SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

6 novembre 2012 ( *1 )

«Inadempimento di uno Stato — Politica sociale — Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Direttiva 2000/78/CE — Articoli 2 e 6, paragrafo 1 — Regime nazionale che impone la cessazione dell’attività professionale dei giudici, dei procuratori e dei notai che abbiano compiuto 62 anni di età — Finalità legittime che giustificano una disparità di trattamento con i lavoratori di età inferiore a 62 anni — Proporzionalità della durata del periodo transitorio»

Nella causa C-286/12,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto 7 giugno 2012,

Commissione europea, rappresentata da J. Enegren e K. Talabér-Ritz, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Ungheria, rappresentata da M. Z. Fehér, in qualità di agente,

convenuta,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešič, E. Levits e J.-J. Kasel, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore

vista l’ordinanza del presidente della Corte del 13 luglio 2012 di trattare la causa mediante procedimento accelerato, conformemente agli articoli 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e 133 del regolamento di procedura della Corte,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1o ottobre 2012,

sentito l’avvocato generale,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il presente ricorso la Commissione europea chiede alla Corte di constatare che l’Ungheria, avendo adottato un regime nazionale che impone la cessazione dell’attività professionale di giudici, procuratori e notai che abbiano compiuto 62 anni di età, il quale comporta una disparità di trattamento fondata sull’età non giustificata da finalità legittime e, comunque, non necessaria e appropriata rispetto alle finalità perseguite, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

2

L’articolo 1 della direttiva 2000/78 dispone quanto segue:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

3

L’articolo 2, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva così recita:

«1.   Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.   Ai fini del paragrafo 1:

a)

sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b)

sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i)

tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

ii)

(…)».

4

L’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva è formulato come segue:

«Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

a)

la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;

(…)».

Il diritto ungherese

5

Fino al 31 dicembre 2011, l’articolo 57, paragrafo 2, della legge n. LXVII del 1997 relativa allo status giuridico e alla retribuzione dei giudici consentiva in sostanza ai giudici di restare in carica sino all’età di 70 anni.

6

La nuova Legge fondamentale, adottata il 25 aprile 2011 ed entrata in vigore il 1o gennaio 2012 (in prosieguo: la «Legge fondamentale»), dispone, al suo articolo 26, paragrafo 2, che, «[ad] eccezione del presidente della Kúria, i giudici possono restare in carica sino all’età pensionabile generale».

7

A tale proposito l’articolo 12, paragrafo 1, delle disposizioni transitorie della Legge fondamentale (in prosieguo: le «disposizioni transitorie») dispone che:

«Se il giudice raggiunge l’età generalmente prevista per il beneficio della pensione di vecchiaia dall’articolo 26, paragrafo 2, della Legge fondamentale entro il 1o gennaio 2012, le sue funzioni cessano il 30 giugno 2012. Se egli raggiunge l’età generalmente prevista per il beneficio della pensione di vecchiaia dall’articolo 26, paragrafo 2, della Legge fondamentale tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2012, le sue funzioni cessano il 31 dicembre 2012».

8

Parimenti, per quanto riguarda i procuratori, ai termini dell’articolo 29, paragrafo 3, della Legge fondamentale, «[ad] eccezione del Procuratore generale, i procuratori possono restare in carica sino all’età limite generalmente prevista per il pensionamento».

9

A tale proposito, l’articolo 13 delle disposizioni transitorie prevede che:

«Se il procuratore raggiunge l’età generalmente prevista per il beneficio della pensione di vecchiaia dall’articolo 29, paragrafo 3, della Legge fondamentale entro il 1o gennaio 2012, le sue funzioni cessano il 30 giugno 2012. Se egli raggiunge l’età generalmente prevista per il beneficio della pensione di vecchiaia dall’articolo 29, paragrafo 3, della Legge fondamentale tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2012, le sue funzioni cessano il 31 dicembre 2012».

10

Quindi, da una parte, ai sensi dell’articolo 90, lettera ha), della legge n. CLXII del 2011 relativa allo status giuridico e alla retribuzione dei giudici (in prosieguo: la «legge del 2011 relativa ai giudici»), entrata in vigore il 1o gennaio 2012, il giudice va in pensione, se «ha raggiunto l’età limite per il pensionamento che gli è applicabile (…), ad eccezione del presidente della Kúria».

11

Dall’altra, conformemente all’articolo 34, lettera d), della legge n. CLXIV del 2011 relativa alla carriera dei procuratori e allo status giuridico del procuratore generale, dei procuratori e degli altri agenti del Pubblico Ministero, «il procuratore cessa di esercitare le sue funzioni di procuratore quando raggiunge l’età limite per il pensionamento che gli è applicabile».

12

Inoltre l’articolo 45, paragrafo 4, della legge n. CCI del 2011, che modifica talune leggi conformemente alla Legge fondamentale, ha modificato, a partire dal 1o gennaio 2014, l’articolo 22, lettera d), della legge n. XLI del 1991 relativa ai notai. Quest’ultimo articolo, nella sua nuova versione, dispone che «[i] notai cessano di esercitare le loro funzioni il giorno in cui raggiungono l’età limite per il pensionamento che è loro applicabile».

