SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

28 ottobre 2020 ( *1 )

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Tunisia – Misure adottate nei confronti di persone responsabili di distrazione di fondi pubblici e delle persone ed entità associate – Elenco delle persone, entità e organismi soggetti a congelamento dei capitali – Mantenimento del nome del ricorrente nell’elenco – Diritti della difesa – Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva – Termine ragionevole di giudizio – Sufficiente fondamento in fatto – Termini di ricorso – Gratuito patrocinio – Effetto sospensivo – Ricevibilità – Presupposti»

Nella causa T‑151/18,

Slim Ben Tijani Ben Haj Hamda Ben Ali, residente a Verneuil-l’Étang (Francia), rappresentato da K. Lara, avvocato,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da S. Lejeune, A. Jaume e M.V. Piessevaux, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione (PESC) 2018/141 del Consiglio, del 29 gennaio 2018, che modifica la decisione 2011/72/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2018, L 25, pag. 38), della decisione (PESC) 2019/135 del Consiglio, del 28 gennaio 2019 che modifica la decisione 2011/72/PESC concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2019, L 25, pag. 23), e della decisione (PESC) 2020/117 del Consiglio, del 27 gennaio 2020, che modifica la decisione 2011/72/PESC concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2020, L 22, pag. 31), nei limiti in cui tali atti si riferiscono al ricorrente,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata),

composto da M.J. Costeira, presidente, M.D. Gratsias (relatore), M. Kancheva, B. Berke e T. Perišin, giudici,

cancelliere: L. Ramette, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 giugno 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I. Origini della controversia e contesto fattuale

1

A seguito delle vicende politiche verificatesi in Tunisia nel corso dei mesi di dicembre 2010 e gennaio 2011, il Consiglio dell’Unione europea adottava, il 31 gennaio 2011, sulla base dell’articolo 29 TUE, la decisione 2011/72/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2011, L 28, pag. 62).

2

I considerando 1 e 2 della decisione 2011/72 così recitano:

«(1)

Il 31 gennaio 2011 il Consiglio ha ribadito la sua piena solidarietà e il suo pieno sostegno alla Tunisia e al popolo tunisino negli sforzi intesi a istituire una democrazia stabile, lo stato di diritto, il pluralismo democratico e il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

(2)

Il Consiglio ha inoltre deciso di adottare misure restrittive nei confronti di persone che sono responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini e che in tal modo privano il popolo tunisino dei benefici dello sviluppo sostenibile della sua economia e della sua società e compromettono lo sviluppo della democrazia nel paese».

3

L’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72 dispone quanto segue:

«Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, posseduti, detenuti o controllati da persone responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini e da persone fisiche, da persone giuridiche o da entità ad essi associate, elencate nell’allegato».

4

L’articolo 2 della decisione 2011/72 così recita:

«1.   Il Consiglio, deliberando su proposta di uno Stato membro o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, predispone e modifica l’elenco riportato nell’allegato.

2.   Il Consiglio trasmette la sua decisione, compresi i motivi dell’inserimento nell’elenco, alla persona o all’entità interessata direttamente, se l’indirizzo è noto, o mediante la pubblicazione di un avviso, dando alla persona o all’entità la possibilità di presentare osservazioni.

3.   Qualora siano presentate osservazioni o siano addotte nuove prove sostanziali, il Consiglio riesamina la decisione e ne informa di conseguenza la persona o l’entità interessata».

5

L’articolo 3, paragrafo 1, della decisione 2011/72 dispone quanto segue:

«L’allegato indica i motivi dell’inserimento delle persone ed entità nell’elenco».

6

L’articolo 5 della decisione 2011/72, nel testo iniziale, così recitava:

«La presente decisione si applica per un periodo di 12 mesi. Essa è costantemente riesaminata. È prorogata o modificata, a seconda del caso, qualora il Consiglio ritenga che i suoi obiettivi non siano stati raggiunti».

7

Nell’elenco inizialmente allegato alla decisione 2011/72 comparivano soltanto il nominativo dell’ex presidente della Repubblica di Tunisia, in carica al momento del verificarsi delle vicende di cui al punto 1 supra, e quello della moglie.

8

Il 4 febbraio 2011, sulla base dell’articolo 2, paragrafo 1, della decisione 2011/72 e dell’articolo 31, paragrafo 2, TUE, il Consiglio adottava la decisione di esecuzione 2011/79/PESC, che attua la decisione 2011/72 (GU 2011, L 31, pag. 40). L’articolo 1 di tale decisione di esecuzione disponeva che l’allegato della decisione 2011/72 fosse sostituito dal testo figurante nel suo allegato. Quest’ultimo citava il nominativo di 48 persone fisiche tra le quali, in particolare, alla prima e seconda riga, il nominativo delle due persone di cui al punto 7 supra e, alla quarantasettesima riga, il nominativo del ricorrente, sig. Slim Ben Tijani Ben Haj Hamda Ben Ali. Sempre alla quarantasettesima riga di tale allegato, figuravano «[i]nformazioni per l’identificazione» relative alla cittadinanza tunisina di quest’ultimo, al suo stato civile e al suo domicilio in Tunisia, nonché i motivi del suo inserimento in tale allegato, i quali così recitano:

«Persona sottoposta ad indagine giudiziaria dalle autorità tunisine per acquisizione di beni mobili e immobili, apertura di conti bancari e detenzione di capitali in diversi paesi nel quadro di operazioni di riciclaggio del denaro».

9

Sulla base dell’articolo 215, paragrafo 2, TFUE e della decisione 2011/72, il Consiglio ha adottato il regolamento (UE) n. 101/2011, del 4 febbraio 2011, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2011, L 31, pag. 1). Tale regolamento riprende, in sostanza, le disposizioni della decisione 2011/72 e l’elenco figurante al suo allegato I è identico a quello allegato a tale decisione, come modificata dalla decisione di esecuzione 2011/79.

10

In applicazione dell’articolo 5 della decisione 2011/72, il Consiglio ha prorogato più volte detta decisione per un periodo di un anno adottando, nell’ordine, la decisione 2012/50/PESC, del 27 gennaio 2012 (GU 2012, L 27, pag. 11), la decisione 2013/72/PESC, del 31 gennaio 2013 (GU 2013, L 32, pag. 20), la decisione 2014/49/PESC, del 30 gennaio 2014 (GU 2014, L 28, pag. 38), la decisione (PESC) 2015/157, del 30 gennaio 2015 (GU 2015, L 26, pag. 29), la decisione (PESC) 2016/119, del 28 gennaio 2016 (GU 2016, L 23, pag. 65), la decisione (PESC) 2017/153, del 27 gennaio 2017 (GU 2017, L 23, pag. 19), la decisione (PESC) 2018/141, del 29 gennaio 2018 (GU 2018, L 25, pag. 38), la decisione (PESC) 2019/135, del 28 gennaio 2019 (GU 2019, L 25, pag. 23), et la decisione (PESC) 2020/117, del 27 gennaio 2020 (GU 2020, L 22, pag. 31).

11

La designazione del ricorrente nell’elenco allegato alla decisione 2011/72 (in prosieguo: l’«elenco controverso»), nonché, di conseguenza, nell’elenco figurante all’allegato I del regolamento n. 101/2011 è stata mantenuta nel corso di tali proroghe successive. Inoltre, la decisione 2016/119 ha integrato le informazioni per l’identificazione relative al ricorrente menzionando la sua cittadinanza francese e il suo domicilio in Francia.

12

A seguito delle sentenze del 28 maggio 2013, Trabelsi e a./Consiglio (T‑187/11, EU:T:2013:273), del 28 maggio 2013, Chiboub/Consiglio (T‑188/11, non pubblicata, EU:T:2013:274), e del 28 maggio 2013, Al Matri/Consiglio (T‑200/11, non pubblicata, EU:T:2013:275), i motivi di designazione del ricorrente venivano modificati dalla decisione 2014/49 nei seguenti termini:

«Persona sottoposta a indagine giudiziaria dalle autorità tunisine per concorso in distrazione di denaro pubblico da parte di un funzionario pubblico, complicità in usurpazione di titolo da parte di un funzionario pubblico per procurare a un terzo un vantaggio ingiustificato e arrecare pregiudizio all’amministrazione, e complicità in influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona»

13

Tali motivi sono stati nuovamente modificati dalla decisione 2016/119 nei seguenti termini:

«Persona sottoposta a indagine giudiziaria dalle autorità tunisine per concorso in sottrazione di denaro pubblico da parte di un funzionario pubblico, complicità in usurpazione di titolo da parte di un funzionario pubblico per procurare a un terzo un vantaggio ingiustificato e arrecare pregiudizio all’amministrazione, influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona».

14

La decisione 2020/117 ha sostituito l’allegato della decisione 2011/72 con il testo figurante al suo allegato, il quale contiene una parte A, relativa all’elenco delle persone e delle entità di cui all’articolo 1 della decisione 2011/72, e una parte B, intitolata «Diritti della difesa e diritto a una tutela giurisdizionale effettiva a norma del diritto tunisino». Nella parte A di questo nuovo allegato, i motivi di designazione del ricorrente sono stati, ancora una volta, modificati nei seguenti termini: «Persona sottoposta a procedimento giudiziario o a processo di recupero dei beni a seguito di una sentenza definitiva delle autorità tunisine per concorso in sottrazione di denaro pubblico da parte di un funzionario pubblico, complicità in usurpazione di titolo da parte di un funzionario pubblico per procurare a un terzo un vantaggio ingiustificato e arrecare pregiudizio all’amministrazione, e influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona». Nella parte B di tale allegato, viene indicato quanto segue in relazione al ricorrente:

«L’indagine o il processo relativi alla sottrazione di fondi o beni pubblici sono ancora in corso. Il Consiglio non ha riscontrato alcuna indicazione di mancato rispetto dei diritti della difesa o del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva di Slim Ben Tijani Ben Haj Hamda BEN ALI».

15

Le stesse modifiche di cui ai punti da 11 a 14 supra sono state introdotte all’allegato I del regolamento n. 101/2011.

II. Procedimento e conclusioni delle parti

16

Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 5 marzo 2018, il ricorrente ha presentato una domanda di ammissione al beneficio del gratuito patrocinio. Il Consiglio ha presentato osservazioni il 26 aprile 2018. Con ordinanze rispettivamente del 14 settembre 2018 e del 3 maggio 2019, il presidente della Quinta Sezione del Tribunale, da un lato, ha accolto tale domanda e, dall’altro, ha designato un avvocato.

17

Il 24 giugno 2019, il ricorrente ha proposto il presente ricorso, nonché un’istanza diretta a far statuire dal Tribunale mediante procedimento accelerato, sulla base dell’articolo 151 del suo regolamento di procedura. Il Tribunale ha respinto quest’ultima istanza con decisione del 18 luglio 2019.

18

Il 10 settembre 2019, il Consiglio ha depositato il controricorso.

19

A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, la causa è stata riassegnata alla Nona Sezione con decisione del 16 ottobre 2019.

20

La replica e la controreplica sono state depositate rispettivamente il 24 ottobre e il 6 dicembre 2019.

21

Il 13 dicembre 2019, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, il Tribunale ha invitato le parti a prendere posizione sulle eventuali conseguenze da trarre, per la presente causa, dalle sentenze del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031, punti 2930), dell’11 luglio 2019, Azarov/Consiglio (C‑416/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:602, punti 3031), nonché dall’ordinanza del 22 ottobre 2019, Azarov/Consiglio (C‑58/19 P, non pubblicata, EU:C:2019:890, punti 30, 3144), e, in particolare, ad indicare, alla luce di tali sentenze e di tale ordinanza, se e in che misura le decisioni 2018/141 e 2019/135 assolvevano all’obbligo di motivazione. Il ricorrente e il Consiglio hanno depositato la loro risposta scritta, rispettivamente, il 27 dicembre 2019 e il 16 gennaio 2020.

22

Su proposta della Nona Sezione, il Tribunale, in applicazione dell’articolo 28 del regolamento di procedura, ha deciso, il 7 febbraio 2020, di rinviare la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

23

Con una misura di organizzazione del procedimento del 28 febbraio 2020, il Tribunale ha invitato il ricorrente a rispondere per iscritto ad un quesito e il Consiglio a produrre alcuni documenti supplementari. Le parti hanno risposto a tali richieste rispettivamente il 9 marzo e il 16 marzo 2020. Inoltre, il Tribunale ha invitato le parti a prendere posizione, in udienza, sulla questione se la sospensione dei termini di ricorso, risultante dalla domanda di ammissione al gratuito patrocinio del ricorrente, si applicasse alla decisione 2019/135.

24

L’udienza di discussione si è tenuta il 22 giugno 2020. Il Consiglio, sulla base dell’articolo 85, paragrafo 3, del regolamento di procedura, ha chiesto di poter depositare documenti relativi alla notifica della decisione 2019/135.

25

Il 24 giugno 2020, il ricorrente ha depositato una memoria di adattamento volta ad estendere le conclusioni e i motivi del ricorso alla decisione 2020/117, per la parte in cui lo riguarda.

26

Il 25 giugno 2020, il Consiglio ha depositato taluni documenti relativi alla notifica della decisione 2019/135. Il ricorrente ha presentato le sue osservazioni relative a tali documenti l’8 luglio 2020.

