CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 6 dicembre 2012 ( 1 )

Cause riunite C-335/11 e C-337/11

HK Danmark, che agisce per conto di Jette Ring

contro

Dansk Almennyttigt Boligselskab DAB

e

HK Danmark, che agisce per conto di Lone Skouboe Werge

contro

Pro Display A/S in liquidazione

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Sø- og Handelsretten (Danimarca)]

«Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Direttiva 2000/78/CE — Divieto di discriminazione basata sull’handicap — Nozione di handicap — Distinzione tra malattia e handicap — Soluzioni ragionevoli per i disabili — Discriminazione indiretta — Giustificazione»

I – Introduzione

1.

Quando sussiste un handicap ai sensi della direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro ( 2 ), e come si distingue la nozione di handicap da quella di malattia? Sono queste le questioni al centro dei presenti procedimenti pregiudiziali. La Corte è quindi chiamata a precisare la propria definizione della nozione di handicap, elaborata nella causa Chacón Navas ( 3 ).

2.

Si tratta, inoltre, di chiarire che cosa si intenda per soluzioni ragionevoli per i disabili che il datore di lavoro deve adottare ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78. Il giudice del rinvio desidera, infine, sapere se un termine di preavviso per il licenziamento ridotto a causa di assenze per malattia possa costituire una discriminazione basata sull’handicap.

II – Contesto normativo

A – Diritto internazionale

3.

La lettera e) del preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità ( 4 ) afferma quanto segue: «riconoscendo che la disabilità è un concetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri».

4.

L’articolo 1, paragrafo 2, della Convenzione contiene la seguente definizione:

«Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

B – Diritto dell’Unione

5.

Il ventesimo considerando della direttiva 2000/78 dispone quanto segue:

«È opportuno prevedere misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento».

6.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, sussiste discriminazione indiretta «quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i)

tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

(…)».

7.

L’articolo 5 della direttiva 2000/78, sotto la rubrica «Soluzioni ragionevoli per i disabili», dispone quanto segue:

«Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili».

C – Diritto nazionale

8.

La trasposizione della direttiva 2000/78 nel diritto danese è avvenuta tramite la Forskelsbehandlingslov ( 5 ). Ai sensi dell’articolo 7 di detta legge, in caso di violazione del divieto di discriminazione o di omissione dei provvedimenti necessari da parte del datore di lavoro, è possibile chiedere il risarcimento dei danni.

9.

La Funktionærlov ( 6 ) disciplina il rapporto giuridico tra datore di lavoro e lavoratore dipendente/impiegato.

10.

L’articolo 5, paragrafo 2, della FL contiene una disciplina speciale del licenziamento per malattia del lavoratore, che dispone quanto segue:

«Tuttavia, nel contratto di lavoro scritto può convenirsi che il periodo di preavviso possa essere soltanto di un mese, con scadenza alla fine del mese successivo, se il lavoratore è stato assente per malattia, con mantenimento della retribuzione, per 120 giorni nel corso degli ultimi dodici mesi. Perché il licenziamento sia valido, è necessario che venga notificato immediatamente al termine del periodo di 120 giorni di assenza per malattia e nel perdurare dell’assenza del lavoratore. La circostanza che quest’ultimo torni al lavoro successivamente alla decisione di licenziamento non pregiudica la validità di questa».

III – Fatti e procedimenti principali

11.

I presenti procedimenti pregiudiziali traggono origine da due ricorsi presentati nel 2006 dall’Handels- og Kontorfunktionærernes Forbund Danmark (HK) ( 7 ) per conto delle lavoratrici Jette Ring e Lone Skouboe Werge, con i quali si chiedeva il risarcimento dei danni in base alla legge danese sulla parità di trattamento a causa di una discriminazione basata sull’handicap. Per entrambi i rapporti di lavoro era stata convenuta l’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della FL.

A – Causa C-335/11

12.

Nel caso Ring alla base del procedimento nazionale vi sono i fatti qui di seguito esposti.

13.

La sig.ra Ring aveva lavorato dal 2000 alle dipendenze dell’azienda Dansk Almennyttigt Boligselskab (DAB) quale collaboratrice presso il centro clienti. Tra il giugno 2005 e il licenziamento avvenuto nel novembre 2005 era stata assente per malattia per diversi periodi; le assenze ammontavano complessivamente a più di 120 giorni. I certificati medici prodotti per le assenze riferivano soprattutto di cronici problemi alla schiena, derivanti, tra l’altro, da artrosi delle vertebre lombari che provocavano dolori costanti alla parte bassa della schiena. Dopo che i medici curanti ebbero constatato l’anchilosi delle vertebre lombari per saldatura spontanea delle stesse, non vi erano ulteriori opzioni terapeutiche. Possibili misure per alleviare detti disturbi, come l’acquisto di una scrivania ad altezza regolabile per la sua postazione di lavoro o l’offerta di un’attività a tempo parziale, non furono adottate. In via di principio, tuttavia, la DAB offrì un impiego a tempo parziale.

14.

A causa delle assenze accumulate, la sig.ra Ring venne licenziata con il termine di preavviso ridotto di cui all’articolo 5, paragrafo 2, della FL. Subito dopo il licenziamento della sig.ra Ring la DAB pubblicò un annuncio per un impiego a tempo parziale con un’analoga descrizione delle mansioni per un ufficio regionale sito nelle vicinanze. La sig.ra Ring trovò un nuovo impiego quale addetta alla reception presso un’altra azienda ove le veniva messa a disposizione una scrivania ad altezza regolabile e il suo effettivo orario di lavoro veniva fissato a 20 ore settimanali. L’assunzione avvenne a tempo pieno in base alla normativa danese sul lavoro flessibile con il 50% di rimborso dei costi salariali ( 8 ).

