61998C0260

Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 27 gennaio 2000. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica ellenica. - Inadempimento - Art. 4, n. 5, della sesta direttiva IVA - Messa a disposizione di strade contro pagamento di un pedaggio - Non assoggettamento all'IVA - Regolamenti (CEE, Euratom) nn. 1552/89 e 1553/89 - Risorse proprie provenienti dall'IVA. - Causa C-260/98.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-06537


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1. Il presente ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione è diretto a far dichiarare che la Repubblica ellenica, non avendo assoggettato all'IVA i pedaggi riscossi per l'utilizzo di strade e non avendo effettuato quindi alcun versamento corrispondente a titolo di risorse proprie maggiorato di interessi, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CE .

2. Nella Repubblica ellenica può essere riscosso un pedaggio per l'utilizzo di strade o autostrade al fine di migliorare, snellire o agevolare le condizioni della circolazione, la costruzione di nuove strade e la manutenzione di strade esistenti. Le risorse così riscosse confluiscono direttamente nel fondo nazionale per la costruzione di strade, un organismo di diritto pubblico. Il pedaggio non viene perciò assoggettato all'IVA poiché la sua riscossione - così sostiene il governo ellenico - è riconducibile all'esercizio di pubblici poteri.

II - Procedimento precontenzioso

3. Con lettera del 12 agosto 1987 la Commissione invitava le autorità elleniche ad adeguare alla disposizione di cui all'art. 2 della sesta direttiva IVA le normative nazionali vigenti in materia di riscossione di pedaggi.

4. Il 20 aprile 1988 la Commissione trasmetteva una lettera di diffida con cui metteva al corrente le autorità elleniche del fatto che la riscossione di pedaggi per l'utilizzo di autostrade costituiva un'attività economica, rientrante nel campo di applicazione della sesta direttiva IVA. Non avendo assoggettato i pedaggi ad IVA, le autorità elleniche avrebbero violato tale direttiva.

5. Nella risposta del 4 luglio 1988 il governo ellenico sosteneva che il pedaggio era un'imposta indiretta, la cui riscossione era effettuata da un organismo pubblico nell'esercizio dei pubblici poteri, il che non rientrerebbe nel campo di applicazione della sesta direttiva IVA.

6. Con lettera dell'8 agosto 1989 la Commissione trasmetteva al governo ellenico il relativo parere motivato.

7. Con risposta del 21 novembre 1989 il governo ellenico deduceva nuovamente gli argomenti contenuti nella lettera del 4 luglio 1988.

8. Per quanto riguarda la questione delle risorse proprie, il Direttore generale per le questioni di bilancio della Commissione segnalava al governo ellenico con lettera del 24 ottobre 1989 il fatto che l'asserita violazione della sesta direttiva IVA avrebbe comportato una riduzione ingiustificata dei contributi alle risorse proprie e chiedeva pertanto di calcolare gli importi dovuti relativi agli esercizi 1987-1989 e di versarli alla Commissione maggiorati degli interessi moratori a partire dal 31 gennaio 1990. Per gli anni successivi i relativi importi dovevano essere versati entro una determinata scadenza sotto pena di interessi moratori.

9. Con lettera del 31 gennaio 1990 le autorità elleniche si rifiutavano di integrare i contributi facendo riferimento agli argomenti già addotti in precedenza nella risposta al parere motivato relativo alla violazione della sesta direttiva IVA.

10. Con lettera di diffida del 21 giugno 1990 la Commissione avviava il procedimento per inadempimento anche riguardo a tale punto.

11. In mancanza di ulteriore risposta, la Commissione trasmetteva con lettera del 6 maggio 1992 un parere motivato e invitava il governo ellenico ad adeguarvisi entro il termine in esso indicato.

12. Con lettera del 10 settembre 1992 il governo ellenico respingeva tale richiesta.

13. La Commissione ha pertanto proposto ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE (divenuto art. 226 CE) il presente ricorso, pervenuto alla cancelleria della Corte il 16 luglio 1998, chiedendo che la Corte voglia:

1) dichiarare che la Repubblica ellenica, non avendo assoggettato ad IVA, contrariamente a quanto stabilito dagli artt. 2 e 4 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, i pedaggi stradali pagati dagli utenti come corrispettivo per la fornitura di una prestazione di servizi consistente nel mettere a disposizione autostrade ed altre infrastrutture stradali, ed essendosi sottratta inoltre, in questo modo, al versamento dei contributi alle risorse proprie e degli interessi dovuti (regolamenti nn. 1552/89 e 1553/89), è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato che istituisce la Comunità europea;

2) condannare la Repubblica ellenica a versare alla Commissione le risorse proprie non versate a partire dal 1987, maggiorate di interessi moratori;

3) condannare la Repubblica ellenica alle spese.

14. Il governo ellenico chiede che la Corte voglia:

1) respingere il ricorso;

2) condannare la Commissione alle spese.

III - Contesto normativo

1. Sulla riscossione dell'imposta sul valore aggiunto

Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la «direttiva»)

15. L'art. 2 della direttiva stabilisce quanto segue:

«Sono soggette all'imposta sul valore aggiunto:

1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

(...)».

16. L'art. 4, nn. 1, 2 e 5, della direttiva così recita:

«1. Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.

2. Le attività economiche di cui al paragrafo 1 sono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate. Si considera in particolare attività economica un'operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità.

(...)

5. Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni.

Se però tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza.

In ogni caso, gli enti succitati sono sempre considerati come soggetti passivi per quanto riguarda le attività elencate nell'allegato D quando esse non sono trascurabili.

