61998C0223

Conclusioni dell'avvocato generale Cosmas del 10 giugno 1999. - Adidas AG. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Kammarrätten i Stockholm - Svezia. - Libera circolazione delle merci - Regolamento (CE) n. 3295/94 - Misure intese a vietare l'immissione in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il vincolo ad un regime sospensivo di merci contraffatte e di merci usurpative - Disposizione nazionale che prevede la confidenzialità dei nomi dei destinatari delle spedizioni bloccate dalle autorità doganali sulla base del regolamento - Compatibilità della disposizione nazionale con il regolamento (CE) n. 3295/94. - Causa C-223/98.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-07081


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1. Nel presente procedimento viene chiesto alla Corte di pronunciarsi su una questione pregiudiziale che il Kammarrätten di Stoccolma le ha sottoposto ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE (ex art. 177). Tale questione riguarda l'interpretazione di talune disposizioni del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, che fissa misure intese a vietare l'immissione in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il vincolo ad un regime sospensivo di merci contraffatte e di merci usurpative .

II - Fatti e procedura

2. La società Adidas (in prosieguo: la «Adidas») detiene in Svezia un diritto di marchio per diversi articoli sportivi e d'abbigliamento. Il 16 febbraio 1998, il Tullmyndigheten (ufficio doganale) di Arlanda (Stoccolma), dopo aver effettuato un controllo su determinate merci, decideva, ritenendo si trattasse di merci contraffatte, di sospenderne lo svincolo e ne informava contestualmente l'Adidas in quanto titolare del marchio. Un rappresentante dell'Adidas esaminava le merci e constatava che si trattava di contraffazioni.

3. In seguito, l'Adidas rivolgeva al servizio nazionale competente (in forza del regolamento n. 3295/94) una richiesta di intervento dell'autorità doganale ai sensi dell'art. 3 dello stesso regolamento, al fine di evitare l'immissione in libera pratica delle merci contraffatte. La Generaltullstyrelsen (direzione generale delle dogane) accoglieva tale richiesta il 17 febbraio 1998. Di conseguenza, in applicazione del regolamento n. 3295/94, si è potuto trattenere le merci controverse fino al 17 marzo 1998. Tuttavia, dopo tale data, si è ritenuto che l'autorità doganale nazionale non potesse più trattenere legalmente le merci, dal momento che l'Adidas non si era avvalsa della possibilità offerta dall'art. 6 del regolamento n. 3295/94 e quindi non aveva adito l'autorità giudiziaria.

4. Non essendo a conoscenza dell'identità del dichiarante o del destinatario delle merci, informazione che le avrebbe consentito di promuovere un'azione giudiziaria nei loro confronti, l'Adidas richiedeva la loro identità all'autorità doganale invocando l'art. 6 del regolamento n. 3295/94. Tale domanda non veniva accolta perché considerata contraria alle disposizioni della normativa nazionale sulla protezione dei dati, la quale prevede che l'informazione in questione non possa essere comunicata.

5. L'Adidas ha quindi impugnato dinanzi al Kammarrätten di Stoccolma il provvedimento con cui il Tullmyndigheten di Arlanda ha rifiutato di comunicare il nominativo del destinatario delle merci. L'Adidas sostiene che tale diniego, anche se fondato su una norma nazionale, di fatto ha reso inapplicabile il regolamento n. 3295/94 e perciò era in contrasto col diritto comunitario.

III - La questione pregiudiziale

6. Al fine di stabilire in che misura le disposizioni nazionali controverse, relative alla protezione dei dati, siano conformi o meno al diritto comunitario, il Kammarrätten di Stoccolma ha ritenuto necessario proporre alla Corte di giustizia delle Comunità europee una domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione del regolamento n. 3295/94. In particolare, il giudice a quo fa riferimento alla disposizione del regolamento che obbliga l'autorità doganale nazionale a comunicare al titolare di un marchio l'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci di cui si è accertata la contraffazione. Il giudice a quo ha formulato la seguente questione pregiudiziale:

«Se una normativa nazionale che, in materia doganale, non consenta che al titolare di un marchio vengano comunicati i nominativi dei destinatari o dei soggetti che abbiano presentato la dichiarazione in dogana relativamente a presunte merci contraffatte, sia in contrasto con il regolamento (CE) n. 3295/94».

IV - La normativa comunitaria

7. L'art. 1, n. 1, lett. a), del regolamento n. 3295/94 stabilisce le condizioni d'intervento dell'autorità doganale «qualora merci sospettate di essere merci contraffatte o usurpative

- siano dichiarate per l'immissione in libera pratica, l'esportazione o la riesportazione,

- siano scoperte, in occasione di un controllo effettuato su merci vincolate ad un regime sospensivo ai sensi dell'articolo 84, paragrafo 1, lettera a) del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, o riesportate previa notifica».

8. L'efficacia del sistema di lotta contro la commercializzazione di merci non autentiche istituito dal regolamento comunitario di cui trattasi dipende in larga misura dall'interesse che manifesterà il titolare del marchio nella difesa dei suoi interessi legittimi; quest'ultimo è invitato a sollecitare l'adozione di misure riguardanti le merci che pregiudicano il suo diritto. Ai sensi dell'art. 3, n. 1, del regolamento n. 3295/94, «[i]n ogni Stato membro il titolare del diritto può presentare al servizio doganale competente una domanda scritta per ottenere l'intervento dell'autorità doganale quando le merci si trovano in una delle situazioni di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera a)».

