61996C0274

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 19 marzo 1998. - Procedimento penale a carico di Horst Otto Bickel e Ulrich Franz. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura circondariale di Bolzano, sezione distaccata di Silandro - Italia. - Libera circolazione delle persone - Parità di trattamento - Regime linguistico applicabile ai procedimenti penali. - Causa C-274/96.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-07637


Conclusioni dell avvocato generale


1 Può un cittadino di uno Stato membro invocare il principio di non discriminazione sulla base della cittadinanza affinché gli venga concesso il diritto di chiedere che il procedimento penale promosso a suo carico in un altro Stato membro si svolga in una lingua diversa dalla lingua ufficiale di tale Stato ove detto diritto sia concesso a taluni cittadini dello stesso Stato membro? Tale è la questione sollevata nei procedimenti penali pendenti in Italia contro i signori Bickel e Franz. Il signor Bickel è un camionista austriaco imputato per guida in stato di ebbrezza; il signor Franz è un cittadino tedesco processato per detenzione di un coltello di tipo proibito in occasione di una sua visita turistica in Alto Adige. I procedimenti penali nei loro confronti si svolgono a Bolzano, nella Regione Trentino - Alto Adige, ove per la presenza di una significativa minoranza di popolazione di lingua tedesca il tedesco ha il medesimo status dell'italiano. I residenti della Provincia di Bolzano hanno così il diritto di optare per l'uso del tedesco nei procedimenti penali. La questione sollevata nella causa principale è se il diritto comunitario esiga che tale opzione sia estesa ai signori Bickel e Franz.

Fatti

2 L'art. 6 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica tutela le minoranze linguistiche. In attuazione di tale norma, l'art. 99 del DPR n. 670/1972 stabilisce che nella Regione Trentino - Alto Adige il tedesco gode del medesimo status dell'italiano, lingua ufficiale dello Stato. L'art. 100 del decreto stabilisce, fra l'altro, che i cittadini di lingua tedesca della Provincia di Bolzano hanno diritto ad usare la propria lingua nei rapporti con le autorità giudiziarie di tale provincia. Appare evidente che per «cittadini» si intende coloro che risiedono a Bolzano.

3 Il DPR n. 574/1988 contiene ulteriori norme relative all'uso delle lingue nei rapporti fra talune autorità giudiziarie e i cittadini della Provincia di Bolzano. Ai sensi dell'art. 15 di detto decreto, un'autorità giudiziaria, quando procede alla formulazione di un atto processuale da comunicare o notificare all'indiziato o all'imputato, deve «usare la lingua presunta di quest'ultimo, individuata in base alla notoria appartenenza ad un gruppo linguistico e ad altri elementi già acquisiti al processo». A norma dell'art. 16 del decreto, l'imputato può optare per l'altra lingua (tedesco o italiano, a seconda dei casi) quando venga interrogato per la prima volta dal giudice. Ai sensi dell'art. 17, l'imputato può decidere, dopo il primo interrogatorio, «che il processo prosegua nell'altra lingua con dichiarazione da lui sottoscritta, resa personalmente, o fatta pervenire all'organo procedente tramite il suo difensore».

4 Il governo italiano rileva nelle sue osservazioni scritte che esistono in Italia tre minoranze linguistiche principali, cioè la tedesca, la francese e la slovena. Non vige però una disciplina unica a tutela di tali minoranze; la tutela è accordata nel quadro degli statuti di autonomia delle regioni in cui tali minoranze sono presenti (rispettivamente: Trentino - Alto Adige, Valle d'Aosta e Friuli - Venezia Giulia).

5 E' pacifico che le norme di cui trattasi riguardano soltanto i residenti di Bolzano. Gli altri cittadini italiani non hanno il diritto di optare per l'uso del tedesco nei procedimenti giudiziari.

6 Il signor Bickel è un camionista austriaco di madrelingua tedesca, residente in Nüziders, Austria. Il 15 febbraio 1994 veniva fermato a bordo del veicolo che conduceva da una pattuglia di polizia in Castelbello (Bolzano) e gli veniva contestata la guida in stato di ebbrezza, in contravvenzione all'art. 186, secondo comma, del Codice della strada. Il 24 luglio 1995 il Pretore di Bolzano emetteva un decreto penale in italiano per effetto del quale l'imputato veniva condannato ad una ammenda di 876 000 LIT (in parziale sostituzione di 5 giorni di arresto) e la sua patente di guida veniva sospesa per 25 giorni. Poiché non era possibile notificare all'imputato il decreto penale, il Pretore di Bolzano lo revocava il 5 ottobre 1995 ed emetteva un decreto di citazione a giudizio ordinario, nella specie dinanzi alla Pretura circondariale di Bolzano. Anche questo atto di revoca veniva redatto soltanto in italiano. Il 21 ottobre 1995 l'imputato veniva invitato, in tedesco ed in italiano, ad eleggere domicilio in Italia ai fini delle indagini concernenti l'anzidetta contravvenzione. Egli non dava seguito all'invito. L'8 marzo 1996 veniva notificato al suo difensore un decreto di citazione a giudizio all'udienza fissata per il 25 giugno 1996. Tale decreto, per quanto riguardava il capo di imputazione, era redatto in italiano. L'udienza veniva in seguito rinviata al 23 luglio 1996 con ordinanza redatta in italiano. Il 5 luglio 1996 l'imputato faceva pervenire alle autorità giudiziarie un documento nel quale dichiarava di non conoscere l'italiano e chiedeva che il procedimento nei suoi confronti si svolgesse nella sua madrelingua. All'udienza del 23 luglio 1996 il difensore dell'imputato reiterava la richiesta, basandosi sul diritto comunitario e chiedendo che venisse adita questa Corte.

7 Il signor Franz è un cittadino tedesco di madrelingua tedesca, residente in Peissenberg, Germania. Nel maggio 1995 si recava in Alto Adige in visita turistica. Il 5 giugno 1995, durante un controllo doganale al passo di Tubre, gli veniva contestata una contravvenzione all'art. 4 della legge n. 110/75, vale a dire la detenzione di un coltello di tipo proibito. L'8 marzo 1996 veniva notificato all'imputato un decreto bilingue di citazione a giudizio per l'udienza preliminare fissata per il 25 giugno 1996. Tale udienza veniva rinviata al 23 luglio 1996 con ordinanza redatta in italiano. Il 1_ luglio 1996 l'imputato faceva pervenire all'autorità giudiziaria un documento nel quale dichiarava di non conoscere la lingua italiana e chiedeva che il procedimento nei suoi confronti si svolgesse quindi nella sua madrelingua.

8 In entrambi i casi la Pretura circondariale di Bolzano sottoponeva alla Corte di giustizia la seguente questione:

«Impongono i principi della non discriminazione ai sensi dell'art. 6, primo comma, del diritto di viaggio e di soggiorno dei cittadini dell'Unione ai sensi dell'art. 8 A nonché della libertà dei servizi ai sensi dell'art. 59 del Trattato, che a un cittadino dell'Unione il quale possiede la cittadinanza di uno Stato membro e dimora in un altro Stato membro venga concesso il diritto di chiedere che un procedimento penale nei suoi confronti venga svolto in un'altra lingua, quando i cittadini di questo Stato, che si trovano nella stessa situazione, godono di tale diritto?».

9 Il giudice della causa principale rileva che le norme italiane controverse devono essere interpretate in modo tale che tutti i cittadini della Comunità possano chiedere che i procedimenti penali o civili si svolgano in tedesco qualora essi lo desiderino. Ove ai cittadini della Comunità non venisse riconosciuto tale diritto si avrebbe una patente violazione del principio di non discriminazione in base alla cittadinanza contenuto nell'art. 6 del Trattato CE. Le norme procedurali controverse vengono fatte ricadere nell'ambito di applicazione del Trattato ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 8 A, in particolare il diritto di libera circolazione riconosciuto a tutti i cittadini dell'Unione europea, e di cui all'art. 59 sulla libera prestazione dei servizi. Il giudice della causa principale considera che nella fattispecie vi è un nesso sufficientemente stretto con queste libertà, e quindi con il Trattato, per far riferimento al principio di non discriminazione.

10 La presente controversia solleva due questioni: in primo luogo, se la scelta della lingua nei procedimenti penali dinanzi al giudice a quo rientri nell'ambito del Trattato; in secondo luogo, se le disposizioni italiane, interpretate in maniera tale da negare ai signori Bickel e Franz il diritto di utilizzare la lingua tedesca, comportino una discriminazione in base alla cittadinanza.

11 La Corte ha già avuto occasione, pronunciandosi nella causa Mutsch (1), di esaminare se un cittadino lussemburghese avesse il diritto di utilizzare il tedesco in un procedimento penale promosso in un comune belga di lingua tedesca, dato che la legge belga accordava tale diritto ai cittadini belgi ivi residenti. Tuttavia, a differenza dei signori Bickel e Franz, il signor Mutsch era un lavoratore migrante che risiedeva nello Stato membro in questione. La Corte ha basato la sua conclusione secondo cui egli aveva il diritto di utilizzare il tedesco sul fatto che la facoltà per un lavoratore migrante di utilizzare la propria lingua nei procedimenti giudiziari alla pari dei lavoratori cittadini dello Stato era importante per garantire l'integrazione sua e della sua famiglia nel paese ospitante e che questa facoltà era ricompresa nella nozione di «vantaggio sociale» ai sensi dell'art. 7, secondo comma, del regolamento (CEE) n. 1612/68 (2). Tale pronuncia non offre perciò una soluzione immediata a nessuna delle questioni sollevate nella causa di cui trattasi.

Ambito di applicazione del Trattato

12 L'art. 6 del Trattato vieta ogni discriminazione effettuata sulla base della cittadinanza «nel campo di applicazione del presente Trattato». La prima questione è dunque stabilire se l'asserita discriminazione nella fattispecie in esame rientri nell'ambito di applicazione del Trattato.

13 Nel caso del signor Franz un legame sufficiente con il Trattato potrebbe essere fornito dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1991, 91/477/CEE, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi (3). Tale direttiva mira al ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia di armi ai fini dell'abolizione dei controlli e delle formalità alle frontiere intracomunitarie (4). Essa riguarda soprattutto le armi da fuoco, ma contiene anche norme su altri tipi di armi. In particolare, l'art. 14 impone agli Stati membri di adottare tutte le disposizioni per vietare l'ingresso nel loro territorio di un'arma diversa da un'arma da fuoco, a meno che le disposizioni nazionali dello Stato membro non lo consentano. Inoltre, l'art. 16 prevede che gli Stati membri introducano sanzioni da applicare in caso di inosservanza delle disposizioni adottate in attuazione della direttiva.

14 L'ordinanza di rinvio afferma che il signor Franz è stato denunciato a seguito di un controllo doganale. Qualora il signor Franz si fosse trovato in procinto di entrare in Italia - o vi fosse entrato - in possesso di un'arma proibita (o, eventualmente, qualora stesse tentando di recarsi in un altro Stato membro in possesso di tale arma), la sua situazione sarebbe rientrata nell'ambito del diritto comunitario, con la conseguenza che il procedimento penale nei suoi confronti sarebbe soggetto al divieto di discriminazione sulla base della cittadinanza.

15 E' dubbio comunque se la Corte possa decidere adeguatamente del caso del signor Franz su tale base; in ogni modo nel caso del signor Bickel non esiste siffatta connessione con il diritto comunitario. Sembra che non ci siano norme nel Trattato o nel diritto comunitario che, in quanto tali, possano riguardare il merito delle accuse mosse al signor Bickel, cioè la guida in stato di ebbrezza. Il caso del signor Bickel solleva dunque la questione generale se un procedimento penale contro un cittadino della Comunità fondato sui fatti asseriti, che sono occorsi mentre costui esercitava il suo diritto alla libera circolazione, rientri nell'ambito di applicazione del Trattato e sia quindi soggetto al divieto di discriminazione sulla base della cittadinanza.

16 Mi sembra, alla luce della sentenza Cowan/Trésor public (5), che tale questione debba essere risolta in senso affermativo. In tale causa un cittadino britannico, mentre era in visita turistica in Francia, rimase ferito durante un'aggressione e chiese un indennizzo in base ad un regime previsto dal codice francese di procedura penale. Tale indennizzo gli venne negato a causa della sua cittadinanza. Il governo francese sosteneva che le disposizioni nazionali non comportavano alcuna restrizione della libera circolazione e che, inoltre, il diritto all'indennizzo costituiva una manifestazione del principio di solidarietà nazionale e presupponeva un legame con lo Stato più stretto di quello di un destinatario di servizi (6). La Corte non accolse tale opinione (7):

«Allorché il diritto comunitario garantisce la libertà per le persone fisiche di recarsi in un altro Stato membro, la tutela dell'integrità personale in detto Stato membro costituisce, alla stessa stregua dei cittadini e dei soggetti che vi risiedano, il corollario della libertà di circolazione. Ne discende che il principio di non discriminazione va applicato ai destinatari di servizi ai sensi del trattato quanto alla protezione contro i rischi di aggressione ed il diritto di ottenere una riparazione pecuniaria contemplata dal diritto nazionale allorché un'aggressione si sia verificata. La circostanza che l'indennizzo di cui è causa sia finanziato dal pubblico erario non può modificare il regime di tutela dei diritti garantiti dal trattato».

17 La Corte respinse, del pari, la tesi secondo la quale l'indennizzo in esame apparteneva all'ordinamento processuale penale, che non rientrava nella sfera di applicazione del Trattato. Sebbene la legislazione penale e le norme di procedura penale siano, in linea di principio, riservate alla competenza degli Stati membri, il diritto comunitario pone limiti a tale competenza (8):

«Le norme considerate non possono infatti porre in essere discriminazioni nei confronti di soggetti cui il diritto comunitario attribuisce il diritto alla parità di trattamento né limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario».

18 Benché la causa Cowan riguardasse la vittima di un comportamento delittuoso, lo stesso principio può essere applicato ai diritti di un soggetto imputato in un procedimento penale. Tali diritti sono altrettanto fondamentali e devono essere allo stesso modo considerati un corollario del diritto alla libera circolazione.

19 Nella sentenza Cowan l'unico collegamento con il diritto comunitario consisteva nella circostanza che i fatti erano avvenuti mentre il signor Cowan era in Francia come destinatario di servizi. Considerando che ciò fosse sufficiente a determinare il divieto di discriminazione, la Corte ha effettivamente fatto rientrare nell'ambito della protezione offerta dall'art. 6 qualsiasi persona che eserciti il diritto di recarsi in un altro Stato membro (9).

20 La conclusione che si può trarre dalla sentenza Cowan si impone a maggior ragione alla luce delle successive modifiche del Trattato, introdotte dal Trattato sull'Unione europea. La seconda parte del Trattato CE è ora intitolata «Cittadinanza dell'Unione», e tale cittadinanza è istituita dall'art. 8, primo comma. L'art. 8 A, primo comma, dispone quanto segue:

«Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso».

21 In base a tale norma si può concludere che, ove un cittadino eserciti il proprio diritto di circolare e di risiedere nel territorio degli Stati membri, la sua situazione rientra nella sfera di applicazione del Trattato ai fini del divieto di discriminazione effettuata sulla base della cittadinanza. Pertanto ciò suffraga nuovamente la conclusione che tale divieto si applica ai procedimenti penali sorti in occasione dell'esercizio della libertà di movimento di un cittadino.

