62002C0148

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 22maggio2003. - Carlos Garcia Avello contro Stato belga. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Conseil d'État - Belgio. - Cittadinanza dell'Unione europea - Trasmissione del cognome - Figli di cittadini di Stati membri - Doppia cittadinanza. - Causa C-148/02.

raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-11613


Conclusioni dell avvocato generale


1. La presente causa concerne il cognome dei figli nati in Belgio da una coppia di coniugi ivi residente. Il padre è un cittadino spagnolo e la madre una cittadina belga, mentre i loro figli hanno doppia cittadinanza.

2. All'atto della registrazione della loro nascita in Belgio, ai figli è stato attribuito il doppio cognome portato dal padre - Garcia Avello - composto, in conformità alla legge e all'uso spagnoli, dal primo elemento del cognome del padre e dal primo elemento del cognome della madre di quest'ultimo.

3. In seguito i genitori chiedevano alle autorità belghe di ottenere il cambiamento del cognome dei figli in Garcia Weber, di modo che il cognome di questi rispecchiasse il modello spagnolo e comprendesse il primo elemento del nome del padre seguito dal cognome (da nubile) della madre degli stessi. Tale domanda veniva respinta in quanto contraria alla prassi vigente in Belgio.

4. Il Conseil d'État (Consiglio di Stato belga) intende adesso sapere se principi di diritto comunitario come quelli in materia di cittadinanza dell'Unione europea e di libera circolazione delle persone ostino ad un tale rifiuto.

Sistemi di denominazione delle persone

5. In Europa le persone hanno generalmente due tipi di nomi. Vi sono quelli che chiamerò nomi propri, che (per quanto comuni possano essere) sono considerati come un'identificazione personale, intrinseca ed individuale, e vi sono cognomi (uso tale termine in senso lato), che quasi sempre identificano una persona con riferimento alla sua famiglia o ai suoi rapporti di discendenza ed in tal senso sono spesso ritenuti una parte essenziale di un inalienabile diritto di nascita. Tuttavia, al di là di questa distinzione fondamentale, si riscontra una considerevole varietà.

6. La stessa «denominazione dei nomi» rivela differenze e difficoltà. In olandese, in francese e in tedesco, ad esempio, il termine generico «nome» designa il cognome, mentre il nome proprio è indicato come prenome . Ciò sembra non appropriato, tuttavia, per gli ungheresi, che saranno presto cittadini dell'Unione e che pongono il cognome prima del nome proprio. In italiano e in spagnolo (e in larga misura anche in inglese), il termine generico «nome» è riservato al nome proprio, mentre un diverso termine è impiegato per indicare il cognome. Parlare del cognome come del «nome di famiglia» può essere fuorviante, poiché non tutti i membri della stessa famiglia portano necessariamente lo stesso cognome. Ad esempio, in Islanda (che non è uno Stato membro dell'Unione, ma fa parte dello SEE) le persone sono perlopiù identificate da un nome proprio e dall'indicazione che esse sono figli o figlie del loro padre (o della loro madre), analogamente identificato (o identificata) solo da un nome proprio . Tuttavia, anche il termine «patronimico» non sarebbe necessariamente appropriato: un cognome, infatti, può essere un «matronimico» e, nella presente causa, viene in rilievo il fatto in Spagna i figli non portano lo stesso cognome di uno dei loro genitori, ma per ogni generazione viene composto un nuovo cognome che incorpora parti del cognome di ciascuno dei genitori.

7. Al fine di valutare l'importanza della causa in esame, può essere utile esaminare in breve la serie di regole che nei singoli Stati membri disciplinano i modi in cui i cognomi vengono determinati e possono essere cambiati. Per semplicità, avrò riguardo essenzialmente al tipo di situazione di cui si tratta nella causa principale, cioè a quella del cognome attribuito a un figlio nato da una coppia di coniugi. In altri casi - ad esempio allorché i genitori non siano coniugati al momento della nascita del figlio, allorché il cognome di un genitore sia cambiato in seguito attraverso un matrimonio, un divorzio e/o un nuovo matrimonio, o allorché il figlio sia adottato - la situazione può essere diversa.

La legge applicabile

8. In caso di conflitto fra ordinamenti giuridici con riguardo alla disciplina del cognome di una persona, per la maggior parte degli Stati membri a prevalere è la legge nazionale di quest'ultima quale legge che ne disciplina lo stato civile. Danimarca e Finlandia, tuttavia, applicano la propria legge alle persone domiciliate nel loro territorio; in Svezia, la legge svedese si applica a tutti i cittadini scandinavi ivi domiciliati, mentre ad ogni altra persona si applica la rispettiva legge nazionale . In Irlanda e nel Regno Unito non esiste alcuna norma che disciplini un conflitto di legislazioni in materia; in sostanza, non se ne avverte quasi il bisogno, giacché le leggi di tali Stati membri sono abbastanza elastiche da consentire l'attribuzione o l'uso di nomi formati in conformità di qualsiasi ordinamento.

9. In Belgio, dove la persona in questione ha più di una cittadinanza, una delle quali è quella belga, prevale la legge belga. La legge spagnola adotta la stessa soluzione, mutatis mutandis , cosicché nella causa in esame la legge belga prevarrebbe in Belgio e quella spagnola in Spagna.

La determinazione del cognome attribuito a un figlio

10. Nella maggior parte degli Stati membri, i figli portano di fatto il medesimo cognome del padre, ancorché la misura in cui ciò è dettato dalla legge anziché dalla tradizione sia variabile.

