SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

4 aprile 2019 ( *1 )

«Funzione pubblica – Funzionari – Caso “Eurostat” – Procedimento penale nazionale – Archiviazione – Domanda di assistenza – Informatore – Presunzione d’innocenza – Ricorso per risarcimento danni e di annullamento»

Nella causa T‑61/18,

Amador Rodriguez Prieto, ex funzionario della Commissione europea, residente in Steinsel (Lussemburgo), rappresentato da S. Orlandi, T. Martin e R. García‑Valdecasas y Fernández, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da B. Mongin e R. Striani, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda basata sull’articolo 270 TFUE e diretta, in via principale, al risarcimento dei danni materiali e morali che il ricorrente asserisce di aver subito e, in subordine, all’annullamento della decisione della Commissione del 28 marzo 2017 che respinge una domanda di assistenza del ricorrente,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da A.M. Collins, presidente, R. Barents e J. Passer (relatore), giudici,

cancelliere: R. Ramette, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 gennaio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1

Il ricorrente, il sig. Amador Rodriguez Prieto, è stato funzionario della Commissione europea tra il 1987 e il 2003.

2

Il 1o marzo 1998 il ricorrente è stato nominato capo dell’unità C1 presso la direzione C «Informazioni e diffusione; trasporti; cooperazione tecnica con i paesi terzi; statistiche del commercio estero e intra-comunitario» di Eurostat (Ufficio statistico dell’Unione europea).

3

Dal 1996 Eurostat garantiva la diffusione presso il pubblico dei dati statistici raccolti basandosi sull’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee (OPOCE), il quale aveva creato una rete di punti vendita (in prosieguo: i «datashops»). I contratti tripartiti conclusi tra l’Eurostat, l’OPOCE, e i datashops nel 1996 prevedevano un circuito di fatturazione complesso che permetteva a Eurostat di percepire fino al 55% del prezzo di fatturazione di detti dati immessi sul mercato.

4

Il ricorrente è stato incaricato dal suo direttore, il sig. B, di approvare le spese derivanti dai contratti tripartiti, stipulati, segnatamente, con la società Planistat.

5

Con nota del 27 ottobre 1998 il ricorrente ha chiesto l’esecuzione di una revisione contabile interna in seno a Eurostat sulla gestione di tali contratti. Ha altresì chiesto che gli fosse revocato il potere di sottoscrivere le autorizzazioni di spese, il che avvenne con nota del 27 novembre 1998.

6

Nel settembre 1999 la revisione contabile interna ha concluso nel senso della sussistenza d’irregolarità nella gestione finanziaria dei contratti tripartiti stipulati con le società Eurocost, Eurogramme, Datashop, Planistat e CESD Communautaire, che avrebbe consentito di alimentare una dotazione finanziaria non sottoposta alle norme di bilancio della Commissione.

7

Il 3 gennaio 2000 la relazione di revisione contabile interna è stata consegnata alla direzione generale incaricata del controllo finanziario della Commissione.

8

L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) è stato adito il 17 marzo 2000 dalla direzione generale incaricata del controllo finanziario della Commissione. L’OLAF ha avviato diverse indagini riguardanti in particolare i contratti stipulati da Eurostat con le società Eurocost, Eurogramme, Datashop, Planistat e CESD Communautaire, le sovvenzioni concesse a tali società e il sistema di fatturazione istituito.

9

Il 19 marzo 2003 l’OLAF ha inviato il fascicolo relativo al contratto stipulato con Planistat al procureur de la République de Paris (procuratore della Repubblica di Parigi, Francia), il quale, il 4 aprile 2003, ha avviato le indagini preliminari per ricettazione e concorso in appropriazione indebita.

10

L’11 giugno 2003 la Commissione ha altresì dato incarico al suo servizio di revisione contabile interna, il quale ha elaborato tre relazioni, ossia due relazioni, datate 7 luglio e 24 settembre 2003, nonché una relazione finale, del 22 ottobre 2003.

11

Sulla base di una relazione dell’OLAF del 22 aprile 2003 la Commissione ha incaricato il proprio servizio giuridico di presentare denuncia contro ignoti, il che è avvenuto il 10 luglio 2003, presso il procureur de la République de Paris (procuratore della Repubblica di Parigi), per i capi di ricettazione e di concorso in appropriazione indebita. Tale denuncia riguardava possibili appropriazioni indebite di fondi compiute da funzionari o agenti dell’Unione europea recanti pregiudizio agli interessi finanziari dell’Unione. Le indagini preliminari avviate dal procureur de la République de Paris (procuratore della Repubblica di Parigi) sono state ampliate il 4 agosto 2003 sulla base del capo aggiuntivo di appropriazione indebita.

12

L’11 giugno 2008 il ricorrente ha informato la Commissione di essere stato convocato dalla polizia francese per essere sentito come testimone nell’ambito di tale procedimento penale. Ha pertanto chiesto all’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«AIPN») di revocare il suo obbligo di riservatezza conformemente all’articolo 19 dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto») e che gli siano rimborsate le sue spese di viaggio da Lussemburgo (Lussemburgo) a Parigi.

13

Il 30 giugno 2008 l’AIPN ha revocato l’obbligo di riservatezza del ricorrente, ma ha respinto la sua domanda di rimborso delle spese di viaggio. Il reclamo del 21 luglio 2008 avverso tale decisione è stato respinto il 20 novembre 2008.

14

Il 7 ottobre 2008 il ricorrente è stato sentito dalla polizia francese.

15

Il 22 ottobre 2008 il ricorrente ha presentato una prima domanda di assistenza (registrata con il numero D/505/08) fondata sull’articolo 24 dello Statuto. Egli affermava in particolare che, chiedendo una revisione contabile interna nell’ottobre 1998, aveva agito come informatore e che gli interessi comuni esistenti tra se medesimo e l’istituzione interessata imponevano che quest’ultima gli fornisse assistenza. A suo avviso, la Commissione doveva quindi farsi carico degli onorari d’avvocato liquidati quando era stato convocato come testimone dalla polizia francese.

