20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La nuova strategia dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza»

(parere d'iniziativa)

(2016/C 264/01)

Relatore:

José María ZUFIAUR NARVAIZA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

La nuova strategia dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza

(parere d'inziativa)

La sezione specializzata «Relazioni esterne», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 28 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato con 190 voti favorevoli, 10 voti contrari e 50 astensioni, il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE è d’accordo sulla necessità di rivedere l’attuale strategia europea in materia di sicurezza (SES), risalente al 2003, per rispondere ad un contesto internazionale sostanzialmente mutato. E, in quanto organismo consultivo delle istituzioni europee e rappresentante della società civile organizzata, giudica indispensabile essere consultato nel corso dell’elaborazione della nuova strategia e ritiene imprescindibile la partecipazione strutturata della società civile a questo processo. A giudizio del CESE, sarebbe necessario procedere a revisioni della strategia globale a scadenze più ravvicinate, ad esempio ogni cinque anni, facendole coincidere con i mandati del Parlamento e della Commissione.

1.2

L’UE è di fronte a crisi le cui caratteristiche principali sono la disgregazione sociale, l’interdipendenza, la debolezza istituzionale e la natura globale della disuguaglianza. Siamo entrati nell’epoca in cui l’esclusione sociale è un fattore essenziale di conflitti in rapporto ai quali l’intervento militare è manifestamente insufficiente.

1.3

La più vivace concorrenza geopolitica e geoeconomica e l’insistenza di alcune potenze nel suddividere il mondo in sfere di influenza ha ripercussioni sul modello strategico europeo, basato sulla cooperazione e la condizionalità positiva, e ne richiede un adeguamento.

1.4

A giudizio del CESE, in uno scenario internazionale tanto complesso, gli europei saranno in grado di difendere i loro valori e interessi solo grazie ad una maggiore unità di obiettivi, politiche e mezzi. La politica estera europea comincia all’interno dei nostri confini, giacché il legame tra le politiche interne ed esterne è inscindibile.

1.5

I cittadini europei volteranno le spalle all’attuale sentimento di disaffezione, si sentiranno europei e si coinvolgeranno nel progetto dell’UE solo se quest’ultima cambierà rotta e riprenderà il suo ruolo di promozione della libertà, della sicurezza e della prosperità, di difesa dell’uguaglianza, in Europa e nel resto del mondo.

1.6

È indispensabile aumentare l’integrazione politica europea per potere aspirare alla sovranità in un mondo globalizzato, per prendere decisioni che rilancino l’entusiasmo nei confronti del progetto europeo e di un contratto sociale rinnovato e per affrontare il deficit democratico.

1.7

La politica estera e la politica europea di sicurezza e di difesa, cui dovrebbero essere assegnate maggiori risorse, impongono l’uso di metodi di lavoro più flessibili e, allo stesso tempo, più coordinati, tra gli Stati membri e le istituzioni europee.

1.8

La difesa dell’UE richiede più coordinamento e pianificazione comune nella prospettiva di una futura Unione europea di difesa. A tal fine occorrono maggiori dotazioni finanziarie e lo sviluppo dell’industria europea della difesa, evitando doppioni di spesa attraverso strumenti di pooling e sharing (messa in comune e condivisione). Nello stesso spirito, sono fondamentali una migliore governance e una struttura istituzionale coerente, oltre alla promozione di grandi progetti comuni. Tutto ciò senza mettere in discussione le relazioni transatlantiche e la stretta cooperazione con le alleanze e gli organismi di cui fanno parte la maggioranza dei paesi dell’UE, come la NATO.

1.9

Per il CESE, le priorità della nuova strategia globale dovrebbero essere le seguenti: a) rafforzare il percorso di adesione dei paesi candidati, in particolare quelli dei Balcani occidentali e stabilizzare i paesi del vicinato orientale e meridionale anche rivolgendo l’attenzione ai flussi di migranti e di profughi; b) incoraggiare una politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) competente, efficace e visibile, sostenuta da una base industriale e tecnologica di difesa europea (EDITB) forte e meglio definita; c) potenziare un sistema multilaterale, efficace e riformato per la governance in materia di sicurezza, per la governance socioeconomica e per quella dello sviluppo e d) promuovere gli scambi commerciali e gli investimenti. E due dimensioni trasversali dovrebbero caratterizzare dette priorità: lo sviluppo sostenibile in generale e il potenziamento delle organizzazioni della società civile.

1.10

Con il suo tradizionale approccio di diplomazia preventiva e multilaterale, l’UE dovrebbe essere una potenza normativa e costruttiva in grado di promuovere una governance inclusiva puntando sulla partecipazione delle economie emergenti alle istituzioni multilaterali.

1.11

L’UE, nata per consolidare la pace in Europa, deve avere come obiettivo fondamentale, nella sua strategia globale, quello di mantenere e promuovere la pace. A tal fine sono fondamentali le politiche di sicurezza e di difesa, l’azione diplomatica e il ruolo della società civile.

1.12

In relazione alla crisi dei profughi, il CESE ritiene essenziale che l’UE si doti di una politica comune in materia di accoglienza, asilo e immigrazione attuata da un’istituzione europea; ciò garantirebbe che gli Stati membri facessero fronte alle loro responsabilità in maniera congiunta proporzionale e solidale.

