CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 1o marzo 2018 ( 1 )

Causa C‑116/16

Skatteministeriet

contro

T Danmark

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (cosiddetta direttiva sulle società madri e figlie) – Necessità di un beneficiario effettivo nel caso di pagamenti di dividendi – Abuso delle costruzioni ammesse dal diritto tributario – Criteri per la sussistenza di un abuso in caso di elusione di una ritenuta alla fonte – Rilevanza dei commentari del modello di convenzione OCSE sull’interpretazione di una direttiva UE – Applicazione diretta di una disposizione non trasposta di una direttiva – Interpretazione conforme al diritto dell’Unione di principi nazionali in materia di repressione degli abusi»

I. Introduzione

1.

Nel caso in esame e nella causa C‑117/16, la Corte – al pari di altri quattro procedimenti paralleli ( 2 ) attinenti alla direttiva interessi e canoni – è chiamata a Determinare le circostanze in presenza delle quali possa essere negata l’esenzione dalla ritenuta alla fonte risultante dalla direttiva 90/435/CEE ( 3 ) (in prosieguo: la «direttiva sulle società madri e figlie») ad una controllata che abbia distribuito dividendi alla propria società madre.

2.

La causa si colloca nel contesto di una distribuzione (pianificata) di dividendi a favore di una società madre lussemburghese. La società madre di quest’ultima è parimenti una società stabilita in Lussemburgo, le cui azioni sono a loro volta detenute da vari fondi di investimento. Non è tuttavia acclarato dove siano residenti tali fondi di investimento. Il ministero delle Finanze in Danimarca intende negare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte fintantoché non sia chiara la sorte ultima dei dividendi.

3.

In tale contesto, il giudice del rinvio s’interroga, in particolare, sulla definizione e sull’applicabilità indiretta del divieto di abuso sancito dal diritto dell’Unione, nonché sulle modalità di determinazione del beneficiario effettivo dei dividendi. Diversamente dalla direttiva interessi e canoni, la direttiva sulle società madri e figlie non fa tuttavia riferimento ad un «beneficiario effettivo».

4.

La Danimarca utilizza peraltro tale nozione nella convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione conclusa con il Lussemburgo (in prosieguo: la «CDI»). Il giudice del rinvio chiede pertanto chi debba interpretare tale nozione contenuta nella CDI e se debbano essere presi in considerazione i commentari successivamente elaborati dall’OCSE in relazione ai propri modelli di convenzione.

5.

La questione in realtà decisiva è tuttavia se, ai fini dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte nell’ambito della direttiva sulle società madri e figlie, sia determinante l’impiego finale dei dividendi in strutture societarie articolate su più livelli, in particolare qualora tali strutture di gruppo siano intese anche minimizzare gli oneri fiscali consistenti in tassazione alla fonte definitiva sulle distribuzioni di dividendi all’interno del gruppo. Si pone pertanto nuovamente la questione di dove e come si ponga il confine fra una costruzione fiscale ammissibile e una costruzione fiscale parimenti legale, ma eventualmente abusiva.

II. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

6.

Il contesto di diritto dell’Unione in cui si colloca il caso di specie è rappresentato dalla direttiva sulle società madri e figlie e dagli articoli 49, 54 e 63 TFUE.

7.

Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, la direttiva sulle società madri e figlie dev’essere applicata da ogni Stato membro, in particolare, per quanto attiene alla distribuzione degli utili percepiti da società dello Stato membro medesimo e provenienti da loro controllate di altri Stati membri.

8.

L’articolo 1 della direttiva medesima così dispone:

«1.   Ogni Stato membro applica la presente direttiva:

alla distribuzione degli utili percepita da società di questo Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri;

alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali; (…)

2.   La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi».

9.

Il successivo articolo 4 così recita:

«1.   Quando una società madre o la sua stabile organizzazione, in virtù del rapporto di partecipazione tra la società madre e la sua società figlia, riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia, lo Stato della società madre e lo Stato della sua stabile organizzazione:

si astengono dal sottoporre tali utili ad imposizione, o

li sottopongono ad imposizione, autorizzando però detta società madre o la sua stabile organizzazione a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta societaria relativa ai suddetti utili e pagata dalla società figlia e da una sua sub-affiliata, a condizione che a ciascun livello la società e la sua sub-affiliata soddisfino i requisiti di cui agli articoli 2 e 3 entro i limiti dell’ammontare dell’imposta corrispondente dovuta.

2.   Ogni Stato membro ha tuttavia la facoltà di stipulare che oneri relativi alla partecipazione e minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della società figlia non siano deducibili dall’utile imponibile della società madre. In tal caso, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate forfettariamente, l’importo forfettario non può essere superiore al 5% degli utili distribuiti dalla società figlia. (…)».

10.

A termini del successivo articolo 5, paragrafo 1:

«1.   Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte».

B. Diritto internazionale

11.

La convenzione contro le doppie imposizioni conclusa fra la Danimarca e il Lussemburgo (in prosieguo: la «CDI») del 17 novembre 1980 contiene, all’articolo 10, paragrafi 1 e 2, la seguente disposizione relativa alla ripartizione della potestà impositiva per i dividendi:

«1.   I dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in tale altro Stato.

2.   Tuttavia, i dividendi sono imponibili anche nello Stato contraente in cui la società distributrice dei dividendi è residente, conformemente alla legislazione di detto Stato; se il destinatario è il beneficiario effettivo dei dividendi, l’imposta non può peraltro eccedere:

a)

il 5% dell’importo lordo dei dividendi, se il beneficiario effettivo è una società (non di persone) direttamente detentrice quantomeno del 25% del capitale della società distributrice dei dividendi;

b)

il 15% dell’importo lordo dei dividendi in tutti gli altri casi».

12.

Ne consegue che lo Stato della ritenuta alla fonte, nella specie la Danimarca, può tassare ad aliquota ridotta i dividendi corrisposti a una società madre residente in Lussemburgo solo qualora detta società sia «il beneficiario effettivo» degli interessi. La nozione di «beneficiario effettivo» non è definita nella CDI.

C. La normativa danese

13.

Secondo quanto esposto dal giudice del rinvio, il contesto normativo danese negli anni controversi risulta essere il seguente:

14.

La tassazione dei dividendi delle società madri residenti è disciplinata all’articolo 13, paragrafo 1, punto 2, del Selskabsskattelov (legge in materia di imposta sulle società), il quale, per l’esercizio fiscale 2011, figurava nel decreto del 7 dicembre 2010, n. 1376, come modificato:

«§ 13. Il reddito imponibile non comprende: (…)

2)   i dividendi ricevuti dalle società o associazioni ecc., di cui all’articolo 1, paragrafo 1, punti da 1) a 2a), da 2d) a 2i), da 3a) a 5b), sotto forma di azioni o partecipazioni in società di cui all’articolo 1, paragrafo 1, punti da 1) a 2a), da 2d) a 2i), da 3a) a 5b) o in società non residenti in Danimarca. Tuttavia, tali disposizioni si applicano solo ai dividendi provenienti da partecipazioni in società figlie e in società collegate al gruppo ai sensi degli articoli 4 A e 4 B dell’Aktieavancebeskatningsloven (legge danese sulla tassazione delle plusvalenze) (…)».

15.

L’imponibilità parziale delle società straniere per i dividendi è disciplinata all’articolo 2, paragrafo 1, lettera c) della legge in materia di imposta sulle società.

16.

In sintesi, l’imponibilità parziale non riguardava, nel 2011, i dividendi versati ad una società madre, ai quali, ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie o di una CDI, risultano esenti da imposta o soggetti soltanto ad imposta ridotta.

17.

Nel caso di imponibilità parziale dei dividendi in uscita dalla Danimarca ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge in materia di imposta sulle società, il soggetto danese distributore dei dividendi è tenuto ad applicare, a norma della legge danese in materia di ritenuta alla fonte ( 4 ), una ritenuta alla fonte del 28%. In caso di versamento tardivo della ritenuta alla fonte (in caso di imponibilità parziale) si applicano interessi di mora. Il debitore degli interessi di mora è il soggetto tenuto ad applicare la ritenuta alla fonte.

18.

Nel 2011, non vi era nessuna norma generale di legge in materia di repressione degli abusi. Nella giurisprudenza è stato per contro elaborato il cosiddetto «criterio sostanziale», in base al quale l’imposizione dev’essere effettuata sulla base di una valutazione specifica dei fatti concreti. Ciò significa, inter alia, che, in presenza di determinate circostanze, possono essere considerate nulle le operazioni fiscalmente rilevanti che risultino fittizie e artificiose procedendo ad una tassazione fondata sulla realtà sostanziali («substance‑over‑form»). Le parti concordano sul fatto che il criterio sostanziale non costituisce un fondamento per considerare nulle le operazioni realizzate nella specie.

19.

Inoltre, nella giurisprudenza danese è stato sviluppato il cosiddetto principio del «beneficiario legittimo dei redditi». Tale principio è basato sulla disposizione fondamentale relativa alla tassazione dei redditi di cui all’articolo 4 della legge generale danese sulle imposte (statsskatteloven), e stabilisce che l’amministrazione finanziaria non è tenuta a riconoscere una separazione artificiale tra l’operazione/attività economica generatrice del reddito e la localizzazione del reddito che ne deriva. Occorre pertanto accertare – indipendentemente dalla struttura esterna – l’identità dell’effettivo beneficiario di determinati redditi e, quindi, il debitore dell’imposta. Si tratta, pertanto, di individuare il soggetto al quale devono essere imputati i redditi a fini fiscali. Il «beneficiario legittimo dei redditi» è quindi il soggetto debitore dell’imposta relativamente ai redditi di cui trattasi.

III. Controversia principale

20.

La ricorrente nel procedimento principale (T Danmark) è una società danese detenuta, con una quota superiore al 50%, dalla N Luxembourg 2, la quale, come gruppo T Danmark, offre una serie di servizi in Danimarca. Titolari delle restanti azioni sono migliaia di azionisti.

21.

La N Luxembourg 2 è una società con sede in Lussemburgo, la quale è stata costituita dalla società N Luxembourg, stabilita in Lussemburgo. La N Luxembourg (le cui azioni, secondo quanto indicato dalla N Luxembourg 2, sono detenute da una serie di fondi di investimento) è titolare di oltre il 99% del capitale della N Luxembourg 2. La parte restante del capitale (inferiore all’1%) è detenuta dalla N Luxembourg 3, parimenti residente in Lussemburgo.

