CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 25 giugno 2015 ( 1 )

Causa C‑373/14 P

Toshiba Corporation

contro

Commissione europea

«Impugnazione — Intese — Mercato dei trasformatori di potenza — Accordo verbale di ripartizione dei mercati (“Gentlemen’s agreement”) — Nozione di restrizione della concorrenza per oggetto — Criterio della dissociazione pubblica — Punto 18 degli orientamenti del 2006»

1. 

Con la presente impugnazione, la Toshiba Corporation chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea Toshiba/Commissione (T‑519/09, EU:T:2014:263; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale il medesimo ha respinto il suo ricorso diretto a ottenere l’annullamento della decisione C (2009) 7601 definitivo della Commissione, del 7 ottobre 2009, relativa a una procedura d’applicazione dell’articolo 81 CE (COMP/39.129 – Trasformatori di potenza; in prosieguo: la «decisione controversa»).

2. 

Con tale ricorso, la Corte è nuovamente chiamata a esaminare la nozione di restrizione della concorrenza «per oggetto», ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE (divenuto articolo 101, paragrafo 1, TFUE), e, più precisamente, a indicare gli elementi di analisi necessari a stabilire le condizioni alle quali una prassi può costituire siffatta restrizione.

3. 

La nozione di «dissociazione pubblica» e il punto 18 degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 ( 2 ) (in prosieguo: gli «orientamenti del 2006») costituiscono anch’essi aspetti centrali del presente procedimento.

I – Contesto normativo

A – Il diritto dell’Unione

1. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

4.

Ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE:

«Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:

a)

fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;

b)

limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;

c)

ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d)

applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;

e)

subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi».

2. Gli orientamenti del 2006

5.

Secondo il punto 13 degli orientamenti del 2006:

6.

Tuttavia, il punto 18 degli orientamenti del 2006 deroga a tale norma disponendo quanto segue:

7.

Il punto 37 degli orientamenti del 2006 precisa, infine, che «[n]onostante i presenti orientamenti espongano la metodologia generale per la fissazione delle ammende, le specificità di un determinato caso o la necessità di raggiungere un livello dissuasivo possono giustificare l’allontanamento da tale metodologia o dai limiti fissati al punto 21».

II – Fatti

8.

Il settore interessato dalla causa in esame è quello dei trasformatori di potenza, degli autotrasformatori e dei reattori tipo «shunt» con una gamma di tensione pari o superiore ai 380 kV. Un trasformatore di potenza è un componente elettrico essenziale che ha la funzione di ridurre o di aumentare il voltaggio all’interno di un circuito elettrico.

9.

La Toshiba Corporation (in prosieguo: la «Toshiba») è una società giapponese che opera essenzialmente in tre settori di attività: i prodotti digitali, i dispositivi e i componenti elettronici nonché i sistemi infrastrutturali.

10.

Per quanto riguarda le attività di tale società nel settore in questione, si devono distinguere due fasi nel corso del periodo preso in considerazione dalla Commissione nella sua inchiesta (compreso tra il 9 giugno 1999 e il 15 maggio 2003; in prosieguo: il «periodo pertinente»). Tra il 9 giugno 1999 e il 30 settembre 2002, la Toshiba operava attraverso la sua controllata, la Power System Co. A decorrere dal 1o ottobre 2002, l’attività della ricorrente è stata esercitata mediante la TM T&D, un’impresa comune tra la Toshiba e la Mitsubishi Electric nella quale queste due imprese avevano riunito la loro produzione di trasformatori di potenza.

11.

Il 30 settembre 2008 la Commissione ha deciso di avviare un procedimento riguardante il mercato dei trasformatori di potenza. La comunicazione degli addebiti è stata adottata il 20 novembre 2008. La Toshiba ha risposto a tale comunicazione il 19 gennaio 2009. L’audizione si è svolta il 17 febbraio 2009.

12.

Con la decisione controversa, la Commissione ha constatato che la Toshiba aveva partecipato, per tutto il periodo pertinente, a un’intesa illecita che copriva tutto il territorio del SEE e il Giappone. L’intesa consisteva in un accordo concluso verbalmente tra i produttori europei e i produttori giapponesi di trasformatori di potenza, avente ad oggetto di rispettare i mercati interni di ciascuno dei due gruppi di produttori di trasformatori, astenendosi dall’effettuarvi vendite (in prosieguo: il «gentlemen’s agreement»).

13.

La Commissione ha qualificato il suddetto gentlemen’s agreement come restrizione della concorrenza per oggetto.

14.

Ai paragrafi da 165 a 169 della decisione controversa, essa ha esaminato l’argomento di alcune imprese cui si riferisce il procedimento in questione, secondo il quale tale intesa non aveva alcun impatto sulla concorrenza, in quanto i produttori giapponesi ed europei non erano concorrenti a causa delle barriere insormontabili all’entrata nel mercato SEE. Al riguardo, essa ha fatto valere, in sostanza, che il produttore coreano Hyundai era recentemente penetrato nel mercato europeo dei trasformatori di potenza e che le imprese giapponesi avevano registrato vendite consistenti negli Stati Uniti. Orbene, tali imprese non erano riuscite a dimostrare che le barriere all’entrata nel mercato americano erano assai diverse da quelle all’entrata nel mercato europeo.

15.

Per quanto riguarda l’organizzazione del gentlemen’s agreement, la Commissione ha rilevato che ogni gruppo di produttori doveva nominare un’impresa segretaria. Essa ha altresì constatato che l’accordo di ripartizione del mercato era integrato da un secondo accordo finalizzato a notificare al segretario di un gruppo le gare d’appalto provenienti dal territorio dell’altro gruppo e ciò al fine di riassegnarle.

16.

Peraltro, la Commissione ha ritenuto che, durante il periodo pertinente, le imprese si fossero riunite una o due volte all’anno, in quanto le riunioni si erano svolte a Malaga, dal 9 all’11 giugno 1999, a Singapore il 29 maggio 2000, a Barcellona, dal 29 ottobre al 1o novembre 2000, a Lisbona, il 29 e il 30 maggio 2001, a Tokyo, il 18 e il 19 febbraio 2002, a Vienna, il 26 e il 27 settembre 2002 (in prosieguo: la «riunione di Vienna») e a Zurigo, il 15 e il 16 maggio 2003 (in prosieguo: la «riunione di Zurigo»). Secondo la Commissione, tali riunioni servivano in particolare a confermare il gentlemen’s agreement.

17.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la Commissione ha constatato che la Toshiba aveva violato l’articolo 81 CE e l’articolo 53 dell’accordo SEE. Essa le ha pertanto inflitto un’ammenda di EUR 13,2 milioni. La TM T&D et la Mitsubishi Electric non sono state prese in considerazione dalla decisione controversa.

III – Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

18.

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 dicembre 2009, la Toshiba ha proposto un ricorso di annullamento avverso la decisione controversa deducendo quattro motivi. La presente impugnazione riguarda soltanto le considerazioni del Tribunale in risposta a tre dei motivi dinanzi ad esso dedotti.

19.

Per quanto riguarda l’esame del secondo motivo, che verteva, in particolare, sull’esistenza di una restrizione della concorrenza, il Tribunale ha dichiarato, in primo luogo, che la Commissione aveva concluso correttamente per la qualificazione del gentlemen’s agreement quale pratica avente ad oggetto la restrizione della concorrenza, e che, di conseguenza, non era necessario dimostrare i suoi effetti anticoncorrenziali.

20.

In secondo luogo, il Tribunale ha analizzato l’argomento della Toshiba secondo il quale, nonostante la sua natura, il gentlemen’s agreement non poteva restringere la concorrenza per il motivo che i produttori giapponesi non erano concorrenti delle imprese europee nel mercato del SEE. Al riguardo, il Tribunale ha rilevato che la questione se un’intesa avesse ad oggetto di impedire, di restringere o di falsare la concorrenza, doveva essere esaminata non solo alla luce del contenuto dell’accordo ma anche del contesto economico nel quale il medesimo si inseriva e che, considerato il fatto che l’articolo 101 TFUE tutela non solo la concorrenza effettiva ma anche la concorrenza potenziale, un accordo quale il gentlemen’s agreement poteva restringere la concorrenza, reale o potenziale, a meno che non esistessero barriere insormontabili all’entrata nel mercato europeo, che escludevano qualsiasi concorrenza da parte dei produttori giapponesi.

21.

Al fine di stabilire se le barriere all’entrata fossero, nella fattispecie, insormontabili, il Tribunale ha rilevato, anzitutto, che l’esistenza stessa del gentlemen’s agreement poteva essere considerata un forte indizio dell’esistenza di un rapporto concorrenziale tra i produttori giapponesi ed europei.

22.

Il Tribunale ha poi constatato, facendo riferimento ai paragrafi da 91 a 98 della decisione controversa, che il produttore giapponese Hitachi aveva accettato progetti provenienti da clienti europei. Il Tribunale ha rilevato, peraltro, che, nella lettera del 30 marzo 2009, inviata dalla Hitachi alla Commissione durante il procedimento amministrativo (in prosieguo: la «lettera della Hitachi»), tale società aveva ritrattato le sue affermazioni, dichiarando di accettare le conclusioni della Commissione relative all’esistenza e alla portata del gentlemen’s agreement, quali esposte nella comunicazione degli addebiti.

23.

Per quanto riguarda il terzo motivo, che riguardava, tra l’altro, la presunta dissociazione della Toshiba dall’intesa, il Tribunale ha esordito ricordando che, quando un’impresa partecipa, anche senza prendervi parte attiva, a riunioni aventi un oggetto anticoncorrenziale e non si dissocia pubblicamente dal loro contenuto, inducendo così le altre imprese a ritenere che essa sia parte dell’intesa risultante da dette riunioni, si può ritenere che essa abbia partecipato all’intesa in questione.

24.

Inoltre, pur ammettendo che i documenti disponibili potessero far sorgere dubbi sulla partecipazione della Toshiba al gentlemen’s agreement successivamente alla riunione di Vienna, il Tribunale ha ritenuto che gli stessi documenti non potessero dimostrare che la Toshiba si era già dissociata dal gentlemen’s agreement al momento della suddetta riunione.

25.

Infatti, poiché da tali documenti risultava che le imprese partecipanti alla riunione di Vienna avevano confermato l’intesa illecita e le regole di notificazione dei progetti ivi previsti, ne derivava, secondo il Tribunale, che le parti aderenti al gentlemen’s agreement, compresa la Toshiba, avevano inteso prorogare tale accordo, in ogni caso, sino alla riunione successiva.

26.

Per quanto riguarda gli argomenti relativi alla partecipazione della Toshiba all’intesa sino alla riunione di Zurigo nonché alla presunta assenza di oggetto anticoncorrenziale di tale riunione, il Tribunale ha ritenuto che essi fossero inoperanti in quanto non potevano rimettere in discussione la conclusione della Commissione secondo la quale la Toshiba aveva partecipato al gentlemen’s agreement sino al 15 maggio 2003.

27.

Esso ha peraltro constatato che la Toshiba non poteva sostenere di aver posto fine alla sua partecipazione all’intesa al momento della costituzione della TM T&D. Infatti, la ricorrente non si era dissociata pubblicamente dall’intesa e non aveva informato le altre parti che tale impresa comune non vi avrebbe partecipato.

