17.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 51/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE» (parere d'iniziativa)

2011/C 51/03

Relatore: SMYTH

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 settembre 2010.

In vista del rinnovo del mandato del Comitato, l'Assemblea plenaria ha deciso di pronunciarsi sul parere nel corso della sessione plenaria di ottobre e ha nominato SMYTH relatore generale, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno.

Alla sua 466a sessione plenaria, del giorno 21 ottobre 2010, il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli, 7 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La crisi del debito pubblico - innescata da una crisi finanziaria e di bilancio - mette a rischio la stessa esistenza dell'Unione economica e monetaria (UEM) e rende quindi necessaria una risposta efficace a livello finanziario, economico e politico. Essa ha messo in luce che il Patto di stabilità e di crescita non è un meccanismo adeguato ad assicurare la responsabilità fiscale degli Stati membri.

1.2   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva le azioni finora intraprese dal Consiglio e dall'Ecofin per sostenere, grazie al meccanismo europeo di stabilizzazione e all'European Financial Stability Facility - EFSF (Strumento europeo per la stabilità finanziaria), gli Stati membri che attraversano una crisi finanziaria. Si tratta di soluzioni provvisorie che possono però costituire la base di una procedura e di un quadro più permanenti per un sostegno finanziario condizionato attraverso l'istituzione di un vero fondo monetario europeo. Si potrebbe inoltre valutare la creazione di un'agenzia europea di gestione dei debiti pubblici che emetta eurobbligazioni.

1.3   Il CESE raccomanda che, per non compromettere gli obiettivi del programma europeo di ripresa economica, siano avviati piani di riduzione del debito pubblico nell'area dell'euro in grado di garantire la stabilità economica e monetaria dell'area. Ciò dovrebbe essere fatto in modo compatibile con gli obiettivi di rilancio economico ed occupazionale - gravemente compromessi dalla crisi - richiamati nella comunicazione della Commissione Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

1.4   La crisi del debito ci ha lasciato diversi insegnamenti di cui tenere conto nell'ambito della futura governance dell'UE. Le proposte iniziali in materia di vigilanza e sanzioni elaborate dal gruppo di lavoro sulla politica economica rappresentano un primo passo nella giusta direzione. Tuttavia il CESE ritiene che le sanzioni dovrebbero avere come contropartita una maggiore solidarietà europea per quel che concerne la gestione dei debiti pubblici. Il Comitato rileva che a tutt'oggi non esiste un meccanismo ufficiale per affrontare il caso di insolvenza di uno Stato. Si tratta di una carenza strutturale nell'architettura dell'UEM che i responsabili politici devono assolutamente colmare. Sarebbe auspicabile, comunque che le sanzioni avessero un carattere sia politico che economico, per evitare di aggravare ancor di più il debito dei paesi interessati.

1.5   La responsabilità della crisi del debito sovrano può essere addossata in parte notevole alle politiche fiscali irresponsabili condotte da alcuni Stati membri dell'UE, in parte ad un'attività di prestito imprudente da parte delle banche che ha alimentato la bolla edilizia e quella dei valori mobiliari ed in parte al comportamento imprudente delle agenzie di rating del credito. Le somme enormi, sborsate dai contribuenti, per il salvataggio delle banche in alcuni Stati membri e la conseguente fragilità del sistema finanziario globale sono stati un ulteriore fattore di crisi. Sono necessarie riforme efficaci del settore bancario globale che permettano di evitare in futuro il ripetersi di comportamenti simili.

1.6   Il CESE auspica che il rafforzamento della governance economica europea, che sarà avviato nel gennaio 2011 con il semestre europeo attraverso il migliore coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri (1), abbia come obiettivo la salvaguardia dell'occupazione in Europa seriamente minacciata dalla crisi.

1.7   Il CESE ritiene, comunque, che almeno per i paesi dell'area dell'euro non sia sufficiente il solo coordinamento delle politiche economiche; occorre piuttosto una vera e propria politica economica comune, così come si rende opportuno, almeno nella prima fase, il coordinamento della politica di bilancio.

