CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

presentate il 12 marzo 2009 ( 1 )

Cause riunite C-22/08 e C-23/08

Athanasios Vatsouras e Josif Koupatantze

contro

Arbeitsgemeinschaft (ARGE) Nürnberg 900

«Cittadinanza europea — Libera circolazione delle persone — Artt. 12 CE e 39 CE — Direttiva 2004/38/CE — Art. 24, n. 2 — Sindacato di validità — Cittadini di uno Stato membro — Attività lavorativa esercitata in un altro Stato membro — Livello della retribuzione e durata dell’attività — Conservazione dello status di “lavoratore” — Diritto alle prestazioni previste in favore delle persone in cerca di occupazione»

I — Introduzione

1.

Il Sozialgericht (Tribunale per le materie sociali) di Norimberga ha proposto tre questioni pregiudiziali alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, relative all’interpretazione degli artt. 12 CE e 39 CE e alla validità dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri ( 2 ). Esso chiede che venga chiarito se un cittadino greco, residente in Germania, dove ha precedentemente svolto un’attività professionale di breve durata, possa reclamare prestazioni di assistenza sociale una volta trascorsi i primi tre mesi di soggiorno, mentre cerca attivamente un impiego.

2.

La questione si basa sulla sentenza della Corte nella causa Collins ( 3 ), che ha introdotto il requisito secondo cui le persone che cercano lavoro e che esercitano il diritto alla libera circolazione devono dimostrare un «nesso» con lo Stato ospitante per accedere ad aiuti sociali, con la consapevolezza che la direttiva 2004/38, discostandosi da tale giurisprudenza, vieta la concessione di aiuti a chi abbia esercitato il diritto alla libera circolazione e intenda lavorare in uno Stato membro. Restringendo nel tempo tale diritto senza alcuna limitazione, si consente di negare sussidi a soggetti che possiedono un tale nesso con il paese ospitante, anche se cercano lavoro.

II — Fatti

A — Il ricorso del sig. Vatsouras (procedimento C-22/08)

3.

Secondo l’ordinanza di rinvio, il sig. Athanasios Vatsouras, cittadino greco, ha fatto ingresso nella Repubblica federale di Germania nel marzo 2006, intraprendendo un’attività lavorativa scarsamente remunerata. Il 10 luglio 2006, la sua situazione l’ha indotto a presentare dinanzi all’Arbeitsgemeinschaft Nürnberg (ente consortile per il lavoro, l’assistenza e l’integrazione sociale di Norimberga; in prosieguo: l’«ARGE») una richiesta di prestazioni ai sensi del Sozialgesetzbuch Zweites Buch (Libro secondo del Codice tedesco delle materie sociali), che gli sono state concesse il 27 luglio per un importo di EUR 169 mensili sino al 30 novembre del medesimo anno.

4.

Nel gennaio del 2007 il sig. Vatsouras ha perso il lavoro. L’aiuto, che gli era stato prorogato sino al 31 maggio di tale anno, è stato annullato con effetto dal 30 aprile. Avverso tale decisione egli ha proposto opposizione, respinta il 4 luglio. Il sig. Vatsouras ha proposto un ricorso contenzioso-amministrativo dinanzi ai giudici in cui è stata sollevata una delle questioni pregiudiziali qui esaminate.

5.

Occorre indicare che, il 4 giugno 2007, il ricorrente ha trovato un nuovo posto di lavoro in Germania.

B — Il ricorso del sig. Koupatantze (procedimento C-23/08)

6.

Anche nel procedimento promosso dal sig. Josif Koupatantze viene impugnata una decisione dell’ARGE. Il ricorrente, di nazionalità greca, ha fatto ingresso nel territorio tedesco nell’ottobre 2006. Il 1° novembre ha iniziato a lavorare fino al licenziamento avvenuto il 21 dicembre a causa delle difficoltà economiche incontrate dal suo datore di lavoro. Il primo giorno in cui si è trovato senza lavoro ha chiesto un’indennità di disoccupazione, ai sensi del Sozialgesetzbuch Zweites Buch, che gli è stata concessa il 15 gennaio 2007 fino al 31 maggio di tale anno per un importo di EUR 670 mensili.

7.

Per motivi non specificati nell’ordinanza di rinvio, l’ARGE ha annullato l’aiuto sociale al sig. Koupatantze il 18 aprile 2007, con effetto retroattivo al 28 febbraio. Il 4 maggio egli ha proposto, avverso tale decisione, un’opposizione respinta una settimana dopo. Il 16 maggio 2007, il sig. Koupatantze ha introdotto, ai sensi della normativa processuale tedesca, un ricorso contenzioso-amministrativo nell'ambito del quale è sorta una questione pregiudiziale identica a quella del procedimento C-22/08.

8.

A partire dal 1o giugno 2007 il sig. Koupatantze ha ripreso a svolgere un’attività lavorativa in Germania.

III — Contesto giuridico

A — Il diritto comunitario

9.

Il diritto primario disciplina lo status dei cittadini europei che esercitano il diritto alla libera circolazione, distinguendoli in funzione dello svolgimento di un’attività economica. A tal riguardo, sono rilevanti gli artt. 12, 18 e 39 CE:

«Articolo 12

Nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità.

Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251, può stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni.

Articolo 18

1.   Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

2.   Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere questo obiettivo e salvo che il presente trattato non abbia previsto poteri di azione a tal fine, il Consiglio può adottare disposizioni intese a facilitare l’esercizio dei diritti di cui al paragrafo 1. Esso delibera secondo la procedura di cui all’articolo 251.

3.   Il paragrafo 2 non si applica alle disposizioni relative ai passaporti, alle carte d’identità, ai titoli di soggiorno o altro documento assimilato né alle disposizioni relative alla sicurezza sociale o alla protezione sociale.

Articolo 39

1.   La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata.

2.   Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

3.   Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:

a)

di rispondere a offerte di lavoro effettive;

b)

di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;

c)

di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali;

d)

di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.

4.   Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione».

10.

La direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, definisce al suo art. 7 le condizioni per potersi stabilire in uno Stato membro per un periodo superiore a tre mesi.