1.13

A giudizio del CESE, andrebbero introdotte modifiche al sistema di concessione dei fondi europei per lo sviluppo, al fine di renderli più agili, versatili e adeguati alle circostanze specifiche.

1.14

Un insieme di mega-accordi commerciali in fase di negoziazione o di ratifica stanno sempre di più assumendo, al di là dei loro aspetti prettamente commerciali, un’innegabile dimensione geopolitica. Affrontare l’impatto geopolitico di questo tipo di accordi, rafforzare le relazioni multilaterali ed evitare tensioni tra blocchi commerciali saranno componenti essenziali della futura strategia globale dell’UE. Secondo il CESE è essenziale rispondere alle esigenze e alle preoccupazioni della società civile e dei cittadini in generale concernenti tali accordi, che hanno un’influenza sul nostro modo di vivere.

1.15

Il rafforzamento della società civile, della sua azione e dei suoi legami, paralleli all’attività diplomatica, è, secondo il CESE, essenziale per attuare la politica estera e di sicurezza dell’UE. Il Comitato è pertanto favorevole ad introdurre espressamente questo elemento tra gli obiettivi prioritari della PESC.

1.16

Si ritiene che il CESE, in quanto organo consultivo delle istituzioni europee e rappresentante di tutte le grandi organizzazioni della società civile organizzata negli Stati membri dell’UE, si trovi nella posizione migliore per essere una controparte essenziale delle istituzioni europee coinvolte nella politica estera e di sicurezza comune dell’UE e in particolare del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e della Commissione europea.

1.17

A tal fine, il CESE propone di esaminare insieme al SEAE tali priorità e di definire le modalità per ufficializzare la cooperazione tra i due organi.

1.18

Il CESE offre il suo aiuto al SEAE per produrre una relazione di valutazione sull’attuale partecipazione della società civile nell’ambito della politica estera europea.

1.19

Si propone di organizzare ogni anno nella sede del CESE, alla presenza dell’alto rappresentante, un’audizione sulla politica estera e di sicurezza, con la partecipazione delle principali organizzazioni europee della società civile.

2.   Un nuovo quadro per l’azione esterna dell’UE

2.1

Il CESE segnala che è necessaria una strategia che includa tutti gli strumenti di azione esterna dell’UE, compresi quelli per la sicurezza e la difesa, in un quadro generale coerente e aggiornato. Occorre pertanto modificare gli obiettivi, le priorità, gli interessi e gli strumenti dell’azione esterna dell’Unione, con una prospettiva globale che vada oltre gli approcci parziali e le resistenze nazionali e che garantisca un maggior coordinamento e una più ampia flessibilità (1)  (2).

2.2

Malgrado i notevoli progressi sociali compiuti in vari aspetti coperti dagli Obiettivi di sviluppo del millennio, altri fenomeni come il diminuito peso dell’Occidente, il consolidamento delle nuove potenze emergenti, l’impatto crescente delle tecnologie dell’informazione, le tendenze demografiche e una maggiore disuguaglianza lasciano intravedere un contesto geopolitico mondiale più complesso, in cui l’avanzata di un modello fondato su norme e valori propri di società aperte incontrerà maggiori resistenze. Questo accade nel quadro di alcune istituzioni multilaterali che non si sono adeguate a un nuovo mondo multipolare. Di conseguenza, si assiste ad un’erosione delle norme internazionali nel momento stesso in cui l’importanza della geo-politica viene ridimensionata. Con l’aumento del numero di soggetti presenti sulla scena, tra cui gli attori non statali e le imprese sovranazionali, e con la messa a punto di tecnologie rivoluzionarie, è difficile definire un’agenda strategica e gestire contesti complessi.

2.3

Attualmente, l’UE si trova a fronteggiare innanzitutto tre grandi sfide: gestire i flussi migratori, garantire la sicurezza del continente contro le minacce terroristiche e prevenire le aggressioni militari e gli attacchi informatici nei confronti degli Stati membri. Per il resto le sfide, le minacce e i rischi sono di natura essenzialmente globale: cambiamenti climatici, crisi finanziarie ed economiche, evasione fiscale, corruzione, criminalità organizzata, pandemie, crisi umanitarie ecc. L’Unione è chiamata a svolgere un ruolo in tutti questi ambiti. La politica estera e di sicurezza comune deve diventare uno strumento efficace, molto più efficace di quanto non sia adesso, per la difesa degli interessi dell’Unione e degli Stati membri, il che è a sua volta essenziale per coinvolgere maggiormente questi ultimi nella politica estera e di sicurezza dell’UE. Come dichiarato dall’alta rappresentante e vicepresidente «abbiamo bisogno di una strategia per tutelare in maniera proattiva i nostri interessi, tenendo conto del fatto che la promozione dei nostri valori è parte integrante dei nostri interessi».

2.4

Dall’adozione della strategia nel 2003 si sono verificati due cambiamenti strutturali:

2.4.1

Il primo dato da tenere presente è che siamo di fronte a crisi le cui caratteristiche principali sono la disgregazione sociale, l’interdipendenza, la debolezza istituzionale e la natura globale della disuguaglianza. Oggi la globalizzazione comporta vicinanza, visibilità e densità della popolazione. La disuguaglianza è diventata un parametro globale. Tale intensità dei contrasti sociali è alla base degli spostamenti di massa. E questo mondo, sempre più unificato ed estremamente disuguale, è fonte di instabilità e di insicurezza. Siamo entrati nell’epoca dei conflitti dettati dall’esclusione sociale, in rapporto ai quali l’intervento militare è manifestamente insufficiente. Si tratta di una questione sociale globale che è necessario individuare e che richiede una risposta, come è avvenuto nell’Ottocento e nel Novecento negli Stati nazionali d’Europa e, a livello internazionale, con la pionieristica Dichiarazione di Filadelfia del 1944. Tutto questo richiederà politiche di regolamentazione, solidarietà e cooperazione.