2.   Il contesto in cui si è sviluppata la crisi - le politiche fiscali alla base dell'Unione economica e monetaria

2.1   La disciplina di bilancio è uno degli elementi fondamentali della stabilità macroeconomica. Ciò è tanto più vero nel contesto di un'unione monetaria come l'area dell'euro, formata da Stati sovrani che conservano la competenza in materia di politica fiscale. All'interno dell'area dell'euro i singoli Stati non possono più ricorrere a politiche monetarie o dei tassi di cambio a livello nazionale per far fronte a shock specifici. Di conseguenza le politiche fiscali sono uno strumento molto importante che tuttavia può rispondere meglio a tali shock se si parte da una situazione sana.

2.2   Sono stati messi in atto diversi meccanismi e sistemi atti a garantire politiche fiscali sane e a limitare i rischi per la stabilità dei prezzi. Si tratta di disposizioni sancite dagli articoli 121, 123, 124, 125 e 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che comprendono: il Patto di stabilità e di crescita (cfr. articoli 121 e 126), la procedura per i disavanzi eccessivi (articolo 126), il divieto di finanziamento monetario (articolo 123), il divieto di accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie (articolo 124) e la «clausola di non salvataggio» (no-bail-out) di cui all'articolo 125.

2.3   La norma fondamentale della politica di bilancio delineata nel Trattato è quella secondo cui gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. Per rispettare tale norma essi hanno l'obbligo di mantenere il disavanzo pubblico globale annuo al di sotto del 3 % del PIL e il rapporto tra il debito pubblico lordo e il PIL ad un livello inferiore o uguale al 60 %.

2.4   In circostanze eccezionali un temporaneo superamento del livello massimo consentito può non essere considerato un «disavanzo eccessivo» se il valore non si discosta troppo dalla soglia. Decidere se uno Stato membro presenti o meno una situazione di disavanzo eccessivo spetta al Consiglio Ecofin che agisce su raccomandazione della Commissione. In caso di decisione affermativa del Consiglio, l'apposita procedura per i disavanzi eccessivi stabilisce le misure da adottare, che possono portare in ultima istanza all'imposizione di sanzioni allo Stato interessato.

2.5   La ratio del Patto di stabilità e di crescita è garantire l'adozione di politiche fiscali sane su base permanente. Il Patto sancisce l'obbligo degli Stati membri di aderire all'obiettivo a medio termine consistente nel raggiungimento di un «saldo del bilancio vicino al pareggio o positivo», quale definito tenendo conto della situazione specifica di ciascun paese. In questo modo gli Stati membri dovrebbero teoricamente essere in grado di affrontare le normali fluttuazioni cicliche senza superare il valore di riferimento per il disavanzo pubblico fissato al 3 % del PIL. In realtà il funzionamento del Patto di stabilità e di crescita si è sensibilmente discostato dall'idea originaria. Anche la Banca centrale europea (BCE) ha recentemente espresso la seguente osservazione in proposito:

«Tuttavia il livello di conformità alle norme in materia di bilancio previste dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e di crescita non è lo stesso nei vari Stati membri. In alcuni di essi i superamenti del valore di riferimento del 3 % del PIL per il disavanzo pubblico sono stati frequenti e persistenti, al punto che, almeno nei casi in questione, l'attuazione del Patto non sembra aver beneficiato del rigore e della volontà politica necessari. Nei vari paesi si sono registrati, seppur a diversi livelli, deviazioni dai documenti di programmazione finanziaria dovute a stime sulla crescita eccessivamente ottimistiche, revisioni dei dati ex post, fluttuazioni del reddito più ampie del previsto e continui sforamenti di spesa» (articolo contenuto nel bollettino mensile della BCE dell'ottobre 2008 dal titolo Ten years of the Stability and Growth Pact - Dieci anni di Patto di stabilità e di crescita).

