Causa C‑484/08

Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid

contro

Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (Ausbanc)

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Supremo)

«Direttiva 93/13/CEE — Contratti stipulati con i consumatori — Clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto — Controllo giurisdizionale del loro carattere abusivo — Esclusione — Disposizioni nazionali più severe per garantire un più elevato livello di protezione per il consumatore»

Massime della sentenza

1.        Ravvicinamento delle legislazioni — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13

(Direttiva del Consiglio 93/13, artt. 4, n. 2, e 8)

2.        Ravvicinamento delle legislazioni — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13

(Direttiva del Consiglio 93/13, artt. 4, n. 2, e 8)

3.        Ravvicinamento delle legislazioni — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13

[Artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE; direttiva del Consiglio 93/13, artt. 4, n. 2, e 8]

1.        Gli artt. 3, n. 1, e 4, n. 1, della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, definiscono, nel loro complesso, i criteri generali che permettono di valutare la natura abusiva delle clausole contrattuali soggette alle disposizioni della direttiva. In tale stessa prospettiva, l’art. 4, n. 2, della direttiva è diretto, dal canto suo, unicamente a stabilire le modalità e la portata del controllo sostanziale delle clausole contrattuali, che non siano state oggetto di trattativa individuale, le quali descrivono le prestazioni essenziali dei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore. Ne consegue che le clausole di cui al medesimo art. 4, n. 2, rientrano senz’altro nel settore disciplinato dalla direttiva e che, pertanto, l’art. 8 di quest’ultima è applicabile anche al suddetto art. 4, n. 2.

(v. punti 33‑35)

2.        Gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.

Infatti, autorizzando la possibilità di un completo controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole, come quelle di cui all’art. 4, n. 2, della suddetta direttiva, previste da un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, la normativa nazionale permette di garantire a quest’ultimo, conformemente all’art. 8 della direttiva, un livello di tutela effettiva più elevato di quello stabilito da quest’ultima.

(v. punti 42‑44, dispositivo 1)

3.        Gli artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE non ostano ad un’interpretazione degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, secondo la quale gli Stati membri possono adottare una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.

Quanto agli artt. 2 CE e 4, n. 1, CE, è sufficiente constatare che tali disposizioni enunciano obiettivi e principi generali che sono necessariamente applicati in combinato disposto con i rispettivi capitoli del Trattato destinati ad attuare tali principi ed obiettivi. Esse non possono quindi avere, di per sé, l’effetto di creare obblighi giuridici chiari ed incondizionati a carico degli Stati membri.

Parimenti, nemmeno l’art. 3, n. 1, lett. g), CE può produrre, di per sé, obblighi giuridici a carico degli Stati membri. Infatti, tale disposizione si limita ad indicare un obiettivo che deve però essere precisato in altre disposizioni del Trattato, segnatamente quelle relative alle regole di concorrenza.

(v. punti 46‑47, 49, dispositivo 2)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

3 giugno 2010 (*)

«Direttiva 93/13/CEE – Contratti stipulati con i consumatori – Clausole che definiscono l’oggetto principale del contratto – Controllo giurisdizionale del loro carattere abusivo – Esclusione – Disposizioni nazionali più severe per garantire un più elevato livello di protezione per il consumatore»

Nel procedimento C‑484/08,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal Supremo (Spagna), con decisione 20 ottobre 2008, pervenuta in cancelleria il 10 novembre 2008, nella causa

Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid

contro

Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (Ausbanc),

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dai sigg. A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, facente funzione di presidente della Prima Sezione, E. Levits, dalla sig.ra C. Toader, dai sigg. M. Ilešič e J.-J. Kasel, giudici

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 settembre 2009,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, dall’avv. M. Merola, avvocato e dall’avv. J. Cadarso Palau, abogado;

–        per l’Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (Ausbanc), dalla sig.ra J. Rodríguez Teijeiro, procuradora, nonché dagli avv.ti L. Pineda Salido e M. Mateos Ferres, abogados;

–        per il governo spagnolo, dai sigg. J. López-Medel Bascones e M. Muñoz Pérez, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma e dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di agenti;

–        per il governo austriaco, dal sig. E. Riedl, in qualità di agente;

–        per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, nonché dalle sig.re H. Almeida e P. Contreiras, in qualità di agenti;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. E. Gippini Fournier e W. Wils, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 ottobre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (in prosieguo: la «Caja de Madrid») e l’Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (associazione spagnola degli utenti dei servizi bancari; in prosieguo: l’«Ausbanc») riguardo alla legittimità di una clausola inserita dalla Caja de Madrid nei contratti di mutuo a tasso di interesse variabile stipulati con i suoi clienti e destinati all’acquisto di alloggi.

 Contesto normativo

 La normativa dell’Unione

3        I ‘considerando’ dodicesimo e diciannovesimo della direttiva enunciano quanto segue:

«considerando tuttavia che per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in particolare, sono oggetto della (...) direttiva soltanto le clausole non negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato [CEE], un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della (...) direttiva;

(…)

considerando che, ai fini della (...) direttiva, la valutazione del carattere abusivo non deve vertere su clausole che illustrano l’oggetto principale del contratto o il rapporto qualità/prezzo della fornitura o della prestazione; che, nella valutazione del carattere abusivo di altre clausole, si può comunque tener conto dell’oggetto principale del contratto e del rapporto qualità/prezzo (...)»

4        L’art. 3 della direttiva prevede:

«1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.

Il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l’applicazione del presente articolo alla parte restante di un contratto, qualora una valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un contratto di adesione.

Qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova.

3. L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive».

5        L’art. 4 della direttiva è redatto nei seguenti termini:

«1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

6        L’art. 8 della direttiva dispone:

«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla (...) direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».

 La normativa nazionale

7        Nel diritto spagnolo la tutela dei consumatori contro le clausole abusive è stata garantita dalla legge generale n. 26/1984, relativa alla tutela dei consumatori e degli utenti (Ley General 26/1984 para la Defensa de los Consumidores y Usuarios) del 19 luglio 1984 (BOE n. 176, del 24 luglio 1984).

8        La legge n. 26/1984 è stata modificata dalla legge n. 7/1998, relativa alle condizioni generali dei contratti (Ley 7/1998 sobre Condiciones Generales de la Contratación) del 13 aprile 1998 (BOE n. 89, del 14 aprile 1998), che ha trasposto la direttiva nel diritto interno.

9        Tuttavia la legge n. 7/1998 non ha trasposto nel diritto interno l’art. 4, n. 2, della direttiva.

 Fatti all’origine della controversia e questioni pregiudiziali

10      Risulta dalla decisione di rinvio che i contratti di mutuo a tasso di interesse variabile destinati all’acquisto di alloggi, stipulati tra la Caja de Madrid ed i suoi clienti contengono una clausola scritta, predisposta in un modello di contratto, a norma della quale il tasso di interesse nominale previsto dal contratto, variabile periodicamente a seconda dell’indice di riferimento pattuito, dev’essere arrotondato, a partire dalla prima revisione, al quarto di punto superiore (in prosieguo: la «clausola di arrotondamento»).

11      Il 28 luglio 2000 l’Ausbanc ha presentato un ricorso diretto, in particolare, ad ottenere dalla Caja de Madrid l’eliminazione della clausola di arrotondamento nei suddetti contratti di mutuo nonché la cessazione del suo impiego per il futuro. Con sentenza 11 settembre 2001, lo Juzgado de Primera Instancia de Madrid ha accolto il ricorso, ritenendo che la clausola di arrotondamento fosse abusiva e quindi nulla, conformemente alla legislazione nazionale che ha trasposto la direttiva.

12      La Caja de Madrid ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi all’Audiencia Provincial de Madrid che, il 10 ottobre 2002, ha pronunciato una sentenza di conferma della decisione di primo grado.

13      Il 27 novembre 2002 la Caja de Madrid ha proposto un ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al Tribunal Supremo.

14      Secondo il Tribunal Supremo, la clausola di arrotondamento può costituire un elemento essenziale di un contratto di mutuo bancario, come quello di cui di cui alla causa principale. Orbene, dato che l’art. 4, n. 2, della direttiva escluderebbe che la valutazione del carattere abusivo verta su una clausola concernente, segnatamente, l’oggetto del contratto, una clausola come quella di cui alla causa principale non potrebbe, in linea di principio, costituire oggetto di una valutazione del suo carattere abusivo.

15      Tuttavia, il Tribunal Supremo rileva anche che, poiché il Regno di Spagna non ha trasposto nel suo ordinamento il suddetto art. 4, n. 2, in forza della legislazione spagnola il contratto è integralmente soggetto ad una valutazione siffatta.

16      In tale contesto il Tribunal Supremo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)      Se l’art. 8 della [direttiva] debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro possa prevedere nella propria legislazione, a tutela dei consumatori, un controllo del carattere abusivo delle clausole contrattuali che, ai sensi dell’art. 4, n. 2, della [direttiva], sono escluse da tale controllo.