13

Nella sua formulazione in vigore sino al 31 dicembre 2009, l’articolo 18, paragrafo 1, della legge n. LXXXI del 1997, relativa alle prestazioni di assicurazione sociale in materia pensionistica (in prosieguo: la «legge Tny»), disponeva che:

«Ha diritto alla pensione di vecchiaia della previdenza sociale, a partire da 62 anni, chiunque abbia compiuto almeno 20 anni di servizio».

14

Nella sua versione entrata in vigore il 1o gennaio 2010 questa stessa disposizione è ora così formulata:

«L’età che dà diritto alla pensione di vecchiaia della previdenza sociale è stabilita come segue:

a)

62 anni per tutti i nati entro il 1o gennaio 1952,

b)

62 anni più 183 giorni per tutti i nati nel 1952,

c)

63 anni per tutti i nati nel 1953,

d)

63 anni più 183 giorni per tutti i nati nel 1954,

e)

64 anni per tutti i nati nel 1955,

f)

64 anni più 183 giorni per tutti i nati nel 1956,

g)

65 anni per tutti i nati nel 1957 o successivamente».

15

In applicazione del paragrafo 2 di detto articolo 18, ha diritto alla pensione al tasso pieno chiunque:

«a)

abbia raggiunto l’età limite per il pensionamento, quale definita al paragrafo 1 supra, corrispondente al suo anno di nascita (…), e

b)

abbia esercitato le sue funzioni per almeno 20 anni, e

(…)».

16

Infine, in virtù dell’articolo 230 della legge del 2011 relativa ai giudici, tra i giudici che hanno raggiunto, entro il 1o gennaio 2013, l’età nuovamente fissata per la cessazione obbligatoria dell’attività, le funzioni di quelli che compiono 62 anni entro il 1o gennaio 2012 cessano il 30 giugno 2012, mentre le funzioni di quelli che compiono 62 anni tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2012 cessano il 31 dicembre 2012.

17

Parimenti, l’articolo 160 della legge n. CLXIV del 2011 relativa alla carriera dei procuratori e allo status giuridico del procuratore generale, dei procuratori e degli altri agenti del Pubblico Ministero, contiene disposizioni simili, in sostanza, a quelle previste per i giudici. Quanto ai notai, un regime analogo a quello previsto per i giudici e per i procuratori sarà loro applicato a partire dal 1o gennaio 2014, come è stato menzionato al punto 12 della presente sentenza.

Procedimento precontenzioso e procedimento dinanzi alla Corte

18

Il 17 gennaio 2012 la Commissione ha inviato all’Ungheria una lettera di diffida, in cui ha considerato che detto Stato membro, adottando le disposizioni legislative nazionali che stabiliscono per i giudici, i procuratori e i notai un limite di età che comporta obbligatoriamente la cessazione della loro attività, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 2000/78. Nella sua risposta datata 17 febbraio 2012, detto Stato membro ha contestato l’inadempimento addebitatogli. Il 7 marzo 2012 la Commissione ha emesso un parere motivato, invitando l’Ungheria ad adottare i provvedimenti necessari per ottemperare ai suoi obblighi entro un termine di due mesi a decorrere dal suo ricevimento. Detto Stato membro ha risposto con lettera del 30 marzo 2012.

19

Non considerando soddisfacente tale risposta, il 7 giugno 2012 la Commissione ha proposto il presente ricorso.

20

Con atto separato, depositato nella cancelleria della Corte in medesima data, la Commissione ha depositato una domanda diretta all’applicazione del procedimento accelerato previsto all’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, accolta dal presidente della Corte con ordinanza del 13 luglio 2012.

21

Il 16 luglio 2012 l’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) ha deciso di annullare, con effetto retroattivo, una parte della normativa ungherese censurata dalla Commissione. Su domanda della cancelleria della Corte, il 25 luglio 2012 la Commissione ha trasmesso le proprie osservazioni in merito a detta decisione e ha mantenuto sia il suo ricorso sia la sua domanda di procedimento accelerato. L’Ungheria ha quindi depositato il proprio controricorso in data 14 agosto 2012, nel quale ha parimenti preso posizione sulle conseguenze di detta decisione sulla presente causa.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

22

La Commissione sostiene che le disposizioni controverse sono contrarie agli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 in quanto introdurrebbero una discriminazione ingiustificata e, ad ogni modo, non sarebbero né appropriate né necessarie per raggiungere le finalità asseritamente legittime invocate dall’Ungheria.

23

In via preliminare, l’Ungheria fa valere che la presente causa ha perso parte del suo oggetto in quanto, con la sua sentenza, l’Alkotmánybíróság ha annullato con effetto retroattivo gli articoli 90, lettera ha), e 230 della legge del 2011 relativa ai giudici. Pertanto non occorrerebbe più statuire sulla parte corrispondente del ricorso. La Commissione non ritiene invece che tale sentenza abbia effetti sul ricorso.

