Causa T‑315/01

Yassin Abdullah Kadi

contro

Consiglio dell’Unione europea e Commissione delle Comunità europee

«Politica estera e di sicurezza comune — Misure restrittive nei confronti di persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Competenza della Comunità — Congelamento dei capitali — Diritti fondamentali — Ius cogens — Sindacato giurisdizionale — Ricorso di annullamento»

Sentenza del Tribunale (Seconda Sezione ampliata) 21 settembre 2005 

Massime della sentenza

1.     Procedura — Regolamento che sostituisce nel corso del giudizio il regolamento impugnato — Elemento nuovo — Estensione delle conclusioni e dei motivi iniziali

2.     Atti delle istituzioni — Scelta del fondamento normativo — Regolamento che istituisce sanzioni nei confronti di determinate persone ed entità che non presentano alcun legame con un paese terzo — Artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, in combinato disposto — Ammissibilità

[Artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE; art. 3 UE; regolamento (CE) del Consiglio n. 881/2002]

3.     Libera circolazione dei capitali e libertà dei pagamenti — Restrizioni — Misure nazionali intese a lottare contro il terrorismo internazionale che impongono a tal fine sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di singoli che non presentano alcun legame con un paese terzo — Ammissibilità — Presupposti

(Art. 58 CE)

4.     Diritto internazionale pubblico — Carta delle Nazioni Unite — Decisioni del Consiglio di Sicurezza — Obblighi che ne risultano per gli Stati membri — Preminenza sul diritto nazionale e sul diritto comunitario — Obblighi risultanti da tale Carta — Carattere vincolante per la Comunità

5.     Comunità europee — Sindacato giurisdizionale della legittimità degli atti delle istituzioni — Atto che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Controllo incidentale della legittimità delle decisioni del Consiglio di Sicurezza — Controllo effettuato alla luce del diritto comunitario — Esclusione — Controllo effettuato alla luce dello ius cogens — Ammissibilità

(Artt. 5 CE, 10 CE, 230 CE, 297 CE, 307, primo comma, CE; art. 5 UE; regolamento del Consiglio n. 881/2002)

6.     Comunità europee — Sindacato giurisdizionale della legittimità degli atti delle istituzioni — Atto che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Regolamento n. 881/2002 — Specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Diritti fondamentali degli interessati — Congelamento dei capitali — Controllo effettuato alla luce dello ius cogens — Diritto di proprietà dell’interessato — Principio di proporzionalità — Inosservanza — Insussistenza

[Regolamento del Consiglio n. 881/2002, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio n. 561/2003]

7.     Comunità europee — Sindacato giurisdizionale della legittimità degli atti delle istituzioni — Atto che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Regolamento n. 881/2002 — Specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Diritto dell’interessato ad essere sentito — Inosservanza — Insussistenza

(Regolamento del Consiglio n. 881/2002)

8.     Ricorso di annullamento — Atto comunitario che dà esecuzione a risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite — Regolamento n. 881/2002 — Specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani — Sindacato giurisdizionale — Limiti — Lacuna nella tutela giurisdizionale del ricorrente — Controllo effettuato alla luce dello ius cogens — Diritto ad un rimedio giurisdizionale efficace — Inosservanza — Insussistenza

(Art. 226 CE; regolamento del Consiglio n. 881/2002)

1.     Nell’ambito di un ricorso di annullamento, allorché un regolamento che riguarda direttamente e individualmente un privato è sostituito, in corso di giudizio, da un regolamento che ha il medesimo oggetto, quest’ultimo va considerato un elemento nuovo che consente al ricorrente di adeguare le sue conclusioni e i suoi motivi. Sarebbe, infatti, in contrasto col principio di sana amministrazione della giustizia e con quello dell’economia processuale costringere il ricorrente a proporre un nuovo ricorso. Sarebbe inoltre ingiusto che l’istituzione in questione, per far fronte alle critiche contenute in un ricorso presentato al giudice comunitario contro un regolamento, possa adeguare il regolamento impugnato o sostituirgliene un altro e valersi, in corso di causa, di tale modifica o di tale sostituzione per privare la controparte della possibilità di estendere le sue conclusioni e le sue difese iniziali all’ulteriore regolamento o di presentare ulteriori conclusioni o difese contro di esso.

(v. punti 53-54)

2.     Gli artt. 60 CE e 301 CE non costituiscono, da soli, un fondamento normativo sufficiente per adottare un regolamento comunitario volto alla lotta contro il terrorismo internazionale e all’imposizione, a tal fine, di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di singoli senza che sussista un qualche legame tra tali singoli e un paese terzo.

Del pari, l’art. 308 CE non costituisce, da solo, un fondamento normativo sufficiente per consentire l’adozione di un regolamento siffatto. Se è vero che nessuna disposizione del Trattato attribuisce alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria per l’imposizione di sanzioni riguardanti individui o entità che non presentano alcun legame con un paese terzo, la lotta contro il terrorismo internazionale e, in particolare, l’imposizione di sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento non può essere ricollegata ad alcun obiettivo esplicitamente assegnato alla Comunità dagli artt. 2 CE e 3 CE. Inoltre, dal preambolo del Trattato CE non emerge affatto che quest’ultimo persegua un obiettivo più vasto di difesa della pace e della sicurezza internazionale. Esso attiene esclusivamente agli obiettivi del Trattato UE. Se certamente si può affermare che tale obiettivo dell’Unione deve ispirare l’azione della Comunità nel settore delle sue competenze, ciò non basta, invece, a fondare l’adozione di misure ai sensi dell’art. 308 CE. Infine, non si può interpretare l’art. 308 CE nel senso che esso autorizza in modo generale le istituzioni a fondarsi su tale articolo per realizzare un obiettivo del Trattato UE.

Alla luce di quanto precede il Consiglio era competente, sul fondamento costituito dal combinato disposto degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, ad adottare il regolamento impugnato n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, il quale attua nella Comunità le sanzioni economiche e finanziarie previste dalla posizione comune 2002/402, in assenza di qualsiasi legame tra il territorio o il regime dirigente di un paese terzo.

In tale contesto, infatti, occorre tener conto del collegamento specificamente creato, in occasione della revisione risultante dal Trattato di Maastricht, tra le azioni della Comunità che comportano sanzioni economiche ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE e gli obiettivi del Trattato UE in materia di relazioni esterne. Al riguardo, gli artt. 60 CE e 301 CE sono disposizioni assolutamente particolari del Trattato CE poiché prevedono espressamente che un’azione della Comunità possa risultare necessaria per realizzare non uno degli obiettivi della Comunità, determinati dal Trattato CE, ma uno degli obiettivi specificamente assegnati all’Unione dall’art. 2 UE, ossia l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune. Così, quando i poteri in materia di sanzioni economiche e finanziarie previsti dagli artt. 60 CE e 301 CE, ossia l’interruzione o la riduzione delle relazioni economiche con uno o più paesi terzi, in particolare per quanto attiene ai movimenti di capitali e ai pagamenti, si rivelano insufficienti per consentire alle istituzioni di raggiungere l’obiettivo della PESC, il ricorso al fondamento normativo supplementare costituito dall’art. 308 CE si giustifica, nel particolare contesto considerato da tali due articoli, in nome dell’esigenza di coerenza di cui all’art. 3 UE. Il ricorso al cumulo dei fondamenti normativi costituito dagli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE consente così di realizzare, in materia di sanzioni economiche e finanziarie, l’obiettivo perseguito nell’ambito della PESC dall’Unione e dai suoi Stati membri, espresso in una posizione comune o in un’azione comune, nonostante manchi un’espressa attribuzione alla Comunità dei poteri di imporre sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di individui o entità che non hanno legami sufficienti con un paese terzo determinato.

(v. punti 96-97, 100, 116, 118-121, 123-124, 127-128, 130, 135)

3.     La Comunità non ha alcuna competenza esplicita ad imporre restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti. L’art. 58 CE consente invece che gli Stati membri adottino misure aventi un tale effetto nei limiti in cui ciò sia e rimanga giustificato per raggiungere gli obiettivi di cui a tale norma e, in particolare, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Dato che la nozione di sicurezza pubblica ricomprende sia la sicurezza interna sia la sicurezza esterna dello Stato, gli Stati membri sarebbero dunque legittimati in via di principio ad adottare, ai sensi dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE, misure volte alla lotta contro il terrorismo internazionale e all’imposizione a tal fine di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di singoli, senza stabilire un qualche legame con il territorio o con il regime dirigente di un paese terzo. Purché siano conformi all’art. 58, n. 3, CE e non oltrepassino quanto necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato, tali misure sarebbero compatibili con il regime di libera circolazione dei capitali e dei pagamenti istituito dal Trattato CE.

(v. punto 110)

4.     Dal punto di vista del diritto internazionale, gli obblighi degli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ai sensi della Carta delle Nazioni Unite prevalgono incontestabilmente su qualsiasi altro obbligo di diritto interno o di diritto internazionale pattizio, ivi compreso, per quelli tra di essi che sono membri del Consiglio d’Europa, sugli obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, per quelli tra di essi che sono anche membri della Comunità, sui loro obblighi derivanti dal Trattato CE. Tale prevalenza si estende alle decisioni contenute in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, a norma dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, ai termini del quale i membri dell’ONU convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza.

Pur non essendo membro delle Nazioni Unite, la Comunità deve essere considerata vincolata agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, alla stessa stregua dei suoi Stati membri, in base allo stesso Trattato che la istituisce. Da un lato, che essa non può violare gli obblighi incombenti ai propri Stati membri in forza della detta Carta né ostacolare la loro esecuzione. Dall’altro, essa è tenuta, a norma del suo stesso Trattato istitutivo, ad adottare, nell’esercizio delle proprie competenze, tutte le disposizioni necessarie per consentire ai propri Stati membri di conformarsi a tali obblighi.

(v. punti 181, 184, 192-193, 204)

5.     Il regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, adottato alla luce della posizione comune 2002/402, costituisce l’attuazione, a livello comunitario, dell’obbligo che incombe agli Stati membri, in quanto membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), di dare esecuzione, eventualmente mediante un atto comunitario, alle sanzioni contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associati, che sono state decise e poi inasprite da varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

In questo contesto, le istituzioni comunitarie hanno agito in base ad una competenza vincolata, sicché esse non disponevano di alcun margine di discrezionalità autonomo. In particolare, esse non potevano né modificare direttamente il contenuto delle risoluzioni di cui trattasi né prevedere un meccanismo che potesse dar luogo ad una modifica del genere. Qualsiasi controllo della legittimità interna del regolamento n. 881/2002 implicherebbe dunque la verifica da parte del Tribunale, in via incidentale, della legittimità delle dette risoluzioni.

Orbene, alla luce del principio della preminenza del diritto dell’ONU sul diritto comunitario, l’affermazione di una competenza del Tribunale a controllare in via incidentale la legittimità delle decisioni del Consiglio di Sicurezza in base allo standard di tutela dei diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico comunitario non può giustificarsi né sulla base del diritto internazionale né sulla base del diritto comunitario. Infatti, da un lato, una competenza del genere sarebbe incompatibile con gli impegni assunti dagli Stati membri in base alla Carta delle Nazioni Unite, in particolare ai suoi artt. 25, 48 e 103, nonché con l’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Dall’altro, essa sarebbe contraria sia alle disposizioni del Trattato CE, in particolare agli artt. 5 CE, 10 CE, 297 CE e 307, primo comma, CE, sia a quelle del Trattato UE, in particolare all’art. 5 UE. Essa sarebbe, inoltre, incompatibile con il principio secondo il quale le competenze della Comunità e, pertanto, quelle del Tribunale devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite si sottraggono quindi, in via di principio, al sindacato giurisdizionale del Tribunale e quest’ultimo non ha il potere di rimettere in causa, seppur in via incidentale, la loro legittimità alla luce del diritto comunitario. Al contrario, il Tribunale è tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo che sia compatibile con gli obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

Il Tribunale ha tuttavia il potere di controllare, in via incidentale, la legittimità delle risoluzioni di cui trattasi alla luce dello ius cogens, inteso come un ordinamento pubblico internazionale che s’impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi dell’ONU, e al quale non è possibile derogare.

(v. punti 213-215, 221-223, 225-226)

6.     Il congelamento dei capitali previsto dal regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, come modificato dal regolamento n. 561/2003, e, indirettamente, dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza attuate da tali regolamenti, non viola i diritti fondamentali degli interessati, alla luce dello standard di tutela universale dei diritti fondamentali della persona umana appartenenti allo ius cogens.

In proposito, le espresse possibilità di esenzioni e di deroghe che accompagnano il congelamento dei capitali delle persone iscritte nell’elenco del comitato per le sanzioni dimostrano chiaramente che tale misura non ha né lo scopo né l’effetto di assoggettare tali persone ad un trattamento disumano o degradante.

Inoltre, nei limiti in cui il diritto alla proprietà privata debba essere considerato facente parte delle norme imperative del diritto internazionale generale, solo una privazione arbitraria di tale diritto potrebbe, in ogni caso, essere considerata contraria allo ius cogens. Orbene, tale non è il caso nella fattispecie.

Infatti, in primo luogo, il congelamento dei loro capitali è un aspetto delle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza contro Osama bin Laden, la rete Al‑Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associati, in considerazione dell’importanza della lotta contro il terrorismo internazionale e della legittimità di una tutela delle Nazioni Unite contro gli intrighi di organizzazioni terroristiche. In secondo luogo, il congelamento dei capitali è una misura cautelare che, a differenza di una confisca, non lede la sostanza stessa del diritto di proprietà degli interessati sulle loro disponibilità finanziarie, ma soltanto il relativo utilizzo. In terzo luogo, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza prevedono un meccanismo di riesame periodico del regime generale delle sanzioni. Infine, la normativa di cui trattasi predispone una procedura che consente agli interessati di sottoporre in qualsiasi momento il loro caso al comitato per le sanzioni ai fini di un riesame, attraverso l’intermediazione dello Stato membro di loro nazionalità o di loro residenza.

Tenuto conto di tali circostanze, il congelamento dei capitali delle persone ed entità sospettate, in base alle informazioni comunicate dagli Stati membri delle Nazioni Unite e controllate dal Consiglio di Sicurezza, di essere legate ad Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e di avere partecipato al finanziamento, alla pianificazione, alla preparazione o all’esecuzione di atti terroristici non può passare per una lesione arbitraria, inadeguata o sproporzionata dei diritti fondamentali degli interessati.

(v. punti 238, 240, 242-245, 248-251)

7.     Né il Consiglio, in relazione all’adozione del regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, né il comitato per le sanzioni, in relazione all’iscrizione dell’interessato nell’elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza attuate da tale regolamento, hanno violato il diritto dell’interessato ad essere sentito.

Infatti, in primo luogo, il Consiglio non era tenuto ad ascoltare l’interessato circa il fatto che il suo nome continuava a figurare nell’elenco delle persone ed entità colpite dalle sanzioni, nel contesto dell’adozione e dell’attuazione del regolamento di cui trattasi, poiché le istituzioni comunitarie non disponevano di alcun margine di discrezionalità nel recepire nell’ordinamento giuridico comunitario risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e decisioni del comitato per le sanzioni, cosicché un’audizione dell’interessato non avrebbe potuto in nessun caso portare l’istituzione a rivedere la propria posizione.

In secondo luogo, il diritto dell’interessato di essere ascoltato dal comitato per le sanzioni in relazione alla sua iscrizione nell’elenco delle persone sospettate di contribuire al finanziamento del terrorismo internazionale i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non è previsto dalle risoluzioni di cui trattasi. In particolare, in una situazione in cui si controverte di misure cautelari che limitano la disponibilità dei beni dell’interessato, il rispetto dei diritti fondamentali di quest’ultimo non esige che i fatti e gli elementi di prova ritenuti a suo carico gli siano comunicati, quando il Consiglio di Sicurezza o il suo comitato per le sanzioni ritengono che vi ostino motivi riguardanti la sicurezza e della comunità internazionale.

(v. punti 258-259, 261, 274, 276)

8.     Nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto contro il regolamento n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani, il Tribunale esercita un controllo completo sulla legittimità del detto regolamento per quanto attiene al rispetto, da parte delle istituzioni comunitarie, delle norme di competenza nonché delle norme di legittimità esterna e delle forme sostanziali imposte al loro operato. Il Tribunale controlla parimenti la legittimità del regolamento alla luce delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che tale regolamento deve attuare, segnatamente sotto il profilo dell’adeguatezza formale e sostanziale, della coerenza interna e della proporzionalità del primo rispetto alle seconde. Inoltre, esso controlla la legittimità del detto regolamento e, indirettamente, la legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di cui trattasi, alla luce delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo ius cogens, segnatamente delle norme imperative sulla tutela universale dei diritti della persona umana.

Per contro, non spetta al Tribunale controllare indirettamente la conformità delle stesse controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ai diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario. Al Tribunale non spetta neanche verificare l’assenza di errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova che il Consiglio ha considerato a sostegno delle misure adottate né, fatto salvo l’ambito limitato del controllo effettuato alla luce dello ius cogens, controllare indirettamente l’opportunità e la proporzionalità di tali misure. In tali limiti, i ricorrenti non dispongono di alcun rimedio giurisdizionale, poiché il Consiglio di Sicurezza non ha ritenuto opportuno individuare un giudice internazionale indipendente con il compito di decidere, in diritto e in fatto, dei ricorsi diretti contro le decisioni individuali adottate dal comitato per le sanzioni.

Tuttavia, tale lacuna nella tutela giurisdizionale del ricorrente non è di per sé contraria allo ius cogens. Infatti, il diritto di adire un giudice non è assoluto. La limitazione del diritto del ricorrente di adire un giudice, derivante dall’immunità di giurisdizione di cui godono, in via di principio, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, è inerente a tale diritto, garantito dallo ius cogens. L’interesse del ricorrente a ottenere che un giudice esamini nel merito la sua causa non è sufficiente a prevalere sull’interesse generale fondamentale a che la pace e la sicurezza internazionale siano mantenute a fronte di una minaccia chiaramente identificata dal Consiglio di Sicurezza, conformemente alle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite. Non è pertanto violato il diritto del ricorrente ad un rimedio giurisdizionale effettivo.

(v. punti 279-280, 282-289, 291)




SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

21 settembre 2005 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive nei confronti di persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani – Competenza della Comunità – Congelamento dei capitali – Diritti fondamentali – Ius cogens – Sindacato giurisdizionale – Ricorso di annullamento»

Nella causa T-315/01,

Yassin Abdullah Kadi, residente a Jedda (Arabia saudita), rappresentato dai sigg. D. Pannick, QC, P. Saini, barrister, G. Martin e A. Tudor, solicitors, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dai sigg. M. Vitsentzatos e M. Bishop, in qualità di agenti,

e

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. A. Van Solinge e C. Brown, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuti,

sostenuti da:

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente dal sig. J.E. Collins, successivamente dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agenti, quest’ultima assistita dalla sig.ra S. Moore, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,

avente ad oggetto, inizialmente, una domanda di annullamento, da un lato, del regolamento (CE) del Consiglio 6 marzo 2001, n. 467, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1), e, dall’altro, del regolamento (CE) della Commissione 19 ottobre 2001, n. 2062, che modifica per la terza volta il regolamento n. 467/2001 (GU L 277, pag. 25), e, successivamente, una domanda di annullamento del regolamento (CE) del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 (GU L 139, pag. 9), nei limiti in cui tali atti riguardano il ricorrente,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),

composto dai sigg. N.J. Forwood, presidente, J. Pirrung, P. Mengozzi, A.W.H. Meij e M. Vilaras, giudici,

cancelliere: sig. H. Jung

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 ottobre 2003,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1       Ai termini dell’art. 24, n. 1, della carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco (Stati Uniti) il 26 giugno 1945, i membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) «conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nell’adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome».

2       Ai sensi dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, «[i] Membri dell’[ONU] convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni della presente Carta».

3       In forza dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, le decisioni del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale «sono eseguite dai Membri delle Nazioni Unite direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri».

4       Secondo l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, «[i]n caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con la presente Carta e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dalla presente Carta».