2.4.2

Il secondo aspetto da considerare è che la concorrenza geopolitica sta di nuovo assumendo un peso maggiore, e non solo nei paesi del vicinato europeo. La nostra ubicazione geografica ci condiziona. I conflitti in Ucraina, Siria, Iraq, Libia e nel Sahel, per esempio, ci toccano direttamente sotto l’aspetto commerciale, del terrorismo jihadista, dell’approvvigionamento energetico o dei movimenti di profughi o immigrati. Tutto ciò ha un impatto sul modello strategico europeo, basato sulla cooperazione e sulla condizionalità positiva.

2.4.3

È ancora valido quanto si afferma nella strategia attualmente in vigore, vale a dire che «la miglior protezione della nostra sicurezza è un mondo di stati democratici ben amministrati». La strategia ha tuttavia messo in risalto una seria di lacune: 1) questa concezione in genere non ha dato i risultati sperati, se si escludono taluni casi, soprattutto legati a processi di adesione all’UE; 2) esistono altre narrazioni, a partire da letture specifiche ispirate dalla religione, come avviene per l’autonominatosi Stato islamico, o da un certo nazionalismo autoritario, come nel caso di Russia, Cina (grandi potenze che hanno un influsso diretto sul vicinato allargato dell’UE), in cui la concezione geopolitica si basa sulle zone d’influenza; 3) spesso non si è tenuto conto delle differenze tra i paesi con cui l’UE ha cercato di istituire partenariati; 4) spesso si è registrata un’incoerenza tra il discorso dell’UE e le politiche pratiche attuate; 5) non si è tenuto sufficientemente conto del fatto che la democrazia e lo Stato di diritto non si impongono dall’esterno, ma devono germogliare dall’interno.

2.5

Mentre difende i suoi principi e valori universali, l’Unione europea è chiamata ad adeguare la propria strategia in modo da poterli promuovere in modo più efficace attraverso quello che il SEAE ha chiamato «idealismo pragmatico».

3.   La politica estera comincia dentro i nostri confini

3.1

Tutti sono d’accordo sul fatto che la politica estera sia un’estensione della politica interna. È per tale motivo che, per essere efficaci, devono rispettare gli stessi obiettivi, essere integrate, coordinate e non dispersive nei loro aspetti centrali e comuni. Secondo il CESE i due pilastri principali di una strategia completa per la politica estera dell’UE si costruiscono al suo interno.

3.1.1

Il primo di tali pilastri è l’elemento fondamentale che rende attraente l’UE agli occhi del mondo: il suo modello di vita, basato sulla libertà, i Diritti Umani e la coesione sociale di tutta la sua popolazione. Non sembra realistico pensare a una politica estera e di sicurezza più strutturata, comune ed efficace dell’UE senza invertire la tendenza all’aumento delle disuguaglianze economiche e sociali tra i suoi membri e all’indebolimento del suo modello sociale, senza contrastare i sintomi di mancanza di solidarietà e di sfiducia, il ripiegarsi negli spazi nazionali, i problemi che si incontrano per prendere le decisioni comuni, il crescente distacco dei cittadini e il successo dei movimenti populisti, xenofobici ed eurofobici. È indispensabile potenziare l’integrazione europea, probabilmente mediante il ricorso alle cooperazioni rafforzate previste dai Trattati, avendo per obiettivo la sovranità in un mondo globalizzato, per prendere decisioni in grado di rilanciare l’entusiasmo per il progetto europeo e per un contratto sociale rinnovato, nonché per stabilire un’equivalenza tra processo decisionale e democrazia.

3.1.2

Il secondo pilastro fa riferimento a una maggiore integrazione europea e all’adozione di politiche e strumenti di azione comuni, per esempio nel campo dei flussi migratori, dell’approvvigionamento energetico, dei cambiamenti climatici, del terrorismo internazionale, della sicurezza alimentare, della politica commerciale, della lotta alla criminalità organizzata, di un efficace programma europeo di investimenti e della creazione di posti di lavoro, di una dimensione sociale europea o del completamento del mercato interno. I cittadini europei volteranno le spalle all’attuale sentimento di disaffezione, si sentiranno europei e si coinvolgeranno nel progetto dell’UE solo se quest’ultima cambierà rotta e riprenderà il suo ruolo di promozione della libertà, della sicurezza e della prosperità e di difesa dell’uguaglianza, in Europa e nel mondo.

3.2

Secondo il CESE, il completamento del mercato unico europeo, che comprende la politica industriale, il sistema finanziario, la politica delle telecomunicazioni e dei trasporti, le tecnologie digitali e le industrie di difesa, è una priorità per l’UE. Allo stesso modo, la politica estera dovrebbe affrontare un numero crescente di preoccupazioni connesse ad altre politiche dell’UE, tra cui la politica sociale, ambientale, energetica, digitale, dei trasporti, economica e industriale. Occorre inoltre definire una visione a lungo termine per l’UE in cui la politica economica estera sia un pilastro centrale nella promozione del commercio e degli investimenti. Infine, è estremamente urgente disporre di una politica energetica comune e anche di una politica comune in materia di migrazione e asilo.