28.

Per quanto riguarda il quarto motivo vertente sul calcolo dell’ammenda, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse correttamente applicato il metodo previsto al punto 18 degli orientamenti del 2006 e che, pertanto, non si potesse ammettere che solo le vendite in Giappone e nel SEE dovessero essere prese in considerazione ai fini del calcolo dell’ammenda. Al riguardo il Tribunale ha constatato, in sostanza, che il riferimento, operato dalla Commissione, alle quote di mercato mondiali consentiva di prendere in considerazione il fatto che il potenziale concorrenziale mondiale delle imprese in questione non fosse stato utilizzato per conquistare il mercato del SEE.

29.

Inoltre, secondo il Tribunale, la Commissione si è basata correttamente sulla presunzione secondo cui, in assenza del gentlemen’s agreement, le quote di mercato dei produttori giapponesi nel SEE sarebbero state equivalenti a quelle che essi detenevano nel mercato mondiale.

30.

Per quanto attiene, più specificamente, alla proporzionalità dell’ammenda, il Tribunale ha ritenuto che non sarebbe opportuno prendere in considerazione le vendite effettive dei produttori giapponesi al SEE, poiché ciò equivarrebbe, nella fattispecie, a ricompensare la Toshiba per aver rispettato il dettato del gentlemen’s agreement. Inoltre, il Tribunale ha constatato che un metodo che tenga conto delle quote del mercato mondiale, nel caso di un accordo di ripartizione del mercato tra imprese che si fanno concorrenza a livello mondiale, garantisce una rappresentazione più adeguata della capacità di dette imprese di nuocere gravemente agli altri operatori nel mercato europeo e fornisce un’indicazione del loro contributo all’efficacia dell’intesa nel suo insieme o, viceversa, dell’instabilità che avrebbe regnato nell’ambito dell’intesa se esse non vi avessero partecipato. Infine, il Tribunale ha ritenuto che siffatto approccio consentisse di prendere in considerazione eventuali barriere all’entrata che potevano sussistere nei diversi segmenti del mercato mondiale.

IV – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

31.

La Toshiba chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata, in quanto ha respinto la domanda della Toshiba diretta a ottenere l’annullamento degli articoli 1 e 2 della decisione controversa, e annullare la suddetta decisione;

in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché esso statuisca sui punti di diritto in conformità alla sentenza della Corte;

condannare la Commissione alle spese del giudizio di primo grado e del giudizio di impugnazione.

32.

A sostegno del suo ricorso d’impugnazione, la Toshiba deduce quattro motivi.

33.

Con il primo motivo, la Toshiba sostiene che il Tribunale ha applicato un criterio giuridico errato nel ritenere che i produttori giapponesi di trasformatori di potenza fossero potenziali concorrenti nel mercato del SEE per il motivo che le barriere all’entrata nel mercato del SEE non erano insormontabili e per l’esistenza stessa del gentlemen’s agreement. Secondo la Toshiba, il Tribunale avrebbe dovuto verificare se i produttori giapponesi avessero possibilità reali e concrete di penetrare nel mercato del SEE e se tale entrata avrebbe potuto essere una strategia economicamente redditizia. In mancanza di concorrenza potenziale tra i produttori giapponesi ed europei, il gentlemen’s agreement non poteva violare l’articolo 81 CE e la Commissione non era competente ad avviare procedimenti. La sentenza e la decisione impugnate dovrebbero essere, pertanto, annullate nei confronti della Toshiba.

34.

Con il secondo motivo, la Toshiba sostiene che il Tribunale ha falsato il contenuto di una lettera nella quale un’altra parte presente nel procedimento (ossia la Hitachi) avrebbe affermato di non contestare le conclusioni della Commissione. La Commissione ha ritenuto che tale lettera prevalesse sulle dichiarazioni precedenti di tale impresa secondo cui essa non aveva effettuato vendite nel mercato SEE. Secondo la Toshiba, si tratterebbe di uno snaturamento degli elementi di prova sui quali si fonda il Tribunale per constatare che le barriere all’entrata nel mercato SEE non erano insormontabili.

35.

Con il terzo motivo, la Toshiba sostiene che il Tribunale, ritenendo che la censura della Toshiba riguardante la sua mancata partecipazione alla riunione di Zurigo fosse «inoperante», ha fornito una motivazione contradditoria e ha applicato un criterio errato riguardo alla dissociazione pubblica, violando così il principio della responsabilità personale. La sentenza e la decisione impugnate dovrebbero essere quindi annullate in quanto concludono che la Toshiba ha continuato a partecipare al gentlemen’s agreement sino al maggio 2003.

36.

Con il quarto motivo, la Toshiba sostiene, infine, che il Tribunale ha erroneamente interpretato il punto 18 degli orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende fondandosi sulle sue vendite a livello mondiale quale rappresentazione del suo peso nell’infrazione.

37.

La Commissione, dal canto suo, chiede alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare la Toshiba alle spese del giudizio.

V – Valutazione

A – Sul primo motivo, vertente su errori di diritto nell’applicazione della nozione di restrizione della concorrenza per oggetto

38.

Con il suo primo motivo, la Toshiba sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel qualificare il gentlemen’s agreement come restrizione della concorrenza per oggetto. Secondo la Toshiba, per giungere a tale constatazione, il Tribunale avrebbe dovuto verificare se l’eventuale entrata nel mercato del SEE rappresentasse, per i produttori giapponesi, una strategia economicamente redditizia. Orbene, il Tribunale si sarebbe limitato a constatare che le parti potevano essere considerate concorrenti potenziali a causa, da un lato, dell’assenza di barriere insormontabili all’entrata del mercato del SEE e, dall’altro, per l’esistenza stessa del gentlemen’s agreement.

39.

Tale motivo pone quindi, in sostanza e ancora una volta, la questione della definizione della restrizione della concorrenza per oggetto e delle sue conseguenze procedurali in termini di prova.

1. Osservazioni generali e preliminari sulla definizione della restrizione della concorrenza per oggetto

40.

Per ricadere nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, un accordo, una decisione di associazione di imprese o una pratica concordata devono avere «per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno».

41.

La distinzione tra le restrizioni della concorrenza per oggetto o per effetto è quindi inerente al Trattato. Pur non costituendo una novità, è giocoforza constatare che tale differenza è stata al centro di varie cause che hanno richiamato l’attenzione critica della dottrina in questi ultimi anni ( 3 ).

42.

Un chiarimento della giurisprudenza al riguardo risulta senza dubbio auspicabile.

a) L’insegnamento giurisprudenziale relativo alla distinzione tra restrizione della concorrenza per oggetto e restrizione della concorrenza per effetto

43.

L’alternatività della condizione attinente all’esistenza di un accordo o di una pratica concordata avente «per oggetto o per effetto» di restringere la concorrenza, prevista all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è stata affermata dalla Corte sin dalla metà degli anni sessanta con la sentenza LTM (56/65, EU:C:1966:38) e da allora continua ad essere confermata ( 4 ).

44.

Anzitutto, la Corte ha precisato che il carattere non cumulativo, bensì alternativo della condizione suddetta, espresso dalla congiunzione disgiuntiva «o», rendeva necessario considerare anzitutto l’oggetto stesso dell’accordo, alla luce del contesto economico nel quale quest’ultimo doveva essere applicato ( 5 ).

45.

Infatti, occorrerà esaminare gli effetti dell’accordo solo nell’ipotesi, subordinata, in cui l’analisi delle clausole dell’accordo in questione non riveli un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza. In tal caso, affinché detto accordo possa essere vietato, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile ( 6 ).

46.

È quindi superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti dell’accordo laddove risulti che esso ha ad oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno ( 7 ). In altri termini, non occorre esaminare gli effetti di un accordo una volta che ne sia stato accertato l’oggetto anticoncorrenziale ( 8 ).

47.

Per valutare tale carattere anticoncorrenziale, occorre considerare, in particolare, il contenuto delle sue disposizioni, gli obiettivi che persegue nonché il contesto economico e giuridico nel quale si inserisce ( 9 ). Inoltre, sebbene l’intenzione delle parti non costituisca un elemento necessario per determinare la natura restrittiva di una pratica concordata o di un accordo, nulla vieta alla Commissione o ai giudici dell’Unione di tenerne conto ( 10 ).

48.

È sufficiente, peraltro, che l’accordo possa produrre effetti dannosi per la concorrenza, vale a dire, che sia idoneo in concreto, tenuto conto del contesto giuridico ed economico nel quale si inserisce, ad impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato comune ( 11 ). Come sottolineato dall’avvocato generale Wahl nelle sue conclusioni nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958), se la valutazione «più standardizzata a cui conduce il ricorso al concetto di restrizione tramite l’oggetto presuppone un esame circostanziato e individuale dell’accordo contestato, [quest’ultimo] deve essere chiaramente distinto dall’esame degli effetti reali o potenziali dei comportamenti delle imprese censurati» ( 12 ).

49.

Infatti, tale distinzione tra le «restrizioni per oggetto» e le «restrizioni per effetto» si fonda sulla constatazione che talune forme di collusione tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza ( 13 ).

50.

È quindi «pacifico che la probabilità che certi comportamenti collusivi, quali quelli che portano alla fissazione orizzontale dei prezzi da parte di cartelli, abbiano effetti negativi, in particolare, sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi, è talmente alta che può essere ritenuto inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo [101, paragrafo 1, TFUE], dimostrare che tali comportamenti hanno effetti concreti sul mercato» ( 14 ). Per contro, «nel caso in cui l’analisi di un tipo di coordinamento tra imprese non presenti un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, occorrerà (…) esaminarne gli effetti e, per vietarlo, dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo significativo» ( 15 ).

51.

Non si fa un uso improprio dell’espressione qualificando tale giurisprudenza come costante.

52.

Tuttavia, in una delle sentenze più recenti tra quelle citate in precedenza, la sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160), la Corte ha aggiunto vari elementi da considerare nella valutazione del contesto economico e giuridico, che perturbano gli effetti probatori della distinzione tra «restrizione per oggetto» e «restrizione per effetto».

53.

Infatti, secondo la Corte, «[n]el valutare detto contesto, occorre altresì prendere in considerazione la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione» ( 16 ). Ciò significa in concreto che il giudice incaricato di valutare il rischio di eliminazione o di grave indebolimento della concorrenza nel mercato in questione «dovrà in particolare prendere in considerazione la struttura del mercato in questione, l’esistenza di canali di distribuzione alternativi e la loro rispettiva importanza, nonché il potere di mercato delle società interessate» ( 17 ).

54.

Condivido al riguardo la constatazione effettuata dall’avvocato generale Wahl nelle sue conclusioni nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958) secondo la quale tale orientamento giurisprudenziale sembra «aver assottigliato la necessaria distinzione tra l’esame dell’oggetto anticoncorrenziale e l’analisi degli effetti concorrenziali degli accordi tra le imprese» ( 18 ). Al pari dell’avvocato generale, ritengo che la «linea di demarcazione tra le nozioni rispettive di restrizioni tramite l’oggetto o per l’effetto [non possa essere vaga e che] il ricorso a questa nozione debba essere circoscritto più chiaramente» ( 19 ). Ritengo che la presente impugnazione offra alla Corte una nuova opportunità di chiarire la sua giurisprudenza; ritornerò su tale punto dopo aver presentato i vantaggi e la necessità di siffatta delimitazione.

b) La rilevanza della distinzione tra restrizione della concorrenza per oggetto e restrizione della concorrenza per effetto

55.

