SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

8 maggio 2008 ( *1 )

«Cooperazione giudiziaria in materia civile — Regolamento (CE) n. 1348/2000 — Notificazione e comunicazione degli atti giudiziari ed extragiudiziali — Mancata traduzione degli allegati dell’atto — Conseguenze»

Nel procedimento C-14/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Bundesgerichtshof (Germania), con decisione 21 dicembre 2006, pervenuta in cancelleria il 22 gennaio 2007, nella causa tra

Ingenieurbüro Michael Weiss und Partner GbR

e

Industrie-und Handelskammer Berlin,

con l’intervento di:

Nicholas Grimshaw & Partners Ltd,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. A. Rosas (relatore), presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus e J. Klučka, dalla sig.ra P. Lindh, e dal sig. A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 24 ottobre 2007,

considerate le osservazioni presentate:

per la Ingenieurbüro Michael Weiss und Partner GbR, dall’avv. N. Tretter, Rechtsanwalt;

per la Industrie-und Handelskammer Berlino, dall’avv. H. Raeschke-Kessler, Rechtsanwalt;

per la Nicholas Grimshaw & Partners Ltd, dagli avv.ti P.-A. Brand e U. Karpenstein, Rechtsanwälte;

per il governo ceco, dal sig. T. Boček, in qualità di agente;

per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A.-L. During, in qualità di agenti;

per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;

per il governo slovacco, dal sig. J. Čorba, in qualità di agente;

per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. W. Bogensberger, successivamente dalle sig.re A.-M. Rouchaud-Joët e S. Grünheid, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 novembre 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 8 del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1348, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (GU L 160, pag. 37).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito della controversia tra l’Industrie-und Handelskammer Berlin (camera del commercio e dell’industria di Berlino; in prosieguo: la «IHK Berlin») e lo studio di architetti Nicholas Grimshaw & Partners Ltd (in prosieguo: lo «studio Grimshaw»), società di diritto inglese, in merito ad una domanda di risarcimento danni per la progettazione difettosa di un immobile; quest’ultima società ha chiamato in causa l’Ingenieurbüro Michael Weiss und Partner GbR (in prosieguo: lo «studio Weiss») con sede ad Aquisgrana.

Contesto normativo

Diritto comunitario e internazionale

3

L’ottavo e il decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1348/2000 sono formulati come segue:

«(8)

Per garantire l’efficacia del regolamento, la facoltà di denegare la notificazione o la comunicazione degli atti deve essere limitata a situazioni eccezionali.

(…)

(10)

A tutela degli interessi del destinatario è opportuno che la notificazione o la comunicazione sia redatta nella lingua o in una delle lingue ufficiale/i del luogo in cui deve effettuarsi oppure in un’altra lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario».

4

L’art. 4, n. 1, di tale regolamento prevede:

«Gli atti giudiziari sono trasmessi direttamente e nel più breve tempo possibile tra gli organi designati a norma dell’articolo 2».

5

L’art. 5 di detto regolamento, intitolato «Traduzione dell’atto», così dispone:

«1.   Il richiedente è informato dall’organo mittente a cui consegna l’atto per la trasmissione che il destinatario può rifiutare di ricevere l’atto se esso non è compilato in una delle lingue di cui all’articolo 8.

2.   Il richiedente sostiene le eventuali spese di traduzione prima della trasmissione dell’atto, fatta salva un’eventuale decisione successiva del giudice o dell’autorità competente sull’addebito di tale spesa».

6

L’art. 8 del regolamento n. 1348/2000, intitolato «Rifiuto di ricezione dell’atto», prevede quanto segue:

«1.   L’organo ricevente informa il destinatario che può rifiutare di ricevere l’atto oggetto della notificazione o della comunicazione se è redatto in una lingua diversa da una delle seguenti lingue:

a)

la lingua ufficiale dello Stato membro richiesto oppure, qualora lo Stato membro richiesto abbia più lingue ufficiali, la lingua o una delle lingue ufficiali del luogo in cui deve essere eseguita la notificazione o la comunicazione,

oppure

b)

una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

2.   Se l’organo ricevente è informato del fatto che il destinatario rifiuta di ricevere l’atto a norma del paragrafo 1, ne informa immediatamente l’organo mittente utilizzando il certificato di cui all’articolo 10 e gli restituisce la domanda e i documenti di cui si chiede la traduzione».

7

L’art. 19, n. 1, dello stesso regolamento così dispone:

«Quando un atto di citazione o un atto equivalente sia stato trasmesso ad un altro Stato membro per la notificazione o la comunicazione, secondo le disposizioni del presente regolamento, ed il convenuto non compare, il giudice è tenuto a soprassedere alla decisione fintanto che non si abbia la prova:

a)

o che l’atto è stato notificato o comunicato secondo le forme prescritte dalla legislazione dello Stato membro richiesto per la notificazione o la comunicazione degli atti redatti in tale paese e destinati alle persone che si trovano sul suo territorio;

b)

o che l’atto è stato effettivamente consegnato al convenuto o nella sua residenza abituale secondo un’altra procedura prevista dal presente regolamento;

e che, in ciascuna di tali eventualità, sia la notificazione o comunicazione sia la consegna ha avuto luogo in tempo utile perché il convenuto abbia avuto la possibilità di difendersi».

8

Gli altri paragrafi dell’art. 19 del regolamento n. 1348/2000 trattano ipotesi particolari relative alla mancata comparizione del convenuto.

9

L’art. 26 del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), è redatto come segue:

«1.   Se il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato membro è citato davanti ad un giudice di un altro Stato membro e non compare, il giudice, se non è competente in base al presente regolamento, dichiara d’ufficio la propria incompetenza.

2.   Il giudice è tenuto a sospendere il processo fin quando non si sarà accertato che al convenuto è stata data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile per poter presentare le proprie difese, ovvero che è stato fatto tutto il possibile in tal senso.

3.   Le disposizioni del paragrafo 2 sono sostituite da quelle dell’articolo 19 del regolamento (CE) n. 1348/2000 (…) qualora sia stato necessario trasmettere da uno Stato membro a un altro la domanda giudiziale o un atto equivalente in esecuzione del presente regolamento.