3.3

Dinanzi al nuovo scenario geostrategico mondiale, l’UE non può fare altro che sviluppare le proprie capacità nell’ambito della sicurezza e della difesa. Ciò richiede inevitabilmente una politica estera più integrata (i singoli Stati membri sono sempre meno importanti sul piano internazionale e quindi agire di concerto rappresenta un vantaggio per tutti) e comporta che si attribuisca più spazio alla politica europea di difesa. Tutto questo, partendo da una concezione della sicurezza e della difesa molto più ampia rispetto all’uso della forza ma anche sottolineando che la politica di difesa deve essere utilizzata in via preventiva, che ha una sua funzione dissuasiva, ma che rappresenta una risorsa cui ricorrere in ultima istanza, quando gli interessi vitali e la responsabilità di proteggere non possono essere garantiti in altro modo. Tutto questo richiede maggiori risorse e una loro migliore utilizzazione. Nonostante la presenza di 28 strutture militari diverse, l’UE spende il 40 % di quanto spendono gli Stati uniti in materia di difesa nazionale. A questo andrebbero aggiunti importanti doppioni e uno scarso sviluppo dell’industria della difesa. Ciò esige una maggiore dotazione finanziaria e strumenti comuni di programmazione e controllo. I governi e i cittadini dell’UE si devono rendere conto che sicurezza, prosperità e libertà sono inseparabili. Una maggiore indipendenza strategica dell’UE nel settore della difesa non deve tuttavia essere né incompatibile né in opposizione alle relazioni transatlantiche e deve comportare rapporti di cooperazione con le alleanze e con gli organismi di cui la maggior parte dei paesi dell’UE fa parte, in particolare la NATO, che continua ad essere il fondamento della sua difesa collettiva.

3.4

La politica europea di difesa dovrebbe concentrarsi su due ambiti fondamentali: 1) la geopolitica attuale impone che l’UE, come soggetto che fornisce sicurezza fuori delle sue frontiere, rivolga la sua attenzione al vicinato allargato, congiuntamente al sostegno ai diritti umani e al contributo allo sviluppo dei paesi vicini; 2) contribuire alla libertà di accesso ai beni pubblici mondiali e a un ordine internazionale basato su norme.

3.5

L’industria della difesa dell’UE deve svolgere un ruolo di rilievo nel raggiungimento di un’autonomia strategica per l’Unione europea. La sua competitività è un valore che va ben oltre l’interesse del settore privato. La frammentazione dell’industria della difesa deve essere superata: il successo di questo processo è strettamente legato all’applicazione di alcuni strumenti chiave, quali l’avvio di progetti di collaborazione, lo stanziamento di fondi adeguati per la prossima Azione preparatoria (3) e la creazione di un’apposita linea di bilancio nel prossimo quadro finanziario pluriennale.

3.6

L’idea che la stabilità del nostro «vicinato reale», vale a dire i paesi confinanti con l’UE e i paesi limitrofi a questi ultimi, sia indispensabile per la nostra propria stabilità si applica perfettamente alla minaccia terrorista proveniente dal sedicente Stato islamico (IS). Questo significa, per esempio, che una soluzione politica alla guerra in Siria è una responsabilità che riguarda direttamente l’UE, in quanto implica la necessità di agire su una delle cause del problema. Questo comporta altresì l’esigenza di migliorare le funzioni di coordinamento in materia di antiterrorismo e di intelligence. Intensificare lo scambio d’informazioni tra gli Stati membri dovrebbe essere una misura assolutamente imprescindibile, e ciò comprende anche la creazione di un servizio europeo di intelligence. È inoltre necessario definire una strategia globale antiterrorista che analizzi le cause del fenomeno, evitando uno scontro tra confessioni religiose e promuovendo invece la cooperazione tra comunità caratterizzate da fedi diverse nella lotta contro il fanatismo terrorista. È particolarmente importante sostenere il mondo arabo-islamico (la prima vittima degli attacchi del cosiddetto Stato islamico) affinché reagisca a questo fenomeno che lo minaccia al suo interno. Allo stesso modo, una strategia europea contro il terrorismo dovrebbe prevedere azioni concernenti la vendita e il traffico di armi, o ancora le fonti di finanziamento. Le relazioni tra la nostra società civile e quella del vicinato allargato possono svolgere un ruolo positivo in tal senso.

3.7

Sarebbe opportuno rendere l’azione esterna più flessibile. Un maggior grado di flessibilità non deve portare a una frammentazione, ma deve essere conseguito avvalendosi pienamente degli strumenti previsti dal TUE e dal TFUE. È dunque opportuno accrescere l’astensione costruttiva degli Stati membri all’interno del Consiglio nei settori della PESC e della PSDC. In tale contesto, per quanto concerne il rafforzamento della sicurezza internazionale, il CESE desidera fare nuovamente riferimento alla necessità di salvaguardare determinati valori di politica estera, in particolare il rispetto della Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, quando nel quadro degli strumenti esistenti, non si possa trovare una soluzione soddisfacente, si dovranno istituire gruppi ad hoc, in cui sia presente l’alto rappresentante o, in sua assenza, altri organi delle istituzioni europee, affinché il principio dell’unanimità non paralizzi le possibilità dell’Unione nell’ambito della politica estera. La rete della diplomazia verde (RDV), inizialmente creata per promuovere l’integrazione degli obiettivi ambientali nelle relazioni esterne dell’UE e che ha svolto un ruolo importante nel mobilitare e coordinare le azioni diplomatiche dell’UE in preparazione della COP21, può fungere da modello per altre reti.