5       Ai termini dell’art. 11, n. 1, UE:

«L’Unione stabilisce ed attua una politica estera e di sicurezza comune estesa a tutti i settori della politica estera e di sicurezza i cui obiettivi sono i seguenti:

–       difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali, dell’indipendenza e dell’integrità dell’Unione conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite;

–       rafforzamento della sicurezza dell’Unione in tutte le sue forme;

–       mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite (…)».

6       Ai sensi dell’art. 301 CE:

«Quando una posizione comune o un’azione comune adottata in virtù delle disposizioni del Trattato sull’Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza comune prevedano un’azione della Comunità per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, prende le misure urgenti necessarie».

7       L’art. 60, n. 1, CE dispone quanto segue:

«Qualora, nei casi previsti all’articolo 301, sia ritenuta necessaria un’azione della Comunità, il Consiglio, in conformità della procedura di cui all’articolo 301, può adottare nei confronti dei paesi terzi interessati le misure urgenti necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti».

8       Ai termini dell’art. 307, primo comma, CE:

«Le disposizioni del presente Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».

9       Infine, l’art. 308 CE dispone come segue:

«Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Tattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso».

 Fatti

10     Il 15 ottobre 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di Sicurezza») ha adottato la risoluzione 1267 (1999), con cui esso ha, tra l’altro, condannato il fatto che continuino a essere ospitati e addestrati terroristi e che siano preparati atti terroristici in territorio afgano, ha riaffermato la sua convinzione che la repressione del terrorismo internazionale è essenziale al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e deplorato che i talibani continuino a dare rifugio a Usama bin Laden (Osama bin Laden nella maggior parte delle versioni italiane dei documenti adottati dalle istituzioni comunitarie) e a consentire a lui e ai suoi associati di dirigere dal territorio da loro occupato una rete di campi di addestramento di terroristi e di servirsi dell’Afghanistan come base per condurre operazioni terroristiche internazionali. Al paragrafo 2 di tale risoluzione, il Consiglio di Sicurezza ha imposto ai talibani di consegnare alle autorità competenti colui che è chiamato Osama bin Laden, senza ulteriore ritardo. Al fine di garantire il rispetto di tale obbligo, il paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999) dispone che tutti gli Stati dovranno in particolare «[c]ongelare i capitali e le altre risorse finanziarie specificamente derivanti da beni appartenenti ai talibani o da loro direttamente o indirettamente controllati, ovvero appartenenti a o controllati da ogni impresa di proprietà dei talibani o controllata dai talibani, quali definiti dal comitato costituito ai sensi del seguente paragrafo 6, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse finanziarie in questione, né altri capitali o risorse finanziarie in tal modo definiti siano messi a disposizione o stanziati a vantaggio dei talibani, o di qualsiasi impresa loro appartenente o da essi direttamente o indirettamente controllata, da parte di loro connazionali o di ogni altro soggetto che si trovi sul loro territorio, a meno che il comitato non abbia concesso una diversa autorizzazione, caso per caso, per motivi umanitari».

11     Al paragrafo 6 della risoluzione 1267 (1999) il Consiglio di Sicurezza ha deciso di istituire, in conformità all’art. 28 del suo regolamento interno provvisorio, un comitato del Consiglio di Sicurezza, composto di tutti i suoi membri (in prosieguo: il «comitato per le sanzioni»), incaricato specificamente di vegliare sull’attuazione, da parte degli Stati, delle misure imposte dal paragrafo 4, di individuare i capitali o altre risorse finanziarie di cui al citato paragrafo 4 e di esaminare le domande di deroga alle misure imposte dallo stesso paragrafo 4.

12     Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 15 novembre 1999 il Consiglio ha adottato la posizione comune 1999/727/PESC, relativa a misure restrittive contro i talibani (GU L 294, pag. 1). L’art. 2 di tale posizione comune prescrive il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie detenuti dai talibani all’estero, secondo quanto stabilito nella risoluzione 1267 (1999) del Consiglio di Sicurezza.

13     Il 14 febbraio 2000 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il regolamento (CE) n. 337/2000, relativo al divieto dei voli e al congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan (GU L 43, pag. 1).

14     Il 19 dicembre 2000 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1333 (2000), la quale specificamente esige che i talibani ottemperino alla risoluzione 1267 (1999), in particolare cessando di offrire rifugio e addestramento ai terroristi internazionali e alle loro organizzazioni e consegnando Osama bin Laden alle autorità competenti affinché sia consegnato alla giustizia. Il Consiglio di Sicurezza ha deciso in particolare di inasprire il divieto dei voli ed il congelamento dei capitali imposti dalla risoluzione 1267 (1999). Perciò il paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000) dispone che tutti gli Stati debbano, in particolare, «[c]ongelare senza indugio i capitali e le altre risorse finanziarie di Osama bin Laden e delle persone ed entità a lui associati, quali definite dal [comitato per le sanzioni], ivi compresa l’organizzazione Al-Qaeda, e i capitali derivanti dai beni appartenenti a Osama bin Laden e alle persone ed entità a lui associati o da loro direttamente o indirettamente controllati, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse finanziarie in questione né altri capitali o risorse finanziarie siano messi a disposizione o utilizzati direttamente o indirettamente da parte di loro connazionali o di qualsiasi altra persona che si trova sul loro territorio a beneficio di Osama bin Laden, dei suoi associati o di qualsiasi altra entità loro appartenente o da essi direttamente o indirettamente controllata, compresa l’organizzazione Al-Qaeda».

15     In questa stessa disposizione, il Consiglio di Sicurezza ha incaricato il comitato per le sanzioni di tenere, sulla base delle informazioni comunicate dagli Stati e dalle organizzazioni regionali, un elenco aggiornato delle persone e delle entità che il detto comitato ha individuato come associate a Osama bin Laden, ivi compresa l’organizzazione Al-Qaeda.

16     Al paragrafo 23 della risoluzione 1333 (2000), il Consiglio di Sicurezza ha deciso che le misure imposte sulla base, in particolare, del paragrafo 8 sarebbero state applicate per dodici mesi e che, alla fine di tale periodo, avrebbe valutato se fossero da prorogarsi per un nuovo periodo, alle medesime condizioni.

17     Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 26 febbraio 2001 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/154/PESC, concernente ulteriori misure restrittive nei confronti dei talibani e che modifica la posizione comune 96/746/PESC (GU L 57, pag. 1). L’art. 4 di tale posizione comune dispone quanto segue:

«I capitali e le altre risorse finanziarie appartenenti a Usama bin Laden e a persone e entità associate a quest’ultimo, quali definite dal [comitato per le sanzioni], sono congelati e sarà vietato mettere a disposizione di Usama Bin Laden, delle persone o delle entità associate a quest’ultimo, quali definite dal [comitato per le sanzioni], capitali o altre risorse finanziarie, alle condizioni di cui alla [risoluzione 1333 (2000)]».

18     Il 6 marzo 2001 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il regolamento (CE) n. 467/2001, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1).

19     L’art. 1 del regolamento n. 467/2001 definisce cosa occorra intendere per «capitali» e per «congelamento dei capitali».

20     Ai termini dell’art. 2 del regolamento n. 467/2001:

«1.      Sono congelati tutti i capitali e le altre risorse finanziarie, appartenenti a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità o organismo designati dal [comitato per le sanzioni] ed elencati nell’allegato I.

2.      È vietato mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione dei talibani, delle persone, delle entità o degli organismi designati dal comitato per le sanzioni contro i talibani ed elencati nell’allegato I fondi o altre risorse finanziarie.

3.      I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai fondi e alle risorse finanziarie per i quali il comitato per le sanzioni contro i talibani ha concesso una deroga. Tali deroghe sono ottenute ricorrendo alle autorità competenti degli Stati membri elencate nell’allegato II».

21     L’allegato I del regolamento n. 467/2001 contiene l’elenco delle persone, delle entità e degli organismi interessati dal congelamento dei capitali imposto dall’art. 2. Ai sensi dell’art. 10, n. 1, del regolamento n. 467/2001, la Commissione è abilitata a modificare o integrare il citato allegato I sulla base delle decisioni del Consiglio di Sicurezza o del comitato per le sanzioni.

22     L’8 marzo 2001 il comitato per le sanzioni ha pubblicato un primo elenco consolidato delle entità e delle persone da sottoporsi al congelamento dei capitali ai sensi delle risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza (v. comunicato del detto comitato 8 marzo 2001, AFG/131 SC/7028). Questo elenco da allora è stato modificato ed integrato a più riprese. La Commissione ha allora adottato vari regolamenti in forza dell’art. 10 del regolamento n. 467/2001, con i quali ha modificato o integrato l’allegato I del regolamento stesso.

23     Il 19 ottobre 2001 il comitato per le sanzioni ha pubblicato un nuovo addendum al suo elenco dell’8 marzo 2001, che comprende in particolare il nome della persona che segue:

–       «Al-Qadi, Yasin (A. K. A. Kadi, Shaykh Yassin Abdullah; A. K. A. Kahdi, Yasin), Jedda, Saudi Arabia».

24     Con il regolamento (CE) della Commissione 19 ottobre 2001, n. 2062, che modifica per la terza volta il regolamento n. 467/2001 (GU L 277, pag. 25), il nome della persona in questione è stato aggiunto, assieme ad altri, all’allegato I del detto regolamento.

25     Il 16 gennaio 2002 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1390 (2002), che stabilisce le misure da applicare contro Osama bin Laden, i membri dell’organizzazione Al-Qaeda e i talibani ed altri individui, gruppi, imprese ed entità ad essi associati. Tale risoluzione prevede in sostanza, ai paragrafi 1 e 2, il mantenimento delle misure, segnatamente il congelamento dei capitali, imposte dal paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999) e dal paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000). A norma del paragrafo 3 della risoluzione 1390 (2002), queste misure saranno riesaminate dal Consiglio di Sicurezza dodici mesi dopo la loro adozione, periodo al termine del quale esso deciderà se mantenerle o perfezionarle.

26     Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 27 maggio 2002 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2002/402/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, dei membri dell’Organizzazione Al-Qaeda e dei talibani e di altri individui, gruppi, imprese ed entità ad essi associate e che abroga le posizioni comuni 96/746/PESC, 1999/727/PESC, 2001/154/PESC e 2001/771/PESC (GU L 139, pag. 4). L’art. 3 di tale posizione comune prescrive, tra l’altro, la prosecuzione del congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche degli individui, gruppi, imprese e entità quali figurano nell’elenco predisposto dal comitato per le sanzioni secondo le risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza.

27     Il 27 maggio 2002 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, il regolamento (CE) n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 (GU L 139, pag. 9).

28     Secondo il quarto ‘considerando’ di tale regolamento, poiché le misure previste, in particolare, dalla risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza «ricadono nell’ambito del Trattato, l’applicazione delle pertinenti decisioni del Consiglio di Sicurezza richiede una normativa comunitaria, nella misura in cui dette misure riguardano il territorio della Comunità, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza».

29     L’art. 1 del regolamento n. 881/2002 definisce i «fondi» e il «congelamento dei fondi» in termini sostanzialmente identici a quelli dell’art. 1 del regolamento n. 467/2001.

30     Ai termini dell’art. 2 del regolamento n. 881/2002:

«1.      Tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, o in possesso di, una persona fisica o giuridica, gruppo o entità designato dal comitato per le sanzioni ed elencato nell’allegato I sono congelati.

2.      È vietato mettere direttamente o indirettamente fondi a disposizione di una persona fisica o giuridica, di un gruppo o di un’entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell’allegato I, o stanziarli a loro vantaggio.

3.      È vietato mettere direttamente o indirettamente risorse economiche a disposizione di una persona fisica o giuridica, [di] un gruppo o [di] un’entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell’allegato I o destinarle a loro vantaggio, per impedire così facendo che la persona, il gruppo o l’entità in questione possa ottenere fondi, beni o servizi».

31     L’allegato I del regolamento n. 881/2002 contiene l’elenco delle persone, delle entità e dei gruppi per i quali l’art. 2 dispone il congelamento dei capitali. Tale elenco comprende in particolare il nome della persona che segue: «Al-Qadi, Yasin (alias KADI, Shaykh Yassin Abdullah; alias KAHDI, Yasin), Gedda, Arabia saudita».

32     Il 20 dicembre 2002 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1452 (2002), allo scopo di agevolare il rispetto degli obblighi in materia di lotta al terrorismo. Il paragrafo 1 di tale risoluzione prevede un certo numero di deroghe ed eccezioni al congelamento dei fondi e delle risorse economiche imposto dalle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002), che potranno essere accordate dagli Stati per motivi umanitari, previa approvazione del comitato per le sanzioni.

33     Il 17 gennaio 2003 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1455 (2003), per il perfezionamento delle misure imposte al paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999), al paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000) e ai paragrafi 1 e 2 della risoluzione 1390 (2002). A norma del paragrafo 2 della risoluzione 1455 (2003), tali misure saranno nuovamente perfezionate entro dodici mesi o anche prima, ove occorra.

34     Ritenendo necessaria un’azione della Comunità al fine di attuare la risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza, il 27 febbraio 2003 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2003/140/PESC, concernente deroghe alle misure restrittive imposte dalla posizione comune 2002/402 (GU L 53, pag. 62). L’art. 1 di tale posizione comune prevede che, nell’attuare le misure di cui all’art. 3 della posizione comune 2002/402/PESC, la Comunità europea prevedrà le deroghe consentite dalla risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza.

35     Il 27 marzo 2003 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 561/2003, che modifica, per quanto riguarda le deroghe al congelamento dei capitali e delle risorse economiche, il regolamento n. 881/2002 (GU L 82, pag. 1). Al quarto ‘considerando’ di tale regolamento, il Consiglio fa presente che, alla luce della risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza, occorre modificare le misure imposte dalla Comunità.

36     Ai termini dell’art. 1 del regolamento n. 561/2003:

«Nel regolamento (…) n. 881/2002 è inserito il seguente articolo:

Articolo 2 bis

1.      L’articolo 2 non si applica ai capitali o alle risorse economiche quando:

a)      una qualsiasi delle autorità competenti degli Stati membri, elencate nell’allegato II, ha deciso, su richiesta della persona fisica o giuridica interessata, che i capitali o le risorse economiche in questione sono:

i)      necessari per coprire le spese di base, compresi i pagamenti relativi a generi alimentari, affitti o ipoteche, medicinali e cure mediche, imposte, premi assicurativi e servizi pubblici;

ii)      destinati esclusivamente al pagamento di onorari ragionevoli e al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni legali;

iii)      destinati esclusivamente al pagamento di diritti o di spese bancarie connessi alla normale gestione dei fondi o delle risorse economiche congelati;

iv)      necessari per coprire spese straordinarie; e

b)      tale decisione è stata notificata al comitato per le sanzioni; e

c)      i)     per le decisioni di cui alla lettera a), punti i), ii) o iii), il comitato per le sanzioni non ha sollevato obiezioni al riguardo entro 48 ore dalla notifica; oppure

ii)      per le decisioni di cui alla lettera a), punto iv), esse sono state approvate dal comitato per le sanzioni.

2.      Qualsiasi persona che desideri beneficiare delle disposizioni di cui al paragrafo 1 ne fa richiesta all’autorità competente dello Stato membro elencata nell’allegato II.

L’autorità competente elencata nell’allegato II comunica senza indugio, per iscritto, alla persona che ha presentato la richiesta e a tutte le altre persone, a tutti gli altri organismi e a tutte le altre entità direttamente interessati, se la richiesta è stata accolta.

L’autorità competente comunica anche agli altri Stati membri se la richiesta di deroga in questione è stata accolta.

3.      I fondi sbloccati e trasferiti all’interno della Comunità per il pagamento delle spese o autorizzati a norma del presente articolo non sono soggetti ad ulteriori misure restrittive a norma dell’articolo 2.

(…)”».

 Procedimento e conclusioni delle parti

37     Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 18 dicembre 2001, registrato con il numero T-315/01, il sig. Yassin Abdullah Kadi ha proposto, ai sensi dell’art. 230 CE, un ricorso contro il Consiglio e la Commissione, con il quale egli chiede che il Tribunale voglia:

–       annullare i regolamenti n. 2062/2001 e n. 467/2001, nella parte in cui si riferiscono al ricorrente;

–       condannare il Consiglio e/o la Commissione alle spese.

38     Con i loro controricorsi, depositati presso la cancelleria del Tribunale rispettivamente il 20 e il 21 febbraio 2002, il Consiglio e la Commissione chiedono che il Tribunale voglia:

–       respingere il ricorso;

–       condannare il ricorrente alle spese.

39     Con lettera della cancelleria del Tribunale 13 giugno 2002, le parti sono state invitate a presentare le loro osservazioni sulle conseguenze dell’abrogazione del regolamento n. 467/2001 e della sua sostituzione con il regolamento n. 881/2002.

40     Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 giugno 2002, il ricorrente, in allegato alle sue osservazioni, ha esteso le proprie conclusioni e i propri motivi iniziali al regolamento n. 881/2002 (in prosieguo: il «regolamento impugnato») nella parte in cui lo riguarda.

41     Nelle sue osservazioni depositate presso la cancelleria del Tribunale il 28 giugno 2002, il Consiglio ha dichiarato di non avere obiezioni a una siffatta estensione delle conclusioni e dei motivi iniziali del ricorso.

42     Nelle sue osservazioni depositate presso la cancelleria del Tribunale il 1° luglio 2002, la Commissione sostiene che il ricorso iniziale deve essere dichiarato irricevibile nella parte in cui è diretto contro il regolamento n. 467/2001, poiché non ricorrono i presupposti di cui segnatamente ai commi quarto e quinto dell’art. 230 CE. Secondo tale istituzione, la domanda iniziale di annullamento di tale regolamento non può dunque essere ritenuta un’eccezione di illegittimità ai sensi dell’art. 241 CE. Il ricorso iniziale andrebbe quindi considerato nel senso che è diretto in via principale contro il regolamento n. 2062/2001 e che impugna solo in via incidentale il regolamento n. 467/2001. Nondimeno, nell’interesse di una sana amministrazione della giustizia e per motivi di economia processuale, e tenuto conto della circostanza che gli effetti giuridici del regolamento n. 2062/2001 proseguono nel regolamento impugnato, la Commissione dichiara di non avere obiezioni a che il ricorrente modifichi i suoi atti procedurali per includervi quest’ultimo regolamento.

43     Peraltro, la Commissione invita il Tribunale a dichiarare, a norma dell’art. 113 del regolamento di procedura del Tribunale, che il ricorso diretto contro il regolamento n. 2062/2001 è divenuto privo di oggetto e che non vi è più luogo a statuire per quanto lo riguarda, giacché tale regolamento è privato di effetti giuridici a seguito dell’abrogazione del regolamento n. 467/2001 e della sua sostituzione con il regolamento impugnato. Essa richiama, in tal senso, la sentenza della Corte 5 ottobre 1988, cause riunite 294/86 e 77/87, Technointorg/Commissione e Consiglio (Racc. pag. 6077), e l’ordinanza del Tribunale 13 giugno 1997, causa T‑13/96, TEAM e Kolprojekt/Commissione (Racc. pag. II‑983).

44     Inoltre, la Commissione chiede, a norma dell’art. 115, n. 1, e dell’art. 116, n. 6, del regolamento di procedura, di farsi attribuire lo status di interveniente a sostegno della domanda del Consiglio, pur mantenendo la sua domanda di condanna del ricorrente alle spese da essa sostenute nel periodo in cui costui ha impugnato il regolamento n. 2062/2001.

45     Con ordinanza del presidente della Prima Sezione del Tribunale 10 settembre 2002, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è stato ammesso a intervenire a sostegno delle conclusioni delle parti convenute, a norma dell’art. 116, n. 6, del regolamento di procedura.

46     Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata a partire dal nuovo anno giudiziario, con inizio il 1° ottobre 2002, il giudice relatore è stato assegnato alla Seconda Sezione, alla quale, di conseguenza, è stato attribuito il presente procedimento.

47     Sentite le parti, il Tribunale, ai sensi dell’art. 51 del suo regolamento di procedura, ha rinviato la causa dinanzi ad una sezione composta di cinque giudici.

48     Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’art. 64 del regolamento di procedura, ha sottoposto taluni quesiti scritti al Consiglio e alla Commissione, che hanno risposto nel termine assegnato.

