52012DC0774

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO SULL’ESPERIENZA ACQUISITA NELL’APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 2003/4/CE SULL’ACCESSO DEL PUBBLICO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE /* COM/2012/0774 final */


RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO

SULL’ESPERIENZA ACQUISITA NELL’APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 2003/4/CE SULL’ACCESSO DEL PUBBLICO ALL’INFORMAZIONE AMBIENTALE

I. Introduzione

La Commissione ha preparato la presente relazione di valutazione al Parlamento europeo e al Consiglio a norma dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (“la direttiva”)[1] sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio[2]. La relazione si basa sull’esperienza acquisita dalla Commissione e dagli Stati membri nel corso di diversi anni di applicazione della direttiva. Come disposto dall’articolo 9, paragrafo 1, ogni Stato membro ha fornito una relazione sulle modalità di applicazione della direttiva.

Come disposto dall’articolo 9, paragrafo 2, la relazione tiene conto degli sviluppi delle tecnologie elettroniche. La presente analisi pertanto rientra nella Agenda digitale europea[3] e risponde all’obiettivo generale di “utilizzare in modo ottimale le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, indicato nella strategia Europa 2020[4].

La presente relazione si incentra sulle nuove disposizioni, quali le definizioni più ampie dei termini e la diffusione più attiva delle informazioni. Va considerata anche nel contesto dei recenti sviluppi politici quali la comunicazione sull’attuazione[5], nella quale la Commissione identifica l’accesso all’informazione come priorità fondamentale per migliorare l’attuazione della normativa ambientale e si impegna a valutare in che modo promuovere l’efficacia della direttiva.

II. Principali caratteristiche della direttiva

La direttiva precedente

La direttiva 90/313/CEE si basava sul presupposto che per affrontare nel modo migliore le questioni ambientali e in ultima analisi migliorare la protezione ambientale occorresse ottenere la partecipazione di tutti gli interessati, al livello pertinente. Per promuovere la consapevolezza e il coinvolgimento del pubblico, la direttiva prevedeva una serie di diritti di accesso alle informazioni in materia ambientale, definendo i termini e le condizioni fondamentali per consentirne l’esercizio. La relazione della Commissione sull’applicazione della precedente direttiva[6], pur concludendo che si erano ottenuti risultati positivi, ha identificato anche alcune carenze. La Commissione quindi ha deciso di sostituirla con una nuova direttiva.

Cambiamenti introdotti dalla direttiva

La direttiva si basa sull’esperienza acquisita nell’applicazione della direttiva precedente. Inoltre, all’epoca della sua redazione, l’Unione europea si stava preparando a ratificare la Convenzione UNECE sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (“Convenzione di Aarhus”)[7]. In tale contesto, la direttiva è stata allineata alle disposizioni generalmente di portata più ampia della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni. Inoltre, la direttiva ha tenuto conto degli sviluppi delle tecnologie di comunicazione elettroniche, in particolare per quanto concerne il formato nel quale fornire le informazioni. Inoltre, pone una maggiore enfasi sulla diffusione attiva delle informazioni e indica norme più dettagliate in ambiti rispetto ai quali la direttiva 90/313/CEE faceva ancora riferimento alla legge nazionale. I principali cambiamenti sono i seguenti:

-     una definizione più ampia di “informazione ambientale” che comprende una gamma più vasta di questioni relative all’ambiente;

-     una definizione più ampia di “autorità pubbliche” che comprende persone che svolgono funzioni di pubblica amministrazione;

-     disposizioni più dettagliate sulla forma nella quale dev’essere resa disponibile l’informazione, compreso un obbligo generale di fornire informazioni nel formato richiesto, nonché la possibilità di avvalersi di mezzi elettronici;

-     la riduzione a un mese del termine entro il quale rendere disponibili le informazioni richieste, da prorogare di un ulteriore mese se il volume e la complessità delle informazioni lo richiedono;

-     limitazioni dei motivi di rifiuto. Le richieste di informazioni si possono respingere solo laddove la loro divulgazione rechi pregiudizio a uno degli interessi elencati. Le eccezioni sono da interpretarsi in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione;

-     limitazioni dei motivi di rifiuto se la richiesta si riferisce a informazioni sulle emissioni nell’ambiente (“norma sulle emissioni”);

-     obblighi aggiuntivi a carico delle autorità nazionali in termini di raccolta e diffusione delle informazioni che vanno al di là dell’obbligo di divulgazione;

-     obblighi aggiuntivi a carico delle autorità nazionali per assistere il pubblico nel chiedere l’accesso all’informazione;

-     miglioramento delle procedure di riesame di atti o omissioni di autorità pubbliche, in particolare dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge.

