CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

CHRISTINE STIX-HACKL

presentate il 12 maggio 2005 (1)

Causa C-416/02

Commissione delle Comunità europee

Coadiuvata da: Regno Unito

contro

Regno di Spagna

«Ricorso per inadempimento – Violazioni di diversi obblighi nell'ambito della tutela dell'ambiente nella regione Vera, provincia Almeria – Direttiva 75/442/CEE sui rifiuti – Nozione di rifiuti – Sterco – Direttiva 85/337/CEE sulla valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – Direttiva 80/68/CEE sulla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose – Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane – Direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole»





Indice

I – Introduzione

II – Contesto normativo

III – Fatti

IV – Fase precontenziosa e procedimento davanti alla Corte

V – Sulla violazione della direttiva sui rifiuti

A – Principali argomenti delle parti

B – Valutazione

1. Sull’applicabilità della direttiva in materia di rifiuti

VI – Sulla violazione della direttiva VIA

A – Principali argomenti delle parti

B – Sulla ricevibilità

C – Sulla fondatezza

VII – La violazione della direttiva sulle acque sotterranee

A – Principali argomenti delle parti

B – Analisi giuridica

VIII – La violazione della direttiva sulle acque reflue

A – Principali argomenti delle parti

B – Valutazione

IX – La violazione della direttiva sui nitrati

A – Principali argomenti delle parti

1. Valutazione

B – Sulla fondatezza

X – Spese

XI – Conclusioni

I –    Introduzione

1.     Nel presente procedimento per inadempimento, a causa di diversi danni ambientali e di diverse infrazioni per la maggior parte riconducibili ad un determinato stabilimento per l’allevamento intensivo dei suini situato in Spagna, la Commissione si vede obbligata a far valere nei confronti del Regno di Spagna a una serie di violazioni di cinque direttive concernenti la tutela ambientale.

2.     La Commissione ritiene che siano state violate le seguenti direttive concernenti la tutela ambientale:

direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (2), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (in prosieguo: la «direttiva sui rifiuti»);

direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (3) (in prosieguo: la «direttiva VIA»), modificata dalla direttiva del Consiglio 3 marzo 1997 (4), 97/11/CE (direttiva di modifica VIA);

direttiva del Consiglio 17 dicembre 1979, 80/68/CEE concernente la protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose (5) (in prosieguo: la «direttiva sulle acque sotterranee»);

direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, sul trattamento delle acque reflue urbane (6) (in prosieguo: la «direttiva sulle acque reflue»);

direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (7) (in prosieguo: la «direttiva sui nitrati»).

II – Contesto normativo

3.     La direttiva sui rifiuti, citata per estratto, prevede:

«Articolo 1

Ai sensi della presente direttiva si intende per:

a) “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi.

(…).

Articolo 2

1. Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:

(…)

b)      i rifiuti di seguito elencati, qualora già contemplati da altra normativa:

(…)

iii)      le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola;

(…).

Articolo 4

Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:

–       senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;

–       senza causare inconvenienti da rumori od odori;

–       senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.

Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».

L’articolo 9 impone a stabilimenti e ad imprese che depositano rifiuti sul o nel suolo l’obbligo di ottenere un’apposita autorizzazione.

L’articolo 13 impone adeguati controlli periodici nei confronti di tali stabilimenti e imprese.

4.     La versione originaria della direttiva VIA, citata per estratto, prevedeva:

«Articolo 2

1.      Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto.

(…).

Articolo 4

1. (…) i progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato I formano oggetto di valutazione ai sensi degli articoli da 5 a 10.

2. I progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato II formano oggetto di una valutazione ai sensi degli articoli da 5 a 10 quando gli Stati membri ritengono che le loro caratteristiche lo richiedano.

(…)».

La direttiva VIA, come modificata dalla direttiva di modifica VIA, qualora quest’ultima versione si consideri applicabile alla fattispecie, citata per estratto, prevede:

«Articolo 2

1. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, per i progetti per i quali si prevede un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, sia prevista un’autorizzazione ed una valutazione del loro impatto. Detti progetti sono definiti nell’articolo 4.

(…).

Articolo 4

1. Fatto salvo il paragrafo 3 dell’articolo 2, i progetti elencati nell’allegato I sono sottoposti a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10.

(…)».

5.     La direttiva sulle acque sotterranee, citata per estratto, prevede:

«Articolo 3

Gli Stati membri prevedono le misure necessarie per:

(…)

b)      limitare l’immissione nelle acque sotterranee di sostanze dell’elenco II al fine di evitare il loro inquinamento da parte di tali sostanze.

(…).

Articolo 5

1. Per soddisfare l’obbligo di cui all’articolo 3, lettera b), gli Stati membri sottopongono ad indagine preventiva

–      qualsiasi scarico diretto di sostanze dell’elenco II, in modo da limitare tali scarichi;

–       le operazioni di eliminazione o di deposito ai fini dell’eliminazione di dette sostanze che possano comportare uno scarico indiretto. 

(…).

Articolo 7

Le indagini preliminari di cui agli articoli 4 e 5 devono comprendere uno studio delle condizioni idrogeologiche della zona in questione e dell’eventuale capacità depurativa del suolo e del sottosuolo, dei rischi di inquinamento e di alterazione della qualità delle acque sotterranee da parte dello scarico, e stabilire se, dal punto di vista dell’ambiente, lo scarico in tali acque costituisce una soluzione adeguata».

6.     La direttiva sulle acque reflue, citata per estratto, prevede:

«Articolo 5

1. Per conseguire gli scopi di cui al paragrafo 2, gli Stati membri individuano, entro il 31 dicembre 1993, le aree sensibili secondo i criteri stabiliti nell’allegato II.

2. Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello descritto dall’articolo 4 al più tardi entro il 31 dicembre 1998 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e.

(…)».

7.     La direttiva sui nitrati, citata per estratto, prevede:

«Articolo 3

1. Le acque inquinate e quelle che potrebbero essere inquinate se non si interviene ai sensi dell’articolo 5 sono individuate dagli Stati membri conformemente ai criteri di cui all’allegato I.

2. Entro un periodo di due anni a decorrere dalla notifica della presente direttiva, gli Stati membri designano come zone vulnerabili tutte le zone note del loro territorio che scaricano nelle acque individuate in conformità del paragrafo 1 e che concorrono all’inquinamento. Essi notificano tale prima designazione alla Commissione entro sei mesi.

(…)

4. Gli Stati membri riesaminano e, se necessario, opportunamente rivedono o completano le designazioni di zone vulnerabili almeno ogni quattro anni, per tenere conto di cambiamenti e fattori imprevisti al momento della precedente designazione. Entro sei mesi essi notificano alla Commissione ogni revisione o aggiunta concernente le designazioni.

(…)».

III – Fatti

8.     Le violazioni del diritto comunitario fatte valere nel presente procedimento per inadempimento riguardano, da un lato – ossia per quel che concerne la direttiva sui rifiuti, la direttiva di modifica VIA e la direttiva sulle acque sotterranee –, direttamente uno stabilimento per l’allevamento intensivo di suini (in prosieguo: l' «azienda suinicola»), situato nel territorio del Comune di Vera, in provincia di Almería (Andalusia), in una zona denominata «El Pago de la Media Legua», nelle vicinanze dei fiumi Antas e Aguas, sfocianti nel Mediterraneo; dall’altro lato tali violazioni riguardano – per quel che concerne la direttiva sulle acque reflue e la direttiva sui nitrati – la più ampia zona nei dintorni di tale azienda suinicola, ossia il Comune di Vera ed il bacino idrografico della Rambla de Mojácar.

9.     L’azienda suinicola in questione esiste dal 1976 ed è stata successivamente ampliata fino alla sua grandezza attuale. All’epoca dei fatti in causa essa contava circa 3 400 capi di bestiame, di cui circa 600 suini. Essa è dotata di un serbatoio sotterraneo in cemento per la raccolta dei liquami con una capacità di 240 000 litri. Il liquame viene prelevato ogni quindici giorni e trasportato in cisterne su due aree, una di 80 ettari nei pressi di Las Alparatas de Mojácar, l’altra di 5 ettari nei pressi di Jara de la Vera, sulle quali viene scaricato.

10.   L’azienda suinicola viene ritenuta la principale responsabile dei miasmi dovuti allo spargimento dello sterco e al processo di putrefazione delle carogne, nonché dell’inquinamento della zona circostante, in particolare dei vicini fiumi e delle loro foci.

11.   Le parti concordano sul fatto che né prima della sua apertura, né tanto meno prima del suo ampliamento l’azienda suinicola è stata sottoposta ad una procedura di valutazione del suo impatto ambientale (segnatamente né ad una valutazione d’impatto ambientale, né ad un’ispezione idrogeologica riguardo alla possibile contaminazione delle acque sotterranee) e che non si è svolta alcuna procedura di autorizzazione e di controllo concernente i rifiuti.

IV – Fase precontenziosa e procedimento davanti alla Corte

12.   Nell’anno 2000, in seguito ad alcune denunce sui fastidi causati dall’azienda suinicola, la Commissione procedeva ad alcune ispezioni. Essendo pervenuta alla conclusione che riguardo all’azienda suinicola e alla regione interessata il Regno di Spagna avesse violato numerose direttive di tutela ambientale, con lettera di diffida 18 gennaio 2001 la Commissione invitava il governo spagnolo a prendere posizione al riguardo entro due mesi.

13.   Avendo ritenuto che la lettera di risposta 20 giugno 2001 del governo spagnolo non avesse fornito chiarimenti sul sospettato inadempimento, con lettera 26 luglio 2001 la Commissione inviava alle autorità spagnole un parere motivato, in cui si addebitava la violazione delle direttive citate nell’introduzione (8) e si sollecitava il Regno di Spagna ad adottare entro due mesi le misure necessarie per conformarvisi. Il governo spagnolo replicava con lettera 4 ottobre 2001.

14.   Ritenendo che il Regno di Spagna non avesse adempiuto agli obblighi ad esso incombenti, con atto introduttivo 15 novembre 2002, depositato nella cancelleria della Corte il 19 novembre 2002, la Commissione proponeva contro il Regno di Spagna un ricorso alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 226 CE.

15.   La Commissione chiede:

1.      di dichiarare che il Regno di Spagna,

a)      non avendo adottato le misure necessarie per garantire l’adempimento degli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 4, 9 e 13 della direttiva 75/442/CEE, modificata dalla direttiva 91/156/CEE, avendo quindi omesso di prendere i provvedimenti necessari per garantire che i rifiuti prodotti dall’azienda suinicola sita nella località denominata «El Pago de la Media Legua», venissero recuperati o smaltiti senza mettere in pericolo la salute umana, né recare danno all’ambiente circostante, e inoltre non avendo neppure rilasciato alla detta azienda l’autorizzazione richiesta dalla direttiva, né effettuato i controlli periodici obbligatori per le aziende del tipo suddetto,

b)      non avendo effettuato, in contrasto con quanto disposto dagli artt. 2 e 4, n. 2, della direttiva 85/337/CEE, nella versione originaria o in quella modificata dalla direttiva 97/11/CE, una valutazione d’impatto ambientale, né prima della realizzazione, né prima dell’ampliamento di tale progetto,

c)      non avendo effettuato nella zona interessata dall’inquinamento gli studi idrogeologici necessari ai sensi degli artt. 3, lett. b), 5, n. 1, e 7, della direttiva 80/68/CEE,

d)      non avendo sottoposto le acque reflue urbane del Comune di Vera ad un trattamento più rigoroso di quello descritto dall’art. 4, n. 2, della direttiva 91/271/CEE, e

e)      non avendo dichiarato la Rambla de Mojácar zona vulnerabile, in contrasto con quanto disposto dall’art. 3, nn. 1, 2, e 4 della direttiva 91/676/CEE,

         è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza delle succitate direttive;

2.      di condannare il Regno di Spagna alle spese.

