CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
F. G. JACOBS
presentate il 22 aprile 1993 ( *1 )
Signor Presidente,
Signori Giudici,
1. |
In questa causa, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha proposto una domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all'interpretazione dell'art. 18 dell'accordo di libero scambio tra la Comunità economica europea e l'Austria, concluso ed adottato dalla Comunità con il regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n.2836 (GU 1972, L 300, pag. 1; in prosieguo: l'«accordo»). |
2. |
La questione sottoposta alla Corte così recita: «Se, nell'ambito del Trattato CEE-Austria, una disciplina nazionale che sanzioni le infrazioni concernenti l'IVA all'importazione più severamente di quelle concernenti l'IVA sulle cessioni di beni all'interno del paese sia compatibile con l'art. 18 del Trattato in questione, qualora detta differenza sia sproporzionata rispetto alla diversità delle due categorie di infrazioni anche alla luce della risoluzione di analoga questione in ambito comunitario affrontata con la sentenza 25 febbraio 1988, causa 299/86, Drexl (Racc. 1988, pag. 1213) in relazione all'art. 95 del Trattato CEE». |
3. |
Il procedimento principale trae origine dal decreto 3 luglio 1991, con cui il pubblico ministero ordinava il sequestro di 205885 kg di alluminio in pani, importato dall'Austria dalla Metalsa Sri, per la ragione che quest'ultima non aveva assolto l'IVA dovuta al momento dell'importazione e, di conseguenza, aveva violato alcune disposizioni della legge italiana in merito al pagamento di detta imposta. Il sequestro dell'alluminio in pani è un provvedimento provvisorio. Ai sensi dell'art. 301 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, l'alluminio in pani sarà oggetto di confisca solo qualora venga accertata, con sentenza definitiva, la violazione da parte della Metalsa delle norme di legge italiane in merito al pagamento del-l'IVA. |
4. |
Con ordinanza 13 luglio 1991, il pubblico ministero respingeva l'istanza della Metalsa per il dissequestro dell'alluminio in pani. In seguito a detta decisione, la Metalsa proponeva opposizione dinanzi l'ufficio del giudice responsabile delle indagini preliminari presso il Tribunale di Milano. In tal sede veniva effettuato il rinvio per il procedimento pregiudiziale. |
5. |
La normativa italiana traccia una distinzione fra le infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sulle importazioni e le infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sulle cessioni all'interno del territorio nazionale. Ai sensi dell'art. 70 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, le violazioni riguardanti il pagamento di tasse sulle importazioni, tra cui l'IVA, sono sanzionate con le pene indicate nelle leggi doganali relative ai diritti di confine. Una di queste sanzioni è la confisca. Viceversa, le violazioni riguardanti il pagamento dell'IVA su cessioni effettuate nel territorio nazionale comportano, in generale, sanzioni meno severe di quelle che risultano dall'applicazione della normativa doganale. La sanzione della confisca non rientra tra queste. |
6. |
Nella causa Drexl (causa 299/86, Race. 1988, pag. 1213), avente ad oggetto importazioni da altri Stati membri, la Corte ha analizzato detto sistema delle sanzioni differenziate. Essa ha statuito (v. punto 2 del dispositivo della sentenza) che: «Una disciplina nazionale che sanzioni le infrazioni concernenti l'IVA all'importazione più severamente di quelle concernenti l'IVA sulle cessioni dei beni all'interno del paese è incompatibile con l'art. 95 del Trattato qualora detta differenza sia sproporzionata rispetto alla diversità delle due categorie di infrazioni». Si ricorderà che l'art. 95, primo comma, del Trattato dispone quanto segue: «Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari». |
7. |
La decisione nella causa Drexl deve pertanto essere considerata come applicabile solo alle importazioni da altri Stati membri ( 1 ). La Metalsa, tuttavia, sostiene che detta regola dovrebbe essere applicata alle importazioni dall'Austria, ai sensi dell'art. 18, primo comma, dell'accordo, che così recita: «Le Parti contraenti si astengono da ogni misura o pratica di carattere fiscale interna che stabilisca, direttamente o indirettamente, una discriminazione tra i prodotti di una Parte contraente ed i prodotti similari originari dell'altra Parte contraente». |