27

Il 24 luglio 2020, il Consiglio ha depositato osservazioni relative alla memoria di adattamento.

28

Il 3 agosto 2020, si è conclusa la fase orale del procedimento.

29

Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare le decisioni 2018/141, 2019/135 e 2020/117, per la parte in cui tali atti lo riguardano;

condannare il Consiglio alle spese.

30

Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

respingere in toto il ricorso;

in subordine, in caso di annullamento delle decisioni impugnate, mantenere i loro effetti per quanto riguarda il ricorrente fino alla scadenza del termine per proporre impugnazione ovvero, in caso di impugnazione, fino al rigetto di quest’ultima;

condannare il ricorrente alle spese.

III. In diritto

A.   Sulla ricevibilità delle conclusioni ai fini dell’annullamento delle decisioni 2019/135 e 2020/117

1. Sulla ricevibilità delle conclusioni ai fini dell’annullamento della decisione 2019/135

31

Secondo una giurisprudenza costante, la questione se un ricorso sia stato presentato oltre il termine previsto all’articolo 263, sesto comma, TFUE costituisce un motivo di irricevibilità di ordine pubblico che spetta al Tribunale esaminare d’ufficio (v. ordinanza del 25 novembre 2008, S.A.BA.R./Commissione, C‑501/07 P, non pubblicata, EU:C:2008:652, punto 19 e la giurisprudenza ivi citata).

32

Ai sensi dell’articolo 147, paragrafo 7, del regolamento di procedura, la presentazione di una domanda di ammissione al gratuito patrocinio sospende, a favore di chi l’ha proposta, il termine previsto per la presentazione del ricorso sino alla data di notifica dell’ordinanza che decide su tale domanda oppure, nelle ipotesi previste dall’articolo 148, paragrafo 6, di tale regolamento, dell’ordinanza che designa l’avvocato incaricato di rappresentare il richiedente. Ai sensi di tale articolo 148, paragrafo 6, salvo le disposizioni del suo paragrafo 4, che prevedono che l’ordinanza di concessione del gratuito patrocinio possa designare un avvocato qualora quest’avvocato sia stato proposto dal richiedente nella domanda di ammissione al gratuito patrocinio e abbia manifestato il suo consenso a rappresentare il richiedente dinanzi al Tribunale, l’avvocato incaricato di rappresentare il richiedente è designato con ordinanza alla luce delle proposte dell’interessato o delle proposte trasmesse dall’autorità nazionale competente.

33

Nella specie, occorre constatare che la domanda di ammissione al gratuito patrocinio del ricorrente, depositata il 5 marzo 2018, riguardava unicamente la decisione 2018/141. Infatti, a tale data, era siffatta decisione ad essere in vigore, mentre la decisione 2019/135, che le è subentrata, è stata adottata solo il 28 gennaio 2019 ed è entrata in vigore solo il 30 gennaio 2019, in conformità al suo articolo 2. Orbene, nel presente ricorso, depositato il 24 giugno 2019, il ricorrente chiede l’annullamento di queste due decisioni.

34

Si pone pertanto la questione se, ai fini della valutazione del rispetto del termine di ricorso, occorra ritenere o meno se la domanda di ammissione al gratuito patrocinio abbia sospeso tale termine non solo in relazione alla decisione 2018/141, ma anche in relazione alla decisione 2019/135. Poiché le parti stesse non hanno esaminato tale questione nel corso della fase scritta del procedimento, il Tribunale le ha invitate a prendere posizione al riguardo in udienza.

35

In udienza, il ricorrente ha sostenuto che la domanda di ammissione al gratuito patrocinio sospendeva i termini di ricorso nei confronti della decisione 2019/135. Infatti, in primo luogo, egli ha fatto valere che esisteva un’identità di oggetto, di parti e di motivi fra la decisione 2018/141 e tale decisione successiva. In secondo luogo, a suo avviso, i motivi sollevati nei confronti di queste due decisioni erano parimenti identici, cosicché, chiedendo l’annullamento della seconda, egli si sarebbe limitato ad adeguare il suo ricorso inizialmente diretto nei confronti della prima. In terzo luogo, alla luce del principio della tutela giurisdizionale effettiva, l’accesso del ricorrente al giudice dell’Unione europea non dovrebbe essere accompagnato da requisiti procedurali eccessivi, in considerazione, segnatamente, della sua situazione di beneficiario del gratuito patrocinio e della durata significativa del relativo procedimento.

36

Da parte sua, il Consiglio ha fatto valere che, poiché la decisione 2019/135 non era presa in considerazione nella domanda di ammissione al gratuito patrocinio, quest’ultima non può avere come effetto la sospensione dei termini di ricorso in relazione alla decisione di cui trattasi. Esso fa riferimento, al riguardo, alla sentenza del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio (C‑535/14 P,EU:C:2015:407), in particolare ai suoi punti da 15 a 18. Inoltre, esso ha affermato di detenere documenti che dimostravano che la decisione 2019/135 era stata notificata al ricorrente il 4 febbraio 2019, cosicché il ricorso sarebbe stato tardivo, e ha chiesto al Tribunale di accettare il deposito di tali prove sulla base dell’articolo 85, paragrafo 3, del regolamento di procedura. Esso ha aggiunto che, alla luce della giurisprudenza, i termini di ricorso erano di stretta applicazione. Esso ha sottolineato che il ricorrente aveva familiarità con il meccanismo di rinnovo delle misure restrittive e che aveva la possibilità di depositare una nuova domanda di ammissione al gratuito patrocinio o di indicare in maniera succinta, in quella presentata, che intendeva parimenti contestare l’ulteriore rinnovo della decisione contemplata in tale domanda. In tal senso, a suo avviso, non esisteva, nella specie, un caso di forza maggiore. Inoltre, esso ha depositato, il 25 giugno 2020, sulla base dell’articolo 85, paragrafo 3, di detto regolamento, documenti che facevano riferimento alla data di notifica della decisione 2019/135 al ricorrente.

37

Per quanto riguarda i documenti depositati dal Consiglio, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 3, del regolamento di procedura, in via eccezionale, le parti principali possono ancora produrre prove od offerte di prova prima della chiusura della fase orale del procedimento o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale, a condizione che il ritardo nella presentazione delle stesse sia giustificato.

38

Nella specie, occorre rilevare che i documenti in questione mirano a fornire chiarimenti al Tribunale a seguito dell’invito rivolto da quest’ultimo alle parti di trattare, in udienza, la questione della sospensione dei termini di ricorso in relazione alla decisione 2019/135. Ne consegue che il ritardo nella presentazione di tali documenti deve essere considerato giustificato (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 24 ottobre 2018, Epsilon International/Commissione, T‑477/16, non pubblicata, EU:T:2018:714, punto 57).

39

Nella specie, tali documenti contengono, da un lato, un estratto del tracciamento di un messaggio di posta elettronica, che indica una consegna di detto messaggio al ricorrente il 4 febbraio 2019, e, dall’altro, un avviso di ricevimento relativo ad una lettera inviata dal Consiglio al ricorrente il 30 gennaio 2019 e giunta a destinazione il 5 febbraio successivo. A tal riguardo, il ricorrente contesta il fatto che il Consiglio abbia fornito la prova della notifica della decisione 2019/135, sulla base del rilievo che l’avviso di ricevimento indica un indirizzo che non è il suo. Tuttavia, occorre rilevare che, se è vero che questo secondo documento menziona un indirizzo che non coincide con quello indicato dal ricorrente nel suo ricorso, fermo restando che la casella relativa alla menzione «destinatario ignoto a questo indirizzo» era, del resto, spuntata, egli non contesta le menzioni del primo documento, che fa chiaramente riferimento all’indirizzo da lui indicato nel suo ricorso e indica una consegna il 4 febbraio 2019. Si deve pertanto ritenere che egli sia venuto a conoscenza della lettera del Consiglio a quest’ultima data.

40

Per quanto attiene alla questione se la domanda di ammissione al gratuito patrocinio del ricorrente potesse essere applicata al ricorso avverso la decisione 2019/135 e abbia avuto come effetto la sospensione dei termini al riguardo, in primo luogo, occorre ricordare che l’articolo 147, paragrafo 4, del regolamento di procedura prevede che, se la domanda di ammissione al gratuito patrocinio è presentata anteriormente alla proposizione del ricorso, il richiedente esponga sommariamente l’oggetto del ricorso previsto, i fatti e gli argomenti a sostegno dello stesso.

41

Dal dettato dell’articolo 147, paragrafo 4, del regolamento di procedura, e segnatamente dall’espressione «oggetto del ricorso previsto», deve dedursi che spettava, nella specie, al ricorrente designare l’atto del quale egli intendeva chiedere l’annullamento nell’ambito del suo futuro ricorso. Tuttavia, detto atto doveva necessariamente essere già stato adottato, dal momento che, secondo una costante giurisprudenza, il Tribunale può essere validamente investito solo di un ricorso diretto all’annullamento di un atto pregiudizievole esistente, e non può procedere al controllo teorico della legittimità di atti ipotetici non ancora adottati (v. sentenza del 5 ottobre 2017, Ben Ali/Consiglio, T‑149/15, non pubblicata, EU:T:2017:693, punto 59 e la giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, in conformità all’articolo 146, paragrafo 2, di detto regolamento, una domanda di ammissione al gratuito patrocinio che designa un siffatto atto ipotetico, a titolo di oggetto del ricorso previsto, non potrebbe che essere respinta, poiché tale ricorso risulterebbe manifestamente irricevibile.

42

Ciò è tanto più vero in quanto, nella specie, come risulta dall’articolo 5 della decisione 2011/72, nella sua versione iniziale (v. punto 6 supra), il Consiglio verifica ogni dodici mesi se occorra o meno prorogare ovvero modificare tale decisione. Di conseguenza, alla data in cui il ricorrente ha presentato la sua domanda di ammissione al gratuito patrocinio, nulla consentiva di presumere che la decisione 2018/141 sarebbe stata seguita da una nuova decisione che prorogava la decisione 2011/72 per un ulteriore anno. Non gli può dunque essere contestato di non avere menzionato anticipatamente questa nuova decisione nella sua domanda di ammissione al gratuito patrocinio.

43

Per contro, l’articolo 147, paragrafo 4, del regolamento di procedura non può escludere la possibilità, per il ricorrente, in forza dell’articolo 86, paragrafo 1, di tale regolamento, di adattare il ricorso, nel caso in cui la decisione che costituisce «l’oggetto del ricorso previsto» sia sostituita o modificata da un’altra decisione avente il medesimo oggetto.

44

Ne consegue che, benché, alla data in cui il ricorrente ha depositato la domanda di ammissione al gratuito patrocinio, egli non fosse in grado, per definizione, di designare la decisione che avrebbe sostituito o modificato la decisione 2018/141, la quale non esisteva ancora, tale circostanza non poteva ostare a che, una volta depositato il suo ricorso avverso detta decisione 2018/141, lo stesso adattasse, successivamente, quest’ultimo, al fine di tenere conto dell’adozione della decisione 2019/135. Infatti, come indicato dal ricorrente in udienza, le conclusioni dirette avverso le decisioni 2018/141 e 2019/135 hanno, in sostanza, lo stesso oggetto, poiché sono intese all’annullamento della designazione del ricorrente nell’elenco controverso, e si fondano sugli stessi motivi. Inoltre, un siffatto adattamento del ricorso non potrebbe comportare, per il ricorrente, l’obbligo di presentare una nuova domanda di ammissione al gratuito patrocinio, poiché esso viene effettuato tramite una memoria di adattamento depositata, in conformità all’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura, nell’ambito del ricorso per il quale egli ha ottenuto detto gratuito patrocinio, e non nell’ambito di un ricorso distinto.

45

Ciò premesso, nell’ipotesi particolare di cui al caso di specie, l’atto che sostituisce o modifica la decisione cui si riferisce la domanda di ammissione al gratuito patrocinio è stato adottato prima della conclusione del procedimento relativo al trattamento di tale domanda e prima che il ricorrente abbia potuto depositare l’atto introduttivo del giudizio. Orbene, in una situazione del genere, il ricorrente, come ha fatto valere, in sostanza, in udienza, non aveva altra scelta se non quella di «adattare» l’oggetto del ricorso iniziale presentando, nell’ambito di questo stesso atto, conclusioni dirette all’annullamento tanto della decisione 2018/141 quanto della decisione 2019/135.

46

In secondo luogo, occorre rilevare che le disposizioni del regolamento di procedura relative al gratuito patrocinio devono essere interpretate alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), il quale prevede espressamente, al suo terzo comma, la concessione di un siffatto patrocinio qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia. In particolare, occorre garantire che l’interpretazione di tali disposizioni non costituisca una limitazione sproporzionata del diritto di accesso alla giustizia che lede la sostanza di tale diritto (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, DEB, C‑279/09, EU:C:2010:811, punto 60).

47

A tal riguardo, è vero che i termini di ricorso sono oggetto di una stretta applicazione (v. sentenza del 13 dicembre 2016, Al-Ghabra/Commissione, T‑248/13, EU:T:2016:721, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, l’interpretazione delle disposizioni dell’articolo 147 del regolamento di procedura, e in particolare del suo paragrafo 7, relativo alla sospensione di tali termini, non deve sfociare in un trattamento del ricorrente meno favorevole rispetto a quello di un altro beneficiario del gratuito patrocinio che sia stato in grado, segnatamente, di depositare il suo ricorso avverso la decisione oggetto della domanda di ammissione al gratuito patrocinio prima che fosse adottato l’atto che ha sostituito o modificato tale decisione.

