61993C0041

Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 26 gennaio 1994. - REPUBBLICA FRANCESE CONTRO COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE. - ART. 100 A, N. 4. - CAUSA C-41/93.

raccolta della giurisprudenza 1994 pagina I-01829
edizione speciale svedese pagina I-00129
edizione speciale finlandese pagina I-00165


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

1. Il ricorso su cui prendo posizione riguarda il primo caso di applicazione dell' art. 100 A, n. 4, del Trattato CEE, introdotto con l' Atto unico europeo.

La Repubblica francese chiede l' annullamento della decisione della Commissione 2 dicembre 1992 (1), adottata sulla base di quella disposizione, che "conferma" la disciplina tedesca relativa al divieto del pentaclorofenolo (in prosieguo: "PCP"), disciplina più restrittiva delle conferenti misure comunitarie di armonizzazione.

2. Il 17 dicembre 1989, la Repubblica federale di Germania aveva adottato un regolamento che vieta la fabbricazione, l' immissione sul mercato e l' uso del PCP, dei suoi sali e dei suoi composti nelle preparazioni che contengono più dello 0,01% di detta sostanza, nonché dei prodotti che, per effetto del loro trattamento mediante quelle preparazioni, contengono la sostanza in questione in concentrazione superiore a 5 mg/kg (ppm) (2). Il regolamento ammette la possibilità, subordinata in ogni caso ad autorizzazione, di derogare al divieto ivi stabilito solo per la fabbricazione e l' impiego del PCP e dei suoi composti usati nella sintesi di altre sostanze o che si presentano come sottoprodotto o, infine, che sono esclusivamente destinati alla ricerca scientifica: in tali ipotesi, devono essere comunque garantiti lo smaltimento senza rischi dei rifiuti e l' adozione di misure di sicurezza sufficienti a tutelare i lavoratori e l' ambiente.

In data 21 marzo 1991, il Consiglio ha adottato a maggioranza qualificata, in base all' art. 100 A del Trattato, la direttiva 91/173/CEE, recante la nona modifica alla direttiva 76/769/CEE relativa al PCP (3). Essa stabilisce il divieto di immettere sul mercato sostanze e preparati contenenti il PCP, i suoi sali e i suoi esteri in concentrazioni pari o superiori allo 0,1% in massa. Sono contemplate deroghe per le sostanze e preparazioni destinate ad essere impiegate per il trattamento del legno, per l' impregnazione delle fibre e dei tessuti pesanti, come agenti di sintesi e/o di trasformazione nei procedimenti industriali e per trattamenti specifici degli edifici di interesse storico e culturale. Le deroghe in questione sono soggette a revisione, in funzione dell' evoluzione delle conoscenze tecniche, al massimo tre anni dopo l' entrata in vigore della direttiva. Il termine per la trasposizione della direttiva era fissato al 1 luglio 1992.

Il 2 agosto 1991, la Repubblica federale di Germania, che, con altri tre paesi, aveva espresso voto contrario all' adozione della direttiva, ha comunicato alla Commissione, ai sensi e per gli effetti di cui all' art. 100 A, n. 4, l' intenzione di continuare ad applicare le disposizioni nazionali inerenti al PCP.

Il 2 dicembre 1992, come si è detto, la Commissione ha adottato la decisione oggetto del presente ricorso, con la quale ha "confermato" le disposizioni tedesche.

3. Prima di esaminare i mezzi avanzati dal Governo francese per chiedere l' annullamento della decisione, ritengo opportuno individuare l' esatta portata dell' art. 100 A, n. 4. La non certa limpida formulazione della disposizione solleva, infatti, diversi problemi interpretativi, ai quali è necessario preliminarmente dare una risposta. Essa recita:

"Allorché, dopo l' adozione di una misura di armonizzazione da parte del Consiglio a maggioranza qualificata, uno Stato membro ritenga necessario applicare disposizioni nazionali giustificate da esigenze importanti previste dall' articolo 36 o relative alla protezione dell' ambiente di lavoro o dell' ambiente, esso notifica tali disposizioni alla Commissione.