22.

Secondo un «Certificate of Residence» emesso dall’amministrazione finanziaria lussemburghese nella primavera del 2011, la N Luxembourg 2 è una società residente in Lussemburgo rientrante nella sfera di applicazione della direttiva sulle società madri e figlie, la quale è effettivamente gestita in tale Stato ed è ivi soggetta all’imposta sulle società, senza possibilità di esenzione fiscale, e che è il beneficiario effettivo («benefical owner») dei dividendi versati alla medesima. Tale certificato è stato predisposto dalle autorità lussemburghesi a seguito di una richiesta dell’amministrazione finanziaria danese.

23.

Nell’ambito di una richiesta di parere vincolante, la T Danmark chiedeva se i dividendi che essa doveva distribuire alla N Luxembourg 2 fossero esenti da imposta ai sensi dell’articolo § 2, paragrafo 1, lettera c), terzo periodo, della legge in materia di imposta sulle società e, pertanto, parimenti esenti dalla ritenuta alla fonte danese.

24.

Dalla richiesta di parere vincolante risultava che la T Danmark intendeva distribuire dividendi alla N Luxembourg 2 nel terzo trimestre del 2011, segnatamente per un importo pari a circa 6 miliardi di corone danesi (DKK). Poiché la N Luxembourg 2 è una società indipendente con una propria amministrazione e un proprio potere decisionale, per la natura stessa della situazione non sarebbe stato possibile prevedere con certezza in anticipo se e quando i vertici della N Luxembourg 2 avrebbero effettivamente deciso in qual modo disporre dei dividendi percepiti dalla T Danmark.

25.

Secondo lo Skatteministeriet (ministero delle Finanze), non sarebbe stato possibile rilasciare una parere vincolante laddove non fosse chiaro in qual modo la N Luxembourg 2 intendesse disporre dei dividendi percepiti dalla T Danmark.

26.

La T Danmark informava pertanto lo Skatteråd (commissione tributaria) che, ai fini del parere vincolante, si poteva presumere che i dividendi della N Luxembourg 2 sarebbero stati distribuiti, per la maggior parte, a titolo di dividendi alle proprietarie della società stessa, ossia la N Luxembourg 3 e la N Luxembourg. Una parte più piccola dei dividendi (probabilmente tra il 3% e il 5%) è destinata ad essere impiegata dalla N Luxembourg 2, dalla N Luxembourg 3 e dalla N Luxembourg ai fini della copertura di costi effettivi o futuri. La richiedente prevede, inoltre, che i dividendi distribuiti alla N Luxembourg (a titolo di dividendi e/o interessi e/o restituzione del debito) saranno trasferiti tramite i fondi di investimento di cui trattasi agli azionisti dei fondi medesimi; essa non è tuttavia a conoscenza delle modalità con cui saranno effettuati detti trasferimenti o del loro trattamento ai fini fiscali.

27.

Lo Skatteråd (commissione tributaria) dava quindi risposta negativa alla questione contenuta nella richiesta di parere vincolante. La T Danmark impugnato il parere vincolante dinanzi al Landsskatteret, quale massima autorità tributaria, il quale riformava la risposta alla questione in senso affermativo.

28.

Lo Skatteministerium (ministero delle Finanze) impugnava la decisione del Landsskatterett (commissione tributaria di ultimo grado) dinanzi all’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca). L’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est) ha deciso di procedere ad un rinvio pregiudiziale.

IV. Procedimento dinanzi alla Corte

29.

L’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est), ha sollevato le seguenti questioni:

1.

Se, affinché lo Stato membro possa invocare l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435/CEE, concernente l’applicazione di disposizioni nazionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi, sia necessario che lo Stato membro in questione abbia adottato una disposizione nazionale specifica di attuazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, o che il diritto nazionale preveda disposizioni o principi generali sulle frodi e gli abusi che possano essere interpretati conformemente all’articolo 1, paragrafo 2.

1.1.

In caso di risposta affermativa alla questione sub 1, se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge danese sull’imposta sulle società, secondo il quale «l’esenzione dei dividendi dall’imposta costituisce una condizione preliminare (…) ai sensi della direttiva del Consiglio 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi», possa essere considerato quale disposizione nazionale specifica ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva.

2.

Se una disposizione di una convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra due Stati membri e redatta secondo il modello di convenzione fiscale dell’OCSE, in base alla quale la tassazione dei dividendi distribuiti è subordinata al fatto che il soggetto percettore ne sia considerato il beneficiario effettivo, costituisca una disposizione convenzionale contro gli abusi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva.

3.

Qualora la Corte risponda affermativamente alla questione sub 2, se spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di «beneficiario effettivo» ovvero se, nell’applicazione della direttiva 90/435, tale nozione debba essere interpretata nel senso che occorra attribuirle un significato proprio secondo il diritto dell’Unione, soggetto al controllo della Corte di giustizia.

4.

Nel caso in cui la Corte dovesse rispondere alla questione sub 2 in senso affermativo e alla questione sub 3 nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di «beneficiario effettivo», se tale nozione debba essere interpretata nel senso che una società residente in uno Stato membro che, in circostanze come quelle di specie, percepisca dividendi da una società figlia residente in un altro Stato membro, costituisca il «beneficiario effettivo» di detti dividendi, nel senso che detta nozione debba essere interpretata secondo il diritto dell’Unione.

a)

Se la nozione di «beneficiario effettivo» debba essere interpretata conformemente alla nozione corrispondente di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU 2003, L 157, pag. 49) («direttiva interessi e canoni»), in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva stessa.

b)

Se tale nozione debba essere interpretata esclusivamente alla luce dei commentari all’articolo 10 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977 (paragrafo 12), ovvero se nell’interpretazione possa tenersi conto dei commentari successivi, comprese le aggiunte effettuate nel 2003 relativamente alle «società interposte», nonché le aggiunte effettuate nel 2014 relativamente alle «obbligazioni contrattuali o legali».

c)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato quale «beneficiario effettivo», quale rilevanza debba essere attribuita al fatto che detto percettore sia tenuto a trasferire tali dividendi a terzi in forza di un’obbligazione contrattuale o legale.

d)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato quale «beneficiario effettivo», quale rilevanza debba essere attribuita al fatto che il giudice del rinvio, dopo avere accertato i fatti di causa, concluda che il percettore – senza essere tenuto in forza di un’obbligazione contrattuale o legale a trasferire a terzi i dividendi percepiti – non avesse il «pieno» diritto di «utilizzo e fruizione» dei dividendi stessi, ai sensi dei commentari del 2014 al modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977.

5.

Qualora debba ritenersi, nella specie, l’esistenza di «disposizioni nazionali (…) necessarie per evitare le frodi e gli abusi» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, che una società A, residente in uno Stato membro, abbia corrisposto dividendi alla propria società madre B, residente in un altro Stato membro, che li ha poi a sua volta trasferiti alla propria società madre C, residente al di fuori dell’UE/SEE, che a sua volta li ha trasferiti alla sua società madre D, anch’essa residente al di fuori dell’UE/SEE, che non sia stata stipulata nessuna convenzione sulle doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società C, che sia stata stipulata una convenzione contro le doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società D, che il primo Stato, ai sensi della propria legislazione, non possa esigere una ritenuta alla fonte sui dividendi corrisposti dalla società A alla società D, nel caso in cui la società D detenesse direttamente la società A: se sussista, in tal caso, un abuso ai sensi della direttiva, con la conseguenza che la società B non possa avvalersi della tutela conferita da tale direttiva.

6.

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia), se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, osti a una normativa in base alla quale quest’ultimo Stato membro assoggetti a imposta i dividendi della società madre residente nell’altro Stato membro, laddove lo Stato membro in questione consideri, in circostanze altrimenti simili, le società madri residenti esenti dall’imposta su detti dividendi.

7.

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia) e che quest’ultimo Stato consideri che la società madre sia parzialmente imponibile relativamente a tali dividendi nello Stato membro medesimo, se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, osti a una normativa per effetto della quale quest’ultimo Stato membro imponga alla società tenuta ad applicare la ritenuta alla fonte (società figlia) di versare, in caso di versamento tardivo della ritenuta medesima, interessi moratori ad un tasso più elevato rispetto a quello applicato dallo Stato membro stesso ai crediti relativi all’imposta sulle società nei confronti di una società residente nel medesimo Stato membro.

8.

Nel caso in cui la Corte risponda affermativamente alla questione sub 2 e risponda alla questione sub 3 nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di «beneficiario effettivo», e, di conseguenza, una società (società madre) residente in uno Stato membro non possa essere considerata, di fatto, esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia), se quest’ultimo Stato membro sia dunque tenuto, ai sensi della direttiva 90/435 o dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, a dichiarare quale sia il beneficiario effettivo.

9.

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia), se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE (e/o, in subordine, l’articolo 63 TFUE), separatamente o congiuntamente, osti a una normativa per effetto della quale:

a)

l’ultimo Stato membro imponga alla società figlia l’applicazione della ritenuta alla fonte sui dividendi attribuendole la responsabilità nei confronti dell’amministrazione per omessa applicazione della ritenuta alla fonte, laddove l’obbligo di applicazione della ritenuta alla fonte non sussista nell’ipotesi in cui la società madre sia residente in tale Stato membro.

b)

l’ultimo Stato membro calcoli gli interessi moratori sulla ritenuta alla fonte dovuta.

Si chiede alla Corte di giustizia di tener conto, nella risposta questione sub 9, della risposta data alle questioni sub 6 e 7.

10.

In una fattispecie in cui:

1)

una società residente in uno Stato membro (società madre) soddisfi il requisito di cui alla direttiva 90/435 di detenere (nel 2011) una partecipazione pari quantomeno al 10% del capitale di una società (società figlia) residente in un altro Stato membro;

2)

debba ritenersi che, di fatto, la società madre non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi distribuiti dalla società figlia;

3)

l’azionista o gli azionisti (diretti o indiretti) della società madre, residenti in un paese non appartenente all’UE/SEE, siano considerati i beneficiari effettivi dei dividendi in questione;

4)

l’azionista o gli azionisti (diretti o indiretti) soddisfino parimenti tale requisito relativo alla partecipazione al capitale;

se l’articolo 63 TFUE osti a una normativa per effetto della quale lo Stato membro di residenza della società figlia assoggetti ad imposta i dividendi in questione, quando detto Stato membro consideri che le società residenti che soddisfino i requisiti di partecipazione al capitale di cui alla direttiva 90/435, ossia che nell’esercizio fiscale 2011 esse detenessero una partecipazione pari ad almeno il 10% del capitale sociale della società distributrice dei dividendi, siano esenti da imposta su detti dividendi.