2.6   Il mancato rispetto delle disposizioni finanziarie alla base dell'UEM è un fenomeno che si era già manifestato prima dell'attuale crisi finanziaria globale; si può tuttavia affermare che il rischio di insolvenza di uno o più Stati appartenenti all'unione monetaria rappresenta una sorta di seconda fase di tale crisi. Dopo (oltre) un decennio di credito facile che ha portato a bolle immobiliari ed edilizie, l'implosione economica che ne è derivata ha determinato per alcuni Stati membri problemi di crescita vertiginosa del debito. E, ironia della sorte, sono proprio paesi come la Grecia, la Spagna e il Portogallo, che durante la crisi del settore bancario non hanno dovuto ricorrere alle tasche dei contribuenti per salvare il sistema nazionale degli istituti di credito, a registrare problemi di debito pubblico che rischiano di minare la stabilità delle banche addirittura in tutta l'Unione. Ciò conferma l'idea che i salvataggi bancari con i fondi pubblici non sono stati la causa principale dell'aumento dei debiti pubblici.

2.7   Durante la crisi del settore bancario sono state numerose le voci che affermavano che alcuni istituti erano «troppo grandi per esser lasciati fallire»; ora il discorso si trasferisce agli Stati membri che, sebbene si trovino ad affrontare debiti pubblici sempre più elevati, «sono troppo importanti per essere dichiarati insolventi». Se prima i contribuenti hanno dovuto accettare a malincuore la necessità di salvare certe banche negligenti, ora sono i mercati internazionali dei titoli di Stato a chiedere, a loro volta, un risanamento delle finanze pubbliche di alcuni Stati membri potenzialmente ancora più doloroso. L'incertezza generata dalla questione dell'insolvenza sui debiti pubblici non solo ha iniziato a compromettere la moneta unica, ma ha anche suscitato il timore che il rischio di insolvenza possa coinvolgere diversi Stati dell'area dell'euro.

2.8   La crisi del debito pubblico è una crisi della fiducia per l'UE in generale, e per l'area dell'euro in particolare, che rende necessaria una soluzione sia sul piano politico che su quello finanziario. Essa ha messo in dubbio la capacità delle summenzionate norme di bilancio di garantire la stabilità della moneta unica. È in certa misura lecito affermare che il Patto di stabilità e di crescita si è rivelato fallimentare e che l'Europa deve a questo punto elaborare un nuovo quadro monetario e fiscale in grado di far fronte più efficacemente alle situazioni di grave crisi economica o addirittura di bancarotta di uno Stato membro. Se effettivamente la situazione è quella descritta, quali caratteristiche dovrebbe avere il nuovo quadro?

3.   Quadri fiscali e monetari alternativi

3.1   Negli ultimi mesi vi sono stati degli sviluppi sia a livello teorico che di attuazione della politica. Una proposta interessante, tra quelle avanzate per risolvere la crisi del debito pubblico e la questione dell'insolvenza degli Stati, è quella relativa alla creazione di un Fondo monetario europeo (FME) (2). La proposta si basa sulla convinzione che il Fondo monetario internazionale (FMI) non abbia l'esperienza necessaria per affrontare il rischio di insolvenza di uno Stato che fa parte di un'unione monetaria e che l'UE disporrebbe di strumenti esecutivi più efficaci se potesse contare su un FME.

3.2   L'idea di un Fondo monetario europeo va considerata come analoga a quella che ha ispirato le risposte politiche al recente tracollo finanziario, tutte volte a evitare il fallimento dei grandi istituti di credito. Ora che l'UE inizia a uscire dalla crisi del settore bancario, il dibattito politico è incentrato su riforme che creino i presupposti per un «fallimento controllato» degli istituti di credito e per l'autofinanziamento di fondi di garanzia in grado di salvare le grandi banche con problemi di solvibilità. In altre parole, dopo aver stabilizzato i sistemi finanziari, i responsabili politici europei stanno ora lavorando per garantire che in futuro siano le banche e non i contribuenti a pagare il prezzo più alto in tempi di crisi. Le proposte di riforma del settore bancario comprendono coefficienti patrimoniali più elevati, una vigilanza più stretta, un limite ai bonus dei banchieri e la redazione di «testamenti in vita» per le banche (living wills). Spostandosi sul piano dell'UEM, se l'obiettivo è tutelare la moneta unica, occorre anche rafforzare il sistema in modo che possa resistere all'insolvenza o al fallimento di uno dei suoi membri.

3.3   Secondo i fautori della proposta, l'istituzione di un FME sarebbe in linea con il concetto di cooperazione rafforzata definito nel Trattato e quindi non sarebbe nemmeno necessaria una modifica di quest'ultimo. L'eventuale FME, se costruito in modo appropriato, potrebbe ovviare ai problemi nell'architettura dell'UEM causati dal fallimento del Patto di stabilità e dall'evidente mancanza di credibilità della cosiddetta clausola di non salvataggio (no-bail-out).

3.4   Per quanto riguarda il finanziamento del Fondo, al fine di limitare al massimo il problema del cosiddetto azzardo morale che si pone attualmente a Germania e Francia a seguito della decisione di cofinanziare il pacchetto di misure urgenti per la Grecia, l'FME dovrebbe ricevere contributi solo dagli Stati membri che non rispettano i criteri di Maastricht. I tassi di partecipazione dovrebbero risultare da un duplice criterio:

1 % annuo dello stock di «indebitamento eccessivo», definito come la differenza tra il debito pubblico effettivo (alla fine dell'esercizio finanziario precedente) e la soglia pari al 60 % del PIL imposta dai criteri di Maastricht; nel caso della Grecia, che ha un rapporto debito/PIL pari al 115 %, la partecipazione all'FME sarebbe dello 0,55 %,

1 % del disavanzo eccessivo, ovvero della parte del disavanzo registrato in un dato esercizio che supera la soglia del 3 % del PIL imposta dai criteri di Maastricht; nel caso della Grecia, il cui disavanzo è pari al 13 % del PIL, la partecipazione all'FME sarebbe pari allo 0,10 % del PIL.

In sostanza la partecipazione complessiva della Grecia per il 2009 sarebbe stata pari allo 0,65 % del PIL, considerevolmente inferiore ai sacrifici ora richiesti.

3.5   L'FME potrebbe altresì contrarre prestiti sui mercati per poter integrare le risorse raccolte attraverso i contributi e quindi essere in grado di far fronte ad ogni evenienza. Il Fondo potrebbe intervenire per fornire aiuto finanziario trasformando in liquidità una parte delle sue attività oppure concedendo garanzie a fronte dell'emissione di titoli del debito da parte di uno Stato membro. Per rendere l'idea, con il senno di poi si può affermare che se il sistema di finanziamento descritto fosse stato introdotto fin dall'inizio dell'UEM, l'FME avrebbe ormai accumulato riserve per 120 miliardi di euro. Un tale volume di risorse, unito a livelli adeguati di ricorso ai mercati, sarebbe sufficiente a salvare uno qualunque degli Stati più piccoli dell'area dell'euro.

3.6   Per quanto riguarda gli strumenti esecutivi, l'UE ha a propria disposizione tutta una serie di opzioni che vanno dai tagli ai fondi strutturali al ritiro delle garanzie prestate in occasione di nuovi finanziamenti fino ad arrivare all'esclusione dal mercato monetario dell'euro. Le sanzioni appena citate dovrebbero essere modulate in maniera progressiva, in quanto ognuna di esse presa singolarmente è in grado di esercitare una pressione rilevante sugli Stati membri che non rispettano i programmi di riforma concordati.

3.7   Uno dei vantaggi potenzialmente offerti dall'FME sarebbe la possibilità di gestire, attraverso di esso, il «fallimento controllato» di uno Stato membro dell'area dell'euro che non rispetti un determinato programma di riforme. Al posto delle incertezze legate alla ristrutturazione del debito sui mercati obbligazionari internazionali, l'FME potrebbe offrire ai detentori di titoli del debito dello Stato membro insolvente la possibilità di convertirli a un tasso di sconto standard in crediti nei confronti dell'FME. In questo modo non solo i disagi causati dallo stato di insolvenza sarebbero limitati, ma anche le perdite subite dagli istituti di credito sarebbero ridotte.

3.8   I fautori dell'FME sostengono che esso offre importanti vantaggi rispetto alla richiesta di intervento dell'FMI. L'FME potrebbe gestire le procedure di «fallimento controllato» di uno Stato in modo tale da limitare al massimo le ripercussioni negative sui mercati obbligazionari e su altri mercati finanziari. La crisi del settore bancario ci ha insegnato che ora sono necessari strumenti politici atti non solo a prevenire crisi future ma anche a creare le condizioni per affrontarle; analogo discorso vale per il debito pubblico. Se e quando l'attuale crisi sarà superata, l'Europa dovrà porre in essere tutte le misure necessarie per essere in grado di reagire qualora la situazione si dovesse ripresentare.

3.9   Altre riflessioni interessanti sono quelle incentrate sulla dialettica tra due processi ugualmente indispensabili per l'Europa: la ripresa economica e la riduzione del debito. Alcuni studi dimostrano che le politiche fiscali ispirate ai criteri di Maastricht e al Patto di stabilità e di crescita hanno in certa misura rallentato la crescita economica dell'area dell'euro se paragonata a quella degli USA o del Regno Unito (3). Paradossalmente proprio negli Stati Uniti, il paese in cui ha avuto inizio la crisi, la politica scelta è stata quella di un'enorme espansione fiscale e monetaria anticiclica. La politica macroeconomica dell'area dell'euro è invece rimasta vittima dell'inerzia indotta da una orientamento pregiudiziale favorevole alla stabilità monetaria piuttosto che alla crescita. Un simile atteggiamento è sicuramente comprensibile se l'obiettivo è dare credibilità alla moneta unica e alla BCE, ma nel contesto attuale potrebbe essere considerato un potenziale ostacolo alla ripresa economica. In realtà vi sono ragioni per sostenere che un allentamento dei vincoli del Patto di stabilità e di crescita potrebbe aiutare a stimolare la ripresa economica e porre fine alla crisi del debito.

3.10   Secondo l'opinione comune, qualunque risposta, politica o istituzionale, alla crisi del debito pubblico dovrebbe proporre soluzioni per la riduzione del debito stesso senza mettere a repentaglio gli obiettivi del programma europeo di ripresa economica. Ad esempio si potrebbe abbinare il processo di riduzione del debito ad un'espansione degli investimenti in modo da compensare gli effetti deflazionistici della citata riduzione. Si tratta di una proposta basata sul Libro bianco di Delors del 1993 Crescita, competitività, occupazione ed è imperniata su un'opzione di trasferimento del debito, ossia la conversione di una certa quota del debito pubblico di ciascuno Stato membro in obbligazioni dell'Unione europea. Con il trasferimento gli Stati membri manterrebbero l'obbligo del servizio della loro quota di debito convertita in eurobbligazioni. Non si procederebbe quindi ad una cancellazione del debito propriamente detta e non aumenterebbe l'indebitamento dello Stato membro in difficoltà, ma si ridurrebbe l'onere del servizio del debito per la quota trasferita. I fautori della citata proposta sostengono che la stessa potrebbe essere attuata sulla base degli orientamenti già contenuti nel Trattato. Oltre al trasferimento del debito la proposta prevede l'espansione delle attività di emissioni di prestito della Banca europea per gli investimenti (BEI) e degli istituti di credito nazionali in modo da finanziare il programma europeo di ripresa economica e ridurre il rischio di contrazione dell'occupazione, del reddito e degli scambi commerciali a seguito di una energica riduzione del debito (4).