8. |
Secondo quanto afferma la Metalsa, la ratio e la finalità dell'accordo sono tali da giustificare un'interpretazione dell'art. 18 dell'accordo stesso analoga a quella che la Corte, nella causa Drexl, ha seguito per l'art. 95 del Trattato. La Metalsa sostiene che, dal momento che l'art. 18 si riferisce a ogni misura o pratica discriminatoria di carattere fiscale interno, esso ricomprende anche le sanzioni penali discriminatorie. Le affermazioni della Metalsa sono contestate dalla Commissione e dal governo italiano. |
9. |
Prima di risolvere la questione in oggetto, sarà utile esaminare brevemente la natura e le finalità dell'accordo, nonché indicare i criteri generali applicati dalla Corte nell'interpretazione degli accordi internazionali conclusi dalla Comunità. |
10. |
Nelle sue norme sostanziali, l'accordo ricalca in parte il Trattato. Gli artt. da 3 a 7 stabiliscono l'eliminazione dei dazi doganali e delle tasse aventi un effetto equivalente negli scambi tra la Comunità e l'Austria. L'art. 13 dispone l'abolizione delle restrizioni quantitative alle importazioni o delle misure di effetto equivalente. Dette norme sono poi integrate dall'art. 18, che, come già indicato, vieta misure o pratiche fiscali di natura discriminatoria. L'art. 19 stabilisce l'abolizione di ogni restrizione in merito ai pagamenti relativi agli scambi di merci. L'art. 22 ordina che le parti contraenti si astengano da ogni misura suscettibile di compromettere la realizzazione degli scopi dell'accordo ed adottino tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi dell'accordo. Gli artt. 23 e 25 contengono regole in materia di concorrenza, aiuti pubblici e dumping. |
11. |
Sia l'art. 95 del Trattato, sia l'art. 18 dell'accordo menzionano il principio dell'eguaglianza fiscale. Infatti, le disposizioni dell'art. 18, primo comma, dell'accordo, facendo riferimento a «ogni misura o pratica di carattere fiscale interna», sembra andare al di là delle disposizioni dell'art. 95, primo comma, del Trattato. In sostanza, tuttavia, le norme sono identiche nel proibire qualsivoglia forma di discriminazione fiscale diretta o indiretta. |
12. |
L'apparente analogia tra le due disposizioni non dovrebbe tuttavia far dimenticare che il Trattato CEE e l'accordo perseguono obiettivi fondamentalmente diversi. |
13. |
Ai sensi del preambolo dell'accordo, che è stato concluso sulla base dell'art. 113 del Trattato, lo scopo dello stesso è quello di consolidare e di estendere le relazioni economiche esistenti tra la Comunità e l'Austria e di assicurare, nel rispetto delle condizioni eque di concorrenza, lo sviluppo armonioso del loro commercio. A tal fine, le parti contraenti hanno convenuto di eliminare gradualmente gli ostacoli sostanzialmente a tutti gli scambi fra di esse intercorrenti, conformemente alle disposizioni dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, concernenti la creazione di zone di libero scambio. |
14. |
Ai sensi dell'art. XXIV, n. 8, dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, per «zona di libero scambio» si intende: «un gruppo di due o più territori doganali in cui i diritti doganali ed altre regolamentazioni restrittive degli scambi commerciali (...) sono eliminati sostanzialmente in tutti gli scambi commerciali relativi a prodotti originari dei territori che costituiscono la zona di libero scambio». |
15. |
Viceversa, il Trattato CEE non intende soltanto costituire una zona di libero scambio nel senso indicato dall'accordo, ma si propone di realizzare un'integrazione economica destinata a culminare nell'istituzione di un mercato interno, nonché di contribuire con altri Trattati delle Comunità ad un progresso concreto dell'Unione europea (v. parere 14 dicembre 1991, 1/91, relativo al progetto di accordo tra la Comunità e i paesi dell'EFTA, in merito alla creazione dello Spazio economico europeo, Race. 1991, pag. I-6079, punto 17). |
16. |
