15.2.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 62/16


Parere del comitato economico e sociale europeo sugli «Sviluppi strategici in materia di politica industriale all’orizzonte 2030, al fine di rafforzare la competitività e la diversità della base industriale dell’Europa e di concentrarsi sulla redditività a lungo termine all’interno delle catene globali del valore»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza austriaca)

(2019/C 62/03)

Relatore:

Carlos TRIAS PINTÓ

Correlatore:

Gerald KREUZER

Consultazione

Presidenza austriaca del Consiglio dell’UE, 12.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

25.9.2018

Adozione in sessione plenaria

17.10.2018

Sessione plenaria n.

538

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

158/9/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La politica industriale dovrebbe individuare e cogliere le opportunità per una crescita futura sostenibile e inclusiva a livello globale. Nessuno dovrebbe essere lasciato indietro.

1.2.

L’Europa deve mantenere il suo obiettivo ambizioso di riportare la quota della produzione industriale ai livelli precedenti, regolando questo obiettivo in funzione dei principali indicatori della performance. La politica industriale dell’Europa (a livello delle direzioni generali delle istituzioni europee competenti, degli Stati membri e delle regioni) deve essere migliorata, in quanto è un elemento costitutivo delle complesse catene del valore transfrontaliere nel quadro di un mercato sempre più globalizzato. È necessario un approccio globale che concili lo stimolo alla crescita e la risposta alle sfide climatiche e ambientali e ai problemi sociali nella progettazione di una «transizione equa», atta a unire i fattori propulsivi nazionali e dell’UE.

1.3.

Il termine rEUnaissance indica un vero e proprio piano generale per l’industria europea, che integri la politica industriale in tutte le politiche dell’UE, consenta la trasformazione industriale necessaria per fare dell’Europa la più grande economia basata sulla conoscenza, generi valore aggiunto industriale attraverso la creatività, la progettazione intelligente e l’innovazione sociale e promuova nuovi modelli industriali sostenibili e inclusivi (il marchio «made in Europe»).

1.4.

Se si vuole che le politiche dell’UE in materia di clima e di economia circolare creino posti di lavoro in Europa, è di cruciale importanza che i segmenti fondamentali della catena del valore legata a queste politiche siano situati in Europa. È quindi importante che la strategia dell’UE riconosca la rilevanza delle catene del valore e contempli misure ambiziose atte a svilupparle ulteriormente. Piuttosto che concentrarsi su singoli settori, la strategia dovrebbe far sì che le condizioni operative presenti in Europa esercitino un forte richiamo. Occorre fare in modo che l’Europa mantenga il suo ruolo nell’economia mondiale; e a tal fine la misura del successo dovrebbe essere la capacità di integrare le singole catene del valore europee nelle catene del valore globali: i fornitori europei dovrebbero cioè essere in grado di competere a livello mondiale e non solo in Europa.

1.5.

I miglioramenti nell’istruzione e nella formazione per le nuove occupazioni e i nuovi servizi dovrebbero essere strettamente connessi anche alle politiche di R+S+i e alla promozione dell’apprendimento basato sul lavoro, così da estendere l’agenda per le competenze (1) a comparti industriali d’importanza cruciale come i settori edilizio, siderurgico, cartario, delle tecnologie «verdi» e delle fonti di energia rinnovabili, manifatturiero e del trasporto marittimo.

1.6.

Per garantire la leadership tecnologica dell’Europa, il CESE raccomanda inoltre di intensificare gli investimenti in tecnologie dirompenti che imprimano una svolta, come ad esempio l’intelligenza artificiale e la robotica, l’Internet degli oggetti, l’analisi dei dati, la stampa in 3D, i nuovi materiali e i nanomateriali, la realtà virtuale aumentata, la bioeconomia, gli alimenti sostenibili, le tecnologie digitali, le neurotecnologie, la nanoelettronica, l’esplorazione degli oceani e dello spazio.

1.7.

Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 deve provvedere nel modo più specifico e dettagliato possibile ad assegnare risorse di bilancio supplementari a ciascun settore, in particolare alle politiche di coesione e in materia di R+S+i.