2)      Se di conseguenza il combinato disposto degli artt. 4, n. 2, e 8 della [direttiva] osti a che uno Stato membro preveda, nel proprio ordinamento giuridico e a tutela dei consumatori, un controllo del carattere abusivo delle clausole vertenti «sulla definizione dell’oggetto principale del contratto» o «sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro», sebbene esse siano formulate in modo chiaro e comprensibile.

3)      Se sia compatibile con gli artt. 2, CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE, un’interpretazione degli artt. 8 e 4, n. 2, della [direttiva] che consenta ad uno Stato membro un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti stipulati dai consumatori e formulate in modo chiaro e comprensibile, che definiscono l’oggetto principale del contratto o la perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro».

  Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità

17      L’Ausbanc, il governo spagnolo e la Commissione delle Comunità europee contestano la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale per il motivo che non sarebbe utile ai fini della soluzione della controversia con cui è adito il giudice del rinvio. Essi fanno valere al riguardo che la clausola di arrotondamento in parola nella causa a qua non verterebbe sull’oggetto principale del contratto in questione, ma costituirebbe un elemento accessorio di quest’ultimo cosicché l’art. 4, n. 2, della direttiva non sarebbe applicabile alla controversia di cui trattasi.

18      A tale riguardo occorre ricordare anzitutto che, nell’ambito di un procedimento ex art. 267 TFUE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice del rinvio è l’unico competente a conoscere dei fatti della controversia sottopostagli nonché ad interpretare ed a applicare il diritto nazionale. Parimenti spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v. sentenze 12 aprile 2005, causa C‑145/03, Keller, Racc. pag. I‑2529, punto 33, e 18 luglio 2007, causa C‑119/05, Lucchini, Racc. pag. I‑6199, punto 43, nonché 11 settembre 2008, causa C‑11/07, Eckelkamp e a., Racc. pag. I‑6845, punti 27 e 32).

19      Così, benché la Corte abbia anche affermato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza (v., in questo senso, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia, Racc. pag. 3045, punto 21, e 19 novembre 2009, causa C‑314/08, Filipiak, Racc. pag. I‑11049, punto 41), la Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che la disposizione del diritto dell’Unione sottoposta all’interpretazione della Corte non può essere applicata (v. sentenze 5 dicembre 1996, causa C‑85/95, Reisdorf, Racc. pag. I‑6257, punto 16, e 1° ottobre 2009, causa C‑567/07, Woningstichting Sint Servatius, Racc. pag. I‑9021, punto 43).

20      Ciò non si verifica tuttavia nel caso di specie.

21      Infatti, nella sua decisione di rinvio, il Tribunal Supremo si interroga sulla portata degli obblighi incombenti agli Stati membri ai sensi della direttiva per quanto riguarda l’estensione del controllo giurisdizionale in ordine al carattere abusivo di talune clausole contrattuali che, a parere del medesimo Tribunal Supremo, rientrerebbero nell’art. 4, n. 2, della direttiva.

22      Benché tale giudizio del Tribunal Supremo non sia condiviso da tutte le parti, non appare, quanto meno manifestamente, che la suddetta disposizione della direttiva non possa essere applicata nella causa principale.

23      In tale contesto occorre constatare che la Corte è competente a pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali sottopostele dal giudice del rinvio e che, pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale dev’essere dichiarata ricevibile.

 Nel merito

 Sulle questioni prima e seconda

24      Con le prime due questioni, da esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva ostino a che uno Stato membro preveda nel suo ordinamento, a tutela dei consumatori, un controllo del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, sebbene esse siano formulate in modo chiaro e comprensibile.

25      La Caja de Madrid sostiene che l’art. 8 della direttiva non permette agli Stati membri di adottare, attraverso misure di trasposizione, o di mantenere, nell’ipotesi di assenza di misure siffatte, una normativa nazionale contraria all’art. 4, n. 2, della direttiva. Infatti quest’ultima disposizione delimiterebbe in maniera vincolante l’ambito di applicazione del sistema di tutela previsto dalla direttiva, escludendo quindi qualsivoglia possibilità per gli Stati membri di derogarvi, persino al fine di prevedere una normativa nazionale più favorevole ai consumatori.

26      Viceversa, gli altri interessati che hanno presentato osservazioni fanno valere che gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva non ostano ad una siffatta possibilità. Essi ritengono, infatti, che l’adozione o il mantenimento di una simile normativa nazionale rientrerebbe nella facoltà per gli Stati membri di istituire, nel settore disciplinato dalla direttiva, meccanismi più severi di tutela dei consumatori.

27      Al fine di rispondere alle questioni sollevate, si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (sentenze 27 giugno 2000, cause riunite da C‑240/98 a C‑244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, Racc. pag. I‑4941, punto 25, nonché 26 ottobre 2006, causa C‑168/05, Mostaza Claro, Racc. pag. I‑10421, punto 25).

28      Nondimeno, come espressamente indicato nel dodicesimo ‘considerando’ della direttiva, quest’ultima ha effettuato solo un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali relativamente alle clausole abusive, riconoscendo al contempo agli Stati membri la possibilità di garantire un livello di protezione per i consumatori più elevato di quello previsto dalla direttiva stessa.

29      Così l’art. 8 della direttiva prevede formalmente la possibilità per gli Stati membri di «adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».

30      Trattasi quindi di verificare se la portata dell’art. 8 della direttiva si estenda all’insieme del settore disciplinato da quest’ultima e, conseguentemente, all’art. 4, n. 2, della stessa, ovvero se, come sostiene la Caja de Madrid, tale ultima disposizione sia esclusa dall’ambito di applicazione del suddetto art. 8.

31      Orbene, si deve constatare in proposito che l’art. 4, n. 2, della direttiva prevede unicamente che la «valutazione del carattere abusivo» non verte sulle clausole contemplate in questa disposizione, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile.

32      Deriva pertanto dai termini stessi dell’art. 4, n. 2, della direttiva che tale disposizione, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 74 delle conclusioni, non può considerarsi quale disposizione che fissa l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva. Al contrario, le clausole di cui al suddetto art. 4, n. 2, pur rientrando nel settore disciplinato dalla direttiva, esulano dalla valutazione del loro carattere abusivo soltanto qualora il giudice nazionale competente dovesse considerare, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile.

33      Risulta inoltre dalla giurisprudenza della Corte che gli artt. 3, n. 1, e 4, n. 1, della direttiva definiscono, nel loro complesso, i criteri generali che permettono di valutare la natura abusiva delle clausole contrattuali soggette alle disposizioni della direttiva (v., in tal senso, sentenze 7 maggio 2002, causa C‑478/99, Commissione/Svezia, Racc. pag. I‑4147, punti 11 e 17, nonché 1° aprile 2004, causa C‑237/02, Freiburger Kommunalbauten, Racc. pag. I‑3403, punti 18, 19 e 21).

34      In tale stessa prospettiva, l’art. 4, n. 2, della direttiva è diretto, dal canto suo, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 75 delle conclusioni, unicamente a stabilire le modalità e la portata del controllo sostanziale delle clausole contrattuali, che non siano state oggetto di trattativa individuale, le quali descrivono le prestazioni essenziali dei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore.

35      Ne consegue che le clausole di cui al medesimo art. 4, n. 2, rientrano senz’altro nel settore disciplinato dalla direttiva e che pertanto l’art. 8 di quest’ultima è applicabile anche al suddetto art. 4, n. 2.

36      Una conclusione siffatta non potrebbe essere rimessa in questione dagli argomenti della Caja de Madrid secondo i quali, come risulterebbe in particolare dalla sentenza 10 maggio 2001, Commissione/Paesi Bassi (causa C‑144/99, Racc. pag. I‑3541), l’art. 4, n. 2, della direttiva sarebbe di natura imperativa e vincolante per gli Stati membri, talché questi ultimi non potrebbero invocare l’art. 8 della direttiva per adottare o mantenere nei rispettivi ordinamenti nazionali disposizioni idonee a modificarne la portata.

37      È sufficiente rilevare al riguardo che tali argomenti scaturiscono da un’errata lettura della sentenza in parola. In tale sentenza la Corte ha dichiarato che il Regno dei Paesi Bassi era venuto meno agli obblighi incombentigli a norma della direttiva non già per non aver trasposto l’art. 4, n. 2, di quest’ultima, ma unicamente per averne assicurato una trasposizione incompleta, cosicché la normativa nazionale in parola non poteva raggiungere i risultati voluti da tale disposizione.

38      Infatti la suddetta normativa escludeva qualsiasi possibilità di controllo giurisdizionale delle clausole che descrivevano le prestazioni essenziali nei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore, anche quando la formulazione di tali clausole era oscura ed ambigua, talché al consumatore era assolutamente impedita la possibilità di far valere il carattere abusivo di una clausola vertente sulla definizione dell’oggetto principale del contratto e sulla perequazione tra il prezzo ed i servizi o i beni da fornire.