4.   Ove le disposizioni del regolamento (CE) n. 1348/2000 non siano applicabili, si applica l’articolo 15 della convenzione dell’Aia del (…) 1965, relativa alla notificazione e alla comunicazione all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, qualora sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o un atto equivalente in esecuzione della suddetta convenzione».

10

Peraltro, l’art. 34, punto 2, del regolamento n. 44/2001 prevede che una decisione emessa in uno Stato membro non sia riconosciuta in un altro Stato membro «se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione».

11

Simili disposizioni sono parimenti previste nella convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 1972, L 299, pag. 32), come modificata dalla convenzione del 9 ottobre 1978 relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU L 304, pag. 1, e — testo modificato — pag. 77), dalla convenzione del 25 ottobre 1982 relativa all’adesione della Repubblica ellenica (GU L 388, pag. 1), dalla convenzione del 26 maggio 1989 relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (GU L 285, pag. 1), nonché dalla convenzione del 29 novembre 1996 relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia (GU 1997, C 15, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione di Bruxelles»).

12

L’art. 20 di tale convenzione è relativo al procedimento in contumacia.

13

L’art. 27, punto 2, di detta convenzione prevede quanto segue:

«Le decisioni non sono riconosciute:

(…)

2.

se la domanda giudiziale od un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace regolarmente ed in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese;

(…)».

14

L’art. 5 della convenzione dell’Aia del 15 novembre 1965, relativa alla notificazione e alla comunicazione all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (in prosieguo: la «convenzione dell’Aia del 1965»), così prevede:

«L’Autorità centrale dello Stato richiesto procede o fa procedere alla notificazione o alla comunicazione dell’atto:

a)

o secondo le forme prescritte dalla normativa dello Stato richiesto per la comunicazione o la notificazione degli atti redatti in tale paese e che sono destinati alle persone che si trovano sul suo territorio,

b)

o secondo la forma particolare richiesta dal richiedente, a condizione che essa non sia incompatibile con la legge dello Stato richiesto.

(…)

Se l’atto deve essere notificato o comunicato in conformità al primo comma, l’Autorità centrale può chiedere che l’atto sia redatto o tradotto nella lingua o in una delle lingue ufficiali del suo paese (…)».

15

L’art. 15, primo comma, di tale convenzione così dispone:

«Qualora una domanda giudiziale o un atto equivalente abbiano dovuto essere trasmessi all’estero a fini di notificazione o di comunicazione secondo le disposizioni della presente convenzione, e qualora il convenuto non compaia, il giudice è tenuto a sospendere il giudizio finché non sia provato:

a)

o che l’atto è stato notificato o comunicato secondo le forme prescritte dalla normativa dello Stato richiesto per la notificazione o la comunicazione degli atti redatti in tale paese e destinati alle persone che si trovano sul suo territorio,

b)

o che l’atto sia stato effettivamente consegnato al convenuto o presso il suo domicilio secondo un altro procedimento previsto dalla presente convenzione,

e che, in ciascuna di tali eventualità, la notificazione o la comunicazione, oppure la consegna, abbiano avuto luogo in tempo utile perché il convenuto potesse presentare le sue difese».

16

L’art. 20, primo comma, lett. b), della convenzione dell’Aia del 1965 indica che la convenzione non si oppone a che gli Stati contraenti si accordino per derogare, in particolare, all’art. 5, terzo comma, per quanto riguarda l’impiego delle lingue.

Diritto nazionale

17

La domanda giudiziale è definita dall’art. 253 del codice di procedura civile tedesco («Zivilprozessordnung»; in prosieguo: la ZPO) nei seguenti termini:

«(1)   Il ricorso viene proposto mediante la notifica della relativa memoria (atto di ricorso).

(2)   Tale atto deve contenere:

1.

la designazione delle parti e del tribunale;

2.

l’indicazione precisa dell’oggetto e della causa del diritto fatto valere, nonché una precisa domanda.

(3)   L’atto di ricorso deve inoltre indicare, qualora ne dipenda la determinazione del giudice competente, il valore dell’oggetto della controversia, a meno che quest’ultimo consista in una somma di denaro determinata, e deve inoltre precisare se sussistano ragioni che ostano alla decisione della controversia da parte del giudice monocratico.

(4)   Peraltro, le disposizioni generali relative alle memorie preparatorie sono applicabili anche all’atto di ricorso».

18

L’art. 131 della ZPO è intitolato «Documenti allegati». Esso è formulato come segue:

«(1)   I documenti di cui la parte è in possesso ed ai quali la memoria preparatoria fa riferimento devono essere allegati a quest’ultima, in originale o in copia.

(2)   Se il ricorso riguarda soltanto passi isolati di un documento, è sufficiente allegarne un estratto che indichi la parte introduttiva del documento, il passo che si riferisce alla controversia, la fine, la data e la firma.

(3)   Se la controparte conosce già tali documenti o se essi sono voluminosi, è sufficiente indicare con precisione quali siano questi documenti, proponendoglieli in consultazione».

Causa principale e questioni pregiudiziali

19

La IHK Berlin, sulla base di un contratto di prestazioni professionali di architettura, chiede allo studio Grimshaw un risarcimento danni per progettazione difettosa. Nel predetto contratto lo studio Grimshaw si era impegnato a fornire prestazioni di progettazione per un intervento edilizio a Berlino.

20

Al punto 3.2.6 del contratto di prestazioni professionali di architettura, le parti hanno convenuto quanto segue:

«Le prestazioni saranno fornite in lingua tedesca. La corrispondenza tra [la IHK Berlin] e [lo studio Grimshaw] e le autorità ed istituzioni pubbliche sarà scambiata in lingua tedesca».

21

Risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte che, come è stato confermato anche in udienza, al contratto si applica il diritto tedesco (punto 10.4 del contratto) e che, per eventuali controversie, il foro competente è quello di Berlino (punto 10.2 del contratto).

22

Lo studio Grimshaw ha chiamato in causa lo studio Weiss.

23

Nel ricorso della IHK Berlin incluso nel fascicolo sottoposto alla Corte sono elencati i diversi mezzi di prova dedotti a sostegno dei motivi di ricorso. Tali documenti giustificativi sono allegati all’atto di ricorso, in un fascicolo che contiene circa 150 pagine.