11. In Italia risulta che il figlio di una coppia coniugata deve sempre portare il cognome paterno, benché tale regola derivi dall'uso più che dalla legge in vigore e siano state avanzate proposte legislative miranti a consentire una maggiore flessibilità. Nella maggior parte degli altri Stati membri i genitori hanno un certo margine di scelta ancorché la loro scelta sia in genere ristretta ai cognomi dei rispettivi genitori.

12. Una regola che si riscontra pressoché ovunque è quella secondo cui, in sostanza, se i genitori usano lo stesso cognome (generalmente quello di uno dei coniugi), allora il figlio deve avere lo stesso cognome, mentre in caso diverso essi possono scegliere per il figlio il cognome paterno o quello materno. Un'altra regola vigente in diversi Stati membri è quella in base alla quale tutti i figli di una coppia devono avere lo stesso cognome, cosicché in pratica qualsiasi scelta sarà in realtà possibile essenzialmente per il solo primogenito.

13. La possibilità di combinare i cognomi di entrambi i genitori nel cognome del figlio forma oggetto di norme contrastanti nei diversi Stati membri. In alcuni ciò è espressamente consentito o addirittura imposto, in altri espressamente vietato. In Danimarca sembra sia possibile unire i due cognomi mediante un trattino ma non combinarli senza di esso . In Portogallo la regola sembra essere notevolmente più elastica: un figlio può portare un cognome comprendente fino a quattro elementi, scelti fra i cognomi di uno o di entrambi i genitori o, in realtà, di uno o più nonni, ancorché, a quanto pare, di fatto tali cognomi siano generalmente composti secondo criteri che rispecchiano (alla lettera, in quanto l'ordine degli elementi paterni e materni è solitamente invertito) il sistema spagnolo.

14. La più ampia libertà di scelta all'interno dell'Unione europea sembra esistere nel Regno Unito, dove (così come in molti altri ordinamenti di «common law» nel resto del mondo) in sostanza non vi è alcuna norma giuridica che determini il cognome che un figlio deve portare. Di conseguenza, all'atto della registrazione di una nascita, i genitori possono in teoria scegliere qualsiasi cognome desiderino anche se, nella realtà sociale, ad essergli attribuito è prevalentemente il cognome paterno.

15. In Belgio la regola attualmente stabilita dall'art. 335 del codice civile è in sostanza quella per cui il figlio porta soltanto il cognome paterno, a meno che la paternità sia non accertata o il padre sia coniugato con una donna diversa dalla madre, casi entrambi in cui il figlio porta il cognome materno.

16. Una serie di proposte di modifica della legge è stata presentata all'organo legislativo federale belga. Se adottate, tali modifiche consentirebbero una maggiore libertà nella scelta dei cognomi, contemplando eventualmente la possibilità di seguire criteri analoghi a quelli in uso in Spagna. Il rappresentante del governo belga ha tuttavia fatto notare in udienza come siffatte proposte siano state avanzate su iniziativa di singoli parlamentari anziché dal governo e come il loro esame sia stato rinviato a tempo indeterminato alla luce delle imminenti elezioni politiche.

17. In Spagna le norme in materia sono essenzialmente quelle in cui agli artt. 108 e 109 del codice civile. Come ho già spiegato, la regola generale e tradizionale è quella per cui ciascuno dei figli nati da una coppia coniugata porta un doppio cognome, composto dal primo elemento del cognome paterno seguito dal primo elemento del cognome materno.

18. Nel 1999 l'art. 109 è stato modificato per dare ai genitori la possibilità di scegliere, prima della nascita del primo figlio, di attribuire a tutti i loro figli un cognome comprendente quegli stessi elementi ma in ordine inverso, così da anteporre agli altri il primo elemento del cognome materno.

Cambiamento di cognome

19. Come per la determinazione dei cognomi, si riscontra una grande varietà fra gli Stati membri riguardo alle circostanze in cui una persona può acquisire o usare un cognome diverso da quello risultante dal suo certificato di nascita. Il rapporto fra una persona fisica ed il suo cognome è perlopiù considerato perdurante a vita sia dalla legge sia dalla prassi sociale (con l'eccezione dei cambiamenti che avvengono in conseguenza della celebrazione e/o dello scioglimento di un matrimonio). Tuttavia l'anzidetto principio generale può soffrire eccezioni.

20. Ancora una volta la posizione più aperta al riguardo è quella che si riscontra nel Regno Unito, dove è possibile usare semplicemente un nome diverso nella vita di tutti i giorni, senza espletare alcuna formalità, oppure cambiare ufficialmente il proprio nome mediante dichiarazione unilaterale o dichiarazione giurata, una procedura che non richiede in genere alcuna autorizzazione. Nella maggior parte degli altri Stati membri, tuttavia, ogni cambiamento ufficiale di nome è soggetto all'approvazione delle autorità e deve essere dimostrato un valido motivo per tale cambiamento.

21. In Belgio un cambiamento di cognome è autorizzato solo in via eccezionale e previa dimostrazione del fatto che sussistano gravi motivi per tale cambiamento . Tali motivi possono comprendere il fatto che il cognome attuale espone la persona al ridicolo o è un nome straniero che rende più difficoltosa per chi lo porta l'integrazione nella società belga. In particolare, è considerato un grave motivo il caso in cui i figli dei medesimi genitori portino cognomi diversi, uno attribuito in base alla legge spagnola e l'altro attribuito in base a quella belga. Anche in Spagna de'essere dimostrato un valido motivo. In entrambi i Paesi, la possibilità di richiedere un cambiamento di cognome è riservata ai cittadini nazionali dello Stato stesso.

