61995J0352

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 20 marzo 1997. - Phytheron International SA contro Jean Bourdon SA. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de commerce de Pontoise - Francia. - Artt. 30 e 36 del Trattato CE - Direttiva sui marchi - Prodotto fitosanitario - Importazione parallela - Esaurimento. - Causa C-352/95.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-01729


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1 Questioni pregiudiziali - Competenza della Corte - Limiti - Presentazione, nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, di un contesto di fatto diverso da quello descritto nell'ordinanza di rinvio - Obbligo della Corte di attenersi al contesto di fatto che risulta dall'ordinanza di rinvio

(Trattato CE, art. 177; Statuto CE della Corte di giustizia, art. 20)

2 Libera circolazione delle merci - Deroghe - Esistenza di direttive di ravvicinamento - Effetti - Tutela assicurata al diritto di marchio da una normativa nazionale in caso di immissione in commercio del prodotto in uno Stato membro da parte del titolare o con il suo consenso - Esame alla luce della direttiva 89/104

(Trattato CE, artt. 30 e 36; direttiva del Consiglio 89/104/CEE, art. 7)

3 Atti delle istituzioni - Direttive - Attuazione da parte degli Stati membri - Necessità di assicurare l'efficacia delle direttive - Obblighi dei giudici nazionali

4 Ravvicinamento delle legislazioni - Marchi - Direttiva 89/104 - Prodotto originario di un paese terzo messo in commercio in uno Stato membro dal titolare del marchio o con il suo consenso - Acquisto lecito da parte di un commerciante indipendente - Importazione, senza trasformazione e senza modifica dell'imballaggio, in un altro Stato membro - Diritti di marchio nei due Stati membri detenuti dallo stesso gruppo - Opposizione all'importazione da parte del titolare del marchio - Inammissibilità in virtù del principio dell'esaurimento del diritto di marchio

(Trattato CE, artt. 30 e 36; direttiva del Consiglio 89/104, art. 7, nn. 1 e 2)

Massima


5 Per risolvere la questione pregiudiziale che le è stata sottoposta, la Corte non può basarsi sul contesto di fatto che le è stato presentato nel corso del procedimento e che differisce da quello descritto nell'ordinanza di rinvio. Se lo facesse, essa dovrebbe prendere posizione su un problema di principio sul quale non ha dovuto finora pronunciarsi, basandosi su un contesto di fatto che avrebbe dovuto essere precisato per poter fornire una soluzione utile. Inoltre, quando la questione che le è stata sottoposta solleva un problema importante relativo alla portata dei diritti che un titolare di marchio può vantare in forza di quest'ultimo e tale titolare, non essendo parte della controversia oggetto della causa nazionale, non può far valere i suoi argomenti dinanzi ad essa, motivi specifici ostano a che la Corte si discosti dal contesto di fatto quale risulta dall'ordinanza di rinvio. In ogni caso, una modifica della sostanza delle questioni pregiudiziali sarebbe incompatibile con il ruolo assegnato alla Corte dall'art. 177 del Trattato nonché con il suo obbligo di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell'art. 20 dello Statuto della Corte, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio.

6 L'art. 7 della prima direttiva 89/104 sui marchi, redatto in termini generali, disciplina in modo completo la materia dell'esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio nella Comunità, di modo che le norme nazionali in materia devono essere valutate con riguardo a questa disposizione e non alla luce degli artt. 30 e 36 del Trattato, fermo restando però che la direttiva stessa, come ogni normativa di diritto derivato, deve essere interpretata alla luce delle norme del Trattato, nella fattispecie quelle relative alla libera circolazione delle merci.

7 Nell'applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive ad una direttiva, il giudice nazionale chiamato ad interpretarlo deve farlo, in tutta la misura possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa per conseguire il risultato da questa perseguito.

