento in infrastrutture e attrezzature da solo non basta per sviluppare una economia basata sulla conoscenza. Negli ultimi dieci anni, pertanto, le politiche strutturali hanno cercato di contribuire anche all'aumento della capacità di R e S, specie nelle regioni dell'Obiettivo 1. |
5.2.4 |
Gli interventi strutturali hanno altresì dato un contributo positivo alla protezione dell'ambiente. |
5.2.5 |
Recenti studi hanno analizzato la convergenza reale tra le regioni e hanno segnalato l'esistenza di una correlazione positiva tra l'ammontare degli aiuti strutturali e la crescita del PIL in termini reali. |
5.2.6 |
In base a simulazioni effettuate sugli effetti macroeconomici delle politiche strutturali nel periodo 1994-1999, gli interventi strutturali hanno fatto sì che nel 1999 il PIL in termini reali aumentasse del 2,2 % in Grecia, dell'1, 4 % in Spagna, del 2,8 % in Irlanda e del 4,7 % in Portogallo. Queste differenze rispecchiano il diverso livello di apertura delle economie, più elevato negli ultimi due casi. |
5.2.7 |
Gli interventi strutturali sono collegati ad un aumento significativo degli investimenti, in particolare nel campo delle infrastrutture e delle risorse umane; si stima che tale aumento nel 1999 sia stato del 24 % in Portogallo e del 18 % in Grecia. |
5.2.8 |
L'esperienza ha mostrato che, in alcuni casi, i fondi strutturali hanno favorito la convergenza nazionale (Irlanda) mentre in altri casi tendono a neutralizzare gli effetti di una polarizzazione delle attività economiche (Spagna). Sempre l'esperienza indica tuttavia che l'esistenza di questo trade-off tra convergenza regionale e nazionale dipende soprattutto dalla distribuzione territoriale dell'attività economica e della popolazione nel paese interessato. |
5.2.9 |
I fondi strutturali hanno anche contribuito ad una maggiore integrazione economica. Le economie europee si sono integrate maggiormente, grazie all'aumento dei flussi commerciali e di investimento. Negli ultimi dieci anni, il commercio tra i paesi della coesione e il resto dell'UE è più che duplicato. Questa situazione rispecchia inoltre i vantaggi che gli aiuti strutturali alle regioni meno ricche comportano per gli altri paesi dell'UE. Nel periodo 2002-2006, si calcola che circa un quarto della spesa (24,1 %) ritorna agli altri paesi europei, sostanzialmente sotto forma di un aumento delle loro esportazioni verso i paesi della coesione, soprattutto macchinari e attrezzature. Questa percentuale è particolarmente elevata in Grecia (42,3 % degli aiuti strutturali) e in Portogallo (35,2 %). |
5.2.10 |
Oltre alle regioni dell'obiettivo 1, gli interventi a titolo dei fondi strutturali hanno anche contribuito allo sviluppo economico di altre regioni dell'UE che soffrono di problemi strutturali (zone industriali in declino, zone rurali). Il rapporto presenta i risultati di studi recenti sui principali effetti nel periodo 1994-1999. In questi anni, gli aiuti comunitari hanno dato un impulso alla ristrutturazione delle industrie tradizionali, alla diversificazione dell'attività economica e alla creazione di posti di lavoro nelle regioni destinatarie degli aiuti. |
5.2.11 |
Alcuni studi particolareggiati rivelano che le spese per la R e S, l'innovazione e il trasferimento di tecnologie hanno avuto una particolare efficacia nella creazione di nuovi posti di lavoro nonché nella salvaguardia di quelli già esistenti. Tuttavia, la capacità di innovazione nelle regioni succitate continua ad essere, tranne poche eccezioni, più bassa rispetto alle regioni più sviluppate dell'UE. Questa situazione contrasta con la dotazione di infrastrutture, in particolare sistemi di trasporti e telecomunicazioni, e di risorse umane. Sono stati inoltre condotti sforzi notevoli nella riconversione di vecchie zone industriali e nel miglioramento dell'ambiente, in particolare nelle aree urbane. |
5.2.12 |
Per quanto concerne gli aiuti all'agricoltura, allo sviluppo rurale e alla pesca, il rapporto presenta, tra gli altri, i risultati delle misure nell'ambito dell'Obiettivo 5a e 5b nel periodo 1994-1999. |
5.2.13 |
Una parte sostanziale delle risorse a titolo del Fondo sociale europeo (FSE) è servita per aiutare regioni dell'UE diverse da quelle dell'Obiettivo 1. Nel periodo 1994-1999, gli aiuti del FSE a favore delle regioni degli Obiettivi 3 e 4 hanno prodotto effetti positivi in termini di riduzione della disoccupazione, specie quella di lunga durata, di situazione delle minoranze etniche e di pari opportunità tra i sessi. |
5.2.14 |
Alcune iniziative comunitarie volte a promuovere la cooperazione e le reti di collegamento hanno costituito un importante complemento della politica di coesione. Il programma Interreg II ha contribuito allo sviluppo di relazioni tra i paesi, allo scambio di esperienze tra le regioni e alla diffusione di conoscenze. Tuttavia, i risultati in termini di riduzione dell'isolamento non sono stati univoci: alcune regioni hanno sviluppato notevolmente i collegamenti via terra e i servizi portuali (è il caso della Grecia, della Germania e della Finlandia) mentre in altre zone di frontiera (ad esempio Portogallo/Spagna) gli effetti sono stati più limitati. |
5.2.15 |
Il rapporto sottolinea anche il contributo dell'iniziativa comunitaria URBAN allo sviluppo delle zone urbane e al miglioramento della qualità della vita. |
5.2.16 |
Il rapporto prende atto del fatto che l'allargamento rappresenta un'ulteriore sfida per la politica di coesione. La Commissione riconosce che il sostegno dei fondi strutturali avrà una importanza cruciale per i nuovi Stati membri in quanto rafforzerà la loro competitività e avvicinerà il loro PIL pro capite a quello del resto dell'UE. È però necessaria, da parte di questi paesi, una adeguata preparazione in termini di capacità amministrativa e di gestione degli stanziamenti ricevuti. Gli aiuti di pre-adesione costituiscono, in parte, un esercizio di apprendimento per i paesi interessati su come utilizzare efficacemente gli aiuti finanziari, prima di ricevere un volume più ingente di fondi. Tuttavia, dopo il 2006, dovranno potenziare ulteriormente la capacità amministrativa e operare un maggiore decentramento nell'applicazione dei programmi. |
6. Osservazioni del Comitato economico e sociale europeo
6.1 |
I risultati illustrati nel rapporto rivelano che la politica di coesione ha avuto effetti positivi molto evidenti. |
6.2 |
Il CESE esprime tuttavia la sua preoccupazione circa il fatto che il raggiungimento degli obiettivi della politica di coesione risulta più evidente in materia di coesione tra gli Stati membri che tra le regioni. Nonostante i progressi ottenuti, continuano a sussistere disparità regionali nello sviluppo economico e sociale. Il CESE avverte che l'allargamento renderà ancora maggiori queste disparità e rappresenterà dunque una sfida importante per la politica di coesione. |
6.3 |
Il CESE è d'accordo sul fatto che l'allargamento comporterà una notevole espansione del mercato interno comunitario, offrendo nuove opportunità, ma ritiene che avrà un impatto diverso nei vari paesi dell'UE. Data la crescente interdipendenza in termini di commercio e di investimenti, lo sviluppo economico nei nuovi Stati membri potrà sostenere tassi elevati di crescita in tutta l'UE (è stato accertato che i fondi strutturali contribuiscono ad una maggiore integrazione economica, grazie anche a un aumento dei flussi commerciali e d'investimento). |
6.4 |
Il CESE rileva anche che dei fondi strutturali non beneficiano solo le regioni ammissibili agli aiuti. Una parte sostanziale degli aiuti diretti alle regioni in ritardo di sviluppo ritorna alle regioni più sviluppate dell'Unione europea sotto forma di un aumento delle loro esportazioni. Nel periodo 2000-2006, le stime rivelano che questo effetto di ritorno concerne circa un quarto (24,1 %) degli interventi strutturali nell'ambito dell'Obiettivo 1. Nel lungo periodo, l'effetto di sviluppo generato in queste regioni aprirà anche nuovi mercati per le regioni e paesi che sono contribuenti netti e avrà così conseguenze positive sulle loro economie. |
6.5 |
I dati suggeriscono che i flussi di investimento tendono a localizzarsi in maniera sproporzionata nelle regioni economicamente più dinamiche di un determinato paese o dell'Unione europea in generale, il che crea un particolare dilemma per i governi dei paesi della coesione e dei paesi candidati. |
6.6 |
Per il raggiungimento dell'obiettivo della coesione, si rivela positivo il coordinamento delle diverse politiche settoriali della Comunità, in particolare le politiche agricole, della pesca, dei trasporti, della ricerca e della tecnologia, dell'istruzione e della formazione professionale. |
6.7 |
Il Comitato riconosce inoltre l'importanza degli aiuti comunitari destinati alle regioni al di fuori dell'Obiettivo 1, al fine di ridurre le disparità economiche e sociali. |
6.8 |
Il rallentamento della crescita economica ha avuto, in generale, conseguenze negative sull'occupazione. Il tasso di occupazione nell'UE a 15 è ancora molto al di sotto dell'obiettivo ambizioso fissato dal Consiglio europeo di Lisbona. Tuttavia, il suo valore medio nasconde differenze sostanziali in tutta l'Unione. |
6.9 |
Le tendenze demografiche, in particolare l'invecchiamento della popolazione attiva, influenzano profondamente le prospettive del mercato del lavoro nell'UE e mettono in evidenza la necessità di potenziare la formazione e l'apprendimento continui. |
6.10 |
Le prospettive demografiche sottolineano l'importanza di conseguire un elevato livello di occupazione nei prossimi anni in modo da prevenire un inasprimento delle tensioni sociali. A tale aumento dell'occupazione dovrà accompagnarsi un aumento sostenuto della produttività. |
6.11 |
Appare a tutti necessario concentrare l'economia europea sulle attività basate sulla conoscenza, l'innovazione e le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, al fine di renderla più competitiva, aumentare l'occupazione e migliorare il tenore di vita. Bisogna in altre parole realizzare concretamente gli obiettivi fissati dalla Strategia di Lisbona. |
7. Priorità della politica di coesione
7.1 |
Il CESE approva la nuova struttura definita per la politica di coesione dell'UE per il periodo successivo al 2006, la quale è incentrata su un numero limitato di priorità (I – Convergenza; II – Competitività regionale e occupazione; III – Cooperazione territoriale europea) e la cui applicazione concreta si basa sulla strategie di Lisbona e Göteborg, a livello locale e regionale. |
7.2 |
Il CESE ritiene che i dati presentati nel rapporto mettano in evidenza la necessità di perseguire con maggiore sforzo l'obiettivo di coesione in una Unione allargata; pertanto è d'accordo che l'obiettivo della convergenza sia innanzi tutto destinato a sostenere le regioni con un PIL pro capite inferiore al 75 % della media comunitaria e approva il trattamento speciale rivolto alle regioni colpite dal cosiddetto «effetto statistico», per le quali è previsto un sostegno più elevato di quello deciso nel 1999 a favore delle regioni in regime di phasing out. |
7.3 |
Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di destinare il Fondo di coesione all'obiettivo della convergenza e ritiene che tale fondo debba continuare a funzionare in base a criteri nazionali (Stati membri con un RNL inferiore al 90 % della media comunitaria) piuttosto che in base a criteri regionali. |
7.4 |
Il CESE è d'accordo con l'impostazione della politica di coesione non destinata agli Stati membri e alle regioni meno sviluppati (in particolare favorire la competitività, ridurre le disparità tra le regioni ed accompagnare la Strategia europea per l'occupazione) e approva la concentrazione tematica su un numero limitato di argomenti prioritari in materia di competitività (economia basata sulla conoscenza, accessibilità, ambiente e servizi di interesse generale). |
7.5 |
È inoltre d'accordo che, per quanto concerne la seconda priorità, venga riservato un trattamento speciale alle regioni attualmente ammissibili a titolo dell'Obiettivo 1 e che non soddisfano i criteri di ammissibilità nell'ambito della priorità Convergenza, le quali godranno di un maggiore sostegno durante un periodo di transizione (phasing in). |
7.6 |
Il sostegno alla cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale si è dimostrato importante per l'integrazione territoriale europea. Il CESE pertanto appoggia la proposta della Commissione di creare un nuovo obiettivo, avvalendosi dell'esperienza acquisita con l'iniziativa Interreg. Questo obiettivo, destinato alla cooperazione territoriale mantiene la dimensione transfrontaliera, interregionale e transnazionale e la possibilità che gli Stati membri inseriscano le regioni marittime nella dimensione transfrontaliera. Prevede inoltre che le regioni che hanno frontiere in comune con i nuovi stati membri debbano adattarsi alla nuova situazione, ragion per cui dovrebbe essere creato un programma speciale per queste regioni. Il CESE approva il netto aumento delle risorse finanziarie destinate all'obiettivo Cooperazione territoriale europea rispetto a quanto precedentemente attribuito al programma Interreg. |
7.7 |
Accoglie favorevolmente l'intenzione della Commissione di proporre la creazione di un nuovo strumento giuridico sotto forma di «enti regionali transfrontalieri» in modo da facilitare la cooperazione tra gli Stati membri e gli enti locali e rafforzare i collegamenti con le frontiere esterne, soprattutto con i nuovi vicini. |
7.8 |
È d'accordo con la Commissione quando afferma che i programmi devono generalmente prevedere una risposta integrata alle specificità territoriali e non dimenticare che essi devono integrare la necessità di combattere i diversi tipi di discriminazione sociale. |
7.9 |
Accoglie favorevolmente l'importanza attribuita alla dimensione urbana con l'integrazione nei programmi di azioni in questo settore, con la particolare rilevanza attribuita ai problemi delle città e con il riconoscimento del ruolo di queste ultime come elementi propulsivi dello sviluppo regionale. Al pari della Commissione, il CESE riconosce che la cooperazione tra città è un elemento chiave della cooperazione territoriale. |
7.10 |
Il CESE giudica particolarmente significativa la garanzia che i nuovi strumenti utilizzati nelle zone rurali saranno integrati nella Politica agricola comune, mantenendo l'attuale livello di concentrazione degli aiuti nelle regioni e nei paesi meno sviluppati che rientrano nei programmi di convergenza. Richiama altresì l'attenzione sul fatto che il sostegno necessario alle summenzionate regioni rurali deve comprendere non solo progetti agricoli, ma anche altri progetti che permettano lo sviluppo del mondo rurale. |
8. Sistema di gestione
8.1 |
Il CESE approva che il numero di strumenti finanziari per la politica di coesione sia limitato a tre (FESR, FSE e Fondo di coesione) e condivide il principio di ridurre sia gli obiettivi sia gli strumenti finanziari ad essi collegati; questo contribuirà a rendere la programmazione più semplice ed efficace. |
8.2 |
È favorevole al rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri, gli enti locali e gli interlocutori economici e sociali. |
8.3 |
Approva l'importanza di effettuare una valutazione periodica dell'impatto territoriale della politica regionale, procedendo, come auspicato dalla Commissione, anche alla valutazione dell'impatto sull'evoluzione degli scambi commerciali. |
8.4 |
Per il CESE è importante che nei futuri rapporti la Commissione attribuisca maggiore rilevanza alle pari opportunità tra i sessi e alla valutazione del contributo fornito dalla politica di coesione al raggiungimento di questo obiettivo |
8.5 |
Per quanto concerne il sistema di gestione, il CESE concorda con il mantenimento dei quattro principi (Programmazione, Partenariato, Concentrazione e Addizionalità) e con una semplificazione del sistema basata su un maggior decentramento. Ritiene tuttavia che un più ampio decentramento non debba mettere in discussione la necessità che la Commissione segua da vicino l'esecuzione dei programmi, garantendo la coerenza della politica regionale a livello comunitario ed evitando che vengano aggirati i rispettivi obiettivi. La Commissione deve pertanto operare uno stretto controllo non solo per garantire la corretta applicazione dei fondi in modo da eliminare deviazioni, ma anche per verificare che i progetti finanziati rispondano ai compiti per i quali sono stati elaborati. |
9. Il partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali
9.1 |
Il Comitato sottoscrive il contenuto del proprio parere «Il partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali» (1), nel cui ambito assumono particolare rilievo le seguenti idee: |
9.2 |
È indispensabile riflettere sui comitati di sorveglianza previsti dall'articolo 35 del regolamento sui fondi strutturali. Le nuove importanti funzioni attribuite a questi organismi, o a quelli che li sostituiranno, richiedono una revisione dei meccanismi di partecipazione delle parti sociali. |
9.3 |
Occorre, prima di tutto, che la presenza delle parti economiche e sociali nei comitati di sorveglianza sia resa obbligatoria e sia valorizzata con l'attribuzione del diritto di voto, in modo da chiarire la posizione di tali parti in relazione agli argomenti discussi in seno a questi organi. |
9.4 |
La Commissione dovrebbe incaricare l'elaborazione di uno studio aggiornato dei diversi tipi di modelli di partecipazione utilizzati a livello nazionale e regionale, cercando di valutare e diffondere, tramite questa attività d'informazione, un insieme di pratiche meno note ma di grande rilevanza per il futuro. |
9.5 |
Il CESE giudica indispensabile garantire l'indipendenza di coloro che valutano un certo programma rispetto all'autorità nazionale responsabile della sua esecuzione. Anche in questo caso, le parti istituzionali e quelle economiche e sociali potranno avere un ruolo più importante grazie alla conoscenza acquisita dei risultati raggiunti nei diversi interventi. |
9.6 |
Il CESE giudica di importanza fondamentale la scelta delle parti e la trasparenza in materia di funzioni e responsabilità. |
9.7 |
La compatibilità o meno di un coinvolgimento effettivo delle parti nelle varie fasi di attuazione dei programmi con il ruolo di promotori di progetti comporta la necessità di stabilire regole che definiscano la selezione delle parti, in modo da escludere dal partenariato organismi che dipendono dallo Stato e la cui libertà d'azione è, per questo motivo, limitata sul piano funzionale o strutturale. |
9.8 |
Oltre alle tradizionali componenti delle parti economiche e sociali (sindacati dei lavoratori, associazioni degli industriali, degli agricoltori, degli artigiani e dei commercianti, terzo settore, cooperative, ecc.) è importante incrementare il coinvolgimento, nelle politiche strutturali comunitarie, delle cosiddette autonomie funzionali come le camere di commercio, le università, gli istituti per l'edilizia residenziale pubblica ecc. |
9.9 |
La composizione del partenariato e l'eventuale inefficacia delle procedure dovuta all'accumulazione di funzioni incompatibili con la trasparenza e l'indipendenza delle decisioni possono rivelarsi negative. Un esempio è il coinvolgimento delle stesse persone, spesso addirittura dei beneficiari dei programmi, alle fasi di programmazione, sorveglianza e/o valutazione. |
9.10 |
Spesso sembra che possano crearsi incompatibilità o conflitti di interessi quando colui che prende le decisioni è anche il beneficiario dei fondi strutturali. |
9.11 |
Il CESE ritiene inoltre che le parti economiche e sociali debbano avere accesso al finanziamento e alla formazione per svolgere pienamente le funzioni loro assegnate. Si tratta di una pratica finora molto rara o praticamente inesistente. |
9.12 |
La debole partecipazione delle parti è in certi casi dovuta alla carenza, in termini numerici o di preparazione, di esperti che partecipino attivamente ai forum organizzati nell'ambito dei fondi comunitari, forum ai quali avrebbero il diritto e il dovere di partecipare. |
9.13 |
Il CESE ritiene che gli Stati membri debbano prestare particolare attenzione a tutta la procedura burocratica, la quale deve essere ridotta allo stretto necessario. Spesso è la complessità amministrativa, esagerata e sproporzionata, a mettere in causa il principio stesso di partenariato, in quanto crea ostacoli e pratiche che molto spesso si rivelano controproducenti. |
9.14 |
Il Comitato considera importanti i vantaggi dell'istituzione di un parametro minimo di partecipazione, da disciplinare con un regolamento comunitario, lasciando invece agli Stati membri la facoltà di fissare livelli più elevati di partecipazione mediante disposizioni normative o regolamentari nazionali. Le norme da stabilire dovranno consentire una più ampia informazione e promuovere forme più intense, stabili e permanenti di coinvolgimento degli interlocutori economici e sociali. |
9.15 |
Il ruolo delle parti economiche e sociali, il contenuto delle proposte e le procedure di partecipazione sono per forza di cose diversi nelle fasi di preparazione, di finanziamento, di sorveglianza e valutazione degli interventi strutturali della Comunità. È per questo importante chiarire cosa ci si attende dai partner, le disposizioni che questi devono prendere per garantire il maggior successo possibile dei programmi, a quali livelli si articola l'attività del partenariato e quali sono gli organi politici e tecnici in cui i partner devono essere presenti. |
9.16 |
Il partenariato riveste importanza decisiva in due fasi degli interventi strutturali:
|
10. Contributi del CESE al dibattito in corso e alla creazione di un nuovo partenariato per la coesione – Convergenza, Competitività e Cooperazione
10.1 Priorità della politica di coesione
10.1.1 |
Il CESE accoglie favorevolmente l'intenzione della Commissione di stabilire, nel quadro della Convergenza, un meccanismo specifico per compensare tutti i punti deboli delle regioni ultraperiferiche e delle regioni che presentano handicap strutturali permanenti. |
10.1.2 |
Raccomanda di analizzare, nell'ambito della strategia di sostegno alle diverse regioni, fino a che punto i dati quantitativi disponibili riflettano fedelmente i progressi in campo economico e sociale, e non siano invece il risultato dell'impatto statistico di fattori esterni spesso irrilevanti per la realtà economica e sociale di dette regioni. È il caso dei sistemi off-shore, che distorcono gli indicatori esistenti. |
10.2 Complementarità delle politiche settoriali della Comunità
10.2.1 |
Il CESE richiama l'attenzione sulla complementarità delle politiche settoriali della Comunità a favore dell'obiettivo della coesione, in particolare nei settori della R e S, della società dell'informazione e dei trasporti. Approva l'intenzione di considerare la coerenza tra coesione e politica di concorrenza come un elemento fondamentale delle diverse politiche comunitarie. |
10.2.2 |
Nel constatare che più del 50 % dei fondi destinati alla R e S si concentra in un numero estremamente ridotto di regioni dell'UE, il CESE insiste che la complementarità con le politiche settoriali deve impedire questa eccessiva concentrazione e contribuire a rafforzare gli incentivi al trasferimento di tecnologie tra le regioni. |
10.3 Bilancio
10.3.1 |
Tenendo conto delle aspettative che gli Stati membri nutrono nei confronti dell'UE in relazione agli obiettivi dell'allargamento e della Strategia di Lisbona, è poco ragionevole pensare che le risorse possano essere mantenute allo stesso livello. Nei pareri elaborati negli ultimi anni, il CESE ha chiesto di elevare il tetto del bilancio comunitario. Considerando il limite dell'1,24 % imposto dalla Commissione nel quadro delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, il CESE ritiene che lo 0,41 % consacrato alla politica di coesione (0,46 % prima dei trasferimenti destinati allo sviluppo rurale e alla pesca) sia semplicemente il risultato della fissazione di un tetto delle risorse totali ad un livello che giudica del tutto insufficiente per poter conseguire gli ambiziosi obiettivi proposti. |
10.3.1.1 |
In questa situazione, e considerando che risulteranno necessarie maggiori risorse finanziarie per far fronte all'aumento delle disparità regionali causato dall'allargamento, saranno soprattutto le regioni attualmente beneficiarie della politica di coesione a dover sostenere i costi dell'allargamento, attraverso una riduzione degli aiuti comunitari loro destinati. |
10.3.1.2 |
Per il CESE, questa è una situazione insostenibile sul piano politico ed economico in quanto assolutamente contraria a qualsiasi principio di equità nella ripartizione dei costi dell'allargamento. |
10.3.1.3 |
Pertanto, il CESE non capisce come sarà possibile rendere l'obiettivo politico assunto all'unanimità con l'allargamento e l'approfondimento dell'Unione compatibile con il mantenimento, o addirittura con la riduzione dello sforzo finanziario che lo stesso allargamento esige da parte degli Stati membri. Il CESE si oppone ad una visione riduttiva della costruzione europea, che si giustifica solo con l'esistenza di problemi congiunturali e con la mancanza di una visione futura da parte di alcune delle principali parti in causa in questo processo. |
11. Altre raccomandazioni
11.1 |
Il CESE ritiene della massima importanza definire con la maggiore obiettività e il maggior rigore possibili i criteri economici, sociali e territoriali in base ai quali saranno distribuite tra gli Stati membri le risorse destinate alla Priorità «Competitività regionale e occupazione» Una particolare attenzione va attribuita non solo agli indicatori economici ma anche a quelli sociali. |
11.2 |
Per quanto concerne l'esecuzione dei Fondi, il CESE giudica sempre più indispensabile stabilire nuove forme di coinvolgimento delle parti istituzionali, economiche e sociali che vadano ben al di là di una partecipazione agli organi di programmazione, gestione, sorveglianza e valutazione. |
11.3 |
Il consolidamento di meccanismi collegati alle sovvenzioni globali rappresenta in tale contesto un metodo da potenziare, imponendo agli Stati membri la necessità di adottare questo tipo di modelli, per lo meno in alcuni Quadri comunitari di sostegno per i vantaggi che ne potranno derivare in termini di minore burocrazia, rapidità e non intervento dei bilanci degli Stati membri, tenendo conto dei vincoli generalizzati che attualmente gravano sulle finanze pubbliche. |
11.4 |
Devono inoltre essere incentivati i partenariati tra pubblico e privato, una maniera di superare tali vincoli a livello di finanze pubbliche e di garantire inoltre il loro finanziamento a lungo termine. |
11.5 |
Il CESE ritiene necessario prevedere un inasprimento delle norme contro gli abusi relativi alla delocalizzazione delle imprese introducendo in particolare la fissazione di sanzioni elevate e prevedendo la restituzione degli aiuti ricevuti qualora si provasse che la delocalizzazione non è dovuta alla mancanza di vitalità delle unità produttive bensì all'intenzione di beneficiare di ulteriori aiuti. |
11.6 |
Reputa inoltre opportuno che, nell'ambito del sostegno alle imprese, venga attribuita importanza alle PMI, riconoscendone il ruolo nel tessuto socioeconomico, in particolare per quanto concerne la capacità di creare posti di lavoro e ricchezza, e tenendo conto del loro «impegno» per lo sviluppo della regione in cui sono localizzate. |
11.7 |
Infine, l'ambizione di perseguire una politica di coesione economica, sociale e territoriale nel contesto di una Europa allargata rappresenta certamente una delle sfide principali alle quali l'UE dovrà rispondere. Dato che la politica di coesione costituisce un pilastro essenziale dell'integrazione tra i popoli e i territori dell'Unione europea, il CESE rivolge un particolare invito agli Stati membri affinché portino a buon fine questa riforma, alla luce in particolare degli insuccessi recenti nel processo di costruzione europea, in modo da recuperare la fiducia dei cittadini a tale riguardo. |
11.8 |
Per il CESE è fondamentale che gli Stati membri proseguano, o addirittura potenzino, al loro livello, gli sforzi in materia di coesione, indipendentemente da quelli portati avanti a livello comunitario. |
11.9 |
La nuova struttura e le nuove priorità della politica comunitaria di coesione sono condizionate dall'allargamento e dalle limitate risorse a disposizione, e non dal fatto che le disparità regionali e sociali siano state eliminate. Pertanto, alcuni Stati membri e alcune regioni che finora hanno ampiamente beneficiato della politica europea di coesione, man mano non saranno più considerati ammissibili a ricevere una parte sostanziale degli strumenti disponibili. Questo naturalmente non significa che abbiano già raggiunto il livello auspicato di sviluppo e coesione, e quindi dovranno essere oggetto di debita attenzione nell'ambito delle politiche di bilancio nazionali. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Il punto 9 è ripreso dal parere del CESE «Il partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali», (ECO/106) GU C 10 del 14.1.2004, pag. 21.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/70 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo: Tassazione dei dividendi delle persone fisiche nel mercato interno
(COM(2003) 810 def.)