V –    Sulla violazione della direttiva sui rifiuti

A –    Principali argomenti delle parti

16.   La Commissione sostiene che l’azienda suinicola in questione produce grandi quantità di rifiuti, segnatamente sterco e carogne. In mancanza di diversa disciplina comunitaria in materia, il trattamento di tali rifiuti rientra nell’ambito di applicazione della direttiva sui rifiuti. Come riconosciuto dal governo spagnolo nel corso del procedimento precontenzioso, contrariamente a quanto previsto dall’art. 9 della suddetta direttiva, l’allevamento suinicolo è sprovvisto della necessaria autorizzazione per il deposito dei rifiuti. Inoltre, il Regno di Spagna ha omesso di assicurare il recupero o lo smaltimento dei suddetti rifiuti prodotti dall’azienda suinicola, conformemente all’art. 4 della direttiva sui rifiuti. Il governo spagnolo non ha contestato l’esistenza di miasmi sprigionati da tali rifiuti, né il loro spargimento incontrollato sui terreni intorno all’azienda suinicola. Infine, non vi è alcun indizio del fatto che sia stato effettuato qualcuno dei controlli obbligatori previsti dall’art. 13 della direttiva.

17.   Nella fattispecie lo spargimento dello sterco non costituisce affatto un’attività di recupero tipica dell’attività agricola, giacché, come il governo spagnolo ha confermato, esso viene effettuato ogni 14 giorni. Quindi esso non costituisce una buona pratica agricola. Difatti il governo spagnolo non ha mai indicato il tipo di coltivazione effettuata sui due terreni interessati. Anche qualora i suddetti terreni venissero coltivati, essi presenterebbero un eccesso di azoto a causa dello sterco ivi cosparso. Inoltre tale spargimento avviene tutto l’anno, senza tenere conto dei periodi vegetativi.

18.   A questo riguardo la Commissione riconosce che lo sterco, che secondo buona pratica agricola viene impiegato come fertilizzante nell’ambito della stessa azienda agricola, possa rappresentare un sottoprodotto dell’attività agricola, di cui l’azienda non voglia «disfarsi» nel senso della direttiva e che, quindi, non debba essere qualificato come rifiuto. Tuttavia, nella fattispecie ci si disfa dello sterco spargendolo su campi distanti rispettivamente tre e dodici chilometri. Riguardo alle carcasse di animali, è escluso che si possa parlare di un loro recupero nell’ambito dell’attività agricola.

19.   Alle osservazioni del governo spagnolo riguardanti l’applicabilità della disposizione speciale contenuta nell’art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva sui rifiuti, la Commissione ha replicato che non esiste alcun’altra disposizione comunitaria generale in materia e che, quindi, la deroga non è applicabile. In genere, eventuali disposizioni nazionali non rappresentano un’«altra normativa» ai sensi della succitata disposizione; d’altra parte, le norme indicate dal governo spagnolo non soddisfano i requisiti stabiliti dalla direttiva.

20.   Il governo del Regno Unito, concorda con la Commissione sull’avvenuta violazione della direttiva sui rifiuti da essa denunciata, ma sulla base di un’analisi giuridica in parte diversa della nozione di rifiuto. Esso sostiene la tesi secondo cui in linea di principio lo spargimento di escrementi animali su terreni agricoli, in quanto metodo di concimazione tradizionale, non costituisce un disfarsi di un rifiuto di cui all’art. 1, lett. a), della direttiva sui rifiuti. Invero, ogniqualvolta sia certo che lo sterco sia successivamente utilizzato nell’attività agricola come fertilizzante, indipendentemente dal fatto che la concimazione avvenga all’interno dello stesso stabilimento agricolo oppure nei campi limitrofi, allora tali escrementi costituiscono un sottoprodotto dell’attività agricola di cui l’azienda non si vuole disfare secondo la nozione di rifiuto. Laddove però – come nel caso di specie – si ottenga una quantità eccessiva di sterco e quest’ultimo venga sparso anche durante l’inverno e nei periodi di riposo, in tal caso non si tratta di una concimazione secondo buona pratica agricola, dovendosi invece considerare tale spargimento come il disfarsi di un rifiuto.

21.   Il governo spagnolo non contesta i fastidi causati dai miasmi. Esso sostiene tuttavia la tesi secondo cui la direttiva sui rifiuti non trova applicazione nel caso di un’azienda suinicola quale quella oggetto della presente controversia. Inoltre esso sostiene che lo spargimento dello sterco su terreni agricoli è un metodo collaudato di concimazione naturale e, quindi, che esso non debba essere considerato come un disfarsi di un rifiuto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva. Esso contesta inoltre il fatto che sulla base della quantità di feci animali giornalmente ottenute si possa desumere che lo sterco venga sparso in quantità eccessive. La concimazione con sterco è molto utile in primavera, giacché il suolo assorbe particolarmente bene le sostanze nutritive; spargendo lo sterco nei periodi di riposo si prepara invece il suolo alle successive fasi di coltivazione.

22.   In subordine – qualora la Corte dovesse ritenere la direttiva sui rifiuti in linea di principio applicabile – il governo spagnolo sostiene che la disposizione speciale di cui all’art. 2, n. 1, lett. b) trova parimenti applicazione. Difatti, ai sensi di questa disposizione speciale, la direttiva sui nitrati rappresenta un’«altra normativa», giacché questa direttiva riguarda l’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, nonché i danni ambientali consistenti in un’eventuale eccessiva concentrazione di nitrati nelle acque sotterranee e causati dallo spargimento sui terreni delle deiezioni del bestiame. Infine, la suddetta disposizione speciale è applicabile anche laddove esistano norme giuridiche nazionali in materia. Questo è il caso della Spagna, giacché tale azienda suinicola rientra nell’ambito di applicazione di numerose disposizioni giuridiche spagnole concernenti i rifiuti.

B –    Valutazione

1.      Sull’applicabilità della direttiva in materia di rifiuti

23.   Prima di poter accertare se siano stati violati, come asserito dalla Commissione, gli artt. 4, 9, e 13, della direttiva sui rifiuti, bisogna innanzitutto chiarire se e in che misura le sostanze oggetto del presente procedimento – segnatamente sterco e carogne –, in quanto «rifiuti», rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva sui rifiuti.

a)      Sulla qualificazione come «rifiuto» ai sensi della direttiva sui rifiuti

24.   L’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva sui rifiuti, definisce «rifiuto» «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».

25.   Come la Corte ha già dichiarato, il suddetto allegato ed il catalogo europeo dei rifiuti (CER) – quest’ultimo, al codice 020106, menziona «feci animali, urine e sterco» – spiegano e chiariscono questa definizione per mezzo di elenchi in cui sono indicati sostanze e materiali che possono essere classificati come rifiuti, e hanno, pertanto, carattere meramente indicativo (9).

26.   Secondo costante giurisprudenza, l’effettiva qualificazione di sostanze e materiali come rifiuti ai sensi della direttiva dipende, quindi, dal fatto che il detentore delle sostanze e dei materiali in questione se ne disfi, o abbia deciso oppure abbia l’obbligo di disfarsene. Di conseguenza, l’ambito di applicazione della nozione di «rifiuto» dipende dal significato dell’espressione «disfarsi» (10).

27.   A tal proposito bisogna tener presente, come ha giustamente rilevato il governo britannico, che dal semplice fatto che una sostanza come lo sterco venga sottoposta ad una delle operazioni di recupero ricapitolate nell’allegato II B della direttiva sui rifiuti, come l’operazione R10 del suddetto allegato, denominata «Spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia, comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche» (11), non discende automaticamente che tale operazione consiste nel «disfarsene» e che quindi tale sostanza va considerata un rifiuto ai sensi della direttiva (12). Al contrario, l’impiego di una sostanza nel modo sopradescritto va considerata piuttosto come «recupero» ai sensi della direttiva, se ed in quanto si riferisce alla sostanza come «rifiuto» (13).

28.   Invece, per chiarire la questione se una sostanza possa qualificarsi come rifiuto in quanto il suo detentore se ne disfa, o ha deciso o ha l’obbligo di disfarsi, si deve procedere ad una valutazione complessiva di tutte le circostanze che tenga conto dello scopo della direttiva sui rifiuti e che cerchi di non pregiudicarne l’efficacia (14). Dalla giurisprudenza si ricavano alcuni punti di riferimento oppure criteri utili per la suddetta analisi.

29.   Così la Corte ha considerato un indizio del fatto che il detentore di tale sostanza se ne disfi, o abbia deciso oppure abbia l’obbligo di disfarsene, tra l’altro, la circostanza che la sostanza impiegata fosse un residuo di produzione, cioè un prodotto che, in quanto tale, non si è voluto produrre allo scopo di poterlo successivamente utilizzare (15).

30.   Secondo costante giurisprudenza della Corte, nel caso di una sostanza derivante da un processo di produzione che non è principalmente destinato a produrla, la suddetta analisi può anche portare alla conclusione che tale sostanza sia non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l’impresa non ha intenzione di “disfarsi”, ma che intende sfruttare o commercializzare a condizioni per essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari (16).

31.   Per ciò che concerne le carogne – e non anche, si noti bene, la carne dei maiali, che è destinata ad ulteriori impieghi quali il suo consumo –, si tratta evidentemente di un mero residuo dell’allevamento dei suini, per il quale un ulteriore impiego non è stato affermato dal governo spagnolo né è ipotizzabile. Sembra piuttosto che l’unico impiego possibile delle carogne consista nella loro distruzione (17), dovendosi quindi ritenere che il responsabile dell’allevamento dei suini si disfi o abbia deciso oppure abbia l’obbligo di disfarsi delle carogne e che, dunque, esse siano, fondamentalmente, «rifiuti» ai sensi della direttiva sui rifiuti.

32.   Più diversificata deve essere l’analisi della qualità di rifiuto dello sterco, che, in primo luogo, costituisce indubbiamente un residuo di produzione derivante dall’allevamento dei suini e che sicuramente non rappresenta la finalità (primaria) di quest’ultimo, ma per il quale è ipotizzabile un impiego nell’agricoltura come fertilizzante e che, dunque, può essere considerato un sottoprodotto di cui l’azienda non vuole «disfarsi» ai sensi della nozione di rifiuto accolta dalla direttiva.

33.   Tuttavia la Corte, al fine di limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura ed in considerazione dell’obbligo di un’interpretazione estensiva della nozione di «rifiuto», ha circoscritto il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti della produzione vera e propria a fattispecie nelle quali il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma anche certo, senza trasformazione preliminare nel corso del processo di produzione (18).