3.8

L’UE non dovrebbe aspettare la prossima crisi per dotarsi di maggiori risorse nell’ambito della politica estera. Le risorse devono essere adeguate agli obiettivi e non presentare variazioni sostanziali a seconda delle circostanze. Grazie ad un’adeguata programmazione si dovrebbero individuare i settori in cui l’Unione non dispone di mezzi sufficienti. In tal modo si eviterebbe l’azione di tipo reattivo che, di fronte a diverse crisi, ha caratterizzato l’azione dell’UE negli ultimi anni. È necessario aumentare il bilancio dell’UE per l’azione esterna, in particolare per quanto attiene al settore umanitario, alle migrazioni, allo sviluppo, alla istruzione, alla lotta contro il terrorismo, alla diplomazia e al rafforzamento della società civile organizzata.

4.   Ripensare il ruolo dell’UE sulla scena mondiale

4.1

Il CESE ritiene che la nuova strategia implichi la necessità di riesaminare l’analisi del contesto internazionale effettuata dall’UE e il ruolo che essa intende svolgervi in futuro. È essenziale trovare nuove narrazioni, basate sul coinvolgimento attivo nell’uguaglianza tra i cittadini in termini di sicurezza, libertà e prosperità, ed è importante sottolineare i punti di forza dell’UE. Tra questi figurano il fatto di essere il più grande mercato unico al mondo, una politica commerciale attiva, la politica in materia di cooperazione e di aiuti umanitari con maggiore disponibilità di risorse al mondo, un modello di convivenza basato sul rispetto dello Stato di diritto e dei principi democratici, un modello sociale fondato sulla coesione economica e sociale, la protezione di un modello di sviluppo sostenibile basato sulla lotta contro le disuguaglianze e la protezione dell’ambiente, compresi obiettivi ambiziosi in materia di politica climatica.

4.2

La mancanza di coesione interna e di volontà politica ha tradizionalmente limitato la funzione dell’UE nel mondo. L’Unione europea non ha l’ambizione di essere una superpotenza ma desidera proiettare la sua influenza in modo più efficiente. Deve pertanto concentrarsi sugli ambiti in cui il suo intervento apporta un valore aggiunto e dove può avere un impatto maggiore, in particolare nelle regioni limitrofe e nel quadro di istituzioni internazionali, come ad esempio le Nazioni Unite, l’FMI, la Banca mondiale o il G20, dove il coordinamento tra gli Stati membri è carente, cosa che limita la sua capacità d’influenza. A questo proposito, il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, formulata nell’ottobre 2015, relativa a una rappresentanza unificata della zona euro in seno all’FMI e in altri organismi internazionali.

4.3

L’UE deve portare avanti la sua tradizionale diplomazia preventiva e multilaterale ed aspirare a diventare una potenza normativa e costruttiva. La difesa di un ordine globale aperto e basato sulle regole costituisce un lineamento essenziale dell’identità europea a livello internazionale. In quanto importante potenza commerciale, l’UE beneficia di un mondo interconnesso sia nel settore dell’energia, sia in quello finanziario, del ciberspazio o delle rotte marittime (circa il 90 % del commercio estero dell’UE si effettua via mare). La sicurezza nucleare e la sicurezza energetica devono infine restare al centro dell’attenzione.

4.4

L’Unione deve inoltre proseguire la cooperazione con i vari processi di integrazione regionale come l’ECOWAS, l’ASEAN o il Mercosur.

4.5

L’UE deve rafforzare una governance democratica e inclusiva, promuovendo la partecipazione delle economie emergenti alle istituzioni multilaterali al fine di allentare le tensioni in modo pacifico e scoraggiare la creazione di meccanismi di governance alternativi oppure ostili a quelli esistenti.

4.6

L’UE deve mantenere i propri valori e principi, l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani, la lotta contro la pena di morte e la violenza contro le donne e le bambine, la tutela dei diritti delle persone con identità sessuali diverse (LGBTI). L’Unione deve così fondare la propria politica estera e di sicurezza sul modello sociale che la caratterizza e che è alla base della sua sicurezza, della sua libertà e della sua prosperità.

5.   Un maggior coinvolgimento in un vicinato allargato

5.1

L’elaborazione in corso della Strategia Globale dovrebbe rispecchiare in modo chiaro l’importanza del vicinato orientale e di quello meridionale dell’Europa per la sicurezza e la prosperità dell’Europa stessa e dovrebbe consentire all’UE di avere un maggiore impatto e una maggiore influenza sugli sviluppi decisivi in queste aree, reagendo ai flussi di migranti e di profughi e regolandoli. E due dimensioni trasversali dovrebbero caratterizzare dette priorità: lo sviluppo sostenibile e il potenziamento delle organizzazioni della società civile (4)  (5).