22 Non è necessario nel caso in esame che la Corte si pronunci sulla più ampia questione se tutti i procedimenti penali contro un cittadino dell'Unione rientrino nell'ambito di applicazione del Trattato ai sensi dell'art. 6, anche ove egli non abbia esercitato il proprio diritto alla libera circolazione. Ad esempio, sarebbe legittimato un cittadino dello Stato membro A, imputato di un reato nello Stato membro B a cagione di commenti pubblicati in un giornale dello Stato membro B, ad avvalersi dell'art. 6 del Trattato?

23 Forse però è arrivato il momento di rispondere affermativamente anche a tale quesito. La nozione di cittadinanza europea implica una comunanza di diritti e di obblighi che unisce i cittadini dell'Unione in un vincolo comune che trascende la cittadinanza dello Stato membro. L'introduzione di tale nozione è stata ampiamente determinata dall'intento di rendere l'Unione più vicina ai suoi cittadini e di esprimere la sua natura come qualcosa di diverso da un'unione puramente economica. Detto intento si rispecchia nell'eliminazione del termine «economica» dalla denominazione della Comunità (anch'essa operata dal Trattato sull'Unione europea) e nella progressiva introduzione nel Trattato CE di un'ampia gamma di attività e di politiche che esulano dal campo dell'economia.

24 In questo contesto sarebbe difficile spiegare ad un cittadino dell'Unione come, nonostante il tenore degli artt. 6, 8 e 8 A del Trattato, sia consentito a uno Stato membro diverso dal proprio di discriminarlo sulla base della cittadinanza nell'ambito di un procedimento penale svolto nei suoi confronti nel territorio di detto Stato. Il fatto che non vi sia discriminazione fondata sulla cittadinanza è il diritto più essenziale conferito dal Trattato e deve essere considerato come una componente essenziale della cittadinanza europea (10).

25 Siffatta conclusione non comporta naturalmente un trasferimento alla Comunità delle competenze degli Stati membri in materia penale. Essa riconosce semplicemente la circostanza che, come la Corte ha rilevato nella sentenza Cowan, gli Stati membri devono esercitare i propri poteri in quest'ambito in conformità (11) del principio fondamentale della parità di trattamento.

26 E' vero che in alcuni casi in cui si era preso in esame l'art. 6 la Corte ha tentato di stabilire un nesso con gli scambi intracomunitari: ciò sembra essersi verificato nella sentenza Phil Collins e a. (12), che riguardava il diritto di autore e i diritti ad esso correlati, e nelle sentenze Data Delecta e Forsberg nonché Hayes (13), per quanto riguarda le norme sulla cautio judicatum solvi nei procedimenti civili. Tuttavia da ciò non può desumersi che la Corte abbia respinto una visione più ampia dell'ambito di applicazione dell'art. 6.

27 Va infine sottolineato che non tutte le disposizioni che esplicano effetti a danno in particolare degli stranieri comportano una discriminazione incompatibile con l'art. 6. In particolare è lecito per gli Stati membri dimostrare che i vantaggi riservati ai cittadini o ai residenti sono obiettivamente giustificati da motivi non correlati alla cittadinanza. E' comunque sempre più difficile capire perché il diritto comunitario debba ammettere un qualsivoglia tipo di disparità di trattamento meramente basato sulla cittadinanza, se non nel caso in cui siano in gioco caratteristiche essenziali della stessa, quali l'accesso ad una limitata categoria di posti nel pubblico impiego o l'esercizio di taluni diritti politici (14).

La questione della discriminazione

28 Procedo quindi alla questione se la normativa italiana in esame discrimini i signori Bickel e Franz.

29 Il governo italiano nega che ci si trovi di fronte ad una discriminazione fondata sulla cittadinanza. Esso rileva che il diritto ad optare per l'uso del tedesco è indissolubilmente legato alla «cittadinanza della Provincia di Bolzano». Un cittadino di un altro Stato membro che sia temporaneamente presente è nella medesima situazione di un cittadino italiano che sia presente allo stesso modo, essendo anche a quest'ultimo negato il diritto controverso.

