CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 19 dicembre 2019 ( 1 )

Causa C‑779/18

Mikrokasa S.A. w Gdyni,

Revenue Niestandaryzowany Sekurytyzacyjny Fundusz Inwestycyjny Zamknięty w Warszawie

contro

XO

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Rejonowy w Siemianowicach Śląskich (Tribunale circondariale di Siemianowice Śląskie, Polonia)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Contratti di credito ai consumatori – Direttiva 2008/48 – Portata dell’armonizzazione – Nozione di costo totale del credito al consumatore – Direttiva 93/13 – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Esclusione prevista per le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative»

1. 

La direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE (GU 2008, L 133, pag. 66), stabilisce il contesto normativo che disciplina i contratti di credito ai consumatori. In particolare, l’articolo 10 precisa il tipo di informazioni che devono essere inserite in detti contratti di credito. La Corte è ora chiamata, attraverso la domanda di pronuncia pregiudiziale di cui trattasi, a chiarire alcuni aspetti dell’ambito di applicazione e della corretta interpretazione della disposizione in parola.

2. 

La domanda di pronuncia pregiudiziale in oggetto è stata sottoposta alla Corte dal Sąd Rejonowy w Siemianowicach Śląskich (Tribunale circondariale di Siemianowice Śląskie, Polonia) il 12 dicembre 2018 nell’ambito di due cause promosse contro XO dalla Mikrokasa S.A., con sede in Gdynia, e dal Revenue Niestandaryzowany Sekurytyzacyjny Fundusz Inwestycyjny Zamknięty, con sede in Varsavia, e riunite dal giudice del rinvio, in relazione a ricorsi volti ad ottenere il pagamento di somme dovute in forza di due distinti contratti di credito al consumo.

3. 

La principale questione posta dal caso di specie riguarda il grado di armonizzazione e l’ambito di applicazione dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 e la misura in cui gli obblighi previsti dalla direttiva in parola possano essere integrate da obblighi imposti dal diritto nazionale. Prima di esaminare tali punti è tuttavia necessario, anzitutto, indicare le disposizioni giuridiche rilevanti.

I. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

4.

I considerando 3, 4, da 6 a 9, 19 e 31 della direttiva 2008/48, come applicabili nel 2016, così recitano:

«(3)

Dalle suddette relazioni e consultazioni sono emerse disparità significative tra le legislazioni dei vari Stati membri nel settore del credito alle persone fisiche in generale, soprattutto con riferimento al credito al consumo. L’analisi dei testi nazionali che recepiscono la direttiva 87/102/CEE [ ( 2 )] rivela che gli Stati membri utilizzano una serie di meccanismi di tutela dei consumatori, che si aggiungono a quanto previsto dalla direttiva 87/102/CEE, a causa delle diverse situazioni economiche o giuridiche a livello nazionale.

(4)

Lo stato di fatto e di diritto risultante da tali disparità nazionali in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all’interno della [Unione] e fa sorgere ostacoli nel mercato interno quando gli Stati membri adottano disposizioni cogenti diverse e più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva 87/102/CEE. Ciò limita le possibilità per i consumatori di beneficiare direttamente della crescente disponibilità di credito transfrontaliero. Tali distorsioni e restrizioni possono a loro volta avere conseguenze sulla domanda di merci e servizi.

(…)

(6)

A norma del trattato, il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e dei servizi nonché la libertà di stabilimento. Lo sviluppo di un mercato creditizio più trasparente ed efficiente nello spazio senza frontiere interne è essenziale per promuovere lo sviluppo delle attività transfrontaliere.

(7)

Per facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo è necessario prevedere un quadro comunitario armonizzato in una serie di settori fondamentali. Visto il continuo sviluppo del mercato del credito al consumo e considerata la crescente mobilità dei cittadini europei, una legislazione comunitaria lungimirante, che sia adattabile alle future forme di credito e lasci agli Stati membri un adeguato margine di manovra in sede di attuazione, dovrebbe contribuire alla creazione di un corpus normativo moderno in materia di credito al consumo.

(8)

È opportuno che il mercato offra un livello di tutela dei consumatori sufficiente, in modo da assicurare la fiducia dei consumatori. Ciò dovrebbe rendere possibile la libera circolazione delle offerte di credito nelle migliori condizioni sia per gli operatori dell’offerta sia per i soggetti che rappresentano la domanda, sempre tenendo conto di situazioni particolari nei singoli Stati membri.

(9)

È necessaria una piena armonizzazione che garantisca a tutti i consumatori della [Unione europea] di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e che crei un vero mercato interno. Pertanto, agli Stati membri non dovrebbe essere consentito di mantenere o introdurre disposizioni nazionali diverse da quelle previste dalla presente direttiva. Tuttavia, tale restrizione dovrebbe essere applicata soltanto nelle materie armonizzate dalla presente direttiva. Laddove tali disposizioni armonizzate mancassero, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali. (…)

(…)

(19)

Affinché i consumatori possano prendere le loro decisioni con piena cognizione di causa, è opportuno che ricevano informazioni adeguate, che il consumatore possa portare con sé ed esaminare, prima della conclusione del contratto di credito, circa le condizioni e il costo del credito e le loro obbligazioni. Per assicurare la maggiore trasparenza possibile e per consentire il raffronto tra le offerte, tali informazioni dovrebbero comprendere, in particolare, il tasso annuo effettivo globale relativo al credito, determinato nello stesso modo in tutta la [Unione]. (…)

(…)

(31)

Per consentire al consumatore di conoscere i suoi diritti e obblighi in virtù del contratto di credito, questo dovrebbe contenere tutte le informazioni necessarie in modo chiaro e conciso».

5.

L’articolo 1 della direttiva 2008/48, intitolato «Oggetto», così recita:

«La presente direttiva ha per obiettivo l’armonizzazione di taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori».

6.

L’articolo 3 di detta direttiva, recante il titolo «Definizioni», così recita:

«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

(…)

(g)

“costo totale del credito per il consumatore”: tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte».

7.

L’articolo 5 della direttiva 2008/48, intitolato «Informazioni precontrattuali», così dispone:

«1.   Il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito, sulla base delle condizioni di credito offerte dal creditore e, se del caso, delle preferenze espresse e delle informazioni fornite dal consumatore, forniscono al consumatore, in tempo utile prima che egli sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito, le informazioni necessarie per raffrontare le varie offerte al fine di prendere una decisione con cognizione di causa in merito alla conclusione di un contratto di credito. Tali informazioni, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, sono fornite mediante il modulo relativo alle “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori” riportate nell’allegato II. Si considera che il creditore abbia soddisfatto gli obblighi di informazione di cui al presente paragrafo e all’articolo 3, paragrafi 1 e 2[,] della direttiva 2002/65/CE [ ( 3 )] se ha fornito le “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori”.