Gli Stati membri possono considerare come attività della pubblica amministrazione le attività dei suddetti enti le quali siano esenti a norma de[ll']articol[o] 13 (...)».

2. Sulle risorse proprie

a) Regolamento (CEE, Euratom) del Consiglio 29 maggio 1989, n. 1553, concernente il regime uniforme definitivo di riscossione delle risorse proprie provenienti dall'imposta sul valore aggiunto

17. L'art. 1 così recita:

«Le risorse IVA provengono dall'applicazione dell'aliquota uniforme, fissata conformemente alla decisione 88/376/CEE, Euratom, alla base determinata conformemente al presente regolamento».

18. L'art. 2, n. 1, stabilisce quanto segue:

«La base delle risorse IVA è determinata prendendo in considerazione le operazioni imponibili di cui all'articolo 2 della direttiva 77/388/CEE (...), ad esclusione delle operazioni esentate a norma degli articoli da 13 a 16 di detta direttiva».

b) Regolamento (CEE, Euratom) del Consiglio 29 maggio 1989, n. 1552, recante applicazione della decisione 88/376/CEE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità

19. L'art. 11 dispone quanto segue:

«Ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all'articolo 9, paragrafo 1 dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di un interesse il cui tasso è pari al tasso di interesse applicato il giorno della scadenza sul mercato monetario dello Stato membro interessato per i finanziamenti a breve termine, maggiorato di 2 punti. Tale tasso è aumentato di 0,25 punti per ogni mese di ritardo. Il tasso così aumentato è applicabile a tutto il periodo del ritardo».

c) Decisione del Consiglio 24 giugno 1988, 88/376/CEE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità

20. In conformità di tale decisione, gli importi di risorse proprie provenienti dall'IVA mancanti vengono compensati nel quadro del finanziamento complementare mediante risorse proprie provenienti dal PNL, con la conseguenza che si verifica una ridistribuzione dell'onere finanziario a carico degli altri Stati membri.

IV - Argomenti delle parti

21. La Commissione ritiene che la messa a disposizione dell'infrastruttura dietro pagamento di un pedaggio costituisca un'attività economica ai sensi degli artt. 2 e 4 della sesta direttiva IVA. Anche se tale attività viene esercitata da organismi pubblici, ciò non significa che i prestatori di servizi siano esenti da IVA, poiché si tratta di una prestazione da assoggettare all'IVA resa da un soggetto passivo. Si potrebbe parlare di un'eccezione all'obbligo di assoggettamento solo se le attività in questione fossero esercitate in veste di pubblica autorità ai sensi dell'art. 4, n. 5.

22. Si configurerebbe un'attività economica, poiché - considerando l'attività dal punto di vista oggettivo e tenuto conto della realtà economica - agli utenti della strada viene fornita a titolo oneroso una prestazione di servizi per il trasporto di merci e persone. Poiché esiste un nesso con la vita economica, tale operazione rientra nel campo di applicazione della sesta direttiva IVA. A questo proposito la qualificazione giuridica dell'attività in conformità del diritto nazionale non è determinante, in quanto occorre garantire in particolare un'applicazione uniforme del sistema di imposta sul valore aggiunto.

23. Perché non trovi applicazione la normativa in materia di IVA sulla base di un possibile esercizio di pubblici poteri nel caso di specie, la Commissione sostiene che sia la nozione di «attività economica» sia quella di «pubblica amministrazione» vanno definite in modo oggettivo e uniforme.

24. La Commissione presuppone inoltre che gli organismi pubblici siano esenti da IVA non in via di principio, bensì soltanto per le attività esercitate in veste di pubblica autorità. Anche in questo caso occorre optare per una nozione restrittiva, comprendente cioè i compiti che, per loro natura, non possono essere svolti da privati. Poiché, anche in tal caso, un'esenzione dall'imposta potrebbe valere solo se non si configurano distorsioni di concorrenza di una certa importanza, è manifesta la volontà del legislatore di estendere il sistema dell'IVA nel modo più generale possibile.

25. Secondo la Commissione, la messa a disposizione dell'infrastruttura stradale è equiparabile all'erogazione ai cittadini di gas, acqua ed energia elettrica. Tali attività vanno incontestabilmente assoggettate ad IVA e non sussiste alcuna eccezione.

26. Nel caso di specie il pedaggio pagato costituirebbe il diretto corrispettivo versato dall'utente della strada per la messa a disposizione dell'infrastruttura. L'entità del pedaggio da versare varierebbe a seconda della distanza e del tipo di veicolo.

27. Qualora il pedaggio non venga assoggettato ad IVA, come nel caso della Repubblica ellenica, gli operatori economici di altri Stati membri sarebbero svantaggiati, poiché non potrebbero godere di una detrazione a monte per il pedaggio versato.

28. Riguardo alla questione delle risorse proprie la Commissione ritiene che la mancata riscossione dell'IVA comprometta l'equilibrio del sistema comune di IVA nonché il sistema dei contributi versati dagli Stati membri alle risorse proprie delle Comunità.

29. Il governo ellenico replica alle censure sollevate dalla Commissione adducendo in primo luogo che il ricorso non si fonda sulla base giuridica corretta. Le disposizioni della sesta direttiva IVA, in particolare gli artt. 2 e 4, non rappresenterebbero norme precise, assolute e vincolanti sulle quali basare un procedimento per inadempimento.

30. Poiché l'allegato D, in conformità dell'art. 4, n. 5, terzo comma, non menziona la riscossione di pedaggi per la messa a disposizione di un'infrastruttura, il che comporterebbe un obbligo di assoggettamento all'imposta, la volontà del legislatore sarebbe stata di esentare tale attività dall'IVA.