24

Come espone il giudice a quo, il loro contenuto è, d’altra parte, parzialmente riprodotto nell’atto di ricorso. Detti allegati comprendono il contratto di prestazioni professionali di architettura concluso tra le parti, un accordo successivo relativo a tale contratto con relativa bozza, un estratto del capitolato, vari altri documenti o estratti di documenti quali le relazioni tecniche o i conteggi, nonché svariate lettere, anche dello studio Grimshaw, che riguardano la corrispondenza scambiata con le ditte incaricate di accertare ed eliminare i difetti in questione nella causa principale.

25

Dopo che lo studio Grimshaw in un primo momento aveva rifiutato di ricevere l’atto di ricorso per difetto di traduzione in lingua inglese, il 23 maggio 2003 gli venivano recapitati a Londra l’atto di ricorso tradotto in lingua inglese, nonché gli allegati redatti in lingua tedesca senza relativa traduzione.

26

Con memoria del 13 giugno 2003, lo studio Grimshaw contestava la regolarità della notificazione, in quanto gli allegati non erano stati tradotti in inglese. Per questo motivo, esso rifiutava di ricevere l’atto di ricorso sul fondamento dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 e riteneva che detto atto non fosse stato regolarmente notificato. Lo studio Grimshaw eccepisce la prescrizione.

27

Il Landgericht Berlin ha dichiarato che l’atto di ricorso è stato regolarmente notificato il 23 maggio 2003. L’appello presentato dallo studio Grimshaw è stato respinto dal Kammergericht Berlin. Contro la sentenza d’appello lo studio Weiss ha presentato ricorso per «Revision» (cassazione) dinanzi al Bundesgerichtshof.

28

Il giudice a quo rileva che, in base al codice di procedura tedesco, l’atto di ricorso, il quale faccia rinvio a documenti ivi allegati, costituisce con essi un tutt’uno, e che il convenuto deve ricevere tutti gli elementi invocati dal ricorrente che sono necessari per la sua difesa. Pertanto, non sarebbe ammissibile valutare la validità della notificazione di un atto di ricorso indipendentemente dalla notificazione degli allegati, con il pretesto che le informazioni essenziali sarebbero già ricavabili dall’atto di ricorso e che il diritto alla difesa sarebbe salvo in quanto, per ciò che riguarda il contenuto degli allegati, il convenuto potrebbe ancora adeguatamente difendersi nel corso del procedimento.

29

Una deroga a tale principio sarebbe ammessa allorché l’esigenza del convenuto di essere informato non risulti pregiudicata in modo sostanziale, ad esempio perché un allegato, non accluso all’atto di ricorso, gli è stato trasmesso praticamente nello stesso momento della proposizione del ricorso, oppure perché il convenuto conosceva i documenti già prima della proposizione del ricorso.

30

Il giudice a quo rileva che, nel caso di specie, lo studio Grimshaw non conosceva tutti gli atti, in particolare non conosceva quelli concernenti l’accertamento e l’eliminazione dei difetti e i relativi costi. Tali atti non potrebbero essere considerati quali dettagli insignificanti, giacché dalla loro valutazione potrebbe dipendere la decisione di depositare una memoria difensiva.

31

Il giudice a quo si chiede se lo studio Grimshaw fosse legittimato a rifiutare il ricorso. Precisa inoltre che nessuno degli organi legittimati a rappresentare il detto studio comprende il tedesco.

32

Secondo il Bundesgerichtshof, l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 può essere interpretato nel senso che non sarebbe possibile rifiutare la notificazione per la ragione che gli allegati non sono stati tradotti.

33

Infatti, tale disposizione non menzionerebbe il rifiuto della ricezione di allegati. Peraltro, il formulario previsto da tale regolamento, in virtù dell’art. 4, n. 3, prima frase, per le domande di notificazione negli Stati membri dell’Unione europea, esige indicazioni sulla natura dell’atto e sulla lingua utilizzata solo in relazione all’atto da notificare (punti 6.1 e 6.3), ma non in relazione ai documenti allegati, dei quali è richiesto soltanto che sia menzionato il numero (punto 6.4).

34

Per il caso in cui si ritenga possibile rifiutare la notificazione sulla base del solo motivo che gli allegati non sono tradotti, il giudice a quo ritiene che il contratto, in cui la ricorrente e la convenuta hanno stabilito che la lingua della corrispondenza fosse il tedesco, non basterebbe per negare il diritto della convenuta di rifiutare la ricezione in virtù dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000.

35

Tale clausola, infatti, non significherebbe che la convenuta comprende questa lingua ai sensi di tale regolamento. Tuttavia, come indicato dal giudice a quo, la dottrina sarebbe divisa, in quanto taluni autori ritengono che la clausola di utilizzo di una lingua nelle relazioni contrattuali possa svolgere il ruolo di presunzione di conoscenza di tale lingua ai sensi di detto regolamento.

36

Infine, per il caso in cui una clausola contrattuale non possa fondare una presunzione di conoscenza della lingua considerata, il giudice a quo si chiede se sia possibile rifiutare, in tutti i casi, la notificazione di un ricorso i cui allegati non siano tradotti oppure se siano ammesse eccezioni, ad esempio nell’ipotesi in cui il convenuto già disponga di una traduzione degli allegati o il contenuto dell’allegato sia riprodotto alla lettera nell’atto di ricorso tradotto.

37

Ciò potrebbe valere anche nel caso in cui gli atti in allegato siano redatti nella lingua validamente concordata dalle parti nell’ambito del contratto. Il giudice a quo richiama l’ipotesi di contraenti deboli, eventualmente da tutelare, come i consumatori frontalieri, i quali potrebbero aver acconsentito, per contratto, a che la lingua della corrispondenza fosse quella del contraente professionista.

38

Il giudice a quo rileva tuttavia che, nel caso di specie, lo studio Grimshaw ha concluso il contratto nel contesto della sua attività professionale. Non ravvisa alcuna particolare esigenza di tutela di tale studio e non vede, quindi, alcuna necessità di riconoscergli il diritto di rifiutare la ricezione.

39

In tale contesto, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che non sussiste il diritto del destinatario di rifiutare la ricezione (…), qualora soltanto gli allegati di un atto oggetto della notificazione non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto oppure in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

2)

In caso di soluzione negativa della prima questione:

 

Se l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che la lingua dello Stato membro mittente è “compresa” dal destinatario ai sensi del suddetto regolamento già per il fatto che questi, nell’esercizio della sua attività professionale, ha convenuto in un contratto concluso con il richiedente che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente.

3)

In caso di soluzione negativa della seconda questione:

 

Se l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il destinatario in ogni caso non può invocare tale disposizione per rifiutare la ricezione di tali allegati ad un atto redatti in una lingua diversa dalla lingua dello Stato membro richiesto o da una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario, qualora egli, nell’esercizio della sua attività professionale, concluda un contratto in cui convenga che la corrispondenza sia scambiata nella lingua dello Stato membro mittente, e gli allegati trasmessi riguardino tale corrispondenza e siano redatti nella lingua convenuta».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

40

Con la prima questione, il giudice a quo chiede se l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il destinatario di un atto oggetto di notificazione o di comunicazione non ha diritto di rifiutarne la ricezione nel caso in cui soltanto gli allegati dell’atto non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto, o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario.

41

Occorre sottolineare preliminarmente che il regolamento n. 1348/2000 si applica ad atti oggetto di notificazione o di comunicazione che possono essere di natura assai diversa, a seconda che si tratti di atti giudiziari o extragiudiziali e, nel primo caso, a seconda che si tratti di una domanda giudiziale, di una sentenza, di un provvedimento esecutivo o di qualsiasi altro atto. La questione presentata alla Corte riguarda una domanda giudiziale.

42

Poiché il ruolo e l’importanza degli allegati ad un atto da notificare o comunicare possono essere diversi a seconda della natura dell’atto, occorre limitare il ragionamento e le soluzioni che compaiono nella presente sentenza alla sola domanda giudiziale.

43

Risulta, al riguardo, dalle osservazioni presentate dinanzi alla Corte che il numero e la natura dei documenti che devono essere allegati a una domanda giudiziale variano considerevolmente a seconda degli ordinamenti giuridici. In taluni di essi, infatti, tale atto deve contenere soltanto l’oggetto e l’esposizione dei motivi in fatto e in diritto della domanda, mentre i documenti giustificativi vengono comunicati separatamente, laddove in altri ordinamenti giuridici, come nel diritto tedesco, gli allegati devono essere comunicati contemporaneamente all’atto di ricorso e ne fanno parte integrante.

44

Occorre constatare che l’art. 8 del regolamento n. 1348/2000 non menziona gli allegati ad un atto oggetto di notificazione o di comunicazione. Tuttavia, l’indicazione «documenti di cui si chiede la traduzione», che compare al n. 2 di questo articolo, lascia intendere che un atto può essere composto da diversi documenti.

45

In mancanza di indicazioni utili contenute nel testo dell’art. 8 del regolamento n. 1348/2000, occorre interpretare tale disposizione alla luce dei suoi obiettivi e del suo contesto e, più ampiamente, degli obiettivi e del contesto del regolamento n. 1348/2000 stesso (v., in tal senso, sentenza 19 settembre 2000, causa C-287/98, Linster, Racc. pag. I-6917, punto 43).

46

Come risulta dal suo secondo ‘considerando’, il regolamento n. 1348/2000 ha l’obiettivo di migliorare ed accelerare la trasmissione degli atti. Tali obiettivi sono ricordati ai ‘considerando’ da sesto ad ottavo. Quest’ultimo indica, infatti, che «[p]er garantire l’efficacia del regolamento, la facoltà di denegare la notificazione o la comunicazione degli atti deve essere limitata a situazioni eccezionali». L’art. 4, n. 1, di detto regolamento prevede, peraltro, che gli atti giudiziari vengono trasmessi nel più breve tempo possibile.

47

Tali obiettivi non possono tuttavia essere raggiunti indebolendo, in qualsiasi modo, i diritti della difesa (v., per analogia, per quanto riguarda il regolamento n. 44/2001, sentenza 14 dicembre 2006, causa C-283/05, ASML, Racc. pag. I-12041, punto 24). Infatti, tali diritti, che derivano dal diritto al giusto processo sancito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), costituiscono un diritto fondamentale che forma parte integrante dei principi generali di diritto dei quali la Corte garantisce l’osservanza (v., in particolare, sentenza ASML, cit., punto 26).

48

Occorre, pertanto, cercare di conciliare gli obiettivi di efficacia e di rapidità di trasmissione degli atti processuali, necessari ad una corretta amministrazione della giustizia, con l’obiettivo di tutela dei diritti della difesa, in particolare in sede di interpretazione dell’art. 8 del regolamento n. 1348/2000 e, segnatamente, della nozione di atto oggetto di notificazione o di comunicazione, qualora quest’ultimo consista in una domanda giudiziale, per poter determinare se tale atto debba includere allegati costituiti da documenti giustificativi.

49

È, tuttavia, giocoforza constatare che detti obiettivi del regolamento n. 1348/2000 non consentono di per sé di interpretare la nozione di domanda giudiziale, nel contesto dell’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, per stabilire se tale atto possa o debba includere allegati. Essi non consentono neppure di stabilire se la traduzione della domanda giudiziale sia elemento essenziale dei diritti della difesa del convenuto, il che potrebbe chiarire quale sia l’ampiezza dell’obbligo di traduzione di cui all’art. 8 del regolamento in parola.

50

L’interpretazione del regolamento n. 1348/2000 non può tuttavia essere dissociata dal contesto dello sviluppo nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile in cui tale regolamento s’inscrive e, più in particolare, del regolamento n. 44/2001, che, all’art. 26, nn. 3 e 4, fa espresso riferimento al regolamento n. 1348/2000.

51

Infatti, diverse disposizioni impongono al giudice di verificare, prima di emettere una sentenza in contumacia o di riconoscere una pronuncia giurisdizionale, se le modalità di notificazione della domanda giudiziale siano state tali da garantire il rispetto dei diritti della difesa (v., in particolare, per quanto riguarda la contumacia, l’art. 19, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, l’art. 26, n. 2, del regolamento n. 44/2001 nonché l’art. 20, secondo comma, della convenzione di Bruxelles; per quanto riguarda il riconoscimento delle decisioni, v. in particolare l’art. 34, punto 2, del regolamento n. 44/2001 e l’art. 27, punto 2, della convenzione di Bruxelles).

52

Prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 1348/2000, le notificazioni transfrontaliere tra gli Stati membri venivano effettuate in conformità alla convenzione dell’Aia del 1965, alla quale rinviano l’art. 26, n. 4, del regolamento n. 44/2001 e l’art. 20, terzo comma, della convenzione di Bruxelles, o ad accordi bilaterali conclusi tra Stati membri. Orbene, la convenzione dell’Aia e la maggior parte di tali accordi non prevedono un obbligo generale di tradurre tutti gli atti da notificare o da comunicare, tanto che i giudici nazionali hanno dichiarato che i diritti della difesa sono sufficientemente protetti quando il destinatario di un atto notificato o comunicato abbia potuto disporre di un periodo di tempo che gli ha permesso di far tradurre tale atto e di organizzare la propria difesa.

53

D’altra parte, lo stesso regolamento n. 1348/2000 non precisa se il diritto di rifiutare un atto in mancanza di traduzione sussista anche nel caso di una notificazione o di una comunicazione per via postale, eseguita in conformità all’art. 14 di tale regolamento. Per interpretare quest’ultima disposizione, occorre esaminare la relazione esplicativa concernente la convenzione relativa alla notificazione negli Stati membri dell’Unione europea di atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale, adottata con atto del Consiglio dell’Unione europea del 26 maggio 1997 (GU C 261, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione del 1997»; relazione esplicativa, pag. 26) sul fondamento dell’art. K.3 del Trattato UE, il cui testo ha ispirato il regolamento n. 1348/2000 (v., in tal senso, sentenza 8 novembre 2005, causa C-443/03, Leffler, Racc. pag. I-9611, punto 47).

54

Il commentario dell’art. 14, n. 2, della convenzione del 1997, relativo alla notificazione per posta, indica quanto segue:

«Il presente articolo sancisce il principio in base al quale è ammessa la notificazione per posta.

Gli Stati membri possono tuttavia precisare le condizioni, volte a fornire garanzie ai destinatari residenti nel loro territorio, in base alle quali può essere effettuata la notificazione per posta. Potrebbero ad esempio richiedere un invio per raccomandata, ovvero l’applicazione di norme della convenzione relative alla traduzione degli atti».

55

Taluni Stati membri hanno, a torto o a ragione, interpretato l’art. 14, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 nel senso che la traduzione dell’atto non è richiesta nel caso della notificazione o della comunicazione per via postale e hanno ritenuto necessario precisare, in conformità alla possibilità prevista dall’art. 14, n. 2, di detto regolamento, che essi sono contrari alla notificazione o alla comunicazione di atti giudiziari senza traduzione [v., a questo proposito, le comunicazioni degli Stati membri a norma dell’art. 23 del regolamento n. 1348/2000 (GU 2001, C 151, pag. 4), ed il primo aggiornamento delle comunicazioni degli Stati membri (GU 2001, C 202, pag. 10)].

56

Dall’esame delle disposizioni, rispettivamente, delle convenzioni dell’Aia del 1965, di Bruxelles e del 1997, dei regolamenti nn. 1348/2000 e 44/2001, nonché delle comunicazioni degli Stati membri in conformità all’art. 14, n. 2, del regolamento n. 1348/2000 risulta che, nelle materie disciplinate da tali disposizioni, la traduzione di una domanda giudiziale effettuata a cura del richiedente non è considerata, né dal legislatore comunitario né dagli Stati membri, quale elemento indispensabile all’esercizio dei diritti della difesa del convenuto, essendo soltanto necessario che quest’ultimo disponga del tempo sufficiente a consentirgli di far tradurre l’atto e di organizzare la sua difesa.

57

Una tale scelta del legislatore comunitario e degli Stati membri non è in contrasto con la tutela dei diritti fondamentali quale risulta dalla CEDU. Infatti, l’art. 6, n. 3, lett. a), di questa convenzione, secondo il quale ogni accusato ha, in particolare, diritto a essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, è applicabile soltanto in materia penale. Nessuna disposizione della CEDU impone la traduzione di una domanda giudiziale in materia civile e commerciale.

58

Di conseguenza, se il legislatore comunitario ha scelto, con l’art. 8 del regolamento n. 1348/2000, di permettere al destinatario di un atto di rifiutarlo qualora questo non sia tradotto in una lingua ufficiale dello Stato membro richiesto, o in una lingua dello Stato membro mittente da lui compresa, è stato principalmente allo scopo di determinare, in modo uniforme, chi debba assicurare la traduzione di tale atto ed assumerne il costo nella fase della sua notificazione o comunicazione.

59

Poiché l’esame del diritto internazionale e del diritto comunitario con riferimento alla portata del principio di tutela dei diritti della difesa e, in particolare, alla necessità della traduzione della domanda giudiziale, ha consentito di precisare la finalità dell’art. 8 del regolamento n. 1348/2000, è alla luce di quest’ultima che occorre stabilire che cosa la nozione di atto oggetto di notificazione o di comunicazione ai sensi del medesimo articolo debba contemplare, qualora l’atto consista in una domanda giudiziale, e se tale atto possa o debba includere allegati costituiti da documenti giustificativi.

60

Il regolamento n. 1348/2000 deve essere oggetto di interpretazione autonoma affinché sia consentita la sua applicazione uniforme (sentenza Leffler, cit., punti 45 e 46). Lo stesso vale per il regolamento n. 44/2001 e, in particolare, per la nozione di «domanda giudiziale» ai sensi degli artt. 26 e 34, punto 2, di tale regolamento nonché delle disposizioni equivalenti della convenzione di Bruxelles.

61

Statuendo sull’interpretazione dell’art. 27, punto 2, della convenzione di Bruxelles, relativo al riconoscimento delle decisioni, la Corte ha definito la nozione di domanda giudiziale o atto equivalente ai sensi di tale disposizione, dichiarando che essa si riferisce all’atto, o agli atti, la cui comunicazione o notificazione al convenuto, effettuata regolarmente e in tempo utile, pone quest’ultimo in grado di far valere i suoi diritti prima che venga emesso un provvedimento esecutivo nello Stato d’origine (v., in tal senso, sentenza 13 luglio 1995, causa C-474/93, Hengst Import, Racc. pag. I-2113, punto 19).

62

La Corte ha quindi statuito che, nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Hengst Import, la domanda giudiziale era costituita dall’insieme del decreto ingiuntivo, emesso da un giudice italiano in conformità all’art. 641 del codice di procedura civile italiano, e del ricorso del richiedente. Infatti, la comunicazione congiunta di questi due documenti fa decorrere un termine entro il quale l’intimato può proporre opposizione. D’altra parte, il richiedente non può ottenere un provvedimento esecutivo prima della scadenza di questo termine (sentenza Hengst Import, cit., punto 20).

63

La Corte ha rilevato che il decreto ingiuntivo è un semplice modulo che, per poter essere compreso, dev’essere letto unitamente al ricorso. Inversamente, la comunicazione del solo ricorso non consentirebbe all’intimato di stabilire se egli debba provvedere alla propria difesa, poiché, senza il decreto ingiuntivo, non potrebbe sapere se il giudice abbia accolto o meno il ricorso. In ultima analisi, la necessità della duplice comunicazione del decreto ingiuntivo e del ricorso era confermata dall’art. 643 c.p.c., da cui risultava che essa costituiva il punto di partenza del procedimento (sentenza Hengst Import, cit., punto 21).

64

Da questa nozione autonoma di domanda giudiziale, come interpretata dalla Corte, risulta che tale atto deve contenere il o i documenti, qualora essi siano intrinsecamente connessi, che consentono al convenuto di comprendere l’oggetto e la motivazione del ricorso proposto, nonché l’esistenza di un procedimento giudiziario nel corso del quale egli può far valere i suoi diritti o difendendosi nell’ambito di una causa in corso, ovvero, come nella causa sfociata nella citata sentenza Hengst Import, proponendo un ricorso contro una decisione emessa inaudita altera parte.

65

Peraltro, come si è osservato al punto 43 della presente sentenza, taluni diritti nazionali non prevedono che i documenti giustificativi di un fascicolo debbano essere allegati a quello che essi definiscono domanda giudiziale, bensì autorizzano la loro comunicazione separata. Tali documenti non sono pertanto considerati intrinsecamente connessi alla domanda giudiziale, nel senso che sarebbero indispensabili perché il convenuto sia in grado di comprendere la domanda proposta contro di lui e l’esistenza del procedimento giurisdizionale, ma hanno funzione probatoria, distinta dall’oggetto della notificazione o della comunicazione stessa.

66

Al riguardo, giova osservare che le condizioni di riconoscimento delle decisioni previste dal regolamento n. 44/2001 sono state rese più flessibili rispetto alle condizioni previste dalla convenzione di Bruxelles.

67

Infatti, l’art. 34, punto 2, di tale regolamento abbandona il requisito della regolarità della domanda giudiziale, prevista all’art. 27, punto 2, della convenzione di Bruxelles, per mettere l’accento sul rispetto effettivo dei diritti della difesa; questi ultimi sono considerati rispettati quando il convenuto ha avuto conoscenza del procedimento giudiziario in corso e ha potuto esercitare un ricorso contro una decisione emessa nei suoi confronti (v., in questo senso, sentenza ASML, cit., punti 20 e 21).

68

Tale modifica del regolamento n. 44/2001 rispetto alla convenzione di Bruxelles corrobora l’interpretazione della nozione di atto oggetto di notificazione o di comunicazione, quando esso consista in una domanda giudiziale, secondo cui tale atto deve includere gli elementi essenziali perché il convenuto comprenda anzitutto l’esistenza del procedimento giudiziale, ma non ciascun documento giustificativo che consenta di fornire la prova dei diversi elementi in fatto e in diritto sulla base dei quali la domanda è proposta.

69

Da tali elementi risulta che la nozione di atto oggetto di notificazione o di comunicazione di cui all’art. 8 del regolamento n. 1348/2000 dev’essere interpretata, laddove tale atto consista in una domanda giudiziale, nel senso che i documenti giustificativi che assolvono esclusivamente una funzione probatoria e non sono intrinsecamente connessi all’atto di ricorso, nei limiti in cui non sono indispensabili per comprendere l’oggetto e la causa del ricorso proposto, non costituiscono parte integrante di esso.

70

L’esame della nozione di atto quale emerge dalla CEDU e, in particolare, dal suo art. 6, n. 3, lett. a), richiamato al punto 57 della presente sentenza, permette di giungere ad una simile conclusione in materia penale. Infatti, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, un atto d’accusa deve consentire all’imputato di essere informato non soltanto dei motivi dell’accusa, cioè dei fatti materiali che sono posti a suo carico e sui quali l’accusa si basa, ma anche, e dettagliatamente, della qualificazione giuridica che di questi fatti viene data (v. Corte eur. D.U., sentenze Pélissier e Sassi c. Francia del 25 marzo 1999, Recueil des arrêts et décisions 1999-II, § 51, nonché Mattei c. Francia del 19 dicembre 2006, n. 34043/02, § 34). Ne deriva, argomentando a contrario, che il diritto alla difesa non è compromesso per il solo fatto che l’atto d’accusa non include i documenti giustificativi dei fatti posti a carico dell’imputato.

71

La Corte europea ha peraltro dichiarato, statuendo alla luce dell’art. 6, n. 3, lett. e), della CEDU, in base al quale viene riconosciuto all’accusato il diritto a farsi assistere da un interprete, che tale diritto non si spinge fino a poter esigere la traduzione scritta di tutte le prove documentali o di tutti i documenti ufficiali del fascicolo (Corte eur. D.U., sentenza Kamasinski c. Austria del 19 dicembre 1989, serie A n. 168, § 74).

72

Orbene, come risulta dalla constatazione operata al punto 57 della presente sentenza, la tutela dei diritti della difesa in materia civile e commerciale non comporta garanzie tanto ampie come in materia penalistica.

73

Alla luce di tutti questi elementi, occorre interpretare la nozione di «atto oggetto di comunicazione o di notificazione» di cui all’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000, qualora tale atto consista in una domanda giudiziale, nel senso che essa designa l’atto o gli atti la cui notificazione o comunicazione al convenuto, effettuata in tempo utile, pone l’interessato in grado di far valere i suoi diritti nel contesto di un procedimento giurisdizionale nello Stato mittente. Tale atto deve consentire di identificare in modo certo quantomeno l’oggetto e la causa della domanda, nonché l’invito a comparire dinanzi al giudice, ovvero, a seconda della natura del procedimento, la possibilità di esperire un ricorso giurisdizionale. Documenti che svolgano esclusivamente una funzione probatoria e non siano indispensabili alla comprensione dell’oggetto e della causa della domanda non costituiscono parte integrante della domanda giudiziale ai sensi del regolamento n. 1348/2000.

74

Una tale interpretazione è conforme agli obiettivi del regolamento n. 1348/2000 di migliorare ed accelerare la trasmissione degli atti. Infatti, la traduzione dei documenti giustificativi può richiedere un tempo considerevole laddove, comunque, tale traduzione non è richiesta ai fini del procedimento che si svolgerà dinanzi al giudice dello Stato membro mittente e nella lingua di tale Stato.

75

Spetta al giudice nazionale verificare se il contenuto della domanda giudiziale ponga il convenuto in grado di far valere i suoi diritti nello Stato mittente e gli consenta, in particolare, di individuare l’oggetto e la causa della domanda contro di esso diretta, nonché l’esistenza del procedimento giurisdizionale.

76

Se il giudice nazionale ritiene che tale contenuto non sia sufficiente a questo scopo in ragione del fatto che alcuni elementi essenziali relativi alla domanda si trovano negli allegati, è tenuto a sforzarsi di risolvere il problema nell’ambito del suo diritto processuale nazionale, vegliando affinché sia assicurata la piena efficacia del regolamento n. 1348/2000, nel rispetto della sua finalità (v., in questo senso, sentenza Leffler, cit., punto 69), preservando al contempo nel miglior modo possibile gli interessi delle diverse parti in causa.

77

All’autore della domanda giudiziale potrebbe ad esempio essere riconosciuta la possibilità di rimediare all’assenza di traduzione di un allegato indispensabile inviandola secondo le modalità previste dal regolamento n. 1348/2000 nel tempo più breve possibile. Per quanto riguarda l’effetto dell’invio di una traduzione sulla data della comunicazione o della notificazione, la Corte ha considerato che deve essere determinato per analogia con il sistema della doppia data istituito dall’art. 9, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1348/2000 (sentenza Leffler, cit., punti 65-67), al fine di preservare gli interessi delle parti.

78

Alla luce di tutti questi elementi, occorre risolvere la prima questione dichiarando che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il destinatario di una domanda giudiziale oggetto di notificazione o di comunicazione non ha il diritto di rifiutare la ricezione di tale atto nei limiti in cui esso ponga tale destinatario in grado di far valere i suoi diritti nel contesto di un procedimento giurisdizionale nello Stato mittente, qualora il detto atto sia accompagnato da allegati costituiti da documenti giustificativi che non sono redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario, ma che hanno esclusivamente una funzione probatoria e non sono indispensabili per comprendere l’oggetto e la causa della domanda. Spetta al giudice nazionale verificare se il contenuto della domanda giudiziale sia sufficiente a consentire al convenuto di far valere i suoi diritti o se il mittente sia tenuto a rimediare all’assenza di traduzione di un allegato indispensabile.

Sulla seconda questione

79

Con la seconda questione, posta per il caso in cui si risponda nel senso che il destinatario dell’atto può rifiutarne la ricezione qualora gli allegati non siano tradotti, il giudice a quo chiede se l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il destinatario dell’atto oggetto di notificazione o di comunicazione viene reputato in grado di «comprendere» la lingua di uno Stato membro mittente ai sensi di tale regolamento qualora abbia convenuto, in un contratto concluso con il ricorrente nell’ambito della sua attività professionale, che la lingua della corrispondenza è quella dello Stato membro mittente. Considerata la riserva formulata nel risolvere la prima questione, occorre risolvere la seconda questione.

80

Per determinare se il destinatario di un atto notificato o comunicato comprende la lingua dello Stato membro mittente nella quale l’atto è redatto, il giudice deve esaminare l’insieme degli indizi che gli sono forniti a tale proposito dal richiedente.

81

Le parti che hanno presentato osservazioni non sono concordi sulla questione se si debba ritenere che il destinatario di un atto comprenda la lingua dello Stato membro mittente per il fatto che ha sottoscritto una clausola relativa all’uso della lingua come quella descritta dal giudice del rinvio.

82

Lo studio Grimshaw afferma di essere il solo in grado di dire se comprende l’atto notificato. La IHK Berlin sostiene la posizione opposta, cioè che la sottoscrizione di tale clausola vale come accettazione di detta lingua in quanto lingua di notificazione di un atto giudiziario, allo stesso modo in cui una clausola attributiva della giurisdizione è valida tra le parti.

83

Le altre parti che hanno presentato osservazioni considerano che non si può dedurre da tale clausola una conoscenza della lingua dell’atto ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000, ma che essa costituisce un indizio della conoscenza di tale lingua. Lo studio Weiss nonché i governi ceco e slovacco sottolineano, in particolare, che il grado di conoscenza di una lingua necessario alla corrispondenza non è lo stesso indispensabile a svolgere le proprie difese in giudizio.

84

L’interpretazione dello studio Grimshaw non può essere accolta in quanto ciò equivarrebbe a far dipendere l’effettività della notificazione o della comunicazione dalla buona volontà del destinatario dell’atto.

85

Non è neppure possibile accogliere l’interpretazione proposta dalla IHK Berlin. Infatti, perché sia conferito un effetto utile all’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000, spetta al giudice competente verificare che i presupposti di applicazione di tale disposizione ricorrano effettivamente. Al riguardo, la sottoscrizione di una clausola che prevede l’impiego di una data lingua nella corrispondenza e nell’esecuzione di un contratto non può costituire una presunzione di conoscenza della lingua convenuta.