8 L'art. 7 della prima direttiva 89/104 sui marchi, il quale è redatto in termini corrispondenti a quelli utilizzati dalla Corte nella sua giurisprudenza che, interpretando gli artt. 30 e 36 del Trattato, ha riconosciuto in diritto comunitario il principio dell'esaurimento del marchio, deve essere interpretato nel senso che osta all'applicazione in primo Stato membro di una norma nazionale in base alla quale il titolare di un diritto di marchio può impedire l'importazione di un prodotto tutelato dal marchio in una situazione in cui

- il prodotto è stato fabbricato in un paese terzo,

- è stato importato in un secondo Stato membro dal titolare del marchio o da un'altra società appartenente allo stesso gruppo del titolare del marchio,

- è stato acquistato lecitamente nel secondo Stato membro da un commerciante indipendente che l'ha esportato verso il primo Stato membro,

- non ha subito alcuna trasformazione e l'imballaggio non è stato modificato, ad eccezione dell'aggiunta sull'etichetta di talune menzioni destinate ad adempiere gli obblighi di legge dello Stato membro d'importazione, e

- i diritti di marchio sono detenuti nei due Stati membri dallo stesso gruppo.

In primo luogo, infatti, il principio dell'esaurimento sancito dall'art. 7 si applica quando il titolare del marchio nello Stato di importazione e il titolare del marchio nello Stato di esportazione, pur essendo persone distinte, sono collegati economicamente, in particolare come consociate dello stesso gruppo. In secondo luogo, non ha rilevanza il fatto che il prodotto tutelato dal marchio sia stato o meno fabbricato in un paese terzo quando, in ogni modo, esso è stato lecitamente smerciato, sul mercato dello Stato membro dal quale è stato importato, dal titolare del marchio o col suo consenso, anche da un'altra società appartenente allo stesso gruppo di quest'ultimo. Infine, la semplice aggiunta sull'etichetta di informazioni come quelle sopra menzionate non può costituire un motivo legittimo ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, a condizione che l'etichetta così modificata non ometta talune informazioni o non menzioni informazioni inesatte o non si presenti in un modo tale che possa nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare.

Parti


Nel procedimento C-352/95,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE, dal Tribunal de commerce di Pontoise (Francia) nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Phytheron International SA

e

Jean Bourdon SA,

domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CE,

LA CORTE

(Quinta Sezione),

composta dai signori J.C. Moitinho de Almeida, presidente di sezione, C. Gulmann (relatore), D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet e M. Wathelet, giudici,

avvocato generale: F.G. Jacobs

cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto

viste le osservazioni scritte presentate:

- per la Phytheron International SA, dall'avv. Lise Funck-Brentano, del foro di Parigi;

- per il governo francese, dalla signora Catherine de Salins, vicedirettore presso la direzione degli affari giuridici del ministero degli Affari esteri, e dal signor Philippe Martinet, segretario agli affari esteri presso la stessa direzione, in qualità di agenti;

- per la Commissione delle Comunità europee, dai signori Berend Jan Drijber, membro del servizio giuridico, e Jean-Francis Pasquier, dipendente pubblico nazionale distaccato presso questo servizio, in qualità di agenti,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della Phytheron International SA, del governo francese e della Commissione all'udienza del 12 settembre 1996,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 24 ottobre 1996,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 3 ottobre 1995, pervenuta alla Corte il 15 novembre seguente, il Tribunal de commerce di Pontoise ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 30 e 36 dello stesso Trattato.

2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la Phytheron International SA (in prosieguo: la «Phytheron») e la Jean Bourdon SA (in prosieguo: la «Bourdon»), due società francesi, circa il recesso da parte della seconda da un contratto concluso tra queste due società nel 1994, relativo all'acquisto da parte della Bourdon di 3 000 litri di un prodotto fitosanitario, il Previcur N, importato dalla Germania, ma proveniente dalla Turchia.

3 La Bourdon ha annullato il suo ordinativo prima della consegna sostenendo che questa partita di Previcur N non poteva essere messa in commercio in Francia senza il consenso del titolare di questo marchio che sembrava intendesse opporvisi. La Phytheron ha allora avviato dinanzi al Tribunal de commerce di Pontoise un'azione per risarcimento danni contro la Bourdon per recesso abusivo dal contratto.