49     Con ordinanza del presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale 18 settembre 2003, la presente causa e la causa T‑306/01, Aden e a./Consiglio e Commissione, sono state riunite ai fini della fase orale, conformemente all’art. 50 del regolamento di procedura.

50     Con lettera in data 8 ottobre 2003, il ricorrente ha pregato il Tribunale di produrre agli atti il Terrorism (United Nations Measures) Order 2001 [ordinanza britannica del 2001 sul terrorismo (misure delle Nazioni Unite)]. Con lettera sempre in data 8 ottobre 2003, la Commissione ha pregato il Tribunale di produrre agli atti le «direttive per la condotta dei lavori del [comitato delle sanzioni]», adottate da tale comitato il 7 novembre 2002 e emendate il 10 aprile 2003. Tali due richieste sono state accolte con decisione del presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale 9 ottobre 2003.

51     All’udienza del 14 ottobre 2003 sono state sentite le difese orali e le risposte delle parti ai quesiti del Tribunale.

 Sulle conseguenze procedurali dell’adozione del regolamento impugnato

52     Le parti principali della controversia convengono di riconoscere che il ricorrente è legittimato ad adeguare le sue conclusioni e i suoi motivi in modo che essi abbiano ad oggetto l’annullamento del regolamento impugnato, il quale abroga e sostituisce il regolamento n. 467/2001, come modificato dal regolamento n. 2062/2001. Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 giugno 2002, il ricorrente ha effettivamente dichiarato di adeguare in tal senso le sue conclusioni e i suoi motivi iniziali.

53     A questo proposito occorre rammentare che, quando una decisione è sostituita, nel corso del giudizio, da una decisione avente lo stesso oggetto, questa va considerata un elemento nuovo che consente al ricorrente di adeguare le sue conclusioni e i suoi motivi. Sarebbe, infatti, in contrasto col principio di sana amministrazione della giustizia e con quello dell’economia processuale costringere il ricorrente a proporre un nuovo ricorso. Sarebbe inoltre ingiusto che l’istituzione in questione, per far fronte alle critiche contenute in un ricorso presentato al giudice comunitario contro una decisione, possa adeguare la decisione impugnata o sostituirgliene un’altra e valersi, in corso di causa, di tale modifica o di tale sostituzione per privare la controparte della possibilità di estendere le sue conclusioni e le sue difese iniziali all’ulteriore decisione o di presentare ulteriori conclusioni o difese contro di essa (sentenze della Corte 3 marzo 1982, causa 14/81, Alpha Steel/Commissione, Racc. pag. 749, punto 8; 29 settembre 1987, cause riunite 351/85 e 360/85, Fabrique de fer de Charleroi e Dillinger Hüttenwerke/Commissione, Racc. pag. 3639, punto 11, e 14 luglio 1988, causa 103/85, Stahlwerke Peine-Salzgitter/Commissione, Racc. pag. 4131, punti 11 e 12; sentenza del Tribunale 3 febbraio 2000, cause riunite T‑46/98 e T‑151/98, CCRE/Commissione, Racc. pag. II‑167, punto 33).

54     Tale giurisprudenza è applicabile all’ipotesi in cui un regolamento che riguarda direttamente e individualmente un privato è sostituito, in corso di giudizio, da un regolamento che ha il medesimo oggetto.

55     Poiché tale ipotesi corrisponde perfettamente a quella della fattispecie, occorre accogliere la domanda del ricorrente, considerare che il suo ricorso è diretto all’annullamento del regolamento impugnato, nella parte in cui lo riguarda, e consentire alle parti di riformulare le loro conclusioni, i loro motivi e argomenti alla luce di questo nuovo elemento.

56     Ciò premesso, occorre considerare che la domanda iniziale del ricorrente diretta all’annullamento parziale del regolamento n. 467/2001 è divenuta priva di oggetto per effetto dell’abrogazione di tale regolamento ad opera del regolamento impugnato. Non vi è più dunque luogo a statuire su tale domanda né, pertanto, sull’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione (v. supra, punto 42). Non vi è luogo a statuire neanche sulla domanda di annullamento parziale del regolamento n. 2062/2001, poiché anch’essa è divenuta priva di oggetto.

57     Da quanto precede consegue che non occorre statuire sul ricorso nella parte in cui esso è diretto contro la Commissione. Nelle circostanze della fattispecie, tuttavia, il principio di sana amministrazione della giustizia e quello dell’economia processuale su cui si fonda la giurisprudenza citata al precedente punto 53 giustificano altresì che sia tenuto conto delle conclusioni, dei motivi di difesa e degli argomenti della Commissione, riformulati nel senso illustrato al precedente punto 55, senza che occorra nuovamente ammettere formalmente tale istituzione al procedimento, ai sensi dell’art. 115, n. 1, e dell’art. 116, n. 6, del regolamento di procedura, come parte interveniente a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

58     Tenuto conto di quanto precede, occorre considerare che il presente ricorso è d’ora innanzi diretto unicamente contro il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dal Regno Unito, e che ha ad oggetto solo la domanda di annullamento del regolamento impugnato, nella parte in cui esso riguarda il ricorrente.

 Nel merito

1.     Considerazioni preliminari

59     A sostegno delle sue conclusioni, il ricorrente ha dedotto, nel suo ricorso, tre motivi di annullamento relativi alla violazione dei suoi diritti fondamentali. Il primo motivo si riferisce alla violazione del diritto di essere ascoltato il secondo, alla violazione del diritto al rispetto della proprietà e del principio di proporzionalità e il terzo alla violazione del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo.

60     Nella sua replica, il ricorrente ha dedotto un quarto motivo, relativo all’incompetenza e all’eccesso di potere, in quanto le istituzioni convenute hanno adottato i regolamenti n. 467/2001 e n. 2062/2001 sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, mentre tali disposizioni autorizzerebbero la Comunità a interrompere o ridurre le relazioni economiche con paesi terzi, ma non a congelare i beni dei privati. Tuttavia, in seguito all’abrogazione del regolamento n. 467/2001 e della sua sostituzione con il regolamento impugnato, adottato sul fondamento degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, il ricorrente ha dichiarato, nelle sue osservazioni depositate presso la cancelleria del Tribunale il 28 giugno 2002, di rinunciare a tale nuovo motivo.

61     Il Tribunale ha tuttavia deciso di valutare d’ufficio se il Consiglio fosse competente ad adottare il regolamento impugnato sul fondamento normativo degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE. Il motivo fondato sull’incompetenza dell’autore dell’atto impugnato è, infatti, di ordine pubblico (conclusioni dell’avvocato generale Lagrange relative alla sentenza della Corte 15 luglio 1964, causa 66/63, Paesi Bassi/Alta Autorità, Racc. pag. 1037, in particolare pag. 1072) e può dunque essere esaminato d’ufficio dal giudice comunitario (sentenze della Corte 17 dicembre 1959, causa 14/59, Société des fonderies de Pont-à-Mousson/Alta Autorità, Racc. pag. 437, in particolare pag. 461; 10 maggio 1960, causa 19/58, Germania/Alta Autorità, Racc. pag. 457, in particolare pag. 474; 30 settembre 1982, causa 108/81, Amylum/Consiglio, Racc. pag. 3107, punto 28, e 13 luglio 2000, causa C‑210/98 P, Salzgitter/Commissione, Racc. pag. I‑ 5843, punto 56; sentenze del Tribunale 27 febbraio 1992, cause riunite T‑79/89, T‑84/89, T‑85/89, T‑86/89, T‑89/89, T‑91/89, T‑92/89, T‑94/89, T‑96/89, T‑98/89, T‑102/89 e T‑104/89, BASF e a./Commissione, Racc. pag. II‑315, punto 31, e 24 settembre 1996, causa T‑182/94, Marx Esser e Del Amo Martinez/Parlamento, Racc. PI pagg. I‑A‑411 e II‑1197, punto 44).

62     Poiché né il Consiglio né la Commissione avevano avuto la possibilità di prendere posizione su tale questione nel corso della fase scritta del procedimento, il Tribunale li ha invitati a farlo per iscritto a titolo di misure d’organizzazione del procedimento (v. supra, punto 48). Tali istituzioni hanno ottemperato alla richiesta del Tribunale nel termine loro assegnato a tale scopo. Peraltro, all’udienza, il ricorrente ha rimesso in discussione la competenza del Consiglio ad adottare il regolamento impugnato sul fondamento degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE. Anche il Regno Unito ha preso posizione all’udienza in merito a tale questione.

63     Il Tribunale decide di pronunciarsi anzitutto sul motivo, sollevato d’ufficio, relativo all’incompetenza del Consiglio ad adottare il regolamento impugnato. Il Tribunale si pronuncerà in seguito, raggruppandoli, sui tre motivi di annullamento relativi alla violazione dei diritti fondamentali del ricorrente.

2.     Sul motivo relativo all’incompetenza del Consiglio ad adottare il regolamento impugnato

 Quesiti del Tribunale e risposte delle parti

64     Nei suoi quesiti scritti al Consiglio e alla Commissione, il Tribunale ha rammentato che, nel parere 2/94 del 28 marzo 1996 (Racc. pag. I‑1759, punti 29 e 30), la Corte ha precisato che l’art. 235 del Trattato CE (divenuto art. 308 CE) ha lo scopo di supplire all’assenza di poteri di azione attribuiti espressamente o implicitamente alle istituzioni comunitarie da specifiche disposizioni del Trattato, quando poteri di tale genere dovessero apparire non di meno necessari affinché la Comunità possa svolgere i propri compiti ai fini della realizzazione degli obiettivi fissati dal Trattato. Tale disposizione, costituendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato, ed in particolare di quelle che definiscono i compiti e le azioni della Comunità. Essa non può essere in ogni caso utilizzata quale base per l’adozione di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, a una modifica del Trattato che sfugga alla procedura all’uopo prevista nel Trattato medesimo. Alla luce di tale parere, il Tribunale ha in particolare invitato il Consiglio e la Commissione a indicare quali erano gli obiettivi della Comunità fissati dal Trattato CE che essi intendevano realizzare mediante le disposizioni del regolamento impugnato.

65     Il Consiglio ha risposto, in sostanza, che tali disposizioni perseguono uno scopo di coercizione economica e finanziaria che, a suo avviso, costituisce un obiettivo del Trattato CE.

66     A tal proposito il Consiglio sostiene che gli obiettivi della Comunità non sono solo quelli definiti all’art. 3 CE, ma possono derivare anche da disposizioni più specifiche.

67     L’elemento determinante, al riguardo, sarebbe che, secondo la revisione conseguente al Trattato di Maastricht, gli artt. 60 CE e 301 CE definiscono i compiti e le azioni della Comunità in materia di sanzioni economiche e finanziarie e offrono un fondamento giuridico per il trasferimento espresso di competenze alla Comunità in vista del loro raggiungimento. Tali competenze sarebbero espressamente collegate e, di fatto, subordinate all’adozione di un atto ai sensi delle disposizioni del Trattato UE in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC). Orbene, uno degli obiettivi della PESC sarebbe, secondo il disposto dell’art. 11, n. 1, terzo trattino, UE, «il mantenimento della pace e [il] rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite».

68     Occorrerebbe dunque ammettere che la coercizione economica e finanziaria per ragioni politiche, a fortiori nell’ambito dell’attuazione di una decisione vincolante del Consiglio di Sicurezza, costituisce un obiettivo espresso e legittimo del Trattato CE, ancorché marginale, indirettamente ricollegato agli obiettivi principali di tale Trattato, in particolare a quelli relativi alla libera circolazione dei capitali [art. 3, n. 1, lett. c), CE] e all’instaurazione di un regime di concorrenza non falsata [art. 3, n. 1, lett. g), CE], e legato al Trattato UE.

69     Nella fattispecie, l’art. 308 CE sarebbe stato incluso come fondamento normativo del regolamento impugnato, ad integrazione del fondamento costituito dagli artt. 60 CE e 301 CE, in modo da permettere l’adozione di misure non soltanto nei confronti di paesi terzi, ma anche nei confronti di persone ed entità non statali che non hanno necessariamente legami con il governo o il regime di tali paesi, in casi in cui il Trattato CE non prevede i poteri d’azione all’uopo necessari.

70     Procedendo in tal modo, la Comunità sarebbe stata in grado di adeguarsi all’evoluzione della prassi internazionale, che oramai consiste nell’adottare «sanzioni intelligenti» contro persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza internazionale, anziché contro popoli innocenti.

71     Il Consiglio sostiene che le situazioni in cui è stato fatto ricorso, nella fattispecie, all’art. 308 CE non sono diverse da quelle in cui tale disposizione è stata utilizzata, in passato, per realizzare, nel funzionamento del mercato comune, un obiettivo del Trattato CE, senza che il detto Trattato avesse previsto i poteri d’azione all’uopo necessari. In tal senso esso richiama:

–       nel settore della politica sociale, le varie direttive che, sul fondamento dell’art. 235 del Trattato CE, talvolta integrato dall’art. 100 del Trattato CE (divenuto art. 94 CE), hanno esteso il principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile, come previsto dall’art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE ‑ 143 CE), per erigerlo a principio generale di parità di trattamento in tutti i settori in cui potevano sussistere potenziali discriminazioni e per farne beneficiare i lavoratori autonomi, compresi quelli del settore agricolo, e, in particolare, la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40); la direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24); la direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU L 225, pag. 40), e la direttiva del Consiglio 11 dicembre 1986, 86/613/CEE, relativa all’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità (GU L 359, pag. 56);

–       nel settore della libera circolazione delle persone, i vari atti che, sul fondamento dell’art. 235 del Trattato CE e dell’art. 51 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 42 CE), hanno esteso ai lavoratori autonomi, ai loro familiari e agli studenti i diritti riconosciuti ai lavoratori subordinati che si spostano all’interno della Comunità e, in particolare, il regolamento del Consiglio (CEE) 12 maggio 1981, n. 1390, che estende ai lavoratori non salariati e ai loro familiari il regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 143, pag. 1);

–       più di recente, il regolamento (CE) del Consiglio 2 giugno 1997, n. 1035, che istituisce un Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (GU L 151, pag. 1), adottato sul fondamento dell’art. 213 del Trattato CE (divenuto art. 284 CE) e dell’art. 235 del Trattato CE.

72     La Corte stessa avrebbe riconosciuto la legittimità di tale prassi (sentenza 5 dicembre 1989, causa 114/88, Delbar, Racc. pag. 4067).

73     Il legislatore comunitario si sarebbe addirittura già avvalso, in passato, del fondamento normativo costituito dall’art. 235 del Trattato CE nel settore delle sanzioni. A questo proposito il Consiglio espone che, prima dell’inserimento nel Trattato CE degli artt. 301 CE e 60 CE, vari regolamenti del Consiglio che imponevano sanzioni commerciali hanno avuto come fondamento l’art. 113 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 133 CE) [v., ad esempio, il regolamento (CEE) del Consiglio 15 marzo 1982, n. 596, che modifica il regime di importazione di alcuni prodotti originari dell’URSS (GU L 72, pag. 15); il regolamento (CEE) del Consiglio 16 aprile 1982, n. 877, che sospende l’importazione di qualsiasi prodotto originario dell’Argentina (GU L 102, pag. 1), e il regolamento (CEE) del Consiglio 27 ottobre 1986, n. 3302, recante sospensione delle importazioni di monete d’oro della Repubblica sudafricana (GU L 305, pag. 11)]. Tuttavia, tali misure, quando oltrepassavano il campo di applicazione della politica commerciale comune o riguardavano persone fisiche o giuridiche stabilite nella Comunità, si sarebbero fondate anche sull’art. 235 del Trattato CE. Ciò si sarebbe verificato, in particolare, con il regolamento (CEE) del Consiglio 7 dicembre 1992, n. 3541, che vieta di accogliere le richieste irachene in relazione a contratti e a transazioni la cui esecuzione è stata colpita dalla risoluzione 661 (1990) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dalle risoluzioni che ad essa si ricollegano (GU L 361, pag. 1), il cui art. 2 disporrebbe che «[è] vietato soddisfare o adottare qualsiasi disposizione volta a soddisfare qualunque richiesta presentata da (…) persone fisiche o giuridiche operanti direttamente o indirettamente per conto o a vantaggio di una o più persone fisiche o giuridiche in Irak».

74     Rispondendo agli stessi quesiti scritti del Tribunale, la Commissione ha sostenuto che l’attuazione delle sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza poteva rientrare totalmente o parzialmente nell’ambito di applicazione del Trattato CE, indifferentemente in base alla politica commerciale comune oppure al mercato interno.

75     Nel caso di specie, la Commissione sostiene, rinviando al quarto ‘considerando’ del regolamento impugnato, che le misure controverse erano necessarie a garantire un’applicazione e un’interpretazione uniformi delle restrizioni ai movimenti di capitali attuate conformemente alle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza, così da preservare la libera circolazione dei capitali nella Comunità ed evitare distorsioni della concorrenza.

76     Peraltro, secondo la Commissione, si deve ritenere che la difesa della sicurezza internazionale, tanto all’interno quanto all’esterno dell’Unione, rientri nell’ambito generale delle disposizioni del Trattato CE. A questo proposito essa rinvia, da un lato, agli artt. 3 UE e 11 UE e, dall’altro, al preambolo del Trattato CE, in cui le parti contraenti avrebbero confermato «la solidarietà che lega l’Europa ai paesi d’oltremare (…) conformemente ai principi dello statuto delle Nazioni Unite» e si sarebbero dichiarati risoluti a «rafforzare (…) le difese della pace e della libertà». La Commissione ne deduce un «obiettivo generale per la Comunità di difendere la pace e la sicurezza», da cui prenderebbero le mosse specificamente gli artt. 60 CE e 301 CE, pur essendo manifestazioni specifiche della competenza comunitaria nella regolamentazione dei movimenti di capitali interni ed esterni.

77     Poiché le disposizioni del titolo III, capitolo 4, del Trattato CE in materia di movimenti di capitali non conferiscono alla Comunità alcun potere particolare, l’art. 308 CE sarebbe stato ritenuto, nella fattispecie, il fondamento normativo integrativo affinché la Comunità potesse imporre le restrizioni di cui trattasi, in particolare nei confronti dei privati, conformemente alla posizione comune adottata dal Consiglio.

78     All’udienza, il Regno Unito ha illustrato che l’obiettivo comunitario a cui mira l’adozione del regolamento impugnato è l’applicazione uniforme all’interno della Comunità di obblighi concernenti restrizioni ai movimenti di capitali, imposti agli Stati membri dal Consiglio di Sicurezza.

79     Il Regno Unito rileva che la creazione di un mercato interno nel settore dei movimenti di capitali è uno degli obiettivi della Comunità enunciati all’art. 3 CE. Esso considera che l’applicazione uniforme di qualsiasi restrizione alla libera circolazione dei capitali nel mercato costituisce un aspetto essenziale della creazione di un mercato interno.

80     Se, invece, l’attuazione delle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza non avesse costituito l’oggetto di misure adottate a livello comunitario, ciò avrebbe creato, secondo il Regno Unito, un rischio di divergenze nell’eseguire il congelamento dei beni tra Stati membri. Se gli Stati membri avessero attuato singolarmente tali risoluzioni, sarebbero inevitabilmente apparse differenze interpretative quanto alla portata degli obblighi ad essi incombenti, creando disparità nel settore della libera circolazione dei capitali tra Stati membri, il che avrebbe comportato un rischio di distorsione della concorrenza.

81     Inoltre, il Regno Unito sostiene che misure dirette a congelare i capitali dei privati allo scopo di interrompere le relazioni economiche con organizzazioni terroristiche internazionali, anziché con paesi terzi, non possono essere considerate ampliare «la sfera dei poteri della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato», secondo le parole del parere 2/94, punto 64 supra. Conformemente all’ambito del Trattato, la Comunità sarebbe competente a prendere misure per disciplinare i movimenti di capitali, adottando provvedimenti contro i privati. Pertanto, se è vero che le misure destinate a disciplinare i movimenti di capitali di privati allo scopo di interrompere le relazioni economiche con organizzazioni terroristiche internazionali rientrano nel settore per il quale il Trattato CE non ha attribuito poteri specifici alle istituzioni e se è altresì vero che tali misure richiedono il ricorso all’art. 308 CE, non si può tuttavia ritenere che esse vadano al di là dell’ambito generale del Trattato.

