CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 25 novembre 2015 ( 1 )

Causa C‑441/14

Dansk Industri (DI), per conto di Ajos A/S,

contro

Eredi di Karsten Eigil Rasmussen

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Højesteret (Corte suprema, Danimarca)]

«Rinvio pregiudiziale — Politica sociale — Direttiva 2000/78/CE — Principio della non discriminazione in ragione dell’età — Principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento — Controversia tra privati — Ruolo del giudice nazionale — Obbligo di interpretazione conforme — Interpretazione contra legem»

1. 

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dei principi della non discriminazione in ragione dell’età, della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.

2. 

Tale domanda è stata proposta dopo che la Corte, nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600), ha dichiarato che gli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro ( 2 ), devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale in forza della quale i lavoratori aventi titolo a una pensione di vecchiaia dal proprio datore di lavoro nell’ambito di un regime previdenziale al quale hanno aderito prima di aver raggiunto i 50 anni di età non possono, in ragione di tale solo fatto, beneficiare di un’indennità speciale di licenziamento destinata a favorire il reinserimento professionale dei lavoratori con un’anzianità di servizio nell’impresa superiore a dodici anni.

3. 

La controversia che ha dato luogo a detta sentenza contrapponeva un dipendente a un datore di lavoro pubblico. Nell’ambito della presente causa, invece, sono due soggetti privati a contendere sul versamento dell’indennità di licenziamento, di modo che dinanzi alla Corte si pone nuovamente la questione delle modalità di applicazione, da parte dei giudici nazionali, del diritto dell’Unione nell’ambito dei contenziosi fra privati.

4. 

La controversia oggetto della presente causa vede la Dansk Industri (DI), per conto dell’Ajos A/S ( 3 ), contrapposta agli eredi del sig. Rasmussen sul rifiuto da parte dell’Ajos di riconoscere al sig. Rasmussen un’indennità di licenziamento.

5. 

Nelle presenti conclusioni esporrò le ragioni per cui, nella causa in esame, spetta al giudice del rinvio, investito di una controversia fra privati rientrante nel campo d’applicazione della direttiva 2000/78, interpretare le disposizioni del proprio diritto nazionale, nel momento in cui le attua, in modo che possano ricevere un’applicazione conforme alla lettera e alla finalità di detta direttiva. Spiegherò anche perché ritengo che l’esistenza di una consolidata giurisprudenza nazionale contraria alla direttiva 2000/78 non osti all’adempimento da parte del giudice del rinvio di tale obbligo di interpretazione conforme. Inoltre, dimostrerò che, in circostanze come quelle del procedimento principale, neppure i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento ostano all’adempimento di un tale obbligo.

I – Contesto normativo

A – La direttiva 2000/78

6.

Ai sensi del suo articolo 1, la direttiva 2000/78 «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

7.

L’articolo 2 di detta direttiva stabilisce quanto segue:

«1.   Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.   Ai fini del paragrafo 1:

a)

sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

(...)».

8.

L’articolo 6 della medesima direttiva così recita:

«1.   Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

a)

la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;

b)

la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l’accesso all’occupazione o a taluni vantaggi connessi all’occupazione;

(...)».

B – Il diritto danese

9.

La legge relativa ai lavoratori subordinati [lov om retsforholdet mellem arbejdsgivere og funktionærer (funktionærloven)] contiene, all’articolo 2a, le seguenti disposizioni attinenti all’indennità speciale di licenziamento:

«1.   In caso di licenziamento di un lavoratore subordinato, in servizio nella stessa azienda continuativamente per 12, 15 o 18 anni, il datore di lavoro, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, gli corrisponde una somma pari, rispettivamente, a 1, 2 ovvero 3 stipendi mensili.

2.   La disposizione di cui al paragrafo 1 non trova applicazione se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore subordinato percepisce una pensione di vecchiaia del regime generale [ ( 4 )].

3.   L’indennità di licenziamento non viene corrisposta se, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore subordinato percepisce dal datore di lavoro una pensione di vecchiaia e se ha aderito al regime previdenziale di cui trattasi prima del compimento del cinquantesimo anno di età.

(...)».

10.

La Højesteret (Corte suprema) precisa che il Regno di Danimarca ha trasposto la direttiva 2000/78 con l’adozione della legge n. 1417 del 22 dicembre 2004, che modifica la legge sul principio di non discriminazione nel mercato del lavoro (lov nr. 1417 om aendring af lov om forbud mod forskelsbehandling på arbejdsmarkedet m.v.) ( 5 ).

11.

Il giudice del rinvio rileva, inoltre, di essersi più volte pronunciato, dopo l’introduzione nel 1971 dell’articolo 2a della legge relativa ai lavoratori subordinati, sull’interpretazione del paragrafo 3 di tale articolo, in particolare dopo la modifica della legge contro la discriminazione nel 2004. In una sentenza pronunciata il 17 gennaio 2014 ( 6 ), in cui ha preso posizione sulle conseguenze della sentenza della Corte Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) relativa all’applicazione da parte dei datori di lavoro pubblici dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, il giudice del rinvio, riguardo alla giurisprudenza relativa a tale norma e alle conseguenze della sentenza citata, si è espresso come segue:

«Per costante giurisprudenza (da ultimo, la sentenza della Corte suprema pubblicata nell’UfR 2008.1892), l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati è stato interpretato nel senso che un lavoratore non ha diritto a un’indennità di licenziamento se può avere una pensione di vecchiaia (…), a prescindere se abbia temporaneamente rinunciato al beneficio di una tale pensione per proseguire la propria carriera professionale. La disposizione di legge non è stata modificata dopo la sentenza Ingeniørforeningen i Danmark [(C‑499/08, EU:C:2010:600)], ma non può essere applicata, in seguito a tale sentenza, da un datore di lavoro pubblico qualora il lavoratore dimostri l’intenzione di rinunciare temporaneamente al beneficio della pensione di vecchiaia per proseguire la propria carriera professionale».

II – Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12.