4 Dinanzi al detto tribunale la Bourdon ha sostenuto che, in base al diritto francese, le importazioni di prodotti provenienti da paesi terzi sono illecite quando non hanno costituito oggetto di un'autorizzazione da parte del titolare del marchio che tali prodotti recano. Nella fattispecie essa avrebbe raggiunto la convinzione che, se il contratto fosse stato eseguito, si sarebbe esposta ad un processo per contraffazione, poiché il titolare del marchio non aveva autorizzato la commercializzazione della partita controversa.

5 La Phytheron ha sostenuto che, in conformità del diritto comunitario, un prodotto, quando è lecitamente importato e commercializzato in uno Stato membro, beneficia del diritto di libera circolazione all'interno dell'Unione europea. Poiché la Repubblica federale di Germania applicava, al tempo dei fatti nella causa principale, il sistema dell'esaurimento internazionale dei diritti del titolare del marchio, la partita controversa di Previcur N, che era stata lecitamente importata e commercializzata in Germania, aveva quindi acquisito un diritto di libera circolazione all'interno dell'Unione europea.

6 Alla luce di queste considerazioni il Tribunale de commerce di Pontoise ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:

«1) Se un prodotto, il cui marchio è protetto, regolarmente acquistato da un commerciante di uno Stato membro A in uno Stato membro B in cui esso è omologato e smerciato con lo stesso marchio, possa essere lecitamente importato dallo Stato membro B e messo in commercio nello Stato membro A qualora si tratti:

- di un prodotto autentico che non ha subito alcuna trasformazione,

- il cui imballaggio non è stato modificato, ad eccezione dell'aggiunta sull'etichetta di talune menzioni destinate ad adempiere gli obblighi di legge nello Stato membro A,

- mentre esso è altresì omologato nello Stato membro A.

2) Se un divieto fondato sulla normativa del diritto dei marchi dello Stato membro A violi l'art. 30 del Trattato».

7 Al fine di dare una soluzione utile a tali questioni occorre, come hanno rilevato il governo francese e la Commissione, precisarle relativamente al loro contesto giuridico e di fatto.

8 Dall'ordinanza di rinvio risulta che, dinanzi al giudice nazionale, la Bourdon ha sostenuto che, in forza del principio di territorialità del marchio in diritto francese, il titolare di un marchio può opporsi in mancanza di una sua autorizzazione a che i suoi prodotti siano importati da paesi terzi e che l'obiettivo delle questioni poste è quindi di accertare se l'art. 30 del Trattato, che vieta le misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative alle importazioni, osti all'applicazione di una tale norma nazionale.

9 Dall'ordinanza di rinvio risulta anche che non è contestato che il prodotto che costituiva oggetto del contratto controverso è stato fabbricato in Turchia dove la società di diritto tedesco Schering, consociata del gruppo tedesco Hoechst, lo fa fabbricare da un'altra consociata e poi lo importa in Germania.

10 Tuttavia, nel corso del procedimento dinanzi alla Corte è stato fatto presente che, in realtà, il luogo di fabbricazione del prodotto di cui trattasi era la Germania, da dove il prodotto era stato poi esportato verso la Turchia, e che la partita controversa sarebbe stata ivi acquistata presso una consociata turca del gruppo tedesco Hoechst da un commerciante indipendente, che l'avrebbe poi venduta alla Phytheron.

11 Ora, per i motivi esposti ai punti 12-14 della presente sentenza, la Corte può nella presente fattispecie risolvere le questioni ad essa sottoposte solo nel contesto di fatto che risulta dall'ordinanza di rinvio.

12 Se la Corte si basasse sul contesto di fatto che è stato menzionato nel corso del procedimento dinanzi ad essa, la sostanza stessa del problema sollevato dalle questioni pregiudiziali sarebbe modificata. Infatti, in tale caso, essa dovrebbe prendere posizione su un problema di principio sul quale non ha dovuto finora pronunciarsi, basandosi su un contesto di fatto che avrebbe dovuto essere precisato per poter fornire una soluzione utile.