Non sussistono elementi che rimettano in discussione l’alternatività della condizione attinente all’esistenza di un accordo o di una pratica concordata avente «per oggetto o per effetto» di restringere la concorrenza, secondo il dettato dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

56.

La rilevanza di tale distinzione è di natura probatoria: di fronte a una restrizione per oggetto, non è necessaria la prova dei suoi effetti anticoncorrrenziali, reali o potenziali, per attivare il dispositivo dell’incompatibilità ( 20 ). Infatti, la constatazione di un oggetto anticoncorrenziale è sufficiente ai fini della qualificazione in termini di restrizione della concorrenza, e pertanto, ai fini della condanna ( 21 ). Qualora l’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo (o della pratica concordata), di cui si prevede l’attuazione, sia dimostrato, l’inchiesta può concludersi, l’infrazione è provata senza che gli effetti, reali o potenziali, di detto accordo (o della pratica concordata) sulla concorrenza debbano essere dimostrati ( 22 ).

57.

Secondo alcuni, alle restrizioni per oggetto sarebbe connessa una «presunzione» d’illegittimità ( 23 ). L’uso di tale termine è tuttavia fonte di confusione. Come ha spiegato perfettamente l’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni, presentate nella causa T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:110), il divieto delle restrizioni della concorrenza per oggetto non può essere interpretato «nel senso che lo scopo anticoncorrenziale genera solo una sorta di presunzione di illegittimità, la quale può tuttavia essere confutata qualora non possano essere dimostrati, nel caso concreto, effetti negativi sul funzionamento del mercato. La conseguenza di una siffatta interpretazione sarebbe infatti quella di mescolare indebitamente due alternative che convivono l’una indipendentemente dall’altra all’interno dell’articolo [101], paragrafo 1, [TFUE]: il divieto di collusione con uno scopo anticoncorrenziale, da un lato, e il divieto di collusione con un effetto anticoncorrenziale, dall’altro» ( 24 ).

58.

I vantaggi di tale dicotomia sono noti. Considerato sotto il profilo procedurale spiegato in precedenza, il ricorso alla nozione di oggetto anticoncorrenziale è «indubbiamente fonte di prevedibilità, e quindi di certezza del diritto, per le imprese, in quanto permette loro di essere consapevoli delle conseguenze giuridiche (particolarmente per quanto riguarda i divieti e le sanzioni) che provocheranno determinate loro azioni (…). In tal modo, l’individuazione delle intese che hanno un oggetto restrittivo della concorrenza ha, di conseguenza, anche un impatto dissuasivo e contribuisce alla prevenzione dei comportamenti anticoncorrenziali. Infine, essa è fonte di economia procedurale, in quanto permette alle autorità incaricate di vigilare sulla concorrenza, in presenza di talune forme di collusione, di dichiararne l’impatto anticoncorrenziale, senza che sia necessario effettuare un esame, spesso complesso e problematico, dei loro effetti potenziali o reali sul mercato rilevante» ( 25 ).

59.

Tuttavia, come precisato dall’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 36), tali vantaggi si verificheranno e saranno giustificati solo se il ricorso alla nozione di restrizione per oggetto è chiaramente circoscritto. Infatti, e condivido al riguardo il punto di vista espresso dall’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni, presentate nella causa T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:110) da un lato, un’interpretazione troppo estensiva della nozione di accordo o di pratica concordata avente un oggetto anticoncorrenziale deve essere evitata, a causa delle conseguenze estreme cui le imprese possono trovarsi esposte in caso di violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma, dall’altro, non si deve neppure fornire di tale nozione un’interpretazione eccessivamente restrittiva, rischiando di sopprimere, in concreto, il divieto delle restrizioni della concorrenza per oggetto sancito dal diritto primario ( 26 ).

60.

Al riguardo, si deve riconoscere che la sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160) è stata ritenuta idonea, se non proprio a sopprimere, quantomeno a confondere la distinzione tra restrizione per oggetto e restrizione per effetto ( 27 ) mentre è indispensabile avere una chiara definizione della restrizione per oggetto e dei criteri necessari per la sua determinazione ( 28 ).

61.

Infatti, come è stato rilevato in precedenza, in tale sentenza, la Corte precisa per il giudice nazionale che la interpellava in via pregiudiziale che, nell’ambito della valutazione del contesto economico e giuridico, tale giudice dovrebbe «in particolare prendere in considerazione la struttura del mercato in questione, l’esistenza di canali di distribuzione alternativi e la loro rispettiva importanza, nonché il potere di mercato delle società interessate» ( 29 ).

62.

Ritengo tuttavia che sia possibile conciliare la giurisprudenza costante della Corte, come richiamata in precedenza, e tale sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160).

c) I criteri necessari per la determinazione di una restrizione della concorrenza «per oggetto»

63.

Come ho ricordato nell’ambito dell’esame della giurisprudenza pertinente, non è necessario analizzare gli effetti di un accordo quando è dimostrato l’oggetto anticoncorrenziale di quest’ultimo ( 30 ). Per contro e di conseguenza, è indispensabile determinare l’oggetto anticoncorrenziale dell’accordo in questione.

64.

Per valutare tale carattere anticoncorrenziale, l’intenzione delle parti non costituisce un elemento necessario ma può essere preso eventualmente in considerazione ( 31 ). Occorre, invece, considerare il contenuto delle disposizioni dell’accordo, gli obiettivi che persegue nonché il contesto economico e giuridico nel quale si inserisce ( 32 ).

65.

Infatti, sebbene gli effetti anticoncorrenziali non debbano essere dimostrati nell’ambito di una restrizione della concorrenza per oggetto, tuttavia la restrizione della concorrenza in questione deve essere ovviamente tale da avere un impatto minimo sul mercato ( 33 ).

66.

In altri termini, per riprendere l’espressione dell’avvocato generale Wahl nelle sue conclusioni, presentate nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 41), l’esame necessario per determinare se un contratto abbia un oggetto restrittivo non può essere scisso dal contesto economico e giuridico in considerazione del quale le parti l’hanno concluso ( 34 ).

67.

Il contesto economico e giuridico serve ad aiutare l’autorità incaricata di esaminare l’asserita restrizione per oggetto a comprendere la funzione economica e il significato reale dell’accordo ( 35 ).

68.

Come spiegato dall’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni, presentate nella causa T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:110, paragrafo 46), tener conto del contesto economico e giuridico significa quindi che l’accordo controverso deve essere semplicemente idoneo in concreto a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.

69.

Occorre, infatti, non dimenticare che il vantaggio in termini di prevedibilità e di alleggerimento dell’onere della prova che comporta l’individuazione di accordi restrittivi tramite l’oggetto sarebbe «compromesso se questa individuazione [fosse], in definitiva, subordinata a un esame approfondito delle conseguenze di detto accordo sulla concorrenza, [il quale andrebbe] ben oltre l’esame circostanziato dell’accordo stesso» ( 36 ).

70.

Tuttavia, un approccio superficiale può essere giustificato solo in presenza di comportamenti, e riprenderò qui, nuovamente, un’espressione dell’avvocato generale Wahl, che presentino un rischio intrinseco di effetto pregiudizievole particolarmente grave ( 37 ), vale a dire le restrizioni che presentano intrinsecamente un certo grado di nocività ( 38 ).

71.

Tale modo di procedere è peraltro conforme alla giurisprudenza della Corte secondo la quale «il criterio giuridico essenziale per determinare se un coordinamento tra imprese comporti una restrizione siffatta della concorrenza “per oggetto” risiede nel rilievo che un simile coordinamento presenta, di per sé, un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza» ( 39 ).

72.

In concreto, ritengo che l’esperienza maturata da più di sessant’anni autorizzi ormai a considerare le ipotesi di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE rispondenti al requisito della dannosità intrinseca.

73.

Considerare l’enumerazione, contenuta in tale disposizione, come il «nocciolo duro» delle restrizioni della concorrenza per oggetto ( 40 ) risponde a un duplice imperativo che deriva dalla giurisprudenza della Corte e che esige, da un lato, che i tipi di accordo previsti all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE non formino un elenco esaustivo di collusioni vietate ( 41 ), pur precisando, dall’altro, che la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto non può essere interpretata in modo estensivo ( 42 ).

74.

Infatti, per gli accordi espressamente previsti all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, non ci si dovrebbe discostare dalla giurisprudenza costante della Corte secondo la quale l’esistenza di una plausibile spiegazione alternativa per i comportamenti addebitati (nella fattispecie, la mancanza di un qualsivoglia interesse commerciale) non deve condurre ad imporre criteri più rigorosi quanto alle prove da produrre ( 43 ). Per contro, sebbene non si escluda che altri tipi di accordo, atipici o complessi, possano avere un oggetto idoneo a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, il loro divieto necessita di un’analisi più approfondita del contesto economico e giuridico in cui si inseriscono, senza tuttavia spingere tale analisi sino all’esame degli effetti dell’accordo.

75.

Le recenti sentenze Siemens e a./Commissione (C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, EU:C:2013:866) e Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160) non sono contraddittorie e possono inserirsi nell’ambito di quanto da me proposto.

76.

Nella prima di tali sentenze, la Corte era chiamata, in particolare, a esaminare l’applicazione, da parte del Tribunale, dei principi che disciplinano l’onere e l’assunzione della prova in materia di restrizioni della concorrenza per oggetto. La sua decisione è quindi del tutto pertinente riguardo al problema oggetto di trattazione. Orbene, la Corte ha non solo considerato che «gli accordi finalizzati alla ripartizione dei mercati hanno, in quanto tali, un oggetto restrittivo della concorrenza e rientrano in una categoria di accordi espressamente vietata dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE» ( 44 ) ma ha anche dedotto che «[s]iffatto oggetto non [poteva] essere giustificato mediante un’analisi del contesto economico in cui si inserisce il comportamento anticoncorrenziale in questione» ( 45 ).

77.

Per contro, nella seconda di tali sentenze, la Corte si trovava di fronte a una situazione che definirei atipica – e che, in ogni caso, non rientrava in nessuna delle categorie di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Tale particolarità costituisce il motivo per cui la Corte ha fornito due precisazioni relative all’analisi del contesto economico e giuridico.

78.

La Corte ha innanzi tutto rilevato che, nell’ambito della valutazione di tale contesto, occorreva «prendere in considerazione la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione» ( 46 ).

79.

Essa ha poi aggiunto, per il giudice nazionale che la interpellava in via pregiudiziale, che il medesimo, per valutare il rischio di eliminazione o di indebolimento grave della concorrenza, avrebbe dovuto prendere in considerazione la struttura di tale mercato, ma anche «l’esistenza di canali di distribuzione alternativi e la loro rispettiva importanza, nonché il potere di mercato delle società interessate» ( 47 ).

80.

A mio avviso, l’enunciazione di tali criteri supplementari, che sembra concordare con l’analisi degli effetti di un accordo o di un’intesa, si spiega unicamente con la specificità dei fatti all’origine della domanda di pronuncia pregiudiziale e con la volontà della Corte di fornire al giudice del rinvio una risposta il più possibile completa.