B – Causa C-337/11

15.

Quanto al caso Skouboe Werge il Sø- og Handelsret ha riferito i seguenti fatti.

16.

La sig.ra Skouboe Werge dal 1998 aveva lavorato quale assistente amministrativa presso l’azienda Pro Display. La stessa, dopo aver subito nel dicembre 2003 un colpo di frusta cervicale in un incidente stradale ed essere rimasta in malattia tre settimane, in un primo momento riprendeva la sua attività a tempo pieno presso la Pro Display. Allorché verso la fine del 2004 divenne evidente che la sig.ra Skouboe Werge risentiva ancora dei postumi del colpo di frusta, ella ottenne una certificazione di malattia in via provvisoria per quattro settimane, sulla base della quale lavorò per circa quattro ore al giorno. Nel gennaio 2005, a causa dei persistenti problemi di salute, la sig.ra Skouboe Werge si mise in malattia per l’intero orario di lavoro. Dopo tali fatti ella venne licenziata, in applicazione della regola dei 120 giorni di cui all’articolo 5, paragrafo 2, della FL, con un preavviso di un mese, con effetto dal 31 maggio 2005.

17.

I problemi di salute della sig.ra Skouboe Werge si manifestavano con diversi sintomi, in particolare con cervicoalgia con dolore irradiato agli arti superiori, problemi alla mascella, astenia, disturbi di concentrazione e della memoria, difficoltà di espressione, eccessiva sensibilità ai rumori, scarsa resistenza allo stress e vertigini. Nel giugno 2006 venne pertanto concessa alla sig.ra Skouboe Werge, sulla base di una valutazione della riduzione della sua capacità lavorativa a circa otto ore alla settimana a ritmo rallentato, una pensione di vecchiaia anticipata. Inoltre, con decisione dell’Istituto per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il grado di invalidità della sig.ra Skouboe Werge venne stimato al 10%, e la riduzione della sua capacità di guadagno al 65%.

18.

Nei procedimenti principali la HK ha sostenuto la tesi secondo cui il licenziamento delle lavoratrici con termine di preavviso ridotto in base al regime previsto dall’articolo 5, paragrafo 2, della FL, non sarebbe stato possibile per violazione del divieto di discriminazione basata sull’handicap di cui alla direttiva 2000/78. Per il giudice del rinvio si pone, quindi, la questione di come debba essere definito l’«handicap» ai sensi della direttiva 2000/78.

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

19.

Con ordinanze del 29 giugno 2011, depositate presso la cancelleria della Corte il 1o luglio 2011, il Sø- og Handelsret ha sospeso entrambi i procedimenti e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1a)

Se la condizione di una persona che, a causa di menomazioni fisiche, mentali o psichiche, non può svolgere la propria attività lavorativa o può farlo soltanto entro certi limiti per un arco di tempo che soddisfa i requisiti, in termini di durata, di cui al punto 45 della sentenza della Corte nella causa C-13/05 (“Navas”) rientri nella nozione di handicap ai sensi della direttiva.

1b)

Se una condizione causata da una malattia diagnosticata incurabile possa rientrare nella nozione di handicap ai sensi della direttiva.

1c)

Se una condizione causata da una malattia diagnosticata temporanea possa rientrare nella nozione di handicap ai sensi della direttiva.

2)

Se una menomazione funzionale duratura che non comporta la necessità di ausili specifici o misure analoghe, e che consiste unicamente o sostanzialmente nel fatto che la persona interessata non è in grado di lavorare a tempo pieno, debba essere considerata come un handicap secondo l’accezione utilizzata nella direttiva 2000/78 del Consiglio.

3)

Se la riduzione dell’orario di lavoro rientri tra le misure di cui all’art. 5 della direttiva 2000/78 del Consiglio.

4)

Se la direttiva 2000/78 del Consiglio osti all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale in forza della quale il datore di lavoro può licenziare un lavoratore subordinato con un termine di preavviso ridotto allorché il lavoratore ha percepito, nell’arco di 12 mesi consecutivi, la retribuzione nei periodi di malattia per complessivi 120 giorni, qualora il lavoratore debba essere considerato disabile ai sensi della direttiva e

a.

l’assenza sia causata dall’handicap,

oppure

b.

l’assenza sia dovuta al fatto che il datore di lavoro non ha preso i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire al disabile di svolgere il suo lavoro».

20.

Con ordinanza del presidente della Corte del 4 agosto 2011 le cause C-335/11 e C-337/11 sono state riunite ai fini della fase scritta e orale del procedimento nonché della sentenza.

21.

Oltre alle parti del procedimento principale hanno partecipato alla fase scritta e orale dinanzi alla Corte i governi della Danimarca, dell’Irlanda, della Polonia e del Regno Unito, nonché la Commissione europea. Inoltre, i governi del Belgio e della Grecia hanno presentato osservazioni scritte.

V – Valutazione

22.

Alla prima e alla seconda questione del Sø- og Handelsret conviene rispondere congiuntamente, dal momento che entrambe concernono la definizione della nozione di handicap (sul punto, v. sub A). La terza questione riguarda la conformazione e l’estensione delle soluzioni che il datore di lavoro deve adottare ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78 (sul punto, v. sub B). Infine, affrontando la quarta questione, si dovrà verificare se la riduzione del termine di preavviso conseguente all’assenza dovuta a malattia costituisca una disposizione discriminatoria (sul punto, v. sub C).