Il sig. Rasmussen è stato licenziato e ha lasciato il suo impiego presso l’Ajos alla fine del mese di giugno del 2009. Essendo stato in servizio presso tale impresa dal 1o giugno 1984, egli aveva, in teoria, diritto a un’indennità di licenziamento pari a tre mensilità di retribuzione ai sensi dell’articolo 2a, paragrafo 1, della legge relativa ai lavoratori subordinati. Ciononostante, dato che, al momento del licenziamento, aveva raggiunto l’età di 60 anni e aveva diritto alla pensione di vecchiaia dal datore di lavoro in applicazione di un regime al quale aveva aderito prima dei 50 anni, l’articolo 2a, paragrafo 3, di detta legge, come interpretato da una consolidata giurisprudenza nazionale, non gli consentiva di pretendere una siffatta indennità, sebbene egli fosse rimasto sul mercato del lavoro dopo il licenziamento.

13.

Nel marzo 2012, il Dansk Formands Forening ha intrapreso a nome del sig. Rasmussen un’azione contro l’Ajos al fine di ottenere il pagamento dell’indennità di licenziamento pari a tre mensilità di retribuzione prevista dall’articolo 2a, paragrafo 1, della legge relativa ai lavoratori subordinati. A tale riguardo detto sindacato si è basato sulla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600).

14.

Il Sø- og Handelsretten (Tribunale marittimo e commerciale), in una sentenza del 14 gennaio 2014, ha accolto la domanda degli eredi del sig. Rasmussen, nel frattempo deceduto, di pagamento dell’indennità di licenziamento in questione. Tale giudice ha dichiarato che dalla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, ECLI:EU:C:2010:600) risultava che l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati era contrario alla direttiva 2000/78 e ha constatato che l’interpretazione nazionale anteriore di tale disposizione era contraria al principio generale, sancito dal diritto dell’Unione, della non discriminazione in ragione dell’età.

15.

L’Ajos ha proposto appello contro tale sentenza dinanzi alla Højesteret (Corte suprema). A sostegno dell’impugnazione essa ha dedotto che un’interpretazione dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati in senso conforme alla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) sarebbe contra legem. L’Ajos sostiene, inoltre, che una disposizione di legge chiara ed inequivocabile come l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati non può essere disapplicata sulla base del principio generale di diritto dell’Unione della non discriminazione in ragione dell’età, pena la violazione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.

16.

Gli eredi del sig. Rasmussen ribadiscono nelle loro conclusioni la richiesta di pagamento di un’indennità di licenziamento ai sensi dell’articolo 2a, paragrafo 1, della legge relativa ai lavoratori subordinati e di un risarcimento ai sensi dell’articolo 7 della legge contro la discriminazione.

17.

Nella sua ordinanza di rinvio, la Højesteret (Corte suprema) ricorda che, in seguito alla sentenza Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33), in casi che riguardano privati non è possibile attribuire effetto diretto alle disposizioni di una direttiva. Nel contesto di una controversia tra privati, un eventuale conflitto fra una disposizione di diritto interno e una direttiva dovrebbe essere risolto per mezzo dell’interpretazione conforme della disposizione di diritto nazionale. Tuttavia, il principio dell’interpretazione conforme sarebbe soggetto a limiti e non potrebbe giustificare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale. Orbene, nel caso in esame, per costante giurisprudenza nazionale, l’interpretazione conforme dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati sarebbe precisamente contra legem.

18.

Occorrerebbe, pertanto, verificare se un principio generale del diritto dell’Unione, quale il principio della non discriminazione in ragione dell’età, possa essere evocato per esigere da un datore di lavoro privato il pagamento dell’indennità di licenziamento prevista dal diritto danese, sebbene, ai sensi di detto diritto, il datore di lavoro non vi sia obbligato. In tal modo, il caso di specie solleverebbe questioni anche sulla misura in cui un principio non scritto di diritto dell’Unione possa impedire a un privato di far valere una disposizione di diritto nazionale.

19.

Al fine di procedere a tale verifica, occorre capire se il principio della non discriminazione in ragione dell’età abbia a tale riguardo lo stesso contenuto e la stessa portata della direttiva 2000/78, ovvero se tale direttiva contenga una tutela contro la discriminazione in ragione dell’età più ampia rispetto a quella che risulta da detto principio.

20.

Il giudice del rinvio si domanda inoltre, da un lato, se, come risulterebbe dalle sentenze Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709) e Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21), il principio della non discriminazione in ragione dell’età debba essere applicato direttamente anche nelle controversie tra privati e, dall’altro, come l’applicazione diretta nei confronti di un privato debba essere bilanciata con il principio della certezza del diritto e il suo corollario, il principio della tutela del legittimo affidamento.

21.

Il giudice del rinvio si domanda poi se, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, sia compatibile con il diritto dell’Unione che un giudice nazionale proceda a un bilanciamento del principio della non discriminazione in ragione dell’età con i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, giungendo alla conclusione che il principio della certezza del diritto deve prevalere sul principio della non discriminazione in ragione dell’età, talché il datore di lavoro non sarebbe tenuto, ai sensi del diritto nazionale, a corrispondere un’indennità di licenziamento.

22.

A tale proposito il giudice del rinvio pone anche la questione se la circostanza che il lavoratore possa, se del caso, chiedere allo Stato un risarcimento per l’incompatibilità della legislazione danese con il diritto dell’Unione sia rilevante ai fini di tale bilanciamento.

23.

È in tale contesto che la Højesteret (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il principio generale di diritto dell’Unione della non discriminazione in ragione dell’età implichi il divieto di un regime, come quello danese, in base al quale i lavoratori non hanno diritto a indennità di licenziamento se possono beneficiare di una pensione di vecchiaia finanziata dal loro datore di lavoro nell’ambito di un regime pensionistico al quale abbiano aderito prima del raggiungimento del cinquantesimo anno di età, a prescindere se scelgano di rimanere sul mercato del lavoro oppure di andare in pensione.