31. Secondo il diritto ellenico è possibile riscuotere un pedaggio al fine di migliorare, snellire o agevolare le condizioni della circolazione, la costruzione di nuove strade e la manutenzione di strade esistenti.

32. Il pedaggio riscosso confluisce direttamente nel fondo nazionale per la costruzione di strade, un organismo di diritto pubblico. Ciò significa che tale pedaggio costituisce una voce del bilancio statale. Sulla base di tali caratteristiche il pedaggio costituirebbe un'imposta indiretta , la cui riscossione avviene nell'esercizio di pubblici poteri. Nel caso di specie sarebbe quindi applicabile l'art. 4, n. 5.

33. Peraltro, secondo il governo ellenico, non si configurerebbe un'attività economica ai sensi degli artt. 2 e 4 della sesta direttiva IVA anche perché il pedaggio non costituisce il corrispettivo per le prestazioni rese all'utente.

34. Inoltre, la messa a disposizione dell'infrastruttura avviene nell'esercizio di pubblici poteri e può essere disciplinata solo secondo il relativo diritto nazionale. Nel caso di specie si sarebbe in presenza di un'imposta indiretta , come emerge dalla natura del pedaggio, dal suo scopo, dalla sua funzione e dal nesso diretto con il bilancio statale e con il diritto pubblico nazionale applicabile.

35. Nella Repubblica ellenica il fondo nazionale per la costruzione di strade agisce solo secondo il diritto pubblico e quindi in veste di pubblica autorità. Non lo si potrebbe pertanto collocare al livello della vita economica nazionale. La riscossione del pedaggio verrebbe svolta in virtù di poteri d'imperio dello Stato, avrebbe carattere obbligatorio, comporterebbe l'esercizio di poteri che vanno al di là del diritto comune e si baserebbe sul carattere di monopolio legale di tale attività.

V - Analisi

1. Riscossione dell'IVA sui pedaggi

36. Seguendo la struttura della direttiva occorre anzitutto esaminare se si configuri una prestazione soggetta ad IVA ai sensi dell'art. 2 della sesta direttiva IVA. Dovrebbe trattarsi di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso. Si deve quindi accertare se una siffatta prestazione sia fornita da un soggetto passivo e, in caso affermativo, se si tratti di un'attività economica.

a) Prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso

37. Nel caso di specie la prestazione di servizi consiste nella messa a disposizione dell'infrastruttura.

38. Tale prestazione di servizi viene inoltre effettuata a titolo oneroso, vale a dire in cambio del pedaggio riscosso. La Corte ha già risolto la questione se una prestazione di servizi sia effettuata a titolo oneroso statuendo che, perché una prestazione di servizi possa essere considerata come imponibile, vi deve essere un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto .

39. Tale nesso diretto consiste nel fatto che per l'utilizzo dell'infrastruttura viene pagato un pedaggio, la cui entità dipende a sua volta dalla categoria dell'autoveicolo e dalla lunghezza del tragitto.

40. Il pedaggio non è neanche un'imposta, perché quest'ultima è una prestazione pecuniaria che non costituisce una contropartita per una determinata prestazione e viene applicata da un ente di diritto pubblico allo scopo di ottenere entrate nei confronti di tutti coloro che rientrano nella fattispecie a cui la legge collega l'obbligo di prestazione. Tuttavia, poiché nel caso di specie viene fornita una controprestazione concreta sotto forma della messa a disposizione di determinate parti dell'infrastruttura stradale, si tratta di un tributo che va considerato come corrispettivo di una prestazione di servizi.

41. Di conseguenza, si configura una prestazione soggetta ad IVA ai sensi dell'art. 2 della sesta direttiva IVA.

b) Soggetti passivi

42. Ai sensi dell'art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva, si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente un'attività economica, cioè una qualsiasi attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi.

43. Ai sensi dell'art. 4, n. 5, primo comma, della direttiva, gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono però considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono canoni, contributi o retribuzioni.

aa) Attività rientrante nelle prerogative della pubblica autorità

44. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che, affinché un ente pubblico non sia assoggettato ad imposta, devono essere congiuntamente soddisfatte due condizioni, vale a dire l'esercizio di attività da parte di un ente pubblico e l'esercizio di attività in veste di pubblica autorità .

45. Ciò significa, da un lato, che gli enti di diritto pubblico non sono automaticamente esentati per tutte le attività ch'essi svolgono, ma solo per quelle che rientrano nella loro missione specifica di pubblica autorità e, dall'altro, che l'attività svolta da un privato non è esentata dall'IVA per il solo fatto ch'essa consiste nel compimento di atti che rientrano nelle prerogative della pubblica autorità .

46. Nella definizione di compimento di attività in veste di pubblica autorità non si può prescindere dall'oggetto o dalla finalità dell'attività svolta dall'organismo pubblico. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che le modalità di esercizio delle attività consentono di determinare la portata del mancato assoggettamento degli enti pubblici .

47. La Corte ha pertanto statuito che gli enti di diritto pubblico di cui all'art. 4, n. 5, primo comma, della sesta direttiva esercitano attività in quanto pubbliche autorità qualora ciò avvenga nell'ambito del regime giuridico loro proprio . Quando invece essi agiscono in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati, non si può ritenere che svolgano attività in quanto pubbliche autorità.

