CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

presentate il 17 dicembre 2009 1(1)

Causa C‑446/08

Solgar Vitamin’s France,

Valorimer SARL,

Christian Fenioux,

L’Arbre de Vie SARL,

Source Claire,

Nord Plantes EURL,

RCS Distribution,

Ponroy Santé,

con l’intervento di:

Syndicat de la Diététique et des Compléments Alimentaires

contro

Ministre de l’Économie, des Finances et de l’Emploi,

Ministre de la Santé, de la Jeunesse et des Sports,

Ministre de l’Agriculture et de la Pêche

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia)]

«Integratori alimentari – Assenza di provvedimenti di attuazione – Normativa nazionale che fissa i livelli quantitativi massimi autorizzati di vitamine e di sali minerali negli integratori alimentari – Fissazione di un livello quantitativo massimo a un valore pari a zero – Applicazione della clausola di salvaguardia – Definizione dei livelli quantitativi massimi in assenza di livelli di tolleranza»





1.        Nel presente procedimento si chiede alla Corte di pronunciarsi su varie questioni concernenti l’esistenza e l’eventuale portata delle competenze degli Stati membri in materia di integratori alimentari, nel caso in cui la Commissione non abbia adottato provvedimenti per definire i livelli quantitativi massimi di sostanze nutritive presenti negli integratori alimentari.

2.        A tal riguardo rilevo che il legislatore ha voluto realizzare un’armonizzazione totale per quanto riguarda le vitamine e i minerali utilizzabili nella produzione di integratori alimentari. Tuttavia, detta armonizzazione rimane di fatto incompleta a causa della mancata adozione dei necessari provvedimenti attuativi da parte della Commissione. Tale situazione è fonte di incertezza giuridica per le imprese interessate e crea difficoltà nel processo di applicazione e trasposizione per le autorità competenti degli Stati membri. Spetta quindi alla Corte cercare un punto di equilibrio tra l’esigenza della libera circolazione dei prodotti di cui trattasi e la necessità di tutelare la sanità pubblica in questo inedito contesto normativo.

3.        Il Conseil d’État francese ha sottoposto alla Corte una serie di questioni vertenti sull’interpretazione degli artt. 5, 11, n. 2, e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari (2) (in prosieguo: la «direttiva 2002/46»), nonché sugli artt. 28 CE e 30 CE.

4.        Tale rinvio trae origine dai ricorsi per eccesso di potere proposti dinanzi al giudice nazionale tra l’11 e il 24 luglio 2006 dalla società Solgar Vitamin’s France e da altre sette ricorrenti, tutte attive nel settore degli integratori alimentari (in prosieguo: la «Solgar e a.»), e dal ricorso proposto il 28 luglio 2006 dal Syndicat de la Diététique et des Compléments Alimentaires (in prosieguo: il «Syndicat») contro il decreto interministeriale del 9 maggio 2006 relativo alle sostanze nutritive che possono essere impiegate nella fabbricazione degli integratori alimentari (in prosieguo: il «decreto del 9 maggio 2006»).

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione europea

5.        Come risulta dall’art. 1, n. 1, della direttiva 2002/46, quest’ultima si applica agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali.

6.        Il primo, secondo, quinto, tredicesimo, quattordicesimo e sedicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 così recitano:

«(1)      Sono commercializzati in numero crescente nella Comunità prodotti alimentari contenenti fonti concentrate di sostanze nutritive, proposti quali supplementi delle sostanze nutritive assunte con la normale alimentazione.

(2)      Questi prodotti sono assoggettati negli Stati membri a disposizioni nazionali eterogenee, che possono ostarne la libera circolazione ed instaurare condizioni di concorrenza ineguali, con dirette ripercussioni sul buon funzionamento del mercato interno. È pertanto necessario disciplinare a livello comunitario i prodotti di questo tipo commercializzati come prodotti alimentari.

(…)

(5)      Per garantire ai consumatori un elevato livello di tutela e una maggior facilità di scelta, è necessario che i prodotti commercializzati siano sicuri e rechino opportuna e corretta etichettatura.

(…)

(13)      L’assunzione di vitamine e minerali in quantità eccessive può dar luogo a reazioni avverse per la salute. Tale rischio giustifica la fissazione, secondo i casi, di livelli massimi che possono essere contenuti negli integratori alimentari in condizioni di sicurezza. Tali livelli dovrebbero garantire che il normale uso del prodotto nelle modalità indicate dal fabbricante non comporti rischi per il consumatore.

(14)      A tal fine, nel fissare le quantità massime occorre tener conto a un tempo dei livelli tollerabili delle vitamine e dei minerali risultanti da valutazioni dei rischi condotte nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti e del livello di assunzione di questi nutrienti mediante la normale alimentazione. Nella fissazione delle quantità massime si terranno anche in debito conto i valori di riferimento.

(…)

(16)      L’adozione, sulla base dei criteri esposti nella presente direttiva e degli opportuni pareri scientifici, di valori specificanti i livelli massimi e minimi di vitamine e minerali consentiti negli integratori alimentari costituirebbe un provvedimento di attuazione da affidare alla Commissione».

7.        Ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2002/46:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

a)      “integratori alimentari”: i prodotti alimentari destinati ad integrare la dieta normale e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che pluricomposti, in forme di dosaggio, vale a dire in forme di commercializzazione quali capsule, pastiglie, compresse, pillole e simili, polveri in bustina, liquidi contenuti in fiale, flaconi a contagocce e altre forme simili, di liquidi e polveri destinati ad essere assunti in piccoli quantitativi unitari;

b)      “sostanze nutritive” o “nutrienti”: le seguenti sostanze:

i)      le vitamine;

ii)      i minerali».

8.        L’art. 3 della direttiva 2002/46 è così redatto:

«Gli Stati membri provvedono affinché gli integratori alimentari possano essere commercializzati nella Comunità solo se conformi al disposto della presente direttiva».

9.        L’art. 4, nn. 1, 2 e 4, della direttiva 2002/46 dispone quanto segue:

«1.      Per quanto riguarda le vitamine e i minerali, fatto salvo il paragrafo 6, soltanto quelli elencati nell’allegato I, nelle forme elencate nell’allegato II possono essere usati nella fabbricazione di integratori alimentari.

2.      I requisiti di purezza per le sostanze elencate nell’allegato II si applicano conformemente alla procedura di cui all’articolo 13, paragrafo 2, tranne quando si applicano ai sensi del paragrafo 3.

(…)

4.      Per quanto riguarda le sostanze elencate nell’allegato II per le quali la normativa comunitaria non prescrive requisiti di purezza si applicano, fino all’adozione di tali specifiche, i requisiti di purezza generalmente accettabili raccomandati da organismi internazionali e possono essere mantenute norme nazionali che stabiliscono requisiti di purezza più severi.

(…)».

10.      L’art. 5 della direttiva 2002/46 così recita:

«1.      I livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari per ogni dose giornaliera raccomandata dal fabbricante sono stabiliti tenendo conto di quanto segue:

a)      i livelli tollerabili di vitamine e minerali risultanti da valutazioni dei rischi condotte nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti, tenendo conto, se del caso, dei livelli variabili di sensibilità dei diversi gruppi di consumatori;

b)      l’apporto di vitamine e minerali da altre fonti alimentari.

2.      All’atto della fissazione dei livelli quantitativi massimi di cui al paragrafo 1, si tiene debitamente conto anche dei valori di riferimento di vitamine e minerali per la popolazione.

3.      Per garantire che gli integratori alimentari contengano quantità sufficienti di vitamine e minerali, è opportunamente fissato un livello quantitativo minimo per dose giornaliera raccomandata dal fabbricante.

4.      I livelli quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 sono definiti secondo la procedura di cui all’articolo 13, paragrafo 2».

11.      L’art. 11 della direttiva 2002/46 enuncia quanto segue:

«1.      Fatto salvo l’articolo 4, paragrafo 7, gli Stati membri si astengono dal vietare o dall’introdurre restrizioni, per ragioni connesse a composizione, specifiche di fabbricazione, presentazione o etichettatura, agli scambi di prodotti di cui all’articolo 1 che siano conformi alla presente direttiva e, se del caso, alle disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa.

2.      Ferme restando le disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea, e in particolare gli articoli 28 e 30, il paragrafo 1 lascia impregiudicate le normative nazionali applicabili in assenza di disposizioni comunitarie di esecuzione della presente direttiva».

12.      Ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2002/46:

«1.      Se uno Stato membro, in base a nuovi dati o ad un riesame di dati preesistenti effettuato successivamente all’adozione della presente direttiva o di disposizioni comunitarie di esecuzione della stessa, constata con motivazione circostanziata che un prodotto di cui all’articolo 1, pur ottemperando a dette disposizioni, presenta un pericolo per la salute umana, può in via provvisoria sospendere o limitare l’applicazione delle disposizioni di cui trattasi nel proprio territorio. Esso ne informa immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri, precisando i motivi che giustificano la decisione.

2.      La Commissione esamina quanto prima i motivi addotti dallo Stato membro interessato e consulta gli Stati membri in sede di comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, quindi emette tempestivamente un parere e prende i provvedimenti del caso.

3.      Se la Commissione ritiene che per porre rimedio alla situazione di cui al paragrafo 1 e per garantire la tutela della salute umana siano necessarie modifiche della presente direttiva o delle relative disposizioni di esecuzione, essa avvia a tal fine la procedura prevista all’articolo 13, paragrafo 2. In tal caso lo Stato membro che abbia adottato misure di salvaguardia può mantenerle in vigore fino all’adozione delle modifiche».

13.      L’art. 13, n. 1, della direttiva 2002/46 prevede che la Commissione sia assistita dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, istituito dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (3) (in prosieguo: il «comitato»).

14.      Nei casi in cui è fatto riferimento all’art. 13, n. 2, della direttiva 2002/46, si applicano gli artt. 5 e 7 della decisione del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/468/CE, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (4) (in prosieguo: la «decisione sulla comitatologia»). L’art. 5 della decisione sulla comitatologia disciplina la procedura di regolamentazione.