III. Recepimento da parte degli Stati membri

Ai sensi dell’articolo 10, la direttiva doveva essere recepita nella legislazione nazionale entro il 14 febbraio 2005 (1° gennaio 2007 per Bulgaria e Romania). Tuttavia, è stato riscontrato un ritardo per la maggior parte degli Stati membri. La Commissione ha pertanto avviato la procedura d’infrazione e in seguito il ricorso dinanzi alla Corte di giustizia. Tre cause, nei confronti di Germania, Grecia e Spagna[8], sono state chiuse dopo che questi Stati membri hanno recepito la direttiva. In due casi, la Corte di giustizia ha stabilito che, non avendo Austria[9] e Irlanda[10] provveduto ad adottare entro il termine prescritto tutte le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative necessarie per il recepimento della direttiva, questi due paesi non avevano rispettato gli obblighi posti a loro carico dalla direttiva. Nel frattempo, tutti gli Stati membri hanno provveduto al recepimento[11].

IV. Procedura di revisione

Come primo passo nella procedura di revisione a norma dell’articolo 9, agli Stati membri è stato richiesto di redigere una relazione sull’esperienza acquisita nell’applicazione della direttiva. Come disposto dall’articolo 9, paragrafo 1, il 19 giugno 2007 la Commissione ha inviato agli Stati membri un documento di orientamento, chiedendo di presentare una descrizione generale delle misure prese per attuare la direttiva, di riferire in merito al loro impatto, di concentrarsi sui singoli articoli della direttiva e di fornire eventuali dati statistici.

La Commissione ha rilevato dei ritardi nella comunicazione delle relazioni nazionali. Alla scadenza indicata nella direttiva (14 agosto 2009) erano pervenuti meno della metà delle relazioni. Dopo ulteriori inviti a rispondere, nel dicembre 2009 la Commissione ha avviato 11 procedure d’infrazione. Alla metà di aprile 2010 erano pervenuti tutte le relazioni nazionali, che sono state tradotte entro la fine di luglio 2010[12], dopodiché è stata avviata la loro valutazione.

La Commissione ha acquisito esperienza anche nello svolgimento dei propri compiti, in particolare nella gestione delle denunce e nel monitoraggio della conformità. Petizioni e interrogazioni parlamentari hanno rappresentato un’altra preziosa fonte di informazioni per capire fino a che punto gli Stati membri stessero rispettando i rispettivi obblighi. La Corte di giustizia europea a sua volta si è espressa su diverse disposizioni.

V. Applicazione della direttiva

Questa è la prima valutazione dell’applicazione della direttiva. Come già accennato, la maggior parte degli Stati membri hanno tardato a recepirla. Alcuni hanno rilevato nelle rispettive relazioni nazionali che per questo motivo non erano in grado di valutarne pienamente l’impatto in quel momento. Di conseguenza, la loro esperienza non può essere considerata completamente conclusiva a questo stadio. Tuttavia, la Commissione desidera già trarre delle conclusioni e individuare eventuali aree che necessitano di ulteriore attenzione.

Alcuni Stati membri hanno recepito la direttiva in numerosi atti legislativi. Per questo motivo, i cittadini potrebbero avere delle difficoltà a rintracciare la legislazione applicabile quando intendono esercitare il proprio diritto di accesso.

In generale, gli Stati membri ritengono che la direttiva abbia avuto un impatto positivo sulla partecipazione della società civile. Sul versante negativo, gli oneri amministrativi sono una preoccupazione rilevante per molti.

Secondo il parere della Commissione, il livello di recepimento sembra soddisfacente. Tuttavia, si sono evidenziate una serie di difficoltà nel recepimento e nell’attuazione pratica, descritte qui di seguito.

Articolo 2 – Definizioni

a) “Informazione ambientale”

La definizione di “informazione ambientale” nella direttiva comprende informazioni in qualsiasi forma sullo stato dell’ambiente o sullo stato della salute e della sicurezza umana. È uguale alla definizione contenuta nella Convenzione di Aarhus. Una classificazione corretta è importante, poiché l’“informazione ambientale” rientra nelle disposizioni specifiche della direttiva, che tendono a fornire diritti di accesso alle informazioni amministrative generali più ampi rispetto a quelli esistenti.

La Commissione ha riscontrato solo alcuni casi isolati di recepimento non corretto, segnatamente incompleto o ambiguo, della definizione di “informazione ambientale” nelle legislazioni degli Stati membri e sta approfondendo la questione presso gli Stati membri interessati. Quanto all’applicazione della definizione, la Commissione è venuta a conoscenza, in particolare tramite denunce, di casi dove le autorità nazionali si sono dimostrate riluttanti nel classificare come “informazione ambientale” determinati documenti tecnici o settoriali.