22. In alcuni Stati membri - ad esempio la Francia - benché le disposizioni sul cambiamento di nome nei registri dello stato civile siano rigorose, è possibile e lecito servirsi di pseudonimi od altri nomi fittizi nella vita di ogni giorno e persino in alcuni documenti ufficiali. Tali nomi sono puramente personali e non possono essere trasmessi ai propri discendenti. In Belgio, tuttavia, non risulta esservi al riguardo un'analoga tolleranza.

Disposizioni dei Trattati in materia

23. Le principali disposizioni dei Trattati cui si è fatto riferimento nella presente causa sono gli artt. 17 e 18 CE , che recitano:

«Articolo 17

1. E' istituita una cittadinanza dell'Unione. E' cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima .

2. I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato.

Articolo 18

1. Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

(...)».

24. Come rilevato in particolare dalla Commissione, anche l'art. 12 CE può venire in rilievo. Il suo primo comma recita:

«Nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

25. Inoltre, sono stati citati gli artt. 39 e 43 CE. L'art. 39 assicura la libera circolazione dei lavoratori e l'art. 43 vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Limitazioni di tali libertà possono tuttavia essere giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica (artt. 39, n. 3, e 46, n. 1, CE).

La Convenzione europea sui diritti dell'uomo

26. L'art. 8 della Convenzione è stato citato nel corso del procedimento. Esso recita:

«Diritto al rispetto della vita privata e familiare

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

27. In una serie di pronunce, ed in particolare nelle sentenze Burghartz e Stjerna, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che, benché l'art. 8 della Convenzione non si riferisca espressamente ai nomi, il nome di una persona fisica riguarda la sua vita privata e familiare poiché costituisce un mezzo di identificazione personale ed un vincolo con una determinata famiglia .

Altri atti internazionali

28. Il tipo di situazione che dà luogo al problema in esame nel caso di specie non è nuovo (è anzi probabile che sia sempre più comune) e sono stati effettuati diversi tentativi di affrontarlo nel contesto di accordi internazionali relativi a norme di diritto internazionale privato.

29. L'art. 1 della Convenzione della CISC (Commissione Internazionale dello Stato Civile) sulla legge da applicare ai cognomi e nomi prevede che:

«1. I cognomi e i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui essa ha la cittadinanza. A questo solo scopo, le situazioni da cui dipendono i cognomi e i nomi vengono valutate secondo la legge di detto Stato.

2. In caso di cambiamento di cittadinanza, viene applicata la legge dello Stato della nuova cittadinanza».

30. Ai sensi dell'art. 2, la legge indicata dalla Convenzione va applicata anche se si tratta della legge di uno Stato non contraente e, ai sensi dell'art. 4, l'applicazione di detta legge può essere esclusa solamente se è palesemente incompatibile con l'ordine pubblico.

31. I casi di doppia cittadinanza esulano dall'ambito di tale convenzione. La relazione esplicativa della convenzione stessa riconosce il problema, ma spiega che è stato deciso che «la materia dei nomi era di portata troppo limitata perché potesse essere stabilita una regola».

32. L'art. 3 della Convenzione dell'Aja concernente determinate questioni relative ai conflitti di leggi in materia di cittadinanza prevede che una persona avente cittadinanza doppia o plurima possa essere considerata come un proprio cittadino da ciascuno degli Stati di cui abbia la cittadinanza. Ancorché la Spagna non abbia ratificato tale convenzione, sia il Belgio sia la Spagna sembrano seguire tale impostazione riguardo alla scelta della legge applicabile ai fini dell'attribuzione del cognome ad un figlio avente cittadinanza plurima - vale a dire la cittadinanza belga o spagnola, a seconda dei casi, ed una o più altre cittadinanze .

33. Il tipo di problema che insorge nella causa in esame è affrontato in modo diverso da un'altra Convenzione della CISC concernente il rilascio di un certificato relativo alla diversità dei cognomi , il cui art. 1 prevede:

«1. Il certificato relativo alla diversità di cognomi istituito dalla presente Convenzione è destinato a facilitare la dimostrazione della propria identità da parte di quelle persone le quali, a seguito di differenze esistenti tra le legislazioni di alcuni Stati, in particolare in materia di matrimonio, di filiazione o di adozione, non sono designate con uno stesso cognome.

2. Il fine di detto certificato è unicamente quello di attestare che i vari cognomi da esso menzionati indicano, a seconda delle diverse legislazioni, la medesima persona. Esso non può avere l'effetto di pregiudicare le disposizioni di legge che disciplinano i nomi».

34. Ai sensi dell'art. 2, siffatto certificato «deve essere rilasciato ad ogni persona interessata, dietro presentazione dei documenti giustificativi, dalle competenti autorità dello Stato contraente di cui essa ha la cittadinanza, ovvero dalle competenti autorità dello Stato contraente, secondo la cui legge sia stato attribuito a detta persona, anche se in possesso della cittadinanza di un altro Stato, un cognome diverso da quello risultante dall'applicazione della sua legge nazionale». L'art. 3 prescrive che tale certificato sia accettato in ciascuno Stato contraente «come facente fede, fino a prova contraria, dell'esattezza dei dati in esso contenuti in ordine ai vari cognomi della persona designata».