81.

Infatti, in tale causa, si trattava di una serie di accordi in base ai quali società di assicurazioni del ramo automobilistico si accordavano bilateralmente o con concessionari automobilistici che operavano come officine di riparazione, o con un’associazione rappresentativa di questi ultimi, sulla tariffa oraria che doveva essere pagata dalla società di assicurazioni per la riparazione di veicoli dalla stessa assicurati, prevedendo che tale tariffa sarebbe dipesa, tra l’altro, dal numero e dalla percentuale di contratti di assicurazione che il concessionario avrebbe commercializzato quale intermediario di tale società ( 48 ).

82.

Detti concessionari erano quindi legati agli assicuratori sotto un duplice aspetto. Da un lato, in caso di sinistro, essi riparavano per conto degli assicuratori i veicoli assicurati e, dall’altro, intervenivano come intermediari a favore degli assicuratori medesimi offrendo, nella loro qualità di mandatari dei loro propri broker assicurativi ovvero di broker associati, assicurazioni automobilistiche ai propri clienti in occasione della vendita o della riparazione di veicoli.

83.

Considerato in modo indipendente, ciascun accordo non poteva quindi pregiudicare, di per sé, il buon andamento del normale gioco della concorrenza nel mercato pertinente (il mercato della riparazione di veicoli incidentati da un lato, quello dell’attività di intermediazione nel settore delle assicurazioni automobilistiche, dall’altro). Tuttavia, esaminati congiuntamente e nel loro complesso, non era escluso che detti accordi avessero un tale impatto.

84.

I particolari elementi di valutazione enunciati al punto 48 della sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160) – ossia la presa in considerazione dell’esistenza di canali di distribuzione alternativi, della loro rispettiva importanza, nonché del potere di mercato delle società interessate – sono quindi specifici di tale causa e non possono essere generalizzati, salvo ingenerare confusione tra le restrizioni per oggetto e le restrizioni per effetto.

85.

La giurisprudenza successiva a tale sentenza conferma il carattere specifico e isolato della sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160).

86.

Infatti, la Corte ha continuato a ricordare che occorreva, per valutare se un accordo tra imprese o una decisione di associazione di imprese presentasse un grado sufficiente di dannosità, considerare il contenuto delle sue disposizioni, gli obiettivi che persegue nonché il contesto economico e giuridico nel quale si inserisce. Orbene, anche se, a proposito della valutazione di tale contesto, la Corte sembra ormai riprendere taluni fattori enunciati per la prima volta nella sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160), facendo riferimento alla natura dei beni o dei servizi coinvolti e alle condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione ( 49 ), essa non aggiunge più i criteri approfonditi, propri del caso di specie all’origine di detta sentenza.

d) Un tentativo di sintesi nella valutazione delle ipotesi di restrizione della concorrenza per oggetto

87.

Al termine di tali osservazioni generali e preliminari sulla definizione della restrizione della concorrenza per oggetto, distinguo due ipotesi.

88.

Il principio è identico nei due casi: per valutare se un accordo tra imprese (o una decisione di associazione di imprese) presenti, per sua stessa natura, un grado sufficiente di dannosità per essere considerato come una restrizione della concorrenza «per oggetto» ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, occorre riferirsi al contenuto delle sue disposizioni, al suo oggetto, vale a dire agli obiettivi che persegue, nonché al contesto economico e giuridico nel quale si inserisce. Tale principio si applica, mutatis mutandis, anche alle pratiche concordate.

89.

Se tale analisi si conclude in senso affermativo e l’accordo, la decisione di associazione di imprese o la pratica concordata rientra in una categoria espressamente prevista dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, l’analisi del contesto economico e giuridico può essere effettuata a margine.

90.

Per contro, se dalla medesima analisi emerge che l’accordo, la decisione di associazione di imprese o la pratica concordata non rientra in una delle ipotesi di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE o presenta caratteristiche che rendono l’accordo, la decisione di associazione di imprese o la pratica concordata atipico/a o complesso/a, l’analisi del contesto economico e giuridico dovrà essere più approfondita.

91.

In quest’ultima fattispecie, nella valutazione del contesto economico e giuridico potranno essere prese in considerazione la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione nonché, in casi eccezionali, le caratteristiche supplementari menzionate al punto 48 della sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160). Inoltre, sebbene l’intenzione delle parti non costituisca un elemento necessario per determinare il carattere restrittivo di un accordo, di una decisione di associazione di imprese o di una pratica concordata, non è vietato tenerne conto ( 50 ).

2. Sulla valutazione dell’esistenza di una restrizione per oggetto nella fattispecie

92.

Con il suo primo motivo, la Toshiba sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel considerare che «un accordo come il gentlemen’s agreement, che mira a proteggere i produttori europei, nel loro territorio, da una concorrenza reale o potenziale proveniente dai produttori giapponesi, può restringere la concorrenza, salvo che esistano barriere insormontabili all’entrata nel mercato europeo che escludano qualsiasi concorrenza potenziale da parte dei produttori giapponesi» ( 51 ).

93.

Secondo la Toshiba, il Tribunale avrebbe dovuto verificare se vi fossero possibilità reali e concrete per i produttori giapponesi di entrare nel mercato e se siffatta entrata costituisse una strategia economica redditizia. Il Tribunale si sarebbe erroneamente limitato a verificare se le barriere all’entrata fossero insormontabili e ha erroneamente concluso che «la Commissione poteva quindi limitarsi a dimostrare che le barriere all’entrata nel mercato europeo non erano insormontabili» ( 52 ).

94.

Inoltre, il Tribunale sarebbe altresì incorso in un errore di diritto nel basarsi sull’esistenza del gentlemen’s agreement per dimostrare l’esistenza di un rapporto concorrenziale tra i produttori giapponesi e i produttori europei quando ha deciso che «l’esistenza stessa del gentlemen’s agreement costituisce un forte indizio dell’esistenza di un rapporto concorrenziale tra i produttori giapponesi ed europei» ( 53 ).

95.

Ciò che la Toshiba contesta è quindi, in sostanza, la risposta del Tribunale all’argomento sviluppato dinanzi ad esso e secondo il quale la Commissione non aveva provveduto ad effettuare un’analisi economica dettagliata della situazione.

96.

Orbene, al riguardo, è giocoforza constatare che il Tribunale ha affermato, prima dei punti contestati:

da un lato, che l’articolo 81, paragrafo 1, CE vieta le intese aventi per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza e che non era quindi necessario dimostrare gli effetti concreti di un’intesa quando quest’ultima ha per oggetto di restringere la concorrenza (punto 227 della sentenza impugnata), e

dall’altro, che la Commissione aveva ritenuto «correttamente che, quale accordo di ripartizione del mercato, il gentlemen’s agreement dovesse essere qualificato come restrizione per oggetto» (punto 228 della sentenza impugnata) e che, pertanto, «essa [aveva] constatato (…) correttamente di non essere obbligata a dimostrare che tale accordo aveva avuto effetti anticoncorrenziali» (punto 228 della sentenza impugnata).

97.

Tale analisi mi sembra perfettamente conforme all’approccio da me precedentemente sviluppato.

98.

Infatti, poiché il gentlemen’s agreement costituisce la consacrazione di un’intesa informale secondo la quale i produttori europei e i produttori giapponesi avevano convenuto di astenersi dall’effettuare vendite sui rispettivi territori dei due gruppi, la sua qualificazione come restrizione per oggetto è conforme al modo in cui viene comunemente inteso questo tipo di accordo o di intesa ( 54 ).

99.

Pertanto, conformemente alle conseguenze probatorie e alla portata del controllo connesse al riconoscimento di una restrizione della concorrenza per oggetto, il Tribunale ha correttamente dichiarato che «un accordo come il gentlemen’s agreement, che mira a proteggere i produttori europei, nel loro territorio, da una concorrenza reale o potenziale proveniente dai produttori giapponesi, può restringere la concorrenza, salvo che esistano barriere insormontabili all’entrata nel mercato europeo che escludano qualsiasi concorrenza potenziale da parte dei produttori giapponesi [e che] la Commissione poteva quindi limitarsi a dimostrare che le barriere all’entrata nel mercato europeo non erano insormontabili» ( 55 ), ciò che essa ha fatto menzionando la circostanza che un produttore giapponese era penetrato in tale mercato.

100.

Sempre senza incorrere in errori di diritto il Tribunale ha potuto esso stesso considerare il gentlemen’s agreement come un «forte indizio dell’esistenza di un rapporto concorrenziale tra i produttori giapponesi ed europei» ( 56 ) nonché, del resto, della natura non insormontabile delle barriere all’entrata del mercato europeo. Infatti, il gentlemen’s agreement è, in quanto tale, un elemento del contesto economico e giuridico pertinente.

101.

Richiedere al Tribunale di verificare «se vi fossero possibilità reali e concrete per i produttori giapponesi di entrare nel mercato e se siffatta entrata costituisse una strategia economica redditizia», come afferma la Toshiba a sostegno del suo primo motivo, comporterebbe l’imposizione di criteri più rigorosi quanto alle prove da produrre. Orbene, siffatta pretesa sarebbe contraria alla giurisprudenza della Corte ( 57 ) e al contesto proposto nelle mie osservazioni generali e preliminari.

102.

Di conseguenza, si deve concludere che il primo motivo è infondato.

B – Sul secondo motivo, vertente sullo snaturamento degli elementi di prova sui quali si fonda il Tribunale per constatare che le barriere all’entrata nel mercato del SEE non erano insormontabili

103.

Per dimostrare che le eventuali barriere all’entrata del mercato europeo non erano insormontabili, il Tribunale si è basato non solo sull’esistenza stessa del gentlemen’s agreement, ma anche sul fatto che un’impresa giapponese che partecipava a tale accordo avesse accettato progetti provenienti da clienti con sede in Europa.

104.

La Toshiba sosteneva, per contro, che l’impresa Hitachi aveva affermato, nella sua risposta alla richiesta di informazioni del 28 febbraio 2008 e nel corso dell’audizione, di non aver venduto trasformatori di potenza nell’Unione o nel SEE durante il periodo compreso tra il 2001 e il 2003. Dinanzi a tale affermazione, il Tribunale ha considerato che «in tale contesto, occorre[va] ricordare che, successivamente, nella sua lettera del 30 marzo 2009, la Hitachi [aveva] ritrattato tali affermazioni e [aveva] dichiarato di accettare le conclusioni della Commissione relative all’esistenza e alla portata del gentlemen’s agreement, quali erano esposte nella comunicazione degli addebiti» ( 58 ).

105.

La Toshiba ritiene che, così facendo, il Tribunale abbia falsato il contenuto della lettera della Hitachi e ne abbia fornito un’interpretazione consistente in uno snaturamento dei fatti.

106.

Secondo una giurisprudenza costante, dagli articoli 256 TFUE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea risulta che l’impugnazione è limitata ai motivi di diritto e che, pertanto, solo il Tribunale è competente ad accertare i fatti e a valutarli, salvo nei casi in cui l’inesattezza materiale dei suoi accertamenti risulti dagli atti del fascicolo sottoposti al suo giudizio. In altri termini, la valutazione dei fatti, salvo il caso dello snaturamento degli elementi di prova prodotti dinanzi al Tribunale, non costituisce una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte ( 59 ).