15.      Il sedicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 178/2002 enuncia quanto segue:

«Le misure adottate dagli Stati membri e dalla Comunità in materia di alimenti e di mangimi dovrebbero basarsi generalmente sull’analisi del rischio, tranne quando ciò non sia confacente alle circostanze o alla natura del provvedimento. Il ricorso all’analisi del rischio prima dell’adozione di tali misure dovrebbe agevolare la prevenzione di ostacoli ingiustificati alla libera circolazione degli alimenti».

B –    Diritto nazionale

16.      Il decreto n. 2006‑352 del 20 marzo 2006 relativo agli integratori alimentari (in prosieguo: il «decreto») è inteso in particolare ad assicurare la trasposizione della direttiva 2002/46 nell’ordinamento giuridico francese.

17.      L’art. 2 del decreto precisa che la nozione di «sostanze nutritive» di cui al decreto include le vitamine e i minerali.

18.      Ai sensi dell’art. 5 del decreto:

«Le sostanze nutritive definite all’art. 5, n. 2, possono essere impiegate nella fabbricazione degli integratori alimentari solo alle condizioni definite con decreto dei competenti Ministeri del Consumo, dell’Agricoltura e della Sanità. Detto decreto stabilisce:

1°      l’elenco delle sostanze nutritive il cui impiego è autorizzato;

2°      i requisiti di identità e purezza che dette sostanze devono soddisfare;

3°      i tenori massimi ammessi e, se del caso, i tenori minimi richiesti;

4°      l’elenco delle sostanze nutritive il cui impiego è autorizzato fino al 31 dicembre 2009».

19.      Secondo l’art. 15 del medesimo decreto:

«Il responsabile della prima immissione in commercio di un integratore alimentare non soggetto alla procedura di cui all’art. 16 informa la direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi in ordine all’immissione in commercio del prodotto, trasmettendole un campione della relativa etichettatura.

La composizione del prodotto indicata nell’etichettatura deve soddisfare le condizioni di cui all’art. 3, primo comma.

Le modalità di trasmissione di tale dichiarazione saranno precisate con decreto dei competenti Ministeri del Consumo, dell’Agricoltura e della Sanità».

20.      Ai sensi dell’art. 16 del medesimo decreto:

«La prima immissione sul mercato francese di un integratore alimentare che contenga una sostanza avente scopi nutrizionali o fisiologici, un vegetale o un preparato vegetale non contemplato nei decreti di cui agli artt. 6 e 7, ma fabbricato o commercializzato legalmente in un altro Stato membro della Comunità europea o in un altro Stato parte dell’Accordo sullo spazio economico europeo, dà luogo alla seguente procedura:

1° L’importatore o il fabbricante stabilito nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o di un altro Stato parte dell’Accordo sulla spazio economico europeo deve presentare una dichiarazione alla direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi.

(…)

5°      Il diniego dell’autorizzazione all’immissione in commercio è motivato:

(…)

b)       (…) da elementi scientifici, forniti in particolare dall’Agence française de sécurité des aliments [Agenzia francese per la sicurezza alimentare], dai quali risulti che il prodotto presenta un rischio per la salute.

(…)».

21.      Adottato in applicazione del suddetto decreto, il decreto del 9 maggio 2006 stabilisce, in particolare, un elenco delle vitamine e dei minerali che possono essere impiegati nella fabbricazione degli integratori alimentari e le relative dosi massime giornaliere.

22.      Ai sensi dell’art. 3 del decreto 9 maggio 2006:

«L’utilizzo di sostanze vitaminiche e minerali elencate nell’allegato II non deve determinare il superamento delle dosi giornaliere indicate nell’allegato III del presente decreto, tenuto conto della dose giornaliera di prodotto raccomandata dal fabbricante e specificata nell’etichetta».

23.      Per quanto riguarda il fluoro, l’allegato III del decreto 9 maggio 2006 fissa la dose massima giornaliera di tale minerale in 0 mg.

II – Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

24.      Nel procedimento pendente dinanzi al Conseil d’État i ricorrenti hanno contestato la legittimità del decreto 9 maggio 2006 facendo valere in particolare che esso non sarebbe conforme al diritto dell’Unione e, più precisamente, agli artt. 28 CE e 30 CE, né alla direttiva 2002/46.

25.      La Solgar e a. e il Syndicat hanno sostenuto dinanzi al giudice del rinvio, in particolare, che la direttiva 2002/46 ostava a qualsiasi misura nazionale diretta a fissare livelli quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali presenti negli integratori minerali.

26.      Inoltre, i ricorrenti nel procedimento principale contestano alle autorità francesi di avere fissato le dosi giornaliere massime, da un lato, indipendentemente dalla dose giornaliera raccomandata dal fabbricante e, dall’altro, senza tenere conto dei livelli di tolleranza stabiliti a seguito di una valutazione scientifica del rischio e dei livelli variabili di sensibilità dei diversi gruppi di consumatori.

27.      In tale contesto, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la direttiva 10 giugno 2002, 2002/46/CE, in particolare i suoi artt. 5, n. 4, e 11, n. 2, debba interpretarsi nel senso che, pur spettando in via di principio alla Commissione stabilire i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari, gli Stati membri restano competenti ad adottare una normativa in materia fino a quando la Commissione non abbia adottato l’atto comunitario richiesto.

2)      In caso di risposta affermativa a tale questione:

a)      se gli Stati membri, tenuti a rispettare le disposizioni degli artt. 28 [CE] e 30 [CE] per fissare i livelli quantitativi massimi, debbano altresì ispirarsi ai criteri stabiliti all’art. 5 della direttiva [2002/46], ivi compreso il requisito di una valutazione dei rischi condotta nell’ambito di studi scientifici generalmente riconosciuti in un settore caratterizzato ancora da una relativa incertezza;

b)      se uno Stato membro possa fissare dei livelli massimi quando sia impossibile, come nel caso del fluoro, quantificare con precisione gli apporti in vitamine e minerali provenienti da altre fonti alimentari, segnatamente dall’acqua di distribuzione, per ogni gruppo di consumatori e territorio per territorio; se si possa, in tal caso, fissare un tasso nullo in presenza di rischi accertati, senza ricorrere alla procedura di salvaguardia di cui all’art. 12 della direttiva [2002/46];

c)      se nella fissazione dei livelli massimi, essendo possibile tener conto dei livelli variabili di sensibilità di diversi gruppi di consumatori ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [2002/46], uno Stato membro possa altresì fondarsi sul fatto che una misura riguardante il solo pubblico particolarmente esposto al rischio, ad esempio un’etichettatura adeguata, possa dissuadere tale gruppo dal fare ricorso a una sostanza nutritiva ad esso benefica a basse dosi; se la considerazione di tale diversa sensibilità possa condurre ad applicare all’insieme della popolazione il livello massimo adatto ad un pubblico fragile, segnatamente i bambini;

d)      in quale misura si possano stabilire dei livelli massimi in assenza di livelli di tolleranza ove non sussista un pericolo accertato per la salute; più in generale, in quale misura e a quali condizioni la ponderazione dei criteri da considerare possa condurre a fissare livelli massimi sensibilmente inferiori ai livelli tollerabili ammessi per tali sostanze nutritive».

III – Sull’esistenza di una competenza normativa degli Stati membri

A –    Osservazioni preliminari

28.      Prima di esaminare le questioni sollevate dal giudice del rinvio, desidero rilevare che, nelle sue osservazioni scritte, la Solgar e a. fa valere che l’illegittimità del decreto del 9 maggio 2006 deriverebbe in particolare dall’assenza di una procedura di mutuo riconoscimento per quanto riguarda gli integratori alimentari a base di vitamine e minerali provenienti da un altro Stato membro. Ritengo, infatti, che l’art. 16 del decreto escluda dall’ambito di applicazione della procedura «semplificata» prevista da detto articolo gli integratori alimentari legalmente commercializzati in un altro Stato membro a base di sostanze nutritive i cui valori superino i limiti stabiliti dal decreto del 9 maggio 2006.

29.      Tuttavia, nella decisione di rinvio il Conseil d’État ha considerato che il problema del mutuo riconoscimento delle sostanze nutritive non era oggetto del procedimento pendente dinanzi ad esso. Pertanto, anche se mi sembra incerta la portata esatta del termine «utilizzo» figurante all’art. 3 di detto decreto (5), non mi soffermerò su tale questione.

B –    Sull’assenza di provvedimenti di attuazione della direttiva 2002/46

30.      Per quanto riguarda la prima questione, i pareri espressi dalle parti che hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento si dividono in due gruppi.

31.      Da un lato, la Solgar e a. e il Syndicat propongono alla Corte di rispondere nel senso che gli Stati membri non sono competenti ad adottare una normativa interna come quella in discussione nella causa principale, nemmeno qualora la Commissione non abbia adottato l’atto richiesto.

32.      Dall’altro lato, la Commissione così come i governi francese e polacco ritengono che si debba interpretare la direttiva 2002/46 nel senso che, in caso di mancata adozione dei provvedimenti che fissano i livelli quantitativi di cui all’art. 5, n. 4, della medesima direttiva, gli Stati membri restano competenti a stabilire i livelli massimi di vitamine e minerali.

33.      Dopo avere rammentato i principi che disciplinano la procedura prevista ai fini dell’adozione dei provvedimenti in questione, occorre interrogarsi sugli effetti della mancata adozione di tali provvedimenti da parte della Commissione.

34.      Risulta dall’art. 5, n. 4, della direttiva 2002/46 che i livelli quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali devono essere definiti secondo la procedura di regolamentazione di cui all’art. 5 della decisione sulla comitatologia.

35.      Nell’ambito di tale procedura la Commissione sottopone al comitato di cui all’art. 13, n. 1, della direttiva 2002/46 un progetto dei provvedimenti da adottare, sul quale il comitato pronuncia il proprio parere. Nella specie, il comitato in questione non è ancora stato adito (6). Nelle sue osservazioni, la Commissione descrive brevemente lo stato dei lavori a tale riguardo. Malgrado l’opinione espressa in un «Discussion paper» del 2006 (7) e discussioni condotte con gli Stati membri e le parti interessate nel 2007 e nel 2008, sembra che finora non sia stato adottato alcun progetto di provvedimento (8).

36.      È vero che, al momento dell’adozione della direttiva 2002/46, il legislatore non ha fissato il termine di adozione dei provvedimenti attuativi ai sensi dell’art. 5, n. 4, della direttiva 2002/46. Tale approccio mi sembra opportuno, viste le difficoltà inerenti alla definizione dei livelli quantitativi minimi e massimi di vitamine e minerali, la cui determinazione richiedeva quindi un considerevole periodo di tempo.