30.

Con ordinanza del 13 luglio 2016, le cause C‑116/16 e C‑117/16 sono state riunite. Hanno presentato osservazioni scritte in relazione alle questioni pregiudiziali nelle cause riunite dinanzi alla Corte la T Danmark, la Y Denmark Aps, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Svezia, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea. Hanno partecipato all’udienza del 10 ottobre 2017 – la quale ha riguardato anche le cause C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16 – la T Danmark, la Y Denmark Aps, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Granducato del Lussemburgo, nonché la Commissione europea.

V. Analisi

A. Sulla determinazione del beneficiario dei dividendi nel caso di un abuso da parte del soggetto passivo (questioni da 1 a 5)

31.

È pacifico inter partes che la distribuzione dei dividendi in questione ricada sostanzialmente nella sfera di applicazione della direttiva sulle società madri e figlie. Di conseguenza, la Danimarca, quale Stato di stabilimento della società distributrice, dovrebbe esentare, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva, i dividendi dalla ritenuta alla fonte. Tuttavia, la Danimarca sembra ritenere che il diniego dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sia giustificato dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie. Ai sensi di tale disposizione, la direttiva non osta all’applicazione di disposizioni nazionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.

32.

Con le questioni pregiudiziali dalla prima alla quinta, il giudice del rinvio chiede effettivamente, principalmente, se uno Stato membro possa fondarsi sull’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, solo qualora lo stesso abbia adottato una disposizione nazionale ai fini della sua attuazione (B.1) e, in caso di risposta affermativa, se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della legge in materia di imposta sulle società o una disposizione di una CDI, la quale utilizzi la nozione di beneficiario effettivo, debba essere considerato quale sufficiente attuazione (B.2). In tal caso, il giudice del rinvio chiede chi e in qual modo debba interpretare la nozione di beneficiario effettivo.

33.

Tuttavia, tutte queste questioni hanno un senso solo qualora ricorrano effettivamente i requisiti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie. Quest’ultimo esige una frode o un abuso dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte da parte della T Danmark nel caso di specie. Occorre pertanto risolvere anzitutto la quinta questione.

34.

Al riguardo, si deve tuttavia osservare, in primo luogo, che la quinta questione del giudice del rinvio non è compatibile con i fatti comunicati. La società madre della N Luxembourg 2, che riceve i dividendi (N Luxembourg), è una società stabilita in Lussemburgo e non, come suggerito nella questione pregiudiziale, in un paese terzo. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non è neanche possibile ricavare se e quali soci di tale «società capogruppo» siano stabiliti in paesi terzi. Già tale circostanza rende in effetti impossibile valutare l’esistenza di un abuso. Resta il fatto che la Corte può tuttavia fornire al giudice del rinvio indizi utili al riguardo.

35.

Verranno dunque illustrati i requisiti necessari per concludere nel senso dell’esistenza di un abuso nell’ambito di applicazione della direttiva sulle società madri e figlie (2). Preliminarmente verrà esaminata in dettaglio la portata del divieto di imposizione alla fonte risultante dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie (1).

1.   La ratio del divieto d’imposizione alla fonte di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie

36.

La direttiva sulle società madri e figlie, come risulta dal suo terzo considerando, mira ad eliminare, mediante l’istituzione di un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro e a facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello dell’Unione. La direttiva tende così ad assicurare, sotto il profilo fiscale, la neutralità della distribuzione di utili da parte di una società controllata con sede in uno Stato membro alla sua controllante stabilita in un altro Stato membro ( 5 ).

37.

A tal fine, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, rimette agli Stati membri la scelta tra due sistemi, ossia tra il sistema di esenzione e quello di imputazione. Infatti, come si legge nei considerando 7 e 9 della direttiva medesima, tale disposizione precisa che quando una società madre, in virtù del rapporto di partecipazione tra la società madre e la sua società figlia, riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia, lo Stato membro della società madre o si astiene dal tassare tali utili laddove questi non siano deducibili per la società figlia, e li tassa invece laddove siano deducibili per la società figlia, oppure li sottopone a imposizione, autorizzando però la società madre a dedurre dal quantum dell’imposta la frazione dell’imposta societaria relativa a detti utili e assolta dalla società figlia e da una sua sub‑affiliata, nei limiti del corrispondente importo del debito fiscale ( 6 ).

38.

L’articolo 4 della direttiva mira in tal modo ad evitare che gli utili distribuiti ad una società madre residente da parte di una società figlia non residente siano tassati, in un primo momento, in capo alla società figlia nello Stato di residenza della stessa e, in un secondo momento, in capo alla società madre nello Stato di residenza di quest’ultima ( 7 ).

39.

L’articolo 4 della direttiva sulle società madri e figlie riguarda la doppia imposizione economica, in quanto i dividendi provengono, di norma, da redditi già tassati della controllata (ossia previamente assoggettati all’imposta sulle società di uno Stato membro) e facenti parte, in capo alla società madre, dei redditi della medesima (e pertanto assoggettati nuovamente all’imposta sulle società di un altro Stato membro). All’interno di un gruppo di una certa rilevanza, l’onere fiscale dipende dunque dal numero dei livelli del gruppo, i quali, nella maggior parte dei casi, sono dovuti a motivi di natura meramente organizzativa. L’articolo 4 della direttiva sulle società madri e figlie tiene pertanto conto anche della circostanza che le persone giuridiche possono essere liberamente moltiplicate, senza che ciò implichi un mutamento delle persone operanti dietro alle medesime né dunque degli utili da esse ricavati agendo tramite tali persone giuridiche.

40.

L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, completa tale concetto, prevedendo al contempo, per garantire la neutralità fiscale della controllata, che debbano essere esentati dalla ritenuta alla fonte gli utili distribuiti dalla società figlia alla società madre ( 8 ). In tal modo, l’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, al fine di evitare la doppia imposizione, sancisce il divieto fondamentale di applicare una ritenuta alle fonte sugli utili distribuiti da una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre con sede in un altro Stato membro ( 9 ).

41.

Nel vietare agli Stati membri di operare una ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una società figlia residente alla sua società madre non residente, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, limita la giurisdizione degli Stati membri quanto all’imposizione degli utili distribuiti dalle società stabilite nel proprio territorio nazionale alle società stabilite in un altro Stato membro ( 10 ). Di conseguenza, gli Stati membri non possono istituire unilateralmente provvedimenti restrittivi e subordinare a condizioni diverse il diritto di beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte previsto dal suddetto articolo 5, paragrafo 1 ( 11 ). Il diritto all’esenzione dalla ritenuta alla fonte non è pertanto subordinato al requisito della residenza degli azionisti della società madre nel territorio nazionale oppure dell’indicazione, da parte del soggetto distributore dei dividendi, del successivo impiego di questi ultimi da parte del loro beneficiario.

42.

Nel caso dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, si tratta di prevenire un’ulteriore doppia imposizione (qui piuttosto di carattere giuridico). Come la Corte ha, infatti, già avuto modo di dichiarare, nel caso di un prelievo alla fonte viene tassato, in realtà, il beneficiario dei redditi (nella specie, dei dividendi) ( 12 ). Un prelievo alla fonte nello Stato di stabilimento del distributore dei dividendi non costituisce, pertanto, una forma d’imposta autonoma, bensì unicamente una particolare tecnica impositiva. Un prelievo alla fonte presso il soggetto pagatore tramite il rispettivo Stato di stabilimento e una tassazione «normale» in capo al beneficiario dei dividendi attraverso il suo Stato di stabilimento sfocia di per sé in una doppia imposizione e, generalmente, anche in una penalizzazione rispetto ad una fattispecie interna.

43.

Proprio nel caso di strutture di gruppo transfrontaliere estese, in assenza di un’esenzione ad entrambi i livelli, tale effetto a cascata verrebbe moltiplicato, qualora, al contempo, operasse ogni volta anche una ritenuta alla fonte. Che in ciò sia ravvisabile un ostacolo al funzionamento del mercato interno appare innegabile.

44.

Al fine di prevenire tale doppia imposizione a cascata, economica e giuridica, è tuttavia irrilevante se il beneficiario dei dividendi sia anche il «beneficiario effettivo» dei dividendi o una figura analoga. Decisivo è, piuttosto, se l’imposta sulle società gravi sul distributore dei dividendi e se il beneficiario dei dividendi sia tenuto a corrispondere nuovamente l’imposta sulle società sui dividendi. Lo stesso ragionamento vale per il divieto di ritenuta alla fonte. A tal fine, è determinante se i redditi da dividendi siano assoggettati all’imposta sulle società nello Stato di stabilimento. Ciò è stato confermato espressamente nel caso di specie dall’amministrazione finanziaria lussemburghese.

45.

Pertanto, è senz’altro sensato che la direttiva sulle società madri e figlie (diversamente dalla direttiva interessi e canoni ( 13 )) faccia riferimento «unicamente» al fatto che vengano distribuiti utili da una controllata alla propria società madre (a partire da una determinata quota di partecipazione). Poiché i dividendi – diversamente dagli interessi – non costituiscono, in linea di principio, spese di esercizio che riducono gli utili, è altresì ipotizzabile che la direttiva sulle società madri e figlie non contenga, alla luce del suo tenore, ulteriori criteri sostanziali (quali la riscossione di dividendi in nome proprio e per proprio conto o criteri analoghi).

46.

Il diritto di percepire i dividendi consegue, in definitiva, dalla posizione societaria quale società madre, la quale può essere ricoperta soltanto in nome proprio. Anche un’attività per conto altrui mi sembra, nella specie, difficilmente ipotizzabile. Essa non può in ogni caso essere desunta unicamente dall’esistenza di una «società capogruppo». Di conseguenza, sono ricompresi, in linea di principio, tutte le corresponsioni di dividendi di una società figlia alla propria società madre residente in un altro Stato membro, qualora la società – circostanza pacifica nel caso di specie – soddisfi i requisiti di cui all’articolo 2 della direttiva sulle società madri e figlie.

47.

Taluni limiti vengono posti unicamente dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, il quale prevede che la direttiva non osti all’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie al fine di evitare le frodi e gli abusi.

2.   La nozione di abuso nel diritto dell’Unione

48.

