CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 19 luglio 2016 ( 1 )

Causa C‑272/15

Swiss International Air Lines AG

contro

The Secretary of State for Energy and Climate Changee

Environment Agency

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Corte d’appello [Inghilterra e Galles] [Sezione Civile], Regno Unito)]

«Ambiente — Direttiva 2003/87/CE — Sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nell’Unione — Decisione n. 377/2013/UE — Validità — Deroga temporanea all’obbligo di monitorare e comunicare le emissioni prodotte e restituire le quote di emissioni per quanto attiene ai voli fra gli Stati membri del SEE e la maggior parte dei paesi terzi — Esclusione dei voli fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera — Disparità di trattamento fra Stati terzi — Principio generale di parità di trattamento — Inapplicabilità»

I – Introduzione

1.

Il sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nell’Unione europea (in prosieguo: il «SEQE UE»), istituito dalla direttiva 2003/87/CE ( 2 ), si applica, a decorrere dal 1o gennaio 2012, alle emissioni prodotte dai voli di aeromobili da o per Stati membri dello Spazio economico europeo (SEE) ( 3 ).

2.

Tuttavia, la decisione n. 377/2013/UE ha sospeso temporaneamente l’applicazione di tale sistema in relazione alle emissioni risultanti dai voli fra gli Stati membri del SEE e la maggior parte dei paesi terzi ( 4 ). Sono stati tuttavia esclusi da tale moratoria i voli fra gli Stati membri del SEE e talune zone e paesi terzi strettamente collegati o associati all’Unione, fra i quali figura la Svizzera ( 5 ).

3.

Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division),[Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (sezione civile), Regno Unito)] interpella principalmente la Corte in merito alla validità di tale decisione nella parte in cui prevede una disparità di trattamento fra i voli da o per la Svizzera, da un lato, e i voli da e per altri Stati terzi, dall’altro.

II – Contesto normativo

A – Diritto dell’Unione

1. La direttiva 2003/87

4.

Ai sensi del considerando 5 della direttiva 2003/87, essa è intesa a contribuire al rispetto, da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri, degli impegni sottoscritti in forza del protocollo di Kyoto alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ( 6 ).

5.

Inizialmente, il SEQE UE non si applicava alle emissioni prodotte dalle attività di trasporto aereo. Tuttavia, a seguito delle modifiche apportate a tale direttiva dalla direttiva 2008/101/CE ( 7 ), tutti i voli in arrivo e in partenza da aerodromi situati nel territorio dell’Unione ricadono nel SEQE UE a decorrere dal 1o gennaio 2012 ( 8 ).

6.

Le decisioni n. 146/2007 ( 9 ).e n. 6/2011 ( 10 ) del Comitato misto SEE hanno integrato, rispettivamente, le direttive 2003/87 e 2008/101 nell’accordo sullo Spazio economico europeo (in prosieguo: l’«accordo SEE») ( 11 )

7.

A termini all’articolo 3 sexies della direttiva 2003/87, per ciascun anno civile, ogni operatore aereo può presentare domanda per l’attribuzione delle quote a titolo gratuito presso gli Stati membri. L’articolo 3 quinquies di tale direttiva prevede la vendita all’asta di quote supplementari da parte degli Stati membri. Ai sensi dell’articolo 3, lettera a), di detta direttiva, ciascuna di queste quote di emissioni, assegnata a titolo gratuito o a titolo oneroso, autorizza il suo detentore ad emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato. Le quote possono essere trasferite alle condizioni enunciate all’articolo 12, paragrafo 1, della stessa direttiva.

8.

L’articolo 12, paragrafo 2 bis, della direttiva 2003/87 esige che gli Stati membri accertino, entro il 30 aprile di ciascun anno, che ciascun operatore aereo restituisca un numero di quote corrispondente alle emissioni complessive prodotte nell’anno civile precedente dalle sue attività di trasporto aereo.

9.

L’articolo 14, paragrafo 3, di tale direttiva, impone agli Stati membri di provvedere affinché ogni operatore aereo controlli e comunichi le emissioni rilasciate dall’aeromobile che gestisce nel corso dell’anno civile precedente.

10.

A termini dell’articolo 16, paragrafo 3, di detta direttiva, gli Stati membri provvedono affinché all’operatore aereo che non abbia restituito un numero di quote di emissioni sufficiente ad adempiere all’obbligo ad esso incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2 bis, della stessa direttiva, sia irrogata un’ammenda per le emissioni in eccesso. Ai sensi del paragrafo 5 di tale disposizione, un operatore aereo che non rispetti le prescrizioni della direttiva 2003/87 può inoltre, in talune circostanze, vedersi imporre un divieto operativo.

2. La decisione n. 377/2013

11.

La decisione n. 377/2013 ha introdotto una moratoria a taluni obblighi previsti dalla direttiva 2003/87. La decisione del Comitato misto SEE n. 50/2013 ha integrato tale decisione nell’accordo SEE ( 12 ).

12.

Il punto 5 della decisione n. 377/2013 menziona i progressi compiuti in seno all’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO) «a favore dell’adozione (…) di un quadro globale per la politica in materia di riduzione delle emissioni che agevoli l’applicazione alle emissioni imputabili al trasporto aereo internazionale, da parte degli Stati, di misure basate sul mercato nonché la predisposizione di una misura basata sul mercato mondiale (“MBM”)». Secondo il punto 6 di tale decisione, essa è intesa a «facilitare tali progressi e imprimere [loro] un ulteriore impulso» rinviando l’applicazione dei requisiti previsti dalla direttiva 2003/87 nella parte in cui riguardano i voli in arrivo verso gli aeroporti situati nei paesi al di fuori dell’Unione e in partenza da essi, ad eccezione dei membri dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), delle dipendenze e territori degli Stati membri del SEE e dei paesi che hanno firmato un trattato di adesione con l’Unione.

13.

Il punto 9 di detta decisione così recita:

«È opportuno che la deroga prevista dalla presente decisione non incida sull’integrità ambientale e sull’obiettivo generale della legislazione dell’Unione in materia di cambiamenti climatici, e che non dia luogo a distorsioni della concorrenza. Di conseguenza, e al fine di salvaguardare l’obiettivo generale della [direttiva 2003/87], quale strumento facente parte del quadro giuridico di cui l’Unione si è dotata per conseguire il suo impegno unilaterale a ridurre le proprie emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, è opportuno che tale direttiva continui ad applicarsi ai voli in partenza da o in arrivo in aeroporti situati nel territorio di uno Stato membro diretti verso o in provenienza da aeroporti situati in talune zone o in determinati paesi strettamente collegati o associati che si trovano al di fuori dell’Unione».

14.

L’articolo 1 di tale decisione dispone che «[i]n deroga all’articolo 16 della [direttiva 2003/87], gli Stati membri non adottano misure nei confronti di operatori aerei in relazione ai requisiti di cui all’articolo 12, paragrafo 2 bis, e all’articolo 14, paragrafo 3, della suddetta direttiva, per gli anni civili 2010, 2011 e 2012, riguardo all’attività da e verso aeroporti situati nei paesi al di fuori dell’Unione che non sono membri dell’EFTA, nelle dipendenze e nei territori degli Stati nel SEE o nei paesi che hanno firmato un trattato di adesione con l’Unione, qualora tali operatori aerei non abbiano beneficiato di quote a titolo gratuito per detta attività per il 2012, o nel caso in cui abbiano beneficiato di tali quote, abbiano restituito agli Stati membri, ai fini della loro cancellazione, entro il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della presente decisione, un numero di quote assegnate al trasporto aereo per il 2012 corrispondente alla quantità di tonnellate-chilometro verificate di tale attività nell’anno di riferimento 2010».

15.

