SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

19 marzo 2019 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Sistema di Dublino – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale – Nozione di “fuga” – Modalità di proroga del termine di trasferimento – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Grave rischio di trattamento inumano o degradante al termine della procedura di asilo – Condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale nel suddetto Stato membro»

Nella causa C‑163/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg, Germania), con decisione del 15 marzo 2017, pervenuta in cancelleria il 3 aprile 2017, nel procedimento

Abubacarr Jawo

contro

Bundesrepublik Deutschland,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan, F. Biltgen, K. Jürimäe e C. Lycourgos, presidenti di sezione, A. Rosas, E. Juhász, M. Ilešič (relatore), J. Malenovský, L. Bay Larsen e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: M. Wathelet

cancelliere: M. Aleksejev, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 maggio 2018,

considerate le osservazioni presentate:

per A. Jawo, da B. Münch e U. Bargon, Rechtsanwälte;

per il governo tedesco, da T. Henze, R. Kanitz e M. Henning e V. Thanisch, in qualità di agenti;

per il governo belga, da C. Van Lul e P. Cottin, in qualità di agenti;

per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da L. Cordì e L. D’Ascia, avvocati dello Stato;

per il governo ungherese, da M.M. Tátrai, M.Z. Fehér e G. Koós, in qualità di agenti;

per il governo dei Paesi Bassi, da J. Langer, M. Bulterman, C.S. Schillemans e M. Gijzen, in qualità di agenti;

per il governo del Regno Unito, da S. Brandon e C. Crane, in qualità di agenti, assistiti da D. Blundell, barrister;

per il governo svizzero, da E. Bichet, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da M. Condou-Durande e C. Ladenburger, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 luglio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, e dell’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»), nonché dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Abubacarr Jawo e la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania), relativamente a una decisione di trasferimento dell’interessato verso l’Italia.

Contesto normativo

Diritto internazionale

3

L’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), rubricato «Proibizione della tortura», dispone quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

Diritto dell’Unione

La Carta

4

Ai sensi dell’articolo 1 della Carta, rubricato «Dignità umana»:

«La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».

5

L’articolo 4 della Carta, intitolato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti», così recita:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

6

L’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», al suo primo comma, prevede quanto segue:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».

7

L’articolo 51 della Carta, rubricato «Ambito di applicazione», al suo paragrafo 1, così dispone:

«Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati».

8

L’articolo 52 della Carta, intitolato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», enuncia, al suo paragrafo 3, quanto segue:

«Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».

Regolamento Dublino III

9

Il regolamento Dublino III ha abrogato e sostituito il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Dublino II»). I considerando 4, 5, 19, 32 e 39 del regolamento Dublino III così recitano:

«(4)

Secondo le conclusioni [del Consiglio europeo, nell’ambito della sua riunione straordinaria] di Tampere [del 15 e del 16 ottobre 1999], il [sistema europeo comune di asilo] dovrebbe prevedere a breve termine un meccanismo per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo.

(5)

Tale meccanismo dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.

(…)

(19)

Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della [Carta]. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito.

(…)

(32)

Per quanto riguarda il trattamento di persone che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi che a essi derivano dagli strumenti giuridici internazionali, compresa la pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

(…)

(39)

Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla [Carta]. In particolare, il presente regolamento intende assicurare il pieno rispetto del diritto d’asilo garantito dall’articolo 18 della [Carta], nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della stessa. Il presente regolamento dovrebbe pertanto essere applicato di conseguenza. Il presente regolamento dovrebbe pertanto essere applicato di conseguenza».

10

Ai sensi dell’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III per «rischio di fuga», ai fini di tale regolamento, si intende «la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un richiedente o un cittadino di un paese terzo o un apolide oggetto di una procedura di trasferimento possa fuggire».

11

L’articolo 3 del regolamento Dublino III, intitolato «Accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale», dispone quanto segue:

«1.   Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

2.   Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente.

(…)».

12

Il capo VI del regolamento Dublino III, intitolato «Procedure di presa in carico e ripresa in carico», contiene, segnatamente, gli articoli 27 e 29 di tale regolamento.

13

L’articolo 27 del regolamento Dublino III, intitolato «Mezzi di impugnazione», dispone, al suo paragrafo 1, quanto segue:

«Il richiedente o altra persona di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), ha diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale».

14

La sezione VI del capo VI del regolamento Dublino III, dedicata ai trasferimenti dei richiedenti verso lo Stato membro competente, contiene l’articolo 29 di tale regolamento, rubricato «Modalità e termini», che così prevede:

«1.   Il trasferimento del richiedente o di altra persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o dalla decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.

Se i trasferimenti verso lo Stato membro competente avvengono sotto forma di partenza controllata o sotto scorta, gli Stati membri garantiscono che siano svolti in modo umano e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana.

(…)

2.   Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito.

(…)

4.   La Commissione stabilisce, mediante atti di esecuzione, condizioni uniformi per la consultazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in particolare nel caso di trasferimenti differiti o ritardati, di trasferimenti a seguito di accettazione automatica, trasferimenti di minori o persone a carico e di trasferimenti sorvegliati. (…)».

Regolamento di esecuzione

15

Il regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento n. 343/2003 (GU 2003, L 222, pag. 3), come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014 (GU 2014, L 39, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento di esecuzione»), contiene le modalità di applicazione del regolamento Dublino II e, attualmente, quelle del regolamento Dublino III.

16

Il capo III del regolamento di esecuzione, intitolato «Esecuzione del trasferimento», contiene segnatamente l’articolo 9 di detto regolamento, a sua volta intitolato «Rinvio e ritardi di trasferimento», che così dispone:

«1.   Lo Stato membro competente è informato senza indugi della decisione di rinviare il trasferimento qualora siano promossi un ricorso o una revisione aventi effetto sospensivo, ovvero sussistano motivazioni materiali quali lo stato di salute del richiedente, l’indisponibilità del mezzo di trasporto o il fatto che il richiedente si sia sottratto all’esecuzione del trasferimento.

1 bis   Qualora un trasferimento sia ritardato su richiesta dello Stato membro che provvede al trasferimento, quest’ultimo e gli Stati membri competenti devono riprendere i contatti al fine di consentire l’organizzazione di un nuovo trasferimento quanto prima possibile, conformemente all’articolo 8, e non oltre due settimane dal momento in cui le autorità vengono a conoscenza della cessazione delle circostanze che hanno causato il ritardo o il rinvio. In tal caso, prima che sia eseguito il trasferimento viene inviato un modulo standard aggiornato per il trasferimento dei dati prima di un trasferimento, di cui all’allegato VI.