35. Ambedue le convenzioni della CISC sopra menzionate sono state sottoscritte da una serie di Stati membri dell'Unione europea, ivi compresi sia il Belgio sia la Spagna. Tuttavia, benché la Spagna le abbia altresì ratificate entrambe ed esse siano in vigore fra la Spagna e gli altri Stati contraenti che hanno già provveduto alla ratifica, il Belgio non ha ancora fatto altrettanto .

36. Occorre infine menzionare la Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo . L'art. 3, n. 1, di tale convenzione prevede: «In tutti gli atti relativi a fanciulli, intrapresi dalle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dai giudici, dalle autorità amministrative o dagli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve avere importanza preminente». L'art. 7, n. 1, prevede, fra l'altro, che il fanciullo deve essere «registrato immediatamente dopo la sua nascita e deve aver diritto ad un nome dalla nascita»; e, ai sensi dell'art. 8, n. 1, «Gli Stati aderenti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la cittadinanza, il nome e le relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali».

La causa principale

37. Nel 1986 il sig. Carlos Garcia Avello, cittadino spagnolo, sposava Isabelle Weber, cittadina belga. Dalla coppia nascevano in Belgio, rispettivamente nel 1988 e nel 1992, due figli aventi doppia cittadinanza, spagnola e belga. Sui rispettivi certificati di nascita belgi ai figli veniva attribuito il cognome Garcia Avello, in conformità alla legge e alla prassi belghe. I figli venivano altresì registrati presso l'ufficio consolare dell'ambasciata spagnola a Bruxelles con il cognome Garcia Weber in conformità alla legge e alla prassi spagnole.

38. Nel 1995 i genitori presentavano formale richiesta alle autorità belghe per ottenere il cambiamento del cognome dei figli da Garcia Avello a Garcia Weber. Essi rilevavano che il sistema spagnolo di attribuzione dei cognomi era profondamente radicato nella legge, nella tradizione e nel costume spagnoli a cui i figli si sentivano più intimamente legati. Per i figli il fatto di portare il cognome Garcia Avello faceva pensare, secondo tale sistema, che essi fossero fratelli anziché figli del loro padre e li privava di ogni legame onomastico con la madre. Il cambiamento richiesto avrebbe consentito ai figli di portare lo stesso cognome in Belgio ed in Spagna; esso non era in alcun modo tale da recare pregiudizio a terzi o dar luogo a confusioni, e la permanenza dell'elemento «Garcia» era sufficiente a soddisfare ogni esigenza di continuità del nome nella linea paterna.

39. Nel 1997 il Ministro belga della giustizia proponeva una semplificazione del cognome dei figli in «Garcia». I genitori rifiutavano tale proposta ed il Ministro comunicava quindi al sig. Garcia Avello che il Governo riteneva che non vi fossero motivi sufficienti per proporre l'accettazione della loro richiesta originaria, giacché «qualsiasi richiesta di aggiungere il cognome della madre a quello del padre, per un figlio, è abitualmente respinta per il motivo che in Belgio i figli portano il cognome del padre».

40. Il sig. Garcia Avello impugnava tale rifiuto dinanzi al Consiglio di Stato per una serie di motivi, ed in particolare perché esso violava sia la Costituzione belga sia l'art. 18 CE in quanto con esso due situazioni diverse (quella dei figli con la sola cittadinanza belga e quella dei figli aventi doppia cittadinanza) erano trattate allo stesso modo senza alcuna giustificazione oggettiva.

41. Lo Stato belga replicava con gli argomenti secondo cui (i) i cognomi sono disciplinati dalle norme concernenti lo stato civile delle persone interessate, vale a dire dalla loro legge nazionale; qualora esse abbiano una doppia cittadinanza, la Convenzione dell'Aja del 1930 prevede che sia la legge del foro - nella fattispecie la legge belga - a prevalere; (ii) la prassi amministrativa in questione non è concepita per tutti i cittadini belgi, ma solo per quelli aventi doppia cittadinanza, cosicché situazioni diverse non sono in realtà trattate allo stesso modo; (iii) poiché in Belgio i figli assumono soltanto il cognome paterno, l'attribuzione di un cognome diverso può, nella società belga, dare adito a dubbi in ordine alla loro paternità; (iv) al fine di attenuare gli inconvenienti connessi alla doppia cittadinanza, viene proposto ai richiedenti di adottare solo il primo cognome del padre; in via eccezionale, qualora vi siano pochi elementi di collegamento con il Belgio oppure sia opportuno ristabilire l'identità di cognome fra fratelli, potrebbe essere presa una decisione favorevole, ma nella fattispecie non ricorrevano tali condizioni; (v) infine, agli scopi dell'art. 18 CE, la libertà di circolazione comporta in primo luogo l'eliminazione delle frontiere nonché l'abolizione dei controlli transfrontalieri e la libertà di residenza è intesa come la possibilità di stabilirsi negli Stati membri dell'Unione europea; l'atto impugnato non può violare tale disposizione poiché l'esercizio di tali libertà non è in alcun modo subordinato al fatto di portare un particolare cognome.

42. Il Consiglio di Stato concordava sul fatto che la prassi amministrativa in questione riguarda esclusivamente le persone aventi doppia cittadinanza e non le tratta allo stesso modo di quelle aventi la sola cittadinanza belga. Esso ritiene però che possa venire in rilievo l'art. 18 CE - ma non l'art. 43 CE, che concerne la libertà di stabilimento, materia evidentemente non pertinente trattandosi di figli minori interessati da una richiesta di cambiamento di cognome.

