61989C0112

Conclusioni dell'avvocato generale Lenz del 19 febbraio 1991. - UPJOHN COMPANY E UPJOHN NV CONTRO FARZOO INC E JACOBUS AWMJ. KORTMANN. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: HOGE RAAD - PAESI BASSI. - NOZIONI DI "MEDICINALE" E DI PRODOTTO COSMETICO. - CAUSA C-112/89.

raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-01703


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

A - Antefatti

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale dello Hoge Raad der Nederlanden di cui ci occuperemo invita la Corte a precisare ancora una volta la nozione di medicinale di cui alla direttiva 65/65/CEE, riguardante il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alle specialità medicinali (1), ed a chiarire i suoi rapporti con la nozione di prodotto cosmetico di cui alla direttiva 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (2).

2. Gli antefatti, per i cui dettagli rinvio alla relazione d' udienza, possono essere così riassunti. Le parti nella causa principale (qui di seguito, la "ricorrente" e, rispettivamente, la "convenuta") controvertono sulla questione se sia lecita l' immissione in commercio come prodotto cosmetico da parte della convenuta di un prodotto che favorisce la crescita dei capelli. La ricorrente produce e mette in commercio, con la denominazione "Regaine", un prodotto destinato alla cura dell' alopecia maschile, contenente un 2% di principio attivo costituito da una sostanza chiamata, con una denominazione abbreviata, "Minoxidil". Nei Paesi Bassi - come anche, in base alle dichiarazioni della ricorrente, in altri paesi della Comunità e in paesi terzi - questo prodotto è iscritto nel registro dei medicinali; esso viene venduto come specialità medicinale. La convenuta mette in commercio nei Paesi Bassi un prodotto denominato "Minoxidil", il quale sembra avere una composizione identica o simile a quella del prodotto della ricorrente, ma essa non lo vende come medicinale (specialità medicinale), bensì come prodotto cosmetico per favorire la crescita dei capelli o per curare la calvizie maschile.

3. La ricorrente riteneva che il prodotto messo in commercio dalla convenuta costituisse un medicinale, in base a quanto previsto dalla normativa olandese; a suo avviso la convenuta, vendendolo come prodotto cosmetico violava detta disciplina commettendo così un atto illegittimo nei propri confronti. Secondo la convenuta il proprio prodotto non costituiva un medicinale, perché la calvizie maschile non è una malattia. La ricorrente citava in giudizio la convenuta perché venisse condannata all' inibitoria di siffatti atti e a questo scopo promuoveva un procedimento d' urgenza. Nel caso di quest' ultimo procedimento lo Hoge Raad, giudice di cassazione, si pronunciava nel senso che la nozione di medicinale nel diritto olandese dovesse avere lo stesso significato della nozione nel diritto comunitario. In merito si è richiamato all' art. 1, n. 2, della direttiva 65/65, che così recita:

"Ai fini dell' applicazione della presente direttiva si deve intendere per:

(...)

medicinale:

ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali.

Ogni sostanza o composizione da somministrare all' uomo o all' animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo o dell' animale è altresì considerata medicinale".

4. La prima questione dello Hoge Raad verte su detta disposizione:

"1) Se un prodotto che non abbia 'proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali' ai sensi della prima frase della definizione di medicinale di cui all' art. 1, n. 2, della direttiva 65/65/CEE, possa ciononostante essere considerato medicinale se può essere somministrato all' uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche".

5. La seconda questione riguarda la delimitazione fra le nozioni di "medicinale" e di "prodotto cosmetico", ed è così formulata:

"2) In caso affermativo, come debba essere delimitata la nozione 'medicinale' i cui alla direttiva 65/65/CEE rispetto alla nozione 'prodotto cosmetico' figurante nella direttiva 76/768/CEE".

6. La definizione della nozione "prodotto cosmetico", per la quale è opportuno nelle presenti conclusioni chiarire i rapporti con la definizione della nozione di medicinale, è formulata nell' art. 1, n. 1, della direttiva 76/768, nei seguenti termini:

"Per prodotti cosmetici si intendono le sostanze o le preparazioni destinate ad essere applicate sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, proteggerli per mantenerli in buono stato, modificarne l' aspetto o correggere gli odori corporei".

B - Il mio punto di vista

Sulla prima questione

7. La prima questione riguarda i rapporti tra le due parti della definizione precedentemente citata della nozione di medicinale. Lo Hoge Raad desidera in sostanza stabilire se la seconda parte di tale definizione implichi che il fatto di "ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo" avvenga per uno degli scopi indicati nella prima parte della definizione, vale a dire per scopi "curativi o profilattici delle malattie umane". Tutti gli elementi a disposizione consentono di concludere che ciò non si verifica e che quindi è opportuno risolvere la prima questione pregiudiziale (d' accordo con tutte le parti che hanno presentato osservazioni, ad eccezione della convenuta) in senso affermativo.

8. I. 1. Questa soluzione corrisponde, anzitutto, al testo e alla struttura della definizione. Questa è composta da due parti indipendenti l' una dall' altra, vale a dire è sufficiente che siano soddisfatti i requisiti fissati in una delle due parti - e non di entrambe le parti - per qualificare un prodotto come medicinale (3). All' interno della prima parte della definizione, che si riferisce alla presentazione del prodotto, si stabilisce un legame tra le nozioni di "medicinale" e di "malattia": in base a questa parte della definizione un prodotto può essere considerato medicinale solo se sia "presentato come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali" (4). La seconda parte della definizione, che non si riferisce espressamente alla presentazione dei prodotti, ma al fatto che questi " (possono) essere somministrati" per gli scopi ivi indicati, non stabilisce un siffatto rapporto tra le nozioni "medicinale" e "malattia". Gli autori della direttiva, se avessero voluto stabilire tale rapporto, avrebbero semplicemente ripreso letteralmente la formulazione della prima parte, e avrebbero potuto redigere la seconda parte in questi termini:

"Ogni sostanza o composizione da somministrare all' uomo o all' animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o per scopi curativi o profilattici delle malattie umane o animali".

9. Il mancato ricorso a tale semplice possibilità induce ad attribuire alla seconda parte della definizione un significato autonomo, vale a dire la formula "ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo o dell' animale" non implica che ci si prefigga lo scopo di guarire o prevenire una malattia.

10. 2. Questa conclusione, cui si è giunti in base ad elementi formali - testo e struttura della disposizione - è poi corroborata dallo scopo e dallo spirito della direttiva. L' esame della motivazione della direttiva 65/65 mostra che questa persegue due obiettivi. In primo luogo - ed è questo l' obiettivo fondamentale - essa deve garantire la tutela della sanità pubblica (i mezzi impiegati al riguardo devono essere tali da non ostacolare gli scambi di prodotti medicinali nell' ambito della Comunità) (primo e secondo punto del preambolo). Inoltre, il ravvicinamento delle legislazioni deve consentire di eliminare progressivamente le disparità tra le disposizioni nazionali, le quali ostacolano gli scambi di specialità medicinali nell' ambito della Comunità e hanno quindi un' incidenza diretta sull' instaurazione e sul funzionamento del mercato comune (terzo, quarto e quinto punto del preambolo).

11. In base a questi due obiettivi, nella sentenza Tissier (5), che riguardava l' espressione "allo scopo di stabilire una diagnosi medica", la Corte è giunta alla conclusione che:

"la definizione di medicinale data nell' art. 1 della direttiva ((65/65)) non può essere interpretata in modo restrittivo" (6).

12. Del tutto in linea con questa considerazione di carattere generale, anche il criterio teleologico conduce nel caso di specie all' interpretazione estensiva suggerita dalla ricorrente, dalla Commissione e dagli Stati membri intervenienti.

13. a) Anzitutto, dal punto di vista della tutela della sanità pubblica.

14. aa) In base al capitolo II della direttiva i medicinali destinati all' uomo possono essere immessi in commercio negli Stati membri solo previa autorizzazione, di cui detto capitolo precisa presupposti e modalità; il capitolo III tratta in generale della sospensione e della revoca dell' autorizzazione. Nel capitolo IV sono contenute le disposizioni sull' etichettatura, la cui mancata inosservanza può comportare la sospensione o la revoca dell' autorizzazione. L' art. 21 dispone che l' autorizzazione può essere rifiutata, sospesa o revocata soltanto per i motivi enunciati nella direttiva. Centro e perno di tutta la normativa è quindi l' obbligo dell' autorizzazione.