1.8.

Il CESE sottolinea che la governance istituzionale andrebbe rafforzata, anche per quel che concerne la valutazione dell’impatto a livello non solo economico, ma anche sociale e ambientale lungo l’intera catena di valore.

1.9.

Nell’ottica di aumentare la sostenibilità dell’intera catena del valore industriale, il CESE appoggia con convinzione la tabella di marcia della Commissione sul finanziamento della crescita sostenibile (2), attraverso l’elaborazione di una tassonomia della finanza sostenibile che riorienti il risparmio responsabile verso investimenti sostenibili rafforzando gli investimenti strategici europei (giusta combinazione del previsto fondo InvestEU e di apporti finanziari dal settore privato).

1.10.

Il CESE ribadisce il suo saldo sostegno a favore della regola d’oro sugli investimenti pubblici, non soltanto nel cofinanziamento di progetti d’investimento strategici ma anche in tutti i progetti d’investimento sostenibili connessi a concreti passi avanti verso un sistema europeo di classificazione (o tassonomia) delle attività sostenibili, allo scopo di offrire nuove opportunità di sviluppo ai paesi europei più penalizzati dalla crisi.

1.11.

Strumenti di finanziamento: creazione di condizioni di parità, concessione di finanziamenti pubblici per progetti su scala industriale (fino al 75 % o più, se giustificato, dei costi di investimento), aumento dei prestiti agevolati e maggiore accesso al credito. Accesso alle sovvenzioni pubbliche per azioni tese a eliminare i rischi (de-risking) in progetti innovativi intrinsecamente ad alto rischio.

1.12.

I settori più produttivi (con il massimo valore aggiunto) sono anche quelli in cui l’innovazione è maggiore. Inoltre, i settori soggetti a una normativa ambientale più rigorosa sono anche caratterizzati da un numero maggiore di brevetti, probabilmente per effetto della pressione normativa (3).

1.13.

Uno dei principali fattori del costo normativo è rappresentato dall’attuazione delle politiche dell’UE mediante atti delegati o di esecuzione. Procedure tecnocratiche di conformità, che non definiscono i metodi più efficienti sul piano dei costi per raggiungere i risultati normativi auspicati, rallentano la capacità di innovazione degli operatori del settore, in particolare le PMI.

1.14.

Lo sviluppo sostenibile e la competitività devono andare di pari passo. Il CESE chiede che le norme dell’UE in materia di prodotti debbano essere rispettate sia dai produttori europei che da quelli di paesi terzi e che siano fatte applicare alle frontiere dell’Unione. Infatti, le importazioni di prodotti che non rispettano le norme ambientali e sociali europee fanno sì che i settori industriali dell’UE incontrino seri ostacoli nel soddisfare i bisogni e le istanze della società in termini di sostenibilità.

1.15.

La Commissione europea dovrebbe monitorare attentamente la corretta attuazione degli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE, anche in relazione alla semplicità e alla chiarezza delle disposizioni pertinenti. Negli ALS, capitoli sulla sostenibilità devono promuovere l’attuazione delle norme fondamentali dell’OIL in materia di lavoro e dei principi guida dell’ONU su imprese e diritti umani (4), stabilendo condizioni trasversali minime inderogabili (diritti delle persone vulnerabili, buona governance di bilancio ecc.). Occorrerebbe garantire la reciprocità nelle relazioni commerciali (ad esempio in tema di investimenti, appalti pubblici e sovvenzioni).

1.16.

È necessario un dialogo sociale a largo raggio a vari livelli per condurre un’analisi adeguata e fornire risposte comuni alle catene globali del valore, nel quadro di imprese sostenibili in cui i lavoratori abbiano voce in capitolo.

1.17.

Il CESE invita la Commissione europea a inserire la competitività e la leadership industriali tra le massime priorità politiche e a lanciare un programma europeo di strategia industriale. Esorta inoltre la Commissione a pubblicare una relazione annuale sui risultati della strategia industriale dell’UE che prenda in esame tutti i settori politici pertinenti di competenza della Commissione stessa.