37.      In ogni caso, rilevo che la direttiva 2002/46 è stata adottata il 10 giugno 2002. Gli Stati membri erano tenuti ad adottare le necessarie disposizioni legislative, regolamentari e amministrative entro il 31 luglio 2003 e ad applicarle, da un lato, in modo da autorizzare, entro il 1° agosto 2003, il commercio dei prodotti conformi alla direttiva 2002/46 e, dall’altro, a vietare, entro il 1° agosto 2005, il commercio dei prodotti non conformi a detta direttiva (9).

38.      Si deve constatare che, in assenza dell’atto della Commissione che fissa i livelli quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari, la normativa dell’Unione in materia di integratori alimentari presenta, allo stato, una vera e propria lacuna. Non avendo adottato le misure richieste, la Commissione non ha esercitato le proprie competenze per l’attuazione delle disposizioni della direttiva 2002/46, sebbene il termine di trasposizione di detta direttiva da parte degli Stati membri sia scaduto da diversi anni.

39.      Non vi è dubbio che l’art. 5, n. 4, della direttiva 2002/46, pur autorizzando la Commissione a definire i livelli quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali, le impone altresì di precisare la portata di tale direttiva. Infatti, in mancanza di tale precisazione, risulta praticamente impossibile applicare la nozione di «prodotto conforme alla presente direttiva», quanto meno in modo uniforme. Non è escluso che la mancanza nell’art. 5 della direttiva 2002/46 di una disposizione equiparabile a quella di cui all’art. 4, n. 4, della direttiva 2002/46 sia espressione indiretta della volontà del legislatore di obbligare la Commissione ad adottare la propria decisione entro e non oltre la scadenza del termine di trasposizione, vale a dire agosto 2003.

40.      Poiché gli Stati membri si trovano nell’impossibilità di portare a termine il processo di trasposizione, tale situazione mi sembra inammissibile dal punto di vista giuridico. Infatti, l’assenza dei provvedimenti attuativi rende il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in questione inefficace e poco trasparente sia per gli Stati membri che per i produttori, nonché per i consumatori. Pertanto, le disposizioni applicabili della direttiva 2002/46 risultano private del loro effetto utile.

41.      Non si può quindi accogliere la tesi sostenuta dalla Solgar e a. e dal Syndicat, secondo cui gli Stati membri non sono competenti ad adottare una normativa nazionale come quella controversa nella causa principale (10) nemmeno se la Commissione non ha adottato l’atto richiesto. Tale interpretazione è in contrasto sia con gli artt. 152, primo comma, CE, e 95, n. 3, CE (11), sia con il tredicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46. Si tratta, infatti, delle sostanze il cui consumo eccessivo può dar luogo a reazioni avverse per la salute umana, e alcune sostanze che figurano nell’elenco «positivo» dell’allegato I della direttiva 2002/46, come il fluoro o il cromo, possono anche risultare tossiche in caso di superamento dei livelli tollerabili.

42.      Di conseguenza, in tale contesto particolare della legislazione alimentare e in attesa di un atto della Commissione, ritengo che tale lacuna della normativa dell’Unione possa, anzi debba, essere colmata dai destinatari della direttiva 2002/46, vale a dire gli Stati membri.

43.      Ritengo che tale conclusione possa essere giustificata giuridicamente in due modi: richiamandosi all’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46, e basandosi sulla giurisprudenza relativa all’applicazione degli artt. 28 CE e 30 CE.

C –    Sull’applicabilità dell’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46

44.      Nelle loro osservazioni scritte presentate alla Corte, la Commissione e il governo francese hanno sottolineato che, per quanto riguarda la fissazione dei livelli quantitativi di vitamine e minerali, la direttiva 2002/46 non prevedeva, contrariamente al suo art. 4, n. 4, relativo ai requisiti di purezza delle sostanze elencate nell’allegato II, l’applicazione delle norme nazionali fino a che le specifiche comunitarie non fossero state adottate.

45.      A tal riguardo si deve rilevare che la direttiva 2002/46 prevede, da un lato, all’art. 3, che solo gli integratori alimentari conformi alla direttiva 2002/46 possano essere commercializzati nell’Unione. Dall’altro, risulta dall’art. 11, n. 1, della direttiva 2002/46 che gli Stati membri devono astenersi dal vietare o dall’introdurre restrizioni agli scambi di prodotti conformi a detta direttiva e alle disposizioni dell’Unione di esecuzione della stessa. Tale disposizione si riferisce a tutti i prodotti di cui all’art. 1 della direttiva 2002/46, vale a dire agli integratori alimentari commercializzati come prodotti alimentari e presentati come tali.

46.      Ai sensi dell’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46, detto divieto per gli Stati membri di introdurre restrizioni al commercio di prodotti conformi alla direttiva 2002/46 lascia impregiudicate le normative nazionali applicabili in assenza di disposizioni dell’Unione di esecuzione della direttiva 2002/46.

47.      Risulta altresì dall’art. 11, n. 2, che la facoltà riconosciuta agli Stati membri di adottare disposizioni nazionali in assenza di atti dell’Unione è limitata, in particolare dall’obbligo di conformarsi ai principi concernenti la libera circolazione delle merci.

48.      È vero che la Corte ha già dichiarato, in relazione all’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46, che dalla lettura combinata di questa disposizione e dell’ottavo ‘considerando’ della medesima direttiva risulta che lo scopo della disposizione è quello di preservare, nell’attesa di una disciplina specifica dell’Unione, l’applicazione, nel rispetto del Trattato, delle norme nazionali relative ai nutrienti diversi dalle vitamine e dai minerali o ad altre sostanze dotate di un effetto nutritivo o fisiologico, utilizzate come ingredienti negli integratori alimentari (12).

49.      La Corte ha inoltre precisato che l’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46 riguarda quindi unicamente gli integratori alimentari che contengono nutrienti o sostanze che non rientrano nell’ambito d’applicazione materiale della stessa (13).

50.      Tuttavia, nella specie, ritengo che si debba ampliare l’ambito di applicazione dell’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46 con un’interpretazione più aderente al significato letterale di tale disposizione. Pertanto, propongo di interpretare l’espressione «in assenza di disposizioni comunitarie di esecuzione della presente direttiva» nel senso che essa si applica anche in assenza dei provvedimenti che la Commissione è tenuta ad adottare per definire i livelli quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali conformemente all’art. 5, n. 4, della direttiva 2002/46. Mi sembra peraltro che, in attesa dei provvedimenti attuativi della Commissione, alcuni Stati membri abbiano seguito in sostanza tale interpretazione (14).

51.      Di conseguenza, ritengo che l’art. 11, n. 2, della direttiva 2002/46 riconosca agli Stati membri un potere di azione in assenza delle misure di esecuzione dell’Unione. Pertanto, gli Stati membri, a mio avviso, possono definire i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali.

52.      Tale facoltà degli Stati membri mi sembra indispensabile anche alla luce degli imperativi di protezione della salute umana sottesi alla normativa in materia di integratori alimentari, come ricorda il tredicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46. Peraltro, gli Stati membri dispongono di dati scientifici, elaborati a livello nazionale, che possono essere utilizzati a vantaggio della popolazione in attesa dell’adozione delle misure richieste a livello dell’Unione. Infine, rilevo che vari Stati membri hanno già adottato provvedimenti normativi o hanno pubblicato raccomandazioni aventi ad oggetto l’individuazione dei livelli quantitativi delle sostanze nutritive presenti negli integratori alimentari (15).

D –    Sul ricorso all’art. 30 CE quale fondamento normativo della competenza residuale degli Stati membri

53.      Qualora la Corte non fosse disposta a discostarsi dall’interpretazione relativa alla portata dell’art. 11, n. 2, da essa accolta incidentalmente nella citata sentenza Alliance for Natural Health e a. (16), ritengo che si possa giungere alla stessa conclusione seguendo un ragionamento alternativo.

54.      A tal riguardo ricordo che nella sentenza Denkavit Futtermittel la Corte ha dichiarato che l’art. 36 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 30 CE) non ha lo scopo di riservare talune materie alla competenza esclusiva degli Stati membri, ma ammette solo che le norme nazionali deroghino al principio della libera circolazione delle merci se ed in quanto ciò sia e continui ad essere giustificato per il conseguimento degli obiettivi contemplati da questo articolo (17).

55.      Risulta dalla giurisprudenza che, allorché in attuazione dell’art. 95 CE determinate direttive dispongono l’armonizzazione dei provvedimenti necessari a garantire la tutela della salute degli uomini e degli animali, il ricorso all’art. 30 CE perde la sua giustificazione e i controlli appropriati vanno allora effettuati e i provvedimenti di tutela adottati secondo lo schema tracciato dalla direttiva di armonizzazione (18).

56.      Infatti, quando un problema è disciplinato in modo armonizzato a livello dell’Unione, qualunque provvedimento nazionale in materia deve essere valutato in rapporto alle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non a quelle del Trattato CE (19).

57.      Nella specie risulta in particolare dal secondo e dal quinto ‘considerando’ della direttiva 2002/46 che quest’ultima mira a conciliare l’obiettivo della protezione della salute umana con quello della libera circolazione degli integratori alimentari contenenti sostanze definite negli allegati di detta direttiva.

58.      Così, la Corte ha già dichiarato che il divieto di commercializzare integratori alimentari non conformi alla direttiva 2002/46, completato dall’obbligo che incombe agli Stati membri, in forza della medesima direttiva, di autorizzare il commercio degli integratori alimentari conformi a quest’ultima, ha lo scopo di eliminare gli ostacoli derivanti dalle divergenze tra le norme nazionali relative alle vitamine, ai minerali ed alle sostanze vitaminiche o minerali autorizzate o vietate nella fabbricazione degli integratori alimentari, garantendo nel contempo, in conformità all’art. 95, n. 3, CE, un elevato livello di protezione della salute delle persone (20).

59.      Per quanto riguarda la fissazione dei limiti applicabili alle vitamine e ai minerali presenti negli integratori alimentari, l’art. 5, n. 1, della direttiva 2002/46 determina i parametri generali secondo i quali devono essere stabiliti quantitativi massimi di vitamine e minerali figuranti nell’allegato I.