82     Il Regno Unito sostiene che il ricorso all’art. 308 CE nelle circostanze della fattispecie non differisce dall’uso che è stato fatto di tale disposizione in situazioni, in particolare nel settore della politica sociale, in cui tale articolo è servito a raggiungere altri obiettivi della Comunità quando il Trattato non forniva fondamenti normativi precisi (v. supra, punto 71).

83     All’udienza il ricorrente ha contestato la competenza del Consiglio ad adottare il regolamento impugnato sul fondamento degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE.

84     Da un lato, il ricorso agli artt. 60 CE e 301 CE non sarebbe consentito nella fattispecie, giacché il regolamento impugnato prevede l’adozione di misure nei confronti dei privati e non nei confronti di paesi terzi.

85     Dall’altro, il ricorso all’art. 308 CE non sarebbe oltretutto consentito, dacché il regolamento impugnato non riguarda la realizzazione di un obiettivo qualsiasi del Trattato CE, ma unicamente la realizzazione di obiettivi in materia di PESC che rientrano nell’ambito di applicazione del Trattato UE. Il congelamento dei beni degli interessati non avrebbe un rapporto reale ed effettivo con l’obiettivo «in particolare di evitare distorsioni della concorrenza», di cui al quarto ‘considerando’ del regolamento impugnato (sentenza della Corte 5 ottobre 2000, causa C‑376/98, Germania/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I‑8419, punti 84 e 85).

86     A tale proposito il ricorrente sostiene segnatamente che non basta che una misura miri alla realizzazione di un obiettivo del Trattato UE perché essa possa essere adottata dalla Comunità sul fondamento dell’art. 308 CE. Infatti, nel parere 2/94, punto 64 supra, la Corte avrebbe dichiarato che tale disposizione non consentiva l’adesione della Comunità alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), mentre l’obiettivo del rispetto dei diritti dell’uomo è espressamente menzionato nel Trattato UE. Il ricorrente invita pertanto il Tribunale a respingere l’interpretazione ampia dell’art. 308 CE proposta dal Consiglio e dalla Commissione, che avrebbe l’effetto, secondo lui, di dare a tale disposizione una portata potenzialmente illimitata.

 Giudizio del Tribunale

87     Diversamente dal regolamento n. 467/2001, il regolamento impugnato ha come fondamento normativo non soltanto gli artt. 60 CE e 301 CE, ma anche l’art. 308 CE. In ciò, esso rispecchia l’evoluzione della situazione internazionale nell’ambito della quale si sono via via inserite le sanzioni decretate dal Consiglio di Sicurezza e attuate dalla Comunità.

88     Adottata nell’ambito delle azioni finalizzate alla repressione del terrorismo internazionale, considerata essenziale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (v. il suo settimo ‘considerando’), la risoluzione 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza riguardava altrettanto specificamente il regime dei talibani che, all’epoca, controllava la maggior parte del territorio afgano e dava rifugio e assistenza a Osama bin Laden e ai suoi associati.

89     È proprio questo legame espressamente stabilito con il territorio e il regime dirigente di un paese terzo che ha portato il Consiglio a considerare che il regolamento n. 467/2001 poteva avere come fondamento normativo gli artt. 60 CE e 301 CE. Tale considerazione va approvata, perché niente, nella formulazione di tali articoli, consente di escludere l’adozione di misure restrittive che colpiscono direttamente individui o organizzazioni, purché misure di tal genere mirino effettivamente a interrompere o a ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più paesi terzi.

90     Come giustamente sottolineato dal Consiglio, le misure di cui al regolamento n. 467/2001 rientravano fra ciò che si è concordato chiamare le «sanzioni intelligenti» (smart sanctions), comparse nella prassi dell’ONU nel corso degli anni ‘90. Sanzioni di tal sorta sostituiscono alle classiche misure di embargo commerciale generale dirette contro un paese misure più mirate e selettive, così da ridurre le sofferenze patite dalla popolazione civile del paese interessato, pur imponendo sanzioni vere e proprie al regime cui sono dirette e ai suoi dirigenti. La prassi delle istituzioni comunitarie si è sviluppata nella stessa direzione, poiché il Consiglio ha poi considerato che gli artt. 60 CE e 301 CE gli consentivano di adottare misure restrittive nei confronti di entità o persone che controllano fisicamente una parte del territorio di un paese terzo e contro entità o persone che controllano effettivamente l’apparato governativo di un paese nonché nei confronti di persone ed entità ad esse associate e che forniscono loro un sostegno economico.

91     Questa interpretazione, non contraria alla lettera degli artt. 60 CE e 301 CE, è giustificata sia da considerazioni di efficienza sia da preoccupazioni di ordine umanitario.

92     Tuttavia, la risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza è stata adottata, il 16 gennaio 2002, dopo la caduta del regime dei talibani, conseguente all’intervento armato della coalizione internazionale in Afghanistan, cominciato nell’ottobre 2001. Di conseguenza, e sebbene riguardi ancora espressamente i talibani, essa non è più diretta contro il loro caduto regime, bensì direttamente contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda e le persone ed entità loro associate.

93     L’assenza di qualsiasi legame tra le sanzioni da adottare ai sensi di tale risoluzione ed il territorio o il regime dirigente di un paese terzo, già rilevata al punto 2 dell’illustrazione delle motivazioni della proposta di regolamento del Consiglio presentata dalla Commissione il 6 marzo 2002, che è all’origine del regolamento impugnato [documento COM (2002) 117 def.], è stata espressamente ammessa dal Consiglio all’udienza, almeno per quel che concerne le persone ed entità che non si trovavano in Afghanistan a quell’epoca.

94     Mancando un siffatto legame, il Consiglio e la Commissione hanno considerato che gli artt. 60 CE e 301 CE non costituivano, da soli, un fondamento normativo sufficiente per consentire l’adozione del regolamento impugnato. Tali considerazioni vanno condivise.

95     Infatti, l’art. 60, n. 1, CE dispone che il Consiglio, in conformità della procedura di cui all’art. 301 CE, può adottare, «nei confronti dei paesi terzi interessati», le misure urgenti necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti. L’art. 301 CE prevede espressamente la possibilità di un’azione della Comunità per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche «con uno o più paesi terzi».

96     D’altro canto, il fatto che tali articoli autorizzino l’adozione di «sanzioni intelligenti» non soltanto nei confronti di un paese terzo in quanto tale, ma anche nei confronti dei dirigenti di un paese terzo e delle persone ed entità associate a tali dirigenti o da essi direttamente o indirettamente controllate (v., supra, punti 89‑91) non consente di ritenere che le dette sanzioni possano ancora riguardare tali individui ed entità quando il regime dirigente del paese terzo di cui trattasi non esiste più. In circostanze del genere, infatti, non sussistono più sufficienti legami tra tali individui o entità e un paese terzo.

97     Ne discende che, comunque, gli artt. 60 CE e 301 CE non costituivano, da soli, un fondamento normativo sufficiente per il regolamento impugnato.

98     Peraltro, contrariamente alla posizione espressa dalla Commissione nella proposta di regolamento del Consiglio che è all’origine del regolamento impugnato (v. supra, punto 93), il Consiglio ha considerato che neanche l’art. 308 CE costituiva, da solo, un fondamento normativo adeguato per permettere l’adozione del detto regolamento. Anche tali considerazioni vanno accolte.

99     A questo proposito va rammentato che, secondo la giurisprudenza (sentenza della Corte 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑1493, punto13), dalla stessa lettera dell’art. 308 CE si desume che il ricorso a tale norma come fondamento normativo di un atto è ammesso solo quando nessun’altra disposizione del Trattato attribuisca alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria per l’emanazione dell’atto stesso. In una siffatta situazione, l’art. 308 CE consente alle istituzioni di agire per realizzare un obiettivo della Comunità, nonostante manchi una disposizione che conferisca loro la competenza necessaria per farlo.

100   Per quanto riguarda il primo presupposto di applicabilità dell’art. 308 CE, è pacifico che nessuna disposizione del Trattato CE prevede l’adozione di misure, del tipo di quelle previste dal regolamento impugnato, volte alla lotta contro il terrorismo internazionale e, in particolare, all’imposizione di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento, senza stabilire un qualche legame con il territorio o il regime dirigente di un paese terzo. Questo primo presupposto ricorre dunque nel caso di specie.

101   Per quanto concerne il secondo presupposto di applicabilità dell’art. 308 CE, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 99, perché esso sia soddisfatto nella fattispecie, occorre che la lotta contro il terrorismo internazionale e, in particolare, l’imposizione di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento, possano ricollegarsi a uno degli obiettivi assegnati dal Trattato alla Comunità.

102   Nella fattispecie, il preambolo del regolamento impugnato è particolarmente laconico al riguardo. Tutt’al più, il Consiglio ha affermato, al quarto ‘considerando’ di tale regolamento, che le misure richieste ai sensi della risoluzione 1390 (2002) e della posizione comune 2002/402 «ricad[eva]no nell’ambito del Trattato» e che occorreva una normativa comunitaria «in particolare per evitare distorsioni della concorrenza».

103   Quanto alla petizione di principio secondo cui le misure di cui trattasi «ricadono nel Trattato», va subito rilevato, invece, che nessuno degli obiettivi del Trattato esplicitamente enunciati agli artt. 2 CE e 3 CE sembra potersi realizzare tramite le misure in questione.

104   In particolare, a differenza delle misure previste nei confronti di determinate persone fisiche o giuridiche stabilite nella Comunità, di cui al regolamento n. 3541/92, richiamato dal Consiglio a sostegno della sua tesi (v. supra, punto 73), le misure previste dal regolamento impugnato non potrebbero essere autorizzate chiamando in causa l’obiettivo di instaurare una politica commerciale comune [art. 3, n. 1, lett. b), CE], nel cui ambito si è ritenuto che la Comunità avesse il potere di adottare misure di embargo commerciale ai sensi dell’art. 133 CE, poiché le relazioni commerciali della Comunità con un paese terzo non sono in discussione nel caso di specie.

105   Quanto all’obiettivo di instaurare un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno [art. 3, n. 1, lett. g), CE], l’affermazione dell’esistenza di un rischio di distorsione della concorrenza – alla prevenzione del quale tale regolamento, secondo il detto ‘considerando’, sarebbe rivolto – non è convincente.

106   Le norme in materia di concorrenza contenute nel Trattato CE si rivolgono alle imprese e agli Stati membri quando questi violano la parità di condizioni concorrenziali tra le imprese (v., per quanto riguarda l’art. 87 CE, sentenza della Corte 2 luglio 1974, causa 173/73, Italia/Commissione, Racc. pag. 709, punto 26, e, per quanto riguarda l’art. 81 CE, sentenza della Corte 12 luglio 1984, causa 170/83, Hydrotherm, Racc. pag. 2999, punto 11).

107   Orbene, nel caso di specie, da un lato, non si asserisce che gli individui o le entità interessati dal regolamento impugnato lo sono in quanto imprese ai sensi delle norme sulla concorrenza del Trattato CE.

108   Dall’altro, non viene fornita alcuna spiegazione che faccia capire come la concorrenza tra le imprese possa essere pregiudicata dall’attuazione, a livello della Comunità o dei suoi Stati membri, delle misure restrittive specifiche prescritte nei confronti di talune persone ed entità dalla risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza.

109   Le considerazioni che precedono non sono rimesse in discussione dal nesso che la Commissione, nella risposta scritta ai quesiti del Tribunale, e il Regno Unito, all’udienza, hanno stabilito tra l’obiettivo di cui all’art. 3, n. 1, lett. g), CE e l’obiettivo volto alla realizzazione di un mercato interno caratterizzato, in particolare, dall’abolizione tra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione dei capitali [art. 3, n. 1, lett. c), CE] (v., in particolare, precedenti punti 75 e 78‑80).

110   A questo proposito va rilevato che la Comunità non ha alcuna competenza esplicita ad imporre restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti. L’art. 58 CE consente invece che gli Stati membri adottino misure aventi un tale effetto nei limiti in cui ciò sia e rimanga giustificato per raggiungere gli obiettivi di cui a tale norma e, in particolare, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (v., per analogia con l’art. 30 CE, sentenza della Corte 4 ottobre 1991, causa C‑367/89, Richardt, Racc. pag. I‑4621, punto 19, e giurisprudenza ivi citata). Dato che la nozione di sicurezza pubblica ricomprende sia la sicurezza interna sia la sicurezza esterna dello Stato, gli Stati membri sarebbero dunque legittimati in via di principio ad adottare, ai sensi dell’art. 58, n. 1, lett. b), CE, misure del tipo di quelle previste dal regolamento impugnato. Purché siano conformi all’art. 58, n. 3, CE e non oltrepassino quanto necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato, tali misure sarebbero compatibili con il regime di libera circolazione dei capitali e dei pagamenti e con il regime di libera concorrenza istituiti dal Trattato CE.

111   Bisogna aggiungere che, se la semplice constatazione di un rischio di disparità tra le normative nazionali e del rischio astratto di ostacoli alla libera circolazione dei capitali o di distorsioni di concorrenza che possono derivarne fosse sufficiente a giustificare la scelta dell’art. 308 CE, in combinato disposto con l’art. 3, n. 1, lett. c) e g), CE, come fondamento normativo di un regolamento, non solo le disposizioni del capo 3 del titolo VI del Trattato CE, relative al ravvicinamento delle legislazioni, sarebbero private di effetto utile, ma il controllo giurisdizionale del rispetto del fondamento normativo potrebbe essere privato di qualsiasi efficacia. Si impedirebbe allora al giudice comunitario di esercitare il compito, incombentegli ai sensi dell’art. 220 CE, di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato (v., in tal senso, a proposito dell’art. 100 A del Trattato CE, divenuto, in seguito a modifica, art. 95 CE, sentenza Germania/Parlamento e Consiglio, punto 85 supra, punti 84, 85 e 106‑108, e giurisprudenza ivi citata).

112   Ad ogni modo, gli elementi di valutazione forniti al Tribunale non consentono di considerare che il regolamento impugnato contribuisce effettivamente a prevenire un rischio di ostacoli alla libera circolazione dei capitali o di rilevanti distorsioni della concorrenza.

113   Il Tribunale rileva, in particolare, che, contrariamente a quanto sostengono la Commissione e il Regno Unito, l’attuazione da parte degli Stati membri, anziché da parte della Comunità, delle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza non può comportare un rischio plausibile e serio di divergenze nell’applicazione del congelamento dei capitali tra gli Stati membri. Da un lato, infatti, tali risoluzioni contengono definizioni e prescrizioni chiare, precise e dettagliate, che non lasciano spazio alcuno all’interpretazione. Dall’altro, l’importanza delle misure che esse richiedono, in vista della loro attuazione, non sembra tale da far temere un rischio del genere.

114   Ciò premesso, le misure controverse nel caso di specie non possono essere legittimate in base all’obiettivo di cui all’art. 3, n. 1, lett. c) e g), CE.

115   Inoltre, i vari esempi di ricorso al fondamento normativo integrativo costituito dall’art. 308 CE richiamati dal Consiglio (v. supra, punti 71 e 73) si rivelano non pertinenti nella fattispecie. Da un lato, infatti, non si evince da tali esempi che le condizioni d’applicazione dell’art. 308 CE, in particolare quella relativa alla realizzazione di un obbiettivo della Comunità, non ricorrevano nelle fattispecie interessate. Dall’altro, gli atti normativi di cui trattasi in tali esempi non sono stati contestati a questo proposito dinanzi alla Corte, in particolare nella causa che ha dato luogo alla sentenza Delbar, punto 72 supra. In ogni caso, secondo una costante giurisprudenza, una mera prassi del Consiglio non può derogare norme del Trattato e non può di conseguenza creare un precedente che vincoli le istituzioni della Comunità quanto alla determinazione del corretto fondamento normativo (sentenza della Corte 23 febbraio 1988, causa 68/86, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. 855, punto 24, e parere della Corte 15 novembre 1994, 1/94, Racc. pag. I‑5267, punto 52).

116   Da tutto quanto precede discende che la lotta contro il terrorismo internazionale e, più in particolare, l’imposizione di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento non può essere ricollegata ad alcun obiettivo esplicitamente assegnato alla Comunità dagli artt. 2 CE e 3 CE.

117   Oltre agli obiettivi del Trattato esplicitamente enunciati agli artt. 2 CE e 3 CE, la Commissione, nella sua risposta scritta ai quesiti del Tribunale, ha richiamato anche un obiettivo della Comunità di natura più generale, che avrebbe giustificato nella fattispecie il ricorso al fondamento normativo costituito dall’art. 308 CE. La Commissione desume infatti dal preambolo del Trattato CE un «obiettivo generale per la Comunità di difendere la pace e la sicurezza» internazionale (v. supra, punto 76). Questa tesi non può essere accolta.

118   Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, infatti, dal preambolo del Trattato CE non emerge affatto che quest’ultimo persegua un obiettivo più vasto di difesa della pace e della sicurezza internazionale. Sebbene il detto Trattato abbia incontestabilmente lo scopo principale di porre fine ai conflitti del passato tra i popoli europei, mediante la costituzione di un’«unione sempre più stretta» fra loro, non vi è alcun riferimento alla realizzazione di una politica estera e di sicurezza comune. Quest’ultima attiene esclusivamente agli obiettivi del Trattato UE che, come rileva il suo preambolo, mira a segnare una «nuova tappa nel processo di integrazione europea intrapreso con l’istituzione delle Comunità europee».

119   Se certamente si può affermare che tale obiettivo dell’Unione deve ispirare l’azione della Comunità nel settore delle sue competenze, come la politica commerciale comune, ciò non basta, invece, a fondare l’adozione di misure ai sensi dell’art. 308 CE, soprattutto in settori in cui le competenze comunitarie sono marginali ed elencate restrittivamente dal Trattato.

120   Infine, non si può interpretare l’art. 308 CE nel senso che esso autorizza in modo generale le istituzioni a fondarsi su tale articolo per realizzare un obiettivo del Trattato UE. In particolare, il Tribunale considera che la coesistenza dell’Unione e della Comunità come ordinamenti giuridici integrati ma distinti, nonché l’architettura costituzionale dei pilastri, voluti dagli autori dei trattati attualmente in vigore, non autorizzano né le istituzioni né gli Stati membri a fondarsi sulla «clausola di flessibilità» costituita dall’art. 308 CE per ovviare alla mancanza di una competenza della Comunità necessaria alla realizzazione di un obiettivo dell’Unione. Una diversa interpretazione significherebbe, in ultima analisi, rendere tale disposizione applicabile a tutte le misure rientranti nella PESC e nella cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (GAI), di guisa che la Comunità potrebbe sempre agire per raggiungere gli obiettivi di queste politiche. Un siffatto risultato priverebbe molte disposizioni del Trattato UE del loro campo di applicazione e sarebbe incoerente con la creazione di strumenti propri alla PESC (strategie comuni, azioni comuni, posizioni comuni) e alla GAI (posizioni comuni, decisioni, decisioni quadro).

121   Si deve dunque rilevare che, come gli artt. 60 CE e 301 CE isolatamente considerati, l’art. 308 CE non costituisce, da solo, un fondamento normativo sufficiente per il regolamento impugnato.

122   Sia nei ‘considerando’ del regolamento impugnato sia nella sua risposta ai quesiti scritti del Tribunale, il Consiglio ha tuttavia sostenuto che l’art. 308 CE, in combinato disposto con gli artt. 60 CE e 301 CE, gli conferisce il potere di adottare un regolamento comunitario che riguarda la lotta al finanziamento del terrorismo internazionale, ingaggiata dall’Unione e dagli Stati membri a titolo della PESC, e che a tal fine impone sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di privati, senza stabilire legami con il territorio o con il regime dirigente di un paese terzo. Tali considerazioni meritano di essere condivise.

123   In tale contesto, infatti, occorre tener conto del collegamento specificamente creato, in occasione della revisione risultante dal Trattato di Maastricht, tra le azioni della Comunità che comportano sanzioni economiche ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE e gli obiettivi del Trattato UE in materia di relazioni esterne.

124   Si deve infatti constatare che gli artt. 60 CE e 301 CE sono disposizioni assolutamente particolari del Trattato CE poiché prevedono espressamente che un’azione della Comunità possa risultare necessaria per realizzare non uno degli obiettivi della Comunità, determinati dal Trattato CE, ma uno degli obiettivi specificamente assegnati all’Unione dall’art. 2 UE, ossia l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune.

125   Nell’ambito degli artt. 60 CE e 301 CE, l’azione della Comunità è quindi in realtà un’azione dell’Unione attuata sul fondamento del pilastro comunitario dopo che il Consiglio ha adottato una posizione comune o un’azione comune a titolo della PESC.

126   Occorre rilevare, al riguardo, che, ai termini dell’art. 3 UE, l’Unione dispone di un quadro istituzionale unico che assicura la coerenza e la continuità delle azioni svolte per il perseguimento dei suoi obiettivi, rispettando e sviluppando nel contempo l’acquis comunitario. L’Unione assicura in particolare la coerenza globale della sua azione esterna nell’ambito delle politiche in materia di relazioni esterne, di sicurezza, di economia e di sviluppo. Il Consiglio e la Commissione hanno la responsabilità di garantire tale coerenza e cooperano a tal fine. Essi provvedono, nell’ambito delle rispettive competenze, ad attuare tali politiche.

127   Orbene, proprio come i poteri d’azione previsti dal Trattato CE possono rivelarsi insufficienti per permettere alle istituzioni di agire per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, anche i poteri in materia di sanzioni economiche e finanziarie previsti dagli artt. 60 CE e 301 CE, ossia l’interruzione o la riduzione delle relazioni economiche con uno o più paesi terzi, in particolare per quanto attiene ai movimenti di capitali e ai pagamenti, possono rivelarsi insufficienti per consentire alle istituzioni di raggiungere l’obiettivo della PESC, che rientra nel Trattato UE, per il quale tali disposizioni sono state specificamente inserite nel Trattato CE.

128   Bisogna dunque ammettere che, nel particolare contesto considerato dagli artt. 60 CE e 301 CE, il ricorso al fondamento normativo supplementare costituito dall’art. 308 CE si giustifica, in nome dell’esigenza di coerenza di cui all’art. 3 UE, quando tali disposizioni non conferiscono alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria, in materia di sanzioni economiche e finanziarie, ad agire per raggiungere lo scopo perseguito dall’Unione e dai suoi Stati membri a titolo della PESC.

129   Può quindi verificarsi che una posizione comune o un’azione comune adottate in ossequio alla PESC richiedano alla Comunità misure di sanzioni economiche e finanziarie che vanno al di là di quelle, esplicitamente previste dagli artt. 60 CE e 301 CE, che consistono nell’interruzione o riduzione delle relazioni economiche con uno o più paesi terzi, in particolare per quanto riguarda i movimenti di capitali e i pagamenti.

130   In una siffatta ipotesi, il ricorso al cumulo dei fondamenti normativi costituito dagli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE consente di realizzare, in materia di sanzioni economiche e finanziarie, l’obiettivo perseguito nell’ambito della PESC dall’Unione e dai suoi Stati membri, espresso in una posizione comune o in un’azione comune, nonostante manchi un’espressa attribuzione alla Comunità dei poteri di imporre sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di individui o entità che non hanno legami sufficienti con un paese terzo determinato.

131   Nel caso di specie, la lotta contro il terrorismo internazionale e il relativo finanziamento rientra incontestabilmente tra gli obiettivi dell’Unione in ossequio alla PESC, definiti all’art. 11 UE, anche quando non riguarda specificamente i paesi terzi o i loro dirigenti.

132   È pacifico, peraltro, che la posizione comune 2002/402 è stata adottata dal Consiglio, all’unanimità, nell’ambito di tale lotta e che essa prescrive l’imposizione da parte della Comunità di sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di privati sospettati di contribuire al finanziamento del terrorismo internazionale, senza bisogno di stabilire legami con il territorio o il regime dirigente di un paese terzo.

133   Ciò posto, il ricorso all’art. 308 CE per integrare i poteri di sanzioni economiche e finanziarie conferiti alla Comunità dagli artt. 60 CE e 301 CE si giustifica considerando che, nel mondo attuale, gli Stati non possono più essere ritenuti la sola fonte di minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Non si può impedire all’Unione e al suo pilastro comunitario, così come alla comunità internazionale, di adeguarsi a queste nuove minacce tramite l’imposizione di sanzioni economiche e finanziarie non solo nei confronti dei paesi terzi, ma anche di persone, gruppi, imprese o entità associate che sviluppano un’attività terroristica internazionale o pregiudicano altrimenti la pace e la sicurezza internazionale.

134   Pertanto risulta che il Consiglio, avvalendosi nella fattispecie del fondamento normativo integrativo costituito dall’art. 308 CE, non ha ampliato il settore delle competenze della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato e in particolare di quelle che definiscono i compiti e le azioni della Comunità.

135   Le istituzioni e il Regno Unito hanno quindi sostenuto a buon diritto che il Consiglio era competente ad adottare il regolamento impugnato, il quale attua nella Comunità le sanzioni economiche e finanziarie previste dalla posizione comune 2002/402, sul fondamento costituito dal combinato disposto degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE.

3.     Sui tre motivi relativi alla violazione dei diritti fondamentali del ricorrente

 Argomenti delle parti

136   Nella parte della sua argomentazione che riguarda l’esposizione dei fatti, il ricorrente dichiara di essere un uomo d’affari internazionale, cittadino dell’Arabia Saudita, e di avere importanti interessi finanziari nell’Unione europea. Dopo l’entrata in vigore del regolamento n. 2062/2001, e poi del regolamento impugnato, i suoi capitali e beni nell’Unione europea sarebbero stati congelati e quindi si sarebbe trovato impossibilitato a gestire i suoi affari. Il fatto di essere stato incluso nell’elenco dell’allegato I del regolamento impugnato avrebbe, inoltre, pregiudicato la sua reputazione personale e professionale. Il ricorrente si protesta vittima di un grave errore giudiziario e afferma di non essere mai stato implicato in attività terroristiche né in nessuna forma di sostegno finanziario di attività del genere, né in relazione a Osama bin Laden e Al-Qaeda né altrimenti.

137   Il ricorrente aggiunge che contro di lui sono state disposte anche misure nazionali che ordinano il congelamento dei suoi capitali nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Svizzera, tutte misure di cui avrebbe contestato la legittimità davanti al giudice. In particolare, egli avrebbe presentato un ricorso di annullamento (judicial review) avverso il provvedimento di congelamento dei suoi capitali disposto dal Ministero delle Finanze britannico. In occasione di un’udienza preliminare tenutasi nell’ambito di tale procedimento, il giudice adito della causa avrebbe dichiarato che il motivo relativo all’illegittimità di tale provvedimento non era manifestamente privo di qualunque fondamento in diritto nazionale. Tuttavia, il governo del Regno Unito avrebbe sostenuto che, a causa dell’effetto diretto del diritto comunitario, il procedimento aperto dal ricorrente a livello nazionale era irrilevante a meno che egli non vincesse la causa anche rispetto al regolamento impugnato. Il ricorrente presume, peraltro, che l’informazione in base alla quale egli è stato inserito nell’elenco del comitato per le sanzioni è la stessa che è stata comunicata dal governo del Regno Unito nell’ambito del procedimento nazionale sopramenzionato.

138   Nella parte in diritto della sua argomentazione, il ricorrente sottolinea, in via preliminare, che, secondo la giurisprudenza (sentenza della Corte 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold/Commissione, Racc. pag. 491, punto 13), i diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalle costituzioni degli Stati membri e, in particolare, quelli sanciti dalla CEDU fanno parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario.

139   Esso deduce poi, a sostegno delle proprie conclusioni, tre motivi di annullamento relativi, il primo, alla violazione del diritto di essere ascoltato, il secondo, alla violazione del diritto fondamentale al rispetto della proprietà e del principio di proporzionalità e, il terzo, alla violazione del diritto a un controllo giurisdizionale effettivo.

140   Secondo il ricorrente, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza fatte valere dal Consiglio e dalla Commissione non attribuiscono a tali istituzioni il potere di ledere i suoi diritti fondamentali senza giustificare un tale danno dinanzi al Tribunale presentando le prove necessarie. In quanto ordinamento giuridico indipendente dalle Nazioni Unite, governato da norme sue proprie, l’Unione europea dovrebbe giustificare le misure da essa adottate riferendosi ai propri poteri e ai doveri che le incombono nei confronti delle persone cui tale ordinamento si applica.

141   Per quanto riguarda in particolare l’asserita violazione del diritto di essere ascoltati, il ricorrente riconosce che, per sua stessa natura, il provvedimento iniziale di congelamento dei suoi beni non doveva essere previamente notificato prima di essere attuato.

142   Egli tuttavia rivendica il diritto di essere ascoltato dal Consiglio e dalla Commissione per ottenere che il suo nome sia cancellato dall’elenco delle persone ed entità colpite dalla sanzione, in forza del principio generale del diritto comunitario secondo cui i destinatari di provvedimenti della pubblica autorità che ledano in maniera sensibile i loro interessi devono essere messi in grado di presentare le loro difese (sentenza della Corte 23 ottobre 1974, causa 17/74, Transocean Marine Paint/Commissione, Racc. pag. 1063, punto 15). Il ricorrente ricorda che il rispetto dei diritti della difesa, principio di carattere fondamentale, deve essere assicurato in tutti i procedimenti che possono danneggiare la persona interessata e comportare per essa conseguenze sfavorevoli (sentenze della Corte 17 ottobre 1989, causa 85/87, Dow Benelux/Commissione, Racc. pag. 3137, e 27 giugno 1991, causa C‑49/88, Al-Jubail Fertilizer e Saudi Arabian Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I‑3187).

143   Nella fattispecie, il regolamento impugnato violerebbe chiaramente tali principi fondamentali in quanto consente al Consiglio di congelare a tempo indeterminato i capitali del ricorrente senza dargli alcuna possibilità di essere ascoltato circa l’effettività e la pertinenza dei fatti e delle circostanze asserite e circa gli elementi di prova ritenuti a suo carico.

144   Per quanto riguarda in particolare l’asserita violazione del diritto fondamentale al rispetto della proprietà, garantito dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU e dai principi generali del diritto comunitario, nonché l’asserita violazione del principio di proporzionalità, il ricorrente rileva che il regolamento impugnato consente il congelamento dei suoi capitali sulla sola base dell’inserimento del suo nome nell’elenco predisposto dal comitato per le sanzioni, senza che le istituzioni comunitarie possano esercitare il minimo potere discrezionale sulle prove disponibili e sulle considerazioni che possono giustificare un provvedimento del genere e senza che siano stati ponderati gli interessi presenti.

145   Nella sua replica, il ricorrente sottolinea che, per ammissione stessa delle istituzioni, queste ultime non hanno effettuato alcuna ponderazione degli interessi né hanno esaminato le prove a carico. Inoltre, esse non avrebbero presentato al Tribunale alcuna prova a carico che dimostrasse, qualora fosse stata effettuata una tale ponderazione, che sarebbe stato giustificato congelare i capitali del ricorrente. Date tali circostanze, il Tribunale non avrebbe alcun mezzo per giudicare se il regolamento impugnato giustifichi i provvedimenti draconiani adottati nei confronti dei beni del ricorrente.

146   Per quanto riguarda in particolare l’asserita violazione del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo, il ricorrente ricorda che, nella sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, punto 18), la Corte ha riconosciuto che tale diritto costituisce un principio generale del diritto comunitario.

147   Nella fattispecie, il regolamento impugnato non prevedrebbe alcuna possibilità di un controllo del genere, in particolare di un controllo delle prove ritenute a carico del ricorrente, in violazione di tale principio generale.

148   Il ricorrente aggiunge che un siffatto controllo, qualora fosse previsto, sarebbe in grado di stabilire che le censure a suo carico non sono fondate.

149   Replicando, peraltro, all’argomento del Consiglio secondo cui egli sarebbe stato sottoposto a semplici misure amministrative e non a una qualunque sanzione penale o confisca dei beni in grado di valergli la tutela offerta dall’art. 6 della CEDU, il ricorrente fa presente che è stato accusato della più grave forma di crimine, cioè di essere implicato in un’organizzazione terroristica responsabile degli attentati dell’11 settembre 2001, che la sua reputazione è stata rovinata e che i suoi beni sono stati congelati senza limiti di tempo né di importo, e ciò in circostanze in cui, in primo luogo, il Consiglio non ha esaminato le prove fornite a suo carico; in secondo luogo, il Consiglio non intende dargli la possibilità di contestare il congelamento dei suoi beni né è in grado di farlo e, in terzo luogo, il Consiglio sostiene che il Tribunale non può adottare provvedimenti per verificare se la decisione di congelare i suoi beni fosse giusta.

150   Secondo il ricorrente, le istituzioni della Comunità non possono spogliarsi della loro responsabilità di rispettare i suoi diritti fondamentali trincerandosi dietro decisioni prese dal Consiglio di Sicurezza, tanto più che queste decisioni non rispettano, esse stesse, i diritti della difesa. Trattandosi di un regolamento comunitario, il ricorrente sostiene di avere il diritto ad un controllo giurisdizionale nell’ambito della Comunità. Il fatto che il Consiglio sostenga di non aver alcun potere discrezionale in materia e di essere tenuto ad agire secondo le istruzioni dell’ONU dimostrerebbe proprio il vizio da cui è affetto il regolamento impugnato.

151   Nella sua replica, il ricorrente aggiunge di aver cercato di prendere contatto direttamente con il comitato per le sanzioni per ottenere che il suo nome fosse cancellato dall’elenco controverso. Gli sarebbe stato risposto che non venivano accettate osservazioni da parte di privati e che reclami concernenti sanzioni adottate a livello nazionale dovevano essere rivolti al giudice competente. Egli avrebbe allora chiesto al Ministero degli Affari esteri saudita di aiutarlo a far valere i suoi diritti dinanzi al comitato per far le sanzioni. Inoltre, il ricorrente si sarebbe attivato negli Stati Uniti per far valere i suoi interessi presso l’Office of Foreign Assets Control (OFAC). Le istituzioni non potrebbero quindi rimproverargli di non aver preso tutti i provvedimenti praticabili per ottenere lo sblocco dei suoi averi.

152   Infine, l’argomento secondo cui il ricorrente ha potuto avviare il presente procedimento non sarebbe valido, se il Tribunale non ha la possibilità di esaminare il merito del ricorso. Per rispondere alle esigenze di un controllo giurisdizionale effettivo, il Tribunale dovrebbe esaminare la fondatezza delle prove fornitegli oppure respingere il regolamento impugnato perché non fornisce alcuna base giuridica per un esame di questo tipo.

153   In via principale, il Consiglio e la Commissione, che rinviano in particolare all’art. 24, n. 1, agli artt. 25, 41, 48, n. 2, e 103 della Carta delle Nazioni Unite, sostengono, in primo luogo, che, alla stregua degli Stati membri dell’ONU, la Comunità ha l’obbligo, in forza del diritto internazionale, di attuare, nei settori di sua competenza, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, in particolare quelle adottate nell’ambito del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite; in secondo luogo, che la competenza delle istituzioni comunitarie in materia è vincolata e che tali istituzioni non dispongono di alcun potere discrezionale autonomo né di alcun margine di discrezionalità; in terzo luogo, che esse non possono pertanto né modificare il contenuto di tali risoluzioni né mettere in atto meccanismi che possano dar luogo a una modifica del loro contenuto e, in quarto luogo, che va respinto ogni altro diverso accordo internazionale o norma di diritto interno che possa ostacolare tale attuazione.

154   A questo proposito il Consiglio e la Commissione rilevano che il regolamento impugnato recepisce, nell’ordinamento giuridico comunitario, le risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza, adottate in forza del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite in un primo momento nei confronti del regime dei talibani d’Afghanistan e, in un secondo momento, in risposta alle attività terroristiche legate agli attentati dell’11 settembre 2001 a New York City e a Washington, D.C. (Stati Uniti). Più precisamente, poiché il nome del ricorrente è stato aggiunto all’elenco elaborato dal comitato per le sanzioni il 17 ottobre 2001, il regolamento n. 2062/2001 avrebbe modificato, per includervelo a sua volta, a norma dell’art. 10 del regolamento n. 467/2001, l’elenco delle persone i cui capitali erano stati congelati a causa dei loro legami con i talibani, Osama bin Laden e la rete Al-Qaeda.

155   Le istituzioni comunitarie devono quindi ottemperare agli obblighi incombenti agli Stati membri della Comunità ai sensi della Carta delle Nazioni Unite, mediante il recepimento automatico, nell’ordinamento giuridico comunitario, degli elenchi delle persone o entità elaborati dal Consiglio di Sicurezza o dal comitato per le sanzioni, secondo le procedure applicabili.

156   A tale proposito il Consiglio e la Commissione sottolineano che, nella loro qualità di membri delle nazioni Unite, gli Stati membri della Comunità hanno accettato di applicare incondizionatamente le decisioni adottate a loro nome dal Consiglio di Sicurezza, nell’interesse superiore del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (v. art. 24, n. 1, e art. 25 della Carta delle Nazioni Unite). Gli obblighi che incombono ad un membro dell’ONU a norma del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite prevarrebbero su qualsiasi altro obbligo internazionale cui potrebbe essere soggetto. L’art. 103 della Carta permetterebbe così di invalidare ogni altra norma del diritto internazionale pattizio o consuetudinario in vista di applicare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, creando in tal modo un «effetto di liceità».

157   Tanto meno, secondo le istituzioni, i diritti nazionali possono ostacolare i provvedimenti di esecuzione adottati a norma della Carta delle Nazioni Unite. Se un membro dell’ONU avesse la possibilità di modificare il contenuto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, non sarebbe possibile mantenerne l’uniformità di applicazione, indispensabile per garantirne l’efficacia.

158   Sebbene la Comunità non sia essa stessa membro dell’ONU, essa sarebbe obbligata ad agire, nei settori di sua competenza, in modo da soddisfare gli obblighi che incombono ai suoi Stati membri per il fatto di appartenere alle Nazioni Unite. A tale riguardo la Commissione rileva che le competenze della Comunità devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale (sentenze della Corte 24 novembre 1992, causa C‑286/90, Poulsen e Diva Navigation, Racc. pag. I‑6019, punto 9, e 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke, Racc. pag. I‑3655, punto 45). Il Consiglio e la Commissione richiamano altresì la sentenza del Tribunale 28 aprile 1998, causa T‑184/95, Dorsch Consult/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑667). Nonostante tale sentenza riguardasse l’istituzione di un embargo commerciale, provvedimento di politica commerciale comune che rientra, ai sensi dell’art. 133 CE, nella competenza esclusiva della Comunità, il Consiglio e la Commissione ritengono che il principio che essa sancisce valga anche in relazione alle restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti adottate, come nella fattispecie, ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE.

159   Il Consiglio generalizza tale affermazione sostenendo che, allorché la Comunità agisce in esecuzione di obblighi che incombono ai suoi Stati membri in ragione della loro appartenenza all’ONU, o perché questi ultimi le hanno trasferito le competenze necessarie o perché ritengono che il suo intervento sia opportuno sul piano politico, essa va considerata a tutti gli effetti pratici nella stessa posizione dei membri dell’ONU, tenuto conto dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite.

160   A meno di violare i propri obblighi internazionali e quelli dei suoi Stati membri, la Comunità non aveva dunque la possibilità, secondo il Consiglio e la Commissione, di escludere determinati persone dall’elenco elaborato dal comitato per le sanzioni, di informarle previamente o, altrimenti, di autorizzare un procedimento di revisione al termine del quale talune persone avrebbero potuto essere escluse dal detto elenco. Secondo il Consiglio, ciò sarebbe stato inoltre contrario al dovere di cooperazione leale tra gli Stati membri e la Comunità, di cui all’art. 10 CE.

161   Il Consiglio aggiunge che, quand’anche si dovesse ritenere il regolamento impugnato lesivo dei diritti fondamentali del ricorrente, le circostanze in cui è stato adottato escludono qualunque sua propria condotta illecita, tenuto conto dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite. Secondo tale istituzione, quando la Comunità adotta dei provvedimenti a fini che corrispondono ai desideri dei suoi Stati membri di adempiere i propri obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, essa beneficia necessariamente della tutela accordata dalla Carta e, in particolare, dell’«effetto di liceità». Il Consiglio ritiene che tale effetto valga anche nei confronti dei diritti fondamentali che, come prevedono gli strumenti giuridici internazionali del caso, possono essere temporaneamente sospesi in caso di emergenza.

162   Ad ogni modo, il Consiglio ritiene che la competenza del Tribunale, nel presente caso di specie, dovrebbe essere limitata a verificare se le istituzioni abbiano commesso un errore manifesto nell’ottemperare agli obblighi enunciati nella risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza. Ogni esercizio di competenza che va al di là, equivalente a un controllo giudiziario indiretto e selettivo delle misure vincolanti adottate dal Consiglio di Sicurezza nell’ambito del suo ruolo di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, provocherebbe gravi sconvolgimenti nelle relazioni internazionali della Comunità e dei suoi Stati membri, sarebbe contestabile alla luce dell’art. 10 CE e rischierebbe di minare uno dei fondamenti dell’ordinamento internazionale che gli Stati hanno istaurato dopo il 1945. Il Consiglio ritiene che provvedimenti di tale natura non possano essere contestati a livello nazionale o regionale, ma unicamente dinanzi al Consiglio di Sicurezza stesso.

163   La Commissione considera, anch’essa, che qualunque decisione di sopprimere o modificare l’elenco adottato dal Consiglio di Sicurezza potrebbe gravemente perturbare le relazioni internazionali della Comunità e dei suoi Stati membri. Una situazione del genere porterebbe la Comunità a venir meno al suo obbligo generale di rispetto del diritto internazionale e gli Stati membri a venir meno ai loro obblighi specifici ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Una siffatta situazione pregiudicherebbe anche l’applicazione uniforme delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, condizione sine qua non della loro efficacia. La Commissione rileva poi che il principio della cortesia internazionale impone che la Comunità attui tali provvedimenti, poiché mirano a tutelare tutti gli Stati membri dagli attacchi terroristici.

164   Ciò escluderebbe un esame da parte del Tribunale della compatibilità del regolamento impugnato con i diritti fatti valere dal ricorrente. Anche nell’ipotesi in cui tali diritti fossero stati violati – quod non –, la Comunità continuerebbe a essere tenuta ad attuare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e, qualora quella si astenesse dall’agire, gli Stati membri avrebbero l’obbligo di farlo.

165   In subordine, nel caso in cui il Tribunale decidesse di procedere ad un esame completo del merito dei tre motivi di annullamento dedotti dal ricorrente, il Consiglio e la Commissione sostengono che il regolamento impugnato non pregiudica i diritti e le libertà fondamentali di cui si afferma la violazione.

166   In primo luogo, il regolamento impugnato non lederebbe il diritto del ricorrente di essere ascoltato.

167   Nella fattispecie, infatti, le istituzioni comunitarie non avrebbero alcun potere d’indagine, alcun margine di discrezionalità in relazione ai fatti e alcuna libertà di valutazione politica. Esse sarebbero semplicemente tenute ad attuare le misure adottate dal Consiglio di Sicurezza per garantire la pace e la sicurezza internazionale, senza essere autorizzate a prevedere un meccanismo di esame di tali misure. Il Consiglio e la Commissione ritengono, pertanto, che il diritto di essere ascoltato, che s’impone chiaramente nell’ambito di procedimenti amministrativi, non sia applicabile in circostanze quali quelle del caso di specie.

168   In secondo luogo, le misure attuate dal regolamento impugnato non lederebbero né il principio di proporzionalità né il diritto fondamentale del ricorrente al rispetto della sua proprietà, giacché tale diritto non gode di una tutela assoluta e il suo esercizio può essere soggetto a restrizioni giustificate da obiettivi d’interesse generale.

169   Nella fattispecie, l’interesse generale che riveste per la Comunità e i suoi Stati membri il rispetto degli obblighi imposti dal Consiglio di Sicurezza, affinché i possedimenti dei privati non possano essere utilizzati per promuovere il terrorismo, non potrebbe essere più chiaro. I provvedimenti adottati dalla Comunità, che si limitano ad attuare le decisioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza, sarebbero stati dettati dall’importanza di tale obiettivo e non avrebbero creato un iniquo bilanciamento tra le esigenze derivanti dall’interesse generale e quelle legate alla tutela dei diritti fondamentali dei privati. Ciò premesso, il Consiglio ritiene che le misure controverse non possano essere considerate inadeguate o sproporzionate, per quanto siano severe nei confronti del ricorrente.

170   Per la parte in cui il ricorrente sembra, di fatto, addebitare alle istituzioni comunitarie di non aver previsto alcun meccanismo di verifica, la Commissione ricorda che tali istituzioni hanno solamente garantito l’attuazione delle decisioni del Consiglio di Sicurezza, senza poterle modificare.

171   Quanto all’affermazione del ricorrente che gli strumenti utilizzati per raggiungere gli obiettivi sono sproporzionati, la Commissione rileva che tale censura può essere diretta solo contro decisioni del Consiglio di Sicurezza.

172   In terzo luogo, per quanto attiene al diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo, il Consiglio e la Commissione sostengono, in particolare, che il ricorrente ha potuto investire il Tribunale del presente ricorso ai sensi dell’art. 230 CE.

173   Secondo il Consiglio, l’accertamento della portata del sindacato giurisdizionale che appariva giustificata o adeguata nella fattispecie è un problema distinto, che dovrà essere risolto dal Tribunale.

174   A questo proposito il Consiglio sostiene che, quando la Comunità agisce senza esercitare alcun potere discrezionale, sulla base di una decisione presa dall’organo al quale la comunità internazionale ha conferito poteri rilevanti in vista di preservare la pace e la sicurezza internazionale, un sindacato giurisdizionale completo rischierebbe di minare il sistema dell’ONU quale istaurato nel 1945, potrebbe pregiudicare gravemente le relazioni internazionali della Comunità e degli Stati membri e contravverrebbe all’obbligo della Comunità di rispettare il diritto internazionale.

175   Il Consiglio e la Commissione fanno altresì notare che il ricorrente, all’occorrenza rappresentato dall’Arabia saudita, può rivolgersi al Consiglio di Sicurezza o al comitato per le sanzioni, o direttamente o tramite i servizi dell’Erario del Regno Unito, al fine di rendere noto il suo parere. È vero che, in quanto organizzazione intergovernativa, l’ONU non valuterebbe le considerazioni del ricorrente come persona. Tuttavia, l’ONU non potrebbe tenere in non cale l’opinione dei suoi membri. Quindi, se le autorità saudite fossero convinte dell’innocenza del ricorrente, non sussisterebbero motivi per non intraprendere i dovuti passi affinché la sua iscrizione nell’elenco del comitato per le sanzioni sia riesaminata. Il ricorrente non fornisce informazioni sull’esito delle sue pratiche svolte presso tale organo né sul parere che quest’ultimo può avere espresso, mentre talune delle persone indicate nell’elenco del comitato per le sanzioni sarebbero state in grado di farlo.

 Giudizio del Tribunale

 Osservazioni preliminari

176   Il Tribunale può pronunciarsi utilmente sui motivi attinenti alla violazione dei diritti fondamentali del ricorrente solamente qualora essi rientrino nel suo sindacato giurisdizionale e possano portare, se fondati, all’annullamento del regolamento impugnato.

177   Orbene, nella fattispecie, le istituzioni e il Regno Unito sostengono, in sostanza, che non ricorre nessuna di queste due condizioni, perché gli obblighi assunti dalla Comunità e dai suoi Stati membri in forza della Carta delle Nazioni Unite prevalgono su ogni altro obbligo di diritto internazionale, comunitario o nazionale. L’esame degli argomenti di tali parti risulta quindi essere la premessa a qualsiasi analisi degli argomenti del ricorrente.

178   A questo proposito il Tribunale ritiene opportuno esaminare, in primo luogo, il legame tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico nazionale o comunitario, nonché in quale misura le competenze della Comunità e dei suoi Stati membri siano vincolate dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

179   Tale esame determina, infatti, quello relativo alla portata del sindacato di legittimità, in particolare rispetto ai diritti fondamentali, che il Tribunale ha il compito di esercitare su atti comunitari che attuano siffatte risoluzioni e al quale si procederà quindi in secondo luogo.

180   In terzo luogo, infine, nei limiti in cui sarà accertato che esse rientrano effettivamente nel suo sindacato giurisdizionale e possono comportare l’annullamento del regolamento impugnato, il Tribunale si pronuncerà sulle asserite violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente.

 Sul legame tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico nazionale o comunitario

181   Si deve constatare che, dal punto di vista del diritto internazionale, gli obblighi degli Stati membri dell’ONU ai sensi della Carta delle Nazioni Unite prevalgono incontestabilmente su qualsiasi altro obbligo di diritto interno o di diritto internazionale pattizio, ivi compreso, per quelli tra di essi che sono membri del Consiglio d’Europa, sugli obblighi derivanti dalla CEDU e, per quelli tra di essi che sono anche membri della Comunità, sui loro obblighi derivanti dal Trattato CE.

182   Per quanto riguarda, in primo luogo, i rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e il diritto interno degli Stati membri dell’ONU, tale regola della prevalenza discende dai principi del diritto internazionale consuetudinario. A termini dell’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, adottata a Vienna il 23 maggio 1969, che codifica tali principi (e il cui art. 5 dispone che essa si applica «a qualsiasi trattato che rappresenti l’atto costitutivo di un’organizzazione internazionale e a qualsiasi trattato adottato in seno ad una organizzazione internazionale»), una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato.

183   Per quanto riguarda, in secondo luogo, i rapporti tra la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale pattizio, tale regola di prevalenza è espressamente sancita dall’art. 103 della detta Carta, ai termini del quale «[i]n caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con la presente Carta e gli obblighi da esso assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dalla presente Carta». Conformemente all’art. 30 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e contrariamente alle regole normalmente applicabili in caso di trattati successivi, essa si applica sia ai trattati anteriori sia ai trattati posteriori alla Carta delle Nazioni Unite. Secondo la Corte internazionale di giustizia, tutti gli accordi regionali, bilaterali e anche multilaterali, che le parti possono aver concluso, sono sempre subordinati alle disposizioni dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite [sentenza 26 novembre 1984, Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua (Nicaragua/Stati Uniti), Racc. 1984, pag. 392, punto 107].

184   Tale prevalenza si estende alle decisioni contenute in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, a norma dell’art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, ai termini del quale i membri dell’ONU convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza. Secondo la Corte internazionale di giustizia, conformemente al disposto dell’art. 103 della Carta, gli obblighi delle parti al riguardo prevalgono sui loro obblighi derivanti da qualsiasi altro accordo internazionale [ordinanza 14 aprile 1992 (misure provvisorie), Questioni d’interpretazione e applicazione della Convenzione di Montreal del 1971 sorte in seguito all’incidente aereo di Lockerbie (Jamahiriya araba libica/Stati Uniti d’America), Racc. 1992, pag. 16, punto 42, e ordinanza 14 aprile 1992 (misure provvisorie), Questioni d’interpretazione e applicazione della Convenzione di Montreal del 1971 sorte in seguito all’incidente aereo di Lockerbie (Jamahiriya araba libica/Regno Unito), Racc. 1992, pag. 113, punto 39].

185   Per quanto riguarda in particolare i rapporti tra gli obblighi degli Stati membri della Comunità assunti in forza della Carta delle Nazioni Unite e i loro obblighi assunti in forza del diritto comunitario, occorre aggiungere che, a termini del primo comma dell’art. 307 CE, «[l]e disposizioni del presente trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».

186   Secondo una giurisprudenza costante della Corte, tale disposizione è diretta a precisare, conformemente ai principi del diritto internazionale, che l’applicazione del Trattato CE non pregiudica l’impegno assunto dallo Stato membro interessato di rispettare i diritti degli Stati terzi risultanti da una convenzione anteriore, e di osservare i relativi obblighi (sentenza della Corte 28 marzo 1995, causa C‑324/93, Evans Medical e Macfarlan Smith, Racc. pag. I‑563, punto 27; v. anche sentenze della Corte 27 febbraio 1962, causa 10/61, Commissione/Italia, Racc. pag. 1; 2 agosto 1993, causa C‑158/91, Levy, Racc. pag. I‑4287, e 14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro-Com, Racc. pag. I‑81, punto 56).

187   Orbene, cinque dei sei Stati firmatari del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, firmato a Roma il 25 marzo 1957, erano già membri dell’ONU alla data del 1° gennaio 1958. Quanto alla Repubblica federale di Germania, sebbene essa sia stata ufficialmente ammessa come membro dell’ONU solo il 18 settembre 1973, il suo impegno a rispettare gli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite è anch’esso anteriore alla data del 1° gennaio 1958, come risulta in particolare dall’atto finale della conferenza tenutasi a Londra dal 28 settembre al 3 ottobre 1954 (conferenza detta «delle nove potenze») e dagli accordi di Parigi del 23 ottobre 1954. Peraltro, tutti gli Stati che hanno successivamente aderito alla Comunità erano membri dell’ONU prima della loro adesione.

188   Per giunta, l’art. 224 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea (divenuto art. 297 CE) è stato specificamente inserito in tale Trattato allo scopo di rispettare la regola di prevalenza sopra definita. Ai termini di tale disposizione, «[g]li Stati membri si consultano al fine di prendere di comune accordo le disposizioni necessarie ad evitare che il funzionamento del mercato comune abbia a risentire delle misure che uno Stato membro può essere indotto a prendere (…) per far fronte agli impegni da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale».

189   Le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite hanno quindi effetti vincolanti per tutti gli Stati membri della Comunità, che devono dunque, in tale qualità, prendere tutte le misure necessarie ad assicurare la loro esecuzione (conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza della Corte 30 luglio 1996, causa C‑84/95, Bosphorus, Racc. pag. I‑3953, in particolare pag. I‑3956, paragrafo 2, e alla sentenza della Corte 27 febbraio 1997, causa C‑177/95, Ebony Maritime e Loten Navigation, Racc. pag. I‑1111, in particolare pag. I‑1115, paragrafo 27 ).

190   Da quanto precede discende altresì che, tanto in esecuzione delle norme di diritto internazionale generale quanto in esecuzione delle disposizioni specifiche del Trattato, gli Stati membri hanno la facoltà, e anche l’obbligo, di disapplicare qualsiasi disposizione di diritto comunitario, seppur di diritto primario o un principio generale di tale diritto, che ostacoli la buona esecuzione dei loro obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

191   Infatti, nella sentenza Centro-Com, punto 186 supra, la Corte ha specificamente dichiarato che provvedimenti nazionali che contrastano con l’art. 113 del Trattato CE sono giustificati alla luce dell’art. 234 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 307 CE) soltanto se sono necessari per consentire allo Stato membro interessato di adempiere gli obblighi ad esso incombenti in base alla Carta delle Nazioni Unite e ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza.

192   Per contro, discende dalla giurisprudenza (v. sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, punto 158 supra, punto 74) che, a differenza dei suoi Stati membri, la Comunità in quanto tale non è direttamente vincolata alla Carta delle Nazioni Unite e pertanto non è tenuta, in base ad un obbligo di diritto internazionale pubblico generale, ad accettare ed applicare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, conformemente all’art. 25 della detta Carta. Il motivo di ciò è che la Comunità né è membro dell’ONU, né è destinataria delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, né subentra nei diritti e negli obblighi dei suoi Stati membri ai sensi del diritto internazionale pubblico.

193   Ciò posto, la Comunità deve essere considerata vincolata agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, alla stessa stregua dei suoi Stati membri, in base allo stesso Trattato che la istituisce.

194   A questo proposito è pacifico che, al momento di sottoscrivere il Trattato che istituisce la Comunità economica europea, gli Stati membri erano vincolati ai loro impegni derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

195   Essi non hanno potuto, a causa di un negozio concluso tra loro, trasferire alla Comunità più poteri di quanti ne avessero né sottrarsi agli obblighi esistenti nei confronti di paesi terzi in base alla detta Carta (v., per analogia, sentenza della Corte 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72‑24/72, International Fruit Company e a., Racc. pag. 1219; in prosieguo: la «sentenza International Fruit», punto 11).

196   Al contrario, la loro intenzione di rispettare gli impegni derivanti da tale Carta si desume dalle disposizioni dello stesso Trattato che istituisce la Comunità economica europea ed è resa manifesta in particolare dai suoi artt. 224 e 234, primo comma (v., per analogia, sentenza International Fruit, punti 12 e 13, e conclusioni dell’avvocato generale Mayras relative a tale sentenza, Racc. pag. 1231, in particolare pag. 1237).

197   Quest’ultima disposizione, benché parli unicamente degli obblighi degli Stati membri, implica l’obbligo delle istituzioni della Comunità di non ostacolare l’adempimento degli impegni degli Stati membri derivanti dalla detta Carta (sentenza della Corte 14 ottobre 1980, causa 812/79, Burgoa, Racc. pag. 2787, punto 9).

198   Occorre altresì sottolineare che, poiché le competenze necessarie all’attuazione degli impegni degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite sono state trasferite alla Comunità, gli Stati membri si sono obbligati, in diritto internazionale pubblico, a che la Comunità stessa le eserciti a tal fine.

199   Ciò premesso, occorre rammentare, da un lato, che, a termini dell’art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, le decisioni del Consiglio di Sicurezza sono eseguite dai membri delle Nazioni Unite «direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri», e, dall’altro, che, secondo la giurisprudenza (sentenze Poulsen e Diva Navigation, punto 158 supra, punto 9, e Racke, punto 158 supra, punto 45; v., anche, sentenza della Corte 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn, Racc. pag. 1337, punto 22), le competenze della Comunità devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale e che, perciò, il diritto comunitario va interpretato, e la sua sfera d’applicazione circoscritta, alla luce delle norme pertinenti del diritto internazionale.

200   Gli Stati membri, nell’attribuire tali competenze alla Comunità, hanno dunque segnato la loro volontà di vincolarla agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite (v., per analogia, sentenza International Fruit, punto 15).

201   Dopo l’entrata in vigore del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, il trasferimento di competenze, nei rapporti tra gli Stati membri e la Comunità, si è concretato in vari modi nell’ambito dell’attuazione dei loro impegni derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite (v., per analogia, sentenza International Fruit, punto 16).

202   È cosi, in particolare, che l’art. 228 A del Trattato CE (divenuto art. 301 CE) è stato inserito nel Trattato, dal Trattato sull’Unione europea, per dare un fondamento specifico alle sanzioni economiche che la Comunità, unica competente in materia di politica commerciale comune, può essere indotta a prendere nei confronti di paesi terzi per ragioni politiche definite dai suoi Stati membri nell’ambito della PESC, sovente in applicazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che impone loro l’adozione di sanzioni del genere.

203   Ne deriva che, in tutti i casi in cui, in forza del Trattato CE, la Comunità ha assunto competenze precedentemente esercitate dagli Stati membri nell’ambito di applicazione della Carta delle Nazioni Unite, le disposizioni di questa hanno per effetto di vincolare la Comunità [v., per analogia, per sapere se la Comunità è vincolata dall’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) del 1947, sentenza International Fruit, punto 18; v. anche, in quanto riconosce che la Comunità esercita una competenza vincolata quando esegue un provvedimento di embargo commerciale decretato da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, punto 158 supra, punto 74].

204   Al termine di questo ragionamento, occorre considerare, da un lato, che la Comunità non può violare gli obblighi incombenti ai propri Stati membri in forza della Carta delle Nazioni Unite né ostacolare la loro esecuzione e, dall’altro, che essa è tenuta, a norma del suo stesso Trattato istitutivo, ad adottare, nell’esercizio delle proprie competenze, tutte le disposizioni necessarie per consentire ai propri Stati membri di conformarsi a tali obblighi.

205   Orbene, nella fattispecie, il Consiglio ha constatato, nella posizione comune 2002/402, adottata in esecuzione delle disposizioni del titolo V del Trattato UE, che un’azione della Comunità, nei limiti dei poteri ad essa attribuiti dal Trattato CE, era necessaria per attuare determinate misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, dei membri dell’organizzazione Al-Qaeda nonché dei talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associate, conformemente alle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza.

206   La Comunità ha attuato tali misure mediante l’adozione del regolamento impugnato. Come già dichiarato al precedente punto 135, essa era competente ad adottare tale atto sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE.