15. La definizione della nozione "medicinale" (che rientra nella nozione di specialità medicinale) risulta decisiva per stabilire se un determinato prodotto sia soggetto o meno a detto obbligo. La possibilità di rifiutare già in una fase preliminare l' autorizzazione (7) e di impedire che il prodotto giunga al consumatore acquista a questo proposito un' importanza determinante. Grazie alla possibilità di rifiutare l' autorizzazione richiesta, i prodotti che possono essere nocivi alla sanità pubblica sono esclusi dal mercato. La definizione deve dunque garantire che tale meccanismo intervenga fin dal momento in cui l' immissione del prodotto sul mercato possa comportare - quanto meno potenzialmente - uno dei pericoli che i motivi di rifiuto elencati intendono evitare. In altri termini, essa deve garantire che non venga vanificata la tutela fornita dai motivi di rifiuto.

16. I motivi di rifiuto elencati all' art. 5 sono di tre tipi.

17. Il primo tipo è volto alla tutela della sanità pubblica da pericoli reali e concreti. Esso comprende i casi di nocività e di mancanza di efficacia terapeutica. L' autorizzazione viene quindi rifiutata "quando dopo la verifica delle informazioni e dei documenti elencati dall' art. 4 risulti che la specialità è nociva nelle normali condizioni di impiego, oppure che l' effetto terapeutico manca". In tale caso l' esistenza di uno dei due motivi di rifiuto viene accertata sulla base delle proprietà del prodotto quali emergono dai documenti forniti.

18. Anche il secondo tipo si riferisce alle proprietà accertate del prodotto, vale a dire al fatto che "la specialità non presenta la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata". Si tratta del criterio definito dalla ricorrente all' udienza come criterio di "qualità". Sono però dell' opinione che il motivo di rifiuto riguardante una qualità insufficiente secondo questa accezione è strettamente connesso ai due motivi prima ricordati, quello della nocività e quello della mancanza di efficacia terapeutica. Il fatto che un prodotto abbia una composizione diversa da quella dichiarata non nuoce di per sé alla sanità pubblica. Per contro, non si può negare che il prodotto rischi (in conseguenza delle modalità di somministrazione previste) di avere, a causa della sua composizione effettiva, proprietà diverse da quelle che avrebbe in base alla composizione dichiarata (8). In tal modo perdono di valore le indicazioni sulla composizione, che costituiscono, oltre ad altre informazioni e documenti, la base su cui l' amministrazione valuta la nocività e l' efficacia terapeutica. In particolare, viene messa in discussione l' attendibilità dei risultati degli esami che devono essere comunicati a norma dell' art. 4, n. 8. Risulta quindi che il motivo di rifiuto di cui trattasi svolge, rispetto ai motivi di rifiuto rappresentati dalla nocività e dalla mancanza di efficacia terapeutica, un ruolo di barriera, nel senso che esso consente di escludere dal mercato i prodotti per i quali non si può accertare con sicurezza se ricorra uno degli ultimi due motivi di rifiuto.

19. Lo stesso vale, a mio parere, per il terzo dei tipi di rifiuto indicati nell' art. 5, che si riferisce ad alcuni vizi di forma. Si tratta del caso in cui l' efficacia terapeutica "è stata insufficientemente giustificata dal richiedente" e del caso in cui la documentazione e le informazioni presentate a corredo della domanda non sono conformi al disposto di cui all' art. 4. Nel primo caso l' efficacia terapeutica è dubbia, in mancanza di sufficienti giustificazioni, per cui non si può escludere che essa manchi. Nel secondo caso né la questione della nocività né quella dell' efficacia terapeutica possono essere chiarite correttamente perché mancano i documenti necessari.

20. Tenuto conto di questo esame dei vari tipi di motivi di rifiuto, gli obiettivi comuni di questi motivi possono riassumersi come segue: i medicinali non devono giungere al consumatore quando è accertato, o in ogni caso non può essere escluso,

- che essi sono nocivi in caso di loro uso secondo le disposizioni

oppure

- quando sono privi di efficacia terapeutica.

21. Questi due aspetti sono direttamente connessi alla definizione di "medicinale". L' avvocato generale Rozès nelle conclusioni presentate nella causa Van Bennekom (9) ha giustamente rilevato che la definizione che figura all' art. 1, n. 2, primo comma, della direttiva 65/65 deve consentire di impedire l' immissione in commercio, con la denominazione di medicinale, dei prodotti cui il produttore o il venditore attribuisce proprietà curative o profilattiche, mentre gli stessi ne sono privi. Di conseguenza l' autorizzazione all' immissione in commercio per tali prodotti dev' essere negata a norma dell' art. 5 della direttiva, poiché manca loro l' efficacia terapeutica.

22. Tuttavia la prima parte della definizione della direttiva 65/65 è anche connessa con il criterio della nocività. Come ho già osservato, per classificare un prodotto tra i medicinali è sufficiente che vengano soddisfatti i requisiti di una delle due parti della definizione di cui trattasi. Ne consegue che la nocività del prodotto può essere esaminata in base alla mera "presentazione" ai sensi della prima parte della definizione. E' un fatto evidente. Infatti, da un lato, in generale si può ammettere che la "presentazione" del produttore è essenzialmente esatta (perché un infruttuoso procedimento di autorizzazione non presenta per lui alcun interesse); dall' altro, dall' esperienza risulta che i prodotti che intervengono nel funzionamento dell' organismo in modo tale da guarire o prevenire malattie (10) non si possono considerare senza controlli privi di nocività, per cui anche essi devono essere sottoposti, per questa ragione, al regime di autorizzazione.

23. bb) Giungo ora alla seconda parte della definizione che ci interessa, ed ai suoi rapporti con i criteri di nocività e di efficacia terapeutica cui ho poco prima accennato.

24. 1) Anzitutto vorrei esaminare il criterio della nocività. Alla luce delle mie precedenti osservazioni la questione che qui si pone è quella di stabilire se soltanto i prodotti aventi proprietà curative o profilattiche delle malattie umane debbano essere sottoposti ad un regime di autorizzazione per via della loro potenziale nocività, o se altrettanto debba avvenire anche per altri prodotti "che possono essere somministrati all' uomo (...) allo scopo di (...) ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo". Secondo me, va senza dubbio accolta quest' ultima tesi. In tale contesto, devono essere chiaramente distinti due aspetti: il divario che può esistere tra le condizioni dell' organismo ed uno stato di normalità (che di frequente comprende tutta una gamma di possibilità) e l' ampiezza dei sostanziali inconvenienti conseguenti alla somministrazione di un medicinale. Non esiste necessariamente una relazione proporzionale tra questi due elementi. A titolo esemplificativo, una normale infezione febbrile "classica" (influenza) può sicuramente essere considerata una malattia ai sensi della prima parte della definizione della direttiva 65/65, ma non un' insonnia momentanea dovuta a fattori occasionali, quali l' ingestione eccessiva di cibo, stati d' ansia legati a situazioni oggettive, l' eccessivo affaticamento, ecc.

25. Tuttavia da ciò non consegue automaticamente che un medicinale contro l' influenza sia potenzialmente più nocivo, a causa della sua composizione, di un prodotto destinato a far scomparire i disturbi del sonno del tipo suddetto. E' questa, dal punto di vista della potenziale nocività, una prima evidente ragione per distinguere la nozione di "medicinale" dalla nozione di "malattia": i consumatori desiderano preparati, e i produttori li elaborano, che consentano di essere "più" sani, e non "solo" sani. Se si ammette, come lo Hoge Raad sembra fare, che la calvizie maschile non costituisce una malattia (11), i prodotti delle parti in questione sono preparati di questo tipo. Un altro esempio in questo senso è fornito dai contraccettivi. L' art. 6 della direttiva 65/65 menziona espressamente, come giustamente osservato dalla ricorrente, gli anticoncezionali. Ciò significa che i contraccettivi sono dei medicinali (come tale va incontestabilmente considerata la pillola anticoncezionale), o che comunque possono esserlo. Lo stato che tali prodotti devono evitare - la gravidanza - non costituisce una malattia (salvo che si ammetta che l' umanità si riproduce solo mediante una successione di malattie).

26. Sempre dal punto di vista del criterio della nocività, ritengo che vi sia una seconda ragione, collegata agli argomenti appena esposti, per separare la nozione di medicinale da quella di malattia. Tale ragione attiene ai molteplici problemi che può creare la definizione di quest' ultima nozione. Al riguardo si pensa soprattutto ai casi in cui funzioni o fenomeni organici presenti in ogni essere umano (battito del cuore, tensione arteriosa, irrorazione degli organi, funzioni ghiandolari, ecc.) possono variare - senza stadi intermedi - tra uno stato ideale e stati patologici (12). In tali casi il limite tra (ancora) "sano" e già "malato" non è più chiaro. In questa ipotesi diventa difficile valutare se abbia proprietà terapeutiche un prodotto che può recare, in un caso simile, un miglioramento in relazione alla rilevanza dell' affezione, ma che non copre tutta la gamma delle patologie, fino alla malattia più grave. Ciò indubbiamente spiega il perché dell' introduzione, nella seconda parte della definizione della direttiva comunitaria, dell' ipotesi della "correzione" di funzioni organiche.

