CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 5 ottobre 2017 ( 1 )

Causa C‑473/16

F

contro

Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (già Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal)

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttiva 2011/95/UE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Articolo 4 – Esame dei fatti e delle circostanze – Metodi di valutazione – Test psicologici – Timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 1 – Dignità umana – Articolo 7 – Diritto al rispetto della vita privata e familiare»

1. 

Quali sono le modalità con le quali le autorità nazionali devono verificare l’attendibilità delle dichiarazioni formulate da un richiedente asilo che invoca, quale motivo per la concessione dell’asilo, il timore di essere perseguitato nel suo paese d’origine per ragioni inerenti al suo orientamento sessuale? In particolare, il diritto dell’Unione osta a che tali autorità si fondino su perizie di psicologi?

2. 

Sono queste, in sintesi, le questioni sollevate dalla presente domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria).

I. Contesto normativo

A.  Diritto dell’Unione

1.  Direttiva 2011/95/UE ( 2 )

3.

Ai sensi dell’articolo 2 («Definizioni»), lettera d), della direttiva 2011/95, si intende per:

«“rifugiato”: [il] cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, (…)».

4.

L’articolo 4 («Esame dei fatti e delle circostanze») della direttiva 2011/95 così recita:

«1.   Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

2.   Gli elementi di cui al paragrafo 1 consistono nelle dichiarazioni del richiedente e in tutta la documentazione in possesso del richiedente in merito alla sua età, estrazione, anche, ove occorra, dei congiunti, identità, cittadinanza/e, paese/i e luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di viaggio nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale.

3.   L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)

di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione;

b)

delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

c)

della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

(…)

5.   Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a)

il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;

b)

tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c)

le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;

d)

il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto buoni motivi per ritardarla; e

e)

è accertato che il richiedente è in generale attendibile».

2.  Direttiva 2013/32/UE ( 3 )

5.

L’articolo 10, paragrafo 3, («Criteri applicabili all’esame delle domande») della direttiva 2013/32 così recita:

«Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame. A tal fine gli Stati membri dispongono:

a)

che le domande siano esaminate e le decisioni prese in modo individuale, obiettivo ed imparziale;

(…)

d)

che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari come quelli d’ordine medico, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori».

B.  Diritto nazionale

6.

L’articolo 6, paragrafo 1, della A menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge LXXX del 2007 sul diritto di asilo) stabilisce quanto segue:

«L’Ungheria riconosce lo status di rifugiato agli stranieri cui si applicano le condizioni di cui all’articolo XIV, paragrafo 3, della Costituzione».

7.

L’articolo 7, paragrafo 1, di tale legge è così redatto:

«Fatto salvo quanto disposto nell’articolo 8, paragrafo 1, della presente legge, l’autorità competente in materia di asilo riconosce lo status di rifugiato agli stranieri che dimostrino o comprovino con sufficiente certezza di trovarsi nelle condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della presente legge, conformemente all’articolo 1 della Convenzione di Ginevra».

8.

L’articolo 41, paragrafo 1, della medesima legge prevede quanto segue:

«Nell’ambito del procedimento per la concessione di asilo è possibile utilizzare, in particolare, i seguenti mezzi di prova, onde dimostrare o comprovare con sufficiente certezza che il richiedente asilo soddisfi i requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato, dello status di protezione sussidiaria o del beneficio della protezione temporanea:

a)

i fatti e le circostanze addotti dal richiedente a motivo della sua fuga, così come i corrispondenti giustificativi;

(…)

c)

qualsiasi informazione rilevante e attuale sul paese di origine del richiedente, ivi compresa la normativa e le altre disposizioni imperative per i soggetti di diritto, nonché sulla modalità di applicazione di queste ultime».

II. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

9.

Il ricorrente (in prosieguo: il «sig. F»), cittadino nigeriano, nell’aprile 2015, ha presentato una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato al(l’attuale) Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ufficio ungherese per l’immigrazione e l’asilo; in prosieguo: l’«Ufficio»). Nel corso del primo colloquio, il ricorrente ha espresso il timore che, se fosse dovuto ritornare nel suo paese d’origine, sarebbe stato oggetto di persecuzione a causa della sua omosessualità.