48

In terzo luogo, è giocoforza rilevare la peculiarità delle circostanze nelle quali il ricorrente ha depositato, il 24 giugno 2019, l’atto introduttivo del giudizio.

49

In primo luogo, come risulta dai documenti forniti a sostegno della domanda di ammissione al gratuito patrocinio del ricorrente, quest’ultimo ha ricevuto la lettera del Consiglio che gli notificava la decisione 2018/141 il 10 febbraio 2018. Egli ha depositato tale domanda il 5 marzo 2018. Inoltre, dal contenuto di tale domanda emerge che il ricorrente non ha designato un avvocato. Ne risulta dunque che, in conformità all’articolo 147, paragrafo 7, del regolamento di procedura, il termine previsto per l’introduzione del ricorso era sospeso a partire dal 5 marzo 2018 sino alla notifica dell’ordinanza che ha designato l’avvocato incaricato di rappresentare il richiedente, ossia, come risulta dai documenti del fascicolo, sino al 29 maggio 2019. Il deposito del ricorso, avvenuto il 24 giugno successivo, è dunque conforme alle disposizioni dell’articolo 263, sesto comma, TFUE e dell’articolo 60 di detto regolamento, nella parte in cui esso riguarda la decisione 2018/141, circostanza che, del resto, il Consiglio non contesta.

50

In secondo luogo, dalle constatazioni svolte al punto 49 supra si evince che, alla data in cui la decisione 2019/135 è stata notificata al ricorrente, ossia, stando alle informazioni del Consiglio, il 4 febbraio 2019, il termine previsto per il deposito del ricorso era sospeso in relazione alla decisione 2018/141. Inoltre, occorre rilevare che tale termine continuava ad essere sospeso alla data ultima in cui il ricorrente avrebbe dovuto proporre un ricorso avverso la decisione 2019/135, ossia il 15 aprile 2019, nel caso in cui la sua domanda di ammissione al gratuito patrocinio non avesse avuto come effetto la sospensione di detto termine di ricorso per quanto riguarda questa seconda decisione. Ne consegue che, in tal caso, il ricorrente non avrebbe avuto altra possibilità se non quella di depositare una seconda domanda di ammissione al gratuito patrocinio avente ad oggetto questa seconda decisione affinché il suo ricorso avverso quest’ultima beneficiasse anch’esso della sospensione dei termini di ricorso sino alla designazione del suo avvocato.

51

Orbene, da un lato, come è stato rilevato al punto 44 supra, dal combinato disposto dell’articolo 147, paragrafo 4, e dell’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura, risulta che il beneficiario del gratuito patrocinio non può essere tenuto a depositare una seconda domanda relativa ad un siffatto aiuto, al fine di impugnare, nell’ambito di una memoria di adattamento, l’atto che sostituisce o modifica l’atto preso inizialmente in considerazione nel suo ricorso. Di conseguenza, il Tribunale non può trattare il ricorrente in maniera meno favorevole obbligandolo a depositare una siffatta seconda domanda. Infatti, la decisione 2019/135 costituisce un atto che sostituisce la decisione 2018/141, che egli sarebbe stato legittimato ad impugnare nell’ambito di una siffatta memoria di adattamento qualora lo stesso avesse potuto depositare l’atto introduttivo del giudizio prima dell’adozione di questa nuova decisione.

52

Dall’altro, una seconda domanda di ammissione al gratuito patrocinio avrebbe avuto come unico obiettivo quello di consentire la sospensione dei termini di ricorso in relazione alla decisione 2019/135. Infatti, al momento dell’adozione di quest’ultima, il ricorrente era già beneficiario del gratuito patrocinio ed aveva la facoltà di chiedere l’annullamento di tale decisione nell’ambito dell’adattamento del ricorso avverso la decisione 2018/141, per il quale egli aveva ottenuto tale patrocinio. In tali circostanze, l’obbligo di depositare una siffatta seconda domanda costituirebbe una formalità superflua, priva di rapporto con l’obiettivo del gratuito patrocinio, consistente, ai sensi dell’articolo 146 del regolamento di procedura, nel consentire alle persone che si trovino nell’incapacità di far fronte alle spese di causa di essere rappresentate dinanzi al Tribunale e di avere in tal modo accesso al giudice dell’Unione.

53

In terzo luogo, occorre rilevare che, fra l’ordinanza del 14 settembre 2018 che ha ammesso il ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio e l’ordinanza del 3 maggio 2019 che ha designato un avvocato, è trascorso un periodo di tempo di quasi otto mesi durante il quale il ricorrente non era in grado di proporre il ricorso per il quale egli aveva depositato una domanda di ammissione al gratuito patrocinio. Orbene, dai documenti del fascicolo emerge che, per la maggior parte di tale periodo, siffatto ritardo non è imputabile al medesimo.

54

Infatti, a seguito della pronuncia dell’ordinanza del 14 settembre 2018, solo il 14 novembre successivo il ricorrente ha informato il Tribunale di non essere stato in grado di designare un avvocato per rappresentarlo e gli ha chiesto di procedere esso stesso a tale designazione. Tuttavia, in conformità all’articolo 148, paragrafo 5, del regolamento di procedura, la cancelleria del Tribunale, a seguito di tale lettera, ha trasmesso, il 28 novembre 2018, all’autorità nazionale competente copia della domanda di ammissione al gratuito patrocinio del ricorrente e della summenzionata ordinanza affinché tale autorità procedesse a siffatta designazione. Orbene, è solo il 23 aprile 2019, ossia quasi cinque mesi dopo tale trasmissione, che l’autorità nazionale ha risposto alla cancelleria del Tribunale indicandogli il nominativo di diversi avvocati che accettavano di rappresentare il ricorrente. A tal riguardo, occorre rilevare che è proprio durante quest’ultimo periodo di quasi cinque mesi che la decisione 2019/135 è stata adottata e che il termine per depositare un ricorso avverso tale decisione, qualora non fosse stato sospeso, sarebbe scaduto.

55

Ne consegue che, in assenza di sospensione dei termini di ricorso per quanto riguarda la decisione 2019/135, la ricevibilità delle conclusioni del ricorrente dirette avverso tale decisione sarebbe rimessa in discussione, nella specie, a causa della durata della procedura di designazione di un avvocato, sebbene tale durata non sia perlopiù imputabile al medesimo. Orbene, come indicato, in sostanza, dal ricorrente in udienza, non è accettabile, alla luce dell’obiettivo del gratuito patrocinio, quale sancito all’articolo 47, terzo comma, della Carta, che i termini di trattamento della domanda di ammissione al gratuito patrocinio del ricorrente, considerati nel loro insieme, abbiano come effetto di privarlo dell’accesso al giudice dell’Unione, o quantomeno di limitare tale accesso, eventualità che la sospensione dei termini di ricorso prevista dall’articolo 147, paragrafo 7, del regolamento di procedura mira appunto ad evitare.

56

È vero che, alla data della proposizione del ricorso, il ricorrente conservava un interesse a chiedere l’annullamento della decisione 2018/141 (v., in tal senso, sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione, C‑239/12 P, EU:C:2013:331, punti 7980). Tuttavia, nella misura in cui, a tale data, la sua designazione nell’elenco controverso era mantenuta in forza della decisione 2019/135, era quest’ultima decisione ad esplicare effetti sulla sua situazione e ad avere un significativo impatto negativo sulle sue libertà e sui suoi diritti (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 27 settembre 2018, Ezz e a./Consiglio, T‑288/15, EU:T:2018:619, punto 71 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, l’impossibilità di fare riferimento a tale decisione nell’ambito del suo ricorso diretto avverso la decisione 2018/141 privava quest’ultimo, alla data della sua proposizione, di una parte significativa della sua utilità.

57

Alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, il ricorrente può dunque fondatamente sostenere che la sospensione dei termini di ricorso prevista dall’articolo 147, paragrafo 7, del regolamento di procedura si applica alle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio dirette avverso la decisione 2019/135, dal momento che, come egli ha indicato in udienza, le conclusioni dirette avverso tale decisione e quelle dirette avverso la decisione 2018/141 hanno, in sostanza, lo stesso oggetto, e la durata del trattamento della sua domanda di ammissione al gratuito patrocinio, considerata nel suo insieme, non può avere come effetto di limitare eccessivamente il suo accesso al giudice dell’Unione. Pertanto, poiché l’atto introduttivo del giudizio è stato depositato il 24 giugno 2019 nel rispetto dei termini di ricorso per quanto riguarda la decisione 2018/141, considerata la sospensione di tali termini dal 5 marzo 2018 al 29 maggio 2019 (v. punto 49 supra), si deve ritenere, di conseguenza, che tali termini siano stati parimenti rispettati per quanto riguarda la decisione 2019/135. Le conclusioni dirette avverso queste due decisioni sono pertanto ricevibili.

58

Gli argomenti del Consiglio non possono rimettere in discussione tale conclusione.

59

In primo luogo, è giocoforza constatare che le circostanze della causa sfociata nella sentenza del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio (C‑535/14 P, EU:C:2015:407), invocata dal Consiglio, sono diverse da quelle del caso di specie.

60

Infatti, in tale causa, la parte ricorrente sosteneva che il Tribunale aveva violato il suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, adducendo che quest’ultimo aveva respinto il suo ricorso in quanto irricevibile nella parte in cui era diretto contro la lettera del Consiglio del 14 novembre 2011. Orbene, la Corte ha constatato che il Tribunale non aveva commesso un errore di diritto nel concludere che detta lettera non era stata menzionata nella domanda di ammissione al gratuito patrocinio della parte ricorrente quale atto che dovesse formare oggetto del proponendo ricorso e facente dunque parte dell’oggetto del ricorso previsto. In tal senso, a differenza della decisione 2019/135, nella specie, in tale causa, la lettera in questione era stata emessa prima del deposito della domanda di ammissione al gratuito patrocinio ed era stata menzionata dalla parte ricorrente nell’ambito della stessa. Tuttavia, dall’analisi effettuata dal Tribunale dei termini, chiari e precisi, di tale domanda, si evinceva che la parte ricorrente non aveva manifestato la propria intenzione di chiedere l’annullamento di tale lettera, ma piuttosto degli atti oggetto di una domanda di riesame respinta da quest’ultima e degli atti successivi in essa contenuti (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio, C‑535/14 P, EU:C:2015:407, punti da 16 a 20).

61

Al contrario, nella specie, il ricorrente non poteva, per definizione, pronunciarsi sulla sua intenzione di impugnare la decisione 2019/135, la quale non era ancora stata adottata, cosicché l’estensione dell’oggetto del ricorso alla stessa non poteva essere esclusa a priori. La sentenza citata dal Consiglio non è pertanto rilevante.

62

In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento del Consiglio relativo alla stretta applicazione dei termini di ricorso, al punto 47 supra è stato rilevato che tale principio, il quale si basa, del resto, su considerazioni relative alla certezza del diritto e alla parità fra le parti, non può avere come effetto di porre il ricorrente in una situazione meno favorevole di quella di un beneficiario del gratuito patrocinio che sia stato in grado di depositare il suo ricorso avverso la decisione contemplata dalla domanda di ammissione al gratuito patrocinio prima dell’adozione dell’atto che sostituisce o modifica tale decisione e che sia pertanto stato in grado di presentare conclusioni dirette avverso quest’ultimo nell’ambito di una memoria di adattamento.

63

In terzo luogo, per quanto riguarda gli argomenti del Consiglio secondo i quali il ricorrente aveva familiarità con il meccanismo di rinnovo delle misure restrittive e aveva la possibilità di depositare una nuova domanda di ammissione al gratuito patrocinio o di indicare in maniera succinta, in quella che aveva presentato, che egli intendeva parimenti contestare il rinnovo ulteriore di tale domanda, è sufficiente ricordare che, per i motivi indicati ai punti 41 e 42 supra, il ricorrente non poteva manifestare, nella domanda di ammissione al gratuito patrocinio, la sua intenzione di impugnare un atto non ancora adottato, tanto più che nulla consentiva di presumere, alla data del deposito di tale domanda, che l’adozione di tale atto avrebbe avuto luogo.

64

In quarto luogo, per quanto riguarda l’argomento del Consiglio relativo all’assenza di un caso di forza maggiore, è sufficiente ricordare che la giurisprudenza relativa alla nozione di caso di forza maggiore si applica soltanto nelle circostanze del tutto eccezionali in cui è possibile derogare ai termini processuali (v. ordinanza dell’11 giugno 2020, GMPO/Commissione, C‑575/19 P, non pubblicata, EU:C:2020:448, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata). Orbene, nella specie, al punto 57 supra è stato concluso che la sospensione dei termini di ricorso prevista dall’articolo 147, paragrafo 7, del regolamento di procedura era applicabile alle conclusioni del ricorso dirette avverso la decisione 2019/135 e che, di conseguenza, tali termini erano stati rispettati. La summenzionata giurisprudenza non è dunque applicabile, cosicché tale argomento è irrilevante.