2.   Lo Stato membro che non può eseguire il trasferimento entro il normale termine di sei mesi dalla data di accettazione della richiesta di presa in carico o di ripresa in carico dell’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo, per uno dei motivi di cui all’articolo 29, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III], ne informa lo Stato membro competente prima dello scadere del termine. In mancanza di ciò, la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale e le altre obbligazioni a norma del [regolamento Dublino III] ricadono sullo Stato membro richiedente, in conformità dell’articolo 29, paragrafo 2, di detto regolamento.

(…)».

Direttiva qualifiche

17

Il capo VII della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9; in prosieguo la «direttiva qualifiche»), nel quale figurano gli articoli da 20 a 35 della stessa, definisce il contenuto della protezione internazionale.

18

L’articolo 34 della direttiva qualifiche, intitolato «Accesso agli strumenti di integrazione», prevede quanto segue:

«Al fine di facilitare l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale nella società, gli Stati membri garantiscono l’accesso ai programmi d’integrazione che considerano adeguati, in modo da tenere conto delle esigenze particolari dei beneficiari dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, o creano i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi».

Direttiva accoglienza

19

La direttiva 2013/33/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96; in prosieguo: la «direttiva accoglienza») al suo articolo 5, intitolato «Informazione», prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri informano i richiedenti, entro un termine ragionevole non superiore a quindici giorni dopo la presentazione della domanda di protezione internazionale, almeno di qualsiasi beneficio riconosciuto e degli obblighi loro spettanti in riferimento alle condizioni di accoglienza.

(…)

2.   Gli Stati membri provvedono a che le informazioni di cui al paragrafo 1 siano fornite per iscritto e in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile. Se del caso, tali informazioni possono anche essere fornite oralmente».

20

L’articolo 7 della direttiva accoglienza, rubricato «Residenza e libera circolazione», così dispone:

«1.   I richiedenti possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nell’area loro assegnata da tale Stato membro. L’area assegnata non pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo d’azione sufficiente a garantire l’accesso a tutti i benefici della presente direttiva.

2.   Gli Stati membri possono stabilire un luogo di residenza per il richiedente, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda di protezione internazionale.

3.   Gli Stati membri possono subordinare la concessione delle condizioni materiali d’accoglienza all’effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo, da determinarsi dagli Stati membri. Tale decisione, che può essere di carattere generale, è adottata caso per caso e definita dal diritto nazionale.

4.   Gli Stati membri prevedono la possibilità di concedere ai richiedenti un permesso temporaneo di allontanarsi dal luogo di residenza di cui ai paragrafi 2 e 3 e/o dall’area assegnata di cui al paragrafo 1. Le decisioni sono adottate caso per caso, in modo obiettivo ed imparziale e sono motivate qualora siano negative.

Il richiedente non necessita di permesso per presentarsi dinanzi alle autorità e ai giudici se è necessaria la sua comparizione.

5.   Gli Stati membri fanno obbligo ai richiedenti di comunicare il loro indirizzo alle autorità competenti e di notificare loro con la massima tempestività qualsiasi sua successiva modificazione».

Diritto tedesco

21

L’articolo 60a del Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet (legge in materia di soggiorno, occupazione e integrazione dei cittadini stranieri nel territorio federale; in prosieguo; l’«Aufenthaltsgesetz»), come modificato, con effetto dal 6 agosto 2016, dall’Integrationsgesetz (legge sull’integrazione) del 31 luglio 2016 (BGBl. 2016 I, pag. 1939; in prosieguo: l’«Integrationsgesetz»), è intitolato «Sospensione temporanea dell’allontanamento (attestato di tolleranza)» e, al suo paragrafo 2, dispone quanto segue:

«L’allontanamento dello straniero è sospeso durante il periodo in cui tale allontanamento è impossibile per motivi di fatto e di diritto e non è stata rilasciata un’autorizzazione al soggiorno. (…) L’attestato di tolleranza (Duldung) (in prosieguo: “l’attestato di tolleranza”) può essere concesso ad uno straniero se esigenze umanitarie o personali urgenti ovvero se importanti interessi pubblici richiedano la sua presenza temporanea sul territorio dello Stato federale. L’atto di tolleranza per esigenze personali urgenti di cui alla terza frase deve essere concesso quando lo straniero intraprenda o abbia intrapreso in Germania un corso di formazione professionale qualificato per una professione riconosciuta dallo Stato o ugualmente regolamentata, non si applichino le condizioni di cui al paragrafo 6 e non siano intraprese misure concrete per l’espulsione. Nei casi di cui alla quarta frase l’attestato di tolleranza è concesso per la durata del corso di formazione professionale determinata nel contratto di apprendistato (…)».

22

L’articolo 29 dell’Asylgesetz (legge sul diritto di asilo), come modificato, a decorrere dal 6 agosto 2016, dall’Integrationsgesetz (in prosieguo: l’«AsylG») è intitolato «Domande inammissibili» e prevede quanto segue:

«(1)   Una domanda di asilo è inammissibile quando

1.

un altro Stato è competente per l’esame della domanda di asilo

a)

in applicazione del [regolamento Dublino III], o

b)

sulla base di altre disposizioni del diritto dell’Unione o di un trattato internazionale

(…)».

23

L’articolo 31 dell’AsylG, intitolato «Decisione del Bundesamt su domande di asilo», al suo paragrafo 3, così dispone:

«Nei casi di cui al paragrafo 2 o nel caso di una decisione concernente una domanda di asilo irricevibile bisogna accertare se sussistano le condizioni di cui all’articolo 60, paragrafo 5 o 7 dell’Aufenthaltsgesetzt. Ciò può tuttavia essere omesso qualora allo straniero sia stato riconosciuto il diritto di asilo o gli sia stata concessa protezione internazionale ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, punto 2».