La Commissione conferma le disposizioni in questione dopo aver verificato che esse non costituiscano uno strumento di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel commercio tra gli Stati membri.

In deroga alla procedura di cui agli articoli 169 e 170, la Commissione o qualsiasi Stato membro può adire direttamente la Corte di giustizia ove ritenga che un altro Stato membro faccia un uso abusivo dei poteri contemplati dal presente articolo".

4. Mi sembra opportuno premettere, al riguardo, due osservazioni di carattere generale. La possibilità accordata ad uno Stato membro di continuare ad applicare la propria disciplina nazionale, nonostante l' intervenuta armonizzazione di una materia a livello comunitario, mira ad assicurare una tutela per così dire "rinforzata" di taluni interessi particolarmente rilevanti e, soprattutto, a dare una risposta alle preoccupazioni manifestate da alcuni Paesi, all' epoca dei negoziati per l' Atto unico, che un' eventuale armonizzazione, adottata a maggioranza, possa determinare una diminuzione del grado di protezione garantito a quegli interessi a livello nazionale. La disposizione costituisce, in altri termini, un "contrappeso" all' abbandono del principio dell' unanimità per l' adozione delle misure necessarie all' instaurazione ed al funzionamento del mercato interno, nei casi previsti al n. 1 dello stesso art. 100 A (4).

Orbene, poiché la disposizione in esame introduce un' eccezione ai principi dell' applicazione uniforme del diritto comunitario e dell' unità del mercato, ne deve essere data, come per tutte le norme che hanno natura derogatoria, una stretta interpretazione, che ne escluda l' estensione al di là dei casi in essa tassativamente previsti. Fondamentale, poi, è il ruolo che la Commissione deve svolgere per assicurare una corretta applicazione del meccanismo introdotto: ad essa, infatti, spetta vegliare a che ricorrano i presupposti e le condizioni perché uno Stato possa invocare l' art. 100 A, n. 4, e sia rispettata la procedura ivi delineata per la sua applicazione.

5. I soli motivi che consentano ad uno Stato di continuare ad applicare disposizioni nazionali, dopo che sia intervenuta una misura d' armonizzazione, sono dunque quelli indicati precisamente all' art. 36 del Trattato, cui si aggiungono le esigenze relative alla protezione dell' ambiente di lavoro e dell' ambiente. Non è necessario esaminare, in questa sede, quale sia l' esatta estensione degli interessi che possono essere fatti valere da un Paese per poter derogare alle misure armonizzate; ai fini della risoluzione della controversia oggi all' esame, infatti, credo sia sufficiente limitarsi ad osservare che i motivi enumerati nel n. 4 dell' art. 100 A sono in numero certamente più ridotto di quelli presi in considerazione dalla Corte nella sua giurisprudenza in materia di restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente, a partire dalla sentenza "Cassis de Dijon" (5).

Ciò, d' altra parte, appare giustificato, se si tiene conto del fatto che le deroghe al principio della libera circolazione delle merci ammesse da tale giurisprudenza sono riferite a misure nazionali preesistenti o a settori nei quali non sia intervenuta l' armonizzazione, mentre quelle che possono essere fondate sulla norma che qui rileva presuppongono proprio l' esistenza di una misura comunitaria di armonizzazione, per l' adozione della quale si è comunque già tenuto conto delle "esigenze imperative" fatte valere dai diversi Stati membri.

6. Dalla giurisprudenza sull' articolo 36 risulta, peraltro, che il perseguimento di uno degli obiettivi previsti da quella norma non è di per sé sufficiente a far ritenere legittima una disciplina nazionale restrittiva degli scambi intracomunitari, se essa non soddisfa all' ulteriore condizione di essere necessaria e non sproporzionata rispetto allo scopo che mira a raggiungere. Secondo questa giurisprudenza, dunque, gli Stati possono prendere quelle misure che consentano un' adeguata protezione dell' interesse fatto valere, e meritevole di tutela in sede comunitaria, ma al tempo stesso provochino il minimo possibile di turbative agli scambi: lo Stato in questione deve poi dimostrare che non vi siano altri mezzi idonei a conseguire lo scopo ricercato con effetti meno restrittivi sulla circolazione delle merci (6).