60.      L’adozione, sulla base sia dei criteri stabiliti dalla direttiva 2002/46 che delle indicazioni scientifiche adeguate, dei valori specifici corrispondenti ai livelli massimi e minimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari è stata affidata, in quanto misura di attuazione, alla Commissione.

61.      Orbene, in assenza della fissazione di detti livelli da parte della Commissione, l’armonizzazione realizzata dalla direttiva 2002/46 non può, in questa fase, essere considerata esaustiva.

62.      Di conseguenza, alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, gli Stati membri restano competenti ad adottare i necessari provvedimenti a tutela della salute umana, in particolare quando prevedano misure destinate a prevenire l’utilizzo di quantitativi eccessivi, o addirittura tossici, di vitamine e minerali negli integratori alimentari.

63.      Peraltro, in tale contesto, la Corte ha già dichiarato che detto potere discrezionale relativo alla tutela della salute pubblica è particolarmente importante laddove sia dimostrato che sussistono incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica in merito a determinate sostanze, quali le vitamine, che in genere non sono nocive di per sé, ma possono produrre effetti nocivi particolari solo in caso di consumo eccessivo delle stesse col complesso degli alimenti la cui composizione è imprevedibile ed incontrollabile (21).

E –    Conclusione sulla prima questione

64.      Alla luce di quanto precede, posso solo considerare che, in mancanza dell’adozione da parte della Commissione dei provvedimenti attuativi di cui all’art. 5, n. 4, della direttiva 2002/46, gli Stati membri restano competenti ad adottare disposizioni dirette a fissare i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali, nel rispetto dei principi risultanti dagli artt. 28 CE e 30 CE.

IV – Sulla portata della competenza degli Stati membri a fissare i quantitativi massimi e minimi di vitamine e minerali

A –    Osservazioni generali

65.      Sebbene si ammetta che gli Stati membri restano competenti, nella specie, a stabilire i quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari, si deve rilevare che, nell’esercizio di tale competenza, essi tuttavia non sono dispensati dal rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione.

66.      Per quanto riguarda la portata degli obblighi degli Stati membri nelle varie fasi della trasposizione di una direttiva, secondo costante giurisprudenza, prima della scadenza del termine di trasposizione, gli Stati membri devono, da un lato, adottare i provvedimenti necessari ad assicurare che il risultato prescritto dalla direttiva sia realizzato alla scadenza del termine stesso, e, dall’altro, astenersi dall’adottare disposizioni che possano gravemente compromettere la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive (22).

67.      La Corte si è inoltre pronunciata in ordine alle disposizioni transitorie previste dalle direttive e applicabili dopo la scadenza del termine di trasposizione (23). Dopo avere rilevato che le disposizioni in questione non dovevano essere interpretate nel senso che costituiscono una clausola di «standstill» (24), la Corte ha dichiarato che i principi elaborati nell’ambito della giurisprudenza Inter‑Environnement Wallonie si applicano ai periodi transitori nel corso dei quali gli Stati membri sono autorizzati a continuare ad applicare i loro regimi nazionali, sebbene essi non siano conformi alla direttiva considerata (25).

68.      Infatti, secondo la Corte, il diritto degli Stati membri di modificare i loro sistemi di autorizzazione in pendenza del periodo transitorio non può essere considerato illimitato (26).

69.      Ritengo che lo stesso ragionamento debba applicarsi a fortiori ad una situazione come quella in esame, scaturente dalla mancata adozione delle misure di esecuzione della direttiva da parte della Commissione, soprattutto in quanto gli effetti obbligatori della direttiva 2002/46 vincolanti per gli Stati membri sono divenuti completi e definitivi alla scadenza del termine di trasposizione.

70.      Si deve quindi ritenere, a mio avviso, che dal combinato disposto degli artt. 10, secondo comma, CE, 249, terzo comma, CE e della stessa direttiva 2002/46 risulti che, qualora la Commissione non abbia adottato misure di esecuzione che stabiliscono i quantitativi minimi e massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari, gli Stati membri devono adottare tutti i provvedimenti necessari per preservare l’effetto utile delle disposizioni della direttiva 2002/46 e astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive.

71.      Ricordo inoltre che, nell’ambito della legislazione alimentare intesa quale politica intersettoriale, si deve procedere a una ponderazione fra i diversi interessi, vale a dire la tutela dei consumatori, la tutela della salute e la tutela dell’ambiente.

72.      In materia di integratori alimentari, interagiscono in particolare i principi della tutela dei consumatori e della tutela della salute. Tale settore specifico della legislazione alimentare costituisce l’espressione degli imperativi, da un lato, dell’art. 152, n. 1, primo comma, CE, che prevede un livello elevato di protezione della salute umana nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e azioni dell’Unione e, dall’altro, dell’art. 95, n. 3, CE, che esige espressamente la garanzia di un livello elevato di protezione della salute delle persone nell’armonizzazione realizzata (27).

73.      Inoltre, come ha rilevato la Commissione in una comunicazione del 1997, l’esperienza dimostra che «la sicurezza dei generi alimentari non riguarda solo il consumatore, ma è alla base del corretto funzionamento del mercato. Pertanto, la sicurezza dei generi alimentari non è solo un requisito preliminare per garantire la protezione della salute del consumatore, ma influenza anche gli interessi dei produttori e di chi si occupa della trasformazione e della commercializzazione dei generi alimentari» (28).

74.      Peraltro, la valutazione scientifica costituisce un aspetto fondamentale di un sistema volto a conciliare l’obiettivo della libera circolazione con quello dell’innovazione tecnologica, dato che questi due obiettivi comportano rischi che occorre analizzare (29).

75.      Le successive questioni sollevate dal giudice del rinvio devono essere esaminate alla luce degli elementi sopra indicati.

B –    Sulla seconda questione, sub a)

76.      Nell’ambito di tale questione, la Corte sarà indotta ad individuare le disposizioni che uno Stato membro deve prendere in considerazione nel fissare i quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari. Il giudice del rinvio si interroga, infatti, sulla questione se, al di là degli artt. 28 CE e 30 CE, uno Stato membro sia tenuto ad ispirarsi ai criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46.

77.      Rilevo che tutte le parti che hanno presentato osservazioni scritte concordano nel ritenere che tale questione debba essere risolta in senso affermativo.

78.      A tal riguardo si deve ricordare che l’art. 5 della direttiva 2002/46 stabilisce tre criteri per fissare i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari:

–        i livelli tollerabili [art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 2002/46];

–        l’apporto di vitamine e minerali da altre fonti alimentari [art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 2002/46];

–        i valori di riferimento (30) di vitamine e minerali per la popolazione (art. 5, n. 2, della direttiva 2002/46).

79.      Risulta dalla giurisprudenza sopra richiamata che l’obbligo degli Stati membri di adottare tutti i provvedimenti necessari per raggiungere il risultato prescritto da una direttiva è un obbligo cogente (31). Ne consegue che alla scadenza del termine di trasposizione, in mancanza delle misure di attuazione della Commissione, gli Stati membri devono adottare i provvedimenti necessari per assicurare il raggiungimento del risultato prescritto dalla direttiva e astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere tale risultato.

80.      Poiché l’art. 5 della direttiva 2002/46 costituisce una disposizione chiave nella definizione dei livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali, gli Stati membri non possono, in attesa dell’adozione di un atto dell’Unione, ignorare i criteri ivi indicati senza compromettere gli obiettivi della medesima direttiva.

81.      A tal riguardo si deve anche fare riferimento ai principi cui è improntata la legislazione alimentare e, segnatamente, all’obiettivo di tutela della salute umana sotteso in particolare alle disposizioni dell’art. 5 della direttiva 2002/46.

82.      Infatti, per garantire che gli integratori alimentari non presentino alcun rischio per la salute, la direttiva 2002/46 assicura un iter rigoroso volto ad accertare l’innocuità di tali prodotti e un’adeguata informazione dei consumatori. Questi due aspetti costituiscono i principi essenziali di qualsiasi valutazione dei preparati di cui trattasi.

83.      Osservo che, nelle citate cause che hanno dato luogo alle sentenze Stichting Zuid Hollandse Milieufederatie, la Corte ha sottolineato l’importanza di prendere in considerazione gli effetti sulla salute umana delle misure adottate da uno Stato membro nel corso del periodo transitorio stabilito dalla direttiva 2002/46 (32).

84.      Inoltre, l’art. 5 della direttiva 2002/46 è una disposizione di portata generale concernente la valutazione scientifica del rischio. Tale criterio fa parte dei principi enunciati anche all’art. 6 del regolamento n. 178/2002, secondo cui, ai fini del conseguimento dell’obiettivo generale di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana, la legislazione alimentare si basa sull’analisi del rischio, tranne quando ciò non sia confacente alle circostanze o alla natura del provvedimento.

85.      È vero che il regolamento n. 178/2002, in quanto lex generalis, si applica solo qualora non sia applicabile la direttiva 2002/46, in quanto lex specialis (33).

86.      Tuttavia, come ha fatto valere la Commissione, l’analisi dei tre criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46 costituisce «una valutazione dei rischi» ai sensi del regolamento n. 178/2002, il quale, in forza del suo art. 1, n. 2, è applicabile a tutti i provvedimenti relativi alla sicurezza degli alimenti adottati sia a livello dell’Unione che a livello degli Stati membri.

87.      Infine, si può sostenere, visto il contesto eccezionale risultante dalla mancata adozione di provvedimenti attuativi da parte della Commissione, che gli Stati membri si sostituiscano provvisoriamente a quest’ultima ai fini della fissazione dei livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari. Essi sono quindi tenuti ad ispirarsi ai criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46 e, in tale ambito, a limitare gli effetti negativi derivanti dall’assenza di misure di attuazione a livello dell’Unione ai fini della realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2002/46.

88.      Alla luce di tutto quanto precede, propongo di risolvere la seconda questione, sub a), nel senso che, nell’adottare le misure dirette a definire i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali presenti negli integratori alimentari, gli Stati membri sono tenuti non solo a rispettare gli artt. 28 CE e 30 CE, ma anche ad ispirarsi ai criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46.