«Articolo 7

Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi

1.   Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)

di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)

di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o

(…)

3.   Ai sensi del paragrafo 1, lettera a), il cittadino dell’Unione che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato o autonomo conserva la qualità di lavoratore subordinato o autonomo nei seguenti casi:

(…)

c)

l’interessato, trovandosi in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno o venutosi a trovare in tale stato durante i primi dodici mesi, si è registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. In tal caso, l’interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo che non può essere inferiore a sei mesi.

(…)».

11.

In materia di assistenza sociale, la direttiva 2004/38 introduce varie limitazioni al principio di non discriminazione a causa della nazionalità per i residenti in un altro Stato membro. Mentre la dichiarazione di principio figura al n. 1 dell’art. 24, il paragrafo successivo comprende le limitazioni.

«Articolo 24

Parità di trattamento

1.   Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

2.   In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari».

12.

Il periodo più lungo previsto all’art. 14 della direttiva si riferisce ai «cittadini dell’Unione [che] siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro». Tali persone non possono essere allontanate se dimostrano di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo.

B — Il diritto nazionale

13.

L’art. 7, n. 1, del libro II del Sozialgesetzbuch tedesco recita così:

«Articolo 7

1.   Le prestazioni previste dal presente libro vengono erogate a coloro che:

a)

siano di età superiore a quindici anni, ma inferiore a sessantacinque,

b)

siano abili al lavoro,

c)

si trovino in stato di bisogno, e,

d)

abbiano la propria residenza abituale nella Repubblica federale di Germania.

Sono esclusi gli stranieri il cui diritto di soggiorno sia giustificato unicamente dalla finalità di ricercare un lavoro, i loro familiari, nonché i soggetti legittimati a ricevere prestazioni in forza dell’art. 1 della legge sulle prestazioni assistenziali a favore degli stranieri richiedenti asilo (…)».

14.

L’art. 23, n. 3, del libro XII della medesima legge ribadisce, per gli aiuti di assistenza sociale, che gli stranieri residenti che hanno fatto ingresso nel territorio tedesco per ottenere aiuti sociali o un impiego, non beneficiano degli aiuti menzionati in detto testo.

IV — Questioni pregiudiziali

15.

Ciò premesso, il 22 gennaio 2008, il Sozialgericht di Norimberga ha presentato alla Corte due domande di pronuncia pregiudiziale in materia di validità e interpretazione ai sensi dell’art. 234 CE, riproducendo in entrambe le medesime questioni:

«1.

Se l’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 (…) sia compatibile con l’art. 12 CE in combinato disposto con l’art. 39 CE.

2)

In caso di soluzione negativa della questione sub 1), se l’art. 12 CE in combinato disposto con l’art. 39 CE osti ad una normativa nazionale che esclude i cittadini dell’Unione dalla possibilità di beneficiare dell’assistenza sociale, qualora sia stata superata la durata massima del soggiorno consentita ai sensi dell’art. 6 della direttiva 2004/38 (…), e non sussista un diritto di soggiorno neppure in forza di altre disposizioni.

3)

In caso di soluzione affermativa della questione sub 1), se l’art. 12 CE osti ad una normativa nazionale che esclude i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea dalla possibilità di beneficiare persino delle prestazioni di assistenza sociale che vengono concesse agli immigrati irregolari».

16.

Il presidente della Corte, con ordinanza 7 aprile 2008, ha riunito le due cause, tenuto conto della loro connessione oggettiva.

17.

Hanno depositato osservazioni i governi di Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito nonché il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione europea.

18.

In udienza, svoltasi il 4 febbraio 2009, sono comparsi, per presentare le proprie osservazioni orali, l’agente del Regno Unito e gli agenti del Consiglio, del Parlamento europeo nonché della Commissione europea.

V — Considerazione preliminare: la condizione di lavoratori dei sigg. Vatsouras e Koupatantze

19.

Nell’ordinanza del Sozialgericht di Norimberga viene sostenuto che i ricorrenti nella causa principale non soddisfano le condizioni di lavoratori ai sensi dell’art. 39 CE. A causa dell’attività da essi svolta, breve e scarsamente retribuita, i sigg. Vatsouras e Koupatantze non sarebbero tutelati dalla libera circolazione delle persone, eccetto unicamente la clausola di non discriminazione di cui all’art. 12 CE. Tuttavia, tale impressione va sfumata e le sue implicazioni vanno esaminate con cautela.

20.

I governi e le istituzioni che hanno partecipato al presente procedimento pregiudiziale non concordano al riguardo, dato che mentre il Consiglio e la Repubblica federale di Germania asseriscono che i ricorrenti soddisfano le condizioni necessarie per essere lavoratori, la Danimarca sostiene il contrario; a loro volta, la Commissione e i Paesi Bassi fanno valere che non vi sono elementi sufficienti per raggiungere una soluzione convincente e propongono di delegare tale questione al giudice nazionale. Se si aggiunge l’ambiguità del giudice del rinvio ( 4 ), ritengo indispensabile chiarire i termini della discussione prima di affrontare le questioni proposte.

21.

La Corte ha sempre cercato di evitare una frammentazione, in ciascuno Stato membro, dell’ambito di applicazione delle libertà di circolazione e dei diritti dei lavoratori dipendenti. Dopo la sentenza Unger ( 5 ), ha elaborato una definizione esclusivamente europea del termine «lavoratore» di cui all’art. 39 CE, qualificando il rapporto di lavoro come quello caratterizzato dalla « circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione» ( 6 ). Successivamente ha confermato che tale enunciato deve essere interpretato estensivamente, comprendendo occupazioni di natura molto diversa ( 7 ).

22.

Nella fattispecie i sigg. Vatsouras e Koupatantze hanno esercitato funzioni che rientrano in questa nozione giurisprudenziale di rapporto di lavoro. Tuttavia, vi sono due aspetti che rendono difficile la loro classificazione in tale categoria: da una parte, la brevità e la scarsa retribuzione dei loro incarichi; dall’altro, la conclusione del loro lavoro e la inattività economica. Occorre esaminare attentamente entrambi gli aspetti, prima di determinare la natura di «lavoratori» dei ricorrenti.

A — La brevità e la scarsa retribuzione del rapporto di lavoro

23.