La categoria dei «membri dell’EFTA», ai sensi di tale disposizione designava specificamente la Svizzera, in quanto gli tre altri Stati membri dell’EFTA – ossia l’Islanda, il Lichtenstein e la Norvegia – sono parimenti membri del SEE. Essi non erano pertanto in ogni caso coperti dalla moratoria, dal momento che il SEQE UE continuava ad applicarsi ai voli all’interno del SEE ( 13 ). La categoria «dipendenze e territori degli Stati nel SEE» comprendeva i paesi e territori d’oltremare appartenenti a Stati membri del SEE ( 14 ). Quanto alla categoria dei «paesi che hanno firmato un trattato di adesione con l’Unione», essa comprendeva unicamente la Croazia. Pertanto, gli unici voli verso o da Paesi terzi (vale a dire Stati non membri del SEE) esclusi dall’ambito di applicazione della moratoria erano quelli in arrivo e in partenza dalla Svizzera o dalla Croazia. A seguito dell’adesione di quest’ultima all’Unione, il 1o luglio 2013, la Svizzera era l’unico Stato terzo interessato da tale esclusione.

16.

In conformità all’articolo 6 di detta decisione, questa è entrata in vigore il 24 aprile 2013, – dunque qualche giorno prima della data limite del 30 aprile 2013 fissata, in forza dell’articolo 12 bis della direttiva 2003/87, per la restituzione delle quote corrispondenti alle emissioni prodotte nel corso del 2012.

B – La normativa del Regno Unito

17.

Con il Greenhouse Gas Emissions Trading Scheme (Amendment) Regulations 2013 (atto del 2013 recante modifica i regolamenti di applicazione del sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra) (in prosieguo: la «normativa nazionale di cui al procedimento principale»), il Secretary of State for Energy and Climate Change (Ministro dell’Energia e del Cambiamento climatico, Regno Unito) ha modificato la normativa nazionale relativa al sistema di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra (normativa di trasposizione della direttiva 2003/87 nel diritto nazionale) al fine di attuare la decisione n. 377/2013.

III – Controversia principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

18.

La Swiss International Air Lines AG (in prosieguo: la «Swiss»), una compagnia aerea stabilita in Svizzera, acquistava, per il 2012, un certo numero di quote di emissioni di gas a effetto serra a titolo gratuito e a titolo oneroso, restituendo le quote corrispondenti alle emissioni prodotte dai voli effettuati fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera dalla stessa effettuati nel corso del 2012.

19.

Dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (Alta Corte d’Inghilterra e del Galles per questioni di diritto amministrativo, Regno Unito), la Swiss chiedeva l’annullamento della normativa nazionale oggetto del procedimento principale nella parte in cui essa esclude i voli fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera dalla moratoria all’applicazione del SEQE UE. A sostegno di tale domanda, essa deduceva l’incompatibilità con il diritto dell’Unione della decisione n. 377/2013, attuata nel diritto nazionale da tale normativa. Più precisamente, a parere della Swiss, tale decisione violerebbe il principio generale di parità di trattamento nella misura in cui esclude i summenzionati voli da detta moratoria, mentre vi include i voli fra gli Stati membri del SEE e la maggior parte degli altri paesi terzi.

20.

La Swiss chiedeva parimenti l’annullamento della restituzione delle quote alla quale essa ha proceduto con riguardo ai voli fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera e la conseguente rettifica del registro delle quote. In alternativa, essa chiedeva una compensazione economica per il valore delle quote acquistate a titolo oneroso da essa restituite ovvero una qualsiasi altra forma di risarcimento adeguato.

21.

Avverso la decisione di rigetto del ricorso, la Swiss proponeva appello dinanzi al giudice del rinvio.

22.

Con decisione del 24 marzo 2015, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (Sezione Civile)] ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.

Se la [decisione n. 377/2013] violi il principio generale dell’Unione della parità di trattamento nella parte in cui stabilisce una moratoria degli obblighi di restituzione di quote di emissione imposti dalla [direttiva 2003/87] concernenti i voli tra gli Stati del [SEE] e quasi tutti gli Stati non appartenenti al SEE, senza peraltro estendere tale moratoria ai voli tra gli Stati del SEE e la Svizzera.

2.

In caso di risposta affermativa, a quale rimedio debba poter ricorrere un ricorrente nella posizione della [Swiss], che abbia restituito quote di emissione in relazione a voli effettuati nel 2012 tra Stati del SEE e la Svizzera, affinché sia reintegrato nella posizione in cui si sarebbe trovato se non fosse stato escluso dalla moratoria dei voli tra gli Stati del SEE e la Svizzera. In particolare:

a)

se il registro debba essere rettificato in modo da riflettere il numero inferiore di quote che detto ricorrente avrebbe dovuto restituire se i voli da o verso la Svizzera fossero stati inclusi nella moratoria;

b)

in caso di risposta affermativa, quale azione debba intraprendere (se del caso) l’autorità competente nazionale e/o il giudice nazionale per ottenere che le quote supplementari restituite siano riassegnate a tale ricorrente;

c)

se tale ricorrente abbia il diritto di agire nei confronti del Parlamento europeo e del Consiglio per risarcimento danni ai sensi dell’articolo 340 del TFUE, per la perdite eventualmente subite a causa della restituzione di quote supplementari in conseguenza della decisione n. 377/2013;

d)

se al ricorrente debba essere concessa un’altra forma di risarcimento e, in caso di risposta affermativa, quale».

23.

La Swiss, i governi italiano e del Regno Unito, il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte. Tutti, ad eccezione del governo italiano, sono stati rappresentati all’udienza del 4 maggio 2016.

IV – Analisi

A – Osservazioni preliminari

24.

In limine, la Commissione ha sostenuto – senza contestare la competenza della Corte né la ricevibilità delle questioni pregiudiziali – che il Regno Unito ha violato il diritto dell’Unione adottando, per effetto della normativa nazionale oggetto del procedimento principale, misure di trasposizione della decisione n. 377/2013 nel diritto interno.

25.

La Commissione rileva che tale normativa modifica la normativa nazionale che traspone la direttiva 2003/87 e riprende il contenuto della decisione n. 377/2013. Tali misure celerebbero dunque la natura giuridica delle disposizioni previste da tale decisione, nonché la loro applicabilità diretta. All’udienza, la Commissione ha chiesto, in sostanza, alla Corte, di accertare, per tali motivi, l’invalidità della normativa nazionale oggetto del procedimento principale.

26.

Ricordo, a tal riguardo, che la Corte, quando decide in forza dell’articolo 267 TFUE, non è competente a pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con il diritto dell’Unione ( 15 ).

27.

Essa può cionondimeno a fornire al giudice del rinvio elementi di interpretazione attinenti al diritto dell’Unione che gli consentano di pronunciarsi sulla compatibilità di tali norme per la definizione della causa ( 16 ). Tuttavia, nel contesto del presente procedimento, tale esercizio eccederebbe parimenti, a mio avviso, la competenza della Corte. Infatti, gli argomenti dedotti dalla Commissione riguardano una problematica che il giudice del rinvio non ha sollevato. Orbene, nell’ambito della ripartizione delle competenze operata dall’articolo 267 TFUE, spetta solo a tale giudice definire l’oggetto delle questioni che esso intende sottoporre alla Corte ( 17 ).

28.

Ciò detto, sono dell’avviso che la Corte non debba rispondere alle osservazioni preliminari presentate dalla Commissione.

29.

In ogni caso, tendo a ritenere che il diritto dell’Unione non osti all’adozione di provvedimenti di trasposizione della decisione n. 377/2013 nel diritto nazionale.

30.