10.

Nell’ambito del successivo procedimento di asilo, l’Ufficio ha esaminato la credibilità del ricorrente attraverso vari colloqui personali. In seguito, l’Ufficio ha altresì provveduto alla nomina di uno psicologo per esaminare la personalità del sig. F, dalla quale si sarebbe potuto desumere il suo orientamento sessuale. Dopo aver effettuato una ricerca e un esame della personalità, il test del «disegno di una persona sotto la pioggia», i test di Rorschach e di Szondi (in prosieguo, congiuntamente: i «test in questione»), lo psicologo è giunto alla conclusione che gli esiti dei test non avvaloravano l’affermazione del ricorrente in merito al suo orientamento omosessuale.

11.

Con decisione del 1o ottobre 2015, l’Ufficio ha respinto la domanda di asilo del sig. F.

12.

Il sig. F ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged). Il ricorrente ha affermato, in particolare, che l’esecuzione dei test in questione ha costituito una violazione dei sui diritti fondamentali e che, in ogni caso, i test in parola non erano atti a dimostrare l’orientamento sessuale. Nel corso del successivo procedimento detto giudice ha chiesto all’Istituto dei periti e degli investigatori forensi di produrre una perizia su tali questioni.

13.

Nella perizia prodotta da tale Istituto si dichiarava che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i test in questione erano atti a dimostrare con sufficiente certezza l’orientamento sessuale di un individuo. Nella perizia veniva altresì dichiarato che l’esecuzione dei test in parola non era tale da violare la dignità umana del ricorrente.

14.

Il Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged) ha considerato che, non disponendo delle conoscenze tecniche e scientifiche necessarie per riesaminare le conclusioni dei periti, non poteva discostarsi da tali conclusioni. Detto giudice ha altresì considerato che i test in questione non avevano carattere medico in quanto la psicologia appartiene alle scienze umane e che tali test non erano simili a quelli che la Corte aveva ritenuto incompatibili con il diritto dell’Unione nella sentenza A e a. ( 4 ).

15.

In tali circostanze, nutrendo dubbi sulla corretta interpretazione del diritto dell’Unione, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 4 della direttiva 2004/83/CE debba essere interpretato, alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [(in prosieguo: la “Carta”)], nel senso che esso non osta a che, in relazione a richiedenti asilo [appartenenti alla comunità lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (“LGBTI”)], si richieda e si valuti la perizia di uno psicologo forense, basata su test proiettivi della personalità, quando per la sua elaborazione non si pongano domande sui comportamenti sessuali del richiedente asilo, né tantomeno si sottoponga quest’ultimo a un esame fisico.

2)

Qualora la perizia di cui alla prima questione non possa essere utilizzata come elemento di prova, se l’articolo 4 della direttiva 2004/83 debba essere interpretato, alla luce dell’articolo 1 della [Carta], nel senso che, quando la domanda di asilo si fonda sulla persecuzione basata sull’orientamento sessuale, né le autorità amministrative nazionali, né quelle giurisdizionali possono esaminare, attraverso metodi peritali, la veridicità delle affermazioni del richiedente asilo, a prescindere dalle peculiarità di detti metodi».

16.

Con lettera del 19 giugno 2017, il giudice del rinvio ha informato la Corte della propria intenzione di modificare le questioni pregiudiziali, sostituendo i riferimenti all’articolo 4 della direttiva 2004/83 con riferimenti all’articolo 4 della direttiva 2011/95.

17.

Hanno presentato osservazioni scritte il sig. F, i governi ungherese, francese e olandese nonché la Commissione. Il sig. F, i governi ungherese e francese nonché la Commissione hanno inoltre presentato osservazioni orali all’udienza del 13 luglio 2017.

III. Analisi

18.

Con le sue due questioni, che esaminerò congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte quali siano le modalità con le quali le autorità nazionali debbano verificare l’attendibilità delle dichiarazioni formulate da un richiedente asilo che invoca, quale motivo per la concessione dell’asilo, il timore di essere perseguitato per ragioni inerenti al suo orientamento sessuale. In particolare, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 4 della direttiva 2011/95, interpretato alla luce dell’articolo 1 della Carta, osti all’utilizzo, da parte di tali autorità, della perizia di uno psicologo.