A – Prima e seconda questione pregiudiziale

1. Definizione della nozione di handicap

23.

La direttiva 2000/78 di per sé non fornisce una definizione della nozione di handicap.

24.

La Corte già nella causa Chacón Navas è stata chiamata a definire tale nozione con esclusivo riferimento al diritto dell’Unione. In base a tale definizione, la nozione di handicap va intesa come un «limite che deriva, in particolare, da minorazioni fisiche, mentali o psichiche e che ostacola la partecipazione della persona considerata alla vita professionale» ( 9 ). Deve, inoltre, essere probabile che la limitazione sia di lunga durata ( 10 ).

25.

Nel 2010 – quindi, qualche anno dopo la sentenza nella causa Chacón Navas – l’Unione europea ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. La Convenzione ONU rileva, in primo luogo, nel proprio preambolo che la nozione di disabilità deve essere intesa dinamicamente, trattandosi di un concetto in evoluzione ( 11 ). L’articolo 1 della Convenzione contiene poi una definizione di tale nozione. In base ad essa «per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

26.

Dall’articolo 216, paragrafo 2, TFUE risulta che gli accordi internazionali conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri. Gli accordi internazionali conclusi dall’Unione costituiscono, dalla loro entrata in vigore, parte essenziale («integrante») dell’ordinamento giuridico dell’Unione ( 12 ). Le norme del diritto dell’Unione derivato devono, pertanto, essere interpretate in maniera per quanto possibile conforme agli obblighi di diritto internazionale dell’Unione ( 13 ).

27.

La nozione di handicap di cui alla direttiva 2000/78 non potrebbe, pertanto, restringere l’ambito di tutela delineato dalla Convenzione ONU. In base alla definizione della Convenzione ONU l’ostacolo alla partecipazione nella società deriva dall’«interazione con barriere di diversa natura». Ciò considerato, in determinate fattispecie potrebbe risultare che la definizione fornita dalla sentenza Chacón Navas sia più restrittiva rispetto alla definizione della Convenzione ONU, e debba essere interpretata in maniera conforme al diritto internazionale.

28.

Nei presenti casi, tuttavia, il nocciolo del problema non riguarda l’elemento della definizione «barriere». Il giudice del rinvio desidera sapere se una condizione, causata da una malattia diagnosticata incurabile o temporanea e curabile, possa rientrare nella nozione di handicap. Né la definizione della sentenza Chacón Navas, né quella della Convenzione ONU forniscono, di per sé, una risposta alle questioni poste dal giudice del rinvio. A parte, infatti, il requisito della limitazione duratura, le due definizioni non contengono criteri espliciti per distinguere l’handicap dalla malattia.

29.

Per rispondere alle questioni del giudice del rinvio, pertanto, in prosieguo occorre illustrare la distinzione tra malattia e handicap.

2. Distinzione tra handicap e malattia

30.

Nella sua sentenza Chacón Navas la Corte ha statuito che i lavoratori non sono tutelati in base alla direttiva 2000/78 appena si manifesti una qualunque malattia ( 14 ). La Corte distingue, pertanto, tra malattia e handicap. La «malattia», infatti, non è contemplata nella direttiva come autonomo fattore di discriminazione vietato.

31.

La Corte, tuttavia, ha escluso dall’ambito di applicazione della direttiva soltanto la «malattia in quanto tale» ( 15 ). Dalla sentenza Chacón Navas non si desume che se una malattia è la causa di un handicap è preclusa la sua qualificazione come handicap. Infine, la stessa Corte ha precisato nella sua seconda sentenza relativa ad una discriminazione basata sull’handicap che dalla sentenza Chacón Navas non può desumersi che l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva in parola debba essere interpretato restrittivamente ( 16 ).

32.

In particolare, non risulta che la direttiva 2000/78 intenda ricomprendere solo gli handicap congeniti o derivanti da incidenti. Distinguere, ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione della direttiva, a seconda della causa dell’handicap, sarebbe un’opzione arbitraria e quindi in contrasto con la finalità stessa della direttiva di assicurare la parità di trattamento.

33.

Occorre, quindi, distinguere tra la malattia quale possibile causa della minorazione e la minorazione che da essa deriva. È ricompresa nell’ambito di tutela della direttiva anche la limitazione duratura derivante da una malattia, che comporta un ostacolo alla partecipazione alla vita professionale.

34.

Nei presenti casi si tratta di minorazioni fisiche che si manifestano, tra l’altro, con dolori e immobilità. La distinzione tra malattia e handicap è, pertanto, più agevole qui che nel caso sottoposto alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America in cui detta Corte ha statuito che anche un’infezione da HIV asintomatica può costituire un handicap ai sensi dell’Anti-Discrimination Act ( 17 ). Se, in un caso concreto, i problemi di salute di una persona costituiscano una limitazione, è questione rimessa alla valutazione del giudice nazionale.

35.

Dalla lettera della direttiva 2000/78 non è possibile desumere alcun elemento per una restrizione dell’ambito di applicazione ad un determinato grado di gravità dell’handicap ( 18 ). Poiché, tuttavia, tale questione non è stata sollevata dal giudice del rinvio, né è stata discussa tra i soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte, in questa sede non è necessario pronunciarsi su di essa in via definitiva.

36.