La Corte di giustizia interpreta in senso ampio la definizione di “informazione ambientale” contenuta nell’articolo 2, paragrafo 1. Nella sentenza del 16 dicembre 2010 nella causa C‑266/09, Stichting Natuur en Milieu et al. contro College voor de toelating van gewasbeschermingsmiddelen en biociden, la Corte fa rientrare in questo termine una procedura per l’autorizzazione di un prodotto fitosanitario. Questa definizione ampia di “informazione ambientale” stabilisce un importante precedente per l’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, da parte degli Stati membri.

I tribunali o le autorità nazionali come il difensore civico hanno già dichiarato le proprie posizioni sulla definizione di “informazione ambientale” nelle rispettive leggi nazionali, attenendosi a quanto pare alla definizione ampia indicata dalla Corte. La Commissione sta verificando solo un numero limitato di interpretazioni apparentemente troppo ristrette da parte di autorità pubbliche.

b) “Autorità pubblica”

L’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva definisce le autorità pubbliche in modo ampio e funzionale, come fa la Convenzione di Aarhus. Il termine comprende organi che svolgono funzioni di pubblica amministrazione, aventi responsabilità o funzioni pubbliche o che forniscono servizi pubblici.

La stragrande maggioranza degli Stati membri hanno recepito il termine correttamente. Tuttavia, sono sorte alcune difficoltà nell’applicazione, in particolare nello stabilire se un certo tipo di organismo rientrasse nella definizione. Esempi di entità che singoli Stati membri hanno considerato “autorità pubbliche”, in alcuni casi attenendosi a decisioni di tribunali nazionali, comprendono aziende operanti nel campo della termogenerazione, dell’approvvigionamento idrico e dello smaltimento dei rifiuti, nonché fondazioni ambientali locali. Non si può rispondere in termini generali alla domanda se una data entità si possa considerare o meno una “autorità pubblica”, ma bisogna decidere caso per caso. La Commissione ha riscontrato che, nel complesso, gli Stati membri applicano correttamente la definizione ampia di “autorità pubblica” contenuta nell’articolo 2, paragrafo 2.

Il secondo comma dell’articolo 2, paragrafo 2, consente agli Stati membri di non comprendere nella definizione “gli organismi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio di competenze giurisdizionali o legislative”. Nella sentenza del 14 febbraio 2012 nella causa C-204/09 concernente una domanda di pronuncia pregiudiziale del Bundesverwaltungs­gericht (Germania), Flachglas Torgau GmbH contro Repubblica federale di Germania, la Corte ha interpretato in senso ampio la deroga per l’esercizio di funzioni legislative, stabilendo che i ministeri che partecipano al procedimento legislativo si possono considerare esenti per la durata di tale procedimento.

Articolo 3 – Accesso all’informazione ambientale su richiesta

a) Termini

L’articolo 3, paragrafo 2, stabilisce che, tenuto conto di un eventuale termine specificato dal richiedente, l’informazione ambientale dev’essere messa a disposizione quanto prima possibile, o al più tardi entro un mese dal ricevimento della richiesta. Se l’informazione è voluminosa e complessa, il termine può essere prorogato di un mese, fornendo le motivazioni del caso.

I termini per dare seguito alle richieste di informazioni ambientali si applicano diversamente nei vari Stati membri. Alcuni stabiliscono scadenze iniziali anche più brevi (5, 14, 15 o 20 giorni lavorativi), in linea con la direttiva.

Non tutti gli Stati membri hanno attuato il duplice requisito della possibilità per il richiedente di specificare un termine e dell’obbligo di fornire l’informazione quanto prima possibile. Inoltre, nei casi in cui il termine viene prorogato, la legislazione nazionale non sempre impone che il richiedente debba esserne informato e che se ne debbano fornire le motivazioni. Tuttavia, si tratta di casi limitati, poiché la stragrande maggioranza degli Stati membri hanno recepito correttamente questi requisiti.

Talvolta si sono incontrate difficoltà a fornire puntualmente le informazioni richieste, ad esempio nei casi in cui le informazioni erano distribuite in diversi dipartimenti o in presenza di grandi volumi di richieste da gestire contemporaneamente. Anche la necessità di consultare terzi interessati dalla richiesta ha reso difficile rispettare i termini.

Alcuni Stati membri consentono di non rispettare i termini in casi di forza maggiore o in circostanze particolari. Queste eccezioni sono più ampie di quelle previste dalla direttiva e possono dare origine a problemi di interpretazione. La Commissione sta esaminando questi casi di non conformità.