13 Occorre osservare poi che, nell'ambito di una controversia che solleva un problema importante relativo alla portata dei diritti che un titolare di marchio può vantare in forza di quest'ultima, motivi specifici si oppongono a che la Corte si discosti dal contesto di fatto quale risulta dall'ordinanza di rinvio, in quanto tale titolare, non essendo parte della controversia oggetto della causa principale, non può far valere i suoi argomenti dinanzi alla Corte.

14 Infine una modifica della sostanza delle questioni pregiudiziali sarebbe incompatibile con il ruolo assegnato alla Corte dall'art. 177 del Trattato nonché con l'obbligo della Corte di dare ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell'art. 20 dello Statuto CE della Corte, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v., in particolare, sentenze 1_ aprile 1982, cause riunite 141/81, 142/81 e 143/81, Holdijk e a., Racc. pag. 1299, punto 6, e 30 gennaio 1997, causa C-178/95, Wiljo, Racc. pag. I-585, punto 30).

15 Occorre rilevare inoltre che il giudice nazionale non indica esplicitamente chi sia, in Germania e in Francia, titolare del marchio di cui trattasi. Tuttavia, risulta implicitamente dall'ordinanza di rinvio che il marchio è detenuto da consociate del gruppo tedesco Hoechst sia in Germania sia in Francia e che il prodotto è stato commercializzato in Germania dal titolare del marchio o da un'altra società che fa parte di questo stesso gruppo.

16 Per quanto riguarda la normativa vigente in Francia al tempo dei fatti di cui trattasi nella causa principale, occorre osservare che, come ha giustamente rilevato il governo francese, l'art. L. 713-4 del codice della proprietà intellettuale aveva trasposto in diritto francese l'art. 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva sui marchi»), che stabilisce:

«1. Il diritto conferito dal marchio d'impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l'uso del marchio d'impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

17 A tal riguardo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, l'art. 7 della direttiva sui marchi, redatto in termini generali, disciplina in modo completo la materia dell'esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio nella Comunità e che, qualora direttive comunitarie prevedano l'armonizzazione delle misure necessarie per garantire la tutela degli interessi contemplati dall'art. 36 del Trattato, ogni misura nazionale relativa a tale materia dev'essere valutata con riguardo alle disposizioni della direttiva pertinente e non alla luce degli artt. 30 e 36 del Trattato (v. sentenza 11 luglio 1996, cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93, Bristol-Myers Squibb e a., Racc. pag. I-3457, punti 25 e 26).

18 Occorre quindi intendere le questioni poste dal giudice nazionale nel senso che riguardano l'art. 7 della direttiva sui marchi, tenendo presente che la Corte ha già dichiarato che questo articolo dev'essere interpretato alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., soprammenzionata, punto 27) e che, nell'applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale chiamato ad interpretarlo deve farlo, in tutta la misura possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa per conseguire il risultato da questa perseguito (v. sentenza 11 luglio 1996, cause riunite C-71/94, C-72/94 e C-73/94, Eurim-Pharm, Racc. pag. I-3603, punto 26).

19 Alla luce di queste considerazioni, le questioni sollevate dal giudice nazionale, che occorre risolvere congiuntamente, mirano in sostanza a far precisare se l'art. 7 della direttiva sui marchi osti all'applicazione di una norma nazionale nello Stato membro A in base alla quale il titolare di un diritto di marchio può impedire l'importazione di un prodotto tutelato dal marchio in una situazione in cui

- il prodotto è stato fabbricato in un paese terzo,

- è stato importato nello Stato membro B dal titolare del marchio o da un'altra società appartenente allo stesso gruppo del titolare del marchio,

- è stato acquistato lecitamente nello Stato membro B da un commerciante indipendente che l'ha esportato verso lo Stato membro A,

- non ha subito alcuna trasformazione e l'imballaggio non è stato modificato, ad eccezione dell'aggiunta sull'etichetta di talune menzioni destinate ad adempiere gli obblighi di legge dello Stato membro di importazione, e

- i diritti di marchio sono detenuti negli Stati membri A e B dallo stesso gruppo.