La giurisprudenza della Corte evidenzia che una norma di un accordo internazionale concluso dalla Comunità deve essere interpretata nel contesto dell'accordo stesso e alla luce delle sue finalità (v. parere 1/91, punto 14). Pertanto, il fatto che un accordo sul libero commercio concluso dalla Comunità utilizzi termini analoghi a quelli di un articolo del Trattato non è una ragione sufficiente per applicare la giurisprudenza della Corte su quest'ultimo articolo alle disposizioni dell'accordo: v. causa 270/80, Polydor/Harlequin Record Shops, Race. 1982, pag. 329. In detta causa, la Corte era stata adita in merito all'interpretazione degli artt. 14 e 23 dell'accordo di libero scambio tra la Comunità economica europea e la Repubblica portoghese, sottoscritto il 22 luglio 1972 quando il Portogallo era già membro dell'EFTA. Gli artt. 14 e 23 di detto accordo erano analoghi agli artt. 30 e 36 del Trattato. La Corte ha ritenuto che, nonostante detta analogia, eventuali restrizioni al libero scambio per motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale possono considerarsi legittimate nel contesto delle convenzioni sul libero scambio stabilite da detto accordo, anche se restrizioni analoghe non sarebbero viceversa legittimate nel contesto del Trattato. |
17. |
Una disposizione contenuta in un accordo internazionale deve, tuttavia, essere interpretata in maniera analoga alla disposizione corrispondente del Trattato, se così è richiesto dagli obiettivi perseguiti dall'accordo: v. la causa 17/81, Pabst & Richarz/Hauptzollamt Oldenburg, Race. 1982, pag. 1331, e la causa C-163/90, Legros, Race. 1992, pag. I-4625 ( 2 ). Nella causa Pabst & Richarz, la Corte ha interpretato l'art. 53, n. 1, dell'accordo di associazione concluso fra la Comunità e la Grecia nel 1961 in maniera analoga all'art. 95 del Trattato. Essa ha statuito che l'art. 53, n. 1, si inserisce in un complesso di disposizioni che hanno lo scopo di preparare l'entrata della Grecia nella Comunità e che dalla lettera dell'art. 53, n. 1, nonché dall'oggetto e dalla natura dell'accordo di associazione di cui fa parte, si desume che detta norma osta a che un regime nazionale di sgravio, quale quello oggetto di detta causa, favorisca il trattamento fiscale degli alcolici nazionali rispetto a quelli importati dalla Grecia. |
18. |
Nella causa Legros la Corte era stata investita, inter alia, dell'interpretazione dell'art. 6 dell'accordo stipulato nel 1972 fra la Comunità e la Svezia, il quale proibisce nel commercio fra le parti contraenti l'imposizione di oneri aventi effetto equivalente ai dazi doganali. La Corte ha stabilito che, nelle particolari circostanze della fattispecie in questione, l'art. 6 di detto accordo doveva essere interpretato in modo identico alla corrispondente disposizione del Trattato. Essa ha altresì dichiarato che, alla luce dell'obiettivo di eliminare gli ostacoli agli scambi fra la Comunità e la Svezia, la soppressione dei dazi doganali all'importazione e delle tasse di effetto equivalente svolge un ruolo fondamentale. Su tali premesse, la Corte ha concluso che se la nozione di tassa di effetto equivalente fosse interpretata, nel contesto dell'accordo con la Svezia, in maniera più restrittiva che nel contesto del Trattato, l'efficacia di detto accordo verrebbe sostanzialmente compromessa (v. punto 26 della motivazione). |
19. |
Nella causa 104/81, Hauptzollamt Mainz/Kupferberg (Race. 1982, pag. 3641), la Corte ha analizzato se l'art. 21, primo comma, dell'accordo di libero scambio fra la CEE e la Repubblica portoghese contenesse un divieto analogo a quello di cui all'art. 95 del Trattato. Si deve notare che l'art. 21, primo comma, di detto accordo, è identico all'art. 18, primo comma, dell'accordo tra la Comunità e l'Austria, oggetto del presente procedimento. La Corte (v. punti 29-31 della motivazione), ha dichiarato che: «(...) bisogna rilevare che, anche se l'art. 21 dell'accordo e l'art. 25 del Trattato CEE hanno lo stesso scopo in quanto mirano all'eliminazione delle discriminazioni fiscali, ciascuna di queste due disposizioni, redatte peraltro in termini diversi, deve tuttavia essere considerata e interpretata nel proprio ambito specifico. Ora, come la Corte ha già dichiarato (...) il Trattato CEE e l'accordo di libero scambio perseguono scopi diversi. Ne deriva che le interpretazioni che sono state date all'art. 95 del Trattato non possono essere trasposte, per semplice analogia, nell'ambito dell'accordo di libero scambio. Bisogna quindi risolvere (...) la questione nel senso che l'art. 21, 1° comma, va interpretato in funzione della sua lettera e tenuto conto dello scopo che esso persegue nell'ambito del regime di libero scambio istituito dall'accordo». |