65

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il ricorso è ricevibile, nei limiti in cui è diretto avverso la decisione 2019/135.

2. Sulla ricevibilità delle conclusioni ai fini dell’annullamento della decisione 2020/117

66

Il ricorrente sostiene che la giurisprudenza l’autorizza a depositare una memoria di adattamento avente ad oggetto la decisione 2020/117, facendo riferimento ai motivi e agli argomenti presentati nell’ambito del ricorso. Egli afferma che tale decisione non gli è stata notificata nella sua integralità e con l’indicazione dei mezzi e dei termini di ricorso.

67

Il Consiglio sostiene che, come dimostrerebbe l’avviso di ricevimento firmato dal ricorrente, la decisione 2020/117 è stata comunicata a quest’ultimo il 4 febbraio 2020 e che, di conseguenza, le conclusioni dirette avverso tale decisione sono manifestamente tardive. Esso prosegue affermando che tale analisi non può essere rimessa in discussione a causa dell’applicazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva. Infine, esso fa valere che la sua intenzione di rinnovare le misure restrittive concernenti il ricorrente emerge in maniera esplicita dalla sua lettera del 28 gennaio 2020 e che la decisione 2020/117 viene ivi individuata in maniera precisa.

68

In via preliminare, occorre ricordare che, come è già stato rilevato ai punti 47 e 56 supra, i termini di ricorso devono essere oggetto di stretta applicazione; ciò risponde all’esigenza di certezza del diritto e alla necessità di evitare qualsiasi discriminazione o trattamento arbitrario nell’amministrazione della giustizia.

69

Inoltre, secondo la giurisprudenza, il termine per proporre un ricorso di annullamento contro un atto che impone misure restrittive inizia a decorrere solo a partire dalla data della comunicazione di tale atto all’interessato, a condizione che il suo indirizzo sia noto, e non dalla sua data di pubblicazione, considerato che esso è assimilabile a un insieme di decisioni individuali (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 5 ottobre 2017, Ben Ali/Consiglio, T‑149/15, non pubblicata, EU:T:2017:693, punti 4447 e la giurisprudenza ivi citata). Tale giurisprudenza è applicabile ad una memora di adattamento presentata nei confronti del rinnovo di tali misure restrittive successivo all’atto impugnato nel ricorso (v., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2016, Sina Bank/Consiglio, T‑418/14, EU:T:2016:619, punti 51, 56 e57 e la giurisprudenza ivi citata).

70

Nella specie, si deve rilevare che, a differenza del termine di ricorso concernente le decisioni 2018/141 e 2019/135, quello concernente la decisione 2020/117 non è stato sospeso, segnatamente, a causa del deposito di una domanda di ammissione al gratuito patrocinio. Occorre dunque stabilire, da un lato, se la notifica di quest’ultima decisione al ricorrente sia stata in grado di far decorrere tale termine e, dall’altro, se la memoria di adattamento sia stata depositata nel rispetto del medesimo, il quale, in conformità all’articolo 263, sesto comma, TFUE e all’articolo 60 del regolamento di procedura, scadeva alla fine di un periodo di due mesi e dieci giorni.

71

Per quanto riguarda la questione se la notifica effettuata dal Consiglio al ricorrente abbia fatto decorrere il temine di ricorso avverso la decisione 2020/117, dai documenti del fascicolo emerge che la lettera del Consiglio del 28 gennaio 2020 è stata consegnata al ricorrente il 1o febbraio 2020. Il ricorrente non contesta che tale notifica abbia avuto luogo, ma contesta piuttosto la sua regolarità, per il fatto che detta decisione non gli è stata notificata nella sua integralità e la lettera del Consiglio di cui trattasi non contiene alcuna informativa sui mezzi e i termini di ricorso.

72

Per quanto riguarda la censura del ricorrente secondo la quale la decisione 2020/117 non è stata notificata nella sua integralità, occorre rilevare che, come indicato dal Consiglio, la sua lettera del 28 gennaio 2020 menziona esplicitamente l’adozione di tale decisione e il mantenimento delle misure restrittive nei confronti del ricorrente in conseguenza della medesima. Inoltre, tale lettera fornisce i riferimenti della Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e dell’indirizzo Internet al quale la decisione in questione è accessibile. Detta lettera illustra, inoltre, le ragioni per cui il Consiglio ha deciso il mantenimento di tali misure nei suoi confronti. Di conseguenza, benché il Consiglio non abbia comunicato, contestualmente alla lettera di cui trattasi, una copia della decisione in questione, esso ha cionondimeno fornito informazioni sufficienti affinché il ricorrente venisse a conoscenza di quest’ultima nella sua integralità, nonché dei motivi sui quali si fonda. Pertanto, nonostante l’assenza di comunicazione di una siffatta copia, non si può ritenere che tale decisione non sia stata validamente notificata al ricorrente. Tale circostanza non è dunque idonea ad impedire che i termini di ricorso avverso tale decisione inizino a decorrere.

73

Per quanto riguarda la censura del ricorrente relativa all’assenza di informativa sui mezzi e termini di ricorso, è sufficiente rilevare che, indipendentemente dalla questione se tale assenza possa inficiare la regolarità della notifica della decisione 2020/117, il ricorrente, il quale, del resto, alla data della notifica di tale decisione, era rappresentato da un avvocato, non poteva ignorare i mezzi e i termini di ricorso avverso detta decisione, dal momento che egli aveva già proposto un simile ricorso dinanzi al Tribunale nei confronti di decisioni analoghe anteriori. Di conseguenza, una siffatta assenza non può, in ogni caso, costituire un motivo che osta a che i termini di ricorso inizino a decorrere e non può essere tale da comportare, da parte del ricorrente, un errore scusabile, ai sensi della giurisprudenza, idoneo a giustificare una deroga a tali termini (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 10 dicembre 2015, NICO/Consiglio, C‑153/15 P, non pubblicata, EU:C:2015:811, punti da 55 a 61).

74

Si deve aggiungere che gli argomenti del ricorrente relativi alla notifica, da parte del Consiglio, della decisione 2020/117 ad un indirizzo errato, enunciati nell’ambito delle sue osservazioni dell’8 luglio 2020, non possono essere accolti, poiché dai documenti forniti da tale istituzione emerge che essa ha notificato tale decisione allo stesso indirizzo indicato quale indirizzo del suo domicilio in tutti gli atti processuali che lo stesso ha depositato nella cancelleria del Tribunale, incluse dette osservazioni.

75

Di conseguenza, si deve ritenere che i termini di ricorso avverso la decisione 2020/117 abbiano iniziato a decorrere nei confronti del ricorrente a partire dalla notifica, da parte del Consiglio, di tale decisione, avvenuta il 1o febbraio 2020.

76

Per quanto riguarda il rispetto del termine di ricorso, occorre rilevare che tale termine di due mesi e dieci giorni è scaduto il 13 aprile 2020. Di conseguenza, il deposito della memoria di adattamento diretta avverso la decisione 2020/117, il 24 giugno 2020, è tardivo, e le conclusioni dirette avverso tale decisione sono dunque irricevibili. Ne risulta che il ricorso deve essere respinto nei limiti in cui è diretto avverso detta decisione.

B.   Nel merito

77

A sostegno delle sue conclusioni ai fini dell’annullamento avverso le decisioni 2018/141 e 2019/135, il ricorrente solleva formalmente tre motivi. Il primo motivo è relativo alla violazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2003 a New York. Il secondo motivo verte su errori «manifesti» di valutazione e consta di tre parti, relative, in primo luogo, alla violazione del principio di proporzionalità, in secondo luogo, alla violazione del diritto del ricorrente di essere giudicato entro un termine ragionevole dalle autorità tunisine e, in terzo luogo, all’omissione, da parte del Consiglio, consistente nel non aver proceduto a verifiche supplementari. Il terzo motivo verte sullo sviamento di potere, nella misura in cui il procedimento penale sul quale si basa il mantenimento della sua designazione nell’elenco controverso avrebbe come obiettivo, in realtà, la giustificazione a posteriori della confisca dei suoi beni e dei suoi averi in Tunisia.

78

Occorre iniziare dall’esame del secondo motivo di ricorso.

1. Sul secondo motivo di ricorso, vertente su errori «manifesti» di valutazione

a) Osservazioni preliminari

79

In via preliminare, da un lato, occorre rilevare che il presente motivo, nonostante talune variazioni di formulazione di cui è oggetto nel ricorso e nella replica, deve essere considerato, per quanto riguarda la sua seconda e la sua terza parte, relativo ad un errore di valutazione e non ad un manifesto errore di valutazione. Infatti, il Consiglio non disponeva di alcun potere discrezionale per stabilire se lo stesso fosse in possesso di elementi sufficienti per valutare il rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole e se tali elementi erano idonei a suscitare dubbi legittimi concernenti il rispetto di tale diritto (v., in tal senso è per analogia, sentenza del 27 settembre 2018, Ezz e a./Consiglio, T‑288/15, EU:T:2018:619, punto 215).

80

Dall’altro, risulta necessario, nell’ambito del presente motivo, interrogarsi sulle eventuali conseguenze da trarre dalle sentenze del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), e dell’11 luglio 2019, Azarov/Consiglio (C‑416/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:602), nonché dall’ordinanza del 22 ottobre 2019, Azarov/Consiglio (C‑58/19 P, non pubblicata, EU:C:2019:890). Con una misura di organizzazione del procedimento del 13 dicembre 2019, il Tribunale ha invitato le parti a presentare le loro osservazioni su tale questione e, in particolare, ad indicare se e in che misura esse ritenevano che le decisioni 2018/141 e 2019/135 assolvessero all’obbligo di motivazione, alla luce, segnatamente, di tali sentenze e di tale ordinanza.

81

Nella sua risposta scritta del 27 dicembre 2019, il ricorrente ha indicato, in sostanza, che i requisiti definiti nelle sentenze del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), e dell’11 luglio 2019, Azarov/Consiglio (C‑416/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:602), nonché nell’ordinanza del 22 ottobre 2019, Azarov/Consiglio (C‑58/19 P, non pubblicata, EU:C:2019:890), erano applicabili nella specie. Egli ha affermato che tali requisiti erano connessi all’obbligo, per il Consiglio, di procedere a verifiche concernenti gli elementi forniti dalle autorità tunisine, che egli aveva evidenziato nell’ambito dei motivi attinenti al merito da lui sollevati. Egli ha sostenuto che le decisioni 2018/141 e 2019/135 non contenevano alcuna motivazione relativa alle ragioni per cui il Consiglio riteneva che la decisione dello Stato tunisino sulla quale tali decisioni erano fondate fosse stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Egli ne ha concluso, in subordine, che il motivo vertente sull’assenza di una siffatta motivazione doveva comportare l’annullamento di tali decisioni.

82

Nella sua risposta scritta del 16 gennaio 2020, in primo luogo, il Consiglio ha fatto valere che da una lettura congiunta, da un lato, delle sentenze del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat (C‑176/13 P, EU:C:2016:96), e del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran (C‑200/13 P, EU:C:2016:284), e, dall’altro, della sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), risultava che esso poteva essere tanto soggetto ad un obbligo di verificare se i diritti della difesa e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva fossero stati rispettati e all’obbligo accessorio di farne menzione nella motivazione degli atti in questione quanto non soggetto a siffatti obblighi. A suo avviso, la differenza fra le cause C‑176/13 P e C‑200/13 P, da un lato e la causa C‑530/17 P, dall’altro, risiedeva nel fatto che, nel contesto delle prime due cause, le entità interessate non avevano sottoposto osservazioni a tal riguardo al Consiglio, mentre, nel contesto della terza, la persona in questione aveva invocato, anteriormente all’adozione della decisione impugnata, i summenzionati obblighi. Orbene, nella specie, il ricorrente non avrebbe presentato siffatte osservazioni. In secondo luogo, il Consiglio ha sostenuto che la motivazione delle decisioni 2018/141 e 2019/135 conteneva informazioni sufficienti che permettevano di verificare la sua fondatezza e consentivano al giudice dell’Unione di controllare la legittimità di tali decisioni, in conformità alla giurisprudenza. Inoltre, tali decisioni sarebbero intervenute in un contesto noto al ricorrente. In terzo luogo, il Consiglio sostiene che gli articoli 27, 29 e 108 della Costituzione tunisina e gli articoli 13, 47, 50, 59, 66 e 175 del codice penale tunisino fornivano garanzie relative al diritto del ricorrente ad un processo equo entro un termine ragionevole e al rispetto dei suoi diritti della difesa. Tali disposizioni dimostrerebbero che la Repubblica tunisina dispone di un contesto normativo che tutela tali diritti e farebbero parte della motivazione di dette decisioni, nel senso che dette disposizioni rientrerebbero in un contesto noto al ricorrente o, quantomeno, che lo stesso non poteva ignorare.

83

Anzitutto, occorre ricordare che, nel contesto di un’impugnazione avverso una sentenza del Tribunale che si era pronunciata sulla legittimità del mantenimento dell’iscrizione di un’entità nell’elenco previsto all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 70, rettifica in GU 2010, L 52, pag. 58), la Corte ha considerato che incombesse al Consiglio, prima di fondarsi su una decisione di un’autorità di un paese terzo, verificare se tale decisione fosse stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 24).