Sulla discriminazione

24

Secondo la Commissione la normativa ungherese di cui trattasi viola l’articolo 2 della direttiva 2000/78 in quanto introduce una discriminazione fondata sull’età tra i giudici, i procuratori e i notai che abbiano raggiunto i limiti di età fissati da detta normativa per essere ammessi alla pensione e coloro che possono restare in attività. Infatti, l’abbassamento da 70 a 62 anni del limite di età che comporta obbligatoriamente per i giudici, i procuratori e i notai la cessazione della loro attività introdurrebbe una disparità di trattamento fondata sull’età tra le persone di una determinata professione. Pur riconoscendo che l’Ungheria è libera di fissare l’età pensionabile di dette persone, la Commissione fa valere che il nuovo regime incide profondamente sulla durata del rapporto di lavoro che vincola le parti nonché, più in generale, sull’esercizio da parte delle persone interessate della loro attività professionale, impedendo la partecipazione futura delle medesime alla vita attiva. La Commissione precisa a tal riguardo che la circostanza che, nel passato, le persone interessate erano soggette ad un regime più favorevole di quello applicabile agli altri dipendenti del settore pubblico non esclude che detta normativa costituisca una discriminazione.

25

L’Ungheria ribatte che non esiste alcuna discriminazione nella fattispecie. Infatti, la Commissione avrebbe valutato la normativa di cui trattasi solo in modo isolato, senza tener conto del contesto generale in cui si inserisce. In particolare, l’abbassamento del limite di età che comporta obbligatoriamente la cessazione dell’attività per le persone rientranti nelle categorie professionali interessate sarebbe diretto a correggere una discriminazione positiva di cui tali persone beneficiavano, in quanto unicamente le stesse, contrariamente agli altri dipendenti del settore pubblico, potevano non solo rimanere in servizio sino all’età di 70 anni, ma, in molti casi, potevano anche cumulare il loro trattamento con la pensione di vecchiaia cui avevano diritto a partire dal momento in cui avevano raggiunto l’età pensionabile. Pertanto, la riforma mirerebbe ad introdurre un equilibrio nell’ambito della regolamentazione generale del lavoro.

Sulla giustificazione della discriminazione

26

La Commissione fa valere che la disparità di trattamento addotta non è giustificata conformemente alle condizioni poste all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78. Infatti, la legislazione nazionale controversa non perseguirebbe alcuna finalità legittima e, ad ogni modo, non sarebbe proporzionata. Orbene, il rispetto di dette condizioni si imporrebbe non solo con riferimento alla fissazione di un limite di età che comporta obbligatoriamente la cessazione dell’attività, ma anche per quanto riguarda le modifiche di detto limite di età.

27

Quanto all’esistenza di una «finalità legittima» ai sensi di detta disposizione, la Commissione fa valere che, secondo la giurisprudenza della Corte, solo gli obiettivi di politica sociale, come quelli connessi alla politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale, sono idonei a giustificare una deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull’età. Orbene, da una parte, dalla normativa di cui trattasi non emerge alcun obiettivo di questo tipo né può essere dedotto dal contesto generale in cui tale normativa si inserisce. Una tale carenza sarebbe di per sé contraria alla direttiva 2000/78 in quanto impedirebbe qualsiasi controllo giurisdizionale della legittimità e della proporzionalità di detta normativa.

28

Dall’altra, la Commissione rileva che, durante la fase amministrativa, l’Ungheria ha invocato, in sostanza, due finalità cui mirerebbe la normativa di cui trattasi, ovvero, in via principale, l’uniformazione delle norme relative al pensionamento per tutti e, a titolo secondario, l’agevolazione dell’ingresso dei giovani giuristi nei tribunali al fine di instaurare una «ripartizione equilibrata delle fasce di età».

29

Orbene, la Commissione ritiene che la prima di dette finalità non possa essere considerata «legittima» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, in quanto la Corte ha escluso che finalità di carattere organizzativo possano giustificare una discriminazione. In risposta all’argomento dell’Ungheria, che fa valere che la Corte, con la sua sentenza del 21 luglio 2011, Fuchs e Köhler (C-159/10 e C-160/10, Racc. pag. I-6919), ha adottato una posizione contraria, vale a dire che tali finalità sono legittime, la Commissione afferma che detta sentenza non è applicabile alla fattispecie. Infatti, in detta sentenza, la Corte non avrebbe ampliato la definizione di «finalità legittima» ai sensi di detta disposizione, ma avrebbe constatato che la finalità consistente nell’instaurare una «ripartizione equilibrata delle fasce di età» tra i giovani funzionari e i funzionari più anziani può costituire una «finalità legittima» di politica del lavoro e di mercato del lavoro. A prescindere dalla circostanza che detta «finalità legittima» possa avere conseguenze «organizzative», in termini segnatamente di miglioramento dell’efficacia del servizio pubblico della giustizia, tali conseguenze non potrebbero essere considerate, di per sé, come «finalità legittime».

