13.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 161/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 71/304/CEE del Consiglio, del 26 luglio 1971, concernente la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici ed all'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici tramite agenzie o succursali

COM(2006) 748 def. — 2006/0249 (COD)

(2007/C 161/12)

Il Consiglio, in data 13 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 febbraio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore WILMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 marzo 2007, nel corso della 434a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 87 voti favorevoli, 1 voto contrario e 13 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Dopo cinquant'anni di continua produzione giuridica europea, fatta di trattati, direttive, regolamenti, raccomandazioni, giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) ed altri testi comunitari, che non si è mai provveduto a consolidare in modo sistematico, il diritto comunitario è divenuto estremamente confuso e gli stessi specialisti vi si orientano solo con grande difficoltà.

1.2

In alcuni campi del diritto, ad esempio, si sono adottate nuove direttive senza nel contempo verificare ogni volta se la normativa in vigore fosse superata o potesse essere ripresa dalla nuova, consentendo così di abrogare la direttiva precedente che regolava la stessa materia. In altri casi, alcuni aspetti sostanzialmente attinenti a uno stesso ambito giuridico nel corso degli anni sono stati disciplinati separatamente mediante direttive sempre nuove e autonome. In altri casi ancora è accaduto che degli atti comunitari modificassero a posteriori alcune parti di determinate direttive senza che si adottasse nel contempo un nuovo testo consolidato giuridicamente vincolante.

1.3

È venuto pertanto il momento di rimediare a questa situazione. Nulla osta a un consolidamento tecnico delle direttive in vigore, purché tale operazione sia compiuta con le migliori intenzioni e non venga utilizzata per perseguire altri scopi, ossia ad esempio per regolare dei «conti in sospeso» con altre istituzioni e arrivare ad imporre per questa via un particolare punto di vista che non si è ancora riusciti a far accettare nel corso del processo politico.

In linea di principio il Comitato saluta pertanto con favore l'intento dichiarato della Commissione di «fare un po' di ordine», dal punto di vista meramente tecnico-giuridico, nella normativa comunitaria in vigore.

1.4

Analogamente, il Comitato non può che approvare l'intento, anch'esso enunciato dalla Commissione, di contribuire, grazie alla semplificazione del diritto comunitario, alla riduzione della burocrazia e degli sprechi di risorse negli Stati membri.

1.5

Le proposte di direttiva presentate dalla Commissione nel quadro di tale processo volte ad abrogare o modificare degli atti comunitari vigenti vanno però a loro volta esaminate alla luce dei due intenti sopraindicati.

2.   Contenuto essenziale della proposta della Commissione (1) e della direttiva 71/304/CEE

2.1

La Commissione propone di adottare una nuova direttiva (2) che abroghi la vigente direttiva 71/304/CEE.

2.2

La direttiva 71/304/CEE del Consiglio, del 26 luglio 1971, era stata adottata per obbligare gli Stati membri a eliminare le restrizioni concernenti l'accesso, l'aggiudicazione, l'esecuzione o la partecipazione all'esecuzione degli appalti per lavori da eseguirsi per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e delle persone giuridiche di diritto pubblico, a beneficio dei prestatori di servizi transfrontalieri. La direttiva mirava a porre fine alle discriminazioni dirette e indirette nei confronti dei prestatori stranieri di servizi riguardo all'aggiudicazione di appalti pubblici da parte degli Stati membri. Essa imponeva inoltre a questi ultimi di assicurare che gli imprenditori non cittadini dello Stato membro in questione, da un lato, avessero accesso a crediti, aiuti e sovvenzioni alle stesse condizioni dei cittadini nazionali e, dall'altro, fruissero «senza restrizioni, e comunque alle stesse condizioni dei cittadini, delle possibilità di approvvigionamento sulle quali lo Stato è in grado di esercitare il suo controllo e di cui abbisognano per eseguire il contratto».

2.3

La Commissione motiva la sua proposta con il fatto che l'anzidetta direttiva è nel frattempo divenuta obsoleta.

2.3.1

Da un lato, infatti, la materia delle procedure di appalto pubblico è ormai disciplinata dalle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, per cui la direttiva 71/304/CEE risulta superata.