La giurisprudenza ha elaborato taluni criteri per applicare l’art. 39 CE a rapporti di lavoro subordinato di portata esigua o talmente insignificanti da non meritare una retribuzione sufficiente per la sussistenza. Secondo la sentenza Levin ( 8 ), l’importo della retribuzione non è un elemento che incide in modo decisivo sulla qualificazione di chi svolge un’attività lavorativa subordinata. Per determinare se un lavoratore rientri nell’ambito dellart. 39 CE egli deve «eserci[tare] attivita reali ed effettive, restando escluse da questa sfera le attività talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie» ( 9 ). Si trattava, in tal caso, di una cittadina britannica che chiedeva un permesso di soggiorno nei Paesi Bassi, invocando la propria condizione di lavoratrice a tempo parziale. Dall’ordinanza di rinvio si deduceva che la sig.ra Levin riceveva come salario un importo che non garantiva la sua sussistenza, circostanza che non ha impedito alla Corte di dichiarare che, purché vi sia un’attività lavorativa effettiva, non si possono limitare le libertà fondamentali di una persona e che sono irrilevanti per il diritto comunitario i motivi che hanno spinto alla ricerca del lavoro; l’elemento decisivo per l’art. 39 CE è la natura oggettiva dell’occupazione, non l’importo percepito dal lavoratore come retribuzione.

24.

Nonostante il fatto che la sentenza Levin abbia delegato al giudice del rinvio la soluzione del caso concreto, la giurisprudenza sucessiva ha dimostrato che le «attività reali ed effettive» possono essere molto varie. Solo in casi eccezionali è stato constatato che le prestazioni erano «puramente marginali ed accessorie». Nella causa Lawrie-Blum ( 10 ) si discuteva se il regime di tirocini retribuiti in una scuola, a tempo parziale e scarsamente retribuiti, costituisse un’occupazione reale ed effettiva. La sentenza ha ribadito che i tirocinanti erano lavoratori assoggettati all’art. 39 CE, indipendentemente dal fatto che l’occupazione facesse parte di un procedimento formativo ( 11 ). Qualcosa di analogo è avvenuto nella causa Kranemann ( 12 ), nell’esaminare lo status di funzionari temporanei che svolgevano tirocini per le professioni legali. La sentenza ha negato che il fatto che l’importo versato a tali soggetti costituisse un mero aiuto per far fronte ai propri bisogni impedisse di applicare ai medesimi l’art. 39 CE. In seguito, ha escluso che il livello limitato della retribuzione o l’origine del suo finanziamento incidessero sulla condizione di lavoratore prevista dal diritto comunitario ( 13 ).

25.

Nemmeno la durata del rapporto di lavoro appare determinante per definirlo come reale ed effettivo. Nella causa Levin, menzionata sopra, già è stato enunciato che nei contratti a tempo parziale non si escludeva l’art. 39 CE. Nella sentenza Ninni-Orasche ( 14 ) è stato considerato che un’attività lavorativa esercitata per un periodo di due mesi e mezzo tramuta un lavoratore in lavoratore comunitario. Il giudice del rinvio aveva manifestato dubbi sulla buona fede del ricorrente, invocando una serie di fattori che indicavano un possibile comportamento abusivo, ma la sentenza ha considerato «irrilevanti» tali elementi ( 15 ), valutando solo la natura reale ed effettiva del rapporto di lavoro.

26.

Non vi sono invece molti elementi per determinare la nozione di «attività marginale ed accessoria». Solo nella causa Raulin ( 16 ) sono illustrati i limiti dell’art. 39 CE, indicando che occorre tener conto dell’irregolarità e della durata limitata delle prestazioni effettivamente realizzate nell’ambito di un contratto di lavoro occasionale ( 17 ). Parimenti, la circostanza di aver lavorato per un numero esiguo di ore costituisce un indizio del fatto che le attività sono marginali ed accessorie ( 18 ). Tuttavia, la sentenza Raulin verteva su un contratto stagionale che non dava alcuna garanzia relativamente alle ore di lavoro. Si trattava di un rapporto di lavoro atipico, che creava aspettative di impiego. Sembra normale che, qualora un contratto di tale tipo avesse condotto ad un’occupazione minima, il requisito di occupazione «reale ed effettiva» non sarebbe stato soddisfatto.

27.

Come corollario, emerge dalla giurisprudenza una tendenza ad interpretare estensivamente la nozione di «lavoratore» dell’art. 39 CE, comprendendo i rapporti di lavoro reali ed effettivi in un ampio spettro di modalità. È del tutto irrilevante il fatto che il lavoratore abbia abusato delle norme per soddisfare le proprie ambizioni, in quanto occorre valutare solo gli elementi oggettivi del suo rapporto di lavoro, escludendo le situazioni manifestamente residue, difficili da far rientrare nella nozione di lavoro subordinato ( 19 ).

28.

Di conseguenza, i sigg. Vatsouras e Koupatantze sono lavoratori che hanno svolto un’«attività reale ed effettiva». Il sig. Vatsouras ha trovato lavoro quando è entrato nel territorio tedesco ( 20 ) e lo ha conservato per meno di un anno. Ha percepito EUR 169 mensili per garantire la sua sussistenza. Se tale importo copriva la differenza tra la sua paga e lo stipendio medio di sostentamento in Germania, se ne può dedurre che la retribuzione percepita era leggermente inferiore al salario minimo vitale. Con la sentenza Lawrie-Blum la Corte non si è pronunciata sulla questione se un impiego temporaneo con paga giornaliera inferiore al salario minimo fosse un’occupazione reale ed effettiva. Tuttavia, un’interpretazione congiunta di tale pronuncia e della sentenza Ninni-Orasche, in cui l’art. 39 CE è stato applicato ad un’attività durata in tutto due mesi e mezzo, rafforza l’orientamento proposto. Una retribuzione molto inferiore ad un salario di sussistenza può qualificare un lavoro come irrilevante, ma se essa è leggermente inferiore e, inoltre, è stata corrisposta per un anno, vi è solo una soluzione: il riconoscimento del fatto che il sig. Vatsouras soddisfa la condizione di «lavoratore» ed è tutelato dal diritto comunitario.

29.