34.   Per chiarire si rimanda qui alla sentenza AvestaPolarit, nella quale la Corte ha effettuato una distinzione tra residui provenienti dall’estrazione che, senza trasformazione preliminare nel processo di produzione, sono utilizzati per assicurare un necessario riempimento delle gallerie, e altri residui. La Corte ha qualificato i primi come sottoprodotti non rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva sui rifiuti, poiché essi vengono utilizzati come materiali nell’attività mineraria vera e propria e, dato che il loro detentore ne ha bisogno per lo svolgimento della sua attività principale, essi non possono essere considerati come sostanze di cui il detentore si disfi o si voglia disfare (19).

35.   Alla luce dei succitati criteri individuati dalla giurisprudenza, risultano, in effetti, ipotizzabili casi in cui lo sterco ottenuto in uno stabilimento agricolo non sia da considerare come rifiuto ai sensi della direttiva, ma alla precisa condizione che sia certo che esso venga reimpiegato «senza trasformazione preliminare nel corso del processo di produzione», e cioè a vantaggio dell’agricoltura, e che, dunque, esso venga sparso come concime (non essendo, in genere, ipotizzabile alcun altro impiego appropriato).

36.   Si potrebbe, ad esempio, pensare ad un’azienda agricola tradizionale, nella quale il bestiame ivi allevato viene nutrito principalmente con il raccolto dei campi, i quali, a loro volta, vengono concimati con lo sterco, venendosi così a creare, come hanno più volte sottolineato i governi partecipanti al presente procedimento riguardo allo spargimento di sterco, un naturale ciclo ecologico. Indubbiamente anche in questo caso ha luogo uno smaltimento di feci animali, ma, allo stesso tempo, la concimazione concorre alla finalità produttiva vera e propria dell’attività agricola, se non ne costituisce persino condizione necessaria: la concimazione è indispensabile all’ottenimento di una congrua quantità di raccolto, il quale viene impiegato anche nell’allevamento di almeno alcuni capi di bestiame utile. Un ciclo naturale si caratterizza appunto per il fatto che all’interno della catena produttiva i diversi prodotti – per quanto semplici «residui» della produzione principale – si condizionano a vicenda giacché derivano gli uni dagli altri, essendo pertanto reciprocamente necessari.

37.   A mio parere, in un caso siffatto, lo sterco deve essere considerato un sottoprodotto dell’allevamento del bestiame che – al pari dei residui provenienti dall’estrazione utilizzati per il riempimento delle gallerie nelle miniere – è impiegato nell’attività agricola vera e propria, per la quale esso è necessario, e che esso non deve essere considerato una sostanza di cui il detentore si voglia disfare.

38.   Per converso, se lo sterco venisse impiegato, ad esempio, in misura superiore a quella necessaria alla concimazione effettuata secondo buona pratica agricola, oppure se esso venisse sparso su un terreno la cui fertilizzazione è inutile, ad esempio, perché, il terreno è incolto oppure perché esso è stato lasciato a maggese, in tal caso ci sarebbero sufficienti indizi per presumere che il detentore dello sterco se ne voglia disfare.

39.   Su questa linea, anche la Corte ha sostenuto, riguardo ai residui provenienti dall’estrazione, che nel caso in cui un loro impiego nel riempimento delle gallerie all’interno delle miniere sia «sbagliato» – in particolare laddove un tale impiego sia vietato per ragioni di sicurezza o di tutela ambientale e per la chiusura ed il sostegno delle gallerie bisogna procedere diversamente – si dovrebbe allora ritenere che il detentore abbia l’obbligo di disfarsene e che essi siano rifiuti (20).

40.   Per quel che riguarda la fattispecie qui in esame, si è in presenza di un allevamento intensivo di suini, i cui escrementi vengono trasportati su appezzamenti di terreno poco distanti, su cui poi vengono sparsi. Dagli atti della causa risulta che tale spargimento di sterco avviene regolarmente ogni due settimane ed è evidente che la quantità cosparsa dipende esclusivamente dalla quantità ottenuta all’interno dell’azienda suinicola, a prescindere dai periodi vegetativi o dalle stagioni. Non si può stabilire con certezza se i campi in questione siano o meno del tutto incolti e, quindi, se la concimazione non sia affatto necessaria, oppure se lo sia almeno in determinati periodi. D’altra parte il governo spagnolo non ha contestato il fatto che almeno una parte dei campi in questione è lasciata a maggese. Ad ogni modo, il governo spagnolo non ha dedotto nulla che lasci presumere che l’azienda suinicola ottenga oppure intenda ottenere un raccolto. Non risulta, né tanto meno è certo, che lo sterco venga reimpiegato come fertilizzante.

41.   Considerate le circostanze, a mio parere si deve ritenere che l’azienda suinicola in questione voglia disfarsi dello sterco, e, dunque, che questo deve essere considerato un rifiuto ai sensi della direttiva sui rifiuti.

42.   Bisogna, inoltre, sottolineare che dalla circostanza che una sostanza venga impiegata in modo tale da non recare danni all’ambiente né alla salute umana non si può dedurre che questa sostanza non sia un rifiuto. Senza dubbio il suo impiego sicuro o innocuo riveste importanza sotto l’aspetto dell’adempimento dei diversi obblighi imposti dalla direttiva – ad esempio, riguardo alla questione se sussista o meno l’obbligo di autorizzazione oppure riguardo alla frequenza dei controlli –, ma di per sé non è sufficiente ad escludere che si sia in presenza di un «disfarsi» (21).

43.   È quindi a questo punto superfluo accertare se lo spargimento dello sterco sui campi in questione possa determinare o meno un’eccessiva fertilizzazione azotata e, in generale, se in Spagna, tenendo conto della natura del suolo, in determinati casi si possa giustificare o meno una concimazione anche al di fuori dei periodi vegetativi.

44.   Da quanto detto in precedenza deve concludersi che sia le carogne, sia lo sterco in questione costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva sui rifiuti.

b)      Sulla disposizione speciale dell’art. 2, n. 1, lett. b), punto iii), della direttiva sui rifiuti

45.   A questo punto bisogna accertare se i rifiuti in questione, sulla base della disposizione speciale contenuta nell’art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva sui rifiuti, siano esclusi dal suo ambito di applicazione.

46.   Questa disposizione si riferisce, in generale, tanto alle «carogne», quanto ai «rifiuti agricoli» che siano «materie fecali e altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola».

47.   Non ho dubbi sul fatto che, in linea di principio, tanto le carcasse dei maiali in questione, quanto i loro escrementi, rientrino nell’ambito di applicazione della suddetta disposizione speciale. Ai sensi di questa disposizione speciale, la direttiva sui rifiuti non trova applicazione nei confronti di rifiuti siffatti, «qualora già contemplati in altra normativa». Occorre quindi accertare se esista un’«altra normativa» che disciplini appositamente i rifiuti suddetti.

48.   Al riguardo il governo spagnolo ha fatto riferimento, da un lato, ad una regolamentazione comunitaria, ossia alla direttiva sui nitrati e, dall’altro, a numerose disposizioni nazionali.

49.   A mente della sentenza nella causa AvestaPolarit, ai sensi della disposizione speciale sopra citata, per «altra normativa» si intendono tanto le norme comunitarie specifiche, quanto le disposizioni nazionali speciali (22).

50.   Tuttavia, a prescindere dalla questione se la suddetta disciplina speciale sia comunitaria oppure nazionale, in nessun caso è sufficiente che essa si occupi solo in linea generale dei rifiuti in questione. Piuttosto, una disciplina apposita non solo deve riguardare la loro «gestione» come rifiuti ai sensi dell’art. 1, lett. d), della direttiva sui rifiuti, ma deve anche prefiggersi i suoi medesimi obiettivi, nonché tendere ad un livello di tutela ambientale quantomeno equiparabile a quello perseguito dalla direttiva (23).

51.   Per quel che concerne la direttiva sui nitrati menzionata dal governo spagnolo, come ha giustamente rilevato la Commissione, si deve ritenere che la suddetta direttiva persegua scopi diversi da quelli della direttiva sui rifiuti e che essa non disciplini (esaurientemente) la gestione di sterco o di carogne, secondo quanto stabilito dall’art. 1, lett. d), della direttiva sui rifiuti. Difatti, la direttiva sui nitrati prevede non tanto un controllo degli stabilimenti che producono rifiuti, quanto piuttosto un controllo dell’ambiente eventualmente danneggiato da tali stabilimenti. Essa non impone agli stabilimenti che producono rifiuti alcun obbligo specifico di autorizzazione analogo a quello previsto dalla direttiva sui rifiuti. Inoltre, il controllo previsto dalla direttiva sui nitrati riguarda solo le acque colpite, ma non anche la protezione dell’aria, del suolo, della flora e della fauna, menzionata nell’art. 4 della direttiva sui rifiuti. Infine, la direttiva sui nitrati non contempla né gli eventuali inconvenienti da rumori o odori, né la deturpazione del paesaggio. 

52.   Il governo spagnolo ha citato i decreti regi n. 261/1996 e n. 324/2000 in quanto disposizioni nazionali applicabili in materia di deiezioni animali, e – in udienza – ha fatto inoltre riferimento a due regolamenti ministeriali, 20 ottobre 1980 e 22 febbraio 2001, che riguarderebbero le carcasse di animali.

53.   Al riguardo si deve rilevare che il governo spagnolo si è semplicemente limitato a far riferimento all’applicabilità delle succitate disposizioni, che peraltro non ha presentato alla Corte, senza precisare se tali disposizioni disciplinino lo sterco e le carogne non solamente in relazione a singoli oggetti, ma anche relativamente alla loro gestione ai sensi dell'art. 1, lett. d) della direttiva sui rifiuti e se garantiscano una tutela ambientale di equivalente livello. Il governo spagnolo non ha neppure contestato la dettagliata inchiesta della Commissione, in cui quest’ultima è pervenuta alla conclusione che non esiste alcuna disposizione nazionale conforme ai suddetti criteri.

54.   Per quel che concerne in particolare il decreto regio n. 261/1996, stando a quanto affermato dal governo spagnolo, esso costituisce la trasposizione a livello nazionale della direttiva sui nitrati, la quale, tuttavia, come detto sopra, al paragrafo 51, già di per sé non costituisce una disposizione conforme ai requisiti della direttiva sui rifiuti.

55.   Secondo quanto dichiarato dal governo spagnolo, il decreto regio n. 324/2000 non era ancora in vigore alla data rilevante per l'accertamento di un inadempimento.

56.   Infine, il governo spagnolo ha sostenuto che, secondo il diritto nazionale – e, come detto sopra, diversamente dalla direttiva sui rifiuti – lo sterco non è considerato per nulla un rifiuto, cosicché sussistono dubbi sul fatto che nella normativa nazionale sia disciplinata la gestione dello sterco quale rifiuto.

57.   Per quel che riguarda i regolamenti ministeriali, che dovrebbero rappresentare le disposizioni nazionali di trasposizione nel diritto nazionale della direttiva sui rifiuti in materia di carcasse di animali, il governo spagnolo si è limitato ad affermare che i suddetti regolamenti sono stati emanati per combattere la peste suina e che il regolamento ministeriale 22 febbraio 2001 autorizza, a determinate condizioni, il sotterramento delle carcasse in fosse riempite con calce viva. A giudicare sulla base di tale succinta esposizione, i suddetti regolamenti non costituiscono disposizioni che disciplinano la gestione delle carogne come rifiuti secondo quanto disposto dalla direttiva sui rifiuti.

58.   Si deve quindi concludere che, né a livello comunitario, né a livello nazionale esistono disposizioni speciali che regolano la presente fattispecie, il cui contenuto soddisfi i requisiti di cui all’art. 2, n. 1, lett. b), punto iii), della direttiva sui rifiuti.

59.   Ne consegue che tale disposizione speciale non è in alcun modo applicabile alla presente fattispecie. Appare quindi superflua l’analisi degli argomenti della Commissione, secondo cui la giurisprudenza risultante dalla causa AvestaPolarit dovrebbe essere modificata, nel senso che, ai sensi della suddetta disposizione speciale, per «altra normativa» devono intendersi esclusivamente le disposizioni comunitarie.

c)      Sulla violazione degli artt. 4, 9, e 13, della direttiva

60.   Per quel che concerne, innanzitutto, le censure sollevate dalla Commissione, secondo cui l’azienda suinicola in questione non solo è priva dell’autorizzazione necessaria ai sensi dell’art. 9, ma non è stata neanche oggetto dei controlli periodici necessari ai sensi dell’art. 13 per tali stabilimenti, si deve rilevare che il governo spagnolo non ha contestato né il fatto che l’azienda suddetta non sia stata sottoposta ad alcuna procedura di autorizzazione per il deposito dei rifiuti, né il fatto che nei suoi confronti non siano stati effettuati gli appositi controlli.

61.   Per questa ragione e, inoltre, poiché – come sopra esposto – si deve respingere la tesi dell’inapplicabilità della direttiva sui rifiuti al caso della suddetta azienda suinicola, si considera, dunque, fondata la censura di violazione degli artt. 9 e 13 della direttiva sui rifiuti.

62.   La Commissione contesta inoltre al Regno di Spagna il fatto che quest’ultimo abbia omesso di adottare le misure necessarie ai sensi dell’art. 4 della direttiva sui rifiuti, per assicurare il recupero o lo smaltimento dei rifiuti, segnatamente dello sterco e delle carogne, provenienti dalla suddetta azienda suinicola, senza pericolo per la salute umana o pregiudizio per l’ambiente.

63.   Il governo spagnolo ha limitato le sue osservazioni quasi esclusivamente al fatto che lo sterco non costituisce un rifiuto, soffermandosi appena sulle singole censure. Inoltre esso ha ripetutamente messo in dubbio l’attendibilità e la pertinenza di numerosi indizi riguardanti il deposito ed il recupero dello sterco e delle carogne, di cui la Commissione si è servita per dimostrare l’inadempimento, ma, in ultima analisi, esso non ha per nulla contestato l’esistenza di tali fatti.

64.   In particolare, il governo spagnolo non si è pronunciato sull’esistenza di un serbatoio – troppo piccolo secondo la Commissione – per il deposito delle carogne, né tanto meno ha contestato quanto sostenuto dalla Commissione sul loro smaltimento incontrollato nei terreni intorno all’azienda suinicola, che, come ulteriore conseguenza, ha determinato forti esalazioni moleste.

65.   Il governo spagnolo ha semmai riconosciuto che l’impiego di sterco, al pari di «qualsiasi altro materiale organico», è inevitabilmente causa di sgradevoli esalazioni.

66.   Il governo spagnolo non ha neppure contestato il fatto che dall’allevamento dei suini in questione si ottengono giornalmente circa 12 m3 di sterco, che il serbatoio dello sterco viene svuotato ogni due settimane, e che lo sterco viene scaricato su due particelle di terreno dall’area complessiva di 85 ettari. Da quanto dichiarato dal governo spagnolo e dagli atti non risulta che una parte dello sterco venga impiegata diversamente, cosicché la totalità degli escrementi di circa 3 400 capi di bestiame ottenuta all’interno dell’azienda suinicola in questione viene scaricata su un terreno di area pari a 85 ettari, durante tutto l’anno e indipendentemente dai periodi vegetativi, e malgrado il fatto che almeno una parte dei campi interessati sia lasciata a maggese.

67.   Per quanto le dichiarazioni del governo spagnolo relative al metodo «año y vez», comunemente praticato nella coltivazione delle granaglie e consistente nel coltivare i campi esclusivamente ad intervalli biennali, possano chiarire le ragioni per cui i campi interessati siano lasciati in parte a maggese, oppure il fatto che, in linea di principio, essi vengano comunque coltivati, tuttavia, a mio parere, esse non infirmano le osservazioni della Commissione, secondo cui siffatto spargimento di sterco non costituisce una buona pratica agricola ed è causa di un’eccessiva concimazione. Il codice di buona pratica agricola adottato dalla Junta de Andalucía, al quale, tra l’altro, ha fatto riferimento la Commissione, che vieta la concimazione durante tutto l’anno, benché giuridicamente non vincolante per l’azienda suinicola, rappresenta, tuttavia, quantomeno un indizio contro il fatto che lo spargimento di sterco di cui trattasi costituisce un metodo di concimazione ecocompatibile.

68.   Il governo spagnolo ha inoltre dichiarato che, attualmente, si sta procedendo contro l’azienda suinicola, di cui esso ha previsto la chiusura imminente. A questo proposito basti osservare che, secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere accertata alla luce della situazione di fatto in cui lo Stato membro in questione si trovava al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei cambiamenti successivamente intervenuti (24).

69.   Va infine osservato che l’azienda suinicola in questione è attiva sin dal 1976 e, per lo meno nell’arco di tempo fino alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, non risulta che le autorità spagnole abbiano in concreto adottato nei confronti dell’azienda suinicola in questione alcun provvedimento giuridico concernente i rifiuti.

70.   Per queste ragioni e in mancanza di controrepliche convincenti da parte del governo spagnolo, pur tenendo conto del potere discrezionale conferito agli Stati membri in forza dell’art. 4, della direttiva sui rifiuti (25), deve considerarsi fondata la censura della Commissione riguardante la violazione del suddetto articolo.

71.   Si deve, quindi, ritenere che il Regno di Spagna abbia violato gli artt. 4, 9 e 13, della direttiva sui rifiuti.

VI – Sulla violazione della direttiva VIA

A –    Principali argomenti delle parti

72.   Con il secondo motivo di ricorso la Commissione contesta al Regno di Spagna il fatto di avere omesso di effettuare una valutazione d’impatto ambientale prima della costruzione, ovvero prima del successivo ampliamento dell’azienda suinicola in questione, e di avere, in tal modo, violato gli artt. 2 e 4, n. 2, della direttiva VIA, nella sua versione originaria o in quella modificata dalla direttiva di modifica VIA.

73.   Essa sostiene che, a causa del negativo impatto ambientale (segnatamente miasmi ed inquinamento idrico) dovuto alle sue dimensioni e alla sua collocazione l’azienda suinicola in questione avrebbe dovuto essere sottoposta ad una preventiva valutazione d’impatto ambientale. Dalla replica del governo spagnolo risulta, invece, che tale stabilimento non è stato sottoposto ad alcun siffatto controllo né prima della sua costruzione – avvenuta in epoca anteriore alla direttiva di modifica VIA, ossia all’epoca in cui era in vigore la versione originaria della direttiva VIA – né dopo il suo ampliamento –, ossia al tempo in cui la direttiva di modifica VIA avrebbe dovuto già essere trasposta.

74.   Il governo spagnolo contesta la ricevibilità della suddetta censura affermando che la Commissione non ha indicato con chiarezza la versione della direttiva VIA che si assume violata. In subordine, esso sostiene l’applicabilità della versione modificata della direttiva, giacché la trasposizione della direttiva di modifica VIA ha dovuto essere effettuata entro il 14 marzo 1999, e, come si evince dal parere motivato, il momento determinante ai fini dell’accertamento dell’avvenuta violazione del trattato è il 26 settembre 2001.

75.   Esso sostiene che l’azienda suinicola in questione non presenta le caratteristiche di un progetto ai sensi dell’allegato I, n. 17, lett. b), della direttiva VIA, nella sua versione modificata. Inoltre, esso rileva che la costruzione dell’azienda suinicola è avvenuta nel 1976, ossia prima dell’adesione della Spagna alla Comunità europea, e che solo dal 1996, in occasione della richiesta di autorizzazione presentata al Comune allo scopo di regolarizzare la posizione giuridica dello stabilimento, nonché allo scopo di ampliarlo, è sorto il problema di una valutazione d’impatto ambientale ai sensi della legge andalusa n. 7/1994. Tale richiesta di autorizzazione ha portato ad un parere negativo sull’impatto ambientale dello stabilimento, che a sua volta ha determinato l’apertura di un procedimento sanzionatorio, che potrebbe concludersi con la chiusura dello stabilimento.

76.   La Commissione sostiene di aver fatto riferimento ad entrambe le versioni della direttiva, dal momento che il governo spagnolo durante la fase precontenziosa non le ha fornito alcuna informazione sulle date di costruzione e ampliamento dell’azienda suinicola in questione. Nella replica essa circoscrive la sua censura all’ampliamento dell’azienda suinicola e precisa che, sulla scorta delle informazioni contenute nel controricorso, l’accertamento dell’inadempimento deve avvenire in relazione alla versione originaria della direttiva VIA, poiché, avendo l’azienda suinicola presentato una richiesta di autorizzazione solo il 26 marzo 1999 (e non già nel 1996), si deve presumere che i lavori di ampliamento siano stati effettuati anteriormente a tale data.

77.   Tuttavia, qualora la Corte dovesse ritenere applicabile la direttiva di modifica VIA, la Commissione mantiene ferma, in subordine, la censura riguardante la violazione della suddetta direttiva di modifica.

78.   La Commissione contesta le dichiarazioni del governo spagnolo riguardanti il fatto che l’ampliamento dell’azienda suinicola sia stato oggetto di una valutazione d’impatto ambientale ai sensi della legge andalusa n. 7/1994, sostenendo che siffatta valutazione è stata condotta una volta ultimati i lavori di ampliamento anziché, come invece sarebbe stato necessario, prima del loro inizio.

B –    Sulla ricevibilità

79.   Riguardo all’eccezione d’irricevibilità sollevata dal governo spagnolo, si deve innanzitutto rilevare che quest’ultimo non addebita alla Commissione di aver omesso di comunicargli, come stabilito affinché si svolga un regolare procedimento d’infrazione, gli elementi necessari per predisporre la sua difesa (26). In particolare, non si riscontra alcuna divergenza inammissibile tra il parere motivato e il ricorso, né alcun ampliamento o modifica dell’oggetto della controversia (27), poiché la Commissione, tanto nel parere motivato, quanto nel ricorso, si è riferita alla versione originaria e, in alternativa, alla versione modificata della direttiva VIA.

