CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

EVGENI TANCHEV

presentate il 9 febbraio 2017 ( 1 )

Causa C‑578/16 PPU

C.K.,

H.F.,

A.S.

contro

Republika Slovenija

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vrhovno sodišče (Corte Suprema, Slovenia)]

«Rinvio pregiudiziale — Nozione di giudice nazionale avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno — Sistema europeo comune di asilo — Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale — Regolamento (UE) n. 604/2013 — Articolo 3, paragrafo 2, secondo comma — Carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti dello Stato membro competente — Articolo 17, paragrafo 1 — Clausola di sovranità»

I. Introduzione

1.

Il presente rinvio pregiudiziale riguarda l’interpretazione del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide ( 2 ). Tale regolamento mira, come quelli che lo precedono ( 3 ), da un lato, a evitare che i cittadini di paesi terzi possano, presentando una domanda di protezione internazionale in diversi Stati membri, scegliere lo Stato membro che esaminerà la loro domanda (fenomeno del «forum shopping») e, dall’altro, a garantire che ogni domanda sarà effettivamente esaminata da uno Stato membro ( 4 ). A tal fine, il regolamento n. 604/2013 prevede che ogni domanda sia esaminata da un solo Stato membro ed enuncia i criteri che consentono di determinare quale Stato membro debba essere designato competente per l’esame della domanda ( 5 ).

2.

Ci si chiede cosa accada nel caso in cui, qualora uno Stato membro sia stato designato competente ai sensi dei criteri enunciati dal regolamento n. 604/2013, si affermi che tale Stato membro non rispetta i diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Certamente, gli Stati membri garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali, enunciati, non solo dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), ma anche dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») e dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ( 6 ) (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»). Tuttavia, non si può escludere la possibilità che si verifichi una situazione in cui uno Stato membro viola un diritto fondamentale dei richiedenti asilo. Il regolamento n. 604/2013 prende in considerazione un’ipotesi siffatta. L’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, di tale regolamento prevede infatti che sia impossibile trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente qualora sussistano carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

3.

Orbene, ci si chiede cosa accada qualora le carenze, senza incidere sull’intero sistema di asilo dello Stato membro, riguardino unicamente la situazione particolare di un richiedente. Ci si chiede se tali carenze possano essere qualificate «sistemiche» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013. Qualora esse non possano essere qualificate tali, ci si chiede se diano cionondimeno origine a un obbligo di non trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente. Sono queste le questioni cui la Corte è chiamata rispondere nella presente causa.

II. Contesto normativo

A. Diritto internazionale

4.

L’articolo 3 della CEDU dispone quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

5.

L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra prevede quanto segue:

«1.   Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

2.   La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese».

B. Diritto dell’Unione

1.   La Carta

6.

L’articolo 4 della Carta dispone quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

7.

L’articolo 19, paragrafo 2, della Carta così prevede:

«Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».

2.   Regolamento n. 604/2013

8.

L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, intitolato «Accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale», così recita:

«Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente».

9.

L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, intitolato «Clausole discrezionali», prevede quanto segue:

«In deroga all’articolo 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento.

Lo Stato membro che decide di esaminare una domanda di protezione internazionale ai sensi del presente paragrafo diventa lo Stato membro competente e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Se applicabile, esso ne informa, utilizzando la rete telematica “DubliNet” istituita a norma dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1560/2003, lo Stato membro precedentemente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente.

Lo Stato membro che diventa competente ai sensi del presente paragrafo lo indica immediatamente nell’Eurodac ai sensi del regolamento (UE) n. 603/2013, aggiungendo la data in cui è stata adottata la decisione di esaminare la domanda».

III. Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

10.

La sig.ra C.K., cittadina siriana, e suo marito, sig. H.F., cittadino egiziano, sono entrati nel territorio degli Stati membri dalla Croazia il 16 agosto 2015. Essi erano in possesso di visti turistici rilasciati dalla Croazia, validi dal 6 agosto 2015 al 28 agosto 2015.

11.

Il 17 agosto 2015, la sig.ra C.K., che era incinta di sei mesi, e il sig. H.F. sono entrati in Slovenia con falsi documenti d’identità greci. Attualmente si trovano e alloggiano presso il centro dei richiedenti asilo di Lubiana.

12.

Il 20 agosto 2015, la sig.ra C.K. e il sig. H.F. hanno presentato domande di protezione internazionale in Slovenia. Dalle osservazioni del governo sloveno emerge che, in pari data, un medico ha visitato la sig.ra C.K. e ha constatato che la gravidanza proseguiva in modo normale, che ella non presentava sintomi psicologici manifesti ed era comunicativa. Il medesimo giorno il sig. H.F. è stato parimenti visitato da un medico, il quale ha riscontrato che lo stesso versava in buono stato di salute ( 7 ).

13.

Il 28 agosto 2015 le autorità slovene hanno interrogato le autorità croate. Il 14 settembre 2015 la Repubblica di Croazia ha risposto di essere competente per l’esame della domanda della sig.ra C.K e del sig. H.F.

14.

Il 20 novembre 2015 la sig.ra C.K. ha partorito un bambino, A.S. Il 27 novembre 2015, è stata presentata, in Slovenia, una domanda di protezione internazionale per A.S. Le autorità slovene hanno trattato tale domanda unitamente a quelle presentate dalla sig.ra C.K. e dal sig. H.F.

15.

Il 18 gennaio 2016 le autorità slovene hanno ricevuto dal rappresentante dei ricorrenti alcuni pareri medici che attestavano la gravidanza a rischio della sig.ra C.K., e il fatto che la stessa aveva avuto problemi dopo il parto. Tra tali documenti vi era un referto psichiatrico della sig.ra C.K., datato 4 dicembre 2015, in cui si indicava che era necessario che quest’ultima e il suo neonato restassero presso il centro di accoglienza giacché avevano bisogno di cure. Altri referti psichiatrici, datati 1o aprile, 15 aprile, 22 aprile e 13 maggio 2016, indicano che la sig.ra C.K. soffre, a seguito del suo parto, di depressione e di tendenze suicide periodiche, le quali sarebbero state causate dall’incertezza riguardo al suo status.

16.