48. Poiché, in conformità dell'art. 6, n. 1, della sesta direttiva IVA, si considerano imponibili anche attività rese a norma di legge, è evidente che la mera appartenenza di un'attività al settore del diritto pubblico non è sufficiente a soddisfare le condizioni di esenzione di cui all'art. 4, n. 5, primo comma. Poiché tale disposizione costituisce una deroga alla definizione di soggetto passivo, essa va interpretata in modo restrittivo. Si possono pertanto considerare suscettibili di esenzione dall'IVA soltanto quelle attività dei pubblici poteri che rientrano nel nucleo fondamentale delle prerogative della pubblica autorità. Tale interpretazione è confermata anche dall'art. 4, n. 5, terzo comma, che rimanda alle attività elencate nell'allegato D - v. supra, paragrafo 21 - il quale include anche gli organismi di diritto pubblico nei soggetti passivi.

49. La progettazione e la costruzione di strade, ponti e gallerie rientrano nell'esercizio di poteri sovrani, riservato alle pubbliche autorità. Tali attività riguardano una parte essenziale e quindi un nucleo fondamentale dei compiti pubblici, tanto da poter essere considerate come misure di interesse generale. Si deve quindi presumere che, quando lo Stato interviene in questo settore, agisca in veste di pubblica autorità.

50. E' vero che la messa a disposizione di strade non è esplicitamente classificata - come l'erogazione di gas, energia elettrica e acqua di cui all'allegato D - come attività assoggettabile all'IVA. In effetti, la messa a disposizione gratuita di infrastrutture stradali va considerata un'attività rientrante nelle prerogative della pubblica autorità. Si può sostenere che, per contro, la rete stradale, realizzata dalle pubbliche autorità utilizzando risorse provenienti dalle imposte, possa anche essere interamente gestita da privati dietro pagamento di un pedaggio richiesto a tutti. In ogni caso la concessione d'uso selettiva - in quanto a pagamento - di un tratto limitato non può essere considerata come un'attività che rientra nell'esercizio della pubblica amministrazione. La riscossione di un pedaggio è infatti possibile anche nell'ambito di un atto rientrante nelle prerogative della pubblica autorità e non giustifica di per sé alcun obbligo di assoggettamento all'imposta, come stabilisce espressamente l'art. 4, n. 5, primo comma. Occorre tuttavia considerare che nel caso di specie l'utente può scegliere se utilizzare l'infrastruttura stradale a pagamento o a titolo gratuito. Nella messa a disposizione gratuita della rete stradale si esaurisce in ogni caso l'atto rientrante nelle prerogative della pubblica autorità, mentre la possibilità offerta di utilizzare tragitti supplementari pagando un pedaggio va classificata come un'attività puramente privata. Chi necessita di una concessione edilizia non ha alcuna possibilità di scelta e deve pagare la relativa tassa. Chi porta a termine un corso di laurea, per cui si devono pagare tributi, non ha alcuna possibilità di eludere tale obbligo per raggiungere lo stesso obiettivo, cioè il concreto compimento degli studi. Nel caso di specie l'utente può tuttavia scegliere tra due possibilità - anche se l'una maggiormente complicata o lenta - per ottenere lo stesso risultato. La rete stradale soggetta a pedaggio viene messa a disposizione di tutti coloro che sono disposti a pagare, ma solo di questi. Ciò rivela un carattere selettivo estraneo all'agire sovrano. Sono soprattutto motivi economico-finanziari che conducono alla riscossione del pedaggio. La messa a disposizione di un tragitto limitato dietro pagamento di un pedaggio non può perciò essere considerata come un'attività sovrana della pubblica amministrazione.

51. Nel caso di specie è pertanto fuori questione un'applicazione della disposizione di cui all'art. 4, n. 5, primo comma, poiché la messa a disposizione dell'infrastruttura dietro pagamento di un pedaggio non può essere considerata come attività esercitata in veste di pubblica autorità. Gli organismi competenti della riscossione del pedaggio vanno pertanto considerati soggetti passivi.

bb) Attività economica

52. Ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva, come già detto, si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente un'attività economica.

53. L'art. 4, n. 2, della sesta direttiva IVA definisce come attività economiche «tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi».

54. Da una costante giurisprudenza della Corte emerge che la nozione di attività economica comprende una sfera d'applicazione molto vasta e che si tratta di una nozione oggettivamente definita, in quanto qualsiasi operazione viene considerata in sé, a prescindere dalle finalità o dai risultati di questa attività .

55. Considerando una così ampia nozione di attività economica si può concludere che le prestazioni di servizi non devono necessariamente essere orientate soprattutto o in modo esclusivo verso il mercato o l'economia; è quindi sufficiente ch'esse abbiano di fatto un certo rapporto con la vita economica .

56. Anche se nel caso di specie la messa a disposizione dell'infrastruttura stradale dietro pagamento di un pedaggio si conforma al diritto pubblico e le autostrade soggette a pedaggio appartengono alla rete stradale pubblica, ciò è irrilevante ai fini dell'esame della questione se si configuri un'attività economica. Ai sensi dell'art. 6, n. 1, della sesta direttiva IVA prestazioni di servizi soggette ad imposta possono consistere tra l'altro nell'esecuzione di un servizio reso a nome della pubblica amministrazione o a norma di legge. Nel caso di specie anche il carattere oggettivo della nozione di attività economica fa propendere per una qualificazione come attività economica, in quanto si tratta dell'attività in sé, a prescindere dalle finalità o dai risultati di questa.

57. La presa in considerazione della realtà economica costituisce un criterio fondamentale per l'applicazione del sistema comune dell'IVA . Nella fattispecie ciò significa che determinate parti dell'infrastruttura stradale sono state messe a disposizione degli utenti dietro pagamento di un tributo sotto forma di pedaggio. Di conseguenza, poiché tale attività viene svolta dai rispettivi organismi anche per ricavarne introiti al fine di provvedere alle proprie spese materiali e al tempo stesso al proprio reddito, emerge che nel caso in esame si configura un'attività economica.

c) (In subordine) Sulla questione delle distorsioni della concorrenza

58. Ai sensi dell'art. 4, n. 5, secondo comma, gli Stati, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza. Sulla base delle osservazioni che precedono, questa ipotesi non dovrebbe essere esaminata, poiché nella fattispecie si tratta di un'attività che non viene svolta nell'ambito di poteri sovrani. Procedo quindi a questo esame solo in subordine.