(2004/C 302/15)
La Commissione europea, in data 19 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli, 1 voto contrario e 12 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
La comunicazione in esame verte principalmente sulla tassazione dei dividendi percepiti dalle persone fisiche attraverso i loro investimenti di portafoglio. |
1.2 |
Essa si iscrive nel seguito della comunicazione relativa allo studio sulla tassazione delle società (1), in cui già si proponeva di definire alcuni orientamenti per l'applicazione delle principali sentenze della Corte di giustizia europea in questo settore e, nel caso specifico dei dividendi percepiti dalle persone fisiche, si faceva riferimento alla sentenza Verkooijen (2). L'assimilazione dei dividendi in entrata e in uscita a un movimento di capitali è una costruzione giudiziaria: i dividendi non sono menzionati espressamente nel Trattato né nella direttiva. |
1.3 |
Le divergenze tra i sistemi fiscali degli Stati membri per quanto riguarda la doppia imposizione degli utili aziendali distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi (3) sembrerebbero costituire una fonte di grave discriminazione e rappresentare altresì un ostacolo alla libera circolazione dei capitali all'interno del mercato unico. |
1.4 |
Gli orientamenti proposti riguardano le implicazioni del diritto comunitario per i sistemi di tassazione dei dividendi in vigore negli Stati membri: esse mirano così a eliminare, alla luce della succitata giurisprudenza della Corte di giustizia, le restrizioni che colpiscono le persone fisiche con la tassazione dei redditi derivanti da azioni da loro detenute in portafoglio. Inoltre, la proposta mira anche a ridurre le aliquote di ritenuta d'imposta alla fonte troppo alte negli Stati d'origine dei dividendi. |
1.5 |
L'obiettivo è quello di aiutare gli Stati membri «ad assicurare la compatibilità dei loro sistemi con i requisiti del mercato interno» conformemente «con i principi del Trattato in merito alla libera circolazione dei capitali.» |
1.6 |
Qualora gli Stati membri non dovessero accettare il metodo proposto per eliminare gli ostacoli alla libera circolazione per gli investimenti di portafoglio in azioni, la Commissione potrebbe allora ricorrere, nella sua veste di custode dei Trattati, all'articolo 226 del Trattato CE. |
1.7 |
Va ricordato che la Corte di giustizia può isolare dall'enunciato di domande di pronuncia pregiudiziale poste dal giudice di uno Stato membro, sulla base dei dati esposti da quest'ultimo, gli elementi relativi all'interpretazione del diritto comunitario, onde permettere al giudice dello Stato membro di risolvere il problema giuridico di cui è investito (4). |
2. La tassazione dei dividendi nel mercato interno
2.1 |
La tassazione dei guadagni delle società avviene tramite un'imposta sugli utili di aliquota variabile dal 12,5 % al 40 % a seconda dei paesi, con un'aliquota media del 30 % circa. La tassazione dei dividendi distribuiti a partire dagli utili al netto dell'imposta societaria può essere effettuata alla fonte ed essere detratta dal dividendo distribuito, ma anche essere prelevata tramite l'IRPEF all'aliquota marginale o secondo un'aliquota distinta. |
2.2 |
La tassazione degli utili aziendali e dei dividendi costituisce, secondo la Commissione una «doppia imposizione economica»; le persone fisiche corrono inoltre il rischio di una doppia imposizione giuridica internazionale (tassazione dello stesso reddito da parte di due Stati diversi per i dividendi percepiti all'estero). |
2.2.1 |
Il modello di convenzione proposto dall'OCSE per evitare la doppia imposizione giuridica internazionale non affronta la questione della doppia imposizione economica. |
2.2.2 |
In base a tale convenzione modello, l'imposta riscossa alla fonte sui dividendi nel paese di provenienza dei dividendi stessi andrebbe detratta dall'imposta applicata dallo Stato di residenza fiscale dell'azionista, sotto forma di credito ordinario limitato all'imposta che può essere applicata sui dividendi dallo Stato di residenza fiscale. |
2.2.3 |
Il modello dell'OCSE si applica a tutti i sistemi di tassazione dei dividendi, sotto forma pura o mista (classico, cedolare, credito di imposta ed esenzione). |
3. La sentenza Verkooijen e altre sentenze pertinenti
3.1 |
La sentenza della Corte relativa alla causa Verkooijen aveva per oggetto il rifiuto di accordare al sig. Verkooijen il beneficio di un'esenzione dall'imposta sul reddito per i dividendi da lui riscossi da una società stabilita in uno Stato membro diverso dal Regno dei Paesi Bassi. |
3.2 |
Tale esenzione si applicava ai redditi azionari o derivanti da quote sociali su cui l'imposta olandese sui dividendi era stata prelevata alla fonte nei Paesi Bassi, e quindi non ai redditi azionari percepiti in altri paesi. |
3.2.1 |
In primo luogo, l'esenzione era concepita come una misura volta a migliorare il livello dei fondi propri delle imprese e a stimolare l'interesse dei privati per le azioni olandesi; in secondo luogo, in particolare per i piccoli investitori, l'esenzione aveva come obiettivo quello di compensare in una certa misura la doppia imposizione economica tramite un'esenzione per i primi mille fiorini. |
3.2.1.1 |
Nell'ambito della tassazione dei redditi del sig. Verkooijen, l'ufficio delle imposte non ha applicato l'esenzione, ritenendo che egli non vi avesse diritto poiché i dividendi da lui riscossi «non erano stati assoggettati all'imposta olandese sui dividendi.» |
3.2.2 |
Investita dal tribunale nazionale competente della risoluzione di una questione pregiudiziale, la Corte ha ritenuto che la riscossione dei dividendi esteri fosse indissolubilmente legata a un movimento di capitali: il trattamento fiscale diverso e meno favorevole dei dividendi in entrata rispetto ai dividendi di origine interna costituiva allora una restrizione alla libera circolazione dei capitali contraria alle norme comunitarie. |
3.2.2.1.1 |
La Corte precisava che «una disposizione di legge come quella controversa nella causa a qua ha l'effetto di dissuadere i cittadini di uno Stato membro che risiedano nei Paesi Bassi dall'investire i loro capitali nelle società aventi sede in un altro Stato membro.» |
3.2.2.2 |
«Una siffatta disposizione produce anche un effetto restrittivo nei riguardi delle società stabilite in altri Stati membri in quanto costituisce, nei loro confronti, un ostacolo alla raccolta di capitali nei Paesi Bassi [....]». |
3.3 |
Nella causa Schmid (5), l'Avvocato generale ha osservato che i dividendi provenienti da azioni di origine straniera, non essendo soggetti in Austria alla ritenuta alla fonte a carattere liberatorio a titolo dell'imposta sul reddito da capitale, sono integralmente soggetti in questo paese all'imposta sul reddito e non possono peraltro beneficiare del regime ad aliquota dimezzata (6). L'avvocato generale è giunto alla conclusione che si è in presenza di una violazione della libertà di circolazione dei capitali. |
4. Osservazioni generali del Comitato
4.1 |
In materia fiscale gli Stati membri mantengono le loro competenze. Gli articoli 56 e 58 del Trattato CE attualmente in vigore fissano tuttavia i limiti di tali competenze, che non devono ledere le libertà fondamentali né aggirare il diritto comunitario: l'articolo 56 vieta di ostacolare la libera circolazione dei capitali, mentre l'articolo 58 riconosce che, se le disposizioni fiscali nazionali possono operare «una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale» e se gli Stati possono «prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie […] o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», le misure adottate a questo fine non devono tuttavia «costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti [....]». |
4.2 |
La giurisprudenza della Corte chiede fondamentalmente parità di trattamento per le persone imponibili e condanna le doppie imposizioni internazionali. |
4.3 |
Il Comitato conviene che, con l'ampliamento dell'Unione e l'ulteriore accentuazione delle differenze tra le aliquote dell'imposta societaria e dell'IRPEF sui dividendi, occorre sollecitare gli Stati membri che non l'hanno ancora fatto a concludere quanto prima accordi internazionali contro la doppia imposizione che abbiano come base minima il modello proposto dall'OCSE, onde realizzare una parità di trattamento sul piano nazionale per quanto riguarda i dividendi percepiti dagli investitori di portafoglio, a prescindere dalla loro origine all'interno della Comunità. |
4.4 |
Il Comitato osserva che il Trattato prevede anche la libera circolazione dei capitali diretti o provenienti da paesi terzi e che esiste anche un certo numero di accordi internazionali bilaterali tra alcuni paesi membri e taluni paesi terzi. |
4.5 |
In teoria sarebbe possibile realizzare la piena neutralità, combinando tutte le condizioni poste dalla comunicazione e limitatamente allo spazio comunitario, soltanto tramite un'aliquota comunitaria unica sulle società in un sistema di esenzione e, inoltre, a patto che le condizioni per l'assoggettamento all'IRPEF siano uguali in tutti i paesi interessati, nonché partendo dal presupposto che i redditi azionari costituiscono il solo reddito del contribuente che effettua investimenti di portafoglio. La Commissione stessa riconosce peraltro che la piena neutralità fiscale si può raggiungere soltanto con un'armonizzazione completa del sistema fiscale degli Stati membri. |
4.6 |
La sovranità fiscale dei Parlamenti e degli Stati in materia di imposizione delle persone fisiche e giuridiche e di bilancio nazionale è il fondamento storico delle democrazie europee. L'uguaglianza dei cittadini di fronte agli oneri pubblici costituisce un principio fondamentale di valore costituzionale. Gli Stati membri hanno ancora, allo stadio attuale dell'integrazione europea, motivi seri per voler mantenere, come previsto dai Trattati, le loro competenze in questo settore. La situazione potrebbe chiaramente cambiare in futuro. Il Comitato auspica tuttavia che il margine di manovra di cui dispongono gli Stati non conduca a situazioni di dumping fiscale. |
4.7 |
Il Comitato ritiene che, purché limitati alle questioni effettivamente trattate dalla Corte, gli orientamenti proposti si iscrivano nel quadro delle competenze rispettive della Commissione e degli Stati membri. Se si decidesse in questo senso il Parlamento europeo e gli organi consultivi comunitari dovrebbero partecipare pienamente al monitoraggio di una tale procedura. |
4.8 |
Il Comitato si chiede infine se la minaccia di un ricorso presso la Corte di giustizia possa realmente facilitare l'indispensabile ricerca di soluzioni; nondimeno, il Comitato reputa che gli Stati membri interessati debbano adottare con rapidità disposizioni per evitare le discriminazioni nei confronti dei dividendi in uscita o in entrata. Questo potrebbe inoltre significare voler sostituire la Corte al legislatore fiscale comunitario, al di là delle competenze mantenute dagli Stati, rischiando di condurre a una confusione tra i poteri. |
5. Osservazioni specifiche
5.1 |
Il Comitato osserva che il modello di analisi relativamente semplice applicato dalla Commissione copre soltanto una delle ipotesi di investimento azionario, quella cioè di un portafoglio individuale composto da azioni di società stabilite in due o più Stati membri. Un portafoglio può essere composto da azioni di società ubicate in più paesi membri o fuori della UE. |
5.2 |
Il Comitato fa notare inoltre che i redditi da valori mobiliari possono anche provenire da società di investimento o da fondi pensione, in forme che non consentono più di conoscere l'origine nazionale delle diverse componenti dei dividendi e dei plusvalori distribuiti. A volte peraltro ai plusvalori di queste forme di investimento e ai redditi distribuiti si applicano norme fiscali distinte rispetto a quelle relative alla riscossione diretta di dividendi da parte di una persona fisica che possiede un proprio portafoglio azionario. Queste tematiche non vengono affrontate dalla Commissione. |
5.3 |
Il Comitato constata inoltre che neppure la questione dell'imposizione dei plusvalori risultanti dalla vendita dei titoli in borsa viene trattata nella comunicazione. La riscossione dei dividendi non è il solo motivo per cui un privato investe in un portafoglio azionario: l'aumento di valore del titolo in borsa al fine di realizzare eventuali guadagni tramite la sua vendita è talvolta un motivo ancora più importante dell'investimento, che rientra pienamente nella gestione di un portafoglio e dei redditi da esso provenienti. Anche questo è un aspetto che andrebbe probabilmente studiato. |
5.4 |
Quanto al dibattito sulla doppia imposizione economica, il Comitato ritiene che non sia illegittimo distinguere tra persone fisiche e persone giuridiche, a prescindere dai metodi e dalle aliquote impositive applicate nei loro confronti. La parte degli utili che viene distribuita costituisce un reddito a disposizione degli azionisti, ma non tutti gli utili vengono necessariamente distribuiti. Una parte serve all'autofinanziamento della società, cosa che fa aumentare il valore del titolo e la ricchezza degli azionisti; nelle ipotesi considerate dalla Commissione, questa parte degli utili è oggetto unicamente dell'imposta sulle società e non dell'IRPEF. Bisognerebbe dunque sapere anche se questo plusvalore viene tassato o meno al momento della vendita e a quali condizioni; neanche questo aspetto, peraltro importante secondo il Comitato, viene affrontato nella comunicazione. |
6. Conclusioni
6.1 |
Il Comitato reputa che affrontare la questione delle doppie imposizioni e della tassazione delle eventuali ritenute alla fonte per quanto riguarda i dividendi di origine interna e quelli in entrata e in uscita al fine di garantire un trattamento non discriminatorio costituisca un obiettivo importante, senza tuttavia che per questo venga rimesso in discussione il principio fondamentale dell'uguaglianza delle persone fisiche davanti agli oneri pubblici sul piano nazionale. Gli Stati membri con pratiche fiscali analoghe potrebbero inoltre collaborare tra loro per studiare le migliori pratiche fiscali disponibili. |
6.2 |
Le questioni sollevate dal Comitato nelle osservazioni specifiche potrebbero essere esaminate in tappe successive in vista di un'armonizzazione fiscale più avanzata in tema di imposta societaria e di imposizione dei redditi e dei plusvalori dei titoli mobiliari, ai fini di un migliore funzionamento del mercato interno. |
6.3 |
Il Comitato ritiene infine che la comunicazione della Commissione apra prospettive per la soluzione di problemi che sono oggetto di numerosi ricorsi presso la Corte di giustizia, che andrebbero evitati in avvenire per non sovraccaricarla inutilmente di domande in questo campo. |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Verso un mercato interno senza ostacoli fiscali, COM(2001) 582 def.
(2) Causa C-35/98 Verkooijen Racc. 2000 pag. I-4071.
(3) Si veda la relazione Ruding del marzo 1992, pp. 207-208.
(4) Causa C-204/90 Bachmann Racc. 1992 pag. I-249.
(5) Causa C-516/99 Schmid Racc- 2002 pag. I-4573.
(6) N.d.t.: aliquota applicata ai redditi derivanti da partecipazioni in società nazionali.
ALLEGATO
al parere del Comitato economico e sociale europeo
Emendamenti che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi ma sono stati respinti nel corso del dibattito:
Punto 4.6
Sopprimere l'ultima frase.
Esito della votazione
Voti contrari: |
84 |
Voti favorevoli: |
58 |
Astensioni: |
9 |
Punto 4.8
Sopprimere.
Esito della votazione
Voti contrari: |
85 |
Voti favorevoli: |
53 |
Astensioni: |
16 |
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/74 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni e alle parti sociali a livello comunitario relativa al riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro
(COM(2003) 843 def.)
(2004/C 302/16)
La Commissione, in data 5 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore HAHR.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 giugno 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 71 voti contrari e 13 astensioni.
1. Contenuto del documento della Commissione
1.1 |
Oggetto della comunicazione è la direttiva 93/104/CE del 23 novembre 1993, modificata dalla direttiva 2000/34/CE, che prevede prescrizioni minime in materia di organizzazione dell'orario di lavoro volte a garantire un miglior livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. |
1.2 |
La comunicazione si prefigge tre obiettivi, illustrati ai punti 1.2.1, 1.2.2 e 1.2.3. |
1.2.1 |
In primo luogo intende valutare l'applicazione delle due disposizioni della direttiva che devono essere riesaminate prima del 23 novembre 2003, ovverosia prima della scadenza del periodo settennale che decorre dalla data imposta agli Stati membri per il recepimento. Si tratta della facoltà, contemplata all'articolo 17, paragrafo 4, di derogare ai periodi di riferimento per l'applicazione dell'articolo 6 relativo alla durata massima settimanale del lavoro, nonché della facoltà, concessa agli Stati membri dall'articolo 18, paragrafo 1, lettera b), punto i), di non applicare l'articolo 6, a condizione che vengano adottate misure intese a garantire che i lavoratori abbiano dato il loro consenso a lavorare per più di 48 ore alla settimana (possibilità generalmente nota sotto il nome di opt-out). |
1.2.2 |
In secondo luogo la Commissione intende analizzare l'impatto della giurisprudenza della Corte per quanto riguarda sia la definizione dell'orario di lavoro e dei periodi di guardia, sia i recenti sviluppi volti a migliorare la compatibilità tra la vita professionale e quella familiare. |
1.2.3 |
La Commissione intende infine sentire il parere del Parlamento europeo e del Consiglio, come pure del Comitato economico e sociale europeo, del Comitato delle regioni e delle parti sociali, in merito a un'eventuale revisione del testo. |
1.2.4 |
In questo contesto è opportuno ricordare che l'11 febbraio 2004 il Parlamento europeo ha adottato una relazione che chiede la progressiva e completa eliminazione delle disposizioni relative all'opt-out. Il 19 maggio la Commissione ha elaborato un secondo documento di consultazione, con il quale invita le parti sociali a negoziare, e, in caso di insuccesso, a fornire indicazioni esaurienti quanto all'orientamento dell'eventuale legislazione che potrebbe essere da essa proposta in un secondo momento. |
2. Osservazioni di carattere generale
2.1 |
Il CESE ritiene inadeguato il metodo di consultazione utilizzato dalla Commissione, dato che si tratta di una materia che a livello nazionale è oggetto di contrattazione collettiva. La Commissione avrebbe dovuto consultare le parti sociali prima di avviare la procedura di consultazione con le istituzioni europee, il CESE e il Comitato delle regioni. |
2.2 |
Di fatto, la Commissione non presenta alcuna proposta concreta intesa ad apportare modifiche alla direttiva. Con tale consultazione mira invece ad ottenere delle risposte in merito a cinque argomenti principali, in vista di una futura revisione della direttiva:
|
2.2.1 |
Per poter dare una risposta esaustiva ai cinque quesiti posti dalla Commissione, è necessario non soltanto conoscere nei dettagli la direttiva generale 93/104/CE sull'orario di lavoro, ma anche analizzare le modalità con le quali questa direttiva è stata recepita nella legislazione degli Stati membri, l'impatto esercitato dalla sua attuazione sulla precedente legislazione nazionale in materia di orario di lavoro e gli effetti prodotti dai contratti collettivi nazionali di categoria. Il Comitato constata che la relazione (1) pubblicata dalla Commissione e il contenuto della comunicazione in esame chiariscono solo parzialmente queste problematiche. È per questo motivo che la posizione del Comitato avrà necessariamente un carattere più globale. |
2.2.2 |
Per garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, in linea con le disposizioni sociali del Trattato CE (articolo 136 e seguenti) e con la direttiva 89/391 CEE, la direttiva generale sull'orario di lavoro 93/104/CE prescrive specificamente quanto segue:
|
2.2.3 |
La direttiva stabilisce inoltre le condizioni alle quali gli Stati membri e le parti sociali nazionali, in virtù rispettivamente della legislazione nazionale e dei contratti collettivi, possono derogare alle sue disposizioni: le deroghe sono consentite esclusivamente a condizione che vengano rispettati i principi generali in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. |
2.2.4 |
Benché purtroppo non si disponga di una valutazione d'insieme che consenta di stabilirlo con certezza, il Comitato parte dall'ipotesi che l'attuazione della direttiva negli Stati membri abbia migliorato le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dell'Unione europea nella misura inizialmente auspicata, perlomeno sul lungo termine. È questo il motivo per cui è necessario ponderare e motivare con attenzione le modifiche che si apporteranno al contenuto della direttiva, soprattutto a partire dalle valutazioni degli interlocutori sociali. |
2.2.5 |
A parte tutto questo, si deve tener conto del fatto che le norme contenute nella direttiva sono frutto di dibattiti e riflessioni che risalgono a oltre quattordici anni fa. Le decisioni della Corte di giustizia in merito all'interpretazione dei concetti di «orario di lavoro» e di «riposo compensativo» hanno provocato gravi problemi in molti Stati membri. In questo contesto il Comitato accoglie con interesse, pur sottolineandone i limiti già accennati, la procedura di consultazione lanciata dalla Commissione, che consente di raccogliere punti di vista diversi circa il modo in cui la direttiva e la legislazione da essa derivata hanno funzionato negli Stati membri, colmando così le lacune di informazione di cui sopra. In conformità con le disposizioni del Trattato CE, il ruolo essenziale in questa procedura di consultazione spetta ovviamente in primo luogo agli interlocutori sociali. |
2.2.6 |
L'orario di lavoro e la sua organizzazione sono un elemento fondamentale del rapporto quotidiano tra il datore di lavoro e il lavoratore, nonché delle relazioni tra le associazioni imprenditoriali e i sindacati. È questo il motivo per cui l'elaborazione di norme che disciplinino l'orario di lavoro nei contratti collettivi è di vitale importanza per le parti sociali, che vantano grande esperienza in materia. |
2.2.7 |
La legislazione nazionale in materia di orario di lavoro si fonda generalmente sull'idea che il datore di lavoro e il lavoratore condividono la responsabilità di organizzare in modo soddisfacente il tempo di lavoro. Spetta alle parti sociali dei vari Stati membri risolvere a diversi livelli, sulla base delle norme vigenti in materia e sempre nel quadro dei contratti collettivi, i problemi di orario che emergono sul luogo di lavoro. |
2.2.8 |
Da un esame strettamente giuridico delle norme previste dalla direttiva sull'orario di lavoro in materia di riposo giornaliero, tempi di pausa, riposo settimanale e orario di lavoro settimanale, nonché dal raffronto tra queste norme e le disposizioni relative alle deroghe di cui all'articolo 17, risulta che la direttiva deve essere considerata come uno strumento che offre un margine sufficiente di flessibilità contrattata, a parte le conseguenze delle decisioni della Corte di giustizia in materia di tempi di guardia. Si constata tuttavia che la direttiva sull'orario di lavoro risulta essere una sezione particolarmente complessa del diritto comunitario. Il Comitato propone pertanto che la Commissione, nel contesto di una eventuale proposta di revisione della direttiva, analizzi anche le condizioni alle quali sarebbe possibile semplificare la direttiva stessa: tale semplificazione, tuttavia, non deve avvenire a detrimento dei requisiti fondamentali in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori. |
3. Osservazioni specifiche
3.1 Periodi di riferimento
3.1.1 |
Sin dalla pubblicazione della direttiva in esame, in Europa è cominciato il dibattito sull'orario di lavoro annuale. Il concetto di orario di lavoro annuale può essere semplicemente definito come un sistema nel quale il periodo di riferimento per calcolare la durata media del lavoro settimanale è pari ad un anno o a 365 giorni. |
3.1.2 |
L'articolo 6 della direttiva sull'orario di lavoro contiene una norma che prevede un orario settimanale medio di 48 ore. Questo numero di ore può essere ripartito su quattro mesi, oppure, fatte salve le deroghe di cui all'articolo 17, su sei o dodici mesi (2). Per quanto riguarda lo scaglionamento del tempo di lavoro nell'arco di un determinato periodo di riferimento, la direttiva conferisce quindi un certo margine di libertà. È ovvio tuttavia che nell'organizzare il tempo di lavoro si devono rispettare le disposizioni relative al riposo giornaliero, al riposo settimanale, al lavoro notturno ecc., nonché i principi generali in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. |
3.1.3 |
Nella comunicazione la Commissione constata che «non è sempre facile analizzare le leggi nazionali per quanto riguarda il recepimento degli articoli 6 e 16» (3) (che riguardano rispettivamente l'orario di lavoro settimanale massimo e i periodi di riferimento), ma che «in generale si può rilevare l'affermarsi di una tendenza ad un periodo di riferimento annuale» (4). |
3.1.4 |
La questione che si pone, e che la Commissione non affronta, consiste nel sapere fino a che punto il prolungamento del periodo di riferimento si ripercuote sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. La concentrazione del lavoro su un periodo relativamente breve può sì risultare poco pratica, ma dal fatto che in numerosi casi il periodo di riferimento annuale trovi applicazione proprio nel quadro dei contratti collettivi si deve dedurre che le parti sociali considerano pienamente compensate le ripercussioni negative che un periodo di riferimento più lungo può avere per la salute e la sicurezza dei lavoratori, qualora sia prevista la concessione di un periodo di riposo equivalente. |
3.1.5 |
Uno degli argomenti avanzati a favore del prolungamento del periodo di riferimento è la maggiore flessibilità di cui godrebbero le imprese in materia di gestione degli orari di lavoro. In realtà, grazie ai contratti collettivi, questa flessibilità esiste già in molti paesi e il problema riguarda sostanzialmente quindi soltanto i paesi nei quali tradizionalmente la contrattazione collettiva svolge un ruolo poco rilevante. Sarebbe importante rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva anche in materia di orario di lavoro, soprattutto nei paesi e nei settori in cui essa non è particolarmente forte. |
3.1.6 |
Il Comitato fa presente che l'articolo 137 del Trattato CE, che costituisce il fondamento giuridico della direttiva sull'orario di lavoro, stabilisce che le direttive fondate su questo articolo «evitano di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese». |
3.1.7 |