In una situazione analoga si trova il sig. Koupatantze. Non si discute qui l’importo, ma la durata dell’impiego. Ribadisco che la sentenza Ninni-Orasche ha considerato valido un rapporto di lavoro di due mesi e mezzo. Ove vi sia un vero impiego, seppur breve o malpagato, la Corte non ha difficoltà a ricorrere all’art. 39 CE. Il sig. Koupatantze ha lavorato appena due mesi. Non è stato in disoccupazione volontariamente o per la scadenza del suo contratto, ma per difficoltà economiche del suo datore di lavoro. Inoltre, non ha mai reclamato aiuti di sussistenza. Non essendovi indizi del fatto che l’attività di lavoro subordinato intrapresa dal sig. Koupatantze fosse manifestamente residuale, egli deve essere considerato un lavoratore tutelato dall’art. 39 CE.

B — La conclusione del rapporto di lavoro e l’applicazione nel tempo dell’art. 39 CE, n. 3, lett. d)

30.

Resta da chiarire se il fatto che entrambi i ricorrenti abbiano perso il proprio lavoro possa modificare la tesi che sostengo. L’art. 39 CE, n. 3, lett. d), prevede la possibilità che il lavoratore rimanga nello Stato ospitante dopo aver svolto un’attività ma subordina tale facoltà alla soddisfazione di taluni requisiti indeterminati ( 21 ). Pertanto, alle persone in cerca di lavoro non si applicano né lo status giuridico dell’art. 39 CE né le norme di diritto derivato, benché beneficino della giurisprudenza in materia, che attribuisce un regime ibrido alle persone che hanno perso il lavoro ma che intendono effettivamente trovarne un altro ( 22 ).

31.

La sentenza Collins ( 23 ) ha accolto la piena applicabilità dell’art. 39 CE a chi aveva un nesso con lo Stato ospitante. In tale causa erano trascorsi diciassette anni da che il ricorrente, cittadino irlandese, aveva lavorato nel Regno Unito fino al momento in cui successivamente aveva chiesto un aiuto in detto paese. La sentenza, basandosi sulla giurisprudenza anteriore, ha elaborato la dottrina del «nesso» tra chi esercita la libera circolazione e lo Stato ospitante ( 24 ) per cui se un soggetto è stato un lavoratore nello Stato ospitante deve continuare a beneficiare dell’art. 39 CE, benché non sia, formalmente, un lavoratore.

32.

Con tale premessa, anche se spetta al giudice del rinvio chiarire gli elementi di fatto, è evidente che i sigg. Vatsouras e Koupatantze hanno svolto un’attività lavorativa che conferiva loro la condizione di lavoratori ai sensi dell’art. 39 CE. Le loro prestazioni non erano né marginali né accessorie; inoltre è stato dimostrato che hanno cercato un lavoro immediatamente dopo essere rimasti disoccupati, per cui il nesso sorge automaticamente e, nel periodo in cui hanno cercato attivamente un lavoro, possono far valere nei confronti dello Stato ospitante la libertà di circolazione dei lavoratori.

VI — Esame delle questioni pregiudiziali sulla base dell’interpretazione che precede

33.

Ciò premesso, invito la Corte a riconoscere che i ricorrenti nella causa principale sono lavoratori tutelati dall’art. 39 CE, come hanno sostenuto il Consiglio e la Repubblica federale di Germania.

34.

L’ordinanza del Sozialgericht di Norimberga contiene una tesi contraria a tale riconoscimento e con tale percezione formula la questione pregiudiziale di validità dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 ( 25 ). Tale disposizione si applica solo a tre categorie escluse dalla tutela dell’art. 39 CE e delle sue norme derivate: le persone che esercitano il diritto alla libera circolazione durante i primi tre mesi di soggiorno; le persone in cerca di lavoro; gli studenti. Alla seconda di tali categorie l’art. 39 CE è applicabile congiuntamente all’art. 12 CE, creando un regime ibrido conformemente alla sentenza Collins.

35.

Pertanto, la presente controversia non costituisce un contesto adeguato per invocare il citato art. 24, n. 2, né per contestarne la validità.

36.

Tuttavia, la seconda questione pregiudiziale riguarda la conformità della normativa tedesca con l’art. 12 CE, in relazione all’art. 39 CE. Con tale questione il Sozialgericht intravede la pertinenza del ricorso alle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori. Di conseguenza, nonostante l’art. 12 CE non si applichi ai lavoratori, invito la Corte a risolvere la seconda questione pregiudiziale, limitando l’analisi alla conformità del diritto tedesco con l’art. 39 CE.

37.

Per il caso in cui la Corte non dovesse concordare con tale proposta e ritenesse che i ricorrenti non siano lavoratori, affinché la soluzione non sia incompleta, esaminerò, in via subordinata, la validità dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38.

VII — Seconda questione pregiudiziale

38.

Il Sozialgericht orienta le sue riflessioni verso l’annullamento di un aiuto sociale, basato sul superamento della durata massima di soggiorno contemplata dalla direttiva 2004/38. In altri termini, esso nutre dubbi sulla legittimità di una misura che elimina alla radice l’applicazione delle norme comunitarie, qualora una persona che abbia esercitato il diritto alla libera circolazione non soddisfi più le condizioni che le hanno consentito di acquistare tale diritto. Nella fattispecie i sigg. Vatsouras e Koupatantze hanno invocato lo status di lavoratori definito all’art. 39 CE, ma, rimanendo disoccupati, le loro prerogative, incluso il diritto a ricevere aiuti sociali, si sono estinte.

39.

Per risolvere tale questione, la Commissione, nelle sue osservazioni, si fonda sull’art. 7, n. 3, lett. c), della direttiva 2004/38, che comprende chiaramente la situazione dei ricorrenti nelle cause principali. Quando il lavoratore che ha esercitato il diritto alla libera circolazione per un periodo inferiore ad un anno si trova in disoccupazione involontaria, la direttiva 2004/38 gli garantisce il suo status lavorativo e, pertanto, il diritto a soggiornare nello Stato ospitante purché sia «registrato presso l’ufficio di collocamento competente». Se ricorrono tali circostanze, il lavoratore conserva i diritti conferitigli dall’ordinamento comunitario per un periodo non inferiore a sei mesi.

40.

