SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

25 luglio 2018 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 31, paragrafo 8, e articolo 32, paragrafo 2 – Domanda di protezione internazionale manifestamente infondata – Concetto di paese di origine sicuro – Assenza di norme nazionali relative a tale concetto – Dichiarazioni del richiedente considerate affidabili, ma insufficienti in ragione dell’adeguatezza della protezione offerta dal paese di origine del richiedente»

Nella causa C‑404/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Förvaltningsrätten i Malmö – Migrationsdomstolen (Tribunale amministrativo di Malmö, competente in materia di immigrazione, Svezia), con decisione del 3 luglio 2017, pervenuta in cancelleria il 6 luglio 2017, nel procedimento

A

contro

Migrationsverket,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, J.-C. Bonichot (relatore), A. Arabadjiev, S. Rodin ed E. Regan, giudici,

avvocato generale: M. Wathelet

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per il governo svedese, da A. Falk, C. Meyer-Seitz, H. Shev e L. Zettergren, in qualità di agenti;

per il governo del Regno Unito, da R. Fadoju, C. Crane e S. Brandon, in qualità di agenti, assistiti da D. Blundell, barrister;

per la Commissione europea, da K. Simonsson e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).

2

Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra A e il Migrationsverket (Ufficio per l’immigrazione, Svezia; in prosieguo: l’«Ufficio») in merito alla decisione di quest’ultimo di respingere la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di autorizzazione al soggiorno di A, di disporre il suo ritorno verso il paese di origine e di vietargli il reingresso in Svezia per due anni.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

L’articolo 23, paragrafo 4, lettera g), della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13), è così redatto:

«Gli Stati membri possono altresì prevedere che una procedura d’esame sia valutata in via prioritaria o accelerata conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, se:

(…)

g)

il richiedente ha rilasciato dichiarazioni incoerenti, contraddittorie, improbabili o insufficienti, che rendono chiaramente non convincente la sua asserzione di essere stato oggetto di persecuzione (…)».

4

La direttiva 2013/32, ai considerando 11, 12, 18, 40, 41 e 42, enuncia quanto segue:

«(11)

Onde garantire una valutazione completa ed efficiente delle esigenze di protezione internazionale dei richiedenti ai sensi della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta [(GU 2011, L 337, pag. 9)], è opportuno che il quadro dell’Unione sulle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale si fondi sul concetto di una procedura unica.

(12)

Obiettivo principale della presente direttiva è sviluppare ulteriormente le norme relative alle procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, così da istituire una procedura comune di asilo nell’Unione.

(…)

(18)

È nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo.

(…)

(40)

Criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di protezione internazionale è la sicurezza del richiedente nel paese di origine. Se un paese terzo può essere considerato paese di origine sicuro, gli Stati membri dovrebbero poterlo designare paese sicuro e presumerne la sicurezza per uno specifico richiedente, a meno che quest’ultimo non adduca controindicazioni.

(41)

Visto il grado di armonizzazione raggiunto in relazione all’attribuzione della qualifica di rifugiato ai cittadini di paesi terzi e agli apolidi o ai beneficiari della protezione internazionale, si dovrebbero definire criteri comuni per la designazione dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri.

(42)

La designazione di un paese terzo quale paese di origine sicuro ai fini della presente direttiva non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese. Per la sua stessa natura, la valutazione alla base della designazione può tener conto soltanto della situazione civile, giuridica e politica generale in tale paese e se in tale paese i responsabili di persecuzioni, torture o altre forme di punizione o trattamento disumano o degradante siano effettivamente soggetti a sanzioni se riconosciuti colpevoli. Per questo motivo è importante che, quando un richiedente dimostra che vi sono validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione del paese come sicuro non può più applicarsi al suo caso».

5

Ai sensi dell’articolo 1 di tale direttiva:

«Obiettivo della presente direttiva è stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale (…)».

6

L’articolo 31 della citata direttiva, intitolato «Procedura di esame», che apre il capo III «Procedure di primo grado», stabilisce quanto segue:

«1.   Gli Stati membri esaminano le domande di protezione internazionale con procedura di esame conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché la procedura di esame sia espletata quanto prima possibile, fatto salvo un esame adeguato e completo.