A.  Osservazioni preliminari

19.

Prima di esaminare in modo più dettagliato le questioni specifiche sollevate dal caso di specie, ritengo opportuno ricordare brevemente le disposizioni fondamentali del diritto dell’Unione nonché la giurisprudenza della Corte su tali disposizioni. Infatti, in varie cause la Corte ha già fornito importanti chiarimenti riguardo agli obblighi che incombono agli Stati membri, secondo il diritto dell’Unione, quando esaminano le domande di protezione internazionale.

20.

In forza dell’articolo 10, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, gli Stati membri devono provvedere affinché le domande di protezione internazionale siano esaminate e le decisioni adottate «in modo individuale, obiettivo ed imparziale». A norma dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, nell’esame delle domande, le autorità competenti devono tener conto, in particolare: di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente e della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente.

21.

Tale esame è costituito da due fasi distinte. La prima fase riguarda l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda, mentre la seconda fase riguarda la valutazione giuridica di tali elementi, che consiste nel decidere se, alla luce dei fatti che caratterizzano una fattispecie, siano soddisfatti i requisiti sostanziali per il riconoscimento di una protezione internazionale ( 5 ).

22.

Per quanto riguarda lo status di rifugiato, la questione fondamentale è, per le autorità competenti, di accertare se il richiedente abbia il «timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale» nel paese di cui ha la cittadinanza (o nel quale ha la dimora abituale in caso di apolidi) ( 6 ). È generalmente riconosciuto che gli omosessuali possono essere considerati come costituenti, a tal fine, un particolare gruppo sociale ( 7 ).

23.

Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Gli Stati membri sono poi tenuti, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

24.

Tuttavia, l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 aggiunge che, quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte una serie di condizioni cumulative. Tali condizioni comprendono, in particolare, il fatto che le dichiarazioni del richiedente siano ritenute coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone, e che sia accertato che il richiedente è in generale attendibile.

25.

Pertanto, nella sentenza A e a. ( 8 ) la Corte ha sottolineato che, se le condizioni stabilite all’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 non sono soddisfatte, le dichiarazioni dei richiedenti asilo relative al loro orientamento sessuale possono necessitare di una conferma. Tali dichiarazioni possono quindi costituire, per usare le parole della Corte, «solo il punto di partenza nel processo di esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva [2011/95]» ( 9 ).

26.

È pacifico che nessun atto di diritto dell’Unione stabilisce norme specifiche riguardo alle metodologie che le autorità nazionali devono applicare nella valutazione delle informazioni e degli elementi di prova presentati dai richiedenti e, più in particolare, nell’esame della credibilità dei richiedenti. Gli Stati membri dispongono quindi di una certa discrezionalità al riguardo ( 10 ). Tuttavia, le metodologie applicate devono essere conformi alle disposizioni delle direttive 2011/95 e 2013/32 nonché, come emerge dai considerando 16 e 60, rispettivamente, di tali direttive, ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, quali il diritto al rispetto della dignità umana, sancito all’articolo 1 della Carta, nonché il diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantito dall’articolo 7 della medesima ( 11 ).

27.

È in questo contesto che esaminerò le questioni giuridiche sollevate dal presente procedimento.

B.  Il ricorso alla perizia degli psicologi

28.

Per rispondere alle questioni pregiudiziali, è necessario chiarire se, e in caso di risposta affermativa, a quali condizioni, le autorità nazionali possano ricorrere alla perizia degli psicologi in sede di esame delle domande di protezione internazionale presentate per ragioni inerenti all’orientamento sessuale.

29.

Anzitutto, consentitemi tuttavia di sottolineare, ancora una volta, che la questione fondamentale, nell’ambito dell’esame da effettuare conformemente alle disposizioni delle direttive 2011/95 e 2013/32, è se l’asserito timore di persecuzione del richiedente sia fondato. In altri termini, le autorità competenti sono tenute ad appurare se le circostanze accertate rappresentino una minaccia tale da far fondatamente temere alla persona interessata, alla luce della sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto di atti di persecuzione ( 12 ). Anche se un richiedente asilo asserisce di temere persecuzioni per ragioni inerenti al suo orientamento sessuale, non è sempre necessario accertare il suo effettivo orientamento sessuale, come sottolineano i governi francese e olandese.