Tale disposizione conferma la piena applicazione dell’art. 39 CE alla fattispecie. Sebbene i ricorrenti, avendo lavorato e soggiornato per meno di un anno, siano privi del nesso richiesto dalla giurisprudenza affinché la libera circolazione delle persone acquisti la sua vera dimensione, la direttiva 2004/38 ha superato tale esigenza, subordinandola a taluni requisiti per evitare abusi e salvaguardare la stabilità economica delle finanze pubbliche degli Stati membri ospitanti ( 26 ).

41.

Nell’ordinanza del Sozialgericht viene spiegato che sia il sig. Vatsouras sia il sig. Koupatantze hanno perso involontariamente i propri posti di lavoro, prima che fosse trascorso un anno. Non è chiaro se si siano registrati presso l’ufficio di collocamento, ma in tal caso sarebbe applicabile l’art. 7 della direttiva 2004/38. Spetta al giudice del rinvio accertare tale aspetto.

42.

Soddisfatti i requisiti ante menzionati, l’amministrazione del lavoro tedesca, privando i ricorrenti dell’aiuto sociale che percepivano, ha violato il diritto comunitario. Se la causa dell’anullamento (che, per il sig. Koupatantze, non viene indicata nell’ordinanza di rinvio) è la perdita del diritto di soggiorno in conseguenza della sua disoccupazione, lo Stato tedesco ha limitato la libera circolazione dei lavoratori in violazione dell’art. 39 CE, nonché dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 ( 27 ). Poiché i ricorrenti sono lavoratori, essi devono ricevere un trattamento uguale a quello di qualsiasi altro lavoratore tedesco, incluse le misure sociali collegate allo svolgimento di un’attività lavorativa. Il sig. Vatsouras chiede un sussidio per coprire la differenza tra il suo salario e la retribuzione minima di sussistenza. Il sig. Koupatantze, invece, chiede un’indennità di disoccupazione in seguito alla conclusione del suo rapporto di lavoro. Benché si tratti di prestazioni diverse, esse sono collegate allo status di lavoratore di cui godono entrambi.

43.

Quindi, una normativa che esclude i lavoratori dell’Unione dall’accesso a prestazioni sociali qualora siano disoccupati, siano registrati presso un ufficio di collocamento e abbiano lavorato per meno di un anno è contraria all’art. 39 CE.

VIII — Prima questione pregiudiziale

44.

Ove la Corte non dovesse condividere la tesi sostenuta ai paragrafi 23-32 delle presenti conclusioni, occorrerebbe esaminare le questioni pregiudiziali da un’altra angolazione. Nell’ipotesi in cui i sigg. Vatsouras e Koupatantze non fossero «lavoratori» ai sensi dell’art. 39 CE, la questione relativa alla validità dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 diventerebbe del tutto sensata in quanto la disposizione contrasterebbe con l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 12 CE, in combinato disposto con l’art. 39 CE, se applicata alle persone che cercano lavoro esercitando il diritto alla libera circolazione.

45.

I dubbi del Sozialgericht si concentrano sul nucleo essenziale della direttiva 2004/38. Come ho sostenuto, il menzionato art. 24, n. 2, comprende due situazioni giuridiche distinte. Da una parte, quella delle persone che chiedono aiuti di mantenimento agli studi, come borse di studio o prestiti per studenti, vale a dire, gli studenti in regime di libera circolazione. Dall’altra, quella dei soggetti che si stabiliscono nel territorio di uno Stato membro per tre mesi o per il periodo di tempo necessario per cercare attivamente un impiego. Ai primi è consentito chiedere aiuti di tale natura solo quando acquisiscono il diritto di soggiorno permanente che la direttiva 2004/38 conferisce una volta trascorsi cinque anni. Ai secondi viene concessa l’«assistenza sociale» quando ottengono un lavoro.

46.

La sentenza Förster ( 28 ) ha dichiarato compatibile con gli artt. 12 CE e 18 CE la limitazione imposta dalla direttiva 2004/38 agli studenti, senza pronunciarsi sulla validità dell’art. 24, n. 2, della medesima, mentre si è pronunciata su quella della normativa olandese che ha preceduto la disposizione comunitaria. Pertanto, la Corte si è indirettamente pronunciata a favore della legittimità della restrizione agli studenti ma resta da chiarire se la direttiva 2004/38 sia conforme al Trattato CE nel disciplinare la situazione di chi cerca lavoro senza percepire aiuti sociali.

47.

Tutti gli Stati membri e le istituzioni che hanno depositato osservazioni nel presente procedimento pregiudiziale hanno sostenuto la validità dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38, utilizzando argomenti sostanzialmente identici. Tra i motivi invocati ve ne è uno che, a mio avviso, è contenuto in nuce nella sentenza Collins e nel suo riflesso nella direttiva 2004/38.

A — L’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 e il suo inquadramento nella giurisprudenza della Corte

48.

Il sig. Collins chiedeva un sussidio per persone in cerca di lavoro (jobseeker’s allowance) nel Regno Unito. Con passaporto americano, terminati gli studi nel proprio paese, ha lavorato per una stagione in Gran Bretagna e ha ottenuto la cittadinanza irlandese. Per 17 anni ha soggiornato negli Stati Uniti e in Sudafrica, finché non è tornato nel Regno Unito in cerca di lavoro, dove ha chiesto l’aiuto controverso.

49.

Nelle conclusioni da me presentate in tale causa sostengo un’interpretazione moderata della giurisprudenza in materia di cittadinanza per conciliare la norma antidiscriminatoria dell’art. 12 CE, in combinato disposto con l’art. 39 CE, con i rischi del cosiddetto «turismo sociale» ( 29 ). A tal fine, suggerisco di respingere le richieste del sig. Collins per i suoi deboli vincoli con lo Stato in cui aspirava ad ottenere l’aiuto ( 30 ). Tuttavia, ammetto la tutela per le persone che dimostrano il collegamento con lo Stato membro ospitante, elemento che la sentenza ha elaborato, dopo aver esaminato, al punto 72, l’incidenza di un requisito di soggiorno previo per dimostrare un nesso, aggiungendo che tale termine «non deve andare oltre quanto necessario affinché le autorità nazionali possano assicurarsi che l’interessato cerchi realmente un impiego sul mercato del lavoro dello Stato membro ospitante». Non spetta insomma al paese ospitante giustificare il carattere proporzionato del periodo di soggiorno per salvaguardare la compatibilità delle norme nazionali con il diritto comunitario ( 31 ).