24

L’articolo 34a dell’AsylG, intitolato «Provvedimento di allontanamento», prevede quanto segue:

«(1)   Se lo straniero deve essere allontanato verso un paese terzo sicuro (articolo 26a) ovvero verso lo Stato competente per lo svolgimento della procedura di asilo (articolo 29, paragrafo 1, punto 1), il Bundesamt ne dispone l’allontanamento verso tale Stato non appena venga accertato che sia possibile eseguirlo. Lo stesso vale laddove lo straniero abbia presentato la domanda di asilo in un altro Stato competente per la procedura in forza di disposizioni del diritto dell’Unione o di un trattato internazionale ovvero l’abbia ritirata prima della decisione del Bundesamt. Non sono necessari termini né notifiche preventive. Se un provvedimento di allontanamento non può essere emanato a norma delle summenzionate prima o seconda frase, il Bundesamt notifica l’allontanamento verso lo Stato interessato.

(2)   Le domande ex articolo 80, paragrafo 5, del codice del processo amministrativo contro un provvedimento di allontanamento devono essere presentate entro una settimana dalla notifica dello stesso. Se la presentazione della domanda è tempestiva, l’allontanamento è inammissibile prima della decisione giudiziaria. (…)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

25

Il sig. Jawo è, stando a quanto da questi dichiarato, un cittadino gambiano nato il 23 ottobre 1992.

26

Dopo aver lasciato il Gambia il 5 ottobre 2012, il sig. Jawo ha raggiunto via mare l’Italia, da cui ha poi proseguito il suo viaggio verso la Germania. Il 23 dicembre 2014 egli ha presentato una domanda di asilo in quest’ultimo Stato membro.

27

Atteso che il sig. Jawo aveva già presentato, secondo la banca dati Eurodac, una domanda di asilo in Italia, il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, Germania) (in prosieguo: l’«Ufficio»), il 26 gennaio 2015 ha chiesto alle autorità italiane la ripresa in carico dell’interessato. Dette autorità non hanno dato alcun riscontro a tale richiesta.

28

Con una decisione del 25 febbraio 2015, l’Ufficio, da un lato, ha respinto la domanda di asilo del sig. Jawo in quanto inammissibile e, dall’altro, ha disposto il suo allontanamento verso l’Italia.

29

Il 4 marzo 2015 il sig. Jawo ha proposto un ricorso avverso detta decisione, integrato il 12 marzo 2015 da una domanda di concessione di provvedimenti provvisori. Con un’ordinanza del 30 aprile 2015, il Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe, Germania) ha in primis respinto come irricevibile quest’ultima domanda in quanto tardiva.

30

L’8 giugno 2015 il sig. Jawo doveva essere trasferito verso l’Italia. Tale trasferimento non è tuttavia avvenuto in quanto il sig. Jawo non si trovava presso la struttura di accoglienza collettiva di Heidelberg (Germania). Interrogato al riguardo dal Regierungspräsidium Karlsruhe (prefettura di Karlsruhe), in data 16 giugno 2015, il servizio specializzato nell’accoglienza d’urgenza di Heidelberg ha comunicato che, secondo il responsabile dei luoghi, il sig. Jawo non si trovava più presso detta struttura di accoglienza da diverso tempo.

31

Con un modulo datato 16 giugno 2015, l’Ufficio ha informato le autorità italiane che il trasferimento non era al momento possibile poiché il sig. Jawo era fuggito, circostanza di cui aveva avuto conoscenza il giorno stesso. In detto modulo veniva altresì indicato che il trasferimento dell’interessato avrebbe avuto luogo non più tardi del 10 agosto 2016«a norma dell’articolo 29, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III]».

32

È pacifico che il giorno in cui il modulo in questione è stato notificato alle autorità italiane, il sig. Jawo si trovava di nuovo a Heidelberg, ma che tale informazione non era pervenuta all’Ufficio. Non è possibile tuttavia accertare se, nel momento preciso in cui il sig. Jawo era presente a Heidelberg, l’Ufficio avesse già trasmesso tale modulo alle autorità italiane.

33

Il sig. Jawo ha dichiarato, in merito alla sua assenza, che a inizio giugno 2015 si era recato a trovare un amico che viveva a Freiberg am Neckar (Germania). Egli avrebbe deciso di far ritorno a Heidelberg a seguito di una telefonata da parte della persona con cui condivideva la camera a Heidelberg, che gli aveva comunicato che la polizia lo stava cercando. Tuttavia, non disponendo della somma necessaria per pagare il viaggio di ritorno, aveva innanzitutto dovuto farsi prestare detta somma. Una volta fatto ritorno a Heidelberg, si sarebbe recato presso il Sozialamt (Ufficio dei servizi sociali), dove avrebbe chiesto se disponeva ancora della sua camera, domanda che avrebbe ricevuto risposta affermativa.

34

Il sig. Jawo ha, inoltre, affermato che nessuno lo avrebbe informato di dover avvisare in caso di assenza.

35

Il 3 febbraio 2016 il secondo tentativo di trasferimento non è riuscito in quanto il sig. Jawo si è rifiutato di salire sull’aereo che doveva consentirne il trasferimento.

36

A seguito di una nuova domanda di provvedimenti provvisori, il Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe), con decisione del 18 febbraio 2016, ha riconosciuto efficacia sospensiva al ricorso proposto dal sig. Jawo in data 4 marzo 2015.

37

Con sentenza del 6 giugno 2016, il suddetto giudice ha respinto tale ricorso.

38

Nell’ambito dell’impugnazione proposta avverso tale sentenza dinanzi al Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Land Baden-Württemberg), il sig. Jawo ha sostenuto segnatamente di non essere fuggito nel giugno 2015 e ha rilevato che l’Ufficio non avrebbe potuto prorogare validamente il termine del trasferimento. Inoltre, il suo trasferimento verso l’Italia sarebbe illegittimo perché in tale Stato membro sussisterebbero carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.

39

Nel corso della procedura di appello, l’Ufficio è venuto a conoscenza del fatto che in Italia era stato rilasciato al sig. Jawo un permesso di soggiorno nazionale per motivi umanitari con validità di un anno, che era scaduto il 9 maggio 2015. Il giudice del rinvio ritiene, tuttavia, che il rilascio di tale permesso di soggiorno non abbia comportato l’inapplicabilità del regolamento Dublino III, atteso che tale titolo non aveva riconosciuto al sig. Jawo protezione internazionale, ai sensi della direttiva qualifiche.

40

Il giudice del rinvio rileva che, al fine di risolvere la controversia di cui al procedimento principale, esso deve anzitutto rispondere alla questione se il 16 giugno 2015, ossia la data della notifica eseguita da parte dell’Ufficio al Ministero degli Interni italiano, il ricorrente fosse «fuggito», ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III.