39      Di conseguenza non può affatto inferirsi dalla citata sentenza Commissione/Paesi Bassi che la Corte avrebbe considerato che l’art. 4, n. 2, della direttiva costituirebbe una disposizione imperativa e vincolante da trasporre obbligatoriamente, in quanto tale, ad opera degli Stati membri. Al contrario la Corte si è limitata a dichiarare che, al fine di garantire concretamente gli obiettivi di tutela dei consumatori perseguiti dalla direttiva, qualsiasi trasposizione del suddetto art. 4, n. 2, doveva essere completa di modo che il divieto di valutare il carattere abusivo delle clausole verta unicamente su quelle formulate in modo chiaro e comprensibile.

40      Deriva da tutto quanto precede che agli Stati membri non può essere impedito di mantenere o adottare, nel settore disciplinato dalla direttiva nel suo complesso, incluso l’art. 4, n. 2, di quest’ultima, regole più severe di quelle previste dalla direttiva medesima, purché siano dirette a garantire un livello di protezione più elevato per i consumatori.

41      Orbene, quanto alla normativa spagnola di cui alla causa principale, si deve rilevare che, come risulta dal fascicolo presentato alla Corte, la legge n. 7/1998 non ha trasposto nel diritto nazionale l’art. 4, n. 2, della direttiva.

42      Ne consegue che nell’ordinamento spagnolo, come rileva il Tribunal Supremo, un giudice nazionale può in qualsiasi circostanza valutare, nell’ambito di una controversia concernente un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, il carattere abusivo di una clausola, non negoziata individualmente, vertente in particolare sull’oggetto principale del suddetto contratto, anche nelle ipotesi in cui tale clausola sia stata predisposta dal professionista in modo chiaro e comprensibile.

43      In tale contesto si deve constatare che, autorizzando la possibilità di un completo controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole, come quelle di cui all’art. 4, n. 2, della direttiva, previste da un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, la normativa spagnola in questione nella causa principale permette di garantire al consumatore, conformemente all’art. 8 della direttiva, un livello di tutela effettiva più elevato di quello stabilito da quest’ultima.

44      Alla luce di tali considerazioni, occorre risolvere le questioni prima e seconda dichiarando che gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella in questione nella causa principale, che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.

 Sulla terza questione

45      Con la terza questione il giudice del rinvio chiede se gli artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE ostino ad un’intepretazione degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva secondo la quale gli Stati membri possono adottare una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remumerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.

46      Orbene, quanto agli artt. 2 CE e 4, n. 1, CE, è sufficiente constatare che, secondo una giurisprudenza costante, tali disposizioni enunciano obiettivi e principi generali che sono necessariamente applicati in combinato disposto con i rispettivi capitoli del Trattato CE destinati ad attuare tali principi ed obiettivi. Esse non possono quindi avere l’effetto di creare obblighi giuridici chiari ed incondizionati a carico degli Stati membri (v., in tal senso, per quanto concerne l’art. 2 CE, sentenza 24 gennaio 1991, causa C‑339/89, Alsthom Atlantique, Racc. pag. I‑107, punto 9, e, quanto all’art. 4, n. 1, CE, sentenza 3 ottobre 2000, causa C‑9/99, Échirolles Distribution, Racc. pag. I‑8207, punto 25).

47      Parimenti, nemmeno l’art. 3, n. 1, lett. g), CE può produrre, di per sé, obblighi giuridici a carico degli Stati membri. Infatti tale disposizione si limita ad indicare, come la Corte ha già avuto occasione di chiarire, un obiettivo che deve però essere precisato in altre disposizioni del Trattato, segnatamente quelle relative alle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenze 9 novembre 1983, causa 322/81, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punto 29, e Alsthom Atlantique, cit., punto 10).

48      È necessario inoltre constatare che le indicazioni figuranti nella decisione di rinvio non permettono alla Corte di delimitare chiaramente le disposizioni del Trattato relative alle regole di concorrenza la cui interpretazione sarebbe utile alla soluzione della controversia nella causa principale.

49      Viste tali considerazioni nel loro complesso, la terza questione dev’essere risolta nel senso che gli artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE non ostano ad un’interpretazione degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva secondo la quale gli Stati membri possono adottare una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.

 Sulle spese

50      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      Gli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella in questione nella causa principale, che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.

2)      Gli artt. 2 CE, 3, n. 1, lett. g), CE e 4, n. 1, CE non ostano ad un’interpretazione degli artt. 4, n. 2, e 8 della direttiva secondo la quale gli Stati membri possono adottare una normativa nazionale che autorizza un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile.

Firme


* Lingua processuale: lo spagnolo.