In generale, il termine più breve per rispondere alle richieste di informazioni ambientali introdotto dalla direttiva sembra ragionevole. Le preoccupazioni espresse da alcuni Stati membri su come rispettare i termini stabiliti nella direttiva contrastano con le scadenze addirittura più brevi stabilite da altri. Rendendo ampiamente disponibili le informazioni su internet si dovrebbe contribuire ad alleggerire i compiti di informazione delle autorità pubbliche.

b) Modalità pratiche

L’articolo 3, paragrafo 5, elenca talune modalità pratiche che gli Stati membri sono tenuti ad adottare per facilitare l’accesso del pubblico all’informazione ambientale (ad esempio assistenza o istituzione di registi o elenchi). Si tratta di un valido corollario affinché il pubblico possa esercitare con efficacia i propri diritti a norma della direttiva. Tuttavia, alcuni Stati membri non le hanno ancora attuate completamente. In particolare, occorre dedicare maggiore attenzione alla lettera b), che richiede agli Stati membri di garantire che gli elenchi delle autorità pubbliche siano accessibili al pubblico. Le migliori prassi per l’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 5, consistono nel designare addetti all’informazione e punti di informazione, fornire informazioni sulle responsabilità di singole autorità pubbliche, pubblicare registri delle informazioni ambientali disponibili e istituire reti di informazione e banche dati accessibili al pubblico. Gli Stati membri forniscono le informazioni richieste a norma dell’articolo 3, paragrafo 5, in primo luogo tramite internet con l’aggiunta, in alcuni casi, di opuscoli specifici. In questo modo si soddisfano i requisiti.

Articolo 4 – Eccezioni

L’elenco di eccezioni contenuto nell’articolo 4 della direttiva rispecchia l’articolo 4, paragrafi da 3 a 5, della Convenzione di Aarhus. In parte, prevede diritti di accesso addirittura migliori rispetto alla Convenzione[13].

L’articolo 4 è una delle disposizioni principali della direttiva. Contiene un elenco esaustivo di tutti i casi in cui gli Stati membri possono respingere una richiesta di informazione ambientale. La divulgazione è la regola generale, salvo quando si applichi una specifica eccezione. Gli Stati membri non possono aggiungere eccezioni all’elenco. Tuttavia, non sono tenuti a recepire ogni possibile eccezione nella legislazione nazionale, in linea con il principio generale che gli Stati membri sono liberi di fornire un accesso più ampio rispetto a quanto richiesto dalla direttiva. Ad esempio, in alcuni casi non sono state recepite le eccezioni per richieste manifestamente infondate o formulate in termini troppo generici, consentendo pertanto un accesso più ampio all’informazione ambientale.

L’attuazione dell’articolo 4 non è ancora completamente soddisfacente in tutti gli Stati membri. Gli ambiti problematici comprendono quanto segue:

Aggiunta illegale all’elenco di eccezioni

Alcune legislazioni nazionali hanno aggiunto indebitamente altri motivi di rifiuto, oltre a quelli previsti dalla direttiva. Uno Stato membro esenta dall’obbligo di divulgazione le informazioni classificate precedentemente come riservate. Un altro respinge sistematicamente le richieste in merito a particolari procedimenti che potrebbero contenere informazioni ambientali, se il richiedente non vi ha partecipato. Questi sono tutti esempi di recepimento e/o applicazione non conformi della direttiva e, di conseguenza, la Commissione se ne sta occupando.

Definizioni

Gli Stati membri ritengono che determinati termini, benché utilizzati nella precedente direttiva, siano ancora di difficile interpretazione. Alcuni esempi sono “manifestamente infondato” o “comunicazioni interne”. La giurisprudenza della Corte di giustizia fornisce preziosi orientamenti in merito. La causa C-204/09, Flachglas Torgau (v. sopra), riguarda tra l’altro la definizione di “riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche” nell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a)[14]. Per le questioni non ancora risolte dalla giurisprudenza, una soluzione adottata dagli Stati membri è stata quella di aggiungere ulteriori indicazioni nelle misure di recepimento per circoscrivere questi termini.

Recepimento di nuove disposizioni

La direttiva prevede nuove disposizioni nell’articolo 4. Il paragrafo sull’interpretazione restrittiva delle eccezioni, la ponderazione degli interessi e la “norma sulle emissioni” (la presunzione legale che l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione prevalga se la richiesta riguarda le emissioni nell’ambiente) non rientrava nella precedente direttiva (articolo 4, paragrafo 2, secondo comma). Lo stesso vale per i paragrafi concernenti la direttiva sulla protezione dei dati[15] e le informazioni da dare al richiedente quando la richiesta viene respinta poiché riguarda materiale in corso di completamento.

Spesso sembra che gli Stati membri non abbiano recepito queste nuove disposizioni, o comunque non correttamente. Ad esempio, alcuni non prevedono disposizioni specifiche sul fatto che i motivi di rifiuto debbano essere interpretati in modo restrittivo, né prevedono espressamente la ponderazione degli interessi in questione.

La Corte di giustizia ha già fornito un orientamento prezioso sull’interpretazione del secondo comma dell’articolo 4, paragrafo 2. La causa C-266/09, Stichting Natuur en Milieu (v. sopra), tratta della ponderazione tra il diritto di accesso del pubblico all’informazione ambientale e il trattamento riservato di informazioni commerciali e industriali. La Corte ha confermato che, come indicato dalla formulazione del secondo comma, gli interessi devono essere ponderati caso per caso e la tutela delle informazioni commerciali o industriali è limitata se si riferisce a informazioni sulle emissioni nell’ambiente (applicazione della “norma sulle emissioni”).

Anche la causa C-71/10, su una domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte suprema del Regno Unito, Office of Communications contro Information Commissioner, riguarda la ponderazione dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione a fronte degli interessi protetti ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2. Gli interessi in gioco erano più di uno, ma nessuno, considerato singolarmente, sarebbe stato sufficiente per prevalere sull’interesse pubblico della divulgazione. Il 28 luglio 2011, la Corte ha stabilito che, nel ponderare gli interessi pubblici tutelati dalla divulgazione a fronte degli interessi tutelati dal rifiuto di divulgazione, si debbano prendere in considerazione cumulativamente diversi interessi tutelati a norma dell’articolo 4, paragrafo 2 .

Rapporto con altre normative UE

Un ulteriore problema è il rapporto tra l’articolo 4 e le disposizioni sull’accesso alle informazioni nella legislazione settoriale specifica dell’UE. Di norma, la legge settoriale, in quanto lex specialis, prevale sulle disposizioni generali in materia di accesso contenute nella direttiva. Tuttavia, molte leggi settoriali specifiche contengono disposizioni sul loro rapporto con la direttiva, consentendo l’accesso generale alle informazioni oggetto della direttiva[16] o specificando ulteriormente l’ambito di applicazione della direttiva al proprio interno[17]. Ciononostante, può essere difficile accertare quale strumento giuridico si applichi a un caso specifico. Esiste già giurisprudenza sull’argomento.

Nella sentenza del 17 febbraio 2009 nella causa C-552/07, Commune de Sausheim contro Pierre Azelvandre[18], la Corte stabilisce che uno Stato membro non può invocare un’esenzione prevista dall’articolo 4, paragrafo 2, ivi compresa la “sicurezza pubblica”, al fine di rifiutare l’accesso a informazioni che dovrebbero essere di dominio pubblico ai sensi della direttiva OGM[19]. Il requisito della trasparenza derivante dalla direttiva OGM prevale pertanto sull’eccezione intesa a proteggere l’ordine pubblico o altri interessi ai sensi della direttiva.

Nella sentenza del 22 dicembre 2010 nella causa C-524/09, Ville de Lyon contro Caisse des dépôts et consignations, la Corte tratta in particolare la questione se i dati sullo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra si dovessero considerare “informazioni sulle emissioni nell’ambiente” ai sensi dell’articolo 4, nel qual caso non si poteva invocare “la riservatezza delle informazioni commerciali o industriali”. Tuttavia, la Corte ha riscontrato che la comunicazione di tali informazioni era disciplinata dalle norme specifiche in materia di riservatezza nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissione[20].

Per quanto concerne la forma e il contenuto dei rifiuti (articolo 4, paragrafo 5), uno Stato membro prevede ancora il tacito rigetto, per cui si presume che l’autorità nazionale opponga un rifiuto qualora non renda disponibili le informazioni o non trasmetta un rifiuto scritto entro la scadenza dei termini. Tuttavia, tale tacito rigetto è contrario alla direttiva, che richiede una risposta esplicita, recante le motivazioni, in ogni singolo caso[21]. Le migliori prassi tra Stati membri per quanto concerne la forma del rifiuto consistono nell’imporre che venga fornita una risposta scritta in ogni caso, anche se la richiesta non era in forma scritta – un requisito ancora più rigoroso di quanto previsto dalla direttiva.

La Commissione continuerà a interagire con gli Stati membri per garantire il corretto recepimento della direttiva. Gli Stati membri sono invitati a fornire ulteriori indicazioni alle rispettive autorità, onde evitare applicazioni ambigue o arbitrarie delle eccezioni.

Articolo 5 – Oneri finanziari

L’articolo 5 è inteso a impedire ostacoli finanziari al diritto di informazione a norma della direttiva.