107.

Un asserito snaturamento dei fatti deve emergere manifestamente dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario effettuare una nuova valutazione dei fatti e delle prove ( 60 ).

108.

Orbene, dall’esame della lettera della Hitachi non emerge che il Tribunale avrebbe snaturato gli elementi di fatto. Invero, in tale lettera è espressamente indicato che la Hitachi accetta le conclusioni sull’esistenza e sulla portata del gentlemen’s agreement come presentate nella comunicazione degli addebiti. Orbene, dalla risposta della Toshiba alla comunicazione degli addebiti emerge che la questione dell’accettazione di tre contratti da parte della Hitachi nel mercato europeo era già fatta valere dalla Commissione nella suddetta comunicazione degli addebiti ( 61 ).

109.

Il Tribunale ha potuto quindi constatare, ai punti da 232 a 234 della sentenza impugnata, senza snaturare gli elementi di fatto contenuti nella lettera della Hitachi, che dopo la sua risposta alla richiesta di informazioni della Commissione del 28 febbraio 2008 e dopo l’audizione, la medesima aveva ritrattato le sue affermazioni e aveva dichiarato di accettare le conclusioni della Commissione relative all’esistenza e alla portata del gentlemen’s agreement, quali erano esposte nella comunicazione degli addebiti.

110.

Rilevo, peraltro, che il secondo motivo fatto valere dalla Toshiba a sostegno della sua impugnazione riguarda soltanto il punto 233 della sentenza impugnata. Orbene, nel punto immediatamente precedente, il Tribunale afferma già che il riferimento fatto dalla Commissione, nella decisione impugnata, all’accettazione di tre progetti europei da parte della Hitachi «dimostra che le barriere all’entrata non erano insormontabili per un produttore giapponese». Orbene, la Toshiba non contesta, nell’ambito dell’impugnazione, né tale punto né quelli in cui il Tribunale analizza la questione (e ai quali lo stesso Tribunale rinvia alla fine del punto 233 della sentenza) ( 62 ).

111.

Tale mancata contestazione da parte della Toshiba contraddice la possibilità di uno snaturamento dei fatti, in quanto quest’ultimo, va ricordato, deve emergere manifestamente dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario effettuare una nuova valutazione dei fatti e delle prove.

112.

Pertanto si deve concludere che l’esame della lettera della Hitachi non indica che il Tribunale avrebbe snaturato manifestamente gli elementi di fatto in essa contenuti.

C – Sul terzo motivo, inerente alla durata della partecipazione della Toshiba all’infrazione, vertente sulla motivazione contraddittoria e sullo snaturamento delle prove, sull’errata applicazione della dissociazione pubblica e sulla violazione del principio della responsabilità personale

113.

Il terzo motivo dedotto dalla Toshiba riguarda la durata della sua partecipazione al gentlemen’s agreement. Tale motivo si suddivide in tre parti. In primo luogo, la sentenza del Tribunale presenterebbe una motivazione contradditoria rispetto alle constatazioni di fatto e alle prove accertate in precedenza, circostanza che comporterebbe uno snaturamento di queste ultime. In secondo luogo, il Tribunale avrebbe erroneamente applicato il criterio della dissociazione pubblica. In terzo luogo, il Tribunale avrebbe violato il principio della responsabilità personale nel ritenere che la censura della Toshiba, riguardante la sua mancata partecipazione alla riunione di Zurigo, fosse «inoperante». La seconda e la terza parte riguardano, in realtà, le stesse considerazioni del Tribunale e verranno quindi esaminate congiuntamente.

1. Sulla motivazione contraddittoria e sullo snaturamento delle prove

114.

Secondo la Toshiba, il Tribunale si sarebbe contraddetto nel constatare, da un lato, al punto 208 della sentenza impugnata, che essa «aveva escluso di partecipare alle future riunioni» e nel decidere, dall’altro, che «sussistevano dubbi riguardo alla futura partecipazione della ricorrente al gentlemen’s agreement» (punto 209 della sentenza impugnata) e che la sua partecipazione sarebbe dipesa da quella della TM T&D (punto 211 della sentenza impugnata).

115.

Tali affermazioni della Toshiba dipendono sicuramente da una lettura parziale della sentenza impugnata e dei documenti fatti valere a sostegno della stessa.

116.

Infatti, ciò che il Tribunale constata al punto 208 della sentenza, è che per effetto della costituzione dell’impresa comune TM T&D, la partecipazione della Toshiba alle future riunioni doveva essere ancora decisa. Il Tribunale deduce da taluni documenti che la Toshiba aveva certamente escluso di parteciparvi a titolo individuale, ma gli altri partecipanti avevano chiaramente affermato che, senza la Toshiba, non vi era più interesse a mantenere in vigore il gentlemen’s agreement.

117.

Logicamente, dopo aver rilevato, al punto 210 della sentenza impugnata che non si poteva dedurre da alcun documento che la Toshiba si sarebbe dissociata dal gentlemen’s agreement nel corso della riunione di Vienna, il Tribunale prosegue constatando, al punto 211 della sentenza, «che anche dai documenti fatti valere dalla ricorrente emerge che, dopo il suo annuncio che la partecipazione della TM T&D alle future riunioni doveva essere ancora decisa e che da ciò sarebbe dipesa la sua partecipazione, le imprese partecipanti a tale riunione hanno comunque confermato il gentlemen’s agreement e le regole di notificazione dei progetti rientranti in tale intesa».

118.

Contrariamente a quanto sostiene la Toshiba, ogni documento fatto valere conferma le incertezze relative, da un lato, alla presenza della Toshiba alla riunione successiva e, dall’altro, alla continuazione della sua partecipazione al gentlemen’s agreement, a titolo individuale o attraverso la TM T&D.

119.

Innanzi tutto, secondo il memorandum della riunione di Vienna, redatto dal sig. Okamoto (Fuji), la partecipazione della Toshiba alle riunioni successive alla costituzione dell’impresa comune non era stata ancora decisa. Sebbene sia aggiunto, fra parentesi, che «[n]on ci si attende una decisione moderata come quella consistente nel continuare a partecipare come [Toshiba]», tale frase è immediatamente accompagnata dalla menzione «Sì o No». Oltre alla natura accessoria di tale elemento, indicato dall’uso delle parentesi, l’aggiunta dell’alternativa «sì o no» indica indiscutibilmente che si tratta di una prima idea che non era stata ancora oggetto di una decisione ( 63 ).

120.

Inoltre, contrariamente a quanto suggerisce la Toshiba, la nota interpretativa allegata alla dichiarazione della Fuji alla Commissione a titolo di trattamento favorevole non si limita ad affermare che «la possibilità che la Toshiba assista alle riunioni dopo la costituzione della TM T&D (mentre la Mitsubishi non vi assiste) è stata negata dalla Toshiba», ma indica altresì che «poiché la Mitsubishi non partecipa più a tali riunioni, si dovrebbe prendere una decisione per sapere se la TM T&D sia autorizzata a partecipare a dette riunioni» ( 64 ).

121.

Infine, non è esatto affermare che il verbale della riunione di Vienna non è chiaro quando indica senza alcuna ambiguità che la futura partecipazione della Toshiba alle riunioni successive «sarà decisa in tempi relativamente rapidi» e quando precisa, altresì, che le future riunioni avranno senso solo in caso di prosecuzione di tale partecipazione. Tale punto del verbale si conclude, inoltre, con l’affermazione secondo la quale tale questione costituirebbe il punto principale della riunione successiva ( 65 ). Nell’attesa, il gentlemen’s agreement è, in quanto tale, confermato ( 66 ).

122.

Pertanto, si deve concludere che l’esame dei documenti sui quali il Tribunale si è basato non rivela che il Tribunale avrebbe snaturato manifestamente gli elementi di fatto contenuti in tali documenti né lo avrebbe indotto a contraddirsi nel suo ragionamento.

2. Sull’errata applicazione del criterio della dissociazione pubblica e sulla violazione del principio della responsabilità personale

123.

Secondo la Toshiba, il Tribunale avrebbe erroneamente applicato il criterio della dissociazione pubblica nel respingere, al punto 218 della sentenza impugnata, l’argomento da essa dedotto, relativo alla circostanza che essa non aveva partecipato alla riunione di Zurigo dopo la costituzione della TM T&D, qualificandolo come inoperante. In altri termini, la Toshiba considera, rinviando ai punti 213 e 220 della sentenza impugnata, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel ritenere che l’assenza della Toshiba alla riunione di Zurigo avesse scarsa rilevanza ai fini della valutazione del criterio della dissociazione pubblica mentre esso aveva precedentemente dedotto dai documenti dalla stessa invocati che sussistevano dubbi circa la sua futura partecipazione all’intesa.

124.

Pur essendo regolarmente invocato dalle imprese cui viene addebitato un comportamento anticoncorrenziale, è giocoforza constatare che il criterio della dissociazione pubblica non è molto sviluppato nella giurisprudenza della Corte ( 67 ) e suscita scarso interesse in dottrina. La sentenza Comap/Commissione (C‑290/11 P, EU:C:2012:271) mi sembra adatta a definirne i contorni.

125.

Infatti, in tale sentenza, la Corte ha dichiarato che le nozioni di dissociazione pubblica e di continuità di una pratica anticoncorrenziale «sono espressione di situazioni di fatto, la cui esistenza è constatata dal giudice di merito, caso per caso, in base alla valutazione “di un certo numero di coincidenze e di indizi” sottoposti al suo esame e a seguito di una “valutazione globale di tutte le prove e di tutti gli indizi pertinenti”» ( 68 ). Da tale definizione risulta che «[q]ualora tali prove siano state assunte regolarmente e i principi generali del diritto nonché le norme procedurali applicabili in materia di onere della prova e di istruttoria siano stati rispettati, spetta esclusivamente al Tribunale valutare il valore probatorio da attribuire ai vari elementi ad esso presentati. Tale valutazione non costituisce quindi, salvo il caso dello snaturamento di tali elementi, una questione di diritto soggetta, in quanto tale, al sindacato della Corte» ( 69 ).

126.

Tale approccio, conforme a quello seguito nella giurisprudenza precedente ( 70 ), è confermato nella sentenza Quinn Barlo e a./Commissione (C‑70/12 P, EU:C:2013:351, punti da 28 a 30).

127.

In generale, la dissociazione pubblica è fatta valere da un’impresa cha abbia partecipato a una riunione senza avere intenzione di partecipare all’accordo o all’intesa oggetto di discussione nel corso di tale riunione. La giurisprudenza della Corte relativa a tale ipotesi, che può essere qualificata costante malgrado il numero limitato di sentenze che si pronunciano sulla questione, può essere sintetizzata come segue: «affinché sia sufficientemente provata la partecipazione di un’impresa ad un’intesa, è sufficiente dimostrare che l’impresa stessa abbia partecipato a riunioni in occasione delle quali siano stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta. Ove sia stata dimostrata la partecipazione a riunioni siffatte, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni fosse priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando di aver indicato alle sue concorrenti che essa partecipava alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro» ( 71 ). Al riguardo, la Corte aggiunge che «è proprio la comprensione delle intenzioni dell’impresa interessata ricavata dagli altri partecipanti all’intesa che è determinante per poter valutare se l’impresa stessa abbia inteso dissociarsi dall’accordo illecito» ( 72 ).