20. |
È perciò evidente che il principio di eguaglianza fiscale sancito dall'art. 18, primo comma, dell'accordo tra la CEE e l'Austria deve essere interpretato alla luce degli obiettivi dell'accordo stesso. Dal momento che detti obiettivi sono più limitati rispetto a quelli del Trattato CEE, ne deriva che possono sussistere forme di discriminazione fiscale che sono proibite dall'art. 95 del Trattato ed ammesse invece dall'art. 18 dell'accordo. È pertanto necessario far riferimento all'interpretazione dell'art. 95 del Trattato seguita dalla Corte nella causa Drexl ed analizzare se essa possa essere applicata in rapporto all'art. 18, primo comma, dell'accordo alla luce dei suoi propri obiettivi. Si deve a questo punto notare che l'art. 18, primo comma, deve essere considerato dotato di un'efficacia diretta. Nella sentenza Kupferberg, la Corte ha statuito che l'art. 21, primo comma, dell'accordo di libero scambio tra la Comunità ed il Portogallo contiene una norma antidiscriminatoria incondizionata, che di conseguenza produce effetti diretti in tutta la Comunità. Lo stesso dicasi per quanto concerne l'art. 18, primo comma, dell'accordo tra la Comunità e l'Austria, articolo che è identico all'art. 21, primo comma, dell'accordo oggetto della sentenza Kupferberg. |
21. |
Nella causa Drexl la Corte ha analizzato se un sistema sanzionatorio, ai sensi del quale le infrazioni in materia di IVA sulle importazioni sono punite più severamente rispetto a quelle riguardanti l'IVA sulle cessioni di beni all'interno del paese, violi l'art. 95 del Trattato, il principio di eguaglianza di trattamento, nonché il principio di proporzionalità. La Corte (v. punti 22-25 della motivazione) ha stabilito che: «Occorre constatare (...) che le due categorie di infrazioni di cui trattasi si distinguono per diverse circostanze che attengono tanto agli elementi constitutivi dell'infrazione quanto alla difficoltà maggiore o minore di scoprirla. Infatti, l'IVA all'importazione è riscossa all'atto del semplice ingresso risico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, piuttosto che in occasione di uno scambio. Dette differenze implicano che gli Stati membri non sono obbligati ad istituire un regime identico per le due categorie di infrazioni. Tuttavia, tali differenze non possono giustificare un divario manifestamente sproporzionato nella severità delle sanzioni comminate per le due categorie di infrazioni. Una sproporzione siffatta sussiste quando la sanzione comminata per il caso dell'importazione comporta, di norma, pene detentive e la confisca della merce in forza delle norme intese a reprimere il contrabbando, mentre sanzioni comparabili non sono contemplate, o non sono applicate in modo generale, nel caso di infrazione dell'IVA negli scambi interni. Tale situazione potrebbe avere effettivamente la conseguenza di compromettere la libertà di circolazione delle merci all'interno della Comunità e sarebbe quindi incompatibile con l'art. 95 del Trattato. Infatti, come la Corte ha affermato nella sentenza 5 maggio 1982 (causa 15/81, Gaston Schul, Racc. 1982, pag. 1409), l'interpretazione dell'art. 95 deve tener conto degli scopi del Trattato, enunciati negli artt. 2 e 3, fra i quali figura, in primo luogo, l'instaurazione di un mercato comune, nel quale sia eliminato ogni intralcio per gli scambi al fine di fondere i mercati nazionali in un mercato unico il più possibile simile ad un vero e proprio mercato interno (...). Pertanto, la (...) questione va risolta nel senso che una disciplina nazionale che sanzioni le infrazioni concernenti l'IVA all'importazione più severamente di quelle concernenti l'IVA sulle cessioni di beni all'interno del paese è incompatibile con l'art. 95 del Trattato qualora detta differenza sia sproporzionata rispetto alla diversità delle due categorie di infrazioni». |
22. |
