CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 14 aprile 2011 (1)

Causa C‑186/10

Tural Oguz

contro

Secretary of State for the Home Department

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Court of Appeal of England and Wales, (Regno Unito)]

«Accordo di associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia – Art. 41, n. 1, del protocollo addizionale – Clausola di «standstill» − Validità − Divieto per gli Stati membri di introdurre nuove restrizioni all’ammissione nel loro territorio di cittadini turchi che intendono ivi avvalersi della libertà di stabilimento – Abuso di diritto»





I –    Introduzione

1.        Il caso in esame riguarda l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale all’Accordo di associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia. Esso prevede una clausola di «standstill» che vieta alle parti contraenti di introdurre, dopo il 1° gennaio 1973, nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

2.        Il ricorrente nella causa principale richiedeva nel 2008 un’autorizzazione per avviare un’attività autonoma nel Regno Unito. Nel fare ciò egli si basava non sulle norme attuali, ma su quelle – più favorevoli – vigenti nell’anno di riferimento, il 1973. Le autorità competenti gli impedivano di avvalersi della clausola di «standstill» con il richiamo al principio dell’abuso di diritto, in quanto il ricorrente aveva violato, prima della presentazione dell’istanza, una condizione del permesso di soggiorno precedentemente ottenuto.

3.        Avendo la Corte già preso posizione sul contenuto e sulla portata della clausola di «standstill» prevista dall’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale (2), il caso in esame le offre la possibilità di precisare quando possa essere negato il beneficio della clausola di «standstill».

II – Contesto normativo

A –    L’Accordo di associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia

4.        Il 12 settembre 1963 la Repubblica di Turchia, da un lato, e la Comunità economica europea, nonché i suoi Stati membri, dall’altro, hanno firmato ad Ankara l’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia. Detto Accordo è stato concluso, approvato e ratificato a nome della Comunità con la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (3). In conformità al suo art. 2, n. 1, esso ha lo scopo di promuovere il rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, incluso il settore della manodopera, attraverso la progressiva realizzazione della libera circolazione dei lavoratori, nonché mediante l’eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, allo scopo di elevare il tenore di vita del popolo turco e di facilitare successivamente l’adesione della Repubblica di Turchia alla Comunità (4).

5.        Il Protocollo addizionale firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 e concluso, approvato e ratificato a nome della Comunità con regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (5), che, ai sensi del suo art. 62, costituisce parte integrante dell’Accordo di associazione, stabilisce, all’art. 1, le condizioni, le modalità e i ritmi di realizzazione della fase transitoria prevista dall’art. 4 del detto Accordo. Esso comprende un titolo II, intitolato «Circolazione delle persone e dei servizi», il cui capitolo II riguarda «diritto di stabilimento, servizi e trasporti».

6.        L’art. 41 del Protocollo addizionale, che figura nel capitolo II del titolo II, è così formulato:

«1. Le Parti Contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

2. (…)».

B –    Diritto nazionale

7.        Le norme sull’immigrazione in vigore al 1° gennaio 1973 nel Regno Unito relative alla proroga del permesso di soggiorno erano enunciate nello Statement of Immigration Rules for Control after Entry (norme in materia di immigrazione relative ai controlli successivi all’ingresso; House of Commons paper 510).

8.        Le norme in materia di immigrazione sono state da allora modificate e sostituite molte volte nel corso degli anni. Le norme in vigore alla data della decisione con cui il convenuto nella causa principale ha negato al ricorrente il permesso di soggiorno (21 ottobre 2008) erano contenute nella House of Commons Paper 395 (in prosieguo: l’«HC 395»).

9.        Il giudice del rinvio rileva – sul punto anche le parti sono d’accordo – che le norme in materia di immigrazione in vigore nel Regno Unito nell’ottobre del 2008 riguardanti lo stabilimento in detto Stato membro ai fini dell’avvio di un’attività lavorativa autonoma risultano più restrittive di quelle in vigore il 1° gennaio 1973.