128.

Nella fattispecie, con la seconda e la terza parte del terzo motivo, la Toshiba suggerisce, in sostanza, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel dichiarare che essa poteva essere considerata quale partecipante al gentlemen’s agreement sino alla riunione di Zurigo, nonostante ciò che essa aveva dichiarato alla riunione di Vienna, nel settembre 2002, per dissociarsi da tale accordo, ma anche il fatto che essa non aveva partecipato, quantomeno a titolo individuale, alla riunione di Zurigo nel maggio 2003 e la circostanza che la Commissione non aveva incluso l’impresa comune TM T&D tra i destinatari della decisione controversa.

129.

È vero che, nella fattispecie, la configurazione di fatto è un po’ diversa da quella in discussione nelle sentenze che ho appena citato. Infatti, nella fattispecie, la Toshiba sostiene di essersi dissociata pubblicamente durante la riunione di Vienna annunciando che non avrebbe partecipato, quantomeno a titolo individuale, alle successive riunioni a causa della costituzione di un’impresa comune con la Mitsubishi (la cui partecipazione doveva essere ancora decisa), il tutto trovando conferma nella sua assenza alla riunione di Zurigo.

130.

Tuttavia, anche in tale ipotesi particolare, ritengo che la questione se la Toshiba potesse essere considerata parte del gentlemen’s agreement durante il periodo compreso tra la riunione di Vienna e la riunione di Zurigo resti una valutazione di fatto che esula dalla competenza della Corte, salvo il caso di snaturamento delle prove ( 73 ). Il motivo dedotto dalla Toshiba «equivale in definitiva a rimettere in discussione la valutazione del Tribunale relativa a fatti e ad elementi di prova ad esso presentati, riguardanti l’assenza di dissociazione pubblica della ricorrente» ( 74 ).

131.

Infatti, contrariamente alla causa Total marketing services/Commissione (C‑634/13 P, pendente dinanzi alla Corte), non siamo in presenza di una situazione in cui non esiste la minima prova del fatto che l’impresa in questione avrebbe continuato a partecipare all’intesa controversa dopo una certa data. Al contrario, per riprendere la distinzione operata dall’avvocato generale Wahl nelle conclusioni presentate dallo stesso nella medesima causa ( 75 ), siamo proprio in una situazione in cui l’assenza di dissociazione espressa consente di mantenere la presunzione, fondata su indizi concreti, secondo la quale si presume che un’impresa che ha partecipato a riunioni aventi un oggetto anticoncorrenziale abbia partecipato a un’intesa rientrante nel divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

132.

Infatti, sebbene, come espone in via preliminare la Toshiba al punto 25 dell’impugnazione, essa avesse già sostenuto, nell’ambito della sua difesa dinanzi al Tribunale, che non sussistevano prove del fatto che avesse continuato a partecipare dopo la riunione di Vienna e che gli altri membri del gentlemen’s agreement avevano chiaramente compreso, sulla base di diversi elementi, che essa aveva preso pubblicamente le distanze da tale accordo, è pur sempre vero che, avendo partecipato ai vari incontri, compresa la riunione di Vienna, spettava alla Toshiba, conformemente alla giurisprudenza richiamata in precedenza, fornire la prova che essa si era dissociata pubblicamente dal gentlemen’s agreement ( 76 ) e che ciò era proprio quanto avevano compreso gli altri partecipanti all’intesa delle sue intenzioni ( 77 ).

133.

In tale ambito, il Tribunale ha esaminato gli elementi di prova che la Toshiba aveva sottoposto, a tal fine, al suo giudizio e, più precisamente, il verbale della riunione di Vienna, la nota interna della Fuji su detta riunione e la nota esplicativa della Fuji su tale riunione, allegata alla sua dichiarazione di trattamento favorevole ( 78 ).

134.

Orbene, la Toshiba non ha contestato la valutazione del Tribunale a tal proposito ( 79 ), ad eccezione dei punti 209 e 211 della sentenza impugnata e ciò, nell’ambito della prima parte del terzo motivo. Al riguardo, sono giunto alla conclusione che l’esame dei documenti sui quali il Tribunale si era basato non rivelava alcuno snaturamento manifesto degli elementi di fatto contenuti in tali documenti, e neppure lo induceva a contraddirsi nel suo ragionamento.

135.

Tali documenti dimostrano, al contrario, la sussistenza di dubbi sulla partecipazione futura della Toshiba alle riunioni successive e, in attesa di tale decisione, la conferma del gentlemen’s agreement.

136.

Pertanto, poiché mira a rimettere in discussione la valutazione dei fatti e delle prove effettuata dal Tribunale e in assenza di snaturamento di tali elementi di prova, la seconda parte del terzo motivo è irricevibile.

137.

Per quanto riguarda la terza parte del terzo motivo, ritengo che il Tribunale non sia incorso in un errore di diritto nel dichiarare inoperanti le censure della Toshiba relative all’interpretazione della Commissione circa il ruolo svolto dal sig. R. durante la riunione di Zurigo e all’assenza di anticoncorrenzialità della riunione di Zurigo.

138.

Il Tribunale ha ritenuto correttamente che, anche supponendole fondate, tali censure non siano tali da rimettere in discussione la constatazione della Commissione secondo la quale la Toshiba ha partecipato al gentlemen’s agreement sino al 15 maggio 2003. Infatti, sebbene il Tribunale abbia concluso, al punto 220 della sentenza impugnata, che «anche nel caso in cui la ricorrente non [avesse] partecipato alla riunione di Zurigo e tale riunione non [avesse] avuto un oggetto anticoncorrenziale, si [doveva] ritenere che, in assenza di dissociazione pubblica dall’accordo, la ricorrente [avesse] partecipato al gentlemen’s agreement sino alla predetta riunione», il Tribunale è giunto a tale conclusione fondandosi sull’elaborazione dei punti da 205 a 214 della sentenza. Orbene, non solo il punto 220 non forma oggetto di impugnazione ma, come si è visto in precedenza, i punti da 205 a 214 non rivelano alcuno snaturamento dei fatti e/o delle prove analizzate dal Tribunale.

139.

Infine, il Tribunale ha ritenuto altrettanto correttamente, al punto 221 della sentenza impugnata, che la Toshiba non potesse far valere con successo che la sua partecipazione al gentlemen’s agreement era cessata al momento della costituzione dell’impresa comune TM T&D, il 1o ottobre 2002. In tale data, essa non si era dissociata pubblicamente dall’intesa controversa nel senso inteso dalla giurisprudenza della Corte, e la comprensione delle intenzioni dell’impresa interessata ricavata dagli altri partecipanti all’intesa era, al riguardo, determinante ( 80 ). Infatti, al termine della riunione di Vienna, precedente al 1o ottobre 2002, la presenza della Toshiba e/o della TM T&D non era ancora certa per gli altri partecipanti. Al contrario, questi ultimi, da un lato, avevano confermato il gentlemen’s agreement e le regole di notificazione dei progetti che vi rientravano e, dall’altro, avevano ritenuto che non vi sarebbe stato, tuttavia, alcun interesse a mantenere il gentlemen’s agreement senza la partecipazione della Toshiba.

140.

Pertanto, il terzo motivo è in parte irricevibile e in parte infondato.

D – Sul quarto motivo, vertente su errori di diritto nella determinazione dell’importo dell’ammenda

141.

Con il suo quarto motivo, la Toshiba contesta al Tribunale un’errata applicazione del punto 18 degli orientamenti del 2006 in quanto il Tribunale ha convalidato l’utilizzo, da parte della Commissione, delle quote di mercato detenute a livello mondiale dai partecipanti all’intesa al fine di calcolare valori fittizi delle vendite nel SEE.

142.

Ai sensi del suddetto punto degli orientamenti del 2006, qualora l’estensione geografica di un’infrazione superi il territorio del SEE, per esprimere nel contempo la dimensione aggregata delle vendite interessate nel SEE e il peso relativo di ciascuna impresa nell’infrazione, la Commissione può stimare il valore totale delle vendite dei beni o servizi ai quali l’infrazione si riferisce nell’area geografica interessata (più ampia del SEE), determinare la quota delle vendite di ciascuna impresa che ha partecipato all’infrazione su tale mercato e applicare tale quota alle vendite aggregate realizzate all’interno del SEE di queste stesse imprese.

143.

Tale disposizione dei suddetti orientamenti, per quanto a nostra conoscenza e ad eccezione della sentenza ICF/Commissione (C‑467/13 P, EU:C:2014:2274) ( 81 ), non è stata ancora oggetto di interpretazione da parte della Corte.

144.

Tuttavia, poiché il punto 18 degli orientamenti del 2006 costituisce una deroga alla norma di principio enunciata al punto 13 dei medesimi orientamenti, le indicazioni relative a quest’ultimo punto e il contesto nel quale esso si inserisce possono contribuire alla definizione della portata del punto 18.

145.

Al riguardo, è utile ricordare che gli orientamenti del 2006 sono stati adottati al fine di garantire la trasparenza e l’obiettività delle decisioni adottate dalla Commissione in base all’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] del trattato ( 82 ).

146.

Orbene, tale articolo mira, segnatamente, a garantire un sufficiente carattere dissuasivo dell’ammenda, che giustifichi la considerazione della potenza economica dell’impresa interessata ( 83 ).

147.

La Corte ne ha dedotto che il punto 13 degli orientamenti del 2006 «mira[va] ad assumere quale base iniziale ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa un importo che riflett[esse] l’importanza economica dell’infrazione ed il peso relativo dell’impresa interessata nell’infrazione medesima» ( 84 ).

148.

Pertanto, la Corte ritiene che sarebbe contrario all’obiettivo perseguito dal punto 13 degli orientamenti del 2006 intendere la nozione di «valore delle vendite» dallo stesso utilizzata «nel senso che ricomprenda unicamente il fatturato realizzato con le sole vendite per le quali risulti accertata la loro effettiva connessione con l’intesa [in questione]» ( 85 ).

149.

Quando deroga alla delimitazione dell’area geografica di cui al punto 13 degli orientamenti del 2006 per estenderla oltre i confini del SEE, il punto 18 di detti orientamenti persegue il medesimo obiettivo: riflettere nel modo più adeguato il peso dell’impresa nell’infrazione.

150.

Orbene, tale obiettivo è esso stesso giustificato dall’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, che intende garantire un sufficiente carattere dissuasivo dell’ammenda, prendendo in considerazione la potenza economica dell’impresa interessata.

151.

In tali circostanze, un’interpretazione letterale del punto 18 degli orientamenti del 2006, che vorrebbe che l’«area geografica interessata (più ampia del SEE)» fosse limitata esclusivamente ai territori cui si riferisce l’intesa illecita, non terrebbe necessariamente conto della potenza economica reale dell’impresa interessata e potrebbe essere quindi in contrasto con il fine dissuasivo summenzionato.

152.

La presente fattispecie ne è un perfetto esempio. Infatti, se fossero state prese in considerazione solo le vendite realizzate nel SEE e in Giappone, almeno un membro giapponese dell’intesa si sarebbe sottratto a qualsiasi ammenda a causa dell’assenza di vendite nel mercato europeo.

153.