30

Quanto alla seconda finalità, la Commissione rileva che l’argomento vertente sulla sostituzione dei giudici più anziani mediante giudici più giovani e sul miglioramento della qualità del servizio pubblico della giustizia che ne risulterebbe è non solo di una «genericità pura e semplice», respinta dalla Corte nella sentenza Fuchs e Köhler, citata, ma anche una forma di pregiudizio legato all’età. Orbene, la direttiva 2000/78 intenderebbe proteggere gli individui proprio contro tali pregiudizi.

31

Con riferimento alla giustificazione della restrizione, l’Ungheria fa valere che il fatto che le norme di cui trattasi, che riguardano tanto i giudici quanto i procuratori e i notai, siano state adottate e siano entrate in vigore nel corso di un medesimo periodo rivela chiaramente l’intenzione del legislatore di unificare, in detti settori, il regime dell’età limite per la cessazione obbligatoria dell’attività, al fine di instaurare una «ripartizione più equilibrata delle fasce di età» nell’ambito delle professioni interessate. Tali finalità sarebbero peraltro «legittime» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva, come sarebbe stato riconosciuto dalla Commissione stessa.

Sul carattere appropriato e necessario delle disposizioni nazionali di cui trattasi

32

Con riferimento alle due finalità invocate dall’Ungheria cui mirerebbero le disposizioni nazionali controverse, la Commissione considera che, anche a volerle ritenere «finalità legittime» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, tali disposizioni non sono appropriate per raggiungere dette finalità.

33

In primo luogo, dette disposizioni non potrebbero contribuire al perseguimento della finalità di uniformare l’età pensionabile, dato segnatamente che, innanzitutto, il rapporto di servizio dei giudici e dei procuratori cesserà non appena raggiungeranno l’età pensionabile, mentre il rapporto di lavoro degli altri dipendenti del servizio pubblico cesserà solo quando questi ultimi raggiungeranno tale età ed avranno compiuto gli anni di servizio necessari per l’ottenimento di una pensione di vecchiaia completa. Vi sarebbero poi ancora deroghe, come quelle riguardanti il presidente della Kúria, il procuratore generale, i giudici costituzionali o i procuratori aggiunti e i procuratori tirocinanti. Infine, i giudici, i procuratori e i notai non avrebbero la possibilità – contrariamente alle altre categorie professionali rientranti nel settore pubblico – di chiedere di conservare le proprie funzioni «nell’interesse del servizio» dopo aver raggiunto l’età pensionabile.

34

In secondo luogo, quanto alla finalità diretta ad agevolare l’assunzione dei giovani professionisti nel settore pubblico della giustizia, la Commissione sostiene che le modalità di applicazione delle disposizioni di cui trattasi suggeriscono che queste non sono state concepite in modo tale da raggiungere la finalità perseguita. Inoltre, esse non avrebbero consentito il trasferimento di esperienza dai funzionari più anziani verso i giuristi più giovani che accedono alle professioni interessate. Un modo più coerente e durevole di raggiungere la finalità desiderata sarebbe stato quello di abbassare progressivamente il limite di età di cessazione obbligatoria dell’attività.

35

A tal proposito, l’Ungheria ribatte che, in realtà, grazie a tali disposizioni e, parallelamente, alle possibilità di nomina di giuristi più giovani, un gran numero di posti di rango elevato sono accessibili alla generazione di «mezza età» nei tribunali e presso il Pubblico Ministero. Benché i giudici, i procuratori e i notai più anziani siano costretti a lasciare il servizio, molti di loro resterebbero in servizio. Orbene, la presenza di questi ultimi e la possibilità per i medesimi di accedere a posti elevati garantirebbero la trasmissione ai loro colleghi più giovani dell’esperienza acquisita.

36

La Commissione ritiene anche che un abbassamento così rapido e radicale del limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività vada oltre quanto necessario per raggiungere le finalità invocate, tenuto conto delle gravi conseguenze che un tale cambiamento può comportare per i giudici, i procuratori e i notai interessati. Essi, infatti, sarebbero costretti a lasciare il servizio rapidamente e senza aver avuto il tempo di prendere provvedimenti, in particolare di natura finanziaria, per far fronte alla riduzione del loro reddito.

37

L’Ungheria sostiene invece che i periodi di transizione riguardanti gli interessati erano noti non al momento dell’adozione della normativa controversa, ma a partire dal 20 giugno 2011, quando il Parlamento ungherese ha adottato la legge n. LXXII del 2011 che modifica talune leggi sullo status giuridico conformemente alla Legge fondamentale. Infatti, l’articolo 10, paragrafo 1, di detta legge n. LXXII del 2011 comprendeva già «i termini di preavviso che sarebbero stati successivamente trasposti nella legge del 2011 relativa ai giudici e nelle disposizioni transitorie». In tali circostanze, gli interessati avrebbero potuto conoscere i periodi di transizione previsti dalla normativa ungherese dal mese di giugno del 2011. L’Ungheria aggiunge che, nel caso dei notai, le norme che abbassano il limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività entreranno in vigore solo il 1o gennaio 2014, per cui essi dispongono di un tempo di preparazione ancora più lungo.