Nella causa Drexl, quindi, la Corte ha ammesso che tra infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sulle importazioni e infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sulle cessioni di beni all'interno del paese esistono delle differenze e che, in via di principio, gli Stati membri sono liberi di stabilire sanzioni differenti per le due categorie di violazioni. Essa ha tuttavia stabilito che il principio di eguaglianza fiscale, di cui all'art. 95 del Trattato, deve essere interpretato in senso ampio, come divieto di sanzionare infrazioni analoghe in maniera manifestamente sproporzionata. La Corte ha seguito un'interpretazione ampia dell'art. 95, alla luce degli obiettivi del Trattato, ed in particolare alla luce dell'obiettivo di realizzare un mercato interno. |
23. |
Bisogna notare che, nella causa Drexl, la Corte si era occupata dell'applicazione del principio di eguaglianza, piuttosto che dell'applicazione del principio di proporzionalità. Nella sentenza, la Corte ha analizzato se una differenza sproporzionata fra le sanzioni stabilite per infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sulle importazioni e le sanzioni previste per infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sulle cessioni di beni all'interno del paese possa compromettere la libera circolazione dei beni. La Corte non ha invece analizzato se le sanzioni stabilite per infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sulle importazioni da altri Stati membri fossero di per sé talmente sproporzionate, rispetto alla gravità delle infrazioni, da configurare un ostacolo alle libertà sancite dal diritto comunitario. |
24. |
La Commissione ed il governo italiano sostengono che l'interpretazione seguita dalla Cone nella causa Drexl, con riguardo all'art. 95 del Trattato, non può essere applicata all'art. 18 dell'accordo. In primo luogo, la Commissione ed il governo italiano sostengono che l'art. 18 proibisce solo una discriminazione effettiva in materia fiscale e non riguarda invece la competenza degli Stati membri in merito alle sanzioni penali. In secondo luogo, il governo italiano rileva che, anche se si accetta che l'art. 18 vieta ogni discriminazione per quanto riguarda le sanzioni penali, non vi è violazione di detto divieto qualora le infrazioni de quibus siano differenti. |
25. |
Con riguardo al primo argomento, la Commissione sostiene che nella causa Drexl la Corte ha seguito un'interpretazione ampia del principio di eguaglianza fiscale, alla luce degli obiettivi del Trattato. Essa sostiene quindi che il principio di eguaglianza fiscale non può essere invece interpretato altrettanto ampiamente nel contesto di un accordo per il libero scambio, i cui scopi ed obiettivi sono assai più limitati. La Commissione afferma che, alla luce degli obiettivi dell'accordo, la finalità dell'art. 18 è quella di vietare ogni discriminazione in merito a tutti i provvedimenti e prassi riguardanti l'imposizione e la riscossione dell'IVA. Detta norma si applica quindi alla base imponibile, alle aliquote ed alle modalità di prelievo e di recupero dell'imposta, che possono determinare un impatto sulla libera circolazione delle merci originarie di una delle parti contraenti. La Commissione conclude che le restrizioni alla competenza degli Stati membri nell'imporre sanzioni penali possono applicarsi solo fra membri della Comunità, che mirano a creare un mercato interno ed un'Unione europea, e non invece nel contesto di un accordo per il libero scambio. Il governo italiano assume una posizione analoga. |
26. |
Con riguardo al secondo argomento, il governo italiano afferma che, anche se si volesse accettare che nel divieto di discriminazione fiscale, sancito dall'art. 18, rientrino pure le sanzioni penali, detto divieto potrebbe applicarsi solo nel caso in cui venissero imposte sanzioni diverse per infrazioni uguali. Tuttavia, le infrazioni riguardanti 1TVA sulle importazioni sono diverse dalle sanzioni riguardanti ÌTVA sulle cessioni di beni all'interno del paese. Ne deriva che il fatto di stabilire sanzioni diverse rispetto a questi due tipi di violazione non configura discriminazione fiscale; il sistema di sanzioni differenziate, previsto dalla normativa italiana, non è pertanto contrario all'art. 18 dell'accordo. |
27. |