10.      Una delle parti (6) ha fatto rilevare, al riguardo, senza essere contraddetta, che una differenza decisiva consisterebbe nel fatto che, diversamente dalle norme vigenti nel 1973, uno straniero, per ottenere un’autorizzazione allo svolgimento di un’attività autonoma, in base alle più recenti disposizioni, dovrebbe dimostrare di possedere un capitale di 200 000,00 sterline (7).

III – Fatti e causa principale

11.      Il sig. Oguz (in prosieguo: il «ricorrente nella causa principale» o il «ricorrente») faceva ingresso nel Regno Unito nell’ottobre del 2000 con un’autorizzazione in qualità di studente. In seguito, le autorità competenti gli prorogavano più volte il suo permesso di soggiorno come studente. Detti permessi erano subordinati alla condizione che il ricorrente potesse esercitare, inter alia, un’attività lavorativa autonoma soltanto con l’autorizzazione del Secretary of State for the Home Department.

12.      Il ricorrente ha svolto nel Regno Unito per alcuni anni anzitutto un’attività lavorativa dipendente con l’autorizzazione delle autorità competenti. Il datore di lavoro del ricorrente lo ha licenziato, tuttavia, nel novembre del 2006 per motivi aziendali. I tentativi del ricorrente di intraprendere un’altra attività lavorativa dipendente si sono rivelati infruttuosi.

13.      Il 20 marzo 2008 il ricorrente presentava domanda di proroga del suo permesso di soggiorno nel Regno Unito in qualità di lavoratore autonomo. Egli si basava, a tal riguardo, sulle norme in materia di immigrazione in vigore nel Regno Unito il 1° gennaio 1973 (8), che, secondo le indicazioni del giudice del rinvio, sono più favorevoli delle norme vigenti nel 2008. Per addurre ragioni a sostegno dell’applicabilità delle norme vigenti nel 1973, il ricorrente faceva valere la clausola di «stillstand» di cui all’art. 41 del Protocollo addizionale.

14.      Il ricorrente aveva già avviato la propria attività lavorativa autonoma nel febbraio del 2008 e l’aveva esercitata effettivamente a partire dal mese successivo. Quindi il ricorrente, al momento della presentazione della domanda, aveva già svolto per alcune settimane la sua attività lavorativa autonoma e, pertanto, violato la condizione apposta al suo permesso di soggiorno. Il ricorrente argomentava che aveva ritenuto giusto motivare la sua attività commerciale, mentre aveva preparato e compilato una domanda di un permesso di soggiorno come imprenditore.

15.      L’11 agosto 2008 il ricorrente cessava la propria attività di lavoro autonomo e informava l’autorità competente che l’avrebbe ripresa solo a seguito dell’adozione di una decisione sulla sua domanda.

16.      Il Secretary of State for the Home Department (in prosieguo: il «convenuto nella causa principale») rigettava la domanda del ricorrente, con la motivazione che quest’ultimo, avviando un’attività commerciale, aveva violato la condizione apposta al permesso di soggiorno precedentemente rilasciatogli. Pertanto gli doveva essere negato il beneficio della clausola di «standstill» di cui all’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale. La sua domanda andava respinta in base alle vigenti norme in materia di immigrazione. Inoltre, la durata del suo preesistente permesso di soggiorno in qualità di titolare di un permesso di lavoro era stata ridotta, in ragione del fatto che egli non soddisfaceva più le condizioni apposte al suo permesso di soggiorno.

17.      Il 4 novembre 2008, il ricorrente proponeva un’opposizione contro detta decisione negativa dinanzi all’Asylum and Immigration Tribunal (9). L’opposizione veniva respinta. Il giudice motivava la sua decisione rilevando che il ricorrente, in effetti, non si era comportato in maniera fraudolenta. Egli tuttavia, organizzando, avviando ed esercitando la propria attività commerciale, aveva violato le condizioni apposte al permesso di soggiorno e non poteva pertanto far valere la clausola di «standstill» di cui all’art. 41 del Protocollo addizionale.

18.      Il ricorrente chiedeva il riesame di tale decisione (10). Con decisione 26 giugno 2009, il giudice Ward (11), Senior Immigration Judge, dichiarava che la precedente decisione, con la quale era stata rigettata l’opposizione, era immune da errori di diritto e conseguentemente andava confermata.

19.      La controversia è ora pendente in appello dinanzi alla Court of Appeal of England and Wales (12), odierno giudice del rinvio, che ha ammesso il Centre for Advice on Individual Rights in Europe (in prosieguo: l’«AIRE Centre») a partecipare alla causa principale.

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

20.      Con ordinanza 23 marzo 2010, la Court of Appeal ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se un cittadino turco, autorizzato a soggiornare nel Regno Unito a condizione che non eserciti alcuna attività imprenditoriale o professione, qualora intraprenda un’attività autonoma in violazione di tale condizione e successivamente presenti alle autorità nazionali una domanda volta ad ottenere un ulteriore permesso di soggiorno sulla base dell’attività imprenditoriale ormai avviata, possa beneficiare dell’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale dell’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia».

21.      Nel procedimento dinanzi alla Corte, hanno presentato osservazioni scritte e orali il sig. Oguz, l’AIRE Centre, il governo del Regno Unito e la Commissione europea.

V –    Valutazione

22.      La presente causa riguarda l’interpretazione dell’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale all’Accordo di associazione CEE‑Turchia. Esso dispone che le Parti Contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

23.      L’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale osta pertanto all’adozione, da parte di uno Stato membro, di qualsiasi nuova misura che abbia per oggetto o per effetto di sottoporre lo stabilimento e, correlativamente, il soggiorno di un cittadino turco nel suo territorio a condizioni più restrittive di quelle che erano applicabili al momento dell’entrata in vigore del detto protocollo addizionale nei confronti dello Stato membro considerato, vale a dire il 1° gennaio 1973 (13).

24.      La Corte, ad esempio, ha considerato sostanzialmente come una «nuova restrizione», ai sensi dell’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale, l’introduzione di un obbligo di visto per determinate prestazioni di servizi che non era applicato prima dell’entrata in vigore del Protocollo addizionale (14).

25.      La Corte ha già rilevato che, come risulta dalla lettera, tale disposizione stabilisce in termini chiari, precisi e incondizionati, una clausola di «standstill», che vieta alle parti contraenti di introdurre nuove restrizioni alla libertà di stabilimento a partire dalla data di entrata in vigore del Protocollo addizionale. Da detto tenore, nonché dalla ratio dell’Accordo di associazione, la Corte deduceva che l’art. 41, n. 1, ha effetto diretto negli Stati membri (15).

26.      Un cittadino turco può, pertanto, far valere direttamente l’art. 41, n. 1, nei confronti delle autorità di uno Stato membro.

27.      Il giudice del rinvio chiede quindi se uno Stato membro possa impedire ad un cittadino turco che ha violato una condizione apposta al suo permesso di soggiorno di beneficiare della clausola di «standstill» di cui all’art. 41 del Protocollo addizionale. Il convenuto nella causa principale, nonché il governo del Regno Unito partono dal presupposto che il ricorso alla clausola di «standstill» in un caso siffatto sarebbe abusivo e andrebbe pertanto respinto. Il giudice del rinvio ha escluso espressamente la sussistenza di un comportamento fraudolento del ricorrente.

28.      A mio avviso, la clausola di «standstill» di cui all’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale – come esporrò nel prosieguo – non è tale da impedire per motivi di abuso di diritto che si ricorra ad essa. Un ipotetico abuso si può ravvisare piuttosto, eventualmente, nell’ambito dell’applicazione del diritto nazionale.

29.      Il divieto dell’abuso di diritto è un principio generale del diritto dell’Unione (16). Per giurisprudenza costante, gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e i giudici nazionali possono, caso per caso, tener conto, basandosi su elementi obiettivi, del comportamento abusivo o fraudolento dell’interessato per negargli eventualmente la possibilità di fruire delle disposizioni di tale diritto (17).

30.      Nella sentenza Emsland‑Stärke la Corte ha specificato l’esame della condotta abusiva in relazione a servizi nel settore agricolo. Essa ha stabilito che la constatazione che si tratti di una pratica abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l’obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto (18). Essa richiede, d’altra parte, un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (19).

31.      Come la Corte ha già sottolineato, una clausola di «standstill» come quella prevista all’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale opera non come norma sostanziale, rendendo inapplicabile il diritto sostanziale pertinente al quale si sostituirebbe, ma «come una norma di natura quasi procedurale», che stabilisce, ratione temporis, quali sono le disposizioni della normativa di uno Stato membro alla luce delle quali occorre valutare la situazione di un cittadino turco che intende avvalersi della libertà di stabilimento in uno Stato membro (20).

32.      La peculiarità della clausola di «standstill» in esame è, pertanto, che non attribuisce alcun diritto sostanziale. Da essa non consegue direttamente né un diritto di stabilimento, né un diritto di soggiorno (21). Essa enuncia solo quali disposizioni della normativa nazionale siano applicabili, segnatamente nessuna più sfavorevole di quelle in vigore il 1° gennaio 1973.

33.      A mio parere, la clausola di «standstill», già in considerazione della sua natura, in linea di principio, non potrebbe essere tale da impedire per motivi di abuso di diritto che si ricorra ad essa.

34.      Infatti, l’art. 41 non stabilisce alcuna condizione per la sua applicabilità. Esso è anzi applicabile in maniera incondizionata. Come la Corte ha sottolineato, l’art. 41, n. 1, impone alle autorità nazionali il divieto assoluto di introdurre qualsiasi nuovo ostacolo all’esercizio della detta libertà rendendo più severe le condizioni esistenti in un dato momento (22).

35.      La clausola di «standstill» prevede soltanto quale normativa nazionale trovi applicazione. La questione se la normativa nazionale faccia sorgere un diritto di stabilimento e, conseguentemente, un diritto di soggiorno viene risolta unicamente sulla base dello stesso diritto nazionale.

36.      Qualora l’art. 41 sancisca un divieto assoluto per la cui sussistenza non deve essere soddisfatta alcuna condizione risulta difficilmente immaginabile un caso di abuso di diritto con riguardo a detta disposizione. Infatti, dato che non sono stabilite condizioni per la sua applicabilità, esse non possono neanche essere create artificiosamente in maniera abusiva.

37.      Il convenuto nella causa principale e il governo del Regno Unito osservano che deve essere negato al ricorrente il beneficio della clausola di «standstill», in quanto solo l’avvio di un’attività autonoma senza preventiva autorizzazione – con cui avrebbe violato la condizione apposta al suo permesso di soggiorno – gli avrebbe consentito di realizzare i presupposti sostanziali delle norme nazionali in materia di immigrazione del 1973, che altrimenti non avrebbe potuto soddisfare.

38.      Ciò indica che un eventuale abuso di diritto del ricorrente riguarda i presupposti sostanziali delle norme nazionali in materia di immigrazione e non la clausola di «standstill». Pertanto, la questione dell’abuso di diritto si colloca correttamente nel contesto del diritto sostanziale nazionale. Lo stesso ricorrente rileva, a tal riguardo, che, in base alle norme in materia di immigrazione del 1973, le autorità competenti possono prendere in considerazione un comportamento abusivo del richiedente (23). Anche il governo del Regno Unito, all’udienza dinanzi alla Corte, ha confermato detta possibilità.

39.      A titolo di conclusione provvisoria, va dunque constatato che l’idea dell’abuso di diritto, sulla base del carattere assoluto dell’art. 41, n. 1, che non stabilisce alcun presupposto sostanziale, ma determina unicamente il diritto pertinente, non è ad esso applicabile.

40.      Tale conclusione viene confermata da un esame delle ipotesi in cui la Corte ha affermato la sussistenza di un abuso di diritto nell’ambito dell’Accordo di associazione.

41.      Essa ha escluso, ricorrendo al principio dell’abuso di diritto, che i periodi di attività lavorativa svolti da un cittadino turco, solo grazie a un comportamento fraudolento che ne ha determinato la condanna, possano essere considerati regolari ai sensi dell’art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80 (24), in quanto l’interessato non soddisfaceva in realtà i presupposti di detta disposizione e da quest’ultima dunque non gli derivava legalmente alcun diritto (25). Come ulteriore esempio possibile di un abuso di diritto, la Corte adduceva il caso di un matrimonio fittizio contratto all’unico scopo di beneficiare abusivamente di vantaggi previsti dal diritto dell’associazione (26).

42.      Diversamente che nel caso della clausola di «standstill» di cui all’art. 41, che non prevede diritti sostanziali, gli artt. 6 e 7 della decisione n. 1/80, applicabili nei casi in questione, attribuiscono proprio tali diritti, vale a dire diritti ad un impiego lavorativo ovvero al soggiorno. Pertanto poteva essere fatto valere, al riguardo, anche il principio dell’abuso di diritto.

43.      Inoltre, vale la pena di occuparsi ancora di un’affermazione della Corte nella causa Tum e Dari, cui fa riferimento il giudice del rinvio. La Corte si è espressa, in quell’occasione, nel modo seguente: «Del resto, dinanzi alla Corte non è stato neppure fatto valere alcun elemento concreto tale da lasciar intendere che, nelle cause principali, l’applicazione della clausola di “standstill” di cui all’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale sarebbe stata invocata dagli interessati all’unico scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario» (27).

44.      Da quanto dichiarato dalla Corte si potrebbe dedurre che essa parta dall’idea che sarebbero bensì immaginabili dei casi in cui si pone la questione dell’applicazione del principio dell’abuso di diritto anche in relazione con la clausola di «standstill» di cui all’art. 41, n. 1.

45.      Anche se si volesse applicare l’esame dell’abuso ad un’ipotesi come quella in questione, non si giungerebbe tuttavia al riconoscimento di un abuso di diritto.

46.      Criterio decisivo per il concretarsi dell’ipotesi di un abuso di diritto è dunque il fatto che si invochi una norma di diritto dell’Unione al fine di ottenere benefici manifestamente incompatibili con gli obiettivi della norma (28).

47.      La ratio della clausola di «standstill» consiste nella creazione di condizioni favorevoli all’attuazione progressiva, rispettivamente, della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento e della libera prestazione dei servizi mediante il divieto alle autorità nazionali di introdurre nuovi ostacoli alle dette libertà al fine di non renderne più gravosa la graduale realizzazione tra gli Stati membri e la Repubblica di Turchia (29).

48.      Come già esposto, la clausola di «standstill» impone alle autorità nazionali il «divieto assoluto» (30) di introdurre qualsiasi nuovo ostacolo all’esercizio di dette libertà rendendo più severe le condizioni esistenti in un dato momento. Il suo scopo è, dunque, che vengano applicate tra le Parti contraenti, in linea di principio, solo le disposizioni più favorevoli.

49.      È incompatibile con detto scopo che possa beneficiare della clausola anche un cittadino turco che non ha rispettato una condizione apposta al permesso di soggiorno anteriormente rilasciatogli.

50.      Conseguentemente, anche la Corte, nella menzionata causa Tum e Dari, nonché nell’analoga causa Savas, non ha rilevato infine la sussistenza di un abuso di diritto.

51.      Nella causa Tum e Dari hanno fatto valere la clausola di «standstill» due persone che, contro un provvedimento di espulsione adottato a seguito del rigetto delle loro richieste di asilo, soggiornavano in uno Stato membro. La Corte, in quella sentenza, respingeva esplicitamente l’interpretazione secondo cui un cittadino turco possa far valere il beneficio della clausola di «standstill» soltanto se ha fatto regolare ingresso in uno Stato membro (31). Nella causa Savas l’interessato aveva già violato le norme nazionali in materia di immigrazione allorché faceva valere la clausola di «standstill», ma ciò non ha indotto la Corte a negargli il beneficio di detta clausola (32).

52.      Non potrebbe allora essere giudicato diversamente un caso come quello in esame nella causa principale, in cui colui che invoca la clausola di «standstill» disponeva persino – differentemente dai casi già decisi – di un permesso di soggiorno e non aveva rispettato unicamente una condizione ad esso apposta. Infine, il ricorrente nella causa principale non era entrato illegalmente nel Regno Unito, ma era in possesso di un’autorizzazione all’ingresso e addirittura di un permesso di lavoro, sebbene rilasciato non per consentire di intraprendere un’attività autonoma. Il ricorrente non ha rispettato una condizione apposta al suo permesso di soggiorno soltanto con l’avvio dell’attività autonoma, che ha tra l’altro provveduto ad interrompere immediatamente.

53.      Nel prosieguo, occorre nuovamente fare riferimento alla sentenza della Corte resa nella causa Kondova (33), citata dal convenuto nella causa principale e dal governo del Regno Unito.

54.      Detta causa riguardava l’Accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Bulgaria, dall’altra (34).

55.      In tale contesto, la Corte ha riconosciuto che un cittadino bulgaro, che, intendendo avviare un’attività lavorativa dipendente o autonoma in uno Stato membro, eluda i pertinenti controlli delle autorità nazionali, dichiarando falsamente di recarsi in tale Stato a fini di lavoro stagionale, si colloca al di fuori della sfera di tutela riconosciutagli in base all’accordo di associazione (35).

56.      Ciò premesso, se fosse consentito ai cittadini bulgari di presentare in qualsiasi momento una domanda di stabilimento nello Stato membro ospitante, pur in presenza di una precedente violazione della normativa nazionale in materia di immigrazione, questi potrebbero essere indotti a permanere nel territorio dello Stato medesimo in situazione di illegalità e ad assoggettarsi al sistema nazionale di controllo solo nel momento in cui fossero soddisfatti i requisiti sostanziali previsti dalla detta normativa (36).

57.      Il convenuto nella causa principale e il governo del Regno Unito adducono, nel caso in esame, le affermazioni della Corte sopra riportate per negare al ricorrente il beneficio della clausola di «standstill». Al fine di sostenere il parallelismo, rinviano all’argomento già discusso secondo cui il mancato rispetto della condizione da parte del ricorrente si sarebbe tradotto nella possibilità per quest’ultimo di rispettare le disposizioni sostanziali in materia di immigrazione del 1973.

58.      La sentenza menzionata non può tuttavia essere applicata al caso in esame. Infatti, diversamente dall’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale all’Accordo CEE‑Turchia, l’Accordo europeo applicabile nella causa Kondova attribuiva un diritto di stabilimento. Il suo art. 45 sanciva la parità di trattamento tra cittadini bulgari e cittadini degli Stati membri. Solo il primo ingresso, ai sensi dell’art. 59 dell’Accordo europeo, rientrava nella competenza degli Stati membri. Pertanto non sorprende il fatto che la Corte, nella causa Kondova, in cui l’Accordo attribuiva un diritto sostanziale, ha ammesso la possibilità di negare l’esercizio di tale diritto sostanziale per motivi di abuso di diritto.

59.      La conclusione derivante dalla causa Kondova non è però applicabile ad una clausola di «standstill» come l’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale. Come già esposto, infatti, la clausola di «standstill» prevista da detto Protocollo non attribuisce appunto alcun diritto sostanziale allo stabilimento o alla parità di trattamento rispetto ai propri cittadini, ma stabilisce soltanto quale normativa nazionale trovi applicazione.

60.      In conclusione, va osservato che la clausola di «standstill» prevista dall’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale non è tale da far venire meno il suo beneficio per motivi di abuso di diritto. Un ipotetico abuso di diritto si può riscontrare piuttosto eventualmente nell’ambito dell’applicazione della normativa nazionale. Quest’ultima prevede altresì, secondo quanto sostenuto dalle parti, la possibilità che esso venga preso in considerazione.

61.      Per finire, mi devo soffermare ancora brevemente su un aspetto che emerge dalle asserzioni del ricorrente, il quale ha sottolineato, nella sua memoria, che una direttiva scritta del Secretary of State rivolta ai suoi addetti (37) sanciva che doveva consentirsi da parte delle autorità che un cittadino turco intraprendesse un’attività autonoma qualora questi fosse in possesso di un permesso di soggiorno e presentasse una domanda per un ulteriore soggiorno sulla base della conseguita autonomia. Il Secretary of State avrebbe, di conseguenza, stabilito una prassi amministrativa che non terrebbe conto della violazione dell’obbligo di richiedere anzitutto un’autorizzazione prima di intraprendere un’attività autonoma.

62.      Tale situazione di fatto solleverebbe l’interessante quesito del modo in cui una divergenza da una prassi amministrativa più favorevole introdotta nel frattempo (38) possa costituire una violazione della clausola di «standstill». Infine, la Corte, di recente, ha avuto modo di affermare che anche l’abrogazione di una disposizione più favorevole, introdotta successivamente alla data di riferimento prevista dalla clausola di «standstill», viola il divieto di introduzione di «nuove restrizioni» imposto da detta clausola, anche se la nuova situazione normativa non determina una condizione meno favorevole rispetto a quella in vigore alla data di riferimento della clausola di «standstill» (39). Dato che il giudice del rinvio non ha formulato alcuna questione in tal senso, le parti non ne hanno discusso e la relativa situazione di fatto non si evince dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, il caso di specie non si presta ad un esame esaustivo di tali questioni.

VI – Conclusione

63.      Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere come segue la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal of England and Wales:

Un cittadino turco, autorizzato a soggiornare in uno Stato membro a condizione che non eserciti alcuna attività lavorativa autonoma, qualora intraprenda un’attività autonoma in violazione di tale condizione e successivamente presenti alle autorità nazionali una domanda volta ad ottenere una proroga del permesso di soggiorno sulla base dell’attività commerciale ormai avviata, a prescindere da un mancato rispetto della condizione apposta al suo permesso di soggiorno, può beneficiare della clausola di «standstill» di cui all’art. 41, n. 1, del Protocollo addizionale all’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – V., fra l’altro, sentenze 11 maggio 2000, causa C‑37/98, Savas (Racc. pag. I‑2927), e 20 settembre 2007, causa C‑16/05, Tum e Dari (Racc. pag. I‑7415).


3 – GU 1964, 217, pag. 3685; in prosieguo: l’«Accordo di associazione».


4 – Quarto ‘considerando’ del preambolo e art. 28 dell’Accordo di associazione.


5 – GU L 293, pag. 1.


6 – Il Centre for Advice on Individual Rights in Europe, v. infra, paragrafo 19.


7 – Facendo riferimento allo Statement of Changes to Immigration Rules (HC 395), come modificato, punto 245L(b), e Appendice A, punto 35.


8 – House of Commons Paper 510.


9 – Tribunale competente in materia di asilo e di immigrazione.


10 – Order for reconsideration.


11 – Giudice presidente per questioni di immigrazione.


12 – Giudice d’appello per Inghilterra e Galles.


13 – Sentenze Savas (cit. alla nota 2, punto 69); 21 ottobre 2003, cause riunite C‑317/01 e C‑369/01, Abatav e a. (Racc. pag. I‑12301, punto 66), nonché Tum e Dari (cit. alla nota 2, punto 49).


14 – Sentenza 19 febbraio 2009, causa C‑228/06, Soysal e Savatli (Racc. pag. I‑1031, punto 57).


15 – Sentenza Savas (cit. alla nota 2, punto 49, con rinvio alla giurisprudenza della Corte, inter alia, sulla clausola di «standstill» prevista dall’art. 13 della decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1: sentenza 20 settembre 1990, causa C‑192/89, Sevince, Racc. pag. I‑3461, punti 18 e 26).


16 – V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston presentate l’8 luglio 2010 nella causa C‑303/08, Bozkurt, Racc. pag. I‑13445, paragrafo 37, nonché le conclusioni dell’avvocato generale Maduro presentate il 7 aprile 2005 nella causa C‑255/02, Halifax, Racc. 2006, pag. I‑1609, paragrafo 63, che mostrano i due principali contesti in cui la Corte ha analizzato la nozione di abuso.


17 – V., inter alia, sentenze 9 marzo 1999, causa C‑212/97, Centros (Racc. pag. I‑1459, punto 25); 21 febbraio 2006, causa C‑255/02, Halifax e a. (Racc. pag. I‑1609, punto 68), e 22 dicembre 2010, causa C‑303/08, Bozkurt (Racc. pag. I‑13445, punto 47).


18 – Sentenza 14 dicembre 2000, causa C‑110/99, Emsland-Stärke (Racc. pag. I‑11569, punto 52).


19 – Sentenza Emsland-Stärke (cit. alla nota 18, punto 53).


20 – Sentenza Tum e Dari (cit. alla nota 2, punto 55).


21 – Sentenza Tum e Dari (cit. alla nota 2, punto 52).


22 – Sentenza Tum e Dari (cit. alla nota 2, punto 61).


23 – A questo proposito il ricorrente rinvia al paragrafo 4 di dette norme.


24 – Decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione 19 settembre 1980 relativa allo sviluppo dell’associazione.


25 – V. sentenza 5 giugno 1997, causa C‑285/95, Kol (Racc. pag. I‑3069, punti 26 e 27).


26 – Sentenza Bozkurt (citata alla nota 17, punto 50).


27 – Sentenza Tum e Dari (citata alla nota 2, punto 66).


28 – V., sul punto, anche le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston presentate nella causa Bozkurt (cit. alla nota 16, paragrafo 39), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Tizzano presentate il 18 maggio 2004 nella causa C­200/02, Zhu e Chen (Racc. pag. I‑9925, paragrafo 115).


29 – Sentenza 21 ottobre 2003, Abatay e a. (cause riunite C‑317/01 e C‑369/01, Racc. 2003, pag. I‑12301, punto 72); v., in tal senso, anche sentenza 9 dicembre 2010, cause riunite C‑300/09 e C‑301/09, Toprak (Racc. pag. I‑12845, punto 52).


30 – Sentenza Tum e Dari (cit. alla nota 2, punto 61).


31 – Sentenza Tum e Dari (cit. alla nota 2, punto 59).


32 – Sentenza Savas (cit. alla nota 2, punto 70).


33 – Sentenza 27 settembre 2001, causa C‑235/99, Kondova (Racc. pag. I‑6427).


34 – Accordo concluso e approvato a nome della Comunità con decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/908/CE, CECA, Euratom, GU L 358, pag. 1 (in prosieguo: l’«Accordo europeo»).


35 – Sentenza Kondova (cit. alla nota 33, punto 80). La Corte faceva riferimento, per analogia, all’eventuale elusione della legge nazionale da parte di cittadini comunitari che invochino, a fini illegittimi o fraudolenti, il diritto comunitario (sentenza 9 marzo 1999, causa C‑212/97, Centros, Racc. pag. I-1459, punto 24, e giurisprudenza ivi citata).


36 – Sentenza Kondova (cit. alla nota 33, punto 77).


37 – Published Guidance of the Secretary of State to his caseworkers.


38 – Laddove nella situazione di fatto esposta potesse riscontrarsene una del genere.


39 – V. sentenza Toprak (cit. alla nota 29, relativamente alla clausola di «standstill» prevista dall’art. 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione).