1. Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Motivi — Errata valutazione dei fatti — Irricevibilità — Controllo da parte della Corte della valutazione degli elementi probatori — Esclusione, salvo il caso di snaturamento
(Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 51)
2. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione che constata un’infrazione consistente nella conclusione di un accordo anticoncorrenziale
(Art. 81, n. 1, CE)
3. Concorrenza — Intese — Prova
(Art. 81, n. 1, CE)
4. Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Motivi — Motivazione insufficiente o contraddittoria — Ricevibilità
5. Concorrenza — Intese — Prova
6. Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Motivi — Motivo dedotto contro un punto della motivazione della sentenza non necessario come fondamento del dispositivo — Motivo inconferente
7. Procedura — Durata del procedimento dinanzi al Tribunale — Termine ragionevole — Criteri di valutazione
1. In caso di ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado, la Corte non è competente ad accertare i fatti né, in linea di principio, ad esaminare le prove sulle quali il Tribunale ha basato il proprio accertamento di questi ultimi. Infatti, una volta che tali prove sono state acquisite regolarmente e che i principi generali del diritto e le norme di procedura in materia di onere e di produzione della prova sono stati rispettati, spetta unicamente al Tribunale pronunciarsi sul valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti. Tale valutazione, salvo il caso dello snaturamento degli elementi di prova addotti dinanzi al Tribunale, non costituisce pertanto una questione di diritto soggetta al sindacato della Corte.
Il potere di controllo della Corte sugli accertamenti di fatto effettuati dal Tribunale si estende quindi, in particolare, all’inesattezza materiale di tali accertamenti risultante dai documenti del fascicolo, allo snaturamento degli elementi di prova, alla qualificazione giuridica di questi ultimi e alla questione se siano state rispettate le disposizioni in materia di onere e di produzione della prova.
A questo proposito, la questione se il Tribunale abbia applicato la norma giuridica corretta nell’esaminare elementi probatori costituisce una questione di diritto.
Ciò non vale, invece, per la valutazione del Tribunale secondo cui gli elementi probatori non erano ambigui, ma, al contrario, precisi e concordanti per permettere di fondare la convinzione che l’infrazione era stata commessa.
Del pari, non può essere rimessa in discussione dinanzi alla Corte la valutazione del Tribunale secondo cui delle dichiarazioni devono essere considerate un elemento di prova preciso.
(v. punti 38-40, 56, 64-65, 100-101)
2. Quando la Commissione è riuscita a produrre prove documentali a sostegno dell’infrazione addebitata e quando tali prove appaiono sufficienti per dimostrare l’esistenza di un accordo di natura anticoncorrenziale, non è necessario esaminare se l’impresa accusata avesse un interesse commerciale per tale accordo.
Per quanto riguarda, in particolare, gli accordi di natura anticoncorrenziale che si manifestano nel corso di riunioni di imprese concorrenti, un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE è integrata allorché tali riunioni hanno l’oggetto di limitare, impedire o falsare il gioco della concorrenza e mirano, in tal modo, ad organizzare artificialmente il funzionamento del mercato. In un caso del genere è sufficiente, per provare la partecipazione dell’impresa interessata all’intesa, che la Commissione dimostri che la detta impresa ha partecipato a riunioni nel corso delle quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale. Qualora sia stata dimostrata la partecipazione a riunioni di questo tipo, incombe all’impresa dedurre indizi atti a provare che la sua partecipazione alle dette riunioni era priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, comprovando che essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipare alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro.
La ragione soggiacente a tale norma è che, avendo partecipato alla detta riunione senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto, l’impresa ha dato l’impressione agli altri partecipanti che essa appoggiava il suo risultato e che vi si sarebbe conformata.
(v. punti 46-48, 58, 74)
3. Di norma le attività derivanti da pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Ne consegue che, anche qualora la Commissione scopra documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, tali documenti saranno di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, pertanto, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza.
Infatti, se certamente, in base al principio della presunzione d’innocenza, la sussistenza di un dubbio deve giocare in favore dell’impresa incriminata, nulla osta alla constatazione di un’infrazione quando quest’ultima risulta dimostrata.
(v. punti 51-52)
4. La questione se la motivazione di una sentenza del Tribunale sia contraddittoria o insufficiente costituisce una questione di diritto che può, in quanto tale, essere sollevata nell’ambito di un ricorso contro una pronuncia del Tribunale.
(v. punto 77)
5. Una dichiarazione resa in quanto rappresentante di una società e con la quale si riconosce l’esistenza di un’infrazione commessa da quest’ultima comporta rischi giuridici ed economici considerevoli, il che rende estremamente improbabile che essa sia fatta senza che il suo autore abbia potuto disporre di informazioni fornite dai dipendenti della società in questione che, da parte loro, hanno avuto cognizione diretta dei fatti addebitati. Pertanto, l’assenza di cognizione diretta dei fatti da parte del rappresentante stesso della società non incide sull’efficacia probatoria che il Tribunale ha potuto attribuire a siffatta dichiarazione.
(v. punto 103)
6. Nell’ambito di un ricorso d’impugnazione, le censure mosse in merito ad una motivazione sovrabbondante di una sentenza del Tribunale devono essere subito respinte, poiché una motivazione siffatta non può comportare l’annullamento della pronuncia.
(v. punto 106)
7. Il principio generale di diritto comunitario in forza del quale ogni persona ha diritto a un processo equo, ispirato all’art. 6, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e in particolare il diritto a un processo entro un termine ragionevole, è applicabile nell’ambito di un ricorso giurisdizionale avverso una decisione della Commissione che infligge ammende a un’impresa per violazione della normativa sulla concorrenza.
Il carattere ragionevole del termine è valutato alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso di specie e, in particolare, alla luce della posta in gioco nella controversia per l’interessato, della complessità del caso in esame, nonché del comportamento del ricorrente e di quello delle autorità competenti.
A questo proposito, l’elencazione dei detti criteri non è esaustiva e la valutazione del carattere ragionevole del termine non richiede un esame sistematico delle circostanze della causa alla luce di ciascuno di tali criteri quando la durata del procedimento risulti giustificata alla stregua di uno solo di essi. Pertanto, la complessità di una causa, caratterizzata dalla proposizione di numerosi ricorsi in diverse lingue processuali, che hanno dovuto essere esaminati in parallelo e hanno richiesto un’istruttoria approfondita, può essere considerata una valida giustificazione di un termine a prima vista troppo lungo.
(v. punti 115-117, 121)