41

In tale contesto, esso illustra che il termine di trasferimento di sei mesi previsto dall’articolo 29, paragrafo 1, di detto regolamento era già scaduto alla data dell’adozione della decisione del Verwaltungsgericht Karlsruhe (Tribunale amministrativo di Karlsruhe) del 18 febbraio 2016 che riconosceva efficacia sospensiva al ricorso proposto dal sig. Jawo, di modo che quest’ultima decisione non poteva più prorogare o interrompere detto termine.

42

Il giudice del rinvio considera che, se occorresse basarsi sulla definizione della nozione di «rischio di fuga» di cui all’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III – che nella sua versione in lingua tedesca fa riferimento al timore che l’interessato «si sottragga» mediante la fuga alla procedura di trasferimento – si dovrebbe ritenere che tale nozione comprenda soltanto un comportamento deliberatamente adottato dall’interessato al fine di evitare un trasferimento. Tuttavia, esisterebbero ragioni valide per ritenere che sia sufficiente, ai fini dell’applicazione dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III, che l’autorità competente non abbia avuto conoscenza del luogo di residenza dell’interessato alla data del tentativo di trasferimento e al momento della comunicazione di tale informazione all’autorità competente dello Stato membro richiesto. Nulla consentirebbe di ritenere, infatti, che tale disposizione miri a sanzionare un comportamento censurabile dell’interessato. Tale disposizione avrebbe l’obiettivo di permettere di garantire l’effettivo funzionamento del sistema di determinazione dello Stato membro competente elaborato dal legislatore dell’Unione (in prosieguo: il «sistema di Dublino»), il quale potrebbe essere notevolmente destabilizzato nel caso in cui taluni trasferimenti venissero impediti per motivi che non ricadono nella sfera di responsabilità dello Stato membro richiedente. Inoltre, potrebbe risultare difficile fornire la prova che le persone interessate si siano allontanate dal loro luogo di residenza allo scopo di impedire il trasferimento.

43

Il giudice del rinvio si interroga poi sulle condizioni che devono ricorrere affinché si verifichi la proroga del termine di sei mesi, prevista all’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III in caso di fuga. Esso rileva, al riguardo, che se è vero che la formulazione di tale disposizione sembra, prima facie, suggerire che gli Stati membri debbano accordarsi su tale punto, la stessa potrebbe, tuttavia, parimenti dar luogo all’interpretazione secondo cui lo Stato membro richiedente potrebbe decidere unilateralmente tale proroga del termine informando lo Stato membro richiesto, prima della scadenza del termine iniziale di sei mesi, del fatto che il trasferimento non potrà essere effettuato entro tale termine e che esso verrà eseguito entro un termine che lo Stato membro richiedente indica in tale occasione. Al fine di garantire l’effettività della procedura di trasferimento, potrebbe prediligersi quest’ultima interpretazione, la quale trarrebbe ispirazione dall’articolo 9, paragrafo 2 del regolamento di esecuzione.

44

Infine, il giudice del rinvio si domanda se, per valutare la legittimità del trasferimento, esso deve tener conto delle condizioni di vita cui il richiedente sarebbe soggetto nello Stato membro richiesto, nell’ipotesi in cui la sua domanda di protezione internazionale venisse ivi accolta, segnatamente del grave rischio che lo stesso subisca, in tale luogo, un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta.

45

Detto giudice ritiene, a tal proposito, che l’esame dell’esistenza di carenze sistemiche, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, non possa limitarsi alla procedura di asilo e alle condizioni di accoglienza incontrate durante tale procedura, ma debba anche prendere in considerazione la situazione successiva. Pertanto, la garanzia delle migliori condizioni di accoglienza durante detta procedura sarebbe insufficiente se l’interessato, dopo il riconoscimento della protezione internazionale, rischiasse di venire a trovarsi in una situazione di indigenza. L’obbligo di effettuare un simile esame complessivo della situazione del richiedente prima del suo trasferimento costituirebbe la contropartita necessaria del sistema di Dublino, il quale vieta alle persone che chiedono protezione di scegliere liberamente il proprio paese di asilo. In ogni caso, tale obbligo deriverebbe dall’articolo 3 della CEDU.

46

Il giudice del rinvio rileva, inoltre, che è vero che la direttiva qualifiche prevede, come regola generale, soltanto una parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro interessato. Tuttavia, un simile «trattamento nazionale» potrebbe rivelarsi insufficiente per preservare la dignità dei soggetti cui è riconosciuta protezione internazionale, atteso che questi ultimi sono generalmente vulnerabili e sradicati e non sarebbero in grado di far effettivamente valere i diritti che lo Stato membro ospitante garantisce loro. Al fine di consentire a tali soggetti di raggiungere un livello paragonabile a quello dei cittadini di detto Stato membro e di poter esercitare effettivamente i diritti di cui trattasi, l’articolo 34 della direttiva qualifiche richiede che gli Stati membri garantiscano a tali persone un accesso effettivo a programmi di integrazione, i quali svolgono una funzione compensatoria specifica. La suddetta norma costituirebbe un requisito minimo nonché la giustificazione del sistema di Dublino.

47

Il giudice nazionale fa riferimento, tra l’altro, alla relazione dell’organizzazione svizzera d’aiuto ai rifugiati, intitolato «Condizioni di accoglienza in Italia», presentata nell’agosto 2016, che conterrebbe indicazioni concrete che permettono di pervenire alla conclusione secondo cui i beneficiari di protezione internazionale in tale Stato membro sarebbero esposti al rischio di una vita ai margini della società, nell’indigenza e senza fissa dimora. Secondo tale relazione, l’insufficienza del sistema sociale di detto Stato membro è, per quanto riguarda la popolazione italiana, compensata dalla solidarietà delle strutture familiari, la quale però mancherebbe nel caso dei beneficiari di protezione internazionale. Tale relazione indica, inoltre, l’assenza quasi totale in Italia di programmi di integrazione compensatori e, in particolare, l’aleatorietà dell’accesso ai corsi di lingua essenziali. Infine, da questa medesima relazione risulterebbe che, tenuto conto del forte aumento del numero di rifugiati nel corso degli ultimi anni, le gravi carenze strutturali del sistema sociale statale non possono essere compensate dalle organizzazioni non governative e dalle Chiese.