Le informazioni di cui trattasi riguardano:

(a)

il tipo di credito;

(b)

l’identità e l’indirizzo geografico del creditore, nonché, se del caso, l’identità e l’indirizzo geografico dell’intermediario del credito;

(c)

l’importo totale del credito e le condizioni di prelievo;

(d)

la durata del contratto di credito;

(e)

in caso di credito sotto forma di dilazione di pagamento per una merce o un servizio specifici e dei contratti di credito collegati, tale merce o servizio e il relativo prezzo in contanti;

(f)

il tasso debitore, le condizioni che ne disciplinano l’applicazione e, se disponibile, ogni indice o tasso di riferimento applicabile al tasso debitore iniziale, nonché i periodi, le condizioni e la procedura di modifica del tasso debitore. (…)

(g)

il tasso annuo effettivo globale e l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare (…).

(…)

Qualsiasi informazione aggiuntiva che il creditore desiderasse fornire al consumatore è fornita in un documento distinto che può essere allegato al modulo relativo alle “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori”.

(…)

4.   Su richiesta, al consumatore, oltre alle “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori”, è fornita gratuitamente copia della bozza del contratto di credito. (…)

(…)

6.   Gli Stati membri provvedono affinché i creditori e, se del caso, gli intermediari del credito forniscano al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni precontrattuali che devono essere fornite conformemente al paragrafo 1, le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento. (…)».

8.

L’articolo 10 della medesima direttiva, intitolato «Informazioni da inserire nei contratti di credito», così dispone, ai paragrafi 1 e 2:

«1.   I contratti di credito sono redatti su supporto cartaceo o su altro supporto durevole.

Tutte le parti del contratto ricevono copia del contratto di credito. Il presente articolo si applica fatte salve le norme nazionali riguardanti la validità della conclusione dei contratti conformi alla normativa [dell’Unione].

2.   Nel contratto di credito figurano, in modo chiaro e conciso, le informazioni seguenti:

(a)

il tipo di credito;

(b)

l’identità e l’indirizzo geografico delle parti del contratto, nonché, se del caso, l’identità e l’indirizzo geografico dell’intermediario del credito;

(c)

la durata del contratto di credito;

(d)

l’importo totale del credito e le condizioni di prelievo;

(e)

in caso di credito sotto forma di dilazione di pagamento per una merce o un servizio specifici o di contratti di credito collegati, tale merce o servizio e il relativo prezzo in contanti;

(f)

il tasso debitore, le condizioni che ne disciplinano l’applicazione e, se disponibile, ogni indice o tasso di riferimento applicabile al tasso debitore iniziale, nonché i periodi, le condizioni e le procedure di modifica del tasso debitore. Qualora si applichino tassi debitori diversi in circostanze diverse, le suddette informazioni in merito a tutti i tassi applicabili;

(g)

il tasso annuo effettivo globale e l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare, calcolati al momento della conclusione del contratto di credito; sono indicate tutte le ipotesi utilizzate per il calcolo;

(…)».

9.

L’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, intitolato «Armonizzazione e obbligatorietà della direttiva», precisa che:

«Nella misura in cui la presente direttiva contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite».

B.   Diritto nazionale

10.

L’ustawa z dnia 7 lipca 2005 r. o zmianie ustawy Kodeks cywilny oraz o zmianie niektórych innych ustaw (legge del 7 luglio 2005, che modifica la legge che istituisce il codice civile e talune altre leggi) (Dz. U. del 2005, n. 157, posizione 1316), ha introdotto, nell’ustawa z dnia 23 kwietnia 1964 r. — Kodeks cywilny (legge del 23 aprile 1964, che promulga il codice civile) (Dz. U. 2014, posizione 121, versione consolidata), e successive modifiche (in prosieguo: il «codice civile»), l’articolo 359, paragrafo 22. Tale disposizione stabilisce l’importo massimo degli interessi di cui si può chiedere il pagamento a fronte di un negozio giuridico, vale a dire il doppio del tasso d’interesse legale annuo. Attualmente, tale limite massimo corrisponde al 10% del capitale preso in prestito.

11.

Alcuni creditori hanno aggirato il limite di cui trattasi, imposto a livello nazionale, aumentando artificiosamente l’ammontare di commissioni e spese addebitate. A fronte di tale problema, i giudici nazionali hanno dichiarato che, quando le clausole che fissavano le commissioni o spese in parola venivano contestate o quando il creditore intentava un procedimento dinanzi ad un giudice per ottenerne il pagamento, occorreva di conseguenza provare l’esistenza di una contropartita per le commissioni o spese addebitate in aggiunta agli interessi. In assenza di detta contropartita o qualora le commissioni o le spese si rivelassero dovute in cambio del capitale fornito, i giudici nazionali hanno ritenuto che le commissioni o le spese in parola fossero intese ad eludere le disposizioni dell’articolo 359, paragrafo 2, del codice civile. Per effetto di ciò, il loro importo veniva ridotto all’importo massimo degli interessi il cui pagamento poteva essere richiesto a norma dell’articolo 359, paragrafo 2, del codice civile. Quando le commissioni o le spese erano il corrispettivo di un servizio diverso dal capitale fornito, siffatte clausole potevano tuttavia essere dichiarate nulle in quanto abusive ai sensi della normativa nazionale che ha recepito la direttiva 93/13/CEE del Consiglio ( 4 ).

12.

Al fine di rafforzare il controllo sulle tariffe praticate dai creditori, il legislatore polacco ha allora introdotto un meccanismo volto a porre un limite all’importo dei costi del credito extrainteressi che possono essere chiesti, mediante gli articoli 5, paragrafo 6a, e 36a dell’ustawa z dnia 12 maja 2011 r. o kredycie konsumenckim (legge del 12 maggio 2011, relativa al credito ai consumatori) (Dz. U. 2011, n. 126, posizione 715) (in prosieguo: la «legge relativa al credito ai consumatori»).

13.