86

Per contro, occorre considerare che la sottoscrizione di tale clausola costituisce un indizio della conoscenza della lingua dell’atto notificato o comunicato. Tale indizio avrà tanto maggior peso in quanto la clausola riguarda non soltanto la corrispondenza tra le parti, ma anche quella con le autorità e le istituzioni pubbliche. Esso potrà essere confortato da altri indizi, come l’invio effettivo della corrispondenza da parte del destinatario dell’atto nella lingua dell’atto notificato o comunicato, o la presenza, nel contratto iniziale, di clausole attributive della competenza, in caso di lite, ai giudici dello Stato mittente, ovvero che assoggettano il contratto al diritto di tale Stato membro.

87

Come lo studio Weiss e i governi ceco e slovacco hanno indicato, il grado di conoscenza di una lingua necessario alla corrispondenza non è lo stesso indispensabile a svolgere le proprie difese in giudizio. Si tratta, tuttavia, di un elemento in fatto che il giudice deve prendere in considerazione al momento di verificare se il destinatario di un atto notificato o comunicato sia in grado di comprendere detto atto in modo tale da potersi difendere. Spetta al giudice adottare come riferimento, in conformità al principio di equivalenza, il modo in cui un soggetto di diritto residente nello Stato mittente può intendere un atto giurisdizionale redatto nella lingua di tale Stato.

88

Occorre risolvere la seconda questione dichiarando che l’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il fatto che il destinatario di un atto notificato o comunicato abbia convenuto, in un contratto concluso con il richiedente nell’ambito della sua attività professionale, che la lingua della corrispondenza sia quella dello Stato membro mittente, non costituisce una presunzione di conoscenza della lingua, ma è un indizio che il giudice può prendere in considerazione nel momento in cui verifica se tale destinatario comprende la lingua dello Stato membro mittente.

Sulla terza questione

89

Con la terza questione, sollevata per il caso in cui si risolvesse in senso negativo la seconda questione come posta dal giudice del rinvio, quest’ultimo chiede se l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 debba essere interpretato nel senso che il destinatario di un atto notificato o comunicato non può, in ogni caso, avvalersi di tale disposizione per rifiutare la ricezione di allegati di un atto che non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente che il destinatario comprende, qualora, nell’ambito della sua attività professionale, esso concluda un contratto in cui si stipula che la lingua di corrispondenza sia quella dello Stato membro mittente e qualora gli allegati, da un lato, riguardino detta corrispondenza e, dall’altro, siano redatti nella lingua convenuta.

90

Dalla soluzione fornita dalla Corte alla prima questione risulta che la traduzione di taluni allegati alla domanda giudiziale notificata o comunicata può essere necessaria qualora il contenuto dell’atto che è stato tradotto sia insufficiente per individuare l’oggetto e la causa della domanda e consentire così al convenuto di far valere i suoi diritti, in quanto taluni elementi essenziali relativi alla domanda si troverebbero in tali allegati.

91

Tale traduzione, tuttavia, non è necessaria qualora risulti dalle circostanze in fatto che il destinatario della domanda giudiziale è a conoscenza del contenuto di tali allegati. Ciò accade quando egli ne è l’autore, ovvero si suppone che ne comprenda il contenuto, ad esempio, in quanto ha firmato un contratto nell’ambito della sua attività professionale, in cui ha convenuto che la lingua di corrispondenza sia quella dello Stato membro mittente, e gli allegati, da un lato, riguardano detta corrispondenza e, dall’altro, sono redatti nella lingua convenuta.

92

Occorre, pertanto, risolvere la terza questione dichiarando che l’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il destinatario di una domanda giudiziale notificata o comunicata non può, comunque, avvalersi di tale disposizione per rifiutare la ricezione degli allegati ad un atto che non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente che il destinatario comprende qualora, nell’ambito della sua attività professionale, egli abbia concluso un contratto in cui ha convenuto che la lingua di corrispondenza fosse quella dello Stato membro mittente, e qualora gli allegati, da un lato, riguardino detta corrispondenza e, dall’altro, siano redatti nella lingua convenuta.

Sulle spese

93

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

 

1)

L’art. 8, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1348, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, deve essere interpretato nel senso che il destinatario di una domanda giudiziale oggetto di notifica o di comunicazione non è legittimato a rifiutare la ricezione di tale atto, nei limiti in cui esso ponga il destinatario in grado di far valere i propri diritti nell’ambito di un procedimento giurisdizionale nello Stato mittente, qualora il detto atto sia accompagnato da allegati costituiti da documenti giustificativi che non sono redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente compresa dal destinatario, ma che hanno esclusivamente una funzione probatoria e non sono indispensabili per comprendere l’oggetto e la causa della domanda.

Spetta al giudice nazionale verificare se il contenuto della domanda giudiziale sia sufficiente a consentire al convenuto di far valere i suoi diritti o se il mittente sia tenuto a rimediare all’assenza di traduzione di un allegato indispensabile.

 

2)

L’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il fatto che il destinatario di un atto notificato o comunicato abbia convenuto, in un contratto concluso con il richiedente nell’ambito della sua attività professionale, che la lingua di corrispondenza sia quella dello Stato membro mittente, non costituisce una presunzione di conoscenza della lingua, ma è un indizio che il giudice può prendere in considerazione nel momento in cui verifica se tale destinatario comprende la lingua dello Stato membro mittente.

 

3)

L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 1348/2000 deve essere interpretato nel senso che il destinatario di una domanda giudiziale notificata o comunicata non può, comunque, avvalersi di tale disposizione per rifiutare la ricezione degli allegati ad un atto che non siano redatti nella lingua dello Stato membro richiesto o in una lingua dello Stato membro mittente che il destinatario comprende qualora, nell’ambito della sua attività professionale, egli abbia concluso un contratto in cui ha convenuto che la lingua di corrispondenza sia quella dello Stato membro mittente, e qualora gli allegati, da un lato, riguardino detta corrispondenza e, dall’altro, siano redatti nella lingua convenuta.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.