Sulla coerenza del regime

38

La Commissione sottolinea che non vi è alcuna coerenza tra la normativa controversa e la riforma ungherese del regime generale delle pensioni. Essa espone che «nel 2012 cesserà, con effetto vincolante, il rapporto di servizio dei giudici, dei procuratori e dei notai di età compresa tra 62 e 70 anni», mentre, «tra il 2014 e il 2022, l’età pensionabile generale e, pertanto, [il limite di età obbligatorio per la cessazione dell’attività] applicabile anche ai giudici, procuratori e notai, passerà progressivamente da 62 a 65 anni». Quindi, la combinazione di tali due riforme sfocerebbe in una situazione estremamente squilibrata per quanto riguarda l’assunzione e la promozione dei giovani giuristi, in quanto, nel corso degli anni 2012 e 2013, è prevedibile che lo Stato proceda ad un’assunzione massiccia di persone per occupare i posti vacanti, mentre, a partire dall’anno 2014 – a causa dell’innalzamento del limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività – tale processo di assunzione dovrà rallentare considerevolmente.

39

Secondo l’Ungheria, l’incoerenza denunciata dalla Commissione, è solo apparente. Infatti, un innalzamento del limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività potrebbe essere osservato in quasi tutti gli Stati membri, circostanza che non rimetterebbe in discussione la logica interna della legislazione controversa. Quest’ultima collega, appunto, tale limite di età per le professioni interessate all’età del beneficio della pensione di vecchiaia, affinché l’età che è stata presa in considerazione corrisponda allo sviluppo economico e demografico che il sistema pensionistico e la politica dell’occupazione sono necessariamente tenuti a seguire. La politica seguita dagli Stati membri in materia pensionistica si baserebbe dunque sulla considerazione che il limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività e l’età a cui le persone beneficiano della pensione di vecchiaia devono sempre evolvere insieme, in modo tale che possa essere garantita la realizzazione ottimale degli obiettivi di politica del lavoro perseguiti.

Giudizio della Corte

Sull’oggetto del ricorso

40

Occorre esaminare, in via preliminare, l’argomento dedotto dall’Ungheria secondo cui non occorrerebbe più statuire su una parte del ricorso, in quanto avrebbe perso il suo oggetto per effetto della sentenza dell’Alkotmánybíróság.

41

Si deve rammentare, a tale proposito, che, secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in base alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tener conto dei mutamenti successivi (v., segnatamente, sentenze del 29 gennaio 2004, Commissione/Austria, C-209/02, Racc. pag. I-1211, punto 16, e del 19 luglio 2012, Commissione/Italia, C-565/10, punto 22).

42

Nella fattispecie, è pacifico che, alla scadenza del termine impartito dalla Commissione nel parere motivato, le disposizioni nazionali di cui trattasi erano in vigore. Inoltre, come riconosciuto dalla stessa Ungheria in udienza, le autorità nazionali competenti hanno adottato, sulla base di tali disposizioni, atti amministrativi individuali aventi lo scopo di porre fine ai rapporti di lavoro delle persone interessate.

43

Il 16 luglio 2012, ovvero successivamente alla scadenza di detto termine intervenuta il 7 aprile 2012, l’Alkotmánybíróság ha emanato la sentenza con la quale ha annullato gli articoli 90, lettera ha), e 230 della legge del 2011 relativa ai giudici.

44

Secondo l’Ungheria, poiché detta sentenza ha pronunciato l’annullamento retroattivo di detti articoli 90, lettera ha), e 230, i medesimi non potrebbero più essere considerati in vigore al momento della scadenza del termine impartito nel parere motivato.

45

Tuttavia, è giocoforza constatare a tale proposito che, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 41 della presente sentenza, la data che la Corte deve tenere in considerazione per valutare l’esistenza dell’inadempimento contestato all’Ungheria è il 7 aprile 2012. La retroattività della sentenza dell’Alkotmánybíróság non può dunque far scomparire l’oggetto del presente ricorso dato che l’annullamento degli articoli 90, lettera ha), e 230 della legge del 2011 relativa ai giudici deriva da un evento sopravvenuto successivamente a tale data e che, per tale ragione, non può essere preso in considerazione.

46

Occorre constatare, in ogni caso, che, da una parte, la suddetta sentenza non ha alcun effetto per quanto riguarda le disposizioni transitorie che prevedono regole analoghe a quelle contenute agli articoli 90, lettera ha), e 230 della legge del 2011 relativa ai giudici. Dall’altra, poiché l’annullamento di queste ultime disposizioni non ha inciso direttamente sulla validità degli atti individuali con cui è stato posto fine ai rapporti di lavoro delle persone interessate, queste ultime non sono automaticamente reintegrate nel servizio. Al contrario, per essere reintegrate, tali persone sono obbligate a proporre ricorsi di annullamento di detti atti, ricorsi il cui esito, come è stato confermato in udienza dalla stessa Ungheria, non è certo.

47

Di conseguenza, occorre statuire sull’integralità del ricorso.