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, riflette il principio generale del diritto dell’Unione secondo il quale nessuno può avvalersi abusivamente o fraudolentemente dei diritti derivanti dall’ordinamento giuridico dell’Unione ( 14 ). L’applicazione di una normativa di diritto dell’Unione non può, infatti, estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di normali transazioni commerciali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione ( 15 ).

49.

Al riguardo, la formulazione letterale della disposizione non fornisce contorni più precisi al significato di abuso che ne è alla base ( 16 ). Tuttavia, in quanto disposizione derogatoria, l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, va interpretato restrittivamente ( 17 ). Per quanto attiene ai provvedimenti volti ad evitare gli abusi, ciò è parimenti imposto, in particolare, dal principio della certezza del diritto. Infatti, laddove il singolo soddisfi tutti i requisiti formali per far valere un diritto, solo in casi particolari potrà essere ammissibile negare tale diritto eccependo la sussistenza di un abuso.

50.

Indizi in tal senso ai fini della qualificazione come abuso si evincono tuttavia da altre direttive UE. Così, nella direttiva in materia di fusioni ( 18 ), quale esempio tipico della sussistenza di un obiettivo di tal genere, il secondo periodo del suo articolo 11, paragrafo 1, lettera a), menziona l’assenza di valide ragioni economiche che giustifichino l’operazione in questione. Inoltre, l’articolo 6 definisce, nella direttiva recante norme contro le pratiche di elusione fiscale ( 19 ), (in prosieguo: la «direttiva 2016/1164») – non ancora applicabile agli esercizi controversi – la nozione di abuso. Ai sensi di tale disposizione, è determinante la sussistenza di una costruzione che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della normativa tributaria applicabile, non è genuina. Ai sensi del paragrafo 2, una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchino la realtà economica.

51.

Non da ultimo la Corte ha dichiarato, in più occasioni, che per essere giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale ( 20 ). Come la Corte ha avuto modo, medio tempore, di dichiarare ripetutamente, è sufficiente, a tal fine, che la costruzione sia intesa non esclusivamente ( 21 ), bensì essenzialmente ad ottenere un vantaggio fiscale ( 22 ).

52.

Tale giurisprudenza della Corte contiene pertanto due elementi interdipendenti. Da un lato, viene negato a priori il riconoscimento a costruzioni meramente artificiose, esistenti in fin dei conti solo sulla carta. Inoltre, viene accordata un’importanza decisiva all’elusione della normativa fiscale, la quale può essere realizzata anche con l’ausilio di costruzioni esistenti nella realtà economica. Quest’ultima ipotesi è probabilmente la più frequente ed è adesso contemplata espressamente anche nel nuovo articolo 6 della direttiva 2016/1164. La Corte stessa, in una recente decisione, ravvisa parimenti nel carattere puramente fittizio soltanto un indizio del fatto che l’ottenimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale perseguito ( 23 ).

53.

La sussistenza di un abuso dipende da una valutazione globale di tutte le circostanze del caso concreto, che è compito delle autorità nazionali competenti effettuare e che deve poter essere oggetto di controllo giurisdizionale ( 24 ). È pur vero che tale valutazione globale dev’essere effettuata dal giudice del rinvio ( 25 ). Al fine di valutare se le operazioni vengano realizzate nell’ambito di normali operazioni commerciali ovvero al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione ( 26 ), la Corte può tuttavia fornire indizi utili al giudice del rinvio ( 27 ).

3.   Criteri nel caso di specie

a)   Sull’esistenza di una costruzione meramente artificiosa

54.

La Corte non è in grado di stabilire se possa ritenersi sussistente una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica. Da un lato, i fatti esposti dal giudice del rinvio sono lungi dall’essere sufficienti a tal fine. Dall’altro, la valutazione di tali fatti spetta al giudice del rinvio. La Corte può fornire unicamente indicazioni.

55.

Come la Corte ha recentemente avuto modo di dichiarare, la circostanza che l’attività consista unicamente nell’amministrazione di beni economici e che i redditi derivino esclusivamente da tale amministrazione non implica l’esistenza di una costruzione puramente artificiosa, priva di qualsiasi effettività economica ( 28 ). Alla luce della circostanza che, in particolare, le società che svolgono attività di gestione patrimoniale esercitano (possono esercitare) di per sé poche attività, tale criterio dovrebbe essere subordinato a requisiti poco rigorosi. Qualora sussista effettivamente una valida costituzione, la società sia effettivamente raggiungibile presso la propria sede e disponga in loco delle corrispondenti risorse materiali e personali al fine di realizzare i propri obiettivi, non si può parlare di una costruzione priva di qualsiasi effettività economica.

56.

Neanche la circostanza che il beneficiario dei dividendi ridistribuisca il proprio utile ai suoi azionisti può far concludere nel senso della sussistenza di una costruzione artificiosa. La ragion d’essere dei fondi di investimento consiste nel distribuire prima o poi ai propri soci gli utili risultanti dai loro redditi (tra cui anche i redditi da capitali quali i dividendi). Dalla direttiva sulle società madri e figlie non può desumersi che l’esenzione dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie (e forse anche l’esenzione dall’imposizione dei dividendi ai sensi dell’articolo 4 della direttiva sulle società madri e figlie) debba essere subordinata alla condotta della società madre con riferimento alla distribuzione. L’effetto a cascata descritto supra, che la direttiva mira a prevenire (al riguardo supra, paragrafi 36 e segg.), risulta rafforzato proprio nel caso di una ridistribuzione.

57.

Lo stesso ragionamento vale nel caso in cui i soci della società capogruppo (i fondi di investimento) siano eventualmente residenti in paesi terzi. Infatti, come la Corte ha anche già avuto modo di dichiarare, la mera circostanza che la società percettrice dei dividendi sia controllata, direttamente o indirettamente, da un soggetto non residente nell’Unione non può giustificare la presunzione di un ricorso abusivo all’esenzione dalla ritenuta alla fonte ( 29 ). In tal modo, infatti, verrebbe sistematicamente imposto al soggetto passivo l’onere di provare l’esistenza di motivi non fiscali, senza che l’amministrazione sia tenuta a fornire sufficienti indizi di elusione fiscale ( 30 ).

58.

Il diniego dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte si fonderebbe in tal senso su una presunzione generale di realizzazione di elusioni fiscali. Tuttavia, tale presunzione non è ammissibile ( 31 ). È sempre necessario un esame delle obiettive e verificabili circostanze del caso di specie ( 32 ). Non sono tuttavia ravvisabili, nella specie, indizi nel senso di una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica. Piuttosto, il certificato rilasciato dall’amministrazione finanziaria lussemburghese (v. supra, paragrafo 22) depone in senso contrario all’esistenza di una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica.

59.

Ciò non esclude tuttavia, a mio avviso, che possa ciononostante sussistere una costruzione fiscale abusiva, come emerge anche dal tenore del nuovo articolo 6 della direttiva 2016/1164. Come la Corte di giustizia ha già avuto modo di dichiarare in ordine alla direttiva sulle società madri e figlie, i meccanismi di partecipazione diretti al solo scopo di approfittare dei vantaggi fiscali previsti nella direttiva costituiscono una forma di abuso ( 33 ). In tal senso, anche per la direttiva sulle società madri e figlie vale l’esigenza che sussistano motivi economici che abbiano determinato la scelta di quella determinata struttura. Al mero intento di conseguire un vantaggio puramente fiscale privo di alcuna relazione con una realtà economica non viene riconosciuta tutela ( 34 ).

b)   Motivi rilevanti estranei al diritto tributario

60.

Un’importanza decisiva rivestono pertanto, nella specie, altri criteri, in particolare motivi rilevanti estranei al diritto tributario.

61.

Secondo la giurisprudenza della Corte, il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società, conformemente alla legislazione di uno Stato membro, al fine di beneficiare di una disciplina più vantaggiosa, non costituisce di per sé un abuso ( 35 ). La mera circostanza che, nella operazione imprenditoriale con investitori stranieri qui in esame siano state coinvolte anche società stabilite in Lussemburgo, non è pertanto sufficiente a concludere nel senso della sussistenza di un abuso.

62.

Inoltre, il contribuente, laddove possa scegliere tra due alternative, non è obbligato ad optare per quella fiscalmente più onerosa, ma, piuttosto, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di contenere i propri oneri fiscali ( 36 ). In tal modo – sempre secondo la Corte – i contribuenti sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali ( 37 ). Pertanto, neanche la mera circostanza che, nel caso in esame, si sia optato per un’operazione strutturata in modo tale da evitare l’onere fiscale massimo (nella specie, una tassazione alla fonte supplementare e definitiva) può essere definita un abuso.

63.

Inoltre, – al di là di una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica – un cittadino dell’Unione, persona fisica o giuridica, non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché abbia inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede ( 38 ). Pertanto, un’operazione – come quella in esame nella specie – strutturata in modo tale da includere uno Stato membro che abbia rinunciato alla tassazione alla fonte, non può per questo solo fatto essere considerata abusiva.

64.

In tal senso, la libertà di stabilimento comprende anche la scelta dello Stato membro che offre all’impresa in questione le condizioni a suo avviso più favorevoli sotto il profilo fiscale. Se tale principio vale già nel diritto in materia di IVA, manifestamente più armonizzato ( 39 ), esso deve valere, a maggior ragione, nel diritto in materia di imposte sui redditi, scarsamente armonizzato, nel quale una divergenza fra le normative tributarie ( 40 ) dei rispettivi Stati membri è voluta a livello di diritto dell’Unione ovvero viene consapevolmente accettata a livello politico.

65.

Inoltre, la Corte ha chiarito che l’esenzione fiscale dei dividendi prevista nel diritto dell’Unione non dipende dall’origine o dalla residenza degli azionisti, in quanto ciò resta irrilevante nella direttiva sulle società madri e figlie ( 41 ). Pertanto, neanche la circostanza che gli azionisti della T Danmark siano residenti in Lussemburgo ovvero che gli azionisti della società madre di quest’ultima siano residenti in un paese terzo, è, considerata isolatamente, abusiva.

c)   Sull’elusione della finalità normativa

66.

Potrebbe assumere particolare rilievo l’eventualità che i beneficiari ultimi dei dividendi – nella specie, i fondi di investimento, a prescindere dalla questione se essi debbano essere considerati trasparenti o non trasparenti – abbiano la propria sede in determinati paesi terzi (di regola, su talune piccole isole, come le isole Cayman ( 42 ), le Bermuda ( 43 ), o Jersey ( 44 )), noti per la mancanza di cooperazione con altre amministrazioni tributarie. Ciò potrebbe essere eventualmente indice di un modus operandi inusuale nel suo complesso, la cui motivazione economica non è, prima facie, comprensibile.