2.3.2

Dall'altro, dato che la direttiva 71/304/CEE tratta in maniera generale della libera prestazione dei servizi, la Commissione rileva che la giurisprudenza della CGCE in materia si è evoluta in maniera sostanziale. A sostegno di ciò, in una nota a piè di pagina della relazione introduttiva, la Commissione cita testualmente il seguente passaggio della sentenza emessa dalla Corte, il 25 luglio 1991, nella causa C-76/90 (Säger): «Si deve anzitutto rilevare come l'art. 59 [l'attuale articolo 49] del Trattato prescriva non solo l'eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi a causa della sua nazionalità, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali ed a quelli degli altri Stati membri, allorché essa sia tale da vietare o da ostacolare in altro modo le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro ove fornisce legittimamente servizi analoghi».

2.3.3

Sempre nella relazione introduttiva, la Commissione riassume la giurisprudenza della CGCE in materia affermando che, secondo la Corte, «è chiaro (…) che l'articolo 49 del Trattato CE proibisce le misure applicabili indistintamente tali da ostacolare l'esercizio della libera prestazione dei servizi».

2.4

Nel preambolo della proposta di direttiva, la Commissione rinvia ancora una volta alle nuove direttive in materia di procedure di appalto e alla predetta sentenza Säger, le quali hanno permesso di garantire agli operatori economici un livello di protezione almeno pari a quello assicurato dalle disposizioni della direttiva da abrogare.

2.5

Il vero e proprio testo della direttiva proposta consta di quattro articoli. L'articolo 1 abroga la direttiva 71/304/CEE. L'articolo 2 affida agli Stati membri il compito di adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla nuova direttiva, e li obbliga a comunicare alla Commissione il testo di tali disposizioni nonché una tavola di concordanza tra la direttiva stessa e le suddette disposizioni di diritto interno; queste ultime devono contenere un riferimento alla direttiva o essere corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale, e le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri. L'articolo 3 fissa la data di entrata in vigore della direttiva in esame al giorno della sua pubblicazione, e l'articolo 4 stabilisce che gli Stati membri sono i destinatari della direttiva stessa.

3.   Valutazione della proposta della Commissione

3.1

Valutata alla luce dei due intenti dichiarati dalla Commissione e menzionati nella sezione 1 di questo parere, la proposta di direttiva, intesa ad abrogare la direttiva 71/304/CEE, purtroppo non supera completamente l'esame.

3.2

In linea generale, va osservato che la direttiva proposta, che mira ad abrogare un'altra direttiva, è la prima di un'intera serie di direttive dello stesso tipo. È dunque opportuno chiedersi se l'adozione di una nuova direttiva in ogni singolo caso in cui si deve abrogarne un'altra divenuta obsoleta sia davvero il modo più efficace di procedere per attuare il programma di lavoro presentato per i prossimi mesi ed anni, che prevede appunto di abrogare una serie di direttive obsolete. Nel proseguire l'attuazione di tale programma di lavoro si dovrebbe verificare ancora una volta se, in alternativa, non sia possibile — e più efficiente — abrogare contemporaneamente una serie di direttive mediante una sola nuova direttiva. Poiché non di rado negli Stati membri un atto normativo attua più direttive alla volta, l'adozione di un approccio analogo a livello comunitario consentirebbe di evitare di dover modificare più volte in un breve lasso di tempo uno stesso atto normativo interno.

3.3

Riguardo alla proposta di direttiva in esame, ancora una volta occorrerebbe chiedersi se, per raggiungere l'obiettivo perseguito, davvero non esista un'alternativa alla modalità di attuazione di cui all'articolo 2 o se non sia invece sufficiente chiedere agli Stati membri di verificare se la loro normativa interna debba essere modificata e, in caso affermativo, di apportare le necessarie modifiche.

3.4

La direttiva del 1971 da abrogare mirava infatti essenzialmente ad abolire le misure e le norme discriminatorie allora in vigore negli Stati membri e ad applicare i principi generali del diritto comunitario in materia di appalti pubblici, principi che nel frattempo sono stati ribaditi e specificati ulteriormente nelle direttive adottate in seguito.

3.5

Per quanto concerne l'abrogazione delle norme discriminatorie in vigore negli Stati membri, essa comunque è stata effettuata già negli anni Settanta nel quadro dell'attuazione della direttiva 71/304/CEE o, per i paesi che hanno aderito all'UE successivamente, nel corso del recepimento dell'acquis comunitario da parte di quei paesi. Ora, la programmata abrogazione di tale direttiva non significa affatto che venga meno l'abolizione di quelle norme discriminatorie interne. L'abrogazione della direttiva non rende quindi necessaria alcuna modifica della normativa interna adottata all'epoca per abolire le norme discriminatorie, dato che, con l'abrogazione di queste ultime, tale normativa ha in genere raggiunto il suo scopo e, in ogni caso, il Trattato e tutte le nuove direttive continuano a prevedere l'abrogazione o sanciscono il divieto delle norme discriminatorie.

3.6

Per quanto concerne le normative degli Stati membri in tema di aggiudicazione di appalti pubblici, esse sono, in linea di massima, già state adeguate, al più tardi dopo l'adozione delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, all'evoluzione del diritto comunitario successiva alla direttiva del 1971. Dove ciò non sia ancora avvenuto, la Commissione può ancora provvedere a far attuare le nuove direttive. Comunque, poiché il destinatario di tutte le direttive è in linea di principio il legislatore nazionale, la mera abrogazione della direttiva del 1971 a livello europeo e la richiesta agli Stati membri di effettuare le necessarie verifiche sarebbe evidentemente sufficiente in questo caso per conseguire appieno lo scopo perseguito. Nella maggior parte dei casi, si tratterà ancora tutt'al più di sopprimere ogni riferimento testuale eventualmente rimasto all'ormai obsoleta direttiva 71/304/CEE.

3.7

Anche se è impossibile tornare indietro, è deplorevole che la direttiva 71/304/CEE non sia già stata abrogata nel quadro dell'adozione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. Pertanto, si raccomanda che, in occasione di tutte le future proposte di direttiva, si verifichi sempre, in linea di principio, se la nuova direttiva non renda contemporaneamente obsolete quelle precedenti e se queste non debbano quindi essere immediatamente abrogate. Anche questa misura potrebbe contribuire gradualmente a rendere più coerente e chiaro il diritto comunitario.

4.

Di conseguenza, il CESE propone di modificare la proposta di direttiva in modo che questa si limiti ad abrogare la direttiva del 1971 e a chiedere agli Stati membri di verificare se la loro normativa interna debba essere modificata e, in caso affermativo, di apportare le necessarie modifiche.

Bruxelles, 14 marzo 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 748 def.

(2)  Ibid.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Essendo stato accolto un emendamento in tal senso, i seguenti punti del parere della sezione sono stati soppressi, benché oltre un quarto dei votanti si sia espresso a favore del loro mantenimento:

3.9

Nella relazione introduttiva e nel secondo considerando della direttiva proposta è implicito il tentativo della Commissione di far passare un'interpretazione in qualche modo parziale del diritto primario europeo.

3.10

Come già nella proposta di direttiva sui servizi, il tentativo è attuato soprattutto riportando in maniera parziale e riduttiva la giurisprudenza della CGCE in materia di libera prestazione dei servizi — nella specie, la sentenza del 25 luglio 1991 nella causa C-76/90 (Säger) -, che la Commissione riassume come segue: «è chiaro (…) che l'articolo 49 del Trattato CE proibisce le misure applicabili indistintamente tali da ostacolare l'esercizio della libera prestazione dei servizi». A sostegno di questa affermazione, nella nota 7 alla relazione introduttiva la Commissione cita un passaggio di quella sentenza.

3.11

A prescindere dal fatto che nel punto della sentenza citato dalla Commissione, la Corte non ha affatto inteso riferirsi in maniera generale a tutte le misure eventualmente in vigore, ma solo alle discriminazioni e alle restrizioni, con la sintesi e la citazione parziale proposte la Commissione omette di considerare un altro principio, assolutamente essenziale, di tale sentenza, evocato nel punto 15 della sentenza — che la Commissione non cita — nonché in una serie di altre pronunce: il fatto cioè che, per la Corte di giustizia, mentre tutte le misure discriminatorie, dirette e indirette, e gli altri obblighi imposti dagli Stati membri sono chiaramente vietati, restano lecite le misure non discriminatorie e gli altri obblighi imposti dagli Stati membri se sono giustificati da ragioni imperative di interesse generale, e nel contempo sono idonei e necessari a raggiungere l'obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto strettamente necessario a tal fine.

