CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 16 maggio 2013 ( 1 )

Causa C‑280/11 P

Consiglio dell’Unione europea

contro

Access Info Europe

«Impugnazione — Regolamento (CE) n. 1049/2001 — Diritto di accesso ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione — Condotta del Consiglio in “veste di legislatore” — Nota del Segretariato generale del Consiglio riguardante le proposte presentate in vista di una modifica dello stesso regolamento (CE) n. 1049/2001 — Rifiuto di divulgare l’identità degli Stati membri autori delle proposte»

1. 

Nella presente impugnazione si pone il problema se il Consiglio, in applicazione delle disposizioni del regolamento n. 1049/2001 ( 2 ), relativo all’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni, possa rifiutare di divulgare l’identità degli Stati membri che hanno presentato emendamenti nell’ambito di un procedimento legislativo di modifica proprio di detto regolamento.

2. 

Nella sentenza del 22 marzo 2011, Access Info Europe/Consiglio ( 3 ), il Tribunale ha risolto tale questione in senso negativo, determinando la proposizione della presente impugnazione da parte del Consiglio, e fornendo così alla Corte un’occasione per approfondire la giurisprudenza sull’eccezione alla divulgazione di un documento prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

3. 

Più concretamente, la presente causa offre alla Corte l’opportunità di definire, per la prima volta, il particolare sforzo di trasparenza che il regolamento n. 1049/2001 richiede da parte di un’istituzione quando agisce non solo in veste di legislatore – come accadeva nella causa Svezia e Turco/Consiglio – ( 4 ), ma nell’ambito di una stessa procedura legislativa.

I – Contesto normativo

4.

Il considerando 6 del regolamento n. 1049/2001 dichiara quanto segue:

«Si dovrebbe garantire un accesso più ampio ai documenti nei casi in cui le istituzioni agiscono in veste di legislatore, anche in base a competenze delegate, preservando nel contempo l’efficacia del loro processo di formazione delle decisioni. Nella più ampia misura possibile tali documenti dovrebbero essere resi direttamente accessibili».

5.

L’articolo 1, lettera a), di detto regolamento, stabilisce che quest’ultimo mira a «definire i principi, le condizioni e le limitazioni, per motivi di interesse pubblico o privato, che disciplinano il diritto di accesso ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (…) sancito dall’articolo 255 del Trattato CE in modo tale da garantire l’accesso più ampio possibile».

6.

A tenore dell’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1049/2001 «l’accesso a un documento contenente riflessioni per uso interno, facenti parte di discussioni e consultazioni preliminari in seno all’istituzione interessata, viene rifiutato anche una volta adottata la decisione, qualora la divulgazione del documento pregiudicherebbe seriamente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

II – Fatti

7.

La Access Info Europe (AIE) è un’associazione con sede a Madrid (Spagna) che, in data 3 dicembre 2008, chiedeva al Consiglio, in applicazione del regolamento n. 1049/2001, di avere accesso a una nota del 26 novembre 2008 indirizzata dal Segretariato generale del Consiglio al «gruppo di lavoro» istituito dal Consiglio nell’ambito del procedimento di modifica dello stesso regolamento n. 1049/2001. Tale nota (in prosieguo: il «documento richiesto») riunisce le diverse proposte di emendamento o di nuova redazione comunicate da vari Stati membri, ivi identificati, nell’ambito della riunione del gruppo di lavoro del 25 novembre 2008.

8.

Il 17 dicembre 2008 il Consiglio concedeva alla ricorrente un accesso parziale al documento richiesto, eliminando i riferimenti all’identità dello Stato membro autore di ciascuna proposta. Per giustificare il rifiuto di comunicare tale informazione, il Consiglio indicava che la sua divulgazione avrebbe pregiudicato gravemente il processo decisionale, e che essa non era giustificata da quell’interesse pubblico prevalente che consentirebbe di applicare l’eccezione al diritto di accesso ai documenti sancita dall’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

9.

Tale provvedimento veniva confermato con decisione del 26 febbraio 2009 (in prosieguo: la «decisione controversa»).

10.

Si deve tenere presente fin d’ora che una versione integrale del documento richiesto è stata divulgata lo stesso giorno dell’adozione di quest’ultimo (26 novembre 2008) sulla pagina web dell’organizzazione «Statewatch». Tale divulgazione non è stata preceduta da alcuna autorizzazione da parte del Consiglio, il quale sostiene che non ne era al corrente al momento di adottare la decisione controversa.

11.

La AIE ha proposto un ricorso di annullamento avverso la decisione controversa dinanzi al Tribunale.

III – La sentenza del Tribunale

12.

Detto ricorso di annullamento è stato accolto con sentenza del 22 marzo 2011. Dopo aver ricordato i principi che regolano l’accesso ai documenti (punti da 55 a 58), il Tribunale inizia la sua argomentazione dichiarando che un’eccezione alla divulgazione può essere giustificata solamente qualora risulti concretamente ed effettivamente leso l’interesse tutelato dall’eccezione (punti 59 e 60).

13.

Applicando tali principi alla controversia, il Tribunale esamina i motivi invocati dal Consiglio per giustificare il diniego dell’accesso. In primo luogo, il motivo relativo alla riduzione del margine di manovra delle delegazioni degli Stati membri se fosse stata resa pubblica la loro presa di posizione nei lavori preparatori, poiché ciò avrebbe potuto comportare l’esercizio di pressioni da parte dell’opinione pubblica, tali da limitare la libertà delle delegazioni. Al riguardo, il Tribunale risponde che il principio di legittimazione democratica implica l’assunzione della responsabilità dei propri atti, specialmente nell’ambito di una procedura legislativa (punti da 68 a 74).

14.

In secondo luogo, il Tribunale respinge l’argomento secondo cui il carattere preliminare delle discussioni in corso sarebbe determinante per apprezzare la gravità del rischio di pregiudizio al processo decisionale (punti 75 e 76).

15.

In terzo luogo, la sentenza impugnata esclude che possa tenersi conto della natura particolarmente sensibile delle proposte avanzate dalle delegazioni degli Stati membri. Si tratta di proposte di riforma del regolamento n. 1049/2001 che si inseriscono nella normale dinamica del processo legislativo democratico, il cui contenuto è pubblico, essendo controversa unicamente l’opportunità di conoscerne gli autori (punti 77 e 78).

16.

In quarto luogo, il Tribunale respinge l’argomento secondo cui la durata inconsueta del procedimento di riforma del regolamento n. 1049/2001 è dovuta alle difficoltà create dalla divulgazione non autorizzata dei documenti di lavoro (punto 79).

17.

Infine, e in relazione anche alla divulgazione non autorizzata, il Tribunale osserva che, in seguito a tale divulgazione, il Consiglio ha pubblicato un documento in cui, oltre a presentare le proposte di emendamento del regolamento, rivelava l’identità delle delegazioni (punti 82 e 83).

IV – L’impugnazione

18.

Il 31 maggio 2012 il Consiglio ha proposto un ricorso d’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale.

19.

Il ricorso di impugnazione si basa su tre motivi.

20.

Con il primo motivo, si contesta una presunta violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001. Secondo il Consiglio, il Tribunale non sarebbe riuscito a ponderare adeguatamente i diritti e gli interessi in conflitto.

21.

Il secondo motivo si riferisce a un presunto contrasto con la giurisprudenza della Corte in materia di accesso. A parere del Consiglio, il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto della dottrina che permette di invocare motivi di ordine generale per rifiutare la divulgazione di determinate categorie di documenti.

22.

Il terzo motivo di impugnazione, che si riferisce ad un presunto errore di diritto, si articola in tre parti. In primo luogo, si contesta che il Tribunale abbia richiesto la prova di un danno effettivo all’interesse tutelato dall’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001. In secondo luogo, si deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’importanza dello stato delle discussioni nel valutare il rischio di pregiudicare gravemente il processo decisionale, rappresentato dalla divulgazione dell’identità delle delegazioni. In terzo ed ultimo luogo, il Consiglio lamenta il fatto che non sia stato tenuto in considerazione il carattere sensibile del documento richiesto.

V – Procedimento dinanzi alla Corte

23.

Sono intervenuti e hanno presentato osservazioni scritte la AIE, i governi ceco, spagnolo e greco, nonché il Parlamento europeo; la AIE ha replicato agli interventi del Parlamento europeo e dei governi ceco e spagnolo, e il Consiglio ha replicato all’intervento del Parlamento europeo.

24.

All’udienza, tenutasi il 21 febbraio 2013, erano presenti il Consiglio, la AIE, i governi ceco, spagnolo, francese e greco nonché il Parlamento europeo.

25.

In relazione al primo motivo d’impugnazione, il Consiglio, sostenuto dai governi ceco, spagnolo, francese e greco, deduce che il Tribunale ha attribuito un peso eccessivo al principio di trasparenza a scapito delle esigenze collegate al principio di efficacia del procedimento legislativo del Consiglio, che richiede una grande flessibilità affinché gli Stati membri possano modificare le loro posizioni iniziali, massimizzando in tal modo la possibilità di raggiungere una posizione comune. In ogni caso, secondo i governi ceco, francese e spagnolo, l’accesso ai contenuti sostanziali del documento sarebbe sufficiente per garantire un dibattito democratico, non essendo necessario, a tal fine, rivelare l’identità delle delegazioni. A tali argomenti la AIE replica che il Consiglio, da un lato, riproduce la giurisprudenza della Corte e, dall’altro, critica i punti della sentenza impugnata che si limitano ad applicarla. Secondo l’opinione di tale associazione, che coincide con quella del Parlamento europeo, il Tribunale ha ponderato adeguatamente gli interessi in gioco.

26.

Per quanto riguarda il secondo motivo d’impugnazione, il Consiglio, con l’appoggio del governo greco, sostiene che la motivazione del Tribunale è in contrasto con la giurisprudenza, che permette di invocare considerazioni di ordine generale per rifiutare l’accesso a determinate categorie di documenti. La AIE, da parte sua, obietta che tale motivo d’impugnazione non si riferisce espressamente a nessun punto specifico della sentenza impugnata, e pertanto risulta irricevibile. In ogni caso, essa afferma, con il sostegno del Parlamento europeo, che il Consiglio non ha mai precisato qual’è la presunzione generale sulla quale si è basato il rifiuto dell’accesso, senza che esista una disposizione o un principio che permetta di giustificare una presunzione di riservatezza nel caso presente, tanto più in quanto si tratta di documenti che formano parte di un procedimento legislativo.

27.

Quanto al terzo motivo d’impugnazione, il Consiglio, sostenuto dai governi spagnolo e greco, contesta che gli sia stata richiesta (prima parte del motivo) la prova di un pregiudizio effettivo all’interesse tutelato dall’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, mentre sarebbe stato sufficiente, a suo parere, dimostrare il rischio di un pregiudizio. La AIE e il Parlamento europeo sostengono che il Tribunale non ha richiesto la prova di un pregiudizio effettivo, ma si è limitato ad esaminare se, come sosteneva lo stesso Consiglio, il processo fosse stato veramente messo a rischio a causa della divulgazione non autorizzata dell’identità delle delegazioni.

28.

Il Consiglio contesta altresì, con il sostegno dei governi francese e greco (seconda parte del motivo) il fatto che non si sia preso in considerazione lo stadio in cui si trovava la discussione al fine di valutare il rischio di un grave pregiudizio rappresentato dalla divulgazione dell’identità delle delegazioni. Secondo il Consiglio, nelle fasi iniziali è necessario lasciare alle delegazioni un ampio margine di negoziazione, affinché possano discutere senza la pressione dell’opinione pubblica. In proposito la AIE replica che tale argomento è irricevibile, poiché è stato presentato per la prima volta nel ricorso d’impugnazione. In ogni caso, secondo la AIE, la trasparenza è necessaria specialmente nelle prime fasi del procedimento, poiché il dibattito pubblico sarebbe inutile se venisse garantito solamente dopo che le delegazioni avessero raggiunto un compromesso. Tutto ciò fermo restando che l’identificazione delle delegazioni non deve ostacolare il cambiamento delle loro rispettive posizioni.

29.

Infine (terza parte del motivo), il Consiglio obietta che non è stato tenuto in considerazione il carattere sensibile del documento richiesto. Tale carattere deriverebbe dal fatto che le proposte delle delegazioni vertevano sulle eccezioni al principio di trasparenza da inserire nel nuovo regolamento, questione sulla quale si sono pronunciati recentemente i giudici dell’Unione e che è oggetto di discussione e di pressioni da parte dell’opinione pubblica. Prova di tale carattere sensibile sarebbero le difficoltà prodottesi durante il processo di modifica del regolamento, che ha subito ritardi a causa delle preoccupazioni indotte nelle delegazioni dal trapelamento dell’informazione richiesta, giacché è stato assai difficile per tali delegazioni allontanarsi dalle rispettive posizioni iniziali; ciò dimostrerebbe l’opportunità del rifiuto opposto dal Consiglio a consentire la sua divulgazione. Da parte sua, la AIE replica che il Tribunale non ha affermato che sono «sensibili» solamente le situazioni in cui viene messo in questione un interesse fondamentale dell’Unione o degli Stati membri, senza che, nel presente caso, il Consiglio abbia motivato in modo circostanziato il proprio rifiuto, che si riferiva, oltre tutto, non ad un parere giuridico, bensì a mere proposte di modifica di un progetto di legge. Peraltro, la AIE ritiene che, per il resto, tale parte del terzo motivo sia irricevibile, in quanto si limita a contestare la valutazione del Tribunale circa il carattere sensibile dell’informazione. In ogni caso, la AIE, con il sostegno del Parlamento europeo, adduce che è inerente alla stessa procedura legislativa il fatto di generare una discussione e di provocare pressioni, e che sono precisamente questi gli effetti della trasparenza e della democrazia. Infine, la AIE esclude che le informazioni trapelate siano state la causa delle difficoltà attraversate durante il procedimento di modifica del regolamento o che abbiano determinato cambiamenti del metodo di lavoro.

VI – Valutazione

A – I motivi di ricorso

30.

Sebbene il ricorso si articoli in tre motivi d’impugnazione, certo è che tutti i motivi deducono, con minime differenze di prospettiva, un solo argomento: l’erronea mancata applicazione dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

31.

Infatti, con il primo motivo si deduce che il Tribunale ha violato detta disposizione, in quanto non avrebbe debitamente ponderato i diritti e gli interessi in conflitto, ossia l’efficacia del procedimento decisionale e il diritto di accesso ai documenti. D’altra parte, il secondo motivo si basa sulla violazione della giurisprudenza del Tribunale in materia di accesso a determinate categorie di documenti. Infine, con il terzo motivo si invoca un errore di diritto, per il fatto che non sono state prese in considerazione alcune caratteristiche del documento richiesto e perché si è ritenuto che l’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, esigesse una prova determinata.

32.

In definitiva, tutti i motivi ruotano intorno alla correttezza ovvero all’erroneità dell’interpretazione data dal Tribunale al citato articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001. Ciononostante, mi atterrò all’articolazione del ricorso nei tre motivi suindicati, sebbene nell’analisi di tali motivi mi gioverò, all’occorrenza e per esigenze di economia, della tecnica del rinvio.

B – Dubbi sulla ricevibilità di alcuni motivi di impugnazione

33.

Senza arrivare a sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità, la AIE ha fatto notare che alcuni motivi di impugnazione potrebbero essere giudicati irricevibili, in quanto non indicano con precisione i punti controversi della sentenza impugnata. Sarebbe il caso dei primi due motivi, con i quali, secondo la AIE, il Consiglio si limita a criticare genericamente la sentenza del Tribunale senza riferirsi espressamente a nessun punto in particolare della stessa. D’altra parte, in relazione alla seconda parte del terzo motivo di impugnazione, la AIE sostiene che il Consiglio, da un canto, non ha precisato in cosa consistono le asserite specificità del suo procedimento decisionale e, dall’altro, solleverebbe ora, per la prima volta, l’argomento del mutamento di posizione delle delegazioni nel corso del procedimento decisionale. Peraltro, la AIE sostiene altresì che, in una certa misura, alcune argomentazioni del Consiglio implicano la richiesta che il Tribunale valuti nuovamente i fatti discussi in primo grado, in particolare per quanto si riferisce alla valutazione del carattere sensibile del documento richiesto e delle ragioni che avrebbero giustificato una durata inusuale del procedimento legislativo in corso.

34.

Ciononostante, nei limiti in cui, come ho appena detto, i tre motivi di impugnazione si riducono sostanzialmente ad uno, ritengo che non occorra dichiarare formalmente irricevibile nessuno di essi. Sarà sufficiente riflettere eventualmente sulle carenze sia degli argomenti che vengono presentati ora per la prima volta sia degli argomenti che, snaturando il senso del procedimento d’impugnazione, presuppongono un riesame dei fatti.

C – Nel merito

1. Primo motivo di impugnazione

35.

Il Consiglio deduce anzitutto che la sentenza impugnata ha violato l’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, nei limiti in cui il Tribunale non avrebbe ponderato adeguatamente i diritti e gli interessi in conflitto.

36.

La censura del Consiglio si basa fondamentalmente sul fatto che il Tribunale ha fatto prevalere il principio di trasparenza sul principio relativo all’efficacia del processo decisionale del Consiglio, negando che tale processo esiga la garanzia di un margine di negoziazione che è incompatibile con il grado di trasparenza richiesto dal Tribunale.

37.

La risposta al primo motivo d’impugnazione mi impone di svolgere alcune considerazioni di principio sul processo decisionale del Consiglio quando questo agisce in veste di legislatore. La circostanza che il Consiglio prenda parte ad una procedura di carattere legislativo non può non condizionare il modus operandi di tale istituzione, che è generalmente quello di un’istituzione intergovernativa.

a) Il Consiglio nell’esercizio del suo «potere legislativo»

38.

I fatti all’origine della controversia sono anteriori rispetto all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, con cui tale Trattato ha rafforzato la dimensione «legislativa» dei poteri del Consiglio, quale organo storicamente generatore per eccellenza del diritto dell’Unione. Non ci troviamo quindi dinanzi ad un caso di applicazione dell’articolo 289 TFUE, che ora definisce in cosa «consiste» la procedura legislativa e pertanto in quali casi le istituzioni agiscono in veste di legislatore. Questione sulla quale, di conseguenza, le stesse istituzioni non esercitano alcun potere discrezionale e che sfugge all’arbitrarietà del significato che potrebbe essere attribuito in ciascun caso specifico al rinvio operato dal Trattato CE alle procedure disciplinate dai suoi articoli 251 e 252, nessuna delle quali viene qualificata come«legislativa» ( 5 ).

39.

E, tuttavia, il processo di «interiorizzazione» delle categorie, della logica e della concezione di «legislativo» era già iniziato ed era presente ancor prima di Lisbona. Infatti, già a partire dal Trattato di Amsterdam la categoria del «legislativo» aveva trovato spazio nel linguaggio dell’Unione. Infatti, l’articolo 207, paragrafo 3, secondo comma, TCE già obbligava il Consiglio a definire «i casi in cui si deve considerare che esso deliberi in qualità di legislatore» ( 6 ), e ciò precisamente per consentire l’esercizio del diritto di accesso ai documenti, garantito dall’articolo 255, paragrafo 1, TCE. È assai indicativo, a mio giudizio, che nel Trattato di Amsterdam siano confluite la consacrazione del diritto di accesso ai documenti delle istituzioni, da un lato, e la speciale considerazione per la «qualità di legislatore» del Consiglio, dall’altro. E che, inoltre, tale convergenza sia avvenuta in maniera tale che l’esercizio delle funzioni di «legislatore» si configuri giustamente come un contesto qualificato per l’esercizio del diritto di accesso, rendendo giustizia in tal modo all’intimo nesso di principio che vincola le procedure legislative ai principi di pubblicità e di trasparenza ( 7 ).

40.

Pertanto, il progresso evidente rappresentato dal Trattato di Lisbona in quest’ambito non può farci ignorare che il «linguaggio» – se così vogliamo dire – della «legislazione» non è una primizia di tale Trattato. Il diritto primario anteriore incorporava con una relativa spontaneità detto linguaggio, comprese quindi le sue implicazioni semantiche.

41.

D’altro canto, sul piano del diritto derivato, si deve osservare che proprio il regolamento n. 1049/2001, nel considerando 6, si riferisce all’obbligo di «garantire un accesso più ampio ai documenti nei casi in cui le istituzioni agiscono in veste di legislatore». E la fattispecie che ci occupa al presente è uno di questi casi, come si desume dall’articolo 7 del regolamento interno del Consiglio vigente all’epoca in cui si sono verificati i fatti rilevanti per il presente procedimento ( 8 ), in virtù del quale «[i]l Consiglio agisce in qualità di legislatore a norma dell’articolo 207, paragrafo 3, secondo comma, del Trattato CE, quando adotta norme giuridicamente vincolanti negli o per gli Stati membri, per mezzo di regolamenti, di direttive, di decisioni quadro o di decisioni, sulla base delle pertinenti disposizioni dei trattati (…)».

42.

Sulla base di quanto precede non è difficile concludere che, nonostante le differenze che possono esistere tra la legge nazionale e la «legge» dell’Unione o tra il legislatore degli Stati membri ed il «legislatore» dell’Unione, la «procedura legislativa» imposta al Consiglio dall’articolo 289 TFUE per adottare i suoi regolamenti (e la procedura osservata dal Consiglio in veste di «legislatore» ex articolo 207 del Trattato CE) è concettualmente assai prossima alla «procedura legislativa» nazionale dal punto di vista della ratio, e quindi dei principi che devono ispirarla. In definitiva, entrambe le procedure rispondono alla necessità di soddisfare le esigenze ineludibili della legittimazione democratica ( 9 ).

43.

Pertanto, la procedura normativa che è all’origine della presente impugnazione dovrebbe essere considerata «legislativa» secondo l’accezione propria e precisa del diritto pubblico di matrice statale. Ciò che rileva al riguardo è che in esito a tale procedura si produca una norma che, per le sue qualità (portata generale, obbligatorietà, capacità di prevalere sulle leggi nazionali – adottate da autorità effettivamente democratiche) richiede un determinato livello di legittimazione democratica, che può derivare unicamente da una procedura basata sui principi che tradizionalmente hanno disciplinato il modus procedendi degli organi legislativi nazionali con carattere rappresentativo.

b) La nota del Segretariato generale del Consiglio indirizzata al gruppo di lavoro. Contenuto e portata. Un documento interno?

44.

Dopo aver precisato la portata dell’espressione «procedura legislativa» dobbiamo procedere ad esaminare la natura che, nella presente causa, deve attribuirsi al documento che il Consiglio non ha inteso fornire alla AIE nella versione integrale, comprensiva di tutti i suoi elementi.

45.

Come è constatato al punto 6 della sentenza impugnata, si tratta di «una nota (…) indirizzata dal Segretariato generale del Consiglio al gruppo di lavoro sull’informazione istituito dal Consiglio, riguardante la proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione». Tale documento, aggiunge il Tribunale, «riunisce le proposte di emendamento o di nuova redazione comunicate da vari Stati membri nel corso della riunione del gruppo di lavoro del 25 novembre 2008».

46.

Come ha spiegato lo stesso Consiglio nella sua memoria ( 10 ), la nota in questione si inserisce nell’ambito della procedura osservata dal Consiglio quando è investito di un «dossier legislativo» ( 11 ), conformemente al regolamento interno del Consiglio vigente in tale momento.

47.

Ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento interno, i punti iscritti nell’ordine del giorno di una sessione del Consiglio «sono oggetto di un esame preliminare del Coreper, salvo decisione contraria di quest’ultimo. Il Coreper cerca di trovare un accordo al proprio livello, che sarà sottoposto all’adozione del Consiglio. Esso provvede a un’adeguata presentazione dei fascicoli al Consiglio cui eventualmente sottopone orientamenti, opzioni o proposte di soluzione». Analogamente, e in conformità al paragrafo 3 della medesima disposizione «[s]u iniziativa o con l’avallo del Coreper possono essere istituiti comitati o gruppi di lavoro per assolvere certi compiti di preparazione o di studio preventivamente definiti».

48.

La nota controversa era un documento elaborato da uno dei «gruppi di lavoro» menzionati dall’articolo 19, paragrafo 3, del regolamento interno ( 12 ), il cosiddetto «gruppo di lavoro sull’informazione», istituito dal Consiglio, che riuniva «le proposte di emendamento o di nuova redazione comunicate da vari Stati membri» nel corso di una riunione del gruppo di lavoro avente ad oggetto l’esame della proposta di modifica del regolamento n. 1049/2001 presentata dalla Commissione ( 13 ). Si trattava quindi di un documento «di lavoro», contenente le proposte presentate da vari Stati membri all’interno del gruppo di lavoro istituito per preparare la decisione ultima del Consiglio in merito alla proposta di modifica del regolamento n. 1049/2001 presentata dalla Commissione.

49.

Come si può facilmente intuire, tale «nota» contiene l’equivalente di quelli che sarebbero gli «emendamenti» in una procedura legislativa nazionale. È pur vero che, trattandosi di un documento elaborato in seno ad un organismo che, nella terminologia del Consiglio, viene denominato un «gruppo di lavoro» istituito allo scopo di preparare una decisione ultima del Consiglio, si potrebbe anche parlare di «un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione», come recita l’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. O perfino di «un documento contenente riflessioni per uso interno, facenti parte di discussioni e consultazioni preliminari in seno all’istituzione interessata», come prevede il secondo comma dello stesso articolo 4, paragrafo 3.

50.

Orbene, tale «uso interno» si effettua nell’ambito di una procedura legislativa ( 14 ) pur se in una fase iniziale, ma in definitiva altrettanto «legislativa» quanto tutte le fasi che compongono, nel loro insieme, il procedimento di elaborazione di una norma come quella che, eventualmente, potrebbe modificare il regolamento n. 1049/2001.

51.

Si deve tenere presente che il tenore del regolamento n. 1049/2001, laddove nella descrizione della portata dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, compare l’espressione «riflessioni per uso interno», risulta inadeguato nel momento in cui si riferisce alla procedura «legislativa». Si potrebbe anche sostenere che, nell’ambito di una procedura legislativa, non esistono «riflessioni interne»; fino a tal punto, la pubblicità è inerente al modus operandi del legislatore. Assai diverso è il caso delle procedure che precedono quella legislativa propriamente detta, come accadeva nella citata causa Svezia e Turco/Consiglio, come ho già indicato.

52.

Con ciò non si vuole giungere ad affermare che l’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, sia a priori inapplicabile alle istituzioni quando agiscono nella veste propriamente detta di legislatore, ma piuttosto che il rapporto dialettico tra il «pregiudizio grave» (l’eccezione) e l’«interesse pubblico prevalente» (deroga all’eccezione) risulta in un certo senso «sbilanciato» a favore di quest’ultimo.

53.

Inoltre, non si tratta, come nella citata causa Svezia e Turco/Consiglio, del documento di un servizio giuridico o di un organo di carattere tecnico oppure amministrativo, bensì di informazioni relative alla posizione degli Stati membri in relazione ad una proposta di riforma legislativa. Si tratta invece di un documento contenente informazioni di carattere politico materialmente elaborato dagli stessi Stati membri che, in un momento successivo, devono adottare una decisione in seno al Consiglio. In tal senso non c’è pertanto un’alterità, in termini politici o materiali, tra i soggetti proponenti in seno al gruppo di lavoro e i soggetti che decidono come membri del Consiglio.

54.

In definitiva, mi sembra chiaro che ci troviamo nel caso indicato nel considerando 6 del regolamento n. 1049/2001, in virtù del quale «[s]i dovrebbe garantire un accesso più ampio ai documenti nei casi in cui le istituzioni agiscono in veste di legislatore», come ha ricordato la Corte nella causa Svezia e Turco/Consiglio ( 15 ).

55.

«Accesso più ampio» non significa tuttavia «accesso totale», poiché, quando si parla di garantire l’«accesso nella più ampia misura possibile», si sta già indicando che non si richiede necessariamente e in ogni caso un accesso incondizionato. Ciò significa piuttosto che le eccezioni previste dal regolamento n. 1049/2001 devono essere oggetto di un’interpretazione particolarmente attenta alle esigenze che sono imposte dalla stessa natura dell’attività svolta, in questo caso, dal Consiglio.

56.

Tale restrizione, tuttavia, non può arrivare all’estremo stabilito nelle «linee direttrici» seguite dal Consiglio nell’applicazione del regolamento n. 1049/2001 e alle quali tale istituzione ha fatto riferimento nei punti da 16 a 25 del ricorso d’impugnazione. In base a tali «linee direttrici» risulta che il Consiglio nega, in linea di principio, la divulgazione dell’identità delle delegazioni interessate che compaiono in qualsiasi documento sul quale detta istituzione non abbia ancora adottato una decisione. Per le ragioni che espongo di seguito, ritengo che l’applicazione indiscriminata di tale regola, senza prendere in considerazione la natura del procedimento in cui s’inserisce il documento richiesto, non sia compatibile con il significato e con gli obiettivi del regolamento n. 1049/2001.

c) La valutazione del Tribunale in merito agli interessi contrapposti

57.

Contrariamente a quanto sostiene il Consiglio con il suo argomento principale, ritengo che la sentenza impugnata abbia ponderato correttamente i diritti e gli interessi contrapposti, ossia l’efficacia della procedura decisionale, da un lato, e il diritto di accesso, dall’altro, nel concludere che non fosse applicabile l’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

58.

Conviene circoscrivere la questione in esame entro giusti limiti e quindi tenere presente che il Consiglio ha concesso la divulgazione di tutta la documentazione richiesta dalla AIE, «tranne» i dati riguardanti l’identità degli Stati membri. In tal senso si deve riconoscere che il Consiglio si è sforzato per rendere il suo operato più trasparente, in particolare quando agisce in veste di legislatore. La questione da risolvere, tuttavia, è se tale sforzo sia stato sufficiente.

59.

In termini più sostanziali, la questione di cui si discute è pertanto la seguente: se l’identità degli Stati membri che hanno presentato «emendamenti» nell’ambito di una «procedura legislativa» costituisca un’informazione che può essere rifiutata in virtù dell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

60.

La risposta a tale questione è, a mio avviso, negativa.

61.

Secondo me, non si può che concordare con il giudizio del Tribunale e sostenere che la conoscenza dell’identità degli Stati membri che hanno difeso le diverse proposte discusse durante i lavori di riforma del regolamento n. 1049/2001 costituisce un elemento di giudizio minimo e imprescindibile per poter soddisfare l’esigenza di responsabilità politica sentita dai destinatari della futura normativa. Proprio per tale motivo l’accesso a tale informazione è immediatamente necessario a soddisfare il fine ultimo sotteso alla procedura legislativa, e cioè la legittimazione democratica delle norme che scaturiscono da tale procedura.

62.

Riconosco che il Consiglio ha ragione nel sottolineare che la divulgazione di tale dato può ostacolare la strategia di negoziato dei membri del Consiglio e, in tal senso, pregiudicare l’efficacia del processo decisionale. Il punto è, tuttavia, che tale argomento perde definitivamente forza quando smette di riferirsi all’azione del Consiglio in ambiti diversi da quello normativo. Quando, come nel caso di specie, il Consiglio agisce in «qualità di legislatore», tale argomento, che non è di per sé affatto illegittimo, non può diventare determinante nel contesto dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

63.

«Legiferare» indica per definizione un’attività normativa che in una società democratica può essere svolta soltanto attraverso una procedura di carattere pubblico e, in tal senso, «trasparente». Altrimenti sarebbe impossibile considerare la «legge» come un’espressione della volontà di coloro che devono rispettarla, ossia il fondamento stesso della loro legittimazione come mandato incontestabile. In una democrazia rappresentativa, nozione che deve essere applicabile all’Unione, la procedura legislativa deve essere accessibile alla conoscenza dei cittadini, poiché se così non fosse questi ultimi non sarebbero in grado di esigere da parte dei loro rappresentanti la responsabilità politica di cui sono diventati creditori con il mandato elettorale.

64.

Nell’ambito di tale procedura pubblica, la trasparenza svolge quindi una funzione specifica, diversa, in un certo senso, da quella che svolge nell’ambito dei procedimenti amministrativi. Se in questi ultimi la trasparenza mira a garantire, in particolare, la subordinazione dell’amministrazione all’imperio della legge, nella procedura legislativa la trasparenza serve a legittimare la legge stessa e pertanto, con essa, l’ordinamento nel suo insieme.

65.

Si potrebbe perfino affermare che l’aspetto che il Consiglio considera seriamente pregiudizievole per il suo processo decisionale diventa la miglior garanzia per il corretto svolgimento della procedura legislativa cui detta istituzione sta partecipando nel presente caso. In altre parole, è la limitazione della trasparenza che, in un caso come quello di specie, potrebbe pregiudicare la procedura prevista per la modifica di un regolamento come il n. 1049/2001.

66.

Nella stessa linea di ragionamento del Tribunale, si può replicare al Consiglio che gli inconvenienti, in termini di efficacia, per la negoziazione e l’adozione di decisioni, derivanti dall’esigenza di trasparenza, potrebbero forse giustificare il sacrificio di quest’ultima allorché il Consiglio agisce in veste di istituzione intergovernativa e nell’esercizio di funzioni di questa stessa natura, ma in nessun caso quando interviene in una procedura legislativa. In altri termini, la trasparenza può sembrare obiettivamente un inconveniente nell’ambito di un «negoziato» tra Stati membri, ma non nel corso di una «deliberazione» tra soggetti che devono definire il contenuto di una disposizione «di legge». Se nel primo caso l’interesse preminente può essere, per i singoli Stati, quello proprio, nella seconda ipotesi deve prevalere l’interesse dell’Unione, ossia un interesse condiviso, basato sulla realizzazione dei principi che ne costituiscono il fondamento, tra cui il principio democratico ( 16 ).

67.

Per quanto anche nell’esercizio della funzione legislativa la trasparenza possa rappresentare un inconveniente, è opportuno ricordare che non è mai stato sostenuto che la democrazia renda più «facile» l’attività legislativa, se con il termine «facile» s’intende «sottratta all’opinione pubblica», nella misura in cui il controllo di quest’ultima implica un serio condizionamento per i protagonisti del processo di formazione delle leggi.

68.

Come ha dichiarato la Corte «la possibilità per i cittadini di conoscere il fondamento dell’azione legislativa è condizione per l’esercizio effettivo, da parte di questi ultimi, dei loro diritti democratici» ( 17 ). E tale conoscenza presuppone il controllo da parte dei cittadini di «tutte le informazioni che hanno costituito il fondamento di un atto legislativo» ( 18 ). Di conseguenza, nascondere all’opinione pubblica l’identità degli autori delle proposte discusse nell’ambito di una fase della procedura legislativa significa privare il cittadino di un elemento di giudizio necessario per l’esercizio effettivo di un diritto democratico fondamentale, come la possibilità effettiva di far valere la responsabilità politica dei protagonisti del processo di formazione della volontà popolare che si concretizza in una norma di diritto.

69.

Dobbiamo ripetere ancora una volta che gli Stati membri che prendono parte ad una procedura legislativa dell’Unione in seno ad una delle istituzioni di quest’ultima sono idealmente assai più vicini alla figura del legislatore nazionale che non a quella dell’ente sovrano protagonista delle relazioni disciplinate dal diritto internazionale. La logica della discrezione e perfino della segretezza, giustificabile nel gioco delle relazioni tra enti sovrani, è fuori luogo nell’ambito dell’Unione che, al riguardo, anzitutto aspira a divenire, in maniera progressiva, una comunità fondata sui principi dello Stato di diritto e della democrazia.

70.

In tale contesto, se è pur vero che il Consiglio ha trasmesso alla AIE tutta l’informazione richiesta, salvo l’identità degli autori delle proposte, non si può considerare tale comportamento sufficiente al fine di soddisfare il principio di trasparenza. La AIE ha potuto effettivamente conoscere le «opinioni» degli Stati membri, ma non l’identità degli Stati che le hanno formulate. Certamente, un’opinione può perfettamente avere un proprio valore sul piano del dibattito intellettuale, ma in un contesto politico vale altresì e soprattutto nei limiti in cui è l’opinione di un soggetto determinato.

71.

Per tale ragione non è condivisibile la tesi dei governi ceco, francese e spagnolo nel senso che la trasparenza, e pertanto la discussione democratica, sarebbero garantite attraverso l’accesso al mero contenuto materiale del documento. Tale accesso semmai garantisce in astratto la discussione sulle proposte esaminate, ma, in ogni caso, senza il valore aggiunto apportato dall’identità dei soggetti che difendono o criticano tali proposte. Il dibattito politico democratico è soprattutto un dibattito tra soggetti responsabili; e per far valere la responsabilità si deve inevitabilmente conoscere l’identità dei soggetti partecipanti al dibattito e, in particolare, i termini in cui vi partecipano.

72.

Come afferma giustamente il Tribunale al punto 69 della sentenza impugnata, «in un sistema fondato sul principio della legittimità democratica», gli autori delle proposte elaborate «nell’ambito di una procedura in cui le istituzioni agiscono in qualità di legislatore»«devono (…) rispondere dei loro atti nei confronti del pubblico» e devono pertanto essere noti. Gli effetti pregiudizievoli invocati al riguardo dal Consiglio denotano piuttosto, come osserva giustamente il Tribunale ai punti da 70 a 72 della sentenza impugnata, un preconcetto non adeguatamente motivato in ordine all’incapacità dei cittadini e delle istituzioni di comprendere adeguatamente il significato profondo del dibattito democratico e, in concreto, la naturalezza del mutamento di posizioni e strategie come frutto, precisamente, della discussione razionale tra soggetti responsabili.

73.

Per concludere, il Tribunale ha ponderato adeguatamente i diritti e gli interessi contrapposti, ragion per cui occorre respingere il primo motivo di impugnazione.

2. Secondo motivo di impugnazione

74.

Con il secondo motivo di impugnazione il Consiglio contesta la violazione della giurisprudenza della Corte che permette di invocare «considerazioni di ordine generale» per negare la divulgazione di determinate categorie di documenti ( 19 ).

75.

Certamente, la summenzionata dottrina della Corte ammette la presunzione, riguardo a determinate categorie di documenti, che, in linea di principio, la divulgazione di questi ultimi possa pregiudicare il procedimento in cui si inseriscono. In ogni caso, tale presunzione poggia sulla premessa che il procedimento in questione stabilisca un regime ad hoc per l’accesso a tali documenti. L’esistenza di tale regime permette di presumere che, in via di principio, la divulgazione di detti documenti potrebbe pregiudicare l’obiettivo perseguito dal procedimento in cui i documenti in questione si inseriscono.

76.

Non si tratta in alcun caso di una presunzione iuris et de iure, giacché «[t]ale presunzione generale non esclude il diritto per [gli] interessati» (ossia per coloro che non hanno diritto di accesso alla documentazione nell’ambito del procedimento di controllo) «di dimostrare che un dato documento (…) non rientra nella detta presunzione o che sussiste un interesse pubblico prevalente atto a giustificare la divulgazione del documento in questione» ( 20 ).

77.

Tuttavia, nella fattispecie, sebbene il Consiglio abbia invocato dinanzi al Tribunale l’esistenza di una presunzione generale favorevole alla non divulgazione dell’identità degli Stati membri, come aveva invece richiesto la AIE, certo è che la giustificazione effettivamente addotta da tale istituzione, come risulta dal punto 49 del ricorso d’impugnazione, si riferiva al fatto che il documento richiesto riguardava questioni particolarmente sensibili e che il processo decisionale si trovava in una fase iniziale, per cui la divulgazione delle informazioni richieste avrebbe potuto ostacolare seriamente il processo decisionale.

78.

A mio giudizio, quanto precede non dimostra che è stata invocata l’esistenza di un regime specifico di accesso, diverso da quello contemplato nel regolamento n. 1049/2001, ma piuttosto che sono stati addotti motivi per giustificare, nella pratica, il diniego dell’accesso alle informazioni richieste. Motivi ai quali, secondo il mio parere, il Tribunale ha replicato in modo razionale e sufficiente ai punti da 68 a 78 della sentenza impugnata, sottolineando più volte il carattere eccessivamente astratto degli argomenti del Consiglio. Su tale punto si deve concordare, secondo me, con il parere della AIE in ordine all’inaccettabilità di un motivo di impugnazione con cui, in realtà, si chiede alla Corte di rivedere la valutazione dei fatti effettuata dal Tribunale.

3. Terzo motivo di impugnazione

79.

Invocando un presunto errore di diritto, il Consiglio articola in tre parti il terzo ed ultimo motivo di impugnazione.

80.

In primo luogo, il Consiglio sostiene che il Tribunale ha indebitamente richiesto la prova di un pregiudizio effettivo all’interesse tutelato dall’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001. Secondo il mio parere, tale censura è ingiustificata. Lungi dall’aver richiesto una prova del genere, il Tribunale si è limitato a replicare agli argomenti con cui il Consiglio ha preteso dimostrare, precisamente, che la divulgazione dell’identità degli Stati membri aveva pregiudicato il processo decisionale.

81.

Difatti, laddove, ai punti 73 e 74 della sentenza impugnata, il Tribunale afferma, secondo quanto riporta il Consiglio al punto 57 del ricorso, che il contenuto di una discussione svoltasi tra i rappresentanti di un governo e una commissione parlamentare non permette di identificare un pericolo per il processo decisionale, il Tribunale in realtà replica all’affermazione dello stesso Consiglio nel senso che la divulgazione non autorizzata dell’identità degli Stati membri da parte di Statewatch aveva effettivamente pregiudicato il processo decisionale. Pertanto, il Tribunale si è spostato sul piano della concretezza solamente perché il Consiglio lo ha invitato a farlo.

82.

Con la seconda parte del motivo, il Consiglio deduce che la sentenza impugnata non ha tenuto in considerazione l’importanza dello stato delle discussioni al fine di valutare il rischio che la divulgazione dell’identità delle delegazioni pregiudicasse gravemente il processo decisionale.

83.

Fatte salve le motivazioni esposte dal Tribunale nei punti 75 e 76 della sentenza impugnata, ritengo sufficiente rinviare alla considerazione svolta al paragrafo 50 delle presenti conclusioni, nel senso che la logica dei principi che reggono la procedura legislativa deve essere ugualmente estesa a tutte le singole fasi che la compongono.

84.

In terzo ed ultimo luogo, il Consiglio sostiene che non si è tenuto conto del carattere sensibile del documento richiesto. In proposito, oltre a rinviare nuovamente alle considerazioni generali che ho esposto nei precedenti paragrafi da 63 a 71, ritengo sufficiente segnalare che, di nuovo, le censure del Consiglio indicano semplicemente una divergenza con la valutazione dei fatti realizzata dal Tribunale.

85.

Per tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di respingere anche i restanti motivi di impugnazione.

VII – Sulle spese

86.

Conformemente all’articolo 184, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, propongo alla Corte di condannare il Consiglio alle spese.

VIII – Conclusioni

87.

Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di pronunciarsi nei seguenti termini:

1)

Respingere il ricorso.

2)

Condannare il Consiglio alle spese.


( 1 ) Lingua originale: lo spagnolo.

( 2 ) Regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43).

( 3 ) Causa T‑233/09.

( 4 ) Sentenza del 1o luglio 2008, C-39/05 e C-52/05 (Racc. pag. I-4723). Il documento controverso in tale causa era un parere del Servizio giuridico del Consiglio concernente una proposta di direttiva del Consiglio stesso. Si trattava pertanto di un documento di carattere interno, precedente rispetto all’iter legislativo.

( 5 ) In tal senso, si può affermare che, con il riferimento a categorie così significative come quella di «procedura legislativa» (articolo 289 TFUE), il Trattato di Lisbona attrae verso di sé l’intero contenuto concettuale evocato con tale tipo di espressioni. Quando il Consiglio elabora o partecipa all’elaborazione di norme di portata generale, obbligatorie e direttamente applicabili (articolo 288 TFUE), crea nel diritto dell’Unione l’equivalente normativo del diritto nazionale. Poiché i Trattati prevedono che tale tipo di norme vengano elaborate attraverso una procedura cosiddetta «legislativa» (articolo 289 TFUE), dobbiamo concludere che detta procedura deve ispirarsi ai principi che caratterizzano lo stesso tipo di procedura negli ordinamenti nazionali. In generale, sulle procedure del Consiglio e sulla relativa organizzazione interna dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona v. Lenaerts, K., e van Nuffel, P., European Union Law, 3a ed., 2011, punti da 13‑047 a 13‑060.

( 6 ) Il corsivo è mio.

( 7 ) Sulla genesi della costruzione del diritto di accesso nell’ambito dell’Unione europea v. Guichot, E., «Transparencia y acceso a la información en el Derecho europeo», Cuadernos Universitarios de Derecho Administrativo, Editorial Derecho Global, Siviglia, 2011, pagg. da 77 a 104.

( 8 ) Approvato con decisione del Consiglio n. 2006/683/CE, del 15 settembre 2006 (GU L 285, pag. 47).

( 9 ) In tal senso, v. sentenza Svezia e Turco/Consiglio, cit. (punto 46).

( 10 ) V. punti da 10 a 20.

( 11 ) Ibidem, punto 11.

( 12 ) Disposizione che autorizza l’istituzione di «comitati o gruppi di lavoro su iniziativa o con l’avallo del Coreper (…) per assolvere certi compiti di preparazione o di studio preventivamente definiti»; a termini dello stesso articolo 19, paragrafo 5, le riunioni di detti comitati o gruppi di lavoro «sono presiedute da un delegato dello Stato membro incaricato di assicurare la presidenza [delle] sessioni del Consiglio» che vengono preparate caso per caso.

( 13 ) COM (2011) 137.

( 14 ) Poiché, in effetti, ricorre il caso previsto dall’articolo 7 del regolamento interno citato al paragrafo 41: «Il Consiglio agisce in qualità di legislatore (…) quando adotta norme giuridicamente vincolanti negli o per gli Stati membri, per mezzo di regolamenti, di direttive (…)».

( 15 ) Cit. al paragrafo 46. Nello stesso senso si è espresso il Tribunale al punto 69 della sentenza impugnata.

( 16 ) Curtin, D., «Judging EU secrecy», Cahiers de Droit Européen 2/2012, Bruylant, pagg. da 459 a 490, in particolare pag. 461, si riferisce al peso che tuttora mantiene, all’interno dell’Unione, il ricordo dei giorni in cui quest’ultima era governata dalla «diplomazia» e non dalla «democrazia».

( 17 ) Sentenza Svezia e Turco/Consiglio, cit., punto 46.

( 18 ) Ibidem.

( 19 ) V. sentenza Svezia e Turco/Consiglio, cit. (punto 50); v., inoltre, sentenze del 29 giugno 2010, Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau (C-139/07 P, Racc. pag. I-5885, punto 54), e del 21 luglio 2011, Svezia/My Travel e Commissione (C-506/08 P, Racc. pag. I-6237, punto 74).

( 20 ) Sentenza Commissione/Technische Glaswerk Ilmenau, cit., punto 62.