67.

Tuttavia, nel procedimento in questione non viene fornita alcuna informazione in ordine al luogo di residenza degli azionisti (ossia dei fondi di investimento) al vertice della struttura societaria. Ciononostante, la Corte può fornire alcuni indizi utili al giudice del rinvio.

68.

Qualora i fondi di investimento dovessero essere effettivamente residenti in paesi terzi, nella costruzione complessiva la natura abusiva potrebbe essere ravvisata in considerazione non tanto dell’«intervento» delle società lussemburghesi, quanto piuttosto dello «stabilimento» dei fondi di investimento in determinati paesi terzi. A questo punto, importanza particolare riveste l’obiettivo della costruzione ovvero la finalità della normativa tributaria elusa (nella specie, della tassazione in Danimarca).

1) Elusione dell’imposta danese sul reddito?

69.

Al riguardo occorre anzitutto rilevare che la Danimarca non è stata privata della tassazione degli utili della società operativa (T Danmark). Tali utili sono stati regolarmente assoggettati ad imposta nello Stato di stabilimento (ossia in Danimarca). I dividendi sono pertanto assoggettati all’imposta danese sulle società.

70.

Entrambe le società lussemburghesi (società madre e società capogruppo) sono integralmente imponibili in Lussemburgo e ai loro redditi viene ivi applicata l’imposta sulle società. Ricorrono pertanto i presupposti di cui all’articolo 2 della direttiva sulle società madri e figlie. L’esenzione fiscale dei dividendi in Lussemburgo è conforme alla ratio della direttiva e tiene conto dell’imposta danese sulle società assolta a monte.

71.

La circostanza che in Lussemburgo non venga operata una tassazione alla fonte qualora i dividendi vengano versati ad azionisti in paesi terzi, è al riguardo irrilevante. Tale decisione è la conseguenza dell’autonomia fiscale di ciascuno Stato. Se già nell’Unione, a causa dell’assenza di armonizzazione delle imposte sui redditi, il diritto dell’Unione consente una concorrenza fiscale fra gli Stati membri, ad un contribuente non può essere contestato di essersi effettivamente avvalso anche in concreto (vale a dire non solo sulla carta), dei vantaggi connessi all’ubicazione offerti da singoli Stati membri.

2) Prevenzione dello sfruttamento di lacune informative transfrontaliere

72.

In ultima analisi, per mezzo dell’intervento delle società lussemburghesi viene elusa, in definitiva, «soltanto» una tassazione alla fonte dividendi corrisposti in Danimarca. Tuttavia, come già menzionato supra (paragrafo 42), nel caso di un prelievo alla fonte viene peraltro tassato, in realtà, il beneficiario dei redditi (nella specie, dei dividendi) ( 45 ). Ciò avviene mediante l’applicazione della ritenuta alla fonte, ad opera del soggetto pagatore, su una parte dei redditi al momento del pagamento.

73.

La tassazione alla fonte nello Stato di stabilimento del debitore dei dividendi non costituisce pertanto un tipo di imposta autonoma, bensì unicamente una particolare tecnica impositiva, finalizzata ad assicurare, in sostanza, una tassazione (minima) del beneficiario dei dividendi. Infatti, in particolare nel caso di fattispecie estere, non sempre vi è la garanzia che il beneficiario assoggetti debitamente ad imposta i propri redditi. In genere, lo Stato di stabilimento del beneficiario dei dividendi raramente viene a conoscenza dei redditi del medesimo provenienti dall’estero, qualora fra le amministrazioni finanziarie non esistano sistemi funzionanti di scambio dei dati, come ormai avviene nell’Unione.

74.

Di conseguenza, per concludere nel senso di un’elusione abusiva della ratio della normativa (garanzia della tassazione del beneficiario dei dividendi), dovrebbero ricorrere due requisiti. Da un lato, nel caso di un versamento diretto, deve sussistere in generale una pretesa impositiva della Danimarca (cfr. al riguardo paragrafi 88 e segg.). Dall’altro, deve esistere un rischio di non assoggettamento ad imposta per effetto dell’omessa considerazione di tali redditi nello Stato effettivamente destinatario.

75.

Pertanto, qualora un motivo alla base della scelta della struttura dell’operazione dovesse essere individuato nella corresponsione di dividendi agli investitori facendoli fluire attraverso uno paese terzo, affinché gli Stati in cui essi risiedono non ricevano alcuna informazione sui loro redditi, in tale costruzione globale dovrà essere allora ravvisato, a mio avviso, un abuso di diritto.

76.

Tale contestazione di abuso potrebbe a sua volta essere confutato nel caso in cui i fondi di investimento mettano a disposizione degli Stati di stabilimento degli investitori le corrispondenti informazioni fiscali oppure qualora lo Stato di stabilimento dei fondi di investimento sia in possesso delle corrispondenti informazioni e le trasmetta ai relativi Stati. Una simile struttura imprenditoriale non eluderebbe, in tal caso, l’obiettivo della ritenuta alla fonte evasa (cfr. al riguardo supra, paragrafo 73). Anche tale considerazione dev’essere inclusa dal giudice nella propria valutazione complessiva.

d)   Conclusione sulla quinta questione

77.

Nel caso dell’elusione di un prelievo alla fonte in relazione alla distribuzione di dividendi a favore di fondi di investimento residenti in paesi terzi rileva, in via principale, l’elusione della tassazione dei dividendi presso i loro beneficiari effettivi (ossia gli investitori). Nel caso di specie, è possibile concludere nel senso della sussistenza di un abuso in particolare qualora la struttura imprenditoriale scelta miri a sfruttare talune lacune informative fra gli Stati coinvolti al fine di impedire una tassazione effettiva di tali investitori. Tale eventualità dovrà essere valutata dal giudice del rinvio.

4.   Questione dell’interpretazione della direttiva sulle società madri e figlie in conformità ai commentari ai modelli di convenzione OCSE (terza e quarta questione)

78.

Con la terza e con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede se, al fine di negare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte risultante dalla direttiva sulle società madri e figlie ai sensi di un accordo di diritto internazionale concluso dalla Danimarca con un altro Stato (nella specie, una CDI), occorra assumere un’interpretazione di fondo del diritto dell’Unione, soggetta al sindacato della Corte. Il giudice a quo chiede, inoltre, se, ai fini di un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione, occorra parimenti tener conto dei commentari ai modello di convenzione OCSE e, in caso di risposta affermativa, anche dei commentari relativi ad un modello di convenzione OCSE elaborato successivamente all’adozione della direttiva.

79.

Nei commentari al modello di convenzione OCSE successivi, le cosiddette società interposte non vengono infatti solitamente considerate come beneficiarie effettive, qualora esse – pur essendo beneficiarie effettive sotto il profilo formale – dispongano in pratica di poteri estremamente ristretti, che ne fanno, in relazione ai redditi controversi, unicamente un fiduciario o un amministratore agente per conto delle parti interessate.

80.

Qualora uno Stato membro intenda limitare un’esenzione fiscale risultante dal diritto dell’Unione a detrimento del singolo, tale disciplina restrittiva dovrà essere interpretata sempre alla luce del diritto dell’Unione. Pertanto, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, occorre procedere all’interpretazione della direttiva sulle società madri e figlie. Ai fini di tale interpretazione, potrebbe farsi riferimento anche ai modelli di convenzione OCSE e ai commentari ai modelli di convenzione medesimi.

81.

I modelli di convenzione OCSE non sono, tuttavia, diritto dell’Unione né sono giuridicamente vincolanti per la Corte. Essi non costituiscono trattati di diritto internazionale multilaterali, bensì atti unilaterali di un’organizzazione internazionale sotto forma di raccomandazioni ai propri Stati membri. Anche la stessa OCSE ritiene che tali raccomandazioni non siano vincolanti; piuttosto, gli Stati membri sono tenuti, secondo il regolamento di procedura dell’OCSE, a verificare l’opportunità di aderirvi ( 46 ). Ciò vale, a maggior ragione, per i commentari adottati al riguardo dall’OCSE, i quali si limitano a contenere, in definitiva, opinioni giuridiche.

82.

Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, non è irragionevole che gli Stati membri, in sede di ripartizione equilibrata del potere impositivo ad essi spettante, si ispirino alla prassi internazionale, quale si riflette nei modelli di convenzione ( 47 ). Ciò vale anche qualora ci si ispiri all’opinio iuris internazionale che può riflettersi nei commentari al modello di convenzione OCSE.

83.

I commentari ai modelli di convenzione OCSE non possono tuttavia incidere direttamente sull’interpretazione di una direttiva UE (e pertanto neanche su un’interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto dell’Unione). Al riguardo, tali commentari si limitano a riprodurre l’opinione di coloro che hanno lavorato ai modelli di convenzione OCSE, ma non quella del legislatore parlamentare o persino del legislatore dell’Unione. Un’interpretazione in tal senso potrebbe semmai risultare opportuna qualora dal tenore e dalla genesi della direttiva dovesse emergere che il legislatore dell’Unione si sia ispirato al testo di un modello di convenzione OCSE e ai commentari (dell’epoca) inerenti a tale modello.

84.

La Corte ha altresì già avuto modo di dichiarare che una disposizione di una CDI, interpretata alla luce dei commentari dell’OCSE al proprio pertinente modello di convenzione, non può limitare il diritto dell’Unione ( 48 ). Ciò vale, in particolare, per le modifiche del modello di convenzione OCSE e dei commentari poste in essere successivamente all’adozione della direttiva. In caso contrario, gli Stati contraenti dell’OCSE avrebbero la possibilità di decidere sull’interpretazione di una direttiva UE.

85.

Di conseguenza, la terza e la quarta questione possono essere risolte nel senso che la direttiva sulle società madri e figlie dev’essere interpretata in maniera autonoma sulla scorta del diritto dell’Unione e indipendentemente dall’articolo 10 del modello di convenzione del 1977 ovvero di versioni successive.

86.

Inoltre, viene chiesto, in ultima analisi, se la nozione di beneficiario dei dividendi ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie debba essere interpretata alla stregua della nozione di beneficiario effettivo ai sensi della direttiva interessi e canoni. Anche tale questione dev’essere risolta negativamente; infatti, come esposto supra (paragrafo 36), la direttiva sulle società madri e figlie segue un approccio diverso dalla direttiva interessi e canoni, e volutamente non utilizza pertanto la nozione di beneficiario effettivo.