2)

Se sia compatibile con il diritto dell’Unione che un giudice danese, nell’ambito di una controversia tra un lavoratore e un datore di lavoro privato riguardante il pagamento di un’indennità di licenziamento – pagamento dal quale il diritto danese, come descritto nella prima questione, esenta il datore di lavoro, in violazione del principio generale di diritto dell’Unione della non discriminazione in ragione dell’età –, proceda a un bilanciamento di tale principio e del suo effetto diretto con il principio della certezza del diritto e il suo corollario, il principio della tutela del legittimo affidamento, giungendo alla conclusione che il principio della certezza del diritto deve prevalere sul principio della non discriminazione in ragione dell’età, talché il datore di lavoro non sarebbe tenuto, ai sensi del diritto nazionale, a corrispondere un’indennità di licenziamento. Si chiede, inoltre, di chiarire se la circostanza che il lavoratore possa, se del caso, domandare allo Stato danese un risarcimento danni per l’incompatibilità della legislazione nazionale con il diritto dell’Unione abbia ripercussioni sulla fattibilità di un tale bilanciamento».

III – Analisi

24.

Prima di proporre la mia analisi delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, occorre illustrare la decisione della Corte nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600).

25.

In detta sentenza la Corte è stata chiamata a stabilire se gli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 dovessero essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale in forza della quale i lavoratori aventi titolo a una pensione di vecchiaia versata dal proprio datore di lavoro nell’ambito di un regime previdenziale al quale hanno aderito prima di aver raggiunto i 50 anni di età non possono, in ragione di tale solo fatto, beneficiare di un’indennità speciale di licenziamento destinata a favorire il reinserimento professionale dei lavoratori con un’anzianità di servizio nell’impresa superiore a dodici anni.

26.

Ricordo che, ai sensi dell’articolo 2a, paragrafo 1, della legge relativa ai lavoratori subordinati, un lavoratore subordinato che sia stato in servizio presso la medesima impresa per un periodo continuativo di 12, di 15 o di 18 anni ha diritto a un’indennità di licenziamento. L’articolo 2a, paragrafo 3, di detta legge prevede, in via di eccezione, che l’indennità di licenziamento non venga corrisposta qualora, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore subordinato percepisca dal datore di lavoro una pensione di vecchiaia e abbia aderito al regime previdenziale di cui trattasi prima del compimento del cinquantesimo anno di età.

27.

Occorre rilevare che, nell’illustrare la normativa danese, la Corte ha citato una precisazione apportata dal Vestre Landsret (Corte d’appello della regione occidentale) in base alla quale, «secondo una giurisprudenza nazionale costante, il diritto all’indennità speciale di licenziamento è escluso se un regime previdenziale privato, cui il datore di lavoro abbia versato i contributi, consente il pagamento di una pensione di vecchiaia alla cessazione del rapporto di lavoro, anche se il lavoratore subordinato al momento della cessazione del rapporto di lavoro non intenda usufruire del regime previdenziale» ( 7 ).

28.

La Corte ha considerato che la normativa nazionale di cui trattasi contiene una disparità di trattamento direttamente basata sul criterio dell’età ai sensi del combinato disposto degli articoli 1 e 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 ( 8 ). Essa ha affermato che l’obiettivo, perseguito dall’indennità speciale di licenziamento, di protezione dei lavoratori con una maggiore anzianità di servizio nell’impresa e di ausilio al loro reinserimento professionale può, in linea di principio, essere ritenuto idoneo a giustificare una siffatta disparità di trattamento basata sull’età ( 9 ).

29.

La Corte ha considerato pure che «limitare l’indennità speciale di licenziamento ai soli lavoratori che, al momento del loro licenziamento, non otterranno una pensione di vecchiaia alla quale abbia contribuito il loro datore di lavoro non appare irragionevole rispetto alla finalità perseguita dal legislatore, che consiste nel fornire una maggiore protezione ai lavoratori il cui passaggio verso un nuovo impiego risulta problematico a causa della loro anzianità di servizio nell’impresa» ( 10 ). La Corte ha, peraltro, rilevato che «[l]’art[icolo] 2a, paragrafo 3, della [legge relativa ai lavoratori subordinati] consente altresì di limitare le possibilità di abuso attinenti, per il lavoratore, al beneficio di un’indennità destinata a sostenerlo nella ricerca di un nuovo impiego, nel momento in cui andrà in pensione» ( 11 ). La Corte ne ha dedotto che detta norma «non appare manifestamente inadeguata alla realizzazione del legittimo obiettivo di politica del lavoro perseguito dal legislatore» ( 12 ).

30.

La Corte ha indi verificato se la misura di cui trattasi ecceda quanto necessario per la realizzazione dell’obiettivo perseguito dal legislatore. Al riguardo, essa ha operato la seguente distinzione.

31.

Da una parte, attenendosi alla lettera dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, la Corte ha considerato che detta norma, «nei limiti in cui esclude dal beneficio dell’indennità speciale di licenziamento i lavoratori che percepiranno, al momento del loro licenziamento, una pensione di vecchiaia dal loro datore di lavoro, non eccede quanto necessario per realizzare gli obiettivi che mira a conciliare» ( 13 ).

32.

Dall’altra parte, la Corte ha tenuto conto della precisazione addotta dal Vestre Landsret (Corte d’appello della regione occidentale) in relazione alla portata che la costante giurisprudenza nazionale ha riconosciuto all’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, giurisprudenza che assimila ai soggetti che concretamente percepiranno una pensione di vecchiaia da parte del loro datore di lavoro coloro che possono beneficiare di detta pensione. La Corte, su tale questione, ha considerato che, «non consentendo il versamento dell’indennità speciale di licenziamento ad un lavoratore il quale, sebbene possa beneficiare di una pensione di vecchiaia versata dal proprio datore di lavoro, intenda cionondimeno rinunciare temporaneamente al beneficio di una pensione siffatta, al fine di proseguire la propria carriera professionale, l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa agli impiegati ha l’effetto di arrecare un eccessivo pregiudizio agli interessi legittimi dei lavoratori che si trovano in una situazione del genere ed eccede quanto necessario per la realizzazione degli obiettivi di politica sociale perseguiti da tale disposizione» ( 14 ). Pertanto, la disparità di trattamento derivante da detta norma non può essere, secondo la Corte, giustificata ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 ( 15 ).