Per la sussistenza di un handicap è, inoltre, decisivo che la limitazione sia probabilmente di «lunga durata» ( 19 ). La Convenzione ONU afferma a tal proposito che deve trattarsi di una menomazione «duratura» ( 20 ). A mio avviso non vi è qui nessuna differenza di significato.

37.

La lunga durata, quando si tratta di una limitazione derivante da una malattia incurabile, di regola dovrà essere ritenuta sussistente. Ma anche una malattia in teoria curabile può richiedere un decorso così lungo fino alla completa guarigione che la limitazione risulta di lunga durata. E anche nel caso di una malattia in via di principio curabile può residuare una limitazione duratura. Proprio per le malattie croniche il passaggio da una malattia (guaribile) a una limitazione presumibilmente duratura, che solo dopo assume i tratti di un handicap, può presentarsi come un processo fluido. Solo quando viene formulata la prognosi di una limitazione duratura, può parlarsi di handicap.

38.

Dal mero accertamento che una malattia in sé sia curabile o incurabile, duratura o temporanea, non può pertanto trarsi alcuna conclusione definitiva in ordine alla successiva presenza di una limitazione duratura.

3. Necessità di ausili specifici

39.

Il giudice del rinvio desidera altresì sapere se l’affermazione della presenza di un handicap presupponga la necessità di ausili specifici, o se sia sufficiente che non risulti più possibile l’espletamento dell’intero orario di lavoro.

40.

La nozione di handicap secondo la direttiva non presuppone la necessità di ausili specifici.

41.

L’articolo 5 della direttiva 2000/78 chiarisce che deve essere prima accertata la presenza di un handicap per poi prendere i provvedimenti necessari e appropriati. Il ventesimo considerando fornisce elementi per comprendere che cosa si possa intendere per provvedimenti appropriati, e menziona, tra l’altro, la necessità di «sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap». La necessità di dispositivi e ausili specifici è, quindi, una conseguenza dell’accertamento dell’handicap, e non una componente della definizione della nozione di handicap.

42.

Anche alla luce della ratio della direttiva non pare congruo considerare la necessità di ausili specifici quale componente della definizione. Gli handicap, ai sensi della direttiva, possono derivare da minorazioni fisiche, psichiche o mentali. La tesi che richiede la necessità di ausili specifici sembra, tuttavia, ricalcata solo sulla figura di una persona che soffre di minorazioni fisiche. Se quale elemento imprescindibile della nozione di handicap si richiedessero gli ausili, le stesse minorazioni mentali o psichiche esplicitamente menzionate nella direttiva ne resterebbero escluse, giacché esse di regola non necessitano di ausili. Un siffatto requisito pregiudicherebbe, peraltro, proprio quei disabili il cui handicap non può essere compensato o attenuato con un ausilio e che già per tale motivo sono di regola colpiti più gravemente degli altri.

43.

In definitiva, pertanto, rileva solo la presenza di un ostacolo alla partecipazione alla vita professionale.

44.

La DAB e la Pro Display hanno sostenuto che può essere considerato disabile solo chi sia completamente escluso dalla vita professionale, sicché una mera riduzione della capacità lavorativa non sarebbe sufficiente per la qualificazione in termini di handicap. Tale ragionamento non risulta convincente. Già in base al comune uso linguistico la nozione di «ostacolo alla partecipazione alla vita professionale» comprende anche limitazioni solo parziali e non solamente un’«esclusione» generale dalla vita professionale.

45.

A favore dell’inclusione delle persone il cui ostacolo alla partecipazione alla vita professionale consiste nel fatto che non possono lavorare a tempo pieno, depone anche il diciassettesimo considerando della direttiva. Esso prevede che l’ambito di tutela della direttiva ricomprende la tipologia di lavoratore che in via di principio è «competente», «capace» o «disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione». La direttiva, quindi, è volta proprio a tutelare quelle persone che in via di principio possono partecipare alla vita lavorativa, quantunque, eventualmente, in misura limitata o grazie a soluzioni particolari. L’applicabilità della direttiva non presuppone, pertanto, l’esclusione della persona interessata dalla vita professionale.

46.

Per concludere sul punto, si deve quindi affermare che la nozione di handicap va intesa come un limite che deriva, in particolare, da minorazioni fisiche, mentali o psichiche e che ostacola la partecipazione della persona considerata alla vita professionale. Ai fini della definizione di handicap è irrilevante che la minorazione sia stata causata da una malattia; decisivo è solo il fatto che la limitazione sia di lunga durata. Anche una minorazione funzionale duratura che non comporta la necessità di ausili specifici e che consiste unicamente o sostanzialmente nel fatto che la persona interessata non è in grado di lavorare a tempo pieno, deve essere considerata come un handicap ai sensi della direttiva 2000/78.

B – Terza questione pregiudiziale

47.

Con la terza questione pregiudiziale il Sø- og Handelsret desidera sapere se tra le soluzioni ragionevoli per i disabili possa rientrare anche una riduzione dell’orario di lavoro.

48.

L’articolo 5, prima parte, della direttiva 2000/78 prevede che siano adottate soluzioni ragionevoli per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili. Ciò significa che il datore di lavoro deve prendere i «provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete», per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione. L’obbligo del datore di lavoro viene meno qualora tali provvedimenti gli imponessero un onere finanziario sproporzionato.

49.

Finalità di tale disposizione è realizzare non solo la parità di trattamento, bensì la parità di posizione del disabile e consentirgli in tal modo di svolgere un lavoro.