80.   Qui bisogna piuttosto chiarire se il ricorso medesimo soddisfi o meno le condizioni per la sua ricevibilità.

81.   Secondo costante giurisprudenza, in un ricorso a norma dell’art. 226 CE, la Commissione deve indicare le censure esatte sulle quali la Corte è chiamata a pronunciarsi, nonché, quantomeno sommariamente, gli elementi di fatto e di diritto sui quali dette censure si fondano. In particolare, essa deve precisare i fatti e le circostanze che sarebbero all’origine dell’infrazione contestata in modo tale da permettere alla Corte di giudicare sulla controversia come le è stata sottoposta dalla Commissione (28).

82.   Nel presente caso, dal ricorso della Commissione si evince che essa censura la circostanza che l’azienda suinicola in questione sia stata costruita e ampliata in assenza di una valutazione d’impatto ambientale. Inoltre, la Commissione precisa che in questo vede la violazione degli artt. 2 e 4, della direttiva VIA, quantunque essa faccia riferimento alla versione originaria «o» modificata di tale direttiva, poiché, come ha avuto occasione di chiarire, non è a conoscenza delle date esatte in cui si sono verificate le violazioni.

83.   A mio parere, riguardo alla censura in questione, la descrizione dell’oggetto della controversia nel ricorso è sufficiente a soddisfare le condizioni per la sua ricevibilità. È evidente che la Commissione chiede che la Corte accerti, in relazione alla versione originaria o a quella modificata della direttiva, se sulla base delle circostanze indicate dalla Commissione sia stata o meno violata la normativa comunitaria. Pertanto la congiunzione «o» deve essere considerata piuttosto come «e/o». In tal modo la Commissione avrebbe potuto censurare separatamente, come violazione sia della versione originaria, sia della versione modificata della direttiva, la mancata esecuzione di una valutazione d’impatto ambientale nei confronti dell’azienda suinicola tanto all’epoca della sua costruzione, quanto all’epoca del suo ampliamento, evitando così che una delle due censure venisse dichiarata irricevibile. Semmai, è probabile che una delle due censure sarebbe stata dichiarata infondata a causa della mancata indicazione dell’ambito di applicazione temporale della relativa versione della direttiva.

84.   Nel caso di specie è parimenti necessario accertare nell’ambito della fondatezza sia la questione relativa al tempo dell’inadempimento, sia quella relativa all’applicabilità della versione della direttiva confacente alla fattispecie. Pertanto, le indicazioni lacunose da parte della Commissione possono eventualmente far sorgere il problema dell’insufficiente motivazione della censura, ma non quello della sua ricevibilità.

85.   Infine, si deve ricordare che, nel corso del procedimento davanti alla Corte e alla luce delle dichiarazioni dello Stato membro convenuto, alla Commissione è consentito ritirare determinate censure o restringerne la portata, così come, d’altra parte, lo Stato membro convenuto ha facoltà, durante il procedimento, di non contestare oppure di riconoscere la fondatezza di una censura mossa dalla Commissione. È pertanto ammissibile che la Commissione, nella sua replica, ha ristretto la censura relativa all’omessa valutazione d’impatto ambientale al solo ampliamento dell’azienda suinicola, dal momento che questo non va a scapito dello Stato membro convenuto.

C –    Sulla fondatezza

86.   La Commissione contesta al Regno di Spagna, relativamente all’ampliamento dell’azienda suinicola in questione, il fatto di non aver adempiuto all’obbligo, ad esso incombente in forza della versione originaria o di quella modificata della direttiva VIA, di una preventiva valutazione d’impatto ambientale del suddetto progetto.

87.   Secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un ricorso per inadempimento proposto ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione fornire la prova dell'asserito inadempimento. Essa deve fornire alla Corte gli elementi di valutazione necessari affinché quest’ultima possa accertare l’avvenuta violazione suddetta, non potendosi essa basare su presunzioni (29).

88.   Ai fini dell’accertamento dell’inadempimento di un obbligo stabilito da una direttiva si deve dimostrare in via preliminare che la fattispecie in questione rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

89.   Secondo l’opinione della Commissione, l’ampliamento dell’azienda suinicola rientra nell’ambito di applicazione temporale della versione originaria della direttiva VIA, giacché la richiesta di autorizzazione è stata presentata dall’azienda suinicola il 26 marzo 1999 ed i lavori di ampliamento dello stabilimento sono stati effettuati chiaramente già prima di tale data. Qualora il punto di riferimento temporale fosse costituito dalla data della presentazione della richiesta medesima, allora troverebbe applicazione la versione modificata della direttiva.

90.   In proposito si deve rilevare che la Commissione non muove contro il Regno di Spagna la generica accusa di avere omesso di adottare le misure necessarie ai sensi della versione originaria o modificata della direttiva VIA affinché progetti, come quello dell’azienda suinicola in questione, siano sottoposti ad una preventiva valutazione d’impatto ambientale. Piuttosto, come sottolineato nella sua replica, essa individua l’inadempimento nella concreta circostanza che, prima del suo ampliamento, l’azienda suinicola in questione non sia stata, di fatto, sottoposta ad alcuna valutazione d’impatto ambientale.

91.   Pertanto, solo il momento dell’effettivo ampliamento e non quello della successiva richiesta può essere decisivo ai fini dell’accertamento della fondatezza della censura suddetta.

92.   Nel ricorso la Commissione ha tuttavia ammesso di non essere a conoscenza della data in cui sono stati effettuati i lavori di ampliamento dell’azienda suinicola. Tuttavia, sulla base delle osservazioni fatte dal governo spagnolo nel controricorso, la Commissione ha constatato nella sua replica che i lavori di ampliamento sono stati senz’altro effettuati prima del marzo 1999. Poiché il governo spagnolo non ha contestato tale affermazione nella sua controreplica, e neppure ha fatto osservazioni sostanziali in proposito, tale affermazione può essere considerata esatta.

93.   Il termine per la trasposizione della versione modificata della direttiva VIA è decorso il 16 marzo 1999, ossia solo in un momento successivo a quello dell’effettuazione dei controversi lavori di ampliamento. Di conseguenza, la fondatezza della censura della Commissione deve essere accertata riguardo alla versione originaria della direttiva VIA e, quindi, è infondata la censura che si basa sulla direttiva di modifica VIA.

94.   In proposito si deve ritenere – come sostiene anche la Commissione – che i lavori di ampliamento dell’azienda suinicola siano stati effettuati prima del marzo 1999. È inoltre pacifico che tali lavori di ampliamento siano stati eseguiti quantomeno senza previa effettuazione di una valutazione d’impatto ambientale.

95.   Non ritengo, tuttavia, che ciò sia sufficiente a dimostrare una violazione della direttiva VIA.

96.   Nel caso di specie, sorge la questione se il Regno di Spagna abbia adempiuto all’obbligo ad esso incombente in forza dell’art. 2 della direttiva, di adottare le misure necessarie affinché, prima del rilascio di un’autorizzazione, sia valutato l’impatto ambientale di progetti per i quali si prevedono notevoli ripercussioni sull’ambiente, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni, o la loro ubicazione.

97.   L’inadempimento dell’obbligo suddetto – giacché, oltretutto, si tratta di un obbligo di risultato – può senz’altro risultare da un caso concreto (30). Tuttavia, tale caso concreto deve far pensare all’omessa adozione delle misure necessarie da parte dello Stato membro.

98.   In effetti, l’art. 2 della direttiva impone alle autorità competenti dei singoli Stati membri il preciso obbligo di sottoporre determinati progetti ad una valutazione d’impatto ambientale. Difatti la Corte ha anche dichiarato che la Commissione potrebbe fornire la prova della violazione di tale articolo, dimostrando che un progetto in grado di provocare ripercussioni rilevanti sull’ambiente non sia stato oggetto di una valutazione d’impatto ambientale, sebbene quest’ultima fosse stata necessaria (31).

99.   Tuttavia, ciò riguarda il caso in cui un’autorità di uno Stato membro abbia autorizzato un progetto senza aver effettuato un’adeguata valutazione d’impatto ambientale (32). Se, invece, non è stata effettuata alcuna valutazione d’impatto ambientale ad esempio perché, in violazione delle disposizioni nazionali, non è stata presentata alcuna richiesta di autorizzazione ed il progetto è stato eseguito nella più assoluta illegalità, allora, a mio parere, debbono esistere altre circostanze dalle quali si evinca che lo Stato interessato non abbia adempiuto agli obblighi stabiliti nella direttiva.

100. In altri termini, dall’incompatibilità di una situazione concreta con gli scopi fissati nell’art. 2, della direttiva VIA – nella fattispecie, dal fatto che l’azienda suinicola in questione sia stata ampliata senza una preliminare valutazione d’impatto ambientale, dal momento che non era neppure stata precedentemente presentata alcuna richiesta di autorizzazione – non si può automaticamente dedurre che lo Stato membro interessato abbia necessariamente violato gli obblighi ad esso incombenti in forza di tale disposizione (33). Ai fini della prova di un siffatto inadempimento si dovrebbe, ad esempio, dimostrare che tale situazione (d’illegalità) si sia protratta per un lungo lasso di tempo, senza che le autorità competenti siano intervenute ed abbiano preso idonei provvedimenti (34).

101. Nel caso di specie, la Commissione non è stata in grado di stabilire con certezza il momento in cui sono stati effettuati i controversi lavori di ampliamento dell’azienda suinicola, cosicché non si può neppure stabilire con certezza da quanto tempo si protrae tale situazione «d’illegalità» e se vi sia stata inerzia delle autorità competenti. Un inadempimento degli obblighi incombenti al Regno di Spagna in forza dell’art. 2, della direttiva VIA, potrebbe dedursi da indizi quali, ad esempio, il fatto che l’ampliamento illegale fosse noto alle autorità competenti oppure – supponendo che le autorità fossero obbligate (indipendentemente dall’art. 13 della direttiva) quantomeno ad effettuare un numero minimo di controlli – sulla base del fatto che la parte ampliata esisteva già da tempo o sulla base di altre circostanze – che ciò avrebbe dovuto essere noto alle autorità e che, tuttavia, queste ultime non abbiano adottato misure efficaci per sanzionare l’ampliamento illegale oppure per sottoporlo ad una successiva valutazione d’impatto ambientale. Si deve sottolineare ancora una volta che non vi sono dubbi sul fatto che la censura della Commissione non riguarda esplicitamente il comportamento delle autorità dopo la richiesta di autorizzazione dell’azienda suinicola ampliata, presentata nel marzo 1999, giacché essa riguarda esclusivamente il fatto che, per lo meno prima dell’ampliamento di tale stabilimento, non sia stata eseguita alcuna valutazione d’impatto ambientale. Tuttavia, come ho già chiarito, da tale circostanza isolata non si può automaticamente dedurre che il Regno di Spagna non abbia adempiuto agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 2, della direttiva VIA, poiché non è chiaro se le autorità di tale Stato membro siano corresponsabili dell’esistenza di tale situazione.

102. Pertanto la Commissione non ha fornito argomenti giuridici sufficienti a dimostrare l’avvenuta violazione né della versione originaria, né di quella modificata della direttiva VIA. La suddetta censura è dunque infondata.

VII – La violazione della direttiva sulle acque sotterranee

A –    Principali argomenti delle parti

103. La Commissione ritiene che il Regno di Spagna, non avendo disposto alcun’analisi idrogeologica preliminare per la zona compromessa dall’azienda suinicola in questione, abbia violato gli artt. 3, lett. b), n. 1, e 7, della direttiva sulle acque sotterranee.