È pur vero che la Corte ha dichiarato a più riprese che l’adozione, da parte degli Stati membri, di provvedimenti di trasposizione di regolamenti viola il diritto dell’Unione nella misura in cui essa ostacoli l’applicabilità diretta loro riconosciuta dall’articolo 288, secondo comma, TFUE e comprometta in tal modo la loro applicazione simultanea ed uniforme nell’Unione nella sua totalità ( 18 ). In particolare, gli Stati membri non possono adottare atti idonei a nascondere agli amministrati la natura propria di diritto dell’Unione di una norma giuridica e gli effetti che ne derivano ( 19 ).

31.

La decisione n. 377/2013 impone, nella specie, agli Stati membri di astenersi dall’applicazione di talune misure previste dalla direttiva 2003/87. Benché questi ultimi siano tenuti ad eseguire tale decisione, se del caso adottando determinati atti amministrativi ( 20 ), la sua applicabilità non è subordinata alla sua trasposizione o incorporazione nel diritto nazionale. In tal senso, la decisione n. 377/2013 non prevede alcuna disposizione relativa alla trasposizione della medesima da parte degli Stati membri ( 21 ); essa, in forza del suo articolo 6, è applicabile a decorrere dal giorno della sua adozione. Tale decisione mi sembra pertanto essere, al pari di un regolamento, direttamente applicabile ( 22 ).

32.

Tuttavia, anche ammesso che il principio enunciato supra al paragrafo 30 in relazione ai regolamenti si estenda alle decisioni, esso non vieta in maniera assoluta l’adozione di provvedimenti di recepimento nel diritto nazionale. La Corte ha parimenti riconosciuto che, in particolari situazioni, disposizioni di un regolamento possano ridondare in tali provvedimenti, segnatamente nell’interesse della coerenza interna delle disposizioni d’attuazione di tale regolamento e della loro buona comprensione da parte dei destinatari ( 23 ).

33.

La controversia in esame rientra, a mio avviso, in uno scenario del genere. Alla luce del nesso intercorrente fra la decisione n. 377/2013 e la direttiva 2003/87, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati ad adottare provvedimenti di trasposizione di tale decisione nel diritto interno, nell’interesse di una buona comprensione della portata di tale direttiva e della certezza del diritto. Infatti, in assenza di provvedimenti del genere, la normativa nazionale che traspone detta direttiva non rifletterebbe la moratoria istituita dalla decisione n. 377/2013. Gli operatori aerei interessati potrebbero dunque essere indotti in errore quanto alla portata degli obblighi imposti loro da tale normativa. Del resto, poiché provvedimenti del genere sono indissolubilmente connessi a detta normativa, essi non possono nascondere il fatto che gli obblighi che impongono discendono dal diritto dell’Unione.

34.

Nell’ambito della controversia oggetto del procedimento principale, il giudice del rinvio ha pienamente riconosciuto l’origine delle norme previste dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale, rilevando, infatti, correttamente che, dal momento che tale normativa incorpora la decisione n. 377/2013 nel diritto interno, la sua validità dipende da quella di tale decisione, e sottoponendo conseguentemente alla Corte la presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

B – Sulla natura dell’asserita disparità di trattamento

35.

L’articolo 1 della decisione n. 377/2013 impone, in sostanza, agli Stati membri, di astenersi dal sanzionare gli operatori aerei in caso di inadempimento ai loro obblighi, previsti dalla direttiva 2003/87, di monitoraggio e comunicazione delle emissioni prodotte nel corso del 2010, del 2011 e del 2012 e di restituzione delle quote corrispondenti alle emissioni prodotte nel corso del 2012 ( 24 ), a condizione che tali emissioni siano state rilasciate dai voli fra gli Stati membri del SEE e i paesi al di fuori dell’Unione, ad eccezione, segnatamente, della Svizzera ( 25 ).

36.

Escludendo da tale moratoria i voli da e per la Svizzera, tale disposizione dà luogo ad una disparità di trattamento fra rotte aeree basata sulla destinazione e la provenienza dei voli. Come osservato dal Parlamento, una siffatta distinzione fra rotte aeree equivale ad una disparità di trattamento fra Stati terzi ( 26 ). Tali rotte, infatti, vengono definite esclusivamente facendo riferimento ai paesi che esse collegano. Da tale disparità di trattamento fra Stati terzi discende, in via di estensione, una disparità di trattamento fra operatori aerei in funzione dei voli da essi effettuati, vale a dire sulla base di un criterio geografico concernente le loro attività.

37.

Inoltre, benché detta moratoria si applichi indipendentemente dalla nazionalità o dalla sede degli operatori aerei, quelli stabiliti in Svizzera – come la Swiss – potrebbero essere colpiti in maniera più severa dall’esclusione dei voli da e per la Svizzera rispetto a quelli stabiliti in altri Stati terzi, sempreché le attività dei primi si basino maggiormente sull’esercizio di tali rotte.

38.

Al fine di dissipare qualsiasi eventuale dubbio in proposito, osservo che il principio generale di parità di trattamento sulla base della nazionalità o della sede ( 27 ), di cui le disposizioni del TFUE relative alle libertà di circolazione costituiscono espressioni specifiche, va a beneficio esclusivamente dei cittadini degli Stati membri e delle società aventi la loro sede nell’Unione ( 28 ). Peraltro, l’articolo 3 dell’accordo CE-Svizzera sul trasporto aereo ( 29 ), che sancisce il principio di non discriminazione in base alla nazionalità nella sfera d’applicazione dell’accordo medesimo, vieta, a mio avviso, unicamente le discriminazioni tra società stabilite in Svizzera e società stabilite nell’Unione (e non tra società stabilite in Svizzera e società stabilite in Stati terzi). Orbene, è pacifico che la decisione n. 377/2013 non avvantaggi i gestori di aeromobili stabiliti nell’Unione rispetto a quelli stabiliti in Svizzera. La moratoria da essa istituita non ricomprende né i voli tra Stati membri del SEE e la Svizzera, né i voli all’interno del SEE. La Swiss non fa valere, peraltro, l’esistenza di una discriminazione indiretta sulla base della nazionalità o della sede degli operatori aerei.

39.

Pertanto, al fine di risolvere la prima questione, occorre esaminare la validità della decisione n. 377/2013 alla luce del principio generale di parità di trattamento, il quale delimita i poteri delle istituzioni dell’Unione esigendo, in termini generali, «che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato» ( 30 ).

C – Sulla portata del «principio della sentenza Balkan » (prima questione)

1. Osservazioni introduttive

40.

Tradizionalmente, le relazioni fra gli Stati e le organizzazioni internazionali – nella loro qualità di soggetti di diritto internazionale pubblico – sono disciplinate dal diritto internazionale pubblico. Esso non comprende, come ha osservato la Commissione all’ udienza, nessun principio generale di parità di trattamento che imponga ad uno dei suoi soggetti di trattare altri suoi soggetti su un piano di parità ( 31 ).

41.

Neanche il diritto dell’Unione sancisce la parità di trattamento fra gli Stati terzi. Come rilavato dalla Corte nella sentenza Balkan‑Import‑Export, «[i] trattati non sanciscono un principio generale secondo cui [l’Unione] deve garantire la parità di trattamento, sotto ogni aspetto, anche nell’interscambio extracomunitario» ( 32 ).

42.

Nella sentenza Faust/Commissione, la Corte ha precisato le implicazioni di una siffatta constatazione per gli operatori economici, rilevando che «se una differenza di trattamento fra paesi terzi non è incompatibile col diritto [dell’Unione], non si può nemmeno considerare incompatibile con tale diritto la differenza di trattamento fra operatori economici [dell’Unione] che sia solo una conseguenza automatica dei diversi trattamenti riservati ai paesi terzi coi quali tali operatori hanno stretto relazioni commerciali» ( 33 ). Mi sembra che una siffatta conclusione si estenda, a fortiori, alle differenze di trattamento fra operatori stabiliti al di fuori dell’Unione (o fra operatori dell’Unione e operatori stabiliti al di fuori dell’Unione).