Dato che, in virtù dei contratti collettivi, il periodo di riferimento di dodici mesi viene già applicato in numerosi Stati membri, il Comitato ritiene che le parti sociali, grazie alla possibilità di estendere tale periodo, dispongano della flessibilità necessaria per adattare gli orari di lavoro alle diverse realtà dei vari Stati membri, dei loro comparti e delle singole imprese. Tale norma dovrebbe pertanto essere mantenuta. |
3.1.8 |
Vista la peculiarità dell'orario di lavoro dei quadri, il Comitato è favorevole al coinvolgimento diretto delle organizzazioni che rappresentano questa categoria nelle procedure e nei negoziati che stabiliscono le condizioni relative all'orario di lavoro. Ciò richiederebbe tuttavia disposizioni specifiche. |
3.2 Definizione dell'orario di lavoro
3.2.1 |
L'articolo 2 della direttiva sull'orario di lavoro contiene una definizione del concetto di orario di lavoro e di quello di periodo di riposo. Secondo l'articolo, per «orario di lavoro» si intende «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali», mentre per periodo di riposo si intende «qualsiasi periodo che non rientra nell'orario di lavoro». |
3.2.2 |
In due casi la Corte di giustizia si è trovata a dover interpretare la definizione di «orario di lavoro» che figura nella direttiva. Nel primo caso (5), che riguardava il servizio di guardia di un medico in una struttura sanitaria, la Corte ha ritenuto che il periodo di servizio di guardia effettuato da un medico debba essere considerato come tempo di lavoro ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva se i medici sono tenuti ad essere fisicamente presenti nel luogo di somministrazione delle cure. Per servizio di guardia si deve intendere l'obbligo di essere fisicamente presenti nel luogo indicato dal datore di lavoro e di restare a disposizione di quest'ultimo nell'attesa di intervenire. Nel secondo caso (caso Jaeger) (6), la Corte ha confermato l'interpretazione già data precedentemente ed è giunta alla conclusione che anche il tempo che un medico trascorre in vigile attenzione deve essere considerato come facente parte dell'orario di lavoro ai sensi della direttiva. La Corte ha anche stabilito che il riposo compensativo deve essere fruito immediatamente. |
3.2.3 |
Il CESE constata che le sentenze della Corte possono avere profonde conseguenze sull'organizzazione del lavoro, non solo per il settore sanitario, ma anche per altri settori. Molti Stati membri prevedono infatti nella loro legislazione norme relative ai tempi di guardia, concepite in vari modi. Ciò che tali norme hanno in comune, tuttavia, è che il tempo di guardia non è considerato come tempo di lavoro, o lo è solo in parte. Esso però non è neanche considerato tempo di riposo. |
3.2.4 |
Ciò che sorprende è che la portata della definizione di orario di lavoro di cui all'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva non sembra essere stata né analizzata né dibattuta in maniera soddisfacente prima dell'adozione della direttiva: è questo l'unico elemento che può spiegare la sorpresa provocata dalle decisioni della Corte sia presso le istituzioni europee che negli Stati membri, tanto più che la maggior parte degli Stati membri ha inserito nella propria legislazione nazionale norme relative al servizio di guardia. |
3.2.5 |
Il Comitato condivide la posizione della Commissione, secondo cui esistono varie soluzioni possibili. Nella situazione attuale, tuttavia, il Comitato non si pronuncia per l'una o l'altra delle soluzioni proposte, limitandosi ad osservare che l'alternativa prescelta dovrà in primo luogo:
|
3.3 Applicazione delle deroghe conformemente all'articolo 18, paragrafo 1, lettera b), punto i) (opt-out)
3.3.1 |
L'articolo 18 della direttiva conferisce agli Stati membri il diritto di derogare, per via legislativa, all'articolo 6, che limita ad una media di 48 ore l'orario di lavoro settimanale. L'applicazione della deroga presuppone che siano soddisfatte un certo numero di condizioni:
Si fa inoltre osservare che anche i lavoratori che si avvalgono dell'opt-out in base all'articolo 18 hanno il diritto ad un riposo giornaliero di 11 ore e ad una pausa di riposo dopo sei ore. |
3.3.2 |
Per quanto riguarda quella che potrebbe essere definita una «cultura sana» dell'orario di lavoro, la direttiva parte da premesse vaghe e non chiaramente formulate. Secondo l'articolo 137 del Trattato CE «la Comunità sostiene e completa l'azione degli Stati membri» per quanto riguarda il miglioramento dell'ambiente di lavoro e per «proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori». La stessa esistenza della direttiva sull'orario di lavoro e soprattutto la sua attuazione pratica nella maggior parte degli Stati membri sono, in ogni caso, la prova di una forte volontà di limitare il rischio per il lavoratore di vedersi imporre una cultura malsana dell'orario di lavoro. In effetti l'articolo 18, paragrafo 1, lettera b), punto i), prevede espressamente che uno Stato membro può applicare l'opt-out solo nel «rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori». |
3.3.3 |
Quanto l'applicazione dell'opt-out sia legittima dipende necessariamente dal fatto di poter dimostrare o meno l'esistenza di un rapporto diretto tra un orario di lavoro settimanale superiore alle 48 ore e una minaccia per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Nella comunicazione in esame, la Commissione afferma che l'analisi delle ripercussioni dell'opt-out sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori non sembra possibile, vista la mancanza di dati affidabili (7). Essa rimanda tuttavia ad un recente studio, secondo il quale potrebbe esistere un rapporto tra le lunghe giornate di lavoro e la salute fisica, in particolare quando l'orario di lavoro supera le 48/50 ore settimanali. Nel parere sulla proposta di direttiva del 1990, il CESE aveva già dichiarato che numerosi studi dimostrano che un orario di lavoro troppo prolungato senza tempi di riposo può nuocere alla salute dei lavoratori e provocare malattie professionali e incidenti (8). |
3.3.4 |
Un'altra questione importante che si pone a proposito dell'opt-out è la libertà per il lavoratore di accettare o meno questa deroga. Secondo le norme stabilite dalla direttiva, il lavoratore deve sempre avere la libertà di scegliere di non lavorare oltre la media di 48 ore settimanali. Queste norme sono state oggetto di critiche: si è obiettato che questa libertà di scelta in realtà non esiste, vista la posizione di debolezza del lavoratore rispetto al datore di lavoro e la sua conseguente difficoltà di rifiutare di firmare un accordo. |
3.3.5 |
Secondo la comunicazione della Commissione, un'inchiesta realizzata in Gran Bretagna presso i datori di lavoro dimostra che il 48 % dei lavoratori del settore della costruzione lavorano oltre le 48 ore settimanali (9). Si tratta di una cifra sorprendentemente elevata, soprattutto se si considera che in molti casi si riferisce probabilmente a lavori che richiedono contemporaneamente resistenza fisica e precisione. Per il datore di lavoro, dunque, il beneficio delle ultime ore di lavoro, che, dovendo essere retribuite come ore supplementari risultano particolarmente costose, deve essere relativamente debole. È questo il motivo per cui ci si chiede se in Gran Bretagna la generale tendenza verso un orario di lavoro più lungo non sia funzione di altri problemi strutturali. |
3.3.6 |
Un'altra importante questione che si pone è quella delle ripercussioni che un orario di lavoro prolungato può avere sulle famiglie. Come possono i genitori che lavorano entrambi oltre 48 ore settimanali conciliare la vita professionale con quella familiare? È lecito affermare che la generalizzazione di un orario di lavoro prolungato contribuisce a mantenere totalmente o parzialmente fuori dal mercato del lavoro uno dei due genitori, cioè nella maggior parte dei casi la donna? Se questo è il caso, è possibile che l'opt-out sia in realtà contrario alla realizzazione dell'obiettivo stabilito dalla strategia di Lisbona secondo il quale per il 2010 il 60 % delle donne dell'Unione europea dovrà esercitare un'attività professionale. È un po' sorprendente constatare che in Gran Bretagna la differenza di partecipazione al mercato del lavoro tra gli uomini e le donne si situa leggermente al di sotto della media UE, ma che la Gran Bretagna è, dopo i Paesi Bassi, il paese dell'Unione europea che vede, in termini relativi, la massima percentuale di donne (circa la metà) che lavorano a tempo parziale (10). Secondo la comunicazione della Commissione, in Gran Bretagna il 26,2 % degli uomini lavora oltre 48 ore alla settimana, mentre per le donne la percentuale è dell'11,5 % (11). Uno studio pubblicato dal British Medical Journal rivela che la mancata limitazione delle ore di lavoro straordinario comporta rischi per la salute delle lavoratrici, soprattutto di quelle che hanno famiglia e che svolgono lavori manuali (12). L'opt-out sembrerebbe dunque avere un effetto negativo sulla parità di opportunità tra uomini e donne: questo aspetto comporterebbe tuttavia un'analisi più approfondita. |
3.3.7 |
In questa fase il CESE non intende pronunciarsi nei confronti dell'opt-out. Per poter prendere posizione in merito si dovrebbe procedere ad un'analisi più approfondita della situazione, che veda la partecipazione delle parti sociali. |
3.4 Misure intese ad assicurare un migliore equilibrio tra la vita professionale e la vita familiare
3.4.1 |
Che cosa significa migliore equilibrio tra la vita professionale e la vita familiare per il lavoratore? Che cosa si intende per «vita familiare»? Se rivolta ai genitori di un bambino di tenera età, questa domanda otterrà un certo tipo di risposta, se rivolta ad una coppia senza figli avrà una risposta molto diversa, mentre un padre celibe darà una risposta ancora differente. Non è quindi possibile rispondere in maniera univoca alla necessità di migliorare l'equilibrio tra la vita professionale e la vita familiare. |
3.4.2 |
Da un punto di vista generale, si può comunque dire che per la maggior parte delle persone la possibilità di intervenire sulla propria situazione di lavoro o di prenderne il controllo rappresenta un elemento positivo, che contribuisce a creare un ambiente di lavoro soddisfacente. Ciò vale soprattutto per i genitori di bambini piccoli. Nella risoluzione del Parlamento europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro si sottolinea in particolare quanto segue:
Il CESE appoggia con vigore questa analisi, aggiungendo tuttavia che il problema non riguarda esclusivamente le donne, ma, più in generale, i genitori che incontrano delle difficoltà nel conciliare la vita professionale con le responsabilità familiari, cosa che comporta anch'essa un rischio per la salute. |
3.4.3 |
Il CESE fa presente che l'obiettivo di consentire a ciascuno di liberare dagli obblighi della vita professionale e familiare una parte del proprio tempo per sviluppare la propria capacità di partecipare alla vita sociale e democratica dovrebbe figurare tra le finalità di qualsiasi politica di organizzazione dell'orario di lavoro. |
3.4.4 |
Attualmente esiste, sia nel diritto comunitario che nelle legislazioni nazionali, una moltitudine di norme che tengono conto delle possibilità di conciliare la vita professionale con la vita familiare e l'educazione dei figli: regimi di congedo parentale, di lavoro a tempo parziale, di telelavoro, di orario flessibile, ecc. Prima di proporre nuovi provvedimenti, il CESE gradirebbe che si procedesse, con la partecipazione delle parti sociali, ad un riepilogo e ad un esame comparativo delle disposizioni già esistenti in materia. Il CESE propone di affidare uno studio di questo tipo alla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la quale già ha pubblicato una relazione che, in una certa misura, affronta questioni analoghe (14). |
Bruxelles, 30 giugno 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Relazione della Commissione - «Situazione dell'applicazione della direttiva del Consiglio 93/104/CE del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (Direttiva sull'orario di lavoro)», (COM(2000) 787 def.).
1. |
da quattro a sei mesi mediante contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali (nella prima frase dell'articolo 17, paragrafo 4, si fa riferimento all'articolo 17, paragrafo 3). |
2. |
Inoltre agli Stati membri è consentito, mediante contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali, di fissare periodi di riferimento non superiori a dodici mesi «nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori» e «per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro». |
(3) COM(2003) 843 def., pag. 5.
(4) Ibidem, pag. 6.
(5) Sentenza della Corte del 3 ottobre 2000, causa C-303/98, Sindicato de Médicos de Asistencia Pública (SIMAP) contro Conselleria de Sanidad y Consumo de la Generalidad Valenciana.
(6) Sentenza della Corte del 9 ottobre 2003, causa C-151/02, Landeshauptstadt Kiel contro Norbert Jaeger, non ancora pubblicata.
(7) COM(2003) 843 def.
(8) GU C 60 dell'8.3.1991, pag. 26.
(9) COM(2003) 843 def.
(10) Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni - Relazione sulla parità tra uomini e donne, 2004 (COM(2004) 115 def.).
(11) Relazione del Parlamento europeo dell'11 febbraio 2004 sull'organizzazione dell'orario di lavoro (revisione della direttiva 93/104/CE), A5-0026/2004.
(12) ALA-Mursula et al., «Effect of employee worktime control on, health: a prospective cohort study», Occupational and Environment Medicine Journal, volume 61, pagg. 254-261, n. 3, marzo 2004.
(13) Risoluzione del Parlamento europeo dell'11 febbraio 2004 sull'organizzazione dell'orario di lavoro (revisione della direttiva 93/104/CE), P5_TA-PROV(2004) 0089, punti 20-22.
(14) A new organisation of time over working life, Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, 2003.
ALLEGATO
al parere del Comitato economico e sociale europeo
Qui di seguito si riportano gli emendamenti respinti durante il dibattito, ma che avevano ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:
Punto 3.1.7
Sostituire con il seguente testo:
Nella comunicazione del 19 maggio la Commissione suggerisce di estendere il periodo di riferimento, senza però formulare una proposta concreta. Il CESE non intende quindi prendere posizione in materia già in questa fase, e si riserva di farlo quando sarà consultato in merito ad una proposta di direttiva.
Motivazione
Sulla definizione dell'orario di lavoro (punto 3.2.5) e sull'opt-out (punto 3.3.7) il CESE non prende posizione, in attesa di proposte più concrete. È quindi giustificato assumere un atteggiamento analogo per quanto riguarda il periodo di riferimento.
Esito della votazione
Voti favorevoli: |
84 |
Voti contrari: |
135 |
Astensioni: |
7 |
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/80 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «I rapporti fra l'Unione europea e la Turchia in vista del Consiglio europeo del dicembre 2004» (parere d'iniziativa)
(2004/C 302/17)
Il Comitato economico e sociale europeo, ha deciso in data 28 gennaio 2004, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema I rapporti fra l'Unione europea e la Turchia in vista del Consiglio europeo del dicembre 2004.
La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore Tom ETTY.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o luglio 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 166 voti favorevoli, 17 contrari e 28 astensioni.
1. Contesto generale
1.1 |
Da diversi anni il Comitato economico e sociale europeo (CESE) segue lo svolgersi degli avvenimenti in Turchia, un paese che si è associato alla Comunità europea nel 1963, ha presentato domanda di adesione nel 1987, ed è divenuto partner dell'UE nell'Unione doganale nel 1995. |
1.2 |
Grazie al comitato consultivo misto (CCM) istituito insieme alla società civile organizzata della Turchia, che funziona a pieno regime dal 1995, il CESE è ben al corrente delle aspirazioni degli ambienti socioeconomici turchi circa l'adesione del paese all'Unione europea e ne ha sempre tenuto conto. Esso confida sinceramente che al Vertice del dicembre 2004 sia possibile concludere che la Turchia avrà soddisfatto i criteri politici decisi a Copenaghen nel 1993 e si decida di conseguenza l'immediato avvio dei negoziati di adesione. |
1.3 |
Da diversi decenni la Turchia dimostra di aver scelto inequivocabilmente di volgersi verso l'Europa. |
1.4 |
La Turchia è un paese con un ordinamento laico e con una stragrande maggioranza della popolazione musulmana, che desidera funzionare come una democrazia moderna e laica. Costituisce un esempio assai significativo per quei paesi con una popolazione musulmana preponderante che desiderano rafforzare le proprie strutture politiche in termini di laicità e democrazia. Nel momento in cui la Turchia aderirà all'Unione europea, quest'ultima potrà dimostrare l'alto livello raggiunto sul piano del pluralismo, della capacità di gestire il dialogo tra culture e religioni e del proprio ruolo di interlocutore di pace e di equità nel mondo. |
1.5 |
La Turchia è anche un paese demograficamente giovane, con un'economia in forte crescita che presenta un notevole potenziale. Sarebbe tuttavia inesatto continuare a considerarla solo come un grande mercato per le esportazioni europee o come destinazione per investimenti a basso costo. |
1.6 |
Da molti anni la Turchia assolve il duplice ruolo di zona tampone e di ponte fra l'Oriente e l'Occidente, senza mai cessare però di considerarsi europea. Se riuscisse a diventare membro dell'Unione europea potrebbe sostenere in maniera ancor più diretta le azioni di quest'ultima per la prevenzione dei conflitti, in particolare grazie ai suoi ottimi rapporti con i paesi dell'Asia centrale, del Medio Oriente e della regione del Golfo persico. |
2. Introduzione
2.1 |
Per il resto dell'anno le relazioni tra l'Unione europea e la Turchia continueranno a essere dominate dalla questione dell'eventuale apertura dei negoziati d'adesione, sulla quale dovrà pronunciarsi il Consiglio europeo del dicembre 2004. |
2.2 |
La decisione costituirà una svolta dopo un periodo di oltre 15 anni durante il quale la Turchia ha atteso una risposta chiara alla sua domanda di adesione all'Unione europea. Il Consiglio europeo di Helsinki, svoltosi nel dicembre 1999, ha riconosciuto alla Turchia lo status di paese candidato all'adesione. Il Consiglio di Copenaghen del dicembre 2002 ha concluso che una decisione sull'opportunità o meno di aprire i negoziati sarebbe dipesa da una valutazione del rispetto, da parte della Turchia, dei criteri politici stabiliti a Copenaghen nel 1993. L'osservanza di questi criteri è considerata una condizione essenziale per imboccare la strada verso l'adesione. |
2.3 |
È ovvio che la decisione che sarà presa riveste la massima importanza non solo per la Turchia, ma anche per l'Unione europea. |
2.4 |
Finora l'esito del monitoraggio della Commissione europea sui progressi compiuti dalla Turchia è positivo: a giudizio della Commissione, in questi ultimi due o tre anni i risultati del processo di riforma sono stati davvero notevoli. Sono tuttavia necessari altri progressi significativi per quanto riguarda l'indipendenza del sistema giudiziario, la libertà di espressione, il ruolo dell'esercito e i diritti culturali, i quali vanno tutelati in particolare nel sud-est del paese. Nella sua più recente relazione sulla Turchia, il Parlamento europeo ha formulato una valutazione analoga: la Turchia, malgrado tutti gli sforzi profusi finora, continua a non rispettare i criteri politici di Copenaghen. Notevoli sono le lacune della carta costituzionale adottata nel 1982, durante il regime militare, e le riforme introdotte a partire dal 2001 non bastano ancora a spogliarla della sua natura fondamentalmente autoritaria. Altre importanti preoccupazioni formulate nella relazione del Parlamento riguardano l'attuazione pratica delle riforme, il persistere della tortura nei commissariati di polizia, le vessazioni di cui sono oggetto le organizzazioni di difesa dei diritti umani e la violazione dei diritti delle minoranze (in particolare dei curdi). |
2.5 |
La Turchia ha non soltanto realizzato un notevole programma legislativo, ma ha anche adottato importanti misure per monitorare l'attuazione pratica della nuova legislazione. |
2.6 |
Il presente parere è stato preparato, fra l'altro, sulla base del lavoro svolto in materia dal comitato consultivo misto UE/Turchia. Ciò ha consentito al CESE di tenere conto delle opinioni, delle aspirazioni e delle aspettative di una parte rilevante della società civile turca. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Va chiarito sin dall'inizio che le questioni fondamentali ora all'esame del CESE sono essenzialmente di ordine politico e riguardano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani e la protezione delle minoranze, come deciso dal Consiglio di Copenaghen del dicembre 2002. |
3.2 |
I criteri economici e l'acquis comunitario saranno esaminati in questa sede solo nella misura in cui i progressi realizzati in materia dalla Turchia possono essere considerati atti a contribuire al rafforzamento dei diritti umani, della società civile e della democrazia. |
3.3 |
Il CESE ha preso nota delle ultime informazioni in proposito, e in particolare della relazione periodica 2003 della Commissione europea relativa ai progressi compiuti dalla Turchia sul cammino verso l'adesione, della relazione del Parlamento europeo sulla Turchia dell'aprile 2004, e della relazione del Consiglio d'Europa relativa ai diritti umani in Turchia del dicembre 2003. Il CESE condivide la valutazione generale del processo di riforma contenuta in queste relazioni. Ritenendo che il valore aggiunto del presente parere risieda nelle considerazioni relative ai criteri politici che rivestono particolare importanza per gli ambienti socioeconomici, il Comitato sceglie di incentrare il documento su questi aspetti. |
3.4 |
Il CESE attribuisce particolare importanza ai seguenti criteri politici:
|
3.5 |
Il Consiglio europeo riunitosi a Helsinki nel 1999 ha chiaramente affermato che i risultati delle riforme in Turchia sarebbero stati valutati sulla base degli stessi criteri che si applicano agli altri paesi candidati. |
3.6 |
A questo proposito va rilevato che, manifestamente, alcuni paesi con i quali sono stati avviati negoziati d'adesione parecchi anni fa non soddisfacevano appieno i criteri politici al momento dell'apertura dei negoziati. In alcuni di essi persistono discrepanze notevoli, anche ora che sono diventati membri dell'Unione europea. Basti pensare soprattutto ad aspetti importanti quali la corruzione, l'indipendenza del sistema giudiziario e il trattamento riservato alle minoranze. Dato il contesto, nel parere del Comitato occorre precisare non solo che la situazione della Turchia va valutata in base agli stessi criteri utilizzati per gli altri paesi candidati, ma anche che detti criteri debbono essere applicati in maniera identica. |
3.7 |
Il fatto che nel dicembre 2002 il Consiglio europeo si sia posto un termine per la decisione in merito all'avvio dei negoziati con la Turchia indica che in quel momento il Paese aveva compiuto progressi tali da giustificare l'aspettativa che, impegnandosi a fondo nei restanti ventiquattro mesi, avrebbe potuto colmare le lacune constatate. In caso contrario, sarebbe stato inutile e ingiusto prospettare alla Turchia questa possibilità. |
3.7.1 |
Per risolvere problemi fondamentali quali il ruolo dell'esercito nella società e il trattamento delle minoranze (in particolare dei curdi nel sud-est del Paese), che hanno una complessa storia di molti decenni, due anni rappresentano un periodo estremamente breve. È quindi ragionevole dedurre che il Consiglio non abbia ritenuto che la Turchia sarebbe stata in grado di soddisfare pienamente i criteri politici entro il dicembre 2004. |
3.7.2 |
Se questa è una corretta interpretazione della decisione del Consiglio del dicembre 2002, la questione consiste allora nel determinare quanti progressi, nell'ambito dei criteri politici, si possano ragionevolmente esigere dalla Turchia per poter avviare i negoziati. |
3.8 |
Nell'attuale dibattito sull'apertura dei negoziati di adesione con la Turchia, si fa costantemente riferimento al problema di Cipro. Occorre tener conto sia del ruolo positivo svolto dalla Turchia nell'impegno profuso per trovare una soluzione sia del successivo voto favorevole alla riunificazione dell'isola espresso dal 65 % della comunità turcocipriota. Cipro rimane indubbiamente una questione di fondamentale importanza, tanto in termini di principi che di realtà politiche. Tuttavia, se ci si attiene fedelmente e onestamente alla decisione del Consiglio di Copenaghen del dicembre 2002, citata al punto 2.2, l'UE non può fare della soluzione del problema cipriota un nuovo requisito per l'apertura dei negoziati, poiché ciò significherebbe porre una condizione aggiuntiva a posteriori. |
4. Osservazioni specifiche
4.1 Diritti umani
4.1.1 |
Gli ambienti socioeconomici sono profondamente coinvolti nelle questioni relative alla protezione del diritto sindacale e al diritto di negoziazione collettiva, garantiti dalle convenzioni 87 e 98 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dalla Carta sociale europea. La Turchia ha ratificato queste due convenzioni ed è parte contraente della Carta sociale europea, ma ha espresso riserve in merito agli articoli 5 (libertà d'associazione) e 6 (diritto di negoziazione collettiva e diritto di sciopero) della Carta. |
4.1.2 |
Negli ultimi venti anni, e in particolare in seguito al colpo di Stato militare del settembre 1980, tali diritti sono stati gravemente lesi. Il regime militare è giunto persino ad inserire nella Costituzione del 1982 tutta una serie di violazioni gravi dei diritti sindacali fondamentali. |
4.1.3 |
Diversi articoli in questione e diverse normative basate su di essi sono stati emendati negli ultimi anni. |
4.1.4 |
Persistono tuttavia importanti deviazioni rispetto alle convenzioni fondamentali dell'OIL. In particolare, l'articolo 54 della Costituzione impone tuttora restrizioni dettagliate al diritto di sciopero. L'articolo 51 della Costituzione, che fissa delle condizioni preliminari all'elezione dei responsabili sindacali, è stato modificato per conformarsi con la convenzione 87 dell'OIL. Sono in corso iniziative intese a modificare disposizioni simili nella legge 2821 sui sindacati e nella legge 2822 sui contratti e gli accordi collettivi di lavoro, gli scioperi e le serrate. La relazione della commissione di esperti per le convenzioni OIL presso la Conferenza internazionale del lavoro segnala tuttavia che, sulla base di questa legislazione, il governo ha recentemente portato davanti ai tribunali una vertenza contro la DISK, una delle confederazioni sindacali rappresentate nel comitato consultivo misto UE/Turchia. |
4.1.5 |
Da oltre vent'anni gli organi di controllo dell'OIL (la commissione indipendente di esperti per l'applicazione delle convenzioni, la commissione per l'applicazione delle convenzioni della Conferenza internazionale del lavoro e la commissione per la libertà sindacale collegata al consiglio d'amministrazione) criticano fermamente queste violazioni, indicando in che modo la Turchia debba porvi termine. I provvedimenti adottati dai governi turchi successivi per rimediare alla situazione sono stati lenti e deludenti e, purtroppo, mancano tuttora segni di miglioramento. |