C –    Sulla seconda questione, sub b)

89.      Con tale questione il giudice del rinvio chiede se, quando sia impossibile, come nel caso del fluoro, quantificare con precisione gli apporti in vitamine e minerali provenienti da altre fonti alimentari, uno Stato membro possa, in presenza di rischi accertati, fissare i livelli quantitativi massimi di un minerale a un valore pari a zero, senza ricorrere alla procedura di salvaguardia di cui all’art. 12 della direttiva 2002/46.

90.      Tutte le parti che hanno presentato osservazioni scritte, ad eccezione del governo francese, sostengono che la fissazione di un valore pari a zero equivale ad istituire un divieto assoluto di utilizzo del fluoro, che tuttavia figura nell’elenco positivo delle vitamine e dei minerali che possono essere impiegati per la fabbricazione di integratori alimentari. Ne consegue, a loro parere, che uno Stato membro che procedesse in tal senso restringerebbe l’ambito di applicazione della direttiva 2002/46. Di conseguenza, dette parti ritengono che uno Stato membro non possa fissare un limite quantitativo massimo ad un valore nullo senza ricorrere alla procedura di salvaguardia di cui all’art. 12 della direttiva 2002/46.

91.      Tale posizione mi sembra coerente e, senza dubbio, facilmente giustificabile alla luce dei principi generali applicabili nel settore della libera circolazione delle merci. Mi chiedo nondimeno se un tale approccio non semplifichi eccessivamente i termini della questione. Infatti, seguendo questa logica, uno Stato membro potrebbe evitare di incorrere in contestazioni per l’esclusione di una sostanza dall’ambito di applicazione della direttiva 2002/46 limitandosi a stabilire valori prossimi a zero, più o meno fittizi, come ad esempio un valore massimo di 0,01 mg per il fluoro.

92.      A mio avviso, tale prassi entrerebbe in conflitto con le disposizioni dell’art. 5 della direttiva 2002/46. Orbene, come si è già rilevato, le autorità nazionali devono ispirarsi ai criteri enunciati da detto articolo.

93.      Rimane quindi da stabilire se l’inclusione di una sostanza nutritiva nell’elenco di cui all’allegato I della direttiva 2002/46 osti di per sé a che un’applicazione corretta dei criteri dell’art. 5 di detta direttiva conduca all’indicazione di un valore pari a zero nell’ambito della fissazione dei livelli quantitativi massimi autorizzati del minerale in questione.

94.      Il governo francese fa valere in proposito che uno Stato membro ha il diritto di fissare un valore pari a zero quale limite quantitativo massimo quando una sostanza presenta rischi accertati, come il fluoro, laddove sia impossibile quantificare con precisione gli apporti di detta sostanza provenienti da altre fonti alimentari. In tal caso, lo Stato membro non dovrebbe ricorrere alla procedura di salvaguardia di cui all’art. 12 della direttiva 2002/46.

95.      A sostegno della sua tesi, il governo francese richiama gli studi condotti dall’Agence française de sécurité sanitaire des aliments (in prosieguo: l’«AFSSA»), la quale, da un lato, ha indicato i dati relativi alla concentrazione di fluoro nelle acque di distribuzione in Francia, e, dall’altro, ha individuato la presenza di fluoro, in quantità variabili, nelle acque minerali, nei sali fluorati e nei dentifrici al fluoro, nonché negli integratori medicinali al fluoro per i lattanti e i bambini di età inferiore a 12 anni (34).

96.      Tenuto conto dei pareri scientifici pubblicati dall’AFSSA (35), la Commissione dubita dell’impossibilità, evocata dal giudice del rinvio, di quantificare con precisione i diversi apporti di fluoro. Al contrario, a suo parere ne consegue che le autorità francesi disponevano di dati che consentivano loro di valutare le principali fonti di fluoro. A livello dell’Unione, la Commissione richiama il parere scientifico dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che fornisce dati relativi agli apporti provenienti dalle acque minerali (36).

97.      Pur riconoscendo l’esistenza di difficoltà inerenti alla quantificazione esatta degli apporti per quanto riguarda il cumulo di fonti diverse di fluoro per ciascun gruppo di consumatori e territorio per territorio (37), ritengo altresì che le autorità francesi disponessero di dati che consentivano di individuare, quanto meno approssimativamente, gli apporti in fluoro provenienti da altre fonti alimentari e, in particolare, dall’acqua di distribuzione. Interpreto quindi la posizione delle autorità francesi nel senso che la differenza tra il quantitativo di fluoro proveniente da altre fonti alimentari e il livello di tolleranza relativo a tale minerale è considerata molto piccola, se non inesistente, in Francia e che, pertanto, l’applicazione dei criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46 consentirebbe, secondo le autorità francesi, di fissare il limite quantitativo massimo a livello zero.

98.      Per quanto riguarda, più in generale, la questione se nella specie le autorità francesi avrebbero dovuto ricorrere alla clausola di salvaguardia, il governo francese precisa che le autorità francesi hanno ritenuto che il fluoro rientrasse nella categoria dei minerali che presentano un rischio particolarmente elevato per talune categorie di popolazione (38) e che l’allegato III del decreto del 9 maggio 2006 fissa quindi la dose massima giornaliera di tale minerale in 0 mg.

99.      Peraltro, nel suo parere, l’AFSSA ha ritenuto che esistesse in Francia, per bambini e adulti, un rischio di superamento dei livelli di tolleranza del fluoro a causa del consumo di integratori alimentari contenenti detto minerale (39).

100. A tal riguardo ricordo in primo luogo che, in virtù dell’art. 3 della direttiva 2002/46, possono essere commercializzati nell’Unione solo gli integratori alimentari conformi a detta direttiva. Peraltro, l’art. 11, n. 1, della medesima direttiva dispone che gli Stati membri non possono vietare o limitare il commercio di tali prodotti.

101. A tal fine, il legislatore ha redatto un elenco positivo di vitamine e minerali nonché di sostanze vitaminiche e minerali che possono essere utilizzati per la produzione di integratori alimentari.

102. Risulta dall’art. 12 della direttiva 2002/46 che uno Stato membro può, entro i limiti previsti da tale disposizione, adottare provvedimenti provvisori per sospendere o limitare sul proprio territorio l’applicazione delle disposizioni della direttiva 2002/46 autorizzando l’immissione in commercio dei prodotti ad essa conformi.

103. La nozione di «conformità» si colloca quindi al centro della questione relativa all’applicabilità della clausola di salvaguardia. Infatti, l’applicazione di tale clausola presuppone la conformità di una determinata sostanza alla direttiva 2002/46. Detta clausola è applicabile solo se, anzitutto, gli Stati membri erano tenuti ad autorizzare l’impiego e la commercializzazione della sostanza.

104. Allo stato, la definizione della conformità di una sostanza utilizzata per la fabbricazione di integratori alimentari alla direttiva 2002/46 non è scevra da dubbi.

105. Anzitutto, si potrebbe ritenere che tale conformità discenda dal semplice fatto che una vitamina o un minerale compaia nell’elenco dei componenti consentiti.

106. In tale contesto, la fissazione da parte del legislatore francese, ai fini della produzione degli integratori alimentari, di un livello quantitativo massimo di fluoro pari a 0 mg condurrebbe all’esclusione unilaterale dall’ambito di applicazione della direttiva 2002/46 di uno dei prodotti menzionati all’art. 1 di detta direttiva ed elencati nell’allegato di quest’ultima.

107. Orbene, la Corte ha già dichiarato che il contenuto degli elenchi dei componenti consentiti allegati alla direttiva 2002/46 corrispondeva all’elenco delle sostanze classificate nelle categorie «vitamine» e «minerali» incluse nell’allegato alla direttiva 2001/15/CE (40), che costituiscono le sostanze selezionate tenendo conto dei criteri di sicurezza e di biodisponibilità previsti all’undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/46 (41).

108. Tuttavia, visto il tenore letterale dell’art. 5, n. 4, della direttiva 2002/46, sono incline a ritenere che la direttiva 2002/46 preveda un duplice grado di conformità che si traduce, da un lato, nell’inclusione di vitamine e minerali nell’elenco dei componenti consentiti e, dall’altro, nella successiva fissazione dei loro livelli quantitativi massimi e minimi secondo i criteri di cui alla direttiva 2002/46. Infatti, se un integratore alimentare dovesse essere considerato conforme alla direttiva 2002/46 per il solo fatto che esso contiene unicamente sostanze menzionate nell’allegato I della direttiva 2002/46, senza prendere in considerazione i limiti quantitativi delle sostanze in questione, la libera circolazione prevista dalla direttiva 2002/46 rischierebbe di estendersi a preparati pericolosi, o addirittura tossici. Orbene, questa situazione, a mio parere, sarebbe irragionevole e in contrasto con l’obiettivo perseguito dall’art. 152 CE. Siffatta interpretazione non può quindi essere accolta.

109. Pertanto, allo stato attuale della normativa dell’Unione in materia di integratori alimentari, non è possibile esprimere un giudizio sulla conformità delle dosi di fluoro con la direttiva 2002/46.

110. Inoltre, in seguito alle consultazioni nell’ambito della procedura di comitatologia, la Commissione potrebbe adottare un approccio consistente nell’applicare limiti flessibili, ad esempio forchette di valori, tenendo conto della situazione particolare esistente in uno Stato membro che abbia evocato l’esistenza di rischi accertati o la presenza importante di alcuni minerali, in ragione, segnatamente, di particolari fattori geologici o alimentari propri di detto Stato membro o di alcune sue parti.

111. Non si può nemmeno escludere che la Commissione sia obbligata a fissare, da un lato, limiti generali per l’intera Unione europea e, dall’altro, limiti specifici applicabili in via derogatoria in alcuni Stati membri o in alcune regioni (42).

112. Va da sé che la responsabilità politica e giuridica delle conseguenze del carattere necessariamente discrezionale della decisione adottata a tale riguardo incombe alla Commissione.

113. Poiché i livelli massimi di fluoro non sono ancora stati stabiliti a livello dell’Unione, ritengo che il modus operandi delle autorità francesi non porti a un’esclusione illegittima del fluoro dall’ambito di applicazione della direttiva 2002/46.

114. Inoltre, rilevo che la direttiva 2002/46, che è stata adottata sul fondamento dell’art. 95 CE, costituisce un esempio di armonizzazione mirante a un livello elevato di protezione in materia di salute e di sicurezza. La valutazione scientifica ne costituisce parte integrante.