30.

Ad esempio, è possibile che vi siano paesi in cui – nonostante l’esistenza di leggi che vietano l’omosessualità – talune persone omosessuali (per il fatto, ad esempio, che la legge non viene sistematicamente applicata ( 13 ) e alla luce del contesto sociale, economico e familiare di tali soggetti, del luogo in cui essi vivono e così via ( 14 )) non rischiano effettivamente di essere perseguitate. Possono sussistere, d’altro canto, situazioni in cui il semplice fatto di comportarsi secondo modalità che, tradizionalmente, vengono percepite come non conformi al sesso di appartenenza ( 15 ), possono far sorgere il rischio concreto per la persona interessata di subire violenze fisiche e psicologiche ( 16 ).

31.

Ciò detto, occorre sottolineare che, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera d), della direttiva 2013/32, le autorità nazionali incaricate di esaminare le domande di protezione internazionale devono avere la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari, compresi quelli di genere.

32.

In considerazione di ciò, la prima questione che sorge è se nella perizia che le autorità competenti possono richiedere sia inclusa anche quella degli psicologi.

33.

Non vedo alcun motivo per cui, in via di principio, le autorità competenti non debbano poter chiedere pareri a persone con una formazione e con qualifiche in psicologia ( 17 ), la scienza che studia la mente e il comportamento umano. Non mi sembra che qualsiasi tipo di test psicologico, se ritenuto utile, sia sempre e necessariamente incompatibile con la dignità umana. Al contrario, non si può escludere che, almeno in talune situazioni, l’assistenza di psicologi possa essere d’aiuto alle autorità amministrative che decidono sulle domande di protezione internazionale o ai giudici nazionali che riesaminano tali decisioni e, probabilmente, agli stessi richiedenti.

34.

Ad esempio, la presenza di uno psicologo durante i colloqui può aiutare un richiedente che afferma di essere stato oggetto di persecuzioni o di violenze (o che teme semplicemente di essere perseguitato qualora dovesse ritornare al proprio paese d’origine) a parlare apertamente delle precedenti esperienze o dei suoi timori, in modo tale che le autorità possano avere un quadro più completo e veritiero della situazione ( 18 ). Dopo tutto, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2013/32, l’autorità nazionale responsabile dell’esame delle domande deve «dispo[rre] di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai suoi compiti». In particolare, le persone che conducono i colloqui con i richiedenti devono «[aver] (…) acquisito una conoscenza generale dei problemi che potrebbero compromettere la capacità del richiedente di sostenere il colloquio».

35.

Inoltre, le autorità potrebbero anche ritenere che l’assistenza di uno psicologo possa essere utile per valutare la credibilità generale del richiedente. Si tratta di un aspetto importante dell’esame effettuato dalle autorità competenti in quanto, se la credibilità del richiedente viene dimostrata (e purché siano soddisfatte anche le altre condizioni cumulative stabilite all’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95), l’orientamento sessuale dichiarato dal richiedente, per quanto non suffragato da prove documentali o di altro tipo, non necessita di conferme.

36.

Per contro, non sono convinto del fatto che la perizia di uno psicologo possa, in base a un’analisi della personalità del richiedente, stabilire con sufficiente certezza se l’orientamento sessuale dichiarato dal richiedente sia o meno corretto. In primo luogo, un rapido sguardo alla letteratura scientifica dimostra che, secondo vari studi di psicologia, gli uomini e le donne omosessuali non si possono distinguere, sotto il profilo psicologico, dagli uomini e dalle donne eterosessuali ( 19 ).

37.

In secondo luogo, indipendentemente dal suo fondamento scientifico, non sono sicuro che un’analisi basata su test proiettivi della personalità per stabilire l’orientamento sessuale di una persona sia compatibile con le disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95. Se intendo correttamente, le emozioni o i conflitti nascosti che siffatta analisi dovrebbe svelare confermerebbero o rimetterebbero in discussione, agli occhi degli psicologi che svolgono tale analisi, l’orientamento sessuale dichiarato del richiedente. A mio avviso, tuttavia, siffatto tipo di analisi comporta inevitabilmente l’uso di nozioni stereotipate riguardo al comportamento degli omosessuali. Infatti, interpellato in udienza, il governo ungherese si è adoperato per spiegare le ragioni per cui l’analisi di cui trattasi nel procedimento principale non ha comportato l’uso di nozioni stereotipate. Si tratta, tuttavia, di un tipo di analisi che la Corte ha già considerato problematico nella sentenza A e a., in quanto non consente di tenere pienamente conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente ( 20 ).