Nel merito del ricorso

48

Per valutare la fondatezza dell’addebito contestato all’Ungheria dalla Commissione occorre ricordare che, ai termini dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, «per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1» della medesima direttiva. L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di quest’ultima precisa che, ai fini dell’applicazione del suo n. 1, sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1 della direttiva in parola, una persona è trattata in modo meno favorevole di un’altra in una situazione analoga (sentenza del 13 settembre 2011, Prigge e a., C-447/09, Racc. pag. I-8003, punto 42).

49

Nella fattispecie, non è contestato che le disposizioni nazionali controverse prevedono che i giudici, i procuratori ed i notai interessati cessino il servizio ex lege quando compiano 62 anni di età.

50

Le persone che esercitano tali professioni e hanno compiuto 62 anni di età si trovano in una situazione paragonabile a quella delle persone più giovani che esercitano le medesime professioni. Tuttavia, le prime, a causa della loro età, sono costrette a cessare il servizio ex lege (v., per analogia, sentenze citate Fuchs e Köhler, punto 34, nonché Prigge e a., punto 44).

51

Infatti, si deve ritenere che le disposizioni controverse, in applicazione delle quali il raggiungimento dell’età da esse fissata per accedere alla pensione comporta la cessazione ex lege del contratto di lavoro, impongano un trattamento meno favorevole ai lavoratori che hanno compiuto tale età rispetto al complesso delle altre persone in attività. Una disciplina così configurata realizza pertanto una disparità di trattamento direttamente fondata sull’età, come contemplata all’articolo 2, paragrafi 1 e 2, lettera a), della direttiva 2000/78 (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2007, Palacios de la Villa, C-411/05, Racc. pag. I-8531, punto 51).

52

L’Ungheria fa valere, a tale proposito, che, in realtà, tali disposizioni hanno abbassato il limite di età di cessazione obbligatoria dell’attività per rimediare ad una situazione di discriminazione positiva di cui beneficiavano i giudici, i procuratori ed i notai in virtù del regime precedentemente in vigore, in quanto potevano restare in servizio sino all’età di 70 anni, contrariamente agli altri dipendenti del servizio pubblico.

53

Una siffatta circostanza non può tuttavia rimettere in discussione l’esistenza di una disparità di trattamento tra le persone che devono cessare il servizio a motivo del compimento dei 62 anni di età e quelle che, non avendo ancora compiuto tale età, possono restare in servizio. Infatti, la disparità di trattamento fondata sull’età si basa sull’esistenza stessa di un limite di età oltre il quale le persone interessate cessano il servizio, indipendentemente dall’età adottata per tale limite e, a maggior ragione, per il limite precedentemente applicabile.

54

Occorre, di conseguenza, constatare che le disposizioni di cui trattasi introducono una disparità di trattamento direttamente fondata sull’età ai sensi del combinato disposto degli articoli 1 e 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.

55

Risulta tuttavia dall’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2000/78 che una disparità di trattamento in ragione dell’età non costituisce discriminazione quando è obiettivamente e ragionevolmente giustificata, nel contesto del diritto nazionale, da una finalità legittima e quando i mezzi per realizzare tale finalità sono appropriati e necessari (sentenza Prigge e a., citata, punto 77, nonché del 5 luglio 2012, Hörnfeldt, C-141/11, punto 21).

56

Occorre pertanto verificare se le disposizioni controverse siano giustificate da una finalità legittima e se i mezzi adottati per conseguirla siano appropriati e necessari, in osservanza del principio di proporzionalità.

57

Per quanto riguarda, in primo luogo, le finalità perseguite da tali disposizioni, occorre innanzitutto rilevare che non è determinante la circostanza invocata dalla Commissione che da queste ultime non emerge espressamente alcuna finalità specifica.

58

Infatti, non si può dedurre dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 che una mancanza di precisione della normativa nazionale di cui trattasi riguardo allo scopo perseguito abbia la conseguenza di escludere automaticamente che essa possa essere giustificata ai sensi della disposizione suddetta. In mancanza di una tale precisazione, è importante che altri elementi, attinenti al contesto generale della misura interessata, consentano l’identificazione dell’obiettivo cui tende quest’ultima, al fine di esercitare un controllo giurisdizionale quanto alla sua legittimità e al carattere appropriato e necessario dei mezzi adottati per realizzare detto obiettivo (v. sentenze citate Fuchs e Köhler, punto 39, nonché Hörnfeldt, punto 24).

59

Occorre pertanto esaminare gli argomenti che l’Ungheria ha fatto valere nell’ambito del procedimento precontenzioso, nonché nelle sue memorie e in udienza, secondo cui le disposizioni in questione mirano a raggiungere, sostanzialmente, due finalità, ovvero, da una parte, l’uniformazione, nell’ambito delle professioni rientranti nel pubblico impiego, del limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività, pur garantendo la praticabilità del regime pensionistico, un livello elevato di occupazione nonché il miglioramento della qualità e dell’efficacia delle attività dell’amministrazione della giustizia interessate, e, dall’altra, l’introduzione di una «ripartizione più equilibrata delle fasce di età» che agevoli l’accesso dei giovani giuristi alle professioni di giudice, di procuratore o di notaio e che garantisca loro una carriera più rapida.