B. Sull’indicazione del beneficiario effettivo dei dividendi (ottava questione)

87.

Con l’ottava questione, il giudice del rinvio chiede se lo Stato membro che non intenda riconoscere che il beneficiario dei dividendi sia parimenti il beneficiario ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie, in quanto si tratterebbe soltanto una cosiddetta società interposta fittizia, sia tenuto a dichiarare quale sia il beneficiario effettivo dei dividendi. In tal modo, il giudice del rinvio solleva, in sostanza, la questione dell’onere della prova della sussistenza di un abuso.

88.

Un abuso delle costruzioni giuridiche possibili presuppone che si sia optato per una costruzione legale che deroghi alla costruzione normalmente scelta, la quale comporti un risultato più favorevole rispetto alla costruzione «normale». Quale «costruzione normale» dovrebbe essere considerata, nel caso di specie, una distribuzione diretta dei dividendi fra i fondi di investimento e la ricorrente nel procedimento principale. Tale «costruzione normale» dovrebbe avere come conseguenza anche un onere fiscale più elevato.

89.

Spetta, in linea di principio, all’amministrazione finanziaria dimostrare che l’approccio scelto sia più vantaggioso, sotto il profilo fiscale, rispetto alla costruzione normale, fermo restando che al contribuente può incombere un certo obbligo di cooperazione. In tal caso, il contribuente può tuttavia produrre «eventualmente (…) elementi relativi alle ragioni commerciali soggiacenti alla transazione in questione» ( 49 ). Qualora emerga che lo scopo essenziale ( 50 ) non consista nell’elusione di imposte normalmente applicabili, l’approccio scelto non può essere considerato abusivo, tanto più che è lo Stato stesso che offre al contribuente la possibilità di ricorrere a costruzioni di tal genere.

90.

Dalla giurisprudenza della Corte ( 51 ) risulta inoltre che la presunzione di una pratica abusiva implica la determinazione della situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che hanno realizzato tale pratica e, successivamente, la valutazione di tale situazione ridefinita alla luce delle pertinenti disposizioni pertinenti del diritto nazionale e del diritto dell’Unione. A tal fine deve tuttavia essere certa l’identità del beneficiario effettivo dei dividendi.

91.

Pertanto, dal punto di vista danese, un abuso ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, potrà sussistere soltanto se, nel caso di un versamento diretto dei dividendi, dovesse avere luogo un corrispondente assoggettamento ad imposta in Danimarca. Ciò è tuttavia escluso dal diritto danese qualora, non prendendo in considerazione la cosiddetta società interposta, il beneficiario effettivo dei dividendi sia parimenti un’impresa con sede in un altro Stato membro oppure il beneficiario dei dividendi sia residente in uno Stato con il quale la Danimarca abbia concluso una CDI. Qualora i fondi di investimento dovessero essere effettivamente considerati società fiscalmente trasparenti, occorrerebbe fare riferimento al rispettivo investitore al fine di poter anzitutto risolvere tale questione.

92.

Di conseguenza, l’ottava questione può essere risolta nel senso che lo Stato membro che non intenda riconoscere che una società residente in un altro Stato membro – alla quale siano stati versati i dividendi – sia il beneficiario dei dividendi, deve dichiarare, ai fini della presunzione di un abuso, quale sia, a suo avviso, il beneficiario effettivo dei dividendi. Ciò è necessario per poter accertare se, tramite la costruzione qualificata come abusiva, venga anzitutto conseguito un risultato più favorevole sotto il profilo fiscale. In particolare nel caso di fattispecie collocate all’estero, può può tuttavia gravare sul contribuente un obbligo di collaborazione rafforzato.

C. Sul ricorso all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie (questioni 1, 1.1 e 2)

93.

Con le questioni 1, 1.1 e 2, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se (1) la Danimarca possa far valere direttamente l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, al fine di negare al contribuente l’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della summenzionata direttiva. In caso contrario, occorre chiarire se (2) la Danimarca abbia comunque sufficientemente attuato, con la normativa nazionale in esame, l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie.

1.   Esclusione dell’applicazione diretta di una direttiva al fine di fondare obblighi a carico del singolo

94.

Nell’ipotesi in cui, sulla scorta dei criteri indicati supra, dovesse sussistere un abuso ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, la fattispecie in esame si contraddistinguerebbe per la peculiarità che nel diritto danese non figurava nessuna disposizione specifica intesa ad attuare tale disposizione. Non sussisterebbe neanche – in tal senso il giudice del rinvio – una disposizione legislativa generale sulla repressione dell’abuso. Talune parti ritengono pertanto che non possa essere preclusa loro l’esenzione fiscale risultante dal diritto nazionale persino nel caso in cui dovesse essere presunta la sussistenza di un abuso.

95.

Tuttavia, non sempre è necessaria una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva (nella specie, dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie) in specifiche norme del diritto nazionale. Invero, per la trasposizione di una direttiva può essere già sufficiente, a seconda del suo contenuto, un contesto normativo generale – compresi i principi generali del diritto costituzionale o amministrativo nazionale –, purché in tal modo sia garantita la piena applicazione della direttiva in termini sufficientemente chiari e precisi ( 52 ).

96.

Nel procedimento pregiudiziale, il giudice del rinvio richiama l’esistenza di due principi (il cosiddetto criterio sostanziale e il principio del «beneficiario legittimo dei redditi»). Le parti concordano peraltro sul fatto che tali principi non sono pertinenti nella specie se, in realtà, i dividendi, dal punto di vista formale, sono stati effettivamente corrisposti, in un primo momento, alle società lussemburghesi.

97.

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, consente tuttavia agli Stati membri di procedere corrispondentemente alla repressione degli abusi, repressione che è parimenti conforme ad una prassi a livello dell’Unione. Così, la stragrande maggioranza degli Stati membri ha elaborato unja serie di strumenti per fronteggiare un abuso del diritto finalizzato all’evasione fiscale ( 53 ). Esiste pertanto anche nei sistemi tributari nazionali un consenso sul fatto che l’applicazione della legge non può estendersi fino a dover tollerare comportamenti abusivi degli operatori economici. tale principio, riconosciuto a livello dell’Unione ( 54 ), è ora parimenti sancito all’articolo 6 della direttiva 2016/1164.

98.

In tal senso, tutte le disposizioni nazionali, siano esse state emanate o meno per trasporre la direttiva sulle società madri e figlie, devono essere interpretate ed applicate ogni volta in conformità con tale principio generale e, in particolare, con la lettera e con gli scopi della direttiva sulle società madri e figlie, nonché del suo articolo 1, paragrafo 2 ( 55 ). Non osta ad un’interpretazione del diritto nazionale in senso conforme al diritto dell’Unione il fatto che questa possa eventualmente risolversi a danno del singolo. Infatti, è consentita un’applicazione del diritto dell’Unione a danno del singolo operata tramite di disposizioni del diritto interno, ossia in forma indiretta ( 56 ).

99.

Alle autorità danesi sarebbe preclusa soltanto un’applicazione diretta dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, a danno della ricorrente, anche per motivi di certezza del diritto ( 57 ). Uno Stato membro, infatti, non può far valere contro un singolo una disposizione di una direttiva che esso stesso non ha trasposto ( 58 ). Secondo costante giurisprudenza, infatti, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti ( 59 ). Uno Stato membro si comporterebbe, in tal caso, esso stesso «abusivamente». Da un lato, esso non trasporrebbe (pur potendo) una direttiva ad esso rivolta; dall’altro, lo stesso farebbe valere una possibilità di combattere un abuso contenuta nella direttiva non trasposta.

100.

Le autorità competenti nel procedimento a quo non potrebbero tantomeno invocare direttamente nei confronti del singolo il principio generale di diritto dell’Unione che vieta l’abuso del diritto. Infatti, perlomeno in relazione ai casi che rientrano nell’ambito d’applicazione della direttiva sulle società madri e figlie, tale principio ha già trovato specifica espressione e realizzazione nell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie ( 60 ). Se infatti, accanto a tale norma, si consentisse anche il ricorso diretto ad un principio generale del diritto dal contenuto decisamente meno chiaro e preciso, vi sarebbe il rischio di frustrare l’obiettivo di armonizzazione della direttiva sulle società madri e figlie, e di tutte le altre direttive contenenti disposizioni concrete in materia di prevenzione degli abusi (quale ad es. l’articolo 6 della direttiva 2016/1164). Inoltre, risulterebbe compromesso in tal modo anche il già menzionato divieto di applicare direttamente a danno del singolo disposizioni di direttive non trasposte ( 61 ).

2.   Non trasponibilità della giurisprudenza in materia di IVA

101.

A tali considerazioni non ostano le decisioni pronunciate dalla Corte ( 62 ) nelle cause Italmoda e Cussens. In tali cause, la Corte ha dichiarato che il principio del divieto di pratiche abusive dev’essere interpretato nel senso che, indipendentemente da una misura nazionale che gli dia attuazione nell’ordinamento giuridico interno, può essere direttamente applicato al fine di escludere l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, senza che vi ostino i principi della certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento.

102.

Queste due sentenze vertono peraltro esclusivamente sul diritto in materia di IVA. Quest’ultimo è diverso dalla materia in oggetto. Da un lato, il diritto in materia di IVA è molto più armonizzato dal diritto dell’Unione e tocca in misura maggiore interessi di diritto dell’Unione attraverso la dotazione finanziaria dell’Unione ad esso abbinata, rispetto alle normative degli Stati membri in materia di imposte sui redditi.

103.

Dall’altro, il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2 TFUE, obbliga gli Stati membri alla riscossione (effettiva) di un’imposta sul valore aggiunto ( 63 ), diversamente da quanto avviene nel caso del diritto in materia di imposte sui redditi. A ciò si aggiunge la particolare vulnerabilità alla frode del diritto in materia di IVA, che esige un’attuazione particolarmente efficace dei diritti impositivi. Al riguardo, anche la stessa Corte, nella propria più recente giurisprudenza, distingue fra il diritto in materia di IVA e il diritto derivato dell’Unione, il quale contiene espressamente un’autorizzazione a combattere gli abusi ( 64 ). Un’applicazione diretta dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie a scapito del contribuente non viene pertanto in considerazione ( 65 ).

3.   Sull’esistenza di una specifica disposizione nazionale di repressione degli abusi

104.