9. L'art. 4 del regolamento n. 3295/94 contiene le seguenti disposizioni, volte ad agevolare il compito del titolare del marchio: «[q]ualora, durante un controllo effettuato nel quadro di una delle procedure di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera a) e prima che sia stata depositata o accolta una richiesta del titolare del diritto, all'ufficio doganale risulti in modo evidente che la merce è una merce contraffatta o usurpativa, l'autorità doganale può, conformemente alle norme vigenti nello Stato membro in questione, informare il titolare del diritto, per quanto questi sia noto, del rischio di infrazione. In tal caso l'autorità doganale è autorizzata a sospendere lo svincolo o a procedere al blocco delle merci in questione per un periodo di tre giorni lavorativi, al fine di consentire al titolare del diritto di depositare una domanda di intervento in conformità dell'articolo 3».

10. Quindi, ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 3295/94, «[l]a decisione che accoglie la domanda del titolare del diritto è comunicata immediatamente agli uffici doganali dello Stato membro eventualmente interessati a merci sospettate di essere contraffatte o usurpative alle quali si riferisce la domanda stessa». La decisione che accoglie la domanda del titolare del diritto pone fine alla prima fase della procedura. Il seguito di tale procedura è disciplinato dal capitolo IV del regolamento controverso, intitolato «Modalità d'intervento dell'autorità doganale e dell'autorità competente a deliberare nel merito».

11. Ai sensi dell'art. 6, n. 1, del regolamento n. 3295/94, «[q]uando un ufficio doganale cui è stata trasmessa, in applicazione dell'articolo 5, la decisione che accoglie la richiesta del titolare del diritto, accerti, eventualmente previa consultazione del richiedente, che talune merci che si trovano in una delle situazioni di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera a) corrispondono alla descrizione delle merci contraffatte o delle merci usurpative contenuta nella decisione stessa, sospende lo svincolo o procede al blocco delle merci.

L'ufficio informa immediatamente il servizio che ha esaminato la domanda a norma dell'articolo 3. Tale servizio o ufficio doganale informa immediatamente il dichiarante e il richiedente l'intervento. Conformemente alle disposizioni nazionali relative alla protezione dei dati a carattere personale, del segreto commerciale e industriale, nonché del segreto professionale e amministrativo, l'ufficio doganale o il servizio che ha esaminato la domanda informa il titolare del diritto, a richiesta di quest'ultimo, del nome e dell'indirizzo del dichiarante e, laddove conosciuto, del destinatario per consentire al titolare del diritto di adire l'autorità competente a deliberare sul merito . L'ufficio doganale offre al richiedente e alle persone interessate a un'operazione di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), la possibilità di visitare le merci per le quali lo svincolo è sospeso o che sono state bloccate (...)».

12. Ai sensi dell'art. 7, n. 1, del regolamento n. 3295/94, «[l]o svincolo è concesso, purché siano state espletate tutte le formalità e sia revocato il blocco, se, entro dieci giorni lavorativi a decorrere dalla notifica della sospensione dello svincolo o del blocco, l'ufficio doganale di cui all'articolo 6, paragrafo 1, non è stato informato del ricorso all'autorità competente a deliberare nel merito ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, o non ha avuto comunicazione di misure conservative adottate dall'autorità competente a tal fine. In casi giustificati tale termine può essere prorogato al massimo di dieci giorni lavorativi».

V - Normativa nazionale

13. L'art. 2 del capo 9 della Sekretesslag (legge sulla tutela della riservatezza) prevede che la norma di segretezza si applichi ai dati raccolti nell'ambito del controllo doganale e non coperti dall'eccezione prevista allo stesso capo 9 della legge citata, all'art. 1, primo comma, terza, quarta, quinta e sesta frase. Ai sensi di quest'ultima disposizione, l'autorità doganale può rilasciare informazioni laddove sia certo che dalla loro divulgazione non derivi un danno per i soggetti interessati.

VI - Parere

14. A. Il regolamento del Consiglio n. 3295/94 mira a porre rimedio ad un fenomeno particolarmente pericoloso per il libero esercizio del commercio. Come indica il secondo 'considerando' di tale regolamento, «la commercializzazione di merci contraffatte, come pure la commercializzazione di merci usurpative, reca notevole pregiudizio ai fabbricanti e commercianti che rispettano le leggi, nonché ai titolari di diritti d'autore o diritti connessi e inganna i consumatori (...)». Adottando tale regolamento, il legislatore comunitario ha inteso istituire un sistema efficace che consenta di porre fine alle attività illecite sopra citate, essenzialmente grazie ad un regime di divieti e di controllo doganale. Va rilevato come il controllo doganale effettuato alle frontiere sia di importanza fondamentale per la Comunità anche per un'altra ragione: se una merce contraffatta o usurpativa non viene bloccata alle frontiere di uno Stato membro, può in seguito circolare liberamente all'interno della Comunità.