16

Tale prima domanda di assistenza è stata respinta il 17 dicembre 2008. La Commissione ha indicato di essere venuta a conoscenza del fatto che il ricorrente era stato indagato nel momento in cui era stato sentito il 7 ottobre 2008. Essa ha ritenuto che le due condizioni di applicazione dell’articolo 24 dello Statuto, ossia l’esistenza di minacce, oltraggi ecc., contro la persona e i beni del funzionario e l’esistenza di un nesso di causalità tra tali fatti e la qualità di funzionario o i compiti da svolgere, non erano soddisfatte. La decisione della Commissione non è stata contestata.

17

Il 9 settembre 2013 il giudice per le indagini preliminari presso il tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia) ha emesso un’ordinanza di archiviazione nei confronti di tutti gli indagati nell’ambito del procedimento penale, tra cui il ricorrente (in prosieguo: l’«ordinanza di archiviazione»).

18

Il 17 settembre 2013 la Commissione ha proposto impugnazione avverso tale ordinanza di archiviazione.

19

Con sentenza del 23 giugno 2014 la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) ha confermato l’ordinanza di archiviazione.

20

Il 27 giugno 2014 la Commissione ha presentato ricorso in cassazione avverso la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 23 giugno 2014 che confermava l’ordinanza di archiviazione.

21

Con sentenza del 15 giugno 2016 la Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) ha respinto l’impugnazione della Commissione avverso la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 23 giugno 2014 che confermava l’ordinanza di archiviazione, ponendo fine al procedimento penale.

22

Il 28 novembre 2016 il ricorrente, facendo in particolare riferimento alla sentenza del 9 settembre 2016, De Esteban Alonso/Commissione (T‑557/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:456, punto 59) e alla sentenza della Corte di cassazione del 15 giugno 2016, ha depositato una seconda domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto affinché la Commissione si facesse carico delle spese e onorari d’avvocato da esso sostenute per le necessità della sua difesa dinanzi agli organi giurisdizionali francesi. Chiedeva altresì che gli fosse riconosciuto lo status d’informatore attraverso una nota inserita nel suo fascicolo personale al fine di ripristinare la sua onorabilità professionale. In subordine, chiedeva il risarcimento del danno derivante dall’illecito amministrativo dell’istituzione che avrebbe violato il suo status d’informatore e gli avrebbe negato la sua protezione.

23

Con decisione del 28 marzo 2017 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), l’AIPN ha dichiarato irricevibile la seconda domanda di assistenza per il motivo principale che il ricorrente non dimostrava alcun fatto nuovo successivo alla decisione di rigetto della prima domanda di assistenza del 17 dicembre 2008. Essa ha, del resto, considerato che la seconda domanda di assistenza era infondata, così come la domanda di risarcimento.

24

Con lettera della Commissione del 10 aprile 2017, riferimento CMS 16/056, il ricorrente è stato informato dell’esistenza e dell’archiviazione di un «fascicolo» disciplinare, secondo le parole della Commissione, aperto nei suoi confronti nell’ambito del caso Eurostat.

25

Il 28 giugno 2017 il ricorrente ha depositato un previo reclamo amministrativo avverso la decisione impugnata.

26

Il 30 ottobre 2017 tale reclamo è stato respinto.

Procedimento e conclusioni delle parti

27

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 febbraio 2018 il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

28

Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 4 giugno 2018 il ricorrente ha dichiarato di rinunciare al deposito di una memoria di replica.

29

Il ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

in via principale, condannare la Commissione a versargli EUR 68831 a titolo di danno materiale e EUR 100000 a titolo di danno morale;

in subordine, annullare la decisione impugnata;

condannare la Commissione alle spese.

30

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso in quanto irricevibile e, in ogni caso, in quanto infondato;

condannare il ricorrente alle spese.

In diritto

31

A sostegno del ricorso, innanzitutto, il ricorrente sostiene che la sua domanda di assistenza in forza dell’articolo 24 dello Statuto era ricevibile e che lo è quindi anche il suo ricorso di annullamento avverso il rigetto di tale domanda. In via principale egli invoca poi la responsabilità extracontrattuale dell’Unione per un’asserita violazione da parte della Commissione del suo status d’informatore e, in subordine, chiede l’annullamento della decisione impugnata.

Sulla ricevibilità della domanda di assistenza e su quella del ricorso di annullamento della decisione impugnata

32

Nel ricorso, il ricorrente contesta la posizione della Commissione, espressa nella decisione impugnata, secondo cui la seconda domanda di assistenza era irricevibile.

33

Ad avviso del ricorrente, se è vero che l’AIPN non è tenuta ad assistere un funzionario sospettato di essere venuto meno ai suoi obblighi professionali, la costituzione di parte civile della Commissione non ha impedito definitivamente che essa potesse concedergli la sua assistenza successivamente. Nel caso di specie, l’AIPN avrebbe avuto a disposizione elementi che dimostravano il suo intervento come informatore.

34

Il ricorrente sostiene che il fatto che il danno nei suoi confronti risulti da azioni delle autorità francesi non osta all’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto. Egli afferma di essersi avvalso della sua qualità d’informatore per evidenziare l’illegittimità della sua sottoposizione ad indagine e della prosecuzione del procedimento penale nei suoi confronti.

35

Infine, il ricorrente sostiene di aver sempre contestato di aver partecipato consapevolmente a un sistema di gestione che violava le norme di bilancio, il che sarebbe dimostrato dalla sua richiesta che gli fosse revocato il potere di sottoscrizione delle autorizzazioni di spese. A suo avviso, tali circostanze avrebbero dovuto condurre l’AIPN a ritenere che essa non perseguiva un interesse contrapposto al suo e che il suo caso meritava di essere distinto da quello degli altri funzionari coinvolti, segnatamente nell’assunzione delle spese per la sua difesa dinanzi agli organi giurisdizionali francesi.

36

La Commissione afferma, sostanzialmente, che la domanda di annullamento della decisione impugnata è irricevibile per il fatto che la seconda domanda di assistenza sarebbe stata essa stessa irricevibile, poiché, da un lato, il ricorrente avrebbe semplicemente reiterato una domanda di assistenza anteriore senza addurre nuovi fatti e, dall’altro, avrebbe formulato tale nuova domanda di assistenza senza aver esperito i rimedi giurisdizionali nazionali.

37

Per quanto attiene, da un lato, all’argomento della Commissione basato sull’irricevibilità della seconda domanda di assistenza per il fatto che il ricorrente non avrebbe invocato fatti nuovi, occorre constatare che detta domanda di assistenza (v. punto 22 supra) contiene un fatto nuovo rispetto alla prima domanda di assistenza (v. punto 15 supra), depositata poco dopo la sottoposizione del ricorrente ad indagine da parte del giudice per le indagini preliminari presso il tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi).

38

Tale fatto nuovo riguarda l’ordinanza di archiviazione, adottata il 9 dicembre 2013 dal giudice per le indagini preliminari e, a seguito dei ricorsi della Commissione, confermata due volte, tra cui da ultimo definitivamente il 15 giugno 2016 dalla Cour de cassation (Corte di cassazione).

39

L’ordinanza di archiviazione e poi la sua conferma in appello e il rigetto dell’impugnazione in cassazione, mediante cui la Commissione era stata contraddetta nel suo convincimento, manifestato nelle sue memorie depositate nell’ambito del procedimento d’appello e d’impugnazione in cassazione, che il ricorrente aveva commesso un reato, costituiscono, assieme, un fatto nuovo.

40

Vero è che nell’ordinanza di archiviazione, il giudice francese per le indagini preliminari ha osservato «che il meccanismo risultante dall’attuazione dei [contratti] tripartiti stipulat[i] sotto gli auspici di Eurostat [aveva] violato l’articolo 4.1 del regolamento finanziario» del 21 dicembre 1977, applicabile al bilancio generale delle Comunità europee (GU 1977, L 356, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento finanziario»), e, nella sua sentenza del 23 giugno 2014, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha giudicato «che le norme in materia di reimpiego quali previste dal regolamento finanziario [erano] state violate».

41

Tuttavia, tali constatazioni sono state effettuate in modo impersonale, senza alcuna designazione del ricorrente.

42

Inoltre, allo stesso tempo, il giudice penale francese ha accertato l’assenza d’intento fraudolento nonché di appropriazione indebita di fondi e ha effettuato un certo numero di affermazioni secondo cui, in primo luogo, il sistema dei datashops, sebbene non conforme al regolamento finanziario, era, secondo la Corte dei conti dell’Unione europea, «una necessità a motivo dell’inadeguatezza di detto regolamento» e la «mera riproduzione di un sistema già utilizzato in modo pienamente lecito dall’OPOCE», in secondo luogo, «le procedure comunitarie esistenti non consentivano di garantire, in un contesto flessibile e funzionale, la commercializzazione dei dati prodotti da Eurostat, e[, in] assenza di procedura adeguata, [era] stato necessario trovare soluzioni che consentissero a Eurostat di compiere la propria missione» e, in terzo luogo, «il controllo finanziario, che all’origine era stato associato alla creazione della rete dei datashops e che non era stato favorevole alla creazione di quest’ultima con il sistema delle convenzioni tripartite, [si era] in realtà totalmente disinteressato alle modalità del suo funzionamento, il che [aveva] lasciato i responsabili di Eurostat nella posizione in cui dovevano e potevano agire “nel modo migliore” [e] ciò mentre la strategia della Commissione era di aumentare l’offerta di statistiche a motivo di una domanda molto elevata a tale titolo» [ordinanza di archiviazione, sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 23 giugno 2014].

43

Dalle considerazioni che precedono risulta che il ricorrente si avvaleva correttamente, riferendosi alle decisioni penali francesi, di un fatto nuovo.

44

Per quanto attiene, da un lato, all’irricevibilità della seconda domanda di assistenza a motivo dell’assenza di esperimento da parte del ricorrente dei rimedi giurisdizionali nazionali, occorre rilevare che tale argomento si fonda sulla premessa che l’articolo 24 dello Statuto, relativo all’assistenza, è applicabile nel caso di specie e che, di conseguenza, la responsabilità oggettiva dell’amministrazione a titolo di tale disposizione dello Statuto è subordinata all’esperimento dei mezzi di ricorso nazionali contro il terzo autore del danno.

45

Orbene, come sarà indicato ai seguenti punti da 46 a 59, tale premessa è errata.

46

L’articolo 24 dello Statuto così dispone:

«L’Unione assiste il funzionario, in particolare nei procedimenti a carico di autori di minacce, oltraggi, ingiurie, diffamazioni, attentati contro la persona o i beni di cui il funzionario o i suoi familiari siano oggetto, a motivo della sua qualità e delle sue funzioni.

Essa risarcisce solidalmente il funzionario dei danni subiti in conseguenza di tali fatti, sempreché egli, intenzionalmente o per negligenza grave, non li abbia causati e non abbia potuto ottenerne il risarcimento dal responsabile».

47

Secondo la giurisprudenza, la finalità dell’articolo 24 consiste nel garantire ai funzionari e agli agenti sicurezza per il presente e per il futuro, al fine di consentire loro, nell’interesse generale del servizio, di svolgere meglio le loro funzioni (sentenze del 12 giugno 1986, Sommerlatte/Commissione, 229/84, EU:C:1986:241, punto 19; del 27 giugno 2000, K/Commissione, T‑67/99, EU:T:2000:169, punto 35, e del 20 luglio 2011, Gozi/Commissione, F‑116/10, EU:F:2011:124, punto 12). Il dovere di assistenza di un’istituzione mira, di conseguenza, sia alla tutela del suo personale sia alla salvaguardia dei propri interessi e si basa quindi sul principio di una comunanza d’interessi. Pertanto, è stato giudicato che l’amministrazione non può essere tenuta ad assistere un funzionario sospettato di essere gravemente venuto meno ai suoi obblighi professionali e per questo motivo passibile di sanzioni disciplinari (sentenza del 23 novembre 2010, Wenig/Commission, F‑75/09, EU:C:2010:150, punto 49).