2.   Tendenze generali — Un solo mondo

2.1.

Oggi l’industria sta attraversando una fase di profonda trasformazione connessa alle enormi potenzialità della trasformazione digitale e di un’economia a basse emissioni di carbonio. Le fonti di energia rinnovabili prenderanno il posto dei combustibili fossili, i dati stanno diventando la nuova materia prima dominante e Internet (l’Internet degli oggetti) è diventato il metodo di comunicazione più importante. I modelli di produzione lineare cederanno il passo a sistemi di produzione/consumo/riciclo più circolari, mentre la fabbricazione in serie sarà sostituita da processi di produzione su misura. Essere un’industria moderna significa produrre e innovare all’interno di una rete di operatori che collaborano strettamente tra loro, dalle grandi imprese fino alle PMI, arrivando ai servizi collegati lungo la catena del valore. La conoscenza ha preso il posto della manodopera e del capitale quale fattore più importante nella creazione del valore. La strategia industriale a lungo termine dell’Europa deve tener conto di tutte queste sfide (di portata dirompente) per entrare, attraverso una transizione paragonabile solo al passaggio dal paleolitico al neolitico, in una nuova fase della storia umana: la cosiddetta era infolitica (5).

2.2.

La maggior parte della ricerca accademica avverte che, per effetto della diffusione delle tecnologie e della robotica, da qui al 2030 circa scomparirà dal 20 al 50 % dei posti di lavoro, a seconda del settore considerato (6). Saranno tuttavia creati nuovi posti di lavoro, sebbene con maggiori disparità in termini geografici, settoriali e di competenze. La sfida cui la politica industriale europea deve far fronte consiste nell’evitare che l’UE, le sue regioni e i suoi cittadini rimangano esclusi.

2.3.

La trasformazione digitale sta interessando tutte le principali risorse del settore industriale, siano esse connesse alla natura e all’ambiente oppure al lavoro e al capitale (sul piano fisico, tecnologico e istituzionale). Per gestirne in modo appropriato le ripercussioni sociali, è necessaria una nuova valutazione delle principali risorse o del capitale sociale da cui proverranno, paese per paese e settore per settore, i flussi di reddito più importanti.

2.4.

Ampi settori dell’industria europea fanno sempre più assegnamento sulle esportazioni verso paesi terzi, oppure fanno parte di complesse catene del valore transfrontaliere nel quadro di un mercato sempre più globalizzato. Allo stesso tempo, l’UE deve fare fronte al diffondersi degli effetti delle politiche che pongono gli Stati Uniti al primo posto («America First»), politiche che fanno aumentare il rischio di guerre commerciali da cui nessuno uscirebbe vincitore, generando soltanto sconfitti. Tali politiche rappresentano altresì una minaccia per l’ordine economico multilaterale scaturito dalla seconda guerra mondiale. Infine, bisogna ricordare che stanno emergendo modelli economici centralizzati a guida statale.

2.5.

Una transizione equa verso un’industria più sostenibile all’orizzonte 2050 (7) esige che l’Europa affronti le seguenti sfide:

i continui cambiamenti climatici e il deterioramento delle condizioni ambientali;

l’esaurimento delle risorse naturali del pianeta e la perdita di biodiversità;

la digitalizzazione della maggior parte dei settori industriali, che renderà indistinti i confini tra i settori e tra il mondo fisico e quello virtuale e permetterà l’ingresso di nuovi operatori con la conseguente riduzione del lavoro manuale;

le disuguaglianze sociali, ad esempio con la crescente polarizzazione del mercato del lavoro, la disoccupazione giovanile e le persone lasciate indietro nelle regioni industriali in declino;

la perdita di fiducia (da parte dei cittadini) nei governi, nella classe dirigente politica, nell’UE e nelle sue strutture di governance, come anche in altre istituzioni;

le sfide sul piano demografico: l’invecchiamento della popolazione, le migrazioni, la forte crescita della popolazione mondiale e una nuova consapevolezza ambientale;

la concentrazione della popolazione nelle megalopoli, con l’integrazione delle reti infrastrutturali, dell’intelligenza artificiale e dell’apprendimento automatico e profondo;

il mutare delle preferenze dei consumatori (comportamenti di consumo diversi, maggiore consapevolezza ambientale, regolamentazione dei comportamenti di consumo da parte delle autorità pubbliche).