A mio parere, l'art. 18 dell'accordo non postula un raffronto fra le sanzioni stabilite dagli Stati membri per le infrazioni fiscali riguardanti le importazioni dall'Austria, da una parte, e le sanzioni riguardanti infrazioni fiscali relative a cessioni di beni all'interno del paese o a importazioni da altri Stati membri, dall'altra. Il diritto al libero scambio stabilito dall'accordo è più circoscritto rispetto ai diritti che scaturiscono dalle norme del Trattato in merito alla libera circolazione dei beni: in proposito, le affermazioni della Commissione e del governo italiano mi sembrano persuasive. È inoltre evidente, a partire dalla sentenza della Corte nella causa Kupferberg, che non tutte le forme di discriminazione vietate dall'art. 95 del Trattato sono necessariamente vietate anche dall'art. 18 dell'accordo. Infatti, anche il concetto di«prodotto similare», di cui all'art. 18, deve essere inteso in maniera relativamente stretta, alla luce delle finalità dell'accordo: v. sentenza Kupferberg, punti 41 e 42 della motivazione. Risulterebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte l'adozione di un'interpretazione ampia dell'art. 18, tale da richiedere che venga effettuata una comparazione fra le sanzioni relative alle importazioni dall'Austria e le sanzioni relative alle cessioni di beni all'interno del paese o all'interno della Comunità. |
28. |
Concludo pertanto che l'interpretazione seguita dalla Corte nella causa Drexl, in merito all'art. 95 del Trattato, non può essere applicata all'art. 18, primo comma, dell'accordo. Nonostante ciò, gli Stati membri sono chiamati, a mio modo di vedere, a rispettare il principio di proporzionalità nelle sanzioni che essi comminano in relazione alle importazioni dall'Austria. Questo obbligo non deriva dall'art. 18, che si limita a proibire la discriminazione, bensì dall'art. 13 dell'accordo. |
29. |
Si ricorderà che l'art. 13 dell'accordo vieta restrizioni quantitative alle importazioni o misure di effetto equivalente negli scambi tra le parti contraenti. Detto articolo così recita:
Mi pare che una sanzione inflitta con riferimento alle importazioni dall'Austria, che sia così sproporzionata rispetto alla gravità dell'infrazione da configurare un ostacolo al diritto al libero scambio sancito dall'accordo, sarebbe una misura di effetto equivalente contraria all'art. 13 dell'accordo. Si deve ritenere che l'art. 13 ha efficacia diretta: v. paragrafo 14 delle conclusioni dell'avvocato generale Tesauro nella causa C-207/91, Eurim-Pharm, già citate nella nota 2. |
30. |
È vero che la legislazione penale è materia che, in via di principio, rientra nella competenza degli Stati membri. La giurisprudenza della Corte evidenzia tuttavia che, in conformità con il principio di proporzionalità, le sanzioni penali imposte dalla normativa nazionale non debbono configurare, in considerazione della loro severità, un ostacolo all'esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato. V. ad esempio, in relazione alla libera circolazione delle merci, la causa 41/76, Donckerwolcke/Procuratore della Repubblica (Racc. 1976, pag. 1921), e la causa 52/77, Cayrol/Rivoira (Racc. 1977, pag. 2261), e, con riguardo alla libera circolazione delle persone, la causa 157/79, Regina/Pieck (Racc. 1980, pag. 2171). Nella causa 203/80, Casati (Race. 1981, pag. 2595) la Corte al punto 27 della motivazione della sentenza ha stabilito che: «In via di principio, la legislazione penale e le norme di procedura penale restano di competenza degli Stati membri. Tuttavia dalla costante giurisprudenza della Corte risulta che, anche in questo settore, il diritto comunitario pone dei limiti per quel che concerne le misure di controllo che esso consente agli Stati membri di mantenere in vigore nell'ambito della libera circolazione delle merci e delle persone. Le misure amministrative o repressive non devono esulare dai limiti di quanto è strettamente necessario, le modalità di controllo non devono essere concepite in modo da limitare la libertà voluta dal Trattato e non è lecito comminare in proposito sanzioni talmente sproporzionate rispetto alla gravità dell'infrazione da risolversi in un ostacolo a tale libertà». Questo ragionamento è stato confermato nella sentenza Drexl (punto 18 della motivazione) ancorché, come già detto, in questa causa la Corte fosse stata adita in merito all'applicazione del principio di eguaglianza e non del principio di proporzionalità in quanto tale. |