In ragione della presenza, in particolare, di un neonato, le autorità slovene hanno chiesto alle autorità croate garanzie in ordine alle cure mediche di cui avrebbe beneficiato la famiglia presso il centro di accoglienza in Croazia. Il 7 aprile 2016 esse sono state rassicurate sul fatto che la sig.ra C.K., il sig. H.F. e il loro figlio avrebbero beneficiato, in Croazia, di un alloggio, di cure adeguate e dei trattamenti medici necessari ( 8 ).

17.

Con decisione del 5 maggio 2016 (in prosieguo: la «decisione del 5 maggio 2016»), le autorità slovene hanno rifiutato di esaminare le domande di protezione internazionale della sig.ra C.K., del sig. H.F. e del sig. A.S. Tale decisione si basa sull’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, in forza del quale, se il richiedente è titolare di un visto in corso di validità, lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale è quello che ha rilasciato il visto.

18.

Con sentenza del 1o giugno 2016, l’Upravno sodišče (tribunale amministrativo, Slovenia) ha annullato la decisione del 5 maggio 2016. Con ordinanza in pari data, esso ha sospeso l’esecuzione della decisione del 5 maggio 2016 fino all’adozione di una decisione definitiva nella controversia amministrativa.

19.

Con sentenza del 29 giugno 2016, il Vrhovno sodišče (Corte suprema, Slovenia) ha riformato la sentenza dell’Upravno sodišče (tribunale amministrativo) e ha confermato la decisione del 5 maggio 2016. Il Vrhovno sodišče (Corte suprema) ha ritenuto, in particolare, che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 non fosse applicabile. Infatti, la sussistenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in Croazia non è stata dimostrata da alcuna relazione delle istituzioni dell’Unione europea o dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Da una relazione dell’Alto Commissariato emergeva invece che la situazione in Croazia è buona, in particolare che le condizioni di accoglienza dei rifugiati nel centro di Kutina, in Croazia, sono buone. Tale centro, destinato ai gruppi vulnerabili di richiedenti asilo, può accogliere fino a cento richiedenti ma di norma ne accoglie solo un numero compreso tra venti e trenta. In detto centro viene garantito l’accesso alle cure (un medico e un ginecologo vi si recano una volta alla settimana) e, in caso di urgenza, i richiedenti asilo hanno accesso all’ospedale locale di Kutina o a quello di Zagabria. Un assistente sociale è presente ogni giorno presso il Centro di Kutina e viene ivi offerta consulenza legale due volte al mese.

20.

I ricorrenti hanno presentato dinanzi all’Ustavno sodišče (Corte costituzionale, Slovenia) un ricorso costituzionale avverso la sentenza pronunciata il 29 giugno 2016 dal Vrhovno sodišče (Corte suprema), nel frattempo passata in giudicato.

21.

Con decisione del 28 settembre 2016 l’Ustavno sodišče (Corte costituzionale) ha annullato la sentenza del Vrhovno sodišče (Corte suprema) e ha rinviato la causa a quest’ultimo.

22.

L’Ustavno sodišče (Corte costituzionale), con decisione del 28 settembre 2016, ha ritenuto che il Vrhovno sodišče (Corte suprema) avesse correttamente considerato che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 non era applicabile, dal momento che in Croazia non sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti che comportino un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Cionondimeno, l’Ustavno sodišče (Corte costituzionale) non ha comunque ritenuto che i ricorrenti potessero essere trasferiti in Croazia. Infatti, esso ha considerato che, al fine di stabilire se confutare la presunzione secondo la quale la Repubblica di Croazia è uno Stato sicuro, le autorità slovene dovevano tener conto di tutte le circostanze pertinenti, in particolare della situazione personale e dello stato di salute dei richiedenti. Orbene, il Vrhovno sodišče (Corte suprema), pur avendo valutato se la sig.ra C.K. e il suo neonato avrebbero ricevuto un’adeguata assistenza sanitaria in Croazia, non ha tuttavia verificato se il trasferimento stesso potesse incidere sullo stato di salute della sig.ra C.K. e del suo neonato. Questo è il motivo dell’annullamento della sentenza del Vrhovno sodišče (Corte suprema) e del rinvio della causa dinanzi a quest’ultimo, affinché esso esamini tutte le circostanze pertinenti.

23.

Il Vrhovno sodišče (Corte suprema), dinanzi al quale la causa è pendente, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’interpretazione delle norme riguardanti l’applicazione della clausola discrezionale di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento [n. 604/2013], considerata la natura di tale disposizione, sia tale da spettare in ultimo grado al giudice dello Stato membro e tali norme siano tali da esonerare il giudice, contro le cui decisioni non è più esperibile alcun ricorso giurisdizionale, dall’obbligo di remissione della causa alla Corte di giustizia ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

In subordine, in caso di risposta negativa alla prima questione:

2)

se la valutazione delle circostanze di cui all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento [n. 604/2013] (in una fattispecie quale quella oggetto del rinvio) sia sufficiente a garantire l’osservanza delle disposizioni dell’articolo 4 e dell’articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra.

In relazione a ciò:

3)

se dall’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento [n. 604/2013] risulti che il ricorso alla clausola discrezionale da parte di uno Stato membro sia obbligatorio al fine di garantire un’effettiva tutela a fronte di una violazione del diritto sancito dall’articolo 4 della [Carta] in casi quali quello oggetto del presente rinvio e osti al trasferimento del richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro competente, il quale abbia dichiarato la propria competenza in conformità al detto regolamento.

In caso di risposta affermativa alla terza questione:

4)

se in base alla clausola discrezionale di cui all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento [n. 604/2013] il richiedente protezione internazionale o un altro soggetto nell’ambito di un procedimento di trasferimento ai sensi del regolamento citato possano invocare l’applicazione della clausola stessa, sulla quale sono tenuti a pronunciarsi gli organismi amministrativi competenti e i giudici dello Stato membro, o se invece i detti organismi e giudici dello Stato membro siano tenuti ad accertare d’ufficio le descritte circostanze».

24.

Il 1odicembre 2016 la Corte ha deciso di trattare il rinvio pregiudiziale con procedimento d’urgenza, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte ( 9 ). I ricorrenti nel procedimento principale, la Repubblica di Slovenia e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte sulle questioni pregiudiziali. Tali parti, nonché la Repubblica italiana e il Regno Unito, sono state altresì sentite all’udienza del 23 gennaio 2017.