38.

Alla luce di ciò, la seconda questione è di stabilire a quali condizioni la perizia di uno psicologo sia ammissibile e, più in particolare, se tale perizia possa basarsi su test come quelli di cui trattasi nel procedimento principale.

C.  Il requisito del consenso

39.

In primo luogo, ritengo che i test psicologici siano ammissibili solo quando il richiedente ha manifestato il proprio consenso e quando detti test possono essere effettuati in modo da rispettare la dignità del richiedente e il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

40.

L’articolo 18, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2013/32 prevede che «[q]ualora sia ritenuto pertinente dall’autorità accertante per la valutazione di una domanda di protezione internazionale (…) gli Stati membri dispongono, previo consenso del richiedente, una visita medica del richiedente concernente i segni che potrebbero indicare persecuzioni o danni gravi subiti. In alternativa, gli Stati membri possono prevedere che il richiedente disponga tale visita medica».

41.

Inoltre, l’articolo 25, paragrafo 5, secondo comma, della medesima direttiva – riguardante visite mediche su minori non accompagnati – stabilisce che «[l]e visite mediche sono effettuate nel pieno rispetto della dignità della persona con l’esame meno invasivo possibile ed effettuato da professionisti nel settore medico qualificati che consentano, nella misura del possibile, un esito affidabile».

42.

Nella direttiva 2013/32 non compaiono disposizioni analoghe per quanto riguarda i test effettuati dagli psicologi. Tuttavia, ritengo che i principi fondamentali sanciti all’articolo 18, paragrafo 1, primo comma, e all’articolo 25, paragrafo 5, secondo comma, della direttiva 2013/32 siano validi, entro certi limiti, anche per quanto riguarda i test psicologici ( 21 ).

43.

I test psicologici possono essere, per la psiche del richiedente, invasivi quanto le visite mediche possono esserlo per il suo corpo. Detti test costituiscono anche un’evidente interferenza con la sua vita privata ( 22 ). Ecco perché ritengo che il consenso del richiedente di sottoporsi a detti test sia, in questo contesto, necessario. Sono ovviamente consapevole del fatto che, in una situazione come quella del richiedente asilo, può essere piuttosto difficile, in pratica, negare il consenso. Tanto più che può essere spesso difficile fornire elementi di prova relativi all’orientamento sessuale di una persona ( 23 ). A mio avviso, ciò rende ancor più importante il fatto che, anzitutto, il rifiuto di sottoporsi a detti test sia rispettato. Un prerequisito per un consenso effettivo è ovviamente, il fatto che al richiedente asilo sia stato consentito di conoscere e di comprendere a sufficienza tutti gli elementi e le implicazioni dei test psicologici ( 24 ). Inoltre, è estremamente importante che detti test siano effettuati in modo da rispettare la dignità nonché la vita privata e familiare del richiedente ( 25 ).

44.

Tale interpretazione è suffragata anche dal considerando 29 della direttiva 2013/32, secondo il quale «[t]aluni richiedenti possono necessitare di garanzie procedurali particolari, tra l’altro, per motivi di (…) orientamento sessuale (…) A tali richiedenti è opportuno fornire un sostegno adeguato, compreso tempo sufficiente, così da creare i presupposti necessari affinché accedano effettivamente alle procedure e presentino gli elementi richiesti per istruire la loro domanda di protezione internazionale». Tale considerando conferma la delicatezza di qualsiasi indagine sulla sessualità di una persona.

45.

Ovviamente, il rifiuto da parte del richiedente di sottoporsi a un esame di tal genere – quando si presta particolare attenzione a condurre i test in modo da rispettare la dignità e il diritto al rispetto della vita privata e familiare del richiedente – non può impedire alle autorità di adottare una decisione sulla domanda ( 26 ). Ciò implica che, quando gli Stati membri applicano il principio secondo il quale il richiedente è tenuto a motivare la domanda di protezione internazionale, e le condizioni stabilite all’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 non sono soddisfatte, il rifiuto del richiedente può avere talune conseguenze di cui lo stesso richiedente deve farsi carico.