Una visione a lungo termine dovrebbe tener conto di tutte queste tendenze allo stesso tempo. Una delle maggiori priorità della politica industriale europea consisterà nel comprendere le sfide e capire come trasformarle in opportunità. L’elaborazione delle risposte a queste sfide è un esercizio complesso che richiede il coinvolgimento di tutte le parti interessate, le quali devono condividerne la responsabilità; e il buon esito di questo processo dipende dagli sforzi e dalla cooperazione tra le istituzioni dell’UE, gli Stati membri e le regioni, ma soprattutto dal contributo attivo dell’industria stessa.

3.   La transizione: un’UE impegnata a rimanere competitiva attraverso la sostenibilità

3.1.

Per affrontare le molteplici e inedite sfide che si profilano per l’industria, l’Europa ha scelto di rafforzare la sua competitività migliorando la qualità dei suoi prodotti e servizi, nonché attuando una strategia di differenziazione per regioni e settori industriali, allo scopo di generare crescita e occupazione attraverso il valore aggiunto ottenuto con la creatività e una progettazione intelligente, l’innovazione sociale e nuovi modelli industriali sostenibili e inclusivi.

3.2.

In Europa stanno già emergendo alcuni indicatori incoraggianti, come il 40 % dei brevetti mondiali nel settore delle tecnologie rinnovabili. Sono tuttavia osservabili nuovi e gravi squilibri tra i sistemi d’istruzione e formazione, le iniziative imprenditoriali e le nuove competenze richieste dall’industria.

3.3.

Un altro grande freno allo sviluppo industriale in tutta l’Europa è ravvisabile nella frammentazione delle politiche dell’Unione europea, in termini sia geografici che settoriali. Il passaggio da 28 politiche diverse per ogni settore industriale a una politica industriale europea con un approccio globale richiede la sincronizzazione con le misure volte a completare l’UEM (e in particolare le unioni di bilancio e bancaria), lo sviluppo di un mercato su scala europea per il capitale di rischio e l’adozione di un modello di finanziamento sostenibile che assicuri una crescita equilibrata e armonizzata in tutta l’Unione europea.

3.4.

Capire se una maggiore innovazione verde rafforza l’innovazione in altri settori, ripercuotendosi anche sui prezzi dei fattori produttivi dell’industria, significa compiere un passo importante non solo verso una migliore valutazione degli effetti della politica ambientale sulla competitività dei paesi, ma anche verso una migliore pianificazione della politica ambientale stessa.

3.5.

È inoltre necessario prestare molta attenzione al potenziale delle PMI nei comparti che forniscono servizi innovativi di alto livello basati sulla conoscenza. In genere, l’innovazione in Europa nasce spesso in strutture di piccole dimensioni, e l’esportazione di servizi di alto livello basati sulla conoscenza ha un ruolo pionieristico per il posizionamento di mercato delle industrie collegate.

3.6.

Se l’Europa vuole riconquistare la leadership dell’industria della conoscenza o del capitale immateriale, la cooperazione industriale e il coordinamento tra gli Stati membri assumono un’importanza fondamentale nello sviluppo dell’innovazione europea. Il CESE tiene a sottolineare l’importanza del comune interesse europeo e dei partenariati innovativi tra settore pubblico e settore privato, oltre che della cooperazione regionale in ogni aspetto e fase delle strategie di specializzazione intelligente.

4.   Una strategia globale e olistica

4.1.

Le economie più capaci di generare valore aggiunto sono quelle maggiormente coinvolte nelle catene globali del valore (CGV). Di conseguenza, l’UE dovrebbe opporsi con maggiore determinazione al neoprotezionismo, che potrebbe rendere ancora più grave il recente stallo del processo di crescita del coinvolgimento in queste catene.

4.2.