43.

Il principio elaborato dalla Corte nella sentenza Balkan‑Import‑Export ( 34 ) e il suo corollario enunciato nella sentenza Faust/Commissione ( 35 ) costituiscono, congiuntamente, quello che chiamerò, nel prosieguo, il «principio della sentenza Balkan».

44.

Nella specie, gli operatori che effettuano voli fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera subiscono uno svantaggio nella misura in cui non beneficiano, a differenza degli operatori che effettuano voli fra gli Stati membri del SEE e gli altri Stati terzi, della moratoria prevista nella decisione n. 377/2013. È pacifico che tale svantaggio costituisca la «conseguenza automatica» del trattamento differenziato che l’Unione ha riservato alla Svizzera, da un lato, e a questi altri Stati terzi, dall’altro, sotto forma di una distinzione fra le rotte aeree da e per tali paesi.

45.

La Swiss mette tuttavia in discussione la legittimità di tale differenza di trattamento fra la Svizzera e gli altri Stati terzi e, correlativamente, fra operatori aerei a seconda dei voli effettuati.

2. Argomenti della Svizzera attinenti all’eventuale limitazione della portata del principio della sentenza Balkan

46.

Gli argomenti della Svizzera poggiano su un ragionamento induttivo tratto dall’analisi delle sentenze Balkan‑Import‑Export ( 36 ), Faust/Commissione ( 37 ) e Germania/Consiglio ( 38 ).

47.

Tali sentenze vertevano ciascuna sulla validità, alla luce del principio generale di parità di trattamento, di misure comunitarie che ostacolavano le importazioni di prodotti da taluni paesi terzi in maniera più pesante di quelle di prodotti da altri paesi terzi.

48.

Più precisamente, la sentenza Balkan‑Import‑Export ( 39 ) verteva sulla conformità a tale principio della riscossione di importi compensativi monetari per le importazioni di formaggi dalla Bulgaria, mentre le importazioni di formaggi, segnatamente, dalla Svizzera, ne erano esenti.

49.

La sentenza Faust/Commissione ( 40 ) verteva sulla legittimità di regolamenti che sospendevano il rilascio di licenze d’importazione per le conserve di funghi provenienti da tutti i paesi terzi (fra cui Taiwan) ad eccezione di quelli che avevano accettato un impegno di autolimitazione delle importazioni (ossia la Cina e la Corea del Sud) ( 41 ).

50.

Nella sentenza Germania/Consiglio ( 42 ), la Corte ha esaminato la validità di una decisione del Consiglio di approvazione di un accordo quadro che fissava contingenti doganali per le importazioni di banane da paesi terzi (in prosieguo: l’«accordo quadro sulle banane»), dal quale risultava una disparità di trattamento fra diverse categorie di importatori di banane a seconda della provenienza di queste ultime ( 43 ).

51.

La Swiss ha affermato, in un primo momento, che la Corte non ha adottato lo stesso ragionamento in ciascuna di tali sentenze. Essa avrebbe concluso, nelle sentenze Faust/Commissione ( 44 ) e Germania/Consiglio ( 45 ), nel senso dell’inapplicabilità del principio di parità di trattamento. Nella sentenza Balkan‑Import‑Export ( 46 ), per contro, la Corte avrebbe applicato questo stesso principio e concluso che esso non veniva violato, essendo la disparità di trattamento oggettivamente giustificata.

52.

La società medesima osserva, a tal riguardo, che la Corte ha svolto considerazioni relative alla giustificazione della differenza di trattamento fra paesi terzi solo nella sentenza Balkan‑Import‑Export ( 47 ). Infatti, dopo aver affermato che nessun principio generale di diritto dell’Unione obbliga quest’ultima a trattare i paesi terzi su un piano di parità, la Corte ha enunciato le ragioni che giustificavano la concessione di un trattamento differenziato ai prodotti di cui trattasi in funzione della loro provenienza ( 48 ). Per contro, nelle sentenze Faust/Commissione ( 49 ) e Germania/Consiglio ( 50 ), essa si è limitata a concludere che, in assenza di un siffatto obbligo, il principio di parità di trattamento non viene violato allorché una disparità di trattamento fra operatori economici costituisce la conseguenza automatica di una disparità di trattamento fra paesi terzi ( 51 ).

53.

In un secondo momento, la Swiss ha tentato di spiegare tale asserita divergenza di ragionamento con l’assenza, nella causa sfociata nella sentenza Balkan‑Import‑Export ( 52 ), di un’azione esterna, come un accordo internazionale, che motivi la disparità di trattamento in questione. Per contro, il trattamento differenziato istituito dalle misure comunitarie esaminate nella sentenza Faust/Commissione ( 53 ) sarebbe risultata da un accordo commerciale fra la Comunità e la Cina, nonché da negoziati – concretizzati dallo scambio di documenti informali (sotto forma di telex) – fra queste due entità concernenti l’assunzione, da parte della Cina, di un impegno di autolimitazione delle importazioni dei prodotti di cui trattasi. La disparità di trattamento oggetto della sentenza Germania/Consiglio ( 54 ) sarebbe anch’essa risultata da un accordo internazionale, ossia dall’accordo quadro sulle banane.

54.

La Swiss ne ha dedotto, in un terzo momento, che l’applicabilità del principio della sentenza Balkan è subordinata ad una condizione che rispecchia tale distinzione di fatto. A suo parere, tale principio si applica solo «allorché [l’Unione] esercita le proprie competenze in materia di azione esterna (ad esempio, concludendo trattati, tipicamente nel contesto della politica commerciale comune)». In sostanza, detto principio coprirebbe unicamente gli scenari in cui la disparità di trattamento fra paesi terzi si iscrive nel prolungamento di un’«azione esterna» che presenta le seguenti caratteristiche:

sotto il profilo sostanziale, un’azione di tal genere, senza consistere necessariamente in un accordo internazionale, dovrebbe rientrare nell’esercizio delle competenze dell’Unione in materia di «azione esterna», in contrapposizione alle politiche interne dell’Unione nei loro aspetti esterni.

Inoltre, sotto il profilo formale, l’azione esterna dovrebbe esistere a monte dell’atto normativo dell’Unione che istituisce la disparità di trattamento fra paesi terzi ( 55 ) e presentare un carattere «concreto» e «pubblico». In udienza, la Swiss ha giustificato tale requisito con la necessità di assicurare la pubblicità e il controllo democratico di una siffatta disparità di trattamento.

55.

Secondo la Swiss, tale condizione non sarebbe soddisfatta nella specie. Pertanto, la disparità di trattamento fra i voli che collegano gli Stati membri del SEE e la Svizzera, da un lato, e quelli che collegano gli Stati membri del SEE e gli altri Stati terzi, dall’altro, non si sottrarrebbe all’applicazione del principio generale di parità di trattamento. In assenza di una giustificazione oggettiva – la quale, nella specie, difetterebbe –, un trattamento di tal genere equivarrebbe ad una discriminazione.

56.

Per le ragioni illustrate nel prosieguo, ritengo che una siffatta condizione non possa, né sotto il suo profilo sostanziale né sotto il suo profilo formale, essere desunta dalla menzionata giurisprudenza.

3. L’applicabilità del principio della sentenza Balkan non è subordinata all’esistenza di un’«azione esterna» nel senso sostanziale suggerito dalla Swiss

57.