115. Infatti, gli integratori alimentari figurano tra i prodotti «sensibili» ai quali vengono associati pericoli e rischi particolari (43).

116. Di conseguenza, la direttiva 2002/46 prevede la possibilità di applicare la clausola di salvaguardia di cui all’art. 95, n. 10, CE. Secondo tale disposizione, le misure di armonizzazione comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri ad adottare, per uno o più dei motivi di carattere non economico di cui all’art. 30 del Trattato, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo di diritto dell’Unione.

117. Secondo la giurisprudenza, le clausole di salvaguardia rappresentano una specifica applicazione del principio di precauzione (44). L’art. 95, n. 10, CE consente ad uno Stato membro, alle condizioni enunciate da detta disposizione, di applicare una normativa che deroga ad una misura di armonizzazione (45). Infatti, la Corte ha già dichiarato che il rispetto del principio di precauzione si traduce nella facoltà di ogni Stato membro di limitare o vietare provvisoriamente l’uso e/o la vendita sul proprio territorio di un prodotto per il quale, benché sia stato oggetto di un consenso, vi sono valide ragioni di ritenere che presenti un rischio per la salute umana o l’ambiente (46).

118. Tali disposizioni di salvaguardia figurano in vari atti dell’Unione in materia di legislazione alimentare (47).

119. Dato che, allo stato attuale, l’armonizzazione operata dalla direttiva 2002/46 non è completa, ritengo che la procedura di salvaguardia di cui all’art. 12 della direttiva 2002/46 non sia applicabile nell’ipotesi sottoposta alla Corte nel caso di specie (48).

120. Tuttavia, poiché gli Stati membri, nell’esercizio delle loro competenze in attesa di provvedimenti dell’Unione, possono adottare disposizioni nazionali solo nel rispetto degli artt. 28 CE e 30 CE, occorre interrogarsi sulla conformità di una normativa interna come quella di cui alla controversia principale con i principi della libera circolazione.

121. A tal riguardo si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, in mancanza di armonizzazione e laddove sussistano incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica, spetta agli Stati membri decidere in merito al livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone ed al requisito di una previa autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti alimentari, tenendo conto anche delle esigenze della libera circolazione delle merci nell’ambito dell’Unione europea (49).

122. Di conseguenza, l’esame del provvedimento di cui trattasi dev’essere affidato al giudice nazionale, in applicazione degli artt. 28 CE e 30 CE. Infatti, esso si trova nella posizione migliore per valutare le specificità dei dati scientifici forniti dagli organismi scientifici nazionali alla luce dei principi sopra richiamati. Tuttavia, sapendo che la Commissione non è riuscita a prendere posizione su questo punto in tutti gli anni trascorsi dall’adozione della direttiva 2002/46, non ci si può attendere che un giudice nazionale proceda a un esame nel merito che acclari definitivamente la verità su detta questione, ma semmai che esso garantisca un controllo dell’obiettività e della neutralità della valutazione dei dati effettuata nel corso dei procedimenti amministrativi nazionali.

123. In base alle suesposte considerazioni, propongo di risolvere la questione sollevata nel senso che, in una situazione come quella controversa, in cui, in mancanza di provvedimenti di attuazione della Commissione, uno Stato membro fissa un valore pari a zero per una sostanza figurante nell’elenco dei componenti consentiti della direttiva 2002/46, detto Stato membro non è tenuto a ricorrere alla clausola di salvaguardia, ma deve comunque agire nel rispetto degli artt. 28 CE e 30 CE.

D –    Sulla seconda questione, sub c)

124. Nella prima parte di tale questione, il giudice del rinvio chiede se, essendo possibile tenere conto dei livelli variabili di sensibilità di diversi gruppi di consumatori ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2002/46, lo Stato membro possa altresì giustificare la fissazione di un livello quantitativo massimo basandosi sulla tesi secondo cui una misura riguardante solo il pubblico particolarmente esposto al rischio, ad esempio un’etichettatura adeguata, potrebbe dissuadere tale gruppo di consumatori dal fare ricorso a talune vitamine e a taluni minerali ad esso benefici a basse dosi.

125. Il giudice del rinvio chiede inoltre se la considerazione di tale diversa sensibilità possa condurre ad applicare all’insieme della popolazione il livello massimo adatto ad un pubblico vulnerabile, segnatamente i bambini (50).

126. Su questo punto le opinioni delle parti che hanno presentato osservazioni divergono notevolmente. Ciò non mi sembra affatto sorprendente, vista la complessità della questione in esame. Io stesso ho qualche difficoltà ad individuarne la portata esatta.

127. In limine, si devono sollevare dubbi sulla premessa secondo cui una misura avente lo scopo di tutelare la salute di un gruppo a rischio e che si traducesse in un’etichettatura adeguata potrebbe avere un effetto dissuasivo sul gruppo in questione. Infatti, sembra poco probabile che, malgrado il loro effetto benefico a basse dosi, tali persone smettano di consumare determinate sostanze nutritive in seguito alla predisposizione di un’etichettatura adeguata.

128. In effetti, secondo la giurisprudenza, un’adeguata etichettatura che informi i consumatori sulla natura, sugli ingredienti e sulle caratteristiche dei prodotti alimentari arricchiti potrebbe consentire ai consumatori potenzialmente minacciati da un consumo eccessivo di una sostanza nutritiva aggiunta a tali prodotti di decidere autonomamente se usare o no detti prodotti (51).

129. Peraltro, risulta dal quinto ‘considerando’ della direttiva 2002/46 che un’etichettatura adeguata contribuisce a garantire un livello elevato di tutela dei consumatori.

130. Per quanto riguarda l’applicazione generalizzata, vale a dire all’insieme della popolazione, del livello massimo adeguato per gruppi di consumatori vulnerabili, rilevo che dalla risposta alla seconda questione, sub a), discende che, adottando provvedimenti che definiscono i livelli quantitativi di vitamine e minerali, gli Stati membri sono tenuti ad ispirarsi ai criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46 (52).

131. Per quanto riguarda i livelli tollerabili, essi costituiscono una soglia oltre la quale il consumo di una sostanza nutritiva comporta un rischio per la salute umana.

132. Mi sembra che un approccio secondo cui lo Stato membro sarebbe tenuto a fissare livelli massimi ad un livello ritenuto adeguato per una popolazione a rischio contrasti con le indicazioni risultanti dall’art. 5 della direttiva 2002/46.

133. Va da sé che il livello di tolleranza sarà sensibilmente diverso per i bambini e per gli adulti. Infatti, un livello massimo adatto per un determinato gruppo può rivelarsi insufficiente per gli altri gruppi di consumatori e, di conseguenza, sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito.

134. Tuttavia, tale constatazione non pregiudica l’adozione di misure nazionali specifiche dirette a tutelare efficacemente un gruppo particolarmente sensibile, quale i bambini, nel rispetto dei principi di proporzionalità e di precauzione.

135. Pertanto, propongo di risolvere tale questione nel senso che, nel fissare i livelli massimi per le sostanze nutritive ai sensi della direttiva 2002/46, gli Stati membri non possono applicare all’insieme della popolazione il limite massimo adeguato per gruppi di consumatori vulnerabili, quali i bambini, le cui esigenze nutrizionali possono risultare ampiamente insufficienti per altri gruppi di consumatori. Peraltro, allo stato attuale del diritto dell’Unione, dev’essere respinta la premessa secondo cui un’etichettatura adeguata potrebbe dissuadere il gruppo di consumatori a rischio dal ricorrere a talune sostanze nutritive ad esso benefiche a basse dosi.

E –    Sulla seconda questione, sub d)

136. Con tale questione il giudice del rinvio chiede se uno Stato membro possa stabilire livelli quantitativi massimi qualora, in mancanza di un pericolo accertato per la salute, non siano stati preventivamente definiti dei livelli tollerabili. Più in generale, esso chiede in quale misura e a quali condizioni uno Stato membro possa fissare livelli quantitativi massimi notevolmente inferiori ai livelli tollerabili ammessi per le sostanze nutritive (53).

137. Tenuto conto della struttura della presente questione, su cui le opinioni espresse dalle parti che hanno presentato osservazioni scritte divergevano ancora notevolmente, propongo di interpretarla nel senso che essa riguarda la questione della definizione dei valori massimi, da un lato, sotto il profilo della necessità della loro adozione in assenza di livelli di tolleranza e, dall’altro, sotto il profilo della loro natura o della loro intensità, in presenza di livelli di tolleranza già esistenti.

138. Per quanto riguarda la prima parte della questione, come si è già rilevato (54), la valutazione scientifica costituisce un aspetto centrale di un sistema mirante a conciliare l’obiettivo della libera circolazione con quello dell’innovazione tecnologica. Va da sé che tali imperativi possono entrambi comportare rischi che devono essere analizzati.

139. A mio parere, l’assenza di livelli di tolleranza può rispecchiare lo stato attuale delle ricerche scientifiche senza che ciò implichi necessariamente l’esistenza di rischi (55).

140. Secondo il sedicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 178/2002, le misure in materia di alimenti dovrebbero basarsi generalmente sull’analisi del rischio, tranne quando ciò non sia confacente alle circostanze o alla natura del provvedimento. Il ricorso all’analisi del rischio prima dell’adozione di tali misure dovrebbe agevolare la prevenzione di ostacoli ingiustificati alla libera circolazione degli alimenti.

141. Risulta inoltre dalla giurisprudenza che una valutazione del rischio potrebbe rivelare che sussiste un’incertezza scientifica riguardo all’esistenza o alla portata di rischi reali per la salute pubblica. In tali circostanze si deve ammettere che uno Stato membro può adottare, in forza del principio di precauzione, misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. Tuttavia, la valutazione del rischio non può basarsi su considerazioni puramente ipotetiche (56).

142. Orbene, la fissazione di livelli massimi in assenza di livelli di tolleranza contribuirebbe ad introdurre restrizioni per ragioni ipotetiche, dato che il pericolo per la salute non è stato accertato.

143. Tale misura contrasterebbe inoltre con il principio di precauzione, secondo cui le misure adottate in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio devono essere proporzionate e possono prevedere le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere un livello elevato di tutela della salute (57).