L’articolo 5, paragrafi 6, 6a, 7 e 8 della legge relativa al credito ai consumatori definisce una serie di nozioni a cui si fa riferimento nella legge in parola. Nella versione citata dal giudice del rinvio, detta disposizione stabilisce quanto segue:

«(6)

costo totale del credito - tutti i costi che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito, in particolare:

(a)

gli interessi, le spese, le commissioni, le imposte ed i margini, di cui il creditore è a conoscenza; nonché

(b)

i costi relativi a servizi accessori, in particolare i premi assicurativi, se il loro pagamento è obbligatorio per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte, escluse le spese notarili che sono a carico del consumatore;

(6a)

costi del credito extrainteressi - tutti i costi sostenuti dal consumatore in relazione al contratto di credito al consumo, esclusi gli interessi;

(7)

importo totale del credito – il limite massimo di tutti gli importi, esclusi i costi del credito, che il creditore mette a disposizione del consumatore in virtù di un contratto di credito e, in caso di contratti per i quali non è stato previsto tale limite massimo, la somma di tutti gli importi, esclusi i costi del credito, che il creditore mette a disposizione del consumatore in virtù di un contratto di credito;

(8)

importo totale che il consumatore è tenuto a pagare - la somma del costo totale del credito più l’importo totale del credito».

14.

L’articolo 13 della legge relativa al credito ai consumatori è così formulato:

«1.

Il creditore o l’intermediario del credito, prima della conclusione di un contratto di credito al consumo, è tenuto a fornire al consumatore, su un supporto durevole, in tempo utile per consentirgliene la piena conoscenza, le seguenti informazioni:

(…)

(5)

l’importo totale del credito;

(6)

i termini e le modalità di prelievo del credito;

(7)

l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare;

(…)

(10)

se del caso, le informazioni su altri costi che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito al consumo, in particolare, sugli interessi, sulle commissioni, sui margini, sulle spese, comprese le spese di gestione di uno o più conti su cui sono registrate le operazioni di pagamento e i prelievi, tra cui le spese relative all’utilizzazione di un mezzo di pagamento che permetta di effettuare pagamenti e prelievi, nonché sui costi relativi a servizi accessori, in particolare sui premi assicurativi, di cui il creditore sia a conoscenza, nonché sulle condizioni alle quali i suddetti costi possono essere modificati;

(11)

l’informazione circa la necessità di pagare le eventuali spese notarili;

(…)».

15.

L’articolo 30 della legge relativa al credito ai consumatori così dispone:

«1.

Il contratto di credito al consumo, fatti salvi gli articoli da 31 a 33, deve specificare:

(…)

(2)

il tipo di credito;

(…)

(4)

l’importo totale del credito;

(5)

i termini e le modalità di prelievo del credito;

(6)

il tasso debitore, (…);

(7)

il tasso annuo effettivo globale e l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare stabilito al momento della conclusione del contratto di credito al consumo, con l’indicazione di tutti i criteri utilizzati per il suo calcolo;

(8)

le condizioni e le scadenze di rimborso del credito, (…);

(9)

un estratto delle scadenze e delle condizioni di pagamento degli interessi debitori e di ogni altro costo del credito, nel caso in cui il creditore o l’intermediario del credito conceda un periodo di tolleranza per il rimborso del credito;

(10)

informazioni sugli altri costi che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito al consumo, in particolare sulle spese, comprese le spese di gestione di uno o più conti su cui sono registrate le operazioni di pagamento e i prelievi, tra cui le spese relative all’utilizzazione di un mezzo di pagamento che permetta di effettuare pagamenti e prelievi, nonché sulle commissioni, sui margini e sui costi dei servizi accessori, in particolare sui premi assicurativi, di cui il creditore sia a conoscenza, nonché sulle condizioni alle quali i suddetti costi possono essere modificati;

(…)».

16.

L’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori prevede quanto segue:

«1.   L’importo massimo dei costi di credito extrainteressi è calcolato secondo la seguente formula:

MPKK ≤ (K × 25%) + (K × n/R × 30%)

in cui i singoli simboli stanno per:

MPKK - importo massimo dei costi di credito extrainteressi,

K - importo totale del credito,

n - periodo di rimborso, espresso in giorni,

R - numero di giorni per anno.

2.   I costi del credito extrainteressi non possono superare, per l’intera durata del credito, l’importo totale del credito.

3.   I costi del credito extrainteressi risultanti da un contratto di credito al consumo non sono dovuti nella misura in cui essi superano l’importo massimo dei costi del credito extrainteressi calcolati secondo le modalità di cui al paragrafo 1 o l’importo totale del credito».

17.

L’articolo 45, paragrafo 1, della legge relativa al credito ai consumatori prevede la decadenza da interessi e altri costi del credito a titolo di sanzione per eventuali violazioni dell’articolo 36a. A norma dell’articolo 47 di detta legge, le clausole contrattuali non possono escludere né limitare i diritti del consumatore.

II. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

18.

Le due cause pendenti dinanzi al giudice del rinvio, riunite con decisione dell’8 novembre 2018, vertono sul pagamento di crediti derivanti da due distinti contratti di credito conclusi da XO.

19.

La prima causa riguarda un contratto di prestito in contanti concluso il 21 dicembre 2016 tra Mikrokasa e XO, in virtù del quale XO aveva ricevuto in prestito 4000 zloty polacchi (PLN) (circa EUR 940). In base a tale contratto – che non era stato negoziato tra le parti – XO si impegnava a pagare le spese di istruttoria della pratica di prestito, pari a PLN 600 (circa EUR 139), gli oneri amministrativi, pari a PLN 3400 (circa EUR 790) nonché gli interessi contrattuali al tasso del 7% annuo, per un importo totale, per tutta la durata del prestito, pari a PLN 371,87 (circa EUR 86).

20.

Il contratto di prestito in contanti indica che l’«importo totale che il consumatore è tenuto a pagare» – descritto come «la somma di tutti gli importi che la mutuante metterà a disposizione del Mutuatario/della Mutuataria e di tutti i costi che il Mutuatario/la Mutuataria sarà tenuto/a a sostenere in relazione al contratto di credito» – ammontava a PLN 8371,87 (circa EUR 1946). Il contratto di prestito in contanti precisa altresì che i «costi del credito extrainteressi» ammontavano a PLN 4000 (circa EUR 929).

21.

La ricorrente spiega che i costi del credito extrainteressi sono stati fissati al limite inferiore dei costi che i professionisti sostengono e che pertanto dette spese dovrebbero essere necessariamente inferiori ai costi effettivamente sostenuti dai creditori. Essa ha fatto altresì riferimento alla giurisprudenza degli organi giurisdizionali nazionali polacchi, secondo la quale il controllo relativo a un’eventuale eccessiva onerosità dei costi del credito extrainteressi non è ammissibile fintantoché detti importi rientrino nei limiti massimi dei costi del credito extrainteressi.

22.

Non avendo XO rimborsato a Mikrokasa alcun importo dovuto, il 30 giugno 2017 quest’ultima ha agito giudizialmente contro XO dinanzi al Sąd Rejonowy Lublin Zachód w Lublinie (Tribunale circondariale di Lublino Ovest, Polonia), chiedendo l’importo di PLN 8184,53 per il mancato rimborso del prestito da parte di XO.