50.

A differenza di quanto previsto per gli studenti, a cui l’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 impone un termine minimo di soggiorno di cinque anni, vi è una maggiore ambiguità per chi cerca un lavoro. Al momento di stabilire un termine che funga da nesso, la disposizione rinvia all’art. 14, n. 4, lett. b), in virtù del quale gli Stati membri non possono adottare un provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora «siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro». In tal caso, non si ammette alcuna restrizione fino a quando gli interessati dimostrano «di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».

51.

Alla luce di tale contesto normativo, il giudice del rinvio individua due interpretazioni della norma impugnata.

52.

In primo luogo, si potrebbe ritenere che l’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38, autorizzi una restrizione illimitata nel tempo purché il cittadino cerchi di ottenere un posto di lavoro. Se l’art. 14 vietasse l’espulsione mentre egli tenta di trovare un impiego, tale termine, in collegamento con la lettera del menzionato art. 24, n. 2, si discosterebbe dalla sentenza Collins, in quanto verrebbe introdotto un divieto di accedere agli aiuti sociali indipendentemente dal nesso con lo Stato ospitante.

53.

In secondo luogo, si potrebbe sostenere che tale art. 24, n. 2, rinvia tacitamente al termine indispensabile per ottenere il soggiorno permanente, come avviene per gli studenti. In tal modo, trascorsi cinque anni dall’ingresso nel territorio dello Stato membro, le persone ancora in cerca di lavoro accedono agli aiuti in questione.

54.

Nessuna di tali due interpretazioni appare convincente. La prima, per la sua evidente contraddizione con la sentenza Collins ( 32 ), in quanto un termine che si prolunga sine die non offre certezza del diritto né corrisponde agli obiettivi della direttiva 2004/38, che mira a stabilizzare un settore dell’ordinamento molto vicino ai diritti fondamentali del cittadino europeo. La seconda, poiché non ha senso che la direttiva operi una distinzione tra gli studenti e le persone in cerca di lavoro per attribuire loro poi conseguenze giuridiche identiche; se vi fosse una tale differenza tra lo status degli uni e degli altri, sarebbe superfluo considerare che la norma prevede effetti identici per ambo i gruppi. Tale interpretazione contrasterebbe con la volontà di chi ha approvato il testo e non resisterebbe ad un’esegesi sistematica della disposizione.

55.

Al contrario, la direttiva 2004/38 tace al riguardo, proprio perché considera che le persone che intendono lavorare godono di un regime speciale che, una volta superati i primi tre mesi di permanenza, non richiede i cinque anni di soggiorno che devono dimostrare gli studenti e che non li lascia in uno stato di incertezza giuridica mentre tentano di trovare un lavoro. Concordo col Consiglio sulla circostanza che la norma impugnata non fornisce un criterio rigido per accertare il nesso richiesto dalla sentenza Collins. Consapevole del fatto che un soggetto in cerca di lavoro si trova a metà strada tra un’attività economica ed un’attività non economica, la direttiva lascia a ciascun legislatore nazionale la libertà di trovare l’equilibrio corrispondente ( 33 ). Eventualmente, spetta alla Corte decidere se le soluzioni nazionali siano conformi ai Trattati e alla direttiva 2004/38, circostanza che non solo conferma la validità dell’art. 24, n. 2, della direttiva, ma consente, a sua volta, di comprendere le sue disposizioni con riferimento alla giurisprudenza della Corte.

56.

Tale conclusione non è inficiata, come sostiene il Regno Unito, dal fatto che gli aiuti controversi costituiscono prestazioni dirette specificamente all’inserimento del beneficiario nel mercato del lavoro. È sufficiente che il sussidio agevoli l’ingresso nel mondo del lavoro a patto che il richiedente provi, in virtù della sentenza Collins, un nesso con lo Stato ospitante ( 34 ). Di fatto, l’agente britannico ha riconosciuto, in udienza, che gli aiuti controversi, in seguito ad un esame più approfondito, possono essere qualificati come strumenti per incentivare l’inserimento lavorativo.

57.

Di conseguenza, l’obiettivo dell’aiuto va esaminato con riguardo ai suoi risultati e non alla struttura formale della prestazione. In caso contrario, sarebbe semplice eludere la giurisprudenza Collins, poiché sarebbe sufficiente che le norme che disciplinano la prestazione eliminassero qualsiasi riferimento allo scopo di reinserimento dell’aiuto per negarlo ai cittadini comunitari che esercitano il diritto alla libera circolazione per procurarsi un impiego. Tale approccio mi induce a sostenere, nonostante le allegazioni della Commissione, che vi possono essere misure di «assistenza sociale», tra quelle contemplate dall’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38, che favoriscono l’inserimento nel mercato del lavoro. In tale contesto, la sentenza Collins obbliga ad applicare l’art. 39 CE e a concedere la protezione sociale a chi cerca lavoro nel territorio dell’Unione.

58.

Nella fattispecie, è pacifico che i compiti dell’ARGE sono orientati al reinserimento lavorativo in quanto esso è stato istituito per perseguire le finalità del Sozialgesetzbuches II (SGB II); il nome per esteso dell’ente (Die Arbeitsgemeinschaft zur Arbeitsmarktintegration Nürnberg) riflette le funzioni di integrazione che esso svolge ( 35 ).

59.

Spetta, in definitiva, al giudice del rinvio valutare se l’assistenza richiesta soddisfi tale obiettivo.

B — L’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 e la sua applicazione al caso concreto

60.

Qualora la Corte dovesse condividere l’opinione qui sostenuta, la soluzione fornita al Sozialgericht non dovrebbe essere fondata tanto sulla disposizione la cui validità si discute quanto sulla giurisprudenza. Se il diritto nazionale può imporre requisiti per dimostrare un nesso tra lo Stato ospitante e le persone in cerca di lavoro, il giudice del rinvio deve giudicare se tali requisiti siano conformi ai criteri esposti al punto 72 della sentenza Collins.

61.