207   Occorre quindi riconoscere la fondatezza degli argomenti dedotti dalle istituzioni, riassunti supra al punto 153, tenendo presente che non è in forza del diritto internazionale generale, come sostengono le parti, bensì in forza dello stesso Trattato CE stesso che la Comunità era tenuta a dare esecuzione alle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza, nell’ambito delle sue competenze.

208   Per contro, gli argomenti del ricorrente fondati sulla considerazione che l’ordinamento giuridico comunitario è un ordinamento giuridico indipendente dalle Nazioni Unite, disciplinato da norme di diritto sue proprie, devono essere respinti.

 Sulla portata del controllo di legittimità il cui esercizio spetta al Tribunale

209   In via preliminare, occorre rammentare che la Comunità europea è una comunità di diritto nel senso che né gli Stati membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale fondamentale costituita dal Trattato e che quest’ultimo ha istituito un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni (sentenze della Corte 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag. 1339, punto 23; 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost, Racc. pag. 4199, punto 16, e 23 marzo 1993, causa C‑314/91, Weber/Parlamento, Racc. pag. I‑1093, punto 8; sentenza del Tribunale 2 ottobre 2001, cause riunite T‑222/99, T‑327/99 e T‑329/99, Martinez e a./Parlamento, Racc. pag. II‑2823, punto 48; v. anche parere della Corte 14 dicembre 1991, 1/91, Racc. pag. I‑6079, punto 21).

210   Come la Corte ha ripetutamente dichiarato (sentenza Johnston, punto 146 supra, punto 18; v., anche, sentenze della Corte 3 dicembre 1992, causa C‑97/91, Oleifici Borelli/Commissione, Racc. pag. I‑6313, punto 14; 11 gennaio 2001, causa C‑1/99, Kofisa Italia, Racc. pag. I‑207, punto 46; 27 novembre 2001, causa C‑424/99, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑9285, punto 45, e 25 luglio 2002, causa C‑50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I‑6677, punto 39), «[i]l sindacato giurisdizionale (…) costituisce espressione di un principio giuridico generale su cui sono basate le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri [(… ) e che] è stato del pari sancito dagli artt. 6 e 13 della [CEDU]».

211   Nella fattispecie, tale principio si esprime nel diritto che conferisce al ricorrente l’art. 230, quarto comma, CE di sottoporre al controllo del Tribunale la legittimità del regolamento impugnato, purché lo riguardi direttamente ed individualmente, e di dedurre a sostegno del suo ricorso qualsiasi motivo relativo all’incompetenza, alla violazione delle forme sostanziali, alla violazione del Trattato CE o di qualsiasi norma di diritto riguardante la sua applicazione, o a uno sviamento di potere.

212   La questione che si pone nella fattispecie è però quella di sapere se esistano limiti strutturali, imposti dal diritto internazionale generale o dal Trattato CE stesso, al sindacato giurisdizionale che il Tribunale ha il compito di esercitare su tale regolamento.

213   Occorre infatti ricordare che il regolamento impugnato, adottato alla luce della posizione comune 2002/402, costituisce l’attuazione, a livello comunitario, dell’obbligo che incombe agli Stati membri, in quanto membri dell’ONU, di dare esecuzione, eventualmente mediante un atto comunitario, alle sanzioni contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altri persone, gruppi, imprese ed entità associati, che sono state decise e poi inasprite da varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. I ‘considerando’ di tale regolamento fanno espresso riferimento alle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002).

214   Ciò premesso, come sostengono a giusto titolo le istituzioni, queste ultime hanno agito in base ad una competenza vincolata, sicché esse non disponevano di alcun margine di discrezionalità autonomo. In particolare, esse non potevano né modificare direttamente il contenuto delle risoluzioni di cui trattasi né prevedere un meccanismo che potesse dar luogo ad una modifica del genere.

215   Qualsiasi controllo della legittimità interna del regolamento impugnato, in particolare rispetto alle disposizioni o ai principi generali del diritto comunitario in materia di tutela dei diritti fondamentali, implicherebbe dunque la verifica da parte del Tribunale, in via incidentale, della legittimità delle dette risoluzioni. Nell’ipotesi in esame, infatti, la fonte dell’illegittimità fatta valere dal ricorrente non andrebbe ricercata nell’adozione del regolamento impugnato, ma nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che hanno decretato le sanzioni (v., per analogia, sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, punto 158 supra, punto 74).

216   In particolare, qualora il Tribunale, conformemente alla domanda del ricorrente, dovesse annullare il regolamento impugnato benché tale atto risulti essere imposto dal diritto internazionale, in ragione del fatto che esso viola i diritti fondamentali del ricorrente tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario, tale annullamento implicherebbe, indirettamente, che le risoluzioni stesse del Consiglio di Sicurezza di cui trattasi violano i detti diritti fondamentali. In altre parole, il ricorrente chiede al Tribunale di dichiarare implicitamente che la norma di diritto internazionale controversa pregiudica i diritti fondamentali della persona, tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario.

217   Le istituzioni e il Regno Unito invitano il Tribunale a declinare per principio qualunque competenza a procedere a un siffatto controllo indiretto della legittimità di tali risoluzioni che, in quanto norme di diritto internazionale vincolanti per gli Stati membri della Comunità, s’imporrebbero nei suoi confronti come nei confronti di tutte le istituzioni della Comunità. Tali parti ritengono, in sostanza, che il controllo del Tribunale dovrebbe limitarsi, da un lato, alla verifica del rispetto delle regole di forma, di procedura e di competenza che s’imponevano, nella fattispecie, alle istituzioni comunitarie e, dall’altro, alla verifica dell’adeguatezza e della proporzionalità dei provvedimenti comunitari controversi rispetto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che essi attuano.

218   Si deve riconoscere che una siffatta limitazione di competenze s’impone come corollario dei principi sopra esposti, nell’ambito dell’esame dei rapporti tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario.

219   Come già esposto, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse sono state adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. In tale contesto, la determinazione di ciò che costituisce una minaccia contro la pace e la sicurezza internazionale, nonché dei provvedimenti necessari a mantenerle o a ristabilirle, rientra nell’esclusiva responsabilità del Consiglio di Sicurezza e sfugge, in quanto tale, alla competenza delle autorità e dei giudici nazionali comunitari, fatto salvo unicamente il diritto naturale di legittima difesa, individuale o collettiva, di cui all’art. 51 della detta Carta.

220   Dal momento che, agendo in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza, tramite il suo comitato per le sanzioni, decide che i capitali di determinate persone o entità devono essere congelati, la sua decisione s’impone a tutti i membri delle Nazioni Unite, a norma dell’art. 48 della Carta.

221   Alla luce di quanto esposto ai precedenti punti 193‑204, l’affermazione di una competenza del Tribunale a controllare in via incidentale la legittimità di una decisione del genere in base allo standard di tutela dei diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico comunitario non può quindi giustificarsi né sulla base del diritto internazionale né sulla base del diritto comunitario.

222   Da un lato, una competenza del genere sarebbe incompatibile con gli impegni assunti dagli Stati membri in base alla Carta delle Nazioni Unite, in particolare ai suoi artt. 25, 48 e 103, nonché con l’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

223   Dall’altro, una tale competenza sarebbe contraria sia alle disposizioni del Trattato CE, in particolare agli artt. 5 CE, 10 CE, 297 CE e 307, primo comma, CE, sia a quelle del Trattato UE, in particolare all’art. 5 UE, ai sensi del quale il giudice comunitario esercita le proprie attribuzioni alle condizioni e ai fini previsti dalle disposizioni dei Trattati CE e UE. Essa sarebbe, inoltre, incompatibile con il principio secondo il quale le competenze della Comunità e, pertanto, quelle del Tribunale devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale (sentenze Poulsen e Diva Navigation, punto 158 supra, punto 9, e Racke, punto 158 supra, punto 45).

224   Occorre aggiungere che, alla luce in particolare dell’art. 307 CE e dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, il fatto che siano menomati i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario, o i principi di tale ordinamento, non può sminuire la validità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza né la sua efficacia nel territorio della Comunità (v., per analogia, sentenze della Corte 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft, Racc. pag. 1125, punto 3; 8 ottobre 1986, causa 234/85, Keller, Racc. pag. 2897, punto 7, e 17 ottobre 1989, cause riunite 97/87‑99/87, Dow Chemical Ibérica e a./Commissione, Racc. pag. 3165, punto 38).

225   Si deve dunque considerare che le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza si sottraggono in via di principio al sindacato giurisdizionale del Tribunale e che quest’ultimo non ha il potere di rimettere in causa, seppur in via incidentale, la loro legittimità alla luce del diritto comunitario. Al contrario, il Tribunale è tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo che sia compatibile con gli obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.

226   Il Tribunale ha tuttavia il potere di controllare, in via incidentale, la legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse alla luce dello ius cogens, inteso come un ordinamento pubblico internazionale che s’impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi dell’ONU, e al quale non è possibile derogare.

227   Bisogna rilevare, al riguardo, che la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che codifica il diritto internazionale consuetudinario (e il cui art. 5 dispone che essa si applica «a qualsiasi trattato che rappresenti l’atto costitutivo di un’organizzazione internazionale e a qualsiasi trattato adottato in seno ad una organizzazione internazionale»), prevede, al suo art. 53, la nullità dei trattati in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale (ius cogens), definita «una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da un’altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere». Del pari, l’art. 64 della Convenzione di Vienna dispone che, «[i]n caso di sopravvenienza di una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che sia in conflitto con tale norma è nullo e si estingue».

228   La Carta delle Nazioni Unite stessa presuppone del resto l’esistenza di principi imperativi di diritto internazionale e, in particolare, la tutela dei diritti fondamentali della persona umana. Nel preambolo della Carta, i popoli delle Nazioni Unite si sono infatti dichiarati risoluti a «riaffermare la [loro] fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana». Si evince inoltre dal primo capitolo della Carta, intitolato «Fini e principi», che le Nazioni Unite hanno tra l’altro lo scopo di incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

229   Tali principi s’impongono sia ai membri dell’ONU sia ai suoi organi. Infatti, a termini dell’art. 24, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza deve, nell’adempiere i suoi compiti inerenti alla responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, agire «in conformità ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite». I poteri sanzionatori che il Consiglio di Sicurezza possiede nell’esercizio di tale responsabilità devono quindi essere usati nel rispetto del diritto internazionale e, in particolare, dei fini e dei principi delle Nazioni Unite.

230   Il diritto internazionale consente così di considerare che esiste un limite al principio dell’effetto vincolante delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza: esse devono rispettare le norme imperative fondamentali dello ius cogens. In caso contrario, per quanto improbabile, esse non vincolerebbero gli Stati membri dell’ONU né, pertanto, la Comunità.

231   Il sindacato giurisdizionale incidentale esercitato dal Tribunale nell’ambito di un ricorso di annullamento di un atto comunitario adottato, senza esercizio di alcun margine discrezionale, allo scopo di attuare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza può dunque, in via del tutto eccezionale, estendersi alla verifica del rispetto delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo jus cogens e, in particolare, delle norme imperative che riguardano la tutela universale dei diritti dell’uomo, cui né gli Stati membri né le organizzazioni dell’ONU possono derogare, poiché esse costituiscono «principi inderogabili del diritto internazionale consuetudinario» (parere consultivo della Corte internazionale di giustizia 8 luglio 1996, Liceità della minaccia o dell’impiego di armi nucleari, Racc. 1996, pag. 226, punto 79; v. altresì, in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza Bosphorus, punto 189 supra, paragrafo 65).

232   È alla luce di tali considerazioni generali che occorre esaminare i motivi relativi alla violazione dei diritti fondamentali del ricorrente.

 Sulle asserite violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente

233   Il Tribunale decide di esaminare anzi tutto l’asserita violazione del diritto fondamentale al rispetto della proprietà e del principio di proporzionalità, poi l’asserita violazione del diritto di essere ascoltato e, infine, l’asserita violazione del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo. 

–       Sull’asserita violazione del diritto fondamentale al rispetto della proprietà e del principio di proporzionalità

234   Il ricorrente fa valere una violazione del diritto al rispetto della sua proprietà, garantito dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU, nonché una violazione del principio di proporzionalità, in quanto principio generale del diritto comunitario.

235   Tuttavia, poiché le pretese violazioni deriverebbero esclusivamente dal congelamento dei capitali del ricorrente, deciso dal Consiglio di Sicurezza tramite il suo comitato per le sanzioni e attuato nella Comunità dal regolamento impugnato senza esercizio di alcun potere discrezionale, in linea di massima è solo in base allo standard di tutela universale dei diritti fondamentali della persona umana che rientrano nello ius cogens che occorre esaminare le censure sollevate dal ricorrente, conformemente ai principi già definiti in precedenza.

236   Poiché la portata e l’intensità del congelamento dei capitali del ricorrente sono variate nel corso del tempo (v., in successione, l’art. 2 del regolamento n. 467/2001, l’art. 2 del regolamento n. 881/2002 nella sua versione originaria e, infine, l’art. 2 bis del regolamento impugnato, come inserito dall’art. 1 del regolamento n. 561/2003), occorre peraltro precisare che, nell’ambito del presente ricorso di annullamento, il sindacato giurisdizionale del Tribunale deve riguardare unicamente lo stato della normativa attualmente in vigore. Infatti, in sede di contenzioso di annullamento, il giudice comunitario tiene normalmente conto degli avvenimenti che incidono, in corso di causa, sull’oggetto stesso della controversia, quali l’abrogazione, la proroga, la sostituzione o la modifica dell’atto impugnato (v., oltre alle sentenze Alpha Steel/Commissione, Fabrique de fer de Charleroi e Dillinger Hüttenwerke/Commissione e CCRE/Commissione, punto 53 supra, l’ordinanza della Corte 8 marzo 1993, causa C‑123/92, Lezzi Pietro/Commissione, Racc. pag. I‑809, punti 8‑11). Tutte le parti si sono dichiarate d’accordo sul punto all’udienza.

237   Occorre dunque valutare se il congelamento dei capitali previsto dal regolamento impugnato, come modificato dal regolamento n. 561/2003 e, indirettamente, dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza attuate da tali regolamenti, violi i diritti fondamentali del ricorrente.

238   Secondo il Tribunale, non è questo il caso della presente fattispecie alla luce dello standard di tutela universale dei diritti fondamentali della persona umana appartenenti allo ius cogens.

239   A questo proposito occorre sottolineare anzitutto che il regolamento impugnato, nella versione modificata dal regolamento n. 561/2003, adottato in seguito alla risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza, prevede, tra altre deroghe ed esenzioni, che, su richiesta degli interessati, e salvo espressa opposizione del comitato per le sanzioni, le autorità nazionali competenti dichiarino che il congelamento dei capitali non si applica ai capitali necessari per coprire le spese di base, compresi i pagamenti relativi a generi alimentari, affitti o ipoteche, medicinali e cure mediche, imposte, premi assicurativi e servizi pubblici (v. supra, punto 36). Inoltre, i capitali necessari per coprire qualsiasi altra «spesa straordinaria» possono ormai essere scongelati mediante espressa autorizzazione del comitato per le sanzioni.

240   Le espresse possibilità di esenzioni e di deroghe che accompagnano il congelamento dei capitali delle persone iscritte nell’elenco del comitato per le sanzioni dimostrano chiaramente che tale misura non ha né lo scopo né l’effetto di assoggettare tali persone ad un trattamento disumano o degradante.

241   Inoltre, occorre rilevare che, sebbene l’art. 17, n. 1, della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, disponga che «[o]gni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri», l’art. 17, n. 2, della detta Dichiarazione universale precisa che «[n]essun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà».

242   Quindi, nei limiti in cui il rispetto del diritto alla proprietà privata debba essere considerato facente parte delle norme imperative del diritto internazionale generale, solo una privazione arbitraria di tale diritto potrebbe, in ogni caso, essere considerata contraria allo ius cogens.

243   Orbene, si deve constatare che il ricorrente non è stato arbitrariamente privato di tale diritto.

244   Infatti, in primo luogo, il congelamento dei loro capitali è un aspetto delle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza contro Osama bin Laden, la rete Al‑Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associati.

245   A questo proposito va sottolineata l’importanza della lotta contro il terrorismo internazionale e la legittimità di una tutela delle Nazioni Unite contro gli intrighi di organizzazioni terroristiche.

246   Nel preambolo della risoluzione 1390 (2002), il Consiglio di Sicurezza ha in particolare condannato categoricamente gli attacchi terroristici commessi l’11 settembre 2001, dichiarandosi determinato a prevenire qualsiasi atto di questo tipo; ha preso atto che Osama bin Laden e la rete Al-Qaeda proseguivano le loro attività di sostegno al terrorismo internazionale; ha condannato la rete Al Qaeda e i gruppi terroristici associati per gli innumerevoli atti terroristici criminali da essi commessi e allo scopo di uccidere molti civili innocenti e di distruggere beni e ha nuovamente riaffermato che gli atti di terrorismo internazionale costituivano una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

247   È alla luce di tali circostanze che riveste un’importanza significativa l’obiettivo perseguito delle sanzioni, che è segnatamente quello, ai sensi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 28 settembre 2001, 1373 (2001), cui rinvia il terzo ‘considerando’ del regolamento impugnato, di lottare con tutti i mezzi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale da parte di atti di terrorismo. Le misure di cui trattasi perseguirebbero quindi un obiettivo d’interesse generale fondamentale per la comunità internazionale.

248   In secondo luogo, il congelamento dei capitali è una misura cautelare che, a differenza di una confisca, non lede la sostanza stessa del diritto di proprietà degli interessati sulle loro disponibilità finanziarie, ma soltanto il relativo utilizzo.

249   In terzo luogo, le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza prevedono un meccanismo di riesame periodico del regime generale delle sanzioni (v. precedenti punti 16, 25 e 33 e successivo punto 266).

250   In quarto luogo, come sarà di seguito esposto, la normativa di cui trattasi predispone una procedura che consente agli interessati di sottoporre in qualsiasi momento il loro caso al comitato per le sanzioni ai fini di un riesame, attraverso l’intermediazione dello Stato membro di loro nazionalità o di loro residenza.

251   Tenuto conto di tali circostanze, il congelamento dei capitali delle persone ed entità sospettate, in base alle informazioni comunicate dagli Stati membri delle Nazioni Unite e controllate dal Consiglio di Sicurezza, di essere legate ad Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e di avere partecipato al finanziamento, alla pianificazione, alla preparazione o all’esecuzione di atti terroristici non può passare per una lesione arbitraria, inadeguata o sproporzionata dei diritti fondamentali degli interessati.

252   Discende da quanto precede che gli argomenti che il ricorrente trae dall’asserita violazione del diritto al rispetto della sua proprietà e del principio generale di proporzionalità devono essere respinti.

–       Sull’asserita violazione del diritto di essere ascoltati

253   Pur riconoscendo che la misura iniziale del congelamento dei suoi capitali non doveva essere previamente notificata prima di essere attuata, il ricorrente addebita al Consiglio di non avergli dato alcuna possibilità di essere ascoltato sui fatti, sulle circostanze e sugli elementi di prova a suo carico (v. precedenti punti 141‑143). Il ricorrente peraltro sembra anche addebitare alle stesse decisioni controverse del Consiglio di Sicurezza di non rispettare i diritti della difesa (v. precedente punto 150).

254   A tale proposito bisogna distinguere tra il preteso diritto del ricorrente di essere ascoltato dal Consiglio in relazione all’adozione del regolamento impugnato e il suo preteso diritto di essere ascoltato dal comitato per le sanzioni in relazione alla sua iscrizione nell’elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza.

255   Per quanto riguarda, in primo luogo, il preteso diritto del ricorrente di essere ascoltato dal Consiglio in relazione all’adozione del regolamento impugnato, bisogna rammentare che, secondo una costante giurisprudenza, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario che dev’essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma riguardante il procedimento di cui trattasi. Tale principio impone che i destinatari di una sanzione siano messi in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista (sentenze della Corte 29 giugno 1994, causa C‑135/92, Fiskano/Commissione, Racc. pag. I‑2885, punti 39 e 40; 24 ottobre 1996, causa C‑32/95 P, Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I‑5373, punto 21, e 21 settembre 2000, causa C‑462/98 P, Mediocurso/Commissione, Racc. pag. I‑7183,punto 36).