Il paragrafo 1 afferma che l’accesso a tutti i registri o elenchi pubblici e l’esame in situ dell’informazione richiesta sono gratuiti. L’istituzione di un accesso completamente gratuito a informazioni in situ rappresenta ancora una sfida per una serie di Stati membri.

Il paragrafo 2 aggiunge che eventuali oneri applicati per la fornitura di informazioni ambientali non devono superare un importo ragionevole. Di norma è così.

Il paragrafo 3 richiede agli Stati membri di fornire informazioni su eventuali oneri finanziari, nonché sulle circostanze nelle quali un onere può essere applicato o meno. Simili informazioni in genere sono disponibili negli Stati membri. Tuttavia, l’accesso a norme chiare sugli oneri applicati potrebbe essere ulteriormente migliorato per garantire una maggiore trasparenza, in particolare nei casi in cui gli Stati membri hanno scelto di rendere disponibili le norme esclusivamente a livello locale. In tal caso, la disponibilità dovrebbe essere migliorata con ulteriori mezzi, come siti web dedicati, al fine di creare un quadro di riferimento facilmente accessibile e ben strutturato in materia di oneri richiesti. Alcuni Stati membri hanno adottato una legislazione che indica chiaramente gli oneri applicati. Questa soluzione assicura la certezza giuridica, garantendo nel contempo un’ampia disponibilità.

Articolo 6 – Accesso alla giustizia

Il diritto a un rimedio efficace è garantito dall’articolo 19, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea (“Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”) e dall’articolo 47, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo […]”). L’articolo 6 della direttiva applica il diritto a un rimedio efficace per quanto concerne le informazioni ambientali e prevede due livelli di ricorso: il riesame amministrativo e il riesame dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge.

A parte alcune singole eccezioni, gli Stati membri hanno recepito correttamente l’articolo 6. Parallelamente alla valutazione del recepimento della legislazione da parte degli Stati membri, la Commissione ha anche avviato un numero limitato di procedure d’infrazione, principalmente per garantire il recepimento delle disposizioni per una procedura di riesame “celere” e “non dispendiosa”.

Tuttavia, in alcuni Stati membri si evidenziano delle carenze nell’applicazione dell’articolo 6. Per risultare efficaci, le disposizioni della direttiva devono essere applicate a tutti i livelli di ricorso. Ad esempio, le autorità amministrative autorizzate a gestire i ricorsi di primo e secondo grado devono essere reciprocamente indipendenti ed essere in grado di emettere decisioni conformi alla direttiva. Una serie di Stati membri hanno già istituito un tribunale speciale per i ricorsi di primo grado. Tuttavia, questa buona prassi non deve portare all’inefficienza al secondo livello di ricorso, con procedure costose e prolungate. Garanzie procedurali che coprano tutti i gradi sono importanti per offrire il pieno accesso alla giustizia ed evitare di disporre di un unico grado di ricorso efficace, mentre i livelli successivi restano costosi e lenti.

Anche gli organismi che vigilano sulla cattiva amministrazione, quali il difensore civico, svolgono un ruolo importante nel garantire rimedi efficaci. Tuttavia, si dovrebbero considerare complementari a un sistema di ricorso efficace.

La Commissione affronta insieme agli Stati membri queste carenze nell’attuazione, che richiedono ulteriori interventi al livello degli Stati membri sotto il controllo della Commissione.

Articolo 7 – Diffusione dell’informazione ambientale

L’articolo 7 prevede la diffusione attiva e sistematica al pubblico dell’informazione ambientale, in particolare mediante le tecnologie di telecomunicazione informatica e/o le tecnologie elettroniche. L’articolo 7, paragrafo 2, indica quale genere di informazioni occorre rendere disponibili (ad es. testi giuridici, politiche, piani e programmi, relazioni e studi, dati o sintesi di dati ricavati dal monitoraggio di attività che incidono o possono incidere sull’ambiente).

Le tecnologie elettroniche sono fondamentali per l’attuazione degli obiettivi (articolo 1) e delle disposizioni della direttiva. Non sono previste le tipologie di tecnologie elettroniche da utilizzare, tuttavia gli strumenti prescelti devono essere facilmente accessibili e non creare ulteriori ostacoli alla fornitura di informazioni. L’articolo 7 consente inoltre agli Stati membri di adeguarsi agli sviluppi tecnologici. Un buon uso della tecnologia può contribuire anche a ridurre i costi e gli oneri amministrativi della divulgazione attiva, che preoccupano numerosi Stati membri.