Nella misura in cui la tesi della Swiss interessa, con la nozione di «azione esterna», unicamente gli atti adottati nell’ambito dell’esercizio delle competenze dell’Unione in materia di azione esterna ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, TUE ( 56 ), essa si scontra con i termini impiegati dalla Corte per enunciare il principio della sentenza Balkan. Essa, infatti, ha formulato tale principio nel senso che l’Unione non è tenuta a trattare i diversi Stati terzi su un piano di parità «nelle relazioni esterne» ( 57 ).

58.

Come fatto valere dal governo del Regno Unito, la nozione di «relazioni esterne» non si limita all’azione esterna dell’Unione nelle materie coperte dal titolo V del TUE ( 58 ) e dalla quinta parte del TFUE ( 59 ), ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, TUE. Tale nozione ingloba parimenti le altre politiche dell’Unione nei loro aspetti esterni ( 60 ), le quali sono, in conformità a tale disposizione, assoggettate agli stessi principi e obiettivi che governano l’azione esterna dell’Unione.

59.

Le altre politiche dell’Unione nei loro aspetti esterni includono l’esercizio, da parte della medesima, delle competenze conferitele dall’articolo 192, paragrafo 1, TFUE, al fine di realizzare l’obiettivo della «promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici» di cui all’articolo 191, paragrafo 1, quarto trattino, TFUE.

60.

L’articolo 192, paragrafo 1, TFUE costituisce, nella specie, il fondamento normativo della decisione n. 377/2013. La moratoria istituita da tale decisione mirava, infatti, ad agevolare la negoziazione di un approccio globale della riduzione delle emissioni legate al trasporto aereo nell’ambito dell’OACI ( 61 ). Tuttavia, il legislatore ha reputato necessario escludere da tale moratoria i voli fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera al fine di evitare di falsare la concorrenza e di compromettere l’integrità ambientale del SEQE UE – il quale, lo ricordo, contribuisce al rispetto degli obblighi internazionali dell’Unione e dei suoi Stati membri in forza del protocollo di Kyoto ( 62 ). Come sottolineato dal Parlamento, la decisione n. 377/2013 riflette, pertanto, la posizione dell’Unione nelle sue relazioni esterne nel settore del diritto ambientale e del clima.

61.

Di conseguenza, ritengo che l’ambito di applicazione del principio della sentenza Balkan non sia limitato alle disparità di trattamento fra paesi terzi risultanti dall’esercizio delle competenze dell’Unione in materia di azione esterna ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, TUE.

4. L’applicabilità del principio della sentenza Balkan non è subordinata all’esistenza di un’«azione esterna» nel senso formale suggerito dalla Swiss

62.

Secondo la Swiss, il principio della sentenza Balkan non si applica alle disparità di trattamento fra paesi terzi risultanti unicamente dall’atto stesso che le istituisce. La portata di tale principio sarebbe limitata alle disparità di trattamento motivate da un’azione esterna concreta e pubblica a monte dell’atto normativo dell’Unione dal quale discendono ( 63 ).

63.

In primo luogo, osservo che tale approccio priverebbe di effetto utile il principio della sentenza Balkan. Infatti, esso equivale ad esigere che venga apportata una giustificazione, sotto forma di un’azione di tal genere, ad una disparità di trattamento fra paesi terzi, il che presupporrebbe che essa rientri nell’ambito di applicazione del principio di parità di trattamento. Orbene, il principio della sentenza Balkan esclude esattamente l’applicabilità del principio di parità di trattamento alle relazioni intrattenute dall’Unione con i diversi paesi terzi.

64.

Come ho osservato al paragrafo 40 supra, un’esclusione di tal genere è conforme al diritto internazionale pubblico. Le relazioni fra i soggetti di diritto internazionale pubblico in generale, e le relazioni esterne dell’Unione in particolare, si caratterizzano, infatti, per la loro natura ampiamente discrezionale. È in tale ottica, a mio avviso, che l’avvocato generale Sir Gordon Slynn ha affermato, nelle sue conclusioni nella causa Faust/Commissione, che «[i]l mancato accordo di limitazione delle esportazioni, anche quando e' dovuto ad una discriminazione arbitraria da parte della Commissione, non costituisce tuttavia una discriminazione illecita tra importatori in quanto la Commissione non e' giuridicamente tenuta ad accordare la parità' di trattamento a paesi terzi» ( 64 ).

65.

Contrariamente a quanto affermato dalla Swiss, il principio della sentenza Balkan non costituisce pertanto un’«eccezione» al principio generale di parità di trattamento. Quest’ultimo principio non si applica affatto al trattamento accordato dall’Unione ai diversi paesi terzi nella gestione delle sue relazioni esterne, a meno di non renderla significativamente più difficile, ovvero impossibile ( 65 ). Le relazioni esterne dell’Unione poggiano, di fatto, su scelte di natura politica e diplomatica a cui sono sottesi parametri multipli e in relazione alle quali il legislatore deve disporre di un ampio potere discrezionale ( 66 ). Inoltre, in assenza di un principio generale di parità di trattamento fra Stati terzi nel diritto internazionale pubblico, l’Unione restringerebbe unilateralmente il suo margine di manovra nelle sue relazioni esterne qualora si assoggettasse essa stessa ad un siffatto principio.

66.

Alla luce di tali considerazioni, sono incline a ritenere, al pari del Parlamento, che sia ad abundantiam, al fine di rafforzare la conclusione secondo la quale i regolamenti di cui trattasi non avrebbero violato il principio di parità di trattamento, che la Corte, nella sentenza Balkan‑Import‑Export ( 67 ), ha verificato se la disparità di trattamento fra paesi terzi risultante da tali regolamenti fosse oggettivamente giustificata.

67.

Del resto, l’interpretazione suggerita dalla Swiss equivale a ritenere che la Corte, paradossalmente, non avrebbe applicato il principio della sentenza Balkan nella sentenza Balkan‑Import‑Export ( 68 ). Orbene, mi sembra difficile ammettere che la Corte avrebbe ivi, al punto 14, sancito per la prima volta tale principio, per poi discostarsene subito al punto 15. Se fosse stata questa la sua intenzione, essa avrebbe almeno affermato esplicitamente, a mio parere, che la fattispecie in questione non rientrava nell’ambito di applicazione di detto principio e avrebbe precisato le ragioni di una siffatta esclusione.

68.

In secondo luogo, gli elementi di circostanza che caratterizzano il contesto delle cause sfociate nelle sentenze Faust/Commissione ( 69 ) e Germania/Consiglio ( 70 ) non possono, a mio avviso, essere assunti a condizione di applicabilità del principio della sentenza Balkan.

69.

A tal riguardo, il Parlamento osserva, giustamente, che, nella sentenza Faust/Commissione ( 71 ), l’esistenza di un accordo commerciale fra la Comunità e la Cina non spiegava direttamente il trattamento preferenziale delle importazioni da tale paese. Esso traeva la sua origine dal fatto che la Cina, a differenza di Taiwan, si era impegnata unilateralmente a limitare le proprie importazioni. Pertanto, detto accordo rappresentava unicamente un elemento del contesto generale in cui si inserivano i rapporti commerciali fra la Comunità e la Cina ( 72 ). In ogni caso, non era affatto riscontrabile un accordo del genere fra la Comunità e la Corea del Sud. La Corte ha tuttavia convalidato parimenti la disparità di trattamento fra Taiwan e la Corea del Sud.

70.

Quanto ai telex scambiati fra la Comunità e la Cina nell’ambito della preparazione dell’impegno di autolimitazione sottoscritto da quest’ultima, essi costituivano atti unilaterali e probabilmente riservati. Orbene, la Swiss fa valere, per avvalorare la propria tesi, la necessità di un controllo pubblico, segnatamente da parte del Parlamento, sulle ragioni che giustificano le disparità di trattamento fra Stati terzi. Inoltre, non ravviso, nella specie, la necessità di un siffatto controllo da parte del Parlamento, dal momento che tale istituzione non è altro che uno dei coautori della decisione n. 377/2013.