IV. Analisi

A. Sulla prima questione pregiudiziale

25.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte, in primo luogo, se la decisione di uno Stato membro di esaminare esso stesso una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, rientri nell’ambito di applicazione del diritto nazionale o del diritto dell’Unione e, in secondo luogo, se, nella seconda ipotesi, un giudice che decide in ultimo grado sia tenuto a rivolgersi alla Corte.

26.

Le parti ( 10 ) convengono sul fatto che l’esercizio della facoltà prevista all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

27.

Per quanto riguarda la seconda parte della questione, i ricorrenti nel procedimento principale ritengono che l’Ustavno sodišče (Corte costituzionale) non fosse tenuto a rivolgersi alla Corte, poiché, in particolare, spetta solo al giudice nazionale valutare se l’applicazione corretta del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi. Il governo sloveno ritiene che, poiché la Corte non si è ancora pronunciata sulle circostanze relative all’esercizio della facoltà prevista dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, un giudice nazionale avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso in forza del diritto nazionale sia tenuto a interrogare la Corte. La Commissione afferma che spetta ai giudici nazionali, avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno, valutare se l’atto sia chiaro o se siano tenuti a rivolgersi alla Corte.

28.

In primo luogo, ritengo che rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione la decisione di uno Stato membro di esercitare o meno la facoltà ad esso concessa dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, di esaminare esso stesso una domanda di asilo quando tale regolamento non lo designi come Stato competente.

29.

Invero, l’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 dispone che una domanda di protezione internazionale è esaminata dallo Stato membro individuato come Stato competente per tale esame in base ai criteri enunciati al capo III di tale regolamento. L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 prevede che, in deroga all’articolo 3, paragrafo 1, di tale regolamento, lo Stato membro cui sia presentata una domanda «può decidere» di esaminarla esso stesso, anche se non è individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati da tale regolamento. Tale Stato membro dispone quindi di un potere discrezionale per decidere di esercitare o meno la facoltà di esaminare la domanda, ad esso conferita dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

30.

Orbene, non può ritenersi che il diritto dell’Unione non si applichi all’esercizio, da parte di uno Stato membro, del potere discrezionale di cui esso dispone per decidere di esaminare o meno una domanda. Come statuito dalla Corte nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 65 a 69), lo Stato membro che prende la decisione di esaminare esso stesso una domanda diventa lo Stato membro competente per tale esame ai sensi del regolamento n. 604/2013 e deve informarne l’altro o gli altri Stati membri interessati. L’esercizio del potere discrezionale conferito agli Stati membri da tale disposizione fa dunque parte del meccanismo di determinazione dello Stato membro competente. Pertanto, la decisione per cui uno Stato membro sceglie di esercitare o meno la facoltà ad esso offerta dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

31.

In secondo luogo, per quanto concerne l’obbligo di un giudice in ultimo grado di interrogare la Corte, è difficile stabilire, alla luce della prima questione pregiudiziale, se il giudice del rinvio chieda alla Corte se l’Ustavno sodišče (Corte costituzionale) fosse tenuto ad adirla, o se esso stesso vi sia tenuto. Infatti, la prima questione si riferisce semplicemente al «giudice avverso le cui decisioni non è più esperibile un ricorso», senza nominarlo. Tuttavia, mi sembra che il giudice del rinvio intenda, innanzitutto, chiarire i propri obblighi, in ragione del fatto, da un lato, che esso non si è rivolto alla Corte prima di pronunciare la sentenza del 29 giugno 2016 e, dall’altro, che si rivolge ad essa ora sebbene l’organo giurisdizionale superiore, vale a dire l’Ustavno sodišče (Corte costituzionale), non si sia rivolto alla Corte. Pertanto, esaminerò in prosieguo se il Vrhovno sodišče (Corte suprema) sia tenuto a adire la Corte con riguardo all’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013. A mio avviso, si deve rispondere in modo affermativo.

32.

A tale riguardo, ricordo che un giudice avverso le cui decisioni non possa essere proposto ricorso giurisdizionale di diritto interno è tenuto, qualora dinanzi ad esso si ponga una questione di diritto dell’Unione, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato che la questione sollevata non è pertinente, o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi ( 11 ).

33.

In primo luogo, a mio avviso, la circostanza che un ricorso costituzionale possa essere presentato avverso sentenze del Vrhovno sodišče (Corte suprema) non priva quest’ultimo della qualifica di giudice avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE. Infatti, nella sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 72), la Corte ha statuito che la possibilità di presentare, dinanzi al giudice costituzionale slovacco, un ricorso contro le decisioni del Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca), «limitato alla verifica dell’eventuale violazione dei diritti e delle libertà garantite dalla Costituzione nazionale o da una convenzione internazionale», non consente di ritenere che al Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca) debba essere negata la qualifica di giudice avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE. Il Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca) era, «in qualità di corte suprema», «tenuto ad adire la Corte». Lo stesso vale per il Vrhovno sodišče (Corte suprema, Slovenia). Infatti, un ricorso costituzionale può essere presentato avverso le sue sentenze solo per violazione dei diritti e delle libertà fondamentali del ricorrente.

34.

In secondo luogo, poco importa che il Vrhovno sodišče (Corte suprema) sia, in forza del diritto nazionale, vincolato all’interpretazione fornita dall’Ustavno sodišče (Corte costituzionale) dell’articolo 3, paragrafo 2,secondo comma, e dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013. Infatti, nella sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 68), la Corte ha statuito che una norma di diritto nazionale in virtù della quale le valutazioni formulate da un organo giurisdizionale superiore, nella fattispecie l’Ústavný súd Slovenskej republiky (Corte costituzionale della Repubblica slovacca), vincolano un altro giudice nazionale, il Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema), non può privare quest’ultimo della facoltà di sottoporre alla Corte questioni riguardanti l’interpretazione del diritto dell’Unione interessato da dette valutazioni in diritto. Orbene, il Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema) è, come ho rilevato al precedente paragrafo, un giudice avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE. Pertanto, il Vrhovno sodišče (Corte suprema) non è, come del resto il Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema), esonerato dal proprio obbligo di adire la Corte in forza della norma di diritto interno che lo vincola all’interpretazione fornita dal giudice costituzionale nazionale, a fortiori qualora quest’ultimo non abbia adito la Corte, come avvenuto nel caso di specie.

35.