Inoltre, in termini più generali, l’interpretazione restrittiva del punto 18 degli orientamenti del 2006, sostenuta dalla Toshiba, ha come effetto, nel caso di un accordo di ripartizione del mercato, di ricompensare il rispetto di tale accordo. Infatti, rispettando l’accordo, l’impresa non realizza alcuna vendita nel territorio del partner e si sottrarrebbe quindi, de facto et de jure, all’ammenda.

154.

Il Tribunale ha quindi dichiarato, a ragione e senza incorrere in un errore di diritto, al punto 281 della sentenza impugnata, che «poiché la ricorrente aveva partecipato a un accordo di ripartizione del mercato volto a restringere l’accesso dei produttori giapponesi al SEE, la Commissione [aveva] ritenuto, correttamente, che non sarebbe stato opportuno applicare un metodo fondato sulle sue vendite reali nel SEE» e ha esso stesso ritenuto, al punto 282 di detta sentenza, che «considerata la natura dell’infrazione in questione, un metodo che tenesse conto delle quote del mercato mondiale [era] idoneo a riflettere il peso dell’infrazione».

155.

Inoltre, sebbene gli orientamenti siano generalmente intesi dalla Corte come una regola di condotta da cui la Commissione non può discostarsi salvo incorrere in una sanzione per violazione di principi generali del diritto, quali la parità di trattamento e la tutela del legittimo affidamento ( 86 ), la Corte ha tuttavia precisato che tali orientamenti restavano, per la Commissione, una regola di condotta indicativa della prassi da seguire e da cui essa poteva discostarsi, in casi particolari, a condizione di fornire motivazioni compatibili con il principio della parità di trattamento ( 87 ).

156.

Tale possibilità è del resto espressamente prevista al punto 37 degli orientamenti del 2006, secondo il quale «le specificità di un determinato caso o la necessità di raggiungere un livello dissuasivo possono giustificare l’allontanamento da tale metodologia» generale esposta dagli orientamenti per la fissazione delle ammende.

157.

Orbene, nella fattispecie, è giocoforza constatare che la Commissione non ha omesso di spiegare, nella sua decisione, il motivo per cui era giustificato utilizzare le vendite mondiali piuttosto che le vendite realizzate nei territori interessati dall’infrazione. Da un lato, ciò «è dovuto al fatto che le vendite delle imprese nel SEE e in Giappone non riflettono in modo adeguato il peso di ciascuna impresa nell’infrazione» ( 88 ) e, dall’altro, che se «dovessero essere prese in considerazione solo le vendite di trasformatori di potenza realizzate nel SEE e in Giappone, l’ammenda inflitta alla Fuji sarebbe pari a zero» ( 89 ).

158.

La Commissione ha peraltro avuto cura di fondare la sua decisione sul punto 37 degli orientamenti del 2006, precisando che «qualsiasi altro metodo di calcolo dell’importo di base dell’ammenda [diverso da quello utilizzato nella fattispecie] darebbe un risultato arbitrario e non equilibrato e non avrebbe effetto dissuasivo» ( 90 ).

159.

Pertanto, anche il quarto motivo è infondato.

VI – Sulle spese

160.

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento d’impugnazione a norma dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda e la Toshiba è rimasta soccombente, occorrerà condannarla alle spese.

VII – Conclusione

161.

Alla luce delle suesposte considerazioni, si propone alla Corte di pronunciarsi come segue:

respingere il ricorso di impugnazione, e

condannare la Toshiba Corporation alle spese.


( 1 )   Lingua originale: il francese.

( 2 )   GU 2006, C 210, pag. 2.

( 3 )   Sentenze Beef Industry Development Society e Barry Brothers (C‑209/07, EU:C:2008:643); T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610); Football Association Premier League e a. (C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2011:631); Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:649); Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160); Siemens e a./Commissione (C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, EU:C:2013:866), nonché CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204).

( 4 )   Sentenze Beef Industry Development Society e Barry Brothers (C‑209/07, EU:C:2008:643, punto 15); T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 28), nonché GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 55).

( 5 )   Sentenze LTM (56/65, EU:C:1966:38); Beef Industry Development Society e Barry Brothers (C‑209/07, EU:C:2008:643, punto 15); T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 28); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 55), nonché Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 33).

( 6 )   Sentenze LTM (56/65, EU:C:1966:38); Beef Industry Development Society e Barry Brothers (C‑209/07, EU:C:2008:643, punto 15); T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 28); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 55), nonché Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 34).

( 7 )   Sentenze Consten e Grundig/Commissione (56/64 e 58/64, EU:C:1966:41); Beef Industry Development Society e Barry Brothers (C‑209/07, EU:C:2008:643, punto 16), nonché T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 29).

( 8 )   Sentenze T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 30); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 55), nonché Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 34).

( 9 )   Sentenza GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 58). V. anche, a proposito di una pratica concordata, sentenza T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 27).

( 10 )   Sentenze T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 27); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 58); Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 37), nonché CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 54).

( 11 )   Sentenze T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 31), nonché Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 38).

( 12 )   Paragrafo 40. V. anche paragrafo 44.

( 13 )   Sentenze Beef Industry Development Society e Barry Brothers (C‑209/07, EU:C:2008:643, punto 17); T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 29), Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 35); CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 50), nonché Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 114).

( 14 )   Sentenza CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 51).

( 15 )   Ibidem (punto 52).

( 16 )   Sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 36).

( 17 )   Ibidem (punto 48).

( 18 )   Paragrafo 46.

( 19 )   Paragrafo 52. Ritengo che la Corte non abbia espressamente operato tale chiarimento nella sentenza CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204).

( 20 )   Petit, N., Droit européen de la concurrence, Montchrestien‑Lextenso éditions, Paris, 2013, n. 574.

( 21 )   Prieto, C., e Bosco, D., Droit européen de la concurrence. Entente et abus de position dominante, Bruylant, Bruxelles, 2013, n. 566.

( 22 )   V., in particolare, Geradin, D., Layne‑Farrar, A., e Petit, N., EU competition law and economics, Oxford University Press, 2012, nn. 3‑114, pag. 135 e Whish, R., e Bailey, D., Competition law, 7a ed., Oxford University Press, 2012, pagg. 119 e 120. V. anche Graham, C., «Methods for Determining whether an Agreement Restricts Competition: Comment on Allianz Hungária», EL Rev., 2013 (38), pagg. da 542 a 551, in particolare pag. 543; Nagy, C.I., «The Distinction between Anti‑competitive Object and Effect after Allianz: The End of Coherence in Competition Analysis?», World Competition, 2013, n. 4, pagg. da 541 a 564, in particolare pag. 543; Harrison, D., «The Allianz Hungária case. The ECJ’s judgment could have ugly consequences», Competition Law Insight., 2013, vol. 12, pagg. da 10 a 12, in particolare pag. 10; Idot, L., e Prieto, C., «La Cour de justice revient une nouvelle fois sur la notion d’“objet anticoncurrentiel”», Revue des contrats, 2013, pagg. da 955 a 959, in particolare pag. 957.

( 23 )   Lemaire, Chr., New frontiers of antitrust 2012, Bruylant, Bruxelles, 2013, n. 8; Petit, N., Droit européen de la concurrence, Montchrestien‑Lextenso éditions, Paris, 2013, n. 594; Bourgeois, J.H.J., «On the Internal Morality of EU Competition Law», in Mundi et Europae civis: liber amicorum Jacques Steenbergen, Larcier, Bruxelles, 2014, pagg. da 347 a 374, in particolare pag. 350; Waelbroeck, D., e Slater, D., «The scope of object vs effect under article 101 TFEU», in Bourgeois, J., e Waelbroeck, D. (ed.), Ten years of effects‑based approach in EU competition law. State of play and perspectives, Bruylant, 2013, pagg. da 131 a 157, in particolare pagg. 135 e 137. V. anche, in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2012:663), paragrafo 64.

( 24 )   Paragrafo 45.

( 25 )   Conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 35, il corsivo è mio). Come rilevano Geradin, D., Layne‑Farrar, A., e Petit, N., «In a nutshell, it imposes a light evidentiary burden on the competition authority, which does not need to assess the effects of the agreement under scrutiny» (Geradin, D., Layne‑Farrar, A., e Petit, N., EU competition law and economics, Oxford University Press, 2012, nn. 3‑118, pag. 136). Su tale vantaggio, v. anche Nagy, C.I., «The Distinction between Anti‑competitive Object and Effect after Allianz: The End of Coherence in Competition Analysis?», World Competition, 2013, n. 4, pagg. da 541 a 564, in particolare pag. 545, e Graham, C., «Methods for Determining whether an Agreement Restricts Competition: Comment on Allianz Hungária», EL Rev., 2013 (38), pagg. da 542 a 551, in particolare pag. 547.

( 26 )   Conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:110, paragrafo 44).

( 27 )   A proposito di detta sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160): «[l]a motivazione della Corte di giustizia sembra confondere la distinzione tra le due qualificazioni. Troppa sottigliezza rischia di nuocere alla comprensione non solo delle imprese, ma anche della prassi decisionale delle autorità garanti della concorrenza e dei giudici nazionali. Siffatta dilatazione della nozione di restrizione per oggetto è fonte di confusione. Essa può comportare la sua scomparsa di fatto, il che costituirebbe il trionfo dell’approccio fondato sugli effetti» (Prieto, C., e Bosco, D., Droit européen de la concurrence. Entente et abus de position dominante, Bruylant, Bruxelles, 2013, n. 582; il corsivo è mio); «the Court of Justice seems propose a new approach which would blur the distinction between agreements with the object and those with the effect of restricting competition» (Graham, C., «Methods for Determining wether an Agreement Restricts Competition: Comment on Allianz Hungária», EL Rev., 2013 (38), pagg. da 542 a 551, in particolare pag. 542, Abstract; il corsivo è mio); «the Court of Justice’s judgment in Allianz Hungária would seem to blur this distinction» (Nagy, C.I., «The Distinction between Anti‑competitive Object and Effect after Allianz: The End of Coherence in Competition Analysis?», World Competition, 2013, n. 4, pagg. da 541 a 564, in particolare pag. 547; il corsivo è mio).

( 28 )   V., in tal senso, Lemaire, Chr., New frontiers of antitrust 2012, Bruylant, Bruxelles, 2013, n. 66: «Since the effect category can be deduced from the object one, it is crucial to have a clear definition of what is anticompetitive by object» (il corsivo è mio).

( 29 )   Sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 48).

( 30 )   Sentenze T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 30); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 55), nonché Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 34).

( 31 )   Sentenze T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 27); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 58); Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 37), nonché CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 54).

( 32 )   Sentenze T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 27, a proposito di una pratica concordata), e GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 58).

( 33 )   «(...) the fact that there is no need to prove anti‑competitive effects in the case of object restrictions does not mean that there is no quantitative component to object analysis at all. There is a rule that any restriction of competition must be appreciable: even a restriction of competition by object could fall outside Article 101(1) if its likely impact on the market is minimal. (…) Because of the need to prove appreciability, it is necessary for the Commission to define the relevant market even in a case involving an object restriction» (Whish, R., e Bailey, D., Competition law, 7a ed., Oxford University Press, 2012, pag. 120). V. anche, in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Mazák nella causa Pierre Fabre Dermo‑Cosmétique (C‑439/09, EU:C:2011:113): «anche se talune forme di accordo sembrerebbero, dall’esperienza passata, infrazioni prima facie per oggetto, ciò non solleva la Commissione o un’autorità nazionale garante della concorrenza dall’obbligo di effettuare una valutazione individuale di un accordo. Ritengo che tale valutazione possa essere ridotta in taluni casi, ad esempio, qualora sia dimostrata in modo inequivocabile l’esistenza di intese orizzontali volte a controllare la produzione al fine di mantenere i prezzi, ma non può essere soppressa del tutto» (paragrafo 27).