31. |
È pertanto evidente che, in linea con la giurisprudenza della Corte, un sistema di sanzioni stabilito dagli Stati membri non deve essere così sproporzionato, rispetto alla gravità dell'infrazione, da divenire un ostacolo all'esercizio di una libertà garantita dal Trattato. Considerazioni analoghe dovrebbero valere, a mio parere, anche riguardo agli accordi internazionali conclusi dalla Comunità. |
32. |
Ai sensi dell'art. 228, n. 3, del Trattato, gli accordi conclusi dalla Comunità sono vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati membri. Come la Corte ha stabilito nella causa 181/73, Haegeman/Stato belga (Race. 1974, pag. 449), le disposizioni di detti accordi configurano parte integrante del diritto comunitario. Pertanto, in conformità con la giurisprudenza della Corte, le disposizioni di detti accordi sono direttamente efficaci (v., ad esempio, la sentenza Kupferberg, supra, paragrafo 19; la causa 12/86, Demirel, Race. 1987, pag. 3719, punto 14 della motivazione; la causa C-192/89, S. Z. Sevince/Staatssecretaris van Justitie, Race. 1990, pag. I-3461, punto 15 della motivazione). Dunque, in ordine alla loro efficacia legale, esse sono considerate in maniera analoga alle disposizioni del Trattato e di altri atti comunitari vincolanti; la Comunità può inoltre essere responsabile per la loro violazione da parte degli Stati membri. Ne consegue che il principio di proporzionalità, che è un principio generale del diritto comunitario, è operante anche in rapporto agli accordi internazionali conclusi dalla Comunità e può pertanto essere applicato, a titolo ausiliario, nell'interpretazione delle disposizioni di detti accordi. Si deve però sottolineare che l'applicazione del principio di proporzionalità può condurre a conseguenze diverse, da una parte, quando si tratti di un accordo internazionale concluso dalla Comunità e, dall'altra parte, quando si tratti del Trattato. |
33. |
Non condivido la tesi della Commissione secondo la quale le restrizioni alla competenza degli Stati membri nell'imporre sanzioni penali operano solo nel contesto della Comunità, i cui obiettivi sono quelli di realizzare un mercato interno ed un'Unione europea, e non invece nel contesto di un accordo di libero scambio. |
34. |
Se l'impostazione sostenuta dalla Commissione fosse accolta, gli Stati membri sarebbero Uberi di imporre qualsiasi genere di sanzione in merito a infrazioni riguardanti il pagamento dell'IVA sull'importazione di merci dall'Austria, ancorché dette sanzioni possano configurare un ostacolo sproporzionato all'esercizio del Ubero scambio ed operare in senso contrario rispetto alle finalità dell'accordo. Tale sarebbe il caso, ad esempio, se uno Stato membro punisse anche un'involontaria omissione di pagamento dell'intero importo dell'IVA dovuta sull'importazione di merci dall'Austria, imponendo cumulativamente le sanzioni della confisca ed un'ammenda pari a dieci volte il valore delle merci. A mio parere, la previsione di tali sanzioni sarebbe in contrasto con l'art. 13 dell'accordo, in quanto il rischio di omettere di osservare le corrispondenti disposizioni, e pertanto di essere assoggettati a dette sanzioni, equivarrebbe a scoraggiare le importazioni di beni dall'Austria ed opererebbe pertanto in senso opposto rispetto alle finalità dell'accordo. Se si accettasse che il principio di proporzionalità non opera in dette circostanze, soggetti che abbiano acquisito un diritto ai sensi dell'accordo concluso fra la Comunità ed uno Stato terzo, come il diritto di importare senza alcuna restrizione ulteriore rispetto a quelle consentite dall'accordo, sarebbero privati della tutela che scaturisce dai principi generali del diritto comunitario. Non vedo alcuna ragione per cui si debba verificare tale situazione. |
35. |