104. Una siffatta analisi idrogeologica sarebbe stata necessaria, giacché è probabile che le acque sotterranee della zona interessata siano state inquinate dalle sostanze pericolose contenute nello sterco che l’azienda suinicola cosparge sui terreni agricoli. Ciò trova conferma in una perizia che attesta la permeabilità dei suoli.

105. La Commissione circoscrive l’oggetto delle sue osservazioni alla possibile contaminazione da nitrati delle acque sotterranee. Essa sostiene la tesi che i nitrati sono delle sostanze pericolose ai sensi della direttiva sulle acque sotterranee, essendo essi menzionati al n. 3 dell’elenco II.

106. Il governo spagnolo sostiene la tesi secondo cui lo spargimento di sterco a scopo di concimazione non costituisce una misura di smaltimento di materiali contemplati dalla direttiva sulle acque sotterranee (art. 5, secondo trattino, della direttiva sulle acque sotterranee), bensì un recupero, a scopo di concimazione, di residui provenienti dall’allevamento di animali.

107. Anche qualora la direttiva sulle acque sotterranee sia applicabile, in ogni caso non esisterebbe alcun inquinamento da sostanze pericolose ai sensi di tale direttiva, giacché nel suo elenco II non è menzionato il nitrato indicato dalla Commissione. Infine, anch’esso produce una perizia da cui risulta che la maggior parte dei suoli della zona in questione è impermeabile.

B –    Analisi giuridica

108. Si deve qui accertare se l’obbligo di eseguire un’analisi idrogeologica, introdotto dalla direttiva sulle acque sotterranee, sia o meno applicabile alla presente fattispecie.

109. A mente dell’art. 3, lett. b), della direttiva sulle acque sotterranee, gli Stati membri prendono le misure necessarie per limitare l’immissione nelle acque sotterranee delle sostanze indicate nell’elenco II della direttiva al fine di evitare il loro inquinamento da parte di tali sostanze. Per adempiere al suddetto obbligo gli Stati membri sono, tra l’altro, obbligati ad effettuare un’indagine «preventiva alle operazioni di eliminazione o di deposito ai fini dell’eliminazione di tali sostanze che possono comportare uno scarico indiretto». Ai sensi dell’art. 7 della direttiva, tale indagine preventiva deve comprendere anche uno studio delle condizioni idrogeologiche della zona interessata.

110. Ai fini dell’applicabilità di tale obbligo è necessario, in primo luogo, che si tratti di scarico di una sostanza contemplata dalla direttiva sulle acque sotterranee. La Commissione è dell’avviso che tale condizione sia soddisfatta giacché – come essa dimostra sulla base di una perizia – le acque sotterranee della zona in questione sono inquinate da nitrati, i quali sono sostanze che rientrano nel n. 3, dell’elenco II, della direttiva.

111. Invero, in tale numero si fa riferimento a sostanze «che hanno un effetto nocivo sul sapore «e/o» sull’odore delle acque sotterranee (…)».

112. Al riguardo si deve, altresì, rilevare che la Commissione non ha sostenuto che i nitrati hanno un effetto nocivo sul sapore «e/o» sull’odore delle acque sotterranee.

113. Relativamente al secondo tipo di sostanze menzionate al n. 3 dell’elenco II, ossia a quei «composti che possono dare origine a tali sostanze nelle acque e rendere queste ultime non idonee al consumo umano», neppure in questo caso essa ha affermato che i nitrati possono dare origine a siffatte sostanze. Del resto, la frase «e rendere queste ultime non idonee al consumo umano» non è separata dal resto del periodo e non deve essere letta come un’enunciazione alternativa di una categoria di sostanze, nella quale, pertanto, si possono far rientrare con certezza anche i nitrati. Da un lato, infatti, una catalogazione alternativa sarebbe stata messa in risalto diversamente dal punto di vista linguistico, probabilmente con un «e/o», come nella prima parte del periodo medesimo. Dall’altro lato, trattandosi anche in questo caso di una categoria generale di sostanze vietate ai sensi dell’elenco II, essi verrebbero indicati per nome o esattamente descritti tra i composti. Si deve quindi concludere che i nitrati non rientrano tra le sostanze del n. 3, dell’elenco II, citato dalla Commissione.

114. Inoltre, in linea del tutto generale, si deve ritenere che se la direttiva sulle acque sotterranee si occupasse di un metallo pesante quale il nitrato, notoriamente nocivo alla salute e presente molto spesso in terreni destinati all’attività agricola, questo sarebbe citato nell’elenco I oppure nell’elenco II della suddetta direttiva.

115. Proprio riguardo alla fattispecie cui la Commissione ha fatto riferimento nella censura in questione, vale a dire all’inquinamento da nitrati proveniente da uno stabilimento agricolo, è piuttosto la direttiva sui nitrati a costituire uno strumento giuridico specificamente predisposto per fattispecie di questo tipo.

116. Non è stato quindi dimostrato che il caso di specie riguarda lo scarico di una sostanza rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva sulle acque sotterranee.

117. Inoltre, si deve ritenere che per mezzo della direttiva si intendono limitare o impedire gli “scarichi” nelle acque sotterranee (cfr., ad esempio, il settimo ‘considerando’ e l’art. 3 della direttiva), quantunque la nozione di “scarico” venga descritta come «immissione nelle acque sotterranee di sostanze (…)» (art. 1, n. 2, lett. b) e c), della direttiva). Ritengo che questa sia una definizione poco confacente allo spargimento di sterco in agricoltura e, stante la mancanza nella direttiva di un qualsiasi indizio in proposito, dubito che tale operazione possa affatto rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva.

118. Pertanto, come ho sopra chiarito, dal fatto che lo sterco sia da qualificare a determinate condizioni come «rifiuto» ai sensi della direttiva sui rifiuti, non si può necessariamente dedurre che lo spargimento di sterco debba essere ricondotto nell’ambito delle «operazioni di eliminazione (…) di dette sostanze che possano comportare uno scarico indiretto», secondo quanto stabilito dall’art. 5, n. 1, primo comma, secondo trattino, della direttiva sulle acque sotterranee. Infatti lo scopo che si intende perseguire con la direttiva sui rifiuti è diverso da quello perseguito dalla direttiva sulle acque sotterranee, e il requisito del «disfarsi», che sta alla base della nozione di rifiuto della direttiva citata per prima, non è del tutto identico alla nozione di «eliminazione», di cui all’art. 5, n. 1, primo comma, secondo trattino, della direttiva sulle acque sotterranee.

119. Infine, si deve inoltre riflettere sul fatto che il meccanismo di controllo e di autorizzazione previsto dalla direttiva sui rifiuti si riferisce, in linea di principio, al singolo stabilimento in quanto tale, mentre l’obbligo di effettuare un’indagine preventiva, di cui all’art. 5, n. 1, primo comma, secondo trattino, della direttiva sulle acque sotterranee, è collegato, in genere, a «operazioni» di eliminazione di sostanze che possono comportare uno scarico indiretto.

120. Tuttavia, una siffatta qualificazione generica dello spargimento di sterco farebbe sorgere di conseguenza l’obbligo di effettuare un’indagine preventiva, compresa un’ispezione idrogeologica, della zona interessata in occasione di un qualsiasi (o, quantomeno, dell’iniziale?) spargimento di sterco nell’attività agricola, indipendentemente dallo scopo e dall’entità dello spargimento dello sterco, nonché dalla natura dello stabilimento agricolo. A mio parere, un obbligo siffatto sarebbe soltanto eccessivamente burocratico ed assurdo.

121. Non senza motivo, la direttiva sui nitrati, che disciplina appositamente l’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole, contiene uno specifico riferimento agli strumenti comunitari e locali come i programmi di azione e l’adozione di misure generali, vincolanti o non vincolanti.

122. Sono quindi dell’opinione che la direttiva sulle acque sotterranee non sia pertinente al presente contesto e che, quindi, sia infondata la censura della Commissione, secondo cui la suddetta direttiva è stata violata a causa dell’omessa effettuazione di un’ispezione idrogeologica. Risulta quindi superfluo procedere all’accertamento di ulteriori elementi, quali la permeabilità dei suoli interessati.

VIII – La violazione della direttiva sulle acque reflue

A –    Principali argomenti delle parti

123. La Commissione addebita al Regno di Spagna di essere venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 5, n. 2, della direttiva sulle acque reflue, per non avere disposto che le acque reflue urbane dell’agglomerato di Vera vengano sottoposte ad un trattamento più rigoroso di quello descritto nell’art. 4 della direttiva.

124. Essa sostiene in proposito che le acque reflue urbane vengono immesse nel fiume Antas, il quale, ai sensi del combinato disposto dell’art. 5, n. 1, e dell’allegato II A, della direttiva sulle acque reflue, avrebbe dovuto essere dichiarato area sensibile. A sostegno delle sue osservazioni essa produce una perizia dell’istituto ERM.

125. Da una perizia dell’istituto TECNOMA si rileva che nel corso inferiore del fiume Antas si trova una laguna naturale alimentata esclusivamente da tale fiume e utilizzata come bacino di scarico dall’impianto di trattamento delle acque reflue del Comune di Vera. Da tale perizia risulta, altresì, che le acque reflue comunali non sono sottoposte ad un trattamento appropriato.

126. Inoltre, sulla base dei dati riguardanti gli abitanti ed i turisti, pubblicati sul sito Internet della Regione, la Commissione calcola un numero di abitanti equivalenti notevolmente superiore agli «oltre 10 000» necessari per l’applicazione dell’art. 5, n. 2.

127. Il governo spagnolo contesta il fatto che l’intero bacino idrografico del fiume Antas avrebbe dovuto essere dichiarato area sensibile. Dal fatto che la laguna costiera dell’Antas sia stata dichiarata area sensibile non deriva automaticamente che l’intero corso del fiume debba essere dichiarato area sensibile. L’Antas è prevalentemente un fiume sotterraneo nelle cui acque, in mancanza di luce, non può innescarsi alcun processo di eutrofizzazione.

128. Inoltre, il governo spagnolo contesta con diverse argomentazioni l’esattezza dei calcoli della Commissione concernenti il numero di abitanti equivalenti. Punto di riferimento temporale non è l’anno 2003, cui si riferiscono i dati citati dalla Commissione, bensì il 2001, anno al quale si riferisce il parere motivato. In quell’anno il numero di abitanti equivalenti della regione di cui trattasi era notevolmente inferiore a quello calcolato dalla Commissione.

B –    Valutazione

129. La censura della Commissione riguarda il fatto che, prima di essere scaricate nel fiume Antas, le acque reflue urbane del Comune di Vera non sono sottoposte ad un trattamento più rigoroso di quello descritto nell’art. 4, della direttiva sulle acque reflue.

130. Secondo l’art. 5, n. 2, della direttiva sulle acque reflue, un siffatto trattamento deve essere garantito a decorrere dal 31 dicembre 1998, esclusivamente per quelle acque reflue scaricate in aree sensibili e provenienti da reti fognarie di agglomerati con oltre 10 000 abitanti equivalenti.