( 34 )   A titolo esplicativo, l’avvocato generale Wahl utilizza un esempio eloquente riferendosi a «un’infrazione che, secondo l’esperienza acquisita, si presume produca una delle più gravi restrizioni della concorrenza, vale a dire un accordo orizzontale sul prezzo di un certo bene. [Orbene, s]ebbene sia pacifico che tale intesa comporti in generale un grado elevato di nocività per la concorrenza, questa conclusione non si impone nel caso in cui, per esempio, le imprese considerate siano detentrici solo di una minima parte del mercato in questione» [conclusioni presentate dall’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 42)]. V. anche, in tal senso, Waelbroeck, D., e Slater, D., «The scope of object vs effect under article 101 TFEU», in Bourgeois, J., e Waelbroeck, D. (a cura di), Ten years of effects-based approach in EU competition law. State of play and perspectives, Bruylant, 2013, pagg. da 131 a 157, in particolare pagg. 135 e 146.

( 35 )   V. in tal senso, Nagy, C.I., «The Distinction between Anti‑competitive Object and Effect after Allianz: The End of Coherence in Competition Analysis?», World Competition, 2013, n. 4, pagg. da 541 a 564, in particolare pag. 558.

( 36 )   Conclusioni presentate dall’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 60).

( 37 )   Conclusioni presentate dall’avvocato generale Wahl nella causa CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:1958, paragrafo 55).

( 38 )   Ibidem (paragrafo 58).

( 39 )   Sentenza CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 57).

( 40 )   Si tratta in un certo senso dell’idea dell’«object box» propugnata da taluni autori.

( 41 )   Sentenza Beef Industry Development Society e Barry Brothers (C‑209/07, EU:C:2008:643, punto 23).

( 42 )   Sentenza CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 58). L’interpretazione restrittiva delle restrizioni per oggetto è inerente alla «presunzione» di illegittimità che esse implicano: «The finding of “restriction by object” must be underpinned by strong evidence from past experience and/or consensus on the underlying economic theory. A narrow reading of this provision, limited to cases based on solid empirical and theoretical foundations can potentially justify a reversal of the presumption of innocence» (Waelbroeck, D., e Slater, D., «The scope of object vs effect under article 101 TFEU», in Bourgeois, J., e Waelbroeck, D. (a cura di), Ten years of effects-based approach in EU competition law. State of play and perspectives, Bruylant, 2013, pagg. da 131 a 157, in particolare pag. 156).

( 43 )   Sentenza Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione (C‑403/04 P e C‑405/04 P, EU:C:2007:52, punto 45).

( 44 )   Sentenza Siemens e a./Commissione (C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, EU:C:2013:866, punto 218. Il corsivo è mio.

( 45 )   Idem.

( 46 )   Sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 36).

( 47 )   Ibidem (punto 48).

( 48 )   Tale specificità si spiega con il fatto che i concessionari ungheresi hanno la facoltà di agire quali intermediari o broker assicurativi del ramo automobilistico per conto dei loro clienti in occasione della vendita o della riparazione di veicoli.

( 49 )   Si tratta dei criteri enunciati al punto 36 della sentenza Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 36) e ripresi, da allora, nelle sentenze CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 53), e Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 117). V., anche, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nelle cause riunite Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce (C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2014:2439, paragrafo 209), e dell’avvocato generale Wahl nella causa ING Pensii (C‑172/14, EU:C:2015:272, paragrafo 41).

( 50 )   Sentenze T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:343, punto 27); GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, EU:C:2009:610, punto 58); Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 37), nonché CB/Commissione (C‑67/13 P, EU:C:2014:2204, punto 54).

( 51 )   Punto 230 della sentenza impugnata.

( 52 )   Idem.

( 53 )   Punto 231 della sentenza impugnata.

( 54 )   L’articolo 101, paragrafo 1, lettera c), si riferisce espressamente alle decisioni o alle pratiche consistenti nel «ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento». V. anche Geradin, D., Layne‑Farrar, A., e Petit, N., EU competition law and economics, Oxford University Press, 2012, nn. 3‑114, pag. 135 e Whish, R., e Bailey, D., Competition law, 7a ed., Oxford University Press, 2012, pag. 122; Lemaire, Chr., New frontiers of antitrust 2012, Bruylant, Bruxelles, 2013, n. 68; Bourgeois, J.H.J., «On the Internal Morality of EU Competition Law», in Mundi et Europae civis: liber amicorum Jacques Steenbergen, Larcier, Bruxelles, 2014, pagg. da 347 a 374, in particolare pag. 351; Harrison, D., «The Allianz Hungária case. The ECJ’s judgment could have ugly consequences», Competition Law Insight., 2013, vol. 12, pagg. da 10 a 12, in particolare pag. 10.

( 55 )   Punto 230 della sentenza impugnata.

( 56 )   Punto 231 della sentenza impugnata.

( 57 )   Sentenza Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione (C‑403/04 P e C‑405/04 P, EU:C:2007:52, punto 45).

( 58 )   Punto 233 della sentenza impugnata.

( 59 )   V. in particolare, in tal senso, sentenze Wunenburger/Commissione (C‑362/05 P, EU:C:2007:322, punto 66); YKK e a./Commissione (C‑408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 44), nonché Marktgemeinde Straßwalchen e a. (C‑531/13, EU:C:2015:79, punto 38).

( 60 )   V. in particolare, in tal senso, sentenze Wunenburger/Commissione (C‑362/05 P, EU:C:2007:322, punto 67); YKK e a./Commissione (C‑408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 44), nonché Marktgemeinde Straßwalchen e a. (C‑531/13, EU:C:2015:79, punto 39).

( 61 )   V. punti da 83 a 88 della risposta della Toshiba alla comunicazione degli addebiti, allegato A.03.24a dell’impugnazione.

( 62 )   Vale a dire i punti da 59 a 62 della sentenza impugnata.

( 63 )   Il documento originale, in lingua inglese, è così redatto: «Whether or not to participate in AC after the establishment of T5/T4 JV is not yet decided. (There would not be a tepid decision such as to continue to attend as T5. Yes or No.)» (memorandum interno alla Fuji relativo alla riunione di Vienna redatto dal sig. Okamoto, allegato A.14 dell’impugnazione).

( 64 )   Il documento originale, in lingua inglese, è così redatto: «In addition, since Mitsubishi was no longer participating in these meetings […], a decision had to be made whether TM T&D would be allowed to attend the meetings. The possibility of Toshiba attending the meetings after TM T&D had been established (while Mitsubishi does not attend) was denied by Toshiba». (Dichiarazione della Fuji alla Commissione a titolo di trattamento favorevole, allegato A.16 dell’impugnazione).

( 65 )   Il documento originale, in lingua inglese, è così redatto: «Future participation of T5 (and maybe T4) in AC mtgs will be decided relatively soon. Depending on that decision, future AC mtgs make only sense, if continuation. In next mtg this item will be main topic» (verbale della riunione di Vienna, Siemens/Hitachi, allegato A.15 dell’impugnazione).

( 66 )   Il documento originale, in lingua inglese, è così redatto, con il titolo «3. GA and Inhouse business»: «Confirmation on rules: GA enquiries via Secs» (verbale della riunione di Vienna, Siemens/Hitachi, allegato A.15 dell’impugnazione).

( 67 )   V., in particolare, sentenze Aalborg Portland e a./Commissione (C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6); Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408); Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166); Comap/Commissione (C‑290/11 P, EU:C:2012:271); Quinn Barlo e a./Commissione (C‑70/12 P, EU:C:2013:351), nonché ordinanza Adriatica di Navigazione/Commissione (C‑111/04 P, EU:C:2006:105). È possibile rinvenire una traccia dell’idea di dissociazione pubblica nella sentenza Commissione/Anic Partecipazioni (C‑49/92 P, EU:C:1999:356), in quanto la Commissione sosteneva, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, che «[s]petterebbe (…) a chi sostiene di essersi dissociato dalle conclusioni sulle azioni concordate fornire la prova espressa di questa dissociazione» (punto 95). Il corsivo è mio.

( 68 )   Punto 71.

( 69 )   Idem.

( 70 )   V., in tal senso, oltre alla sentenza Comap/Commission (C‑290/11 P, EU:C:2012:271, punti da 76 a 78), sentenza Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 132), nonché ordinanza Adriatica di Navigazione/Commissione (C‑111/04 P, EU:C:2006:105, punti 5054).

( 71 )   Sentenza Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 119), la quale rinvia alla sentenza Aalborg Portland e a./Commissione (C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punto 81).

( 72 )   Sentenza Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 120).

( 73 )   «Poiché la determinazione della durata di un’infrazione è una questione di fatto, essa non rientra, salvo il caso di snaturamento degli elementi sottoposti al giudizio del Tribunale, nel sindacato della Corte sull’impugnazione. Lo stesso vale, in particolare, per l’applicazione delle “nozioni di dissociazione pubblica e di continuità di una pratica anticoncorrenziale (...)”» (Bernardeau, L., e Christienne, J.‑Ph., Les amendes en droit de la concurrence – Pratique décisionnelle et contrôle juridictionnel du droit de l’Union, Larcier, coll. Europe(s), 2013, n. II.1314).

( 74 )   Sentenza Quinn Barlo e a./Commissione (C‑70/12 P, EU:C:2013:351, punto 28).

( 75 )   C‑634/13 P, EU:C:2015:208, paragrafo 56.

( 76 )   V., in tal senso, sentenza Comap/Commissione (C‑290/11 P, EU:C:2012:271, punto 76).

( 77 )   V., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 120).

( 78 )   V. punto 207 della sentenza impugnata.

( 79 )   Vale a dire punti da 208 a 214 della sentenza impugnata.

( 80 )   V., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 120).

( 81 )   La questione trattata da tale sentenza è tuttavia diversa da quella di cui trattasi nella fattispecie, poiché riguarda la nozione del «valore totale delle vendite dei beni o servizi ai quali l’infrazione si riferisce» menzionata al punto 18 degli orientamenti del 2006, e non quella dell’«area geografica interessata (più ampia del SEE)» in discussione nella presente causa.

( 82 )   GU 2003, L 1, pag. 1. V. punto 3 degli orientamenti del 2006.

( 83 )   V., in tal senso, sentenza Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 142).

( 84 )   Ibidem (punto 148).

( 85 )   V. sentenza Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 57).

( 86 )   V., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland/Commissione (C‑510/06 P, EU:C:2009:166, punto 60).

( 87 )   V., in tal senso, sentenza Quinn Barlo e a./Commissione (C‑70/12 P, EU:C:2013:351, punto 53).

( 88 )   Punto 229 della decisione controversa.

( 89 )   Punto 235 della decisione controversa.

( 90 )   Ibidem (punto 236). Il corsivo è mio.