Il principio di proporzionalità, a mio parere, si applica in generale a tutte le disposizioni che disciplinano il commercio fra la Comunità e i paesi terzi. Le restrizioni quantitative alle esportazioni verso paesi terzi, consentite dal diritto comunitario per ragioni espresse negli stessi termini di quelle indicate dall'art. 36 del Trattato, nonché le sanzioni previste per la violazione di dette restrizioni, debbono pertanto essere proporzionate agli scopi perseguiti (v. le mie conclusioni nella causa C-367/89, Aimé Richardt, Race. 1991, pag. I-4621, e nella causa CI 11/92, Lange, presentate il 1o aprile 1993, ai paragrafi 21-24). Ancora, la Corte ha accettato che provvedimenti di protezione restrittivi del commercio con paesi terzi, stabiliti da regolamenti comunitari osservino il principio di proporzionalità (v. causa C-26/90, Wünsche, Race. 1991, pag. I-4961, punti 12 e 13 della motivazione; causa 112/80, Dürbeck/Hauptzollamt Frankfurt am Main-Flughafen, Race. 1981, pag. 1095, punto 40 della motivazione). Dal momento che il principio di proporzionalità opera in generale rispetto al commercio con paesi terzi, esso deve essere operante a fortiori rispetto ad un accordo, concluso dalla Comunità, con cui viene stabilita una zona di libero scambio. |
36. |
A mio parere, pertanto, il fatto che uno Stato membro stabilisca, per un'infrazione riguardante il pagamento dell'IVA sulle importazioni dall'Austria una sanzione tanto sproporzionata rispetto alla gravità dell'infrazione da configurare un ostacolo al diritto al libero scambio stabilito dall'accordo è in contrasto con l'accordo stesso. La verifica, nel caso specifico, di detta sproporzione, rientra nella competenza del giudice nazionale. Due principi potrebbero tuttavia essere stabiliti in questo contesto. In primo luogo, è evidente che, rispetto alle libertà garantite dal Trattato, il diritto al libero scambio stabilito da un accordo concluso fra la Comunità ed uno Stato terzo è più limitato. Ne consegue che un regime nazionale di sanzioni così sproporzionato da configurare un ostacolo alla realizzazione del mercato comune non è necessariamente così sproporzionato da realizzare un ostacolo all'esercizio del diritto al libero scambio. Nel contesto di un accordo internazionale, gli Stati membri possono pertanto disporre di una discrezionalità più ampia che nel contesto del Trattato. In secondo luogo, quando la sanzione consiste nella confisca dei beni, questioni quali lo stato soggettivo del titolare dei beni confiscati o il valore dei beni stessi dovrebbero, a mio parere, essere prese in considerazione: v. causa Aimé Richardt, punto 25 della motivazione. |
Conclusione
37. |
Sono pertanto dell'idea che la questione sottoposta dal giudice nazionale dovrebbe essere risolta come segue: «L'art. 18, primo comma, dell'accordo per il libero scambio fra la CEE e l'Austria non postula alcun confronto tra sanzioni imposte dagli Stati membri per infrazioni fiscali in merito ad importazioni dall'Austria e sanzioni per infrazioni fiscali in merito a cessioni di beni all'interno del paese o ad importazioni da altri Stati membri. Uno Stato membro non può tuttavia imporre, per un'infrazione riguardante il pagamento dell'IVA su importazioni dall'Austria, una sanzione così sproporzionata rispetto alla gravità dell'infrazione da configurare un ostacolo all'esercizio del diritto di libero scambio sancito dall'accordo». |
( *1 ) Lingua originale: l'inglese.
( 1 ) V. anche le conclusioni dell'avvocato generale Lenz nella causa C-276/91, Commissione/Francia, presentate il 17 febbraio 1993 (Race. 1993, pag. I-4413, in particolare pag. I-4421). È necessario notare che a partire dal 1o gennaio 1993 è suto introdotto un nuovo regime in merito al pagamento dell'IVA. In base a questo l'IVA non viene più pagata sulle importazioni intracomunitarie, ma sugli acquisti intracomunitari di beni a titolo oneroso. V. la direttiva del Consiglio 91/680, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU 1991, L 376, pag. 1), ed in particolare la nuova versione dell'art. 28a della direttiva 77/388, come successivamente modificato dalla direttiva del Consiglio 92/111/CEE (GU 1992, L 384, pag. 47).
( 2 ) V. anche le conclusioni dell'avvocato generale Tesauro nella causa C-207/91, Eurim-Pharm, presentate il 18 febbraio 1993, Racc. 1993, pag. I-3723, in particolare pag. I-3733. Detta causa ha per oggetto l'interpretazione degli artt. 13 e 20 dell'accordo di libero scambio tra la Comunità e l'Austria, articoli rispettivamente analoghi agli artt. 30 e 36 del Trattato. V. anche la causa 65/79, Procuratore della Repubblica/Chatain, Racc. 1980, pag. 1345.