Causa C‑310/09

Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique

contro

Accor SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia)]

«Libera circolazione dei capitali — Trattamento fiscale dei dividendi — Normativa nazionale che conferisce un credito d’imposta per i dividendi distribuiti dalle controllate residenti di una società controllante — Diniego del credito d’imposta per i dividendi distribuiti dalle controllate non residenti — Ridistribuzione dei dividendi da parte della società controllante ai propri azionisti — Imputazione del credito d’imposta sull’anticipo d’imposta dovuto dalla società controllante all’atto della ridistribuzione — Rifiuto di rimborsare l’anticipo versato dalla società controllante — Arricchimento senza causa — Prove richieste riguardo all’imposizione delle controllate non residenti»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Libera circolazione dei capitali — Normativa tributaria — Imposta sulle società

(Artt. 49 TFUE e 63 TFUE)

2.        Diritto dell’Unione — Effetto diretto — Tributi nazionali incompatibili con il diritto dell’Unione — Restituzione — Diniego — Presupposto — Tributo direttamente traslato sull’acquirente

3.        Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Normativa tributaria — Tassazione dei dividendi

(Art. 63 TFUE)

1.        Gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostano a una normativa di uno Stato membro diretta all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi, che consente a una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi versati dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in tale Stato membro, ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro, dal momento che tale normativa non dà diritto, in quest’ultimo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione dei citati dividendi da parte di tale controllata.

(v. punto 69, dispositivo 1)

2.        Il diritto dell’Unione osta a che, qualora un regime fiscale nazionale diretto all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi non si traduca di per sé nella ripercussione su un terzo di un’imposta indebitamente versata dal debitore di quest’ultima, uno Stato membro neghi il rimborso delle somme pagate da una società controllante, adducendo che tale rimborso avrebbe per conseguenza l’arricchimento senza giusta causa di tale società, o che la somma versata dalla società controllante non rappresenta per quest’ultima un onere contabile o fiscale, ma viene imputata sull’insieme delle somme che possono essere ridistribuite ai suoi azionisti.

L’unica eccezione al diritto al rimborso dei tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione riguarda l’ipotesi in cui un tributo indebito sia stato direttamente traslato dal soggetto passivo sull’acquirente.

(v. punti 74, 76, dispositivo 2)

3.        I principi di equivalenza e di effettività non ostano a che il rimborso a una società controllante delle somme, atto a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi distribuiti dalle controllate di detta società stabilite in uno Stato membro e a quelli distribuiti dalle controllate della medesima società stabilite in altri Stati membri, ridistribuiti dalla società controllante, sia subordinato alla condizione che il debitore fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi, per ognuno dei dividendi controversi, in particolare, all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati dalle controllate stabilite in altri Stati membri, mentre, per le controllate stabilite nel suddetto Stato membro, questi stessi elementi, noti all’amministrazione, non sono richiesti. La produzione di tali elementi tuttavia può essere richiesta solo a condizione che non risulti praticamente impossibile o eccessivamente difficile fornire la prova del pagamento dell’imposta da parte delle controllate stabilite in altri Stati membri, tenuto conto in particolare delle disposizioni della normativa di detti Stati membri sulla prevenzione della doppia imposizione e sulla registrazione dell’imposta sulle società che deve essere assolta, nonché sulla conservazione dei documenti amministrativi. Spetta al giudice nazionale verificare se tali condizioni siano soddisfatte.

(v. punto 102, dispositivo 3)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

15 settembre 2011 (*)

«Libera circolazione dei capitali – Trattamento fiscale dei dividendi – Normativa nazionale che conferisce un credito d’imposta per i dividendi distribuiti dalle controllate residenti di una società controllante – Diniego del credito d’imposta per i dividendi distribuiti dalle controllate non residenti – Ridistribuzione dei dividendi da parte della società controllante ai propri azionisti – Imputazione del credito d’imposta sull’anticipo d’imposta dovuto dalla società controllante all’atto della ridistribuzione – Rifiuto di rimborsare l’anticipo versato dalla società controllante – Arricchimento senza causa – Prove richieste riguardo all’imposizione delle controllate non residenti»

Nel procedimento C‑310/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Francia), con decisione 3 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 4 agosto 2009, nella causa

Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique

contro

Accor SA,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič, E. Levits (relatore), M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig. M.A. Gaudissart, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 ottobre 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Accor SA, dai sigg. J.P. Hordies, B. Boutemy e C. Smits, avocats;

–        per il governo francese, dalla sig.ra E. Belliard, dai sigg. G. de Bergues e J.S. Pilczer nonché dalla sig.ra B. Beaupère–Manokha, in qualità di agenti;

–        per il governo del Regno Unito, dal sig. S. Hathaway, in qualità di agente, assistito dal sig. K. Bacon, barrister;

–        per la Commissione europea, dai sigg. R. Lyal e J.P. Keppenne, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 56 CE.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique (Ministro del bilancio, dei Conti pubblici e della Funzione pubblica) e la Accor SA (in prosieguo: la «Accor») in merito alla domanda presentata da quest’ultima diretta ad ottenere il rimborso dell’anticipo di imposta versato per gli esercizi 1999–2001.

 Contesto normativo

3        Nella versione risultante dalla legge 23 dicembre 1988, n. 88–1149, legge finanziaria per il 1989 (JORF del 28 dicembre 1988, pag. 16320), in vigore fino al 31 dicembre 2000, l’art. 145 del Code général des impôts (Codice generale delle imposte; in prosieguo: il «CGI») precisava quanto segue:

«1. Il regime fiscale delle società controllanti, quale definito agli artt. 146 e 216, si applica alle società e agli altri enti assoggettati all’aliquota normale dell’imposta sulle società, detentori di partecipazioni che soddisfano le seguenti condizioni:

(...)

b. Se il costo della partecipazione detenuta nella società emittente è inferiore a 150 milioni di franchi, i titoli di partecipazione devono rappresentare almeno il 10% del capitale della società emittente; tale costo e tale percentuale sono valutati alla data del pagamento dei proventi della partecipazione. (…)

(…)».

4        La legge 30 dicembre 2000, n. 2000–1352, legge finanziaria per il 2001 (JORF del 31 dicembre 2000, pag. 21119), ha modificato la soglia fissata dall’art. 145, n. l, lett. b), del CGI, il quale, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2005, precisava che i titoli di partecipazione devono rappresentare almeno il 5% del capitale della società emittente.

5        L’art. 146, n. 2, del CGI, nella sua versione in vigore durante le annualità fiscali oggetto della causa principale, prevedeva quanto segue:

«Se le distribuzioni effettuate da una società controllante danno luogo all’applicazione dell’anticipo d’imposta di cui all’art. 223 sexies, da tale anticipo possono essere detratti gli eventuali crediti d’imposta collegati ai proventi delle partecipazioni (…) riscossi durante gli esercizi chiusi negli ultimi cinque anni».

6        Ai sensi dell’art. 158 bis, sub I), del CGI, nella sua versione in vigore durante le annualità fiscali oggetto della causa principale:

«I percettori di dividendi distribuiti da società francesi dispongono a questo titolo di un reddito costituito da:

a)      le somme ricevute dalla società;

b)      un credito d’imposta rappresentato da un credito nei confronti del Tesoro.

Tale credito d’imposta è pari alla metà delle somme effettivamente versate dalla società.

Esso può essere usato solo se il reddito è compreso nell’imponibile dell’imposta sul reddito dovuta dal beneficiario.

Esso è accettato in pagamento di tale imposta.

Esso è rimborsato alle persone fisiche qualora il suo importo ecceda quello dell’imposta da esse dovuta».

7        Ai sensi dell’art. 216, sub I), del medesimo codice:

«I ricavi netti delle partecipazioni, che danno diritto all’applicazione del regime delle società controllanti (…), riscossi nel corso di un esercizio da una società controllante, possono essere esclusi dall’utile netto totale di quest’ultima (…)».

8        L’art. 223 sexies, n. l, primo comma, del CGI, nella sua versione applicabile alle distribuzioni poste in pagamento a partire dal 1° gennaio 1999, disponeva quanto segue:

«(…) Quando i ricavi distribuiti da una società sono prelevati su somme per le quali quest’ultima non è stata assoggetta all’aliquota normale dell’imposta sulle società (…), tale società è tenuta a pagare un anticipo d’imposta pari al credito d’imposta calcolato secondo i criteri stabiliti dall’art. 158 bis, sub 1). L’anticipo d’imposta è dovuto per le distribuzioni che danno diritto al credito d’imposta di cui all’art. 158 bis, indipendentemente da chi ne sia il beneficiario».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

9        Dalla decisione di rinvio risulta che la Accor ha percepito, dal 1998 al 2000, dividendi versati dalle sue controllate stabilite in altri Stati membri e che, all’atto della ridistribuzione di tali dividendi, essa ha versato, in applicazione dell’art. 146, n. 2, del CGI, in combinato disposto con gli artt. 158 bis e 223 sexies di tale codice, un anticipo d’imposta che, per gli esercizi 1999–2001, ammontava rispettivamente a FRF 323 279 053, FRF 359 183 404 e FRF 341 261 380.

10      Con reclamo introdotto in data 21 dicembre 2001, la Accor ha domandato il rimborso di tale anticipo d’imposta, deducendo l’incompatibilità di tali disposizioni del CGI con il diritto comunitario. Poiché tale domanda è stata respinta, detta società ha adito il Tribunal administratif de Versailles, il quale, con sentenza 21 dicembre 2006, ha accolto integralmente la sua domanda.

11      Il ricorso presentato dal Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique avverso tale sentenza è stato respinto dalla Cour administrative d’appel de Versailles con sentenza 20 maggio 2008, ragion per cui detto ministro ricorreva in cassazione avverso tale sentenza dinanzi al Conseil d’État.

12      Il Conseil d’État constata che dalle disposizioni dell’art. 216 del CGI risulta che, fatta eccezione per una quota di spese e di oneri, una società controllante francese non è soggetta all’imposta sulle società per i dividendi che percepisce da proprie controllate, a prescindere dal luogo in cui hanno sede dette controllate. Inoltre, in applicazione delle disposizioni dell’art. 223 sexies del medesimo codice, quando ridistribuisce tali dividendi ai propri azionisti, detta società è tenuta a versare a tale titolo un anticipo d’imposta, indipendentemente dalla provenienza dei dividendi che le sono stati distribuiti e che ha successivamente ridistribuito. Pertanto, secondo il Conseil d’État, il meccanismo dell’anticipo d’imposta, di per sé, non pregiudicherebbe né la libertà di stabilimento né la libera circolazione dei capitali.

13      L’importo del credito d’imposta di cui la società controllante beneficia, ai sensi dell’art. 158 bis del CGI, per i dividendi distribuiti da una delle sue controllate stabilita in Francia viene detratto, in forza dell’art. 146, n. 2, del CGI, dall’importo dell’anticipo dovuto all’atto della ridistribuzione di tali dividendi agli azionisti. Orbene, le disposizioni dell’art. 158 bis del CGI ostano alla concessione a una società controllante di un credito d’imposta per i dividendi provenienti da controllate stabilite in un altro Stato membro e, di conseguenza, a qualunque imputazione sull’importo dell’anticipo d’imposta dovuto allorché tale società controllante ridistribuisce tali dividendi. Pertanto, in assenza di un credito d’imposta concesso a titolo dei dividendi provenienti da una controllata stabilita in un altro Stato membro e idoneo a ridurre l’importo dell’anticipo d’imposta dovuto, il versamento di tale anticipo da parte di detta società controllante, essendo imputato sull’insieme delle somme che possono essere distribuite, riduce corrispondentemente l’importo dei dividendi ridistribuiti.

14      Alla luce di tali fatti, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      a)      Se gli artt. 56 [CE] e 43 [CE] debbano essere interpretati nel senso che ostano ad un regime fiscale diretto all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi, che:

–        consente ad una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi percepiti dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in Francia,

–        ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro (…), dal momento che tale regime non dà diritto, in questo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione dei citati dividendi da parte di tale controllata, in quanto il suddetto regime, di per sé, pregiudicherebbe, per tale società controllante, i principi della libera circolazione dei capitali o della libertà di stabilimento;

b)      in caso di soluzione negativa [alla presente questione, lett. a)], se i suddetti articoli debbano essere interpretati nel senso che nondimeno essi ostano a un siffatto regime, dovendosi prendere in considerazione anche la situazione degli azionisti giacché, tenuto conto del pagamento dell’anticipo d’imposta, l’importo dei dividendi che la società controllante ha percepito dalle sue controllate e ridistribuito ai propri azionisti è diverso a seconda che le controllate siano stabilite in Francia o in un altro Stato membro (…), di modo che il suddetto regime presenterebbe per gli azionisti un effetto di dissuasione dall’effettuare investimenti in tale società controllante, e quindi avrebbe l’effetto di pregiudicare la raccolta dei capitali da parte di tale società e sarebbe tale da scoraggiare quest’ultima dal mettere capitali a disposizione di controllate stabilite in Stati membri diversi dalla Francia o dal creare tali controllate in tali Stati.

2)      In caso di soluzione affermativa [alle prima questione, lett. a) e b)], e qualora gli artt. 56 [CE] e 43 [CE] siano interpretati nel senso che ostano al regime fiscale dell’anticipo d’imposta testé descritto e si ritenesse, di conseguenza, che l’amministrazione sia tenuta, in linea di principio, a restituire le somme percepite sulla base del suddetto regime in quanto percepite in violazione del diritto comunitario, se in un regime siffatto, che di per sé non si traduce nella ripercussione di un’imposta su un terzo da parte del debitore, il diritto comunitario osti:

a)      a che l’amministrazione, adducendo che tale rimborso avrebbe per conseguenza l’arricchimento senza giusta causa di tale società, possa opporsi al rimborso delle somme pagate dalla società controllante e,

b)      in caso di risposta negativa, a che il fatto che la somma versata dalla società controllante non rappresenta per quest’ultima un onere contabile o fiscale, ma viene semplicemente imputata all’insieme delle somme che possono essere ridistribuite ai suoi azionisti, possa essere fatto valere per non ingiungere il rimborso alla società della suddetta somma.

3)      Tenuto conto della soluzione che verrà data alle questioni [prima e seconda], se i principi comunitari di equivalenza e di effettività ostino a che il rimborso delle somme atto a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi ridistribuiti da una società controllante, indipendentemente dal fatto che tali dividendi derivino da somme distribuite da sue controllate stabilite in Francia o in un altro Stato membro (…), sia subordinato alla condizione che il debitore fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi, per ognuno dei dividendi controversi, in particolare, all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato per gli utili realizzati dalle sue controllate stabilite in Stati membri (…) diversi dalla Francia, fatte salve, eventualmente, le disposizioni della convenzione bilaterale applicabile tra la [Repubblica francese] e lo Stato membro in cui la controllata è stabilita, relative allo scambio di informazioni, mentre per le controllate stabilite in Francia i documenti giustificativi, noti all’amministrazione, non sono richiesti».

 Sulle domande di riapertura della fase orale del procedimento

15      Con atti depositati, rispettivamente, il 7 gennaio e il 2 febbraio 2011, la Accor e il governo francese hanno chiesto la riapertura della fase orale del procedimento.

16      La Accor ha affermato infatti che, ai paragrafi 73 e segg. delle sue conclusioni, l’avvocato generale si sarebbe fondato su alcuni argomenti derivanti dalla sentenza 12 dicembre 2006, causa C‑446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation (Racc. pag. I‑11753), che non sarebbero stati ancora oggetto di discussione tra le parti.

17      Il governo francese, dal canto suo, ha chiesto di poter ritornare, nell’ambito di una seconda udienza, sull’argomento secondo cui il meccanismo del credito d’imposta abbinato a quello dell’anticipo d’imposta, di cui trattasi nella causa principale, avrebbe potuto creare una restrizione alla libera circolazione dei capitali solo in capo agli azionisti, argomento contenuto al punto 82 delle sue osservazioni scritte e analizzato nelle conclusioni dell’avvocato generale.

18      Inoltre, tale governo ha affermato che le conclusioni dell’avvocato generale conterrebbero un’indicazione che non renderebbe conto pienamente del diritto nazionale francese. In particolare, anzitutto, mentre, nell’ambito della soluzione alla seconda questione sollevata, l’avvocato generale ritiene che il rimborso dell’anticipo d’imposta concesso a una società vada indirettamente a vantaggio dei suoi azionisti, il governo francese asserisce che il patrimonio di una società è distinto da quello degli azionisti della stessa. In secondo luogo, il governo francese contesta la tesi secondo la quale gli azionisti non disporrebbero, in base al diritto processuale francese, di un’azione di ripetizione, affermando che la previsione di una siffatta azione giudiziaria, che si aggiungerebbe al rimedio giuridico del ricorso per responsabilità extracontrattuale, deriverebbe dall’obbligo per gli Stati membri, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, di rimborsare le somme riscosse in violazione del diritto dell’Unione.

19      A tal proposito, dalla giurisprudenza risulta che la Corte può, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, oppure su domanda delle parti, riaprire la fase orale del procedimento, ai sensi dell’art. 61 del proprio regolamento di procedura, qualora ritenga di non essere sufficientemente informata ovvero che la causa debba essere decisa sulla base di un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti (v. sentenze 26 giugno 2008, causa C‑284/06, Burda, Racc. pag. I‑4571, punto 37 e giurisprudenza ivi citata, nonché 16 dicembre 2010, causa C‑266/09, Stichting Natuur en Milieu e a., Racc. pag. I‑13119, punto 27).

20      Per contro, né lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea né il suo regolamento di procedura prevedono la possibilità per le parti di depositare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (v. sentenza Stichting Natuur en Milieu e a., cit., punto 28).

21      Nel caso di specie, la Corte ritiene di avere a disposizione tutti gli elementi necessari per risolvere le questioni sollevate e che le osservazioni presentate dinanzi ad essa abbiano analizzato tali elementi.

22      Di conseguenza, occorre respingere le domande dirette alla riapertura della fase orale del procedimento.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

23      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostino a una normativa di uno Stato membro diretta all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi, quale quella di cui trattasi nella causa principale, che consente a una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi versati dalle proprie controllate il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in tale Stato membro, ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro, dal momento che tale normativa non dà diritto, in quest’ultimo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione dei citati dividendi da parte di tale controllata.

24      Con la lett. a) della prima questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte se una siffatta normativa possa costituire una restrizione alle libertà di circolazione in capo alla società controllante.

25      Con la lett. b) della prima questione, il giudice del rinvio chiede se, in caso di soluzione negativa alla questione di cui alla lett. a), gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostino nondimeno a una siffatta normativa, dovendosi prendere in considerazione anche la situazione degli azionisti.

26      Sebbene la lett. b) della prima questione sia sollevata solo in caso di soluzione negativa alla questione di cui alla lett. a), si deve necessariamente constatare che la questione relativa all’opportunità di prendere in considerazione la situazione degli azionisti è sollevata al fine di esaminare l’esistenza di una restrizione in capo alla stessa società controllante.

27      Infatti, il giudice del rinvio chiede se gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostino alla normativa di uno Stato membro quale quella di cui trattasi nella causa principale, in quanto tale normativa dissuaderebbe gli azionisti dall’investire nel capitale della società controllante, pregiudicherebbe di conseguenza la raccolta di capitali da parte di tale società e sarebbe quindi tale da scoraggiare quest’ultima dal mettere capitali a disposizione di controllate stabilite in altri Stati membri o dal creare tali controllate in detti Stati.

28      Pertanto, occorre risolvere congiuntamente i due punti della prima questione.

 Sulla libertà applicabile

29      Poiché il giudice del rinvio ha sollevato la sua prima questione con riferimento sia all’art. 49 TFUE che all’art. 63 TFUE, si deve preliminarmente determinare se, ed in quale misura, una normativa nazionale quale quella controversa nella causa principale possa compromettere le libertà garantite da tali articoli.

30      A questo proposito, occorre ricordare che il trattamento fiscale dei dividendi può ricadere nella sfera di applicazione dell’art. 49 TFUE, riguardante la libertà di stabilimento, e in quella dell’art. 63 TFUE, riguardante la libera circolazione dei capitali (sentenza 10 febbraio 2011, cause riunite C‑436/08 e C‑437/08, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, Racc. pag. I‑305, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

31      Quanto al punto se una legislazione nazionale rientri nell’una o nell’altra libertà di circolazione, risulta da una giurisprudenza ora consolidata che occorre prendere in considerazione l’oggetto della legislazione di cui trattasi (sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

32      A questo proposito, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che una normativa nazionale destinata ad applicarsi esclusivamente alle partecipazioni che consentono di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di una società, e di determinare le attività di quest’ultima, ricade nella sfera di applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento (v. sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 37, e 21 ottobre 2010, causa C‑81/09, Idryma Typou, Racc. pag. I‑10161, punto 47). Per contro, eventuali disposizioni nazionali che siano applicabili a partecipazioni effettuate al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminate esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali (sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

33      Nel caso di specie, il regime fiscale delle società controllanti oggetto della causa principale, conformemente all’art. 145 del CGI, era applicabile, per gli esercizi 1999 e 2000, alle società che detenevano almeno il 10% del capitale delle loro controllate. Per il 2001 tale soglia di partecipazione è stata ridotta al 5% del capitale della controllata.

34      Ne consegue che la normativa nazionale controversa nella causa principale poteva applicarsi non solo alle società che percepiscono dividendi sulla base di una partecipazione che conferisce una sicura influenza sulle decisioni della controllata distributrice e che consente di determinarne le attività, ma anche a quelle che percepiscono dividendi sulla base di una partecipazione minoritaria che non conferisce una siffatta influenza.

35      Per quanto attiene ai fatti oggetto della causa principale, si deve osservare, da un lato, che la decisione di rinvio non contiene informazioni sulla natura delle partecipazioni della Accor nel capitale delle sue controllate distributrici di dividendi.

36      Dall’altro lato, la Accor afferma, nelle sue osservazioni presentate alla Corte, che la causa principale riguarda i dividendi percepiti da controllate stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica francese e che sono da essa controllate, mentre il governo francese ha altresì fatto riferimento alle partecipazioni che non conferivano alla Accor un’influenza sicura sulle decisioni delle controllate distributrici e non permettevano di determinarne le attività.

37      A questo proposito, occorre ricordare che, nell’ambito della procedura di cooperazione istituita dall’art. 267 TFUE, non spetta alla Corte, ma al giudice nazionale accertare i fatti che hanno dato origine alla causa e trarne le conseguenze ai fini della sua pronuncia (v., in particolare, sentenze 16 settembre 1999, causa C‑435/97, WWF e a., Racc. pag. I‑5613, punto 32; 23 ottobre 2001, causa C‑510/99, Tridon, Racc. pag. I‑7777, punto 28, nonché 11 dicembre 2007, causa C‑291/05, Eind, Racc. pag. I‑10719, punto 18).

38      Date tali premesse, tenuto conto dell’oggetto della normativa controversa nella causa principale, si deve risolvere la prima questione proposta alla luce sia dell’art. 49 TFUE che dell’art. 63 TFUE.

 Sulla libertà di stabilimento

39      La libertà di stabilimento, che l’art. 49 TFUE riconosce ai cittadini dell’Unione e che implica per essi l’accesso alle attività autonome ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini, comprende, ai sensi dell’art. 54 TFUE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio dell’Unione europea, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro interessato mediante una controllata, una succursale o un’agenzia (v., in particolare, sentenze 21 settembre 1999, causa C‑307/97, Saint–Gobain ZN, Racc. pag. I‑6161, punto 35; 23 febbraio 2006, causa C‑471/04, Keller Holding, Racc. pag. I‑2107, punto 29, nonché 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I‑7995, punto 41).

40      Anche se, stando al loro tenore letterale, le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento intendono specificamente assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro di stabilimento, nondimeno esse vietano anche che lo Stato membro d’origine intralci lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione (v., in particolare, sentenze 16 luglio 1998, causa C‑264/96, ICI, Racc. pag. I‑4695, punto 21, nonché Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 42).

41      Nella causa principale, è pacifico che la normativa in oggetto instaura una differenza di trattamento tra i dividendi distribuiti da una controllata residente e quelli distribuiti da una controllata non residente.

42      Infatti, una società controllante che percepisce dividendi da una controllata residente beneficia, in ragione di tali dividendi, di un credito d’imposta che è pari alla metà delle somme versate da tale controllata residente a titolo di dividendi, mentre un siffatto credito d’imposta non è concesso per i dividendi distribuiti da una controllata non residente.

43      A tal riguardo, occorre rilevare che dalla giurisprudenza risulta che gli Stati membri, nella regolamentazione del loro sistema fiscale, e in particolare qualora istituiscano una procedura diretta a prevenire o ad attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione, devono rispettare le condizioni derivanti dal diritto dell’Unione, in particolare quelle imposte dalle disposizioni del Trattato relative alle libertà di circolazione (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 45).

44      Risulta così dalla giurisprudenza che, qualunque sia la procedura adottata per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione economica, le libertà di circolazione garantite dal Trattato ostano a che uno Stato membro riservi ai dividendi di origine estera un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato ai dividendi di origine nazionale, a meno che questa differenza di trattamento riguardi situazioni non oggettivamente comparabili o sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale (v., in tal senso, sentenze 15 luglio 2004, causa C‑315/02, Lenz, Racc. pag. I‑7063, punti 20–49, 7 settembre 2004, causa C‑319/02, Manninen, Racc. pag. I‑7477, punti 20–55, nonché sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 46).

45      Orbene, rispetto ad una disciplina fiscale volta a prevenire o ad attenuare l’imposizione degli utili distribuiti, la situazione di una società controllante che percepisce dividendi di origine estera è analoga a quella di una società controllante che percepisce dividendi di origine nazionale dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 62).

46      Certamente, come ha osservato il governo francese, da un lato, una società controllante era esente dall’imposta sulle società sia per i dividendi percepiti dalle sue controllate residenti che per quelli provenienti dalle sue controllate non residenti e, dall’altro, tale società non poteva imputare i crediti d’imposta relativi ai dividendi distribuiti dalle sue controllate residenti sull’importo dell’imposta sulle società che essa peraltro era tenuta a versare.

47      Tuttavia, come ammette lo stesso governo, i crediti d’imposta erano utilizzabili all’atto della ridistribuzione dei dividendi percepiti. Una società controllante poteva quindi imputare tali crediti d’imposta sull’anticipo che era tenuta a versare allorché ridistribuiva i dividendi.

48      Pertanto, pur esentando i dividendi percepiti dalle controllate non residenti dall’imposta dovuta dalla società controllante, detto Stato membro li assoggettava a un trattamento meno vantaggioso rispetto a quello dei dividendi provenienti dalle controllate residenti.

49      Infatti, a differenza dei dividendi provenienti dalle controllate residenti, la normativa controversa nella causa principale non consentiva di sgravare l’imposizione adottata a livello della controllata distributrice, mentre i dividendi percepiti tanto dalle controllate residenti quanto dalle controllate non residenti erano, all’atto della loro ridistribuzione, assoggettati all’anticipo d’imposta. Di conseguenza, per quanto riguarda i dividendi percepiti dalle controllate residenti, quando essi venivano distribuiti, il credito d’imposta s’imputava all’anticipo dovuto, senza che detto anticipo diminuisse la massa distribuibile dei dividendi. Invece, per quanto riguarda i dividendi percepiti dalle controllate non residenti, se la società controllante non beneficiava del credito d’imposta su tali dividendi, l’applicazione dell’anticipo d’imposta aveva l’effetto di diminuire la massa dei dividendi distribuibili.

50      Pertanto, la società controllante che percepiva dividendi da una controllata stabilita in un altro Stato membro era indotta o a distribuire i dividendi decurtati dell’importo dell’anticipo, e la cui massa era inferiore rispetto all’ipotesi di ridistribuzione dei dividendi percepiti da controllate stabilite in Francia, oppure, come osserva l’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, ad attingere alle sue riserve per ottenere un importo equivalente alla somma da versare a titolo dell’anticipo di imposta e aumentare in questo modo la massa dei dividendi distribuiti.

51      Tenuto conto del trattamento svantaggioso riservato ai dividendi percepiti da una controllata stabilita in un altro Stato membro rispetto a quello cui sono assoggettati i dividendi percepiti da una controllata residente, una società controllante potrebbe essere dissuasa dall’esercitare le proprie attività tramite società controllate stabilite in altri Stati membri (v., in tal senso, sentenze 18 settembre 2003, causa C‑168/01, Bosal, Racc. pag. I‑9409, punto 27, e Keller Holding, cit., punto 35).

52      Il governo francese, pur ammettendo l’esistenza di una differenza di trattamento tra i dividendi versati da una controllata stabilita in Francia e i dividendi versati da una controllata stabilita in un altro Stato membro, per quanto riguarda la possibilità per la società controllante beneficiaria di imputare il credito d’imposta sull’anticipo dovuto da quest’ultima all’atto della ridistribuzione di tali dividendi ai propri azionisti, ritiene tuttavia che tale differenza di trattamento non costituisca una restrizione in capo alla società controllante.

53      Tale governo rileva, da un lato, che l’attivazione del credito d’imposta scaturiva da un’autonoma decisione degli organi competenti di una società controllante e non dalla normativa controversa nella causa principale, in quanto sarebbe la decisione di tale società controllante di ridistribuire i dividendi versati da una controllata francese a rendere il credito d’imposta collegato ai dividendi in questione imputabile sull’anticipo. Riferendosi alla sentenza 27 gennaio 2000, causa C‑190/98, Graf (Racc. pag. I‑493, punti 24 e 25), il governo francese afferma quindi che l’effetto eventualmente negativo delle disposizioni di cui trattasi nella causa principale dipende da una decisione degli organi competenti della società controllante talmente ipotetica, che tali disposizioni non possono essere considerate un ostacolo alle libertà di circolazione.

54      Dall’altro lato, secondo il governo francese, indipendentemente dall’origine dei dividendi, l’onere per la società controllante sarebbe identico qualora l’anticipo si imputi sull’utile distribuibile agli azionisti.

55      Orbene, azionisti non residenti potrebbero, in base alle convenzioni relative alla prevenzione della doppia imposizione, concluse dalla Repubblica francese con tutti gli Stati membri dell’Unione, ottenere il rimborso dell’anticipo effettuato dalla società controllante distributrice dei dividendi, in maniera tale che la normativa controversa nella causa principale non pregiudichi la loro situazione.

56      Per quanto attiene agli azionisti residenti della società controllante distributrice, il governo francese ritiene che, se l’assenza di un credito d’imposta imputabile all’anticipo dovuto da tale società controllante all’atto della ridistribuzione, da parte della stessa società, di dividendi versati dalle sue controllate non residenti dovesse essere considerato come un ostacolo alla raccolta di capitali presso gli azionisti francesi, tale restrizione riguarderebbe, in ogni caso, un movimento di capitali meramente interno tra una società controllante francese e i suoi azionisti francesi, che non presenta elementi di internazionalità e non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

57      Questi argomenti non possono essere accolti.

58      In primo luogo, se è vero che il credito d’imposta afferente ai dividendi distribuiti da controllate residenti poteva essere utilizzato soltanto quando la società controllante decideva di ridistribuire tali dividendi, è tuttavia pacifico che tanto la differenza di trattamento in funzione del luogo di stabilimento della controllata distributrice dei dividendi, quanto la possibilità di imputare l’eventuale credito d’imposta sull’anticipo dovuto all’atto della ridistribuzione di detti dividendi derivano direttamente dalla normativa francese oggetto della causa principale.

59      Pertanto, la possibilità di beneficiare di un credito d’imposta imputabile sull’anticipo all’atto della ridistribuzione dei dividendi dipendeva non già da un avvenimento futuro e incerto per una società controllante, bensì da una circostanza legata, per definizione, all’esercizio della libertà di stabilimento, vale a dire, dal luogo di stabilimento della sua controllata.

60      In secondo luogo, benché, come afferma il governo francese, la normativa controversa nella causa principale non produca effetti sulla situazione degli azionisti non residenti, la circostanza che tale normativa potesse costituire un ostacolo alla raccolta di capitali da parte di una società controllante presso azionisti residenti è sufficiente per confermare il carattere restrittivo delle disposizioni della citata normativa. 

61      Infatti, la circostanza che azionisti residenti potessero essere dissuasi dall’acquisire partecipazioni in una società controllante, in ragione del fatto che i dividendi provenienti da controllate di quest’ultima stabilite in uno Stato membro diverso dalla Repubblica francese sarebbero meno elevati rispetto ai dividendi provenienti dalle controllate residenti, poteva a sua volta dissuadere tale società controllante dall’esercitare le proprie attività tramite società controllate non residenti.

62      Occorre constatare che una siffatta situazione, presentando un collegamento con gli scambi intracomunitari, può ricadere nell’ambito delle disposizioni del Trattato relative alle libertà fondamentali (sentenza Keller Holding, cit., punto 24) e che, operando sul piano fiscale una discriminazione a danno delle situazioni comunitarie rispetto alle situazioni puramente interne, le disposizioni del CGI di cui alla causa principale configurano quindi una restrizione in linea di principio vietata dalle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento (v. sentenza 27 novembre 2008, causa C‑418/07, Papillon, Racc. pag. I‑8947, punto 32).

63      Risulta dalla giurisprudenza della Corte che una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale (v., in particolare, sentenza 18 giugno 2009, causa C‑303/07, Aberdeen Property Fininvest Alpha, Racc. pag. I‑5145, punto 57). Orbene, né il giudice del rinvio, né le parti che hanno presentato osservazioni hanno fatto riferimento ad elementi idonei a giustificare la citata restrizione. Si deve pertanto constatare che l’art. 49 TFUE osta a una normativa quale quella controversa nella causa principale.

 Sulla libera circolazione dei capitali

64      Le considerazioni formulate ai punti precedenti si applicano allo stesso modo nel caso in cui una società controllante abbia percepito dividendi sulla base di una partecipazione, che non le conferisce una sicura influenza sulle decisioni della sua controllata distributrice e non le consente di determinarne le attività.

65      Infatti, la differenza di trattamento messa in discussione al punto 41 della presente sentenza poteva aver l’effetto di dissuadere le società controllanti stabilite in Francia dall’investire i loro capitali in società stabilite in un altro Stato membro e produrre altresì un effetto restrittivo per le società stabilite in altri Stati membri, in quanto costituivano nei loro confronti un ostacolo alla raccolta dei capitali in Francia.

66      Poiché i redditi di capitali di origine estera erano trattati, sul piano fiscale, in maniera meno favorevole rispetto ai dividendi distribuiti dalle controllate stabilite in Francia, le azioni delle società stabilite in altri Stati membri risultavano meno allettanti per le società controllanti residenti in Francia rispetto a quelle di società che avevano la loro sede in questo Stato membro (v. sentenze 6 giugno 2000, causa C‑35/98, Verkooijen, Racc. pag. I‑4071, punto 35; Manninen, cit., punti 22 e 23, nonché Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 64).

67      Ne consegue che la differenza di trattamento operata dalla normativa controversa nella causa principale costituiva una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’art. 63 TFUE.

68      Orbene, né il giudice del rinvio, né le parti che hanno presentato osservazioni hanno fatto riferimento ai motivi esposti all’art. 65 TFUE e ai motivi di interesse generale idonei a giustificare una siffatta restrizione.

69      Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si deve risolvere la prima questione dichiarando che gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostano a una normativa di uno Stato membro diretta all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi, quale quella di cui trattasi nella causa principale, che consente a una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi percepiti dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in tale Stato membro, ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro, dal momento che tale normativa non dà diritto, in quest’ultimo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione dei citati dividendi da parte di tale controllata.

 Sulla seconda questione

70      Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, qualora il regime fiscale di cui trattasi nella causa principale non si traduca di per sé nella ripercussione su un terzo dell’imposta dovuta dal debitore di quest’ultima, il diritto dell’Unione osti a che l’amministrazione neghi il rimborso delle somme pagate dalla società controllante, adducendo che tale rimborso avrebbe per conseguenza l’arricchimento senza giusta causa di tale società, o che la somma versata dalla società controllante non rappresenta per quest’ultima un onere contabile o fiscale, ma viene imputata sull’insieme delle somme che possono essere ridistribuite ai suoi azionisti.

71      Al riguardo occorre ricordare che il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai soggetti dell’ordinamento dalle disposizioni del diritto dell’Unione, nell’interpretazione loro data dalla Corte (v., in particolare, sentenze 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio, Racc. pag. 3595, punto 12, nonché 8 marzo 2001, cause riunite C‑397/98 e C‑410/98, Metallgesellschaft e a., Racc. pag. I‑1727, punto 84). Lo Stato membro è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione (sentenze 14 gennaio 1997, cause riunite da C‑192/95 a C‑218/95, Comateb e a., Racc. pag. I‑165, punto 20; Metallgesellschaft e a., cit., punto 84; 2 ottobre 2003, causa C‑147/01, Weber’s Wine World e a., Racc. pag. I‑11365, punto 93, nonché Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 202).

72      Nondimeno, conformemente a una giurisprudenza costante, il diritto dell’Unione non osta a che un ordinamento giuridico nazionale neghi la restituzione di tasse indebitamente percepite in presenza di circostanze tali da poter causare un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto (sentenze 24 marzo 1988, causa 104/86, Commissione/Italia, Racc. pag. 1799, punto 6; 9 febbraio 1999, causa C‑343/96, Dilexport, Racc. pag. I‑579, punto 47; 21 settembre 2000, cause riunite C‑441/98 e C‑442/98, Michaïlidis, Racc. pag. I‑7145, punto 31, nonché 10 aprile 2008, causa C‑309/06, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑2283, punto 41). La tutela dei diritti garantiti in questa materia dall’ordinamento giuridico dell’Unione non impone quindi il rimborso di imposte, dazi e tasse riscossi in violazione del diritto dell’Unione quando sia appurato che la persona tenuta al pagamento del tributo lo ha di fatto riversato su altri soggetti (v. sentenza Comateb e a., cit., punto 21, nonché 6 settembre 2011, causa C‑398/09, Lady & Kid e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 18).

73      Tuttavia, come emerge dalla giurisprudenza, poiché costituisce una limitazione di un diritto soggettivo fondato sull’ordinamento giuridico dell’Unione, un siffatto diniego di rimborso dev’essere interpretato restrittivamente (sentenze citate Weber’s Wine World e a., punto 95, nonché Lady & Kid e a., punto 20).

74      In tal senso, come risulta dai punti 20 e 25 della citata sentenza Lady & Kid e a., l’unica eccezione al diritto al rimborso dei tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione riguarda l’ipotesi in cui un tributo indebito sia stato direttamente traslato dal soggetto passivo sull’acquirente.

75      Nel caso di specie, lo stesso giudice del rinvio osserva che il regime oggetto della causa principale, riguardante peraltro un anticipo d’imposta versato da una società controllante in occasione della distribuzione dei dividendi e non un’imposta percepita al momento della vendita di prodotti, non si traduce di per sé nella ripercussione di tale anticipo su terzi, tipo l’acquirente a cui si riferisce la giurisprudenza precedentemente citata.

76      Date tali premesse, si deve risolvere la seconda questione dichiarando che il diritto dell’Unione osta a che, qualora un regime fiscale nazionale come quello di cui trattasi nella causa principale non si traduca di per sé nella ripercussione su un terzo di un’imposta indebitamente versata dal debitore di quest’ultima, uno Stato membro neghi il rimborso delle somme pagate dalla società controllante, adducendo che tale rimborso avrebbe per conseguenza l’arricchimento senza giusta causa di tale società, o che la somma versata dalla società controllante non rappresenta per quest’ultima un onere contabile o fiscale, ma viene imputata sull’insieme delle somme che possono essere ridistribuite ai suoi azionisti.

 Sulla terza questione

77      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se i principi di equivalenza e di effettività ostino a che il rimborso a una società controllante delle somme, atto a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi distribuiti dalle controllate di detta società stabilite in Francia e a quelli distribuiti dalle controllate della medesima società stabilite in altri Stati membri, ridistribuiti dalla società controllante, sia subordinato alla condizione che il debitore fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi, per ognuno dei dividendi controversi, in particolare, all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati dalle controllate stabilite in altri Stati membri mentre, per le controllate stabilite in Francia, tali elementi, noti all’amministrazione, non sono richiesti.

78      A tale riguardo, conformemente a una giurisprudenza costante, è compito dei giudici degli Stati membri, in applicazione del principio di leale collaborazione enunciato dall’art. 4 TUE, garantire la tutela giurisdizionale dei diritti di cui i soggetti dell’ordinamento sono titolari in forza del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe–Zentralfinanz e Rewe–Zentral, Racc. pag. 1989, punto 5, nonché causa 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punto 12; 19 giugno 1990, causa C‑213/89, Factortame e a., Racc. pag. I‑2433, punto 19, e 13 marzo 2007, causa C‑432/05, Unibet, Racc. pag. I‑2271, punto 38).

79      Pertanto, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai cittadini in forza delle norme del diritto dell’Unione, purché dette modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né, dall’altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 203 e giurisprudenza ivi citata).

80      Spetta ancora al giudice del rinvio stabilire come si debba porre rimedio in concreto a una violazione del divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali.

81      Orbene, la terza questione sollevata implica che, secondo il giudice del rinvio, nell’ipotesi in cui le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali venissero accertate, per ristabilire una parità di trattamento tra i beneficiari di dividendi percepiti da controllate stabilite in Francia e i beneficiari di dividendi percepiti da una controllata stabilita in un altro Stato membro, ciò imporrebbe che venga concesso a questi ultimi il credito d’imposta di cui beneficiano i primi.

82      È importante ricordare che le autorità tributarie di uno Stato membro hanno il diritto di esigere dal contribuente le prove a loro avviso necessarie per valutare se siano soddisfatti i presupposti per la concessione di un’agevolazione fiscale prevista dalla normativa in questione e, di conseguenza, se si debba o no concedere tale agevolazione (v., in tal senso, sentenze 3 ottobre 2002, causa C‑136/00, Danner, Racc. pag. I‑8147, punto 50; 26 giugno 2003, causa C‑422/01, Skandia e Ramstedt, Racc. pag. I‑6817, punto 43; 27 gennaio 2009, causa C‑318/07, Persche, Racc. pag. I‑359, punto 54; Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 95, nonché 30 giugno 2011, causa C‑262/09, Meilicke e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45).

83      A questo proposito, la Accor ha affermato che il sistema del credito d’imposta è fondato sul solo assoggettamento della controllata distributrice all’imposta sulle società, dal momento che il credito d’imposta sarebbe sempre pari al 50% dei dividendi distribuiti. Di conseguenza, la Accor ritiene che sarebbe sufficiente provare che la controllata distributrice è stata assoggettata all’imposta sulle società nel proprio Stato membro di stabilimento.

84      La Commissione, pur considerando legittimo il fatto che si tenga conto dell’imposta versata dalla controllata nel proprio Stato membro di stabilimento, ritiene che, nell’ambito del regime di cui trattasi nella causa principale, non vi sia una stretta corrispondenza tra l’importo del tributo pagato e l’importo del credito d’imposta e che sarebbe sufficiente fare riferimento all’aliquota legale d’imposta nello Stato di stabilimento della controllata.

85      Il governo francese e il governo del Regno Unito ritengono che, per porre rimedio all’asserito impatto discriminatorio del regime controverso nella causa principale, occorrerebbe applicare un credito d’imposta il cui importo permettesse di neutralizzare l’imposta pagata nello Stato membro di stabilimento della controllata e che dovrebbe essere calcolato in funzione dell’importo dell’imposta, a cui sono stati assoggettati in tale Stato gli utili all’origine dei dividendi versati dalla controllata. Il governo francese osserva che il sistema del credito d’imposta e dell’anticipo di imposta consisteva nell’attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi distribuiti nel rispetto del principio della neutralità fiscale, e che l’attenuazione della doppia imposizione economica prendeva in considerazione il livello dell’imposta sulle società a cui le controllate francesi erano effettivamente state assoggettate a monte. Pertanto, secondo tale governo, il credito d’imposta non poteva eccedere l’importo dell’imposta sulle società riscossa secondo l’aliquota normale sugli utili alla base dei dividendi distribuiti e, nell’ipotesi in cui tali utili avessero beneficiato di un’aliquota d’imposta ridotta al punto che il credito d’imposta eccedesse l’imposta sulle società assolta a monte, un anticipo d’imposta diventava esigibile a concorrenza dell’eccedenza del credito d’imposta rispetto all’imposta sulle società.

86      Spetta al giudice del rinvio, competente in via esclusiva ad interpretare le norme del suo ordinamento, stabilire in quale misura il regime di cui trattasi nella causa principale si fondasse su una stretta corrispondenza tra l’importo dell’imposta pagata sugli utili alla base della distribuzione dei dividendi e l’importo del credito d’imposta.

87      Si deve tuttavia precisare che, se è vero che, come emerge dalla giurisprudenza, il diritto dell’Unione impone a uno Stato membro, che applichi un sistema per prevenire la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a residenti da parte di società residenti, l’obbligo di concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a residenti da parte di società non residenti (v. sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 72), tuttavia il diritto in parola non impone agli Stati membri l’obbligo di avvantaggiare i contribuenti che abbiano investito in società estere rispetto a quelli che abbiano investito in società nazionali (v., in tal senso, sentenze 6 dicembre 2007, causa C‑298/05, Columbus Container Services, Racc. pag. I‑10451, punti 39 e 40, nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 89).

88      In tal senso, la Corte ha già statuito che il diritto dell’Unione non vieta che uno Stato membro sgravi dall’imposizione a catena dividendi percepiti da una società residente applicando disposizioni che esentano da imposta tali dividendi allorché vengono versati da una società residente, evitando al tempo stesso la suddetta imposizione a catena, attraverso un sistema di imputazione, nel caso in cui i dividendi in questione vengano versati da una società non residente, a condizione però che l’aliquota d’imposta sui dividendi di origine estera non sia superiore a quella applicata ai dividendi di origine nazionale e che il credito d’imposta sia perlomeno pari all’importo versato nello Stato della società distributrice, sino a concorrenza dell’importo dell’imposta applicata nello Stato membro della società beneficiaria (v. sentenze citate Test Claimants in the FII Group Litigation, punti 48 e 57, nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 86, e ordinanza 23 aprile 2008, causa C‑201/05, Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation, Racc. pag. I‑2875, punto 39).

89      La Corte ha dichiarato che, allorché gli utili alla base dei dividendi di origine estera sono assoggettati nello Stato della società distributrice ad un’imposta inferiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta complessivo corrispondente all’imposta versata dalla società distributrice nel suo Stato di stabilimento (sentenze citate Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 51, nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, punto 87).

90      Se invece tali utili soggiacciono nello Stato membro della società distributrice ad un’imposta superiore al prelievo effettuato dallo Stato membro della società beneficiaria, quest’ultimo deve concedere un credito d’imposta soltanto nei limiti dell’importo dell’imposta sulle società dovuto dalla società beneficiaria. Esso non è tenuto a rimborsare la differenza, vale a dire l’ammontare versato nello Stato della società distributrice che eccede l’importo del tributo dovuto nello Stato membro della società beneficiaria (v. sentenze citate Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 52, nonché Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, punto 88).

91      Per quanto riguarda il regime in questione nella causa principale, se uno Stato membro dovesse attribuire ai beneficiari di dividendi provenienti da una società stabilita in un altro Stato membro un credito d’imposta che rappresenti sempre la metà dell’importo di tali dividendi, come chiede la Accor, ciò equivarrebbe a concedere a tali dividendi un trattamento più favorevole di quello di cui beneficiano i dividendi provenienti dal primo Stato membro, qualora l’aliquota d’imposta a cui la società distributrice di tali dividendi era assoggettata nel suo Stato di stabilimento sia inferiore all’aliquota d’imposta applicata nel primo Stato membro.

92      Uno Stato membro deve quindi poter essere in grado di determinare l’importo dell’imposta sulle società versato nello Stato di stabilimento della società distributrice e che deve dar luogo al credito d’imposta concesso alla società controllante beneficiaria. Pertanto, contrariamente a quanto afferma la Accor, non è sufficiente provare che la società distributrice, nel proprio Stato membro di stabilimento, sia stata gravata dell’imposta sugli utili alla base dei dividendi distribuiti, senza fornire le informazioni relative alla natura e all’aliquota dell’imposta applicata effettivamente su tali utili.

93      In tali circostanze, gli oneri amministrativi, e segnatamente il fatto che l’amministrazione tributaria nazionale richieda informazioni riguardanti l’imposta effettivamente applicata sugli utili della società distributrice di dividendi nel suo Stato di stabilimento, non possono essere considerati eccessivi, né possono violare i principi di equivalenza e di effettività.

94      Infatti, per quanto riguarda il principio di equivalenza, da un lato, lo stesso giudice del rinvio rileva, nel formulare la terza questione, che, per quanto riguarda i dividendi distribuiti dalle controllate stabilite in Francia, le informazioni relative all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo del tributo effettivamente versato sono noti all’amministrazione.

95      Dall’altro lato, come osserva l’avvocato generale al paragrafo 102 delle sue conclusioni, dalla giurisprudenza richiamata al punto 82 della presente sentenza emerge che il diritto dell’Unione non osta a che incomba anzitutto alla società controllante interessata l’onere di fornire i documenti giustificativi pertinenti.

96      Se è vero che la società controllante beneficiaria dei dividendi non dispone personalmente dell’insieme delle informazioni riguardanti l’imposta sulle società applicata ai dividendi distribuiti dalla sua controllata stabilita in un altro Stato membro, tuttavia tali informazioni, in linea di principio, sono note a quest’ultima società. Orbene, in tali circostanze, qualsiasi difficoltà per la società controllante di fornire le informazioni richieste in merito all’imposta pagata dalla sua controllata distributrice di dividendi deriva non già dall’intrinseca complessità di tali informazioni, bensì dall’eventuale mancanza di cooperazione da parte della controllata che dispone di queste ultime. Il venir meno del flusso di informazioni verso la società controllante non è quindi un problema di cui debba occuparsi lo Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 98).

97      Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Accor, la circostanza che l’amministrazione tributaria possa ricorrere al meccanismo di reciproca assistenza previsto dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette (GU L 336, pag. 15), come modificata dalla direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CEE (GU L 76, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 77/799»), non implica che essa sia tenuta a dispensare la società controllante beneficiaria dei dividendi dal fornirle la prova dell’imposta pagata dalla società distributrice in un altro Stato membro (v. sentenze citate Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, punto 100, e Meilicke e a., punto 50).

98      Infatti, poiché la direttiva 77/799 prevede la facoltà per le amministrazioni tributarie nazionali di chiedere informazioni che esse non possono ottenere da sole, la Corte ha rilevato che l’impiego, all’art. 2, n. 1, di questa direttiva, del termine «può» evidenzia che le suddette amministrazioni, pur avendo certo la possibilità di chiedere informazioni alla competente autorità di un altro Stato membro, non hanno affatto un obbligo in tal senso. Spetta a ciascuno Stato membro valutare i casi specifici nei quali manchino informazioni in merito alle operazioni effettuate dai soggetti d’imposta stabiliti nel suo territorio e decidere se tali casi giustifichino la presentazione di una richiesta di informazioni ad un altro Stato membro (sentenze 27 settembre 2007, causa C‑184/05, Twoh International, Racc. pag. I‑7897, punto 32, nonché sentenze citate Persche, punto 65, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, punto 101, e Meilicke e a., punto 51).

99      Per quanto riguarda il rispetto del principio di effettività, si deve osservare, in primo luogo, che i documenti giustificativi richiesti dovrebbero consentire alle autorità tributarie dello Stato membro d’imposizione di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatti i presupposti per la concessione di un’agevolazione fiscale, ma essi non dovrebbero assumere una forma particolare, dal momento che una simile valutazione non deve essere effettuata in modo troppo formalistico (v., in tal senso, sentenza Meilicke e a., cit., punto 46).

100    In secondo luogo, spetta al giudice del rinvio verificare se non sia praticamente impossibile, o eccessivamente difficile, ottenere gli elementi relativi all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo del tributo effettivamente versato sugli utili alla base della distribuzione dei dividendi, tenuto conto in particolare della normativa dello Stato membro di stabilimento della società distributrice riguardante la prevenzione della doppia imposizione e la registrazione dell’imposta sulle società che deve essere assolta, nonché la conservazione dei documenti amministrativi o contabili.

101    La richiesta di produzione dei suddetti elementi deve inoltre giungere durante il periodo in cui i documenti amministrativi o contabili devono essere conservati per legge, secondo quanto previsto dal diritto dello Stato membro di stabilimento della controllata. Come osserva la Accor, non le si potrebbe chiedere, al fine di beneficiare del credito d’imposta, di fornire documenti che coprano un periodo più lungo rispetto alla durata dell’obbligo legale di conservazione dei documenti amministrativi e contabili.

102    Per tali motivi, si deve risolvere la terza questione dichiarando che i principi di equivalenza e di effettività non ostano a che il rimborso a una società controllante delle somme, atto a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi distribuiti dalle controllate di detta società stabilite in Francia e a quelli distribuiti dalle controllate della medesima società stabilite in altri Stati membri, ridistribuiti dalla società controllante, sia subordinato alla condizione che il debitore fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi, per ognuno dei dividendi controversi, in particolare, all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati dalle controllate stabilite in altri Stati membri, mentre, per le controllate stabilite in Francia, questi stessi elementi, noti all’amministrazione, non sono richiesti. La produzione di tali elementi tuttavia può essere richiesta solo a condizione che non risulti praticamente impossibile o eccessivamente difficile fornire la prova del pagamento dell’imposta da parte delle controllate stabilite in altri Stati membri, tenuto conto in particolare delle disposizioni della normativa di detti Stati membri sulla prevenzione della doppia imposizione e sulla registrazione dell’imposta sulle società che deve essere assolta, nonché sulla conservazione dei documenti amministrativi. Spetta al giudice del rinvio verificare se tali condizioni siano soddisfatte nella causa principale.

 Sulle spese

103    Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      Gli artt. 49 TFUE e 63 TFUE ostano a una normativa di uno Stato membro diretta all’eliminazione della doppia imposizione economica dei dividendi, quale quella di cui trattasi nella causa principale, che consente a una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi versati dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato alla distribuzione dei suddetti dividendi se questi provengono da una controllata stabilita in tale Stato membro, ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Stato membro, dal momento che tale normativa non dà diritto, in quest’ultimo caso, alla concessione di un credito d’imposta collegato alla distribuzione dei citati dividendi da parte di tale controllata.

2)      Il diritto dell’Unione osta a che, qualora un regime fiscale nazionale come quello di cui trattasi nella causa principale non si traduca di per sé nella ripercussione su un terzo di un’imposta indebitamente versata dal debitore di quest’ultima, uno Stato membro neghi il rimborso delle somme pagate dalla società controllante, adducendo che tale rimborso avrebbe per conseguenza l’arricchimento senza giusta causa di tale società, o che la somma versata dalla società controllante non rappresenta per quest’ultima un onere contabile o fiscale, ma viene imputata sull’insieme delle somme che possono essere ridistribuite ai suoi azionisti.

3)      I principi di equivalenza e di effettività non ostano a che il rimborso a una società controllante delle somme, atto a garantire l’applicazione di uno stesso regime fiscale ai dividendi distribuiti dalle controllate di detta società stabilite in Francia e a quelli distribuiti dalle controllate della medesima società stabilite in altri Stati membri, ridistribuiti dalla società controllante, sia subordinato alla condizione che il debitore fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi, per ognuno dei dividendi controversi, in particolare, all’aliquota d’imposta effettivamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati dalle controllate stabilite in altri Stati membri, mentre, per le controllate stabilite in Francia, questi stessi elementi, noti all’amministrazione, non sono richiesti. La produzione di tali elementi tuttavia può essere richiesta solo a condizione che non risulti praticamente impossibile o eccessivamente difficile fornire la prova del pagamento dell’imposta da parte delle controllate stabilite in altri Stati membri, tenuto conto in particolare delle disposizioni della normativa di detti Stati membri sulla prevenzione della doppia imposizione e sulla registrazione dell’imposta sulle società che deve essere assolta, nonché sulla conservazione dei documenti amministrativi. Spetta al giudice del rinvio verificare se tali condizioni siano soddisfatte nella causa principale.

Firme


* Lingua processuale: il francese.