46.

Secondo l’ordinanza di rinvio, il sig. F ha acconsentito a sottoporsi a test psicologici. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio verificare che detti test sono stati effettuati secondo modalità che hanno effettivamente rispettato la dignità nonché la vita privata e familiare del sig. F ( 27 ).

D.  L’utilizzo dei test psicologici

47.

In secondo luogo, i test psicologici che devono essere effettuati dagli esperti nominati dalle autorità dovrebbero basarsi su metodi, principi e nozioni generalmente accettati dalla comunità scientifica, o comunque sufficientemente affidabili. Inoltre, tali metodi, principi e nozioni devono essere, alla luce delle circostanze del caso di specie, pertinenti per il tipo di esame richiesto dalle autorità. Di conseguenza, i test psicologici potrebbero quindi produrre risultati sufficientemente affidabili ( 28 ).

48.

A mio avviso, i test effettuati in base a una scienza controversa e non riconosciuta possono essere difficilmente considerati dalle autorità come dotati di valore probatorio. Analogamente, i test basati, in via di principio, su metodi, principi e nozioni generalmente accettati, ma erroneamente applicati o applicati in un contesto non appropriato non possono produrre risultati sufficientemente affidabili.

49.

Ovviamente, non spetta a questa Corte prendere posizione sull’affidabilità e sulla pertinenza degli specifici tipi di test di cui trattasi nel procedimento principale ( 29 ). Pertanto, sarà compito del giudice del rinvio pronunciarsi, in particolare, sulla questione se i test utilizzati nel caso del sig. F (i test del disegno della persona sotto la pioggia, di Rorschach e di Szondi) siano – come sostiene il governo ungherese – basati su metodi, principi e nozioni generalmente accettati dalla comunità scientifica oppure – come afferma il sig. F – oggetto di un acceso dibattito nella letteratura scientifica.

E.  Diritto a un ricorso effettivo

50.

In terzo luogo, quando è il giudice nazionale, ai fini del riesame della decisione delle autorità su una domanda di protezione internazionale, a chiedere una perizia, tale giudice non può ritenersi vincolato, in ogni caso, de lege o de facto, dalle conclusioni del perito (e, a fortiori, dalle conclusioni dei periti che le autorità competenti avevano nominato durante il procedimento amministrativo).

51.

In forza dell’articolo 46, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2013/32, i richiedenti protezione internazionale devono avere diritto a «un ricorso effettivo dinanzi a un giudice» avverso, in particolare, decisioni riguardanti le loro domande. Tale ricorso dovrebbe prevedere «l’esame completo (…) degli elementi di fatto e di diritto» ( 30 ).

52.

L’articolo 46 della direttiva 2013/32 – soprattutto se interpretato alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – richiede quindi ai giudici nazionali di essere in grado di svolgere un esame critico, indipendente e approfondito di tutti gli aspetti pertinenti di fatto e di diritto ( 31 ). Ciò include, necessariamente, a mio avviso, la possibilità di non tener conto delle conclusioni dei periti – che costituiscono un elemento di prova da valutare unitamente ad altre prove – che un giudice può reputare, ad esempio, di parte, infondate o basate su metodi e teorie controversi.

53.

A tal riguardo, in conformità al principio dell’autonomia procedurale e fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro fissare le modalità di assunzione della prova, i mezzi di prova ammissibili dinanzi al giudice nazionale competente o, ancora, i principi che presiedono alla valutazione, da parte di detto giudice, dell’efficacia probatoria degli elementi di prova sottoposti al suo esame nonché lo standard probatorio richiesto ( 32 ). Tuttavia, conformemente al principio di effettività, la Corte ha constatato che il regime probatorio non può essere applicato dal giudice nazionale in modo tale da risolversi, in pratica, nell’instaurazione di forme di presunzione ingiustificate, che siano tali da violare il regime probatorio stabilito in atti dell’Unione o da pregiudicare l’effettività stessa delle norme sostanziali previste da tali atti ( 33 ). Tale problema potrebbe sorgere nel caso in cui i giudici nazionali applichino il regime probatorio nazionale in modo troppo poco esigente, accontentandosi di prove non pertinenti o insufficienti.