48

In tale contesto, il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Tribunale amministrativo superiore del Baden-Württemberg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:

«1)

Se un richiedente asilo sia considerato fuggito ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento [Dublino III] (…) solo nel caso in cui si sottragga deliberatamente e coscientemente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, ai fini di scongiurare o ostacolare tale trasferimento, o se sia sufficiente che non soggiorni più nell’alloggio assegnatogli per un periodo di tempo relativamente prolungato e le autorità non siano informate di dove egli dimori, cosicché non possa avere luogo un trasferimento pianificato.

Se il soggetto interessato possa invocare la corretta applicazione della disposizione citata e, nell’ambito di una procedura contro una decisione di trasferimento, possa eccepire il decorso del termine di trasferimento, perché egli non era fuggito.

2)

Se una proroga del termine di trasferimento previsto all’articolo 29, paragrafo 1, primo comma, del regolamento [Dublino III] si verifichi già se lo Stato membro che provvede al trasferimento, ancora prima della scadenza del termine, informi lo Stato membro competente della fuga del soggetto interessato e, allo stesso tempo, stabilisca un termine concreto che non può essere superiore a 18 mesi entro il quale si procederà al trasferimento, oppure se una proroga del termine sia possibile solo quando gli Stati membri coinvolti stabiliscano consensualmente un termine prolungato.

3)

Se il trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro competente sia inammissibile nell’ipotesi in cui, in caso di riconoscimento della protezione internazionale in detto Stato, sarebbe ivi esposto, alla luce di quelle che allora sarebbero le sue prevedibili condizioni di vita, ad un grave rischio di subire un trattamento ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

Se tale questione rientri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione.

Secondo quali parametri del diritto dell’Unione si debbano valutare le condizioni di vita di un soggetto cui è stata riconosciuta la protezione internazionale».

Procedimento dinanzi alla Corte

49

Su richiesta del giudice del rinvio, la sezione designata ha esaminato la necessità di sottoporre la presente causa al procedimento pregiudiziale d’urgenza ex articolo 107 del regolamento di procedura della Corte. Il 24 aprile 2017 la suddetta sezione ha deciso, sentito l’avvocato generale, di non accogliere tale domanda.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

50

Con la sua prima questione, che comprende due parti, il giudice del rinvio chiede, da un lato, se l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, perché possa ritenersi che l’interessato sia fuggito, ai sensi di detta disposizione, sia necessario che quest’ultimo si sia deliberatamente sottratto alle autorità competenti, al fine di impedire il suo trasferimento, o se, al contrario, sia sufficiente, a tal riguardo, che detto soggetto abbia lasciato il luogo di residenza assegnatagli senza che le suddette autorità siano state informate della sua assenza, cosicché detto trasferimento non possa essere eseguito.

51

Dall’altro lato, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato può invocare l’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, eccependo che il termine di trasferimento era scaduto per il motivo che egli non era fuggito.

52

Per quanto riguarda la prima parte di tale prima questione, occorre rilevare che le disposizioni di cui all’articolo 29, paragrafo 1, primo comma, e paragrafo 2, del regolamento Dublino III prevedono, alla scadenza del termine perentorio di sei mesi, un trasferimento automatico della competenza dell’esame di una domanda di protezione internazionale allo Stato membro richiedente, tranne nei casi in cui tale termine sia stato, in via eccezionale, prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito, ipotesi in cui il trasferimento della competenza dell’esame della sua domanda è effettuato alla scadenza del termine così determinato.

53

Quanto alla questione concernente le condizioni che devono ricorrere per potersi ritenere che il richiedente «sia fuggito», ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III, occorre constatare che tale regolamento non contiene alcuna precisazione al riguardo.

54

Il regolamento Dublino III, infatti, non contiene alcuna definizione della nozione di «fuga» e nessuna delle sue disposizioni specifica espressamente se tale nozione presuppone che l’interessato abbia avuto intenzione di sottrarsi al potere delle autorità al fine di scongiurare il suo trasferimento.

55

Orbene, conformemente a costante giurisprudenza della Corte, dall’esigenza di applicazione uniforme del diritto dell’Unione deriva che, laddove una sua disposizione non rinvii al diritto degli Stati membri per quanto riguarda una determinata nozione, quest’ultima deve essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto non solo dei termini della disposizione interessata, ma anche del suo contesto e dello scopo perseguito dalla normativa di cui tale disposizione fa parte (sentenza dell’8 marzo 2018, DOCERAM, C‑395/16, EU:C:2018:172, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

56

A tal proposito, dal significato comune del termine «fuga» – utilizzato nella maggior parte delle versioni linguistiche dell’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III e che implica la volontà dell’interessato di sfuggire a qualcuno o di sottrarsi a qualcosa, ossia, nel caso di specie, alle autorità competenti e, di conseguenza, al suo trasferimento – risulta che la suddetta disposizione è applicabile, in via di principio, soltanto quando tale soggetto si sottrae deliberatamente alle suddette autorità. L’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione contempla inoltre, tra le possibili cause di rinvio di un trasferimento, il fatto che «il richiedente si sia sottratto all’esecuzione del trasferimento», il che implica l’esistenza di un elemento intenzionale. Al pari, l’articolo 2, lettera n), del regolamento Dublino III definisce la nozione di «rischio di fuga», richiamando, in talune versioni linguistiche, come la versione in lingua tedesca, il timore che l’interessato «si sottragga» mediante la fuga alla procedura di trasferimento.

57

Il contesto nel quale si inserisce l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III e gli obiettivi perseguiti da tale regolamento ostano, tuttavia, a un’interpretazione di tale disposizione in base alla quale, in una situazione in cui il trasferimento non può essere effettuato a causa del fatto che l’interessato ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli, senza informare le autorità competenti della sua assenza, dette autorità dovrebbero fornire la prova che tale persona abbia effettivamente avuto l’intenzione di sottrarsi alle medesime al fine di scongiurare il suo trasferimento.

58

Dai considerando 4 e 5 del regolamento Dublino III risulta, infatti, che l’obiettivo di tale regolamento è quello di stabilire un metodo chiaro e pratico, fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate, onde determinare con rapidità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento di una siffatta protezione e di non pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.

59

Tenuto conto di tale obiettivo di celerità, il termine di trasferimento di sei mesi determinato dall’articolo 29, paragrafo 1, e paragrafo 2, prima frase, del regolamento Dublino III mira a garantire che l’interessato sia effettivamente trasferito il più rapidamente possibile verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, lasciando al contempo, in considerazione della complessità pratica e delle difficoltà organizzative che si ricollegano all’esecuzione del trasferimento di tale persona, ai due Stati membri interessati, il tempo necessario per accordarsi ai fini della realizzazione di quest’ultimo e, più in particolare, allo Stato membro richiedente, quello per disciplinare le modalità di realizzazione del trasferimento (v., in tal senso, sentenza del 29 gennaio 2009, Petrosian, C‑19/08, EU:C:2009:41, punto 40).

60

È in tale contesto che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III consente, a titolo eccezionale, la proroga del termine di sei mesi, in modo da tener conto del fatto che è materialmente impossibile per lo Stato membro richiedente procedere al trasferimento dell’interessato a causa della detenzione o della fuga di quest’ultimo.

61

Orbene, in considerazione delle notevoli difficoltà che le autorità competenti possono incontrare quanto alla produzione della prova circa le intenzioni dell’interessato, il fatto di esigere una simile prova da parte di dette autorità potrebbe permettere ai richiedenti protezione internazionale che non intendono essere trasferiti verso lo Stato membro designato come competente per l’esame della loro domanda dal regolamento Dublino III di sfuggire alle autorità dello Stato membro richiedente fino alla scadenza del termine di sei mesi, di modo che la competenza di tale esame spetti a quest’ultimo Stato membro, in applicazione dell’articolo 29, paragrafo 2, prima frase, del suddetto regolamento.

62

Pertanto, al fine di garantire l’effettivo funzionamento del sistema di Dublino e il raggiungimento degli obiettivi di quest’ultimo, occorre ritenere che, quando il trasferimento dell’interessato non può essere eseguito a causa del fatto che quest’ultimo ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli, senza aver informato le autorità nazionali competenti della sua assenza, queste ultime siano legittimate a presumere che detto soggetto avesse l’intenzione di sottrarsi alle suddette autorità al fine di scongiurare il proprio trasferimento, a condizione, tuttavia, che tale persona sia stata debitamente informata degli obblighi ad essa incombenti a tal riguardo.

63

In tale contesto, occorre rilevare che, in applicazione dell’articolo 7, paragrafi da 2 a 4 della direttiva accoglienza, gli Stati membri – come sembra aver effettivamente fatto la Repubblica federale di Germania – possono limitare la possibilità, per i richiedenti asilo, di scegliere il luogo di residenza e possono richiedere che questi ultimi ottengano una previa autorizzazione amministrativa per lasciare tale luogo. Inoltre, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 5, della suddetta direttiva, gli Stati membri fanno obbligo ai richiedenti di comunicare il loro indirizzo alle autorità competenti e di notificare loro con la massima tempestività qualsiasi sua successiva modificazione.

64

Tuttavia, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva accoglienza, gli Stati membri devono informare i richiedenti di tali obblighi. Non si può, infatti, contestare al richiedente di aver lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato le autorità competenti e, se del caso, senza aver richiesto a queste ultime una previa autorizzazione, qualora detto richiedente non sia stato informato di tali obblighi. Spetta, nel caso di specie, al giudice del rinvio verificare che il ricorrente del procedimento principale sia stato effettivamente informato di tali obblighi.

65

Inoltre, nei limiti in cui non possa escludersi la sussistenza di valide ragioni che giustifichino il fatto che il richiedente non ha informato le autorità competenti della sua assenza, quest’ultimo deve conservare la possibilità di dimostrare che non aveva intenzione di sottrarsi a dette autorità.

66

Per quanto riguarda la seconda parte della prima questione diretta a comprendere se, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato possa invocare l’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, eccependo che il termine di trasferimento era scaduto per il motivo che egli non era fuggito, occorre constatare che dalla sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri (C‑201/16, EU:C:2017:805), pronunciata successivamente all’introduzione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, risulta che occorre rispondere alla stessa in senso affermativo.

67

In tale sentenza, infatti, la Corte ha statuito, da un lato, che, al fine di sincerarsi che la decisione di trasferimento contestata sia stata adottata a seguito di una corretta applicazione delle procedure di presa e di ripresa in carico istituite dal regolamento Dublino III, il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento deve poter esaminare le doglianze di un richiedente protezione internazionale secondo le quali detta decisione sarebbe stata adottata in violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, in quanto lo Stato membro richiedente sarebbe già divenuto lo Stato membro competente il giorno dell’adozione della suddetta decisione a causa della precedente scadenza del termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, del regolamento in parola (sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 40).

68

Dall’altro lato, alla luce dell’obiettivo, menzionato al considerando 19 del regolamento Dublino III, di garantire, conformemente all’articolo 47 della Carta, una protezione efficace degli interessati, nonché dell’obiettivo, citato al considerando 5 di tale regolamento, di assicurare con celerità la determinazione dello Stato membro competente a esaminare una domanda di protezione internazionale, nell’interesse tanto dei richiedenti una tale protezione quanto del buon funzionamento generale del sistema di Dublino, il richiedente deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di detto regolamento, intervenuta successivamente all’adozione della decisione di trasferimento (sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punti 4446).

69

Il diritto che la normativa tedesca sembra riconoscere, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, a un richiedente protezione internazionale che si trovi in una situazione come quella del sig. Jawo di invocare circostanze successive all’adozione della decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, nell’ambito di un ricorso diretto contro tale decisione, soddisfa tale obbligo di prevedere un mezzo di ricorso effettivo e rapido (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 46).

70

Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione nel seguente modo:

l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che un richiedente «[è] fuggito», ai sensi di tale disposizione, allorché si sottragga deliberatamente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, al fine di scongiurare quest’ultimo. Si può presumere che ciò si verifichi quando tale trasferimento non può essere eseguito a causa del fatto che il suddetto richiedente ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato della sua assenza le autorità nazionali competenti, a condizione che egli sia stato informato dei suoi obblighi al riguardo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Detto richiedente conserva la possibilità di dimostrare che il fatto che egli non abbia avvisato le suddette autorità della sua assenza è giustificato da valide ragioni e non dall’intenzione di sottrarsi a tali autorità.

L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato può invocare l’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, facendo valere che, poiché egli non era fuggito, il termine di sei mesi era scaduto.