131. Per quel che riguarda il requisito dello scarico in un’area sensibile è pacifico che il fiume Antas, nel quale, secondo le informazioni della Commissione, vengono scaricate le acque reflue urbane del Comune di Vera, non è stato individuato dal Regno di Spagna quale area sensibile ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva sulle acque reflue.

132. Tuttavia, nel caso di specie, non assume rilevanza il fatto che il fiume Antas medesimo non sia stato individuato quale area sensibile, né tanto meno il fatto che esso, come sostiene la Commissione, avrebbe dovuto essere dichiarato tale.

133. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, l’obbligo di cui all’art. 5, n. 2, della direttiva sulle acque reflue, di sottoporre ad un trattamento più rigoroso le acque reflue provenienti dalla rete fognaria urbana prima di scaricarle, sussiste anche nell’ipotesi in cui le acque reflue vengano indirettamente scaricate in un’area sensibile (35).

134. Il fiume Antas, nel quale vengono scaricate le acque reflue provenienti dall’impianto di depurazione del Comune di Vera, situato presso una laguna naturale del fiume, s’immette anch’esso nella laguna costiera dell’Antas, che, innegabilmente, il Regno di Spagna ha individuato quale area sensibile ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva sulle acque reflue. Pertanto le acque reflue del Comune di Vera vengono indirettamente scaricate in un’area sensibile.

135. Per quel che concerne l’ulteriore requisito necessario ai fini della sussistenza di un obbligo di un trattamento più rigoroso, ossia un numero di abitanti equivalenti superiore ai 10 000, come risulta dall’art. 2, n. 6, della direttiva sulle acque reflue, l’abitante equivalente è una grandezza utilizzata per esprimere il presunto inquinamento medio dell’acqua per abitante.

136. Dato che i valori, espressi in abitanti equivalenti, contenuti nella direttiva sulle acque reflue esprimono determinati livelli di inquinamento (36), ai fini del calcolo dei suddetti valori che si basano sul numero degli abitanti, debbono esser presi in considerazione esclusivamente quegli abitanti le cui acque reflue confluiscono nell’impianto di depurazione. Al riguardo è importante accertare il numero delle persone presenti nella zona durante il funzionamento del suddetto impianto di depurazione, essendo irrilevante la circostanza che le persone suddette siano o meno iscritte all’anagrafe dei residenti nel Comune.

137. La Commissione ha giustamente incluso nei suoi calcoli anche le persone che soggiornano nel territorio del Comune di Vera come turisti.

138. Ai fini del calcolo degli abitanti equivalenti è consentito alla Commissione far riferimento al periodo di alta stagione turistica, giacché, ai sensi dell’art. 4, n. 4, della direttiva sulle acque reflue, il carico espresso in abitanti equivalenti va calcolato sulla base «del carico medio settimanale massimo in ingresso all’impianto di trattamento nel corso dell’anno».

139. Per quel che concerne il numero effettivo di abitanti equivalenti del Comune di Vera, il governo spagnolo ha confermato che nell’anno 2001 Vera contava una popolazione (permanente) di 7 664 abitanti, mentre Antas contava 2 844 abitanti. Il fatto che, al riguardo, la Commissione abbia, in un primo tempo, citato statistiche dell'anno 2003 è perciò irrilevante. Sebbene il governo spagnolo abbia affermato che non è stato dimostrato che l’Antas appartenga territorialmente al Comune di Vera, tuttavia esso non ha contestato nel merito tale affermazione. Si può quindi legittimamente ritenere che la popolazione permanente superi i 10 000 abitanti.

140. La Commissione ha altresì calcolato (anche se sulla base di statistiche relative all'anno 2003) che nella zona di cui trattasi sono presenti altre 9 000 persone, risultato al quale si perviene considerando la capacità ricettiva degli alberghi e del campeggio, nonché quella delle case di villeggiatura, delle seconde case e dei complessi residenziali esistenti nel Comune di Vera.

141. Riguardo a tali dati si deve notare che il governo spagnolo ha, dal canto suo, confermato l’esistenza di 43 posti letto presso le pensioni e di 659 posti letto presso gli alberghi. Dai documenti offerti in comunicazione dalla Commissione risulta che il campeggio della zona dispone di una capacità ricettiva di 2 700 persone.

142. Pertanto, anche qualora, come ha sostenuto il governo spagnolo, alcuni complessi residenziali cui la Commissione ha fatto riferimento non dovessero appartenere al territorio del Comune di cui trattasi ed un certo numero di abitanti – come, ad esempio, quelli delle seconde case – dovesse essere contato due volte, a mio parere, tenuto pure conto di un certo margine di errore, la Commissione ha fornito la prova del fatto che il Comune di Vera sia un agglomerato con oltre 10 000 abitanti equivalenti, non essendo quindi necessario, ai fini dell’articolo 4 [N.d.T.: articolo 5], n. 2, della direttiva sulle acque reflue, fornire indicazioni più dettagliate su questo parametro.

143. Dal momento che le acque reflue del Comune di Vera, un agglomerato con oltre 10 000 a.e., vengono indirettamente scaricate in un’area sensibile, le suddette acque reflue dovrebbero – poiché tale obbligo ai sensi dell’art. 4, [N.d.T.: articolo 5], n. 2, della direttiva sulle acque reflue è in vigore sin dal 31 dicembre 1998 – essere sottoposte ad un trattamento più rigoroso di quello descritto nell’art. 4 della direttiva.

144. Il governo spagnolo non ha comunque contestato il fatto che le acque reflue in questione non sono sottoposte ad un simile trattamento, dichiarando invece di aver commissionato alla società che gestisce il suddetto impianto di depurazione uno studio sulle acque reflue del Comune, del quale non si conoscono ancora i risultati.

145. Per tutti questi motivi, ritengo fondata la quarta censura della Commissione.

IX – La violazione della direttiva sui nitrati

A –    Principali argomenti delle parti

146. Col quinto motivo di ricorso la Commissione addebita al Regno di Spagna il fatto di aver violato l’art. 3, nn. 1, 2, e 4, della direttiva sui nitrati, per avere omesso di dichiarare vulnerabile la zona della Rambla de Mojácar, quantunque le sue acque reflue vengano scaricate nell’area, dichiarata sensibile, della laguna costiera del fiume Antas.

147. La Commissione si oppone all’eccezione di irricevibilità sollevata dal governo spagnolo nei confronti di tale censura argomentando, da un lato, che nel parere motivato essa ha dedicato un’intera pagina a detta censura e, dall’altro, che il principio del ne bis in idem non è affatto applicabile alla procedura d’infrazione, ovvero che, qualora applicabile, esso non è pertinente alla fattispecie dedotta in giudizio.

148. A sostegno della sua censura, la Commissione esibisce a sua volta uno studio dell’istituto ERM, da cui risulta che le acque analizzate sono eutrofiche e presentano un’alta concentrazione di nitrati. Essa sostiene che, secondo quanto risulta dall’allegato I, della direttiva sui nitrati, per dichiarare vulnerabile la zona di cui trattasi, non è necessaria la presenza di una concentrazione di nitrati superiore a 50 mg/l, essendo a tale scopo sufficiente che nelle acque sotterranee possa essere presente una tale concentrazione. Le stesse considerazioni valgono per il requisito dell’eutrofizzazione. Essa cita altresì i dati dell’Instituto Geológico y Minero de España, da cui risulta che l’unità idrogeologica 06.06 del Bajo Almanzora presenta una concentrazione di nitrati superiore a 50 mg/l. Secondo la Commissione, l’origine agricola dell’inquinamento da nitrati risulta evidente alla luce di un’altra pubblicazione del suddetto istituto, risalente al 1999, sulla qualità chimica e sull’inquinamento delle acque sotterranee in Spagna nel periodo compreso tra il 1982 e il 1993.

149. Il governo spagnolo ritiene che la censura concernente la violazione della direttiva sui nitrati sia irricevibile per due ordini di motivi. In primo luogo perché nel parere motivato la direttiva sui nitrati viene citata soltanto tra i possibili motivi di ricorso in una frase subordinata concernente la direttiva VIA. In secondo luogo perché, prima della presentazione di codesto ricorso, in occasione di un’altra procedura d’infrazione, la Commissione aveva già inviato alle autorità spagnole un’altra lettera di diffida contenente la medesima censura sollevata in codesto procedimento, violando in tal modo il principio del ne bis in idem.

150. In subordine il governo spagnolo contesta l’entità dell’inquinamento da nitrati menzionata dalla Commissione come pure la sua origine agricola, che non è stata dimostrata dallo studio – sotto molti aspetti lacunoso – dell’istituto ERM. Difatti non si può mettere a confronto il Bajo Almanzora, cui si riferisce la pubblicazione risalente al 1999 citata dalla Commissione, con la zona di cui trattasi. Dal punto di vista idrogeologico la zona del Bajo Almanzora non è paragonabile al bacino idrografico dell’Antas e dell’Aguas, il quale, oltretutto, è una zona ad intensivo sfruttamento turistico.

1.      Valutazione

a)      Sulla ricevibilità

151. In primo luogo bisogna procedere all’esame dell’argomento secondo cui la presente censura è irricevibile perché essa non è stata menzionata nell’esposizione dell’oggetto della controversia effettuata nel parere motivato.

152. Secondo costante giurisprudenza, le censure che in seguito vengono sollevate nel ricorso devono già essere individuate con precisione nel parere motivato. Ciò è indispensabile per definire chiaramente l’oggetto della controversia prima dell’eventuale avvio del procedimento contenzioso e per garantire che lo Stato membro interessato conosca esattamente le censure che sono mosse nei suoi confronti e possa, quindi, porre fine agli inadempimenti dedotti o far valere i suoi argomenti difensivi prima di un eventuale ricorso alla Corte da parte della Commissione (37).

153. Perciò, sebbene, in linea di principio, l’esposizione dell’oggetto della controversia contenuta nel parere motivato debba coincidere con quella contenuta nel ricorso (38), la mancata indicazione di una censura nell’esposizione dell’oggetto della controversia nel parere motivato non comporta ancora l’irricevibilità di tale censura per il ricorso, qualora dal restante contenuto sia possibile per lo Stato membro interessato individuare con chiarezza che quella censura viene mossa contro di lui. In un caso del genere lo Stato membro si trova quindi nelle condizioni di esercitare il suo diritto di difesa.

154. Lo stesso dicasi riguardo al caso in esame giacché, come ammesso anche dal governo spagnolo, la Commissione ha dedicato quasi un’intera pagina del parere motivato alla censura riguardante la violazione della direttiva sui nitrati e, inoltre, essa ha citato la censura suddetta anche nel frontespizio e nell’introduzione. Pertanto, dal tenore complessivo del parere motivato risulta chiaramente l’intenzione della Commissione di addebitare anche la suddetta violazione.

155. Il governo spagnolo ha altresì fatto valere la violazione del principio del ne bis in idem, in base al quale è vietato sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico (39). In proposito si deve ritenere, da un lato, come ha sostenuto anche la Commissione, che la procedura d’infrazione di cui all’articolo 226 CE porta esclusivamente all’accertamento oggettivo dell’inosservanza da parte di uno Stato membro – in considerazione della situazione esistente al tempo dell’accertamento – degli obblighi impostigli dal trattato (40). Questo procedimento non ha quindi, in quanto tale, alcun carattere sanzionatorio, cosicché, già per questo motivo, non sono del parere che il principio del ne bis in idem sia pertinente al contesto (41). Inoltre, in nessun caso un altro procedimento d’infrazione avviato dopo il procedimento in oggetto può determinare l’irricevibilità di quest’ultimo.