Orbene, il principio di proporzionalità, principio generale del diritto comunitario, deve valere anche nella valutazione delle cause giustificative addotte da uno Stato per invocare la possibilità di continuare ad applicare la propria normativa in deroga alle misure di armonizzazione. Il controllo che è affidato alle istituzioni comunitarie dall' art. 100 A, n. 4, sembra, anzi, doversi ispirare a criteri di maggior rigore rispetto a quelli adottati con riferimento alla previsione di cui all' art. 36, in quanto non si può non tenere conto degli standard di protezione già fissati dalla disciplina armonizzata. Non credo, in particolare, che si possa considerare una giustificazione adeguata il semplice rilievo che le norme nazionali, di cui viene richiesta la "conferma", assicurano un livello di protezione più elevato della misura di armonizzazione, in quanto è proprio questo elemento a dover essere giustificato. Altrimenti, si finirebbe con il riconoscere agli Stati posti in minoranza al momento dell' adozione della misura comunitaria la possibilità pressoché automatica di ottenere la deroga richiesta, svuotando in pratica di contenuto il principio del voto a maggioranza qualificata di cui al n. 1 dell' art. 100 A.

7. Quanto ai profili formali dell' art. 100 A, n. 4, mi pare meritino solo qualche osservazione.

Allorquando uno Stato intende avvalersi della clausola di salvaguardia di cui all' art. 100 A, n. 4, esso deve notificare alla Commissione le disposizioni nazionali derogatorie che intende applicare. Ad esso incombe l' onere di provare che tali disposizioni, che stabiliscono un livello di protezione più elevato degli interessi espressamente indicati dalla norma in questione rispetto alla misura comunitaria, siano necessarie e proporzionate. Spetta, quindi, alla Commissione confermare le disposizioni "dopo aver verificato che esse non costituiscano uno strumento di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel commercio tra gli Stati membri".

8. Ora, tenuto conto del carattere eccezionale del potere riconosciuto agli Stati dall' art. 100 A, n. 4, credo che, nella logica del sistema, esso debba essere controbilanciato da poteri di controllo particolarmente incisivi delle istituzioni comunitarie. La "conferma" costituisce, dunque, una vera e propria autorizzazione della Commissione a derogare alla normativa armonizzata, con la conseguenza che un eventuale rifiuto obbligherà lo Stato richiedente ad adattare la propria legislazione a quanto deciso dal Consiglio. L' atto in questione assume dunque, logicamente, la forma di una decisione ai sensi dell' art. 189 del Trattato, contro cui è esperibile il ricorso di cui all' art. 173.

Non mi sembra che osti a tale interpretazione la possibilità riconosciuta alla Commissione ed agli Stati membri dal terzo comma dell' art. 100 A, n. 4, di adire direttamente la Corte di giustizia nell' ipotesi in cui un altro Stato membro faccia un uso abusivo dei poteri contemplati dalla disposizione in oggetto. Ritengo, infatti, che la deroga ivi prevista alla procedura d' infrazione ex artt. 169 e 170 sia d' applicazione qualora uno Stato, nonostante la decisione negativa della Commissione, continui ad applicare la propria legislazione nazionale o, ancora, faccia un "uso abusivo" della facoltà di deroga, ad esempio andando oltre i termini dell' autorizzazione ricevuta.

9. Sulla base delle considerazioni appena svolte, è possibile prospettare una soluzione anche ad un ulteriore problema, che, in ogni caso, solo marginalmente viene in rilievo nella presente fattispecie. Si tratta, cioè, della possibilità per uno Stato che intenda avvalersi della previsione di cui all' art. 100 A, n. 4, di applicare la propria normativa, una volta entrata in vigore la misura di armonizzazione comunitaria, prima che sia intervenuta la decisione della Commissione. Orbene, in considerazione della natura che va riconosciuta a tale decisione, ritengo che questa possibilità vada esclusa.