59. Una distorsione di concorrenza in tal senso sussisterebbe se l'organismo statale non assoggettato all'IVA fosse in concorrenza per una stessa attività con un privato soggetto passivo e potesse pertanto offrire la propria prestazione di servizi ad un costo inferiore in forza dell'esenzione. La messa a disposizione di un'infrastruttura stradale del tipo in questione non comporta tuttavia un regime di pluralità di operatori ai sensi del diritto privato, cosicché non può configurarsi alcuna situazione di concorrenza.

60. Gli esempi di distorsioni di concorrenza citati dalla Commissione non sono convincenti nel caso di specie. Da un lato, il campo di applicazione della direttiva - secondo quanto risulta da numerose disposizioni - è limitato agli atti interni. Nel caso di specie non è ravvisabile una violazione dell'obbligo di parità di trattamento rispetto a cittadini nazionali. D'altro lato, i casi di distorsione menzionati - innanzi tutto l'impossibilità della detrazione a monte ovvero la deduzione delle spese - non riguardano il mancato assoggettamento ovvero l'obbligo di imposizione, bensì la scorretta applicazione del diritto. Dopo il chiarimento alla luce della giurisprudenza gli Stati membri riscuoteranno senz'altro l'IVA con le stesse modalità (lo stesso vale per il versamento alle risorse proprie). Del resto, qualora si seguisse l'osservazione della Commissione, si rileverebbero distorsioni di concorrenza soprattutto nei confronti dei paesi in cui non si riscuotono affatto pedaggi stradali.

61. Di conseguenza non sussistono distorsioni di concorrenza ai sensi dell'art. 4, n. 5, secondo comma, che motiverebbero un trattamento come soggetti passivi. Tuttavia, come illustrato supra, ai paragrafi 36-56, ciò è irrilevante. Nel caso di specie si configura un'attività da assoggettare all'IVA, poiché la riscossione del pedaggio non è un atto rientrante nelle prerogative della pubblica autorità.

d) Conclusione intermedia

62. Si deve quindi concludere che la Repubblica ellenica, non avendo assoggettato all'IVA sul valore i pedaggi autostradali, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato.

2. Risorse proprie

63. Per quanto riguarda tale punto la Commissione chiede che la Corte voglia condannare la Repubblica ellenica al versamento dei contributi alle risorse proprie non versati a partire dal 1987, comprensivi di interessi moratori. Tuttavia, poiché si tratta di un'azione di accertamento nell'ambito del procedimento per inadempimento, la Corte non può statuire che vengano adottate, annullate o modificate determinate misure, bensì solo accertare che lo Stato membro convenuto è venuto meno ad uno o più obblighi che gli incombono in forza del diritto comunitario. Nel caso di specie lo scopo del ricorso della Commissione, che deve essere valutato tenendo conto delle domande e della motivazione, è volto innanzitutto ad accertare che il pedaggio autostradale non veniva assoggettato ad IVA, in contrasto con quanto stabilito dal Trattato, con il conseguente mancato versamento dei relativi contributi alle risorse proprie. La domanda della Commissione va pertanto interpretata nel senso che riguarda la conseguenza dell'accertamento di un inadempimento, cosicché la Corte può accertare anche in questo caso un'infrazione, sempre che inadempimento vi sia.

64. Ai sensi dell'art. 2, n. 1, del regolamento n. 1553/89 la base delle risorse IVA è determinata prendendo in considerazione le operazioni imponibili di cui all'art. 2 della sesta direttiva IVA. I contributi alle risorse proprie provengono quindi dall'applicazione a tale base dell'aliquota uniforme fissata.

65. Poiché nel caso di specie sono state fornite prestazioni da soggetti passivi, il pedaggio avrebbe dovuto essere assoggettato all'IVA. Siccome tuttavia ciò non è avvenuto, i relativi importi non hanno potuto essere considerati per la determinazione della base delle risorse IVA.

66. Di conseguenza, sussiste una violazione delle disposizioni comunitarie in materia di riscossione delle risorse proprie provenienti dall'IVA. Al riguardo è irrilevante che il ricalcolo dei contributi alle risorse proprie potesse portare ad un risultato sfavorevole per le Comunità. Secondo le disposizioni comunitarie vigenti è unicamente rilevante anzitutto che tali risorse proprie siano determinate sulla base corretta e che si accertino le corrispondenti pretese (dello Stato membro) nei confronti del soggetto passivo. Lo Stato membro ha pertanto l'obbligo di effettuare i calcoli necessari, di comunicare il risultato alla Commissione e, corrispondentemente, di versare le risorse dovute.

67. Il diritto agli interessi rivendicato emerge dall'art. 11 del regolamento n. 1552/89, secondo cui ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto dei contributi alle risorse proprie dà luogo al pagamento di un interesse. Al riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte, è irrilevante la ragione del ritardo di tale iscrizione .

3. Limitazione temporale degli effetti della sentenza

68. Dopo aver accertato che la Repubblica ellenica è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CE, occorre stabilire se la Commissione sia autorizzata a far valere i relativi diritti nei confronti della Repubblica ellenica per l'intero periodo in questione.