4.1.6 |
La relazione sul dialogo sociale e sui diritti economici e sociali in Turchia (1) elaborata per la 12a riunione del CCM UE/Turchia sottolineava in particolare le restrizioni alla libertà sindacale e al diritto di sciopero nel settore pubblico. Purtroppo, nonostante le numerose riforme introdotte nella legislazione relativa ai sindacati e alle relazioni industriali, questa situazione persiste tuttora. |
4.1.7 |
Quanto alla libertà di associarsi in ONG, la normativa sulle associazioni prevede restrizioni relative fra l'altro all'adesione, alla raccolta di fondi e all'ambito di attività. Di fatto, il funzionamento di queste organizzazioni è sovente ostacolato in maniera grave. Se il governo ritiene che una ONG adotti posizioni antigovernative in maniera pacifica, la sottopone a infiltrazioni, sorveglianza minuziosa, censura e così via. |
4.1.8 |
Le fondazioni a favore delle minoranze (religiose) incontrano particolari difficoltà per quanto riguarda i diritti di proprietà. Il governo sembra disposto a eliminare queste restrizioni al loro libero funzionamento e ha promesso, per la primavera 2004, dei miglioramenti che per il momento non si registrano ancora. |
4.1.8.1 |
Sussistono tuttora gravi problemi in merito alla formazione dei sacerdoti delle minoranze religiose, specie nel caso dei greci ortodossi. Il collegio teologico di Halki è chiuso da oltre trent'anni. |
4.1.9 |
Per quanto riguarda i diritti della donna, il Comitato rileva gravi lacune, malgrado la Turchia abbia ratificato le convenzioni fondamentali dell'OIL sull'uguaglianza di retribuzione (n. 100) e sulla discriminazione (impiego e professione) (n. 111). Dette convenzioni sono state recepite nella legislazione nazionale, con alcune eccezioni (esistono ad esempio barriere giuridiche all'accesso delle donne a determinate professioni), ma la loro applicazione pratica presenta numerose lacune, ad esempio per quanto riguarda la parità retributiva per lo stesso lavoro, con pari qualifiche, e l'accesso a taluni impieghi di qualità. Problemi analoghi esistono peraltro anche in diversi Stati membri dell'Unione europea. |
4.1.9.1 |
Inoltre, un problema estremamente preoccupante è costituito sia dall'esistenza di potenti reti criminali che sfruttano la prostituzione forzata sia dal traffico nazionale e internazionale di donne adulte e non, di minori e di organi. |
4.1.10 |
Malgrado importanti modifiche introdotte nella legislazione, persistono tuttora gravi problemi per quanto riguarda il trattamento riservato ai curdi, i cui diritti culturali come minoranza non sono ancora rispettati in maniera sufficiente, sebbene si siano registrati recentemente alcuni notevoli miglioramenti, specie riguardo alla radiodiffusione e alla televisione in lingua curda. In Turchia, lo status di minoranza viene riservato ai gruppi di religione diversa, in base al trattato di Losanna del 1923 che si fa riferimento unicamente alle minoranze religiose. |
4.2 Democrazia
4.2.1 |
In questa parte del testo il Comitato desidera sottolineare ancora una volta la potenziale importanza del nuovo consiglio economico e sociale turco, il quale può contribuire notevolmente a rafforzare il processo democratico nell'adozione di decisioni relative alle principali questioni economiche e sociali, per mezzo di consultazioni approfondite dei gruppi di interesse più rappresentativi da parte del governo. In tal senso il consiglio economico e sociale turco costituisce molto più di un semplice elemento del dialogo sociale, come segnalato dalla Commissione nella sua relazione periodica. |
4.2.2 |
Il consiglio economico e sociale turco è stato istituito nel 2001. È presieduto dal primo ministro e molti altri ministri partecipano ai suoi lavori. Dalla sua creazione non era mai stato convocato: perché ciò avvenisse si è dovuto attendere l'arrivo al potere dell'attuale governo, avvenuto un anno e mezzo fa. Da allora questo consiglio si è riunito in tre occasioni, conformemente al suo calendario, ma non ha certamente funzionato secondo le raccomandazioni contenute nella relazione del CCM UE/Turchia sul dialogo sociale e sui diritti economici e sociali, citata al punto 4.1.6. Sembra invece essere un luogo di conversazione in cui si rilasciano dichiarazioni e si svolgono discussioni sterili, piuttosto che un organo influente in seno al quale i gruppi di interesse economici e sociali, consultati ufficialmente dal governo, si impegnano a fondo per trovare un consenso su questioni delicate nei loro settori di competenza e attività. È ovvio che un simile organismo e un simile tipo di attività non possono essere costruiti da un giorno all'altro. Tuttavia, fino ad oggi il governo non è riuscito a motivare le organizzazioni rappresentate in seno al consiglio a discutere seriamente tra di loro, in particolare rassicurandole e dimostrando che, se riescono a raggiungere compromessi solidi, il governo ne terrà ampiamente conto al momento dell'elaborazione delle politiche. Il CESE spera che il governo della Turchia coopererà in maniera seria e costruttiva con il consiglio economico e sociale, consentendogli di diventare una componente rilevante del processo di democratizzazione del paese. Nel febbraio di quest'anno il governo ha annunciato che intende rivedere la composizione del consiglio, e in particolare la posizione dominante che attualmente vi ricopre. |
4.2.3 |
Il Comitato desidera inoltre sottolineare l'importanza che la libertà di espressione e la libertà dei mezzi di comunicazione rivestono per il processo democratico in Turchia e prende atto del gran numero di riforme avviate a questo proposito. Il CESE tuttavia condivide le preoccupazioni espresse dal commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa sul fatto che talune norme modificate (ad esempio, nella carta costituzionale) potrebbero essere interpretate come ancor più restrittive di quelle che sostituiscono. Inoltre, i test determinanti saranno l'applicazione pratica e l'interpretazione dei nuovi articoli, sia per queste riforme sia per quelle avviate in altri settori. Recenti esperienze nei procedimenti giudiziari dimostrano purtroppo scarsa coerenza in proposito. |
4.3 Il ruolo delle forze armate nella società turca
4.3.1 |
Il Comitato è consapevole dell'importante ruolo che le forze armate hanno svolto nella storia del paese e continuano a svolgere ancora oggi nella società turca e riconosce che in taluni casi questo ruolo è stato positivo. Va osservato tuttavia che molte delle difficoltà incontrate attualmente dalla Turchia nel rispettare i criteri politici stabiliti a Copenaghen nel 1993 sono dovute alla presenza massiccia e profonda dell'esercito nella società, una presenza alla quale si deve porre termine mediante un programma concreto e un calendario rigoroso. |
4.3.2 |
Il Comitato prende atto dell'impossibilità di liberare in così breve tempo tanti ambiti della vita turca da questo ruolo dominante, che va ben oltre le normali funzioni di un esercito (difesa, sicurezza interna). Va però precisato con la massima chiarezza che, se la Turchia desidera aderire all'Unione europea, il ruolo dell'esercito va confinato ai compiti specifici che le forze armate assolvono negli altri Stati membri, ovverosia alla salvaguardia della sicurezza interna ed esterna del paese e alla partecipazione a operazioni internazionali, sotto il controllo democratico del Parlamento. |
4.3.3 |
Oltre ai punti già affrontati dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo (fra cui: il ruolo e la composizione del consiglio di sicurezza nazionale, la responsabilità politica per il bilancio dell'esercito, la rappresentanza dei militari negli organi civili del settore dell'istruzione e dei media audiovisivi), va rilevato che le forze armate e i loro ufficiali occupano posizioni di rilievo anche nella vita economica. Una legge del 2003 prevede che i due fondi «fuori bilancio» delle forze armate saranno inseriti nel bilancio generale dello Stato entro la fine del 2004 e cesseranno di esistere come capitoli a sé stanti entro il 2007, con la conseguenza che a partire da questa data il bilancio delle forze armate sarà interamente soggetto a controllo democratico. Ciò non toglie che per il momento le forze armate conservino un notevole potere nella società e nell'economia turca. Occorrerà dunque assicurare trasparenza sia in tutta questa vasta area d'influenza - sia formale che informale - detenuta dai militari, sia in tutti gli altri settori dell'economia (2). Nei dibattiti dell'Unione europea in merito al ruolo influente svolto dall'esercito nella società turca questo aspetto economico è stato sinora trascurato. Soltanto il Parlamento europeo se ne è occupato nella sua ultima relazione. |
5. Conclusioni e raccomandazioni
5.1 |
A giudizio del CESE la Turchia è una democrazia in evoluzione che, soprattutto dal dicembre del 2002, ha compiuto notevoli progressi nel suo tentativo di uniformarsi ai criteri politici di Copenaghen. |
5.2 |
Prima di avviare i negoziati di adesione, occorre non soltanto che il paese soddisfi gli stessi criteri politici degli altri candidati, ma anche che i risultati del processo di riforma siano valutati in base agli stessi principi seguiti per gli altri paesi candidati. L'Unione europea dovrà fare tutto il possibile per evitare la pur minima traccia di ricorso a due pesi e due misure. |
5.3 |
La decisione adottata nel 2002 dal Consiglio di Copenaghen significa che in quel momento l'Unione europea era convinta che la Turchia, impegnandosi a fondo, avrebbe potuto soddisfare i criteri politici nello spazio di due anni. Per quanto riguarda alcuni settori dominati da tradizioni e pratiche di lunga data, tuttavia, ciò può significare solo che rispettare pienamente i criteri politici entro dicembre 2004 risulterà impossibile e che si tratterà piuttosto di ricercare una massa critica di progressi effettivi che basterebbero ad autorizzare l'avvio dei negoziati. Persino qualcuno dei nuovi Stati membri, che ha dunque concluso l'intero processo negoziale, non rispetta pienamente i criteri politici. |
5.3.1 |
In questi particolari settori l'Unione europea può e deve chiedere concretamente alla Turchia di realizzare progressi tangibili entro la fine del 2004, tali da poter considerare questa data come il «punto di non ritorno». Il ruolo dell'esercito e il trattamento riservato alle minoranze, e in particolare ai curdi nel sud-est del paese, costituiscono esempi ovvi. Il Comitato insiste sul fatto che le riforme sia per la riduzione del potere delle forze armate nella società in generale, sia per la tutela dei diritti culturali delle minoranze dovranno procedere al ritmo e nella direzione attuali e confida che in avvenire non si verifichi alcun processo involutivo, che rischierebbe di compromettere il processo dei negoziati di adesione. |
5.3.2 |
Il ruolo dell'esercito, al di fuori delle sue funzioni basilari di difesa e di sicurezza, va ridotto decisamente per rassicurare l'Unione europea in merito all'esistenza di un processo ormai irreversibile. Il bilancio delle forze armate dev'essere pienamente sottoposto a controllo democratico. Occorre garantire nel tempo maggiore chiarezza circa l'influenza delle forze armate e adottare idonei provvedimenti a tale scopo. |
5.3.3 |
L'Unione europea dovrà continuare a discutere con la Turchia la sua definizione di «minoranze» (basata sul trattato di Losanna), tenendo conto delle difficoltà che essa presenta ad Ankara per ratificare senza riserve e applicare nella pratica i relativi strumenti internazionali. In questo esame comune, l'Unione europea dovrà prestare particolare attenzione al fatto che anche qualcuno dei suoi 25 Stati membri adotta una definizione ristretta di «minoranze», la quale genera lo stesso problema. |
5.3.3.1 |
Il Comitato rimanda al lavoro svolto ultimamente dal CCM sullo sviluppo regionale (3) e sottolinea l'importanza di una politica attiva di sviluppo regionale in Turchia - sostenuta dall'Unione europea - che consenta di coinvolgere concretamente la popolazione del sud-est del paese (e di altre zone) nello sviluppo economico e sociale della regione in cui risiede. L'adozione graduale, da parte della Turchia, degli standard di politica regionale dell'UE costituisce un'opportunità per promuovere un partenariato più esteso e coerente tra, da un lato, la società civile organizzata - in particolare i gruppi d'interesse socioeconomici liberi, indipendenti e rappresentativi - e dall'altro, le autorità a tutti i livelli interessati. Insieme, dovrebbero raggiungere una visione comune della politica di sviluppo. Bisognerebbe promuovere lo scambio di esperienze fra le organizzazioni socioeconomiche dell'Unione europea e della Turchia. |
5.3.3.2 |
Il Comitato rileva con interesse iniziative del governo turco come il disegno di legge del 2000 in merito al risarcimento dei danni causati dalle forze di sicurezza durante le attività antiterroristiche e il progetto relativo agli sfollati all'interno del paese, che prevede il loro ritorno al luogo di origine e la riabilitazione di quest'ultimo. A giudizio del Comitato, per la credibilità delle riforme relative ai diritti delle popolazioni delle province sudorientali è estremamente importante che le vittime comincino a beneficiare concretamente di tali iniziative entro dicembre 2004. |
5.4 |
In altri settori, come quello dei diritti umani, di cui la Turchia discute da tempo con l'OIL e il Consiglio d'Europa e in cui il cambiamento non richiede - o non richiede tanto - di eliminare posizioni di potere, tradizioni o convinzioni di lunga data, la Turchia dovrebbe poter mostrare notevoli progressi e soddisfare i requisiti che conosce da tempo entro la fine del 2004. Occorre ad esempio porre termine alle violazioni, reiterate per circa venticinque anni, delle convenzioni OIL n. 87 e n. 98. Vanno altresì eliminate le restrizioni antidemocratiche al funzionamento delle ONG, sia nella normativa sulle associazioni che nella pratica quotidiana. Il processo di riforma attualmente in corso nel paese suscita aspettative ottimistiche. In quest'ambito, però, risulta necessario mostrare risultati tangibili e completi entro il termine indicato. |
5.5 |
Già nell'anno in corso il consiglio economico e sociale turco dovrebbe essere coinvolto in maniera assai più seria nella preparazione delle politiche economiche e sociali. Il governo dovrà consultarlo sulle principali questioni relative a questi settori e dimostrare di tenere in seria considerazione i suoi pareri e le sue raccomandazioni. Soltanto riconoscendo una responsabilità vera e propria ai gruppi di interesse socioeconomici, e ricompensandoli per averla assunta, il governo può aspettarsi che essi considerino seriamente il consiglio e le intenzioni del governo al suo proposito. Il Comitato rileva con interesse che il governo sta preparando una revisione dell'attività del consiglio economico e sociale. Questo fatto non va tuttavia sfruttato come alibi per ritardare ulteriormente il coinvolgimento attivo della società civile organizzata turca nel processo di formazione delle politiche economiche e sociali. |
5.6 |
Per rafforzare la società civile in Turchia il governo deve non solo cessare di interferire nelle attività delle ONG autentiche e dei gruppi di interesse socioeconomici, ma anzi promuoverne lo sviluppo, facilitarne il lavoro e cooperare con essi. |
5.7 |
A giudizio del Comitato, si dovrà decidere l'avvio dei negoziati di adesione all'Unione europea con la Turchia se, entro il prossimo dicembre, il governo del paese avrà:
|
5.8 |
A giudizio del Comitato, le riforme introdotte sinora dal governo turco in merito ai problemi connessi al ruolo dell'esercito nella società e a quelli relativi ai diritti culturali dei curdi nelle province sudorientali, costituiscono i progressi tangibili a cui si fa riferimento al punto 5.3.1. |
5.9 |
Se le condizioni enunciate negli ultimi quattro trattini del punto 5.7 saranno soddisfatte entro il dicembre del 2004, a giudizio del CESE si saranno poste solide basi per l'avvio dei negoziati che, a tempo debito, porteranno a risultati positivi per entrambe le parti. Il tal caso, il Comitato ritiene che ciascuna istituzione europea, CESE compreso, dovrebbe cominciare a valutare tutte le potenziali conseguenze dell'adesione della Turchia sul funzionamento e sulla concezione stessa dell'Unione europea, la quale verrebbe così profondamente ampliata e modificata da richiedere una notevole comprensione da parte dell'opinione pubblica europea. |
5.10 |
Indipendentemente dall'esito della decisione del Consiglio europeo di dicembre, il CESE continuerà la sua proficua cooperazione con la società civile organizzata della Turchia. |
Bruxelles, 1o luglio 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Social dialogue and economic and social rights in Turkey (Dialogo sociale e diritti economici e sociali in Turchia)
(2) Basti pensare che il fondo pensioni degli ufficiali (OYAK) è proprietario di una banca e di una holding nonché il socio turco della principale joint venture del settore automobilistico. In base alle informazioni fornite dallo stesso OYAK, esso è stato fondato come persona giuridica, autonoma dal punto di vista finanziario e amministrativo, soggetta alle disposizioni del codice civile e commerciale turco come qualsiasi altro ente analogo. La sua funzione principale è di fornire prestazioni sociali ai suoi affiliati, ed è dunque complementare a quelle fornite dal sistema di previdenza sociale statale. Corrisponde ai fondi pensione complementare esistenti nell'Unione europea.
Tutti i membri del personale civile e militare delle forze armate sono affiliati al fondo pensioni OYAK, di cui sono membri permanenti. Pur disponendo di questa base di affiliati, l'OYAK non ha tuttavia rapporti con lo Stato né con le forze armate turche in termini di investimenti e affari, trasferimenti di fondi o aiuti di Stato, né dispone di qualsiasi altro tipo di sostegno finanziario. L'OYAK è un fondo pensioni professionale simile ai fondi omologhi esistenti nell'Unione europea.
Nel quadro della sua politica di trasparenza, l'OYAK pubblica relazioni annuali destinate al grande pubblico ed ogni anno incarica società internazionali di auditing di verificare i conti dell'ente e delle sue filiali. L'OYAK ha presentato la prova delle prestazioni pensionistiche aggiuntive erogate.
(3) Relazioni sulle disparità regionali in Turchia e sullo sviluppo regionale, elaborate da CASSINA e GUVENC.
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/86 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Nuovi e migliori posti di lavoro attraverso la modernizzazione della protezione sociale, un approccio globale per contribuire a rendere il lavoro proficuo
(COM(2003) 842 def.)
(2004/C 302/18)
La Commissione, in data 5 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 giugno 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ST HILL.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o luglio 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 13 voti contrari e 24 astensioni.
1. Introduzione
1.1 |
Questa primavera il Consiglio europeo, che aveva richiesto la presente comunicazione, si è riunito per discutere il miglioramento e la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale al fine di renderli più favorevoli all'occupazione. Si intende conseguire tale obiettivo ponendo una maggiore enfasi sull'efficacia degli incentivi (ad es. regimi previdenziali degli Stati membri, conciliazione della vita familiare e professionale, pensioni di anzianità e sussidi intesi a ridurre la povertà e l'esclusione sociale). La riunione del Consiglio ha fatto seguito alla presentazione alla Commissione europea, nel novembre 2003, della relazione finale elaborata dalla task force per l'occupazione (1). Sia la comunicazione in esame che la relazione – risultanti dai due importanti eventi citati - evidenziano le principali sfide con cui l'Europa deve misurarsi sul fronte dell'occupazione, e individuano le riforme che devono essere attuate per consentire all'UE di raggiungere gli obiettivi che si è proposta nella strategia di Lisbona. I documenti concordano sul fatto che l'Unione europea accusa ritardo nel conseguire il suo ambizioso traguardo, stabilito a Lisbona nel 2000, di diventare entro il 2010 l'economica basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Entrambi riconoscono che, per quanto gli obiettivi di Lisbona siano ambiziosi, l'Europa non può permettersi di mancarli, e che il requisito imprescindibile per realizzarli è la volontà degli Stati membri di intensificare i loro sforzi. In questo momento tutti gli indicatori ufficiali evidenziano che il successo nella creazione di nuovi e migliori posti di lavoro dipenderà da quattro requisiti chiave:
Benché questi requisiti, che per la maggior parte riguardano l'offerta, siano di evidente competenza dei governi nazionali, il presente parere introduce l'ulteriore requisito di un autentico partenariato pubblico-privato che renda il lavoro proficuo, includendo in questo importante impegno le responsabilità dei datori di lavoro. |
1.2 |
Le recenti valutazioni sono motivate anche dalla volontà di garantire un efficace equilibrio fra gli incentivi intesi ad incrementare l'offerta di manodopera e le misure volte a fornire un'adeguata protezione sociale per tutti, assicurando al tempo stesso l'efficienza della spesa pubblica in questo settore. Tale equilibrio è fondamentale per evitare i potenziali rischi rappresentati, nel lungo periodo, dall'invecchiamento della popolazione europea, una prospettiva che non solo ha gravi conseguenze sul mantenimento di una forza lavoro ottimale, ma anche minaccia la sostenibilità degli stessi sistemi sociali europei. Una maggiore partecipazione al mercato del lavoro dei gruppi svantaggiati, in primo luogo le madri di famiglia, le minoranze razziali, i disabili e i giovani con un'occupazione precaria, costituisce un presupposto importante per conciliare efficacemente la protezione sociale e l'espansione occupazionale. Il presente parere cita in particolare queste categorie, perché, ai fini della definizione di una politica in materia, è meno utile compilare un elenco esauriente di tutti i possibili gruppi svantaggiati e perché le suddette categorie hanno difficoltà a uscire della loro situazione di svantaggio proprio a causa di politiche tradizionali imprecise che continuano a mettere sullo stesso piano tutti gli svantaggi del mercato del lavoro. |
1.3 |
A livello dell'UE, gli sforzi profusi dagli Stati membri per rivedere i sistemi di protezione sociale allo scopo di renderli più favorevoli all'occupazione sono sostenuti da un maggiore coordinamento delle politiche economiche, occupazionali e sociali. Gli obiettivi ambiziosi stabiliti a livello dell'UE per il 2010 (incrementare il tasso generale di occupazione fino al 70 %, portare il tasso di occupazione femminile al 60 % e quello delle persone tra i 55 e i 64 anni al 50 %) sono in effetti sostenuti da vari orientamenti e raccomandazioni contenuti negli indirizzi di massima delle politiche economiche e negli orientamenti in materia di occupazione, nonché negli obiettivi comuni del metodo di coordinamento aperto nel settore delle pensioni e della coesione sociale. |
2. Osservazioni di carattere generale
2.1 |
È importante che questa riforma sia affrontata in una prospettiva di medio/lungo termine, dato che l'inserimento sul mercato del lavoro di una maggiore percentuale di persone comporta anche dei costi sia per i disoccupati e per le persone economicamente non attive che per i governi. Ciò significa che le riforme potrebbero comportare costi aggiuntivi prima di riuscire a ridurre l'onere economico che la disoccupazione e la sottoccupazione rappresentano per i governi. Gli investimenti pubblici e privati destinati a preparare i cittadini ad un'economia basata sulla conoscenza e il continuo sviluppo del capitale umano rappresentato dalle persone in età attiva, pur essendo processi di lungo termine che possono richiedere fino a 20 anni per produrre appieno i loro risultati, sono gli investimenti più redditizi per trasformare il mercato del lavoro di un paese. Occorre prevedere investimenti pubblici e privati per fornire ai lavoratori scarsamente qualificati una migliore formazione, e in particolare un'offerta di perfezionamento professionale sia da parte di organismi pubblici che da parte dei datori di lavoro, in modo che possano soddisfare le diverse esigenze di un'economia basata sulla conoscenza. L'effetto delle misure a più lungo termine orientate all'offerta e intese a promuovere la produttività è quello di diminuire l'offerta di personale scarsamente specializzato, ridurre la disoccupazione (soprattutto di lungo periodo), aumentare il tasso di partecipazione al mercato del lavoro (soprattutto quello femminile), e migliorare la produttività generale. Questi sono risultati permanenti. Una strategia orientata unicamente all'offerta non è però sufficiente. Occorre anche accrescere la domanda di manodopera, vale a dire l'offerta di posti di lavoro, tramite una politica economica e finanziaria attiva che incentivi l'occupazione. Gli Stati membri che hanno invece puntato sui vantaggi immediati dell'inserimento nel mercato del lavoro di personale scarsamente specializzato, a scapito della costituzione di un capitale umano, hanno scarse possibilità di dare una soluzione durevole al dilemma «salario basso/salario zero» per questa tipologia di lavoratori nelle diverse tappe della loro vita professionale. Gli effetti di questo tipo d'interventi possono quindi anche essere immediati, ma svanire con altrettanta rapidità, dato che nell'economia globale di oggi la scarsa specializzazione non è sostenibile. In questo campo il rapporto costi-efficacia è quindi tanto importante quanto la riduzione dei costi. |
2.2 |
Se, da una parte, gli incentivi finanziari tradizionali utilizzati nei sistemi previdenziali e fiscali continuano a rappresentare il nucleo delle politiche intese a rendere proficuo il lavoro, dall'altra, gli incentivi quali i servizi di custodia dei bambini, la mobilità e le disposizioni speciali per i disabili, i servizi di istruzione e la sanità pubblica sono sempre più frequentemente ritenuti elementi complementari. Pertanto, a un approccio fondato solo sull'uno o sull'altro metodo va preferito un approccio globale a livello nazionale che preveda un ampio ventaglio d'incentivi finanziari e di altro tipo intesi a favorire l'ottenimento e il mantenimento di un'occupazione. Ancora una volta, adottando la prospettiva della sostenibilità a lungo termine, le questioni degli investimenti nell'assistenza e nel capitale umano dovrebbero essere considerati dal punto di vista del beneficiario (ad esempio i bambini dei genitori che lavorano, e non i genitori stessi) dato che questi diritti e servizi costituiscono un requisito permanente per lo sviluppo accelerato del capitale umano nell'ambito del mercato del lavoro negli anni successivi. I fondi strutturali comunitari andrebbero utilizzati per una migliore assistenza alle persone scarsamente qualificate in cerca di occupazione e per gli investimenti di lungo termine in capitale umano e infrastrutture sociali. |