Vi è l’opportunità di legare le catene globali del valore al tessuto economico locale, promuovendo lo sviluppo delle economie locali assieme a tecnologie dirompenti (block chain, stampanti 3D, robotica, Internet degli oggetti, stoccaggio di energia, energie rinnovabili, megadati, biogenetica, nanotecnologie ecc.) con un approccio inclusivo: esse possono infatti anche creare le condizioni per una produzione locale con fattori produttivi a costi inferiori, specialmente ove venga adottato (e adeguatamente disciplinato) il modello del prosumatore, promuovendo lo sviluppo di microimprese produttive e inclusive, in complementarità con le principali CGV.

4.3.

Il nuovo paradigma della sostenibilità come fattore di competitività, imperniato su un approccio di lungo termine, punta a mobilitare, allineare e garantire risorse pubbliche e private sufficienti per conseguire gli obiettivi fissati nelle politiche dell’UE. La disponibilità di risorse sufficienti è indispensabile per assicurare una trasformazione equa, equilibrata e inclusiva, in cui nessuno sia lasciato indietro o escluso dalla competizione e in cui gli interessi pubblici (come la protezione dei consumatori, la salute, la sicurezza e la qualità) continuino a figurare tra le massime priorità.

4.4.

Le iniziative e alleanze settoriali dell’industria europea volte a modellare la nuova agenda per le competenze, nonché a compilare un catalogo di iniziative ben strutturate per rafforzare o adeguare i programmi esistenti (Erasmus+, la nuova agenda europea per la cultura ecc.) e attuarne di nuovi, devono essere applicate nell’intera UE a 27 Stati il prima possibile, garantendo il rispetto della diversità geografica e lo stretto coinvolgimento degli enti locali.

4.5.

Al tempo stesso, il CESE appoggia fermamente lo slancio impresso ai forum di dialogo multipartecipativo, allo sviluppo congiunto di strategie innovative e di progetti pilota con valore dimostrativo, alla sperimentazione congiunta e allo scambio di buone pratiche, nonché la disponibilità a seguire e valutare i progetti in modo dettagliato. Il CESE sottolinea inoltre che devono essere coinvolti tutti gli attori della catena del valore industriale, così come i consumatori. A questo proposito, merita ricordare qui la tavola rotonda industriale ad alto livello, il gruppo ad alto livello sulle industrie ad alta intensità energetica e il gruppo ad alto livello Competitività e crescita.

4.6.

È essenziale migliorare la capacità dell’UE di realizzare investimenti e di colmare il divario tra la formulazione delle politiche settoriali e gli investimenti finanziari, aumentando gli stanziamenti a favore del FEIS 2.0 e dei fondi strutturali connessi agli investimenti (per raggiungere le regioni e le popolazioni che sono rimaste indietro negli anni della crisi) e destinando il recente avanzo esterno dell’UE e quello degli enti pubblici a investimenti che modernizzino le infrastrutture industriali dell’UE, contribuendo così all’aumento della produttività e alla crescita economica.

5.   Governance istituzionale dell’industria dell’UE

5.1.

I piani d’azione per il settore industriale dovrebbero tener conto dei piani d’azione dell’UE per il lungo termine (UE2020, piani in materia di clima ecc.). La creazione di sinergie tra le differenti iniziative politiche (per l’economia circolare, l’innovazione, i trasporti, il commercio, le competenze, la politica regionale) contribuirebbe sicuramente ad aumentarne al massimo l’impatto.

5.2.

La trasparenza è un fattore decisivo per assicurare il buon esito di questo processo. L’industria nel suo complesso deve «agire e comunicare» fornendo informazioni di alta qualità (pertinenti, verificabili e comparabili) che consentano la precisa misurazione degli impatti finanziari e non finanziari sull’intera catena globale del valore di un prodotto.

5.3.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (17 OSS, articolati in 169 traguardi) e l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici fungono da incentivo per il bene comune, ma vi è urgente necessità di adattare e ampliare gli indicatori mediante una metodologia comune che combini parametri quantitativi e parametri qualitativi oltre a valutare in termini monetari le esternalità. La nuova serie di indicatori deve comprendere quelli relativi alla dimensione del cambiamento del valore globale, rispecchiando i valori dell’Unione europea.