23.

Con decisione del 10 ottobre 2017, il Sąd Rejonowy Lublin Zachód w Lublinie (Tribunale circondariale di Lublino Ovest) ha ritenuto che non vi fosse alcun motivo per emettere un’ingiunzione di pagamento e ha rinviato la causa al giudice competente in materia di consumo, ossia il giudice del rinvio.

24.

La seconda causa riguarda un contratto di prestito concluso il 21 novembre 2016 tra l’IPF Polska sp. z o.o. in Varsavia (in prosieguo: la «creditrice») e XO, parimenti non negoziato tra le parti, in forza del quale la creditrice ha messo a disposizione di XO un importo in contanti pari a PLN 3000 (circa EUR 698).

25.

In base a siffatto contratto, XO si era impegnata a pagare una commissione per spese di istruttoria, pari a PLN 2084 (circa EUR 484), nonché interessi contrattuali al tasso del 10% annuo, per un importo totale, per tutta la durata del prestito, di PLN 248,41 (circa EUR 57).

26.

Il ricorrente della seconda causa di cui trattasi, Revenue Niestandaryzowany Sekurytyzacyjny Fundusz Inwestycyjny Zamknięty (in prosieguo: «Revenue»), ha acquistato dalla creditrice il diritto di credito nei confronti della convenuta sulla base di un contratto di cessione dei crediti. La convenuta ha pagato al ricorrente un piccolo importo dovuto in forza del contratto di prestito.

27.

Il 27 ottobre 2017, Revenue ha proposto ricorso contro XO dinanzi al Sąd Rejonowy Lublin Zachód w Lublinie (Tribunale circondariale di Lublino Ovest), chiedendo la condanna di quest’ultima al pagamento di PLN 5196,68 (circa EUR 1208).

28.

Il 29 novembre 2017, il Sąd Rejonowy Lublin Zachód w Lublinie (Tribunale circondariale di Lublino Ovest) ha emesso un’ingiunzione di pagamento con la quale sono state accolte le domande del ricorso. Il consumatore ha presentato opposizione avverso la suddetta ingiunzione e la seconda causa è stata attribuita al giudice del rinvio.

29.

Nelle sue memorie, XO ha affermato, in sostanza, che la protezione offerta dall’articolo 359, paragrafo 21, sarebbe insufficiente e che la nozione di «costi del credito extrainteressi» usata da tale disposizione per calcolare le commissioni massime che possono essere imposte non rispecchierebbe il costo reale del prestito.

30.

A tale riguardo, il giudice nazionale dichiara che in entrambi i procedimenti i costi del credito extrainteressi non superano l’importo massimo consentito dall’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori. Tuttavia, il giudice in parola nutre dubbi circa la conformità al diritto dell’Unione dell’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori, nella misura in cui detta nozione di costi del credito extrainteressi non è menzionata nella direttiva 2008/48. Anche se l’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori persegue obiettivi diversi dall’informazione nei confronti dei consumatori, la creazione di questa nuova categoria di costi potrebbe essere in contrasto con l’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla direttiva, in quanto, in particolare, l’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori non prevede l’obbligo di informare i consumatori dei costi del credito extrainteressi, anche quando essi sono inferiori al limite massimo stabilito in detta disposizione.

31.

Il giudice nazionale si chiede inoltre se le diverse clausole che stabiliscono i costi del credito extrainteressi siano oggetto della direttiva 93/13 e se esse rientrino nell’eccezione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della medesima direttiva. Infatti, sebbene l’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori indichi un limite superiore per i costi del credito extrainteressi che possono essere imposti, detta disposizione non fissa l’importo esatto dei costi del credito extrainteressi che possono essere imposti. La questione che si pone è dunque se si possa ritenere che le clausole relative alle tariffe, ove conformi a detta disposizione, rispecchino le disposizioni legislative o regolamentari imperative ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

32.

Il Sąd Rejonowy w Siemianowicach Śląskich (Tribunale circondariale di Siemianowice Śląskie) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«(1)

Se le disposizioni della direttiva [2008/48], e successive modifiche, segnatamente gli articoli 3, lettera g), 10, paragrafo 1, e 22, paragrafo 1, debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a che i cosiddetti “costi del credito extrainteressi”, stabiliti in misura forfettaria secondo una formula di calcolo prevista per legge, descritta all’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori, vengano distinti dal cosiddetto “costo totale del credito per il consumatore”, definito nella succitata direttiva, in modo che renda possibile nascondere al consumatore gli effettivi costi del credito extrainteressi sostenuti dal professionista.

(2)

Se le disposizioni della direttiva [93/13], e successive modifiche, segnatamente gli articoli 1, paragrafo 2, 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, debbano essere interpretate nel senso che esse ostano al controllo delle clausole dei contratti di credito ai consumatori alla luce delle prescrizioni di cui all’articolo 3 della medesima direttiva, nella parte relativa ai cosiddetti costi del credito extrainteressi, i cui criteri di determinazione sono specificati all’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori».

III. Analisi

33.

Come richiesto dalla Corte, nelle presenti conclusioni limiterò le mie osservazioni alla prima questione.

A.   Osservazioni preliminari

34.

Occorre anzitutto rilevare che i dubbi espressi dal giudice del rinvio sono legati al riferimento, effettuato dall’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori, alla nozione di costi del credito extrainteressi. Dal momento che la direttiva 2008/48 non menziona né la succitata nozione né nozioni analoghe ad essa, il giudice del rinvio si chiede se la normativa nazionale possa fare riferimento a tale nozione e se i contratti di credito dovrebbero o semplicemente possono menzionare l’importo di siffatti costi. Di conseguenza, la prima questione presenta due aspetti distinti.

35.

Il primo consiste nel determinare se l’articolo 10, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, osti a che una disposizione nazionale, come l’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori, faccia riferimento, ai fini della propria applicazione, ad una nozione non prevista dalla direttiva 2008/48, come quella dei «costi del credito extrainteressi».

36.

Il secondo aspetto consiste nell’accertare se tali disposizioni dell’Unione ostino ad una normativa nazionale che consente ai contratti di credito di includere, tra le informazioni fornite ai consumatori, informazioni diverse da quelle indicate in tale direttiva, come i costi del credito extrainteressi.

37.

Propongo ora di esaminare separatamente i due punti.

38.

A tal riguardo, sembra che non tutte le disposizioni citate dal giudice del rinvio nella sua prima questione – segnatamente gli articoli 3, lettera g), 10, paragrafo 1, e 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 – siano pertinenti.