144. Visti i criteri enunciati dall’art. 5 della direttiva 2002/46, è chiaro che la fissazione dei livelli di tolleranza deve fondarsi sull’analisi scientifica del rischio basata su dati scientifici generalmente riconosciuti.

145. Pertanto, ritengo che si debba risolvere in senso negativo la prima parte della questione, senza tuttavia voler escludere la possibilità di analisi e di valutazioni periodiche delle sostanze presenti sul mercato degli integratori alimentari.

146. Per quanto riguarda la seconda parte della questione, ritengo che, in assenza dei provvedimenti di attuazione dell’Unione, non si possa escludere che gli Stati membri optino, ispirandosi ai criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46, per la fissazione di valori limite notevolmente inferiori ai livelli tollerabili. Come risulta dalle risposte alle precedenti questioni, gli Stati sono tenuti, in tal caso, a rispettare i principi derivanti dagli artt. 28 CE e 30 CE.

147. Poiché tale scelta delle autorità nazionali sarà necessariamente fondata su analisi scientifiche, al giudice nazionale incombe unicamente verificare se la ponderazione degli interessi che ha condotto all’adozione di tali misure fosse improntata a una metodologia ammissibile alla luce delle esigenze derivanti dalla direttiva 2002/46.

V –    Conclusione

148. In base alle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni sottopostele dal Conseil d’État:

«In mancanza dell’adozione da parte della Commissione dei provvedimenti attuativi di cui all’art. 5, n. 4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/46/CE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari, gli Stati membri restano competenti ad adottare disposizioni dirette a fissare i livelli quantitativi massimi di vitamine e minerali, nel rispetto dei principi risultanti dagli artt. 28 CE e 30 CE.

Nell’adottare le misure sopra menzionate nel rispetto dei principi risultanti dagli artt. 28 CE e 30 CE, gli Stati membri sono anche tenuti ad ispirarsi ai criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46.

In mancanza dei provvedimenti di attuazione previsti dalla direttiva 2002/46, la fissazione da parte di uno Stato membro di un valore massimo pari a zero per una sostanza figurante nell’allegato I della direttiva 2002/46 non determina l’applicazione della clausola di salvaguardia di cui all’art. 12 della direttiva 2002/46. Tale misura nazionale rientra tuttavia nell’ambito di applicazione degli artt. 28 CE e 30 CE (58).

Nel fissare i livelli quantitativi massimi delle sostanze nutritive ai sensi della direttiva 2002/46, gli Stati membri non possono applicare all’insieme della popolazione il livello quantitativo massimo adatto per gruppi di consumatori vulnerabili, quali i bambini, le cui esigenze nutrizionali possono risultare ampiamente insufficienti per altri gruppi di consumatori. Peraltro, allo stato attuale del diritto dell’Unione europea, dev’essere respinta la premessa secondo cui un’etichettatura adeguata potrebbe dissuadere il gruppo di consumatori a rischio dal ricorrere a talune sostanze nutritive ad esso benefiche a basse dosi.

In mancanza di livelli di tolleranza scientificamente accertati per determinate sostanze, gli Stati membri non possono nemmeno fissare livelli quantitativi massimi per tali sostanze nutritive presenti negli integratori alimentari. Per contro, una volta accertati i livelli tollerabili sulla base di dati scientifici generalmente riconosciuti, non è esclusa la definizione, nel rispetto dei criteri di cui all’art. 5 della direttiva 2002/46, di livelli quantitativi massimi inferiori ai suddetti livelli».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU L 183, pag. 51.


3 – GU L 31, pag. 1.


4 – GU L 184, pag. 23.


5 – Si pone, infatti, la questione se detto termine riguardi sia la produzione che la commercializzazione, oppure soltanto la produzione.


6 – Per quanto riguarda lo stato dei lavori della Commissione, v. risposta della sig.ra Androula Vassiliou, Commissario europeo incaricato della sanità, all’interrogazione scritta n. E‑4319/09 del 14 settembre 2009, posta dalla on. Marina Yannakoudakis (ECR) alla Commissione (http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=E-2009-4319&language=IT).


7 – http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/supplements/discus_paper_amount_vitamins.pdf


8 – Apparentemente, la Commissione non si è avvalsa nemmeno del suo potere di iniziativa per proporre modifiche alla direttiva controversa. Orbene, mi sembra che, viste le difficoltà constatate, essa avrebbe dovuto agire in tal senso.


9 – Inoltre, ai sensi dell’art. 4, n. 6, della direttiva 2002/46, fino al 31 dicembre 2009, gli Stati membri possono consentire, a determinate condizioni, l’uso nel loro territorio di vitamine e di minerali non elencati nell’allegato I o nelle forme non elencate nell’allegato II di detta direttiva.


10 – Alcuni autori considerano anche i livelli quantitativi massimi nazionali contrari alla direttiva 2002/46: M. Hagenmeyer, «Mad about the Food Supplements, ‘Nahrungsergänzungsmittelverordnung’ – The German implementation of Directive 2002/46/EC and its national peculiarities», European Food and Feed Law Review, 1/2006, pagg. 25‑32, in particolare pag. 29.


11 – Risulta dalla giurisprudenza che «[l]’art. 152, n. 1, primo comma, CE dispone che, nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità, è garantito un livello elevato di protezione della salute umana e l’art. 95, n. 3, CE esige espressamente che, nell’attuazione dell’armonizzazione, sia garantito un livello elevato di protezione della salute delle persone». V., in tal senso, sentenze 10 dicembre 2002, causa C‑491/01, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (Racc. pag. I‑11453, punto 62); 14 dicembre 2004, causa C‑434/02, Arnold André (Racc. pag. I-11825, punto 33), nonché 14 dicembre 2004, causa C‑210/03, Swedish Match (Racc. pag. I-11893, punto 32).


12 – Sentenza 12 luglio 2005, cause riunite C‑154/04 e C‑155/04, Alliance for Natural Health e a. (Racc. pag. I‑6451, punto 59).


13 – Ibidem, punto 60.


14 – Ch. Hauer e a., «Country Reports», European Food and Feed Law Review, 1/2006, pagg. 47‑65; Ch. A. Chaldoupis, T. Dekleva, «The Implementation of the Food Supplement Directive 2002/46 in Greece», European Food and Feed Law Review, 5/2006, pagg. 302‑305; M. Hagenmayer, «Mad about the Food Supplements», European Food and Feed Law Review, 1/2006, pagg. 25‑32. V. anche le risposte degli Stati membri e dei vari organismi in ordine alla fissazione dei livelli quantitativi di vitamine e minerali: http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/supplements/resp_discus_paper_amount_vitamins.htm. Tale fenomeno è stato rilevato anche dalla Commissione, la quale ha assicurato che si impegnerà a tenere scrupolosamente conto di tutte le normative nazionali esistenti. V. la risposta collettiva della Commissione alle lettere inviate al sig. Markos Kyprianou, Commissario europeo responsabile per la salute e la tutela dei consumatori, in merito alla fissazione dei livelli quantitativi massimi nella composizione degli integratori alimentari: http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/supplements/documents/coll_answer_it.pdf.


15 – Ibidem.


16 – Cit. (punto 59).


17 – Sentenza 8 novembre 1979, causa 251/78, Denkavit Futtermittel (Racc. pag. 3369, punto 14).


18 – V., in tal senso, sentenza Denkavit Futtermittel, cit. (punto 14).


19 – V. sentenze 30 novembre 1983, causa 227/82, van Bennekom (Racc. pag. 3883, punto 35); 23 novembre 1989, causa C‑150/88, Parfümeriefabrik 4711 (Racc. pag. 3891, punto 28); 12 ottobre 1993, causa C‑37/92, Vanacker e Lesage (Racc. pag. I-4947, punto 9); 13 dicembre 2001, causa C‑324/99, DaimlerChrysler (Racc. pag. I‑9897, punto 32); 9 giugno 2005, cause riunite C‑211/03, C‑299/03 e da C‑316/03 a C‑318/03, HLH Warenvertrieb e Orthica (Racc. pag. I‑5141, punti 58 e 59), e 24 gennaio 2008, causa C‑257/06, Roby Profumi (Racc. pag. I‑189, punto 14).


20 – Sentenza Alliance for Natural Health e a., cit. (punto 105).


21 – Sentenza 23 settembre 2003, causa C‑192/01, Commissione/Danimarca (Racc. pag. I‑9693, punto 43).


22 – Sentenza 18 dicembre 1997, causa C‑129/96, Inter‑Environnement Wallonie (Racc. pag. I-7411).


23 – Sentenze 10 novembre 2005, causa C‑316/04, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (Racc. pag. I‑9759), e 14 settembre 2006, causa C‑138/05, Stichting Zuid‑Hollandse Milieufederatie (Racc. pag. I‑8339).


24 – V. citate sentenze 10 novembre 2005, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (punto 40), e 14 settembre 2006, Stichting Zuid‑Hollandse Milieufederatie (punto 40).


25 – V. citate sentenze 10 novembre 2005, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (punto 42) e 14 settembre 2006, Stichting Zuid‑Hollandse Milieufederatie (punti 42‑44). Poiché l’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1991, 91/414/CEE, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU L 230, pag. 1), richiedeva, quale condizione per l’autorizzazione di un prodotto fitosanitario da parte di uno Stato membro, che le sue sostanze attive fossero elencate nell’allegato I della direttiva e che fossero soddisfatte tutte le condizioni ivi stabilite, i regimi di autorizzazione nazionali non hanno potuto dare piena attuazione alla direttiva 91/414 fintanto che detto allegato non conteneva almeno qualche elemento (v. paragrafo 33 delle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza 10 novembre 2005, Stichting Zuid‑Hollandse Milieufederatie). Al momento dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/8/CE, relativa all’immissione sul mercato dei biocidi (GU L 123, pag. 1), gli allegati di tale direttiva erano del tutto privi di contenuto.


26 – Citate sentenze 10 novembre 2005, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (punto 41), e 14 settembre 2006, Stichting Zuid‑Hollandse Milieufederatie (punto 41).


27 – Secondo l’ottavo ‘considerando’ del regolamento n. 178/2002, la Comunità ha scelto di perseguire un livello elevato di tutela della salute nell’elaborazione della legislazione alimentare, che essa applica in maniera non discriminatoria a prescindere dal fatto che gli alimenti siano in commercio sul mercato interno o su quello internazionale. V. anche sentenza Alliance for Natural Health e a., cit. (punto 31).