48

Ancor più precisamente e secondo una giurisprudenza costante, l’obbligo di assistenza enunciato dall’articolo 24 dello Statuto mira alla tutela dei funzionari, da parte dell’istituzione, contro le azioni di terzi e non contro gli atti emanati dall’istituzione stessa, il cui controllo rientra in altre disposizioni dello Statuto (sentenze del 9 settembre 2016, De Esteban Alonso/Commissione, T‑557/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:456, punto 45, e del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 111; v. altresì, in tal senso, sentenza del 12 luglio 2011, Commissione/Q, T‑80/09 P, EU:T:2011:347, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

49

Nel caso di specie, il ricorrente è stato indagato il 7 ottobre 2008, da parte della autorità giudiziarie francesi. Tale sottoposizione ad indagine avveniva nella prosecuzione dell’avvio di un’indagine preliminare il 4 aprile 2003 da parte di tali autorità giudiziarie, sulla base d’informazioni che erano state trasmesse loro dall’OLAF il 19 marzo 2003, e a seguito di una denuncia contro ignoti presentata dalla Commissione il 10 luglio 2003.

50

A seguito dell’ordinanza di archiviazione, resa a favore di tutte le persone sottoposte a indagine, tra cui il ricorrente, il procedimento penale francese è proseguito, a motivo dell’appello della Commissione avverso tale ordinanza, che è stato respinto con una sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 23 giugno 2014 che confermava detta ordinanza, e dell’impugnazione della Commissione avverso tale sentenza, che è stata respinta con una sentenza della Cour de cassation (Corte di cassazione) del 15 giugno 2016.

51

Occorre rilevare che, come già accertato dal Tribunale nei confronti del sig. De Esteban Alonso nell’ambito della causa che ha dato origine alla sentenza del 9 settembre 2016, De Esteban Alonso/Commissione (T‑557/15 P, non pubblicata, EU:T:2016:456, punto 49), gli atti compiuti dalle autorità giudiziarie francesi, in particolare la sottoposizione ad indagine del ricorrente, non costituiscono azioni riguardate dall’articolo 24 dello Statuto. Non solo tali atti s’iscrivono nello svolgimento normale del procedimento penale di cui trattasi, ma, inoltre, il ricorrente non sostiene in alcun momento seriamente che essi abbiano costituito attacchi illegittimi condotti nei suoi confronti da dette autorità giudiziarie francesi e siano stati, per tale motivo, idonei a giustificare un’assistenza della Commissione a titolo dell’articolo 24 dello Statuto.

52

Orbene, come emerge in sostanza dalla giurisprudenza, se è vero che l’obbligo di assistenza di cui all’articolo 24, primo comma, dello Statuto costituisce una garanzia statutaria fondamentale per il funzionario e non è subordinata alla condizione che l’illegittimità delle azioni a seguito delle quali il funzionario ha chiesto l’assistenza sia preliminarmente accertata, è però necessario che quest’ultimo fornisca elementi tali da far ritenere, prima facie, che tali azioni lo riguardano a motivo della sua qualità e delle sue funzioni e siano illegittime alla luce della legge nazionale applicabile (sentenza del 23 novembre 2010, Wenig/Commissione, F‑75/09, EU:F:2010:150, punto 48).

53

Ciò non si verifica nel caso di specie, poiché il ricorrente non deduce seriamente che le autorità giudiziarie francesi abbiano agito illegittimamente nei suoi confronti e non adduce alcun elemento in tal senso.

54

Inoltre, occorre constatare che, in realtà, il ricorrente chiede l’assistenza della Commissione non contro le azioni di terzi, ma contro gli atti medesimi di tale istituzione, atti che hanno dato origine al procedimento penale avviato nei suoi confronti e, soprattutto, mediante i quali il procedimento penale si è prolungato fino alla sentenza della Cour de cassation (Corte di cassazione) del 15 giugno 2016.

55

Infatti, se è vero che sono le autorità giudiziarie francesi ad aver sottoposto il ricorrente ad indagine, ciò non toglie che è la Commissione, attraverso le informazioni che ha trasmesso loro e la presentazione di una denuncia, ad essere all’origine del procedimento penale. Inoltre e soprattutto, è la Commissione ad aver provocato la prosecuzione di tale procedimento penale dopo l’ordinanza di archiviazione.

56

Nel ricorso, il ricorrente ritiene infatti che, «sebbene potesse sembrare necessario per la Commissione costituirsi parte civile per salvaguardare gli interessi finanziari dell’Unione, nulla giustificava tuttavia che il procedimento penale fosse proseguito nei [suoi] confronti […] nei limiti in cui la Commissione sapeva che non era possibile accusarlo di aver consapevolmente partecipato al sistema irregolare di gestione dei datashops istituito dai suoi superiori gerarchici».

57

Dalle constatazioni che precedono discende che, dal momento che gli atti per i quali il ricorrente richiede l’assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto non sono quelli delle autorità giudiziarie francesi (atti la cui legittimità non è peraltro seriamente contestata, v. punti da 51 a 53 supra), ma quelli della Commissione medesima, tale disposizione, secondo la giurisprudenza rammentata al punto 48, non è applicabile nel caso di specie.

58

Di conseguenza, l’argomento della Commissione vertente sull’irricevibilità della seconda domanda di assistenza a motivo dell’assenza di esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali non può essere accolto.

59

Dalle considerazioni che precedono risulta che gli argomenti della Commissione a sostegno dell’irricevibilità del ricorso di annullamento, vertenti sull’assenza di fatti nuovi e sul mancato rispetto di una condizione di applicazione dell’articolo 24 dello Statuto devono essere respinti.

Nel merito

60

In subordine alla sua domanda di assistenza e nel caso in cui essa fosse respinta, il ricorrente ha sostenuto, nella sua domanda e nel suo previo reclamo amministrativo, che la Commissione era incorsa in errore non tenendo conto del fatto che egli aveva agito come un informatore. Il ricorrente ha invocato, a tal riguardo, l’articolo 22 bis dello Statuto. La Commissione sarebbe venuta a conoscenza del suo ruolo nella rivelazione dei fatti al più tardi al momento della redazione della relazione finale del suo servizio di revisione contabile interna nel 2003. Egli ha fatto notare che, se fosse stato riguardato da un procedimento disciplinare, avrebbe beneficiato dell’articolo 21 dell’allegato IX allo Statuto, relativo all’assunzione da parte dell’istituzione delle spese per la difesa del funzionario non sanzionato all’esito di un procedimento disciplinare.

61

Il ricorrente ha contestato di aver deliberatamente partecipato al sistema di gestione problematico. Avrebbe rapidamente comunicato i propri dubbi su tale sistema. Non sarebbe stato a conoscenza del fatto che il controllo finanziario non era coinvolto nell’attuazione della rete dei datashops. Avrebbe richiesto una revisione contabile interna e chiesto che il potere di sottoscrizione gli fosse revocato. Sarebbe stato ingannato in tale vicenda. Inoltre sarebbe venuto a conoscenza dell’esistenza di un procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti solo il 10 aprile 2017.

62

Il ricorrente ha quindi ritenuto che la Commissione avesse violato il dovere di protezione degli informatori, illecito che sarebbe stato aggravato dalla costituzione di parte civile, dall’appello avverso l’ordinanza di archiviazione, poi dall’impugnazione in cassazione avverso la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 23 giugno 2014 che confermava tale ordinanza, costitutivi di così tante accuse ingiuste contro di lui per aver partecipato consapevolmente a un sistema che violava il regolamento finanziario.

63

Il ricorrente ha così ritenuto che il suo danno consistesse, da un lato, nel danno materiale costituito dalle spese per la difesa sostenute nell’ambito del procedimento penale francese, di un importo pari a EUR 68331, e, dall’altro, nel danno morale costituito dal sentimento d’ingiustizia risultante dal fatto di essere stato sottoposto a un procedimento penale per fatti che aveva contribuito a rivelare, pari a un importo di EUR 90000. Ha inoltre chiesto alla Commissione che fosse inserita nel suo fascicolo personale una nota che riconoscesse il suo status d’informatore nel caso Eurostat, al fine di ripristinare la sua onorabilità professionale.

64

Nel ricorso, il ricorrente mantiene, in sostanza, la propria posizione. Il non aver tenuto conto della sua qualità d’informatore costituirebbe una violazione dell’articolo 22 bis dello Statuto e del dovere di sollecitudine. La circostanza che tale disposizione sia stata inserita nello Statuto solo nel 2004 non avrebbe impedito alla Commissione di riconoscere, nel 2016, il ruolo d’informatore che egli aveva svolto in passato conformemente ai suoi obblighi contenuti agli articoli 11 e 12 dello Statuto. Il dovere di sollecitudine nonché il principio di parità di trattamento avrebbero imposto alla Commissione di distinguere il suo caso da quello delle altre persone coinvolte nel caso Eurostat.

65

Tuttavia, rileva il ricorrente, la Commissione, informata al più tardi il 22 ottobre 2003 del ruolo che egli aveva svolto, avrebbe omesso di segnalare tale ruolo alle autorità giudiziarie francesi e avrebbe ingiustamente prolungato il procedimento penale avviato nei suoi confronti benché essa non potesse non sapere che egli non aveva consapevolmente partecipato al sistema dei datashops. A suo avviso, il fatto per la Commissione di non tutelarlo da ogni danno subito per il solo fatto che era capo unità nel momento in cui il caso Eurostat è stato rivelato costituisce un illecito amministrativo. Infine, per quanto attiene al procedimento disciplinare avviato dalla Commissione nei suoi confronti, egli rileva che i motivi invocati dalla Commissione per la sua chiusura non ripristinano la sua onorabilità professionale, ma continuano a dar adito a dubbi sul modo in cui egli aveva svolto le sue funzioni.

66

Per quanto attiene all’articolo 24 dello Statuto, il ricorrente sostiene che la Commissione asserisce erroneamente di perseguire, anche a seguito della sentenza della Cour de cassation (Corte di cassazione) del 15 giugno 2016, un interesse contrapposto al suo che ostacolerebbe qualsiasi possibilità di assistenza.

67

La Commissione contesta la posizione del ricorrente. L’articolo 22 bis sarebbe stato inserito nello Statuto solo il 1o maggio 2004. Il ricorrente non potrebbe contestare alla Commissione di non avergli concesso uno status che non esisteva alla data della nota che chiedeva una revisione contabile. Sull’asserita violazione del dovere di sollecitudine, risulterebbe da una giurisprudenza costante che tale dovere non consente di concedere vantaggi che lo Statuto non offre. Sull’asserito aggravamento del pregiudizio attraverso l’esperimento dei mezzi di ricorso, la Commissione avrebbe semplicemente esercitato un diritto. Sull’asserita colpa consistente nell’avviare un procedimento disciplinare, sarebbe pacifico che il procedimento disciplinare non avrebbe dato origine ad alcun atto per quanto riguarda il ricorrente, il che spiegherebbe il fatto che non ne era stato informato. L’avvio di un procedimento disciplinare meramente formale che non è mai stato reso pubblico e che non ha dato origine ad alcun atto d’indagine qualunque esso sia non avrebbe potuto arrecare un pregiudizio al ricorrente.

68

Per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 24 dello Statuto, la Commissione ribadisce la sua posizione concernente l’irricevibilità della seconda domanda di assistenza a norma di tale disposizione e sostiene che, in ogni caso, detta domanda è infondata in quanto verte sul rimborso delle spese che il ricorrente sarebbe stato costretto a sostenere per difendere la sua innocenza in una situazione in cui gli interessi della Commissione e quelli dell’interessato non hanno mai cessato di essere antagonisti, e non sul rimborso di spese sostenute dal ricorrente per difendersi contro attacchi di terzi o illeciti commesse da terzi.

Sulla domanda risarcitoria

69

L’articolo 22 bis dello Statuto così dispone:

«1.   Il funzionario che, nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni, venga a conoscenza di fatti che possano lasciar presumere una possibile attività illecita, e in particolare una frode o un atto di corruzione, pregiudizievole per gli interessi dell’Unione, o una condotta in rapporto con l’esercizio di incarichi professionali che possa costituire una grave mancanza agli obblighi dei funzionari dell’Unione, ne informa immediatamente il proprio superiore gerarchico diretto o il direttore generale o, se lo ritenga utile, il segretario generale, o persone di rango equivalente, o direttamente l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF).

(…)

3.   Il funzionario non può essere penalizzato dall’istituzione per aver comunicato l’informazione di cui ai paragrafi 1 e 2, nella misura in cui abbia agito ragionevolmente e onestamente».

70

L’articolo 22 dello Statuto, che ha introdotto, a carico di tutti i funzionari, un obbligo d’informazione sui fatti che possono lasciar presumere un’attività illecita o una grave mancanza agli obblighi dei funzionari dell’Unione (v., in tal senso, sentenza dell’8 ottobre 2014, Bermejo Garde/CESE, T‑530/12 P, EU:T:2014:860, punti da 103 a 106), è entrato in vigore il 1o maggio 2004.

71

Del resto, occorre peraltro rilevare che ogni funzionario che, già prima del 1o maggio 2004, avesse preso l’iniziativa di avvisare la sua gerarchia sull’esistenza d’illeciti o di mancanze agli obblighi statutari di cui fosse venuto a conoscenza, idonei a ledere gli interessi finanziari dell’Unione, avrebbe già avuto diritto a beneficiare della tutela dell’istituzione al cui servizio lavorava contro qualsiasi eventuale atto di rappresaglia a motivo di tale divulgazione e a non essere penalizzato da detta istituzione a condizione di aver agito ragionevolmente e onestamente.

72

Occorre tuttavia aggiungere che, se tale tutela dovuta al funzionario lo salvaguarda dall’essere penalizzato dall’istituzione, essa non può mirare a premunirlo da indagini dirette a stabilire se, e in che misura, egli medesimo sia stato coinvolto nelle irregolarità che denuncia. Tutt’al più l’iniziativa del funzionario di denunciare siffatte irregolarità può, se tali indagini confermano il suo coinvolgimento nei fatti denunciati, costituire una circostanza attenuante nell’ambito di eventuali procedimenti sanzionatori avviati dall’istituzione a seguito di tali indagini, come peraltro indicato nella comunicazione del vicepresidente Šefčovič alla Commissione del 6 dicembre 2012, SEC(12012) 679 final, sugli orientamenti relativi alla trasmissione d’informazioni in caso di gravi irregolarità (whistleblowing) (punto 3, in fine).

73

Dalle considerazioni che precedono discende che la qualità d’informatore rivendicata dal ricorrente non era, in ogni caso, idonea a premunirlo dai procedimenti diretti a determinare il suo eventuale coinvolgimento nei fatti denunciati.

74

La questione che si pone nel caso di specie non è quindi tanto quella di sapere se il ricorrente dovesse beneficiare o meno della qualità d’informatore, quanto quella se, tenuto conto dei fatti inerenti al caso di specie, la Commissione abbia commesso illeciti essendo all’origine della prosecuzione del procedimento penale dopo l’ordinanza di archiviazione.

75

Per quanto attiene alla prosecuzione del procedimento penale dopo l’ordinanza di archiviazione attraverso l’appello contro tale ordinanza e la successiva impugnazione in cassazione avverso la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 23 giugno 2014 che confermava tale ordinanza, occorre rammentare che il fatto di poter far valere i propri diritti per via giudiziaria e il sindacato giurisdizionale che ciò implica sono espressione di un principio generale del diritto che si trova a fondamento delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è anche sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (sentenze del 15 maggio 1986, Johnston, 222/84, EU:C:1986:206, punti 1718, e del 17 luglio 1998, ITT Promedia/Commissione, T‑111/96, EU:T:1998:183, punto 60), e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Poiché l’accesso al giudice è un diritto fondamentale e un principio generale che garantisce il rispetto del diritto, è solo in circostanze del tutto eccezionali che il fatto, per un’istituzione, d’intentare un’azione giudiziaria è idoneo a costituire un illecito amministrativo (v., in tal senso, sentenza del 28 settembre 1999, Frederiksen/Parlamento, T‑48/97, EU:T:1999:175, punto 97).

76

Nel caso di specie, occorre considerare che, indipendentemente dalla formulazione dell’ordinanza di archiviazione e della sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 23 giugno 2014 che conferma tale ordinanza, nelle quali il giudice penale francese ha ritenuto, in sostanza, che le irregolarità constatate fossero attribuibili all’inadeguatezza del quadro regolamentare istituito dall’Unione piuttosto che ai funzionari indagati, i quali avevano semplicemente cercato soluzioni nell’interesse di Eurostat e in un siffatto contesto normativo inadeguato, le circostanze del caso di specie non appaiono eccezionali a tal punto da portare alla conclusione che l’appello presentato avverso detta ordinanza e l’impugnazione in cassazione contro tale sentenza costituivano illeciti amministrativi della Commissione. Ne consegue che il ricorrente non sembra essere legittimato a chiedere il risarcimento di danni morali e materiali causati dal fatto di essere stato sottoposto a un procedimento penale tra il 2003 e il 2016.

Sulla domanda di annullamento

77

Per quanto attiene al diniego della Commissione, una volta che la sentenza della Corte di cassazione del 15 giugno 2016 ha riconosciuto l’estraneità penale del ricorrente, di farsi carico delle spese da lui sostenute per la difesa nell’ambito del procedimento penale nazionale, occorre rilevare che i motivi di tale diniego, come espressi dalla Commissione nel suo rigetto della domanda e successivamente in quello del previo reclamo amministrativo, pur non rispondendo chiaramente ad alcuni timori del ricorrente nel procedimento amministrativo, consentono tuttavia di comprendere il vero motivo per cui la Commissione ha respinto la seconda domanda di assistenza.

78

Per quanto attiene ai timori del ricorrente, sembra che, attraverso i suoi riferimenti agli articoli 22 bis e 24 dello Statuto, con riferimento ai quali si è constatato che, il secondo era inapplicabile nel caso di specie (v. punto 57 supra) e, il primo, inidoneo a premunire il ricorrente da eventuali procedimenti penali o disciplinari (v. punto 73 supra), il ricorrente sosteneva, in sostanza, di non essere colpevole nel caso Eurostat.

79

In effetti, dall’avvio del procedimento amministrativo, il ricorrente ha affermato che il sistema dei datashops gli era stato presentato in modo convincente come regolare e valido, che era in buona fede, che non aveva mai partecipato consapevolmente al meccanismo controverso, che aveva fornito rapidamente informazioni e che, in definitiva, era stato ingannato. È a motivo di tale convinzione, rafforzata dalle decisioni penali francesi favorevoli, che ha chiesto alla Commissione di farsi carico delle sue spese per la difesa sostenute nell’ambito del procedimento penale nazionale nonché del danno morale derivante dal sentimento d’ingiustizia legato all’assenza di tutela della Commissione nonostante il fatto che avesse agito come informatore nel caso Eurostat. È altresì per tale motivo che aveva chiesto l’inserimento nel suo fascicolo di una nota che riconoscesse il suo ruolo d’informatore, al fine di ripristinare la sua onorabilità professionale.

80

Dopo essere stato scagionato nell’ambito del procedimento penale, il ricorrente faceva notare peraltro, nella seconda domanda di assistenza e, successivamente, nel suo previo reclamo amministrativo, che un esito analogo in un procedimento disciplinare gli sarebbe valso l’assunzione delle sue spese per la difesa in applicazione dell’articolo 21 dell’allegato XI allo Statuto.

81

Orbene, la Commissione, nel suo rigetto della domanda e successivamente del previo reclamo amministrativo, non ha risposto chiaramente a tali timori del ricorrente. Essa ha respinto, per motivi tecnici, le affermazioni del ricorrente relative agli articoli 22 bis e 24 dello Statuto.

82

La Commissione ha effettuato, tuttavia, affermazioni che mostrano che il suo rifiuto nel procedimento amministrativo di farsi carico delle spese del ricorrente discendeva, in ultima analisi, non tanto da un’inapplicabilità tecnica di tali disposizioni dello Statuto quanto, più fondamentalmente, dall’opinione secondo cui il ricorrente si era reso colpevole di una violazione dei suoi obblighi statutari.

83

È così che la Commissione ha insistito, in grassetto, in due occasioni, nel rigetto della domanda poi in quello del previo reclamo amministrativo, sul fatto che, nella sentenza della Cour de cassation (Corte di cassazione) del 15 giugno 2016, detto organo giurisdizionale aveva confermato l’esistenza di una «violazione delle norme di bilancio europee» e aveva rilevato che non esistevano accuse «sufficienti» per un rinvio a giudizio degli indagati dinanzi al giudice di merito.

84

Inoltre, la Commissione ha effettuato, nel rigetto del previo reclamo amministrativo, valutazioni secondo cui «[essa] aveva perseguito, durante il procedimento penale[,] un interesse contrapposto a quello del [ricorrente], con la conseguenza che l’articolo 24 dello Statuto non poteva, anche nel caso di una sentenza [che confermava l’ordinanza di archiviazione], costituire il fondamento di una domanda di assistenza per ottenere il risarcimento del danno subito a causa o in occasione di tale procedimento».

85

È giocoforza constatare che, se è effettivamente esatto, e peraltro evidente, che l’interesse della Commissione era contrapposto a quello del ricorrente nel corso del procedimento penale, tale contrapposizione d’interessi poteva logicamente sussistere, dopo la sentenza della Cour de cassation (Corte di cassazione) che confermava l’ordinanza di archiviazione, solo a condizione che la Commissione continuasse a ritenere che il ricorrente, nonostante il fatto di essere scagionato penalmente, fosse venuto meno ai suoi obblighi statutari.

86

La realtà di tale sussistenza, anche dopo la sentenza della Cour de cassation (Corte di cassazione) del 15 giugno 2016, di una siffatta opinione incriminante della Commissione nei confronti del ricorrente, è peraltro confermata nel controricorso.

87

In effetti, nel controricorso, la Commissione afferma che «le circostanze in cui l’ordinanza di archiviazione è stata adottata (tale ordinanza non esclude la possibilità di manipolazione finanziaria) e l’archiviazione per opportunità del procedimento disciplinare non hanno fatto venir meno l’antagonismo d’interessi tra le parti e giustificavano che [essa] non modificasse la propria decisione di non concedere assistenza».

88

In definitiva, sembra quindi che la decisione della Commissione di non farsi carico delle spese per la difesa del ricorrente sostenute nell’ambito del procedimento nazionale non derivi tanto da un’inapplicabilità tecnica dell’articolo 24 dello Statuto, con riferimento alla quale la Commissione suggerisce peraltro che essa non avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile all’assunzione di dette spese, quanto dalla sussistenza di un «antagonismo d’interessi», quindi dell’opinione persistente della Commissione secondo cui il ricorrente aveva violato i suoi obblighi statutari.

89

Tuttavia, dal momento che il ricorrente non era più sottoposto a procedimento penale nazionale, non essendo peraltro mai stato designato personalmente dal giudice francese come un autore di una violazione delle norme finanziarie, e che, inoltre, non era stato oggetto, al momento dell’adozione della decisione impugnata, di alcuna decisione disciplinare che constatasse una violazione di obblighi statutari, egli non solo era scagionato nell’ambito del procedimento penale in Francia, ma beneficiava altresì necessariamente della presunzione d’innocenza per quanto attiene al rispetto dei suoi obblighi statutari.

90

Certamente, il ricorrente non deduce espressamente un motivo vertente sulla violazione della presunzione d’innocenza. Ciò è dovuto al fatto che, convinto della sua innocenza, si avvale direttamente di quest’ultima nei confronti della decisione impugnata. Tuttavia, una siffatta posizione comporta necessariamente, a majore ad minus, e come il ricorrente lo ha peraltro confermato all’udienza, la deduzione di una violazione del principio della presunzione d’innocenza, segnatamente quando quest’ultimo, dopo aver sostenuto di non essere colpevole (v. punto 79 supra), ha affermato che, con il suo comportamento, «la Commissione da[va] adito al dubbio sul modo in cui egli [aveva] svolto le sue funzioni [e] sulla sua onorabilità professionale».

91

Occorre rammentare che il principio della presunzione d’innocenza, che costituisce un diritto fondamentale, sancito dall’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, conferisce ai singoli diritti di cui il giudice dell’Unione garantisce il rispetto (sentenze del4 ottobre 2006, Tillack/Commissione, T‑193/04, EU:T:2006:292, punto 121; dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 209, e del 12 luglio 2012, Commissione/Nanopoulos, T‑308/10 P, EU:T:2012:370, punto 90).

92

Tale principio, che fa parte dei diritti fondamentali (sentenze dell’8 luglio 1999, Montecatini/Commissione, C‑235/92 P, EU:C:1999:362, punto 175, e del 4 ottobre 2006, Tillack/Commissione, T‑193/04, EU:T:2006:292, punto 121), i quali sono essi stessi, secondo la giurisprudenza, principi generali del diritto dell’Unione (sentenza del 27 settembre 2006, Dresdner Bank e a./Commissione, T‑44/02 OP, T‑54/05 OP, T‑56/02 OP, T‑60/02 OP e T‑61/02 OP, EU:T:2006:271, punto 61), è applicabile ai procedimenti amministrativi considerata la natura degli inadempimenti di cui trattasi nonché la natura e il grado di severità delle misure ad essi correlati (v., in materia di concorrenza, sentenze dell’8 luglio 2004, JFE Engineering/Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, EU:T:2004:221, punto 178; del 27 settembre 2006, Dresdner Bank e a./Commissione, T‑44/02 OP, T‑54/05 OP, T‑56/02 OP, T‑60/02 OP e T‑61/02 OP, EU:T:2006:271, punto 61, e del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, EU:T:2011:560, punto 129). Ne consegue che il diritto alla presunzione d’innocenza si applica, anche in assenza di procedimenti penali, al funzionario accusato di un inadempimento degli obblighi statutari sufficientemente grave da giustificare un’indagine dell’OLAF con riferimento alla quale l’amministrazione potrà adottare qualunque opportuno provvedimento, anche rigoroso se necessario (sentenze del 28 marzo 2012, BD/Commissione, F‑36/11, EU:F:2012:49, punto 51, e del 29 aprile 2015, CJ/ECDC, F‑159/12 e F‑161/12, EU:F:2015:38, punto 154).

93

Nel caso di specie, respingendo la domanda del ricorrente diretta all’assunzione delle sue spese per la difesa sostenute nell’ambito del procedimento penale nazionale, per il fatto che, in sostanza, sussisterebbe un antagonismo d’interessi con quest’ultimo, la Commissione ha violato il diritto alla presunzione d’innocenza del ricorrente.

94

Per quanto attiene all’argomento della Commissione, presentato all’udienza, secondo cui, al momento dell’adozione della decisione impugnata, l’antagonismo d’interessi avrebbe legittimamente continuato a sussistere, per il fatto che la decisione di chiudere il «fascicolo» disciplinare sarebbe stata adottata solo alcuni giorni più tardi, il 10 aprile 2017, esso deve essere respinto per i seguenti motivi.

95

Innanzitutto, l’esistenza, secondo i termini vaghi impiegati dalla Commissione, di un «fascicolo» disciplinare aperto contro il ricorrente alla data della decisione impugnata non solo non è dimostrata, ma appare inoltre smentita. Infatti, non sembra che l’apertura del fascicolo CMS 04/002 nel gennaio 2004, a seguito di una domanda di revoca dell’immunità di giurisdizione del ricorrente, costituisse l’avvio di un procedimento disciplinare né di un’indagine amministrativa nei confronti del ricorrente. Inoltre e in ogni caso, tale fascicolo CMS 04/002 è stato rimosso dalla lista CMS [«Case Management System» (sistema di gestione dei fascicoli)] nel 2010, poi distrutto nel 2012 all’esito del periodo di conservazione degli archivi.

96

In seguito e in ogni caso, nell’ipotesi che fosse esistito un procedimento in corso nei confronti del ricorrente alla data della decisione impugnata, la Commissione non avrebbe potuto, senza sua colpa, respingere la seconda domanda di assistenza sulla base della sua opinione incriminante e chiudere successivamente tale asserito procedimento alcuni giorni dopo, dal momento che l’oggetto di tale procedimento era proprio quello di confermare o confutare detta opinione.

97

Infine e nei limiti in cui l’argomento della Commissione suggerisce che la presunzione d’innocenza sarebbe stata maturata dal ricorrente solo alla data di chiusura di tale asserito procedimento, occorre osservare, incidentalmente, da un lato, che un funzionario beneficia della presunzione d’innocenza in ogni fase anteriore all’adozione di una decisione che constata la sua colpevolezza e, dall’altro, che, nella fase di ricorso dinanzi al Tribunale, la Commissione ha in realtà continuato a violare la presunzione d’innocenza del ricorrente quando nella difesa ha affermato che «l’archiviazione del procedimento disciplinare per opportunità [non ha] fatto venir meno l’antagonismo d’interessi tra le parti».

98

Concludendo sull’insieme delle precedenti considerazioni, dalle quali emerge che la decisione impugnata si fonda su una violazione della presunzione d’innocenza, occorre annullare tale decisione, rammentando che spetta alla Commissione adottare i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta.

Sulle spese

99

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. A norma dell’articolo 134, paragrafo 2, del medesimo regolamento, quando vi sono più parti soccombenti il Tribunale decide sulla ripartizione delle spese.

100

La Commissione, rimasta sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

Le domande di risarcimento danni sono respinte.

 

2)

La decisione della Commissione europea del 28 marzo 2017 recante rigetto di una domanda di assistenza del sig. Amador Rodriguez Prieto è annullata.

 

3)

La Commissione è condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dal sig. Rodriguez Prieto.

 

Collins

Barents

Passer

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 aprile 2019.

Il cancelliere

E. Coulon

Il presidente

A.M. Collins


( *1 ) Lingua processuale: il francese.