156. La quinta censura della Commissione è dunque ricevibile.

B –    Sulla fondatezza

157. Secondo l’art. 3, n. 2, della direttiva sui nitrati, gli Stati membri designano come zone vulnerabili tutte le zone note del loro territorio che scaricano nelle acque individuate in conformità dell’art. 3, n. 1, e che concorrono all’inquinamento.

158. Gli Stati membri si servono per l’individuazione di tali acque dei criteri dell’allegato I della direttiva. Secondo tali criteri le acque devono considerarsi inquinate, qualora le acque sotterranee presentino una concentrazione di nitrati superiore a 50 mg/l, oppure qualora i laghi naturali, gli estuari, le acque costiere o marine risultino eutrofici. Ai sensi sia dell’art. 3, n. 1, sia dell’allegato I A, n. 2, della direttiva sui nitrati, per dichiarare vulnerabile una zona, non è necessario che le sue acque siano già contaminate/inquinate, essendo a tale scopo sufficiente la possibilità che esse lo diventino.

159. Le osservazioni del governo spagnolo riguardanti l’effettiva concentrazione di nitrati non sono quindi da sole sufficienti a confutare la censura della Commissione. Inoltre, si deve ammettere che la laguna costiera dell’Antas, nella quale, stante a quanto dedotto dalla Commissione, vengono scaricate le acque della zona della Rambla de Mojácar, è stata dichiarata area sensibile ai sensi della direttiva sulle acque reflue, proprio a causa del rischio, menzionato dal governo spagnolo, di inquinamento da nitrati, nonché di quello di eutrofizzazione.

160. Sebbene si possa legittimamente ritenere che le acque della laguna costiera dell’Antas presentino tutti i requisiti elencati nell’allegato I della direttiva sui nitrati, cionondimeno, come risulta dalla sentenza della Corte nella causa Standley, la Commissione deve altresì fornire la prova del fatto che una parte rilevante dell’inquinamento di tali acque sia di origine agricola (42).

161. Per quel che riguarda in primo luogo lo studio dell’istituto ERM, da esso non emerge alcun indizio univoco sull’origine agricola dell’inquinamento della laguna costiera dell’Antas. Questo studio, cui ha fatto riferimento anche la Commissione nel corso del presente procedimento, porta piuttosto a concludere che una delle cause dell’inquinamento delle acque è costituita dall’intensivo sfruttamento turistico della zona. Anche la pubblicazione del 1999, citata dalla Commissione, da un lato si riferisce al Bajo Almanzora, la cui rilevanza idrogeologica per la laguna costiera dell’Antas è stata contestata dal governo spagnolo; dall’altro lato, tale pubblicazione, concernente gli anni compresi tra il 1982 e il 1993, indica genericamente l’attività agricola come possibile causa dell’inquinamento delle acque sotterranee. Quindi, su tali basi non si può affermare con certezza che lo scarico di composti azotati provenienti da fonti agricole contribuisce in misura notevole all’inquinamento complessivo presente nella zona della laguna costiera dell’Antas.

162. Tenendo inoltre presente che nell’individuazione delle acque contemplate dall’articolo 3, n. 1, agli Stati membri deve essere riconosciuto un ampio potere discrezionale (43), alla luce delle considerazioni sopra svolte si deve pertanto concludere che le argomentazioni giuridiche della Commissione non sono state sufficienti a dimostrare che la zona Rambla de Mojácar scarica le proprie acque reflue in acque, che ai sensi del combinato disposto dell’art. 3, n. 1, della direttiva sui nitrati e dell’allegato I della medesima direttiva sono colpite da inquinamento, e che essa quindi avrebbe dovuto essere dichiarata zona vulnerabile.

163. La censura della Commissione, secondo cui il Regno di Spagna ha violato l’art. 3, della direttiva sui nitrati, per avere omesso di dichiarare vulnerabile la zona della Rambla de Mojácar, è dunque infondata.

X –    Spese

164. Ai sensi dell’art. 69, n. 3 del regolamento di procedura, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali. In considerazione del fatto che entrambe le parti con i loro argomenti sono risultate parzialmente vincenti e parzialmente soccombenti, ed in considerazione della fondatezza come anche dell’infondatezza degli argomenti di entrambe le parti, propongo alla Corte di decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

165. Ai sensi dell’art. 69, n. 4, del suddetto regolamento, il Regno Unito, quale parte interveniente nel presente procedimento, deve sopportare le proprie spese.

XI – Conclusioni

166. Da quanto sopra esposto propongo alla Corte di:

1.      dichiarare che il Regno di Spagna non ha adempiuto agli obblighi ad esso incombenti in forza del trattato in quanto esso

–       non ha adottato le misure necessarie per garantire l’adempimento degli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 4, 9 e 13 della direttiva 75/442/CEE, modificata dalla direttiva 91/156/CEE, e ha, quindi, omesso di prendere i provvedimenti necessari per garantire che i rifiuti prodotti dall’azienda suinicola sita nella località denominata «El Pago de la Media Legua», venissero recuperati o smaltiti senza mettere in pericolo la salute umana, né recare danno all’ambiente circostante, ed inoltre non ha rilasciato alla detta azienda l’autorizzazione richiesta dalla direttiva, né tanto meno ha effettuato i controlli periodici obbligatori per le aziende del tipo suddetto,

–       non ha sottoposto, contrariamente a quanto prescritto dall’ art. 5, n. 2 della direttiva 91/271/CEE, le acque reflue urbane del Comune di Vera ad un trattamento più rigoroso di quello descritto nell’art. 4 della medesima direttiva.

2.      respingere per il resto il ricorso;

3.      decidere che la Commissione, il Regno di Spagna ed il Regno Unito sopportino ciascuno le proprie spese di causa.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2  –      GU L 194, pag. 39.


3  –      GU L 175, pag. 40.


4  –      GU L 73, pag. 5.


5  –      GU L 20, pag. 43.


6  –      GU L 135, pag. 40.


7  –      GU L 375, pag. 1.


8  – V. supra, paragrafo 1.


9  – Sentenza 18 aprile 2002, causa C‑9/00, Palin Granit Oy e.a. (Racc. pag. I‑3533, punto 22).


10  – Sentenza 18 dicembre 1997, causa C‑129/96, Inter-Environnement Wallonie (Racc. pag. I‑7411, punto 26).


11  – Peraltro «salvo nel caso di rifiuti esclusi a norma articolo 2, paragrafo 1, lett. b), punto iii)». Tornerò più avanti su questa disposizione speciale.


12  – V. sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C‑418/97 e C‑419/97, ARCO Chemie (Racc. pag. I‑4475, punti 51 e 82).


13  – V. sentenza 11 novembre 2004, causa C‑457/02, Niselli (Racc. pag. I-0000, punto 36); tuttavia non può, d’altro canto, escludersi che l’impiego di una sostanza secondo la modalità definita come «operazione di ricupero» nell’allegato II B della direttiva sui rifiuti, ai fini della valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso, fornisca un indizio del fatto che il detentore della sostanza in questione se ne disfi, o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsene e che si tratti quindi di un «rifiuto»: v. sentenza ARCO Chemie (cit. alla nota 13), punto 69.


14  – V. sentenza 28 marzo 1990, cause riunite C‑206/88 e C‑207/88, Vessoso e Zanetti (Racc. pag. I‑1461, punto 12), nonché sentenza Palin Granit Oy e.a. (cit. alla nota 10), punti 23 e 24.


15  – Sentenza ARCO Chemie (cit. alla nota 13, punto 84), nonché sentenza Niselli (cit. alla nota 14, punto 43).


16  – V. sentenza Palin Granit Oy e a. (cit. alla nota 10, punti 34 e 35), nonché sentenza Niselli (cit. alla nota 14, punto 44).


17  – V. sentenza nelle cause riunite C‑418/97 e C‑419/97 (cit. alla nota 13, punto 86).


18  – Sentenze Palin Granit Oy e.a. (cit. alla nota 10, punti 34-36), nonché sentenza Niselli (cit. alla nota 14, punti 44 e 45).


19  – Sentenza 11 settembre 2003, causa C‑114/01, AvestaPolarit (Racc. pag. I‑8725, punti 35-37).


20  – V. ivi, punto 38.


21  – V. sentenza ARCO Chemie (cit. alla nota 13, punti 66-68).


22  – Sentenza AvestaPolarit (cit. alla nota 20, punti 50 e 51).


23  – V. ivi, punti 51, 52 e 59.


24  – V., tra le altre, sentenze 29 gennaio 2004, causa C‑209/02, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑0000) e 10 settembre 1996, causa C 11/95, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑4115).


25  – V. sentenza 18 novembre 2004, causa C‑420/02, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑0000, punti 21-24).


26  – V. sentenze 12 settembre 2000, causa C‑408/97, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑6417, punto 18) e 5 giugno 2003, causa C‑145/01, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑5581, punto 17).


27  – V. tra le altre, sentenze 11 luglio 2002, causa C‑139/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑6407, punto 18) e 23 ottobre 1997, causa C‑375/95, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑5981, punto 37).


28  – V., tra l’altro, sentenze 29 novembre 2001, causa C-202/99, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑9319, punto 20), 23 ottobre 1997, causa C-375/95, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑5981, punto 35), 31 marzo 1992, causa C‑52/90, Commissione/Danimarca (Racc. pag. I‑2187, punto 17), nonché sentenza 13 dicembre 1990, causa C‑347/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑4747, punto 28).


29  – Tra l’altro, sentenze 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 1791, punto 6), 26 giugno 2003, causa C‑404/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑6695, punto 26) e 6 novembre 2003, causa C‑434/01, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑0000, punto 21).


30  – V. tra le altre, sentenza Commissione/Spagna (cit. alla nota 28, punto 27).


31  – Sentenza 29 aprile 2004, causa C‑117/02, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑0000, punto 82).


32  – V. ivi, punto 1.


33  – V. sentenza Commissione/Grecia (cit. alla nota 26, punto 22).


34  – V. ivi, punto 22.


35  – Sentenza 25 aprile 2002, causa C‑396/00, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑3949, punto 29 e segg.).


36  – V. art. 4, n. 4, della direttiva sulle acque reflue.


37  – V., tra le altre, sentenza 24 giugno 2004, causa C-350/02, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-0000, punti 18-21) e la giurisprudenza ivi citata.


38  – V. sentenza Commissione/Spagna (cit. alla nota 28, punto 18).


39  – V., tra le altre, sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C‑213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, Aalborg Portland e a. (Racc. pag. I-0000, punto 338).


40  – V., tra le altre, sentenza 1 ottobre 1998, causa C-71/97, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑5991, punto 14).


41  – V., in tal senso, anche conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed del 21 ottobre 2004, causa C‑212/03, Commissione/Francia (Racc. pag. I-0000, paragrafo 23).


42  – Sentenza 29 aprile 1999, causa C‑293/97, Standley e a. (Racc. pag. I‑2603, punto 40).


43  – V. sentenza Standley e a. (cit. alla nota 43, punti 37 e 39).