27. Tutto ciò mostra che la tutela dai medicinali sostanzialmente nocivi sarebbe seriamente compromessa se si adottasse la tesi della convenuta.

Questo argomento si potrebbe del resto riferire anche a fenomeni la cui relazione con la nozione di malattia è oscura, come il fenomeno del "dolore" (13).

28. La terza ragione a sostegno di questa interpretazione tiene conto di un gruppo di prodotti nel campo della medicina che svolgono alcune funzioni ausiliarie, senza però avere proprietà curative o profilattiche delle malattie. Si pensi, in particolare, agli stupefacenti, menzionati nell' art. 16 della direttiva tra i medicinali che del pari possono essere considerati sostanzialmente nocivi.

29. Riassumendo si può ritenere che sia ingiustificato, tenuto conto del criterio della nocività di cui all' art. 5 della direttiva 65/65, negare la classificazione di un prodotto come medicinale per il solo motivo che non ha proprietà curative o profilattiche delle malattie. Quest' ultima caratteristica non esclude del tutto la necessità di controllare, prima della sua immissione sul mercato, la nocività del prodotto di cui trattasi sotto il profilo dei suoi effetti sull' organismo, nell' interesse della sanità pubblica.

30. Del resto, sembra che la Corte abbia accolto questa tesi quando nella sentenza Van Bennekom ha dovuto definire i criteri di delimitazione fra i prodotti alimentari e i medicinali ai sensi della seconda parte della definizione della direttiva comunitaria. Nonostante in quel caso si trattasse di preparati a base di vitamina che potevano essere classificati sia tra i prodotti alimentari sia tra i medicinali a "scopi terapeutici contro talune malattie" (14), la Corte, invece di scegliere come criterio quest' ultima nozione, ha rilevato:

"La classificazione di una vitamina fra i medicinali ai sensi della seconda definizione data dalla direttiva 65/65 va effettuata caso per caso, in base alle proprietà farmacologiche di ciascuna di essa, secondo quanto appurato allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche".

31. Il termine "farmacologia" è definito come lo studio della natura, della composizione e dell' effetto delle sostanze chimiche sull' organismo (15). Questo termine corrisponde pertanto all' argomento sopra illustrato che, allo scopo di interpretare la seconda parte della definizione, si basa sugli effetti (potenzialmente nocivi) del prodotto, e non su una valutazione sullo stato dell' organismo curato.

32. 2) Queste considerazioni sono sufficienti per concludere che l' obiettivo fondamentale della direttiva 65/65 - la tutela della salute -depone a favore di una soluzione affermativa della prima questione pregiudiziale. Per questa prima questione non è quindi necessario esaminare ulteriormente l' aspetto dell' efficacia terapeutica, che costituisce il secondo elemento di tale tutela. Mi occuperò di questo aspetto a proposito della seconda questione.

33. b) Per quanto riguarda il secondo obiettivo della direttiva 65/65, volto a facilitare gli scambi di medicinali, si è visto a proposito della causa Van Bennekom che le direttive sui prodotti farmaceutici, data l' incompletezza dell' armonizzazione che hanno introdotto, non escludono un ricorso all' art. 36 del Trattato CEE (16). Ciò accade soprattutto nel caso di un prodotto che non è un medicinale (e quindi neanche una specialità medicinale) ai sensi del diritto comunitario, ma è riconosciuto come tale dal diritto nazionale ed è quindi soggetto ad autorizzazione (sul piano interno) (17). E' evidente che l' ammorbidimento della nozione di medicinale accolta nel diritto comunitario, che si verificherebbe se si adottasse la tesi della convenuta, la quale - come si è visto - compromette esigenze essenziali della tutela della salute, favorirebbe disparità tra le normative nazionali. Gli ostacoli che ne deriverebbero - qualora non venissero eliminati mediante il ricorso agli artt. 30 e 36 del Trattato CEE - si porrebbero in contrasto con le finalità della direttiva, intesa a facilitare gli scambi di medicinali tra gli Stati membri.

34. Ciò vale in ogni caso incondizionatamente qualora il settore cui il prodotto appartiene se gli si nega la qualifica di medicinale non costituisca oggetto a sua volta di un' armonizzazione completa. Si pensi in particolare ad un ampio settore prossimo a quello dei medicinali, quello dei prodotti alimentari ai sensi del diritto comunitario. Se invece, come avviene nella presente fattispecie, il prodotto di cui trattasi, non potendo essere classificato come medicinale, rientra nell' ambito di applicazione della direttiva relativa ai prodotti cosmetici alla quale si è precedentemente accennato, la possibilità per gli Stati membri di impedire la libera circolazione delle merci è soggetta a prescrizioni ancora più restrittive di quelle stabilite dall' art. 36 (v. artt. 12 e 13 della direttiva). Non si può tuttavia disconoscere che le direttive 65/65 e 76/768 tentano, ciascuna in settori sensibili a tali problematiche in modo diverso, di conciliare le esigenze di protezione della salute e della libera circolazione delle merci. Ritengo pertanto che sia inaccettabile, qualora le proprietà del prodotto impongano che quando esso sia soggetto all' autorizzazione applicabile ai medicinali - quindi a costo di una deroga al principio della libera circolazione delle merci - che lo stesso prodotto venga assoggettato, alla stregua di tale principio, ad un' altra disciplina (quella dei cosmetici), che ha altre priorità conformemente al suo spirito e alle sue finalità.

35. II. Se quindi in linea di principio vi suggerisco di seguire la ricorrente, la Commissione e gli Stati membri intervenienti per quanto riguarda la prima questione dello Hoge Raad, non vi sono ciononostante ragioni per sostenere l' estensione all' infinito della nozione di medicinale. La ricorrente giustamente rileva che la seconda parte della definizione della direttiva 65/65 è redatta in termini eccezionalmente ampi, in particolare per quanto attiene alla possibilità di "modificare funzioni organiche dell' uomo". In questa formulazione sono sicuramente ricomprese le derrate alimentari e forse anche i prodotti cosmetici (che la direttiva 65/65 definisce ancora - in base alla terminologia forse troppo restrittiva dell' epoca - "prodotti igienici"), mentre questi due gruppi di prodotti non debbono rientrare nella categoria dei medicinali proprio in base al terzo punto del preambolo della direttiva. Tuttavia, il problema dei limiti che vanno presi in considerazione al riguardo esula dall' ambito della prima questione pregiudiziale, che concerne solo il problema specifico di accertare se la nozione di malattia fornisca un adeguato criterio di delimitazione. Il fatto che non sia così, non significa, contrariamente alla tesi della convenuta, che la nozione di medicinale sia esageratamente estesa, ma che i limiti di cui si discute devono essere stabiliti in un altro modo. Ciò costituisce oggetto della seconda questione pregiudiziale.

36. III. In base alle considerazioni che precedono suggerisco la seguente soluzione alla prima questione pregiudiziale:

"Il fatto che un prodotto non abbia proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ai sensi della prima parte della definizione dell' art. 1, n. 2, della direttiva 65/65, non esclude che possa essere somministrato all' uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo, e che costituisca quindi un medicinale ai sensi della stessa direttiva".

Sulla seconda questione

37. I. 1. Lo Hoge Raad fa riferimento ad una delimitazione delle nozioni "medicinale" e "prodotto cosmetico" in quanto evidentemente si basa sull' idea che sono soddisfatti i requisiti stabiliti dalle due definizioni in base al loro testo. Se un determinato prodotto corrisponde al testo solo di una delle due definizioni, e non dell' altra, si può pensare di includerlo solo nella nozione descritta dalla prima definizione, e viceversa. In un caso del genere non è necessaria alcuna delimitazione particolare.

38. L' ipotesi su cui si basa la seconda questione pregiudiziale, vale a dire l' ipotesi che le due definizioni possano sovrapporsi (come avviene nel caso di specie ) è sorprendente a prima vista. Compito di una definizione è di precisare in modo chiaro e non ambiguo i limiti fra le nozioni, e quindi l' ambito di applicazione della normativa che le riguarda. Tuttavia, il quinto punto del preambolo della direttiva 76/768 ammette espressamente la possibilità di tale sovrapposizione. In detto punto si sottolinea anzitutto, nella prima e seconda frase, che è necessario escludere i medicinali (18); inoltre nello stesso testo si afferma, nella terza frase, che detta delimitazione risulta "in particolare" (e quindi non esclusivamente) dalla definizione dei prodotti cosmetici. Immediatamente dopo, si legge nella quarta frase:

"La presente direttiva non è applicabile ai prodotti che rientrano nella definizione di prodotto cosmetico, ma che sono destinati esclusivamente alla prevenzione delle malattie".