2.3 |
Se, da una parte, molti Stati membri, insieme con le parti sociali, hanno incrementato gli investimenti nel campo delle misure attive intese ad aiutare coloro che si reinseriscono o che progrediscono nel mercato del lavoro, migliorandone le qualifiche e rafforzando la loro occupabilità, dall'altra è vero che occorre prestare maggiore attenzione ai fattori che determinano la domanda di manodopera, tra cui il ricorso a incentivi fiscali e la promozione delle migliori prassi presso i datori di lavoro, con l'obiettivo di aiutare i gruppi vulnerabili quali i lavoratori più anziani e i lavoratori disabili. Il Comitato sollecita le autorità competenti dell'UE a promuovere e potenziare le politiche di stimolo della domanda, che hanno un impatto positivo sul livello e sulla qualità dell'occupazione, e caldeggia l'inclusione di esempi e prospettive sul ruolo della responsabilità sociale delle imprese nel conseguire gli obiettivi di Lisbona in materia di occupazione. Sia i datori di lavoro che i lavoratori devono avere un interesse diretto nel «rendere il lavoro proficuo». Le politiche di stimolo della domanda richiedono pertanto un approccio equilibrato e vantaggioso per entrambe le parti che consenta ai datori di lavoro di concentrarsi sulle loro attività principali e di creare posti di lavoro e ai disoccupati di trovare un posto di lavoro che offra un reddito più elevato rispetto a quanto percepirebbero con l'indennità di disoccupazione o un sussidio di assistenza sociale e che garantisca loro i mezzi di sussistenza. Come il Comitato ha già sottolineato, occorre «orientare i sistemi fiscali e di prestazioni sociali degli Stati membri in modo che sia conveniente per i lavoratori entrare nel mercato del lavoro, rimanervi e fare carriera» e tale politica deve essere «abbinata a misure volte ad aumentare il numero di posti di lavoro disponibili» (2). |
2.4 |
L'aiuto prestato dai pubblici poteri per conciliare la vita professionale con la vita familiare mira ad aiutare le famiglie nello svolgimento di funzioni essenziali per l'organizzazione e la perpetuazione della società. Ciò significa, in particolare, aiutare le famiglie perché è al loro interno che nascono e vengono educati i bambini, e perché sono loro ad occuparsi dei membri della famiglia che non sono autonomi, soprattutto degli ammalati, dei disabili o degli anziani. Nel contesto dell'invecchiamento demografico, queste politiche stanno diventando sempre più importanti come strumento per invertire la tendenza dei tassi di fertilità in declino. |
2.5 |
È tuttavia importante che i meccanismi utilizzati per il versamento degli assegni familiari non abbiano effetti negativi sugli incentivi professionali. In alcuni paesi la separazione dei sussidi di disoccupazione dagli assegni familiari per le persone a carico aiuta a rafforzare gli incentivi finanziari destinati ad incoraggiare l'ingresso nel mercato del lavoro, soprattutto per le madri e le donne che si occupano di parenti anziani. La mancata disponibilità di strutture – accessibili dal punto di vista finanziario e fisico – per la custodia dei bambini viene vista come una barriera alla partecipazione dei genitori, in particolare delle donne, al mercato del lavoro. Occorre approvare e sostenere con decisione il ruolo chiave svolto dalle strutture sovvenzionate di custodia dei bambini nel promuovere l'occupazione, soprattutto femminile, garantendo che esse siano disponibili in numero sufficiente e risultino abbordabili. In alcuni Stati membri le donne in età fertile sono poco motivate ad avere figli poiché questo rappresenta un costo finanziario personale troppo elevato ed equivale, nella pratica, ad una tassa sulle madri lavoratrici. Oltre ad essere poco lungimiranti da un punto di vista nazionale, questi atteggiamenti costituiscono un falso risparmio per i responsabili politici, che potrebbero fare di più per arrestare il continuo declino dei tassi di natalità in Europa, garantendo un aumento del tasso di occupazione delle donne mediante incentivi finanziari e di altro tipo. |
2.6 |
La mobilità occupazionale e geografica è fondamentale per garantire un livello elevato di efficienza economica: occorre pertanto adottare provvedimenti per garantire che i diritti acquisiti nel quadro di regimi pensionistici obbligatori o aziendali siano mantenuti in caso di cambiamento del datore di lavoro o del luogo di residenza all'interno dell'UE. È anche importante accordare un'attenzione particolare a coloro che entrano nel mercato del lavoro o che passano dallo status di lavoratore dipendente a quello di imprenditore, in modo che possano beneficiare di una protezione sociale adeguata. Esiste d'altro canto anche la possibilità di ridurre la mobilità professionale intesa invece come «ultima spiaggia» stimolando le economie locali stagnanti attraverso partenariati tra investimenti pubblici e privati volti a sfruttare al massimo i mercati locali dell'occupazione. Se è vero che uno degli aspetti della maggiore mobilità professionale può consistere nella perdita di qualifiche professionali per una regione a vantaggio di un'altra, è però anche vero che essa consente ai lavoratori di spostarsi là dove le loro qualifiche sono richieste e dove esiste anche la possibilità di beneficiare di tecnologie che apportino un valore aggiunto alle loro qualifiche. Per questo motivo la mobilità non va considerata come una perdita: deve invece essere vista come una ripartizione più efficace delle qualifiche e dei talenti specifici laddove essi sono più richiesti. |
2.7 |
L'inabilità, fisica o mentale, riduce notevolmente l'offerta di manodopera, soprattutto tra i lavoratori compresi fra i 50 e i 60 anni, ai quali è indirizzata, in primo luogo, la strategia europea intesa a rendere il lavoro proficuo. In alcuni Stati membri il numero di quanti usufruiscono di sussidi di invalidità può arrivare a circa un quinto o addirittura un quarto della popolazione nelle fasce di età 55-59 e 60-64. Un dato, questo, che pone in evidenza come, nell'attuale mondo del lavoro, i lavoratori siano chiamati a svolgere attività particolarmente usuranti, con il grave logoramento fisico e mentale che queste comportano. Questo problema, che può essere collegato alla salute occupazionale, va affrontato mediante strategie adeguate in materia di tutela preventiva della salute, di protezione sul lavoro e di miglioramento delle condizioni di lavoro. Quanti presentano non già una completa inidoneità al lavoro, bensì solo un'invalidità parziale, hanno scarse possibilità di trovare un posto di lavoro adeguato alle loro capacità limitate. È necessario quindi aumentare l'offerta di posti di lavoro per queste categorie, appunto, per offrire un'opportunità anche ai lavoratori che hanno una limitata idoneità al lavoro. In effetti, molte persone che si trovano in questa situazione di disoccupazione «mascherata» preferirebbero svolgere un'attività redditizia, se possiedono ancora una certa capacità lavorativa. Gli Stati membri devono adottare idonei provvedimenti per assicurare che, anziché spingere i lavoratori inabili nella trappola della disoccupazione, le indennità di disoccupazione e i sussidi d'invalidità accrescano la complementarità dei diversi aspetti della politica sociale a vantaggio degli stessi interessati. Si deve comunque riconoscere che la disabilità si situa su una scala di capacità, e che, secondo una concezione moderna, non è l'impedimento fisico o di altro tipo a determinare se una persona sia disabile o meno, ma è la risposta della società al singolo che lo «disabilita». In tale contesto il Comitato mette in guardia da politiche che inavvertitamente finiscono per mascherare il reale livello di disoccupazione. È cruciale realizzare una più stretta cooperazione che, pur mantenendo il suo carattere protettivo e rispondente ai bisogni dei disabili, mantenga e intensifichi lo scambio delle migliori pratiche nelle politiche in materia d'invalidità. Altrettanto importante è la necessità di un quadro di coordinamento aperto di buone pratiche e di azioni positive per la promozione del lavoro dipendente e autonomo fra coloro che ne hanno le capacità fisiche e mentali. |
2.8 |
Per quanto riguarda i lavoratori in età avanzata, il Consiglio europeo di Stoccolma ha stabilito l'ambizioso obiettivo di portare il tasso di occupazione delle persone nella fascia di età 55-64 al 50 % (esso era del 40,1 % nel 2002, mentre per la fascia di età 60-64 era del 25 %). Il Consiglio europeo di Barcellona aveva fissato un ulteriore obiettivo per gli Stati membri, quello cioè di adottare entro il 2010 misure intese ad innalzare di cinque anni l'età media effettiva di cessazione dell'attività lavorativa. Il conseguimento di questi obiettivi sarà fondamentale per garantire la futura sostenibilità finanziaria della protezione sociale e soprattutto per garantire adeguati livelli di reddito ai futuri pensionati. Il Comitato lo considera un obiettivo adeguato purché il mercato del lavoro consenta l'occupazione anche dei lavoratori più anziani e vengano adottate per questa fascia di età misure specifiche che ne incrementino in via duratura le possibilità di lavoro. In mancanza di un numero sufficiente di posti di lavoro adeguati alle diverse classi di età, questo obiettivo porterebbe in prima istanza ad un aumento della disoccupazione e a una riduzione dei redditi da pensione. |
3. Osservazioni specifiche
3.1 |
Rendere proficuo il lavoro è una questione non solo di politiche economiche precise e mirate, ma anche di processi. Un aspetto che già sembra sufficientemente maturo per essere sottoposto ad una riforma è quello dei lavoratori che lasciano anzitempo la vita attiva prima di aver raggiunto l'età pensionabile. In molti Stati membri, ad esempio, è possibile che lavoratori che hanno versato i contributi per molto tempo abbiano diritto alla pensione prima di raggiungere l'età normalmente pensionabile, spesso subendo peraltro notevoli penalizzazioni economiche. Questi lavoratori potrebbero continuare a dare un contributo all'economia e la loro decisione in questo senso andrebbe agevolata soprattutto creando condizioni adatte agli anziani sul mercato del lavoro. Per le donne l'uscita dal mondo del lavoro non è sempre volontaria, ma spesso è legata alle discriminazioni di cui sono vittime sul luogo di lavoro. Tali discriminazioni hanno anche un'incidenza sui diritti delle donne alla pensione, dato che nella maggior parte dei casi esse hanno interrotto la carriera per una maternità oppure per dedicarsi ai figli o ai genitori anziani, hanno sperimentato la segregazione professionale, che le ha relegate ad impieghi «femminili», instabili e sottopagati, e subito il divario fra le remunerazioni percepite dai due sessi. Tutto ciò riduce la durata e l'entità dei contributi pensionistici, e non può che deteriorare le prospettive economiche delle donne per la pensione. La femminizzazione della povertà è da tempo fonte di preoccupazioni e l'invecchiamento demografico dell'Europa impone che si rivolga una particolare attenzione al miglioramento della posizione economica delle donne nel corso della vita. Per attenuare le conseguenze degli svantaggi della condizione femminile nella vita professionale attiva durante il pensionamento sarebbe molto utile attribuire un maggior valore ai periodi di riferimento utilizzati ai fini contributivi. |
3.2 |
Un altro esempio di ambito in cui riforme amministrative adeguate devono avere la meglio sull'inerzia dei pubblici poteri è la necessità di garantire che gli sforzi intesi a rendere proficuo il lavoro rispettino il principio della parità fra i sessi. Se alcuni nuovi Stati membri sono «appesantiti» da politiche sociali e occupazionali che restringono l'accesso delle donne al mercato del lavoro, altri applicano invece politiche fiscali e sociali che favoriscono la partecipazione femminile al mercato del lavoro. I tassi di occupazione, che prima erano eccezionalmente alti, sono però diminuiti nel corso della transizione verso l'economia di mercato. È importante che i progressi compiuti verso la piena occupazione femminile non vengano sacrificati nell'intento di ristrutturare le economie dei paesi di nuova adesione senza tener conto del principio dell'uguaglianza fra i sessi. I responsabili politici nazionali devono essere incoraggiati a dare la priorità a quei lavoratori per i quali è effettivamente più importante rendere proficuo il lavoro, piuttosto che continuare ad agire come se tutte le categorie di disoccupati/sottoccupati fossero svantaggiate in ugual misura. |
4. Osservazioni specifiche in merito ad alcuni dei sette insegnamenti della Commissione
4.1 |
Il Comitato giudica che, per quanto non si debba scartare l'ipotesi di creare «nuovi strumenti» di protezione sociale (1o insegnamento), oltre ad utilizzare meglio quelli già esistenti, sia preferibile sviluppare gli strumenti a disposizione e rendere i due aspetti reciprocamente complementari. Ad esempio, i sistemi estremamente frammentati ed eterogenei di sostegno e le prestazioni a favore dei giovani non sembrano più adeguati al fenomeno, del tutto nuovo, dell'allungamento di questa fase dell'esistenza cui si assiste attualmente. L'assenza di strumenti di protezione sociale più specificamente destinati a questa età costringe tra l'altro una parte dei giovani a «scelte» troppo affrettate in materia di formazione e a un inserimento professionale troppo poco qualificato, con conseguenze strutturali molto pesanti che perdurano per tutto il corso della loro vita, anche se ciò comporta un corrispondente impatto positivo sulla spesa pubblica sociale. Allo stesso modo, l'assenza di nuovi strumenti che possano garantire una protezione sociale professionale per tutto il corso della vita – con la possibilità di alternare periodi di formazione ad altri di attività lavorativa e di assistenza a familiari, senza che ciò determini esclusione o povertà – frena notevolmente la mobilità e la flessibilità sul mercato del lavoro (6o insegnamento). |
4.2 |
Il Comitato ritiene effettivamente molto importante accordare un'attenzione particolare agli effetti a medio termine delle molteplici iniziative adottate dagli Stati membri per «attivare» le prestazioni sociali. |
4.3 |
Il Comitato reputa in effetti che sia giunto il momento di ricorrere a incentivi forti a livello europeo (in particolare incentivi mirati alle parti sociali e attuati di concerto con esse) a favore di un coordinamento dei regimi di protezione sociale complementari che, come sottolinea la Commissione, stanno diventando un elemento importante della protezione sociale (7o insegnamento). |
5. Conclusioni e raccomandazioni
5.1 |
Il Comitato chiede di far convergere gli sforzi compiuti dagli Stati membri per rendere il lavoro proficuo, facendo in modo che l'occupazione costituisca davvero un'alternativa finanziariamente più interessante rispetto alla disoccupazione o ai sussidi sociali e rimuovendo tutti gli ostacoli al lavoro remunerato. È necessario che le politiche nazionali consentano ai lavoratori scarsamene remunerati e scarsamente qualificati di avere un'occupazione e di evitare la trappola della povertà e della disoccupazione. È per questo motivo che la questione fondamentale che si pone agli Stati membri nel rendere il lavoro proficuo è come determinare un livello comune e ragionevole di sussidi all'accesso agli aiuti per l'ingresso e l'uscita dal mercato del lavoro che mantengano vivo l'interesse per il mercato del lavoro. Il Comitato ha operato una distinzione tra, da una parte, l'apporto delle politiche redditizie a brevissimo termine, che mirano a fornire contributi di breve durata alle persone poco qualificate e, dall'altra, gli investimenti a più lungo termine nel capitale umano, che consentono di rendere il lavoro proficuo nel lungo termine, in maniera sostenibile, soprattutto per le categorie più vulnerabili. |
5.2 |
Il Comitato sottolinea la portata del contributo delle imprese e dei datori di lavoro privati nel realizzare gli obiettivi dell'UE in materia di occupazione. Sarebbe opportuno sforzarsi di definire politiche della domanda effettivamente realizzabili, intese a modificare il comportamento dei datori di lavoro in modo tale da promuovere il conseguimento degli obiettivi di Lisbona, ovvero la creazione di posti di lavoro sostenibili e di migliore qualità in tutta l'UE. La Commissione dovrebbe fornire e diffondere dati ed esperienze sui casi in cui le buone pratiche aziendali hanno migliorato la quantità e la qualità dei posti di lavoro, e mettere a punto gli strumenti per replicare questi successi. |
5.3 |
Per promuovere l'innovazione, accrescere l'offerta di manodopera e favorire la possibilità di prolungare la vita professionale nelle economie europee, è necessario, oltre a sostenere le buone pratiche, anche sanzionare i comportamenti scorretti dei datori di lavoro, in primo luogo la discriminazione fondata sul sesso, sull'origine etnica, sugli orientamenti sessuali, sulla religione o sull'età. La discriminazione occupazionale spinge le persone di talento a lavorare sul mercato clandestino o informale, dove la produttività è bassa, gli incentivi alla formazione e agli investimenti deboli e la protezione sociale inesistente. Tale comportamento economico irrazionale non solo priva l'Europa della competitività economica, ma sottrae alle economie nazionali introiti fiscali di cui hanno grande bisogno. |
5.4 |
Per realizzare l'equilibrio tra l'offerta e la domanda di manodopera gli Stati membri devono ricorrere a tutta una gamma di strumenti e di regimi previdenziali sostenuti da un solido coordinamento a livello nazionale. È necessario equilibrare e anticipare con attenzione gli effetti combinati che le prestazioni di sicurezza sociale e/o il livello d'imposizione sui redditi hanno sulle famiglie, riservando particolare attenzione alle strutture «incentivanti» che ne derivano per le famiglie più povere. Misure di altro tipo, quali la creazione di strutture per la custodia dei bambini, l'introduzione di orari di lavoro flessibili, la sicurezza del posto di lavoro, la mobilità professionale e le possibilità di formazione, sono condizioni imprescindibili per rendere il lavoro proficuo. |
Bruxelles, 1o luglio 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) L'occupazione, l'occupazione, l'occupazione - creare più posti di lavoro in Europa, relazione della task force sull'occupazione presieduta da Wim KOK (novembre 2003). Si veda anche il parere del CESE sul tema Misure di sostegno all'occupazione GU C 110 del 30.4.2004.
(2) Cfr. Parere CESE sul tema «Misure di sostegno all'occupazione»GU C 110 del 30.4.2004, punto 4.1
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/90 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il futuro del settore tessile e dell'abbigliamento nell'Unione europea allargata
(COM(2003) 649 def.)
(2004/C 302/19)
La Commissione europea, in data 28 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI e dal correlatore NOLLET.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o luglio 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 81 voti favorevoli e 1 voto contrario.
1. Introduzione
1.1 |
La sofferta vitalità e le alte potenzialità dell'industria tessile europea sono testimoniate dal fatto che essa si mantiene ancora forte di 2,1 milioni di addetti, cui si è aggiunto un altro mezzo milione, proveniente dai nuovi Stati membri. Grazie al notevole sforzo di innovazione di processo e di prodotto, essa contribuisce ancora alla ricchezza europea con oltre 200 miliardi di euro di cifra di affari all'anno senza tener conto dell'indotto, con una forte crescita - soprattutto del tessile cosiddetto «non convenzionale» (cioè del tessile tecnico e ad alta tecnologia (1)) - che ha raggiunto quasi il 30 % della intera produzione, ed infine, con una spesa in ricerca e sviluppo che tocca livelli dell'8-10 % del fatturato. |
1.2 |
L'Unione europea è il primo attore commerciale mondiale nel settore del tessile e dell'abbigliamento: l'idea che la divisione internazionale del lavoro avrebbe irrimediabilmente scalzato i paesi industrializzati dalla produzione tessile mondiale si è rivelata falsa e, comunque, non applicabile al caso dell'Europa. Il Continente europeo si mantiene infatti il più grande esportatore di prodotti tessili mondiale ed il secondo esportatore nel settore dell'abbigliamento, in un mercato globale dove l'import-export ha raggiunto e superato i 350 miliardi di euro nel 2002 (6 % del commercio mondiale). |
1.2.1 |
Vale la pena qui ricordare che il primo esportatore mondiale, nel campo dell'abbigliamento, è la Cina. |
1.3 |
L'Europa ha saputo, fino ad ora, valorizzare i propri vantaggi qualitativi e organizzativi: piccole serie, sistema moda, alta gamma a forte contenuto creativo, rapidità d'adattamento alla domanda, velocità di confezionamento e consegna. Essa ha inoltre innovato nel campo dei processi e dei materiali intelligenti, grazie alle nanotecnologie e alle nuove fibre, e quindi al tessile tecnico, altamente competitivo e in crescente surplus commerciale. Anche le recenti applicazioni della chimica ai tessuti hanno favorito la nascita di nuovi prodotti. Occorre qui rilevare che le condizioni di accesso ai mercati per il settore sono molto differenti, a livello mondiale. Mentre l'UE applica dei dazi che si collocano, mediamente, al di sotto del 9 %, un gran numero di altri paesi pratica diritti doganali che arrivano al 30 %, ai quali si aggiungono onerose barriere non tariffarie. |
1.4 |
In Europa, il settore del tessile e dell'abbigliamento ha saputo affrontare una serie di trasformazioni radicali, avvalendosi con rapidità dei cambiamenti tecnologici in atto, assicurando un adeguato riscontro all'evoluzione dei differenti costi di produzione, rispondendo con prontezza all'emergenza di nuovi concorrenti mondiali. Le risposte dell'industria europea hanno comportato da una parte un grande impegno di modernizzazione, attraverso una ristrutturazione competitiva e un'integrazione dei processi tecnologici; dall'altra un nuovo posizionamento sul mercato, ottenuto sfruttando l'organizzazione in rete, applicata alla produzione, alla distribuzione, all'innovazione e al marketing tecnologico. |
1.5 |
Nel 2002 gli investimenti lordi hanno rappresentato circa il 9 % del valore aggiunto del settore, attestandosi intorno ai 5 miliardi di euro. Naturalmente, quasi il 70 % è andato al settore tessile mentre quello dell'abbigliamento si è collocato intorno al 30 %. La bilancia commerciale è positiva per il tessile mentre per l'abbigliamento le importazioni eccedono le esportazioni. Del resto, il settore tessile-abbigliamento, al quale si aggiunge il calzaturiero, rappresenta un'industria molto eterogenea e composita, con una larghissima varietà di prodotti, che vanno dalle fibre sintetiche ad alta tecnologia alla fabbricazione della lana, dal cotone ai filtri industriali, dagli stracci all'alta moda, dalle pantofole per la casa alle calzature tecniche di protezione contro i corrosivi chimici. |
1.6 |
L'industria del tessile, dell'abbigliamento e delle calzature è concentrata nei cinque paesi più popolati dell'Unione, le cui imprese coprono oltre i 3/4 della produzione europea. Anche il valore aggiunto è concentrato in questi paesi, tra i quali l'Italia occupa una posizione di gran lunga preminente, seguita dal Regno Unito, dalla Francia, dalla Germania e, a maggiore distanza, dalla Spagna. Tra i paesi più piccoli il Portogallo, il Belgio e la Grecia hanno una posizione particolarmente rilevante in termini di valore aggiunto. Il Belgio si distingue nel campo dei tessuti tecnici ed intelligenti. Per quanto riguarda i nuovi Stati membri, il settore assume particolare rilevanza in Polonia, Estonia e Lituania, come d'altronde anche nei paesi candidati, vale a dire: Turchia, Romania e Bulgaria. |
1.7 |
Per quanto concerne l'occupazione, nell'ultimo quinquennio il relativo tasso si è ridotto, in media, del 2,6 % all'anno. Gli unici esempi in controtendenza sono rappresentati dalla Spagna e dalla Svezia (+ 2 %), che hanno visto aumentare l'occupazione nel settore nel periodo 1995-2002. Pienamente inserita nella globalizzazione dei mercati, l'industria europea ha complessivamente ristrutturato e razionalizzato le proprie imprese ricorrendo all'outsourcing per le operazioni a maggiore intensità di lavoro e concentrandosi, invece, nelle lavorazioni che richiedono maggiori qualificazioni, anche in seguito all'applicazione delle tecnologie dell'informazione, delle nuove tecnologie e di più efficienti tecniche produttive. |
1.8 |
Per quanto riguarda il commercio, la scomparsa dei contingenti alle importazioni prevista per il 2005, con la fine dell'Accordo multifibre (AMF), impone a tutti una riflessione approfondita sul come creare le nuove condizioni commerciali per i prodotti tessili, in modo che l'industria europea possa competere a livello mondiale e, al contempo, venga garantita la necessaria equità per i paesi più poveri e per quelli particolarmente vulnerabili. È evidente che, sempre più, diviene prioritario attuare il processo di Barcellona, il quale prevede un'area di libero scambio che coinvolga l'Europa e l'intera riva sud del Mediterraneo, dando così un contenuto concreto all'intera zona euromediterranea. |
2. La proposta della Commissione
2.1 |
La comunicazione della Commissione affronta la complessa problematica del settore del tessile e dell'abbigliamento con l'obiettivo di rafforzarne la competitività e migliorarne il dinamismo, nell'ottica di un'applicazione specifica al settore stesso della strategia di Lisbona. |
2.2 |
La comunicazione propone misure basate sulle politiche industriali e commerciali, con particolare riguardo a: occupazione, ricerca e sviluppo tecnologico, innovazione, formazione professionale, sviluppo regionale, sviluppo sostenibile, responsabilità sociale dell'impresa, salute pubblica, protezione del consumatore, lotta alla contraffazione, diritti di marchio e di proprietà industriale e intellettuale, politica della concorrenza e regime degli aiuti pubblici. |
2.3 |
La Commissione suggerisce alcuni campi d'azione in cui aumentare l'efficienza e l'efficacia delle misure di politica industriale, e in particolare:
|
2.4 |
La comunicazione della Commissione suggerisce, altresì, alcuni spunti di riflessione:
|
2.4.1 |
Viene proposta la creazione di un gruppo ad alto livello, comprendente rappresentanti della Commissione, degli Stati membri e delle parti sociali, per verificare le iniziative ai vari livelli e la loro realizzazione. È altresì prevista la stesura di rapporti periodici, entro la primavera del 2005 e la fine del 2006. |
3. I punti di vista dei rappresentanti del settore tessile
Il 21 gennaio 2004 il Comitato ha organizzato, nella sua sede di Bruxelles, un'audizione dei rappresentanti del settore tessile. Le posizioni espresse in questo capitolo rispettano i contributi scritti ricevuti e gli interventi effettuati nel corso dell'audizione (3).