54.

Pertanto, i giudici nazionali devono garantire che gli indizi prodotti siano effettivamente sufficientemente gravi, precisi e concordanti da autorizzare la conclusione tratta dagli stessi ( 34 ). Detti giudici devono preservare il proprio libero apprezzamento quanto al fatto che una simile prova sia stata o meno fornita in modo giuridicamente sufficiente, fino al momento in cui, avendo preso conoscenza di tutti gli elementi prodotti dalle parti e degli argomenti scambiati dalle stesse, si ritengano in grado, alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti del caso al loro esame, di formare il proprio convincimento definitivo al riguardo ( 35 ).

55.

La posizione opposta consisterebbe, in sostanza, nella rinuncia al proprio ruolo da parte del giudice, rendendo inefficaci le garanzie espressamente previste all’articolo 46 della direttiva 2013/32. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda le perizie in cui viene espresso un parere su questioni di diritto. Ad esempio, osservo che il perito nominato dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged) nel procedimento principale ha ritenuto che il modo in cui l’esame del sig. F è stato condotto dagli psicologi nominati dalle autorità amministrative ungheresi non violasse i diritti fondamentali del sig. F. Ciò sembra costituire, tuttavia, una valutazione giuridica spettante ai giudici competenti, non già al perito nominato nel corso del procedimento ( 36 ).

IV. Conclusione

56.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Szegedi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szeged, Ungheria) come segue:

L’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, interpretato alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non osta all’utilizzo, da parte delle autorità, della perizia di uno psicologo, in particolare per valutare la credibilità generale del richiedente protezione internazionale, a condizione che: i) l’esame del richiedente avvenga con il suo consenso e sia effettuato in modo da rispettare la dignità nonché la vita privata e familiare del richiedente, ii) la perizia sia basata su metodi, principi e nozioni sufficientemente affidabili e pertinenti alla luce delle circostanze del caso di specie, e che possano produrre risultati sufficientemente affidabili, e iii) le conclusioni del perito non siano vincolanti per i giudici nazionali chiamati a riesaminare la decisione in merito alla domanda.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione) (GU 2011, L 337, pag. 9).

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).

( 4 ) Sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406).

( 5 ) Sentenza del 22 novembre 2012, M. (C‑277/11, EU:C:2012:744, punto 64).

( 6 ) V. articolo 2, lettera d), e articoli da 9 a 12 della direttiva 2011/95.

( 7 ) V. articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95. V. anche sentenza del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punti da 41 a 49).

( 8 ) Sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 51).

( 9 ) Sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 49).

( 10 ) V., a tal fine, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nelle cause riunite A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2111, paragrafo 32).

( 11 ) V., a tal fine, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 53).

( 12 ) V. sentenza del 7 novembre 2013, X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:720, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

( 13 ) V., ad esempio, Corte EDU, 19 aprile 2016, A.N. c. Francia, CE:ECHR:2016:0419DEC001295615, § 41.

( 14 ) V. ad esempio, Corte EDU, 11 gennaio 2007, Salah Sheekh c. Paesi Bassi, CE:ECHR:2007:0111JUD000194804, §§ da 138 a 149.

( 15 ) Comportamento che può riguardare, tra l’altro, l’abbigliamento, il modo di parlare e le maniere (ad esempio socializzare e trascorrere del tempo con persone omosessuali, o fare campagne a favore dei diritti LGBTI).

( 16 ) V., a tal fine, articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2011/95. V. anche conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nelle cause riunite A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2111, paragrafo 34).

( 17 ) Sulla necessità di un’adeguata qualifica, v., per analogia, articolo 18, paragrafo 1, secondo comma, e articolo 25, paragrafo 5, secondo comma, della direttiva 2013/32.

( 18 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa M. (C‑277/11, EU:C:2012:253, paragrafo 66).

( 19 ) V., ad esempio, American Psychological Association, Report of the American Psychological Association Task Force on Appropriate Therapeutic Responses to Sexual Orientation, Washington, 2009.