Sulla seconda questione

71

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che, per poter prorogare il termine di trasferimento fino a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato sia fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento, oppure se sia necessario che i suddetti due Stati membri si accordino circa tale nuovo termine.

72

A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III non prevede, per la proroga del termine di trasferimento nelle situazioni ivi contemplate, alcuna concertazione tra lo Stato membro richiedente e lo Stato membro competente. Tale disposizione si distingue pertanto dall’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento in parola che prevede espressamente che il trasferimento avvenga previa concertazione tra gli Stati membri interessati.

73

Il fatto poi di esigere una concertazione anche nelle situazioni di cui all’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III renderebbe tale disposizione di difficile applicazione e potrebbe privarla in parte del suo effetto utile. Gli scambi tra i due Stati membri interessati, cui occorrerebbe procedere al fine di concordare una proroga del termine di trasferimento, imporrebbero infatti l’impiego di tempo e di risorse e non esisterebbe alcun meccanismo efficace che permetta di risolvere dispute relative alla sussistenza o meno delle condizioni per una tale proroga. Inoltre, sarebbe sufficiente che lo Stato membro richiesto rimanga passivo affinché sia esclusa una proroga del termine.

74

Infine, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 4, del regolamento Dublino III, la Commissione stabilisce, mediante atti di esecuzione, condizioni uniformi per la consultazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in particolare nel caso di trasferimenti differiti o ritardati. Orbene, l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione precisa che spetta allo Stato membro che, per uno dei motivi di cui all’articolo 29, paragrafo 2, non può eseguire il trasferimento entro il normale termine di sei mesi informare lo Stato membro competente prima dello scadere di tale termine, senza prevedere un obbligo di concertazione al riguardo.

75

Da quanto precede risulta che si deve rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento Dublino III deve essere interpretato nel senso che, al fine di prorogare il termine di trasferimento a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato è fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento.

Sulla terza questione

76

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 4 della Carta debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III, verso lo Stato membro che, conformemente a tale regolamento, è competente per il trattamento della sua domanda di protezione internazionale, nell’ipotesi in cui detto richiedente, in caso di riconoscimento della protezione in parola nel suddetto Stato membro, sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano e degradante, ai sensi dell’articolo 4, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui lo stesso si verrebbe a trovare in quanto beneficiario di protezione internazionale nel suddetto Stato membro. Detto giudice si domanda, inoltre, se tale questione rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. In aggiunta, esso intende conoscere, se del caso, i parametri in base ai quali il giudice nazionale deve valutare le condizioni di vita di un soggetto cui è stata riconosciuta protezione internazionale.

77

A tal riguardo, occorre constatare, in primo luogo, che la decisione di uno Stato membro di trasferire un richiedente in applicazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III verso lo Stato membro che, conformemente al regolamento in parola, è in via di principio competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale costituisce un elemento del sistema europeo comune di asilo e, pertanto, attua il diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v., per analogia, sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 6869, e del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punti 5354).

78

Inoltre, da costante giurisprudenza risulta che le disposizioni del regolamento Dublino III devono essere interpretate e applicate nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e, in particolare, dal suo articolo 4, che vieta, senza alcuna possibilità di deroga, trattamenti inumani o degradanti in tutte le sue forme, ed è quindi di fondamentale importanza e ha carattere generale e assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana, previsto all’articolo 1 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 8586, e del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punti 59, 6993).

79

La terza questione è pertanto una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

80

In secondo luogo, occorre rammentare che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con lo stesso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua [sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 35 e giurisprudenza ivi citata], nonché nel fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, segnatamente agli articoli 1 e 4 di quest’ultima, che sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 7787).

81

Il principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri riveste un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che consente la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo [v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 78, e del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 36].

82

Pertanto, nel contesto del sistema europeo comune di asilo, e segnatamente del regolamento Dublino III, che si fonda sul principio di fiducia reciproca e che mira, mediante una razionalizzazione delle domande di protezione internazionale, ad accelerare il trattamento di queste ultime nell’interesse tanto dei richiedenti quanto degli Stati partecipanti, si deve presumere che il trattamento riservato ai richiedenti di tale protezione in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] e dalla CEDU (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 78 a 80).

83

Tuttavia, non si può escludere che tale sistema incontri, in pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che un richiedente protezione internazionale sia, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali (sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 81).

84

In tali circostanze, l’applicazione di una presunzione assoluta secondo cui i diritti fondamentali del richiedente protezione internazionale saranno rispettati nello Stato membro che, ai sensi del regolamento Dublino III, è designato quale Stato membro competente a esaminare la domanda sarebbe incompatibile con l’obbligo di interpretare e applicare detto regolamento in conformità ai diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 99, 100105).

85

Pertanto, la Corte ha già statuito che, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, gli Stati membri, ivi compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente, ai sensi del regolamento Dublino II, antecedente al regolamento Dublino III, quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di tale disposizione (sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 106).

86

L’articolo 3, paragrafo 2, secondo e terzo comma, del regolamento Dublino III, che ha codificato tale giurisprudenza, precisa che, in una situazione del genere, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente diviene lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale se constata, dopo la prosecuzione dell’esame dei criteri di cui al capo III di detto regolamento, che è impossibile procedere al trasferimento del richiedente verso uno Stato membro designato sulla base di tali criteri o verso il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

87

Sebbene l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III contempli soltanto la situazione all’origine della sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), ossia quella in cui il rischio reale di trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, risulti da carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nello Stato membro che, ai sensi di tale regolamento, è designato come competente per l’esame della domanda, tuttavia dai punti 83 e 84 della presente sentenza, nonché dal carattere generale e assoluto del divieto di cui all’articolo 4, deriva che il trasferimento di un richiedente verso tale Stato membro è escluso in tutte le situazioni in cui esistano motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un simile rischio in occasione del suo trasferimento o a seguito di questo.

88

Di conseguenza, è irrilevante, ai fini dell’applicazione del summenzionato articolo 4, che l’interessato sia esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro competente, ai sensi del regolamento Dublino III, al momento stesso del trasferimento, durante la procedura di asilo ovvero all’esito di quest’ultima.