L' accoglimento della tesi contraria, d' altra parte, non solo contrasterebbe con il principio della certezza del diritto, in quanto si creerebbe una situazione di incertezza sulla normativa applicabile in un determinato Stato, ma soprattutto metterebbe in discussione il primato del diritto comunitario. Il conflitto tra una norma comunitaria ed una norma nazionale dovrebbe essere risolto in favore della prima; ed uno Stato che intendesse, comunque, applicare la propria divergente disciplina prima di esserne autorizzato sarebbe inadempiente e farebbe un uso abusivo dei poteri riconosciutigli dall' art. 100 A, n. 4 (7).

Non si potrebbe, invece, far ricadere sullo Stato, che abbia tempestivamente notificato le norme nazionali che intende applicare, il ritardo della Commissione nel prendere la decisione di sua competenza (8).

10. Se questa è la portata dell' art. 100 A, n. 4, credo ci siano tutti gli elementi per rispondere ai problemi sollevati dalla presente causa e decidere sulla fondatezza del ricorso introdotto dal governo francese.

Viene in rilievo, in primo luogo, la questione relativa alla ricevibilità del ricorso, questione risolta affermativamente, sia pure con motivazioni non sempre coincidenti, da tutte le parti che hanno partecipato al procedimento (9).

Non mi sembra possano sussistere dubbi al riguardo, una volta riconosciuta all' atto della Commissione adottato ex art. 100 A, n. 4, natura di vera e propria autorizzazione allo Stato membro ad applicare la propria disciplina, in deroga alla misura di armonizzazione. Siamo in presenza, infatti, di un atto certamente produttivo di effetti giuridici e quindi impugnabile ai sensi dell' art. 173 del Trattato (10).

11. Passando al merito del ricorso, il Governo francese deduce due mezzi di annullamento della decisione. In primo luogo esso fa valere la violazione dell' art. 100 A, n. 4, in quanto la Commissione avrebbe confermato la normativa tedesca nonostante le informazioni trasmesse dalle autorità nazionali non fossero affatto idonee a dimostrare che il divieto pressoché assoluto di utilizzare il PCP sia giustificato dalla specifica situazione esistente in Germania. In particolare, non sarebbe provata una minaccia all' ambiente talmente grave da imporre una disciplina della materia ancora più restrittiva di quella comunitaria, che già fornisce un elevato livello di protezione. Neppure sarebbe dimostrato, d' altra parte, che le norme derogatorie siano proporzionate allo scopo perseguito, tenuto conto degli ostacoli agli scambi intracomunitari che ne possono derivare.

In secondo luogo, la Commissione - secondo il Governo francese - avrebbe violato l' art. 190 del Trattato, in quanto la decisione controversa conterrebbe una motivazione carente, inidonea a far apparire in modo chiaro le ragioni su cui si fonda ed in particolare la sussistenza delle condizioni stabilite dall' art. 100 A, n. 4, per l' ammissibilità di norme in deroga alla disciplina armonizzata.

12. Credo sia opportuno analizzare preliminarmente la fondatezza della seconda censura e verificare se e come la Commissione ha giustificato il mantenimento della regolamentazione tedesca nella decisione impugnata. Vengono in rilievo al riguardo i capoversi 4-5 e 8-9 della parte II, "Valutazione" dell' atto, che mi sembra utile visualizzare per esteso:

"Quanto al merito, il divieto di uso del pentaclorofenolo e dei suoi sali ed esteri previsto dal regolamento tedesco è più comprensivo di quello previsto dalla direttiva 91/173/CEE. In effetti, la regolamentazione tedesca prevede meno eccezioni all' utilizzazione del PCP della direttiva comunitaria. Inoltre prevede nelle sostanze e nei preparati a base di PCP un limite consentito inferiore al limite comunitario (...).

Il limite stabilito dal decreto tedesco dello 0,01% presenta un margine di sicurezza più elevato. Tale limite nonché le eccezioni previste dalla regolamentazione tedesca sono giustificati dalle importanti esigenze previste dall' articolo 36, o relative alla protezione del luogo di lavoro o dell' ambiente.