39. 2. Un esame delle due definizioni dimostra che tale possibilità esiste effettivamente.

40. a) Non esaminerò qui la questione se sia concepibile che si sovrappongano la prima parte della definizione di "medicinale" (il cosiddetto criterio della "presentazione") e la definizione del "prodotto cosmetico" e la questione relativa a quali conseguenze ne deriverebbero in un caso del genere. E' infatti evidente che lo Hoge Raad nel caso di specie si preoccupa solo della delimitazione della seconda parte della definizione di medicinale, come è dimostrato dalla formulazione di dette due questioni pregiudiziali.

41. b) Mi sembra evidente che la seconda parte della definizione della direttiva 65/65 (a prescindere dall' ipotesi in cui si tratti di "stabilire una diagnosi medica", che non va qui presa in considerazione) può coincidere con la definizione di prodotto cosmetico. In base a quest' ultima definizione si tiene conto solo dell' applicazione del prodotto in alcune parti - esterne - del corpo. La delimitazione rispetto ai medicinali è in tal caso relativamente semplice, ed è esclusa la coincidenza delle due nozioni quando il prodotto dev' essere usato in altre parti - in senso lato: per uso interno (19). Per contro, se il prodotto è ad uso esterno ("sul corpo", secondo la traduzione letterale della versione tedesca dell' art. 1, n. 2, della direttiva 65/65), come nella fattispecie, le due definizioni possono coincidere per tale aspetto, per cui la delimitazione dovrà basarsi sullo scopo dell' applicazione.

42. Per quanto riguarda tale scopo, si deve tuttavia constatare che, da un lato, le espressioni "ripristinare, correggere o modificare le funzioni organiche dell' uomo o dell' animale" di per sé non comportano alcun limite e che, dall' altro, la definizione dei prodotti cosmetici non si riferisce a tali nozioni per tracciare il confine con i medicinali, ma introduce nozioni proprie che non sono messe in relazione con quelle della direttiva 65/65 ("pulire", "profumare", "proteggere per mantenere in buono stato", "modificare l' aspetto" delle indicate parti del corpo, "correggere gli odori corporei"). Si nota che mentre la definizione del medicinale si basa sugli effetti del prodotto per quanto attiene alle funzioni organiche - che possono essere rilevanti dal punto di vista medico -, la definizione della direttiva 76/768 si basa invece su precisi obiettivi di natura cosmetica. Entrambe le definizioni sono applicabili quando un prodotto è diretto ad uno degli scopi indicati dalla direttiva 76/768 e produce per raggiungere tale risultato alcuni effetti - desiderati o inevitabili - sulle funzioni organiche. Tali effetti rappresentano un obiettivo del prodotto, indissolubilmente legato a quello di carattere cosmetico.

43. Nell' allegato I della direttiva 76/768 si trovano esempi di sovrapposizione delle definizioni in esame. Così i prodotti per la depilazione indicati nell' ottavo trattino modificano la stabilità del pelo con la loro azione caustica, ma al tempo stesso possono modificare anche la funzione cutanea. Rientrano quindi sia nella seconda parte della definizione di medicinale, sia, rispettivamente, nell' art. 1, nn. 1 e 2, della direttiva 76/768 (quanto alla possibilità di "modificare l' aspetto").

44. Gli antisudoriferi (nono trattino) influiscono sulla funzione delle ghiandole sudorifere (otturandole) e rientrano quindi nella definizione della direttiva 65/65, ma correggono anche gli odori corporei e soddisfano quindi i requisiti di cui all' art. 1 della direttiva 76/768.

45. II. Poiché il predetto allegato I non fornisce nella fattispecie alcun elemento per la classificazione del prodotto controverso tra i prodotti cosmetici, in quanto i prodotti che favoriscono la crescita dei capelli non compaiono tra gli esempi citati, occorre stabilire, in mancanza di tale criterio di riferimento, quali siano i reciproci rapporti tra le due definizioni in caso di sovrapposizione. E' necessario effettuare tale esame, perché altrimenti la normativa sui medicinali (direttiva 65/65) verrebbe a collidere con quella dei prodotti cosmetici (direttiva 76/768). Queste due normative, come la Commissione e il governo spagnolo hanno giustamente sottolineato, sono infatti incompatibili fra loro. La direttiva 65/65 si basa sul principio secondo cui per i medicinali è prevista un' autorizzazione particolare prima della loro immissione in commercio (artt. 3 e seguenti), mentre in base alla direttiva 76/768 i prodotti che rispondono ai requisiti della stessa stabiliti in linea di principio possono essere liberamente venduti (art. 7, n. 1).

46. 1. Per risolvere questo problema le parti e gli intervenienti hanno formulato in linea di principio due tesi. La convenuta ritiene che qualora le due definizioni si sovrappongano, di regola occorre ammettere che si tratta di un prodotto cosmetico. Essa ammette una deroga a questa concezione solo nei due casi indicati nel quinto punto del preambolo della direttiva 76/768, vale a dire quando il prodotto è destinato esclusivamente a prevenire le malattie o ad essere ingerito, inalato o iniettato nel corpo umano. La ricorrente e le altre parti suggeriscono di basarsi sul principio inverso, in base al quale la delimitazione non si basa sulla nozione di prodotto cosmetico, ma su quella di medicinale. Le stesse ritengono che, in caso di sovrapposizione, prevalga la nozione di medicinale. La ricorrente, come anche i governi britannico e italiano, tentano quindi - con differenze quanto ai dettagli - di delimitare la seconda parte della definizione (i cui termini, come si è detto, sono molto ampi) in base ad un criterio basato sugli effetti del prodotto di cui trattasi, e non in base alla definizione del prodotto cosmetico. Personalmente condivido questa tesi (20).

47. Il ragionamento si basa sull' effetto utile delle due direttive di cui ci occupiamo. Per tenerne conto il più possibile occorre definire il campo di applicazione delle due direttive in base ai loro obiettivi rispettivi. Ho già ricordato a questo proposito che le due direttive devono conciliare fra loro le esigenze della libera circolazione delle merci e della tutela della salute per settori con diversa sensibilità per tali problemi. La tutela della salute è a questo proposito l' obiettivo fondamentale perseguito (21). La direttiva relativa ai medicinali riguarda i prodotti che possono essere comparativamente più nocivi alla salute. Essa stabilisce pertanto un divieto di vendita, salvo autorizzazione, mentre la direttiva 76/768 stabilisce alcuni requisiti che i prodotti cosmetici devono soddisfare (artt. 2-6); se essi sono soddisfatti questi prodotti, in via di principio, possono essere venduti liberamente (art. 7, n. 1).

48. Ne consegue, come si è già osservato, che un prodotto per le cui proprietà appaia necessario effettuare da parte delle autorità sanitarie nazionali il controllo previsto dalla direttiva 65/65, in conformità con gli obiettivi di quest' ultima, non deve in nessun caso rientrare nella disciplina di cui alla direttiva 76/768. Sarebbero altrimenti disconosciuti non solo gli obiettivi, ma anche la ripartizione delle funzioni attribuite alle due direttive dal punto di vista della tutela della sanità pubblica. La delimitazione tra medicinali e prodotti cosmetici può quindi basarsi sulla definizione dei prodotti cosmetici solo se operando in tal modo vi sia la garanzia che tutti i prodotti, cui si deve applicare la direttiva 65/65, in conformità con i suoi obiettivi, vengano dalla stessa effettivamente disciplinati. In caso contrario, la delimitazione deve basarsi sulla definizione della direttiva 65/65, di cui occorre se del caso individuare il significato preciso in via interpretativa.

49. Sono del parere che la definizione di prodotto cosmetico (art. 1, n. 1, della direttiva 76/768) non offra le suddette garanzie. Ciò risulta anzitutto dal quinto punto del preambolo di questa direttiva a tenore del quale essa "non è applicabile ai prodotti che rientrano nella definizione di prodotto cosmetico ma che sono destinati esclusivamente alla prevenzione delle malattie". Tale rilievo è connesso all' argomento, già menzionato, secondo il quale è possibile che si sovrappongano le due definizioni di cui ci occupiamo, proprio perché i termini della direttiva 76/768 che definiscono l' obiettivo del prodotto non consentono di valutare definitivamente gli effetti esercitati dal prodotto per raggiungere il suo obiettivo di natura cosmetica. A questo proposito la direttiva stessa stabilisce chiaramente che un prodotto il quale, ad esempio, deve "proteggere" la pelle per "mantener(la) in buono stato" non è un prodotto cosmetico se è "esclusivamente destinato alla prevenzione delle malattie". Si è così fissato un primo punto: per lo meno in questo caso specifico la definizione di medicinale prevale sulla definizione di prodotto cosmetico; in altre parole, in tale caso di sovrapposizione la definizione di prodotto cosmetico non è sufficiente perché tutti i prodotti, per cui lo spirito e la finalità della direttiva 65/65 richiedono la classificazione tra i medicinali, siano così effettivamente classificati.