5.4.

Il CESE chiede che vengano introdotti codici di condotta per i segmenti internazionalizzati della catena del valore di un prodotto o servizio europeo (come ad esempio gli alimenti sostenibili), dato che molti di essi sfuggono a una governance giuridica. Chiede inoltre una vigilanza di mercato più attenta e l’introduzione di misure dissuasive o sanzioni contro le pratiche dannose per la sostenibilità, come ad esempio l’obsolescenza programmata.

5.5.

Rafforzare la ricerca e l’innovazione responsabili nel quadro di un approccio dal basso. Previsioni più accurate riguardo ai singoli settori, regione per regione, e allineamento degli investimenti con gli obiettivi strategici dell’UE per il 2030 e con le prospettive per il 2050 (8). L’UE dovrebbe inoltre assicurarsi che la prima applicazione dei risultati della R&S finanziata con fondi pubblici abbia luogo all’interno dell’UE. Bisognerebbe finalmente raggiungere l’obiettivo di portare gli investimenti in R&S al 3 % del PIL (attualmente sono pari solo all’1,9 %, quindi inferiori a quelli della Cina, che destina alla R&S il 2,2 % del PIL). L’introduzione delle tecnologie dirompenti deve essere accompagnata da tabelle di marcia che affrontino le sfide e le condizioni legate alla loro diffusione (compreso l’impatto sul piano economico, normativo e sociale).

5.6.

Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 deve provvedere nel modo più specifico e dettagliato ad assegnare risorse di bilancio supplementari a ciascun settore, in particolare alle politiche di coesione e in materia di R+S+i. Il sostegno pubblico dovrebbe essere aumentato in tutte le fasi del ciclo di innovazione, anche per le imprese in fase di avviamento, i progetti dimostrativi e pilota, i progetti di RST (ricerca e sviluppo tecnologico) in collaborazione, la diffusione delle tecnologie ecc.

5.7.

L’Unione dei mercati dei capitali dell’UE e lo sviluppo industriale dovrebbero consentire la mobilitazione del risparmio sia pubblico che privato attraverso canali sicuri che vadano dall’investimento socialmente responsabile (ISR) alla responsabilità sociale delle imprese (RSI). La certificazione EMAS potrebbe inoltre ottimizzare e bilanciare i rendimenti finanziari con vettori per la sostenibilità.

5.8.

Realizzare una transizione strategica equa all’orizzonte del 2030 significa non soltanto innovare per i cittadini e investire in posti di lavoro per i lavoratori, ma anche innovare con i cittadini e i lavoratori, permettendo loro di trovare nuovi lavori dignitosi. A tale proposito, il CESE sottolinea che l’industria manifatturiera deve rimanere tecnologicamente neutra.

6.   Rendere più ambizioso il piano d’azione per l’industria europea

6.1.

La costruzione di una società della conoscenza rappresenta una delle condizioni basilari per un’industria innovativa e concorrenziale. L’Europa, non potendo competere sul piano salariale con le economie emergenti, dev’essere più intelligente. Le competenze rivestono un’importanza cruciale per i lavoratori, consentendo loro non solo di trovare più facilmente un impiego, ma anche di avere un posto di lavoro più sicuro, integrarsi nella società e fruire di migliori opportunità nella vita. È dunque necessario investire nel perfezionamento e nella riqualificazione professionali permanenti, promuovendo un’istruzione, una formazione e uno sviluppo professionale di qualità lungo tutta l’arco della vita lavorativa. È necessaria una «nuova agenda per le competenze per l’Europa» più ambiziosa, che porti a una revisione del quadro europeo delle competenze fondamentali, in modo che i cittadini acquisiscano le conoscenze e le abilità di cui l’industria ha bisogno per accrescere la resilienza dell’economia europea e per promuovere lo sviluppo sostenibile (traguardo 4 degli OSS delle Nazioni Unite).

6.2.

Migliorare i meccanismi di trasferimento delle conoscenze tra università e centri di ricerca da un lato e imprese e lavoratori dall’altro.