71.

Tali circostanze attestano unicamente, a mio avviso, che la disparità di trattamento fra paesi terzi di cui alle sentenze richiamate supra si inseriva effettivamente in un contesto internazionale. Ciò è quanto è, del resto, avvenuto nel caso della disparità di trattamento di cui alla sentenza Balkan‑Import‑Export ( 73 ). Lo stesso dicasi per la distinzione fra paesi terzi prevista dalla decisione n. 377/2013 ( 74 ). In via generale, il trattamento riservato dall’Unione ai diversi paesi mi sembra, per la sua stessa natura, sempre collegato ad un contesto internazionale.

72.

Alla luce di tali considerazioni, l’applicabilità del principio della sentenza Balkan non dipende, a mio avviso, dall’esistenza, a monte dell’atto normativo dell’Unione che istituisce una disparità di trattamento fra paesi terzi, di un’azione esterna concreta e pubblica dell’Unione che motivi tale disparità di trattamento.

5. Conclusione sulla validità della decisione n. 377/2013

73.

Risulta dalle suesposte considerazioni che la portata del principio della sentenza Balkan non può essere limitata alle ipotesi in cui l’atto normativo dell’Unione che prevede una disparità di trattamento fra paesi terzi si collochi nel prolungamento di un’azione esterna dell’Unione che presenta le caratteristiche descritte al paragrafo 54 delle presenti conclusioni.

74.

Di conseguenza, tale principio si applica nella specie. L’Unione non è dunque tenuta a riservare un trattamento identico, da un lato, ai voli fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera e, dall’altro, ai voli fra gli Stati membri del SEE e gli altri Stati terzi, dal momento che la differenza di trattamento di tali rotte aeree è assimilabile ad una disparità di trattamento fra Stati terzi ( 75 ). L’Unione non è neanche obbligata a trattare gli operatori di queste due categorie di voli su un piano di parità. Infatti, la disparità di trattamento fra operatori sulla base della destinazione e della provenienza dei voli che essi effettuano costituisce la conseguenza automatica, ai sensi della sentenza Faust/Commissione ( 76 ), della disparità di trattamento fra rotte aeree.

75.

I governi italiano e del Regno Unito, nonché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione hanno inoltre dedotto solidi argomenti intesi a giustificare, nell’ipotesi in cui la Corte lo esiga, quest’ultima disparità di trattamento. Tali argomenti sollevano essenzialmente considerazioni relative al contesto internazionale nel quale si inserisce la decisione n. 377/2013, come quelle menzionate al paragrafo 60 delle presenti conclusioni. Non mi sembra necessario esaminare detti argomenti in maniera più dettagliata. Infatti, poiché nessun principio generale di parità di trattamento si applica ad una siffatta disparità di trattamento, essa non deve essere giustificata.

76.

Per queste stesse ragioni, è irrilevante la constatazione secondo la quale, tramite il regolamento (UE) n. 421/2014, il legislatore ha esteso, per il periodo che va dal 1o gennaio 2013 al 31 dicembre 2016, la moratoria sull’applicazione del SEQE UE a tutti i voli da e per tutti i paesi non membri del SEE, inclusa la Svizzera ( 77 ). Tale constatazione sarebbe potenzialmente rilevante solo nel caso in cui debba essere apportata una giustificazione alla disparità di trattamento risultante dalla decisione n. 377/2013. Orbene, ho concluso in senso negativo. In ogni caso, mi sembra che il legislatore possa ricalibrare le politiche in materia di relazioni esterne dell’Unione in funzione, segnatamente, dell’evoluzione del contesto internazionale in cui esse si iscrivono ( 78 ).

77.

Tali considerazioni mi inducono a ritenere, in conclusione, che l’articolo 1 della decisione n. 377/2013 non viola il principio generale di parità di trattamento nella misura in cui la deroga da esso prevista non si applica ai voli fra gli Stati membri del SEE e la Svizzera.

D – Sulla seconda questione

78.

Ritengo che non occorra rispondere alla seconda questione pregiudiziale, dal momento che la prima questione deve essere risolta negativamente.

V – Conclusione

79.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla prima questione sottoposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (Sezione civile), (Regno Unito)]:

L’articolo 1 della decisione n. 377/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 aprile 2013, recante deroga temporanea alla direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, non è contrario al principio generale di parità di trattamento nella misura in cui la deroga da esso prevista non si applica ai voli fra gli Stati membri dello Spazio economico europeo (SEE) e la Svizzera.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio (GU 2003, L 275, pag. 32), come modificata dalla direttiva 2008/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 2003/87 al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra (GU 2009, L 8, pag. 3).

( 3 ) V. paragrafi 5 e 6 delle supra.

( 4 ) Decisione n. 377/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 aprile 2013, recante deroga temporanea alla direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità (GU 2013, L 113, pag. 1).

( 5 ) V. paragrafi da 11 a 16 delle supra.

( 6 ) Tale protocollo è stato approvato, a nome della Comunità europea, dalla decisione 2002/358/CE del Consiglio del 25 aprile 2002, (GU 2002, L 130, pag. 1).

( 7 ) Direttiva 2008/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra (GU 2009, L 8, pag. 3).

( 8 ) Articolo 2, paragrafo 1, e allegato I, punto 6, alla direttiva 2003/87.

( 9 ) Decisione del Comitato misto SEE n. 146/2007, del 26 ottobre 2007, che modifica l’allegato XX (Ambiente) dell’accordo SEE (GU 2008, L 100, pag. 92).

( 10 ) Decisione n. 6/2011, del 1o aprile 2011, che modifica l’allegato XX (Ambiente) dell’accordo SEE (GU 2011, L 93, pag. 35).

( 11 ) Accordo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L1,p.3).

( 12 ) Decisione del Comitato misto SEE n. 50/2013, del 30 aprile 2013, che modifica l’allegato XX (Ambiente) dell’accordo SEE (GU 2013, L 231, pag. 24).

( 13 ) V. comunicazione della Commissione – Orientamenti per l’attuazione della decisione n. 377/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante deroga temporanea alla direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità (GU 2013, C 289, pag. 1); in prosieguo: gli «orientamenti della Commissione», (punto 2.1.1).

( 14 ) Orientamenti della Commissione (punto 2.1.2).

( 15 ) V., segnatamente, sentenza del 23 marzo 2006, Enirisorse (C‑237/04, EU:C:2006:197, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata).

( 16 ) V., segnatamente, sentenza del 23 marzo 2006, Enirisorse (C‑237/04, EU:C:2006:197, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata).

( 17 ) V. sentenze del 3 ottobre 1985, CBEM (311/84, EU:C:1985:394, punti 910), e del 12 febbraio 2004, Slob (C‑236/02, EU:C:2004:94, punto 29). Per contro, la Commissione conserva la facoltà di far valere, se del caso, detti argomenti nell’ambito di un’azione per inadempimento nei confronti del Regno Unito ex articolo 258 TFUE [v. sentenze del 7 febbraio 1973, Commissione/Italia (39/72, EU:C:1973:13, punto 15), e del 28 marzo 1985, Commissione/Italia (272/83, EU:C:1985:147, punto 4)].

( 18 ) V., in tal senso, sentenze del 7 febbraio 1973, Commissione/Italia (39/72, EU:C:1973:13, punti da 16 a 18); del 10 ottobre 1973, Variola (34/73, EU:C:1973:101, punto 10), e del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi /Al-Aqsa (C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punti da 85 a 87).