Il divieto di produzione, di immissione sul mercato e di uso del pentaclorofenolo e dei suoi composti, previsto dal regolamento tedesco, ostacola il commercio.

Tuttavia, queste disposizioni nazionali sono applicabili senza distinzione sia ai prodotti nazionali sia a quelli importati. Esse sono idonee a proteggere la sanità pubblica e l' ambiente e non risultano manifestamente sproporzionate per raggiungere questi obiettivi. Inoltre, non sembrano tali da creare una discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel commercio tra Stati membri".

13. Orbene, secondo una giurisprudenza costante, il rispetto da parte delle istituzioni comunitarie dell' obbligo di motivare i propri atti va valutato in funzione della natura e del contenuto degli stessi: la motivazione deve in ogni caso far apparire in forma chiara l' iter logico seguito dall' autorità da cui l' atto promana, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere alla Corte di esercitare il proprio controllo (11).

Per quanto riguarda in particolare le decisioni, se non è in generale necessario che vengano specificati tutti gli elementi di fatto o di diritto, spesso numerosi e complessi, che ne costituiscono la giustificazione legale (12), o, ancora, che sia fatto riferimento puntuale all' insieme delle questioni sollevate nel corso del procedimento di adozione (13), dalla motivazione devono comunque risultare le indicazioni necessarie per permettere ai destinatari, come pure agli altri soggetti interessati direttamente e individualmente ai sensi dell' art. 173, n. 2, di valutarne la fondatezza (14).

L' accertamento sulla congruità della motivazione va poi effettuato, secondo la costante giurisprudenza della Corte, alla luce non solo del suo tenore letterale ma altresì del suo contesto, nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano una determinata materia (15): in tale prospettiva una motivazione sommaria può anche risultare adeguata, se la decisione rientra in una prassi decisionale costante o nel quadro di una procedura uniforme che si ripete periodicamente, se gli interessati sono stati associati al processo di elaborazione della stessa o, ancora, se essa costituisce un caso di applicazione di una decisione precedente (16). Negli altri casi, all' autorità comunitaria incombe l' obbligo di motivare esaurientemente il provvedimento, affinché la motivazione possa adempiere alla funzione in vista della quale è prevista.

14. Se, dunque, si fa applicazione di questi principi al caso di specie, mi sembra evidente che la censura della ricorrente circa l' insufficienza di motivazione della decisione controversa vada accolta. A tal riguardo non è inutile sottolineare di nuovo che la suddetta decisione costituisce il primo caso di applicazione dell' art. 100 A, n. 4, e che, proprio in considerazione della novità e dei numerosi dubbi interpretativi posti da quella disposizione, una motivazione adeguata sarebbe stata quanto mai necessaria, anche per contribuire a chiarirne le condizioni di applicazione. Orbene, a fronte di tale esigenza, la decisione si limita a giustificare la disciplina tedesca, con il rilievo che essa tende alla protezione degli interessi previsti dall' art. 36, o relativi alla protezione del luogo di lavoro o dell' ambiente; e che inoltre il divieto di uso del PCP e dei suoi composti, essendo di portata più ampia di quello fissato a livello comunitario, garantirebbe un maggiore margine di sicurezza. Ora, se il richiamo a quegli interessi già non è una giustificazione sufficiente nell' ambito di applicazione dell' art. 36, cioè nel quadro di un settore non armonizzato, non lo è a maggior ragione con riguardo alla situazione disciplinata dall' art. 100 A, n. 4, che presuppone l' adozione di una normativa comunitaria. Tenuto anche conto dell' elevato grado di tutela di quegli interessi già assicurato dalla direttiva di armonizzazione, si sarebbero dovute quindi precisare quali fossero le esigenze specifiche che giustificano l' adozione in Germania di misure ancora più restrittive. Nulla è detto invece al riguardo.