Gli Stati membri hanno attuato l’articolo 7 in modi diversi. Per la maggior parte offrono portali elettronici e/o siti web per dare accesso ad alcune delle categorie di informazioni elencate nell’articolo 7, paragrafo 2, a diversi livelli di governo. Tuttavia, può essere difficile trovare informazioni online sulle modalità di attuazione di singole direttive ambientali nella legislazione nazionale e su come le autorità si stiano adeguando a quanto disposto dalle stesse. In generale, per consentire un uso più semplice ed efficace dell’informazione, occorrono ulteriori progressi in merito alle modalità di organizzazione della diffusione attiva.

La direttiva si può considerare l’atto legislativo UE di più ampia portata in materia di diffusione attiva di informazioni ambientali. Tuttavia, anche altri atti quali le direttive INSPIRE[22]e PSI[23], nonché iniziative quali SEIS[24], prevedono un ampio accesso elettronico a determinate informazioni in possesso di organismi pubblici. Nel loro insieme, costituiscono un quadro per la condivisione di informazioni ambientali, compresi i dati ottenuti da attività di monitoraggio. Questo contesto più ampio e in costante evoluzione influenza l’attuazione dell’articolo 7. È auspicabile un alto livello di coordinamento al fine di garantire una coerenza generale tra tutti gli strumenti e le iniziative pertinenti.

Articolo 8 – Qualità dell’informazione ambientale

L’articolo 8 definisce gli standard di qualità per l’informazione ambientale. Gli Stati membri provvedono, nella misura del possibile, affinché tutte le informazioni raccolte dagli stessi o per loro conto siano aggiornate, precise e confrontabili.

L’informazione ambientale dovrebbe consentire agli utenti di partecipare in modo significativo alla formulazione e all’attuazione di politiche ambientali e di valutarne l’efficacia.

La qualità dei dati si è dimostrata un obiettivo difficile, in quanto dipende largamente da fattori quali risorse, capacità e tecnologie. Inoltre, spesso non esiste un metodo standard per garantire e misurare la qualità dei dati e ottenere informazioni ambientali confrontabili.

La qualità è rilevante anche per altre direttive ambientali, poiché le misure richieste spesso sono determinate da attività di monitoraggio dello stato dell’ambiente o da altre informazioni sull’attuazione. Ciò nonostante e malgrado i progressi compiuti su una serie di fronti, sono stati segnalati problemi di qualità in diverse aree di politica ambientale[25].

VI. Conclusioni e prospettive

La Commissione ritiene che l’applicazione della direttiva abbia sostanzialmente migliorato l’accesso all’informazione ambientale su richiesta; sta seguendo singoli casi di violazioni in specifici Stati membri. La Commissione auspica che, nel corso del tempo, le nuove disposizioni saranno adeguatamente integrate nella normativa degli Stati membri e debitamente applicate dalle rispettive autorità.

La creazione di una società dell’informazione che pone sempre più l’accento sulla capacità di accesso, rende necessario il passaggio da un approccio dominato dai bisogni dettati dall’ottenere informazioni su richiesta a un approccio incentrato sulla disseminazione attiva e ampia delle informazioni attraverso tecnologie di punta. La direttiva consente agli Stati membri una certa flessibilità nella scelta degli strumenti appropriati per diffondere attivamente informazioni ambientali e adeguarsi ai cambiamenti nelle telecomunicazioni informatiche e nelle tecnologie elettroniche. Alcuni Stati membri hanno sviluppato siti web di facile consultazione che, ad esempio, consentono al pubblico di poter controllare su una mappa il livello di trattamento delle acque reflue del luogo in cui risiedono. In un simile contesto, la Commissione invita tutti gli Stati membri a fare il più ampio uso possibile delle disposizioni sulla diffusione attiva.

In linea con la sua comunicazione sull’attuazione e le successive conclusioni adottate dal Consiglio l’11 giugno 2012, nonché con il proposto 7° programma d’azione per l’ambiente[26], la Commissione intende aiutare gli Stati membri a strutturare meglio l’informazione ai fini della diffusione attiva[27]. Intende inoltre condurre studi separati per esaminare in maggior dettaglio le prassi attuali sulla diffusione attiva e le sfide relative alla qualità dell’informazione ambientale. Sulla base dei risultati e dei più ampi sviluppi nelle tecnologie informatiche, la Commissione deciderà se in futuro si possano rendere necessarie ulteriori modifiche alla direttiva.

[1]       GU L 41 del 14 febbraio 2003, pag. 26.

[2]       Direttiva 90/313/CEE del Consiglio, del 7 giugno 1990, concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente, GU L 158 del 23 giugno 1990, pag. 56. Abrogata dalla direttiva con effetto dal 14 febbraio 2005.