( 19 ) V., segnatamente, sentenze del 10 ottobre 1973, Variola (34/73, EU:C:1973:101, punto 11), e Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa (C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 87 e la giurisprudenza ivi citata).

( 20 ) V., segnatamente, punto 3.3.2. (concernente la cancellazione delle quote) e punto 3.3.3. (relativo alla pubblicazione delle rese di quote) degli orientamenti della Commissione. Si evince dalla giurisprudenza [v., segnatamente, sentenza del 5 maggio 2015, Spagna/Consiglio (C‑147/13, EU:C:2015:299, punto 94 e la giurisprudenza ivi citata)] che il divieto di adottare provvedimenti di recepimento di un regolamento nel diritto nazionale non pregiudica l’adozione, da parte degli Stati membri, di «provvedimenti legislativi, regolamentari, amministrativi e finanziari necessari affinché le disposizioni [di tale regolamento] (…) possano essere applicate».

( 21 ) Non condivido, a tal riguardo, l’interpretazione suggerita dal governo del Regno Unito, secondo la quale il riferimento effettuato dall’articolo 4 della decisione n. 377/2013 all’«attuazione» della medesima implicherebbe che gli Stati membri siano tenuti ad adottare provvedimenti di trasposizione di tale decisione nel diritto interno. Tale disposizione prevede, più specificamente, che «[l]a Commissione fornisce gli orientamenti necessari all’attuazione [di detta] decisione». A mio avviso, la nozione di attuazione rimanda semplicemente, in tale contesto, all’obbligo per gli Stati membri di applicare la decisione n. 377/2013 conformandosi agli obblighi che essa impone loro. Tale lettura è corroborata dagli orientamenti della Commissione, elaborati a norma dell’articolo 4 di tale decisione, i quali mirano a conseguire una maggiore coerenza nell’«applicazione» di quest’ultima da parte delle autorità competenti negli Stati membri (v., segnatamente, punto 1 degli orientamenti della Commissione).

( 22 ) Sulla distinzione fra applicabilità diretta ed efficacia diretta, v. Winter, J.A., «Direct applicability and direct effect: two distinct and different concepts in Community law», CMLRev, 1972, vol. 2, pag. 425-438. A mio avviso, le disposizioni della decisione n. 377/2013 rivestono anche un’efficacia diretta, nella misura in cui esse impongono obblighi agli Stati membri in modo chiaro, preciso e incondizionato, senza essere subordinate ad alcun provvedimento di esecuzione a carattere discrezionale [v. sentenza del 15 gennaio 1986, Hurd (44/84, EU:C:1986:2, punto 47)]. A tali obblighi incombenti agli Stati membri corrispondono diritti che gli operatori aerei possono far valere dinanzi ai giudici nazionali.

( 23 ) Sentenza del 28 marzo 1985, Commissione/Italia (272/83, EU:C:1985:147, punto 27). V., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Skoma‑Lux (C‑161/06, EU:C:2007:525, paragrafo 55).

( 24 ) Tale deroga si applica unicamente a condizione che l’operatore aereo, qualora abbia ricevuto quote a titolo gratuito per il 2012, ne abbia restituito un numero corrispondente alle emissioni prodotte dai voli coperti da detta deroga.

( 25 ) A seguito dell’adesione della Croazia all’Unione, la Svizzera era l’unico Stato terzo interessato da una siffatta esclusione (v. paragrafo 15 supra).

( 26 ) Analogamente, la Corte ha ritenuto che una disparità di trattamento fra prodotti sulla base della loro provenienza costituisce una disparità di trattamento fra paesi terzi [v., segnatamente, sentenze del 22 gennaio 1976, Balkan‑Import‑Export (55/75, EU:C:1976:8, punto 14); del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:369, punto 25), e del 10 marzo 1998, Germania/Consiglio (C‑122/95, EU:C:1998:94, punto 56)].

( 27 ) Come sottolineato dalla Corte nella sentenza del 28 gennaio 1986, Commissione/Francia (270/83, EU:C:1986:37, punto 18), la sede di una società, nella misura in cui serve per determinare il collegamento della medesima all’ordinamento giuridico di uno Stato, svolge un ruolo paragonabile a quello della cittadinanza di una persona fisica.

( 28 ) V. articoli 49, 54, 56 e 62 TFUE.

( 29 ) Accordo tra la Comunità Europea e la Confederazione svizzera sul trasporto aereo, concluso il 21 giugno 1999, approvato a nome della Comunità con la decisione 2002/309/CE, Euratom, del Consiglio e, per quanto riguarda l’Accordo sulla Cooperazione Scientifica e tecnologica, della Commissione del 4 aprile 2002, relativa alla conclusione di sette accordi con la Confederazione svizzera (GU L 114, p.1).

( 30 ) Sentenza del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique e Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata).

( 31 ) In particolare, il diritto dei trattati consente l’instaurazione di rapporti privilegiati fra soggetti di diritto internazionale pubblico. Ciò avviene senza che venga pregiudicata la facoltà dei medesimi di impegnarsi convenzionalmente al rispetto del principio di parità di trattamento. In tal senso la clausola della nazione più favorita di cui all’articolo 1, paragrafo 1, dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 (GATT), figurante all’allegato 1A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato dalla decisione 94/800/CE del Consiglio del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU 1994, L 336, pag. 1).

( 32 ) Sentenza del 22 gennaio 1976, Balkan‑Import‑Export (55/75, EU:C:1976:8, punto 14).

( 33 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369, punto 25). Sul piano teorico, tale conclusione sembra discendere dal fatto che, in una situazione del genere, gli operatori economici non si trovano, nella misura in cui essi sono legati a diversi paesi terzi ai quali l’Unione riserva un trattamento distinto, in una situazione paragonabile. In ogni caso – il che si risolve nel medesimo risultato –, la disparità di trattamento fra tali operatori può essere giustificata dal fatto che essa risulti automaticamente dalla disparità di trattamento fra i paesi terzi con cui essi hanno allacciato delle relazioni. V., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Sir Gordon Slynn nella causa Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:205, pag. 3773).

( 34 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 35 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369).

( 36 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 37 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369).

( 38 ) Sentenza del 10 marzo 1998 (C‑122/95, EU:C:1998:94).

( 39 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 40 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369).

( 41 ) La Corte aveva precedentemente esaminato una problematica analoga nella sentenza del 15 luglio 1982, Edeka Zentrale (245/81, EU:C:1982:277).

( 42 ) Sentenza del 10 marzo 1998 (C‑122/95, EU:C:1998:94).

( 43 ) La Corte si è inoltre pronunciata sulla validità del regolamento di attuazione dello stesso accordo quadro nella sentenza del 10 marzo 1998, T. Port (C‑364/95 e C‑365/95, EU:C:1998:95), nella misura in cui tale regolamento prevedeva una siffatta disparità di trattamento.

( 44 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369).

( 45 ) Sentenza del 10 marzo 1998 (C‑122/95, EU:C:1998:94).

( 46 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 47 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 48 ) Sentenza del 22 gennaio 1976, Balkan‑Import‑Export (55/75, EU:C:1976:8, punti 1415). In tal senso, l’esenzione che interessava i formaggi provenienti dalla Svizzera derivava dal fatto che la loro importazione comportava un rischio di perturbazione sugli scambi di prodotti agricoli inferiore a quello associato all’importazione dei formaggi bulgari.

( 49 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369).

( 50 ) Sentenza del 10 marzo 1998 (C‑122/95, EU:C:1998:94).