39.

Per quanto riguarda l’articolo 3, lettera g), sebbene esso definisca la nozione di «costo totale del credito per il consumatore», dal fascicolo della Corte non risulta che il riferimento a detto costo totale, o il calcolo del medesimo, sia contestato in uno dei due contratti oggetto della presente causa.

40.

Quanto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, dal suo tenore letterale si evince che la disposizione in parola riguarda il supporto su cui i contratti di credito devono essere redatti. Anche la disposizione di cui trattasi non sembra dunque collegata alla prima questione posta. È vero che l’articolo 10, paragrafo 1, precisa che tale disposizione si applica fatte salve le norme nazionali riguardanti la validità della conclusione di contratti conformi alla normativa dell’Unione. Tuttavia, poiché una siffatta indicazione mira a chiarire l’ambito di applicazione delle altre disposizioni di cui all’articolo 10, la disposizione in parola non può essere interpretata in modo indipendente.

41.

In tali circostanze si può osservare che il paragrafo pertinente dell’articolo 10 della direttiva 2008/48 non è, di fatto, il paragrafo 1, bensì il paragrafo 2, che definisce le informazioni rilevanti che devono essere inserite nei contratti di credito.

42.

Di conseguenza, per fornire una risposta utile al giudice del rinvio, propongo di esaminare la questione posta come diretta ad accertare, in primo luogo, se l’articolo 10, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che una normativa nazionale faccia riferimento all’importo del costo del credito extrainteressi dovuto, posto che tale normativa non impone ai creditori di menzionare detto importo sui contratti di credito, e, in secondo luogo, se, ai sensi di tali disposizioni, una normativa nazionale possa consentire ai creditori di menzionare volontariamente l’informazione in parola in un contratto di credito.

B.   Se la normativa nazionale possa utilizzare una nozione che non è prevista dalla direttiva 2008/48 nell’ambito dei contratti di credito

43.

L’articolo 1 della direttiva 2008/48 stabilisce che la direttiva in parola armonizza taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori.

44.

A tale proposito, il considerando 9 della medesima direttiva precisa che, relativamente a tali aspetti, si auspica una piena armonizzazione delle normative nazionali che garantisca a tutti i consumatori dell’Unione di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e che crei un vero mercato interno.

45.

Di conseguenza, l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 dispone che, nella misura in cui la direttiva di cui trattasi contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite ( 5 ).

46.

In detto contesto, l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 prevede, come risulta dal titolo, l’armonizzazione delle informazioni che devono essere obbligatoriamente inserite in un contratto di credito. La disposizione di cui trattasi non menziona, tra detti elementi, l’importo dei costi del credito extrainteressi dovuti.

47.

L’articolo 10, paragrafo 2, impone tuttavia ai creditori di indicare il costo totale del credito per il consumatore. L’articolo 3, lettera g), definisce quest’ultima espressione come «tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili». Dal momento però che il legislatore dell’Unione ha semplicemente imposto ai creditori di menzionare solo detto totale ‐ e non i diversi costi che lo compongono – gli Stati membri non possono prevedere obblighi alternativi nell’ambito della loro normativa nazionale, indipendentemente dal fatto che un siffatto obbligo di informazione riguardi o meno un importo che rappresenta una parte del costo totale del credito ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 ( 6 ). Conseguentemente, una legge nazionale non può essere in contrasto con tale direttiva per il fatto che essa non prevede l’obbligo di informare i consumatori dei costi del credito extrainteressi, nel significato attribuito a quest’ultima nozione dal diritto nazionale.

48.

Ciò non significa, tuttavia, che l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 osti a che gli Stati membri utilizzino informazioni non menzionate in detta direttiva ai fini dell’applicazione di una norma che non impone obblighi di informazione. Si tratta di una distinzione cruciale la quale, a mio avviso, costituisce il fulcro del caso di specie. Infatti, quando un atto dell’Unione armonizza un determinato aspetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri, tale armonizzazione non osta all’applicazione di norme nazionali che non rientrano nel suo ambito di applicazione, purché le norme in parola non ostino esse stesse all’applicazione del diritto dell’Unione.

49.

Ad esempio, nella sentenza Assica e Kraft Foods Italia ( 7 ), la Corte ha dichiarato che, sebbene il regime di protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine istituito dal regolamento (CEE) n. 2081/92 ( 8 ) sia esauriente, detta esclusività non osta a che si applichi un regime di protezione delle denominazioni geografiche il quale si colloca al di fuori dell’ambito di applicazione del regolamento di cui trattasi. Poiché quest’ultimo ha lo scopo di proteggere indicazioni e denominazioni utilizzate per mettere in rilievo un nesso particolare tra le caratteristiche di un prodotto e la sua origine geografica, la Corte ha affermato che l’esclusività del regime non osta all’esistenza di un regime nazionale volto a vietare l’uso di indicazioni geografiche ingannevoli, nella misura in cui detto regime non richieda, per la sua applicazione, che i prodotti rilevanti possiedano caratteristiche particolari ( 9 ).

50.

Analogamente, nel campo del diritto dei consumatori, ma nella fattispecie in relazione alla direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ( 10 ), la Corte ha dichiarato, nella sentenza Kirschstein ( 11 ), che, anche se tale direttiva armonizza completamente le norme relative alle pratiche commerciali sleali ( 12 ), essa non osta ad una normativa nazionale che prevede la condanna penale delle persone che conferiscono, senza esservi state previamente autorizzate dall’autorità competente, taluni diplomi. Dal momento che la normativa di cui trattasi in detta causa non aveva lo scopo di sanzionare talune modalità di promozione o di commercializzazione di servizi nel settore dell’istruzione superiore, ma era piuttosto volta a determinare l’operatore che è autorizzato a fornire un servizio, senza disciplinare direttamente le pratiche che tale operatore può conseguentemente attuare per promuovere o smaltire le vendite di tale servizio, la Corte ha ritenuto che detta normativa nazionale non rientri nell’ambito dalla direttiva 2005/29 ( 13 ).

51.

Nel procedimento principale, emerge dal fascicolo della Corte, sebbene l’accertamento spetti al giudice nazionale, che la nozione di «costo del credito extrainteressi» definita nell’articolo 5, paragrafo 6, lettera a), della legge relativa al credito ai consumatori viene utilizzata soltanto ai fini dell’applicazione dell’articolo 36a di detta legge.

52.

Nella misura in cui la normativa nazionale non prevede l’obbligo di informare il consumatore circa l’importo del costo dei crediti extrainteressi dovuto, bensì ha lo scopo di fissare l’importo massimo di tale tipo di costi che può essere posto a carico di un consumatore – interpretazione confermata nel corso dell’udienza da parte del governo polacco –, il riferimento a detto importo effettuato dagli articoli 5, paragrafo 6, lettera a), e 36a della legge relativa al credito ai consumatori non rientra nell’ambito dell’armonizzazione completa realizzata dalla direttiva 2008/48.

53.

Secondo il giudice nazionale, l’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori può tuttavia essere in contrasto con la direttiva 2008/48, in quanto il metodo di calcolo del costo del credito extrainteressi che può essere posto a carico del consumatore, come previsto da detta disposizione, non rispecchia il costo del credito effettivamente sostenuto dal creditore.

54.

È tuttavia importante sottolineare che né la direttiva 2008/48 né, parimenti, altri atti dell’Unione ( 14 ) armonizzano il costo dei contratti di credito o, per quanto riguarda ciò, l’importo massimo delle spese che possono essere poste a carico dei consumatori. Ne deriva, pertanto, che gli Stati membri possono in linea di principio utilizzare disposizioni nazionali per regolare le tariffe nel mercato del credito al consumo, perfino qualora, a tal fine, esse facciano riferimento a norme che non riflettono il costo effettivo del credito sostenuto dal creditore, sempre che tali disposizioni non incidano sui settori armonizzati dal diritto dell’Unione.

55.

Il giudice nazionale si interroga altresì circa la compatibilità dell’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori con l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, in quanto non sussiste un obbligo per i creditori di menzionare, nei contratti di credito, il costo del credito extrainteressi dovuto, nonostante tale informazione possa essere importante per i consumatori.

56.

A tal riguardo, è sufficiente ricordare che la direttiva 2008/48 non menziona l’importo del costo del credito extrainteressi dovuto tra le informazioni che devono essere obbligatoriamente inserite in un contratto di credito. Dal momento che l’armonizzazione realizzata da tale direttiva è esaustiva, la validità della normativa nazionale non può essere contestata per il motivo che detta informazione non è stata inserita ( 15 ).

57.

In tale contesto, non tralascio il fatto che il giudice del rinvio sembra mettere implicitamente in discussione la validità della piena armonizzazione realizzata dall’articolo 10, paragrafo 2, in quanto detto articolo può apparire in contrasto con l’obiettivo di garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, perseguito dalla direttiva 2008/48 ( 16 ). Si può tuttavia osservare che – come evidenziato dalla Commissione in udienza – l’obiettivo specifico di cui trattasi, pur essendo naturalmente di considerevole importanza, non è in alcun modo l’unico obiettivo perseguito dalla direttiva in parola. Infatti, dai considerando da 3 a 7 della medesima direttiva emerge chiaramente che essa mira in primo luogo a ridurre residue disparità nazionali e distorsioni della concorrenza tra i creditori, obiettivo che può essere perseguito soltanto attraverso la piena armonizzazione delle informazioni da inserire in un contratto di credito.

58.

In secondo luogo, si potrebbe altresì osservare che fornire informazioni eccessive ai consumatori può in realtà essere controproducente. Dato che la direttiva 2008/48 dispone già che le leggi nazionali devono imporre ai creditori di inserire nei contratti di credito ai consumatori informazioni come l’importo totale del credito ( 17 ), il tasso annuo effettivo globale ( 18 ) o l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare ( 19 ), il legislatore dell’Unione potrebbe aver ragionevolmente ritenuto che dette informazioni siano sufficienti a consentire ai consumatori di valutare le conseguenze economiche potenzialmente significative del loro contratto di credito e che non fosse necessario obbligare i creditori a menzionare nel contratto di credito anche l’importo dei costi del credito extrainteressi dovuti. Sebbene alcuni, senza dubbio, possano preferire una diversa conclusione, si trattava, in ogni caso, di una scelta politica che spettava al legislatore dell’Unione compiere.

59.

Si può ritenere, a mio avviso, che le suddette considerazioni giustifichino la conclusione secondo cui la direttiva di cui trattasi osta a che gli Stati membri impongano ai professionisti del credito, nel loro ordinamento nazionale, obblighi di informazione diversi da quelli espressamente previsti dall’articolo 10, paragrafo 2.

60.

In ogni caso, nel procedimento principale, dal fascicolo della Corte si evince che né l’articolo 5, paragrafo 6a, né l’articolo 36a della legge relativa al credito ai consumatori prescrivono che l’importo dei costi del credito extrainteressi dovuti debba essere menzionato nel contratto di credito, fatta salva, naturalmente, la verifica da parte dei giudici nazionali. Se, tuttavia, tale interpretazione è corretta, allora occorre osservare che le disposizioni in parola fanno semplicemente riferimento a detto tipo di costo ai soli fini dell’applicazione di un meccanismo di controllo delle tariffe in relazione a tali costi.

61.

Di conseguenza, ritengo che dette disposizioni nazionali non siano in contrasto con l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, in quanto esse non rientrano nell’ambito di applicazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori che sono state pienamente armonizzate dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48.

C.   Se un creditore possa menzionare volontariamente l’importo dei costi del credito extrainteressi dovuti

62.

Per quanto concerne la possibilità di menzionare volontariamente, nel contratto di credito, i costi del credito extrainteressi dovuti, occorre rilevare, come chiarito dai considerando da 3 a 9 della direttiva 2008/48, che quest’ultima mira sia a porre rimedio a distorsioni della concorrenza legate all’applicazione di varie misure nazionali di tutela dei consumatori, da un lato, sia a garantire ai consumatori la fruizione di un livello elevato di tutela, dall’altro lato. Né l’uno né l’altro obiettivo renderebbero necessario il divieto per i creditori di aggiungere altre informazioni nei contratti di credito.

63.

In particolare, per quanto riguarda l’obiettivo di porre rimedio alle distorsioni della concorrenza, occorre rilevare che siffatte distorsioni possono esistere soltanto nella misura in cui la normativa nazionale in materia di tutela dei consumatori imponga obblighi distinti non previsti dalla direttiva 2008/48. Se, tuttavia, si applica il principio di proporzionalità – in base al quale tutti gli atti adottati dall’Unione si limitano a quanto è necessario per conseguire il loro obiettivo ( 20 ) ‐ la direttiva 2008/48 non osta a che i creditori forniscano volontariamente altre informazioni ai consumatori.

64.

La soluzione in parola può sembrare ovvia, ma sarebbero potuti sussistere dubbi dal momento che, da un lato, le informazioni menzionate in detta disposizione includono, in linea di principio, tutte le informazioni necessarie per la formazione di un contratto. D’altro lato, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, che riguarda le informazioni che devono essere fornite prima che un consumatore sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito, menziona espressamente, al terzo comma, che quando il creditore fornisce al consumatore informazioni aggiuntive oltre a quelle di cui al secondo comma, deve fornirle in un documento distinto.

65.

Il fatto, tuttavia, che l’articolo 10, paragrafo 2, faccia riferimento a tutti gli elementi costitutivi di un contratto non è sufficiente per concludere che l’intenzione del legislatore dell’Unione consistesse nel limitare le clausole di un contratto di credito a detti elementi.

66.

Ritengo inoltre che l’assenza di una disposizione analoga all’articolo 5, paragrafo 1, terzo comma, nell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 non debba essere interpretata nel senso che essa vieta ai creditori di inserire nei contratti di credito informazioni diverse da quelle menzionate in detta disposizione.

67.

Infatti, sebbene tanto l’articolo 5, paragrafo 1, quanto l’articolo 10, paragrafo 2, contribuiscano a realizzare l’obiettivo generale di informare i consumatori, perseguito dalla direttiva 2008/48, il ruolo degli obblighi di informazione stabiliti nelle disposizioni in parola è, tuttavia, leggermente diverso.

68.

L’articolo 5 della direttiva 2008/48 armonizza le informazioni precontrattuali che devono essere fornite ai consumatori attraverso un documento completo. Come indicato nel considerando 19 della direttiva 2008/48, le informazioni che devono essere fornite in tale fase sono quelle che, secondo detto considerando, assicurano la maggiore trasparenza possibile e consentono il raffronto tra le offerte.

69.

Affinché un siffatto raffronto sia efficace, le informazioni fornite devono essere necessariamente standardizzate. Ciò a sua volta comporta che i punti di raffronto debbano restare limitati a quelli che il legislatore dell’Unione ha considerato rilevanti. Infatti, come sottolineato dall’Office of Fair Trading (OFT) (ufficio britannico per il commercio leale) ( 21 ) – che aveva il compito di tutelare gli interessi dei consumatori in tutto il Regno Unito, prima di essere chiuso il 1o aprile 2014 ‐ «molte persone non leggono il contratto per intero e si concentrano invece sugli elementi principali, come la tariffa» ( 22 ). Quando un contratto si compone di diversi documenti, i consumatori «rinunciano spesso alla lettura di un documento per leggerne un altro, scegliendo di leggere il documento che ritengono più importante» ( 23 ).

70.

Benché lo studio di cui trattasi sia stato condotto dopo l’adozione della direttiva 2008/48, l’esperienza comune indica che tali risultati non sono sorprendenti. È improbabile che la monotona verbosità che caratterizza di norma i moduli uniformi dei contratti di credito desti attenzione se non in un’esigua minoranza di audaci e scrupolosi avvocati civilisti. Lo studio illustra, tuttavia, per quale motivo, a mio avviso, il legislatore dell’Unione potrebbe aver ragionevolmente deciso, nell’ambito di quanto previsto dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, che le informazioni ritenute essenziali debbano essere comunicate in un unico documento completo, segnatamente il modulo relativo alle Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori, mentre le altre informazioni devono essere fornite in un documento separato ( 24 ).

71.

L’articolo 10, paragrafo 2, persegue un obiettivo leggermente diverso, in quanto il consumatore dovrebbe confrontare le diverse offerte e scegliere la più vantaggiosa per sé sulla base delle informazioni indicate nell’articolo 5. Come si evince dal considerando 31 della direttiva 2008/48, lo specifico obiettivo perseguito dall’articolo 10, paragrafo 2, è quello di consentire al consumatore di conoscere i suoi diritti e obblighi in virtù del contratto di credito in modo chiaro e conciso. Siffatto obiettivo non impedisce ai creditori di inserire informazioni diverse da quelle indicate nell’articolo 10, paragrafo 2, nel medesimo documento, ma piuttosto il contrario ( 25 ).

72.

Inoltre, poiché si può ritenere che ogni clausola di un contratto fornisca informazioni in una forma o nell’altra ( 26 ), interpretare l’articolo 10 della direttiva 2008/48 nel senso che esso definisca in modo tassativo l’elenco delle informazioni che possono essere menzionate in un contratto, significherebbe, in pratica, che la direttiva 2008/48 armonizza in realtà il contenuto degli stessi contratti di credito, in circostanze in cui la direttiva in parola non fa alcun riferimento a detta armonizzazione. Dai termini dell’articolo 1 della medesima direttiva risulta chiaramente, tuttavia, che essa disciplina soltanto taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori.

73.

Alla luce di tutte le suddette considerazioni si evince, a mio avviso, che la direttiva 2008/48 non impone alla normativa nazionale di vietare ai creditori di inserire, tra le informazioni che devono essere fornite in un contratto di credito ai consumatori, altre informazioni, quale l’importo dei costi del credito extrainteressi dovuti.

74.

Tuttavia, poiché l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 precisa che tutte le informazioni a cui si riferisce detta disposizione devono essere indicate in modo chiaro e preciso, siffatte informazioni aggiuntive non possono essere aggiunte se, come evidenziato dalla Commissione in udienza, l’aggiunta delle informazioni in parola possa rendere poco chiare le informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, o creare il rischio di confusione in relazione alle stesse ( 27 ).

75.

Alla luce di quanto prima esposto, ritengo che l’articolo 10, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 debba essere interpretato nel senso che esso non osta a che una normativa nazionale faccia riferimento all’importo del costo del credito extrainteressi dovuto, purché detta normativa non imponga ai creditori di menzionare tali importi nei contratti di credito. Per contro, è pacifico che i creditori possano fornire volontariamente tali informazioni aggiuntive, sempre che queste ultime, in combinazione con tutte le altre informazioni aggiuntive fornite, non abbiano l’effetto di privare di chiarezza e concisione le informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2.

Conclusione

76.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla prima questione pregiudiziale sottoposta dal Sąd Rejonowy w Siemianowicach Śląskich (Tribunale circondariale di Siemianowicach Śląskich, Polonia):

L’articolo 10, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che una normativa nazionale faccia riferimento all’importo del costo del credito extrainteressi dovuto, purché detta normativa non imponga ai creditori di menzionare tali importi nei contratti di credito. Per contro, è pacifico che i creditori possano fornire volontariamente tali informazioni aggiuntive, sempre che queste ultime, in combinazione con tutte le altre informazioni aggiuntive fornite, non abbiano l’effetto di privare di chiarezza e concisione le informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (GU 1987, L 42, pag. 48).

( 3 ) Direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU 2002, L 271, pag. 16).