3.11   La risposta ufficiale alla crisi del debito è stata definita in seguito alla riunione straordinaria del Consiglio del 9 maggio 2010. Essa comporta l'istituzione di un meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (European financial stability mechanism - EFSM), basato sull'articolo 122, par. 2, del TFUE (circostanze eccezionali) e su un accordo intergovernativo degli Stati membri dell'area dell'euro. Tale meccanismo dispone di 60 miliardi e opera secondo modalità analoghe a quelle dell'FMI. In aggiunta è stata istituita una società veicolo (Special Purpose Vehicle - SPV) chiamata European Financial Stability Facility (EFSF). La SPV avrà una durata di tre anni e disporrà di fondi fino a concorrenza di 690 miliardi di euro per sostenere gli Stati membri dell'area dell'euro che devono affrontare gravi difficoltà finanziarie. Inoltre, la Banca centrale europea (BCE) ha iniziato a intervenire nei mercati obbligazionari acquistando titoli del debito dei governi in difficoltà finanziarie.

3.12   Vi sono diversi aspetti importanti di questi nuovi dispositivi. In primo luogo non costituiscono un'opzione di finanza a basso costo; il capitale di prestito e tutti gli interessi saranno rimborsati dallo Stato membro in questione attraverso la Commissione. In questo senso l'ESFM non procederà a salvataggi ed è pertanto compatibile con l'articolo 125. In secondo luogo, l'ESFM e l'ESFS rappresentano linee di credito, non linee di bilancio e quindi rientrano nei limiti della decisione sulle risorse proprie. In terzo luogo, l'EFSF opererà per un periodo di un anno, ma i suoi effetti potranno estendersi per diversi anni al di là di questo limite temporale se esso emette obbligazioni con scadenze a più lungo termine. In quarto luogo, si prevede che l'EFSF emetterà obbligazioni garantite fino al 120 % da tutti gli Stati membri; è inteso che tali titoli obbligazionari avranno un rating AAA, fatto che ne minimizzerà i costi (5). Infine l'ESFM rappresenta una prova tangibile che la solidarietà dell'UE rimane il fondamento ultimo dell'UEM.

3.13   Se le proposte sull'EFSM affrontano con efficacia la presente crisi del debito risulterà chiaro nei mesi futuri e dipenderà dalla misura in cui i singoli Stati membri intraprenderanno gli aggiustamenti di bilancio richiesti dall'UE e dall'FMI. L'UE ha riaffermato la sua intenzione di rafforzare la disciplina di bilancio e di definire un quadro permanente di soluzione della crisi. Quest'ultimo aspetto ha fatto pensare che l'EFSM e l'EFSF potrebbero diventare dispositivi permanenti, ma ciò potrebbe essere un obiettivo difficile da raggiungere perché richiederebbe l'approvazione unanime di tutti gli Stati membri. L'assenza di proposte significative riguardanti la possibilità di un'insolvenza su un debito sovrano segnala implicitamente che i responsabili politici non permetteranno che una tale eventualità si realizzi. Ciò, se è perfettamente comprensibile, non elimina però la possibilità di un'insolvenza del genere.

4.   Gli insegnamenti impartiti dalla crisi

4.1   È ormai sempre più chiaro che la crisi del debito avrebbe potuto essere evitata grazie a una migliore governance sia a livello di Stati membri che di Unione europea; è pertanto fondamentale non ripetere, da questo punto di vista, gli errori del passato. A tale scopo il gruppo di lavoro sul coordinamento delle politiche economiche ha annunciato una serie di misure volte a rafforzare la vigilanza di bilancio in linea con il Patto di stabilità e di crescita. Si tratta di misure che riguardano il controllo tra pari dei progetti di bilancio degli Stati membri, la più rapida imposizione di sanzioni in caso di superamento delle soglie del 3 % e del 60 %, l'avvio della procedura per i disavanzi eccessivi in caso di adozione non sufficientemente tempestiva di piani di riduzione del debito e la maggiore indipendenza degli istituti nazionali di statistica dai rispettivi governi.