43. Esso ha pertanto sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se i principi del diritto comunitario in materia di cittadinanza europea e di libertà di circolazione delle persone, riconosciuti in particolar modo agli artt. 17 [CE] e 18 [CE], debbano essere interpretati nel senso che ostano a che l'autorità amministrativa belga, cui è stata rivolta una domanda di cambiamento di cognome per figli minorenni residenti in Belgio e titolari della doppia cittadinanza belga e spagnola, motivata, senza altre circostanze particolari, con il fatto che tali figli dovrebbero portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione spagnoli, rifiuti tale cambiamento, sostenendo che questo genere di domanda "è abitualmente respinta poiché in Belgio i figli portano il cognome del padre", in particolar modo qualora la prassi generalmente seguita dall'autorità derivi dal fatto che essa ritiene che la concessione di un cognome diverso possa, nell'ambito della vita sociale in Belgio, dare origine a questioni relative alla filiazione del figlio in questione, e qualora, al fine di attenuare gli inconvenienti connessi alla doppia cittadinanza, venga proposto ai richiedenti che si trovano in tale situazione di adottare solo il primo cognome del padre, ma eccezionalmente, ove sussistano scarsi legami con il Belgio o occorra ristabilire l'unità di cognome tra fratelli, possa essere adottata una decisione favorevole».

44. Hanno presentato osservazioni scritte il sig. Garcia Avello, i governi belga, danese ed olandese e la Commissione e hanno tutti svolto difese orali all'udienza.

Valutazione

45. I governi belga, danese ed olandese sostengono che la fattispecie oggetto della causa principale non ricade assolutamente nell'ambito di applicazione del diritto comunitario. Tale questione deve essere esaminata per prima, prima cioè che possa essere valutato se il tipo di rifiuto in questione sia tale da violare i diritti di cittadini dell'Unione europea e, in caso affermativo, se esso possa nondimeno ritenersi giustificato.

Se la fattispecie rientri nell'ambito di applicazione del diritto comunitario

46. In proposito assume rilievo l'identificazione dei soggetti ai quali il rigetto della richiesta di cambiamento del cognome dei figli arreca pregiudizio.

47. I tre governi osservano che interessati da tale rigetto sono solo i figli stessi, e che essi sono cittadini belgi residenti in Belgio che non hanno mai esercitato il proprio diritto alla libera circolazione; la fattispecie sarebbe pertanto meramente interna al Belgio ed esulerebbe dall'ambito di applicazione del diritto comunitario. La Commissione, d'altro canto, sostiene che è soprattutto il sig. Garcia Avello ad aver visto negato il proprio diritto ad ottenere il cambiamento del cognome dei figli; egli è un cittadino spagnolo che ha esercitato il proprio diritto alla libera circolazione venendo a vivere e lavorare in Belgio, cosicché entrerebbe in gioco il diritto comunitario. In ogni caso, osserva la Commissione, la situazione dei figli in sé ricade nell'ambito di applicazione del diritto comunitario.

48. Il contesto di tale divergenza di vedute è la costante giurisprudenza della Corte per cui non vi sono diritti conferiti dal Trattato se non vi è un collegamento con il diritto comunitario sufficiente a giustificare l'applicazione delle sue disposizioni. Per quanto concerne la libera circolazione, tale collegamento non sussiste qualora la fattispecie in esame riguardi i rapporti tra uno Stato membro ed un suo cittadino che non ha mai esercitato tale diritto . Nella sentenza sulle cause Uecker e Jacquet la Corte ha confermato che «la cittadinanza dell'Unione di cui all'art. [17] del Trattato CE non ha lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato anche a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario (...). Le eventuali discriminazioni di cui possono essere oggetto i cittadini di uno Stato membro con riguardo al diritto di questo Stato rientrano nella sfera di applicazione di quest'ultimo, per cui esse devono essere risolte nell'ambito del sistema giuridico nazionale del detto Stato».

49. Concordo tuttavia con la Commissione.

50. In primo luogo, mi sembra chiaro che il rifiuto impugnato riguarda proprio il sig. Garcia Avello. L'originaria richiesta di cambiamento di cognome nel1995 venne presentata da lui e da sua moglie in qualità di «genitori e legali rappresentanti dei loro figli minori», ma le due risposte del Ministero della Giustizia a tale richiesta erano indirizzate al solo sig. Garcia Avello ed è il sig. Garcia Avello il ricorrente nel giudizio di annullamento avanti al Consiglio di Stato. Elemento ancora più importante, la controversia verte non sulla scelta di un cognome per i figli in sé considerata, ma sul modo in cui il cognome portato da una generazione deve essere determinato con il nome o con i nomi portati dalla generazione precedente; infatti il governo belga pone un particolare accento su questo aspetto della controversia. E' chiaro che siffatta questione riguarda entrambe le generazioni ed è appunto tanto nell'interesse del padre garantire che il proprio cognome sia trasmesso in conformità ai principi in base ai quali era stato formato quanto nell'interesse dei figli ereditare un cognome nella maniera e nella forma appropriate.

51. Poiché il sig. Garcia Avello è un cittadino di uno Stato membro che ha esercitato il proprio diritto a trasferirsi e a lavorare in un altro Stato membro ed un cittadino dell'Unione che ha esercitato il proprio diritto a trasferirsi e a risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri, la sua situazione ricade senz'altro nel campo di applicazione del diritto comunitario .