33.

Nelle proprie osservazioni, il governo danese rileva che la sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) verteva su un rapporto fra un dipendente e un datore di lavoro pubblico, vale a dire un rapporto verticale. Il medesimo governo ne deduce che la Corte non si è, pertanto, pronunciata, nella citata sentenza, sulla questione se, alla luce del diritto dell’Unione, l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati possa, a fronte della sua inapplicabilità ai rapporti fra dipendente e datore di lavoro pubblico, continuare a essere applicato a un rapporto puramente orizzontale fra un dipendente e un datore di lavoro privato.

34.

Orbene, ritengo che dalla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) si possa dedurre, in via generale, che l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, come interpretato dai giudici nazionali, è incompatibile con gli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78. La controversia all’origine alla causa che ha dato luogo a tale sentenza contrapponeva un dipendente a un datore di lavoro pubblico, ma il risultato è che detta disposizione nazionale semplicemente non è applicabile ai rapporti fra dipendenti e datori di lavoro, vuoi pubblici vuoi privati. Una diversa conclusione comporterebbe la limitazione della portata della sentenza citata a una sola categoria di rapporti giuridici, vale a dire quelli di diritto pubblico.

35.

L’interpretazione della direttiva 2000/78 accolta dalla Corte nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) ha consentito di mettere in evidenza i motivi per i quali l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, come interpretato dai giudici nazionali, debba essere ritenuto incompatibile con la direttiva 2000/78. Detti motivi continuano a valere qualunque sia la natura del rapporto giuridico di cui trattasi, natura pubblicistica o natura privatistica.

36.

L’applicazione, nell’ambito delle controversie fra privati, della soluzione elaborata dalla Corte nella sentenza citata solleva tuttavia, a parere del giudice del rinvio, alcune difficoltà che sono all’origine della presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

37.

Secondo il giudice del rinvio, l’applicazione della soluzione elaborata dalla Corte non crea problemi quando il datore di lavoro è un soggetto pubblico. Infatti, in tal caso, il conflitto fra l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati e la direttiva 2000/78 può, a suo giudizio, essere risolto consentendo al lavoratore di evocare e far valere le stesse disposizioni della direttiva – purché risultino incondizionate e sufficientemente precise – in modo da disapplicare in un caso concreto l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati.

38.

Il giudice del rinvio ricorda che, al contrario, nei rapporti tra privati non è possibile riconoscere effetto diretto alle disposizioni di una direttiva. In un tale contesto, un eventuale conflitto tra una disposizione nazionale e una direttiva può essere risolto, nella misura del possibile, interpretando la disposizione nazionale in un senso conforme alla direttiva in questione, in modo da dirimere l’apparente conflitto fra le due norme. Il giudice del rinvio precisa che, tuttavia, tale obbligo di interpretazione conforme è soggetto a limiti e che, in particolare, non può costituire la base per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.

39.

Orbene, secondo detto giudice, un siffatto limite sussisterebbe nella presente causa, sicché occorrerebbe, in conformità alla giurisprudenza derivante dalle sentenze Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:7099) e Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21), ricorrere al principio della non discriminazione in ragione dell’età per risolvere la controversia principale, in cui sono contrapposti due soggetti privati. Il ricorso a tale principio porrebbe, allora, il problema del suo bilanciamento da parte del giudice del rinvio con i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.

40.

Il ragionamento seguito dal giudice del rinvio per formulare le sue questioni mi sembra corrispondere, quantomeno in parte, agli ultimi sviluppi della giurisprudenza della Corte sull’applicazione del principio della non discriminazione in ragione dell’età nell’ambito di controversie fra privati. Infatti, è conforme a tale giurisprudenza ricorrere ai principi generali del diritto, in considerazione del persistente rifiuto della Corte di riconoscere un effetto diretto orizzontale alle direttive. Ricordo, a tal proposito, che, in caso di controversia fra privati, la Corte si è costantemente pronunciata nel senso che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti ( 16 ).

41.

Fermo restando quanto detto, emerge parimenti dalla giurisprudenza della Corte che le direttive non sono del tutto prive di effetto nelle controversie fra privati. L’obbligo gravante sui giudici nazionali di interpretare il proprio diritto interno in senso conforme al contenuto e agli scopi delle direttive consente a queste ultime di dispiegare indirettamente i loro effetti su tali controversie.

42.

Quanto al ruolo del giudice nazionale chiamato a dirimere una controversia tra privati nella quale la normativa nazionale in questione appaia contraria al diritto dell’Unione, la Corte ha, in effetti, statuito che «spetta ai giudici nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme di diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia» ( 17 ). Inoltre, «l’obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, e il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi dei detti Stati, ivi compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali» ( 18 ).

43.

Ne consegue che, «nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali sono tenuti ad interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288, terzo comma, TFUE. L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte» ( 19 ).

44.

Detta esigenza di interpretazione conforme riguarda l’insieme delle norme del diritto nazionale ( 20 ), compresa la giurisprudenza nazionale ( 21 ).

45.

La Corte ha inoltre precisato che, «se il diritto nazionale, mediante l’applicazione di metodi di interpretazione da esso riconosciuti, in determinate circostanze consente di interpretare una norma dell’ordinamento giuridico interno in modo tale da evitare un conflitto con un’altra norma di diritto interno o di ridurre a tale scopo la portata di quella norma applicandola solamente nella misura compatibile con l’altra, il giudice ha l’obbligo di utilizzare gli stessi metodi al fine di ottenere il risultato perseguito dalla direttiva» ( 22 ).

46.

La necessità dell’interpretazione conforme esige, pertanto, che «i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti del loro potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima» ( 23 ).

47.