3.1 |
Le forze sociali presenti, vale a dire imprenditori, rappresentanti sindacali, amministratori locali, hanno chiesto all'unanimità di intervenire urgentemente per arginare l'impatto, estremamente veloce, che le importazioni da alcuni paesi, in particolare dalla Cina, dall'India e dal Pakistan, stanno avendo sulle imprese europee del settore. |
3.2 |
Con l'approssimarsi del 2005, e cioè con la fine del regime delle quote, sono state richieste, con urgenza, le seguenti misure:
|
3.3 |
Il settore del tessile e dell'abbigliamento italiano, che è il più esposto tra quelli di tutti i paesi europei, ha presentato un documento unitario, concordato tra tutti i produttori, delle grandi e delle piccole imprese, e tra tutti i rappresentanti sindacali del paese, nel quale vengono ribadite alcune priorità, con la raccomandazione che vengano tradotte in misure concrete, efficaci e tempestive. Secondo la posizione unitaria del documento, «l'inerzia, in questo momento, potrebbe trasformarsi in costi sociali ed economici molto alti per l'Europa». |
3.3.1 |
Si espongono di seguito i punti evidenziati: |
3.3.2 |
i prodotti comunitari accedono a tasso zero soltanto in 22 paesi, mentre negli altri mercati sono assoggettati ad un tasso medio che oscilla tra il 15 e il 60 % e debbono inoltre sottostare a innumerevoli barriere non tariffarie. Soprattutto a partire dal 2005 il settore del tessile e dell'abbigliamento non potrà più sopportare i privilegi che sono oggi garantiti ai maggiori competitori dell'UE (Cina, India, Pakistan, Indonesia). Tali vantaggi dovrebbero inoltre essere limitati ai paesi meno sviluppati e ai piccoli paesi produttori, che nel 2005 si troveranno, a loro volta, in una posizione estremamente vulnerabile. |
3.3.3 |
Si chiede di evitare, nell'etichettatura, il generico «Made in UE» a vantaggio di una dicitura più esplicita come «Made in Italy/UE» o «Made in France/UE». Già oggi più del 60 % dei prodotti commercializzati sono etichettati volontariamente, con l'indicazione di origine. Se tale dicitura fosse resa obbligatoria, vi sarebbero anche controlli e sanzioni, mentre oggi l'ampio margine di discrezionalità permette numerose contraffazioni e frodi, doppiamente lesive nei confronti dell'industria europea. Inoltre l'acquirente europeo si trova in condizioni di svantaggio, rispetto al consumatore americano, giapponese, cinese, australiano. Non si capisce per quale motivo egli non possa disporre delle stesse informazioni date agli altri attraverso l'etichetta obbligatoria. Se il consumatore europeo conoscesse la provenienza dei prodotti, potrebbe meglio giudicare, non solo la congruità del prezzo, ma anche il rapporto prezzo/qualità, in relazione ai propri bisogni. |
3.3.4 |
Ripetutamente è stato provato il rapporto tra il tessile e la salute. Molte dermatiti sono causate dall'utilizzo di prodotti tessili di bassa qualità. Anche per questo sembra opportuno lasciare che sia il consumatore a scegliere l'area di provenienza del prodotto. |
3.3.5 |
Le importazioni illegali di capi di abbigliamento hanno assunto dimensioni inquietanti e le apposizioni mendaci di «Made in …» si diffondono sui mercati internazionali. La richiesta è quella di intensificare i controlli e di inasprire le sanzioni. |
3.3.6 |
Lo sviluppo di nuovi materiali, nuovi processi di produzione e tecnologie pulite per contribuire allo sviluppo sostenibile risulta di particolare importanza per il settore. |
3.3.7 |
Il sistema associativo imprenditoriale e le organizzazioni sindacali ribadiscono di avere sempre condiviso i principi su cui si basa il «Codice di condotta del settore tessile e abbigliamento europeo», tanto è vero che questo è stato recepito direttamente nei contratti collettivi nazionali di lavoro dei paesi dell'Unione. Pertanto si chiede alla Commissione di inserire la dimensione sociale nell'ambito degli accordi internazionali. |
3.3.8 |
Il dumping sociale (fabbricazione di prodotti riducendo i costi di mano d'opera in spregio ai diritti dei lavoratori, con il ricorso al lavoro minorile e a quello forzato) è considerato un comportamento moralmente condannabile, ma non permette direttamente l'imposizione di dazi antidumping. Per questo i paesi industrializzati, e l'Europa in particolare, dovrebbero combatterlo con un impegno più attivo, attraverso clausole più severe e, in particolare, attraverso l'SPG (Sistema di preferenze generalizzate) (4). Nella sfera ambientale, il dumping ecologico comporta la riduzione dei costi di fabbricazione, a scapito del rispetto dell'ambiente. |
3.3.9 |
È opportuno che le istituzioni internazionali, con l'appoggio dei paesi industrializzati, avviino specifici progetti, finalizzati alla diffusione delle conoscenze contenute nel principio dello sviluppo sostenibile, rivolti ai paesi in via di sviluppo, come del resto sta facendo la Comunità con i paesi di nuova adesione. |
3.3.10 |
Per raggiungere questo obiettivo potrebbe essere incentivante e opportuno utilizzare delle etichette che comprovino che l'accesso di prodotti nell'UE è subordinato al rispetto delle norme internazionali relative all'ambiente. |
3.3.11 |
Lo scopo da perseguire è quello di tutelare l'ambiente e di assicurare alle imprese europee condizioni operative e competitive realistiche, rivedendo profondamente i contenuti degli accordi. |
4. Osservazioni del CESE
4.1 |
Il CESE ha seguito con molta attenzione le iniziative che la Commissione ha promosso, soprattutto negli ultimi anni, per ricollocare al centro dell'interesse comunitario il settore del tessile e dell'abbigliamento. In particolare esso rileva il successo di pubblico dei convegni recentemente organizzati a Bruxelles da diverse direzioni generali, (5) che hanno fatto registrare dibattiti animati a seguito della presentazione delle migliori pratiche nei vari campi dell'innovazione, della commercializzazione e del marketing. |
4.2 |
Purtroppo, però, le ricadute a livello locale di queste stimolanti iniziative sono state inferiori alle attese. E ciò ci fa riflettere, ancora una volta, sui modi attraverso i quali possiamo utilizzare i valori della conoscenza e dell'informazione per poi diffonderli più ampiamente tra tutti gli interessati. |
4.2.1 |
Un forte coinvolgimento delle associazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori, a tutti i livelli, deve far seguito e strutturare l'intero processo di innovazione. |
4.2.2 |
Solo una collaudata politica di concertazione tra le parti sociali, anche attraverso le esperienze degli enti bilaterali (6), e un comune lavoro di sostegno all'evoluzione del settore possono consentire di far fronte alla sfida della globalizzazione che, soprattutto nei confronti di questo comparto, «… suscita reali inquietudini …», come ha giustamente affermato il Commissario LAMY. |
4.3 |
«La competitività industriale è uno dei settori chiave in cui (…) l'Unione europea e gli Stati membri hanno (…) un ruolo attivo da svolgere, al fine di raggiungere gli obiettivi fissati nella strategia di Lisbona», ha affermato il Consiglio Industria del 27 novembre 2003 (GU C 317 del 30.12.2003, pag. 2). Ora, il settore oggi più esposto al fenomeno della deindustrializzazione, che accompagna i nuovi aspetti del commercio mondiale, è senza dubbio quello del tessile. |
4.3.1 |
È soprattutto per questi motivi che il settore del tessile si trova ad affrontare un processo permanente di ristrutturazione e di modernizzazione, oltre a dover combattere contro un accentuato rallentamento dell'attività economica, della produzione e dell'occupazione. Ma poiché si tratta di un settore strategico che continua a dare occupazione, in particolare alla componente femminile, il Consiglio, consapevole del suo valore, nelle sue conclusioni sopra citate ha invitato la Commissione a riferire, anteriormente al luglio 2004, sulle iniziative che potrebbero fare oggetto di un piano di azione a sostegno del tessile. |
4.4 |
A giudizio del Comitato, la Commissione dovrebbe, sulla base anche delle considerazioni svolte nel suo documento, affrontare in tempi molto brevi e con rinnovata attenzione gli aspetti seguenti: |
4.4.1 |
la riapertura dei negoziati sull'Agenda di sviluppo di Doha, rafforzando il proprio documento (COM(2003) 734 del 26 novembre 2003) secondo le chiare indicazioni che provengono dal mondo del lavoro, dagli imprenditori e dai consumatori; (7) |
4.4.2 |
il ruolo delle dogane nella gestione integrata delle frontiere esterne, secondo le indicazioni espresse dal Comitato nel suo parere precedente, e secondo altri suggerimenti formulati in quello presente; |
4.4.3 |
le norme di origine nei regimi commerciali preferenziali (COM(2003) 787) per stabilire i livelli dei dazi che nasceranno dal nuovo ciclo di negoziati multilaterali, dagli accordi di libero scambio e dal sostegno allo sviluppo sostenibile. Occorre inoltre definire, come più volte richiamato, «procedure di gestione e meccanismi di controllo e di salvaguardia per garantire l'uso onesto dei regimi preferenziali, in modo da preservare gli ambienti economici e proteggere contro gli abusi gli interessi finanziari in gioco»; (8) |
4.4.4 |
i termini del partenariato con la Cina (9), nel cui ambito sono previste diverse iniziative comunitarie destinate ad aumentare la concorrenza tra quel paese e l'UE (Programma di formazione per giovani imprenditori, sviluppo della formazione professionale, cap. B7-3); |
4.4.5 |
la messa in opera di un programma comunitario, dotato delle risorse adeguate, per il sostegno alla ricerca, all'innovazione, ivi compresa quella non tecnologica, e alla formazione professionale del settore (con particolare riferimento all'adattabilità, soprattutto dei piccoli imprenditori e della forza lavoro, al nuovo contesto internazionale e alle esigenze dei consumatori). Tale principio è stato peraltro chiaramente espresso dal Parlamento europeo nella sua risoluzione sul futuro del tessile e dell'abbigliamento approvata nel febbraio 2004; |
4.4.6 |
misure a tutela dei consumatori, i quali stanno sviluppando una crescente consapevolezza riguardo ai potenziali effetti sulla salute di alcuni prodotti, che sono spesso a contatto della pelle, anche in relazione alla crescente diffusione delle allergie da contatto o di altri disturbi di carattere cutaneo (10). Sulla scia di quanto avvenuto con la normativa europea per la trasparenza nel settore alimentare, è necessaria l'introduzione di una norma analoga, che permetta al consumatore di conoscere, mediante una etichettatura obbligatoria, l'indicazione del paese di provenienza del filato e del tessuto, nonché di quello dove è stato confezionato il capo finito. |
4.5 |
È certamente vero che l'introduzione di una etichetta obbligatoria «Made in …» potrebbe contribuire a convincere i consumatori che, quando acquistano un indumento, pagano un prezzo che corrisponde agli standard di produzione e di stile applicati dal paese di origine (fermo restando che questa informazione deve far riferimento al paese di confezionamento e non a quello di produzione), tuttavia la proposta della Commissione di scrivere sull'etichetta «Made in Europe» non convince. Un marchio unico europeo non distingue infatti le specificità e le eccellenze produttive dei singoli paesi, come emerge dal motto comunitario «Uniti nella diversità». |
4.5.1 |
In merito alle alternative contenute nella proposta della Commissione in tema di marchi di origine, è importante, secondo il Comitato, seguire l'approccio che prevede l'obbligatorietà dell'etichetta sia sui prodotti importati sia su quelli realizzati nel Mercato interno, quando detti prodotti siano commercializzati nell'Unione europea. In questo modo, oltretutto, sarà più agevole orientare il consumatore verso l'acquisto di prodotti che siano etici, non solo nelle qualità intrinseche, ma anche in termini di rispetto dei diritti dei lavoratori nei processi produttivi. |
4.6 |
La cultura della «responsabilità sociale delle imprese» da una parte deve consolidarsi come modello europeo, ma dall'altra deve essere estesa anche ai paesi in via di sviluppo, e questo attraverso strumenti concreti che abbiano la loro verifica a livello dei consumatori e quindi assumano rilevanza negli aspetti commerciali (11). |
4.7 |
Il rispetto delle normative ambientali e della legislazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, già in vigore nei processi produttivi, deve sempre più divenire evidente per il consumatore finale, per costituire uno stimolo al vantaggio competitivo. |
4.7.1 |
La posizione molto chiara dell'Unione in tema di sviluppo sostenibile, e quindi di rispetto degli impegni del protocollo di Kyoto nei tempi convenuti, può avere successo e ottenere il favore del mondo produttivo europeo solo se si coniuga con il riconoscimento e con il rispetto degli sforzi che questi impegni comportano. Non tenere conto o non intervenire per evitare la concorrenza sleale, oltre a non favorire la diffusione della cultura del progresso, radicata negli imprenditori e nei lavoratori europei, potrebbe sempre più incoraggiare la deindustrializzazione del nostro continente, a solo vantaggio di alcune multinazionali del commercio (12), che possono invece utilizzare la produzione di paesi meno sensibili ai principi che fanno del nostro sistema europeo una «economia sociale di mercato». |
4.7.2 |
Gli sforzi intrapresi dalla Commissione per ridurre i consumi energetici, anche attraverso la diffusione della «Progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia» (13), possono con il tempo avere successo solo se le industrie europee, in particolare quelle tessili e dell'abbigliamento, potranno ancora disporre di un mercato e, quindi, di macchinari per la produzione. In caso contrario non ci resterebbe che estendere la proposta ad alcuni paesi, considerati in via di sviluppo, perché possano migliorare il consumo energetico dei macchinari che contribuiscono alla realizzazione dei loro prodotti. |
4.8 |
Il Comitato chiede che, anche a livello europeo, venga dedicata una costante attenzione alle micro e alle piccole imprese, che sono molto diffuse in questo settore, soprattutto in relazione ad un sistema finanziario, come quello attuale, che tende a privilegiare la grande impresa. Il Comitato riconosce tuttavia gli sforzi compiuti dalla Commissione per evidenziare i problemi della micro e della piccola impresa e per sviluppare lo spirito imprenditoriale nella cultura europea (14). |
4.9 |
Il Comitato, oltre a richiedere la riduzione del numero di paesi che possono beneficiare dell'SPG, come sopra richiamato, ritiene che le tariffe doganali applicate oggi dall'UE, che sono fra le più basse del mondo, non debbano essere ridotte ulteriormente, fino a quando i paesi particolarmente competitivi sul piano delle esportazioni di prodotti del tessile e dell'abbigliamento non abbiano raggiunto un livello analogo. Il criterio della reciprocità, ovvero della «comparabilità di accesso ai mercati mondiali con le condizioni d'importazione che l'Unione europea applicherà a partire dal 2005», è d'altronde anche la raccomandazione formulata dal Parlamento europeo nella sua risoluzione sul settore tessile e dell'abbigliamento nell'Unione europea del 29 gennaio 2004. Il Comitato pertanto è sì favorevole alla liberalizzazione del commercio internazionale, ma non a quella a senso unico. Anche altri paesi dovrebbero infatti essere disposti ad aprire i propri mercati ai prodotti tessili e di abbigliamento esportati dall'UE. |
4.9.1 |
Per sradicare i gravi problemi della pirateria e della contraffazione è necessario rafforzare i controlli doganali alle frontiere esterne, impegnandosi a favorirne l'unificazione in vere e proprie dogane europee comuni, anche se con misure di sostegno specifiche per i nuovi Stati membri. Particolare attenzione andrebbe riservata agli Stati membri in cui il settore tessile e dell'abbigliamento ha un'importanza strategica. |
4.9.2 |
Il Comitato condivide la forte preoccupazione delle categorie interessate per l'incidenza delle frodi e reputa che si dovrebbero adottare tutte le misure possibili per ridurle. Le Agenzie delle dogane hanno più volte sottolineato di non avere un numero sufficiente di persone per controllare le merci in transito, soprattutto nei porti. Nel porto di Napoli, ad esempio, arrivano mediamente 1000 container al giorno e vi sono solo 3 persone che effettuano i controlli. La media dei container aperti (solo aperti, senza ispezione all'interno) è inferiore all'1 %! |
4.9.3 |
Alla luce di questa situazione, aggravata dalle notizie di frodi pianificate dalla malavita che influenza le attività di molti porti in Europa, si potrebbe ipotizzare la soluzione di concentrare l'arrivo di alcuni prodotti in determinati porti specificatamente attrezzati, nei quali organizzare, oltre ad un'intensificazione del controllo dell'Agenzia delle dogane, anche un sistema di vigilanza da parte di rappresentanti delle categorie interessate. |
4.9.4 |
In tal senso, almeno nella sostanza, si esprime d'altronde anche il Parlamento europeo al punto 11 della sua risoluzione, quando invita la Commissione ad incoraggiare e assistere i produttori, affinché costituiscano una rete di vigilanza e informazione, volta ad identificare la provenienza dei prodotti oggetto di pirateria o contraffatti, al fine di eliminarli dal mercato. |
4.9.5 |
Un'altra soluzione potrebbe essere quella di ripartire i container, piombati, tra le province di destinazione, in modo da ridurre drasticamente il numero dei container da controllare nei porti, per poter effettuare controlli più adeguati. |
4.10 |
Anche gli Stati dai quali provengono le merci devono essere invitati a migliorare i controlli. I paesi che si rendono complici di azioni fraudolente, utilizzando meccanismi di controllo inefficaci, dovrebbero vedersi revocato temporaneamente il beneficio di esportare a condizioni vantaggiose. Il solo sistema dell'SPG, così largamente utilizzato nel settore del tessile e delle confezioni, costa all'UE 2,2 miliardi di euro all'anno a titolo di mancata riscossione dei dazi doganali e, specularmente, rappresenta per i paesi che lo utilizzano un beneficio annuo di pari entità. Di fronte ad agevolazioni di tale portata, che spesso incidono sulla crisi occupazionale di molte regioni dell'Europa, si deve riconoscere all'UE il diritto di stabilire i termini e le condizioni alle quali tali agevolazioni vengono concesse. |
4.10.1 |
Il Comitato è perfettamente consapevole che, nella realtà dei fatti, le frontiere dell'UE non coincidono necessariamente con i confini fisici degli Stati membri ma si situano in maniera crescente nel territorio dei paesi da cui provengono le sue importazioni. Su tale argomento il CESE ha già espresso un suo parere. |
4.11 |
Le attuali norme sull'origine sono troppo complesse e di difficile attuazione, vengono facilmente fraintese e richiedono un'approfondita conoscenza di molti testi giuridici. Esse rappresentano dunque oggi un ostacolo al commercio e un forte incitamento alla frode. Il più delle volte, infatti, i paesi beneficiari fungono solo da luogo di transito per i prodotti di fatto provenienti da paesi non beneficiari. |
4.12 |
Il Comitato invita la Commissione, in particolare la DG Commercio, a definire standard chiari, per quanto riguarda le agevolazioni da concedere ai paesi in via di sviluppo, soprattutto nella tutela dei diritti dei lavoratori, nella protezione dell'ambiente, nella repressione del traffico di stupefacenti, nel rispetto dei diritti umani fondamentali, nello sviluppo sostenibile e negli altri importanti aspetti che riguardano la difesa dei consumatori e il benessere degli animali. |
4.13 |
Per quanto riguarda la Tariffa doganale comune (TDC), il Comitato si rende conto che anche l'ultimo regolamento 1789/2003, entrato in vigore il 1o gennaio 2004, che modifica il regolamento 2658/87, è frutto di una serie di compromessi, a livello della fissazione dei dazi, compromessi che rendono difficile e complessa la sua applicazione e che, di conseguenza, favoriscono la frode e l'elusione. Alla voce, ad esempio, «Indumenti e accessori di abbigliamento», che corrisponde ai codici 61, 62, 63, figurano 466 voci merceologiche: di queste 398 hanno una tariffa del 12 % mentre le altre 68 hanno tariffe che vanno dall'esenzione totale ad aliquote del 2 %, 4 %, 5,3 %, 6,2 %, 6,3 %, 6,5 %, 6,9 %, 7,2 %, 7,5 %, 7,6 %, 7,7 %, 8 %, 8,9 %, 10 %, 10,5 %. Anche altri codici, come il 64 (Calzature, ghette), il 65 (Cappelli e loro parti), il 66 (Ombrelli) e il 67 (Piume e fiori artificiali) hanno tariffe che vanno dall'1,7 %, al 2,2 %, al 2,7 %, al 4,7 %, al 5 %, al 5,2 %, al 7 % e all'8 %. |
4.13.1 |
Su un totale di 1516 voci, nei codici che vanno, per il settore «Tessile, confezioni e calzature» dal 50 al 67 NC (Nomenclatura comune) vi sono oltre 20 livelli tariffari. Avere tutte queste tariffe così ravvicinate rappresenta solo un problema e dimostra la debolezza di un sistema che, se semplificato, potrebbe essere più razionale e meno soggetto alle pressioni di centri economici che massimizzando il loro guadagno creano solo inconvenienti a moltissime aziende. Il Comitato ritiene che la fissazione di un numero limitato di aliquote (3 o 4 al massimo) ridurrebbe notevolmente le frodi e semplificherebbe enormemente il sistema. |
4.14 |
Il Comitato annette un'importanza particolare alla promozione del rispetto delle norme fondamentali del lavoro e dell'equo commercio, alla tutela dell'ambiente e alla lotta al traffico degli stupefacenti. L'attuale sistema SPG (Sistema di preferenze generalizzate) se da una parte riduce del 40 % i dazi della Tariffa doganale comune (TDC), consentendo a tutti i paesi in via di sviluppo di esportare i loro prodotti del tessile, dell'abbigliamento e della calzatura, nei paesi europei a dazi inferiori al 5 %, a condizione che si impegnino a rispettare le clausole sociali ed ambientali, dall'altra si è dimostrato inefficace a raggiungere gli obiettivi di moralizzazione. Risulta fra l'altro che il regime speciale di incentivazione inteso a combattere il traffico di droga, di cui hanno beneficiato 12 paesi, non abbia avuto alcun impatto sulla limitazione del traffico stesso, mentre molte piccole imprese europee hanno dovuto interrompere la loro attività a causa di una concorrenza insostenibile, frutto di costi di produzione totalmente non comparabili con quelli imposti da una regolamentazione moderna, attenta a perseguire uno sviluppo sostenibile (15). |
4.15 |
Il CESE ritiene che si debba rafforzare l'impegno del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo per escludere dalle preferenze generalizzate tutti quei paesi che, pur avendo necessità di esportare in Europa i loro prodotti del tessile, dell'abbigliamento e della calzatura, non rispettano i diritti fondamentali dell'OIL (16) (Organizzazione internazionale del lavoro) (17). |
4.16 |
Il Comitato è convinto del fatto che il PIL pro capite non può essere l'unico criterio utilizzato per determinare l'ammissibilità di un paese alle riduzioni previste dall'SPG per il settore del tessile; condivide altresì la preoccupazione, espressa in varie sedi, che una parte eccessiva dei benefici vada attualmente agli Stati che ne hanno meno bisogno. Per garantire che l'assistenza fornita nel quadro dell'SPG sia concentrata sui paesi che ne hanno più bisogno, il Comitato raccomanda di escludere dal sistema le seguenti categorie di paesi:
|
4.17 |
Anche i poli tecnologici e i centri di innovazione diffusi nei paesi dell'Unione devono contribuire a rafforzare i collegamenti in rete e la disseminazione delle esperienze con gli imprenditori del settore, le università e le organizzazioni della società civile. |
4.18 |
Il tessile tecnico, quello ad alta tecnologia e il calzaturiero tecnico acquistano sempre più quote di mercato nei paesi europei e nel mondo. Grazie alla loro consolidata esperienza di base, le piccole e medie imprese europee possono svolgere, oggi e nel futuro, un ruolo importante nella produzione di capi che sintetizzano i risultati di nuovi processi chimici e sviluppano nuove tecnologie. |
4.19 |
È necessario, a giudizio del CESE, sperimentare e realizzare azioni concertate tra la Commissione e gli Stati membri per finanziare e sostenere una pluralità di servizi avanzati, che migliorino le performance delle imprese così da favorire l'incontro tra la domanda e l'offerta di capi innovativi. |
4.19.1 |
Attraverso gli interventi previsti dal Fondo sociale europeo (FSE) e quelli inseriti nel Sesto programma quadro di ricerca e sviluppo, sarebbe opportuno intensificare e approfondire la formazione di nuove figure professionali dotate di particolari capacità tecnico-operative, che possano agire, secondo opportuni progetti, come animatori di innovazione a fianco delle PMI. Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata agli Stati membri dell'UE i cui settori tessile e dell'abbigliamento hanno un'importanza strategica. |
4.19.2 |
Tra i profili professionali necessari per aiutare le imprese a migliorare e ad ampliare la produzione di tessuti e di calzature tecniche figurano tra gli altri i seguenti: analisti di audit tecnologico, facilitatori di progetti di riconversione, scouting di nuove opportunità. |
4.19.3 |
È convinzione del CESE che, facendo leva sulle opportunità esistenti nel territorio -vale a dire poli tecnologici, università, dialogo strutturato tra datori di lavoro, lavoratori e enti locali -le imprese e soprattutto le PMI potrebbero utilmente avvalersi della collaborazione di figure di questo tipo per ricollocarsi a un livello tecnologico e competitivo più elevato (21). |
4.20 |
Il Comitato è consapevole, come del resto la Commissione e il Parlamento, che nell'Unione europea il comparto del tessile, dell'abbigliamento e calzaturiero è costituito per circa il 70 % da piccole aziende (che occupano meno di 50 dipendenti), per il 20 % da aziende con un organico compreso tra i 50 e i 249 dipendenti e per il restante 10 % da aziende con 250 e più dipendenti e che la concentrazione di lavoro femminile è in esso più alta che negli altri settori. Il Comitato ricorda che una frammentazione così accentuata delle aziende, nel territorio europeo, rende evidentemente più difficili le azioni di sostegno all'innovazione e all'aggiornamento tecnologico. |
4.21 |
Attraverso i propri rappresentanti che hanno un rapporto diretto con la società civile organizzata, il CESE ha più volte denunciato il continuo, incessante, fenomeno delle frodi, che interessano un'ampia gamma di merci che attraversano le frontiere comunitarie. Tra le frodi più vistose citiamo:
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4.21.1 |
Il fenomeno è stato recentemente oggetto di opportune indagini statistiche. Il CESE si compiace che l'Unione europea abbia finalmente approvato un regolamento che consente di bruciare e di distruggere in dogana le merci contraffatte (25). |
4.21.2 |
I risultati sono però, ancora limitati, secondo il Comitato. |
4.21.3 |
Gli stessi dirigenti delle Agenzie delle dogane lamentano l'insufficienza della regolamentazione comunitaria, che dovrebbe permettere di superare la frammentazione delle leggi dei singoli Stati, nonché la carenza di personale e di mezzi per far fronte ad un mercato così vasto e così attivo. |
4.21.4 |
Nel primo semestre del 2003, più di 50 milioni di oggetti contraffatti o frutto di pirateria sono stati intercettati dalle dogane europee (26). Tra il 2000 e il 2002 nel settore dell'abbigliamento le frodi sono raddoppiate, mentre nei profumi e nei cosmetici sono addirittura triplicate. (27) Si tratta però solo della punta dell'iceberg, rispetto a tutto quello che è riuscito invece a filtrare. |
4.21.5 |
Per quanto riguarda l'origine di questi prodotti, il 66 % è di provenienza asiatica: Cina e Thailandia in testa. Secondo l'affermazione del commissario BOLKESTEIN «Tutti i prodotti della vita quotidiana e non più solo i prodotti di lusso sono ormai oggetto di contraffazione, e quindi sempre di più le contraffazioni toccano direttamente le PMI» (28). |
4.21.6 |
L'ampiezza del fenomeno mette sempre più in difficoltà le imprese europee e, spesso, costringe le piccole imprese a interrompere l'attività, dal momento che diviene per loro impossibile restare sul mercato. |
5. Osservazioni specifiche
5.1 |
Dal 1971 la Comunità europea, prima attraverso il GATT e poi attraverso l'OMC (Organizzazione mondiale del commercio), concede riduzioni notevoli sulla Tariffa doganale comune (TDC) ai paesi in via di sviluppo. |
5.1.1 |
I prodotti considerati non sensibili, importati nella Comunità dai PVS, sono esentati da qualsiasi dazio doganale. |
5.1.2 |
I prodotti considerati sensibili, tra i quali tessili, abbigliamento e calzature, beneficiano di una riduzione del 20 % (nel regime generale), che sale al 40 % con i regimi speciali (29). |
5.1.3 |
Nel 2003 le Nazioni Unite hanno riconosciuto 116 PVS. Di fatto però i benefici concessi dall'UE sono estesi a 174 paesi (30). |
5.1.4 |
L'Asia è di gran lunga il più importante beneficiario delle agevolazioni doganali concesse dalla Comunità, con quasi il 70 % del totale, nel 2002. La Cina ne utilizza, da sola, circa il 25 %. |
5.1.5 |
Le aliquote medie per il TAC (tessile, abbigliamento, calzature) imposte dall'UE per i paesi suddetti sono pari al 4,8 %; quelle imposte dagli USA sono pari all'8,9 %; quelle imposte dal Giappone sono del 6,6 % e quelle del Canada sono pari al 12 %. Le aliquote imposte dalla Cina ammontano al 20 %, quelle applicate dalla Thailandia al 29 %, quelle dall'India al 35 % e quelle dall'Indonesia al 40 % (31). |
5.2 |
I produttori euromediterranei del TAC continuano a trovare ostacoli significativi nell'accesso ai mercati asiatici. In questi mercati gli Stati, per ostacolare gli scambi, hanno creato barriere non tariffarie che rappresentano un serio problema per tutta l'industria europea (32). |
5.3 |
Nel complesso dell'industria manifatturiera dell'UE il valore aggiunto del tessile (33) è di circa il 2,5 %. Vi sono però paesi con medie relativamente alte: il Lussemburgo, con l'8,7 %; il Portogallo, con il 6,3 %; la Grecia, con il 5,1; l'Italia con il 4,6; il Belgio, con il 4,3 % (34). L'importanza dell'industria del tessile e dell'abbigliamento è ancora maggiore nei nuovi Stati membri dell'Unione europea: 16,1 % in Lituania (35), 10,5 % in Estonia (36), ecc. |
6. Conclusioni
6.1 |
Per i numerosi imprenditori europei del tessile e dell'abbigliamento appare ingiusta e punitiva la realtà che li costringe spesso a soccombere, in un confronto che viene talvolta combattuto su un piano che prescinde dalla lealtà, dalle capacità imprenditoriali e dal rispetto dei diritti dell'uomo nel lavoro. Invece, sia per gli imprenditori che per i lavoratori e per i decisori politici dell'Unione ai vari livelli, occorrerebbe una visione a medio-lungo termine partecipata e condivisa del futuro del settore per mantenerlo competitivo e avanzato. |
6.1.1 |
Il rispetto dei diritti fondamentali del lavoro, così come vengono enunciati nelle norme fondamentali dell'OIL, va rafforzato mediante i meccanismi concreti di controllo dell'OIL e tramite una stretta cooperazione fra l'OIL e l'OMC. L'UE deve intensificare gli sforzi affinché i principi dell'OIL, rivolti alla tutela dei lavoratori, diventino il punto di riferimento per l'OMC. |
6.2 |
Le agevolazioni doganali potrebbero essere riservate solo ai 49 paesi meno sviluppati. I negoziati avviati a Doha dovrebbero portare a situazioni di più chiara reciprocità tra la zona euromediterranea e i paesi asiatici. Nel quadro di tali negoziati sarebbe opportuno concludere un accordo mondiale che preveda, nel settore del tessile e dell'abbigliamento, una riduzione dei diritti doganali entro un termine determinato, per esempio di 5 anni, in modo da raggiungere un livello uniforme del 15 % al massimo. |
6.3 |
Devono essere rafforzati i controlli alle dogane dell'Unione, con l'obiettivo di arrivare quanto prima a un sistema doganale comune, coerente con la legislazione relativa al mercato interno. |
6.4 |
Per contrastare la falsificazione e la frode e per fornire maggiori informazioni ai consumatori si potrebbe studiare un sistema di etichettatura d'origine (37) (geografica, sociale, ambientale). |
6.4.1 |
Sempre per lo stesso motivo, il CESE propone di valutare la possibilità di consentire eventualmente la tracciabilità dei tessuti, elemento che ridurrebbe le frodi sulle regole di origine e sui prodotti contraffatti. |
6.5 |
Il Comitato appoggia la Commissione negli sforzi tesi a rendere più efficaci gli strumenti di difesa commerciale e le misure antidumping e antisovvenzione, e la invita altresì ad applicare le misure di salvaguardia, soprattutto in presenza di frodi denunciate e comprovate. Nel quadro nei negoziati di Doha, l'Unione europea dovrebbe cercare di ottenere una disciplina molto più rigorosa circa il ricorso alle misure di salvaguardia, alle azioni antidumping e agli altri strumenti di protezione, come le modifiche alle regole di origine, ecc. |
6.6 |
La Commissione deve intensificare gli sforzi affinché gli ADPIC (Aspetti dei diritti di proprietà intellettuale legati al commercio) vengano garantiti all'interno dell'OMC e rispettati dagli Stati. |
6.7 |
Deve essere incrementata la capacità di innovazione, soprattutto nelle PMI, attraverso programmi e progetti concordati a livello locale, con il contributo di tutte le forze sociali e con il coinvolgimento dei centri di ricerca. Vi sono in Europa vari istituti superiori di grande tradizione nel settore del tessile. Sarebbe estremamente opportuno creare una rete di eccellenza che, tramite stretti legami con il mondo imprenditoriale e del lavoro, si colleghi alle opportunità offerte dal VI Programma quadro e attui un «foresight tecnologico» rivolto allo sviluppo del comparto. |
6.7.1 |
Uno dei punti di forza del tessile europeo, oltre alla moda e alla bellezza del capo confezionato, deve divenire la capacità di innovare: innovare verso nuove fibre e verso tessuti compositi, arricchiti da polveri individuate grazie agli studi sulle nanotecnologie, che ne aumentino la funzionalità, la sicurezza, la protezione termica e la vestibilità. |
6.7.2 |
I tessuti non tessuti, cioè i tessuti particolari, trattati con sostanze chimiche che agiscono come collanti, stanno diffondendosi sempre più in vari settori: sport, edilizia, aeronautica, mezzi di trasporto, ecc. Come già segnalato, si tratta di un mercato costantemente in crescita, nel quale va individuata una diversificazione produttiva, ricca di sviluppi futuri (38). |
6.8 |
La CCMI (commissione consultiva per le trasformazioni industriali ), forte delle esperienze acquisite in numerosi decenni di gestione dei problemi connessi con l'evoluzione del mercato del carbone e dell'acciaio (39), potrebbe assumere un ruolo significativo, tra la Commissione e il comparto del tessile, per agevolare la diversificazione della produzione. |
6.8.1 |
Si prospetta la necessità della riqualificazione del personale che perderà il proprio impiego in seguito alle ristrutturazioni. Sarebbe inoltre opportuno favorire la nascita e la crescita dell'interesse degli imprenditori verso i nuovi prodotti compositi. Uno sviluppo sostenibile del futuro si consolida solo se si aiutano i giovani a conoscere e a valutare i nuovi prodotti e a coglierne i valori di rispetto dell'ambiente. Tutto ciò si può ottenere meglio con l'aiuto degli organismi europei, come la CCMI, dotati di esperienza sia in campo sociale che tecnico. |
6.9 |
Il settore del tessile, della confezione e del cuoio rappresenta il primo settore verso il quale si rivolge la nuova politica verticale, instaurata recentemente dalla Commissione in aggiunta alle tradizionali politiche orizzontali rivolte all'industria. A tutti gli osservatori, e in particolare a coloro che operano nel settore in veste di imprenditori o di dipendenti, appare importante che la Commissione, con il coinvolgimento degli Stati e delle parti sociali, riesca ad aiutare il settore a evolversi tecnicamente e a superare le sfide della globalizzazione. |
6.9.1 |
Accanto alle «piattaforme tecnologiche» già individuate dalle politiche comunitarie (40) si potrebbe ipotizzare una quarta piattaforma, legata ai molteplici e innovativi aspetti del tessile di moderna concezione. |
6.10 |
In tutti i paesi progrediti è in atto un processo di deindustrializzazione e il valore aggiunto del terziario nell'UE ha già raggiunto il 70 % del totale del PIL (22 % all'industria, 5 % all'edilizia; 3 % all'agricoltura) (41). Ma questo fenomeno non va agevolato, perché molta parte del valore aggiunto dei servizi è rivolto alle imprese o nasce dalle imprese: commercio e trasporti (21,6 %); servizi finanziari e servizi alle imprese (27,2 %); pubblica amministrazione (21,6 %) (42). |
6.11 |
Il CESE ritiene che si debba intervenire, con tutto il peso della cultura europea quale riassunta nell'espressione «economia sociale di mercato», affinché si modifichino, per quanto possibile, le regole dell'OMC. Attualmente tali regole non permettono di vietare l'importazione di un prodotto tranne nei casi in cui questo rappresenti un pericolo. Bisogna invece arrivare a imporre senza indugi il rispetto di alcune priorità sociali, ambientali ed economiche, dal momento che l'UE, nella sua veste di attore economico, può rendere la governance mondiale più efficace cercando di «generalizzare lo sviluppo sostenibile a livello planetario, attraverso la cooperazione internazionale e lo sviluppo di buone politiche interne. (43)» |
6.11.1 |
I costi ai quali vanno incontro i paesi in via di sviluppo per attuare queste politiche potrebbero essere in parte sostenuti da programmi di cooperazione allo sviluppo, volti specificatamente a migliorare i comportamenti commerciali e soggetti ad un riesame periodico. |
6.12 |
Probabilmente si è giunti in una fase del processo di globalizzazione in cui è necessario prestare più attenzione alle «preferenze e sensibilità collettive» espresse dai cittadini, per poter ridurre le tensioni internazionali ed evitare quei conflitti commerciali «ideologici», che sono in costante aumento e che non sembrano trovare soluzione con i meccanismi e le regole attuali. |
Bruxelles, 1o luglio 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Il cosiddetto tessile tecnico trova sempre più applicazioni nei seguenti campi: abbigliamento, agro tecnico, edile, geotecnica, tecnica per la casa, tecnica per l'industria, tecnica applicata al campo medico, tecnica per i trasporti, tecnica applicata all'ambiente, tecnica per imballaggi, tecnica applicata ai sistemi di protezione, tecnica per lo sport. Cfr. allegato 2.
(2) I paesi meno sviluppati sono 49, dei quali 40 ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) e 9 non ACP e cioè Afghanistan, Bangladesh, Butan, Cambogia, Laos, Myanmar, Maldive, Nepal, Yemen.
(3) All'audizione era presente l'on. Concepciò FERRER i CASALS, parlamentare europea e presidente del Forum europeo del tessile, della confezione e della pelle. La Commissione europea era rappresentata da Luis Filipe GIRÃO, capo unità presso la DG Impresee da Ghazi Ben AHMED della DG Commercio. Erano presenti circa 60 persone, tra le quali: italiani, tedeschi, francesi, turchi, lituani e belgi.
(4) Parere del CESE 313/2004 (REX/141).
(5) Convegno del 15 ottobre 2002«L'industria europea dell'abbigliamento entra nell'alta tecnologia», centro Borschette-Bruxelles. Convegno del 20 marzo 2003«L'avvenire del tessile e dell'abbigliamento in un'Europa allargata». Convegno del 5 e 6 maggio 2003«L'avvenire del tessile e dell'abbigliamento dopo il 2005» - Charlemagne-Bruxelles.
(6) Gli enti bilaterali sono costituiti da rappresentanti di piccoli imprenditori e di lavoratori che, attraverso il principio della reciproca mutualità, intervengono per finanziare azioni di assistenza, di aggiornamento e di innovazione, per titolari e dipendenti di micro e di piccole imprese.
(7) Cfr. l'audizione del 21 gennaio 2004 e le conclusioni nel punto 13.
(8) COM(2003) 452 del 24 luglio 2003.
(9) Cfr. COM(2003) 787 def. del 18 dicembre 2003.
(10) COM(2003) 533 del 10 settembre 2003.
(11) Circa 1 000 sono le sostanze chimiche maggiormente utilizzate, su un totale di 5 000 che concorrono nel settore del tessile. A queste si aggiunge una quantità non definita di miscele eterogenee di più sostanze, alcune delle quali tossiche. Esse vengono utilizzate per la tinteggiatura e per altre trasformazioni del tessuto. Nell'UE le sostanze tossiche vengono preventivamente selezionate, scartate o trattate, conformemente alla legislazione ambientale e sanitaria. La relativa imputazione dei costi resta a carico delle imprese europee
(12) Cfr. COM(2004) 101 del 10.02.2004. Comunicazione della Commissione: Costruire il nostro avvenire comune. Partenariato mondiale, punto C (pag.7) versione francese.
(13) Cfr. Eurostat «Il PIL nel mondo». Del PIL mondiale, che ammontava nel 2002 a 34 000 miliardi di €, oltre il 55 % era detenuto da circa 45 000 multinazionali.
(14) Proposta di direttiva COM(2003) 453 del 1o agosto 2003.
(15) Cfr. fra gli altri i documenti: COM(2001) 98 del 1o marzo 2001; COM(2001) 366 del 18 luglio 2001; COM(2003) 21 del 21 gennaio 2003; COM(2002) 345 del 1o luglio 2002; COM(2001) 122 del 7 marzo 2001; COM(2002) 68 del 6 febbraio 2002; COM(2003) 27 del 21 gennaio 2003.
(16) Cfr. Parere SPG REX/141, punti 6.6.2.; 6.6.2.1; 6.6.2.2; 6.6.2.3
(17) C29-Sul lavoro forzato; C87- Sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale; C98- Sul diritto di organizzazione e di contrattazione collettiva; C100- Sulla parità di retribuzione; C 105- Sull'abolizione del lavoro forzato; C111- Sulla discriminazione (impegno e professione); C138- Sull'età minima; C182- Sulle forme peggiori di lavoro minorile.
(18) Cfr SPG punti 6.6.2.3
(19) Venezuela, Algeria, Nigeria, Libia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Quatar, Kuwait, Iraq, Iran, Indonesia.
(20) Ibidem.
(21) Spesso i piccoli imprenditori desidererebbero passare dalla produzione e confezionamento di capi prodotti con tessuti tradizionali, a quella di capi prodotti con tessuti nuovi tecnici o intelligenti, ma mancano delle necessarie informazioni e conoscenza dei processi tecnici e commerciali.
(22) La percentuale del dazio doganale dipende dal tipo di prodotto importato. Spesso vengono dichiarati prodotti diversi, con dazi più bassi, rispetto a quelli effettivamente importati.
(23) Libro verde «L'avvenire delle regole di origine …» COM(2003) 787, punto 1.2.2.
(24) Ibidem.
(25) Regolamento CE 1383/2003 del 22 luglio 2003. Entrerà in vigore il 1o luglio 2004.
(26) IP 03/1589 del 24 novembre 2003.
(27) Ibidem.
(28) Ibidem.
(29) Regime speciale per la tutela dei diritti dei lavoratori; R.S. per la tutela dell'ambiente; R.S. contro la produzione e il traffico di droga.
(30) Allegato I al regolamento 2501/2001.
(31) Fonte: Commissione UE.
(32) Tra le barriere non tariffarie più utilizzate: tasse o prelievi supplementari; prezzi minimi alle importazioni minimali; pratiche di valutazione doganale non pagate sui prezzi pagati per le merci importate; specifiche onerose e discriminatorie in materia di etichettatura o di marchio; regimi di autorizzazione all'importazione; difficoltose procedure di anticipazione.
(33) Cod. dal 17.1 al 17.6
(34) Fonte Eurostat, l'Industria manifatturiera in UE dal 1992 al 2002.
(35) Ufficio statistico della Repubblica di Lituania, 2003.
(36) Ufficio statistico della Repubblica d'Estonia, 2003.
(37) Libro verde «Il futuro delle norme di origine nei regimi commerciali preferenziali» COM(2003) 787 del 18 dicembre 2003.
(38) I tessuti in fibra di carbonio e quelli in kevlar sono più resistenti dei tradizionali metalli, oltre ad essere più leggeri e più malleabili.
(39) Confronta l'attività svolta dal Consiglio della CECA, confluito nella CCMI.
(40) Aerospaziale, Comunicazioni e Acciaio
(41) Fonte Eurostat - Struttura del valore aggiunti lordo, 2002.
(42) Fonte Eurostat,ibidem.
(43) Cfr. la comunicazione «Costruire il nostro avvenire comune» (COM(2004) 101 def. del 10 febbraio 2004) pag. 27.
ALLEGATO
al parere del Comitato economico e sociale europeo
Pur avendo ottenuto per lo meno un quarto dei voti espressi, il seguente emendamento è stato respinto:
Eliminare il punto 6.1.1
Esito della votazione:
favorevoli: |
31 |
contrari: |
32 |
astensioni: |
9 |
7.12.2004 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 302/101 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione (Parere d'iniziativa)
(2004/C 302/20)
Il Comitato economico sociale europeo, in data 15 luglio 2003, ha deciso, in conformità dell'articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno di elaborare un parere d'iniziativa sul tema Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione.
La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere, in data 8 giugno 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore van IERSEL.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o luglio 2004, nel corso della 410a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.
1. Sintesi
1.1 |
Il Comitato dedica il presente parere alle aree metropolitane europee poiché queste sono di grande interesse nel quadro del proseguimento della politica regionale dell'Unione europea. |
1.2 |
Sono in effetti zone molto importanti per l'avvenire sotto il profilo sia economico che demografico. Nonostante i numerosi gravi problemi che incontrano, concretamente non hanno però ricevuto alcuna attenzione al livello dell'Unione europea e delle Istituzioni europee. |
1.3 |
Il CESE auspica che il tema dello sviluppo economico e sociale sostenibile delle metropoli europee venga iscritto stabilmente nel programma di lavoro comunitario. Ciò rende indispensabili sia scambi di dati e d'informazioni a livello europeo tramite Eurostat, sia un'attenzione particolare da parte della Commissione. |
1.4 |
È nell'interesse dell'Unione europea riallacciarsi ai dibattiti intervenuti a livello nazionale sulla futura istituzione delle aree metropolitane per avviare un dibattito anche a livello europeo ed esaminare quale valore aggiunto la stessa Unione possa fornire. Inoltre, il CESE fa presente in particolare il nesso diretto che intercorre fra il ruolo delle metropoli europee e la strategia di Lisbona: in effetti, per conseguire gli obiettivi di Lisbona è determinante il modo in cui essi verranno realizzati nelle aree metropolitane. |
1.5 |
Il CESE auspica pertanto che, oltre a creare un forum specifico cui parteciperanno le aree metropolitane e la Commissione, si discuta la situazione di queste aree anche nell'ambito del Consiglio Competitività e del Consiglio informale per l'assetto del territorio e le questioni urbane. |
2. Introduzione
2.1 |
In questo nostro mondo in rapida evoluzione assistiamo ovunque a novità sul piano economico, tecnologico e sociale che hanno ampie ripercussioni e incidono non soltanto sulla produzione industriale, sui servizi alle imprese e sui mercati del lavoro, ma anche sul contesto territoriale e sociale, e di conseguenza sui modi possibili per gestire gli Stati e le regioni. |
2.2 |
Il presente parere del Comitato economico e sociale europeo si concentra in particolare sulle aree metropolitane, ossia i grandi agglomerati e le rispettive zone di influenza economica, per tre motivi principali: esse si trovano al centro di questi rapidi cambiamenti, recano un apporto consistente alla strategia europea per la crescita e infine partecipano allo sviluppo di molti altri centri di eccellenza di dimensioni più ridotte nell'ambito dell'Unione europea. |
2.3 |
Un'area metropolitana è formata da un nucleo centrale, che può essere una città isolata oppure un agglomerato urbano, e da una periferia composta da un insieme di comuni limitrofi, a partire dai quali un elevato numero di residenti si reca quotidianamente al lavoro nel nucleo centrale. La nozione di area metropolitana è dunque molto vicina a quella di bacino occupazionale oppure di regione urbana funzionale (1) e tiene conto dell'esistenza di zone periferiche che gravitano intorno a un centro e che si espandono in funzione dell'evoluzione di quest'ultimo. Le aree metropolitane si estendono fino ad abbracciare uno «spazio-tempo» che può richiedere anche un'ora di spostamento; esse comprendono spazi urbani e spazi rurali. |
2.4 |
Per essere riconosciuto come fulcro di un'area metropolitana, il nucleo centrale deve avere un numero minimo di abitanti (2) o di posti di lavoro. Analogamente, per poter includere nell'area metropolitana un comune della periferia è necessario dimostrare un'intensità minima di movimenti di pendolari che lavorano nella prima e risiedono nel secondo (3). In pratica, tuttavia, questi valori minimi sono stati stabiliti in maniera arbitraria e la loro importanza può variare conseguentemente. La mancata armonizzazione delle definizioni su scala europea limita la possibilità di confronti internazionali. |
2.5 |
In quest'ultimo decennio si è andato delineando un nuovo tipo di aree metropolitane. Quando diversi agglomerati funzionano in rete e i loro bacini occupazionali sono strettamente interconnessi esse formano un insieme policentrico di aree metropolitane: ne sono esempi la Randstad olandese con i suoi 7 milioni di abitanti, la regione tedesca Reno-Ruhr che ne conta 11 milioni, la regione Oresund (2,5 milioni di abitanti) e la regione di Lilla (1,9 milioni) (4). |
2.6 |
A seconda della loro importanza e funzioni, le aree metropolitane esercitano un'influenza su scala regionale, nazionale, europea o mondiale. Secondo le ultime stime, l'Unione europea conta circa 50 aree metropolitane con più di un milione di abitanti. |
2.7 |
È importante notare che le «aree metropolitane» oggetto del presente parere si riferiscono a territori e contesti socioeconomici che non coincidono con quelli delle entità amministrative regionali europee del sistema integrato delle «regioni» della nomenclatura delle unità territoriali statistiche (NUTS), utilizzato a fini ufficiali da Eurostat e dalle istituzioni europee. In Europa il concetto di regione amministrativa è particolarmente ambiguo e, fatta salva qualche rara eccezione, i confini geografici di queste regioni racchiudono territori più ampi o più ridotti di quelli delle aree metropolitane (5). Di conseguenza i territori delle regioni amministrative non sono una base pertinente per l'analisi e il confronto dell'andamento socioeconomico delle metropoli su scala europea. |
2.8 |
Nel febbraio 2004 la Commissione europea ha pubblicato la Terza relazione sulla coesione, che apre nuove piste di discussione sulla politica regionale e sul progresso economico, oltre che sullo sviluppo urbano e del territorio. Gettando uno sguardo al futuro, tale relazione evidenzia il nesso esistente fra politica regionale e strategia di Lisbona. Dato che la competitività diventerà il terzo pilastro della politica regionale, accanto alle politiche di coesione territoriale e per l'occupazione, la Terza relazione sottolinea in modo particolare il ruolo delle città e dei grandi agglomerati da questo punto di vista. |
2.9 |
L'impulso a cercare nuovi approcci e idee innovative nasce dalla globalizzazione, dal completamento del mercato interno (anche nei nuovi Stati membri) e infine dalla strategia di Lisbona. Ovviamente le aree metropolitane sono interessate non solo alla politica regionale, ma anche alla politica industriale, alla conoscenza, alle reti e ai trasporti europei, come pure allo sviluppo sostenibile e alla qualità della vita. |
2.10 |
Un fenomeno riscontrabile a livello mondiale è la crescente attenzione per il «Rinascimento urbano», che è un argomento di attualità nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione. |
2.11 |
A livello dell'Unione europea la situazione delle aree metropolitane e il problema della loro governance non sono mai stati esaminati in maniera approfondita e, di conseguenza, esse non sono mai diventate un obiettivo specifico delle politiche comunitarie. Il Comitato ritiene che sia ormai tempo di approfondire l'analisi e di vedere in che misura una corretta governance delle regioni, con la partecipazione di tutti i soggetti presenti sui relativi territori, potrebbe giovare alle rispettive popolazioni e, più in generale, all'intera Unione europea. Un esame della situazione delle aree metropolitane può essere proficuo solo se è basato su dati quantitativi affidabili e comparabili su scala europea, che in genere non sono però disponibili; il Comitato ritiene di conseguenza che l'Unione europea dovrebbe sollecitare l'elaborazione di dati di questo tipo. |
3. Posizionamento delle aree metropolitane
3.1 |
Oltre i tre quarti della popolazione europea vivono in aree urbane o periurbane. Esiste un legame diretto fra la strategia di Lisbona e le aree metropolitane, dove è concentrata buona parte dei fattori che determinano la competitività futura dell'Europa. In effetti, sono le metropoli a diffondere l'innovazione e l'informazione verso le altre città europee. La prosperità delle aree metropolitane è dunque una condizione imprescindibile per risolvere i problemi di coesione sociale e territoriale presenti al loro interno e nelle altre città o regioni europee. |
3.2 |
In Europa, come anche nel resto del mondo, le aree metropolitane devono affrontare diverse grandi sfide: quella della globalizzazione, che è legata ai processi d'integrazione dei mercati internazionali dei beni, dei servizi, dei capitali, delle conoscenze, della manodopera qualificata e non, e che comporta una rapida trasformazione dei loro sistemi produttivi; quella dello sviluppo sostenibile, che richiede una gestione prudente delle risorse naturali; e infine quella della coesione sociale, della qualità della vita e della coesione territoriale. |
3.2.1 |
Numerose città e metropoli stanno già efficacemente adeguando le proprie strutture economiche, sociali e istituzionali. È il caso delle regioni urbane più forti, divenute gli snodi delle reti di comunicazione nazionali e internazionali e raggiunte da tutti i tipi di trasporti rapidi e dalle reti di telecomunicazione ad alta frequenza, la cui economia si basa da tempo su attività diversificate, in particolare sulla fornitura di servizi di alto livello alle persone e alle imprese. Anche alcune regioni un tempo dipendenti dalle industrie tradizionali sono diventate, dopo una fase iniziale di crisi, ottimi esempi di questa evoluzione: Lilla, Barcellona e Bilbao illustrano particolarmente bene questo processo di ristrutturazione. |
3.2.2 |
Nei dieci nuovi paesi dell'Unione europea sono in atto processi analoghi, come testimoniano in particolare le aree metropolitane di Varsavia, Praga e Budapest. |
3.3 |
Per anni l'obiettivo della politica regionale comunitaria è consistito nel migliorare i presupposti per la crescita, l'occupazione e la concorrenza delle regioni meno sviluppate. A tal fine sono stati istituiti alcuni programmi specifici ed è stato realizzato un sofisticato sistema di distribuzione delle risorse finanziarie. Grazie a queste politiche dell'Unione, nella maggior parte dei casi le regioni interessate hanno compiuto passi avanti e talvolta anche notevoli progressi in campo economico. |
3.4 |
Nell'analizzare le regioni europee ci si è quindi tradizionalmente limitati a quelle che hanno beneficiato dei fondi strutturali. |
3.5 |
Non si può peraltro ignorare l'evoluzione, più o meno favorevole, registrata dalle realtà socioeconomiche delle altre regioni, che secondo il Comitato va analizzata in maniera approfondita a livello europeo, soprattutto in vista del dibattito dedicato alla Terza relazione sulla coesione regionale, che intende aprire nuove piste d'intervento. Un'analisi di questo tipo può migliorare ulteriormente la nostra comprensione delle attuali trasformazioni economiche e dei loro effetti sull'adeguamento delle società e dei modi di vita e di lavoro, e può infine permetterci di riformare determinate politiche europee in modo da garantire un sostegno adeguato alle esigenze specifiche di sviluppo delle regioni, comprese quelle delle aree metropolitane. |
3.6 |
È significativo come ovunque - sia nei paesi centralizzati che in quelli a struttura più decentrata - sia in corso un dibattito sul nuovo equilibrio auspicabile fra accentramento e decentramento, secondo nuovi approcci che le autorità stanno esaminando sia dal basso verso l'alto (bottom-up) che dall'alto verso il basso (top-down). Ovviamente, spesso questi processi risultano più difficili da realizzare a causa dell'esistenza, nelle regioni in questione, di tradizioni di governo e interessi ben consolidati. Malgrado gli ostacoli istituzionali presenti a più livelli, è però innegabile la tendenza generale a riconoscere che il benessere e la prosperità dei cittadini e delle imprese richiedono una gestione integrata delle aree metropolitane. |
3.7 |
Tra le aree metropolitane europee si possono immediatamente distinguere varie categorie: da un lato vi sono le metropoli più grandi con una popolazione superiore ai 5 milioni di abitanti, come quelle di Londra e di Parigi, del Reno-Ruhr, della Randstad o di Madrid, mentre dall'altro vi sono alcune aree metropolitane di dimensioni inferiori, ma talvolta prospere e per lo più dotate di un forte potenziale di sviluppo e di grandi ambizioni, come quelle che circondano le capitali e i grandi centri economici di quasi tutti gli Stati membri. |
3.8 |
Come già evidenziato, alcuni di questi centri erano in passato aree depresse, oggi rivitalizzate grazie all'impegno comune di soggetti privati e pubblici attivi nella regione. È doveroso aggiungere che anche le aree metropolitane dei nuovi Stati membri sono in fase di transizione e si stanno dotando dei vantaggi competitivi necessari per imporsi sui mercati internazionali. |
3.9 |
Le aree metropolitane che si manifestano a livello europeo sono sempre più numerose. A partire dal 2003 il gruppo delle Aree metropolitane tedesche si è organizzato intorno a un progetto dal titolo «Regioni del futuro». Nello stesso anno il governo britannico ha invitato alcune regioni a definire le rispettive strategie per diventare competitive sul piano internazionale. Il governo danese appoggia di buon grado la straordinaria iniziativa di cooperazione transfrontaliera in corso fra la sua capitale Copenaghen e la città svedese di Malmö, destinata a creare un grande centro economico nel Baltico. Nei Paesi Bassi è abbastanza recente il fenomeno della promozione della Randstad come area metropolitana di livello internazionale. Nella stessa linea si iscrivono i programmi di gestione territoriale di Barcellona e Bilbao in Spagna, e si potrebbero citare altri esempi. |
3.10 |
In tutti gli Stati membri sta d'altro canto prendendo progressivamente piede il processo di regionalizzazione, con evidenti conseguenze per l'organizzazione della governance nelle aree metropolitane e per la loro capacità di guidare lo sviluppo economico. Al contempo, alcuni governi si stanno attivando per promuovere lo sviluppo economico delle grandi città. Ne è un esempio l'iniziativa del governo britannico di creare un gruppo di lavoro composto dagli 8 principali centri urbani o «Core Cities», da 9 agenzie regionali di sviluppo e da diversi servizi ministeriali, allo scopo di definire un programma d'interventi destinati a migliorare le prestazioni economiche delle metropoli e, di conseguenza, la competitività del sistema paese (6). In Francia, in seguito alla pubblicazione di un rapporto sulle città europee (7), il governo ha definito una strategia nazionale destinata ad accrescere il peso e il prestigio delle metropoli francesi a livello europeo (8). |
3.11 |
La storia recente evidenzia come in questo periodo sta nascendo una nuova consapevolezza nei confronti dello sviluppo delle grandi regioni urbane. Delle strutture di consultazione in materia esistono però (nel migliore dei casi!) solo a livello nazionale. Parallelamente sono in atto iniziative volte a promuovere delle piattaforme europee d'incontro per i soggetti più interessati allo sviluppo urbano. Ne sono un esempio Eurocities, che è incentrata principalmente sul tema della società della conoscenza e, più di recente, Metrex, che è la rete delle regioni e delle aree metropolitane europee. Complessivamente, però, questi contatti e incontri avvengono su base sporadica, anche se esiste già un clima propizio a iniziative più strutturate. |
4. Le dinamiche in atto
4.1 |
Il processo della metropolizzazione è caratterizzato dal moltiplicarsi dei grandi agglomerati e dal progressivo concentrarsi della popolazione, delle attività e della produzione di ricchezza all'interno di uno spazio geografico in costante ampliamento e dai contorni imprecisi. Questa crescita si accompagna spesso a una frammentazione sociale e spaziale (emarginazione sociale, specializzazione spaziale, criminalità e insicurezza). Contrariamente alla città, inoltre, la metropoli non dispone di uno specifico organo politico e deve quindi risolvere i propri problemi attraverso molteplici negoziati con diversi soggetti. La frammentazione spaziale può rallentare e ostacolare alcuni investimenti pubblici e privati. È dunque auspicabile una politica regionale volta a ridurre questo fenomeno e a conciliare la governance delle aree metropolitane con le dinamiche in atto. Le aree di Barcellona e Stoccarda sono validi esempi in tal senso, ed evidenziano anche il ruolo positivo della società civile. |
4.2 |
C'è poi il processo di globalizzazione: le regioni urbane europee vengono strutturate da processi e dinamiche che sempre più spesso interessano la sfera mondiale. Le grandi città europee sono i punti di snodo di tutta una rete di metropoli a livello mondiale che è in costante evoluzione; basta pensare all'importanza di New York, Londra, Tokyo, Hong Kong, ma anche di Francoforte, Parigi, la Randstad, Bruxelles, Milano o Madrid. Queste metropoli »pilotano« l'economia mondiale attraverso le istituzioni internazionali, le banche e le grandi imprese multinazionali che vi hanno stabilito i loro centri di comando e di controllo, nonché grazie alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Nei prossimi anni anche le principali metropoli asiatiche faranno parte di questa rete di metropoli. |
4.3 |
C'è infine il processo di europeizzazione: il processo interattivo di adeguamento all'integrazione e all'allargamento dell'Europa delle politiche economiche, sociali, ambientali e di assetto territoriale. La realizzazione, ancora in atto, del mercato unico, l'arrivo dell'euro e l'allargamento contribuiranno ancora a lungo, e in maniera rilevante, al fenomeno dell'integrazione e della dispersione delle attività economiche sul territorio europeo. Contestualmente alla progressiva abolizione delle frontiere nazionali si svilupperà una tendenza naturale al rafforzamento dei poli economici su scala continentale. Il progressivo costituirsi di poli interregionali e, talvolta, transfrontalieri (Copenaghen-Malmö; Limburgo olandese, Limburgo belga e Aquisgrana; area metropolitana franco-belga di Lilla) indica che lo sviluppo economico ignorerà sempre più le frontiere politiche e amministrative, che sono eredità della storia e spesso artificiali. |
4.4 |
Le aree metropolitane sono le principali sedi della ricerca, dell'innovazione e della creazione di nuove attività, dove si concentrano le funzioni ad elevato valore aggiunto, nella fattispecie i servizi alle imprese. Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione vi svolgono un ruolo fondamentale e in esse si realizza principalmente la dinamica economica, poiché costituiscono luoghi privilegiati per l'innovazione, la società della conoscenza e la formazione. |
4.5 |
Si tratta di aree collegate fra loro da reti fisiche e virtuali di ogni genere, in funzione dell'entità e dell'importanza dei poli economici presenti nelle varie regioni. Questo processo è in una fase di ampliamento e approfondimento, favorito tra l'altro dalla politica europea dei trasporti (Transport European Networks) e dalla liberalizzazione del settore aereo. |
4.6 |
La strategia di Lisbona, che punta a creare un'economia competitiva basata sulla conoscenza nell'ottica della coesione sociale e della sostenibilità, riveste un interesse particolare. La sua attuazione potrebbe costituire una nuova missione specifica per le aree metropolitane. |
4.7 |
Questa nuova missione risulta in parte dal peso crescente delle reti nella società, che modificano i presupposti del benessere, attraggono nuovi investimenti e stanno introducendo nuovi criteri nella formazione dei giovani e nel mercato del lavoro in generale. Il recente interesse per le città e le aree metropolitane è inoltre legato alle nuove tecnologie applicate, in particolare alle TIC (Tecnologie dell'informazione e della comunicazione) e alle reti Internet ad alta velocità, che hanno un notevole impatto sulla vita dei cittadini e delle imprese. Attualmente le TIC condizionano fortemente le strutture di produzione e dei servizi e, di conseguenza, anche l'assetto territoriale e l'evolversi delle città e delle aree metropolitane. |