6.3.

Molto spesso le PMI fungono da apripista nello sviluppo di beni e servizi innovativi di alto livello, ma in molti casi non dispongono dei mezzi necessari per introdurre queste innovazioni in mercati più ampi. In linea con le priorità della politica industriale dell’UE all’orizzonte del 2030, è necessario un ampio ventaglio di possibili incentivi e benefici (che faccia leva sulla forza della rete pubblica paneuropea basata su ricompense) pensati specialmente in funzione delle PMI ma che tengano conto anche dei liberi professionisti in quanto pionieri nella prestazione, anche all’estero, di servizi innovativi di alto livello basati sulla conoscenza:

per quanto concerne gli appalti pubblici strategici, che rappresentano uno strumento importante della politica industriale, bisognerebbe sfruttare appieno il loro potenziale inserendo criteri di selezione innovativi, ecologici e sociali nelle gare d’appalto pubbliche, invece di cercare soltanto di spuntare il prezzo più basso; e l’UE dovrebbe aiutare le autorità competenti ad agire in tal senso fornendo orientamenti e assistenza, contribuendo alla pianificazione di grandi progetti infrastrutturali e rafforzando lo scambio di buone prassi;

sostegno all’internazionalizzazione;

appositi spazi («sandbox») per la sperimentazione multipartecipativa e un sostegno alla preventiva convalida delle soluzioni innovative;

cluster (settoriali, orizzontali e verticali) e incubatori di imprese in fase di avviamento, che rafforzino i legami tra gli attori industriali per la condivisione e lo scambio di risorse;

consulenza specializzata e ad alto valore aggiunto, incontri periodici tra le imprese in fase di avviamento e quelle già affermate nel settore d’interesse, per cooperare in merito a piani e iniziative;

agevolazioni fiscali e garanzie pubbliche a sostegno degli investimenti;

ecc.

6.4.

Incentivare la conoscenza e il consolidamento di nuovi modelli economici sostenibili (9) attraverso la promozione dell’innovazione sociale (nuovi modi, incentrati sulle persone, di soddisfare le esigenze della società) per effetto dell’applicazione dei metodi emergenti.

6.5.

Occorre prestare un’attenzione particolare alle regioni meno sviluppate e a quelle interessate da una transizione industriale. Le agenzie di sviluppo locale e il ventaglio di strumenti a loro disposizione devono servire da motore per la creazione di «microclimi» o «ecosistemi» che riuniscano e catalizzino le crescenti sinergie tra industria manifatturiera e servizi, partendo dalle esigenze degli individui e delle singole aree.

6.6.

Il ruolo del commercio internazionale è fondamentale per far fronte alle sfide insite in un’industria sostenibile. Revisione e miglioramento dei trattati e degli accordi preferenziali di libero scambio (dal GATT al TTIP) con l’introduzione di un certo grado di condizionalità legata agli impegni in materia di sostenibilità. Fissazione di posizioni non negoziabili (le «linee rosse»): governance giuridica e fiscale, risoluzione delle divergenze con le giurisdizioni off-shore, soglie minime in campo sociale ed ambientale. Occorrerebbe garantire la reciprocità nelle relazioni commerciali (ad esempio in tema di investimenti, appalti pubblici e sovvenzioni).

6.7.

Creazione di un’agenda settoriale per la gestione equilibrata della transizione verso un’economia circolare a basse emissioni di carbonio: fissazione di obiettivi per settore e area geografica, introduzione di tabelle di marcia che tengano conto delle circostanze reali, dell’impatto dei costi dell’energia e di altri fattori produttivi.

6.8.