D' altra parte, come si è detto in precedenza, la semplice constatazione che la normativa nazionale di cui si chiede la conferma assicuri un grado di protezione più elevato di quella comunitaria non è di per sé sufficiente a fondare una decisione positiva della Commissione. Ciò infatti costituisce il presupposto di applicazione dell' art. 100 A, n. 4, non la giustificazione della normativa; al contrario, si tratta di un elemento che a sua volta richiede una giustificazione: che nella specie non risulta in alcun punto della decisione impugnata.

Anche sul carattere proporzionato delle misure tedesche rispetto all' obiettivo perseguito, nessun elemento è indicato a supporto dell' affermazione che esse "non risultano manifestamente sproporzionate". Al riguardo, credo sarebbe stato opportuno che la decisione avesse precisato in quale misura la protezione supplementare della salute e dell' ambiente garantita dalla disciplina tedesca giustifichi gli eventuali maggiori ostacoli agli scambi intracomunitari; o, ancora, che avesse esaminato le conseguenze della necessità di fare uso di prodotti sostitutivi del PCP.

Delle precisazioni al riguardo sarebbero state quanto mai opportune, in quanto diversi elementi del dossier contribuiscono, in effetti, ad alimentare i dubbi sulla effettiva necessità di misure più restrittive di quelle della direttiva. Se, ad esempio, come è ammesso dalla Commissione nelle sue osservazioni, non esistono sul mercato preparati contenenti il PCP in concentrazioni pari allo 0,1% (limite comunitario) o allo 0,01% (limite fissato in Germania), qual è la garanzia aggiuntiva assicurata dalla disciplina tedesca?

Per quanto riguarda, infine, la verifica incombente alla Commissione e diretta ad accertare che la normativa nazionale derogatoria non si traduca in una discriminazione arbitraria o in una restrizione dissimulata al commercio tra Stati membri, il testo della decisione si limita, in effetti, a ripetere ancora una volta, pedissequamente, la formula dell' art. 100 A, n. 4, senza che le affermazioni fatte siano in alcun modo supportate da una qualsiasi considerazione che giustifichi le conclusioni della Commissione.

15. Ritengo pertanto che ci troviamo di fronte ad un' ipotesi di scuola di carenza e addirittura di assenza di motivazione: comunque, quella della decisione impugnata non soddisfa le esigenze minime poste dall' art. 190 del Trattato affinché la Corte possa esercitare il proprio controllo sull' atto e gli interessati far conoscere il proprio punto di vista circa l' esistenza e la rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati.

16. Da quanto precede risulta come, in considerazione della laconicità della motivazione, non sia di fatto possibile procedere all' esame della prima censura sollevata dalla ricorrente. Mancano infatti addirittura gli elementi per effettuare una simile verifica.

17. Propongo pertanto alla Corte di accogliere il ricorso del Governo francese, annullando la decisone 2 dicembre 1992 della Commissione per difetto di motivazione; e condannare quest' ultima alle spese di giudizio. La parte interveniente sopporterà le proprie spese.

(*) Lingua originale: l' italiano.

(1) - Gli elementi essenziali della motivazione della decisione, nonché del suo dispositivo, sono riportati in una comunicazione della Commissione pubblicata in GU C 334, pag. 8.

(2) - Il testo del regolamento è pubblicato in BGBI 1989 I, pag. 2235.

(3) - GU L 85, pag. 34.

(4) - Vedi, al riguardo, Flynn, How will article 100 A(4) work? A comparison with article 93, in CMLR 1987, pag. 689 e seguenti; Ehlermann, The internal market following the Single European Act, in CMLR 1987, pag. 361 e seguenti; Gulmann, The Single European Act, some remarks from a danish perspective, in CMLR 1987, pag. 31 e seguenti; Jacqué, Les mesures dérogatoires unilatérales dans le marché intérieur: l' article 100 A par. 4, Jornades europees de Pasqua, Patronat Català Pro Europa, pag. 64 e seguenti; Langeheine, Le rapprochement des législations nationales selon l' article 100 A du Traité CEE: l' harmonisation communautaire face aux exigences de protection nationale, RMC 1989, pag. 347 e seguenti; Mattera, Il mercato unico europeo, Torino 1990, pag. 168 e seguenti; e Rossi, Il buon funzionamento del mercato comune, Milano 1990, pag. 165 e seguenti.