256   Il Consiglio e la Commissione tuttavia giustamente rilevano che tale giurisprudenza è stata elaborata in settori, come il diritto della concorrenza, della lotta antidumping e degli aiuti di Stato, ma anche il diritto disciplinare o la riduzione dei contributi finanziari, nei quali le istituzioni comunitarie dispongono di poteri d’indagine e istruttori estesi nonché di un ampio potere discrezionale.

257   Di fatto, secondo la giurisprudenza, il rispetto delle garanzie offerte dall’ordinamento giuridico comunitario, fra cui il diritto dell’interessato a far conoscere il proprio punto di vista, è correlato all’esercizio di un potere discrezionale dell’autorità che ha emanato l’atto controverso (sentenza della Corte 21 novembre 1991, causa C‑269/90, Technische Universität München, Racc. pag. I‑5469, punto 14).

258   Orbene, nella fattispecie, come si evince dalle osservazioni preliminari sul legame tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalla Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico comunitario precedentemente formulate, le istituzioni comunitarie erano tenute a recepire nell’ordinamento giuridico comunitario risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e decisioni del comitato per le sanzioni che non le autorizzavano in nessun modo, in fase di concreta attuazione, a prevedere un qualunque meccanismo comunitario di esame o di riesame delle sanzioni individuali, giacché sia la sostanza delle misure controverse sia i meccanismi di riesame (v. precedenti punti 262 e seguenti) erano interamente di competenza del Consiglio di Sicurezza e del suo comitato per le sanzioni. Di conseguenza, le istituzioni comunitarie non disponevano di alcun potere d’indagine, di alcuna possibilità di controllo dei fatti considerati dal Consiglio di Sicurezza e dal comitato per le sanzioni, di alcun margine di discrezionalità in relazione a tali fatti né di alcuna libertà discrezionale quanto all’opportunità di adottare sanzioni nei confronti del ricorrente. Il principio di diritto comunitario relativo al diritto al contraddittorio non si può applicare in circostanze del genere in cui un’audizione dell’interessato non potrebbe in nessun caso portare l’istituzione a rivedere la propria posizione.

259   Ne consegue che il Consiglio non era tenuto ad ascoltare il ricorrente circa il fatto che il suo nome continuava a figurare nell’elenco delle persone ed entità colpite dalle sanzioni, nel contesto dell’adozione e dell’attuazione del regolamento impugnato.

260   Gli argomenti che il ricorrente trae dalla pretesa violazione del suo diritto di essere ascoltato dal Consiglio in relazione all’adozione del regolamento impugnato devono pertanto essere respinti.

261   Per quanto concerne, in secondo luogo, il preteso diritto di essere ascoltato dal comitato per le sanzioni in relazione alla sua iscrizione nell’elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, è giocoforza constatare che un siffatto diritto non è previsto dalle risoluzioni di cui trattasi.

262   Bisogna nondimeno rilevare che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse, e i successivi regolamenti che hanno dato loro attuazione all’interno della Comunità, sebbene non prevedano un diritto di audizione individuale, instaurano un meccanismo di riesame delle situazioni individuali, prevedendo che gli interessati possano rivolgersi al comitato per le sanzioni, ricorrendo alle loro autorità nazionali, allo scopo di ottenere la propria cancellazione dall’elenco delle persone colpite dalle sanzioni oppure una deroga al congelamento dei capitali (v., in particolare, precedenti punti 20, 32 e 34-36).

263   Il comitato per le sanzioni è un organo ausiliario del Consiglio di Sicurezza, composto da rappresentanti degli Stati che sono membri del Consiglio di Sicurezza. Esso è diventato un importante organo permanente responsabile della supervisione quotidiana dell’applicazione delle sanzioni e può promuovere un’interpretazione e un’applicazione coerenti delle risoluzioni da parte della comunità internazionale (conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza Bosphorus, punto 189 supra, paragrafo 46).

264   Per quanto riguarda, in particolare, una richiesta di riesame di un caso individuale, al fine di ottenere la cancellazione dell’interessato dall’elenco delle persone colpite dalle sanzioni, le «direttive per la condotta dei lavori del [comitato delle sanzioni]», adottate il 7 novembre 2002 e emendate il 10 aprile 2003 (v. precedente punto 50), prevedono, al punto 7, quanto segue:

«a)      Fermi restando i procedimenti pendenti, un richiedente [persona, gruppo, impresa o entità incluso nell’elenco riepilogativo del comitato] può presentare al governo del paese di residenza o cittadinanza una richiesta di riesame del suo caso. A tal fine, il richiedente deve giustificare la sua domanda di cancellazione dall’elenco, fornire le informazioni pertinenti e chiedere un sostegno a tale richiesta.

b)      Il governo cui è presentata la richiesta (il “governo interpellato”) esamina tutte le informazioni pertinenti e contatta in forma bilaterale il governo o i governi che ha o hanno proposto l’iscrizione nell’elenco (il “governo o i governi proponenti”) per richiedere ulteriori informazioni e consultarsi sulla richiesta di cancellazione dall’elenco.

c)      Anche il governo o i governi che avevano originariamente chiesto l’iscrizione possono chiedere ulteriori informazioni al paese di residenza o di cittadinanza del richiedente. Il governo interpellato e il governo o i governi proponenti possono, all’occorrenza, consultare il presidente del comitato nel corso di tali consultazioni bilaterali.

d)      Qualora il governo interpellato, dopo aver esaminato le informazioni integrative, desideri accogliere una richiesta di cancellazione dall’elenco, deve cercare di convincere il governo o i governi proponenti a presentare al comitato, congiuntamente o separatamente, una richiesta di cancellazione. Il governo interpellato può presentare al comitato una richiesta di cancellazione non accompagnata da una richiesta del governo o dei governi proponenti, nell’ambito del procedimento di approvazione tacita.

e)      Il comitato adotta le sue decisioni all’unanimità. Qualora il comitato non raggiunga l’unanimità su una determinata questione, il presidente dà inizio a ulteriori consultazioni se, a suo giudizio, potranno facilitare l’accordo. Qualora, dopo tali consultazioni, non si raggiunga ancora l’unanimità, la questione può essere sottoposta al Consiglio di Sicurezza. Data la specificità dell’informazione, il presidente può incoraggiare gli scambi bilaterali tra gli Stati membri interessati al fine di chiarire la questione prima di adottare una decisione».

265   Il Tribunale constata che, adottando tali direttive, il Consiglio di Sicurezza ha voluto tener conto, per quanto possibile, dei diritti fondamentali delle persone incluse nell’elenco del comitato per le sanzioni e in particolare dei diritti della difesa.

266   L’importanza che il Consiglio di Sicurezza attribuisce al rispetto di tali diritti si evince d’altro canto chiaramente dalla sua risoluzione 30 gennaio 2004, 1526 (2004), che mira, da un lato, a perfezionare l’attuazione delle misure imposte al 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999), al paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000) e ai paragrafi 1 e 2 della risoluzione 1390 (2002) e, dall’altro, a rafforzare il mandato del comitato per le sanzioni. Ai sensi del paragrafo 18 della risoluzione 1526 (2004), il Consiglio di Sicurezza «incoraggia vivamente tutti gli Stati a comunicare, per quanto possibile, alle persone o entità incluse nell’elenco del [comitato per le sanzioni] le misure adottate [contro di loro], le direttive del [comitato per le sanzioni] e la risoluzione 1452 (2002)». Secondo il punto 3 della risoluzione 1526 (2004), tali misure saranno nuovamente perfezionate entro diciotto mesi, o prima se necessario.

267   Certamente la procedura sopra descritta non conferisce direttamente agli interessati stessi il diritto di farsi ascoltare dal comitato per le sanzioni, unica autorità competente a pronunciarsi, su richiesta di uno Stato, sul riesame dei loro casi, che dipendono quindi, essenzialmente, dalla tutela diplomatica che gli Stati accordano ai propri cittadini.

268   Una siffatta limitazione del diritto di essere direttamente e personalmente ascoltati dall’autorità competente non può tuttavia essere ritenuta inammissibile alla luce delle norme imperative dell’ordinamento pubblico internazionale. Al contrario, trattandosi di confutare il merito di decisioni che dispongono il congelamento dei capitali di individui o entità sospettati di contribuire al finanziamento del terrorismo internazionale, adottate dal Consiglio di Sicurezza tramite il suo comitato per le sanzioni, ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, in base ad informazioni comunicate dagli Stati e dalle organizzazioni regionali, è normale che il diritto degli interessati di essere ascoltati sia strutturato nell’ambito di un procedimento amministrativo a vari livelli in cui le autorità nazionali di cui all’allegato II del regolamento impugnato svolgono un ruolo essenziale.

269   Lo stesso diritto comunitario riconosce d’altro canto la legittimità di un’organizzazione procedurale di tal genere, in relazione a sanzioni economiche che riguardano privati (v., per analogia, ordinanza del presidente della Seconda Sezione del Tribunale 2 agosto 2000, causa T‑189/00 R, «Invest» Import und Export e Invest Commerce/Commissione, Racc. pag. II‑2993).

270   Va aggiunto che, come giustamente rilevato dal Regno Unito all’udienza, gli interessati hanno la possibilità di proporre un ricorso giurisdizionale fondato sul diritto interno, e persino direttamente sul regolamento impugnato e sulle risoluzioni pertinenti del Consiglio di Sicurezza da esso attuate, contro un eventuale rifiuto abusivo dell’autorità nazionale competente di sottoporre il loro caso al comitato per le sanzioni al fine di un riesame (v., per analogia, ordinanza del presidente del Tribunale 15 maggio 2003, causa T‑47/03 R, Sison/Consiglio, Racc. pag. II‑2047, punto 39).

271   Nella fattispecie, emerge dal fascicolo che il ricorrente si è rivolto, con lettera dei suoi avvocati in data 1° marzo 2002, al rappresentante permanente del Regno di Arabia saudita presso le Nazioni Unite per far valere i suoi diritti dinanzi al comitato per le sanzioni. Secondo quanto ulteriormente spiegato all’udienza, il ricorrente non avrebbe mai ottenuto risposta a tale lettera.

272   Tuttavia, tali circostanze non presentano alcun nesso con la Comunità e sono pertanto estranee alla presente controversia, che ha ad oggetto unicamente il controllo della legittimità del regolamento impugnato.

273   Resta, comunque, che la possibilità per il ricorrente di esprimersi utilmente circa la realtà e la pertinenza dei fatti che hanno condotto al congelamento dei suoi capitali e circa gli elementi di prova ritenuti a suo carico risulta categoricamente esclusa. Questi fatti ed elementi di prova, essendo classificati come riservati o segreti dallo Stato che li ha resi noti al comitato per le sanzioni, non gli vengono ovviamente comunicati, come non vengono peraltro comunicati agli Stati membri dell’ONU destinatari delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse.

274   In circostanze quali quelle della fattispecie, ove si controverte di una misura cautelare che limita la disponibilità dei beni del ricorrente, il Tribunale considera tuttavia che il rispetto dei diritti fondamentali dell’interessato non esige che i fatti e gli elementi di prova ritenuti a suo carico gli siano comunicati, dal momento che il Consiglio di Sicurezza o il suo comitato per le sanzioni ritengono che vi ostino motivi riguardanti la sicurezza della comunità internazionale.

275   Ne consegue che devono essere respinti gli argomenti che il ricorrente trae dall’asserita violazione del suo diritto di essere ascoltato dal comitato per le sanzioni in relazione alla sua inclusione nell’elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.

276   Discende da quanto precede che gli argomenti del ricorrente relativi all’asserita violazione del diritto di essere ascoltato devono essere respinti.

–       Sull’asserita violazione del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo

277   L’esame degli argomenti del ricorrente in relazione all’asserita violazione del suo diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo deve tener conto delle considerazioni di ordine generale già svolte nell’ambito preliminare della verifica della portata del controllo di legittimità, in particolare alla luce dei diritti fondamentali, che il Tribunale ha il compito di esercitare sugli atti comunitari che eseguono risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

278   Nella fattispecie, il ricorrente ha potuto proporre un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 230 CE.

279   Nell’ambito di tale ricorso, il Tribunale esercita un controllo completo sulla legittimità del regolamento impugnato per quanto attiene al rispetto, da parte delle istituzioni comunitarie, delle norme di competenza nonché delle norme di legittimità esterna e delle forme sostanziali imposte al loro operato.

280   Il Tribunale controlla parimenti la legittimità del regolamento impugnato alla luce delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che tale regolamento deve attuare, segnatamente sotto il profilo dell’adeguatezza formale e sostanziale, della coerenza interna e della proporzionalità del primo rispetto alle seconde.

281   Pronunciandosi a titolo di tale controllo, il Tribunale constata che non è messo in dubbio che il ricorrente sia effettivamente una delle persone fisiche incluse il 19 ottobre 2001 nell’elenco del comitato per le sanzioni (v. precedente punto 23).

282   Nell’ambito del ricorso di annullamento in esame, il Tribunale si è inoltre riconosciuto competente a controllare la legittimità del regolamento impugnato e, indirettamente, la legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di cui trattasi, alla luce delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo ius cogens, segnatamente delle norme imperative sulla tutela universale dei diritti della persona umana.

283   Per contro, come già fatto presente al precedente punto 225, non spetta al Tribunale controllare indirettamente la conformità delle stesse controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ai diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario.

284   Al Tribunale non spetta neanche verificare l’assenza di errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova che il Consiglio ha considerato a sostegno delle misure adottate né, fatto salvo l’ambito limitato definito al precedente punto 282, controllare indirettamente l’opportunità e la proporzionalità di tali misure. Un siffatto controllo non potrebbe essere esercitato senza sconfinare nelle prerogative del Consiglio di Sicurezza ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite in materia di determinazione, in primo luogo, di una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale e, in secondo luogo, delle misure adeguate per farvi fronte o rimediarvi. Del resto, sapere se un individuo o un’organizzazione rappresenti una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, così come sapere quali misure vadano prese nei confronti degli interessati per bloccare tale minaccia, implica una valutazione politica e giudizi di valore che, in via di principio, attengono alla competenza dell’autorità cui la comunità internazionale ha affidato la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

285   Si deve quindi constatare che, nei limiti appena esposti al precedente punto 284, il ricorrente non dispone di alcun rimedio giurisdizionale, poiché il Consiglio di Sicurezza non ha ritenuto opportuno individuare un giudice internazionale indipendente con il compito di decidere, in diritto e in fatto, dei ricorsi diretti contro le decisioni individuali adottate dal comitato per le sanzioni.

286   Tuttavia, va necessariamente riconosciuto del pari che una lacuna del genere nella tutela giurisdizionale del ricorrente non è di per sé contraria allo ius cogens.

287   A questo proposito il Tribunale rileva che il diritto di adire un giudice, il cui principio è riconosciuto sia dall’art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sia dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, non è assoluto. Da un lato, tale diritto può essere derogato in caso di pericolo pubblico eccezionale che minaccia l’esistenza della nazione, come previsto, a determinate condizioni, dall’art. 4, n. 1, del detto Patto. Dall’altro, anche al di fuori di queste circostanze eccezionali, talune restrizioni devono considerarsi inerenti a tale diritto, come le limitazioni che la comunità delle nazioni generalmente ammette rientrino nella dottrina dell’immunità degli Stati (v., al riguardo, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze 12 luglio 2001, Principe Hans-Adam II di Liechtenstein/Germania, Recueil des arrêts et décisions, 2001-VIII, punti 52, 55, 59 e 68, e 21 novembre 2001, McElhinney/Irlanda, Recueil des arrêts et décisions, 2001-XI, in particolare punti 34‑37) e delle organizzazioni internazionali (v., al riguardo, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 18 febbraio 1999, Waite e Kennedy/Germania, Recueil des arrêts et décisions, 1999‑I, punti 63 e 68‑73).

288   Nella fattispecie, il Tribunale considera che la limitazione del diritto del ricorrente di adire un giudice, derivante dall’immunità di giurisdizione di cui godono in via di principio, nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri delle Nazioni Unite, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite secondo i principi pertinenti del diritto internazionale (in particolare gli artt. 25 e 103 della Carta), è inerente a tale diritto, garantito dallo ius cogens.

289   Una siffatta limitazione è giustificata sia in base alla natura delle decisioni che il Consiglio di Sicurezza è portato ad adottare ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite sia in base allo scopo legittimo perseguito. Nelle circostanze del caso di specie, l’interesse del ricorrente a ottenere che un giudice esamini nel merito la sua causa non è sufficiente a prevalere sull’interesse generale fondamentale a che la pace e la sicurezza internazionale siano mantenute a fronte di una minaccia chiaramente identificata dal Consiglio di Sicurezza, conformemente alle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite. A questo proposito bisogna attribuire un’importanza significativa al fatto che, lungi dal prevedere misure dall’applicazione di durata illimitata o indeterminata, le risoluzioni via via adottate dal Consiglio di Sicurezza hanno sempre previsto un meccanismo di riesame dell’opportunità di mantenere tali misure dopo un lasso di tempo di 12 o 18 mesi al massimo (v. precedenti punti 16, 25, 33 e 266).

290   Infine, il Tribunale rileva che, in mancanza di un giudice internazionale competente a controllare la legittimità degli atti del Consiglio di Sicurezza, la costituzione di un organo quale il comitato per le sanzioni e la possibilità, prevista dai testi, di rivolgervisi in qualsiasi momento per riesaminare ogni caso individuale, attraverso un meccanismo formalizzato che coinvolge sia il «governo interpellato» sia il «governo proponente» (v. precedenti punti 263 e 264), rappresentano un altro ragionevole rimedio per tutelare adeguatamente i diritti fondamentali del ricorrente riconosciuti dallo ius cogens.

291   Discende da quanto precede che gli argomenti del ricorrente relativi all’asserita violazione del suo diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo devono essere respinti.

292   Poiché nessuno degli argomenti e dei motivi del ricorrente è stato accolto, il ricorso dev’essere respinto.

 Sulle spese

293   Ai termini dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 87, n. 4, primo comma, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Ai sensi dell’art. 87, n. 6, in caso di non luogo a provvedere, il Tribunale decide sulle spese in via equitativa.

294   Considerate le circostanze della fattispecie e le conclusioni delle parti, si procederà ad una corretta applicazione di tali disposizioni decidendo che il ricorrente sopporterà, oltre alle proprie, le spese del Consiglio nonché quelle sostenute dalla Commissione fino al 1° luglio 2002. Il Regno Unito e la Commissione, quest’ultima per quel che riguarda il periodo successivo al 1° luglio 2002, sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Non occorre decidere sulla domanda di annullamento parziale del regolamento (CE) del Consiglio 6 marzo 2001, n. 467, che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell’Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000, e del regolamento (CE) della Commissione 19 ottobre 2001, n. 2062, che modifica per la terza volta il regolamento n. 467/200.

2)      Il ricorso è respinto nella parte in cui è diretto contro il regolamento (CEE) del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001.

3)      Il ricorrente è condannato a sopportare, oltre alle proprie, le spese del Consiglio nonché quelle sostenute dalla Commissione sino al 1° luglio 2002.

4)      Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Commissione, quest’ultima per quel che riguarda il periodo successivo al 1° luglio 2002, sopporteranno le proprie spese.

Forwood

Pirrung

Mengozzi

Meij

 

      Vilaras

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 21 settembre 2005.

Il cancelliere

 

      Il presidente

H. Jung

 

       J. Pirrung

Indice


Contesto normativo

Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

Sulle conseguenze procedurali dell’adozione del regolamento impugnato

Nel merito

1. Considérazioni preliminari

2. Sul motivo relativo all’incompetenza del Consiglio ad adottare il regolamento impugnato

Quesiti del Tribunale e risposte delle parti

Giudizio del Tribunale

3. Sui tre motivi relativi alla violazione dei diritti fondamentali del ricorrente

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Osservazioni preliminari

Sul legame tra l’ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l’ordinamento giuridico nazionale o comunitario

Sulla portata del controllo di legittimità il cui esercizio spetta al Tribunale

Sulle asserite violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente

– Sull’asserita violazione del diritto fondamentale al rispetto della proprietà e del principio di proporzionalità

– Sull’asserita violazione del diritto di essere ascoltati

– Sull’asserita violazione del diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.