È solo quando risulta impossibile per i giudici nazionali interpretare il diritto interno conformemente alla direttiva 2000/78 che il principio della non discriminazione in ragione dell’età diventa la norma di riferimento che consente di risolvere le controversie fra privati, neutralizzando l’applicazione del diritto nazionale contrario al diritto dell’Unione. Tale principio gioca, dunque, il ruolo di rimedio momentaneo alla mancanza di effetto diretto orizzontale della direttiva 2000/78 nonché all’impossibilità per i giudici nazionali di interpretare il proprio diritto nazionale in modo conforme a detta direttiva. Rilevo peraltro che, nella sua giurisprudenza più recente, la Corte ha chiaramente evidenziato il ruolo primario che intende attribuire all’obbligo di interpretazione conforme ( 24 ).

48.

Prima di ricorrere al principio della non discriminazione in ragione dell’età come soluzione estrema per la composizione dei conflitti fra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale, i giudici nazionali devono, pertanto, debitamente accertare che il loro diritto interno non possa essere interpretato in senso conforme alla direttiva 2000/78.

49.

A tale proposito la Corte ha precisato che l’esigenza di interpretazione conforme del diritto interno incontra determinati limiti. Più esattamente, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto e alla finalità di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto nazionale «trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quello della certezza del diritto, e non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale» ( 25 ).

50.

Di conseguenza, è solo quando prende atto, sulla base delle memorie che le sono presentate, che il giudice nazionale si trova effettivamente di fronte a un tale limite che la Corte può procedere, in conformità al criterio che ha inaugurato con la sentenza Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21), all’interpretazione del principio generale di diritto che la norma derivata è diretta a mettere in pratica. Nel caso di difformità fra questo principio e il diritto nazionale, la Corte segnala, allora, al giudice nazionale che il principio in esame può essere fatto valere nell’ambito di una controversia fra privati al fine di disapplicare una norma nazionale contraria al diritto dell’Unione.

51.

Per quanto riguarda la presente causa, il giudice del rinvio ritiene di poter fornire un’interpretazione del proprio diritto nazionale conforme alla direttiva 2000/78 solo procedendo a un’interpretazione contra legem del proprio diritto nazionale.

52.

Invero, per costante giurisprudenza l’interpretazione del diritto interno compete esclusivamente ai giudici nazionali ( 26 ). Spetta dunque a loro decidere, in ultima istanza, se il proprio diritto nazionale possa essere interpretato in senso conforme al diritto dell’Unione.

53.

Per tali ragioni ritengo che, qualora emerga dalle argomentazioni presentate alla Corte nel quadro di un rinvio pregiudiziale che il solo motivo che osta a un’interpretazione del diritto nazionale in senso conforme al diritto dell’Unione è l’esistenza di una costante giurisprudenza nazionale contraria al diritto dell’Unione, spetti alla Corte indicare al giudice nazionale se possa tenere o meno conto di un tale motivo. In altre parole, la Corte agisce, a mio avviso, pienamente entro il perimetro della sua competenza quando precisa il senso che è ragionevole dare a un limite che la stessa ha messo all’obbligo di interpretazione conforme, cioè l’interpretazione contra legem. Lo spirito di collaborazione fra la Corte e i giudici nazionali che ispira il meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE nonché l’effetto utile di tale procedura e l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione comportano, pertanto, che la Corte indichi al giudice del rinvio la via da seguire per evitare un uso scorretto del limite all’obbligo di interpretazione conforme costituito dall’interpretazione contra legem del diritto nazionale.

54.

È per questa ragione che invito la Corte a esaminare attentamente i motivi in base ai quali il giudice del rinvio ritiene di non poter fornire un’interpretazione del proprio diritto nazionale conforme alla direttiva 2000/78.

55.

Ricordo, a tal proposito, che, come ha rilevato espressamente il giudice del rinvio, secondo una costante giurisprudenza nazionale, il cui esempio più recente è la sentenza del 17 gennaio 2014 ( 27 ), l’interpretazione dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati è nel senso che il lavoratore non ha diritto a un’indennità di licenziamento se ha diritto a una pensione di vecchiaia finanziata dal datore di lavoro nell’ambito di un regime pensionistico al quale abbia aderito prima del raggiungimento del cinquantesimo anno di età, a prescindere se abbia temporaneamente rinunciato al beneficio di una tale pensione per proseguire la propria carriera professionale. Il giudice del rinvio sostiene che, in tali circostanze, un’interpretazione dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati che renda tale norma conforme alla direttiva 2000/78, come interpretata dalla Corte nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600), sarebbe contra legem.

56.

Partendo da tale premessa, il giudice del rinvio si è poi concentrato, nella formulazione delle questioni, sulla portata del principio della non discriminazione in ragione dell’età nelle controversie tra privati.

57.

Occorre, dunque, verificare se la premessa formulata dal giudice del rinvio sia corretta.

58.

Nelle loro osservazioni, gli eredi del sig. Rasmussen affermano, anzitutto, che è concretamente possibile, per mezzo di un’interpretazione conforme, far coesistere l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati con il divieto di discriminazione in ragione dell’età previsto dalla direttiva 2000/78.

59.

Gli eredi del sig. Rasmussen precisano, a tale proposito, che la giurisprudenza nazionale ha interpretato l’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati nel senso che il termine «percepisce» («vil oppebære») significa «può percepire» («kan oppebære»). Tale interpretazione sarebbe sostenuta dall’idea che non può dipendere dalla sola volontà aleatoria del lavoratore licenziato l’attivazione, qualora lo desideri, della sua pensione di vecchiaia, e dunque la perdita del suo diritto all’indennità di licenziamento, ovvero il differimento della sua pensione di vecchiaia, con conseguente mantenimento del diritto all’indennità di licenziamento. I tribunali avrebbero, pertanto, tenuto conto della presunta intenzione del legislatore nazionale di stabilire un criterio oggettivo circa il momento dell’estinzione del credito per l’indennità di licenziamento che deriva dal diritto del lavoratore di percepire una pensione di vecchiaia alla cessazione del rapporto di lavoro.

60.

Gli eredi del sig. Rasmussen contestano la conclusione del giudice del rinvio secondo cui un’interpretazione dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati che renda detta norma conforme alla direttiva 2000/78, come interpretata dalla Corte nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600), sarebbe contra legem, perché, a loro parere, una tale interpretazione conforme sarebbe compresa nei termini di detta disposizione.