4.8 |
L'internazionalizzazione degli investimenti, la mobilità dei cervelli e l'interazione fra università, istituti per la tecnologia e settore privato potranno promuovere il formarsi di raggruppamenti o cluster economici, secondo il ben noto modello del »Diamante di Porter«. Si tratta di un'importantissima base per costituire la società in rete o network society, nella quale le aree metropolitane svolgono un ruolo fondamentale. |
4.9 |
Queste aree sono anche importanti poli culturali, turistici e per il tempo libero e il loro patrimonio di monumenti è un elemento fondamentale della loro storia e identità. Le loro università, biblioteche, musei, teatri dell'opera e di prosa e sale per concerti sono luoghi privilegiati per preservare e diffondere la cultura europea. Le aree metropolitane svolgono dunque un ruolo importante nella creazione e diffusione della cultura, oltre ad accogliere i principali incontri sportivi e i concerti di musica che richiamano le masse. |
4.10 |
Il cosmopolitismo delle metropoli è un elemento molto importante per lo sviluppo dell'industria dei mezzi di comunicazione: le componenti di quest'ultima (stampa, editoria, radio, televisione, cinema, video, pubblicità, telecomunicazioni) e, più in generale, le industrie della creatività sono infatti settori d'attività in piena espansione in queste aree. |
4.11 |
Vari soggetti, gruppi socioeconomici e associazioni culturali sono all'opera per reinventare i processi d'integrazione e di partecipazione. Accanto all'azione delle autorità, la società civile svolge un ruolo molto importante nella dinamica urbana: in molti casi il successo di un'area metropolitana è in larga parte dovuto proprio alla cooperazione e all'interazione tra gli ambienti pubblici e quelli privati. |
4.12 |
Questa cooperazione e interazione fra soggetti pubblici e privati sono determinanti per le aree metropolitane e l'esperienza indica che esse sono più facili da realizzare e danno maggiori risultati a livello di grandi insiemi territoriali piuttosto che a livello nazionale. La scala dell'area metropolitana è in linea di principio la più adatta per definire, insieme a tutti i soggetti coinvolti, gli obiettivi di assetto di una regione urbana e utilizzare gli strumenti necessari per conseguirli. |
4.13 |
Contrariamente alla tendenza riscontrata negli Stati Uniti, oggi le città europee tendono a svilupparsi come centri urbani e al contempo come agglomerati. I loro centri storici mantengono comunque la funzione di fulcro delle attività e di luogo di incontro. Le metropoli hanno altresì un ruolo determinante nel rafforzare il modello di società europea. |
4.14 |
L'economia europea sta attraversando un'importante fase di transizione caratterizzata in particolare dai processi di allargamento e d'integrazione del mercato interno, i quali provocano un'alternanza di competizione e partenariato fra i territori, e nella fattispecie fra le aree metropolitane. Queste svolgono infatti un ruolo chiave in queste complesse dinamiche, ma la mancanza di un organo di governo per il loro livello rappresenta un punto debole quando si tratta di definire e attuare strategie di sviluppo economico competitive e azioni di partenariato. |
5. Aspetti sociali specifici
5.1 |
Più di altri territori, le grandi città accusano gravi problemi di coesione sociale e squilibrio territoriale. Le aree metropolitane possono dunque diventare validi esempi di ripristino dell'equilibrio sociale e territoriale nell'Unione europea: ciò sarà tuttavia possibile solo garantendo uno sviluppo economico durevole sul loro territorio. |
5.2 |
Per quanto ogni area metropolitana abbia il proprio profilo particolare, un po' in tutt'Europa si registrano fenomeni analoghi, malgrado le differenze di ordine culturale, sociale e di sviluppo economico. Fortunatamente, il più delle volte gli attori pubblici e privati sono sempre più consapevoli dell'esigenza di migliorare le condizioni di vita e di lavoro generali. Bisogna però ammettere che spesso la strada ancora da percorrere è lunga. |
5.3 |
Ovunque abbia già avuto luogo o sia in corso una ristrutturazione economica, il passaggio da un ciclo economico a un altro ha causato, o sta ancora provocando, sacche di disoccupazione, in particolare fra i giovani e gli ultracinquantenni, ed è un fenomeno che interessa in particolare le aree metropolitane. Occorre però anche rilevare che questo fenomeno porta spesso alla creazione di attività completamente inedite e di nuovi posti di lavoro più adeguati alle esigenze future. |
5.4 |
La ristrutturazione economica ha anche come conseguenza la delocalizzazione di talune attività, soprattutto di quelle ad alto impiego di manodopera, il che tende a generare forme di disoccupazione strutturale nelle regioni monoindustriali. È un fenomeno che a volte si verifica anche in talune aree metropolitane, che però spesso riescono a modificare la loro base economica. Il processo di modernizzazione comporta spesso la transizione da una forte base industriale a una società dei servizi e dell'alta tecnologia, come dimostrano le regioni di Bilbao, di Lilla o del Reno-Ruhr. |
5.5 |
L'Unione registra un afflusso sempre maggiore di immigrati provenienti da paesi terzi. Malgrado le significative differenze nelle modalità della loro integrazione da parte degli Stati e delle città, nel complesso questo fenomeno rappresenta innegabilmente una sfida enorme per l'Europa, come testimoniano chiaramente le aree metropolitane. Per questo motivo nei suoi pareri il Comitato ha più volte chiesto che l'Unione si doti di una legislazione comune in materia di immigrazione e asilo. L'Unione assorbirà la nuova immigrazione economica per ragioni demografiche, sociali e occupazionali (9), e fra gli immigrati saranno sia persone molto qualificate che poco qualificate. Da un lato, la legislazione comunitaria deve promuovere l'immigrazione legale e contenere l'immigrazione clandestina e, dall'altro, l'Unione deve favorire l'integrazione dei migranti nella società d'accoglienza ed evitare le discriminazioni (10). |
5.6 |
In numerose città e aree metropolitane si assiste a una concentrazione di immigrati che hanno forti difficoltà ad accedere a posti di qualità a causa della mancanza di qualifiche professionali, della scarsa conoscenza della lingua, delle discriminazioni sociali e dell'assenza di una politica di integrazione. Questa situazione porta a disuguaglianze in materia di reddito e, di conseguenza, di accesso agli alloggi e ai servizi pubblici, ivi comprese l'istruzione e la sanità. È dunque doveroso dedicare un'attenzione crescente ai quartieri poveri gravemente colpiti da questo problema. |
5.7 |
La metropolizzazione comporta spesso un aumento delle disparità sociali e l'aggravamento di quelle spaziali. I gruppi sociali meno favoriti, fra i quali numerosi giovani disoccupati e persone anziane a basso reddito, si concentrano in determinati quartieri che accumulano diversi svantaggi. L'emarginazione dei soggetti sfavoriti e l'insufficiente qualità dei servizi pubblici in questi quartieri si autoalimentano fino a portare in vicoli ciechi dai quali è quasi impossibile uscire. Spesso le spinte all'emarginazione urbana si cumulano tra di loro anche dopo anni di politiche di riqualificazione dei quartieri in crisi. Per poter avere la massima probabilità di successo occorrono dunque interventi di ampio respiro, da coordinare a livello di area metropolitana. |
5.8 |
Spesso quello della sicurezza nelle aree metropolitane è un problema estremamente acuto, che può avere notevoli ricadute sulla coesione sociale e sullo sviluppo equilibrato delle aree stesse. Paradossalmente, i punti di forza e le caratteristiche demografiche delle aree metropolitane le rendono più esposte a certi rischi. Da un lato, il funzionamento del sistema rischia di incepparsi nel momento in cui un fattore, anche minimo, di insicurezza, va a colpire uno dei loro elementi vitali. Dall'altro, le caratteristiche delle aree metropolitane agevolano quei flussi di popolazione e di merci che sono propizi allo sviluppo di attività illecite collegate a reti della criminalità nazionale o internazionale, nonché la presenza di movimenti attivisti offrendo anonimato, una base logistica e un serbatoio di reclutamento. I centri nevralgici delle metropoli sono gli obiettivi privilegiati di nuove forme di terrorismo. Questi sviluppi sono fonte di preoccupazione nell'odierno contesto politico internazionale. |
5.9 |
La tutela dell'ambiente e il rispetto degli obiettivi dello sviluppo sostenibile sono altrettante sfide per le aree metropolitane, che devono rispettare gli impegni internazionali assunti con il protocollo di Kyoto, l'Agenda 21, il Trattato di Maastricht e i programmi comunitari sullo sviluppo sostenibile del 1993 e 1998. In tale contesto queste aree sono chiamate a rendere compatibili lo sviluppo economico e la tutela dell'ambiente, che possono alimentarsi reciprocamente gestendo in modo adeguato lo sviluppo urbano (sistema di trasporti, creazione di zone residenziali, gestione dei rifiuti e delle acque reflue, contenimento del rumore, tutela dei centri storici, salvaguardia del patrimonio naturale e agricolo, …). |
5.10 |
La rapida crescita di alcune aree metropolitane abbinata allo sviluppo e all'intensificazione delle attività economiche è una sfida in termini di infrastrutture e trasporti pubblici e privati. Ragioni di ordine ambientale ed economico impongono soluzioni tecnologiche avanzate per ovviare ai fenomeni di congestione. Qualunque politica ambientale implica costi elevati sia per il settore pubblico che per quello privato; i finanziamenti pubblici sono in genere insufficienti, e anche i partenariati pubblico-privato hanno finora dato risultati modesti. |
5.11 |
I problemi delle aree metropolitane si aggravano ulteriormente quando la gestione amministrativa di queste zone non riesce a tenere il passo con lo sviluppo economico e con l'aumento della popolazione, della domanda di alloggi e del numero di spostamenti quotidiani necessari per recarsi al lavoro. Spesso le aree metropolitane sono amministrate secondo metodi superati, e questo a sua volta impedisce un efficace funzionamento amministrativo e quindi l'adozione di politiche economiche adeguate. Un buon coordinamento fra la gestione amministrativa e i soggetti economici e, in senso più lato, fra il pubblico e il privato, è un presupposto per la buona governance delle aree metropolitane. |
5.12 |
Sul piano della gestione amministrativa esiste un'ampia varietà di situazioni: in alcuni casi le aree metropolitane sono più piccole della regione amministrativa di cui fanno parte, ma più spesso esse sono più grandi di una regione amministrativa. Quasi sempre un'area metropolitana si compone di più comuni o unità amministrative: in genere le autorità regionali e nazionali considerano queste situazioni come dati di fatto e non come un tema aperto alla discussione. |
5.13 |
Ogni governo ha i propri metodi per individuare soluzioni: le grandi città stanno cercando di imparare le une dalle altre, ma le consultazioni e gli scambi a livello comunitario sono troppo scarsi per potere stabilire termini di raffronto o buone pratiche. |
5.14 |
Benché i fenomeni descritti fin qui siano comuni a tutte le aree metropolitane, vi sono differenze sostanziali nel modo in cui vengono affrontati dalle singole regioni. Esistono numerosi esempi di regioni che sono riuscite a cambiare il corso degli eventi e a creare nuovi modelli per il futuro, di solito con il sostegno del governo nazionale e in collaborazione con il settore privato e la società civile organizzata. Portando avanti queste politiche tali regioni migliorano le proprie condizioni socioeconomiche, diventano più competitive e si adeguano meglio alle esigenze sociali. L'Unione europea dovrebbe coltivare questi esempi e istituire forme di consultazione per individuare le migliori pratiche e discutere sulle modalità e gli strumenti con cui contribuire a migliorare la situazione in funzione delle risorse disponibili. |
6. Dati regionali europei e aree metropolitane
6.1 |
Il sistema statistico europeo si è sviluppato in funzione delle politiche comunitarie. È grazie alla PAC, per esempio, che ci è noto il numero dei capi bovini e suini di ogni regione, mentre ignoriamo i dati sull'occupazione o sul valore aggiunto per settore d'attività delle grandi città e delle rispettive sfere d'influenza economica, perché manca una politica specifica e perché fino a poco tempo fa l'Europa ha destinato solo mezzi molto esigui alle statistiche urbane. L'unità «città-regioni» di Eurostat ha soltanto 5 addetti, e i mezzi di cui dispone Eurostat non sono neanche lontanamente all'altezza dell'importanza dei suoi compiti. |
6.2 |
Gli studi comparativi sulle condizioni socioeconomiche delle regioni metropolitane condotti al livello dell'intero territorio europeo dagli enti preposti allo sviluppo economico e alla promozione regionale, dalle università, dalle imprese di consulenza oppure dalla Commissione europea sono spesso soltantodescrizioni molto vaghe e incomplete, essenzialmente basate sulle statistiche regionali pubblicate da Eurostat. Queste ultime statistiche presentano il grande vantaggio di essere impostate sulla base di definizioni armonizzate su scala europea, ma anche un grave inconveniente dovuto al fatto che la suddivisione regionale di Eurostat e quella della Nomenclatura delle unità territoriali per la statistica (NUTS) è un mosaico di unità amministrative nazionali corrispondenti alle delimitazioni nate dalla storia politica e amministrativa di ogni paese. A parte alcune eccezioni, si tratta di suddivisioni non adatte, dal punto di vista geografico, a rappresentare e permettere di confrontare in maniera affidabile le realtà economiche, sociali e ambientali delle aree metropolitane su scala europea, perché non sono state concepite a tal fine. |
6.3 |
Le statistiche di Eurostat non consentono dunque di monitorare l'andamento demografico della popolazione, delle attività, della disoccupazione o della produzione delle aree metropolitane e, di conseguenza, di valutare e confrontare in modo affidabile alcuni indicatori strategici come per esempio il ritmo di crescita della popolazione, quello del valore aggiunto della produzione, quello dell'occupazione e della disoccupazione oppure quello della produttività globale per posto di lavoro. L'esame dei risultati degli studi sulle cosiddette regioni metropolitane realizzati da alcuni consulenti privati o da alcuni enti pubblici nazionali indica che la mancanza di dati affidabili e geograficamente confrontabili può indurre a conclusioni non soltanto sbagliate, ma talvolta anche contraddittorie sugli andamenti socioeconomici «rilevati» nelle aree metropolitane europee (per esempio per quanto riguarda l'andamento della produttività in una regione). |
6.4 |
La mancanza di dati sull'evoluzione socioeconomica delle regioni e delle aree metropolitane in Europa è pregiudizievole per due motivi sostanziali. |
6.4.1 |
Le aree metropolitane sono i motori della crescita: le attività economiche che esse generano e i vantaggi che ne derivano si diffondono verso gli altri centri urbani del paese. Per poter trarre il massimo vantaggio dai vincoli e dalle opportunità derivanti delle mutate circostanze internazionali bisogna che le aree metropolitane possano disporre di una valutazione costantemente aggiornata delle loro prestazioni su scala europea. |
6.4.2 |
A livello europeo servirebbero altresì analisi e confronti affidabili su alcuni aspetti specifici importanti, fra i quali i problemi relativi all'immigrazione, alla qualità del lavoro, alla povertà e all'esclusione, all'ambiente, alla sicurezza ecc. |
6.5 |
Ormai da parecchi decenni gli Stati Uniti producono un elevato numero di dati comparabili e aggiornatissimi sulle loro 276 aree metropolitane, dati che vengono poi messi a disposizione di tutti su appositi siti Internet (11). Visto che ogni Stato membro ha le proprie definizioni di città (e talvolta di metropoli), in Europa è indubbiamente più difficile individuare una definizione comune di «area metropolitana». Dato che per attuare la strategia di Lisbona è oggi necessario disporre di dati affidabili e confrontabili sulle aree metropolitane europee, il Comitato economico e sociale europeo ritiene che Eurostat debba ormai procedere alla loro delimitazione di concerto con gli Istituti nazionali di statistica per poi produrre ampie serie di dati su tale base. |
6.6 |
L'audit avviato dalla Commissione europea nell'ambito di URBAN II e attualmente in corso di realizzazione fornirà dati sulle condizioni di vita della popolazione in 258 città e agglomerati urbani. Si tratta di un progetto che darà sicuramente un notevole apporto alle riflessioni sulla coesione sociale, ma che non permetterà di produrre indicatori socioeconomici sulle aree metropolitane che siano raffrontabili a livello europeo. In base a tale progetto, infatti, gli indicatori vengono valutati a livello delle città e degli agglomerati urbani di ogni paese secondo la rispettiva definizione nazionale; gli indicatori per Londra, Parigi e Berlino saranno inoltre valutati entro i limiti delle rispettive regioni amministrative (Greater London, Île-de-France e Land di Berlino). |
6.7 |
Dal canto suo, il progetto ORATE (Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo), ideato per migliorare la conoscenza del territorio, si scontra con la mancanza di dati economici su scala comunale, e anche a livello NUTS 3, per l'intero territorio europeo: esso ha comunque il merito di evidenziare molto bene le numerosissime lacune del sistema statistico europeo. |
6.8 |
Tutte le osservazioni che precedono permettono di sostenere che per essere in grado di produrre dati affidabili e confrontabili sugli agglomerati urbani e le aree metropolitane, Eurostat deve poter disporre delle necessarie risorse umane e di bilancio. |
6.9 |
È opportuno prender conoscenza di uno studio recente (12) che presenta i dati della «Indagine europea sulla forza lavoro» condotta sulle aree metropolitane con oltre un milione di abitanti dell'Europa nordoccidentale. Esso dimostra come sia possibile produrre a costo ridotto numerosi dati socioeconomici raffrontabili su scala europea per metropoli di grandi dimensioni delimitate con criteri comuni e servendosi di un'indagine condotta ogni anno dagli istituti nazionali di statistica con il coordinamento di Eurostat. A titolo sperimentale sarebbe dunque auspicabile estendere questo studio alle altre grandi metropoli europee. |
7. Conclusioni e raccomandazioni
7.1 |
Da una decina d'anni ormai diversi Stati membri e regioni portano avanti analisi e discussioni sulla nuova realtà rappresentata dalle aree metropolitane in Europa. Benché queste aree siano oggi più visibili a livello nazionale e internazionale che in passato, il ruolo che esse svolgono ai fini dell'attuazione della strategia di Lisbona non è stato ancora riconosciuto. |
7.2 |
Le aree metropolitane sono i territori essenziali per conseguire gli obiettivi della strategia di Lisbona, che sono di ordine economico, sociale e ambientale. È infatti principalmente nel loro ambito che si sviluppano la formazione, la ricerca, l'innovazione, le tecnologie di punta, la creazione di nuove attività e la promozione dello spirito d'impresa. Esse sono anche i principali punti di snodo delle reti di trasporto e telecomunicazione, il che agevola la messa in rete delle imprese, delle università e dei centri di ricerca. Il Comitato sottolinea che una migliore mobilitazione del potenziale di crescita economica dell'Europa richiede la partecipazione attiva di tutti i soggetti pubblici e privati che concorrono allo sviluppo economico sostenibile delle aree metropolitane. In altri termini, dato il ruolo che queste svolgono in Europa, gli obiettivi della strategia di Lisbona non potranno essere mai raggiunti se non saranno attuati nelle aree metropolitane. |
7.3 |
Uno dei motivi principali per cui questo fenomeno non riceve adeguata attenzione negli ambienti governativi risiede nel fatto che i limiti delle regioni politico-amministrative corrispondono soltanto di rado ai limiti geografici delle aree metropolitane. Di conseguenza, fatte salve alcune eccezioni, non esistono dati affidabili e comparabili a livello europeo che consentano di descrivere la situazione socioeconomica e le dinamiche in atto nelle aree metropolitane. |
7.4 |
Il Comitato sottolinea che è interesse dell'Unione:
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7.5 |
Producendo e mettendo queste informazioni a disposizione di tutti si dovrebbero avere i seguenti vantaggi:
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7.6 |
Il Comitato dà pieno sostegno alla proposta avanzata da Metrex nel 2003 (13) di creare un programma europeo sulle aree metropolitane, denominato Metropolitan, che potrebbe configurarsi come una sede per incontri e scambi di pareri, e articolarsi in gruppi di lavoro incaricati di identificare e diffondere le buone pratiche negli ambiti oggetto del presente parere. |
7.7 |
Il Comitato si compiace dell'importanza attribuita alla «competitività» e del nesso stabilito dalla Terza relazione sulla coesione economica e sociale fra la politica regionale di nuova definizione e la strategia di Lisbona, poiché ciò riveste un particolare significato per le aree metropolitane. Nel loro ambito, taluni obiettivi rientranti nelle voci «competitività» e «conoscenza» potranno ricevere il sostegno del Fondo europeo per lo sviluppo regionale. |
7.8 |
Il Comitato ritiene indispensabile creare all'interno di Eurostat un servizio «aree metropolitane» incaricato di produrre i dati testé citati a cadenza annuale. |
7.9 |
Le eventuali difficoltà inerenti alla definizione dei limiti geografici di tutte le aree metropolitane e alla produzione di informazioni e dati confrontabili non possono servire da alibi per non fare nulla. Per questo motivo il Comitato economico e sociale europeo suggerisce di avviare quanto prima un programma pilota che coinvolga un numero limitato di aree metropolitane per dar seguito alle raccomandazioni testé formulate. Il Comitato suggerisce anche di realizzare questo programma pilota in collaborazione con la DG Politica regionale, Eurostat, gli istituti nazionali di statistica e le metropoli interessate. |
7.10 |
Il Comitato si augura che le istituzioni europee condividano gli orientamenti esposti nel presente parere e reputa quindi auspicabile che, parallelamente alla costituzione di un forum cui partecipino le aree metropolitane e la Commissione, la situazione di queste aree venga inserita anche all'ordine del giorno del Consiglio Competitività e del Consiglio informale dei ministri responsabili dell'assetto territoriale e delle questioni urbane. |
Bruxelles, 1o luglio 2004.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Roger BRIESCH
(1) Nel parere del 14 maggio 1998 dal titolo La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo, il Comitato delle regioni ha sviluppato il concetto di «regione urbana funzionale» per descrivere la metropoli e la sua zona d'influenza. Si è così preso atto della trasformazione delle città prima in agglomerati e poi in metropoli, che si sono successivamente estese sino a formare regioni urbane. Il concetto evidenzia anche i rapporti di interdipendenza esistenti fra le unità territoriali che compongono la regione urbana: mercato del lavoro, pendolarismo fra domicilio e posto di lavoro, reti di trasporto, centri commerciali, localizzazione delle nuove attività, mercato immobiliare, parchi divertimento, salvaguardia dell'ambiente, ecc.
(2) Per esempio, 500 000 abitanti (soglia adottata da Metrex); cfr. nell'allegato l'elenco degli agglomerati europei con più di 500 000 abitanti.
(3) Per esempio, il 10 % degli attivi che hanno un posto di lavoro nel nucleo centrale, residenti nei comuni della periferia (soglia adottata da Gemaca).
(4) La Randstad è composta dagli agglomerati urbani di Amsterdam, L'Aia, Rotterdam e Utrecht. La regione Reno-Ruhr comprende gli agglomerati di Bonn, Colonia, Düsseldorf, Duisburg, Essen e Dortmund. La regione Vienna-Bratislava si compone degli agglomerati di Vienna e di Bratislava. La regione Oresund comprende gli agglomerati di Copenaghen e Malmö, mentre la regione franco-belga di Lilla conta alcune città di medie dimensioni più un gran numero di città e comuni più piccoli.
(5) Esempi: Londra conta 7 400 000 abitanti nella regione amministrativa (NUTS 2) e 13 230 000 nell'area metropolitana, e in Francia il Dipartimento del Nord (NUTS 3) ha 2 600 000 abitanti e 970 000 per la parte francese dell'area metropolitana di Lilla.
(6) «Cities, regions and competitiveness», Office of the Deputy Prime Minister and other public partners, giugno 2003.
(7) «Les villes européennes, analyse comparative - Celine Rozenblat, Patricia Cicille (DATAR 2003).
(8) www.datar.gouv.fr - CIADT (Comités interministériels pour l'aménagement et le développement du territoire) del 13 dicembre 2003.
(9) COM(2003) 336 def. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione.
(10) Parere del CESE sul tema Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione», GU C 80 del 30.3.2004, pag. 92
(11) http://data.bls/gov/servlet/SurveyOutputSerlet
(12) Studio realizzato nel quadro del programma Interreg II dal Gemaca (Group for European Metropolitan Comparative Analysis) e pubblicato in «Cahiers de l'IAURIF» n.135; www.iaurif.org/en/doc/studies/cahiers/cahier_135/index.htm
(13) Metrex - The network of European Regions and Areas - Obiettivi principali proposti per il programma europeo Metropolitan:
1 - |
riconoscere il ruolo importante delle metropoli in Europa; |
2 - |
sostenere la creazione di un'efficace governance metropolitana; |
3 - |
sostenere la definizione, da parte di tutti i soggetti coinvolti, di strategie metropolitane integrate; |
4 - |
sostenere le politiche metropolitane volte a rafforzarne la competitività, coesione sociale e territoriale. |