Il giudice del rinvio dovrà tuttavia verificare se non siano già applicabili al caso di specie disposizioni o principi generali del diritto interno (tra i quali si annoverano anche i principi elaborati dalla giurisprudenza), interpretati in maniera conforme al diritto dell’Unione, dai quali potrebbe ad esempio risultare l’irrilevanza, ai fini fiscali, dei negozi simulati o il divieto di un ricorso abusivo a determinate agevolazioni fiscali.

105.

È pur vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, perché sia giustificata da motivi di repressione delle pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale ( 66 ).

106.

Per questo motivo, le questioni 1.1 e 2 possono essere risolte nel senso che né l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c) della legge danese relativa all’imposta sulle società né una disposizione di una CDI, la quale faccia riferimento, ai fini della tassazione dei dividendi distribuiti, al beneficiario effettivo, sono sufficienti per poter essere considerati quale trasposizione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie.

107.

Una diversa valutazione dovrebbe tuttavia imporsi nel contesto dell’applicazione conforme al diritto dell’Unione del cosiddetto criterio sostanziale e del principio del «beneficiario legittimo dei redditi» in Danimarca. Essi sono stati elaborati esattamente al fine di fronteggiare la problematica consistente nel fatto che il diritto civile consente numerose costruzioni, ma il diritto tributario assoggetta ad imposta situazioni economiche. Tali principi di diritto sono pertanto specificamente diretti avverso costruzioni artificiose oppure avverso l’abuso del diritto da parte dei singoli, e costituiscono dunque, in linea di principio, anche un fondamento sufficientemente specifico per una restrizione della libertà di stabilimento. Il fatto che la Danimarca non abbia proceduto ad una trasposizione esplicita dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, sarebbe pertanto privo di conseguenze. Una valutazione dettagliata al riguardo spetta, tuttavia, al giudice nazionale.

108.

Il «criterio sostanziale» elaborato in Danimarca, interpretato in modo conforme al diritto dell’Unione, potrebbe dunque essere sufficiente quale fondamento per ignorare al momento della tassazione, laddove esistenti, costruzioni puramente artificiose o anche abusive (al riguardo, in dettaglio, paragrafi 53 e segg.). Anche il «criterio sostanziale» altro non mi sembra se non una forma particolare dell’approccio economico sotteso alla maggior parte delle disposizioni in materia di tutela contro gli abusi dei singoli Stati membri ( 67 ). Ciò risulta in maniera evidente anche a livello di diritto dell’Unione, ad es. all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2016/1164, ai sensi del quale una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica. Quest’ultima valutazione spetta, tuttavia, al giudice nazionale.

109.

Qualora l’obiettivo della costruzione consista nell’impedire una tassazione degli investitori effettivi, la distribuzione dei dividendi, pur se formalmente effettuata a favore della società madre lussemburghese, viene dunque in realtà operata, dal punto di vista economico, a favore dei fondi di investimento ovvero dei loro investitori. La distribuzione alla società madre lussemburghese rispecchia quindi non la realtà economica, bensì unicamente la realtà (formale) sotto il profilo civilistico.

D. Violazione delle libertà fondamentali (sesta, settima, nona e decima questione)

110.

Poiché nel caso di specie non sono ravvisabili elementi che indichino la ragione per cui il divieto di imposizione alla fonte di cui all’articolo 5 della direttiva sulle società madri e figlie, non dovrebbe operare, può soprassedersi all’esame delle questioni sesta, settima, nona e decima sollevate dal giudice del rinvio.

111.

Laddove il giudice del rinvio, procedendo ad un’applicazione conforme al diritto dell’Unione dei principi vigenti nell’ordinamento giuridico nazionale, dovesse pervenire cionondimeno alla conclusione che ricorre una costruzione abusiva, troverà effettivamente applicazione, peraltro subordinatamente a determinate circostanze, la tassazione alla fonte. Tuttavia, le questioni, nel caso di specie, non si pongono più, anche perché tale imposizione è una conseguenza dell’abuso, e i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme del diritto dell’Unione ( 68 ).

112.

A prescindere da tali considerazioni, tuttavia, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che la differenza di trattamento tra i beneficiari di interessi nazionali ed esteri per effetto di una diversa tecnica impositiva riguarda fattispecie che non sono analoghe ( 69 ). Ciò vale anche per i beneficiari di dividendi nazionali ed esteri. Persino qualora dovesse ritenersi che si sia presenza di una situazione analoga, secondo la giurisprudenza della Corte, una restrizione della libertà fondamentale sarebbe giustificata fintantoché la ritenuta alla fonte danese gravante sul beneficiario dei dividendi residente all’estero non sia superiore all’imposta sulle società danese di un beneficiario dei dividendi nazionale ( 70 ).

113.

Lo stesso ragionamento vale per quanto attiene, con riguardo all’imposta sulle società danese, all’applicazione di una differente aliquota ovvero al sorgere debito fiscale nei confronti del beneficiario degli interessi e nei confronti della ritenuta alla fonte danese gravante sul soggetto distributore dei dividendi. Non si tratta di fattispecie analoghe, in quanto in un caso viene dovuta una propria imposta (imposta sulle società), mentre nell’altro viene riscossa e versata per il beneficiario dei dividendi un’imposta in realtà altrui (la sua imposta sul reddito o sulle società). Una disparità sotto il profilo del sorgere e dell’aliquota d’imposta discende dalla diversa tecnica e funzione della tassazione alla fonte (al riguardo paragrafo 73).

114.

Per quanto riguarda la decima questione, va rilevato che essa si fonda su una fattispecie ipotetica. Il giudice del rinvio non ha comunicato né le quote di partecipazione di cui dispongono gli azionisti (diretti o indiretti) della società capogruppo della T Danmark, né quali di questi azionisti siano residenti in paesi terzi. Soltanto dalla richiesta di parere vincolante della T Danmark illustrata supra emerge che una parte degli investitori è residente negli Stati Uniti. Di conseguenza, con riferimento alla quota di partecipazione, siamo in presenza di una fattispecie ipotetica. La Corte non è tuttavia tenuta a rispondere a questioni di natura ipotetica ( 71 ).

VI. Conclusione

115.

Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca) nei termini seguenti:

1)

La prima questione dev’essere risolta nel senso che uno Stato membro non può invocare l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, qualora non abbia provveduto alla sua trasposizione.

2)

Le questioni sub 1.1 e 2 devono essere risolte nel senso che né l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della legge danese relativa all’imposta sulle società né una disposizione di una convenzione diretta a prevenire le doppie imposizioni analoga all’articolo 10 del modello di convenzione OCSE, possono essere considerati quale sufficiente attuazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie. Ciò non preclude, tuttavia, un’interpretazione e un’applicazione conformi al diritto dell’Unione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale, la cui finalità consiste nella possibilità di una specifica repressione delle costruzioni artificiose ovvero avverso dell’abuso del diritto da parte dei singoli.

3)

La terza e la quarta questione devono essere risolte nel senso che una società madre residente in un altro Stato membro, la quale percepisca i dividendi della propria controllata, dev’essere considerata quale beneficiaria dei dividendi di cui alla direttiva sulle società madri e figlie.

Le nozioni della direttiva sulle società madri e figlie devono essere interpretate in maniera autonoma sulla scorta del diritto dell’Unione, unicamente in conformità alla direttiva sulle società madri e figlie e indipendentemente dai commentari all’articolo 10 del modello di convenzione OCSE del 1977 o di versioni successive.

4)

La quinta questione dev’essere risolta nel senso che l’accertamento di un abuso dipende da una valutazione complessiva di tutte le circostanze del singolo caso concreto, incombente al giudice nazionale.

a)

Un abuso nel diritto tributario può ricorrere nel caso di costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica oppure finalizzate sostanzialmente ad eludere un’imposta, altrimenti applicabile alla luce dell’obiettivo della legge. Al riguardo, l’amministrazione finanziaria deve dimostrare che, in presenza di una costruzione adeguata, sarebbe stata esigibile una corrispondente imposta, mentre il contribuente deve dimostrare che la costruzione scelta si fonda su motivi rilevanti estranei al diritto tributario.

b)

Nel caso dell’elusione di una tassazione alla fonte della distribuzione dei dividendi tramite società residenti in altri Stati membri a favore di fondi di investimento residenti in paesi terzi rileva principalmente l’elusione di una tassazione dei dividendi in capo ai beneficiari effettivi dei dividendi (ossia gli investitori). Nel caso di specie, è possibile concludere nel senso di un abuso in particolare qualora la struttura imprenditoriale scelta sia finalizzata a sfruttare talune lacune informative fra gli Stati coinvolti al fine di impedire un’effettiva tassazione del beneficiario effettivo dei dividendi.

5)

L’ottava questione dev’essere risolta nel senso che lo Stato membro che non intenda riconoscere che una società residente in un altro Stato membro sia la beneficiaria dei dividendi, deve dichiarare, ai fini della presunzione di un abuso, chi sia il beneficiario effettivo dei dividendi. Nel caso di fattispecie collocate all’estero, può tuttavia gravare sul contribuente un obbligo di collaborazione rafforzato.

6)

Alla luce delle risposte fornite alla prima e alla quinta questione, non occorre rispondere alla sesta, alla settima, alla nona e alla decima questione.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Si tratta, specificamente, delle cause C‑118/16, C‑119/16 (entrambe riunite con la causa C‑115/16) e C‑299/16.

( 3 ) Direttiva del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 6), nel frattempo abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011 (GU 2011, L 345, pag. 8).

( 4 ) Kildeskatteloven – Lovbekendtgørelse nr. 1086 af 14. november 2005 (decreto del 14 novembre 2005, n. 1086).

( 5 ) Sentenze del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 20); del 17 maggio 2017, AFEP e a. (C‑365/16, EU:C:2017:378, punto 21), nonché dell’8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a. (C‑448/15, EU:C:2017:180, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).

( 6 ) Sentenze del 17 maggio 2017, X (C‑68/15, EU:C:2017:379, punto 71); del 17 maggio 2017, AFEP e a. (C‑365/16, EU:C:2017:378, punto 22), nonché del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 44).

( 7 ) Sentenza del 17 maggio 2017, AFEP e a. (C‑365/16, EU:C:2017:378, punto 24).

( 8 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 21).

( 9 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 22); v., in tal senso, anche sentenze del 17 ottobre 1996, Denkavit e a. (C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, EU:C:1996:387, punto 22) e del 25 settembre 2003, Océ van der Grinten (C‑58/01, EU:C:2003:495, punto 83).