5.2

Il vicinato allargato o strategico (dal Sahel fino al Golfo e dall’Asia centrale fino all’Artico) è l’area più importante non soltanto per l’azione esterna europea, ma anche per la dimensione interna degli Stati membri. Questo spazio è in preda attualmente a una profonda disgregazione sociale e istituzionale causata da molteplici fattori quali conflitti armati, movimenti di popolazione forzati, terrorismo internazionale, collasso delle strutture statali, corruzione, criminalità organizzata, regressioni verso forme di governo autoritarie come nel caso della Turchia o l’atteggiamento assertivo di potenze come la Russia nonché le aggressioni militari o ibride. Questo comporta importanti sfide strutturali a lungo termine e un forte impatto sull’Unione.

5.3

Di fronte a questa realtà scoraggiante, l’UE deve assumersi una maggiore responsabilità per migliorare la situazione economica, sociale e di sicurezza del suo vicinato. L’UE non deve rinunciare alla difesa della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani e sociali fondamentali (tra cui la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva) nel suo vicinato, ragion per cui è fondamentale sostenere la società civile locale, incluse le parti sociali, e salvaguardarne l’indipendenza.

5.4

Il CESE accoglie con favore la revisione della politica europea di vicinato e il fatto che sia stato riconosciuto il collegamento tra l’instabilità, la povertà, la disuguaglianza e la mancanza di opportunità, elementi che possono rendere i cittadini più vulnerabili alla radicalizzazione. A questo proposito l’azione esterna può creare sinergie quando si tratta di unire sicurezza, sviluppo e commercio. Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale mettere fine alle violazioni del diritto di associazione e di libera organizzazione dei datori di lavoro, dei lavoratori o di organizzazioni del terzo settore. È importante anche potenziare gli strumenti di allarme rapido per scongiurare possibili crisi future.

5.5

Il CESE chiede di mantenere un approccio rigoroso, ma non restrittivo, all’ampliamento e alla liberalizzazione dei visti, subordinandoli sempre all’attuazione di riforme che possano essere monitorate.

5.6

Strettamente collegato al vicinato UE è il continente africano, che, secondo il CESE, dovrebbe essere la seconda area geografica prioritaria della politica estera dell’UE. Non solo perché da lì provengono gran parte delle sfide, ma anche per le possibilità di alleanze che possono contribuire allo sviluppo economico e alla governance globale (6). L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici offrono chiare opportunità di instaurare e sviluppare partenariati con l’Africa.

5.7

In termini geopolitici, la stabilità del nostro vicinato allargato implica anche l’esigenza di occuparsi delle grandi potenze che più incidono su tale vicinato, in particolare la Russia e la Cina. Il rinnovato atteggiamento assertivo russo e la politica cinese «One Belt, One Road» (OBOR - investimenti massicci nelle infrastrutture di connettività) rendono più che mai necessario che l’UE agisca con una sola voce, e non con 28 voci diverse, nei confronti di questi due potenze.

5.8

In relazione alla crisi dei profughi, il CESE ritiene essenziale che l’UE si doti di una politica comune in materia di asilo e accoglienza attuata da un’istituzione europea; ciò garantirebbe che gli Stati membri facessero fronte alle loro responsabilità in maniera congiunta proporzionale e solidale. Il rafforzamento dei canali della migrazione regolare è, a sua volta, di vitale importanza sia per rispondere alle richieste di occupazione e di accoglienza, sia per soddisfare il bisogno di migranti dell’UE causato dal declino demografico dell’Europa, sia infine per prevenire la tratta di esseri umani. È inoltre indispensabile assicurare il rispetto del diritto internazionale e dell’UE, dare una risposta europea alla crisi umanitaria che colpisce le persone che già si trovano sul territorio dell’Unione, aumentare le risorse destinate alla protezione delle frontiere comuni e alle operazioni di soccorso e di salvataggio in mare, nonché creare una Guardia di frontiera e costiera europea come proposto dalla Commissione europea.

6.   Promuovere la politica di sviluppo dell’UE

6.1

L’Unione europea dovrebbe allineare le politiche interne ed esterne agli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Nell’ambito della propria politica di sviluppo, l’UE deve fare particolare riferimento al programma d’azione di Addis Abeba. L’accordo sul clima siglato a Parigi ha dimostrato che il mondo si sta orientando in modo inesorabile verso un’economia verde, processo in cui l’UE svolge un ruolo di avanguardia.

6.2

Il CESE accoglie con favore le azioni volte a riorientare gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) ai paesi meno sviluppati (PMS), il finanziamento del «New Deal per gli Stati fragili», la valutazione strategica degli aiuti per l’uguaglianza di genere, l’aumento della dotazione per la tutela della biodiversità e gli impegni della BEI nella lotta contro i cambiamenti climatici nonché il sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo promesso nell’accordo di Parigi, pari a circa 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020.

6.3

La dimensione economica della politica estera e di sicurezza comune dell’UE deve essere rafforzata e non limitarsi al solo ambito commerciale. È inoltre necessario sostenere la formazione, l’innovazione e l’imprenditorialità in quanto la stabilizzazione dei paesi nostri vicini passa attraverso il loro sviluppo economico e sociale. Paesi come la Tunisia, il Libano o la Giordania, tra gli altri, dovrebbero beneficiare di un piano di sviluppo che permetta di rafforzare le loro economie. Assistere i paesi terzi nella loro transizione verso economie a basso tenore di carbonio, anche grazie a un trasferimento di tecnologie e a una cooperazione efficienti, comporta opportunità reciproche.