30 Il governo italiano aggiunge che i non residenti non prendono parte al contesto sociale, alle condizioni di vita e ai problemi che sono specifici ed esclusivi per i residenti della Provincia di Bolzano. La normativa mira soltanto a tutelare una specifica minoranza linguistica in Italia, riconoscendo al tempo stesso la sua identità etnica e culturale. Sarebbe inoltre del tutto sproporzionato consentire all'imputato di optare per l'uso della propria madrelingua, al fine di salvaguardare i diritti della difesa; tali diritti sono salvaguardati con altri mezzi, quali il diritto ad avere gratuitamente un interprete, in conformità delle pertinenti disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici (15).

31 Riguardo a quest'ultimo punto il governo italiano fa riferimento ad una recente sentenza della Corte costituzionale nella quale è stato affermato che l'ambito di applicazione delle norme a tutela delle minoranze linguistiche è diverso da quello delle norme sui diritti della difesa. Queste ultime norme, relativamente al regime linguistico, mirano all'adeguata comprensione da parte dell'imputato degli aspetti processuali, potendosi supporre che questa verrebbe a mancare quando l'interessato non abbia una perfetta conoscenza della lingua ufficiale. Le norme a tutela delle minoranze linguistiche sono invece conseguenza di una speciale tutela costituzionale, corrispondente al patrimonio culturale di un particolare gruppo etnico, e, pertanto, prescindono dalla circostanza concreta che l'appartenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua ufficiale (16). Il governo italiano ne trae la conclusione, a proposito della controversia in esame, che il diritto dei residenti della Provincia di Bolzano di optare per l'uso del tedesco non dipende dalla loro capacità o meno di usare la lingua italiana. Nei casi in cui l'imputato non conosca la lingua italiana, la legge italiana prevede diversi mezzi per far fronte a tale problema.

32 La Commissione dubita che le norme italiane operino una discriminazione sulla base della cittadinanza. Il diritto di optare per l'uso della lingua tedesca non è concesso a tutti i cittadini italiani. Esso è conferito solo ai residenti della Provincia di Bolzano. Inoltre, benché una condizione fondata sulla residenza possa costituire una discriminazione indiretta effettuata sulla base della cittadinanza, trattamenti differenziati fondati sulla residenza possono essere giustificati da elementi obiettivi.

33 Va innanzi tutto chiarita la portata precisa della normativa italiana. Dalla sentenza Mutsch si evince che la scelta della lingua tedesca negli atti processuali non può essere limitata ai cittadini italiani, ma deve essere estesa ai cittadini di altri Stati membri che siano residenti nella Provincia di Bolzano. Secondo il governo italiano ciò si verifica effettivamente. Ritengo perciò che la normativa italiana non operi una discriminazione diretta in base alla cittadinanza.

34 L'art. 6 del Trattato, comunque, vieta anche la discriminazione indiretta. Una norma è indirettamente discriminatoria nei confronti di cittadini di altri Stati membri se essa:

a) opera a specifico detrimento di un gruppo che consta principalmente di cittadini di altri Stati membri (ad esempio, i non residenti);

e

b) non è basata su elementi obiettivi indipendenti dalla cittadinanza o non è proporzionata (17).

35 Per il fatto di trattare in maniera diversa soggetti che si trovano sostanzialmente nella medesima situazione, tale norma viola il principio della parità di trattamento.

36 La prima questione è, quindi, se la norma operi a specifico detrimento dei cittadini di altri Stati membri. A mio avviso ciò si verifica sicuramente. La norma opera a specifico detrimento delle persone di madrelingua tedesca che visitino la Provincia di Bolzano provenendo dalla Germania e dall'Austria (i quali saranno in maggioranza cittadini tedeschi e austriaci), perché questi ultimi sono tutti, senza eccezioni, esclusi dalla facoltà di optare per il tedesco nel corso di un procedimento penale, mentre la maggior parte degli italiani residenti che siano oggetto di procedimento nella Provincia di Bolzano può usare il tedesco qualora lo voglia.

37 Non è pertinente l'argomento addotto dalla Commissione e dal governo italiano secondo il quale neanche i cittadini italiani non residenti nella Provincia di Bolzano possono scegliere il tedesco. Essendo di lingua italiana, la schiacciante maggioranza dei residenti italiani non ha alcun interesse pratico nello scegliere il tedesco. In altri termini, ai visitatori tedeschi e austriaci è, senza eccezioni, negato un beneficio concesso alla maggioranza dei residenti italiani che intendano effettivamente beneficiare di tale vantaggio (18).

38 Il presente caso differisce dai casi in cui un vantaggio che potrebbe essere di interesse per i residenti in generale è riservato ai residenti locali. Supponiamo, ad esempio, che ad opera della normativa pertinente gli scavi di Pompei fossero aperti gratuitamente fuori stagione per i residenti di Napoli e dintorni. Sarebbe difficile sostenere che tale norma operi a specifico detrimento dei cittadini degli altri Stati membri visto che anche la grande maggioranza dei residenti italiani ne sarebbe colpita. Per contro, il beneficio di cui al presente caso, benché di carattere regionale nella forma, è in realtà diretto ad una categoria generale di residenti, quella di madrelingua tedesca.

39 Sorge pertanto la questione se il trattamento differenziato sia obiettivamente giustificato. Sarebbe evidentemente difficile proporre qualsiasi giustificazione di tipo amministrativo se, come sembra verificarsi nella fattispecie, gli organi giurisdizionali penali locali sono organizzati per istruire in ampia misura procedimenti in lingua tedesca, ma sono obbligati ad esaminare le cause contro i turisti di madrelingua tedesca in italiano (all'udienza il difensore dei signori Bickel e Franz, di madrelingua tedesca (19), ha affermato che il loro caso era esaminato da giudici di madrelingua tedesca e che il pubblico ministero era di madrelingua tedesca).

40 Non c'è dubbio che, pur con l'ausilio di un interprete, l'imputato di un procedimento penale che non sia molto pratico della lingua processuale è in una sostanziale situazione di svantaggio. Sarebbe tuttavia eccessivamente oneroso chiedere ad uno Stato di fare sì che i procedimenti penali siano condotti in tutte le lingue della Comunità. E' tuttavia palese che tale giustificazione non possa essere avanzata laddove, come nel caso specifico, gli organi giurisdizionali locali utilizzino di regola la lingua del visitatore. Secondo il difensore dei signori Bickel e Franz, la richiesta di usare la lingua italiana comporterebbe nei loro casi, se non altro, spese aggiuntive dato che gli imputati avrebbero gratuitamente diritto ad un interprete. In mancanza pertanto di qualsiasi impedimento di tipo amministrativo, si deve cercare un'altra giustificazione.

41 Non è neanche possibile a mio parere, come sostiene il governo italiano, giustificare la norma basandosi sulla sua finalità di tutela nei confronti della minoranza linguistica tedesca della Provincia di Bolzano. Ammetto pienamente che la norma in esame sia necessaria allo scopo completamente legittimo di tutelare una minoranza linguistica di uno Stato membro, scopo non correlato alla cittadinanza. Il problema tuttavia consiste nel fatto che l'esclusività della norma, vale a dire il diniego del beneficio per i visitatori provenienti da altri Stati membri, non costituisce un mezzo necessario o appropriato per raggiungere tale scopo. In altri termini, la norma è sproporzionata (20). Il rifiutare ad un visitatore l'uso del tedesco non è assolutamente necessario a tale scopo. Semmai produce un effetto contrario: rafforza l'italiano come lingua principale anche nella zona di Bolzano, prevalentemente di lingua tedesca. Se un residente di madrelingua tedesca della Provincia di Bolzano invita un parente o un amico proveniente dalla Germania, dall'Austria o dalla Svizzera a fargli visita, qualsiasi procedimento penale condotto contro il parente o l'amico si svolgerebbe in italiano. E' difficile immaginare come ciò possa servire a tutelare la minoranza linguistica tedesca della Provincia di Bolzano.

Conclusioni

42 Di conseguenza la questione sollevata dalla Pretura circondariale di Bolzano va risolta come segue:

«Qualora uno Stato membro conceda ai residenti in una parte del suo territorio il diritto di utilizzare una lingua diversa dalla sua lingua ufficiale in procedimenti penali promossi contro di loro, l'art. 6 del Trattato CE va interpretato nel senso che esso prescrive a detto Stato che il medesimo diritto sia riservato ai cittadini di altri Stati membri che si trovino in visita su detto territorio se tali cittadini hanno come madrelingua tale altra lingua».

(1) - Causa 137/84, Pubblico ministero/Mutsch (Racc. 1985, pag 2681).

(2) - Regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).

(3) - GU L 256, pag. 51.

(4) - V. il terzo `considerando' del preambolo.

(5) - Causa 186/87 (Racc. 1989, pag. 195).

(6) - V. punto 16 della sentenza.

(7) - Al punto 17.

(8) - Punto 19 della sentenza.

(9) - V., anche a questo proposito, J. Mertens de Wilmars, «L'arrêt Cowan», in Cahiers de droit européen 1990, pagg. 388-402. V. pure K. Lenaerts, «L'égalité de traitement en droit communautaire», in Cahiers de droit européen 1991, pagg. 3-41, in particolare pag. 28, che trae dalla sentenza Cowan, confrontata con la sentenza Mutsch, la conclusione che «(...) il paraît légitime d'affirmer que si Mutsch n'avait pas été un travailleur migrant, mais bien un touriste luxembourgeois de passage a Saint-Vith en Belgique qui s'était laissé impliquer dans une procédure pénale, il aurait pu lui aussi prétendre au bénéfice du traitement de son affaire en allemand sur la base des articles précités (7 et 59-60) du traité (...)».

(10) - V. anche, al riguardo, N. Bernard, «What are the purposes of EC discrimination law?», in Discrimination Law - Concepts, Limitations and Justifications, a cura di Dine e Watt, Longman, 1996, pag. 91 e ss.

(11) - V. supra, paragrafo 17.

(12) - V. cause riunite C-92/92 e C-326/92, Phil Collins e a. (Racc. 1993, pag. I-5145).

(13) - V. cause C-43/95, Data Delecta e Forsberg (Racc. 1996, pag. I-4661), e C-323/95, Hayes/Kronenberger (Racc. 1997, pag. I-1711).

(14) - V. anche F. Schockweiler, «La portée du principe de non-discrimination de l'article 7 du Traité CEE», in Rivista di diritto europeo 1991, pagg. 22 e 23.

(15) - Sia l'art. 6, n. 3, lett. e), della Convenzione sia l'art. 14, n. 3, lett. f), del Patto garantiscono che chiunque sia imputato di un reato ha diritto di «farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nell'udienza» (entrambi i documenti estendono la protezione soltanto alla lingua utilizzata nell'udienza, non ad altri aspetti del procedimento).

(16) - Sentenza 29 gennaio 1996, n.15 (GURI, Serie speciale, 7 febbraio 1996, n. 6).

(17) - V., in particolare, causa C-237/94, O'Flynn/Adjudication Officer (Racc. 1996, pag. I-2617).

(18) - Per un caso analogo v. sentenza 15 gennaio 1998, causa C-15/96, Schöning-Kougebetopoulou (Racc. pag. I-47) in particolare punto 23, e paragrafi 12-14 delle mie conclusioni cui la sentenza fa riferimento.

(19) - Autorizzato ad utilizzare la lingua tedesca ai fini dell'udienza ai sensi dell'art. 29, n. 2, lett. c), del regolamento di procedura, nonostante che la lingua processuale fosse l'italiano.

(20) - Per un recente caso in cui la Corte ha respinto la giustificazione di una disposizione poiché è sproporzionata la mancata estensione ai non residenti del beneficio, con essa conferito, v. sentenza 27 novembre 1997, causa C-57/96, Meints (Racc. pag. I-6689).