61.

Gli eredi del sig. Rasmussen rinviano, a tal proposito, alle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:248). Al paragrafo 84 delle sue conclusioni, l’avvocato generale Kokott, nel ricordare la regola in base alla quale l’interpretazione del diritto interno spetta esclusivamente al giudice nazionale, ha infatti ritenuto che «un’interpretazione conforme alla direttiva [2000/78 le sembrasse] senz’altro possibile nel caso di specie». A sostegno della propria posizione, la stessa ha rilevato che «l’attuale applicazione restrittiva della disposizione derogatoria di cui all’articolo 2a, paragrafo 3, della [legge relativa ai lavoratori subordinati] si fonda unicamente sull’interpretazione effettuata dalla giurisprudenza danese. La sua lettera (...) potrebbe essere interpretata anche nel senso che essa si riferisce solo a quei soggetti che percepiranno effettivamente la loro pensione di anzianità, senza che debbano essere intesi automaticamente anche i soggetti che semplicemente possono percepire una pensione di anzianità».

62.

Nello stesso senso, pur non analizzando la predetta soluzione, la Commissione europea rileva, nelle proprie osservazioni, che l’interpretazione elaborata dalla giurisprudenza nazionale non discende necessariamente dalla lettera dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, poiché il termine «percepisce» può, a parere della Commissione, anche essere interpretato nel senso che il lavoratore perde il diritto all’indennità di licenziamento soltanto nel caso in cui eserciti effettivamente il diritto di percepire una pensione di vecchiaia.

63.

Faccio presente, infine, che, nelle osservazioni depositate nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600), lo stesso governo danese non sembrava ritenere impossibile un’interpretazione in senso conforme alla direttiva 2000/78 dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati. Esso rilevava, infatti, che, se l’argomentazione addotta in quel caso, vale a dire la compatibilità fra il proprio diritto nazionale e la direttiva in esame, non fosse stata accolta dalla Corte, «il giudice nazionale [avrebbe] dov[uto] accertare se, nell’ambito di un’interpretazione conforme alla direttiva [2000/78] dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, si po[tesse] pervenire a un esito che riman[esse] nel quadro della [detta] direttiva senza che occorr[esse] dichiarare [la disposizione in esame] inapplicabile ai rapporti fra i dipendenti pubblici e i loro datori di lavoro» ( 28 ).

64.

Tale suggerimento mi sembra particolarmente appropriato nella misura in cui la tecnica dell’interpretazione conforme consente, nel contesto sia della causa che ha dato luogo alla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) sia della presente causa, di limitare la portata dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati a quel che risulta espressamente dalla lettera di detta disposizione. La soluzione di escludere totalmente l’applicazione della disposizione in esame non sarebbe, invece, appropriata, perché nella citata sentenza la Corte ha esclusivamente segnalato l’incompatibilità con la direttiva 2000/78 dell’interpretazione data dai giudici nazionali all’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati.

65.

In realtà, come abbiamo visto, dalla sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) non risulta che il testo dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati sia incompatibile con la direttiva 2000/78. Al contrario, nella citata sentenza, la Corte ammette che detta disposizione, letta in senso stretto, può essere giustificata da una finalità di tutela dell’occupazione. È l’estensione giurisprudenziale di detta regola ai lavoratori che possono percepire una pensione di vecchiaia, senza verificare che tale ipotesi si concretizzi, che è stata ritenuta dalla Corte contraria alla direttiva 2000/78. Il ragionamento della Corte sottintende una contestazione della coerenza della norma nazionale come interpretata dai giudici nazionali: perché privare i lavoratori che rinuncino temporaneamente alla propria pensione di vecchiaia per proseguire la propria carriera professionale di una misura che ha la precisa finalità di aiutarli a trovare un lavoro?

66.

In tale contesto, l’interpretazione, da parte del giudice del rinvio, del proprio diritto nazionale conformemente alla direttiva 2000/78 costituisce lo strumento più adatto per comporre il conflitto fra questo diritto e il diritto dell’Unione, in quanto consente di neutralizzare il senso attribuito dalla giurisprudenza nazionale all’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati, che si rivela contrario alla detta direttiva, e di conferire a tale disposizione una portata che è adeguata alla sua lettera e, al tempo stesso, conforme alla direttiva.

67.

Occorre, a tal proposito, ben circoscrivere l’ipotesi in cui un’interpretazione conforme è impossibile e, più in dettaglio, cosa significhi un’interpretazione contra legem.

68.

La locuzione latina «contra legem» significa letteralmente «contro la legge». Un’interpretazione contra legem deve, a mio avviso, intendersi come un’interpretazione contraria alla formulazione stessa della disposizione nazionale di cui trattasi. In altri termini, un giudice nazionale si trova davanti all’ostacolo dell’interpretazione contra legem quando la lettera, chiara e univoca, di una disposizione nazionale sembra inconciliabile con quella di una direttiva. La Corte ha, pertanto, affermato che l’interpretazione contra legem costituisce un limite all’obbligo di interpretazione conforme, perché non può pretendersi che i giudici nazionali utilizzino la loro funzione di interpreti fino al punto di sostituirsi al potere legislativo.

69.

Come abbiamo visto, il giudice del rinvio non si trova affatto in una tale situazione. Infatti, un’interpretazione da parte sua dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati in senso conforme alla direttiva 2000/78 non gli imporrebbe in alcun modo un lavoro di riscrittura di tale norma nazionale. Il giudice del rinvio, dunque, non sconfinerebbe nella competenza del legislatore nazionale.

70.

L’interpretazione conforme da parte del giudice del rinvio comporterà soltanto che questi dovrà modificare la propria giurisprudenza affinché l’interpretazione che la Corte ha dato della direttiva 2000/78 nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600) sia pienamente applicata nell’ordinamento giuridico nazionale in relazione ai rapporti non soltanto fra dipendenti e datori di lavoro di diritto pubblico, ma anche fra dipendenti e datori di lavoro di diritto privato.