52. In secondo luogo, non posso in ogni caso convenire sul fatto che la situazione dei figli stessi sia meramente interna al Belgio. Anche se sono cittadini belgi, sono nati in Belgio e non hanno mai risieduto fuori da tale paese, nondimeno essi possiedono anche la cittadinanza di un altro Stato membro. Tale circostanza è inseparabile dall'esercizio da parte del padre, di cui essi sono a carico, del proprio diritto alla libera circolazione. Mentre la Convenzione dell'Aja del 1930 attribuisce alle autorità belghe il diritto di trattare i figli come cittadini belgi all'interno del Belgio, essa non impone a tali autorità di ignorare la loro seconda cittadinanza. Se la madre fosse stata una cittadina spagnola anziché belga, la loro situazione come figli a carico di cittadini di un altro Stato membro che hanno esercitato la libera circolazione all'interno della Comunità sarebbe evidentemente ricaduta entro l'ambito di applicazione del diritto comunitario. Dal punto di vista di tale diritto, rileva il fatto che essi possiedano la cittadinanza di due Stati membri e non può ammettersi che una di tali cittadinanze eclissi l'altra a seconda del luogo in cui essi si trovino .

53. Ritengo pertanto che la fattispecie di cui trattasi nella causa principale ricada nel campo di applicazione del diritto comunitario.

Se sussista la violazione di un diritto attribuito dal diritto comunitario

54. Occorre a questo punto considerare quali effetti negativi siano prodotti dal rifiuto in questione. In proposito, a me sembra che vengano in rilievo due aspetti.

55. In primo luogo, come ho dianzi affermato, sia il sig. Garcia Avello sia i suoi figli possono avere obiezioni nei confronti del fatto che il primo non possa trasmettere il proprio cognome ai secondi - e che questi non possano ereditarlo da lui - in conformità ai principi in base ai quali tale cognome era stato formato. Questa non è una mera obiezione astratta, poiché, come è stato rilevato, l'applicazione ad un cognome spagnolo del sistema vigente in Belgio può presentare a coloro che sono abituati al sistema spagnolo un'immagine distorta dei rapporti familiari: i figli del sig. Garcia Avello apparirebbero come fratello e sorella del padre .

56. In secondo luogo, evidenti difficoltà pratiche possono sorgere per i figli dal fatto che il loro cognome registrato dalle autorità belghe differisca da quello registrato dalle autorità spagnole. Un esempio, segnalato in udienza dal patrono del sig. Garcia Avello, potrebbe essere il possesso di un titolo di studio rilasciato in Belgio sotto un nome non riconosciuto come quello del suo possessore in Spagna; altri ancora sono forniti nella relazione esplicativa della Convenzione dell'Aja del 1982.

57. Non c'è dubbio che il diritto comunitario non disciplini direttamente la registrazione, o il cambiamento della registrazione, dei nomi nei registri delle nascite, dei matrimoni, delle morti o di stato civile. In linea di principio, spetta agli Stati membri disciplinare tali materie, in conformità a tutte le disposizioni di diritto internazionale privato applicabili, purché nell'apprestare tale disciplina essi non operino in alcun modo che risulti incompatibile con i loro obblighi di diritto comunitario.

58. La questione di tale registrazione in un contesto di diritto comunitario è insorta in una precedente causa decisa dalla Corte, con la sentenza Konstantinidis . In tale causa un cittadino greco che lavorava in Germania come lavoratore autonomo aveva trovato nel registro di stato civile tedesco il proprio nome traslitterato in caratteri latini in una forma del tutto inaspettata e, sotto ogni punto di vista, del tutto impropria, ma nondimeno conforme al prescritto sistema di traslitterazione dall'alfabeto greco a quello latino.

59. Nelle mie conclusioni in quella causa ritenevo innanzitutto che fossero stati violati i suoi diritti derivanti dal diritto comunitario, poiché egli era stato oggetto di una discriminazione, vietata dal combinato disposto degli attuali artt. 12 e 43 CE, in considerazione del fatto che in pratica solo i cittadini greci erano obbligati ad accettare in Germania una traslitterazione dei loro nomi tale da ledere la loro dignità e da causare inconvenienti nella vita quotidiana e professionale. In secondo luogo, ritenevo che la traslitterazione in questione potesse violare i suoi diritti fondamentali previsti, tra l'altro, dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo e garantiti ad ogni cittadino comunitario che eserciti il proprio diritto alla libertà di stabilimento.

60. Nella sua sentenza la Corte poneva in evidenza il fatto che il divieto di discriminazioni in ragione della cittadinanza nell'attuale art. 43 CE mira a garantire che, in materia di diritto di stabilimento, ciascuno Stato membro accordi ai cittadini degli altri Stati membri lo stesso trattamento riservato ai propri cittadini. Essa proseguiva, peraltro , affermando che regole di questo tipo sono incompatibili con tale disposizione solo in quanto la loro applicazione crei un disagio tale da ledere il libero esercizio del diritto di stabilimento di una persona, e che ciò si verifica qualora un cittadino ellenico sia costretto a utilizzare, nell'esercizio della sua professione, una determinata grafia del suo nome, risultante dalla traslitterazione nei registri di stato civile, tale che la pronuncia ne risulti alterata e che l'alterazione che ne deriva lo esponga al rischio di uno scambio di persone presso la sua clientela potenziale.