60

Quanto alla legittimità di dette finalità, occorre ricordare, in secondo luogo, che la Corte ha già dichiarato che le finalità da ritenersi «legittime» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2000/78 e, conseguentemente, atte a giustificare una deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull’età sono obiettivi di politica sociale, come quelli connessi alla politica del lavoro, del mercato del lavoro o della formazione professionale (v. sentenze del 5 marzo 2009, Age Concern England, C-388/07, Racc. pag. I-1569, punto 46; del 18 giugno 2009, Hütter, C-88/08, Racc. pag. I-5325, punto 41, nonché Prigge e a., cit., punto 81).

61

Per quanto riguarda la finalità di uniformazione, nell’ambito delle professioni rientranti nel pubblico impiego dei limiti di età per la cessazione obbligatoria dell’attività, occorre constatare, come rileva l’avvocato generale al paragrafo 63 della sua presa di posizione, che, in quanto il perseguimento di una tale finalità consente di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento per tutte le persone di un dato settore e in relazione ad un elemento essenziale del loro rapporto di lavoro, quale il momento di pensionamento, tale finalità può costituire una finalità legittima della politica del lavoro.

62

Quanto alla finalità diretta ad instaurare una ripartizione più equilibrata delle fasce di età che agevoli l’accesso dei giovani giuristi alle professioni di giudice, di procuratore o di notaio, basta constatare che la Corte ha già avuto occasione di considerare che la finalità consistente nell’instaurare una ripartizione equilibrata delle fasce di età tra giovani funzionari e funzionari più anziani al fine di favorire l’occupazione e la promozione dei giovani, di ottimizzare la gestione del personale e, al tempo stesso, di prevenire le eventuali controversie vertenti sull’idoneità del dipendente ad esercitare la sua attività dopo una certa età, il tutto mirando ad offrire un servizio della giustizia di qualità, può costituire una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro (sentenza Fuchs e Köhler, cit., punto 50).

63

Anche se da quanto precede deriva che le disposizioni controverse sono giustificate da finalità legittime, occorre ancora verificare, infine, se le disposizioni nazionali in questione costituiscano mezzi appropriati e necessari per realizzare tali due finalità.

64

Per quanto attiene alla prima finalità, tali disposizioni sono, in linea di principio, un mezzo appropriato per realizzare l’obiettivo di uniformazione perseguito dall’Ungheria, nella parte in cui sono dirette proprio, se non a eliminare, perlomeno a ridurre considerevolmente la diversità dei limiti di età per la cessazione obbligatoria dell’attività per il complesso delle professioni rientranti nel servizio pubblico della giustizia.

65

Occorre, tuttavia, ancora determinare se dette disposizioni costituiscano anche un mezzo necessario a tali fini.

66

Orbene, per esaminare se le disposizioni in questione eccedano quanto necessario per realizzare le finalità perseguite ed arrechino un pregiudizio eccessivo agli interessi delle persone cui tali disposizioni si riferiscono, occorre ricollocare tali disposizioni nel contesto normativo in cui esse si inseriscono e prendere in considerazione tanto il danno che esse possono causare ai soggetti interessati, quanto i vantaggi che ne traggono la società nel suo complesso e gli individui che la compongono (v. sentenza del 12 ottobre 2010, Rosenbladt, C-45/09, Racc. pag. I-9391, punto 73).

67

Occorre rilevare, a tale riguardo, che le categorie di persone interessate dalle dette disposizioni beneficiavano, sino all’entrata in vigore delle medesime, di una deroga che consentiva loro di restare in servizio sino all’età di 70 anni, circostanza che ha fatto sorgere in capo a dette persone la speranza fondata del loro mantenimento in servizio sino a tale età.

68

Orbene, le disposizioni in questione hanno abbassato bruscamente e considerevolmente il limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività, senza prevedere misure transitorie idonee a tutelare il legittimo affidamento delle persone interessate.

69

Pertanto, per effetto della normativa di cui trattasi, che è entrata in vigore solo il 1o gennaio 2012, da una parte, tutti i giudici e i procuratori che abbiano compiuto 62 anni prima di tale data saranno costretti a lasciare il servizio il 30 giugno 2012, vale a dire dopo un periodo di sei mesi e coloro che compiono tale età tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2012 cesseranno il servizio il 31 dicembre 2012, ovvero un periodo che non supererà in alcun caso un anno e che, nella maggior parte dei casi, sarà inferiore. Dall’altra, i notai che compiono 62 anni entro il 1ogennaio 2014 cesseranno il servizio in tale data, ovvero al più tardi due anni dopo l’entrata in vigore del nuovo regime pensionistico.

70

Ciò premesso, le persone interessate lasciano d’ufficio e definitivamente il mercato del lavoro senza aver avuto il tempo di adottare i provvedimenti, segnatamente di natura economica e finanziaria, che una tale situazione richiede, tenuto conto della circostanza che, da una parte, la loro pensione di vecchiaia è, come è stato precisato in udienza, inferiore almeno del 30% rispetto alla loro retribuzione e, dall’altra, che la cessazione dell’attività non tiene conto dei periodi contributivi, circostanza che non garantisce quindi il diritto ad una pensione a tasso pieno.