Dall’ordinanza di rinvio si desume che la Repubblica federale di Germania vieta gli aiuti a chi faccia ingresso nel suo territorio per cercare lavoro ( 36 ). La normativa nazionale adotta l’interpretazione più restrittiva dell’art. 24, n. 2, della direttiva, che ho già criticato sopra. Le disposizioni nazionali non ammettono la presa in considerazione del fatto che i sigg. Vatsouras e Koupatantze facciano valere un nesso con il territorio tedesco, per cui si può solo constatare l’incompatibilità delle norme federali col Trattato CE, come interpretato dalla Corte nella sentenza Collins.

62.

A tal riguardo, ritengo importante sottolineare una differenza tra la presente causa e quella del sig. Collins, cittadino che si è assentato per diciassette anni e che ha perso il suo nesso con lo Stato ospitante, mentre i ricorrenti dinanzi al Sozialgericht di Norimberga si sono recati in Germania dove hanno rapidamente trovato un lavoro. Cionondimeno, la Corte potrebbe considerare che il lavoro svolto era «marginale e accessorio», ma un’attività di lavoro subordinato, per quanto modesta, dimostra di per sé la capacità di chi lo esercita di intraprendere un’attività lavorativa. A ciò si aggiunge che il sig. Vatsouras ha svolto i suoi compiti per meno di un anno, circostanza che impedisce di qualificare il suo trasferimento nella Repubblica federale come turismo sociale. Quanto al sig. Koupatantze, benché non sia accertato né il suo impiego né il suo salario, nulla indica che la sua occupazione fosse fittizia, poiché essa è terminata per motivi indipendenti dalla sua volontà. Inoltre, entrambi sono tornati a lavorare, successivamente all’annullamento degli aiuti, e ciò costituisce un indizio del fatto che entrambi hanno cercato realmente ed efficacemente, per un periodo ragionevole, un impiego.

63.

Tali elementi provano che i ricorrenti avevano i migliori presupposti per ottenere un posto di lavoro in quanto avevano precedentemente svolto un’attività economica. Una persona che tenta di integrarsi nel mercato del lavoro gode di migliori credenziali se ha assunto, nel passato, responsabilità aventi una connotazione economica. Parimenti, se vi è stato uno scambio di prestazioni, per quanto esiguo, è giustificata a maggior ragione l’applicazione del Trattato CE. Di conseguenza, in un caso come quello dei sigg. Vatsouras e Koupatantze, in cui è stata esercitata una funzione economica nei primi mesi del loro ingresso nel territorio tedesco, essi difficilmente possono essere considerati come «persone in cerca di lavoro» ordinarie se sono successivamente rimasti disoccupati.

64.

Tutto quanto sopra esposto mi induce a sostenere che vi è un nesso, ai sensi della sentenza Collins, quando una persona che aspira ad un impiego ha svolto precedentemente un’attività economica che aumenta le sue probabilità di trovare un nuovo posto di lavoro. Spetta al giudice del rinvio accertare se i ricorrenti nei procedimenti principali abbiano stabilito un nesso di tale tipo.

IX — Questioni pregiudiziali rimanenti

65.

Qualora la Corte non dovesse condividere la tesi secondo cui i sigg. Vatsouras e Koupatantze sono lavoratori, l’interpretazione che propongo dell’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 risolverebbe sia la prima sia la seconda questione del Sozialgericht.

66.

Quanto alla terza, il diritto comunitario non fornisce criteri per decidere sulla differenza di trattamento tra i cittadini comunitari e quelli dei Paesi terzi assoggettati al diritto dello Stato membro ospitante. L’art. 12 CE intende sradicare la discriminazione tra i cittadini comunitari e i cittadini dello Stato ospitante, senza offrire elementi per eliminare il trattamento diverso indicato dal giudice del rinvio. Non occorre pertanto esaminare la terza questione.

X — Conclusione

67.

Conformemente alle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali del Gerichtshof, dichiarando che:

1.

L’art. 39 CE, in combinato disposto con l’art. 7, n. 3, lett. c), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, è incompatibile con le misure nazionali che escludono i lavoratori dell’Unione dall’accesso a prestazioni sociali, se sono disoccupati, regolarmente registrati presso l’ufficio di collocamento, e hanno lavorato per meno di un anno.

2.

L’esame della questione proposta non ha messo in rilievo alcun elemento tale da inficiare la validità dell’art. 24, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38.

3.

Sussiste un nesso tra le persone in cerca di lavoro e lo Stato ospitante, quando sia stata precedentemente svolta un’attività economica che aumenta le possibilità di trovare un nuovo posto di lavoro. Spetta al giudice nazionale chiarire se i ricorrenti nei procedimenti principali abbiano costituito un nesso di tale natura.


( 1 ) Lingua originale: lo spagnolo.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004 (GU L 158, pag. 77, e rettifiche nella GU L 229, pag. 35).

( 3 ) Sentenza 23 marzo 2004, causa C-138/02, Collins (Racc. pag. I-2703).

( 4 ) Benché il giudice di Norimberga menzioni, a più riprese, il carattere puntuale del lavoro e la scarsa retribuzione percepita, nella seconda questione esso menziona l’art. 39 CE, facendo chiaro riferimento alla libera circolazione dei lavoratori.

( 5 ) Sentenza della Corte 19 marzo 1964, causa 75/63, Unger (Racc. pag. 177).

( 6 ) Sentenze 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum (Racc. pag. 2121), punti 16 e 17; 26 febbraio 1992, causa C-3/90, Bernini (Racc. pag. I-1071), punto 14; e 7 settembre 2004, causa C-456/02, Trojani (Racc. pag. I-7573), punto 15.

( 7 ) Barnard, C., EC Employment Law, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2006, pagg. 172 e 173.

( 8 ) Sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin (Racc. pag. 1035).

( 9 ) Ibid., punto 17.

( 10 ) Sentenza Lawrie-Blum, citata.

( 11 ) Ibid., punto 19.

( 12 ) Sentenza 17 marzo 2005, causa C-109/04, Kranemann (Racc. pag. I-2421).

( 13 ) Ibid., punto 17.

( 14 ) Sentenza 6 novembre 2003, causa C-413/01, Ninni-Orasche (Racc. pag. I-13187).