84

A tal riguardo, la Corte ha ricordato di avere più volte statuito che, allorché adottava misure restrittive, il Consiglio doveva rispettare i diritti fondamentali facenti parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione, fra i quali figuravano, in particolare, il rispetto dei diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (v. sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).

85

La Corte ha indicato, inoltre, che la necessità di procedere ad una siffatta verifica risultava in particolare dal fatto che l’obiettivo di protezione delle persone o delle entità interessate, assicurando che la loro iscrizione iniziale nell’elenco in questione avesse luogo soltanto su una base fattuale sufficientemente solida, poteva essere raggiunto solo se le decisioni dei paesi terzi sulle quali il Consiglio fondava dette iscrizioni iniziali erano state adottate nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 26 e la giurisprudenza ivi citata).

86

La Corte ne ha desunto che la garanzia che la decisione dell’autorità dello Stato terzo fosse stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva era di importanza primaria nell’economia di tale iscrizione e delle susseguenti decisioni di congelamento dei capitali e che, di conseguenza, il Consiglio era tenuto a tenuto a fornire, nelle motivazioni di tali decisioni, indicazioni che consentissero di concludere che esso aveva verificato il rispetto di tali diritti (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 31).

87

Infine, la Corte ha risposto all’argomento del Consiglio che faceva valere che, nella misura in cui lo Stato terzo avrebbe potuto ritenere che un commento, nelle motivazioni delle decisioni di congelamento dei capitali in questione, sull’osservanza o meno da parte sua dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva costituisse un’ingerenza nei suoi affari interni, la motivazione richiesta dal Tribunale avrebbe impedito al Consiglio di fondarsi su decisioni di Stati terzi. A tal riguardo, essa ha indicato che era sufficiente, a tal fine, che il Consiglio desse atto, succintamente, nelle motivazioni di una decisione di congelamento dei capitali, delle ragioni per le quali considerava che la decisione dello Stato terzo sulla quale intendeva fondarsi fosse stata adottata nel rispetto di tali diritti (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 20, 3233).

88

Inoltre, occorre ricordare che, nella sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), la Corte si è pronunciata su una questione analoga nell’ambito di un’impugnazione avverso una sentenza del Tribunale che aveva statuito sulla legittimità del mantenimento dell’inserimento di una persona fisica negli elenchi figuranti, rispettivamente, all’allegato della decisione 2014/119/PESC del Consiglio, del 5 marzo 2014, relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2014, L 66, pag. 26), come modificata dalla decisione (PESC) 2015/143 del Consiglio, del 29 gennaio 2015 (GU 2015, L 24, pag. 16), e all’allegato I del regolamento (UE) n. 208/2014 del Consiglio, del 5 marzo 2014, concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2014, L 66, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) 2015/138 del Consiglio, del 29 gennaio 2015 (GU 2015, L 24, pag. 1).

89

Nella sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), la Corte ha ritenuto che i principi richiamati ai punti da 83 a 87 supra fossero applicabili nella situazione della parte ricorrente nel procedimento in questione, dal momento che le misure restrittive adottate nei suoi confronti si fondavano sulla decisione di un’autorità di uno Stato terzo, competente a tal riguardo, di avviare e condurre un procedimento d’indagine penale riguardante un reato di appropriazione indebita di fondi dello Stato. Essa ha rilevato, a tal proposito, che era irrilevante la circostanza, rilevata nella sentenza impugnata, che l’esistenza di una tale decisione costituisse non già il criterio d’inserimento di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2014/119, bensì la base fattuale su cui le misure restrittive in questione si fondavano (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio, C‑530/17 P, EU:C:2018:1031, punti da 25 a 30).

90

La Corte ne ha concluso che la valutazione sulla quale il Tribunale si era fondato per ritenere che l’approccio adottato nella sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885), non potesse essere trasposto al caso di specie era inficiata da un errore di diritto (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio, C‑530/17 P, EU:C:2018:1031, punti da 31 a 33).

91

In particolare, da un lato, secondo la Corte, il Consiglio poteva ritenere che una decisione di inserimento si fondasse su una base fattuale sufficientemente solida solamente dopo aver accertato esso stesso che i diritti della difesa e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva erano stati rispettati in occasione dell’adozione della decisione dello Stato terzo interessato sulla quale intendeva fondare l’adozione di misure restrittive (sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio, C‑530/17 P, EU:C:2018:1031, punto 34).

92

Dall’altro, la Corte ha ritenuto che le differenze di formulazione, di impianto sistematico e di obiettivi che il Tribunale ha individuato tra, da un lato, il modello delle misure restrittive previste nell’ambito della lotta contro il terrorismo e, dall’altro, il modello delle misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Ucraina, non potessero produrre l’effetto di limitare l’applicazione delle garanzie derivanti dall’approccio adottato nella sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885) alle sole misure restrittive adottate nell’ambito del primo di tali modelli, a esclusione di quelle che lo fossero nel quadro della cooperazione con uno Stato terzo decisa dal Consiglio a seguito di una scelta politica (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio, C‑530/17 P, EU:C:2018:1031, punto 37).

93

A tal riguardo, è giocoforza constatare che le considerazioni figuranti nella sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), richiamate ai punti da 89 a 92 supra, sono trasponibili alle circostanze del caso di specie, nonostante le differenze di contesto. Infatti, il modello delle misure restrittive disposte in considerazione della situazione in Tunisia presenta incontestabilmente analogie con quello delle misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Ucraina. In tal senso, il congelamento dei capitali delle persone designate nell’elenco controverso, segnatamente il ricorrente, si basa anch’esso sulla decisione delle autorità di uno Stato terzo competente al riguardo, nella specie delle autorità della Repubblica tunisina, di avviare e condurre un procedimento di indagine giudiziaria riguardante un reato rientrante nella nozione di distrazione di fondi pubblici.

94

Di conseguenza, deve desumersene, nella specie, l’esistenza, in capo al Consiglio, da un lato, di un obbligo di verificare che i diritti della difesa e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva del ricorrente siano stati rispettati nell’ambito dei procedimenti giudiziari che lo riguardano in Tunisia e, dall’altro, di un obbligo di spiegare le ragioni per cui esso ritiene che tali diritti siano stati rispettati.

95

Inoltre, siffatti obblighi risultano a maggior ragione imperativi in quanto, come emerge dal considerando 1 della decisione 2011/72, quest’ultima e le decisioni successive sono state adottate nell’ambito di una politica di sostegno alla Tunisia, fondata, segnatamente, sugli obiettivi di promozione del rispetto dei diritti dell’uomo e dello Stato di diritto di cui all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), TUE. Di conseguenza, l’obiettivo di tali decisioni, consistente nel facilitare l’accertamento da parte delle autorità tunisine delle distrazioni di fondi pubblici commesse e di conservare la possibilità, per le autorità medesime, di recuperare i proventi di tali distrazioni, non sarebbe pertinente alla luce di detti obiettivi qualora tale constatazione fosse viziata da un diniego di giustizia, se non addirittura da arbitrio (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punto 64, e del 27 settembre 2018, Ezz e a./Consiglio, T‑288/15, EU:T:2018:619, punto 68).

96

È vero che, ai punti 65 e 72 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), la quale verteva su una controversia relativa al mantenimento della designazione di una persona nell’elenco controverso, il Tribunale ha rilevato, segnatamente, che, per procedere ad un siffatto mantenimento, il Consiglio era tenuto soltanto a disporre delle prove dell’esistenza di un procedimento giudiziario in corso a carico del ricorrente per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici, e che solo in presenza di elementi obiettivi, affidabili, precisi e concordanti tali da suscitare perplessità legittime relative al rispetto del diritto del ricorrente ad un termine ragionevole di giudizio nell’ambito dell’indagine giudiziaria in corso nei suoi confronti e assunti a fondamento al congelamento dei suoi capitali nell’Unione, il Consiglio era tenuto ad effettuare le necessarie verifiche al riguardo.

97

Il Tribunale ha applicato un ragionamento analogo in relazione alla verifica del rispetto del diritto ad un processo equo e alla tutela della presunzione d’innocenza, da parte delle autorità egiziane, di persone di cui era stata mantenuta la designazione nell’elenco figurante all’allegato della decisione 2011/172/PESC del Consiglio, del 21 marzo 2011, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone, entità ed organismi in considerazione della situazione in Egitto (GU 2011, L 76, pag. 63, rettifica in GU 2014, L 203, pag. 113) (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2018, Ezz e a./Consiglio, T‑288/15, EU:T:2018:619, punti 70, 214215).

98

Tuttavia, al momento della pronuncia delle sentenze citate ai punti 96 e 97 supra, la sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), non era ancora stata emessa. La Corte non aveva pertanto ancora statuito sulla questione se l’approccio adottato nella sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885), fosse trasponibile sic et simpliciter ad un modello di misure restrittive adottate nel quadro della cooperazione con uno Stato terzo intesa ad assistere tale Stato nella lotta alle distrazioni di fondi pubblici e alla luce dell’esistenza di procedimenti giudiziari avviati dalle autorità di tale Stato connessi a reati che possono ricevere una tale qualificazione.

99

Inoltre, nelle sentenze citate ai punti 96 e 97 supra, il Tribunale ha esaminato motivi o censure che si basavano su un’asserita omessa effettuazione, da parte del Consiglio, di verifiche supplementari dopo che le parti ricorrenti gli avevano trasmesso elementi che esse ritenevano idonei a rivelare violazioni dei diritti protetti dal principio della tutela giurisdizionale effettiva, sancito all’articolo 47 della Carta. Tali motivi o censure non sollevavano dunque, in quanto tale, la questione se il Consiglio doveva, d’ufficio, procedere a verifiche al riguardo, senza aspettare che le persone interessate avessero presentato osservazioni idonee a giustificarle, né, a maggior ragione, la questione se esso doveva motivare espressamente le conclusioni che lo stesso traeva da tali verifiche.

100

Tali considerazioni non vengono rimesse in discussione dall’analisi della giurisprudenza effettuata dal Consiglio nella sua risposta scritta del 16 gennaio 2020.

101

Infatti, in primo luogo, il raffronto effettuato dal Consiglio fra la giurisprudenza sancita nella sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), e la giurisprudenza risultante dalle sentenze del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat (C‑176/13 P, EU:C:2016:96), e del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran (C‑200/13 P, EU:C:2016:284), non persuade.

102

A tal riguardo, è sufficiente rilevare, da un lato, che i punti da 88 a 91 della sentenza del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat (C‑176/13 P, EU:C:2016:96), e i punti da 81 a 84 della sentenza del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran (C‑200/13 P, EU:C:2016:284), invocati dal Consiglio, vertono sulla questione se esso sia tenuto a verificare la pertinenza e la fondatezza degli elementi riguardanti l’entità interessata prima di adottare gli atti che dispongono misure restrittive nei suoi confronti e ad indicare, nelle motivazioni di tali atti, di aver proceduto a tali verifiche. Per contro, diversamente dai punti da 25 a 37 della sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), tali punti non sono relativi alla questione dell’esistenza di un obbligo, per il Consiglio, di verificare, prima di adottare simili atti, se i diritti della difesa e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva del ricorrente siano stati rispettati nell’ambito delle procedure sulle quali tali atti sono fondati e, come corollario, di indicare l’esito di tali verifiche nelle motivazioni di detti atti. In maniera simmetrica, occorre rilevare che, nella sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), la Corte non ha affatto ritenuto che il Consiglio fosse tenuto, prima di adottare gli atti in questione, a verificare sistematicamente la pertinenza e la fondatezza dei procedimenti avviati dai paesi terzi sui quali esso si fonda e a farne menzione nelle motivazioni di tali atti.

103

Dall’altro, occorre rilevare che, nelle cause sfociate nelle sentenze del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat (C‑176/13 P, EU:C:2016:96), e del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran (C‑200/13 P, EU:C:2016:284), le misure restrittive la cui legittimità era stata esaminata dal Tribunale nelle sentenze che formavano l’oggetto delle impugnazioni di cui trattasi si basavano su elementi forniti dagli Stati membri concernenti il sostegno delle entità interessate alle attività nucleari dell’Iran comportanti un rischio di proliferazione, i quali erano destinati a corroborare la loro proposta di iscrizione di tali entità nell’elenco delle persone, delle entità e degli organismi interessati da tali misure. Dette misure non si basavano pertanto su decisioni di natura amministrativa o giudiziaria, come l’avvio di azioni penali, contrariamente a quanto accadeva nella causa sfociata nella sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031).

104

In secondo luogo, contrariamente a quanto fatto valere dal Consiglio, dalla sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), non risulta che l’obbligo di verificare se i diritti della difesa e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva della persona interessata siano stati rispettati nell’ambito del procedimento giudiziario avviato dei suoi confronti in un paese terzo esisterebbe soltanto in presenza di osservazioni presentate dalla parte ricorrente prima dell’adozione delle misure controverse. Dai punti da 25 a 37 di tale sentenza, riassunti ai punti da 89 a 92 supra, si desume, piuttosto, che la Corte ha inteso conferire ad un siffatto obbligo un carattere incondizionato. Infatti, come risulta, in particolare, dal punto 28 di detta sentenza, la Corte ha ritenuto, in sostanza, che il rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nell’ambito delle procedure giudiziarie alla base delle misure restrittive adottate dal Consiglio costituisse una componente della base fattuale di tali misure. Orbene, da una giurisprudenza costante, richiamata a questo stesso punto, risulta che il Consiglio deve verificare in maniera sistematica, in via preliminare, il carattere sufficientemente solido di tale base fattuale.