28 – Comunicazione della Commissione 30 aprile 1997 intitolata «Salute del consumatore e sicurezza alimentare» [COM(97) 183 def., pag. 6].


29 – L’analisi del rischio è composta da tre parti: la valutazione, la gestione e la comunicazione (v. art. 6 del regolamento n. 178/2002).


30 – Risulta dalle osservazioni scritte della Commissione che «i valori di riferimento» di vitamine e minerali possono essere denominati anche «apporti giornalieri raccomandati». La Commissione precisa che tali valori vengono stabili in funzione delle esigenze di una popolazione o di una categoria di popolazione. In generale, affinché possano coprire il fabbisogno nutrizionale della maggioranza della popolazione, detti valori vengono stabiliti in modo da superare il fabbisogno medio di due deviazioni standard. In altre parole, essi tengono conto della variazione individuale del fabbisogno e si collocano al di sopra della media, in modo da coprire le esigenze degli individui che eccedono nella misura di due deviazioni standard il fabbisogno medio. Pertanto, con tali valori, si copre il fabbisogno del 97,5% della popolazione e si limita il rischio di non coprirlo al 2,5% della stessa.


31 – Sentenze 1° febbraio 1977, causa 51/76, Verbond van Nederlandse Ondernemingen (Racc. pag. 113, punto 22); 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48); 24 ottobre 1996, causa C‑72/95, Kraaijeveld e a. (Racc. pag. I‑5403, punto 55), nonché Inter‑Environnement Wallonie, cit. (punto 40).


32 – Sentenza 14 settembre 2006, Stichting Zuid‑Hollandse Milieufederatie, cit. (punto 48).


33 – V. paragrafo 76 delle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza HLH Warenvertrieb e Orthica.


34 – V. parere dell’AFSSA del 12 ottobre 2004 (pratica n. 2004‑SA‑0210).


35 – Parere dell’AFSSA del 28 marzo 2003 (pratica n. 2003‑SA‑0032) e citato parere del 12 ottobre 2004 (pratica n. 2004‑SA‑0210).


36 – Opinion of the Scientific Panel of EFSA on Contaminants in the Food Chain on a request of the Commission related to concentration limits for boron and fluoride in natural waters (Parere del gruppo di esperti scientifici sui contaminanti della catena alimentare in merito ad una richiesta della Commissione relativa ai limiti di concentrazione di boro e fluoruro nella acque minerali naturali) (Richiesta n. EFSA‑Q‑2003‑21, pubblicata il 22 giugno 2005).


37 – V., in proposito, «Opinion of the Scientific Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies on a request from the Commission related to the Tolerable Upper Intake Level of Fluoride» (Parere del gruppo di esperti scientifici sui prodotti dietetici, l’alimentazione e le allergie, su richiesta della Commissione, riguardante l’apporto massimo tollerabile di fluoruro) (Richiesta n. EFSA‑Q‑2003‑018), facente parte del rapporto Tolerable upper intake levels for vitamins and minerals, European Food Safety Authority, febbraio 2006.


38 – Dalla lettura del parere dell’AFSSA (parere del 12 ottobre 2004, pratica n. 2004‑SA‑0210), si evince in particolare che, tenuto conto della moltiplicazione delle potenziali fonti di fluoro che potrebbe condurre a sovradosaggi e alla fluorosi, l’AFSSA ha rilevato l’importanza del controllo sugli apporti in fluoro nei bambini.


39 – Secondo gli studi dell’AFSSA (parere del 12 ottobre 2004, pratica n. 2004‑SA‑0210), il 15% della popolazione francese consuma acque di distribuzione il cui tenore di fluoro è pari o superiore a 0,3 mg/l e il 3 % della popolazione dispone di un’acqua il cui tenore di fluoro è pari o superiore a 0,7 mg/l. La dose profilattica ottimale di fluoro raccomandata dall’AFSSA, nelle regioni in cui l’acqua di distribuzione contiene un valore pari o inferiore a 0,3 mg/l, è di 0,05 mg di fluoro/kg al giorno e non supera 1 mg al giorno, tenuto conto di tutti gli apporti di fluoro. L’AFSSA indica inoltre che l’85% dei bambini francesi vive nelle regioni in cui il tenore di fluoro dell’acqua di distribuzione è inferiore a 0,3 mg/l. Essa raccomanda pertanto di somministrare ai bambini integratori medicinali. Per contro, secondo l’AFSSA, il fluoro assorbito in grandi quantità dall’adulto, vale a dire in valori superiori a 8 mg al giorno, e in modo costante può essere responsabile di fluorosi ossee.


40 – Direttiva della Commissione 15 febbraio 2001 sulle sostanze che possono essere aggiunte a scopi nutrizionali specifici ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare (GU L 52, pag. 19).


41 – Sentenza Alliance for Natural Health e a., cit. (punti 64 e 65).


42 – V., in proposito, l’interrogazione scritta E-2841/09 posta alla Commissione dalle deputate al Parlamento europeo onorevoli Eija‑Riitta Korhola e Dorette Corbey, in cui si evocava un’esigenza particolare di apporto di vitamina D3 della popolazione scandinava (http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=E-2009-2841&language=IT).


43 – Paragrafi 38 e 45 delle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza HLH Warenvertrieb e Orthica.


44 – Sentenza 9 settembre 2003, causa C‑236/01, Monsanto Agricoltura Italia e a. (Racc. pag. I‑8105, punto 110).


45 – V., in tal senso, sentenza 17 maggio 1994, causa C‑41/93, Francia/Commissione (Racc. pag. I‑1829, punto 23).


46 – V., in tal senso, sentenza 21 marzo 2000, causa C‑6/99, Greenpeace France e a. (Racc. pag. I-1651, punto 44).


47 – Art. 12 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 27 gennaio 1997, n. 258, sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (GU L 43, pag. 1); art. 53 del regolamento n. 178/2002, cui fa riferimento l’art. 34 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU L 268, pag.1); art. 23 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/18/CE, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU L 106, pag.1).


48 – Qualora, invece, la Corte dovesse ritenere che la clausola di salvaguardia era applicabile nel caso di specie, si dovrebbe individuare il fatto generatore che determina l’applicazione della clausola. Si dovrà quindi stabilire se essa vada applicata per il solo fatto della definizione di livelli massimi da parte di uno Stato membro oppure se sia applicabile a seguito della fissazione di livelli massimi a un valore pari a zero.


49 – Sentenza 5 marzo 2009, causa C‑88/07, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-1353, punto 86).


50 – Nelle sue osservazioni, il governo francese fa valere che la prima parte di tale questione riguarda, più in particolare, il limite massimo stabilito dalle autorità francesi per la vitamina K. La seconda parte di tale questione riguarda i livelli massimi stabiliti nella legislazione francese per la vitamina B6. Per quanto riguarda, segnatamente, la vitamina K, detto governo spiega che tale sostanza presenta rischi particolari per i pazienti sotto trattamento anticoagulante, i quali, trattandosi per lo più di persone anziane, hanno difficoltà a decifrare le etichette. Per quanto concerne la vitamina B6, il governo francese ricorda che il comitato scientifico dell’alimentazione umana, che è stato sostituito dall’EFSA, ha definito i livelli di tolleranza in funzione del peso corporeo dell’individuo e quindi della sua età in un parere del 19 ottobre 2000 (disponibile sul sito internet http://ec.europa.eu/food/fs/sc/scf/out80c_en.pdf). Il livello di tolleranza è stato fissato in 25 mg al giorno per gli adulti e in 7 mg al giorno per i bambini di età compresa tra i 4 e i 6 anni.


51 – Sentenza 5 febbraio 2004, causa C‑24/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑1277, punto 75).


52 – V. paragrafo 78 delle presenti conclusioni.


53 – Il governo francese spiega, in proposito, che la questione riguarda due tipi di sostanze: da un lato, quelle per le quali non è stato stabilito alcun livello di tolleranza e, dall’altro, quelle per le quali tale livello è stato stabilito. Secondo il governo francese, nella prima parte della sua questione il giudice nazionale si riferisce ai livelli massimi fissati dalla normativa nazionale per le vitamine B1, B2, B5, B8 e B12. Nella seconda parte della sua questione esso si riferisce al caso delle vitamine B3, C ed E, nonché a quello di minerali quali fosforo, rame, manganese, potassio, selenio, cromo e molibdeno.


54 – V. paragrafo 74 delle presenti conclusioni.


55 – A tal riguardo ritengo utile sottolineare che la problematica delle vitamine e dei minerali presenta un carattere di originalità rispetto alle procedure classiche della tossicologia, in ragione della natura essenziale di tali elementi. L’analisi dei rischi in questo settore solleva molte difficoltà che sono state rilevate nelle osservazioni del Ministro francese dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria dinanzi al Conseil d’État. Il Ministro ha fatto riferimento in particolare a una pubblicazione di Barlow S. M. e altri, «Hazard identification by methods of animal‑based toxicology», Food and Chemical Toxicology, n. 40, 2002, pagg. 145‑191, in cui si rileva quanto segue: «Conventional toxicity studies may often be applicable to the testing of micronutrients, such as vitamins and minerals, but such studies may require unique considerations, particularly with respect to nutritional imbalance. For example, disturbances in calcium and phosphorus levels can affect bone formation (…). Thus any effects seen from administration of high doses of one micronutrient might not be attributable to that substance per se but to consequential changes in related micronutrients. Interpretation of the outcome of such studies requires good nutritional as well as toxicological knowledge and the possible extension of conventional endpoints to include others might identify nutritional changes. There are also important study design considerations in relation to micronutrient dosing and the likelihood of detecting thresholds for adverse effects. This is because the margin between desirable beneficial effects and the onset of adverse effects may be very small, so smaller dose intervals may be required».


56 – Sentenza Commissione/Francia, cit. (punto 56).


57 – V. art. 7 del regolamento n. 178/2002.


58 –      Tenuto conto del fatto che la controversia principale riguarda la legittimità del decreto del 9 maggio 2006, i riferimenti alle disposizioni del Trattato CE seguono la numerazione applicabile prima dell’entrata in vigore del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.