3.   Gli Stati membri provvedono affinché la procedura di esame sia espletata entro sei mesi dalla presentazione della domanda.

(…)

8.   Gli Stati membri possono prevedere che una procedura d’esame sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito a norma dell’articolo 43 se:

a)

nel presentare domanda ed esporre i fatti il richiedente ha sollevato soltanto questioni che non hanno alcuna pertinenza per esaminare se attribuirgli la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95]; oppure

b)

il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; o

(…)

e)

il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili che contraddicono informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine, rendendo così chiaramente non convincente la sua asserzione di avere diritto alla qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]; o

(…)».

7

A norma dell’articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2013/32:

«Nei casi di domande infondate cui si applichi una qualsiasi delle circostanze elencate nell’articolo 31, paragrafo 8, gli Stati membri possono altresì ritenere una domanda manifestamente infondata, se così definita dal diritto nazionale».

8

L’articolo 36 di detta direttiva, intitolato «Concetto di paese di origine sicuro», è così redatto:

«1.   Un paese terzo designato paese di origine sicuro a norma della presente direttiva può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se:

a)

questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero

b)

è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese,

e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95].

2.   Gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità inerenti all’applicazione del concetto di paese di origine sicuro».

9

L’articolo 37 della direttiva 2013/32, intitolato «Designazione nazionale dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri», dispone quanto segue:

«1.   Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato I, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale.

2.   Gli Stati membri riesaminano periodicamente la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri conformemente al presente articolo.

3.   La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’[Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO)], dall’[Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR)], dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

4.   Gli Stati membri notificano alla Commissione i paesi designati quali paesi di origine sicuri a norma del presente articolo».

10

Ai sensi dell’allegato I di detta direttiva, intitolato «Designazione dei paesi di origine sicuri ai fini dell’articolo 37, paragrafo 1»:

«Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva [2011/95], né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:

a)

le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate;

b)

il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici[, adottato il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite,] e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea;

c)

il rispetto del principio di «non-refoulement» conformemente alla [Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951];

d)

un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà».

11

L’articolo 46 della direttiva 2013/32, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo», comprende i paragrafi 5 e 6, così redatti:

«5.   Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

6.   Qualora sia stata adottata una decisione:

a)

di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’articolo 32, paragrafo 2 (…)

(…)

un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e ove il diritto nazionale non preveda, in simili casi, il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso».

Diritto svedese

12

Il giudice del rinvio afferma che il diritto svedese non contiene alcuna disposizione legislativa o regolamentare relativa ai paesi di origine sicuri ai sensi della direttiva 2013/32.

13

Nella sua versione in vigore fino al 31 dicembre 2016, il paragrafo 19 del capitolo 8 dell’utlänningslag (legge sugli stranieri) (SFS 2005, n. 716) stabiliva che l’Ufficio poteva disporre l’esecuzione immediata delle sue decisioni di allontanamento, e ciò anche prima che queste diventassero definitive, qualora la domanda di asilo fosse manifestamente infondata e non sussistessero manifestamente altri motivi per concedere un titolo di soggiorno.

14

Secondo il giudice del rinvio, tale disposizione è stata modificata con effetto dal 1o gennaio 2017 per tener conto, nel diritto svedese, della revisione delle procedure di asilo effettuata dalla direttiva 2013/32, e in particolare dal suo articolo 31, paragrafo 8. Pertanto, a partire da tale data, l’Ufficio può disporre l’esecuzione immediata delle sue decisioni di allontanamento, e ciò anche prima che queste siano diventate definitive, se i fatti esposti dal cittadino straniero risultano «irrilevanti» ai fini della sua domanda di asilo, ovvero se non sono «affidabili», di modo tale che la domanda di asilo debba essere ritenuta manifestamente infondata, e se, inoltre, un titolo di soggiorno non può essere manifestamente concesso per altri motivi.

Procedimento principale e questione pregiudiziale

15

Dalla decisione di rinvio risulta che A, cittadino serbo, presentava, nel marzo del 2017, una domanda di asilo e di autorizzazione al soggiorno in Svezia.

16

A sostegno di tale domanda egli adduceva di essere stato vittima, tra il 2001 e il 2003, di minacce e violenze da parte di un gruppo paramilitare clandestino e di aver denunciato tale gruppo nel 2003. A indicava di aver beneficiato fino al 2012 della protezione dei testimoni garantita dalle autorità serbe e dalla Missione delle Nazioni Unite per l’amministrazione ad interim nel Kosovo (MINUK), ma che tale protezione aveva comportato il suo trasferimento in varie località della Serbia, in particolare in carcere. Siffatte condizioni lo avrebbero indotto, a partire dall’anno 2012, a rinunciare allo status di testimone protetto e a scegliere di rifugiarsi nella sua cittadina di origine, nonostante le minacce di morte che continuava a ricevere.

17

L’Ufficio respingeva detta domanda ritenendola manifestamente infondata in quanto, secondo le informazioni fornite dal richiedente stesso, la Repubblica di Serbia era in grado di offrirgli una protezione efficace e perché spettava principalmente alle autorità del paese di origine garantire la protezione contro minacce come quelle di cui il richiedente si riteneva vittima.

18

Tale decisione di rigetto prevedeva anche l’obbligo di lasciare il territorio, reso immediatamente esecutivo per l’assenza manifesta di elementi che consentissero di accogliere la domanda di asilo e per il fatto che A non aveva presentato argomenti pertinenti a sostegno della sua domanda di permesso di soggiorno.

19

A ha proposto ricorso avverso la decisione dell’Ufficio dinanzi al Förvaltningsrätten i Malmö – Migrationsdomstolen (Tribunale amministrativo di Malmö, competente in materia di immigrazione, Svezia), che ha sospeso l’esecuzione dell’obbligo di lasciare il territorio.

20

Detto giudice esprime dubbi su come occorra interpretare l’articolo 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32, il quale, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, della medesima, consente agli Stati membri di respingere domande manifestamente infondate.

21

In tale contesto, il Förvaltningsrätten i Malmö – Migrationsdomstolen (Tribunale amministrativo di Malmö, competente in materia di immigrazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se una domanda contenente informazioni, fornite dal [richiedente], considerate affidabili – e conseguentemente assunte a fondamento ai fini dell’esame della domanda medesima –, ma insufficienti per accertare la necessità di una protezione internazionale atteso che dalle informazioni sul paese [di origine] risulta che le autorità offrono una protezione accettabile, debba essere ritenuta manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32, come modificata».

Sulla questione pregiudiziale

22

Con la sua questione il giudice del rinvio domanda, sostanzialmente, se l’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, della medesima, debba essere interpretato nel senso che esso consente di ritenere manifestamente infondata una domanda di protezione internazionale in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale, da un lato, dalle informazioni sul paese di origine del richiedente risulti che a quest’ultimo può essere garantita in tale paese una protezione accettabile e, dall’altro, il medesimo richiedente abbia fornito informazioni insufficienti per giustificare il riconoscimento di una protezione internazionale, qualora lo Stato membro di proposizione della domanda non abbia adottato norme per l’attuazione del concetto di paese di origine sicuro.

23

Come risulta dalla decisione di rinvio, l’Ufficio ha, in sostanza, respinto la domanda di A in quanto manifestamente infondata in applicazione del diritto nazionale di recepimento della direttiva 2013/32, poiché, nel suo paese di origine, la Serbia, esisteva una protezione efficace ed egli non aveva dimostrato che tale paese non gli offrisse una protezione sufficiente contro le minacce di cui si riteneva vittima.

24

In tal modo, l’Ufficio ha basato la propria decisione su un ragionamento analogo a quello previsto dagli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32 per il trattamento delle domande di protezione internazionale presentate dai cittadini di paesi di origine sicuri.

25

Tali disposizioni istituiscono un regime particolare di esame basato su una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel paese di origine, la quale può essere confutata dal richiedente indicando motivi imperativi attinenti alla sua situazione particolare.

26

In mancanza di tali motivi imperativi, la domanda può essere respinta in quanto manifestamente infondata, conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, se la situazione considerata – nel caso di specie il fatto che il richiedente provenga da un paese di origine sicuro – è definita come tale nella normativa nazionale.

27

Una delle conseguenze per l’interessato la cui domanda sia respinta su tale fondamento è che, contrariamente a quanto previsto in caso di mero rigetto, può non essergli consentito trattenersi sul territorio dello Stato di proposizione della domanda in attesa dell’esito del suo ricorso, come risulta dalle disposizioni dell’articolo 46, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/32.

28

In tale contesto, spetta a ciascuno Stato membro procedere alla designazione dei paesi di origine sicuri ai sensi di tale normativa secondo le modalità previste agli articoli 36 e 37 nonché all’allegato I della direttiva 2013/32, vale a dire, in particolare, l’adozione da parte del legislatore nazionale di un elenco di paesi terzi sulla base dei criteri fissati nell’allegato I, la formulazione di norme e di modalità supplementari di attuazione, la notifica alla Commissione dell’elenco di paesi di origine sicuri o, ancora, il suo riesame periodico.

29

Il giudice del rinvio fa presente al riguardo che, alla data della decisione impugnata nel procedimento principale, quando il termine di recepimento delle disposizioni pertinenti della direttiva 2013/32 era ormai scaduto, il Regno di Svezia non aveva adottato disposizioni come quelle menzionate nel punto precedente né previsto che il fatto che una persona provenisse da un paese di origine sicuro potesse comportare un rigetto della domanda in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 2, di tale direttiva.

30

Orbene, si deve ricordare che, in virtù dei considerando 11 e 12 nonché dell’articolo 1 della direttiva 2013/32, il quadro per il riconoscimento della protezione internazionale è fondato sul concetto di procedura unica e si basa su norme minime comuni (v., per analogia, sentenza del 31 gennaio 2013, D. e A., C‑175/11, EU:C:2013:45, punto 57).

31

Pertanto, uno Stato membro non può ricorrere alla presunzione relativa istituita dalle norme della direttiva 2013/32 concernenti le procedure basate sul concetto di paese di origine sicuro senza aver, del pari, effettuato una completa attuazione di dette norme quanto alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che è tenuto ad adottare.

32

Riguardo ai dubbi espressi dal giudice del rinvio in merito alla possibilità, ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32, di ritenere una domanda manifestamente infondata per il motivo che le dichiarazioni del richiedente sarebbero insufficienti, occorre ricordare che tale direttiva ha proceduto alla rifusione della direttiva 2005/85.

33

Orbene, se è vero che l’articolo 23, paragrafo 4, lettera g), della direttiva 2005/85 riguardava il caso di dichiarazioni «insufficienti» del richiedente, l’articolo 31, paragrafo 8, lettera e), della direttiva 2013/32, che ha sostituito detta disposizione, non fa più riferimento a tale caso.

34

Pertanto, dalla formulazione dell’articolo 31, paragrafo 8, lettera e), della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, di quest’ultima, risulta che uno Stato membro non può ritenere manifestamente infondata una domanda di protezione internazionale adducendo l’insufficienza delle dichiarazioni del richiedente.

35

Di conseguenza, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, di tale direttiva, dev’essere interpretato nel senso che esso non consente di ritenere manifestamente infondata una domanda di protezione internazionale in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale, da un lato, dalle informazioni sul paese di origine del richiedente risulti che a quest’ultimo può essere garantita in tale paese una protezione accettabile e, dall’altro, il medesimo richiedente abbia fornito informazioni insufficienti per giustificare il riconoscimento di una protezione internazionale, qualora lo Stato membro di proposizione della domanda non abbia adottato norme per l’attuazione del concetto di paese di origine sicuro.

Sulle spese

36

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

L’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, di tale direttiva, dev’essere interpretato nel senso che esso non consente di ritenere manifestamente infondata una domanda di protezione internazionale in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale, da un lato, dalle informazioni sul paese di origine del richiedente risulti che a quest’ultimo può essere garantita in tale paese una protezione accettabile e, dall’altro, il medesimo richiedente abbia fornito informazioni insufficienti per giustificare il riconoscimento di una protezione internazionale, qualora lo Stato membro di proposizione della domanda non abbia adottato norme per l’attuazione del concetto di paese di origine sicuro.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: lo svedese.