3.12

La concezione della Commissione, che emerge dalla sintesi riduttiva che essa fa della sentenza della Corte, è invece che nessuna regola, obbligo o misura dello Stato membro appaltante sia più applicabile ai prestatori di servizi transfrontalieri, anche quando tale disposizione è perfettamente conforme agli obiettivi dei Trattati europei nonché al resto della normativa comunitaria, viene applicata senza alcuna discriminazione e, infine, soddisfa tutti i requisiti posti dalla giurisprudenza della Corte.

3.12.1

Se quest'ultima interpretazione fosse corretta, allora si dovrebbero ritenere illegittimi anche tutti gli obblighi imposti ai prestatori di servizi per i progetti nazionali finanziati dall'Unione europea, persino quando rinviano espressamente alle norme comunitarie in materia di concessione dei contributi finanziari europei. Ciò varrebbe anche per gli obblighi imposti da determinate norme in settori non ancora armonizzati e che servono ad aumentare la sicurezza stradale, come ad esempio le norme nazionali che stabiliscono il colore, il grado di riflessione e le dimensioni dei segnali stradali posti all'ingresso dei centri abitati. E ciò varrebbe, inoltre, per gli standard nazionali in materia di sicurezza sul lavoro, i quali ad esempio — come avviene nei Paesi Bassi — fissano il peso e le dimensioni massimi dei cigli delle strade onde ridurre il tasso di invalidità dei lavoratori del settore delle costruzioni stradali.

3.12.2

Questi esempi dimostrano già da soli l'assurdità di qualsiasi interpretazione eccessiva della libera prestazione di servizi. Secondo un'interpretazione siffatta, l'articolo 49 del Trattato CE, contrariamente alla sua stessa formulazione e al contesto giuridico che lo lega agli altri articoli dei Trattati europei, sancirebbe per i prestatori di servizi transfrontalieri una sorta di «super-diritto fondamentale», tale da rendere inapplicabile l'intera normativa adottata legittimamente e in conformità ai principi generali del diritto comunitario e degli ordinamenti degli Stati membri per disciplinare l'attività delle imprese. Questa concezione sarebbe impossibile da sostenere nei confronti del pubblico dell'UE ed è già stata respinta da tutte le altre istituzioni europee in occasione dell'esame della proposta di direttiva sui servizi.

3.13

Una tale interpretazione sarebbe in contrasto non solo con il tenore delle nuove direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, ma anche con lo spirito e la lettera dei Trattati europei, delle disposizioni e dei protocolli addizionali sul principio di sussidiarietà e della giurisprudenza della CGCE.

3.14

Inoltre, né alla Commissione né a una qualsiasi altra istituzione europea spetta interpretare in maniera vincolante le sentenze della CGCE e tantomeno — citandole in modo parziale — modificarne il tenore sì da tradire la volontà della Corte come espressa nelle sentenze stesse.

3.15

Se, passando per una proposta di direttiva, queste interpretazioni riduttive dovessero divenire parte integrante del diritto comunitario secondario, si aprirebbero nuovi spazi interpretativi riguardo alle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, il che non contribuirebbe certo ad aumentare la chiarezza e la certezza del diritto, ma produrrebbe invece l'effetto contrario.

4.

Di conseguenza, il CESE propone di modificare la proposta di direttiva in modo che questa si limiti ad abrogare la direttiva del 1971 e a chiedere agli Stati membri di verificare se la loro normativa interna debba essere modificata e, in caso affermativo, di apportare le necessarie modifiche, giustificando tale decisione sul piano puramente tecnico con la sopravvenuta adozione delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE.

Esito della votazione:

voti a favore dell'emendamento (ossia della soppressione dei punti): 43 voti contrari: 38 astensioni: 12