15. Di conseguenza, si insiste particolarmente sulla necessità di intervento dell'autorità doganale quando c'è il rischio che prodotti fabbricati in violazione delle norme sulla proprietà intellettuale siano immessi sul mercato. Tale intervento consiste, da un lato, «nella sospensione dello svincolo per l'immissione in libera pratica, l'esportazione e la riesportazione delle merci» sospettate di essere contraffatte o usurpative e, dall'altro, «nel sequestro di queste merci quando siano vincolate ad un regime sospensivo o riesportate previa notifica per tutto il tempo necessario a accertare se si tratti effettivamente di siffatte merci» . L'adozione di tali misure presuppone che il titolare di un marchio solleciti l'intervento dell'autorità doganale e che la sua domanda venga accolta. Eccezionalmente, affinché la tutela sia completa, è possibile sequestrare provvisoriamente le merci fino a quando la domanda del titolare del marchio sia stata presentata e accolta. In ogni caso, la decisione sulla sorte definitiva delle merci controverse spetta all'autorità nazionale competente a deliberare nel merito del ricorso del titolare del marchio.

16. Dalle considerazioni che precedono risulta evidente che al titolare del marchio è attribuita una funzione essenziale nel sistema comunitario di lotta contro la distribuzione di merci contraffatte o usurpative. Dalla sua iniziativa dipendono, in primo luogo, il blocco delle merci e, in secondo luogo, la condanna definitiva di tale traffico da parte dell'autorità nazionale competente a deliberare nel merito. Di conseguenza, dall'ampiezza e completezza delle informazioni di cui dispone il titolare di un marchio dipende in ampia misura il buon funzionamento del regime comunitario di divieti istituito dal regolamento n. 3295/94. Per tale motivo, l'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94 prevede che si rilascino informazioni ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale di cui trattasi; in particolare, è prevista la comunicazione del nome e dell'indirizzo del dichiarante e, laddove conosciuto, del destinatario delle merci che l'autorità doganale ha accertato essere corrispondenti alla descrizione delle «merci contraffatte o delle merci usurpative».

17. In ciò risiede, del resto, la differenza fondamentale tra il regolamento n. 3295/94 e il precedente regolamento (CEE) n. 3842/86 , che esso ha abrogato. Conformemente al precedente regime normativo, il titolare di un marchio non poteva avere accesso ai dati riguardanti il dichiarante e l'importatore delle merci fin dal momento in cui l'amministrazione accertava che le merci «corrispond[evano] alla descrizione delle merci contraffatte o delle merci usurpative» ma l'autorità nazionale competente non aveva ancora deliberato nel merito. Solo una volta terminata la procedura e dopo che le merci controverse erano state riconosciute come merci contraffatte o usurpative, l'art. 7, n. 3, del regolamento (CEE) n. 3842/86 stabiliva che «[s]alvo che la normativa nazionale lo vieti, l'ufficio doganale interessato o l'autorità competente informano il titolare del marchio, su richiesta dello stesso, in merito ai nomi ed indirizzi dello speditore, dell'importatore e del destinatario delle merci riconosciute come contraffatte (...)». Per contro, il regolamento n. 3295/94 prevede la comunicazione delle informazioni al titolare di un marchio in due momenti della procedura: in primo luogo, ai sensi dell'art. 6, n. 1, secondo comma, prima che l'autorità nazionale competente abbia deliberato nel merito (ossia ancor prima che le merci controverse siano state riconosciute come contraffatte o usurpative) e, in secondo luogo, ai sensi dell'art. 8, n. 3, quando la procedura è conclusa ed è stato accertato che le merci sono contraffatte o usurpative.

18. Da quanto precede risulta che l'estensione del diritto all'informazione riconosciuto al titolare di un marchio è direttamente connessa all'ampliamento del suo ruolo nella procedura. Tale persona, in linea di principio, ha il «compito» di adire l'autorità nazionale competente a deliberare nel merito, di modo che le merci sequestrate vengano definitivamente riconosciute autentiche o meno. Se l'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci non può essere comunicata al titolare del marchio, per quest'ultimo è impossibile adire l'autorità nazionale competente; in tale caso, il sistema che il regolamento n. 3295/94 intende predisporre perde inevitabilmente gran parte della sua utilità pratica, se non diventa addirittura completamente inefficace.

19. Tuttavia, la disposizione dell'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94 implica una contraddizione. Mentre il titolare del diritto deve prendere l'iniziativa di adire l'autorità nazionale competente a stabilire se le merci controverse siano realmente contraffatte o usurpative - cosa che non può fare senza conoscere l'identità delle persone avverso le quali rivolgerà la sua domanda - i dati relativi a tali persone gli vengono comunicati solo fatte salve le disposizioni nazionali «relative alla protezione dei dati a carattere personale, del segreto commerciale e industriale, nonché del segreto professionale e amministrativo». Se ci si attiene alla lettera di tale disposizione, si può constatare che la sua applicazione pone due problemi. Da un lato, non è escluso - o piuttosto, il legislatore comunitario sembra, a prima vista ammettere - che possano essere applicate restrizioni radicali all'informazione del titolare del marchio o che essa venga del tutto negata. Dall'altro, non si vede come il sistema comunitario di lotta contro le merci contraffatte o usurpative possa funzionare efficacemente nei casi in cui la normativa nazionale vieti di comunicare al titolare di un marchio i dati relativi al dichiarante e, laddove possibile, al destinatario delle merci controverse. In sintesi, ci si scontra con la seguente contraddizione: mentre la comunicazione delle informazioni di interesse al titolare del marchio è essenziale per il funzionamento del sistema comunitario di controllo e di divieti di cui trattasi, tale comunicazione sembra essere lasciata alla discrezione degli Stati membri senza escludere, perlomeno se ci si attiene alla lettera delle disposizioni controverse del regolamento n. 3295/94, che uno Stato membro vieti, in via generale ed assoluta, la comunicazione delle informazioni di cui è causa.

20. B. Il problema di cui si è appena constatata l'esistenza è al centro della questione pregiudiziale.

21. Dall'esame della normativa svedese in vigore, così come citata e analizzata dal giudice a quo, risulta che la legislazione nazionale sulla protezione dei dati riguarda tutte le informazioni relative alla situazione personale ed economica di un privato che l'autorità pubblica raccoglie nell'ambito di un controllo doganale. In via eccezionale, il divieto di comunicare le informazioni controverse viene meno se tale comunicazione non lede in alcun modo il soggetto interessato.

22. Tuttavia, per quanto riguarda la presente causa, il giudice a quo osserva che l'eccezione di cui sopra non può essere applicata. Le informazioni in questione, relative all'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci, non possono essere rilasciate all'Adidas perché non è certo che dalla loro divulgazione non deriverà alcun pregiudizio a tali soggetti. Ne consegue pertanto che, nel caso di specie, la normativa nazionale osta alla comunicazione delle informazioni richieste dall'Adidas. Di conseguenza, si pone la questione di stabilire se l'art. 6 del regolamento n. 3295/94 non sia in contrasto con l'applicazione di una normativa nazionale che non consente la comunicazione delle informazioni di interesse al titolare di un marchio, prevista dall'art. 6, n. 1, secondo comma, di tale regolamento, salvo in casi del tutto eccezionali.

23. Prima di analizzare tale questione, ritengo indispensabile identificare determinati punti della presente causa che richiedono precisazioni. È noto che l'Adidas chiede di conoscere il nominativo del destinatario delle merci controverse, di modo da poter proporre ricorso dinanzi all'autorità giudiziaria nazionale. In mancanza di altri elementi, presumo quindi che, in Svezia, l'autorità competente «a deliberare nel merito», ai sensi dell'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94, sia il tribunale. Inoltre, la Corte ignora se la normativa svedese abbia eventualmente previsto un controllo d'ufficio, nell'ambito del quale il tribunale, in quanto autorità competente «a deliberare nel merito», sia investito della controversia in seguito alla trasmissione della pratica da parte della dogana o di un'altra autorità amministrativa, cioè senza che sia necessario che il titolare del marchio presenti ricorso. Se esiste la possibilità che l'autorità giudiziaria nazionale competente effettui controlli d'ufficio, l'ostacolo all'efficace applicazione del regolamento n. 3295/94, causato dall'impossibilità di informare il titolare del marchio, è in parte eliminato.

24. Tuttavia, malgrado tali incertezze, la questione sollevata dal giudice a quo conserva la sua importanza. Si è rilevato sopra che, conformemente al sistema istituito dal regolamento n. 3295/94, spetta al titolare del diritto, in linea di principio, prendere le misure necessarie relative alle merci contraffatte o usurpative. Affinché quest'ultimo possa adire l'autorità nazionale competente «a deliberare nel merito», è però indispensabile che conosca i dati relativi alle persone avverso le quali rivolgerà il ricorso, cioè il dichiarante e/o il destinatario delle merci. Sebbene il legislatore comunitario riconosca l'esistenza di disposizioni nazionali relative alla protezione dei dati a carattere personale e del segreto commerciale, industriale o amministrativo, occorre ancora stabilire in che misura tali disposizioni nazionali possano imporre una norma che vieti di comunicare le informazioni in questione, la cui divulgazione è consentita solo in casi eccezionali.

25. C. Nelle osservazioni presentate alla Corte, la Commissione propone una soluzione che concilia le tesi a confronto e che consentirebbe di ritenere che le disposizioni controverse di diritto comunitario e quelle del diritto nazionale non siano in conflitto. La Commissione fa giustamente osservare che il fine ultimo del sistema istituito dal regolamento controverso è definito all'art. 2 dello stesso. Ai sensi di tale disposizione, «[s]ono vietati l'immissione in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il vincolo al regime sospensivo di merci riconosciute come merci contraffatte o usurpative in base alla procedura prevista dall'articolo 6». L'interpretazione e l'applicazione delle disposizioni comunitarie e nazionali devono contribuire alla realizzazione di tale obiettivo. La Commissione osserva poi che, nell'ambito della presente causa, tale obiettivo può essere raggiunto solo se si consente la comunicazione all'Adidas dell'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci controverse. La Commissione ammette, tuttavia, che è possibile interpretare le disposizioni della normativa svedese relative alla protezione dei dati in modo tale da non pregiudicare l'effetto utile del diritto comunitario né compromettere la realizzazione del fine ultimo del regolamento controverso.

26. Secondo la Commissione, è possibile accogliere la domanda dell'Adidas, relativa all'accesso ai dati acquisiti dall'autorità doganale sull'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci, pur applicando la legge svedese sulla protezione dei dati. In particolare, la Commissione invoca l'eccezione prevista dall'art. 2 del capo 9, della Sekretesslag, in combinato disposto con l'art. 1, primo comma, terza, quarta, quinta e sesta frase, della stessa legge, secondo cui le informazioni di cui dispone l'autorità doganale possono essere comunicate qualora sia certo che la loro divulgazione non leda gli interessati. La Commissione propone un'interpretazione secondo cui la comunicazione al titolare del marchio dell'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci che sembra rientrare nel novero dei divieti sanciti dal regolamento n. 3295/94 - comunicazione prevista all'art. 6 dello stesso regolamento - è, in linea di principio, possibile se ci si avvale dell'eccezione prevista, come detto sopra, dalla legislazione svedese sulla protezione dei dati. Secondo la Commissione ciò significa che tale comunicazione non può in linea di principio arrecare un danno agli interessati (il dichiarante e/o il destinatario delle merci), e pertanto è consentita.

27. La tesi della Commissione poggia su due argomenti tratti dalle disposizioni del regolamento n. 3295/94. In primo luogo, ai sensi dell'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94, non appena l'autorità amministrativa nazionale competente accerti che determinate merci «corrispondono alla descrizione delle merci contraffatte o delle merci usurpative», informa immediatamente il dichiarante di tale accertamento. Quest'ultimo può quindi ritirare le merci controverse, che, in tal modo, non vengono immesse sul mercato. In secondo luogo, ai sensi dell'art. 3, n. 6, del regolamento n. 3295/94, gli Stati membri possono inoltre prescrivere che il titolare del diritto costituisca una garanzia, destinata appunto a tutelare i diritti di terzi eventualmente pregiudicati dal controllo doganale effettuato; i soggetti che, per eccellenza, appartengono a questa categoria sono il dichiarante e il destinatario delle merci controllate. Considerati tali elementi, la Commissione conclude che, nel contesto specifico dell'applicazione dell'art. 6 del regolamento n. 3295/94, occorre derogare alla norma sulla segretezza prevista dalla legislazione svedese; ciò significa che, in linea di principio, occorre riconoscere che è possibile comunicare al titolare del diritto, su richiesta di quest'ultimo, il nome e l'indirizzo del dichiarante e, laddove conosciuto, del destinatario delle merci, per consentirgli di adire l'autorità competente a deliberare nel merito, poiché tale divulgazione non arreca alcun pregiudizio ai soggetti a cui si riferiscono tali informazioni. Tali persone sono tutelate perché, in primo luogo, quando sono informate dei sospetti relativi all'autenticità delle merci, possono prendere le misure che ritengono più opportune e, in secondo luogo, qualora alla fine le merci si rivelassero realmente autentiche, possono rivendicare la riparazione del danno subito, grazie alla garanzia che il titolare del marchio sarà tenuto a pagare.

28. La suddetta interpretazione della Commissione trae origine dal principio che stabilisce di interpretare il diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario. Come la Corte ha esplicitamente indicato in diverse sentenze, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile «alla luce della lettera e dello scopo» della normativa comunitaria . Tuttavia, mentre la Corte ha il compito di ricordare ai giudici nazionali l'obbligo di adottare un'interpretazione delle norme di diritto nazionale conforme alle prescrizioni delle disposizioni comunitarie da applicare, essa non è, a mio giudizio, competente per indicare al giudice nazionale l'interpretazione che consenta di armonizzare le disposizioni nazionali con le prescrizioni della normativa comunitaria. Tale questione è di competenza esclusiva del giudice nazionale. Il compito della Corte è limitato all'interpretazione delle disposizioni comunitarie rilevanti; il giudice nazionale, adottando tale interpretazione, sceglierà egli stesso come armonizzare l'ordinamento giuridico del proprio paese con le esigenze della normativa comunitaria.

29. Applicando le osservazioni che precedono nell'ambito del caso di specie, si giunge alla conclusione che il compito della Corte consiste nel precisare se il regolamento n. 3295/94 osti o meno ad una normativa nazionale che, in linea di principio, vieta di comunicare al titolare di un marchio l'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci o consente tale divulgazione solo in casi eccezionali. Se la normativa comunitaria non osta a che il diritto nazionale vieti in così ampia misura tale divulgazione, il giudice a quo può respingere il ricorso dell'Adidas senza analizzare oltre la legislazione nazionale. Se, per contro, il giudice nazionale ritenesse che le disposizioni del regolamento n. 3295/94 di cui trattasi siano in contrasto con un divieto nazionale così ampio relativo all'informazione del titolare del marchio, egli dovrebbe, conformemente al principio del primato del diritto comunitario, cercare una soluzione per riuscire ad applicare le norme comunitarie controverse nel modo più soddisfacente. Egli ha facoltà di decidere se preferisce disapplicare il divieto nazionale in contrasto con l'applicazione della norma comunitaria o cercare un'interpretazione di tali disposizioni nazionali che elimini l'ostacolo. Tuttavia, per quanto riguarda il caso dell'Adidas, il giudice a quo ha dichiarato espressamente che, in base all'interpretazione prevalente della normativa nazionale sulla protezione dei dati, non si poteva comunicare l'identità del dichiarante e/o del destinatario delle merci al titolare del marchio, perché si ritiene che tale divulgazione, per sua natura, arrechi pregiudizio agli interessati.

30. D. Di conseguenza, malgrado le interessanti osservazioni della Commissione relative alla possibilità di interpretare le disposizioni nazionali «alla luce» del regolamento n. 3295/94, la questione pregiudiziale resta ancora in attesa di una soluzione nel merito. Che ampiezza possono avere le restrizioni nazionali alla comunicazione al titolare del marchio dei dati relativi al dichiarante e al destinatario delle merci di cui l'amministrazione accerti la non autenticità, perché tali disposizioni siano compatibili con la normativa comunitaria controversa? Come già indicato supra, la formulazione delle disposizioni dell'art. 6 del regolamento n. 3295/94 sembra implicare una contraddizione, poiché l'analisi letterale del n. 1, secondo comma, rischia di indurre il lettore a darne un'interpretazione che lascia il legislatore nazionale assolutamente libero non solo di apportare restrizioni alla possibilità di informare il titolare del marchio, ma anche di escludere del tutto tale possibilità.

31. Tuttavia, da un'analisi teleologica e sistematica di tali disposizioni, interpretazione su cui ho insistito supra, risulta che i limiti che si possono imporre al potere discrezionale di cui dispongono gli Stati membri per quanto riguarda le restrizioni all'informazione del titolare di un marchio sono piuttosto ridotti. A sostegno di tale tesi si possono avanzare i seguenti argomenti. In primo luogo, come risulta dal contenuto complessivo dell'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94, la regola generale introdotta dal legislatore comunitario prevede l'informazione del titolare del marchio; al contrario, gli ostacoli nazionali a tale informazione possono solo avere carattere eccezionale. Il secondo argomento ha più peso; visto il ruolo determinante svolto dal titolare del marchio nell'ambito del sistema comunitario di controllo di cui trattasi, la comunicazione a quest'ultimo dell'identità del dichiarante e del destinatario delle merci riveste un'importanza fondamentale e le restrizioni apportate a tale comunicazione non possono pregiudicare la realizzazione degli obiettivi del regolamento. Infine - e questo è forse l'elemento più importante - il legislatore comunitario stesso ha provveduto a tutelare la situazione giuridica del dichiarante e del destinatario delle merci sottoposte a controllo, in modo che la comunicazione al titolare del marchio del loro nome e indirizzo non pregiudichi i loro diritti e interessi. Tali soggetti vengono informati immediatamente qualora l'amministrazione accerti che le merci controllate «corrispondono alla descrizione» delle merci contraffatte o delle merci usurpative. Inoltre il titolare del marchio può utilizzare i dati a cui ha accesso ai sensi dell'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94 solo per «adire l'autorità competente a deliberare nel merito». Se tali dati vengono utilizzati per fini diversi da quelli previsti, il titolare del marchio sarà chiamato a risarcire il danno così causato al dichiarante o al destinatario. Il risarcimento di tale danno o di qualsiasi altro pregiudizio eventualmente subito da queste persone - ad esempio per via del blocco delle merci, se in definitiva vengono riconosciute come autentiche - è facilitato dal fatto che è espressamente previsto che l'autorità nazionale competente possa imporre al titolare del diritto la costituzione di una garanzia.

32. Alla luce delle osservazioni che precedono, ritengo che, qualora debbano essere applicate nell'ambito specifico del regolamento n. 3295/94, le «disposizioni nazionali relative alla protezione dei dati a carattere personale, del segreto commerciale e industriale, nonché del segreto professionale e amministrativo» a cui rinvia tale regolamento non dovranno limitare la possibilità di informare il titolare del diritto, prevista dalle disposizioni del regolamento in questione, in modo tale da privare quest'ultimo di ogni effetto utile. In particolare, le restrizioni o i divieti nazionali relativi alla possibilità di informare il titolare del diritto sono conformi alla normativa comunitaria di cui trattasi solo se soddisfano determinate condizioni. Essi devono essere specifici e giustificati e non devono frapporre all'informazione del titolare del marchio ostacoli sproporzionati rispetto all'obiettivo che perseguono. Per quanto riguarda la seconda e la terza condizione, ritengo che si debba riconoscere che restrizioni o divieti nazionali sono legittimi solo quando la tutela dei diritti e interessi del destinatario e del dichiarante assicurata dal regime istituito dal regolamento n. 3295/94 (restrizione dell'uso delle informazioni a cui il titolare del marchio ha accesso, costituzione di una garanzia) è insufficiente. In ogni caso, occorre che le disposizioni nazionali che introducono tali restrizioni e divieti abbiano una motivazione chiara e specifica che ne giustifichi l'esistenza.

33. Applicando tali constatazioni generali alla presente causa, sono indotto a concludere che la normativa comunitaria di cui trattasi, sebbene riconosca la possibilità di introdurre restrizioni e divieti relativi all'informazione del titolare del marchio, osta tuttavia all'esistenza di disposizioni nazionali contenenti una norma generale che vieti la comunicazione delle informazioni di interesse al titolare del marchio o che autorizzi tale comunicazione solo in casi eccezionali. Una restrizione nazionale di questo tipo non è né specifica, né giustificata ed è contraria al principio di proporzionalità. In conclusione, essa pregiudica l'effetto utile del regolamento n. 3295/94 e dev'essere disapplicata.

34. E. Nell'analisi che precede, ho esaminato la questione della comunicazione dell'identità del dichiarante e del destinatario di determinate merci al titolare del marchio esclusivamente alla luce delle norme specifiche di diritto comunitario derivato, come contenute nel regolamento n. 3295/94. Tuttavia occorre ancora precisare in che misura questa specifica normativa comunitaria e le possibilità di informazione del titolare del marchio che questa autorizza siano conformi alle norme fondamentali e ai principi generali di diritto comunitario. In particolare, è indispensabile precisare se la comunicazione del nome e dell'indirizzo del dichiarante e del destinatario delle merci di cui viene controllata l'autenticità sia conforme alle norme fondamentali relative alla tutela della vita privata e all'esplicazione della libertà personale.

35. E' noto che il diritto comunitario primario prevede la tutela dei diritti fondamentali della persona umana, quali sono enunciati, in particolare, nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e derivano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri . La tutela del segreto della vita privata nel contesto del diritto al rispetto della vita privata e all'esplicazione della libertà personale è un principio generale di diritto comunitario ed è sancito dall'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritto dell'uomo e delle libertà fondamentali; esso deriva inoltre dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è direttamente connesso alla cittadinanza europea sancita dal Trattato che istituisce la Comunità europea.

36. La Corte ricorda la necessità di tutelare la vita privata soprattutto in due categorie di cause. Da un lato, quando esamina la natura e la portata dei poteri di controllo conferiti alla Commissione nell'ambito dell'applicazione delle norme sulla concorrenza. La Corte ha avuto occasione di fare riferimento all'inviolabilità della vita privata, che deriva dal diritto fondamentale al rispetto della vita privata, ed ha inoltre elevato a rango di principio generale del diritto comunitario l'esigenza di proteggere ogni persona sottoposta ad interventi dei pubblici poteri nella sfera di attività privata . Dall'altro lato, nelle cause di personale, la Corte ha dichiarato che il diritto alla tutela della sfera privata «costituisce uno dei diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario»; ha inoltre stabilito che tale diritto comporta in particolare «il diritto di una persona a tenere segreto il suo stato di salute» .

37. Le istituzioni comunitarie non disciplinano in modo esauriente la questione delle informazioni personali, del segreto commerciale, industriale e amministrativo; per tale motivo, del resto, l'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94 rinvia alle disposizioni nazionali. Il legislatore comunitario ha tuttavia affrontato una questione prossima, ovvero quella della tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, nella direttiva 95/46/CE . È significativo che il decimo considerando' di tale direttiva ponga in luce la stretta relazione tra le norme relative al trattamento, alla divulgazione e all'utilizzo delle informazioni a carattere personale e il rispetto dei diritti fondamentali, in particolare del diritto alla vita privata; per questo motivo, occorre che il corpus normativo a livello nazionale e comunitario abbia come denominatore comune la garanzia di «un elevato grado di tutela nella Comunità» .

38. Dalla citata giurisprudenza e dalla direttiva 95/46 emerge che la protezione della sfera di attività privata delle persone fisiche e giuridiche occupa una posizione importante nel sistema di valori istituito dall'ordinamento giuridico comunitario. Tuttavia, tale protezione non può e non deve avere carattere assoluto. La Corte ritiene che si possano apportare restrizioni ai diritti fondamentali, «a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti» . Sulla scorta di tale principio la Corte ha dichiarato che un candidato ad un posto di dipendente di un'istituzione europea non può invocare il diritto alla protezione del segreto del suo stato di salute per rifiutare di sottoporsi ad un esame di accertamento dell'AIDS prima dell'assunzione . Allo stesso modo il dipendente che intenda ottenere il rimborso di determinate spese mediche da parte della cassa malattia deve fornire le informazioni mediche che gli vengono richieste senza poter invocare la tutela del segreto medico per evitare il rispetto di tale obbligo .

39. Lo stesso pensiero ha ispirato il legislatore nella direttiva 95/46. Egli non ha ritenuto che il diritto alla protezione della vita privata sia assoluto, cosa che condurrebbe a vietare in via generale la selezione e l'elaborazione dei dati personali. Anziché stabilire divieti assoluti, la direttiva sottolinea la necessità di garantire l'equilibrio di interessi contrapposti, tenendo soprattutto conto del principio di proporzionalità. Infatti l'elaborazione dei dati personali deve essere effettuata col consenso della persona interessata «oppure deve essere necessari[a] ai fini della conclusione o dell'esecuzione di un contratto vincolante per la persona interessata, oppure deve essere prevista dalla legge, per l'esecuzione di un compito nell'interesse pubblico o per l'esercizio dell'autorità pubblica, o nell'interesse legittimo di un singolo individuo(...)» . Inoltre l'elaborazione deve avere ad oggetto «dati adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite » . Altri due considerando della direttiva 95/46 presentano interesse nel caso di specie. In primo luogo, si riconosce espressamente che gli Stati membri possono essere indotti, in forza del diritto comunitario, a derogare alle disposizioni della direttiva in materia di diritto di accesso, di informazione delle persone e di qualità dei dati per il perseguimento di obiettivi assolutamente necessari alla prevenzione, alle indagini e ai procedimenti penali e in caso di violazioni dell'etica delle professioni regolamentate . Infine, è consentito derogare alla protezione garantita dalla direttiva alle persone interessate quando l'utilizzo di determinate informazioni «sia necessario in relazione ad un contratto o ad un'azione legale, oppure qualora il trasferimento sia necessario per la salvaguardia di un interesse pubblico rilevante, per esempio in casi di scambi internazionali di dati tra le amministrazioni fiscali e doganali (...)» .

40. Nel quadro specifico del problema giuridico esaminato nella presente causa, l'analisi che precede autorizza le seguenti conclusioni. Innanzi tutto, non sarebbe irragionevole che i dati raccolti dall'autorità doganale nell'esercizio delle proprie funzioni e relativi all'identità del dichiarante e del destinatario di merci oggetto di un controllo doganale venissero sottoposti alla regola generale che vieta la divulgazione di informazioni personali, qualora riguardino la sfera di attività privata tutelata. Un operatore che importa o esporta merci ha tutte le ragioni per non volere che i concorrenti, le persone con cui intrattiene rapporti commerciali e i consumatori abbiano accesso ai dati relativi alla sua attività. Tuttavia l'applicazione di tale regola non è così ovvia in casi specifici come quello di cui all'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94. Nell'ambito di tale articolo l'informazione del titolare del marchio è prevista per garantire determinati interessi ritenuti degni di tutela nell'ordinamento giuridico comunitario. Si tratta, da un lato, dell'interesse pubblico alla lotta contro la distribuzione di merci contraffatte o di merci usurpative; dall'altro, tale articolo è volto alla tutela dei diritti di privativa industriale.

41. Ritengo dunque che, con la soluzione proposta ai sensi dell'art. 6 del regolamento n. 3295/94, il legislatore comunitario abbia soppesato adeguatamente gli interessi contrapposti, cioè quello del dichiarante e del destinatario delle merci nonché quello del titolare del marchio e del mercato in generale. Questa soluzione, anche se si dovesse ritenere che comporta una restrizione della tutela dell'attività privata del dichiarante e del destinatario delle merci, non è tuttavia in contrasto con i principi generali di diritto comunitario, perché tale restrizione è legittima e giustificata ed è in armonia con gli obblighi derivanti dal principio di proporzionalità.

42. I seguenti argomenti confortano tale tesi: innanzi tutto, la comunicazione delle informazioni di interesse al titolare del marchio, prevista all'art. 6 del regolamento n. 3295/94, si effettua in un momento in cui esistono già gravi sospetti che fanno pensare che le merci sottoposte al controllo doganale non siano autentiche. L'autorità amministrativa competente ritiene che tali merci «corrispondono alla descrizione delle merci contraffatte o delle merci usurpative»; in altri termini, il regolamento non prevede di eliminare il segreto della vita privata o il segreto commerciale per chiunque sdogani merci, ma solo relativamente alle persone nei cui confronti esistono gravi sospetti di infrazione.

43. Inoltre, come già ho osservato sopra, la comunicazione al titolare del marchio dell'identità del destinatario e del dichiarante ha un obiettivo preciso: chi accede alle informazioni può utilizzarle solo per adire l'autorità nazionale competente a decidere se le merci in questione siano realmente merci contraffatte. Ribadisco che le esigenze della lotta contro determinate infrazioni o quelle dell'amministrazione della giustizia giustificano l'introduzione di eccezioni alle norme adottate per la tutela della vita privata e del segreto commerciale.

44. Infine, le garanzie supplementari offerte al dichiarante e al destinatario non sono prive di rilievo. Tali garanzie sono state descritte sopra e ritengo utile ricordarle. In primo luogo, dalla formulazione complessiva dell'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento n. 3295/94, risulta che, prima che il titolare del marchio ottenga la comunicazione del nome e dell'indirizzo del dichiarante e del destinatario, questi ultimi vengono informati dal servizio amministrativo competente dei sospetti esistenti in merito all'autenticità delle merci controverse; essi possono quindi prendere provvedimenti, che consistono essenzialmente nel ritirare le merci. In secondo luogo, ed è il punto più importante, il dichiarante e il destinatario sono tutelati dalla garanzia costituita dal titolare del marchio, nel caso in cui questi facesse cattivo uso delle informazioni a cui ha accesso ai sensi dell'art. 6 del regolamento n. 3295/94 o qualora, al termine della procedura, si accerti che le merci sottoposte al blocco non sono né contraffatte né usurpative.

45. Di conseguenza, le disposizioni dell'art. 6 del regolamento n. 3295/94 non possono essere considerate in contrsato con i principi generali del diritto comunitario.

VII - Conclusione

46. Alla luce delle osservazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere nei seguenti termini la questione pregiudiziale che le è stata sottoposta:

«L'art. 6, n. 1, secondo comma, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, che fissa misure intese a vietare l'immissione in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il vincolo ad un regime sospensivo di merci contraffatte e di merci usurpative, osta alla normativa nazionale che vieti in linea di principio ovvero autorizzi solo in casi del tutto eccezionali la comunicazione al titolare di un marchio del nome e dell'indirizzo del dichiarante e del destinatario di merci sottoposte ad un controllo doganale, informazioni intese a consentirgli di adire l'autorità nazionale competente a decidere se tali merci siano merci contraffatte o usurpative».