61996C0010

Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 7 novembre 1996. - Ligue royale belge pour la protection des oiseaux ASBL e Société d'études ornithologiques AVES ASBL contro Regione vallona, in presenza di Fédération royale ornithologique belge ASBL. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Conseil d'Etat - Belgio. - Direttiva del Consiglio 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici - Divieto di cattura - Deroghe. - Causa C-10/96.

raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-06775


Conclusioni dell avvocato generale


1 La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda le condizioni cui uno Stato membro può fruire di una deroga al divieto di catturare uccelli allo stato selvativo, in particolare se una deroga siffatta sia giustificata laddove l'immediata attuazione del divieto rischi di danneggiare taluni allevatori dilettanti ovvero sussista un rischio di consanguineità in popolazioni di uccelli viventi in cattività.

I - Fatti e contesto normativo nazionale

2 La pratica della tesa («tenderie»), che consiste essenzialmente nella cattura di taluni piccoli uccelli, in special modo fringuelli, per mezzo di un laccio o di una rete (1), è stata a lungo un passatempo nella Regione vallona del Belgio. Secondo una delle parti nella causa principale, la cattura e la detenzione di uccelli selvatici sono «pratiche ancestrali radicate in Vallonia (...) per nulla condannate dai regolamenti internazionali». Così il Regno del Belgio, all'atto del deposito del suo strumento di ratifica (2) della convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale del 19 settembre 1979 (3), formulava una riserva in conformità dell'art. 9, n. 1, di quest'ultima (largamente identico, quanto alla formulazione letterale, all'art. 9, n. 1, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici; in prosieguo: la «direttiva»), (4) nel senso che «la cattura di uccelli a fini ricreativi continuerà nella Regione vallona», quantunque ostensibilmente «fatti salvi i testi comunitari».

3 L'art. 3 del regio decreto 20 luglio 1972 sulla protezione degli uccelli vietava, tra l'altro, la cattura di tutte le specie viventi naturalmente allo stato selvatico nei paesi del Benelux (5). L'art. 9 autorizzava il ministero dell'Agricoltura a permettere deroghe temporanee al decreto al servizio della scienza e della conservazione della natura, per prevenire danni o promuovere un interesse locale. Un decreto ministeriale che disciplinava la detenzione e lo scambio di uccelli e permetteva l'approvvigionamento temporaneo di uccelli veniva conseguentemente adottato il 17 settembre 1973 (6). L'unico `considerando' del preambolo rileva che «al fine di poter mantenere gli allevamenti di uccelli ed i concorsi canori dei fringuelli è auspicabile autorizzare un approvvigionamento temporaneo (...) di uccelli prelevati dall'ambiente naturale, ad uso degli allevatori di uccelli e degli amatori di fringuelli nell'attesa di poter disporre di un numero sufficiente di uccelli provenienti degli allevamenti». La stagione di cattura era prevista dal 10 ottobre al 15 novembre di ogni anno, mentre l'elenco delle specie ed il numero di esemplari catturabili doveva essere stabilito dal ministro su base annua.

4 In seguito all'entrata in vigore della direttiva, l'esecutivo regionale della Regione vallona emanava il decreto 28 luglio 1982 «sulla cattura e lo scambio di uccelli e l'autorizzazione al temporaneo riapprovvigionamento di uccelli», che sostituiva in quella regione il decreto del 1973 (7). Il decreto del 1982 autorizzava il ministro responsabile per la «pratica della tesa» nella Regione vallona a fissare annualmente le specie catturabili, il calendario e la durata della stagione di cattura, nonché il numero di anelli che potevano essere assegnati a ciascun predatore; la condizione che gli uccelli catturati per l'approvvigionamento fossero subito inanellati era diretta a garantire l'osservanza del tetto massimo fissato di esemplari catturabili in una data stagione. La continuazione di tali attività era soggetta alla concessione di un permesso; nel territorio della Regione vallona poteva concedersi un massimo di 4 300 permessi di tal sorta (8). Con sentenza 8 luglio 1987 (9) la Corte dichiarava che tali disposizioni relative alla cattura di uccelli selvatici ponevano in essere una violazione della direttiva.

5 Il 13 settembre 1990 l'esecutivo regionale vallone adottava un decreto sul riapprovvigionamento degli allevatori di uccelli che consentiva la cattura di un numero fisso di uccelli selvatici di ognuna delle 13 specie, per un totale di 40 580 esemplari (10). Tale decreto veniva annullato dal Conseil d'Etat del Belgio con sentenza 11 giugno 1991, parecchi mesi dopo il termine della stagione di cattura. Una sorte analoga attendeva i decreti di riapprovvigionamento 26 settembre 1991 e 8 ottobre 1992 (11), entrambi annullati con sentenze 4 novembre 1994; in ogni caso il Conseil d'Etat dichiarava che la cattura degli uccelli in questione era vietata ai sensi della direttiva, che la Regione vallona aveva l'obbligo di dimostrare l'inesistenza di altre soluzioni soddisfacenti e che essa era venuta meno all'adempimento di un siffatto obbligo. In particolare, il Conseil d'Etat non riteneva che la cattura in ambiente naturale fosse giustificata nell'attesa del risultato degli studi sulla fattibilità dell'allevamento ordinati dall'esecutivo regionale vallone.

6 Nell'ottobre 1992 il ministero competente della Regione vallona commissionava alla facoltà di medicina veterinaria dell'Università di Liegi uno studio sulla fattibilità dell'allevamento di uccelli indigeni nella regione per gli anni 1993 e 1994. La relazione aveva anche lo scopo di valutare il grado di difficoltà dell'allevamento di talune specie di uccelli indigeni, di definire i fattori diretti ad agevolare la loro riproduzione in cattività e di stimare l'estensione e la distribuzione di installazioni per l'allevamento di tali uccelli nella regione vallona. A tal fine la relazione si proponeva di studiare 283 coppie in trenta allevamenti di qualità variabile, comprendenti però quelli più conosciuti nella Regione vallona, per il 1993; quanto al 1994, lo studio era diretto ad esaminare 71 coppie in sei allevamenti di buona qualità e 74 coppie in un'installazione pilota sovvenzionata dal ministro per la Regione vallona.

7 Con la decisione presentata come «un significativo progresso rispetto alla precedente giurisprudenza» (12) il Conseil d'Etat sospendeva l'applicazione del decreto di riapprovvigionamento 16 settembre 1993, provvisoriamente l'8 ottobre 1993 e, definitivamente, il 14 ottobre 1993. Il decreto del 1993 veniva annullato il 27 maggio 1994.

8 La relazione commissionata dalla Regione vallona sulla fattibilità dell'allevamento di uccelli indigeni veniva presentata nell'ottobre 1993 dal dr. Brochier della facoltà di medicina veterinaria dell'Università di Liegi (in prosieguo: la «relazione Brochier»). Essa concludeva tra l'altro nel senso che:

- era possibile l'allevamento in cattività delle sette specie studiate, nonché di certe altre specie la cui cattura era autorizzata su base annua;

- il tasso medio di riproduzione dipende in particolare dalle condizioni in cui sono prelevati gli uccelli, ottenendo i peggiori risultati laddove la coppia riproduttrice sia detenuta in una comune uccelliera, invece di essere isolata in un box;

- l'attuazione delle raccomandazioni tecniche della relazione (13) necessiterebbe di un certo lasso di tempo, atteso che molti allevatori dilettanti di uccelli sarebbero costretti a modificare le proprie installazioni ed abitudini, ma questi miglioramenti produrrebbero rapidamente un aumento del tasso di riproduzione;

- occorrerebbero alcuni anni per dare avvio all'allevamento su larga scala, nel corso dei quali sarebbe indispensabile l'approvvigionamento di un numero limitato di uccelli (tramite prelievo nell'ambiente naturale).

9 Le conclusioni della relazione Brochier non erano condivise dal Conseil supérieur wallon de conservation de la nature (in prosieguo: il «CSWCN»), consultato sul progetto di proposta che sarebbe divenuto in seguito il decreto 14 luglio 1994. Nel suo parere provvisorio 12 luglio 1994 esso riteneva che le tecniche di allevamento delle specie di uccelli di cui si sarebbe dovuta consentire la cattura erano padroneggiate da lungo tempo e che l'allevamento in cattività, nel rispetto delle condizioni appropriate, era pertanto una soluzione soddisfacente per garantire il rinnovo degli effettivi. Esso concludeva quindi che l'imposizione di un assoluto divieto di prelievo avrebbe prodotto il risultato di indurre gli allevatori dilettanti a porre in essere le modifiche necessarie delle proprie installazioni al fine di garantire la riproduzione in condizioni idonee; il conseguente miglioramento del tasso di riproduzione utilizzando soltanto gli effettivi attuali sarebbe risultato più che sufficiente per coprire il loro fabbisogno (14).

10 Il 14 luglio 1994 il governo vallone emanava il decreto sulla protezione degli uccelli nella Regione vallona (in prosieguo: il «decreto 14 luglio 1994»), che annullava il decreto 28 luglio 1982 (15). In conformità degli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, del decreto, sono vietate la cattura e la vendita di uccelli di qualsiasi specie vivente in natura allo stato selvatico nel territorio europeo. Il capitolo IV del titolo IV del decreto è intitolato «Cattura ai fini dell'allevamento». Le disposizioni pertinenti recitano come segue:

Art. 26:

«La cattura di uccelli allo stato selvatico effettuata al fine di far sì che unicamente l'allevamento costituisca soluzione soddisfacente è soggetta ad autorizzazione ai sensi delle disposizioni del presente capitolo».

Art. 27, primo comma:

«Le specie di uccelli selvatici di cui sia autorizzata la cattura nonché le quote di cattura per singola specie sono determinate in maniera degressiva anno per anno e per un periodo di cinque anni mediante decreto del governo nell'ambito delle specie e sottospecie di cui all'allegato III.b. del presente decreto».

L'allegato III.b stabilisce una lista di dieci specie di uccelli selvatici catturabili nonché il numero massimo di esemplari di ogni specie che possono essere prelevati annualmente, per un totale di 31 090 uccelli. Per ciascuno degli anni 1994-1998 l'allegato XIII fissa le quantità massime annue di esemplari catturabili per specie ad un livello inferiore o uguale ai valori dell'allegato III.b ed in maniera degressiva anno per anno.

11 L'art. 32 del decreto stabilisce le condizioni per ottenere un permesso di cattura; in particolare il richiedente deve impegnarsi, personalmente o attraverso un associato, nell'allevamento degli uccelli e deve aver ottenuto un tasso medio di rinnovo pari a uno (16) nei 36 mesi precedenti all'introduzione della domanda di autorizzazione. Conformemente all'art. 73, tali condizioni sono sospese per un periodo transitorio dal 1994 al 1997 incluso; il richiedente deve invece disporre delle installazioni necessarie per l'allevamento come definite all'allegato XIV del decreto, nonché osservare le direttive stabilite in tale allegato.

12 L'applicazione del decreto 14 luglio 1994 veniva sospesa dal Conseil d'Etat il 7 ottobre 1994. L'operatività di un successivo decreto 13 ottobre 1994 diretto al medesimo fine era sospesa dal Conseil d'Etat il 14 ottobre 1994.

13 Considerando che la corretta applicazione del diritto comunitario non fosse così chiara da fugare ogni ragionevole dubbio, il Conseil d'Etat ha sottoposto alla Corte due questioni molto precise concernenti l'interpretazione della direttiva:

«1) Se gli artt. 5, 9 e 18 della direttiva 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, consentano ad uno Stato membro di tener conto, in modo degressivo e per un periodo di tempo determinato, del fatto che il divieto di catturare uccelli a fini di diletto costringerebbe numerosi allevatori dilettanti a modificare le proprie installazioni e ad abbandonare talune abitudini, qualora lo stesso Stato membro riconosca che l'allevamento risulta possibile, ma non ancora praticabile su larga scala per tale motivo.

2) Se gli artt. 5, 9 e 18 della direttiva 79/409/CEE consentano - ed in caso affermativo in qual misura - agli Stati membri di autorizzare la cattura di uccelli viventi in natura allo stato selvatico sul territorio europeo, allo scopo di prevenire negli allevamenti di uccelli a fini di diletto gli inconvenienti della consanguineità che deriverebbe da un numero troppo elevato di incroci endogeni» (17).

II - Le pertinenti disposizioni comunitarie

14 Può essere utile richiamare le più importanti tra le disposizioni pertinenti della direttiva, che ha già dato luogo ad una copiosa giurisprudenza di questa Corte (18).

15 La portata della direttiva è definita all'art. 1, n. 1:

«La presente direttiva concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato. Essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie e ne disciplina lo sfruttamento».

16 L'art. 1 è integrato dall'art. 2 che così recita:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1 ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative».

17 La direttiva impone una serie di obblighi generali circa il mantenimento dei livelli di popolazione delle specie protette, nonché la preservazione, il mantenimento o il ristabilimento dei loro habitat (artt. 2 e 3). Disposizioni successive contengono obblighi più specifici sulla protezione delle specie minacciate e migratrici (art. 4), nonché sulla protezione degli uccelli selvatici e delle loro uova in generale, ivi compreso il divieto di commercializzare uccelli selvatici e le limitazioni alla caccia di uccelli di specie protette (artt. 5-8).

18 In particolare, l'art. 5 impone agli Stati membri di adottare «le misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli di cui all'articolo 1, che comprenda in particolare il divieto (...) di catturarli (...) con qualsiasi metodo» [art. 5, lett. a)].

19 Ex art. 9, n. 1, gli Stati membri possono derogare al divieto di catturare uccelli posto dall'art. 5

«(...) sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti [e] per le seguenti ragioni:

a) - nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica, - nell'interesse della sicurezza aerea,

- per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,

- per la protezione della flora e della fauna;

b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni;

c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità».

20 L'art. 9, n. 2, recita:

«Le deroghe dovranno menzionare:

- le specie che formano oggetto delle medesime,

- i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzati,

- le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte,

- l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone,

- i controlli che saranno effettuati».

In conformità dell'art. 9, n. 3, gli Stati membri devono inviare una relazione sull'applicazione di tale articolo alla Commissione, la quale «vigila costantemente affinché le conseguenze di tali deroghe non siano incompatibili con la presente direttiva» e prende «adeguate iniziative in merito» (art. 9, n. 4).

21 Deriva dall'art. 5 che l'attività di prelievo di uccelli in ambiente naturale è vietata dalla direttiva, a meno che non si giustifichi ex art. 9.

III - Osservazioni delle parti

22 Hanno presentato osservazioni scritte il Belgio, insieme alla Ligue royale belge pour la protection des oiseaux ASBL ed alla Société d'études ornithologiques AVES (in prosieguo: le «ricorrenti»), la Fédération royale ornithologique belge (19) (in prosieguo: l'«interveniente») e la Commissione.

Sulla prima questione

23 Le ricorrenti negano che «considerazioni psicosociali» derivanti dalla perdurante resistenza alla modifica di abitudini sfavorevoli all'allevamento possano impedire l'adozione di una soluzione soddisfacente ai sensi dell'art. 9, n. 1, della direttiva, sotto forma di allevamento e sostengono di conseguenza che è escluso il ricorso all'art. 9. Secondo la relazione dell'auditeur (avvocato generale) del Conseil d'Etat (citata dalle ricorrenti), il periodo transitorio di cinque anni mira non tanto a consentire l'accumulazione delle cognizioni necessarie quanto a permettere alla cattura in ambiente naturale di compensare l'insufficienza delle installazioni di molti allevatori dilettanti. La relazione dell'auditeur rileva anche che il periodo transitorio di cinque anni può essere esteso e che la condizione che l'allevatore dimostri la vitalità economica delle sue installazioni al fine di essere autorizzato a catturare uccelli in ambiente naturale entra in vigore soltanto nel 1998; le ricorrenti concludono che il periodo transitorio non è giustificato nella misura in cui è già possibile allevare in cattività gli uccelli in questione. Inoltre esse asseriscono che il decreto costituisce una violazione dell'art. 18 della direttiva, che ne fissa il termine di attuazione, e che l'invocata deroga perpetua una situazione di violazione, esattamente sulla falsariga di quella dichiarata incompatibile col diritto comunitario dalla Corte nel 1987 nella causa Commissione/Belgio (20). Inoltre il numero di uccelli già prelevati dall'ambiente naturale nella Regione vallona, stimato a circa mezzo milione di esemplari, non rispetta la condizione delle «piccole quantità» di cui all'art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva.

Sulla seconda questione

24 Quanto alla seconda questione, le ricorrenti producono prove scientifiche per confutare l'esistenza di qualsiasi rischio di problemi di consanguineità. Esse rilevano in particolare che l'allevamento di uccelli è ampiamente praticato in diversi Stati membri dove la cattura è del tutto vietata senza dar luogo a problemi di tal sorta. Esse concludono che l'allevamento è una soluzione perfettamente praticabile e che secondo l'art. 9 non si giustifica il ricorso alla cattura.

25 La Commissione rileva che l'esistenza in via di principio di un'altra soluzione soddisfacente è sufficiente a far escludere il ricorso a una deroga ex art. 9; la messa in opera di una soluzione alternativa non è necessaria affinché sia precluso il ricorso a siffatta deroga. La cattura sarebbe giustificata soltanto se dovesse essere dimostrata la «quasi-impossibilità» dell'allevamento per obiettivi fattori scientifici e tecnici, valutati in rapporto a popolazioni di uccelli già in cattività piuttosto che all'allevatore dilettante singolarmente considerato. Non sono pertinenti né la circostanza che numerosi allevatori dilettanti non abbiano le necessarie infrastrutture né il fatto che la deroga sia limitata e degressiva. Ad avviso della Commissione, soprattutto alla luce della sentenza della Corte nella causa Vergy (21), una più ampia cooperazione tra gli allevatori basata sugli effettivi esistenti costituisce la soluzione in parola. In alternativa, ove la Corte non dovesse far propria un'interpretazione siffatta dell'art. 9, n. 1, della direttiva, il giudice nazionale dovrebbe applicare i criteri dettati dalla Corte per stabilire se la cattura in questione possa costituire «un impiego misurato di piccole quantità» di uccelli.

26 La Commissione ritiene tuttavia che l'art. 9, n. 1, lett. c), possa essere invocato per giustificare la cattura di esemplari al fine di assicurare l'approvvigionamento di geni nuovi laddove sia provato scientificamente il rischio di consanguineità e laddove la diversità genetica non possa essere garantita dall'introduzione di esemplari nati ed allevati in cattività.

27 Il Belgio sostiene che l'obiettivo perseguito dal decreto 14 luglio 1994, obiettivo che è conforme agli artt. 2 e 9 della direttiva, è di permettere agli allevatori dilettanti di modificare l'installazione delle proprie uccelliere e di acquisire le conoscenze alimentari, igieniche, sanitarie, biologiche e veterinarie necessarie per consentire l'allevamento di un numero di uccelli sufficiente a mantenere la popolazione di uccelli attualmente in cattività. Dal suo punto di vista un periodo di transizione è necessario se si considera la durata di vita limitata degli uccelli in questione e lo sforzo richiesto a coloro che praticano le attività di cui trattasi; nel corso di tale periodo deve ammettersi la cattura di un numero decrescente di uccelli al fine di permettere la continuazione dell'allevamento. Esso sostiene che le disposizioni sulla cattura controverse si giustificano alla luce dell'art. 9, dato che realizzano un impiego misurato degli uccelli ed inoltre perché evitano i problemi di consanguineità che si presenterebbero se si mantenesse l'attuale divieto di cattura degli uccelli.

28 La parte interveniente sostiene da vicino la posizione del Belgio. Nella sua opinione, la pratica dell'allevamento in cattività di talune specie sarebbe condannata in un prossimo avvenire se non si dovesse permettere la cattura in ambiente naturale; essa cita in particolare la relazione Brochier a sostegno della sua affermazione che gli allevatori valloni non riescono a riprodurre in cattività una quantità sufficiente di esemplari di cinque specie: il crespolino, il cardellino, il ciuffolotto, il fringuello ed il lucherino. Essa aggiunge che il decreto 14 luglio 1994 riduce considerevolmente il numero di specie e di esemplari che possono essere catturati rispetto ai precedenti decreti nonché il periodo di cattura, di modo che i prelievi possono essere operati solo dopo che tutte le specie migratorie e nidificanti hanno lasciato la Regione vallona.

IV - Esame delle questioni sottoposte dal giudice nazionale

A - La prima questione

29 Con la prima questione il Conseil d'Etat cerca di stabilire se il fatto che l'allevamento di uccelli selvatici in cattività non sia ancora praticabile su larga scala, a causa delle condizioni delle installazioni degli allevatori dilettanti e delle loro abitudini inveterate, sia sufficiente per giustificare una deroga al divieto di cattura in ambiente naturale.

30 Come si è indicato più sopra, non è questa la prima occasione in cui la Corte ha dovuto esaminare la normativa belga che autorizza la cattura di uccelli in ambiente naturale al fine di permettere il rinnovo degli effettivi di uccelli selvatici in cattività. Benché la Corte abbia riconosciuto nella sentenza Commissione/Belgio che il decreto dell'esecutivo regionale vallone 28 luglio 1982 (22) «[sottopone] i soggetti autorizzati alla cattura e alla detenzione, nonché la cattura e la detenzione stesse, a regolamentazioni e controlli rigidi», essa ha dichiarato che, per fruire di una deroga ai sensi dell'art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva, la normativa nazionale deve garantire che «cattura e detenzione siano ristrette ai casi nei quali non esistono altre soluzioni soddisfacenti, in particolare la possibilità di riproduzione in cattività delle specie di uccelli considerate» (23).

31 In primo luogo non v'è alcun dubbio sul fatto che la cattura di uccelli selvatici compiuta in determinate circostanze può beneficiare, in linea di principio, di una deroga ai sensi della direttiva. Nella causa Commissione/Italia la Corte ha dichiarato che «la cattura e la cessione di uccelli anche al di fuori dei periodi di apertura della caccia allo scopo della loro detenzione per essere utilizzati come richiami vivi o per fini amatoriali nelle tradizionali fiere e mercati può corrispondere ad un impiego misurato autorizzato dall'art. 9, n. 1, lett. c)» (24). E' chiaro che qualsiasi deroga del genere deve osservare il criterio delle «piccole quantità» imposto da tale disposizione, criterio che, secondo la Corte, «non ha carattere assoluto, ma si riferisce alla conservazione della popolazione complessiva ed alla situazione riproduttiva della specie in questione» (25).

32 Tuttavia nessuna deroga al divieto di cattura può essere tollerata in presenza di un'altra soluzione soddisfacente. L'art. 9, n. 1, lett. a), individua un ristretto numero di interessi di natura pubblica che possono prevalere su quello della protezione degli uccelli selvatici, mentre le attività consentite dall'art. 9, n. 1, lett. b), contribuiscono a lunga scadenza a tale protezione e giustificano quindi il ricorso alla deroga. Di natura leggermente diversa è l'art. 9, n. 1, lett. c), nella misura in cui, diversamente dalle due lettere precedenti, non indica il problema concreto o l'attività di conservazione per cui può occorrere una deroga, ma consente di derogare al divieto di catturare uccelli laddove «la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati» di determinati uccelli siano necessari al fine di permettere l'esercizio di determinate attività in se stesse non incompatibili con la direttiva; si può dire che le più severe condizioni di tale lettera («in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo», «impieghi misurati», «in piccole quantità») compensano il fatto che non occorre basare la deroga su uno dei motivi di pubblico interesse enumerati più sopra.

33 La caratteristica essenziale che riunisce sotto un comune denominatore le lett. a), b) e c) dell'art. 9, n. 1, è che un divieto stabilito dalla direttiva nell'interesse della protezione degli uccelli può cedere il passo ad altre esigenze; una deroga sulla base di tale disposizione può essere quindi soltanto l'estremo rimedio. In tale contesto il termine «soddisfacente» può essere interpretato nel senso che significa una soluzione diretta a risolvere il particolare problema con cui si confrontano le autorità nazionali ed al tempo stesso rispettosa nella misura del possibile dei divieti posti dalla direttiva; una deroga può essere ammessa soltanto laddove non possa adottarsi nessun'altra soluzione che non implichi l'inosservanza dei divieti in parola.

34 Nel presente caso il problema che hanno di fronte le autorità della Regione vallona è la necessità di mantenere gli effettivi di uccelli selvatici detenuti in cattività. Risulta dalla formulazione della prima questione che «l'allevamento è possibile», ma non «soddisfacente», perché esigerebbe dagli allevatori dilettanti la modifica delle loro installazioni ed abitudini. Il legislatore riconosce quindi esplicitamente che l'allevamento in cattività è una soluzione soddisfacente (26), ma, al pari di S. Agostino, certa di rinviare il momento di abbracciare la virtù.

35 La Corte ha sottolineato costantemente che, in quanto deroga ad una serie di regole generali, l'art. 9 della direttiva va interpretato in modo rigoroso. Così nella causa Commissione/Belgio ha dichiarato che «precisi requisiti di forma di cui al n. 2 dello stesso articolo sono volti a limitare tali deroghe allo stretto necessario e a permettere la vigilanza da parte della Commissione». La deroga deve avere un'applicazione «concreta e puntuale per soddisfare precise esigenze e situazioni specifiche» (27). Al pari dei requisiti di forma di cui all'art. 9, n. 2, le disposizioni dell'art. 9, n. 1, sono dirette a limitare le deroghe allo «stretto necessario». Pertanto, a mio parere, la Commissione è nel diritto di affermare che la necessità di ricostituire gli effettivi di uccelli non va valutata al livello degli allevatori considerati singolarmente, ma con riguardo all'insieme della popolazione di uccelli selvatici in cattività nello Stato membro interessato; autorizzare i singoli allevatori a prelevare uccelli dall'ambiente naturale laddove siano disponibili altre fonti di approvvigionamento non sarebbe strettamente necessario ed equivarrebbe quindi a non osservare il carattere eccezionale della deroga di cui all'art. 9.

36 Prima facie l'art. 9 ammette deroghe «sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti» e non laddove l'applicazione di un divieto fosse solo fonte di qualche inconveniente per le persone interessate o imponesse loro di cambiare abitudini o, come il Belgio ha segnalato, di acquisire competenze soddisfacenti in materia di allevamento. E' inerente alla protezione dell'ambiente che talune categorie di persone possano venire costrette a modificare il loro comportamento nell'ambito del perseguimento di un interesse generale; un esempio è dato, nel presente caso, dall'abolizione, per effetto di una direttiva, della «tesa» o della «cattura di uccelli a fini ricreativi» che il Belgio si è sforzato di difendere con tanta fermezza all'atto della ratifica della convenzione di Berna. La circostanza che attività siffatte siano «ancestrali» o costituiscano il retaggio di una «tradizione storica e culturale» non è sufficiente per giustificare una deroga alla direttiva (28).

37 Le difficoltà pratiche che taluni allevatori possono sperimentare non giustificano il rinvio della piena attuazione del divieto di catturare uccelli selvatici per un nuovo periodo di cinque anni a partire dal 1994, come pare essere stata l'intenzione del legislatore nazionale; a fortiori, deve considerarsi lecito dubitare della compatibilità in via di principio con la direttiva della possibilità, non esclusa dal tenore letterale della normativa nazionale (29), che permessi di cattura vengano rilasciati dopo tale periodo transitorio. Proprio per tener conto di tale genere di difficoltà pratiche e per accordare alle persone interessate il tempo sufficiente a modificare le proprie abitudini l'art. 18 della direttiva ha accordato agli Stati membri un periodo di due anni per mettere «in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi» agli obblighi sostanziali previsti dalla direttiva, nonostante il fatto che molte specie di uccelli selvatici fossero già minacciate nel 1979, come rilevato nel secondo `considerando' del preambolo. Tale periodo transitorio è spirato il 6 aprile 1981 ed in realtà non può essere riaperto al fine di tener conto di difficoltà cui il Belgio avrebbe dovuto far fronte, conformemente alla direttiva, più di quindici anni or sono.

38 A mio parere le difficoltà pratiche individuate dal giudice nazionale nella sua prima questione non sono atte, in linea di principio, a giustificare il ricorso ad una soluzione diversa dall'allevamento di uccelli, così come uno Stato membro non può trincerarsi dietro «disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per giustificare l'inosservanza degli obblighi e dei termini prescritti da una direttiva» (30). Concordo con la Commissione sul punto che l'esistenza di una soluzione conforme ai divieti previsti dalla direttiva è sufficiente per escludere il ricorso ad una deroga ex art. 9; così, nella causa Commissione/Belgio, la mera «possibilità di riproduzione in cattività delle specie di uccelli considerate» (31) è stata sufficiente agli occhi della Corte per rigettare il motivo del Belgio basato su tale disposizione. Uno Stato membro non può invocare la propria carenza, protrattasi per anni, nel porre in essere una soluzione soddisfacente per sostenere che tale soluzione non risolverebbe attualmente quel particolare problema cui lo Stato medesimo sta facendo fronte per effetto della carenza stessa.

39 Spetta naturalmente al giudice nazionale stabilire se sussista un'altra soluzione soddisfacente in una data situazione di fatto. Dal mio punto di vista una determinazione siffatta deve basarsi su elementi oggettivamente verificabili, quali le considerazioni scientifiche e tecniche menzionate dalla Commissione. La soluzione, senza ricorso ad alcuna deroga, di un particolare problema causato dall'applicazione della direttiva in altri Stati membri o invero in altre parti di uno stesso Stato membro induce fortemente a credere che una soluzione analoga sia applicabile nello Stato membro o nella parte di uno Stato membro che cerchi di fruire della deroga. Dati la natura eccezionale del regime derogatorio e l'obbligo degli Stati membri in forza dell'art. 5 del Trattato CE di facilitare la Comunità nell'adempimento dei propri compiti, una deroga sarebbe giustificabile in tali circostanze solo sulla base di un'oggettiva dimostrazione dell'impossibilità di adottare altre soluzioni prima facie soddisfacenti.

40 Com'è stato sottolineato in vari stadi del procedimento nazionale, vi sono diverse contraddizioni nel decreto 14 luglio 1994. Da una parte, il decreto riconosce esplicitamente che è possibile l'allevamento di uccelli selvatici in cattività e contiene una serie di disposizioni volte ad incoraggiare quest'attività; in particolare, avranno diritto ad un permesso di cattura soltanto coloro che rispettano i criteri per l'allevamento enunciati nell'allegato XIV al decreto (per gli anni 1994-1997), o che sono riusciti a provare un tasso di riproduzione soddisfacente (dopo il periodo transitorio). D'altra parte, risulta dalla relazione Brochier che gli allevatori i quali abbiano conseguito buoni risultati non avranno bisogno di prelevare uccelli dall'ambiente naturale per mantenere i loro effettivi e l'attuazione delle raccomandazioni contenute nella relazione dovrebbe portare ad un rapido aumento del tasso di rinnovo delle popolazioni interessate. Conseguentemente i permessi di cattura potranno essere dati soltanto a coloro che, in linea di principio, non avranno bisogno di prelevare uccelli dall'ambiente naturale per rinnovare i propri effettivi.

41 Non risulta chiaro nemmeno perché sia già stato fissato in anticipo un periodo transitorio di un minimo di cinque anni (e senza limite massimo); il CSWCN ha osservato nel suo parere che la fissazione, con un anticipo di cinque anni, di una quota di cattura non era comunque scientificamente giustificata e non garantiva che fosse rispettato da un anno all'altro il criterio delle «piccole quantità» (32). Se l'adozione di prassi appropriate di allevamento sarà in grado di fornire una soluzione soddisfacente in un termine più breve al problema del mantenimento degli effettivi di uccelli selvatici in cattività, l'esercizio della cattura avrà perso la sua raison d'être ed in particolare qualsivoglia giustificazione ex art. 9 che altrimenti si sarebbe potuto invocare. Inoltre, dovendo una deroga limitarsi «allo stretto necessario», il criterio delle «piccole quantità» di cui all'art. 9, n. 1, lett. c), va considerato come un massimale invece di una norma generale; pertanto tale disposizione non permette la fissazione di quote di cattura in anticipo per un periodo di cinque anni senza tener conto dello «stretto necessario» nel corso di un dato anno.

42 Le disposizioni controverse nel caso di specie presuppongono risolta, in effetti, la questione se il fatto di imporre determinate esigenze in materia di allevamento costituisca un'immediata soluzione del problema di mantenere gli effettivi di uccelli selvatici in cattività. A mio parere l'approccio corretto sarebbe in primo luogo quello di adottare una soluzione conforme alla direttiva, particolarmente quella, rivelatasi soddisfacente in altre parti della Comunità, di ricorrere ad una deroga solo se e quando appaia che persiste il problema iniziale. Mi permetterei di aggiungere che subordinare il rilascio di permessi di cattura all'osservanza delle esigenze poste per l'allevamento è lungi dall'essere l'unica soluzione concepibile. La Commissione aveva prospettato che gli allevatori potessero essere incoraggiati a cooperare tra loro, e a dire il vero le parti intervenienti, nelle loro osservazioni 15 dicembre 1994 dinanzi al Conseil d'Etat, hanno rilevato che gli allevatori dilettanti valloni avevano acquisito i loro effettivi di crespolini grazie al libero scambio di esemplari con i loro omologhi fiamminghi. Tali possibilità restano da esplorare prima di poter decidere in maniera definitiva che la cattura nell'ambiente naturale è giustificata.

43 La prima questione può essere risolta quindi nel senso che, in circostanze come quelle descritte nell'ordinanza di rinvio, il fatto che l'applicazione del divieto di catturare uccelli a fini di diletto costringerebbe numerosi allevatori dilettanti a modificare le proprie installazioni e ad abbandonare talune abitudini non può considerarsi una prova dell'inesistenza di altre soluzioni soddisfacenti, così da giustificare il ricorso ad una deroga.

B - La seconda questione

44 La seconda questione sollevata dal giudice a quo è diretta ad accertare se il rischio di consanguineità cui vanno incontro le specie di uccelli selvatici allevati in cattività a fini di diletto giustifichi la cattura in ambiente naturale e, in caso di soluzione affermativa, in quale misura.

45 La direttiva non è rivolta a proteggere gli esemplari di uccelli nati ed allevati in cattività, come la Corte ha dichiarato nella sentenza Vergy (33). Ne consegue che qualsiasi deroga al divieto di cattura in ambiente naturale motivata col rischio di consanguineità insito negli effettivi di uccelli in cattività può giustificarsi soltanto, in conformità dell'art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva, nel caso di «impiego misurato» e solo in «piccole quantità»; poiché la direttiva non vieta l'allevamento di uccelli selvatici in cattività, le attività connesse, quale la cattura destinata a prevenire la consanguineità, che siano strettamente necessarie ai fini di tale allevamento, possono definirsi in linea di principio come un «impiego misurato».

46 Analogamente alla cattura volta alla ricostituzione degli effettivi, il ricorso ad una deroga allo scopo di evitare problemi di consanguineità è subordinato all'inesistenza di qualsiasi altra soluzione soddisfacente; lo Stato membro deve dimostrare quindi con prove obiettive e scientifiche che sussiste effettivamente un rischio di consanguineità (34) e che la deroga che esso auspica far valere ovvierebbe ad ogni rischio di cui si sia dimostrata l'esistenza. In presenza di tali condizioni, allora, la cattura in ambiente naturale sarebbe, a mio avviso, giustificata nella misura in cui possa dimostrarsi che la stessa è strettamente necessaria; come indicato dalla Commissione il numero di uccelli catturabili dovrebbe pertanto riflettere esattamente la necessità di evitare problemi di consanguineità, secondo il criterio delle «piccole quantità», come interpretato dalla Corte (35), che dovrebbe fungere da limite superiore assoluto.

47 In proposito va anche ricordato che «i criteri in base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti sanciti dalla direttiva devono essere riprodotti in disposizioni nazionali precise», come la Corte ha dichiarato di recente nella causa Associazione Italiana per il World Wildlife Fund e a. (36). Ne consegue che la cattura volta ad evitare la consanguineità sarebbe giustificata soltanto se fosse espressamente prevista e strettamente limitata, in conformità dell'art. 9, dalle pertinenti disposizioni legislative in vigore nello Stato membro. Il compito di verificare se la normativa nazionale in questione soddisfi tale esigenza rientra manifestamente nella competenza del giudice a quo.

V - Conclusione

48 Viste le considerazioni che precedono propongo di risolvere le questioni poste dal Conseil d'Etat del Belgio come segue:

«1) L'art. 9 della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, va interpretato nel senso che osta alla presa in considerazione da parte di uno Stato membro, allo scopo di fruire della deroga prevista da tale disposizione, del fatto che l'applicazione del divieto di catturare uccelli a fini di diletto costringerebbe numerosi allevatori dilettanti a modificare le proprie installazioni ed abitudini, in circostanze come quelle all'origine della causa principale.

2) La necessità di prevenire la consanguineità nelle popolazioni di uccelli selvatici nati e cresciuti in cattività a fini di diletto, laddove un rischio siffatto sia dimostrato da prove scientifiche ed oggettive ed a condizione che non esistano altre soluzioni soddisfacenti, può giustificare una deroga in conformità dell'art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva 79/409, ove la normativa vigente nello Stato membro assicuri la rigorosa osservanza della disposizione in parola».

(1) - Decreto dell'esecutivo regionale vallone 8 ottobre 1992 sul riapprovvigionamento degli allevatori in uccelli indigeni, Moniteur belge del 10 ottobre 1992, pag. 21818, quinto `considerando' del preambolo.

(2) - Moniteur belge del 29 dicembre 1990, pag. 24530.

(3) - GU 1982, L 38, pag. 3.

(4) - GU L 103, pag. 1.

(5) - Moniteur belge del 1_ agosto 1972, pag. 8530; la competenza in materia di caccia è stata attribuita alle regioni nel 1980, che da allora possono abrogare, integrare, modificare o sostituire le norme legislative e regolamentari vigenti (sentenza 8 luglio 1987, causa 247/85, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3029, punto 4).

(6) - Moniteur belge del 21 settembre 1973, pag. 10669.

(7) - Moniteur belge del 18 settembre 1982, pag. 10800.

(8) - All'udienza si è formulata l'ipotesi che il numero di autorizzazioni di cattura concesse era dell'ordine di 50 000 nel 1981 e da 20 000 a 30 000 nel 1994; queste cifre non corrispondono a quelle indicate all'art. 7, punto 2, del decreto 28 luglio 1982.

(9) - Già citata (nota 5), punti 36-43.

(10) - Moniteur belge del 29 settembre 1990, pag. 18598.

(11) - Moniteur belge del 1_ ottobre 1991, pag. 21595, e del 10 ottobre 1992, pag. 21818.

(12) - Neuray, La suspension de la tenderie en 1993: un hommage à Aristophane?, JLMB 1993, pagg. 1364 e 1366.

(13) - In particolare, riguardo all'ambiente fisico e sociale delle specie, alle misure preventive sanitarie e mediche, al controllo dell'alimentazione ed alla selezione della coppia riproduttrice.

(14) - Doc. 94.CSWCN 111, allegato B.

(15) - Moniteur belge del 21 settembre 1994, pag. 23922.

(16) - Un tasso di rinnovo pari a uno significa che il numero di uccelli nati e viventi in cattività corrisponde esattamente al tasso di mortalità di quella particolare popolazione di uccelli.

(17) - Il termine «endogeno», che secondo la definizione del Collins English Dictionary significa «sviluppantesi o avente origine in seno ad un organismo o quale parte di un organismo», pare essere un po' fuori luogo; dal contesto sembra probabile che si sia inteso il termine «endogamous».

(18) - V. Wils, The Birds Directive 15 years later: a survey of the case-law and a comparaison with the habitas directive, Journal of Environmental Law 1994, n. 6, pag. 220, e, più di recente, sentenze 8 febbraio 1996, causa C-149/94, Vergy (Racc. pag. I-299), e causa C-202/94, Van der Feesten (Racc. pag. I-355); 7 marzo 1996, causa C-118/94, Associazione Italiana per il World Wildlife Fund e a. (Racc. pag. I-1223), e 11 luglio 1996, causa C-44/95, Royal Society for the Protection of Birds (Racc. pag. I-3805).

(19) - Tale organizzazione è variamente indicata nelle sue osservazioni come «Fédération royale ornithologique wallonne», «Fédération royale ornithologique belge» e «Fédération ornithologique wallonne»; la descrizione impiegata dal Conseil d'Etat è qui adottata per ragioni di opportunità.

(20) - Già citata (nota 5).

(21) - Già citata (nota 18), punti 12-15.

(22) - Già citata (nota 5).

(23) - Sentenza Commissione/Belgio, già citata (nota 5), punti 40 e 41; il corsivo è mio.

(24) - Sentenza 8 luglio 1987, causa 262/85 (Racc. pag. 3073, punto 38).

(25) - Sentenza 27 aprile 1988, causa 252/85, Commissione/Francia (Racc. pag. 2243, punto 28).

(26) - In effetti la validità in linea di principio di tale soluzione è stata riconosciuta in Belgio almeno dal 1973 (v. paragrafo 3 più sopra).

(27) - Già citata (nota 5), punto 7; il corsivo è mio; v. anche la sentenza Associazione Italiana per il World Wildlife Fund e a., già citata (nota 18), punto 21.

(28) - V. sentenza 13 ottobre 1987, causa 236/85, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 3989, punti 21 e 23).

(29) - Il rappresentante del governo belga ha cercato all'udienza di convincere la Corte che il sistema di cattura ai fini dell'approvvigionamento sarebbe stato soppresso in modo progressivo dopo il periodo transitorio.

(30) - Sentenza 19 settembre 1996, causa C-236/95, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-4459, punto 18).

(31) - Già citata (nota 5), punto 41; il corsivo è mio.

(32) - Parere 12 luglio 1994, già citato (nota 14), sezione 2.

(33) - Già citata (nota 18).

(34) - Il CSWCN ha ritenuto nel suo parere che il numero di uccelli nati in cattività, quanto alle specie più ricercate, è già più che sufficiente per evitare qualsiasi rischio di consanguineità [allegato B del suo parere 12 luglio 1994 (già citato in nota 14)]; la relazione Brochier non ha considerato tale questione.

(35) - V. paragrafo 31 più sopra.

(36) - Già citata (nota 18), punto 22.