( 20 ) Sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punti da 60 a 62).

( 21 ) Ad esempio, osservo che i trattamenti e le procedure di carattere medico e psicologico sono trattati allo stesso modo in base al principio 18 («Protezione dagli abusi medici») dei Principi di Yogyakarta. Il principio 18 così recita: «Nessuno può essere costretto a subire una qualsiasi forma di trattamento, procedura, esame medico o psicologico, o essere rinchiuso in una struttura sanitaria, sulla base del suo orientamento sessuale o della sua identità di genere. Nonostante qualsiasi classificazione contraria, l’orientamento sessuale e l’identità di genere di una persona non sono in sé e per sé condizioni mediche, e non vanno trattate, curate o soppresse. (…)» I Principi di Yogyakarta sull’applicazione del diritto internazionale dei diritti umani all’orientamento sessuale ed all’identità di genere sono stati adottati nel 2007 e, sebbene non siano giuridicamente vincolanti, si ritiene, in genere, che costituiscano utili strumenti per l’interpretazione dei trattati o delle leggi in materia di diritti umani.

( 22 ) V., a tal fine, Corte EDU, 5 luglio 1999, Matter c. Slovacchia, CE:ECHR:1999:0705JUD003153496, e Corte EDU, 27 novembre 2003, Worwa c. Polonia, CE:ECHR:2003:1127JUD002662495.

( 23 ) V., a tal fine, Corte EDU, 19 aprile 2016, A.N. c. Francia, CE:ECHR:2016:0419DEC001295615, § 44.

( 24 ) A tal proposito, v. ad esempio, Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, Homophobia, transphobia and discrimination on grounds of sexual orientation and gender identity – 2010 Update, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, 2010, pag. 60.

( 25 ) V., a tal fine, sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 64).

( 26 ) V., per analogia, articolo 18, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32.

( 27 ) Tornerò su questo aspetto infra, al paragrafo 55 delle presenti conclusioni.

( 28 ) V., per analogia, articolo 25, paragrafo 5, secondo comma, della direttiva 2013/32.

( 29 ) Al pari dei governi francese, ungherese e olandese e della Commissione, e diversamente dal sig. F, non interpreto il punto 59 della sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406) nel senso che vieta categoricamente i test psicologici. Le constatazioni della Corte su tale aspetto riguardavano, a mio avviso, soltanto i test specifici in questione nel caso di specie.

( 30 ) Il corsivo è mio.

( 31 ) V., per analogia, sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

( 32 ) V., a tal fine, sentenza del 21 giugno 2017, W e a. (C‑621/15, EU:C:2017:484, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

( 33 ) V. sentenza del 21 giugno 2017, W e a. (C‑621/15, EU:C:2017:484, punto 34).

( 34 ) V., per analogia, sentenza del 21 giugno 2017, W e a. (C‑621/15, EU:C:2017:484, punti 3536).

( 35 ) V., a tal fine, sentenza del 21 giugno 2017, W e a. (C‑621/15, EU:C:2017:484, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

( 36 ) Ad esempio, il documento Guidelines on the role of court-appointed experts in judicial proceedings of Council of Europe’s Member States (Orientamenti sul ruolo dei periti nominati da un tribunale nei procedimenti giudiziari degli Stati membri del Consiglio d’Europa) stabilisce al riguardo che: «Il perito ha il compito di individuare e presentare al giudice i fatti che possono essere rilevati soltanto da specialisti che conducono uno studio specialistico e obiettivo. Il perito trasmette al giudice conoscenze scientifiche e/o tecniche che consentono quindi a quest’ultimo di svolgere un’indagine e una valutazione dei fatti obiettiva e precisa. Il perito non può, né è in alcun modo suo compito, assumere la responsabilità del giudice di valutare i fatti costituenti il fondamento della sentenza del tribunale. (…) Di conseguenza, il perito è semplicemente un ausiliario o un consulente del giudice, niente di più. Il ruolo del perito è quindi diverso da quello del giudice, cui spetta decidere su questioni di diritto» (Orientamenti adottati dalla Commissione europea per l’efficacia della giustizia, Consiglio d’Europa, 11‑12 dicembre 2014, paragrafi 16 e 17).