La ristrutturazione industriale per l’era digitale trasformerà l’industria europea in un sistema produttivo ad alta intensità di informazioni e conoscenze, ragion per cui il CESE tiene a sottolineare le seguenti priorità:

promuovere appieno il ricorso alle tecnologie dell’informazione nell’affrontare le sfide sociali;

sviluppare un’infrastruttura digitale «ad alte prestazioni» su scala europea;

affrontare le notevoli disparità esistenti in termini di digitalizzazione tra le regioni, nonché tra le piccole imprese e quelle di grandi dimensioni;

accelerare lo sviluppo di standard per le TIC;

affrontare la dimensione sociale della digitalizzazione (impatto sull’occupazione dal punto di vista qualitativo e quantitativo, regolamentazione dell’economia collaborativa per evitare la concorrenza sleale);

accrescere l’alfabetizzazione digitale a tutti i livelli professionali; promuovere le competenze digitali a tutti i livelli d’istruzione (dalla scuola di ogni ordine e grado fino all’apprendimento permanente);

definire nuove norme per la tassazione dell’economia digitale;

garantire la sicurezza informatica.

6.9.

Un’energia sicura, sufficiente e sostenibile rappresenta una delle massime priorità sia per l’industria che per la società. Le energie da fonti rinnovabili devono essere disponibili a un prezzo concorrenziale. Affinché ciò sia possibile, sarà necessario, tra l’altro, effettuare ingenti investimenti nelle reti intelligenti e nell’interconnettività, nonché in tecnologie innovative per lo stoccaggio dell’energia. Un impiego intelligente del carbonio contribuirà inoltre a riutilizzare il carbonio da rifiuti e l’idrogeno, attualmente destinati alla combustione, per generare energia e per produrre combustibili sintetici e prodotti chimici di sintesi. L’impiego di questi prodotti potrebbe accelerare in misura significativa la riduzione globale di CO2 in tutta una serie di settori legati tra loro: quelli siderurgico, chimico e dei trasporti. La direttiva sulle energie rinnovabili dovrebbe promuovere l’impiego di questi combustibili sintetici o di queste materie prime a destinazione energetica.

6.10.

Il CESE desidera sottolineare l’importanza dei piani d’azione per i settori e le catene del valore con un forte potenziale di crescita ai fini del potenziamento strutturale dei settori tradizionali, nonché ai fini del sostegno alla decarbonizzazione nelle industrie ad alta intensità energetica.

6.11.

La politica industriale dovrà prestare particolare attenzione al settore dei trasporti, che è alle soglie di un paradigma completamente nuovo, date le molte e dirompenti innovazioni tecnologiche che vi si stanno sviluppando simultaneamente: basti pensare ad esempio all’elettrificazione, alla digitalizzazione della produzione, alle automobili connesse e automatizzate e all’integrazione dei trasporti privati e di quelli collettivi.

Bruxelles, 17 ottobre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  È in fase di attuazione il piano per la cooperazione settoriale sulle competenze.

(2)  COM(2018) 97 final.

(3)  ftp://ftp.unibocconi.it/pub/RePEc/bcu/papers/iefewp69.pdf.

(4)  Risoluzione del Parlamento europeo, del 4 ottobre 2018, sul contributo dell’UE ad uno strumento vincolante delle Nazioni Unite sulle società transnazionali ed altre imprese con caratteristiche transnazionali con riferimento ai diritti umani (2018/2763 (RSP)] http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2018-0382+0+DOC+XML+V0//IT.

(5)  Da «lysis», termine greco che può significare «scioglimento» (donde ad esempio «elettrolisi»), ma anche «diffusione, distribuzione» (da cui appunto «infolisi» nel senso di «informazione diffusa»).

(6)  D. Acemoglu e P. Restrepo, Robots and jobs: evidence from US labour markets («Robotica e occupazione: indicazioni dal mercato del lavoro statunitense»), NBER Working Paper n. 23285, 2017. M. Arntz, T. Gregory e U. Zierahn, The risk of automation for jobs in OECD countries: a comparative analysis («Il rischio dell’automazione per l’occupazione nei paesi dell’OCSE: un’analisi comparativa»), OCSE, Social, Employment and Migration Working Papers n. 189, 2016.

(7)  Cfr. il parere SC/047, pubblicato sulla GU C 81 del 2.3.2018, pag. 44.

(8)  Come indicato nel parere del CESE SC/047, pubblicato nella GU C 81 del 2.3.2018, pag. 44.

(9)  Cfr. il parere esplorativo CESE SC/048 (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 57).