71.

Imponendo al giudice del rinvio di modificare la sua giurisprudenza, la Corte non l’obbligherà affatto a oltrepassare le proprie competenze. La Corte ricorderà al predetto giudice il ruolo essenziale che esso riveste al fine di «assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia» ( 29 ). La Corte gli ricorderà parimenti che «l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato come pure il dovere che essi hanno di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali» ( 30 ).

72.

L’ostacolo giurisprudenziale non è, pertanto, paragonabile all’ostacolo che consiste nell’esistenza di una disposizione legislativa nazionale i cui termini siano inconciliabili con una norma del diritto dell’Unione. Infatti, in quest’ultimo caso, l’ostacolo non potrebbe essere rimosso da un giudice nazionale, poiché, riscrivendo la norma di cui trattasi, questi si sostituirebbe al potere legislativo.

73.

Aggiungo che ammettere che l’esistenza di una giurisprudenza nazionale costante contraria al diritto dell’Unione possa costituire un ostacolo per il giudice nazionale nell’interpretare una disposizione nazionale in senso conforme al diritto dell’Unione limiterebbe molto le potenzialità di tale tecnica di risoluzione dei conflitti fra il diritto dell’Unione e i diritti nazionali.

74.

Ritengo, inoltre, che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, né il principio della certezza del diritto né quello della tutela del legittimo affidamento ostino a un’interpretazione da parte del giudice del rinvio che sia conforme alla direttiva 2000/78 dell’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati.

75.

Più in concreto, il fatto che una tale interpretazione da parte del giudice del rinvio del suo diritto nazionale avrà come conseguenza di far gravare sul datore di lavoro l’obbligo di versare l’indennità di licenziamento all’origine della controversia non modifica la mia analisi.

76.

È vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, «l’obbligo del giudice nazionale di far riferimento al contenuto della direttiva nell’interpretare le norme rilevanti del suo diritto nazionale incontra un limite qualora tale interpretazione comporti che ad un singolo venga opposto un obbligo previsto da una direttiva non trasposta ovvero, a maggior ragione, qualora abbia l’effetto di determinare o aggravare, in forza della direttiva e in mancanza di una legge emanata per la sua attuazione, la responsabilità penale di coloro che ne trasgrediscono le disposizioni» ( 31 ). Tuttavia, tale giurisprudenza riguarda innanzitutto i limiti dell’obbligo di interpretazione conforme in materia penale ( 32 ) e non mi sembra debba essere intesa nel senso di vietare un’interpretazione del diritto nazionale conforme a una direttiva che abbia come esito di porre a carico di un datore di lavoro un’obbligazione di pagare un’indennità di licenziamento come quella di cui al procedimento principale.

77.

Intesa in senso stretto, la formula secondo la quale l’obbligo del giudice nazionale di far riferimento al contenuto della direttiva nell’interpretare le norme rilevanti del suo diritto nazionale incontra un limite qualora tale interpretazione comporti che ad un singolo venga opposto un obbligo previsto da una direttiva non trasposta imporrebbe drastiche limitazioni al principio dell’interpretazione della legge nazionale in conformità con le direttive dell’Unione ( 33 ). Pertanto, non ritengo che il predetto limite all’obbligo di interpretazione conforme possa trovare applicazione al di fuori del contesto di un procedimento penale, contesto che d’altronde era all’origine di tale statuizione della Corte ( 34 ).

78.

Peraltro, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, un obbligo in capo al datore di lavoro di pagare un’indennità di licenziamento deriverebbe non direttamente dalla direttiva 2000/78, ma dallo stesso diritto nazionale, il quale, grazie all’interpretazione conforme, ritroverebbe una portata adeguata alla propria formulazione letterale. In altri termini, non si tratta di una situazione in cui l’interpretazione conforme comporterebbe di far gravare su un singolo un obbligo previsto da una direttiva in assenza di un sostegno costituito dal diritto nazionale vigente. È la disposizione nazionale, depurata dal suo significato contrario al diritto dell’Unione, che farà gravare sul datore di lavoro l’obbligo di pagare un’indennità di licenziamento.

79.

Infine, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, «l’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione data dalla Corte nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore. In altri termini, una sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bensì puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata» ( 35 ). Secondo la Corte, «[n]e deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituitisi prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione, sempreché, d’altro canto, sussistano i presupposti per sottoporre ai giudici competenti una controversia relativa all’applicazione di detta norma» ( 36 ).

80.

Peraltro, la Corte si è costantemente pronunciata nel senso che «[è] solo in via eccezionale, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico [dell’Unione], [che la stessa] può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede» ( 37 ). Inoltre, «siffatta limitazione può essere ammessa, secondo la costante giurisprudenza della Corte, solo nella sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione richiesta» ( 38 ). Infatti, secondo la Corte, «[è] necessario che ci sia un momento unico di determinazione degli effetti nel tempo dell’interpretazione richiesta alla Corte e da quest’ultima fornita in merito ad una disposizione di diritto [dell’Unione]. A tale proposito, il principio secondo cui una limitazione può essere ammessa solo nella sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione richiesta garantisce la parità di trattamento degli Stati membri e degli altri soggetti dell’ordinamento nei confronti di tale diritto e rispetta, allo stesso modo, gli obblighi derivanti dal principio della certezza del diritto» ( 39 ).

81.

Orbene, si deve constatare che, nella sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600), la Corte non ha limitato gli effetti nel tempo dell’interpretazione data della direttiva 2000/78 in relazione all’articolo 2a, paragrafo 3, della legge relativa ai lavoratori subordinati. Nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale, la Corte non è stata chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla compatibilità di tale disposizione con detta direttiva, ma soltanto a precisare come si debba risolvere un’incompatibilità fra il diritto dell’Unione e il diritto nazionale nel quadro di una controversia fra privati. La Corte, dunque, non potrebbe, nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale, limitare gli effetti nel tempo della sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600), neanche se le fosse stato richiesto, quod non.

82.