In terzo luogo, per quanto concerne la questione se l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 debba essere considerato un atto chiaro che esonererebbe il Vrhovno sodišče (Corte suprema) dal proprio obbligo di adire la Corte, rilevo, da un lato, che spetta solo al giudice nazionale valutare se l’applicazione corretta del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi ( 12 ) e, dall’altro, che dalla decisione di rinvio emerge chiaramente che il Vrhovno sodišče (Corte suprema) ritiene, alla luce della sentenza pronunciata il 28 settembre 2016 dall’Ustavno sodišče (Corte costituzionale), che l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 non sia un atto chiaro ( 13 ).

36.

Occorre quindi rispondere alla prima questione dichiarando che la decisione mediante la quale uno Stato membro decide di esercitare la facoltà ad esso attribuita dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Un giudice nazionale, come il giudice del rinvio, deve essere considerato un giudice avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE qualora la possibilità di proporre, dinanzi al giudice costituzionale dello Stato membro interessato, un ricorso avverso le sue decisioni sia limitato all’esame di un’eventuale violazione dei diritti e delle libertà fondamentali. Poco importa, a tale riguardo, che, in forza del diritto nazionale, tale giudice nazionale sia vincolato dalle valutazioni condotte dal giudice costituzionale.

B. Sulla seconda questione pregiudiziale

37.

Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’ipotesi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013, ossia, la sussistenza, nello Stato membro designato competente, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti, che comportino un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, sia l’unico caso in cui non sia possibile trasferire il richiedente in tale Stato membro. Esso intende stabilire se sussistano altre ipotesi in cui non sia possibile trasferire il richiedente nello Stato membro competente, vale a dire qualora, in ragione dello stato di salute del richiedente, il trasferimento stesso costituisca un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta. In altri termini, il giudice del rinvio chiede alla Corte se sia possibile trasferirlo qualora sussistano carenze che incidono sulla particolare situazione del richiedente e che comportino un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

38.

Preciso che, nel procedimento principale, sia il Vrhovno sodišče (Corte suprema), nella sua sentenza del 29 giugno 2016, sia l’Ustavno sodišče (Corte costituzionale), nella sua decisione del 28 settembre 2016, hanno ritenuto che in Croazia non sussistessero carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti che comportino un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Tuttavia, a differenza del Vrhovno sodišče (Corte suprema), l’Ustavno sodišče (Corte costituzionale) non è giunto alla conclusione che fosse possibile trasferire in Croazia i ricorrenti nel procedimento principale. Infatti, esso ha considerato che la presunzione in forza della quale gli Stati membri rispettano i diritti fondamentali dei richiedenti può essere confutata non solo qualora sussistano, nello Stato membro competente, carenze sistemiche ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013, ma anche qualora lo Stato membro competente non rispetti i propri obblighi ai sensi dell’articolo 3 della CEDU o ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra. Quest’ultima ipotesi coprirebbe situazioni che esulano dall’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013. Pertanto, al fine di stabilire se fosse possibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro competente, spettava alle autorità competenti tener conto di tutte le circostanze pertinenti, segnatamente della situazione personale dei richiedenti e del loro stato di salute. Orbene, il Vrhovno sodišče (Corte suprema) non aveva verificato se il trasferimento avesse potuto incidere sullo stato di salute della sig.ra C.K. e di suo figlio. Pertanto, la sentenza pronunciata il 29 giugno 2016 dal Vrhovno sodišče (Corte suprema) doveva essere annullata e la causa doveva essere rinviata a quest’ultimo affinché valutasse, tenuto conto della situazione personale della sig.ra C.K. e di suo figlio, se fosse possibile trasferirli verso la Croazia.

39.

I ricorrenti del procedimento principale e il governo italiano ritengono che l’ipotesi prevista all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 non sia l’unica ipotesi in cui non è possibile trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente. Il governo sloveno, il governo del Regno Unito e la Commissione sostengono il contrario. A tale riguardo, la Commissione sottolinea che la presunzione relativa al rispetto, da parte di ogni Stato membro, dei diritti fondamentali dei richiedenti, sulla quale si fonda il regolamento n. 604/2013, può essere confutata solo in situazioni del tutto eccezionali. Siffatte situazioni si verificherebbero in presenza di carenze sistemiche. Secondo la Commissione, per carenze sistemiche si intendono anche carenze che incidono sulle cure mediche e sull’assistenza a persone particolarmente vulnerabili, nonché la durata irragionevole del procedimento amministrativo e/o giudiziario. Nella fattispecie, non sarebbe provata la sussistenza di carenze sistemiche in Croazia. Secondo la Commissione, lo stato di salute della sig.ra C.K. non sarebbe sufficientemente critico da giustificare, ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU, l’impossibilità del trasferimento.

40.

Illustrerò nel prosieguo l’ipotesi in cui, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013, è impossibile trasferire un richiedente verso uno Stato membro competente e in seguito l’ipotesi, più ampia, in cui la Corte EDU vieta agli Stati di trasferire il richiedente. Indicherò poi il motivo per il quale ritengo opportuno limitare l’obbligo di non trasferire il richiedente alla sola ipotesi di cui all’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013.

1.   L’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013: considerazione delle sole carenze «sistemiche»

41.

Rammento che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 prevede che, dopo che uno Stato membro è stato designato competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale in applicazione dei criteri definiti dal capo III di tale regolamento, il richiedente non può essere trasferito verso tale Stato membro «in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta».

42.

Orbene, né il regolamento n. 604/2013 né la giurisprudenza della Corte definiscono le «carenze sistemiche».

43.

A mio avviso, per carenze «sistemiche» possono intendersi unicamente le carenze che incidono sullo stesso sistema di asilo dello Stato membro competente, indipendentemente dal fatto che si tratti delle norme di diritto che costituiscono tale sistema o della loro applicazione pratica. Preciso che tali carenze devono essere gravi, dal momento che, nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 8485), la Corte ha escluso che la «minima violazione» o «violazioni minime» delle direttive in materia di asilo ( 14 ) costituiscano carenze sistemiche. Siffatte carenze devono essere dimostrate mediante elementi probatori seri e concordanti, segnatamente rapporti regolari e concordanti di organizzazioni non governative internazionali, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e delle istituzioni dell’Unione ( 15 ). Soprattutto, dal momento che le carenze devono essere rapportate al sistema d’asilo stesso, è esclusa ogni considerazione di carenze che incidano sulla situazione particolare di un richiedente. L’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 non impone quindi agli Stati membri di effettuare un esame caso per caso al fine di stabilire se il richiedente in questione rischi di essere sottoposto a un trattamento inumano o degradante nello Stato membro competente ( 16 ).