50. Diversamente dal governo del Regno Unito non penso che la frase citata, ripresa dal quinto punto del preambolo, si riferisca alla prima parte della definizione di medicinale. Essa non è connessa infatti alla presentazione (22), ma alla "destinazione" (23) del prodotto. Ciò è anche - con tutte le varianti a seconda delle versioni linguistiche - il punto di partenza della seconda parte della definizione di medicinale. Dopo la sentenza Van Bennekom è noto che un prodotto destinato alla prevenzione delle malattie (quindi un prodotto che ha realmente tali proprietà) deve essere classificato, indipendentemente dalla sua presentazione, fra i medicinali ai sensi della seconda parte dell' art. 1, n. 2, della direttiva 65/65 (24).

51. Tuttavia la convenuta obietta che il suddetto criterio dedotto dal quinto punto del preambolo riguarda solo il caso ivi menzionato, e che non sia lecita alcuna generalizzazione. A questo proposito all' udienza è stata sollevata anche la questione se il termine "esclusivamente", che figura in tale disposizione, non sia in contrasto con tale generalizzazione.

52. Per quanto riguarda anzitutto questa questione ritengo che il termine "esclusivamente" nell' ambito della formulazione adottata si riferisca solo all' obiettivo del prodotto ("destinato esclusivamente alla prevenzione delle malattie") e non abbia alcun rapporto con la questione se la definizione di medicinale prevalga solo in questo caso. Per questo problema più generale va rilevato che gli autori della direttiva hanno rinunciato - sembra del tutto consapevolmente - ad enunciarvi criteri esaurienti per delimitare i prodotti cui essa si applica rispetto ai medicinali, criteri che avrebbero potuto tenere conto delle esigenze della direttiva 65/65. Se fossero stati di diverso avviso, detti criteri avrebbero figurato non nel preambolo, bensì nel testo stesso della direttiva, nel quale sono però assenti secondo quanto risulta dalla terza e dalla quarta frase del quinto punto del preambolo, come ho già osservato.

53. Tuttavia i considerando non possono sostituire un testo legislativo comunitario; la loro funzione è solo quella di chiarire un testo esistente. Questi chiarimenti (v. art. 190 del Trattato CEE) non debbono essere esaurienti, potendo limitarsi agli aspetti essenziali dell' atto (25). Nel quinto punto del preambolo della direttiva 76/768, come è dimostrato dalla formulazione della terza, quarta e quinta frase, si doveva effettuare il tentativo di una limitazione esauriente. La terza frase mostra, mediante l' uso del termine "in particolare", che la definizione di prodotto cosmetico non contiene tutti gli elementi per la delimitazione. La quarta e quinta frase non sono dedicate quindi agli elementi che mancano ancora, ma si occupano di due casi limite. Il primo caso (26), a parere degli autori della direttiva, non può essere risolto avvalendosi della definizione della direttiva. In merito al secondo caso (quinta frase) si precisa invece semplicemente che esso non risponde ai requisiti di cui all' art. 1, n. 1, della direttiva (27). Il testo del considerando è connesso nuovamente al settore in cui la definizione della direttiva può consentire la delimitazione di cui si discute senza ulteriori elementi e nel quale essa non coincide con la definizione della direttiva 65/65.

54. Anche l' allegato I della direttiva 76/768 mostra che la frase, già citata, del quinto punto del preambolo non costituisce necessariamente l' unico caso di sovrapposizione delle definizioni in cui la definizione di medicinale prevale su quella di prodotto cosmetico. Questo allegato menziona, a titolo esemplificativo, nel secondo trattino, la seguente categoria di prodotti cosmetici: "maschera di bellezza (ad esclusione dei prodotti per il peeling)" (28). Questi prodotti ad azione desquamante non sono destinati alla prevenzione delle malattie, quanto piuttosto ad ammorbidire lo strato corneo in modo che la parte superiore dell' epidermide possa sciogliersi e lasciare apparire lo strato inferiore, per ottenere così un aspetto più gradevole (più fresco). Per il tipo d' azione che si è appena descritto questi prodotti rientrano nella definizione di medicinale, in quanto modificano una funzione cutanea (eliminazione progressiva dello strato superiore dell' epidermide), ma al tempo stesso rientrano in quella di prodotto cosmetico perché sono destinati a modificare l' aspetto della pelle. Dal momento che sono esclusi dalla nozione di "prodotto cosmetico", gli stessi rientrano automaticamente (unicamente) nella nozione di medicinale (29).

55. Per tutte queste ragioni ritengo che gli autori della direttiva 76/768 non abbiano voluto tracciare all' interno della stessa una delimitazione esauriente - né nel dispositivo né nel preambolo - che tenesse conto delle esigenze della direttiva 65/65 per il presente caso. Diversamente dagli argomenti che la convenuta intende desumere dal quinto punto del preambolo della direttiva 76/768, occorre quindi concludere che la definizione contenuta in detta direttiva non fornisce, in caso di sovrapposizione, i criteri sufficienti a garantire che tutti i prodotti che secondo l' obiettivo e lo spirito della direttiva 65/65 vanno classificati tra i medicinali siano effettivamente inseriti tra questi ultimi. In questo caso si deve quindi effettuare la delimitazione in modo che la definizione di medicinale prevalga su quella di prodotto cosmetico.

56. Questa scelta di principio potrebbe essere formulata nella soluzione della seconda questione dello Hoge Raad nel seguente modo:

"Un prodotto che non è presentato come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali e che, senza essere menzionato nell' allegato I della direttiva 76/768 tra i prodotti cosmetici, costituirebbe un prodotto cosmetico in base all' art. 1, n. 1, della direttiva 76/768, non deve ciononostante essere classificato tra questi ultimi prodotti, bensì tra i medicinali, se può essere somministrato allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo".

57. 2. Come giustamente hanno rilevato la ricorrente, il governo del Regno Unito e il governo italiano, l' accoglimento di questa tesi solleva il problema della delimitazione più precisa della nozione di medicinale quale risulta dalla seconda parte della definizione della direttiva 65/65 (prescindendo dall' ipotesi in cui viene "stabilita una diagnosi medica", che qui non è rilevante). Questa interpretazione deve consentire il collegamento della parte della nozione di medicinale applicabile nella fattispecie con l' obiettivo perseguito dalla direttiva. Tutti i prodotti che, in base a tale interpretazione, non rientrano (o non rientrano più) nell' ambito della definizione di medicinale, ma che corrispondono alla definizione di prodotto cosmetico, devono essere classificati tra i prodotti cosmetici. I prodotti che invece, alla luce di tale interpretazione, sono dei medicinali ai sensi della disciplina della direttiva 65/65 possono essere classificati solo tra i medicinali e non tra i prodotti cosmetici.

58. Come ho fatto per la prima questione pregiudiziale, vorrei confrontare le finalità della direttiva con la parte della definizione che qui ci interessa.

59. a) A questo riguardo si deve cominciare nuovamente con la tutela della sanità pubblica che è l' obiettivo fondamentale e, come si è detto, comprende la tutela dai prodotti nocivi o privi di efficacia terapeutica.

60. aa) Per quanto riguarda il criterio della nocività, come del resto hanno fatto la ricorrente e il governo italiano, è possibile far qui riferimento alla sentenza pronunciata nella causa Van Bennekom. In questa sentenza la Corte, considerato che una ingestione eccessiva di vitamine può essere nociva per la salute umana, ha classificato queste vitamine nella seconda parte della definizione di medicinale in funzione delle "proprietà farmacologiche" del prodotto, "secondo quanto appurato allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche", e si è quindi basata, come ho già osservato, sugli effetti del prodotto sull' organismo. Dalle mie considerazioni sulla prima questione risulta che questa tesi è corretta. Inoltre essa rappresenta il nesso tra le nozioni utilizzate nella seconda parte della definizione di medicinale (ripristino, correzione o modificazione delle funzioni organiche) e la nozione di nocività. Tutte queste nozioni si riferiscono all' azione del prodotto di cui trattasi sull' organismo. Mentre, però, le nozioni usate nella definizione comprendono tutti gli effetti, pur se di modestissima entità, quella di "nocività" contraddistingue solo alcuni effetti particolarmente dannosi.