[3]       Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 26 agosto 2010, Un’agenda digitale europea, COM (2010)245 definitivo/2.

[4]       Comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(2010)2020, pag. 9.

[5]       Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 7 marzo 2012, Trarre il massimo beneficio dalle misure ambientali dell’UE: instaurare la fiducia migliorando le conoscenze e rafforzando la capacità di risposta, COM(2012)95 definitivo.

[6]       Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’esperienza acquisita nell’applicazione della direttiva 90/313/CEE del Consiglio del 7 giugno 1990, concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente, COM(2000) 400 definitivo.

[7]       La Comunità europea ha firmato la Convenzione di Aarhus il 25 giugno 1998 e l’ha ratificata il 17 febbraio 2005. La Convenzione è entrata in vigore il 30 ottobre 2001.

[8]       Rispettivamente cause C-44/07, C-85/06 e C-53/06.

[9]       Sentenza del 5 luglio 2007 nella causa C-340/06, ECR 2007, pag. I-96.

[10]     Sentenza del 3 maggio 2007 nella causa C-391/06, ECR 2007, pag. I-65.

[11]     Un elenco delle misure di recepimento comunicate dagli Stati membri alla Commissione è disponibile all’indirizzo: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:72004L0003:IT:NOT

[12]     Le relazioni degli Stati membri e le rispettive traduzioni sono pubblicati nel sito web Europa all’indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/aarhus/reports_ms.htm.

[13]     Ad esempio, la direttiva nomina esplicitamente una gamma più ampia di eccezioni che non si possono invocare se la richiesta si riferisce a informazioni su emissioni nell’ambiente (“norma sulle emissioni”).

[14]     La Corte ha stabilito che la riservatezza delle deliberazioni delle autorità pubbliche ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva è “soddisfatta allorché esiste, nel diritto dello Stato membro interessato, una norma che dispone in modo generale che la riservatezza delle deliberazioni delle autorità pubbliche costituisce un motivo di diniego dell’accesso a informazioni ambientali detenute da tali autorità” purché il diritto nazionale determini chiaramente la nozione di “deliberazione”.

[15]     Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati; GU L 281 del 23 novembre 1995, pag. 31.

[16]     La direttiva INSPIRE (v. riferimento sotto) ad esempio prevede nell’articolo 2 che sia fatta salva la direttiva 2003/4/CE.

[17]     L’articolo 22 della direttiva Seveso III, ad esempio, fa riferimento all’articolo 4 della direttiva (direttiva 2012/18/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012 sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, recante modifica e successiva abrogazione della direttiva 96/82/CE del Consiglio; GU L 197 del 24 luglio 2012, pag. 1).

[18]     ECR 2009, pag. I-987.

[19]     Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, GU L 106 del 17 aprile 2001, pag. 1.

[20]     Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE, modificata dalla direttiva 2004/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004 e dal regolamento (CE) n. 2216/2004 della Commissione, del 21 dicembre 2004, relativo a un sistema standardizzato e sicuro di registri a norma della direttiva 2003/87/CE e della decisione n. 280/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. L’articolo 17 della direttiva 2003/87/CE prevede l’accesso a informazioni ai sensi della direttiva 2003/4/CE.

[21]     Nella sentenza del 21 aprile 2005, nella causa C-186/04, Housieux, la Corte ha già stabilito, in relazione alla precedente direttiva, che una decisione implicita di rigetto è illegittima (ECR 2005, pag. I-3299). Un tacito rifiuto può essere solo uno strumento inteso a consentire una tutela giurisdizionale effettiva e un mezzo per disciplinare l’autorità pubblica.

[22]     Direttiva 2007/2/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2007, che istituisce un’Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea (INSPIRE), GU L 108 del 25 aprile 2007, pag. 1.

[23]     Direttiva 2003/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 novembre 2003, relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, GU L 345 del 31 dicembre 2003, pag. 90.

[24]     Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 1° febbraio 2008 – Verso un Sistema comune di informazioni ambientali (SEIS), COM(2008) 46 definitivo.

[25]     Ad esempio, il riesame del regolamento relativo all’istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR), effettuato dalla Commissione, ha evidenziato una scarsa confrontabilità delle informazioni fornite dagli Stati membri, dovuta all’uso di metodi diversi per la generazione dei dati e alla mancanza di coerenza nell’informazione.

[26]     COM(2012) 710 definitivo.

[27]     La comunicazione si riferisce ai Quadri strutturati per l’attuazione e l’informazione (Structured Implementation and Information Frameworks, SIIF) intesi a fornire informazioni online più coerenti sui risultati dell’attuazione di singole direttive (piani adottati, autorizzazioni emesse, dati di monitoraggio ottenuti, ecc.).