( 4 ) Direttiva del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

( 5 ) V. sentenze del 12 luglio 2012, SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punti 38, 6364), e del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punto 55).

( 6 ) V., per analogia, sentenze del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punti 5859), e del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665, punti 5051).

( 7 ) Sentenza dell’8 maggio 2014 (C‑35/13, EU:C:2014:306).

( 8 ) Regolamento del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU 1992, L 208, pag. 1).

( 9 ) Sentenza dell’8 maggio 2014, Assica e Kraft Foods Italia (C‑35/13, EU:C:2014:306, punti da 28 a 30).

( 10 ) Direttiva dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22).

( 11 ) Sentenza del 4 luglio 2019 (C‑393/17, EU:C:2019:563).

( 12 ) V., su tale punto, sentenza del 26 ottobre 2016, Canal Digital Danmark (C‑611/14, EU:C:2016:800, punto 26).

( 13 ) Sentenza del 4 luglio 2019, Kirschstein (C‑393/17, EU:C:2019:563, punti da 37 a 49).

( 14 ) Per quanto concerne la direttiva 93/13, l’articolo 4, paragrafo 2, della medesima stabilisce espressamente che la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte sulla perequazione tra il prezzo e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile. Pertanto, eventuali clausole che prevedano il pagamento di una commissione fissa non rientrano nell’ambito del controllo delle clausole abusive previsto dalla direttiva 93/13 – se formulate in modo chiaro e comprensibile – a meno che esse non siano contestate per motivi diversi dal relativo importo.

( 15 ) Per quanto riguarda la possibilità di obbligare un mutuante a fornire una siffatta informazione al di fuori dello stesso contratto, occorre notare che le informazioni precontrattuali sono disciplinate dall’articolo 5 della direttiva 2008/48, che non menziona il costo del credito extrainteressi dovuto tra le informazioni che devono essere fornite dai mutuatari. È vero che, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 6, della direttiva 2008/48 gli Stati membri provvedono, se del caso, affinché i creditori forniscano al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. Tuttavia ritengo, ai fini della piena armonizzazione che la direttiva in parola intende realizzare, che la disposizione di cui trattasi debba essere intesa nel senso che gli Stati membri non possono sanzionare un creditore per non aver fornito una specifica informazione, ma che devono sanzionarlo quando risulta, al termine di una valutazione globale di tutte le informazioni date, che queste ultime fossero inadeguate o insufficienti.

( 16 ) V., a tal proposito, sentenze del 6 giugno 2019, Schyns (C‑58/18, EU:C:2019:467, punto 28), e dell’11 settembre 2019, Lexitor (C‑383/18, EU:C:2019:702, punto 29).

( 17 ) V. articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/48.

( 18 ) V. articolo 10, paragrafo 2, lettera g), della direttiva 2008/48. Per quanto riguarda l’importanza di detta informazione, v., ad esempio, sentenza del 20 settembre 2018, Danko e Danková (C‑448/17, EU:C:2018:745, punto 64).

( 19 ) V. articolo 10, paragrafo 2, lettera g), della direttiva 2008/48.

( 20 ) V. considerando 46 della direttiva 2008/48.

( 21 ) V. Office of Fair Trading, Consumer contracts, febbraio 2011, pagg. da 1 a 116.

( 22 ) Ibidem. V. «Key findings», pag. 17. In tale studio, il 35% degli intervistati ha affermato di aver letto soltanto i punti fondamentali, il 30% di aver dato una lettura veloce e superficiale al contratto e il 10% di non averlo letto affatto. V. paragrafo 2.23, pag. 27. Una delle spiegazioni date consiste nel fatto che il contratto era troppo lungo, conteneva troppi tecnicismi o che i consumatori non avevano abbastanza tempo per leggerlo. Un’altra motivazione data dagli intervistati era che essi si ritenevano tutelati dalla legge e che, dunque, non era necessario leggere approfonditamente il contratto. V. paragrafi da 2.26 a 2.29, pagg. 28 e 29. L’esperienza suggerisce che i consumatori leggano dettagliatamente i contratti che li riguardano quando si presentano difficoltà. Ciò evidenzia che, se le informazioni ai consumatori sono importanti, sono ancora ben lontane dall’essere sufficienti a rendere efficace la tutela dei consumatori. È, a mio avviso, necessario che le condizioni che si discostano in modo troppo significativo da quanto un consumatore ragionevolmente informato potrebbe aspettarsi di trovare in un contratto, in relazione al diritto nazionale che si applicherebbe se non vi fosse detto contratto, debbano essere dichiarate inapplicabili. V., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 68), e del 16 gennaio 2014, Constructora Principado (C‑226/12, EU:C:2014:10, punti da 21 a 23).

( 23 ) Ibidem, allegato E, paragrafo 3.18, pag. 31. V., sul medesimo argomento, Commissione europea, «Consumer empowerment», Sondaggio speciale Eurobarometro, n. 342, aprile 2011, pag. 28. Secondo il sondaggio in parola, il 60% degli intervistati non ha letto tutte le condizioni di un contratto di servizi. Più di metà di essi (57%) ha indicato come causa di ciò il fatto che il contratto era troppo lungo o che ci voleva troppo tempo per leggerlo.

( 24 ) Su tale argomento, v. Danish Competition and Consumer Authority, «Consumers benefit from a standardised front page to loan offers», Competitive Markets and Consumer Welfare, n. 23, dicembre 2018, pagg. da 1 a 5, disponibile su https://www.en.kfst.dk/publikationer/kfst-english/2018/20181219-consumers-benefit-from-a-standardised-front-page-to-loan-offers/.

( 25 ) Ciò spiega per quale motivo, a differenza delle informazioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, le informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 non devono necessariamente essere incluse in un unico documento, purché i diversi documenti utilizzati formino un unico contratto e contengano rinvii chiari e precisi. V. sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punti 3334).

( 26 ) Tuttavia, non tutte le clausole di un contratto creano diritti od obblighi, in quanto alcune possono avere carattere meramente informativo, come le clausole che ripetono testualmente o ricordano l’esistenza di norme di ordine pubblico.

( 27 ) A tal riguardo, contrariamente all’argomento dedotto dal governo polacco nelle sue osservazioni scritte, il fatto che le informazioni aggiuntive non siano collegate ad una delle informazioni indicate nell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 non è sufficiente ad evitare che la chiarezza e la concisione delle altre informazioni siano minacciate. Per garantire che la chiarezza e la concisione delle informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, non vengano pregiudicate, si deve tener conto di altri fattori, come il numero delle informazioni addizionali aggiunte, la loro dimensione o il modo in cui esse sono presentate in relazione agli altri elementi.