61. Nella soluzione della seconda questione dello Hoge Raad dovrebbe quindi figurare il seguente principio:

"Si deve determinare caso per caso se un tale prodotto sia destinato a 'ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo' o dell' animale' , in base alle sue proprietà farmacologiche, secondo quanto appurato allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche".

62. bb) La fattispecie in esame ci induce ora a precisare sotto più profili il criterio fissato in questo modo dalla Corte.

63. 1) Si deve anzitutto replicare ad un argomento del governo francese, che intende classificare il prodotto controverso fra i medicinali in quanto la sua ingestione (il che, in particolare, non può essere escluso da parte dei bambini) potrebbe causare danni alla salute. Come giustamente sottolinea la convenuta, vanno considerati gli effetti del prodotto unicamente quando viene applicato sulla parte del corpo su cui va impiegato secondo l' opinione del consumatore medio (la quale può risultare in particolare dalle indicazioni del produttore; in prosieguo: la "parte cui il prodotto è normalmente destinato"). Questa restrizione risulta anzitutto dal testo della seconda parte della definizione contenuta nella direttiva 65/65, che si basa sulla "somministrazione" del prodotto, vale a dire su una azione che deve consentire il raggiungimento dell' effetto delle proprietà particolari del prodotto. Ciò non si verifica però se il prodotto viene applicato in modo improprio - ad esempio accidentalmente - su una parte del corpo umano diversa da quella prevista. Questa conclusione è corroborata pure dall' art. 5 della direttiva, in forza del quale l' autorizzazione viene rifiutata nel caso in cui il prodotto sia nocivo "nelle normali condizioni d' uso" (30). Di conseguenza, non devono essere presi in considerazione gli effetti che possono prodursi quando il prodotto viene applicato su una parte diversa da quella cui viene normalmente destinato. Si dovrebbero altrimenti classificare come medicinali tutta una serie di prodotti che sicuramente non sono tali (ad esempio, gli smalti per le unghie, che contengono solventi).

64. Sulla base di queste riflessioni si dovrebbe precisare nella soluzione alla questione dello Hoge Raad che vanno considerate unicamente le proprietà farmacologiche

"riscontrate quando il prodotto viene applicato sulla parte del corpo umano cui è normalmente destinato".

65. 2) E' poi ancora necessario, a mio parere, precisare quale deve essere la qualità di tali proprietà per poter considerare il prodotto come un medicinale ai sensi della parte della definizione che qui ci interessa.

66. A parere del governo italiano, per quanto attiene ai rapporti tra medicinali e prodotti cosmetici, tutti i prodotti che modificano le funzioni corporali sono medicinali, salvo che, pur in presenza di tali effetti, la direttiva sui prodotti cosmetici non classifichi espressamente (nell' allegato I) il prodotto di cui trattasi tra i prodotti cosmetici. A questo proposito esso cita, a titolo d' esempio, i prodotti antisudoriferi e i prodotti abbronzanti senza sole. Tuttavia non ritengo che questa tesi offra nel caso di cui ci occupiamo una soluzione adeguata. In generale l' unica funzione dell' allegato I della direttiva 76/768, che contiene una "lista esemplificativa", è di precisare che i prodotti ivi elencati sono prodotti cosmetici. Ma la stessa direttiva non vuole con ciò stabilire che i prodotti non elencati in detto elenco non abbiano tale proprietà (31). Per il problema sollevato nel caso di specie questo significa che un prodotto, se modifica funzioni organiche e corrisponde a uno dei casi indicati nell' allegato I, costituisce un prodotto cosmetico. Ma non si può trarre la conclusione inversa se non corrisponde a nessuno di detti casi. Questa conseguenza, desunta da riflessioni generali sul carattere dell' allegato, mi sembra ancora più giustificata per il fatto che gli autori della direttiva hanno "raggruppato per categoria" i prodotti ivi elencati, al fine di dare un' idea quanto più chiara possibile dei casi in questione. Essi non hanno cercato, come è dimostrato, ad esempio, dall' indicazione di creme e di polveri, di menzionare proprio i casi controversi. Del resto non si può escludere che vari prodotti di cui all' allegato I, non citati dal governo italiano, modifichino anch' essi - sia pure in modo pressoché trascurabile - funzioni organiche. Tutto ciò dovrebbe indurci, come la Corte ha statuito nella causa Van Bennekom, a procedere "caso per caso".

67. La stessa idea è alla base della tesi del governo del Regno Unito, che condivido. Ad avviso di quest' ultimo, i requisiti della parte della definizione di medicinale di cui trattasi sono soddisfatti se il prodotto produce sulle funzioni organiche un effetto anomalo e costituisce pertanto un rischio per la sanità pubblica che è sufficiente a giustificare l' applicazione della disciplina di autorizzazione della direttiva 65/65.

68. Vi sono due ragioni a sostegno di questo criterio. In primo luogo, esso è manifestamente conforme allo scopo e allo spirito della direttiva, in quanto quest' ultima è diretta alla tutela della sanità pubblica e contiene a questo riguardo norme che devono impedire l' uso da parte dei consumatori di medicinali nocivi. In secondo luogo, detto criterio corrisponde alla lettera della parte della definizione relativa ai medicinali che qui ci interessa, che si basa sugli effetti del prodotto; questi effetti vengono definiti in modo più preciso - dal punto di vista della nocività - senza che vengano stabiliti ulteriori requisiti.

69. Al tempo stesso non accoglierei la tesi della convenuta secondo la quale, in assenza di proprietà farmacologiche così definite, il prodotto in questione costituisce comunque un medicinale se le autorità di altri Stati membri lo hanno così classificato. Da un lato, la direttiva non prevede che le autorità degli Stati membri debbano uniformarsi alle decisioni delle autorità di altri Stati membri. Ogni autorità effettua una valutazione autonoma cui non può quindi sostituirsi la decisione di un' altra autorità. Dall' altro, ho già osservato che, secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione nazionale di medicinale può comprendere più prodotti della nozione di diritto comunitario senza violare il diritto comunitario (32).

70. Ne consegue che nella soluzione della seconda questione va inserito il seguente elemento, che precisa la giurisprudenza della sentenza Van Bennekom:

"Un prodotto ha pertanto natura di medicinale qualora provochi sulle funzioni organiche un effetto anomalo e rappresenti quindi per la sanità pubblica un rischio sufficiente a giustificare l' applicazione della disciplina d' autorizzazione contenuta nella direttiva 65/65".

71. 3) Per ragioni di completezza vorrei fare alcune osservazioni relative alla questione dei possibili parametri concreti cui le autorità nazionali possono riferirsi per determinare se le proprietà di un prodotto consentano di classificarlo come medicinale, tenuto conto del criterio delineato in precedenza.

72. 3a) Dinanzi alla Corte di giustizia sono state espresse opinioni contrastanti in merito alla rilevanza da attribuire ad una direttiva di adeguamento della Commissione, la direttiva 87/137/CEE (33). Quest' ultima dispone che è vietato nei prodotti cosmetici l' uso del Minoxidil e dei suoi sali e dei suoi prodotti e derivati; i prodotti contenenti tali sostanze non possono essere messi sul mercato a decorrere dal 1º gennaio 1989, e neppure possono essere venduti o ceduti al consumatore finale a decorrere dal 31 dicembre 1990 (v. il combinato disposto degli artt. 1, n. 1, e 2, della direttiva 87/137). Dal divieto dell' uso del Minoxidil nei prodotti cosmetici - introdotto nell' allegato II della direttiva 76/768 - la ricorrente deduce che il prodotto di cui si discute costituisce un medicinale; la convenuta ne trae la conclusione opposta. Nessuna delle due opinioni è corretta.

73. Anzitutto, come giustamente ha sottolineato il governo del Regno Unito, l' inserimento delle sostanze vietate nei vari allegati della direttiva relativa ai prodotti cosmetici è una misura adottata dalla Commissione, che è indipendente dalla posizione degli Stati membri in relazione all' autorizzazione dei medicinali. A questa distinzione formale si aggiunge una differenza sostanziale. Il provvedimento adottato dalla Commissione si applica infatti solo ai prodotti cosmetici e presuppone pertanto la classificazione come prodotto cosmetico. Esso ha l' effetto di vietarne la vendita come tale qualora il cosmetico contenga la sostanza proibita. Inoltre questo provvedimento si riferisce solo ad una determinata sostanza, mentre la classificazione come medicinale, su cui debbono decidere gli Stati membri, riguarda il prodotto nel suo insieme, vale a dire tenendo conto delle sue modalità di somministrazione nel corpo umano.