6.4

Il CESE ravvisa nei cambiamenti climatici uno dei fattori che contribuiscono alla migrazione causata dalla fragilità degli Stati, dall’insicurezza e dalla scarsità di risorse. L’UE deve sostenere i paesi in via di sviluppo, in particolare i più vulnerabili, e aiutarli a passare direttamente ad un’economia a basse emissioni di carbonio e ad accrescere la loro resilienza ai cambiamenti climatici.

6.5

Il CESE sottolinea che nonostante i vincoli di bilancio esistenti attualmente in molti Stati membri, l’obiettivo di destinare almeno lo 0,7 % del reddito nazionale lordo (RNL) agli aiuti pubblici allo sviluppo dovrebbe essere considerato una priorità. È inoltre necessario rafforzare la coerenza delle politiche per lo sviluppo (CPS) e promuovere il coordinamento tra gli Stati membri e le istituzioni dell’UE (7).

6.6

Quando si tratta di finanziare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), è di vitale importanza coinvolgere tutti i soggetti, compresi la società civile e gli enti di finanziamento allo sviluppo e, inoltre, includere maggiormente le parti sociali nella gestione dei progetti (8).

6.7

A giudizio del CESE, vanno introdotte modifiche al sistema di concessione dei fondi europei per lo sviluppo, al fine di renderli più agili, versatili e adeguati alle circostanze specifiche. In tale contesto, sarebbe necessario introdurre, fra l’altro, modalità come gli accordi quadro, le sovvenzioni di funzionamento, le sovvenzioni a cascata, le convenzioni pluriennali, i fondi per casi urgenti o l’attuazione della «cassetta degli attrezzi» (tool box) prodotta dal dialogo strutturato (9).

7.   Il nuovo contesto degli scambi commerciali e degli investimenti

7.1

Il CESE sostiene il libero scambio, uno dei pilastri dell’Unione europea. Al contempo, sottolinea la necessità di tener conto delle asimmetrie delle parti negoziali e di rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori e le norme ambientali. Continua inoltre a sostenere l’approccio multilaterale dell’OMC alla regolamentazione commerciale. La partecipazione, a carattere consultivo ed effettiva, delle organizzazioni più rappresentative della società civile organizzata nell’ambito degli accordi deve essere, secondo il Comitato, seriamente ripensata (10).

7.2

I mega-accordi, come il TTP, il CETA, il TTIP, gli accordi di libero scambio con il Giappone e con l’India o l’RCEP (Partenariato economico globale regionale - Regional Comprehensive Economic Partnership) stanno acquisendo, al di là degli aspetti prettamente commerciali, un’innegabile dimensione geopolitica e suscitano un crescente interesse da parte della società civile, nella misura in cui concernono regole e norme con un impatto significativo sul suo modo di vita. Questo è particolarmente importante per le conseguenze che i meccanismi di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati e i comitati di cooperazione legislativa hanno sul processo decisionale democratico.

7.3

La sfida per l’UE in questo settore è rappresentata non solo dal dover offrire prospettive economiche e geostrategiche, ma anche dal garantire le norme e gli standard europei, i servizi pubblici e la salvaguardia dei settori chiave della regolamentazione politica come le norme sanitarie, le norme sul lavoro e sulla protezione dell’ambiente (11). Il CESE e anche la società civile difendono l’idea che la tutela degli investitori debba essere assicurata dai tribunali ordinari o, in alternativa, da una corte internazionale indipendente creata dall’ONU. Il CESE è anche favorevole alla partecipazione effettiva della società civile organizzata agli accordi, accompagnata da una politica di trasparenza delle informazioni, in tempo reale, sia durante i negoziati sia per quanto concerne le decisioni che incidono sulla società civile (12).

8.   Il rafforzamento della società civile come elemento fondamentale della politica estera e di sicurezza dell’UE

8.1

A parere del CESE, la società civile organizzata è uno degli elementi costitutivi della democrazia. Una società civile libera che gode di diritti, con parti sociali forti, con una partecipazione effettiva alle decisioni e un riconoscimento a livello istituzionale è essenziale per assicurare e consolidare la democrazia, evitare derive autoritarie, favorire lo sviluppo economico e la costruzione della pace, promuovere la coesione sociale, lottare per l’uguaglianza nei suoi diversi aspetti, promuovere e rendere possibile un modello di sviluppo sostenibile e arricchire le istituzioni democratiche. Essa è anche la chiave per rafforzare i legami con le società civili di altri paesi e di altre regioni del mondo, attraverso un’azione parallela alla diplomazia che risulta essenziale per mettere in comune storie, culture, convinzioni e obiettivi globali.

8.2

Il CESE propone pertanto d’introdurre espressamente questo elemento tra gli obiettivi prioritari della PESC. Ai fini di tale rafforzamento possono essere utilizzati diversi strumenti, come: i fondi per la cooperazione e lo sviluppo dei Diritti Umani; l’azione e le richieste diplomatiche; la partecipazione reale e concreta della società civile, che deve essere consultata e non semplicemente «ascoltata», agli accordi commerciali o di associazione, di cui deve essere parte integrante con responsabilità su tutte le materie oggetto di negoziato; il potenziamento della politica volta a far sì che le imprese europee presenti in altri paesi o regioni rispettino le convenzioni fondamentali dell’OIL e portino avanti le politiche di responsabilità sociale delle imprese sostenute dall’UE.