105

Tale interpretazione della sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), non viene rimessa in discussione dal suo punto 39, citato dal Consiglio, che richiama la giurisprudenza costante secondo la quale, in caso di contestazione, è all’autorità competente dell’Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest’ultima di produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi (sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 121, e del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian, C‑280/12 P, EU:C:2013:775, punto 66).

106

Infatti, da un lato, le considerazioni svolte al punto 39 della sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), enunciano un motivo supplementare, ma non rivestono un carattere determinante nel ragionamento della Corte, contrariamente alle considerazioni figuranti ai punti da 25 a 37 di tale sentenza. Dall’altro, occorre ricordare che il principio richiamato, nella specie, dalla Corte, è stato enunciato, per la prima volta, in un contesto in cui, in presenza di una contestazione della persona interessata da misure restrittive nell’ambito del ricorso dinanzi al Tribunale, la Corte aveva dichiarato che spettava al Consiglio produrre informazioni o elementi probatori per consentire al Tribunale di verificare se i motivi alla base di tali misure erano suffragati (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 119120). Da tale giurisprudenza non può dunque essere affatto desunto che il principio così definito, relativo all’onere e alla produzione della prova dinanzi al giudice dell’Unione, si applichi soltanto qualora, nell’ambito del procedimento amministrativo, la parte ricorrente abbia presentato osservazioni intese a contestare la base fattuale delle misure che essa impugna, prima della loro adozione.

107

Nella specie, se è vero che il ricorrente non deduce motivi di ricorso relativi ad una violazione dell’obbligo di motivazione per quanto riguarda le decisioni 2018/141 e 2019/135, per contro, la seconda e la terza parte del secondo motivo sollevano la questione, da un lato, della valutazione, da parte del Consiglio, del rispetto del suo diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, il quale è una componente del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, e la questione, dall’altro, delle verifiche effettuate da tale istituzione al riguardo. Occorre dunque esaminare, adesso, tali parti alla luce dei principi illustrati ai punti da 83 a 106 supra.

b) Sulla seconda parte del secondo motivo di ricorso, relativa all’errore di valutazione del Consiglio concernente il rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole

108

Il ricorrente sostiene che, dal 2011, nessuna attività processuale ha avuto luogo nell’ambito del procedimento giudiziario che lo riguarda, sebbene il suo domicilio sia noto alle autorità tunisine ed egli si tenga a disposizione delle autorità. Egli afferma di non essere mai stato sentito, convocato o oggetto di un qualsivoglia atto di natura istruttoria. Egli fa valere che, per questo motivo, alla luce del punto 172 della sentenza del 30 giugno 2016, CW/Consiglio (T‑516/13, non pubblicata, EU:T:2016:377) e dei punti 64, 65, 71, 222 e 223 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), il Tribunale deve constatare l’errore di valutazione del Consiglio per quanto attiene al rispetto del suo diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole. Nella replica, egli sostiene, inoltre, che la veridicità e la credibilità dei documenti trasmessi dalle autorità tunisine al Consiglio il 1o agosto 2019 sono contestabili. Egli fa valere, in conclusione, che il Consiglio non ha proceduto alle verifiche necessarie dal 2011, benché egli, da parte sua, abbia presentato regolarmente a tale istituzione osservazioni intese a rimettere in discussione il fondamento dei procedimenti giudiziari di cui lo stesso era oggetto.

109

Il Consiglio sostiene che, al momento dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, non esisteva alcun elemento obiettivo, affidabile, preciso e concordante tale da suscitare perplessità legittime, ai sensi dei punti 64 e 65 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), relativo al rispetto del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole dalle autorità tunisine nell’ambito dei procedimenti giudiziari che esse avevano avviato nei suoi confronti. In particolare, esso fa valere che, anteriormente all’adozione di dette decisioni, il ricorrente non ha presentato alcun elemento del genere relativo ad un’assenza completa di attività processuale nell’ambito dell’indagine giudiziaria che lo riguarda. Inoltre, esso afferma che l’argomento del ricorrente relativo a detta assenza di attività non può, da solo, consentire di concludere nel senso di un errore di valutazione, da parte sua, concernente il rispetto, da parte delle autorità tunisine, del suo diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, alla luce delle circostanze che possono giustificare la durata dell’indagine, enunciate ai punti 221 e 222 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), e al punto 52 della sentenza del 15 novembre 2018, Mabrouk/Consiglio (T‑216/17, non pubblicata, EU:T:2018:779). Esso aggiunge che la relazione sull’attività del 1o agosto 2019 trasmessa dalle autorità tunisine attesta che il decreto‑legge tunisino n. 2011-13, del 14 marzo 2011, recante confisca di capitali e di beni mobili e immobili continua ad essere applicabile al ricorrente e rivela il coinvolgimento del medesimo in un certo numero di reati.

110

Nella controreplica, il Consiglio risponde alle affermazioni del ricorrente relative alla credibilità dei documenti forniti dalle autorità tunisine. Esso produce ivi, in particolare, in allegato, una tabella delle commissioni rogatorie internazionali, al fine di illustrare la complessità di tale procedimento, e rileva che, alla luce della tabella delle cause pendenti, parimenti allegata, il ricorrente è considerato latitante.

111

In via preliminare, occorre ricordare che il principio del termine ragionevole di giudizio è una componente del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, la quale è protetta dall’articolo 47, secondo comma, della Carta e dalle disposizioni di diversi strumenti di diritto internazionale giuridicamente vincolanti che tutelano il diritto ad un equo processo, il cui contenuto è analogo. È il caso, segnatamente, dell’articolo 14, paragrafo 3, lettera c), del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, al quale ha aderito, segnatamente, la Repubblica tunisina (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punto 64).

112

A tal riguardo, occorre inoltre precisare che, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il rispetto del diritto al termine ragionevole di giudizio, come sancito dal diritto internazionale, dev’essere esaminato alla luce delle circostanze del caso di specie, le quali richiedono una valutazione globale, sulla base in particolare di criteri relativi alla complessità della causa, al comportamento del ricorrente e a quello delle autorità competenti. Principi analoghi disciplinano l’esame, nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione, del rispetto del diritto al termine ragionevole di giudizio, quale sancito dall’articolo 47 della Carta (v. sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punto 71 e la giurisprudenza ivi citata).

113

Inoltre, come è stato constatato al punto 104 supra, i punti da 25 a 37 della sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), il cui contenuto viene ripreso ai punti da 89 a 92 supra, devono essere interpretati nel senso che l’obbligo di assicurarsi del rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva del ricorrente, nel contesto dell’indagine giudiziaria di cui egli è oggetto, riveste un carattere incondizionato. Di conseguenza, il Consiglio può decidere di prorogare la designazione di una persona nell’elenco controverso solo se esso ha potuto assicurarsi preliminarmente del rispetto di tali diritti e, segnatamente, del rispetto del diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, anche d’ufficio e senza aspettare che la persona interessata gli presenti elementi obiettivi affidabili, precisi e concordanti tali da suscitare perplessità legittime relative al rispetto di siffatti diritti.

114

Inoltre, per quanto riguarda più specificamente la verifica del rispetto del diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, si può rilevare che, più la durata delle procedure giudiziarie che costituiscono la base fattuale di una misura restrittiva aumenta, più tale verifica può risultare necessaria per il Consiglio prima che esso decida se tale misura debba essere o meno prorogata un’altra volta (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 30 gennaio 2019, Stavytskyi/Consiglio, T‑290/17, EU:T:2019:37, punto 132).

115

In particolare, occorre ricordare, nella specie, la natura cautelare del congelamento dei capitali del ricorrente e il suo obiettivo, ossia facilitare l’accertamento da parte delle autorità tunisine delle distrazioni di fondi pubblici commesse, al termine dei procedimenti giudiziari avviati, e conservare la possibilità, per le autorità medesime, di recuperare, alla fine, i proventi di tali distrazioni (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata). Incombe dunque al Consiglio evitare che tale misura sia prorogata inutilmente, a scapito dei diritti e delle libertà del ricorrente, sui quali essa produce un significativo impatto negativo, per il solo fatto che il procedimento giudiziario sul quale essa si basa è stato lasciato aperto a tempo indeterminato senza una reale giustificazione (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punto 48, e del 27 settembre 2018, Ezz e a./Consiglio, T‑288/15, EU:T:2018:619, punto 71).

116

È vero che il Consiglio non può essere tenuto a porre fine al congelamento dei capitali del ricorrente per il solo fatto che esistono elementi tali da suscitare perplessità legittime relative al rispetto, da parte delle autorità tunisine, del suo diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole e, segnatamente, elementi concernenti il carattere giustificato della durata del procedimento penale (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punti da 67 a 75). Tuttavia, prima di procedere alla proroga di detto congelamento dei capitali, spetta al medesimo, quantomeno, da un lato, assicurarsi di disporre di elementi sufficienti concernenti lo stato e l’evoluzione di tale procedimento per valutare il rischio di una violazione di tale diritto e, dall’altro, procedere ad una siffatta valutazione con attenzione e imparzialità, al fine di trarne, se del caso, le conseguenze appropriate (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 27 settembre 2018, Ezz e a./Consiglio, T‑288/15, EU:T:2018:619, punti 7179).

117

È alla luce di tali principi che occorre esaminare la presente parte del secondo motivo di ricorso.

118

In primo luogo, occorre rilevare, anzitutto, che i documenti promananti dalle autorità tunisine che il Consiglio ha allegato al controricorso e alla controreplica non possono essere presi in considerazione dal Tribunale al fine di valutare se tale istituzione abbia adempiuto al suo obbligo di verifica con riferimento al rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole.

119

A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, nell’ambito di un ricorso di annullamento, la legittimità dell’atto impugnato deve essere valutata in base agli elementi di fatto e di diritto esistenti al momento in cui l’atto è stato adottato (v. sentenza del 10 settembre 2019, HTTS/Consiglio, C‑123/18 P, EU:C:2019:694, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).

120

Nella specie, dagli atti del fascicolo non emerge che il Consiglio sia stato a conoscenza dei documenti in questione prima dell’adozione della decisione 2018/141 o della decisione 2019/135.

121

Infatti, da un lato, per quanto riguarda i documenti allegati al controricorso, dalla lettera dell’ambasciata della Repubblica tunisina a Bruxelles (Belgio) datata 10 agosto 2019 risulta che essi sono stati trasmessi in allegato a tale lettera. Dall’altro, per quanto riguarda quelli allegati alla controreplica, dalla loro pagina di copertina risulta che si tratta di trasmissioni del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) effettuate nel corso di un periodo compreso fra l’ottobre e il dicembre del 2019.

122

D’altro lato, il Consiglio non sostiene di essere stato a conoscenza ad una data anteriore delle informazioni contenute in tali documenti, neppure parzialmente.

123

A tal riguardo, dalla risposta scritta del Consiglio del 16 marzo 2020 risulta che quest’ultimo ha ottenuto, nell’ottobre del 2017 e nell’ottobre del 2018, informazioni, da parte delle autorità tunisine, sullo stato di avanzamento della causa recante il riferimento 19592/1, la quale è relativa all’indagine giudiziaria concernente il ricorrente. Tali informazioni si presentavano sotto forma di una scheda che indicava il nominativo del ricorrente e conteneva una tabella che elencava, segnatamente, le procedure e le misure adottate. Esse erano integrate da osservazioni che precisavano, segnatamente, che diverse commissioni rogatorie internazionali erano state emesse, che la causa aveva richiesto varie misure concernenti gli altri imputati e che le indagini erano ancora in corso. Per contro, mentre le misure procedurali menzionate in tali schede erano relative ad altre persone interessate dalla stessa indagine, nessuna riguardava specificamente il ricorrente.

124

Inoltre, in udienza, il Consiglio ha confermato di essere venuto a conoscenza di informazioni relative ad atti processuali concernenti specificamente il ricorrente soltanto nell’ambito dei documenti trasmessi dalle autorità tunisine posteriormente alla decisione 2019/135, a seguito dei quesiti che esso aveva posto loro al riguardo.

125

Pertanto, poiché il Consiglio era venuto a conoscenza delle informazioni contenute in tali documenti successivamente all’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, tanto i suoi argomenti quanto quelli del ricorrente relativi a detti documenti devono essere respinti.

126

In secondo luogo, occorre rilevare che, a sostegno della presente parte, il ricorrente sostiene che, dal 2011, non ha avuto luogo alcuna attività processuale nell’ambito del procedimento giudiziario che lo riguarda e che, in particolare, egli non è mai stato sentito o convocato e che non è mai stato oggetto di un qualsivoglia atto di natura istruttoria.

127

Orbene, il Consiglio non contesta tali affermazioni, ma si limita a sostenere che, al momento dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, non esisteva alcun elemento obiettivo, affidabile, preciso e concordante tale da suscitare perplessità legittime concernenti il rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole, dal momento che quest’ultimo non aveva fornito al riguardo alcun elemento del genere.