71

È giocoforza constatare che l’Ungheria non ha fornito alcun elemento che consenta di dimostrare che nessuna disposizione meno restrittiva avrebbe consentito di pervenire alla finalità di cui trattasi.

72

Certo, tale Stato membro ha sostenuto che le persone interessate hanno avuto la possibilità di prevedere, a partire dal 2011, le modifiche del loro regime pensionistico, dato che l’articolo 10, paragrafo 1, della legge n. LXXII del 2011 che modifica talune leggi sullo status giuridico conformemente alla Legge fondamentale conteneva già i «termini di preavviso», che sarebbero stati trasposti anche nella legge del 2011 relativa ai giudici e nelle disposizioni transitorie. Tuttavia, pur supponendo che detti termini siano stati sufficienti per evitare qualsiasi pregiudizio alle persone interessate, occorre rilevare che l’Ungheria non ha affatto precisato che la normativa controversa permetteva ai giudici, ai procuratori e ai notai di prevedere con un grado di certezza sufficiente le modifiche programmate del loro regime pensionistico e di prendere i provvedimenti necessari.

73

Inoltre, l’Ungheria non ha nemmeno indicato le ragioni per cui, da una parte, essa ha proceduto ad un abbassamento di otto anni dell’età pensionistica, senza prevedere uno scaglionamento graduale di detta modifica, mentre, dall’altra, la legge Tny non solo prevedeva che l’innalzamento di tre anni dell’età pensionistica, vale a dire il passaggio da 62 a 65 anni, sarebbe stato effettuato a partire dal 2014 su un periodo di otto anni, ma era anche entrata in vigore a partire dal 1o gennaio 2010, vale a dire quattro anni prima che essa divenisse applicabile.

74

Orbene, come evidenzia l’avvocato generale al paragrafo 66 della sua presa di posizione, tali differenze tra le disposizioni controverse e la legge Tny suggeriscono che gli interessi di coloro cui si applica l’abbassamento del limite di età pensionabile non sono stati presi in considerazione allo stesso modo di quelli degli altri dipendenti del pubblico impiego per i quali detto limite di età è stato innalzato.

75

Con riferimento a quanto precede, occorre concludere che le disposizioni di cui trattasi non sono necessarie per raggiungere la finalità di uniformazione invocata dall’Ungheria.

76

Quanto alla seconda finalità, diretta ad instaurare una ripartizione più equilibrata delle fasce di età che agevoli l’accesso dei giovani giuristi alle professioni di giudice, di procuratore o di notaio e che garantisca loro una carriera più rapida, occorre considerare che, come evidenzia l’Ungheria, l’abbassamento del limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività ha la conseguenza di rendere vacanti numerosi posti che potranno essere occupati da giovani giuristi nonché di accelerare la rotazione e il rinnovo del personale delle professioni interessate.

77

Tuttavia, tali effetti apparentemente positivi nel breve termine possono rimettere in discussione la possibilità di pervenire ad una «ripartizione delle fasce d’età» realmente equilibrata nel medio e lungo termine.

78

Infatti, se, nel corso del 2012, il rinnovo del personale delle professioni interessate sarà oggetto di un acceleramento molto significativo a motivo della circostanza che otto classi di età saranno sostituite da una sola, vale a dire quella del 2012, tale ritmo di rotazione subirà un rallentamento del pari radicale nel 2013 quando solo una classe d’età dovrà essere sostituita. Per di più, tale ritmo di rotazione sarà sempre più lento man mano che il limite di età per la cessazione obbligatoria dell’attività aumenterà progressivamente da 62 a 65 anni, in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, della legge Tny, comportando anche un peggioramento delle possibilità di accesso dei giovani giuristi alle professioni della giustizia.

79

Ne consegue che le disposizioni di cui trattasi non sono appropriate per perseguire la finalità della introduzione di una «ripartizione delle fasce di età» più equilibrata.

80

Ciò premesso, occorre constatare che le disposizioni nazionali controverse che introducono una disparità di trattamento non rispettano il principio di proporzionalità e che, pertanto, il ricorso della Commissione deve essere accolto.

81

Con riferimento a tutto quanto precede, occorre dichiarare che L’Ungheria, avendo adottato un regime nazionale che impone la cessazione dell’attività professionale di giudici, procuratori e notai che abbiano compiuto 62 anni di età, il quale comporta una disparità di trattamento in ragione dell’età non proporzionata rispetto alle finalità perseguite, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78.

Sulle spese

82

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, l’Ungheria, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’Ungheria, avendo adottato un regime nazionale che impone la cessazione dell’attività professionale di giudici, procuratori e notai che abbiano compiuto 62 anni di età, il quale comporta una disparità di trattamento in ragione dell’età non proporzionata rispetto alle finalità perseguite, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

 

2)

L’Ungheria è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.