74. 3b) Se dunque il fatto che talune sostanze siano vietate in base alla direttiva relativa ai prodotti cosmetici non fornisce alcuna indicazione per la classificazione del prodotto, ciò non significa che tali indicazioni siano del tutto assenti. Qualora vi siano dubbi in ordine alla questione se le proprietà di un prodotto consentano di classificarlo come medicinale sulla scorta del criterio prima individuato, può essere utile per le autorità nazionali o per il giudice nazionale un raffronto tra tali proprietà e quelle di altri prodotti, la cui classificazione come medicinale o come prodotto cosmetico, in base al suddetto criterio, non presenta dubbi di sorta. Anche in questo caso si tratta di procedere "caso per caso".

75. (aa) Per quanto riguarda anzitutto l' utilità di tale principio, va considerato che qualsiasi criterio che si basi sulla valutazione degli effetti di un prodotto fa sorgere il problema dell' ordine di grandezza. Per quanto riguarda il criterio scelto nel caso di specie ci si potrebbe chiedere come si possa misurare se l' effetto di un prodotto ha (già) la caratteristica che gli attribuisce una natura anomala e rende necessaria l' applicazione del sistema di autorizzazione previsto dalla direttiva 65/65, o se tale effetto rimanga (ancora) entro tale soglia. Questa valutazione richiede, in particolare nei casi limite, un punto di riferimento la cui individuazione non è pertanto un mero esercizio accademico.

76. (bb) A questo riguardo si può anzitutto ricorrere ad un confronto con altri prodotti sicuramente classificati tra i medicinali in base alle loro proprietà farmacologiche. L' ampia formulazione della parte della definizione di medicinale che qui interessa mostra che i suoi autori si sono dovuti basare solo sul principio secondo cui le proprietà farmacologiche di taluni prodotti consentono di classificarli pacificamente tra i medicinali, senza che ciò richieda una spiegazione, in quanto esiste in proposito un uso consolidato (34). Ne è offerto un esempio dai già citati artt. 6 e 16 della direttiva 65/65, che riportano fra i medicinali, senza ulteriore indicazione, i prodotti aventi fini anticoncezionali e gli stupefacenti (narcotici). Anche se questo gruppo di prodotti, di cui è certa l' appartenenza alla categoria dei medicinali, non è sempre di grande aiuto come criterio di raffronto con preparati aventi effetti del tutto nuovi, un raffronto del genere dovrebbe almeno facilitare la classificazione per la maggior parte dei prodotti.

77. (cc) La stessa osservazione vale in linea di principio per i prodotti per cui sia accertata la caratteristica di prodotto cosmetico. Se si esamina la questione unicamente dal punto di vista della direttiva 65/65 si potrebbe supporre, alla luce del terzo punto del preambolo, che il legislatore comunitario prenda le mosse da un gruppo di prodotti cosmetici (35), la cui natura è accertata in virtù di un uso consolidato, e che tali prodotti - oltre a quelli riconosciuti come medicinali in base al suddetto ragionamento - possano del pari essere utilizzati come elementi di confronto. In linea di principio questo punto di partenza è corretto. A questo orientamento si sovrappone però la decisione del legislatore di citare nell' allegato I della direttiva 76/768, a titolo esemplificativo, una serie di prodotti di cui è certa la natura di prodotto cosmetico. In tale allegato sono compresi una gran parte dei prodotti per i quali esiste detto uso consolidato, che viene in questo modo codificato; tuttavia, poiché tale codificazione ha una portata più ampia dell' uso consolidato, i prodotti ivi elencati vengono per questa via classificati tra i prodotti cosmetici. Ci si deve quindi riferire, in primo luogo, come elemento di comparazione, ai prodotti che figurano nell' allegato I della direttiva 76/768. Oltre a questi, ci si deve comunque riferire anche ai prodotti non elencati in questo allegato e che l' uso consolidato include comunque tra i prodotti cosmetici per le loro proprietà.

78. (dd) Sulla base di tali riflessioni vi suggerisco di introdurre nella soluzione della seconda questione le seguenti ulteriori precisazioni:

"Ai fini della valutazione del prodotto si devono confrontare, per quanto possibile, le proprietà farmacologiche del prodotto di cui trattasi con quelle dei prodotti che sono stati classificati tra i medicinali in base ad un uso consolidato a causa delle loro proprietà; del pari tali proprietà devono essere confrontate con quelle dei prodotti classificati tra i prodotti cosmetici in base all' allegato I della direttiva 76/768 o, in mancanza, in base all' uso consolidato".

79. cc) Le mie riflessioni volte a tracciare una delimitazione tra medicinali e prodotti cosmetici hanno avuto ad oggetto sino ad ora, nella misura in cui la direttiva 65/65 persegue lo scopo di tutela della sanità pubblica, la tutela dalle specialità medicinali potenzialmente nocive. Si deve quindi sollevare la questione se dal punto di vista dell' efficacia terapeutica siano necessarie altre riflessioni di cui occorre del pari tener conto per la scelta del criterio di delimitazione. A questo riguardo si potrebbe affermare che si garantisce la tutela da specialità medicinali prive di effetto solo quando è sufficiente che il produttore si limiti a dichiarare l' esistenza delle proprietà farmacologiche che in base ai summenzionati criteri consentano di classificare il prodotto come medicinale (mentre in realtà tali proprietà mancano). Secondo tale interpretazione, la parte della definizione di medicinale che qui ci interessa avrebbe non solo natura di criterio di applicazione (che in ogni caso deve avere, tenuto conto delle considerazioni precedentemente svolte sulla tutela contro specialità medicinali nocive), ma del pari natura di criterio di presentazione, in modo analogo alla prima parte della definizione di medicinale.

80. La ricorrente sembra sostenere una siffatta soluzione. Quest' ultima sarebbe effettivamente compatibile anche con il testo della seconda parte della definizione di medicinale, che non si basa semplicemente sugli effetti del prodotto realmente ottenuti, ma sugli effetti voluti. A questo proposito rimane aperto il problema se questo scopo debba risultare dalle sole proprietà del prodotto o se invece sia sufficiente che lo stesso scopo sia semplicemente indicato dal produttore, senza essere giustificato dalle proprietà del prodotto.

81. Suggerirei una soluzione diversificata a seconda dei casi. In linea di principio, il controllo sull' efficacia terapeutica deve impedire che il consumatore che rischi di ammalarsi o che sia già ammalato prenda medicinali inefficaci e che la prevenzione della malattia o la guarigione della stessa non vengano messe in dubbio, se non addirittura compromesse. L' uso della nozione "efficacia terapeutica", che dal punto di vista etimologico presuppone una malattia, è a favore di questa interpretazione, come il fatto che gli autori della direttiva hanno espressamente basato la definizione di medicinale sul criterio della presentazione solo per i prodotti aventi "proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali". Tuttavia i medicinali che non sono presentati come tali non possono causare i rischi che con tale sistema si vogliono evitare. Così, per esempio, la mancanza di efficacia in un prodotto che favorisce la crescita dei capelli, come quello oggetto della lite di cui trattasi, non costituisce alcun pericolo per la sanità pubblica.

82. Per contro, la mancanza di effetti in taluni altri prodotti, che rientrano solo nella seconda parte della definizione di medicinale, può sicuramente costituire un pericolo per la sanità pubblica. La causa Tissier lo dimostra per i prodotti che consentono l' effettuazione di una diagnosi (36). Per la parte della definizione di medicinale ora in questione si devono menzionare inoltre i narcotici, ai cui effetti non si può rinunciare nell' interesse della sanità pubblica.

83. Va ammesso che il criterio dell' efficacia terapeutica ai sensi delle precedenti considerazioni di rado sarà rilevante per la delimitazione tra i prodotti cosmetici e i medicinali. Tuttavia, per esigenze di completezza, occorre osservare che, qualora si attribuiscano ad un prodotto espressamente o in modo allusivo proprietà che consentono di classificarlo tra i medicinali in base ai criteri che abbiamo adottato, esso va incluso tra i medicinali, se la mancanza di efficacia del prodotto può nuocere alla sanità pubblica.

84. Per queste ragioni nella soluzione della seconda questione si dovrebbe inserire ancora una parte, in cui, con riguardo ai criteri prima elaborati, si precisi:

"in linea di massima sono rilevanti unicamente le effettive proprietà del prodotto considerato.

Tuttavia, qualora il produttore attribuisca al prodotto -espressamente o in modo allusivo - proprietà che consentano di classificarlo come medicinale in base a tali criteri, il prodotto in questione costituisce un medicinale indipendentemente dalle sue proprietà effettive, se la mancanza di effetti può nuocere alla sanità pubblica".