20 Occorre innanzi tutto ricordare che l'art. 7, n. 1, della direttiva sui marchi è redatto in termini corrispondenti a quelli utilizzati dalla Corte nelle sentenze che, interpretando gli artt. 30 e 36 del Trattato, hanno riconosciuto in diritto comunitario il principio dell'esaurimento del marchio. Infatti questa disposizione riproduce la giurisprudenza della Corte secondo la quale il titolare di un diritto di marchio tutelato dalle norme di uno Stato membro non può invocare tali norme per opporsi all'importazione o allo smercio di un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro da lui stesso o con il suo consenso (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., già citata, punto 31).

21 Nel contesto della causa principale occorre precisare

- che il principio dell'esaurimento sancito dall'art. 7 si applica quando il titolare del marchio nello Stato di importazione e il titolare del marchio nello Stato di esportazione sono identici ovvero quando, pur essendo persone distinte, sono collegati economicamente, in particolare come consociate dello stesso gruppo (v. sentenza 22 giugno 1994, causa C-9/93, IHT Internationale Heiztechnik e Danziger, Racc. pag. I-2789, punti 34 e 37), e

- che, per l'applicazione dell'art. 7 della direttiva sui marchi, non ha rilevanza il fatto che il prodotto tutelato dal marchio sia stato o meno fabbricato in un paese terzo quando, in ogni modo, esso è stato lecitamente smerciato sul mercato dello Stato membro dal quale è stato importato dal titolare del marchio o con il suo consenso, anche se da un'altra società appartenente allo stesso gruppo di quest'ultimo.

22 Occorre poi ricordare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte relativa agli artt. 30 e 36 del Trattato (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., già citata, punti 40 e 41), l'art. 7, n. 2, della direttiva sui marchi stabilisce che il principio dell'esaurimento non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio.

23 A tal riguardo è sufficiente constatare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la semplice aggiunta sull'etichetta di informazioni come quelle descritte nella questione pregiudiziale non può costituire un motivo legittimo ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva sui marchi, a condizione che l'etichetta così modificata non ometta talune informazioni importanti o non menzioni informazioni inesatte o non si presenti in un modo tale che possa nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare (v. sentenza Bristol-Myers Squibb e a., già citata, punti 65, 75 e 76).

24 Occorre pertanto risolvere le questioni dichiarando che l'art. 7 della direttiva sui marchi dev'essere interpretato nel senso che osta all'applicazione di una norma nazionale nello Stato membro A in base alla quale il titolare di un diritto di marchio può impedire l'importazione di un prodotto tutelato dal marchio in una situazione in cui

- il prodotto è stato fabbricato in un paese terzo;

- è stato importato nello Stato membro B dal titolare del marchio o da un'altra società appartenente allo stesso gruppo del titolare del marchio,

- è stato acquistato lecitamente nello Stato membro B da un commerciante indipendente che l'ha esportato verso lo Stato membro A,

- non ha subito alcuna trasformazione e l'imballaggio non è stato modificato, ad eccezione dell'aggiunta sull'etichetta di talune menzioni destinate ad adempiere gli obblighi di legge dello Stato membro di importazione, e

- i diritti di marchio sono detenuti negli Stati membri A e B dallo stesso gruppo.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

25 Le spese sostenute dal governo francese e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE

(Quinta Sezione),

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Tribunal de commerce di Pontoise con ordinanza 3 ottobre 1995, dichiara:

L'art. 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, dev'essere interpretato nel senso che osta all'applicazione di una norma nazionale nello Stato membro A in base alla quale il titolare di un diritto di marchio può impedire l'importazione di un prodotto tutelato dal marchio in una situazione in cui

- il prodotto è stato fabbricato in un paese terzo,

- è stato importato nello Stato membro B dal titolare del marchio o da un'altra società appartenente allo stesso gruppo del titolare del marchio,

- è stato acquistato lecitamente nello Stato membro B da un commerciante indipendente che l'ha esportato verso lo Stato membro A,

- non ha subito alcuna trasformazione e l'imballaggio non è stato modificato, ad eccezione dell'aggiunta sull'etichetta di talune menzioni destinate ad adempiere gli obblighi di legge dello Stato membro di importazione, e

- i diritti di marchio sono detenuti negli Stati membri A e B dallo stesso gruppo.