128

A tal riguardo, da un lato, occorre ricordare che, come è già stato constatato al punto 113 supra, l’obbligo, per il Consiglio, di assicurarsi del rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole prima di prorogare la sua designazione nell’elenco controverso riveste un carattere incondizionato e deve essere attuato, se del caso, d’ufficio, senza aspettare che la persona interessata produca elementi obiettivi affidabili, precisi e concordanti tali da suscitare perplessità legittime relative al rispetto di tale diritto. Di conseguenza, il Consiglio non può invocare, in risposta alle affermazioni del ricorrente, il fatto che quest’ultimo non gli abbia mai presentato siffatti elementi anteriormente all’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135.

129

Dall’altro, gli elementi sui quali il Consiglio si è fondato per mantenere la designazione del ricorrente nell’elenco controverso dal 2011 non gli consentivano di escludere qualsiasi rischio di una violazione del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole.

130

A tal riguardo, occorre rilevare che, per mantenere il ricorrente nell’elenco controverso, il Consiglio si è fondato, in particolare, sui certificati delle autorità tunisine del 4 novembre 2013, del 19 dicembre 2014, del 20 ottobre 2015, del 2 settembre 2016, del 18 ottobre 2017 e del 13 settembre 2018, che esso ha comunicato al ricorrente in occasione dell’adozione, nell’ordine, delle decisioni 2014/49, 2015/157, 2016/119, 2017/153, 2018/141 e 2019/135.

131

Orbene, tali certificati si limitano ad attestare che l’istruzione della causa recante il riferimento 19592/1, la quale riguarda il ricorrente, è ancora in corso, e ad elencare i reati per i quali egli è perseguito. Tali informazioni, dunque, manifestamente non sono sufficienti per consentire al Consiglio di valutare il rischio di una violazione del rispetto del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole e, per questo motivo, esse non sono idonee a suffragare l’affermazione di tale istituzione secondo la quale non esisterebbe alcun elemento obiettivo, affidabile, preciso e concordante tale da suscitare perplessità legittime a tal riguardo.

132

In ogni caso, occorre rilevare che, anche nel caso in cui la sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), dovesse essere interpretata nel senso che l’obbligo, per il Consiglio, di assicurarsi del rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva del ricorrente non sarebbe incondizionato, il Consiglio disponeva, al momento dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, di elementi obiettivi, affidabili, precisi e concordanti tali da suscitare perplessità legittime relative al carattere giustificato della durata dell’indagine giudiziaria concernente il ricorrente in Tunisia. Orbene, la durata del procedimento giudiziario costituisce un elemento centrale, pur se non l’unico, per valutare il rispetto del diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole.

133

A tal riguardo, da un lato, come sottolineato del resto dal ricorrente nella sua lettera del 20 dicembre 2018 indirizzata al Consiglio, l’indagine giudiziaria condotta dalle autorità tunisine nei suoi confronti, sulla quale si basa la sua designazione nell’elenco controverso, è aperta dal 2011 e non ha dato luogo finora ad alcuna decisione giurisdizionale. Orbene, è giocoforza constatare che questa sola circostanza costituisce un elemento idoneo a suscitare perplessità sulle ragioni per le quali tale indagine non si è conclusa, per quanto riguarda il ricorrente, a seguito di un periodo di sette o otto anni.

134

Dall’altro, come è già stato constatato al punto 123 supra, dalla risposta scritta del Consiglio del 16 marzo 2020 emerge che quest’ultimo ha ottenuto, nell’ottobre del 2017 e nell’ottobre del 2018, informazioni, da parte delle autorità tunisine, sullo stato di avanzamento della causa recante il riferimento 19592/1, la quale è relativa all’indagine giudiziaria riguardante il ricorrente.

135

Tuttavia, come è stato rilevato allo stesso punto 123 supra, pur se le misure procedurali menzionate nella scheda trasmessa dalle autorità tunisine erano relative ad altre persone interessate dalla stessa indagine, nessuna era relativa in maniera specifica al ricorrente. Tali informazioni, le quali, secondo le stesse dichiarazioni del Consiglio, non sono state comunicate al ricorrente, erano dunque idonee a suscitare interrogativi sulla questione se, dal 2011, fossero stati compiuti atti processuali per quanto riguarda specificamente il ricorrente e, se del caso, sui motivi per cui ciò non era avvenuto.

136

Di conseguenza, il Consiglio aveva a sua disposizione, in ogni caso, elementi idonei a suscitare, da parte sua, perplessità legittime concernenti la durata dell’indagine e l’esistenza di un’attività processuale effettiva delle autorità tunisine per quanto riguarda specificamente il ricorrente e, di conseguenza, idonee a giustificare che esso procedesse alle verifiche adeguate.

137

In terzo luogo, come è stato ricordato al punto 105 supra, secondo una giurisprudenza costante, in materia di misure restrittive, in caso di contestazione, è all’autorità competente dell’Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest’ultima di produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi.

138

Nella specie, è vero che, come fatto valere dal Consiglio, l’argomento del ricorrente relativo all’assenza, dal 2011, di attività processuali che lo riguardano, da parte delle autorità giudiziarie tunisine, non può, da solo, consentire di concludere per una violazione, da parte di queste stesse autorità, del suo diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole.

139

Tuttavia, è giocoforza constatare che da nessuno dei documenti relativi allo stato del procedimento in Tunisia che sono stati comunicati al Consiglio prima dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135 emerge l’esistenza di un’attività processuale relativa specificamente al ricorrente. Orbene, l’assenza di una siffatta attività durante un periodo di sette o otto anni consecutivi dovrebbe essere giustificata da circostanze particolari proprie della causa nell’ambito della quale il ricorrente è coinvolto, ovvero proprie del ricorrente stesso. In particolare, sarebbe necessario stabilire se, come affermato dal ricorrente, egli non sia mai stato sentito, e neppure convocato, né sia mai stato oggetto di un qualsivoglia atto di natura istruttoria e, se così fosse, i motivi per cui egli non è mai stato oggetto, finora, di simili misure. Infatti, in mancanza di siffatte giustificazioni, tale assenza di evoluzione del procedimento giudiziario per quanto riguarda il ricorrente per un periodo così lungo non può mancare di suscitare, come è già stato rilevato al punto 133 supra, perplessità legittime concernenti il rispetto del suo diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole.

140

Di conseguenza, dal momento che il Consiglio non ha fornito la prova che lo stesso disponeva, al momento dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, di informazioni del tipo di quelle descritte al punto 139 supra, si deve ritenere che esso non fosse dunque in grado di procedere ad una valutazione corretta del rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole. Di conseguenza, ritenendo che non sussistesse, al momento in cui tali decisioni sono state rispettivamente adottate, alcun elemento obiettivo, affidabile, preciso e concordante idoneo a suscitare perplessità legittime a tal riguardo, il Consiglio è incorso in un errore di valutazione tale da comportare l’annullamento di dette decisioni.

141

È vero che, nell’ambito della sua risposta alla terza parte del secondo motivo di ricorso, il Consiglio fa riferimento alle constatazioni effettuate al punto 224 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), e al punto 55 della sentenza del 15 novembre 2018, Mabrouk/Consiglio (T‑216/17, non pubblicata, EU:T:2018:779), fondate su documenti concernenti lo stato e l’evoluzione del procedimento giudiziario recante il riferimento 19592/1, il quale riguarda un numero elevato di persone, fra cui la parte ricorrente nelle cause sfociate in tali sentenze, nonché il ricorrente nella presente causa.

142

A tal riguardo, occorre rilevare che le constatazioni in questione, secondo le quali il Consiglio aveva proceduto ad una verifica approfondita dello stato dell’indagine giudiziaria concernente la parte ricorrente in tali cause prima di prorogare la designazione di quest’ultima nell’elenco controverso, si basavano, segnatamente, sulla produzione, da parte di tale istituzione, di documenti promananti dalle autorità tunisine che dimostravano il compimento, da parte di queste ultime, di atti processuali relativamente recenti, alla luce della data delle decisioni controverse in tali cause, e concernenti specificamente tale persona.

143

In tal senso, al punto 204 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), il Tribunale ha constatato che i documenti promananti dalle autorità tunisine indicavano che la parte ricorrente in tale causa era stata sottoposta ad interrogatori da parte del giudice istruttore competente, datati 15 e 21 febbraio 2012 e 14 maggio 2014.

144

Analogamente, al punto 54 della sentenza del 15 novembre 2018, Mabrouk/Consiglio (T‑216/17, non pubblicata, EU:T:2018:779), il Tribunale ha constatato che dai documenti detenuti dal Consiglio prima dell’adozione delle decisioni controverse in tale causa si evinceva che la parte ricorrente nel caso di specie era stata oggetto di un’audizione effettuata il 27 settembre 2016 dal magistrato istruttore tunisino competente, dopo che le autorità francesi avevano trasmesso, il 23 maggio 2016, atti processuali compiuti da queste ultime nell’ambito di commissioni rogatorie, a seguito delle richieste delle autorità tunisine datate 19 gennaio 2011 e 10 gennaio 2012.

145

Tuttavia, nella specie, il Consiglio non sostiene di essere venuto a conoscenza, prima dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, di documenti che attestavano atti processuali analoghi per quanto riguarda specificamente il ricorrente. In particolare, come è stato constatato a più riprese (v. punti 123, 135 e 139 supra), dai documenti trasmessi dalle autorità tunisine nell’ottobre del 2017 e nell’ottobre del 2018, versati nel fascicolo della causa dal Consiglio nell’ambito della sua risposta scritta del 16 marzo 2020, non emerge alcuna attività processuale specifica per quanto riguarda tale persona.

146

È vero che le constatazioni effettuate al punto 224 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), e al punto 55 della sentenza del 15 novembre 2018, Mabrouk/Consiglio (T‑216/17, non pubblicata, EU:T:2018:779), invocate dal Consiglio, si basavano anche sulla considerazione dell’attività processuale svolta, in generale, in seno all’indagine giudiziaria concernente la parte ricorrente in tale causa, la quale riguardava anche molte altre persone, e non soltanto degli atti processuali relativi specificamente a detta parte ricorrente. Il Tribunale ne ha concluso, segnatamente, che i documenti portati a conoscenza del Consiglio da parte delle autorità tunisine tendevano a sottolineare l’esistenza di un’attività processuale effettiva nell’ambito dell’istruttoria della causa in cui era coinvolta la parte ricorrente di cui trattavasi nonché la sua complessità per il gran numero di persone interessate e delle misure istruttorie richieste, in particolare delle commissioni rogatorie internazionali (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punti 205222, e del 15 novembre 2018, Mabrouk/Consiglio, T‑216/17, non pubblicata, EU:T:2018:779, punto 52).

147

Ciò premesso, non è l’attività processuale svolta, in generale, dalle autorità tunisine che ha consentito, da sola, al Tribunale di concludere per l’esistenza di un’attività processuale effettiva, ma anche gli atti processuali concernenti specificamente la parte ricorrente nelle cause in oggetto. Orbene, per le ragioni illustrate a più riprese supra, l’assenza di riferimento a siffatti atti processuali specifici, nella specie, non consente di pervenire ad una conclusione analoga.

148

Si deve dunque concludere che il Consiglio ha commesso un errore di valutazione con riferimento alla questione se il diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole fosse stato rispettato, tale da comportare l’annullamento delle decisioni 2018/141 e 2019/135. Occorre tuttavia esaminare parimenti la terza parte del secondo motivo di ricorso.

c) Sulla terza parte del secondo motivo di ricorso, vertente sull’assenza di verifiche supplementari effettuate dal Consiglio

149

Il ricorrente sostiene che le decisioni di proroga della sua designazione nell’elenco controverso succedutesi si basano su certificati delle autorità tunisine sommari e lacunosi, talvolta non firmati. Egli fa valere che, nonostante le sue osservazioni, secondo le quali il procedimento giudiziario che lo riguarda non era formalmente in corso, il Consiglio non ha effettuato alcuna verifica dello stato dell’indagine né chiesto informazioni supplementari dal 2011. Orbene, a suo avviso, esiste un rischio, in una situazione del genere, di una proroga a tempo indeterminato delle misure restrittive. Inoltre, la ripetizione, da parte delle autorità tunisine, delle stesse informazioni, ogni anno, senza alcun elemento nuovo relativo allo svolgimento del procedimento giudiziario in questione, indebolirebbe l’attendibilità di tali informazioni. In particolare, secondo il ricorrente, il Consiglio avrebbe dovuto chiedere informazioni concernenti le ragioni della sospensione di detto procedimento e della durata di quest’ultimo. Egli conclude che il Consiglio ha commesso un manifesto errore di valutazione ritenendo di non essere tenuto a procedere a verifiche supplementari. Nella replica, egli si fonda sugli stessi argomenti presentati a sostegno della seconda parte del terzo motivo.