61. Nella presente causa la Commissione sostiene che l'introduzione della cittadinanza dell'Unione, con il conseguente godimento di tutti i diritti conferiti dal Trattato - ivi incluso, quindi, il diritto a non essere discriminati in ragione della cittadinanza - sia un elemento nuovo che consenta alla Corte di pervenire in questa causa a una decisione su una base alquanto più ampia rispetto alla sentenza Konstantinidis. Sono d'accordo sul fatto che l'art. 17 renda più evidente l'applicabilità del principio di non discriminazione a tutte le fattispecie che ricadono nel campo di applicazione del diritto comunitario, senza che vi sia alcun bisogno di accertare una specifica lesione di una libertà economica specifica.

62. Ciò premesso, occorre ancora accertare se il rifiuto in questione comporti una discriminazione in base alla cittadinanza. Nel diritto comunitario per discriminazione si intende il fatto di trattare differentemente situazioni oggettivamente simili o di trattare allo stesso modo situazioni oggettivamente diverse. Il governo belga sostiene che la prassi amministrativa su cui era basato il rifiuto si applica ad una singola categoria di persone oggettivamente distinguibile dalle altre - quella dei figli aventi doppia cittadinanza belga e spagnola, nati in Belgio - e che pertanto non è discriminatoria.

63. Non sono d'accordo. Oggetto della presente controversia è il rifiuto di cambiare un cognome affinché questo (i) rispecchi il cognome paterno in conformità al modo in cui il cognome stesso è stato formato e (ii) eviti ogni discrepanza tra le forme di cognome registrate dalle autorità di due Stati membri allorché il portatore di tale cognome sia cittadino di entrambi. A quanto pare le autorità belghe non si ritengano competenti ad apportare alcun cambiamento al nome di una persona che non è un cittadino belga, a prescindere dal fatto che tale persona possieda o meno un'altra cittadinanza. Il primo degli obiettivi sopra menzionati parrebbe essere rilevante soprattutto, ed il secondo di essi soltanto, se la persona possiede anche un'altra cittadinanza. Poiché, ai sensi della legge belga, un cambiamento di cognome può essere accordato se la richiesta in tal senso si fonda su gravi motivi, un sistematico rifiuto di accordare il cambiamento allorché i motivi addotti siano connessi al - o inseparabili dal - possesso di un'altra cittadinanza deve ritenersi discriminatorio in ragione della cittadinanza. Una tale prassi di fatto accorda il medesimo trattamento tanto a coloro che, avendo una cittadinanza diversa da quella belga, portano un cognome, o hanno un genitore che porta un cognome, non formato conformemente alle regole vigenti in Belgio quanto a coloro che possiedono la sola cittadinanza belga e portano un cognome formato conformemente a tali regole, nonostante il fatto che le loro situazioni siano oggettivamente diverse.

64. E' evidente che tale discriminazione colpisce coloro - in questo caso i figli - che possiedono essi stessi un'altra cittadinanza oltre a quella belga e riguardo ai quali si richiede il cambiamento di cognome.

65. Essa colpisce, tuttavia, anche coloro che si trovano nella situazione del sig. Garcia Avello, poiché è il loro cognome, formato secondo la loro legge nazionale, ad essere trasmesso ai figli in una forma inappropriata rispetto al modo in cui esso è stato formato. Il rifiuto di consentire che il cognome del sig. Garcia Avello sia trasmesso in conformità al suo modo di formazione è una conseguenza dell'esercizio da parte di questi del diritto alla libera circolazione, giacché, se egli non avesse esercitato tale diritto, la situazione in cui è intervenuto il rifiuto non si sarebbe verificata. L'esistenza di una prassi amministrativa che comporti sistematicamente un tale rifiuto è dunque tale da rendere meno attraente l'esercizio di tale diritto.

66. Essendo giunto alla conclusione che le circostanze del caso di specie rivelano una discriminazione in base alla cittadinanza vietata dal combinato disposto degli artt. 12 e 17 CE, non ritengo necessario valutare se sussista la violazione di qualche altro diritto fondamentale garantito dal diritto comunitario, in particolare per quanto riguarda la libertà da ingerenze nella vita privata e familiare ai sensi dell'art. 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo. In proposito può essere rilevato come la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia posto in rilievo che restrizioni legali alla possibilità di cambiare cognome possono essere giustificate dall'interesse pubblico e che gli Stati contraenti godono di un ampio margine discrezionale in materia, in particolare qualora vi sia scarsa omogeneità tra le regole applicate in Stati diversi e il diritto sembri essere in una fase transitoria . Tuttavia, l'esistenza di un ampio margine discrezionale nel contesto della Convenzione non ha a mio avviso alcun rapporto diretto con l'ampiezza del margine disponibile nel diverso contesto della cittadinanza dell'Unione europea.

Se la violazione possa essere giustificata

67. Un trattamento discriminatorio può essere giustificato se è basato su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate e commisurate allo scopo legittimamente perseguito dall'ordinamento nazionale .

68. Il governo belga sostiene che la prassi amministrativa in questione è giustificata. L'immodificabilità dei cognomi è, a suo dire, un principio fondatore dell'ordine sociale in Belgio, risalente al decreto 6 fruttidoro dell'anno II e ribadito nella più recente legislazione. Inoltre gli effetti di tale prassi non sono eccessivamente estesi, dal momento che i figli del sig. Garcia Avello possono usare il cognome Garcia Weber e qualsiasi documento spagnolo in cui sia indicato tale cognome, in qualsiasi altro paese della Comunità al di fuori del Belgio. In Belgio, è nel loro stesso interesse usare il cognome Garcia Avello, poiché altrimenti, nel contesto dell'ordinamento belga, potrebbero sorgere dubbi in ordine al loro rapporto con il padre. In udienza il governo danese ha sostenuto che il divieto di discriminazioni è inteso a facilitare l'integrazione nello Stato membro ospitante ed una norma che vieti deroghe al sistema in vigore in quello Stato agevola anziché ostacolare tale integrazione. Il governo dei Paesi Bassi ha posto in rilievo l'esigenza, per una società democratica, di un sistema di cognomi stabile e coerente, al fine di evitare ogni rischio di confusione sull'identità o sui rapporti di discendenza.