( 15 ) Al punto 31 della sentenza questa idea viene espressa con la massima chiarezza: «Per quanto riguarda (…) l’argomento secondo il quale il giudice del rinvio sarebbe tenuto a verificare in base alle circostanze del caso di specie se la ricorrente nella causa principale abbia cercato abusivamente di creare una situazione che le consenta di rivendicare la qualità di lavoratrice ai sensi dell’art. 48 del Trattato allo scopo di ottenere i vantaggi connessi a tale status, è sufficiente rilevare che l’eventuale uso abusivo dei diritti concessi dall’ordinamento giuridico comunitario in virtù delle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori presuppone che il soggetto interessato rientri nell’ambito ratione personae di detto Trattato, soddisfacendo le condizioni per essere qualificato “lavoratore” ai sensi della detta disposizione. Ne consegue che la problematica dell’abuso di diritto non può incidere sulla risposta alla prima questione».

( 16 ) Sentenza 26 febbraio1992, causa C-357/89, Raulin (Racc. pag. I-1027).

( 17 ) Ibid., punto 14.

( 18 ) Ibid.

( 19 ) In modo analogo si espime la giurisprudenza nell’interpretare l’Accordo di Associazione CEE — Turchia in alcune sentenze che hanno applicato la medesima dottrina ai lavoratori turchi che esercitano il diritto alla libera circolazione. Tale interpretazione estensiva dell’art. 39 CE si riflette nelle sentenze 26 novembre 1998, causa C-1/97, Birden (Racc. pag. I-7747), punto 25; 19 novembre 2002 causa C-188/00, Kurz (Racc. pag. I-10691), punti 33 e 34; 24 gennaio 2008, causa C-294/06, Payir e a. (Racc. pag. I-203) punto 31.

( 20 ) Non viene indicata la data precisa dell’inizio dell’attività lavorativa, ma si desume che, avendo il medesimo beneficiato dell’aiuto sociale il 10 luglio 2006, egli ha iniziato a lavorare poco dopo il suo arrivo in Germania.

( 21 ) La disposizione citata subordina il diritto di rimanere nel territorio di uno Stato membro, dopo aver esercitato un’attività lavorativa, a «limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica», nonché ai requisiti indicati nei «regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione».

( 22 ) Sentenze 26 febbraio 1991, causa C-292/89, Antonissen (Racc. pag. I-745); 26 maggio 1993, causa C-171/91, Tsiotras (Racc. pag. I-2925), punto 8; 20 febbraio 1997, causa C-344/95, Comissione/Belgio (Racc. pag. I-1035), punto 15; e Collins, cit., punto 26.

( 23 ) Sentenza citata nella nota precedente.

( 24 ) Ibid., punti 27-32.

( 25 ) Al paragrafo III dell’ordinanza di rinvio nel procedimento C-22/08, il Sozialgericht ritiene che «l’occupazione lavorativa in forma ridotta del ricorrente, di breve durata e inidonea a garantirgli i mezzi di sussistenza, non abbia prodotto alcun effetto rilevante sotto il profilo del diritto di soggiorno, sicché l’art. 24, n. 2, della direttiva 2004/38 trova applicazione al suo caso». Ma tale disposizione non si estende ai lavoratori tutelati dall’art. 39 CE, benché si applichi a chi cerca un lavoro. Tuttavia, il giudice del rinvio non si concentra sul fatto che i ricorrenti desiderino ottenere un lavoro, bensì sulla brevità e sulla retribuzione dell’attività svolta.

( 26 ) Nella proposta della direttiva 2004/38 la Commissione ha giustificato l’art. 7 affermando che «[l]e disposizioni del presente articolo stabiliscono le condizioni alle quali è subordinato l’esercizio del diritto di soggiorno. Benché occorra facilitare l’esercizio di questo diritto, il fatto che attualmente le prestazioni d’assistenza sociale non rientrino nella normativa comunitaria e non siano generalmente esportabili non consente di accordare una piena parità di trattamento in materia di prestazioni sociali, senza rischiare che talune categorie di beneficiari del diritto di soggiorno, in particolare coloro che non esercitano un’attività lavorativa, diventino un onere ingiustificato per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante».

( 27 ) Regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).

( 28 ) Sentenza 18 novembre 2008, causa C-158/07, Förster (Racc.pag. I-0000).

( 29 ) Paragrafi 64 e 65 delle conclusioni.

( 30 ) Paragrafo 75.

( 31 ) Nel medesimo senso, le sentenze 7 settembre 2004, causa C-456/02, Trojani (Racc. pag. I-7573), punti 42-45 e 15 settembre 2005, causa C-285/04, Ioannidis (Racc. pag. I-8275), punto 29. Su entrambe le decisioni e sulla necessità di accertare un nesso, Muir, E., «Statut et droits du demandeur d’emploi-travailleur-citoyen: confusion ou rationalisation?, Revue du Droit de l’Union Européenne», 2, 2004, pagg. 270-272; e O’Leary S., «Developing an Ever Closer Union between the Peoples of Europe? A Reappraisal of the Case Law of the Court of Justice on the Free Movement of Persons and EU Citizenship», Yearbook of European Law, Cambridge, 2008, pagg. 185 e 186.

( 32 ) Si potrebbe sostenere che la direttiva è difforme dalla dottrina Collins, poiché la norma è stata approvata pochi giorni dopo (il 29 aprile 2004) la pronuncia della sentenza (il 23 marzo 2004). Tuttavia, ho presentato le conclusioni in data 10 luglio 2003, quando il progetto di direttiva era in fase di negoziazione. Dubito del fatto che le istituzioni, al momento dell’adozione del testo, abbiano ignorato le implicazioni della sentenza Collins.

( 33 ) Golynker, O., «Jobseeker’ rights in the European Union: challenges of changing the paradigm of social solidarity», European Law Review, 30, 2005, pagg. 118-120; Barnard, C., The Substantive Law of the EU, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2007, pag. 301; e Spaventa, E., Free Movement of Persons in the European Union, Ed. Kluwer, L'Aja, 2007, pag. 5.

( 34 ) Sentenza Collins, citata, punto 68.

( 35 ) Ente consortile per il lavoro, l’assistenza e l’integrazione sociale di Norimberga (http://www.nuernberg.de/schluessel/aemter_info/ref5/sha/arge.html).

( 36 ) Art. 7, n 1, del libro II e art. 23, n. 3, del libro XII del Sozialgesetzbuch.