8.3

A tal fine, il CESE ritiene che la PESC debba coinvolgere la società civile organizzata europea nella definizione e nell’attuazione dei suoi obiettivi e delle sue priorità. Il CESE sottolinea che il ruolo della società civile potrebbe essere migliorato:

rafforzando la società civile nei paesi del vicinato, con l’intento di sostenere i processi di stabilizzazione e di democratizzazione;

migliorando l’individuazione di controparti sulla base di criteri compatibili con il modello sociale europeo, più precisamente riconoscendo le parti sociali su un piede di parità;

promuovendo organismi di partecipazione della società civile, come i CES;

rimediando alla carenza di dialogo civile e sociale nei paesi della PEV;

sostenendo lo sviluppo delle organizzazioni settoriali di ambito regionale come quelle già esistenti in settori quali l’economia sociale, le organizzazioni imprenditoriali e i sindacati, le organizzazioni professionali agricole, promuovendo l’imprenditoria femminile, i Diritti Umani ecc.

sottoponendo l’azione esterna dell’UE ad un maggiore controllo e monitoraggio da parte della società civile europea;

rendendo effettiva la partecipazione della società civile agli accordi commerciali, di associazione e di partenariato;

sostenendo la creazione di un contesto favorevole alla partecipazione alle politiche di sviluppo dell’UE da parte delle organizzazioni della società civile di paesi terzi;

coinvolgendo la società civile nella politica in materia di asilo e di accoglienza e nella lotta contro le resistenze xenofobiche;

articolando la partecipazione dei diversi soggetti della società civile (imprenditori, sindacati, organizzazioni socioeconomiche del terzo settore e ONG) in modo più strutturato e meno assembleare.

9.   Il ruolo del CESE

9.1

Si ritiene che il CESE, in quanto organo consultivo delle istituzioni europee e rappresentante di tutte le principali organizzazioni della società civile negli Stati membri dell’UE, si trovi nella posizione migliore per essere una controparte essenziale del SEAE e della Commissione europea riguardo al rafforzamento e all’ulteriore sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune europea efficace. Questa affermazione è suffragata dalla sua composizione tripartita, dalla sua visione globale, dalla sua vasta esperienza e dalle sue relazioni con le società civili di altre parti del mondo, basate principalmente su mandati ottenuti in ottemperanza ad accordi internazionali di diverso tipo firmati dall’UE: accordi di associazione, partenariati strategici, accordi di libero scambio e accordi con paesi candidati all’adesione (13).

9.1.1

Si propone di organizzare ogni anno nella sede del CESE, alla presenza dell’alto rappresentante, un’audizione sulla politica estera e di sicurezza, con la partecipazione delle principali organizzazioni europee della società civile.

9.2

Il CESE ritiene che sarebbe molto utile creare una relazione strategica con il SEAE, basata sulla convinzione, condivisa da entrambe le parti, dell’importanza della società civile nella politica estera dell’UE, in particolare per quanto concerne la realizzazione di obiettivi prioritari specifici. A tal fine, il CESE propone di esaminare insieme al SEAE tali priorità e di definire le modalità per ufficializzare la cooperazione tra i due organi.

9.3

Il CESE può aiutare il SEAE a valutare l’attuale partecipazione della società civile nell’ambito della politica estera europea.

9.4

Nel settore della politica estera e di sicurezza comune, il CESE intensificherà la sua cooperazione con organizzazioni delle Nazioni Unite come l’OIL o la FAO.

Bruxelles, 28 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. parere del CESE sul tema La dimensione esterna della strategia di Lisbona rinnovata (GU C 128 del 18.5.2010, pag. 41).

(2)  Cfr. parere del CESE sul tema La nuova politica estera e di sicurezza dell’UE e il ruolo della società civile (GU C 24 del 28.1.2012, pag. 56).

(3)  La Commissione europea, in collaborazione con l’Agenzia europea per la difesa prepara un’azione preparatoria per la ricerca in materia di PESC nel periodo 2017-2019.

(4)  REX/458 — Parere del CESE sul tema Riesame della politica europea di vicinato, adottato il 25 maggio 2016 (non ancora pubblicato sulla GU).

(5)  Cfr. parere del CESE sul tema La strategia di allargamento dell’UE (GU C 133 del 14.4.2016, pag. 31).

(6)  REX/455 — Parere del CESE sul tema Il futuro delle relazioni dell’UE con il gruppo degli Stati ACP, adottato il 25 maggio 2016 (non ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale).

(7)  Cfr. parere del CESE sul tema La politica di sviluppo dell’Unione europea — Il consenso europeo (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 79).

(8)  Cfr. parere del CESE sul tema Finanziamento dello sviluppo — la posizione della società civile (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 49).

(9)  Cfr. parere del CESE sul tema Partecipazione della società civile alle politiche di sviluppo dell’UE (GU C 181 del 21.6.2012, pag. 28).

(10)  Lettera del presidente Malosse al commissario Malmström del 18 giugno 2015 in cui trasmette la valutazione e le raccomandazioni riguardanti i gruppi consultivi degli accordi di associazione.

(11)  Parere del CESE sul tema Commercio per tutti. Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile. (Cfr. pag. 123 della Gazzetta ufficiale).

(12)  Cfr. parere del CESE sul tema Tutela degli investitori e risoluzione delle controversie investitore-Stato negli accordi commerciali e di investimento dell’UE con i paesi terzi (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 45).

(13)  Il CESE dispone attualmente di 23 strutture internazionali per il monitoraggio delle questioni internazionali.