69. Il procedimento per inadempimento è anzitutto caratterizzato dal fatto che, nel caso in cui il ricorso sia fondato, lo Stato membro deve adottare tutte le misure necessarie a far cessare la violazione. Infatti, poiché si tratta di una sentenza di accertamento, la Corte non può ordinare allo Stato convenuto di porre fine alla violazione o di annullare ovvero modificare le misure impugnate.

70. La Corte non è quindi autorizzata a condannare formalmente la Repubblica ellenica a far venir meno la situazione illegale relativa alla riscossione dell'IVA. Nell'ambito del procedimento per inadempimento la Corte può tuttavia esaminare in dettaglio l'obbligo della Repubblica ellenica di porre fine alla situazione non conforme al Trattato.

71. Occorre pertanto esaminare in che cosa consista, concretamente, l'obbligo della Repubblica ellenica di porre fine alla violazione del Trattato e l'incidenza della lunga durata del procedimento.

72. Poiché ai sensi degli artt. 155 (divenuto art. 211 CE) e 169 del Trattato CE la Commissione ha l'obbligo di perseguire ogni violazione del Trattato a lei nota, sussiste in linea di principio un obbligo di agire. Essa dispone tuttavia di un certo margine di discrezionalità soprattutto in merito al momento e alle condizioni di attuazione delle singole fasi del procedimento ex art. 169. Anche in presenza di un obbligo di principio di repressione la Commissione dovrebbe tuttavia impegnarsi costantemente al fine di indurre con i consueti mezzi gli Stati membri a ripristinare una situazione conforme al Trattato. Il termine minimo per proporre il ricorso si colloca dopo la scadenza indicata nel relativo parere motivato. In linea di principio non sussiste un termine predeterminato per adire la Corte . Spetta perciò alla Commissione stabilire quando sia opportuno promuovere l'azione per inadempimento a seguito del parere motivato, dopo la scadenza del termine fissato . In casi eccezionali estremi, in cui la Commissione attende a lungo prima di agire in giudizio e non prende alcuna misura ulteriore nei confronti dello Stato membro, l'eccezione di decadenza, con riferimento alla ricevibilità del ricorso, non va tuttavia del tutto esclusa . La giurisprudenza della Corte tende però a respingere la decadenza del diritto di ricorso della Commissione .

73. Nel caso di specie è parimenti fuori questione una prescrizione dei diritti delle Comunità. Da un lato, non esistono disposizioni comunitarie in materia di prescrizione applicabili e, dall'altro, non è neanche attuabile un'applicazione sensata delle normative nazionali in materia di prescrizione di debiti d'imposta. Per essere funzionale un termine di prescrizione deve essere fissato anticipatamente. In quanto eccezione, esso deve essere fatto valere, il che non è avvenuto nel caso di specie. Poiché al riguardo non sono neppure state presentate osservazioni, tale punto non necessita di ulteriore esame. Del resto, il procedimento per inadempimento non potrebbe neanche riguardare direttamente la prestazione delle risorse.

74. Tuttavia potrebbero risultare prescritti i diritti delle Comunità al versamento dei contributi alle risorse proprie.

75. Per motivi di certezza del diritto, nel caso di specie potrebbe essere necessario limitare temporalmente l'effetto dell'accertamento di una violazione del Trattato riguardo alla rettifica degli estratti annuali . Nella sua giurisprudenza la Corte ha già riconosciuto la possibilità di avvalersi del principio di certezza del diritto in assenza di una normativa in materia di prescrizione .

76. In realtà, il Trattato non prevede esplicitamente una limitazione temporale dell'effetto di sentenze nei procedimenti per inadempimento. Tale limitazione non è peraltro necessaria, perché le sentenze nei procedimenti per inadempimento per il loro carattere di accertamento tendono di norma all'eliminazione (futura) di una situazione non conforme al Trattato. Questo tipo di procedimento non riguarda l'efficacia di una decisione specifica come il ricorso di annullamento, per cui è prevista una limitazione degli effetti temporali conformemente all'art. 174, secondo comma, del Trattato CE (divenuto art. 231 CE). Il ricorso per inadempimento non ha nemmeno, di norma, lo scopo di ottenere un risarcimento dei danni in un singolo caso, come accade invece nella norma in materia di prescrizione di cui all'art. 43 dello Statuto CE della Corte. Il procedimento per inadempimento ha piuttosto per oggetto l'accertamento in linea di principio del contenuto normativo del diritto comunitario. E' nell'interesse della certezza del diritto che la Corte si pronunci su tale contenuto normativo nell'ambito di una controversia tra la Commissione ed uno Stato membro. La semplice decorrenza temporale a partire dal termine della fase precontenziosa del procedimento non riduce in linea di principio tale interesse. Qualora eventi verificatisi in tale lasso di tempo dovessero far diminuire l'interesse per l'accertamento, si determinerebbe forse l'irricevibilità del ricorso, ma ciò non osterebbe al diritto di far dichiarare la violazione in quanto tale, che potrebbe essere sempre fatto valere in giudizio.

77. Tuttavia, nella fattispecie l'accertamento della violazione del Trattato è legata ad una richiesta di pagamento delle Comunità nei confronti degli Stati membri convenuti. Le conseguenze finanziarie che ne derivano esigono particolari riflessioni anche in relazione al principio della certezza del diritto.

78. A sfavore di una limitazione temporale, si osservi anzitutto che la Corte ha sottolineato, in una costante giurisprudenza, che, «trattandosi di una normativa idonea a comportare conseguenze finanziarie, la certezza e la prevedibilità costituiscono (...) un imperativo che si impone con particolare rigore» . Una ponderazione degli aspetti relativi alla certezza del diritto riduce la chiarezza e la prevedibilità. Per contro occorre però rilevare che il notevole ritardo nell'introduzione della fase giudiziaria del procedimento per inadempimento da parte della Commissione è parimenti incompatibile con l'imperativo della chiarezza e della prevedibilità.

79. Secondo la giurisprudenza della Corte, una controversia tra la Commissione ed uno Stato membro relativa alla riscossione di risorse proprie non deve neanche far sì che l'equilibrio finanziario della Comunità sia sconvolto . Nel caso di specie da una limitazione temporale della rettifica potrebbe derivare che alcuni Stati membri apportino risorse alla Comunità conformemente al diritto comunitario, mentre altri Stati sarebbero esonerati da tale stanziamento. Al riguardo occorre però rilevare che gli Stati membri che hanno riscosso la relativa IVA e ne hanno versato di conseguenza una parte non sono svantaggiati. Infine beneficiano della parte dell'IVA eccedente l'importo totale da versare.

80. Al contrario, va escluso praticamente e anche giuridicamente un ricupero a posteriori dell'IVA su tributi riscossi in relazione all'uso delle infrastrutture stradali. Per motivi di legittimo affidamento, anche secondo il diritto nazionale in un caso come quello di specie sarebbe escluso un ricupero a posteriori dell'IVA. A prescindere da ciò, risulterebbero sproporzionate anche le conseguenze pratiche a livello commerciale di un ricupero a posteriori di imposte sulla cifra d'affari poiché gli eventuali debitori d'imposta da determinare non sono di regola gli stessi che devono pagare le imposte con i pedaggi.

81. Sarebbero svantaggiati unicamente gli Stati membri che abbiano effettuato versamenti a posteriori senza aver prima riscosso l'IVA corrispondente. Si deve tuttavia supporre che siffatti pagamenti siano avvenuti fatta salva una corrispondente rettifica dell'estratto annuale. Qualora tale rettifica sia esclusa, gli Stati membri interessati possono richiedere la restituzione dei versamenti a posteriori effettuati.

82. Dal termine perentorio di cui all'art. 9, n. 2, del regolamento n. 1553/89 si deduce che il rischio per gli Stati membri di versare, per ignoranza, quote non riscosse dell'IVA non deve superare quattro esercizi di bilancio. D'altra parte, in linea di principio gli Stati membri non sono più tutelati se vengono a conoscenza di un reclamo inequivocabile della Commissione prima della scadenza del termine. Rientra nella responsabilità dello Stato membro interessato non conformarsi ad un reclamo della Commissione e, ad esempio, non riscuotere a livello generale l'IVA. Una volta a conoscenza del reclamo, lo Stato può in linea di principio valutare quali obblighi derivano dalle direttive IVA ed agire di conseguenza.

83. Se però gli Stati membri non concordano con la Commissione, sulla base di opinioni sostenibili, sul fatto che determinate operazioni debbano o meno essere assoggettate ad IVA, l'elaborazione pratica della procedura di rettifica ed in particolare la sua applicazione da parte della Commissione potrebbe generare nel caso di specie conseguenze sproporzionate. Poiché la costituzione delle Comunità europee è quella di una comunità di diritto, gli Stati membri hanno in linea di principio il diritto a che, nell'ambito di una controversia vertente sul contenuto normativo delle direttive IVA, la Corte sia adita e si pronunci entro un termine adeguato.

84. Può darsi inoltre che gli Stati membri non riescano a risolvere da soli la questione quando il procedimento per inadempimento rimane, come nel caso di specie, alla fase precontenziosa. La Commissione non ha l'obbligo di agire in giudizio e lo Stato membro non può impugnare un parere motivato. L'insieme di tali fattori potrebbe indurre ad eludere il procedimento per inadempimento. Del resto, un siffatto atteggiamento della Commissione sarebbe in contrasto con lo spirito della procedura di rettifica.

85. Nel rapporto tra la Commissione e lo Stato membro si deve presumere che gli esercizi precedenti siano conclusi e non si apporti più alcuna rettifica.

86. Occorre anzitutto stabilire a quale periodo fa riferimento il ricorso della Commissione, che è volto a far dichiarare la violazione e riguarda il periodo a partire dal 1987. Anche se la Commissione non ha intrapreso alcuna azione ulteriore riguardo agli anni successivi dal termine della fase precontenziosa del procedimento fino alla presentazione del ricorso, si deve supporre che essa volesse porre fine alle violazioni ed ai relativi effetti per i periodi seguenti. Va pertanto esaminato fino a che punto gli esercizi a partire dal 1987 siano conclusi ed i relativi estratti annuali non possano più essere rettificati.

87. L'art. 9, n. 2, prima frase, del regolamento n. 1553/89 stabilisce che dopo il 31 luglio del quarto anno che segue un dato esercizio (vale a dire 43 mesi) l'estratto annuale non può più essere rettificato. Pertanto l'estratto annuale relativo all'esercizio 1984 non poteva più essere rettificato dopo il 31 luglio 1991. Per gli anni successivi è valido un calcolo corrispondente. Di conseguenza, la Commissione non potrebbe più riscuotere risorse proprie.

88. Tuttavia è dubbio come debba essere intesa la deroga di cui all'art. 9, n. 2, seconda frase, dove, riguardo all'estratto annuale che non può più essere rettificato, si specifica: «(...) tranne che per i punti notificati prima di questa scadenza, dalla Commissione o dallo Stato membro interessato». Riguardo agli esercizi 1987-1992, i problemi su cui si fonda il presente ricorso e le interpretazioni giuridiche divergenti sono stati oggetto di discussione con la Repubblica ellenica.

89. Ci sono molte ragioni per interpretare l'art. 9, n. 2, seconda frase, nel senso che una deroga al termine perentorio di 43 mesi è possibile soltanto se le parti si sono successivamente impegnate a risolvere i problemi sollevati. Se si pervenisse però ad una stasi del procedimento prolungata ed ingiustificata, sarebbe insensato ed inopportuno continuare ad applicare tale disposizione. Nel caso di specie negli anni 1992-1998 non si è svolto tuttavia tra le parti alcun dialogo sufficiente a condurre alla soluzione dei problemi. All'udienza la Commissione ha dichiarato, in risposta ad un quesito, di aver regolarmente richiamato l'attenzione degli Stati membri interessati sulla problematica relativa alle risorse proprie e di aver tenuto un dialogo continuo con gli Stati membri riguardo alla questione della riscossione dell'IVA . Ciò non può tuttavia essere considerato come sufficiente a raggiungere un accordo amichevole, in quanto le posizioni delle parti lo precludevano. Occorre inoltre considerare che non sarebbe comunque stata possibile una soluzione di compromesso a causa dell'«aut-aut» emergente dalla situazione giuridica.

90. Se lo scopo di tale disposizione è garantire una proroga in caso di fattispecie e problemi complessi, dovrebbe anche essere ravvisabile un tentativo delle parti di giungere ad una soluzione. In caso contrario la Commissione potrebbe eludere il termine di 43 mesi di cui alla prima frase contestando regolarmente gli estratti annuali degli Stati membri. Essa godrebbe così a tempo illimitato della possibilità di esaminare i fatti e di rimandare la chiusura degli esercizi ad un momento indeterminato. Tuttavia ciò non sarebbe auspicabile per motivi economici né compatibile con il principio della certezza del diritto. La Commissione potrebbe quindi, senza dover giustificare tale atto, eludere i presupposti di cui alla prima frase, che fissa la data di scadenza per la chiusura degli estratti annuali al 31 luglio del quarto anno che segue un dato esercizio.

91. Poiché la disposizione di cui all'art. 9, n. 2, non costituisce una norma di prescrizione, è irrilevante che lo Stato membro non abbia sollevato un'eccezione in tal senso. Soltanto i diritti sono soggetti a prescrizione. L'art. 9, n. 2, non attribuisce tuttavia alcun diritto, ma stabilisce solo i termini per le rettifiche degli estratti annuali.

92. Tali riflessioni consentono di supporre che la Repubblica ellenica abbia maturato il legittimo affidamento, durante il lungo periodo intercorso tra la chiusura della fase precontenziosa del procedimento ed il ricorso, che la Commissione si sarebbe attenuta ai termini della procedura di rettifica.

93. Anche se si dovesse ritenere che già la fase precontenziosa del procedimento abbia provocato un'interruzione del decorso del termine, tale effetto non potrebbe comunque essere esteso al di là del citato termine di 43 mesi. Poiché tra l'ultima corrispondenza nell'ambito della fase precontenziosa del procedimento ed il ricorso intercorrono più di quattro anni - esattamente sette anni -, anche un'eventuale interruzione del termine ad opera della fase precontenziosa non sarebbe più rilevante.

94. A causa del legittimo affidamento e del principio generale della decadenza connesso al termine perentorio di 43 mesi per la possibilità di rettifica, la riscossione di contributi alle risorse proprie va pertanto limitata ai quattro anni che precedono la proposizione del ricorso. Nel caso di specie ciò significa che, poiché il ricorso della Commissione dinanzi alla Corte è stato proposto il 16 luglio 1998, gli esercizi a partire dal 1994 non sono ancora conclusi e continua ad essere possibile una rettifica . Per l'osservanza del termine di 43 mesi è sufficiente il ricorso, poiché non sussiste al riguardo alcun ulteriore termine processuale. La notifica del ricorso alla Repubblica ellenica potrebbe aver avuto luogo successivamente al 31 luglio 1998; da ciò non si possono tuttavia trarre ulteriori conclusioni sugli effetti all'esterno, in quanto la data di deposito del ricorso dinanzi alla Corte va considerata come momento determinante.

95. Poiché la richiesta di versamento di contributi alle risorse proprie in quanto tale non costituiva l'oggetto del ricorso, ma è una conseguenza indiretta della violazione del Trattato, nonostante la parziale decadenza dei termini - che equivale implicitamente ad un successo parziale della Repubblica ellenica -, il ricorso non va respinto per il resto. Lo stesso dicasi per la decisione relativa alle spese.

VI - Sulle spese

96. Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Commissione ha chiesto di condannare la Repubblica ellenica alle spese. Anche se la domanda di versamento di contributi alle risorse proprie è parzialmente decaduta, ciò non influisce sulla ripartizione delle spese, poiché tale domanda è soltanto una conseguenza della violazione accertata che non può essere fatta valere con il presente ricorso. Nel caso di specie l'oggetto della controversia è soltanto l'accertamento dell'inadempimento al Trattato. Poiché la Repubblica ellenica è rimasta sostanzialmente soccombente, dev'essere condannata alle spese processuali.

VII - Conclusione

97. Per i suesposti motivi propongo alla Corte di pronunciarsi come segue:

«1) La Repubblica ellenica, non avendo assoggettato ad IVA i pedaggi stradali, in contrasto con quanto stabilito dagli artt. 2 e 4 della sesta direttiva IVA del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, e non avendo versato alla Commissione i corrispondenti contributi alle risorse proprie, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato che istituisce la Comunità europea. Tuttavia, la Commissione può riscuotere a posteriori le risorse proprie e rivendicare interessi moratori soltanto a partire dall'esercizio 1994.

2) La Repubblica ellenica è condannata alle spese».