69. Ammetto che quello di evitare confusioni sull'identità, ponendo dei limiti al diritto di cambiare cognome, sia uno scopo legittimo. E' utile evitare tale confusione sia nei rapporti fra il singolo e le autorità sia in quelli fra singoli. Una libertà eccessiva in materia potrebbe offrire opportunità per comportamenti criminosi o disonesti.

70. Tuttavia, siffatti pericoli non devono essere enfatizzati. In altri Stati membri, ad esempio nel Regno Unito, non si è ritenuto necessario limitare i cambiamenti di cognome su tale base. In ogni caso, la stessa esistenza di una registrazione ufficiale del cambiamento di nome è probabile che riduca le possibilità che la confusione, sia essa intenzionale o meno, passi inosservata. Inoltre, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici, sembra improbabile che l'identità di cognome sia necessaria o sufficiente ad accertare rapporti di discendenza.

71. Per quanto riguarda l'ordine sociale in senso lato, non mi sembra che vi sia alcun preminente interesse pubblico a garantire la costante prevalenza di un determinato modello di trasmissione del cognome dei cittadini di uno Stato membro entro il territorio di questo. Questo è un campo in cui sia le norme giuridiche sia la prassi sociale sono cambiate negli ultimi anni, e continuano a cambiare, in tutta l'Unione europea. L'aumento del numero dei divorzi e dei matrimoni di persone divorziate, insieme ad una significativa diminuzione della riprovazione sociale della condizione di figli illegittimi, ha considerevolmente ridotto la rigidità delle aspettative in ordine all'identità di cognome fra padre e figlio. L'accresciuta mobilità dei cittadini dell'Unione ha portato ad una crescente familiarità con altri sistemi di denominazione. Così, se la conformità alla regola in vigore nello Stato membro di residenza resta un fattore da tenere in considerazione nel decidere se sia nell'interesse di un figlio - o della società - che il suo cognome sia cambiato, esso non è il solo né il più importante elemento al riguardo.

72. Inoltre, vorrei contestare l'argomento per cui il principio di non discriminazione mirerebbe in sostanza a garantire l'integrazione dei cittadini migranti nello Stato membro che li ospita. Il concetto di «circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri» non si fonda sull'ipotesi di un unico trasferimento da uno Stato membro ad un altro, cui consegua l'integrazione in quest'ultimo. L'intento è piuttosto quello di consentire la libera, ed eventualmente reiterata o addirittura continua, circolazione entro un unico «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» in cui siano assicurate tanto la diversità delle culture quanto la mancanza di discriminazioni .

73. Non mi sembra neppure che il fatto che gli effetti del rifiuto possano essere limitati al Belgio riduca in alcun modo la loro gravità per gli interessati. Dal punto di vista dell'obiezione culturale al vedere il cognome trasmesso in maniera diversa da quella in cui era destinato ad essere trasmesso, gli effetti sono avvertiti per tutto il tempo in cui la famiglia risiede in Belgio. Dal punto di vista delle difficoltà pratiche che insorgono, gli effetti possono avvertirsi in tutta l'Unione europea poiché di fatto i figli portano due diversi cognomi .

74. Infine, come rilevato dalla Commissione, il fatto che - come affermato nella stessa questione proposta dal giudice a quo - le autorità belghe siano disponibili a prendere in considerazione un cambiamento di cognome, ponendolo in linea con il modello spagnolo, in circostanze solo lievemente diverse da quelle in cui si trovano il sig. Garcia Avello e la sua famiglia contribuisce a rendere l'argomentazione del governo belga sul punto assai meno stringente.

75. Mi preme sottolineare come nulla di quanto esposto in precedenza deve interpretarsi come una critica delle regole vigenti in Belgio o di qualsiasi altra normativa in materia di attribuzione dei cognomi. Il punto è, piuttosto, che tali regole non dovrebbero essere applicate in modo tale da violare il principio di non discriminazione sancito dal diritto comunitario. L'ordinamento belga prevede una procedura per cui i cognomi possono essere cambiati in presenza di motivi sufficientemente gravi. Il solo aspetto riguardo al quale la prassi belga appare in conflitto con il diritto comunitario consiste nel sistematico rifiuto di considerare come motivi del genere una situazione come quella del sig. Garcia Avello e dei suoi figli.

Conclusione

76. Concludo pertanto nel senso che la questione pregiudiziale proposta dal giudice a quo dovrebbe essere risolta come segue:

«Il combinato disposto degli artt. 12 e 17 CE osta all'applicazione di una regola o di una prassi amministrativa di uno Stato membro in base alla quale sia sistematicamente respinta una domanda di cambiamento del cognome di cittadini di tale Stato, allorché tale domanda sia motivata dal fatto che il richiedente possiede anche la cittadinanza di un altro Stato membro, porta un cognome diverso conformemente alle leggi di tale altro Stato e desidera portare in ogni caso un cognome formato in conformità a queste ultime leggi».