50.

L’articolo 5 della direttiva 2000/78 si limita, di per sé, a stabilire che i provvedimenti devono essere «appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete», per consentire di accedere ad un lavoro, etc.

51.

Il ventesimo considerando della direttiva, tuttavia, esplica meglio tale disposizione. In base ad esso, devono essere previste «misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento».

52.

La riduzione dell’orario di lavoro potrebbe rientrare nell’esempio ivi esplicitamente menzionato dell’«adattamento dei ritmi di lavoro». Secondo la DAB e la Pro Display, invece, la formula «ritmi di lavoro» non si riferisce affatto all’orario di lavoro, bensì solo alla prestazione e alla velocità con cui si lavora, oppure alla suddivisione dei compiti lavorativi tra i vari collaboratori.

53.

Quand’anche si ritenga che la riduzione dell’orario di lavoro non rientri nell’«adattamento dei ritmi di lavoro», la riduzione dell’orario di lavoro è, a mio avviso, ricompresa nell’articolo 5 della direttiva.

54.

Dalla lettera stessa del ventesimo considerando, infatti, risulta che questo contiene solo un elenco esemplificativo e non va inteso in termini tassativi. Dal solo fatto che la riduzione dell’orario di lavoro non è ivi espressamente elencata, non può desumersi che essa non rientri nell’articolo 5 della direttiva.

55.

La DAB e la Pro Display rilevano, altresì, che la nozione di orario di lavoro non compare all’interno della direttiva, né è stata presa in esame nel corso dei relativi lavori preparatori. La nozione di riduzione dell’orario di lavoro sarebbe, inoltre, così strettamente collegata con la direttiva sul lavoro a tempo parziale ( 21 ) che le correlative richieste dovrebbero essere valutate soltanto sulla base di quest’ultima.

56.

Il legislatore dell’Unione ha, tuttavia, formulato il testo dell’articolo 5 in termini ampi, parlando genericamente di provvedimenti che consentano ai disabili di accedere ad un lavoro. Una riduzione dell’orario di lavoro può indubbiamente risultare appropriata al fine di consentire ad un disabile lo svolgimento di un lavoro.

57.

Peraltro, anche il ventesimo considerando depone a favore di un’interpretazione estensiva dell’articolo 5. Da esso, infatti, si desume – contrariamente all’opinione della DAB e della Pro Display – che sono ricomprese non solo misure fisiche, ma anche organizzative. La «sistemazione dei locali» o l’«adattamento delle attrezzature» fanno riferimento alla rimozione di barriere fisiche, mentre con l’«adattamento dei ritmi di lavoro», della «ripartizione dei compiti» e con la «fornitura di mezzi di formazione o di inquadramento» vengono menzionate misure di carattere organizzativo. Ciò corrisponde, in particolare, alla nozione di handicap accolta dalla Convenzione ONU, in base alla quale una limitazione può derivare non solo da barriere fisiche, ma anche da barriere di altro tipo, in particolare sociali.

58.

Anche la ratio della direttiva 2000/78 depone a favore dell’inclusione del lavoro a tempo parziale. Essa richiede misure mirate sul singolo individuo per realizzare una parità di posizioni e, in tal modo, una migliore partecipazione dei disabili alla vita professionale ( 22 ). Rilievo decisivo deve, quindi, essere conferito al fatto che una determinata misura possa, o meno, consentire ad un disabile di ottenere un lavoro o di continuare a svolgerlo. Ciò considerato, è pienamente conforme alla ratio della direttiva non escludere completamente dal mercato del lavoro lavoratori disabili che possono lavorare perlomeno parzialmente, bensì consentire loro, attraverso l’offerta di un’occupazione a tempo parziale, un’adeguata partecipazione alla vita professionale. Non pare concepibile che la direttiva richieda solo misure come la costruzione di un ascensore o di bagni senza barriere architettoniche – il che può a sua volta risultare molto impegnativo e costoso – mentre non può essere ricompresa una riduzione dell’orario di lavoro.

59.

Pur non essendo infondata l’obiezione della DAB e della Pro Display secondo cui un’attività a tempo parziale costituisce, a determinate condizioni, una significativa interferenza nel rapporto giuridico tra datore di lavoro e lavoratore, che può comportare un onere finanziario per il datore di lavoro, ciò può tuttavia valere anche per l’ipotesi, elencata tra gli esempi, della sistemazione dei locali. Per tale ragione, tuttavia, l’articolo 5, seconda parte, subordina l’obbligo del datore di lavoro anche alla condizione che le misure non gli impongano un onere finanziario sproporzionato. La direttiva richiede, quindi, un congruo bilanciamento tra l’interesse del lavoratore disabile ad ottenere misure a suo sostegno, e quello del datore di lavoro a non subire ad ogni costo interferenze nella sua organizzazione lavorativa o perdite economiche.

60.

Concludendo sul punto, si deve quindi constatare che una riduzione dell’orario di lavoro può rientrare tra le misure contemplate dall’articolo 5 della direttiva 2000/78. Spetta al giudice nazionale verificare nel caso di specie se una siffatta misura comporti un onere finanziario sproporzionato per il datore di lavoro.

C – Quarta questione pregiudiziale

1. Prima parte della quarta questione pregiudiziale

61.

Con la prima parte della quarta questione pregiudiziale il Sø- og Handelsret desidera sapere se sia in contrasto con la direttiva 2000/78 una disposizione del diritto nazionale che consente il licenziamento con termine di preavviso ridotto in caso di assenza dovuta a malattia, nella misura in cui essa trova applicazione anche nelle ipotesi in cui l’assenza sia causata dall’handicap.

62.

La direttiva 2000/78 vieta, ai sensi dell’articolo 1 in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 2, la discriminazione diretta o indiretta fondata sull’handicap per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro. In base a tali articoli, sussiste discriminazione diretta quando, sulla base dell’handicap, una persona è trattata meno favorevolmente di un’altra in una situazione analoga. Va riconosciuta una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone portatrici di handicap rispetto ad altre persone, a meno che vi possa essere una giustificazione. Il campo di applicazione ratione materiae della direttiva ricomprende esplicitamente, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), le condizioni di licenziamento. In prosieguo occorre, pertanto, verificare prima di tutto se nella riduzione del termine di preavviso possa essere individuata una discriminazione diretta o indiretta, e poi eventualmente se questa possa essere giustificata.

a) Discriminazione

63.

Desidero, tuttavia, preliminarmente precisare l’oggetto del presente esame: il giudice del rinvio ha sollevato solo la questione della conformità al diritto dell’Unione della disposizione dalla quale risulta la riduzione del termine di preavviso a causa di assenze per malattia.

64.

Una diversa questione, suggerita dai casi di specie, sarebbe se le assenze connesse ad un handicap o ad una malattia dovuta ad un handicap, possano costituire in generale un legittimo motivo di licenziamento. La Corte ha già statuito che la direttiva osta a un licenziamento che, tenuto conto dell’obbligo del datore di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli, non sia giustificato dal fatto che la persona di cui trattasi non è disponibile a svolgere le mansioni essenziali del suo posto di lavoro ( 23 ). Con ragionamento a contrario se ne potrebbe dedurre che il licenziamento sarebbe legittimo se le soluzioni necessarie per adattare il luogo di lavoro costituissero un onere finanziario sproporzionato per il datore di lavoro, o se il lavoratore, a causa delle sue assenze, non fosse disponibile per le mansioni essenziali del posto di lavoro in questione. A mio avviso, tuttavia, con questa statuizione della Corte non potrebbe ancora essere chiarita in via definitiva la questione della legittimità di un licenziamento a causa delle assenze per una malattia dovuta ad un handicap. Nondimeno, per rispondere alla questione sollevata, nel prosieguo mi occuperò esclusivamente della riduzione del termine di preavviso.

65.

Se un lavoratore disabile si assenta a causa di una «generica» malattia, il rilievo assunto dai periodi di malattia ai fini della riduzione del termine di preavviso non comporta una discriminazione rispetto ad un lavoratore non disabile. La probabilità, infatti, di ammalarsi di una malattia, come ad esempio un’influenza, di regola non dipende dall’handicap e riguarda in pari misura i lavoratori con o senza handicap.

66.

Nel presente contesto, tuttavia, si tratta di assenze dovute ad un handicap. L’articolo 5, paragrafo 2, della FL è a prima vista neutro, in quanto si riferisce a tutti i lavoratori che hanno fatto assenze per malattia per più di 120 giorni. Esso, pertanto, non comporta una discriminazione diretta dei disabili. Questa disposizione, infatti, non presenta alcun collegamento diretto con il divieto di adottare un criterio di distinzione in base all’handicap, né comporta una disparità di trattamento in virtù di un criterio che risulta inscindibilmente legato all’handicap. Un handicap, infatti, non implica necessariamente in ogni caso il fatto di ammalarsi e di fare assenze per malattia, sicché non può parlarsi di un legame inscindibile.

67.

Va ravvisata, invece, una discriminazione indiretta. Se, infatti, la malattia è collegata all’handicap, vengono trattate in modo uguale situazioni disuguali. I lavoratori disabili presentano di regola un rischio molto più elevato di ammalarsi di una malattia collegata al loro handicap dei lavoratori non disabili. Questi ultimi possono essere colpiti solo da una «generica» malattia. In più, però, di una siffatta malattia possono ammalarsi anche i lavoratori disabili. La norma sulla riduzione del termine di preavviso è, pertanto, una disposizione che discrimina indirettamente i lavoratori disabili rispetto ai lavoratori non disabili.

68.

Alcuni dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte hanno obiettato che – atteso il diritto dei lavoratori di non rivelare la patologia di cui sono ammalati – una differenziazione tra «generiche» malattie e malattie che derivano dall’handicap non sarebbe in pratica possibile. Tale obiezione non convince. Vi è, infatti, la possibilità di conciliare le due cose, ad esempio mediante l’intervento di un medico di fiducia.

b) Giustificazione

69.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), una disposizione come l’articolo 5, paragrafo 2, della FL, è giustificata se attraverso di essa si persegue una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento sono appropriati e necessari. Questa formulazione riproduce i requisiti generali, riconosciuti nel diritto dell’Unione, concernenti la giustificazione di una disparità di trattamento ( 24 ).

70.

La disposizione deve altresì essere idonea a conseguire una finalità legittima. Essa deve inoltre essere necessaria, vale a dire che la finalità legittima perseguita non può essere conseguita attraverso un mezzo più mite, ugualmente idoneo. La disposizione deve, infine, essere anche proporzionata in senso stretto, cioè non deve provocare inconvenienti che non siano in rapporto con le finalità perseguite ( 25 ).

71.

Nel valutare tali criteri occorre tener presente che in giurisprudenza si riconosce che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nella scelta delle misure per raggiungere le loro finalità in materia di politica sociale e di occupazione ( 26 ).

72.

L’ordinanza di rinvio non fornisce informazioni circa le finalità perseguite con l’articolo 5, paragrafo 2, della FL. Ciò rende difficile una valutazione. Sarà, pertanto, compito del giudice del rinvio valutare in via definitiva la giustificazione della disposizione controversa.

73.

Secondo quanto sostenuto dal governo danese, l’articolo 5, paragrafo 2, della FL è rivolto a realizzare un equo bilanciamento tra gli interessi dei datori di lavoro e quelli dei lavoratori in caso di prolungate assenze per malattia. In ultima analisi, tuttavia, esso favorirebbe in particolare gli interessi dei lavoratori. Attraverso la riduzione del termine di preavviso in caso di prolungata assenza per malattia il datore di lavoro verrebbe sollecitato a non licenziare il lavoratore ammalato appena possibile, bensì a continuare dapprima a tenerlo alle sue dipendenze sapendo che poi, in caso di assenze molto lunghe, il termine di preavviso sarà, in compenso, ridotto.

74.

Queste finalità perseguite sono legittime e la disposizione, tenuto conto del margine di discrezionalità degli Stati membri, non è d’altra parte manifestamente inidonea ( 27 ) a conseguirle. Una misura alternativa, ma meno restrittiva, dovrebbe potersi inserire nella complessiva trama della normativa in materia di lavoro. Senza ulteriori informazioni è difficile stabilire se una tale misura sia concepibile.

75.

Decisivo è che gli inconvenienti causati ai lavoratori disabili dalla riduzione del termine di preavviso nella sua attuale configurazione risultino proporzionati alle finalità perseguite, che quindi tale riduzione non comporti un pregiudizio eccessivo a carico degli interessati. Ciò impone che si trovi un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco ( 28 ). Occorre a tal proposito chiedersi se una normativa appropriata non dovrebbe tenere conto anche del grado di gravità dell’handicap e delle possibilità di riassunzione del lavoratore interessato. Quanto più grave sarà l’handicap e quanto più difficile la ricerca di una nuova occupazione, tanto più importante è la lunghezza del termine di preavviso per il lavoratore. Spetta al giudice del rinvio valutare nel dettaglio tali aspetti.

76.

A conclusione della prima parte della quarta questione pregiudiziale si deve pertanto constatare che la direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che osta ad una disposizione nazionale in base alla quale un datore di lavoro può licenziare un lavoratore a causa di assenze per malattia con un termine di preavviso ridotto qualora la malattia derivi dall’handicap. Ciò non vale qualora tale discriminazione sia oggettivamente giustificata, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva 2000/78, da una finalità legittima, e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

2. Seconda parte della quarta questione pregiudiziale

77.

Con la seconda parte della quarta questione pregiudiziale il giudice del rinvio desidera, infine, sapere se la direttiva 2000/78 osti ad una riduzione del termine di preavviso qualora l’assenza del lavoratore sia dovuta al fatto che il datore di lavoro non ha adottato le soluzioni ragionevoli di cui all’articolo 5 della direttiva per consentire al disabile di svolgere il suo lavoro.

78.

Nel momento in cui ci si domanda quali soluzioni siano ragionevoli ai sensi dell’articolo 5 della direttiva, ha già luogo una valutazione di proporzionalità. In tale contesto viene chiarito, soppesando l’interesse del lavoratore disabile a fronte di quello del suo datore di lavoro, se si debbano pretendere dal datore di lavoro le soluzioni da adottare. Se poi il datore di lavoro non adotta queste soluzioni ragionevoli che possono pretendersi da lui, e non ottempera quindi al suo obbligo ex articolo 5 della direttiva, non ne può trarre un vantaggio giuridico. L’obbligo ex articolo 5 della direttiva sarebbe vanificato se l’omessa adozione di soluzioni proporzionate potesse giustificare uno svantaggio per il lavoratore disabile. Vista la ratio di tale disposizione, pertanto, i periodi di assenza del lavoratore risultanti dall’omessa adozione di una misura non possono giustificare una riduzione del termine per il preavviso di licenziamento.

79.

Pertanto, se l’applicazione del termine di preavviso ridotto è dovuta ad assenze del lavoratore causate dal fatto che il datore di lavoro non ha adottato soluzioni ragionevoli ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, ciò costituisce una discriminazione non giustificabile.

VI – Conclusione

80.

Alla luce di quanto sopra, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali:

1

a)

La nozione di handicap ai sensi della direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, va intesa come un limite che deriva, in particolare, da minorazioni fisiche, mentali o psichiche e che ostacola la partecipazione della persona considerata alla vita professionale.

b)

Ai fini della definizione di handicap è irrilevante che la minorazione sia stata causata da una malattia; decisivo è solo il fatto che la limitazione sia di lunga durata.

c)

Anche una minorazione funzionale duratura che non comporta la necessità di ausili specifici e che consiste unicamente o sostanzialmente nel fatto che la persona interessata non è in grado di lavorare a tempo pieno, deve essere considerata come un handicap ai sensi della direttiva 2000/78.

2)

Una riduzione dell’orario di lavoro può rientrare tra le misure contemplate dall’articolo 5 della direttiva 2000/78. Spetta al giudice nazionale verificare nel caso di specie se una siffatta misura comporti un onere finanziario sproporzionato per il datore di lavoro.

3)

La direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che osta ad una disposizione nazionale in base alla quale un datore di lavoro può licenziare un lavoratore a causa di assenze per malattia con un termine di preavviso ridotto qualora la malattia derivi dall’handicap. Ciò non vale qualora tale discriminazione sia oggettivamente giustificata, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva 2000/78, da una finalità legittima, e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. Se, tuttavia, l’applicazione del termine di preavviso ridotto è dovuta ad assenze del lavoratore causate dal fatto che il datore di lavoro non ha adottato soluzioni ragionevoli ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, ciò costituisce una discriminazione non giustificabile.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16; in prosieguo: la «direttiva 2000/78»).

( 3 ) Sentenza dell’11 luglio 2006, Chacón Navas (C-13/05, Racc. pag. I-6467).

( 4 ) Ratificata dall’Unione europea il 23 dicembre 2010; in prosieguo: la «Convenzione ONU». V. decisione del Consiglio del 26 novembre 2009, 2010/48/CE, relativa alla conclusione della Convenzione (GU 2010, L 23, pag. 35).

( 5 ) Lov om forbud mod forskelsbehandling på arbejdsmarkedet (legge sulla parità di trattamento nel mercato del lavoro).

( 6 ) Lov om retsforholdet mellem arbejdsgivere og funktionærer Funktionærlov (legge sul lavoro impiegatizio); in prosieguo: la «FL».

( 7 ) Sindacato dei lavoratori del settore commerciale e impiegatizio – Danimarca.

( 8 ) La normativa sul lavoro flessibile è una normativa danese per l’erogazione di sussidi statali sullo stipendio in caso di occupazione di persone con capacità lavorativa ridotta in modo duraturo.

( 9 ) Sentenza Chacón Navas, cit. alla nota 3 (punto 43).

( 10 ) Ibidem (punto 45).

( 11 ) Così anche l’avvocato generale Geelhoed nelle sue conclusioni nella causa Chacón Navas, cit. alla nota 3 (paragrafo 66).

( 12 ) V., in tal senso, sentenze del 10 settembre 1996, Commissione/Germania (C-61/94, Racc. pag. I-3989, punto 52); del 12 gennaio 2006, Algemene Scheeps Agentuur Dordrecht (C-311/04, Racc. pag. I-609, punto 25); del 3 giugno 2008, Intertanko e a. (C-308/06, Racc. pag. I-4057, punto 42); del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C-402/05 P e C-415/05 P, Racc. pag. I-6351, punto 307), nonché sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C-366/10, Racc. pag. I-13755, punto 50).

( 13 ) V. sentenze Commissione/Germania, cit. alla nota 12 (punto 52); del 14 luglio 1998, Bettati (C-341/95, Racc. pag. I-4355, punto 20); del 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica (C-76/00 P, Racc. pag. I-79, punto 57), nonché sentenza del 14 maggio 2009, Internationaal Verhuis- en Transportbedrijf Jan de Lely (C-161/08, Racc. pag. I-4075, punto 38).

( 14 ) Sentenza Chacón Navas, cit. alla nota 3 (punto 46).

( 15 ) Ibidem (punto 57).

( 16 ) Sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C-303/06, Racc. pag. I-5603, punto 46).

( 17 ) US Surpreme Court, Bragdon v. Abbott, 524 US 624 [1998], § 12102, paragrafo 1 (A) dell’ADA 1990, ritiene, quindi, sussistente un handicap in presenza di «a physical (…) impairment that substantially limits one or more of [an individual’s] major life activities».

( 18 ) Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto una condizione di malattia per diabete mellito di tipo 1, che le autorità nazionali avevano qualificato come di minimo rilievo, quale handicap ai fini della tutela dalle discriminazioni: Corte eur. D.U., sentenza del 30 aprile 2009, Glor/Svizzera (n. 13444/04).

( 19 ) Sentenza Chacón Navas, cit. alla nota 3 (punto 45).

( 20 ) Nella versione in lingua inglese “long-term impairments”, in quella francese ”incapacités (...) durables”.

( 21 ) Direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 14, pag. 9).

( 22 ) V. ottavo, nono, undicesimo e sedicesimo considerando della direttiva 2000/78.

( 23 ) Sentenza Chacón Navas, cit. alla nota 3 (punto 51).

( 24 ) V. anche le mie conclusioni presentate il 6 maggio 2010 nella causa Andersen (C-499/08, Racc. pag. I-9343, paragrafo 42).

( 25 ) Sentenze del 12 luglio 2001, Jippes e a. (C-189/01, Racc. pag. I-5689, punto 81); del 7 luglio 2009, S.P.C.M. e a. (C-558/07, Racc. pag. I-5783, punto 41), nonché sentenza dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C-343/09, Racc. pag. I-7023, punto 45, e la giurisprudenza ivi citata).

( 26 ) V., in relazione alla discriminazione basata sull’età, sentenze del 16 ottobre 2007, Palacios de la Villa (C-411/05, Racc. pag. I-8531, punto 68), e del 12 ottobre 2010, Rosenbladt (C-45/09, Racc. pag. I-9391, punto 41).

( 27 ) V. sul punto sentenze Palacios de la Villa, cit. alla nota 26 (punto 72), e del 12 gennaio 2010, Petersen (C-341/08, Racc. pag. I-47, punto 70).

( 28 ) V. sul punto le mie conclusioni presentate nella causa Andersen, cit. alla nota 24 (paragrafo 68), nonché le mie conclusioni presentate il 2 ottobre 2012 nella causa Commissione/Ungheria (C-286/12, paragrafo 78).