( 51 ) Sentenze del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:369, punto 25) e del 10 marzo 1998, Germania/Consiglio (C‑122/95, EU:C:1998:94, punti 5657). La Corte ha accolto questo stesso ragionamento nelle sentenze del 15 luglio 1982, Edeka Zentrale (245/81, EU:C:1982:277, punti 1920) e del 10 marzo 1998, T. Port (C‑364/95 e C‑365/95, EU:C:1998:95, punti 7677).

( 52 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 53 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369).

( 54 ) Sentenza del 10 marzo 1998 (C‑122/95, EU:C:1998:94).

( 55 ) Lo stesso avverrebbe allorché tale atto ricada di per sé nell’esercizio delle competenze dell’Unione in materia di azione esterna. Infatti, secondo la Swiss, il principio della sentenza Balkan non avrebbe potuto essere applicato nella sentenza del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:369) se la disparità di trattamento fra Taiwan, da un lato, e la Cina e la Corea del Sud, dall’altro (e fra gli operatori economici che importano prodotti da tali paesi) – la quale risultava tuttavia da regolamenti in materia di politica commerciale comune, vale a dire di azione esterna dell’Unione ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, TUE – non era stata motivata dagli «atti esterni concreti» menzionati al paragrafo 53 supra.

( 56 ) La Swiss non ha precisato il significato esatto che essa ricollega alla nozione di «azione esterna». Tuttavia, contrapponendola agli aspetti esterni delle politiche interne dell’Unione, essa sembra designare l’azione esterna dell’Unione ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, TUE.

( 57 ) Sentenze del 22 gennaio 1976, Balkan‑Import‑Export (55/75, EU:C:1976:8, punto 14); del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:369, punto 25); del 15 luglio 1982, Edeka Zentrale (245/81, EU:C:1982:277, punto 19); del 10 marzo 1998, Germania/Consiglio (C‑122/95, EU:C:1998:94, punto 56), e sentenza del 10 marzo 1998, T. Port (C‑364/95 e C‑365/95, EU:C:1998:95, punto 76). V. anche sentenza del 24 giugno 1986, Malt (236/84, EU:C:1986:254, punto 21).

( 58 ) Ossia i diversi settori della politica estera e di sicurezza comune (PESC).

( 59 ) Ossia la politica commerciale comune, la cooperazione e l’aiuto umanitario, le misure restrittive, gli accordi internazionali, nonché le relazioni internazionali e le delegazioni dell’Unione.

( 60 ) Una siffatta interpretazione discende direttamente dalla sentenza Balkan‑Import‑Export (55/75, EU:C:1976:8). Infatti, tale sentenza riguardava la validità di regolamenti comunitari in materia di politica agricola comune, la quale è considerata una politica interna dell’Unione. La Corte prendeva dunque in considerazione, con la nozione di «relazioni esterne», gli aspetti esterni di tale politica interna.

( 61 ) Punti 5 e 6 della decisione n. 377/2013.

( 62 ) Punto 9 della decisione n. 377/2013.

( 63 ) Come la decisione n. 377/2013 di cui al procedimento principale, i regolamenti che fissano importi compensativi monetari di cui alla sentenza del 22 gennaio 1976, Balkan‑Import‑Export (55/75, EU:C:1976:8), i regolamenti che istituiscono restrizioni alle importazioni di taluni prodotti di cui alle sentenze del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:369) e del 15 luglio 1982, Edeka Zentrale (245/81, EU:C:1982:277), la decisione che approva l’accordo quadro sulle banane di cui alla sentenza del 10 marzo 1998, Germania/Consiglio (C‑122/95, EU:C:1998:94), o la decisione di attuazione del medesimo di cui alla sentenza del 10 marzo 1998, T. Port (C‑364/95 e C‑365/95, EU:C:1998:95).

( 64 ) Conclusioni dell’avvocato generale Sir Gordon Slynn nella causa Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:205, pag. 3779).

( 65 ) A tal riguardo, l’avvocato generale Elmer ha osservato in maniera pertinente, nelle sue conclusioni nella causa Germania/Consiglio (C‑122/95, EU:C:1997:309, paragrafo 61), quanto segue: «Il diritto comunitario non tutela quindi gli operatori da eventuali conseguenze negative derivanti dalle relazioni politiche della Comunità con Stati terzi, che possono del resto difficilmente essere distinte da altri rischi commerciali normali. Ammettere il contrario implicherebbe del resto che la Comunità incontrerebbe notevolissime difficoltà nell’adottare provvedimenti di politica commerciale».

( 66 ) In termini generali, secondo costante giurisprudenza, allorché un’autorità dell’Unione è chiamata a compiere valutazioni complesse, essa dispone di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un sindacato giurisdizionale ristretto. V., segnatamente, sentenze del 22 gennaio 1976, Balkan‑Import‑Export (55/75, EU:C:1976:8, punto 8), e del 7 aprile 2016, ArcelorMittal Tubular Products Ostrava e a./Consiglio e Consiglio/Hubei Xinyegang Steel (C‑186/14 P e C‑193/14 P, EU:C:2016:209, punto 34).

( 67 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 68 ) Sentenza del 22 gennaio 1976 (55/75, EU:C:1976:8).

( 69 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369).

( 70 ) Sentenza del 10 marzo 1998 (C‑122/95, EU:C:1998:94).

( 71 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369)

( 72 ) Tale accordo fra la Comunità e la Cina era inteso a «favorire l’armonica espansione dei loro scambi commerciali» (v. sentenza del 28 ottobre 1982, Faust/Commissione, 52/81, EU:C:1982:369, pag. 3755).

( 73 ) In particolare, il trattamento più favorevole riservato agli importatori di formaggio svizzeri partiva dal presupposto di una disputa commerciale fra la Svizzera e la Comunità concernente l’applicazione del GATT (v. sentenza del 22 gennaio 1976, 55/75, EU:C:1976:8, punto 25).

( 74 ) V. paragrafo 60 supra. Inoltre, l’Accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sul trasporto aereo, firmato il 21 giugno 1999 a Lussemburgo, approvato a nome della Comunità dalla decisione 2002/309/CE, Euratom del Consiglio e, per quanto riguarda l’Accordo sulla Cooperazione Scientifica e Tecnologica, della Commissione del 4 aprile 2002, relativa alla conclusione di sette accordi con la Confederazione svizzera (GU 2002, L 114, pag. 1), testimonia rapporti specifici da esse intrattenuti nel settore contemplato dalla decisione n. 377/2013. In particolare, risulta dall’articolo 1, paragrafo 2, e dall’allegato I di tale accordo, che una parte significativa dell’acquis dell’Unione in materia di trasporto aereo si applica alla Svizzera. Inoltre, all’epoca dell’adozione di tale decisione, l’Unione e la Svizzera conducevano dei negoziati intesi a legare il SEQE UE al SEQE svizzero concernente il settore dell’aviazione.

( 75 ) V. paragrafo 36 supra.

( 76 ) Sentenza del 28 ottobre 1982 (52/81, EU:C:1982:369, punto 25).

( 77 ) Articolo 1, punto 1, del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, recante modifica della direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, in vista dell’attuazione, entro il 2020, di un accordo internazionale che introduce una misura mondiale unica basata sul mercato da applicarsi alle emissioni del trasporto aereo internazionale (GU 2014, L 129, pag. 1).

( 78 ) Il Parlamento ha rilevato, a tal proposito, che i negoziati relativi al legame del SEQE UE con il SEQE svizzero erano stati sospesi a seguito del voto, nel febbraio 2014, a favore della reintroduzione di quote di immigrati in Svizzera, per poi essere ripresi nel marzo 2015. Erano inoltre stati avviati negoziati intesi a legare il SEQE UE al SEQE dell’Australia. Ancora, i negoziati relativi all’elaborazione di un SEQE mondiale non erano progrediti nella misura attesa nell’ambito dell’OACI.