85. b) Poiché i criteri fin qui stabiliti, pur tenendo conto delle diverse esigenze di tutela della sanità pubblica, non vanno però oltre quanto necessario per la stessa tutela, l' esigenza della libera circolazione delle merci (agevolazione degli scambi), che costituisce del pari un intento della direttiva relativa ai medicinali, ma ancora di più un intento della direttiva sui prodotti cosmetici, non comporta alcuna riserva alla mia interpretazione.

C- Conclusioni

86. In base a quanto precedentemente considerato, vi suggerisco di risolvere le questioni dello Hoge Raad come segue:

"1) Il fatto che un prodotto non abbia proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali, ai sensi della prima parte della definizione dell' art. 1, n. 2, della direttiva 65/65, non esclude che possa essere somministrato all' uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo, e che costituisca quindi un medicinale ai sensi della stessa direttiva.

2) a) Un prodotto che non è presentato come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali e che,

senza essere menzionato nell' allegato I della direttiva 76/768 tra i prodotti cosmetici, costituirebbe un prodotto cosmetico in base all' art. 1, n. 1, della direttiva 76/768, non deve ciononostante essere classificato tra questi ultimi prodotti, bensì tra i medicinali, se può essere somministrato allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo.

b) Si deve determinare caso per caso se un tale prodotto sia destinato a 'ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell' uomo o dell' animale' , in base alle sue proprietà farmacologiche - secondo quanto appurato allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche - che sono riscontrate quando il prodotto viene applicato sulla parte del corpo cui è normalmente destinato. Un prodotto ha pertanto natura di medicinale qualora provochi sulle funzioni organiche un effetto anomalo e rappresenti quindi per la sanità pubblica un rischio sufficiente a giustificare l' applicazione della disciplina d' autorizzazione contenuta nella direttiva 65/65/CEE. Ai fini di tale valutazione si devono confrontare, per quanto possibile, le proprietà farmacologiche del prodotto di cui trattasi con quelle dei prodotti che sono stati classificati tra i medicinali in base ad un uso consolidato a causa delle loro proprietà; del pari tali proprietà devono essere confrontate con quelle dei prodotti classificati tra i prodotti cosmetici in base all' allegato I della direttiva 76/768/CEE o, in mancanza, in base all' uso consolidato.

c) Con riguardo ai criteri enunciati alla lett. b), in linea di massima sono rilevanti unicamente le proprietà effettive del prodotto considerato. Tuttavia, qualora il produttore attribuisca al prodotto - espressamente o in modo allusivo - proprietà che consentano di classificarlo come medicinale in base a tali criteri, tale prodotto costituisce un medicinale, indipendentemente dalle sue proprietà effettive, se la mancanza di effetti può nuocere alla sanità pubblica".

(*) Lingua originale: il tedesco.

(1) Direttiva del Consiglio 26 gennaio 1965 (GU 1965, n. 22, pag. 369). La direttiva 89/341/CEE (GU 1989, L 142, pag. 11) ha sostituito nel titolo della direttiva 65/65/CEE il termine "specialità medicinali" con quello di "medicinali"; quest' ultima direttiva deve essere recepita al più tardi entro il 1º gennaio 1992.

(2) Direttiva del Consiglio 27 luglio 1976 (GU 1976, L 262, pag. 169).

(3) V. sentenza 30 novembre 1983, Van Bennekom, punti 22 e 23 della motivazione (causa 227/82, Racc. pag. 3883).

(4) Il corsivo è mio.

(5) Sentenza 20 marzo 1986, Procuratore della Repubblica / Tissier (causa 35/85, Racc. pag. 1207).

(6) Punto 26 della motivazione.

(7) I motivi di sospensione e revoca indicati all' art. 11 della direttiva sono ricalcati sui motivi di rifiuto indicati all' art. 5.

(8) V. art. 4, nn. 5 e 6, della direttiva 65/65.

(9) Conclusioni del 5 ottobre 1983, Racc. 1983, pagg. 3908-3910.

(10) V. le conclusioni dell' avvocato generale Rozès, loc. cit., pag. 3911.

(11) Non è compito della Corte esaminare se tale valutazione sia corretta e di conseguenza se la questione pregiudiziale sia pertinente per la soluzione della lite.

(12) O tra due stati, ambedue patologici (ipertonia/ipotonia).

(13) Mi limiterò qui - per quanto riguarda la classificazione degli analgesici - a sollevare due problemi: il dolore può costituire di per sé una malattia o è solo il sintomo di un malattia? Nella prima ipotesi, in presenza di quale localizzazione, grado d' intensità o di estensione interna o esterna è possibile parlare di malattia?

(14) Punto 27 della motivazione; il corsivo è mio.

(15) Sotto la voce corrispondente del Meyers Enzyklopaedisches Lexikon (dizionario enciclopedico), 1978.

(16) V. sentenza Van Bennekom, già citata, punto 35 della motivazione.

(17) V. il punto 41 della sentenza Van Bennekom. V. anche la sentenza nella causa 35/85, Procuratore della Repubblica / Tissier, punto 22 della motivazione, nonché le conclusioni dell' avv. generale Tesauro 16 gennaio 1991 nella causa C-369/88, punto 5 (sentenza 21 marzo 1991, Racc. pag. I-0000).

(18) La versione tedesca usa per le nozioni "medicinale" e "specialità medicinale" termini diversi da quelli della direttiva 65/65. Va però considerato che si tratta di una semplice divergenza terminologica, in quanto, a mio avviso, il contenuto delle nozioni rimane identico.

(19) V. anche quanto precisato nella quinta frase del quinto punto del preambolo della direttiva 76/768.

(20) Come si è già sottolineato, il ragionamento che segue si riferisce, conformemente ai fatti di causa, solo al rapporto tra l' art. 1, n. 1, della direttiva 76/768 e la seconda parte della definizione di medicinale. Per quanto riguarda i prodotti elencati nell' allegato I della direttiva, cui fa rinvio l' art. 1, n. 2, il ragionamento è diverso. Se un prodotto corrisponde ad una delle possibilità di impiego ivi elencate, è assodato che si tratta di un prodotto cosmetico. Tale allegato è tuttavia rilevante per la delimitazione anche se il prodotto di cui trattasi non corrisponde ad alcuna di dette possibilità, di modo che la prevalenza della definizione di medicinale sotto questo profilo viene a trovarsi in parte ridotta. Torneremo su questo punto più avanti (al punto 77).

(21) V. il primo punto del preambolo della direttiva 65/65 e il terzo punto del preambolo della direttiva 76/768.

(22) "Presented".

(23) "With a view to".

(24) V. punto 22 della sentenza.

(25) V. sentenza 22 gennaio 1986, Eridania e a. / Cassa conguaglio zucchero e a., punto 38 della motivazione (causa 250/84, Racc. pag. 117); in seguito giurisprudenza costante.

(26) Quarta frase: "La presente direttiva non è applicabile ai prodotti che rientrano nella definizione di prodotto cosmetico ma che sono destinati esclusivamente alla prevenzione delle malattie".

(27) Si chiarisce infatti che l' espressione "applicate sulle superfici esterne del corpo umano (...) oppure sui denti e sulle mucose della bocca" (art. 1) non riguarda i casi in cui i prodotti di cui trattasi sono destinati ad essere "ingeriti, inalati, iniettati o innestati nel corpo umano".

(28) Il corsivo è mio.

(29) Sembra che questa destinazione sia dovuta alle sostanze che sciolgono lo strato corneo, che del resto sono anche contenute nei prodotti contro i duroni e l' acne. Per i prodotti ad azione desquamante pare occorra tenere conto, ai fini della loro classificazione, dei possibili effetti secondari in caso di contatto con gli occhi, contatto difficilmente evitabile anche se questi prodotti sono usati secondo le istruzioni per l' uso.

(30) Questa formulazione ha però un significato un po' più ampio del criterio della parte cui il prodotto è normalmente destinato, sul quale dobbiamo qui basarci. Essa comprende inoltre, in particolare, la frequenza e la durata dell' applicazione.

(31) I prodotti per il "peeling" di cui al secondo trattino rappresentano un' eccezione.

(32) V. nota 17.

(33) Nona direttiva della Commissione 2 febbario 1987, recante adeguamento al progresso tecnico degli allegati II, III, IV, V e VI della direttiva del Consiglio 76/768/CEE, riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU 1987, L 56, pag. 20).

(34) V. del pari il terzo punto del preambolo della direttiva 65/65.

(35) V. punto 35, supra.

(36) V. la sentenza nella causa citata, punto 27 della motivazione.