150

Il Consiglio ritiene di aver proceduto alle verifiche richieste, in particolare per quanto riguarda l’esistenza di un’indagine giudiziaria in corso avviata nei confronti del ricorrente per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici tunisini, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72. Esso fa valere che il ricorrente non contesta l’esistenza di una siffatta indagine. Inoltre, esso sostiene che, per adottare le decisioni 2018/141 e 2019/135, si è fondato su certificati delle autorità tunisine relativi a siffatte indagini. Peraltro, esso afferma che, al punto 224 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), e al punto 55 della sentenza del 15 novembre 2018, Mabrouk/Consiglio (T‑216/17, non pubblicata, EU:T:2018:779), il Tribunale ha constatato che esso aveva effettuato una verifica approfondita dello stato dell’indagine nella causa recante il riferimento 19592/1, nella quale era coinvolto anche il ricorrente. Infine, esso reitera gli argomenti presentati nell’ambito della sua risposta alla seconda parte del terzo motivo.

151

In via preliminare, occorre rilevare che, sebbene il ricorrente e il Consiglio abbiano esaminato congiuntamente la seconda e la terza parte del terzo motivo di ricorso rispettivamente nella replica e nella controreplica, tali parti si riferiscono cionondimeno a due errori di valutazione distinti, il primo relativo alla valutazione del rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole, e il secondo relativo, in sostanza, alla questione se il Consiglio disponesse, al momento dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, di una base fattuale sufficiente per procedere al mantenimento della designazione del ricorrente.

152

Ciò premesso, alla luce, in particolare, delle considerazioni figuranti ai punti da 25 a 30, 34 e 37 della sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), richiamate al punto 113 supra, queste due questioni sono strettamente connesse e, per ragioni analoghe a quelle illustrate ai punti da 118 a 147 supra, la presente parte del secondo motivo è fondata.

153

A tal riguardo, è sufficiente rilevare che risulta, segnatamente, dal punto 28 della sentenza del 19 dicembre 2018, Azarov/Consiglio (C‑530/17 P, EU:C:2018:1031), che, al fine di assicurarsi che il mantenimento della designazione del ricorrente nell’elenco controverso si fondi su una base fattuale sufficientemente solida, il Consiglio deve verificare non solo se esista un procedimento giudiziario in corso concernente il ricorrente per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici, bensì inoltre se, nell’ambito di tali procedimenti, i diritti della difesa e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva del ricorrente siano stati rispettati.

154

In particolare, per quanto riguarda il diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, è stato rilevato al punto 116 supra che spettava al Consiglio assicurarsi di disporre di elementi sufficienti quanto allo stato e all’evoluzione del procedimento giudiziario concernente il ricorrente per valutare il rischio di un’eventuale violazione di tale diritto.

155

Orbene, nell’ambito della presente parte del secondo motivo, il ricorrente addebita appunto al Consiglio di non avere proceduto a verifiche concernenti lo stato e l’evoluzione del procedimento giudiziario nei suoi confronti, sebbene, a suo avviso, tale procedimento non fosse in corso per quanto lo riguarda e durasse dal 2011.

156

Di conseguenza, nella specie, il Consiglio non si può limitare a far valere, in risposta alle affermazioni del ricorrente, di essere unicamente tenuto a verificare l’esistenza di un’indagine giudiziaria in corso che lo riguarda per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72, e una siffatta linea argomentativa deve essere respinta a priori.

157

Quanto al riferimento alle constatazioni effettuate al punto 224 della sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio (T‑175/15, EU:T:2017:694), e al punto 55 della sentenza del 15 novembre 2018, Mabrouk/Consiglio (T‑216/17, non pubblicata, EU:T:2018:779), è sufficiente rilevare che, per ragioni analoghe a quelle esposte ai punti da 142 a 147 supra, esso non è idoneo a dimostrare che il Consiglio ha proceduto a verifiche sufficienti in merito allo stato e all’evoluzione del procedimento giudiziario riguardante il ricorrente.

158

Di conseguenza, da quanto suesposto risulta che il Consiglio non ha dimostrato che disponeva, al momento dell’adozione delle decisioni 2018/141 e 2019/135, di una base fattuale sufficiente per procedere alla proroga della designazione del ricorrente, in assenza di elementi relativi allo stato e all’evoluzione del procedimento giudiziario che lo riguardano specificamente. Deve pertanto concludersi che il Consiglio ha commesso un errore di valutazione nel ritenere di non essere tenuto a procedere a verifiche supplementari al riguardo. La terza parte del secondo motivo è dunque fondata.

159

L’esame della seconda e della terza parte del secondo motivo di ricorso porta alla conclusione che tali parti sono fondate, per quanto attiene tanto alla decisione 2018/141 quanto alla decisione 2019/135. Di conseguenza, senza che sia necessario esaminare la prima parte del secondo motivo né il primo e il terzo motivo oppure verificare, d’ufficio, alla luce dei principi illustrati ai punti da 83 a 106 supra, se l’obbligo di motivazione sia stato rispettato per quanto riguarda tali decisioni, esse devono essere annullate nei limiti in cui riguardano il ricorrente.

160

Occorre adesso esaminare la domanda del Consiglio intesa al mantenimento degli effetti delle decisioni impugnate, quantomeno nella parte in cui tale domanda verte sulle decisioni 2018/141 e 2019/135, fermo restando che tale domanda è, peraltro, priva di oggetto per quanto riguarda la decisione 2020/117, poiché il Tribunale ha constatato al punto 76 supra che il ricorso doveva essere respinto nei limiti in cui era diretto avverso quest’ultima decisione.

2. Sulla domanda del Consiglio con cui si chiede che il Tribunale mantenga gli effetti delle decisioni impugnate nei confronti del ricorrente fino alla scadenza del termine di impugnazione oppure, qualora venga proposta un’impugnazione, fino al suo rigetto, nei limiti in cui tale domanda verte sulle decisioni 2018/141 e 2019/135

161

Il Consiglio sostiene che, in caso di annullamento delle decisioni 2018/141 e 2019/135, l’effetto immediato dello stesso rischierebbe di arrecare un pregiudizio irreversibile all’efficacia di ogni eventuale congelamento ulteriore dei capitali del ricorrente, consentendo a quest’ultimo di trasferire in tutto o in parte i suoi beni al di fuori dell’Unione. Esso ritiene inoltre che non possa escludersi che sia giustificato procedere nuovamente, in futuro, alla designazione del ricorrente nell’elenco controverso. Nella controreplica, esso sostiene che esiste un rischio di una violazione della certezza del diritto, a causa di una differenza fra la data dell’annullamento parziale delle decisioni 2018/141 e 2019/135 e quella dell’annullamento parziale del regolamento n. 101/2011.

162

Il ricorrente si oppone a che il Tribunale limiti gli effetti dell’annullamento delle decisioni 2018/141 e 2019/135 nel senso chiesto dal Consiglio. Egli fa valere di contestare il congelamento dei suoi capitali dal 2011 e di avere chiesto un procedimento accelerato, alla luce della durata dello stesso e della sua situazione materiale precaria. Il mantenimento degli effetti di dette decisioni, in caso di annullamento, costituirebbe una violazione del suo diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole e una proroga ingiustificata di misure esse stesse prive di giustificazione. Inoltre, egli afferma di non avere beni da trasferire e di non essere in grado di lasciare egli stesso l’Unione.

163

A tal riguardo, si pone la questione se, come sostenuto dal Consiglio, le conseguenze dell’annullamento delle decisioni 2018/141 e 2019/135 siano idonee ad arrecare un pregiudizio irreversibile all’efficacia di un eventuale ulteriore congelamento dei capitali del ricorrente, nel caso in cui tale istituzione reputasse giustificato procedere nuovamente ad una siffatta misura.

164

Occorre ricordare che le sentenze con le quali il Tribunale annulla una decisione di un’istituzione o di un organo dell’Unione producono, in linea di principio, un effetto immediato, a meno che, sulla base dell’articolo 264, secondo comma, TFUE, il Tribunale decida di mantenere provvisoriamente gli effetti della decisione annullata. In tal senso, in assenza di applicazione di tali disposizioni, la decisione annullata è eliminata retroattivamente dall’ordinamento giuridico e viene considerata come mai esistita (sentenza del 2 aprile 2014, Ben Ali/Consiglio, T‑133/12, non pubblicata, EU:T:2014:176, punto 83).

165

Tuttavia, nella specie, solo le decisioni 2018/141 e 2019/135 devono essere annullate e, poiché il ricorso deve essere respinto nei limiti in cui riguarda la decisione 2020/117 per i motivi indicati ai punti da 68 a 76 supra, quest’ultima resterà in vigore dopo la pronuncia della presente sentenza.

166

Orbene, la decisione 2020/117 non si è limitata a prorogare l’iscrizione del ricorrente nell’elenco controverso, ma ha proceduto, come è indicato al punto 14 supra, alla sostituzione dell’allegato della decisione 2011/72, e dunque, segnatamente, di detto elenco, con un nuovo allegato. Si deve dunque ritenere che l’annullamento delle decisioni 2018/141 e 2019/135 non avrà come effetto di comportare, con effetto immediato a partire dalla pronuncia della sentenza, la soppressione del nominativo del ricorrente dall’elenco delle persone e delle entità figuranti all’articolo 1 della decisione 2011/72, inserito nella parte A di questo nuovo allegato.

167

È vero che, alla luce dei punti della motivazione della presente sentenza che costituiscono il supporto necessario dell’annullamento delle decisioni 2018/141 e 2019/135, enunciati ai punti da 111 a 158 supra, alla data della sua pronuncia, il Consiglio, in conformità all’articolo 266 TFUE, deve prendere i provvedimenti necessari per assicurare l’esecuzione di detta sentenza, vale a dire, nella specie, riesaminare l’iscrizione del ricorrente nell’elenco figurante all’allegato della decisione 2011/72 alla luce di tali punti della motivazione. Pertanto, il Consiglio, al termine di tale riesame, può abrogare tale iscrizione, nel caso in cui non abbia già ovviato alle carenze constatate dal Tribunale in detti punti della motivazione.

168

Tuttavia, da un lato, una siffatta abrogazione non può risultare automaticamente dalla presente sentenza e spetta al Consiglio, se del caso, procedervi. Dall’altro, nel caso in cui esso, prima dell’adozione della decisione 2020/117, avesse già ovviato alle carenze constatate nella motivazione della presente sentenza, il Consiglio potrebbe, al termine dello stesso riesame, decidere di mantenere il ricorrente nell’elenco figurante all’allegato della decisione 2011/72. È vero che una siffatta decisione, che spetterebbe, del resto, al Consiglio comunicare al ricorrente e motivare sufficientemente, non costituirebbe un atto meramente confermativo e sarebbe pertanto impugnabile (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2017, Mabrouk/Consiglio, T‑175/15, EU:T:2017:694, punto 155 e la giurisprudenza ivi citata). Ciò premesso, sarebbe solo nell’ambito di un eventuale nuovo ricorso avverso tale decisione che potrebbe essere posta fine all’iscrizione del ricorrente in detto elenco.

169

Risulta dalle considerazioni che precedono che il Consiglio non dimostra che l’annullamento delle decisioni 2018/141 e 2019/135, con effetto immediato, può arrecare un pregiudizio irreversibile all’efficacia del congelamento dei capitali del ricorrente. Il mantenimento degli effetti di dette decisioni non risulta dunque giustificato. Di conseguenza, la domanda del Consiglio al riguardo non deve essere accolta.

Sulle spese

170

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

171

Nella specie, poiché il ricorrente ne ha fatto domanda, il Consiglio, rimasto sostanzialmente soccombente, va condannato alle spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

 

1)

La decisione (PESC) 2018/141 del Consiglio, del 29 gennaio 2018, che modifica la decisione 2011/72/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia, e la decisione (PESC) 2019/135 del Consiglio, del 28 gennaio 2019, che modifica la decisione 2011/72/PESC concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia, sono annullate nei limiti in cui si riferiscono al sig. Slim Ben Tijani Ben Haj Hamda Ben Ali.

 

2)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

 

3)

Il Consiglio dell’Unione europea è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal sig. Ben Ali.

 

Costeira

Gratsias

Kancheva

Berke

Perišin

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 28 ottobre 2020.

Il cancelliere

E. Coulon

La presidente

M.J. Costeira

Indice

 

I. Origini della controversia e contesto fattuale

 

II. Procedimento e conclusioni delle parti

 

III. In diritto

 

A. Sulla ricevibilità delle conclusioni ai fini dell’annullamento delle decisioni 2019/135 e 2020/117

 

1. Sulla ricevibilità delle conclusioni ai fini dell’annullamento della decisione 2019/135

 

2. Sulla ricevibilità delle conclusioni ai fini dell’annullamento della decisione 2020/117

 

B. Nel merito

 

1. Sul secondo motivo di ricorso, vertente su errori «manifesti» di valutazione

 

a) Osservazioni preliminari

 

b) Sulla seconda parte del secondo motivo di ricorso, relativa all’errore di valutazione del Consiglio concernente il rispetto, da parte delle autorità tunisine, del diritto del ricorrente ad essere giudicato entro un termine ragionevole

 

c) Sulla terza parte del secondo motivo di ricorso, vertente sull’assenza di verifiche supplementari effettuate dal Consiglio

 

2. Sulla domanda del Consiglio con cui si chiede che il Tribunale mantenga gli effetti delle decisioni impugnate nei confronti del ricorrente fino alla scadenza del termine di impugnazione oppure, qualora venga proposta un’impugnazione, fino al suo rigetto, nei limiti in cui tale domanda verte sulle decisioni 2018/141 e 2019/135

 

Sulle spese


( *1 ) Lingua processuale: il francese.