Se il giudice del rinvio fosse autorizzato, nelle circostanze della presente causa, a limitare il proprio obbligo di interpretazione conforme evocando il principio della certezza del diritto, ciò comporterebbe la limitazione nel tempo degli effetti della sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600), sebbene la Corte non abbia ritenuto che detto principio giustifichi una tale limitazione. Orbene, come può dedursi dalla giurisprudenza citata relativa agli effetti nel tempo delle sentenze pronunciate in seguito a rinvii pregiudiziali, spetta soltanto alla Corte decidere sulle limitazioni nel tempo da apportare all’interpretazione che essa fornisce ( 40 ).

83.

Discende da tutto quanto sin qui esposto che spetta al giudice del rinvio, investito di un contenzioso fra privati rientrante nel campo d’applicazione della direttiva 2000/78, interpretare le disposizioni del proprio diritto nazionale, nel momento in cui le attua, in modo che possano ricevere un’applicazione conforme alla lettera e alla finalità di tale direttiva. L’esistenza di una consolidata giurisprudenza nazionale contraria alla direttiva 2000/78 non osta all’adempimento da parte del giudice del rinvio di tale obbligo di interpretazione conforme. Né vi ostano, in circostanze come quelle del procedimento principale, i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.

IV – Conclusione

84.

Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dalla Højesteret (Corte suprema) come segue:

Spetta al giudice del rinvio, investito di un contenzioso fra privati rientrante nel campo d’applicazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, interpretare le disposizioni del proprio diritto nazionale, nel momento in cui le attua, in modo che possano ricevere un’applicazione conforme alla lettera e alla finalità di tale direttiva. L’esistenza di una consolidata giurisprudenza nazionale contraria alla direttiva 2000/78 non osta all’adempimento da parte del giudice del rinvio di tale obbligo di interpretazione conforme. Né vi ostano, in circostanze come quelle del procedimento principale, i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU L 303, pag. 16.

( 3 ) In prosieguo: l’«Ajos».

( 4 ) Per un’interpretazione da parte della Corte della direttiva 2000/78 in relazione all’articolo 2a, paragrafo 2, della legge relativa ai lavoratori subordinati, v. sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑515/13, EU:C:2015:115).

( 5 ) In prosieguo: la «legge contro la discriminazione».

( 6 ) Causa 96/2013 e a. (UfR 2014.1119).

( 7 ) Sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600, punto 9).

( 8 ) Ibidem (punto 24).

( 9 ) Ibidem (punto 31).

( 10 ) Ibidem (punto 34).

( 11 ) Idem.

( 12 ) Sentenza Ingeniørforeningen i Danmark (C‑499/08, EU:C:2010:600, punto 35).

( 13 ) Ibidem (punto 40).

( 14 ) Ibidem (punto 47).

( 15 ) Ibidem (punto 48).

( 16 ) V., in particolare, sentenza Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). V. anche, in tal senso, sentenza Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

( 17 ) V., in particolare, sentenza Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

( 18 ) Ibidem (punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

( 19 ) V., in particolare, sentenza Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

( 20 ) V., in particolare, sentenza Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

( 21 ) Sentenza Centrosteel (C‑456/98, EU:C:2000:402, punto 17).

( 22 ) V., in particolare, sentenza Mono Car Styling (C‑12/08, EU:C:2009:466, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

( 23 ) V., in particolare, sentenza Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

( 24 ) Ibidem (punto 23, ove la Corte ha, innanzitutto, rilevato che «la questione se una disposizione nazionale che sia contraria al diritto dell’Unione debba essere disapplicata si pone solo se non risulta possibile alcuna interpretazione conforme di tale disposizione»). Sul punto, v. Simon, D., «La panacée de l’interprétation conforme: injection homéopathique ou thérapie palliative?», De Rome à Lisbonne: les juridictions de l’Union européenne à la croisée des chemins – Mélanges en l’honneur de Paolo Mengozzi, Bruylant, Bruxelles, pag. 279. Secondo tale autore, «la Cour attribue de plus en plus clairement à la méthode de l’interprétation conforme une sorte de priorité technique par rapport aux autres implications de la primauté» [«la Corte attribuisce sempre più chiaramente al criterio dell’interpretazione conforme una sorta di priorità tecnica rispetto alle altre implicazioni del primato»] (pag. 298).

( 25 ) V., in particolare, sentenza Mono Car Styling (C‑12/08, EU:C:2009:466, punto 61 e giurisprudenza ivi citata). Nel medesimo senso, v. anche sentenza Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

( 26 ) V., in particolare, sentenze Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 103) nonché Wilson (C‑506/04, EU:C:2006:587, punto 34).

( 27 ) V. nota 6 delle presenti conclusioni.

( 28 ) Punto 42.

( 29 ) V., in particolare, sentenza Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

( 30 ) Ibidem (punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

( 31 ) V., in particolare, sentenza Arcaro (C‑168/95, EU:C:1996:363, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

( 32 ) V., in particolare, sentenza Caronna (C‑7/11, EU:C:2012:396, punti 5152 nonché giurisprudenza ivi citata).

( 33 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Centrosteel (C‑456/98, EU:C:2000:137, paragrafo 34).

( 34 ) Idem. V. in particolare, a tale proposito, Lenaerts, K., e Corthaut, T., «Of birds and hedges: the role of primacy in invoking norms of EU law», European Law Review, 2006, vol. 31, n. 3, pagg. 287 e segg., in particolare pagg. 295 e 296, nonché il commento alla sentenza Pfeiffer e a. (da C‑403/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584) di Prechal, S., Common Market Law Review, 2005, vol. 42, pagg. 1445 e segg., in particolare punto 6.4.

( 35 ) V., in particolare, sentenza Pohl (C‑429/12, EU:C:2014:12, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

( 36 ) V., in particolare, sentenza Meilicke e a. (C‑292/04, EU:C:2007:132, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

( 37 ) Ibidem (punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

( 38 ) Ibidem (punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

( 39 ) Ibidem (punto 37).

( 40 ) V. sentenza Barra e a. (309/85, EU:C:1988:42, punto 13).