89

Come rilevato dal giudice del rinvio, infatti, il sistema europeo comune di asilo e il principio di fiducia reciproca si basano sul fatto di garantire che l’applicazione di detto sistema non comporti, in nessuna fase e sotto alcuna forma, un grave rischio di violazioni dell’articolo 4 della Carta. Sarebbe, al riguardo, contraddittorio che l’esistenza di un tale rischio nella fase della procedura di asilo impedisca un trasferimento, mentre invece questo venga tollerato quando tale procedura si è conclusa con il riconoscimento di una protezione internazionale.

90

A tal riguardo, quando il giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento dispone di elementi prodotti dall’interessato per dimostrare l’esistenza di un tale rischio, il suddetto giudice è tenuto a valutare, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone (v., per analogia, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89).

91

Per quanto riguarda, in terzo luogo, la questione relativa alla determinazione dei parametri in base ai quali le autorità nazionali competenti devono procedere a tale valutazione, si deve evidenziare che, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della Carta, che corrisponde all’articolo 3 della CEDU e il cui significato e la cui portata sono quindi, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i medesimi di quelli conferiti dalla suddetta convenzione, le carenze menzionate al punto precedente della presente sentenza devono raggiungere una soglia particolarmente elevata di gravità, la quale dipende dall’insieme delle circostanze del caso di specie (Corte EDU, 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, § 254).

92

Tale soglia particolarmente elevata di gravità sarebbe raggiunta quando l’indifferenza delle autorità di uno Stato membro comporti che una persona completamente dipendente dall’assistenza pubblica si venga a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consenta di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudichi la sua salute fisica o psichica o che la ponga in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana (v., in tal senso, Corte EDU, 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, §§ da 252 a 263).

93

Detta soglia non può quindi comprendere situazioni che, quantunque caratterizzate da un elevato grado di precarietà o da un forte degrado delle condizioni di vita dell’interessato, non implichino un’estrema deprivazione materiale che ponga detto soggetto in una situazione di gravità tale da poter essere assimilata a un trattamento inumano o degradante.

94

Una circostanza come quella invocata dal giudice del rinvio, secondo cui, in base alla relazione menzionata al punto 47 della presente sentenza, le forme di solidarietà delle strutture familiari alle quali ricorrono i cittadini dello Stato membro di regola competente per l’esame della domanda di protezione internazionale per colmare le lacune del sistema sociale di tale Stato membro generalmente mancano nel caso dei beneficiari di protezione internazionale in detto Stato membro non può essere sufficiente per giustificare la constatazione che un richiedente protezione internazionale potrebbe, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, ritrovarsi in una siffatta situazione di estrema deprivazione materiale.

95

Ciò posto, non si può completamente escludere che un richiedente protezione internazionale possa dimostrare l’esistenza di circostanze eccezionali relative al suo caso particolare e che comporterebbero, in caso di trasferimento verso lo Stato membro di regola competente per il trattamento della sua domanda di protezione internazionale, che lo stesso venga a trovarsi, a causa della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale corrispondente ai criteri menzionati ai punti da 91 a 93 della presente sentenza dopo che gli sia stato riconosciuto il beneficio di una protezione internazionale.

96

Nel caso di specie, l’esistenza di carenze nell’attuazione, da parte dello Stato membro di regola competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, di programmi di integrazione dei beneficiari di tale protezione non può costituire un motivo serio e comprovato di credere che l’interessato sarebbe esposto, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, a un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

97

In ogni caso, la mera circostanza che la protezione sociale e/o le condizioni di vita siano più favorevoli nello Stato membro richiedente rispetto allo Stato membro di regola competente per l’esame della domanda di protezione internazionale non è idonea a suffragare la conclusione secondo cui l’interessato verrebbe esposto, in caso di trasferimento in quest’ultimo Stato membro, a un rischio effettivo di subire un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta.

98

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla terza questione nel seguente modo:

Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione la questione se l’articolo 4 della Carta osti a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III, verso lo Stato membro che, conformemente a tale regolamento, è di regola competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, nell’ipotesi in cui, in caso di riconoscimento di tale protezione nel suddetto Stato membro, tale richiedente sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi del summenzionato articolo 4, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui verrebbe a trovarsi in quanto beneficiario di protezione internazionale in tale Stato membro.

L’articolo 4 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso non osta a un trasferimento siffatto del richiedente protezione internazionale, a meno che il giudice investito del ricorso avverso la decisione di trasferimento non constati, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di tale rischio per il richiedente a causa del fatto che, in caso di trasferimento, quest’ultimo si verrebbe a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.

Sulle spese

99

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, deve essere interpretato nel senso che un richiedente «[è] fuggito», ai sensi di tale disposizione, allorché si sottragga deliberatamente alle autorità nazionali competenti per l’esecuzione del trasferimento, al fine di scongiurare quest’ultimo. Si può presumere che ciò si verifichi quando tale trasferimento non può essere eseguito a causa del fatto che il suddetto richiedente ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato della sua assenza le autorità nazionali competenti, a condizione che egli sia stato informato dei suoi obblighi al riguardo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Detto richiedente conserva la possibilità di dimostrare che il fatto che egli non abbia avvisato le suddette autorità della sua assenza è giustificato da valide ragioni e non dall’intenzione di sottrarsi a tali autorità.

L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un procedimento diretto avverso una decisione di trasferimento, l’interessato può invocare l’articolo 29, paragrafo 2, di tale regolamento, facendo valere che, poiché egli non era fuggito, il termine di sei mesi era scaduto.

 

2)

L’articolo 29, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che, al fine di prorogare il termine di trasferimento a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato è fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento.

 

3)

Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che rientra nel suo ambito di applicazione la questione se l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti a che un richiedente protezione internazionale sia trasferito, in applicazione dell’articolo 29 del regolamento n. 604/2013, verso lo Stato membro che, conformemente a tale regolamento, è di regola competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale, nell’ipotesi in cui, in caso di riconoscimento di tale protezione nel suddetto Stato membro, tale richiedente sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi del summenzionato articolo 4, a causa delle prevedibili condizioni di vita in cui verrebbe a trovarsi in quanto beneficiario di protezione internazionale in tale Stato membro.

L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali deve essere interpretato nel senso che esso non osta a un trasferimento siffatto del richiedente protezione internazionale, a meno che il giudice investito del ricorso avverso la decisione di trasferimento non constati, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di tale rischio per il richiedente a causa del fatto che, in caso di trasferimento, quest’ultimo si verrebbe a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.