(5) - Sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe/Bundesmonopolverwaltung fuer Branntwein (Racc. pag. 649).

(6) - Vedi, al riguardo, le sentenze 13 dicembre 1990, causa C-347/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-4747, in particolare punto 58); 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil Limited (Racc. pag. 2727, in particolare punti 37-46), e 12 luglio 1979, causa 153/78, Commissione/Germania (Racc. pag. 2555, in particolare punti 4 e 5).

(7) - Tali rilievi saranno a maggior ragione validi, qualora lo Stato ometta del tutto di procedere alla notifica della disciplina nazionale derogatoria che intende applicare ai sensi dell' art. 100 A, n. 4.

(8) - Come si è verificato nel caso di specie, in cui la Germania aveva notificato alla Commissione con molto anticipo, rispetto al termine per la trasposizione nel diritto interno delle misure armonizzate con direttiva, l' intenzione di continuare ad applicare le norme nazionali, mentre la decisione di conferma è intervenuta solo qualche mese dopo la scadenza di quel termine.

(9) - Il Governo tedesco ritiene ricevibile il ricorso per il solo fatto che l' atto di conferma della Commissione presenta tutte le caratteristiche di una decisione ex art. 189, n. 4, del Trattato e quindi corrisponde alla nozione di atto di un' istituzione comunitaria, ai sensi dell' art. 173, n. 1; questa soluzione sarebbe dunque valida indipendentemente dalla risposta che si intende dare al quesito se la Commissione sia abilitata, ex art. 100 A, n. 4, ad adottare una decisione formale.

(10) - V., al riguardo, le sentenze 31 marzo 1971, causa 22/70, AETS (Racc. pag. 263, in particolare punti 34-55), 9 ottobre 1990, causa C-366/88, Francia/Commissione (Racc. pag. I-3571, in particolare punto 8), e 30 giugno 1992, causa C-312/90, Spagna/Commissione (Racc. pag. I-4117, in particolare punti 11-20).

(11) - Vedi sul punto, tra le altre, le sentenze 7 luglio 1981, causa 158/80, Rewe (Racc. pag. 1805, in particolare punti 25 e 26), 25 ottobre 1984, causa 185/83, Rijksuniversiteit te Groningen (Racc. pag. 3623, in particolare punto 38), 22 gennaio 1986, causa 250/84, Eridania (Racc. pag. 117, in particolare punto 37), e 14 febbraio 1990, causa C-350/88, Delacre e a. (Racc. pag. I-395, in particolare punto 15).

(12) - Vedi, ad esempio, sentenze 25 ottobre 1984, Rijksuniversiteit te Groningen, già citata, punto 38, e 7 febbraio 1990, causa C-213/87, Gemeente Amsterdam e VIA (Racc. pag. I-221, pubblicazione sommaria).

(13) - Vedi sentenza 29 ottobre 1980, cause riunite da 209/78 a 215/78 e 218/78, van Landewyck (Racc. pag. 3125, in particolare punto 66).

(14) - Vedi, al riguardo, sentenza 13 marzo 1985, cause riunite 296/82 e 318/82, Paesi Bassi e Leeuwarder Papierwarenfabriek (Racc. pag. 809, in particolare punto 19).

(15) - Vedi sentenze 23 febbraio 1978, causa 92/77, An Bord Bainne (Racc. pag. 497, in particolare punti 36 e 37), e 25 ottobre 1984, Rijksuniversiteit te Groningen, già citata, punto 38.

(16) - Vedi, ad esempio, sentenze 25 ottobre 1984, Rijksuniversiteit te Groningen, citata, punto 39; 13 luglio 1988, causa 102/87, Francia/Commissione (Racc. pag. 4067, in particolare punti 29 e 30); 7 febbraio 1990, Gemeente Amsterdam e VIA, citata, e 14 febbraio 1990, causa C-350/88, Delacre e a., citata, in particolare punti da 15 a 19).