4.2   Il ruolo e il comportamento delle principali agenzie di rating durante l'intera crisi, finanziaria e del debito, sono stati a dir poco discutibili (6). La cancelliera Angela Merkel ha proposto l'istituzione di una nuova agenzia di rating europea indipendente e in grado di competere con le tre grandi agenzie già esistenti (7). Altra proposta formulata è stata quella relativa alla possibilità di conferire all'Eurostat la facoltà di emettere un rating delle finanze pubbliche degli Stati membri. Se l'Eurostat avesse avuto una simile competenza avrebbe forse segnalato con maggiore tempestività il rischio di una crisi del debito in Grecia (8).

4.3   La Commissione è stata criticata per non avere esercitato un'adeguata vigilanza e per un atteggiamento scarsamente proattivo al momento di garantire l'attendibilità delle finanze pubbliche dei vari Stati. Si tratta di un aspetto che rinvia a problemi più ampi di vigilanza, controllo e conformità alle norme che sono all'origine del fallimento dei meccanismi del Patto di stabilità e di crescita. Si tratta di problemi che vanno affrontati in maniera efficace se si vuole arrivare a una soluzione duratura.

4.4   Mentre non vi sono stati salvataggi di banche con i soldi dei contribuenti in Grecia, Spagna e Portogallo, la portata di tali interventi in altri paesi dell'UE e negli USA ha contribuito a cerare un livello mai raggiunto prima di pressione sui mercati dei titoli di Stato e ha fatto precipitare la crisi. È fondamentale attuare riforme efficaci del settore bancario globale che evitino il ripetersi di un tale fenomeno di instabilità finanziaria, economica e sociale.

Bruxelles, 21 ottobre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 367 definitivo - Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e l'occupazione - Gli strumenti per rafforzare la governance economica dell'UE.

(2)  La proposta è illustrata in dettaglio nel documento programmatico n. 202 del Centre for European Policy Studies (CEPS - Centro europeo di studi politici), del maggio 2010, dal titolo How to deal with sovereign debt default in Europe: Towards a Euro(pean) Monetary Fund (Come affrontare la crisi del debito pubblico in Europa: verso un Fondo monetario euro(peo)). Molte argomentazioni contenute nel presente documento sono tratte da questa eloquente pubblicazione.

(3)  Cfr. Fitoussi, J.P. e Saraceno F. Europe: How deep is a Crisis? Policy Responses and Structural Factors Behind Diverging Performances (Europa: quanto è profonda una crisi? Risposte politiche e fattori strutturali alla base della disparità dei risultati) in Journal of Globalisation and Development (Rivista della globalizzazione e dello sviluppo), volume I, n. 1, Berkeley Electronic Press, 2010.

(4)  Per una descrizione dettagliata di queste proposte cfr. Holland, S.: A European Monetary Fund, Recovery and Cohesion (Un Fondo monetario europeo, ripresa e coesione) in Insight http://www.insightweb.it/web/node/136 (ultimo accesso 10.6.2010).

(5)  Il 21 settembre 2010 ognuna delle tre principali agenzie di rating ha dichiarato che avrebbe assegnato la nota AAA al debito emesso dall'EFSF.

(6)  Per un'esposizione dettagliata delle carenze mostrate dalle agenzie di rating cfr. U.S. Securities and Exchange Commission (Commissione della borsa valori statunitense - SEC): Summary Report of Issues Identified in the Commission Staff's Examinations of Select Credit Rating Agencies (Sintesi delle problematiche individuate dal personale della SEC in sede di esame di una selezione di agenzie di rating del credito) http://www.sec.gov/news/studies/2008/craexamination070808.pdf (ultimo accesso 10.6.2010).

(7)  L'Irish Times riferisce che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato che la nuova agenzia «non sarebbe ovviamente politicamente dipendente», ma «opererebbe in un'ottica di economia sostenibile meno spiccatamente orientata al breve termine» (cfr. Irish Times del 21 maggio 2010).

(8)  Durante la nostra visita a Eurostat siamo stati informati che Eurostat aveva ripetutamente e tempestivamente segnalato il rischio di una crisi dovuta all'alto disavanzo e debito pubblico della Grecia, ma che questi avvertimenti sono caduti nel vuoto.