( 10 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 23); in tal senso anche la sentenza del 1o ottobre 2009, Gaz de France – Berliner Investissement (C‑247/08, EU:C:2009:600, punto 38).

( 11 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 24); ordinanza del 4 giugno 2009, KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer (C‑439/07 e C‑499/07, EU:C:2009:339, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).

( 12 ) Sentenze del 24 giugno 2010, P. Ferrero e General Beverage Europe (C‑338/08 e C‑339/08, EU:C:2010:364, punti 2634), nonché del 26 giugno 2008, Burda (C‑284/06, EU:C:2008:365, punto 52).

( 13 ) Direttiva 2003/49.

( 14 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 26), nonché le mie conclusioni nella causa Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:34, paragrafo 24).

( 15 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38); del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C‑456/04, EU:C:2006:241, punto 20); del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 6869), e del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24, e la giurisprudenza ivi citata); v., al riguardo, anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 57).

( 16 ) V., per contro, ad es., l’articolo 15 della direttiva 2009/133/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009 (direttiva in materia di fusioni) (GU 2009, L 310, pag. 34).

( 17 ) V. sentenze del 17 ottobre 1996, Denkavit e a. (C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, EU:C:1996:387, punto 27); del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punti 3839); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 37); dell’11 dicembre 2008, A.T. (C‑285/07, EU:C:2008:705, punto 31); del 20 maggio 2010, Zwijnenburg (C‑352/08, EU:C:2010:282, punto 46), nonché del 10 novembre 2011, FOGGIA-Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punto 44).

( 18 ) Direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 1).

( 19 ) Direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016 recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (GU 2016, L 193, pag. 1).

( 20 ) Sentenze del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 60); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 35); del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 64), nonché del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 74); in senso analogo, sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55).

( 21 ) In tal senso anche sentenze del 20 giugno 2013, Newey (C‑653/11, EU:C:2013:409, punto 46); del 12 luglio 2012, J.J. Komen en Zonen Beheer Heerhugowaard (C‑326/11, EU:C:2012:461, punto 35); del 27 ottobre 2011, Tanoarch (C‑504/10, EU:C:2011:707, punto 51), nonché del 22 maggio 2008, Ampliscientifica e Amplifin (C‑162/07, EU:C:2008:301, punto 28).

( 22 ) In relazione al diritto in materia di imposte indirette: sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 53); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 36), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 45); nell’ambito di applicazione della cosiddetta direttiva in materia di fusioni, analogamente: sentenza del 10 novembre 2011, FOGGIA-Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punti 3536).

( 23 ) In esplicitamente, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 60).

( 24 ) Sentenza del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 41), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 60).

( 25 ) Parimenti, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 59), e del 20 giugno 2013, Newey (C‑653/11, EU:C:2013:409, punto 49).

( 26 ) Sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35); del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C‑456/04, EU:C:2006:241, punto 20); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 6869), nonché del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24, e la giurisprudenza ivi citata); v. anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 57).

( 27 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 34); del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 56), nonché del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 77).

( 28 ) Sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 73).

( 29 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 27 e segg.).

( 30 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 28), e del 5 luglio 2012, SIAT (C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 55).

( 31 ) V. sentenze del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 30); del 4 marzo 2004, Commissione/Francia (C‑334/02, EU:C:2004:129, punto 27); del 9 novembre 2006, Commissione/Belgio (C‑433/04, EU:C:2006:702, punto 35); del 28 ottobre 2010, Établissements Rimbaud (C‑72/09, EU:C:2010:645, punto 34), nonché, inoltre, del 5 luglio 2012, SIAT (C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).

( 32 ) V. sentenze del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 30); del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punti 4144); del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 25); del 21 novembre 2002, X e Y (C‑436/00, EU:C:2002:704, punto 42); del 20 maggio 2010, Zwijnenburg (C‑352/08, EU:C:2010:282, punto 44), nonché del 10 novembre 2011, FOGGIA-Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punto 37).

( 33 ) V. sentenza del 17 ottobre 1996, Denkavit e a. (C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, EU:C:1996:387, punto 31).

( 34 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 26); v., sulla direttiva in materia di fusioni, sentenze del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 47), e del 10 novembre 2011, FOGGIA-Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punto 34).

( 35 ) V. sentenze del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo (C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 40); del 30 settembre 2003, Inspire Art (C‑167/01, EU:C:2003:512, punto 96), nonché del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 27).

( 36 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42); del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C‑103/09, EU:C:2010:804, punto 27); del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 47), nonché del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 73).

( 37 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42), e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 53).

( 38 ) Sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 36); v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2003, Barbier (C‑364/01, EU:C:2003:665, punto 71).

( 39 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42), e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 53).

( 40 ) V. sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 36); sulla divergenza, ammessa dal diritto dell’Unione, delle aliquote d’imposta persino nel diritto tributario armonizzato, v., parimenti, sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punti 3940).

( 41 ) Sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 66).

( 42 ) Così nella causa C‑119/16.

( 43 ) Così nella causa C‑117/16.

( 44 ) Così nella causa C‑299/16.

( 45 ) Sentenze del 24 giugno 2010, P. Ferrero e General Beverage Europe (C‑338/08 e C‑339/08, EU:C:2010:364, punti 2634), nonché del 26 giugno 2008, Burda (C‑284/06, EU:C:2008:365, punto 52).

( 46 ) Rule 18 lit. b del regolamento di procedura dell’OCSE: «Recommendations of the Organisation, made by the Council in accordance with Articles 5, 6 and 7 of the Convention, shall be submitted to the Members for consideration in order that they may, if they consider it opportune, provide for their implementation». Disponibile all’indirizzo https://www.oecd.org/legal/rules%20of%20Procedure%20OECD%20Oct%202013.pdf.

( 47 ) Sentenze del 15 maggio 2008, Lidl Belgium (C‑414/06, EU:C:2008:278, punto 22); del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 49); del 7 settembre 2006, N (C‑470/04, EU:C:2006:525, punto 45); del 12 maggio 1998, Gilly (C‑336/96, EU:C:1998:221, punto 31); del 23 febbraio 2006, van Hilten-van der Heijden (C‑513/03, EU:C:2006:131, punto 48); v. tuttavia, al riguardo, anche la sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 67).

( 48 ) Sentenza del 19 gennaio 2006, Bouanich (C‑265/04, EU:C:2006:51, punti 5056).

( 49 ) Sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 92).

( 50 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 53); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 36), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 45).

( 51 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 47); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 52), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 58).

( 52 ) In tal senso la giurisprudenza costante, v., ad es., le sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 44); del 6 aprile 2006, Commissione/Austria (C‑428/04, EU:C:2006:238, punto 99); del 16 giugno 2005, Commissione/Italia (C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 51), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 62).

( 53 ) Gli Stati membri dispongono in parte di clausole generali per fronteggiare pratiche abusive, come nella Repubblica federale di Germania con l’articolo 42 dell’Abgabenordnung (codice tributario), nel Lussemburgo con l’articolo 6 dello Steueranpassungsgesetz (legge di adeguamento fiscale), in Belgio con l’articolo 344, §1 del Code des impôts sur les revenus (Codice delle imposte sui redditi), in Svezia con l’articolo 2 della legge 1995:575 oppure in Finlandia con l’articolo 28 della legge in materia di imposte sui redditi; talvolta vi sono disposizioni speciali [come in Danimarca in relazione ai prezzi di compensazione ai sensi dell’articolo 2 del Ligningslovens (legge relativa agli investimenti)], oppure principi generali del diritto (come nella Repubblica federale di Germania il principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», desumibile, inter alia, dall’articolo 39 e seguenti dell’Abgabenordnung).

( 54 ) V., ex multis, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68); del 3 marzo 2005, Fini H (C‑32/03, EU:C:2005:128, punto 32); del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 51), nonché del 23 marzo 2000, Diamantis (C‑373/97, EU:C:2000:150, punto 33).

( 55 ) Sull’obbligo dei giudici nazionali di interpretare il diritto interno in conformità con le direttive, v. la costante giurisprudenza e, in particolare, le sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 108 e segg.); del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 113 e segg.), nonché del 10 aprile 1984, von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 26).

( 56 ) Sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 45); del 7 gennaio 2004, Wells (C‑201/02, EU:C:2004:12, punto 57); del 14 luglio 1994, Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:292, punti 20, 2526), e del 13 novembre 1990, Marleasing (C‑106/89, EU:C:1990:395, punti 68), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 65).

( 57 ) In tal senso, espressamente, sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).

( 58 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 49); del 21 settembre 2017, DNB Banka (C‑326/15, EU:C:2017:719, punto 41); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42); del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 21); v. anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 66).

( 59 ) Sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42), e le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 65); v., ex multis, anche la sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 108 e la giurisprudenza ivi citata).

( 60 ) V. le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 67) e la sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38 e segg.). Analogamente anche le mie conclusioni nella causa Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia (C‑73/07, EU:C:2008:266, paragrafo 103).

( 61 ) Non chiara, al riguardo, la sentenza del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punti da 74 a 77); v. al riguardo già le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 67), nonché in maniera specifica anche la sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).

( 62 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881) e del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti (C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455).

( 63 ) Sentenze dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555, punto 36 e segg.), e del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 26).

( 64 ) In tal senso, espressamente, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 28, 31 und 38).

( 65 ) In tal senso già la Corte nella sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).

( 66 ) Sentenze del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 64); del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55), nonché del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 74).

( 67 ) Viene fatto spesso riferimento, negli Stati membri, al contenuto effettivo di un atto o di una transazione – così, ad es., in Finlandia, in Ungheria, in Irlanda, in Italia, in Lituania, nei Paesi Bassi, nel Portogallo e in Slovenia.

( 68 ) V., ex multis, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68), nonché del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 51 e la giurisprudenza ivi citata).

( 69 ) Sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, EU:C:2008:762, punto 41); confermata dalla sentenza del 18 ottobre 2012, X (C‑498/10, EU:C:2012:635, punto 26).

( 70 ) V. sentenze del 17 settembre 2015, Miljoen e a. (C‑10/14, C‑14/14 e C‑17/14, EU:C:2015:608, punto 90), e del 18 ottobre 2012, X (C‑498/10, EU:C:2012:635, punto 42 e segg.).

( 71 ) V., ex multis, sentenze del 28 novembre 2017, Rodrigues de Andrade (C‑514/16, EU:C:2017:908, punto 44), e del 20 luglio 2017, Piscarreta Ricardo (C‑416/16, EU:C:2017:574, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata).