Causa C‑262/09

Wienand Meilicke e altri

contro

Finanzamt Bonn-Innenstadt

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Köln)

«Libera circolazione dei capitali — Imposta sui redditi — Attestato concernente l’imposta sulle società effettivamente versata relativo ai dividendi di origine estera — Prevenzione della doppia imposizione dei dividendi — Credito d’imposta per i dividendi corrisposti da società residenti — Prove richieste riguardo all’imposta estera deducibile»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Normativa tributaria — Imposta sul reddito — Tassazione dei dividendi — Calcolo dell’importo del credito d’imposta al quale ha diritto un soggetto fiscalmente residente in uno Stato membro per i dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro

(Artt. 56 CE e 58 CE)

2.        Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Normativa tributaria — Imposta sul reddito — Tassazione dei dividendi — Elementi di prova che devono essere forniti da un soggetto fiscalmente residente in uno Stato membro al fine di ottenere un credito d’imposta per i dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro

(Artt. 56 CE e 58 CE)

3.        Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Normativa tributaria — Imposta sul reddito — Tassazione in uno Stato membro dei dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro

1.        Ai fini del calcolo dell’importo del credito d’imposta al quale ha diritto un azionista fiscalmente residente in uno Stato membro in relazione a dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, gli artt. 56 CE e 58 CE ostano, in mancanza della produzione degli elementi di prova prescritti dalla normativa del primo Stato membro, all’applicazione di una disposizione nazionale in forza della quale l’imposta sulle società gravante sui dividendi di origine estera è deducibile dall’imposta sui redditi dell’azionista nella misura della frazione dell’imposta sulle società gravante sui dividendi lordi distribuiti dalle società del primo Stato membro.

Il calcolo del credito d’imposta deve essere effettuato in funzione dell’aliquota d’imposta sugli utili distribuiti a titolo dell’imposta sulle società applicabile alla società distributrice secondo il diritto del suo Stato membro di stabilimento, senza tuttavia che l’importo deducibile possa eccedere l’importo dell’imposta sui redditi dovuto sui dividendi percepiti dall’azionista beneficiario nello Stato membro in cui questi sia fiscalmente residente.

Infatti, uno Stato membro, qualora adotti un sistema per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a residenti da società residenti, deve concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a residenti da società non residenti. Ciò implica che, in una situazione siffatta, tale sistema nazionale deve essere trasposto, nella misura massima possibile, alle fattispecie transfrontaliere.

(v. punti 29, 31, 34, dispositivo 1)

2.        Per quanto concerne il grado di precisione che devono soddisfare gli elementi di prova necessari per ottenere un credito d’imposta relativo ai dividendi corrisposti da una società di capitali stabilita in uno Stato membro diverso da quello in cui il beneficiario è fiscalmente residente, gli artt. 56 CE e 58 CE ostano all’applicazione di una disposizione nazionale ai sensi della quale il grado di precisione e i requisiti di forma relativi alla presentazione degli elementi di prova che tale beneficiario deve fornire devono essere gli stessi che sono prescritti nel caso in cui la società distributrice sia stabilita nello Stato membro in cui il beneficiario è fiscalmente residente.

L’amministrazione finanziaria di quest’ultimo Stato membro può legittimamente imporre a detto beneficiario di fornire documenti probatori che le consentano di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di un credito d’imposta previsto dalla normativa nazionale, senza poter procedere ad una stima di tale credito d’imposta.

Una normativa di uno Stato membro che impedisse in modo assoluto ai soggetti fiscalmente residenti, per quanto riguarda l’imposta sui redditi, in tale Stato membro, che abbiano effettuato investimenti in società di capitali stabilite in un altro Stato membro, di fornire elementi di prova rispondenti ad altri criteri, segnatamente di presentazione, diversi rispetto a quelli prescritti per gli investimenti nazionali dalla normativa del primo Stato membro, non soltanto risulterebbe contraria al principio di buona amministrazione, ma soprattutto andrebbe al di là di quanto necessario per conseguire l’obiettivo dell’efficacia dei controlli fiscali.

(v. punti 43, 53, dispositivo 2)

3.        Il principio di effettività osta ad una normativa nazionale come modificata, la quale, in modo retroattivo e senza prevedere un termine transitorio, esclude la deducibilità dell’imposta estera sulle società, afferente ai dividendi corrisposti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, dietro presentazione di un attestato relativo a tale imposta e redatto in modo conforme alla normativa dello Stato membro in cui il beneficiario di tali dividendi è fiscalmente residente, ovvero di documenti probatori che consentano all’amministrazione finanziaria di detto Stato membro di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di un beneficio fiscale. Spetta al giudice del rinvio individuare un termine ragionevole per la produzione di tale attestato o di tali documenti probatori.

Infatti, relativamente al rimborso di imposte nazionali indebitamente percepite, quando le modalità di rimborso sono oggetto di modifica da parte del diritto nazionale in modo retroattivo, il principio di effettività impone che la nuova normativa preveda un regime transitorio che consenta ai soggetti di diritto di disporre di un termine sufficiente per poter presentare, dopo la sua adozione, le domande di rimborso che essi erano legittimati a proporre durante la vigenza della disciplina precedente.

(v. punti 57, 59, dispositivo 3)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

30 giugno 2011 (*)

«Libera circolazione dei capitali – Imposta sui redditi – Attestato concernente l’imposta sulle società effettivamente versata relativa ai dividendi di origine estera – Prevenzione della doppia imposizione dei dividendi – Credito d’imposta per i dividendi corrisposti da società residenti – Prove richieste riguardo all’imposta estera deducibile»

Nel procedimento C‑262/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Finanzgericht Köln (Germania) con decisione 14 maggio 2009, pervenuta in cancelleria il 13 luglio 2009, rettificata con la decisione 10 agosto 2009, pervenuta in cancelleria il 7 settembre 2009, nella causa

Wienand Meilicke,

Heidi Christa Weyde,

Marina Stöffler

contro

Finanzamt Bonn-Innenstadt,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič, E. Levits (relatore), M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 ottobre 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il sig. M. Meilicke, nonché per le sig.re Weyde e Stöffler, dagli avv.ti W. Meilicke e D. Rabback, Rechtsanwälte;

–        per il Finanzamt Bonn-Innenstadt, dalla sig.ra G. Sasonow e dal sig. F. Mlosch, Prozessbevollmächtigte;

–        per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e C. Blaschke, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, dai sigg. R. Lyal e W. Mölls, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 gennaio 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 56 CE e 58 CE, che sono stati sostituiti, a partire dal 1° dicembre 2009, dagli artt. 63 TFUE e 65 TFUE.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone il sig. W.Meilicke nonché le sigg.re Weyde e Stöffler, in qualità di eredi del sig. H. Meilicke, deceduto il 3 maggio 1997, al Finanzamt Bonn‑Innenstadt (Ufficio delle imposte di Bonn-centro; in prosieguo: il «Finanzamt»), in merito alla tassazione dei dividendi versati al de cuius negli anni 1995-1997 da società aventi sede in Danimarca e nei Paesi Bassi.

 Contesto normativo

 Il diritto comunitario

3        L’art. 56, n. 1, CE, contenuto nel capo 4, intitolato «Capitali e pagamenti», del titolo III, a sua volta intitolato «Libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali», della parte terza del Trattato CE, dedicata alle politiche della Comunità europee, disponeva quanto segue:

«Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi».

4        L’art. 58, n. 1, CE prevedeva quanto segue:

«Le disposizioni dell’articolo 56 non pregiudicano il diritto degli Stati membri:

a)       di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;

(...)».

5        L’art. 58, n. 3, CE così recitava:

«Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 56».

6        L’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15), così dispone:

«1. L’autorità competente di uno Stato membro può chiedere all’autorità competente di un altro Stato membro di comunicar[le] le informazioni di cui all’articolo 1, paragrafo 1, per quanto concerne un caso specifico (…)».

 La normativa tedesca applicabile negli esercizi 1995‑1997

7        Ai sensi degli artt. 1, 2 e 20 della legge relativa all’imposta sui redditi (Einkommensteuergesetz) 7 settembre 1990 (BGBl. 1990, pag. 1898), come modificata dalla legge 13 settembre 1993 (BGBl. 1993 I, pag. 1569; in prosieguo: l’«EStG»), i dividendi spettanti ad una persona residente in Germania e, quindi, ivi fiscalmente residente ai fini dell’imposta sui redditi sono imponibili in tale Stato in quanto redditi da capitale.

8        A termini dell’art. 27, n. 1, della legge relativa all’imposta sulle società (Körperschaftsteuergesetz) 11 marzo 1991 (BGBl. 1991 I, pag. 638), come modificata dalla legge 13 settembre 1993 (in prosieguo: il «KStG»), i dividendi distribuiti dalle società di capitali fiscalmente residenti, per quanto riguarda l’imposta sulle società, in Germania sono tassati a titolo di tale imposta nella misura del 30%. Tale circostanza si traduce in una distribuzione del 70% degli utili al lordo delle imposte e in un credito d’imposta pari a 30/70, ossia 3/7 dei dividendi percepiti.

9        In forza dell’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, dell’EStG, interpretato alla luce della sentenza della Corte 6 marzo 2007, causa C‑292/04, Meilicke e a. (Racc. pag. I‑1835), detto credito d’imposta si applica ai dividendi percepiti da società di capitali fiscalmente residenti in Germania o in un altro Stato membro. Pertanto, i soggetti passivi fiscalmente residenti ai fini dell’imposta sui redditi in Germania beneficiano del suddetto credito d’imposta quando percepiscono dividendi di società tedesche o di società estere.

10      A termini dell’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, quarto periodo, lett. b), dell’EStG, l’imposta sulle società non è deducibile, inter alia, quando non sia stato presentato l’attestato fiscale di cui agli artt. 44 e seguenti del KStG.

11      L’art. 44 del KStG prevede quanto segue:

«1.      Una società integralmente assoggettata all’imposta, qualora esegua versamenti per conto proprio, equivalenti, per gli azionisti, a redditi ai sensi dell’art. 20, n. 1, punti 1 e 2, dell’EStG, è tenuta, fatto salvo quanto disposto dal n. 2, a fornire agli azionisti, su domanda degli stessi, un attestato relativo all’imposta sulle società redatto conformemente al modello prescritto dall’amministrazione, recante le seguenti indicazioni:

1.      il nome e l’indirizzo dell’azionista;

2.      l’importo dei versamenti;

3.      la data dei versamenti;

4.      l’importo dell’imposta sulle società deducibile in forza dell’art. 36, n. 2, punto 3, primo periodo, dell’EStG;

5.      l’importo dell’imposta sulle società da rimborsare ai sensi dell’art. 52; a tal fine è sufficiente che l’indicazione sia riferita a un’unica azione, a un’unica quota o a un unico diritto di godimento;

6.      in qual misura debba considerarsi utilizzato, ai fini del versamento, l’elemento di capitale di cui all’art. 30, n. 2, punto 1;

7.      l’importo della prestazione per la quale si considera utilizzato l’elemento di capitale di cui all’art. 30, n. 2, punto 4.

(…)».

12      L’art. 175 del Codice tributario (Abgabenordnung), introdotto con legge 16 marzo 1976 (BGBl. 1976 I, pag. 613, e – rettifica – BGBl. 1977 I, pag. 269), nel testo pubblicato il 1° ottobre 2002 (BGBl. 2002 I, pag. 3866, e – rettifica – BGBl. 2003 I, pag. 61; in prosieguo: l’«AO»), così recita:

«(1)      un avviso di accertamento d’imposta dev’essere emanato, revocato o modificato,

(…)

2.      quando si verifichi un evento produttivo di effetti fiscali per il passato (evento retroattivo).

Nell’ipotesi di cui alla prima frase, punto 2, il dies a quo ai fini della determinazione dell’imposta coincide con la fine dell’anno civile nel corso del quale l’evento stesso si è verificato.

(…)».

13      Il 9 dicembre 2004 l’AO veniva emendata, per quanto attiene alla definitività degli avvisi di accertamento e alla loro modificabilità in caso di eventi con effetto retroattivo, dalla legge recante trasposizione delle direttive dell’Unione europea nel diritto tributario interno e modifica di altre disposizioni (Gesetz zur Umsetzung von EU-Richtlinien in nationales Steuerrecht und zur Änderung weiterer Vorschriften, BGBl. 2004 I, pag. 3310; in prosieguo: l’«AO modificata»). L’art. 175, n. 2, secondo periodo, dell’AO modificata, nel testo risultante dall’art. 8 di tale legge di modifica, è così formulato:

«Il rilascio o la presentazione a posteriori di un attestato ovvero di un certificato non è considerato quale evento retroattivo».

14      Al fine di circoscrivere l’ambito di applicazione ratione temporis dell’art. 175, n. 2, secondo periodo, dell’AO modificata, l’art. 97, n. 9, terzo comma, della legge di introduzione del Codice tributario (Einführungsgesetz zur Abgabenordnung) 14 dicembre 1976 (BGBl. 1976 I, pag. 3341, e – rettifica – BGBl. 1977 I, pag. 667; in prosieguo: l’«EGAO»), è stato a sua volta oggetto di modifica ed ha attualmente il seguente tenore:

«L’art. 175, n. 2, secondo periodo, dell’AO [modificata] si applica qualora l’attestato o il certificato sia presentato o rilasciato dopo il 28 ottobre 2004. (…)».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

15      Il sig. H. Meilicke, residente in Germania, possedeva azioni di società aventi sede nei Paesi Bassi ed in Danimarca. Negli anni intercorrenti dal 1995 al 1997 percepiva, a tale titolo, dividendi per un importo totale pari a DEM 39 631,32, ossia EUR 20 263,17.

16      Con comunicazione datata 30 ottobre 2000, i ricorrenti nella causa principale chiedevano al Finanzamt il riconoscimento di un credito d’imposta pari a 3/7 di tali dividendi, da dedurre dall’imposta sui redditi accertata a carico del sig. H. Meilicke.

17      Il Finanzamt respingeva tale domanda, in base al rilievo che dall’imposta sui redditi può essere dedotta solo l’imposta sulle società gravante su una società fiscalmente residente in Germania.

18      Avverso tale decisione i ricorrenti nella causa principale proponevano ricorso dinanzi al Finanzgericht Köln (Sezione tributaria del Tribunale di Colonia), il quale, con decisione 24 giugno 2004, sottoponeva alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 36, n. 2, punto 3, dell’[EStG], ai sensi del quale si deduce dall’imposta sui redditi solo l’imposta sulle società o associazioni fiscalmente residenti in Germania, nella misura dei 3/7 delle entrate di cui all’art. 20, n. 1, punti 1 o 2, dell’EStG, sia compatibile con gli artt. 56, n. 1, CE e 58, n. 1, lett. a), e n. 3, CE».

19      A seguito della sentenza 7 settembre 2004, causa C‑319/02, Manninen (Racc. pag. I‑7477), i ricorrenti nella causa principale, con memorie datate 7 gennaio 2005, 16 maggio 2007 e 23 novembre 2007, modificavano il petitum, facendo valere un credito d’imposta a titolo dell’imposta sulle società non più nella misura dei 3/7 dei dividendi controversi, bensì nella misura dei 34/66 dei dividendi lordi d’origine danese e dei 35/65 dei dividendi lordi d’origine olandese.

20      Con la sentenza Meilicke e a., citata, la Corte ha dichiarato:

«Gli artt. 56 CE e 58 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa tributaria in forza della quale, in occasione di una distribuzione di dividendi da parte di una società di capitali, un azionista soggetto passivo fiscalmente residente in uno Stato membro beneficia di un credito d’imposta, calcolato in funzione dell’aliquota gravante sugli utili distribuiti a titolo dell’imposta sulle società, quando la società distributrice ha sede nello stesso Stato membro, ma non quando la detta società ha sede in un altro Stato membro».

21      A seguito di tale sentenza, il giudice del rinvio ritiene che si debba riconoscere ai ricorrenti nella causa principale il diritto a due crediti d’imposta, calcolati in funzione dell’aliquota d’imposta gravante sugli utili distribuiti a titolo dell’imposta sulle società degli Stati membri in cui hanno sede le società distributrici.

22      Il Finanzgericht Köln rileva, tuttavia, che di fatto non risulta possibile determinare gli importi effettivamente versati nei Paesi Bassi e in Danimarca a titolo di tale imposta. Di conseguenza, il giudice del rinvio dubita del metodo da seguire, in particolare, in ordine al calcolo concreto che dovrebbe consentire di determinare l’importo dei crediti d’imposta ai quali i ricorrenti nella causa principale hanno diritto. In proposito, detto giudice prospetta tre soluzioni possibili, ossia, in primo luogo, applicare una norma nazionale secondo cui l’imposta sulle società gravante sui dividendi di origine estera viene dedotta dall’imposta sui redditi nella misura della frazione applicabile con riguardo ai dividendi lordi distribuiti dalle società nazionali, in secondo luogo, procedere a una valutazione dell’aliquota d’imposta estera delle società applicabile ai dividendi di origine estera o, in terzo luogo, determinare nel modo più esatto possibile gli importi riscossi a titolo dell’imposta sulle società estere. In quest’ultima ipotesi, tale giudice si chiede quali siano gli elementi di prova necessari per procedere al calcolo del credito d’imposta.

23      Ciò premesso, il Finanzgericht Köln ha nuovamente deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la libertà di circolazione dei capitali, ai sensi degli artt. 56, n. 1, 58, n. 1, lett. a), e n. 3, CE, nonché il principio di effettività e il principio dell’effetto utile ostino ad una norma, come quella di cui all’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, dell’EStG (nella versione in vigore durante gli esercizi controversi [nella causa principale]), secondo cui l’imposta sulle società viene dedotta dall’imposta sui redditi in misura dei 3/7 dei dividendi lordi, nei limiti in cui tali dividendi non provengano da distribuzioni per le quali si considera utilizzato il capitale proprio ai sensi dell’art. 30, n. 2, punto 1, del KStG (nella versione in vigore durante gli esercizi controversi [nella causa principale]), nonostante sia di fatto impossibile determinare l’imposta sulle società effettivamente versata sui dividendi percepiti da società aventi sede in uno Stato membro diverso e tale imposta possa essere ivi maggiore.

2)      Se la libertà di circolazione dei capitali (...) nonché il principio di effettività e il principio dell’effetto utile ostino ad una norma, come quella di cui all’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, quarto periodo, lett. b), dell’EStG (nella versione in vigore durante gli esercizi controversi [nella causa principale]), secondo cui per poter portare in deduzione l’imposta sulle società [dall’imposta sui redditi] è necessario presentare l’attestato relativo all’imposta sulle società prescritto dagli artt. 44 e seguenti del KStG (nella versione in vigore durante gli esercizi controversi [nella causa principale]), in cui deve essere indicato, inter alia, l’importo dell’imposta sulle società deducibile, nonché l’entità del versamento con precisazione delle singole voci del capitale proprio utilizzabile, secondo il modello di ripartizione specifico previsto dall’art. 30 del KStG (nella versione in vigore durante gli esercizi controversi [nella causa principale]), nonostante sia di fatto impossibile determinare l’imposta estera sulle società effettivamente versata e per la quale il credito d’imposta venga richiesto e benché sia praticamente impossibile presentare [tale] attestato per i dividendi di origine estera.

3)      Se la libertà di circolazione dei capitali (...), qualora sia concretamente impossibile presentare l’attestato relativo all’imposta sulle società di cui all’art. 44 del KStG (nella versione in vigore durante gli esercizi controversi [nella causa principale]) e non sia determinabile l’importo dell’imposta sulle società effettivamente versata sui dividendi di origine estera, imponga di procedere ad una stima dell’aliquota [d’imposta] dell’imposta sulle società e, se del caso, di prendere in considerazione a tal fine anche oneri fiscali indiretti assolti a monte.

4)      a)     Nel caso in cui la seconda questione sia risolta negativamente e sia [quindi] necessario un attestato relativo all’imposta sulle società:

se il principio di effettività e il principio dell’effetto utile debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una norma, come quella di cui all’art. 175, n. 2, secondo periodo, dell’AO [modificata], in combinato disposto con l’art. 97, n. 9, terzo comma, dell’EGAO, secondo la quale, inter alia, la produzione di un attestato relativo all’imposta sulle società non è più considerata, a decorrere dal 29 ottobre 2004, quale evento retroattivo, rendendo così tecnicamente impossibile la deducibilità dell’imposta sulle società in sede di determinazione definitiva dell’imposta sui redditi [dovuta in Germania], senza che sia stato concesso un periodo transitorio che consenta di far valere la deducibilità dell’imposta estera sulle società.

b)      Nel caso in cui la seconda questione sia risolta affermativamente e non sia [dunque] necessario un attestato relativo all’imposta sulle società:

      Se l’art. 56 CE nonché il principio di effettività e il principio dell’effetto utile vadano interpretati nel senso che ostano ad una norma, come quella di cui all’art. 175, n. 1, punto 2, dell’AO, secondo la quale un avviso di accertamento dev’essere modificato qualora si verifichi un evento retroattivo, segnatamente la produzione di un attestato relativo all’imposta sulle società, consentendo in tal modo la deducibilità dell’imposta sulle società per i dividendi d’origine interna anche in caso di avviso di accertamento definitivo ai fini dell’imposta sui redditi, laddove ciò non sarebbe possibile per i dividendi esteri in assenza di un attestato relativo all’imposta [estera] sulle società».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

24      Con tale questione, letta in collegamento con le due seguenti, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 56 CE e 58 CE debbano essere interpretati nel senso che, ove non vengano prodotti gli elementi di prova prescritti dalla normativa di uno Stato membro per poter beneficiare di un credito d’imposta a titolo dell’imposta sulle società applicata ai dividendi, essi ostano all’applicazione di una disposizione, come l’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, dell’EStG, in forza della quale l’imposta sulle società gravante sui dividendi di origine estera è deducibile dall’imposta sui redditi nella misura della frazione dell’imposta sulle società gravante sui dividendi lordi distribuiti dalle società nazionali.

25      Nella motivazione della sentenza Meilicke e a., citata, la Corte ha anzitutto rilevato che il Finanzgericht Köln aveva presentato la sua domanda di pronuncia pregiudiziale prima della pronuncia della sentenza Manninen, citata.

26      La Corte ha poi rammentato che, conformemente al punto 54 di detta sentenza Manninen, ai fini del calcolo di un credito d’imposta concesso ad un azionista fiscalmente residente in Finlandia, che abbia percepito dividendi da una società avente sede in un altro Stato membro, si deve tenere conto dell’imposta effettivamente versata dalla società avente sede in tale altro Stato membro, come determinata in base alle norme generali applicabili al calcolo della base imponibile nonché dell’aliquota dell’imposta sulle società in quest’ultimo Stato membro (sentenza Meilicke e a., cit., punto 15).

27      Tenendo conto, da un lato, del fatto che i ricorrenti nella causa principale hanno fatto valere un credito d’imposta pari a 34/66 dei dividendi di origine danese e a 35/65 per quelli d’origine olandese e, dall’altro, della posizione del governo tedesco secondo la quale, nel caso di dividendi di origine straniera, non potrebbe essere concesso forfettariamente un credito d’imposta pari a 3/7 dei dividendi percepiti, in quanto il credito d’imposta dovrebbe essere collegato all’aliquota d’imposta applicabile agli utili distribuiti conformemente alla normativa relativa all’imposta sulle società dello Stato membro nel cui territorio ha sede la società distributrice di detti dividendi (sentenza Meilicke, cit., punti 16 e 17), la Corte ha confermato la giurisprudenza risultante dalla sentenza Manninen, citata.

28      Da quanto precede risulta che, con la soluzione da essa fornita alla questione pregiudiziale nell’ambito della citata sentenza Meilicke e a., richiamata al punto 20 della presente sentenza, la Corte ha escluso che il calcolo del credito d’imposta cui ha diritto un azionista fiscalmente residente in uno Stato membro rispetto ai dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro possa effettuarsi su una base diversa da quella dell’aliquota d’imposta degli utili distribuiti a titolo dell’imposta sulle società applicabile alla società distributrice secondo il diritto del suo Stato membro di stabilimento.

29      Inoltre, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che uno Stato membro, qualora adotti un sistema per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione economica nel caso di dividendi versati a residenti da società residenti, deve concedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a residenti da società non residenti (v., in tal senso, sentenze 15 luglio 2004, causa C‑315/02, Lenz, Racc. pag. I‑7063, punti 27-49; Manninen, cit., punti 29-55, e 12 dicembre 2006, causa C‑374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I‑11673, punto 55).

30      Infatti, nell’ambito di tali sistemi, la situazione di azionisti residenti in uno Stato membro che percepiscano dividendi da una società stabilita in questo stesso Stato è analoga a quella di azionisti residenti nel detto Stato che percepiscano dividendi da una società stabilita in un altro Stato membro, in quanto sia i dividendi di origine nazionale sia quelli di origine estera possono costituire oggetto, da una parte, nel caso di società azioniste, di un’imposizione a catena, e dall’altra, nel caso di azionisti finali, di una doppia imposizione economica (v., in tal senso, citate sentenze Lenz, punti 31 e 32; Manninen, punti 35 e 36, nonché Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, punto 56).

31      Alla luce di tale giurisprudenza, uno Stato membro, quale la Repubblica federale tedesca, è tenuto a riconoscere, in base al suo sistema di prevenzione della doppia imposizione economica, nel caso di dividendi distribuiti a residenti da società non residenti, un trattamento equivalente a quello previsto per i dividendi distribuiti da società residenti a soggetti residenti. Ciò implica che tale sistema nazionale debba essere trasposto, nella misura massima possibile, alle fattispecie transfrontaliere. Pertanto, nelle fattispecie in cui non sia possibile tener conto, a livello nazionale, delle imposte indirettamente riscosse a monte a titolo di imposta sulle società, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, analogamente la stessa operazione non deve aver luogo per i dividendi corrisposti da società non residenti a soggetti residenti.

32      In circostanze come quelle di cui alla causa principale, l’obbligo da parte di uno Stato membro di neutralizzare una doppia imposizione economica a livello della persona fisica ultima beneficiaria di dividendi di origine estera è limitato alla deduzione dell’imposta sulle società pagata dalla società distributrice per tali dividendi, secondo il diritto del suo Stato membro di stabilimento, dall’imposta sui redditi dovuta dall’azionista a titolo di detti dividendi.

33      Infatti, come fatto valere dal Finanzamt e dal governo tedesco, la libera circolazione dei capitali, sancita dall’art. 56, n. 1, CE, non può avere l’effetto di obbligare gli Stati membri ad andare al di là di un annullamento dell’imposta nazionale sul reddito dovuta dall’azionista sui dividendi di origine estera percepiti e a rimborsare un importo che trova la sua origine nel sistema tributario di un altro Stato membro (v., par analogia, sentenza 12 dicembre 2006, causa C‑446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I‑11753, punto 52), senza che il primo Stato membro subisca una compressione della propria autonomia tributaria a causa dell’esercizio del potere impositivo da parte dell’altro Stato membro (v., in particolare, sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., punto 47; 20 maggio 2008, causa C‑194/06, Orange European Smallcap Fund, Racc. pag. I‑3747, punto 30, nonché 16 luglio 2009, causa C‑128/08, Damseaux, Racc. pag. I‑6823, punto 25).

34      Alla luce di quanto precede, la prima questione, letta in connessione con le due seguenti, deve essere risolta dichiarando che, ai fini del calcolo dell’importo del credito d’imposta al quale ha diritto un’azionista fiscalmente residente in uno Stato membro in relazione a dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, gli artt. 56 CE e 58 CE ostano, in mancanza della produzione degli elementi di prova prescritti dalla normativa del primo Stato membro, all’applicazione di una disposizione, quale l’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, dell’EStG, in forza della quale l’imposta sulle società gravante sui dividendi di origine estera è deducibile dall’imposta sui redditi dell’azionista nella misura della frazione dell’imposta sulle società gravante sui dividendi lordi distribuiti dalle società del primo Stato membro. Il calcolo del credito d’imposta deve essere effettuato in funzione dell’aliquota d’imposta degli utili distribuiti a titolo dell’imposta sulle società applicabile alla società distributrice secondo il diritto del suo Stato membro di stabilimento, senza tuttavia che l’importo deducibile possa eccedere l’importo dell’imposta sui redditi dovuto sui dividendi percepiti dall’azionista beneficiario nello Stato membro in cui questi sia fiscalmente residente.

 Sulla seconda e sulla terza questione

35      Con la seconda e la terza questione, il giudice del rinvio chiede se gli artt. 56 CE e 58 CE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione di una disposizione, come l’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, quarto periodo, lett. b), dell’EStG, ai sensi della quale il livello di precisione e i requisiti di forma relativi alla presentazione degli elementi di prova che un’azionista fiscalmente residente in uno Stato membro deve produrre, per poter ivi beneficiare di un credito d’imposta con riguardo alla riscossione di dividendi corrisposti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, devono essere gli stessi di quelli richiesti nel caso in cui la società distributrice sia stabilita nel primo Stato membro. In caso di risposta affermativa, detto giudice si chiede quale grado di precisione debbano presentare gli elementi di prova prodotti al fine di accertare l’aliquota d’imposta estera sulle società relativa ai dividendi per determinare l’importo del credito d’imposta al quale il beneficiario degli stessi ha diritto e, eventualmente, se gli artt. 56 CE e 58 CE consentano al giudice nazionale di operare una stima di tale aliquota d’imposta.

36      Per risolvere le questioni in esame va, anzitutto, sottolineato che, dal momento che l’aliquota d’imposta sugli utili distribuiti a titolo dell’imposta sulle società applicabile alla società distributrice di dividendi è determinante ai fini del calcolo del credito d’imposta a cui l’azionista ha diritto nello Stato membro della sua residenza, tale aliquota deve essere determinata nel modo più preciso possibile. Pertanto, è esclusa ab initio la possibilità di fondare il calcolo di detto credito d’imposta su una mera stima dell’aliquota rilevante.

37      Occorre poi rilevare che il principio dell’autonomia tributaria degli Stati membri implica che questi ultimi determinino quali sono, secondo il proprio sistema nazionale, gli elementi di prova necessari onde beneficiare di un tale credito d’imposta.

38      Ciò nondimeno, l’esercizio di tale autonomia tributaria da parte degli Stati membri deve avvenire nel rispetto degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione, segnatamente quelli imposti dalle disposizioni del Trattato afferenti alla libera circolazione dei capitali.

39      A questo proposito, la Corte ha già avuto occasione di precisare che eventuali difficoltà circa la determinazione dell’imposta effettivamente pagata in un altro Stato membro non possono giustificare un ostacolo alla libera circolazione dei capitali (v. citate sentenze Manninen, punto 54, e 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 70).

40      Nel caso di specie, si deve necessariamente rilevare che una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale, in forza della quale il credito d’imposta viene concesso solo a seguito della produzione di un attestato conforme al sistema interno dello Stato membro interessato, senza alcuna possibilità per l’azionista di dimostrare tramite altri elementi e informazioni rilevanti l’imposta effettivamente versata dalla società distributrice dei dividendi, configura una restrizione dissimulata alla libera circolazione dei capitali vietata dal n. 3 dell’art. 65 TFUE (v., in tal senso, sentenza 27 gennaio 2009, causa C‑318/07, Persche, Racc. pag. I‑359, punto 72).

41      È certamente vero che dalla giurisprudenza risulta che la necessità di assicurare l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare una restrizione dell’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato e che uno Stato membro è autorizzato ad applicare misure che consentano di verificare, in modo chiaro e preciso, l’importo delle spese detraibili in tale Stato membro, che sono state sostenute in un altro Stato membro (v., in particolare, sentenze 15 maggio 1997, causa C‑250/95, Futura Participations e Singer, Racc. pag. I‑2471, punto 31, nonché 10 marzo 2005, causa C‑39/04, Laboratoires Fournier, Racc. pag. I‑2057, punto 24).

42      Tuttavia, per essere giustificata, una misura restrittiva deve rispettare il principio di proporzionalità, nel senso che dev’essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo che persegue senza eccedere quanto è necessario a tal fine (v., inter alia, sentenze 18 dicembre 2007, causa C‑101/05, A, Racc. pag. I‑11531, punti 55 e 56, nonché Persche, cit., punto 52).

43      Orbene, una normativa di uno Stato membro che impedisse in modo assoluto ai soggetti fiscalmente residenti, per quanto riguarda l’imposta sui redditi, in tale Stato membro, che abbiano effettuato investimenti in società di capitali stabilite in un altro Stato membro, di fornire elementi di prova rispondenti ad altri criteri, segnatamente di presentazione, diversi rispetto a quelli prescritti per gli investimenti nazionali dalla normativa del primo Stato membro, non soltanto risulterebbe contraria al principio di buona amministrazione, ma soprattutto andrebbe al di là di quanto necessario per conseguire l’obiettivo dell’efficacia dei controlli fiscali.

44      Infatti, non può a priori escludersi che detti azionisti siano in grado di produrre validi documenti probatori che consentano all’amministrazione finanziaria dello Stato membro d’imposizione di verificare, in modo chiaro e preciso, la reale esistenza e la natura dei prelievi fiscali effettuati in altri Stati membri (v., per analogia, citate sentenze Laboratoires Fournier, punto 25, e Persche, punto 53).

45      Per quanto riguarda l’onere della prova e il grado di precisione che devono soddisfare gli elementi di prova necessari per beneficiare di un credito d’imposta relativo ai dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, va rammentato che la Corte ha già avuto modo di dichiarare che l’amministrazione finanziaria di uno Stato membro ha il diritto di esigere dal contribuente le prove a suo avviso necessarie per valutare se siano soddisfatti i presupposti per la concessione di un beneficio fiscale previsto dalla normativa in questione e, di conseguenza, se si debba o meno concedere tale beneficio (v. sentenza 10 febbraio 2011, cause riunite C‑436/08 e C‑437/08, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, Racc. pag. I‑305, punto 95 e giurisprudenza ivi citata).

46      Una simile valutazione non deve essere operata in modo troppo formalistico, cosicché la presentazione – da parte di un azionista che abbia percepito dividendi da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro – di documenti probatori privi del grado di precisione e che non si presentino nella forma dell’attestato relativo all’imposta sulle società come prescritto dalla normativa dello Stato membro d’imposizione, ma che malgrado ciò siano tali da consentire all’amministrazione finanziaria dello Stato membro d’imposizione di verificare, in modo chiaro e preciso, se le condizioni per la concessione di un beneficio fiscale siano soddisfatte, deve essere considerata da tali autorità equivalente alla presentazione dell’attestato medesimo.

47      Solo in difetto di informazioni fornite dall’azionista interessato, come quelle menzionate al punto precedente della presente sentenza, le amministrazioni finanziarie di cui trattasi possono negare il beneficio fiscale richiesto.

48      Infatti, come la Corte ha già precisato, il venir meno del flusso di informazioni verso l’investitore non è un problema di cui debba occuparsi lo Stato membro interessato (v. sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 98).

49      Nell’ambito di tale sentenza, attinente ad una società beneficiaria di dividendi ma che è riferibile anche ad una persona fisica che si trovi nella stessa situazione, la Corte ha inoltre rammentato la portata della direttiva 77/799, obiettivo della quale è la prevenzione dell’evasione fiscale.

50      A questo riguardo il fatto che, per i dividendi distribuiti da società stabilite in Stati membri diversi da quello che concede un credito d’imposta, l’amministrazione finanziaria di quest’ultimo possa ricorrere al meccanismo di reciproca assistenza previsto dalla direttiva 77/799 non implica che essa sia tenuta a dispensare la società beneficiaria dei dividendi dal fornirle la prova dell’imposta pagata dalla società distributrice in un altro Stato membro (v. sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 100).

51      Difatti, poiché la direttiva 77/799 prevede la facoltà per le amministrazioni finanziarie nazionali di richiedere le informazioni che esse non possono ottenere da sole, l’impiego, all’art. 2, n. 1, del termine «può» indica che le suddette autorità, pur avendo certamente la possibilità di chiedere informazioni alla competente autorità di un altro Stato membro, non hanno affatto un obbligo in tal senso. Spetta a ciascuno Stato membro valutare i casi specifici in cui fanno difetto le informazioni concernenti le transazioni effettuate dai soggetti passivi stabiliti sul suo territorio e decidere se tali casi giustifichino la presentazione di una richiesta di informazioni ad un altro Stato membro (sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 101 e giurisprudenza ivi citata).

52      Di conseguenza, la direttiva 77/799 non impone all’amministrazione finanziaria di far ricorso al meccanismo di reciproca assistenza che essa prevede ogni qualvolta le informazioni fornite da un soggetto passivo non siano sufficienti per verificare se questi soddisfi i presupposti dettati dalla normativa nazionale per aver diritto ad un credito d’imposta (sentenza Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen, cit., punto 102 e giurisprudenza ivi citata).

53      Alla luce di quanto precede, la seconda e la terza questione devono essere risolte dichiarando che, per quanto concerne il grado di precisione che devono soddisfare gli elementi di prova necessari per ottenere un credito d’imposta relativo ai dividendi corrisposti da una società di capitali stabilita in uno Stato membro diverso da quello in cui il beneficiario è fiscalmente residente, gli artt. 56 CE e 58 CE ostano all’applicazione di una disposizione, quale l’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, quarto periodo, lett. b), dell’EStG, ai sensi della quale il grado di precisione e i requisiti di forma relativi alla presentazione degli elementi di prova che tale beneficiario deve fornire devono essere gli stessi che sono prescritti nel caso in cui la società distributrice sia stabilita nello Stato membro in cui il beneficiario è fiscalmente residente. L’amministrazione finanziaria di quest’ultimo Stato membro può legittimamente imporre a detto beneficiario di fornire documenti probatori che le consentano di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di un credito d’imposta previsto dalla normativa nazionale, senza poter procedere ad una stima di tale credito d’imposta.

 Sulla quarta questione

54      Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede se il principio di effettività debba essere interpretato nel senso che esso osti ad una normativa, come quella risultante dall’art. 175, n. 2, secondo periodo, dell’AO modificata, in combinato disposto con l’art. 97, n. 9, terzo comma, dell’EGAO, la quale, in modo retroattivo e senza prevedere un periodo transitorio, esclude nei confronti dei soggetti fiscalmente residenti nello Stato membro interessato la deducibilità dell’imposta estera sulle società, applicata sui dividendi corrisposti a tali soggetti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, dietro presentazione di un attestato concernente tale imposta e conforme ai requisiti prescritti dalla normativa del primo Stato membro o di documenti probatori che consentano all’amministrazione finanziaria di quest’ultimo di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione del beneficio fiscale medesimo.

55      Occorre ricordare in proposito che, secondo una giurisprudenza consolidata, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in virtù del principio di autonomia processuale degli Stati membri, stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli in forza delle norme di diritto dell’Unione, a condizione, tuttavia, che le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e che esse non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v. sentenze 7 gennaio 2004, causa C‑201/02, Wells, Racc. pag. I‑723, punto 67, nonché 19 settembre 2006, cause riunite C‑392/04 e C‑422/04, i-21 Germany e Arcor, Racc. pag. I‑8559, punto 57).

56      Per quanto concerne quest’ultimo principio, la Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto dell’Unione la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell’amministrazione interessata. Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (sentenza 17 novembre 1998, causa C‑228/96, Aprile, Racc. pag. I‑7141, punto 19).

57      Peraltro, relativamente al rimborso di imposte nazionali indebitamente percepite, la Corte ha precisato che, quando le modalità di rimborso sono oggetto di modifica da parte del diritto nazionale in modo retroattivo, il principio di effettività impone che la nuova normativa preveda un regime transitorio che consenta ai soggetti di diritto di disporre di un termine sufficiente per poter presentare, dopo la sua adozione, le domande di rimborso che essi erano legittimati a proporre durante la vigenza della disciplina precedente (v., in tal senso, sentenze 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑6325, punto 38, nonché 24 settembre 2002, causa C‑255/00, Grundig Italiana, Racc. pag. I‑8003, punto 37).

58      Orbene, dalla decisione di rinvio risulta che l’art. 175, n. 2, secondo periodo, dell’AO, in combinato disposto con l’art. 97, n. 9, terzo comma, dell’EGAO, nella versione del 9 dicembre 2008, ha modificato la normativa nazionale retroattivamente, senza prevedere un regime transitorio che consenta agli azionisti interessati di far valere il loro diritto a un credito d’imposta. Di conseguenza, il principio di effettività osta ad una simile modifica normativa, dal momento che essa non concede ai contribuenti un termine ragionevole per far valere il proprio diritto ad un credito d’imposta nel corso del periodo di transizione. Spetta al giudice del rinvio individuare tale termine in modo tale da consentire agli azionisti di far valere il suddetto diritto, dietro presentazione di un attestato relativo all’imposta sulle società, come prescritto dalla normativa nazionale, o di documenti probatori di cui al punto 54 supra.

59      Da quanto precede discende che la quarta questione sollevata deve essere risolta dichiarando che il principio di effettività osta ad una normativa nazionale, come quella risultante dall’art. 175, n. 2, secondo periodo, dell’AO modificata, in combinato disposto con l’art. 97, n. 9, terzo comma, dell’EGAO, come modificata, la quale, in modo retroattivo e senza prevedere un termine transitorio, esclude la deducibilità dell’imposta estera sulle società, afferente ai dividendi corrisposti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, dietro presentazione di un attestato relativo a tale imposta e redatto in modo conforme alla normativa dello Stato membro in cui il beneficiario di tali dividendi è fiscalmente residente, ovvero di documenti probatori che consentano all’amministrazione finanziaria di detto Stato membro di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di un beneficio fiscale. Spetta al giudice del rinvio individuare un termine ragionevole per la produzione di tale attestato o di tali documenti probatori.

 Sulle spese

60      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte dichiara:

1)      Ai fini del calcolo dell’importo del credito d’imposta al quale ha diritto un azionista fiscalmente residente in uno Stato membro in relazione a dividendi distribuiti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, gli artt. 56 CE e 58 CE ostano, in mancanza della produzione degli elementi di prova prescritti dalla normativa del primo Stato membro, all’applicazione di una disposizione, quale l’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, della legge relativa all’imposta sui redditi (Einkommensteuergesetz) 7 settembre 1990, come modificata dalla legge 13 settembre 1993, in forza della quale l’imposta sulle società gravante sui dividendi di origine estera è deducibile dall’imposta sui redditi dell’azionista nella misura della frazione dell’imposta sulle società gravante sui dividendi lordi distribuiti dalle società del primo Stato membro.

Il calcolo del credito d’imposta deve essere effettuato in funzione dell’aliquota d’imposta sugli utili distribuiti a titolo dell’imposta sulle società applicabile alla società distributrice secondo il diritto del suo Stato membro di stabilimento, senza tuttavia che l’importo deducibile possa eccedere l’importo dell’imposta sui redditi dovuto sui dividendi percepiti dall’azionista beneficiario nello Stato membro in cui questi sia fiscalmente residente.

2)      Per quanto concerne il grado di precisione che devono soddisfare gli elementi di prova necessari per ottenere un credito d’imposta relativo ai dividendi corrisposti da una società di capitali stabilita in uno Stato membro diverso da quello in cui il beneficiario è fiscalmente residente, gli artt. 56 CE e 58 CE ostano all’applicazione di una disposizione, quale l’art. 36, n. 2, secondo periodo, punto 3, quarto periodo, lett. b), della legge relativa all’imposta sui redditi 7 settembre 1990, come modificata dalla legge 13 settembre 1993, ai sensi della quale il grado di precisione e i requisiti di forma relativi alla presentazione degli elementi di prova che tale beneficiario deve fornire devono essere gli stessi che sono prescritti nel caso in cui la società distributrice sia stabilita nello Stato membro in cui il beneficiario è fiscalmente residente.

L’amministrazione finanziaria di quest’ultimo Stato membro può legittimamente imporre a detto beneficiario di fornire documenti probatori che le consentano di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di un credito d’imposta previsto dalla normativa nazionale, senza poter procedere ad una stima di tale credito d’imposta.

3)      Il principio di effettività osta ad una normativa nazionale, come quella risultante dall’art. 175, n. 2, secondo periodo, del Codice tributario (Abgabenordnung), come modificato dalla legge recante trasposizione delle direttive dell’Unione europea nel diritto tributario interno e modifica di altre disposizioni (Gesetz zur Umsetzung von EU-Richtlinien in nationales Steuerrecht und zur Änderung weiterer Vorschriften), in combinato disposto con l’art. 97, n. 9, terzo comma, della legge di introduzione del Codice tributario (Einführungsgesetz zur Abgabenordnung) 14 dicembre 1976, come modificata, la quale, in modo retroattivo e senza prevedere un termine transitorio, esclude la deducibilità dell’imposta estera sulle società, afferente ai dividendi corrisposti da una società di capitali stabilita in un altro Stato membro, dietro presentazione di un attestato relativo a tale imposta e redatto in modo conforme alla normativa dello Stato membro in cui il beneficiario di tali dividendi è fiscalmente residente, ovvero di documenti probatori che consentano all’amministrazione finanziaria di detto Stato membro di verificare, in modo chiaro e preciso, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di un beneficio fiscale. Spetta al giudice del rinvio individuare un termine ragionevole per la produzione di tale attestato o di tali documenti probatori.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.