44.

L’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 è una codificazione della sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865). In tale sentenza, la Corte, nella sua composizione di grande sezione, ha rilevato che, sebbene si debba presumere che il trattamento riservato ai richiedenti asilo in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, non si può escludere che il sistema comune europeo di asilo incontri gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro. Ciò avverrebbe in caso di carenze sistemiche che implichino un trattamento inumano o degradante ( 17 ). La Corte ne ha dedotto che gli Stati membri sono tenuti a non trasferire un richiedente verso lo Stato membro competente «quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta» ( 18 ).

45.

Orbene, nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), lo Stato membro competente era la Repubblica ellenica. Non vi erano dubbi che, in tale Stato membro, le carenze incidevano sullo stesso sistema d’asilo. Invero, la Grecia, undici mesi prima, era stata condannata dalla Corte EDU per aver inflitto trattamenti inumani e degradanti ai richiedenti asilo ( 19 ). Invece, secondo il giudice del rinvio, in Croazia non sussiste alcuna carenza sistemica ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 ( 20 ). Pertanto, è unicamente alla luce della particolare situazione dei ricorrenti nel procedimento principale che le autorità slovene si troverebbero eventualmente nell’impossibilità di trasferirli verso la Croazia. Orbene, se l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 esclude qualsiasi esame della situazione particolare dei richiedenti, di contro l’articolo 3 della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, richiede un esame siffatto.

2.   Posizione della Corte EDU: presa in considerazione della situazione particolare del richiedente

46.

La Corte EDU, nella sua sentenza del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD002921712) ( 21 ), citando la sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), ricorda la presunzione secondo la quale gli Stati membri rispettano i diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Essa rileva poi che, al fine di stabilire se tale presunzione sia confutata, «l’origine del rischio corso» è indifferente. Il fatto che il rischio di trattamenti inumani e degradanti abbia o meno «origine» nell’esistenza di carenze sistemiche dello Stato membro interessato è irrilevante. Lo Stato membro che deve effettuare il trasferimento è tenuto «a esaminare in modo approfondito e individualizzato la situazione della persona oggetto della misura e sospendere il trattamento nel caso in cui venga accertato il rischio di trattamenti inumani o degradanti» ( 22 ). Nella fattispecie, il ricorrente doveva essere trasferito verso l’Italia. La Corte EDU ritiene che, sebbene la situazione generale in Italia non osti al trasferimento, «l’ipotesi che un numero significativo di richiedenti asilo rinviati verso tale paese sia privato dell’alloggio o sia ospitato in strutture sovraffollate in condizioni di promiscuità o di insalubrità o di violenza, non sia infondata». Pertanto, la Corte EDU esige che le autorità svizzere, prima di trasferire i richiedenti verso la Repubblica italiana, ottengano da tale Stato una «garanzia individuale» che questi ultimi saranno accolti in condizioni conformi ai requisiti di cui all’articolo 3 della CEDU ( 23 ).

47.

In altri termini, laddove la Corte di giustizia richiede, per impedire il trasferimento di un richiedente verso lo Stato membro competente, carenze «sistemiche» di tale Stato membro, la Corte EDU si limita a richiedere carenze che incidono sulla situazione particolare del richiedente.

3.   Le «carenze sistemiche», unica ipotesi in cui il trasferimento è impossibile

48.

Ci si chiede se l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 osti a che un obbligo di non trasferire il richiedente sia riconosciuto in un’ipotesi diversa da quella prevista da tale articolo, ossia in presenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti dello Stato membro competente.

49.

Mi sembra che debba rispondersi in modo affermativo.

50.

È vero che non vi è nulla nella formulazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013, che suggerisca che l’ipotesi prevista da tale articolo, ossia l’esistenza di carenze sistemiche, sia l’unica ipotesi in cui è impossibile trasferire il richiedente. Infatti, tale disposizione prevede che «sia impossibile trasferire un richiedente (…) in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche». È dunque consentito ritenere che il trasferimento sia impossibile per cause diverse dalle carenze sistemiche. Inoltre, è possibile che, nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), l’intento della Corte non fosse quello di richiedere che le carenze fossero sistemiche affinché fosse impossibile trasferire il richiedente, ma che non abbia semplicemente considerato la questione. Poiché le carenze erano, in tale causa, incontestabilmente sistemiche, era inutile che la Corte si interrogasse sulle conseguenze di carenze che incidevano solo sulla situazione del richiedente.

51.

Tuttavia, l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 non può, a mio avviso, essere interpretato in tal senso. In primo luogo, una siffatta interpretazione mi sembra poco compatibile con il principio di fiducia reciproca, sul quale si fonda il sistema europeo comune di asilo. A tale riguardo, rilevo che, ai sensi del considerando 3 del regolamento n. 604/2013, «gli Stati membri, tutti rispettosi del principio di non respingimento, sono considerati Stati sicuri per i cittadini di paesi terzi». Pertanto, il principio della fiducia reciproca, che costituisce il fondamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia ( 24 ), impone agli Stati membri di «ritenere, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo» ( 25 ). Orbene, esigere che gli Stati membri, prima di trasferire un richiedente verso lo Stato membro competente, verifichino l’insussistenza, in tale Stato membro, di carenze che incidono sulla situazione particolare di tale richiedente, equivarrebbe a esigere che gli Stati membri verifichino sistematicamente il rispetto, da parte dello Stato membro competente, dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Imporre un siffatto obbligo comprometterebbe non solo il principio della fiducia reciproca, ma anche l’effetto utile del regolamento n. 604/2013 e il meccanismo per determinare con rapidità lo Stato membro competente istituito ai sensi del considerando 5 di tale regolamento ( 26 ).

52.

In secondo luogo, mi sembra impossibile considerare che, nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865), la Corte non abbia previsto l’ipotesi di carenze che incidono solo sul richiedente, dal momento che l’espressione «carenze sistemiche» non figura nelle conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak ( 27 ).

53.

In terzo luogo, ricordo che la Corte non è affatto tenuta a seguire la posizione della Corte EDU È vero che l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta stabilisce che laddove la Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, «il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla [CEDU]». Ai sensi delle spiegazioni relative alla Carta, «il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo [della Carta e dei relativi protocolli] ma anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea» ( 28 ). Tuttavia, ciò non toglie che, come rilevato dall’avvocato generale Trstenjak, «in sede di applicazione della [Carta] sarebbe sbagliato considerare la giurisprudenza della Corte EDU quale strumento di interpretazione dalla validità illimitata» ( 29 ).

54.

In quarto luogo, rilevo che, nella sentenza del 10 dicembre 2013, Abdullahi (C‑394/12, EU:C:2013:813, punto 60), la Corte ha interpretato l’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003, secondo il quale una decisione di trasferimento può formare oggetto di ricorso, nel senso che qualora uno Stato membro sia stato designato competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale in applicazione di un criterio enunciato dal regolamento n. 343/2003 ( 30 ), il richiedente «può contestare la scelta di tale criterio soltanto deducendo l’esistenza di carenze sistemiche della procedura d’asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro che costituiscono motivi seri e comprovati di credere che tale richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta» ( 31 ). In altri termini, la competenza dello Stato membro designato in applicazione dei criteri enunciati dal regolamento n. 604/2013 è esclusa in una sola ipotesi, quella in cui la sua procedura di asilo e le sue condizioni di accoglienza presentino carenze sistemiche ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, di tale regolamento. Esso è dunque competente se le carenze incidono solo sulla situazione particolare del richiedente.

55.

È vero che, nella sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash (C‑63/15, EU:C:2016:409, punto 61), la Corte ha statuito che «un richiedente asilo può invocare, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’errata applicazione di un criterio di competenza di cui al capo III [del] regolamento, [n. 604/2013]». Tuttavia, sottolineo che, in tale causa, il richiedente non affermava di correre il rischio di essere sottoposto, nello Stato membro competente, a un trattamento inumano o degradante ( 32 ). La Corte non si è pronunciata a tale riguardo. Pertanto, dalla sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash (C‑63/15, EU:C:2016:409), non può dedursi che la sussistenza di carenze sistemiche nello Stato membro competente non sia l’unica ipotesi in cui esuli la competenza di tale Stato membro e in cui il richiedente non possa essere trasferito verso tale Stato membro.

56.

Ritengo quindi che la sussistenza di carenze sistemiche ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 sia l’unica ipotesi in cui è impossibile trasferire il richiedente. A mio avviso, non è impossibile trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente qualora carenze sistemiche che incidono sulla situazione particolare di quest’ultimo costituiscano un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

57.

Nella fattispecie, i ricorrenti nel procedimento principale sostengono che il trasferimento della sig.ra C.K. e di suo figlio in Croazia comporta, alla luce del loro stato di salute, un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Orbene, analizzare se il trasferimento possa incidere sullo stato di salute della sig.ra C.K. e di suo figlio equivarrebbe a tener conto della situazione particolare di questi ultimi, circostanza che, come osservato, sarebbe contraria all’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013. In ogni caso, rilevo che, nella fattispecie, le autorità slovene sono state rassicurate dalle autorità croate in ordine al fatto che i ricorrenti nel procedimento principale avrebbero beneficiato di un alloggio, di cure adeguate e dei trattamenti sanitari necessari.

58.

Pertanto, occorre risponde alla seconda questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 osta a che lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente sia tenuto a non trasferire il richiedente verso tale Stato membro in un’ipotesi diversa da quella prevista da detto articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, ossia qualora sussistano, nello Stato membro competente, carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti, che comportano un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta. In particolare, non è impossibile trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente qualora il trasferimento stesso comporti un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

C. Sulla terza questione pregiudiziale

59.

La terza questione è posta nell’ipotesi in cui la Corte ritenesse, in risposta alla seconda questione, che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 non osti a che gli Stati membri siano tenuti a non trasferire il richiedente in ipotesi diverse da quella prevista dallo stesso. Il giudice del rinvio, con la sua terza questione, chiede se l’articolo 17, paragrafo 1, di tale regolamento debba essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro sia tenuto a non trasferire un richiedente verso lo Stato membro competente, esso debba esercitare la facoltà conferitagli da tale disposizione ed esaminare esso stesso la domanda di protezione internazionale.

60.

Alla luce della risposta che suggerisco di dare alla seconda questione, ritengo che non sia necessario rispondere alla terza questione. Tuttavia, in subordine, nel caso in cui la Corte non condividesse la mia analisi della seconda questione, esaminerò la terza questione.

61.

I ricorrenti nel procedimento principale sostengono che l’esercizio della facoltà prevista all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 è obbligatoria qualora il richiedente corra un rischio serio di essere sottoposto, nello Stato membro competente, a un trattamento inumano o degradante. I governi sloveno, italiano e del Regno Unito, nonché la Commissione ritengono che l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 non possa costituire il fondamento di un obbligo siffatto.

62.

L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 non può, a mio avviso, costituire il fondamento di un obbligo di esaminare una domanda di protezione internazionale qualora sia impossibile trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente.

63.

Infatti, in primo luogo, una siffatta interpretazione sarebbe contraria alla stessa formulazione di tale disposizione. Quest’ultima costituisce, come indicato dal titolo dell’articolo 17, del regolamento n. 604/2013, una «clausola discrezionale». Il paragrafo 1 di tale articolo prevede espressamente che lo Stato membro cui sia presentata una domanda «p[ossa] decidere» di esaminarla se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti in tale regolamento.

64.

In secondo luogo, nella sentenza del 14 novembre 2013, Puid (C‑4/11, EU:C:2013:740, punto 37), la Corte ha statuito che «l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro identificato inizialmente come competente non implica, di per sé, che lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente sia tenuto a esaminare esso stesso la domanda di asilo sul fondamento dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento [n. 343/2003]» (che corrisponde all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013). Parimenti, nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 96), la Corte ha statuito che, nel caso in cui sia impossibile trasferire un richiedente, l’esame della domanda da parte dello Stato membro che doveva effettuare il trasferimento è una semplice «facoltà». Infine, con riguardo a detto articolo 17, paragrafo 2, anch’esso intitolato «clausole discrezionali», la Corte ha ritenuto che si trattasse di «una disposizione facoltativa che accorda un ampio potere discrezionale agli Stati membri» ( 33 ).

65.

In terzo luogo, l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 è stato qualificato «clausola di sovranità» ( 34 ). Nella sentenza del 30 maggio 2013, Halaf (C‑528/11, EU:C:2013:342, punto 37), la Corte si è riferita alla proposta della Commissione che ha condotto all’adozione del regolamento n. 343/2003, la quale «precisa che la regola che compare all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento è stata introdotta al fine di consentire a ciascuno Stato membro di decidere in piena sovranità, in base a considerazioni di tipo politico, umanitario o pragmatico, di accettare l’esame di una domanda d’asilo». Pertanto, sarebbe paradossale far sì che l’applicazione di tale disposizione costituisca un obbligo per lo Stato membro interessato.

66.

In quarto luogo, rilevo che, nella sua proposta di modifica del regolamento n. 604/2013 ( 35 ), la Commissione intende limitare la facoltà stessa di applicare la clausola di sovranità. Infatti, l’articolo 19, paragrafo 1, della proposta della Commissione dispone che «ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide basata su motivi familiari relativi a membri della famiglia allargata non contemplati all’articolo 2, lettera g)» (ossia il coniuge o il partner del richiedente, i suoi figli minori, suo padre e sua madre se egli è minore) ( 36 ). Se anche la facoltà di esaminare la domanda sulla base della clausola di sovranità è limitata, tanto meno essa può costituire un obbligo ( 37 ).

67.

Pertanto, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, non può essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro sia tenuto a non trasferire un richiedente verso lo Stato membro competente, esso deve esaminare a sua volta la domanda di protezione internazionale presentatagli anche se tale esame non gli compete in forza dei criteri stabiliti in tale regolamento.

D. Sulla quarta questione pregiudiziale

68.

La quarta questione è posta nel caso in cui la Corte ritenga, in risposta alla terza questione, che, qualora uno Stato membro sia tenuto a non trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente, esso debba esaminare a sua volta la domanda ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013. Il giudice del rinvio, con la sua quarta questione, chiede alla Corte se le autorità amministrative e giudiziarie competenti dello Stato membro che deve effettuare il trasferimento siano tenute ad applicare d’ufficio l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

69.

Alla luce della risposta che suggerisco di dare alla terza questione, ritengo che non sia necessario rispondere alla quarta questione. Tuttavia, in subordine, nel caso in cui la Corte non condividesse la mia analisi della terza questione, esaminerò la quarta questione.

70.

I ricorrenti nel procedimento principale sostengono che, dal momento che il richiedente deduce un «motivo condivisibile» secondo il quale il suo trasferimento verso lo Stato membro competente lo esporrebbe a una violazione dei suoi diritti fondamentali, le autorità amministrative o giudiziarie competenti hanno l’obbligo di applicare d’ufficio l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013. I governi sloveno e del Regno Unito, nonché la Commissione ritengono che le autorità giudiziarie e amministrative competenti non abbiano l’obbligo di applicare tale disposizione d’ufficio. Essi sottolineano che l’esame di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 costituisce una facoltà dello Stato membro interessato, non un diritto del richiedente.

71.

A tale riguardo, ricordo che, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilirle, in forza del principio di autonomia processuale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) ( 38 ).

72.

Nella fattispecie, il regolamento n. 604/2013, sebbene contenga disposizioni procedurali (capi II e VI), non menziona affatto la facoltà o l’obbligo delle autorità amministrative e giudiziarie di esaminare d’ufficio se il richiedente corra il rischio di essere sottoposto, nello Stato membro competente, a un trattamento inumano o degradante, nel qual caso lo Stato membro che effettua il trasferimento sarebbe tenuto a esaminare a sua volta la domanda di protezione internazionale. Pertanto, è alla luce dei principi di equivalenza e di effettività che occorre stabilire se le autorità amministrative e giudiziarie nazionali siano tenute a esaminare d’ufficio il motivo relativo alla violazione dell’articolo 4 della Carta e all’applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

73.

Orbene, dalla decisione di rinvio emerge che i ricorrenti nel procedimento principale hanno potuto opporsi, sin dalla fase del procedimento amministrativo, al loro trasferimento verso la Croazia in quanto quest’ultima li avrebbe esposti a un rischio di trattamento inumano o degradante. Pertanto, mi sembra che la questione sia ipotetica e, come tale irricevibile ( 39 ).

74.

Suggerisco quindi di respingere la quarta questione pregiudiziale in quanto irricevibile.

V. Conclusione

75.

Tenuto conto delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sottoposte dal Vrhovno sodišče (Corte suprema, Slovenia) nel seguente modo:

In via principale:

1)

La decisione in forza della quale uno Stato membro decide di esercitare la facoltà conferitagli dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio n. 604/2013, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

2)

Un giudice nazionale, come il giudice del rinvio, deve essere considerato un giudice avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, qualora la possibilità di presentare, dinanzi al giudice costituzionale dello Stato membro interessato, un ricorso avverso le sue decisioni sia limitata all’esame di un’eventuale violazione dei diritti e delle libertà fondamentali. Poco importa, a tale riguardo, che, in forza del diritto nazionale, tale giudice nazionale sia vincolato dalle valutazioni condotte dal giudice costituzionale.

3)

L’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 osta a che lo Stato membro che procede alla determinazione dello Stato membro competente sia tenuto a non trasferire il richiedente verso tale Stato membro in un’ipotesi diversa da quella prevista da detto articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, ossia qualora sussistano, nello Stato membro competente, carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti, che comportino un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta. In particolare, non è impossibile trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente qualora il trasferimento stesso comporti un rischio di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

In subordine:

4)

L’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013, non può essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro sia tenuto a non trasferire un richiedente verso lo Stato membro competente, esso deve esaminare a sua volta la domanda di protezione internazionale presentatagli anche se tale esame non gli compete in forza dei criteri stabiliti in tale regolamento.

5)

La quarta questione pregiudiziale è irricevibile.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2013, L 180, pag. 31.

( 3 ) Il regolamento n. 604/2013 ha abrogato e sostituito il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1). Il regolamento n. 343/2003 ha a sua volta sostituito la Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee, firmata a Dublino il 15 giugno 1990 (GU 1997, C 254, pag. 1). Dal momento che tale convenzione è stata firmata a Dublino, il regolamento n. 343/2003 è noto come regolamento «Dublino II», e il regolamento n. 604/2013 come regolamento «Dublino III».

( 4 ) Hailbronner, K., e Thym, D., «Legal Framework for EU Asylum Policy», in Hailbronner, K., e Thym, D., EU Immigration and Asylum Law. A Commentary, Beck – Hart – Nomos, 2016, pagg. da 1024 a 1054 (pag. 1024).

( 5 ) Articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

( 6 ) Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967.

( 7 ) Come emerge dalle osservazioni del governo sloveno, non contraddette dai ricorrenti nel procedimento principale.

( 8 ) Come emerge dalle osservazioni del governo sloveno, non contraddette dai ricorrenti nel procedimento principale.

( 9 ) Preciso, a tale riguardo, che, in risposta a una domanda di chiarimenti della Corte, il giudice del rinvio ha indicato che l’esecuzione della decisione amministrativa del 5 maggio 2016 non è sospesa e che, per tale motivo, la Corte ha deciso di trattare il presente rinvio con il procedimento pregiudiziale d’urgenza. Invece, la causa A.S. (C‑490/16, attualmente pendente dinanzi alla Corte), in cui il medesimo giudice – il Vrhovno sodišče (Corte suprema) – ha adito la Corte con un rinvio pregiudiziale ai fini dell’interpretazione del regolamento n. 604/2013, non è stata trattata con procedimento pregiudiziale d’urgenza, malgrado la richiesta del giudice del rinvio. Infatti, in detta causa A.S., la decisione sul trasferimento è sospesa.

( 10 ) Preciso tuttavia che né il governo italiano né il governo del Regno Unito hanno presentato osservazioni sulla prima questione pregiudiziale.

( 11 ) Sentenza del 9 settembre 2015, X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:564, punto 55).

( 12 ) Sentenza del 9 settembre 2015, X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:564, punto 58).

( 13 ) A tale riguardo, preciso che, secondo la decisione di rinvio, il Vrhovno sodišče (Corte suprema) non ha interrogato la Corte prima di adottare la sentenza del 29 giugno 2016 giacché ha ritenuto che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 604/2013 fosse un atto chiaro. Solo a seguito della sentenza dell’Ustavno sodišče (Corte costituzionale) del 28 settembre 2016, che si discosta dalla precedente giurisprudenza e prassi amministrativa slovena, il giudice del rinvio ha nutrito dubbi riguardo all’interpretazione di tale disposizione.

( 14 ) Si tratta della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9); della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60); e della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96).

( 15 ) Sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 91).

( 16 ) V. Hruschka, C., e Maiani, F., «Dublin III Regulation (EU) No 604/2013», in Hailbronner, K., e Thym, D., EU Immigration and Asylum Law. A Commentary, Beck – Hart – Nomos, 2016, pagg. da 1479 a 1605 (pag. 1499).

( 17 ) Sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 80, 8186).

( 18 ) Sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. Sentenza N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 94). Tale sentenza è stata pronunciata quando era in vigore non già il regolamento n. 604/2013, bensì il regolamento precedente n. 343/2003. Orbene, il regolamento n. 343/2003 non menzionava l’impossibilità di trasferire un richiedente verso uno Stato membro in cui egli rischiava di essere sottoposto a un trattamento inumano o degradante. È dunque ai sensi dell’articolo 4 della Carta che la Corte enuncia, in tale sentenza, l’obbligo di non trasferire.

( 19 ) Sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD 003069609, §§ 233, 264 e 321).

( 20 ) Ricordo, a tale riguardo, che ogni valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale (sentenza del 16 settembre 1999, WWF e a., C‑435/97, EU:C:1999:418, punto 32).

( 21 ) Cui fa riferimento la decisione di rinvio.

( 22 ) Sentenza della Corte EDU del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD 002921712, §§ 103 e 104) (il corsivo è mio).

( 23 ) Sentenza della Corte EDU del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD 002921712, §§ 114, 115 e da 120 a 122).

( 24 ) Conclusioni dell’avvocato generale Bot nelle cause Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:140, paragrafo 4).

( 25 ) Parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 191.

( 26 ) V., a tale riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Puid (C‑4/11, EU:C:2013:244, paragrafi 6162).

( 27 ) L’avvocato generale Trstenjak si limita ad esigere un «serio pericolo di una violazione dei (…) diritti fondamentali» garantiti dalla Carta ai richiedenti, senza menzionare il carattere sistemico di un siffatto pregiudizio ai diritti fondamentali dei richiedenti (conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nelle cause riunite NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:610, paragrafo 127).

( 28 ) GU 2007, C 303, pag. 17.

( 29 ) Conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nelle cause riunite NS (C‑411/10 e C‑493/10 PPU, EU:C:2011:610, paragrafo 146).

( 30 ) Si tratta del criterio previsto all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003, che prevede la competenza dello Stato membro la cui frontiera è stata varcata illegalmente dal richiedente in provenienza da un paese terzo.

( 31 ) Il corsivo è mio.

( 32 ) Conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Ghezelbash, (C‑63/15, EU:C:2016:186, paragrafo 52).

( 33 ) Sentenza del 6 novembre 2012, K (C‑245/11, EU:C:2012:685, punto 27).

( 34 ) V. Hruschka, C., e Maiani, F., «Dublin III Regulation (EU) No 604/2013», in Hailbronner, K., e Thym, D., EU Immigration and Asylum Law. A Commentary, Beck – Hart – Nomos, 2016, pagg. da 1479 a 1605 (pag. 1534).

( 35 ) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di paese terzo o da un apolide [COM(2016) 270 final].

( 36 ) Il corsivo è mio. La Commissione propone altresì di modificare il considerando 17 del regolamento n. 604/2013 affinché esso indichi che l’uso della clausola di sovranità «dovrebbe costituire un’eccezione», perché deroga ai criteri enunciati dal regolamento n. 604/2013 e rischia di nuocere all’efficacia del sistema.

( 37 ) Rilevo tuttavia che, nella proposta di modifica del regolamento n. 343/2003, la Commissione aveva già suggerito di modificare la clausola di sovranità affinché essa disponesse che «ciascuno Stato membro può, in particolare per motivi umanitari e caritatevoli, decidere di esaminare una domanda (…) anche se tale esame non gli compete» (il corsivo è mio), ma che una siffatta proposta non ha avuto seguito. V. proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2008, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di paese terzo o da un apolide (rifusione) [COM(2008) 820 definitivo].

( 38 ) Sentenza del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punto 24).

( 39 ) Sentenza del 13 marzo 2014, Márquez Samohano (C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 35).