52005DC0035

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici {SEC(2005) 180} /* COM/2005/0035 def. */


Bruxelles, 9.2.2005

COM(2005) 35 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici

{SEC(2005) 180}

INDICE

1. Introduzione 3

2. La sfida del clima 3

3. Contenimento del fenomeno dei cambiamenti climatici: costi e benefici 4

4. La sfida della partecipazione 4

5. La sfida dell’innovazione 6

6. La sfida dell’adattamento 8

7. Conclusioni 9

8. Raccomandazioni per le politiche comunitarie sul clima: i prossimi passi 11

ALLEGATO 14

1. INTRODUZIONE

Con l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto l’impegno internazionale per la lotta ai cambiamenti climatici entra in una nuova fase. L’UE ha cominciato a ridurre le proprie emissioni di gas serra e adesso deve preparare le strategie di medio e lungo termine per vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici, all’interno del suo territorio e in collaborazione con la comunità internazionale. Vari Stati membri dell’UE hanno già annunciato o proposto obiettivi climatici a medio e lungo termine a livello nazionale. La presente comunicazione risponde all’invito fatto dal Consiglio europeo nella riunione del marzo 2004 “a elaborare un’analisi costi-benefici che tenga conto degli aspetti connessi sia all’ambiente che alla competitività”, in vista di un dibattito sulle “strategie di riduzione delle emissioni a medio e lungo termine, inclusi i traguardi”. Sulla base dell’analisi fatta, la Commissione propone una serie di elementi che dovrebbero figurare nelle future strategie dell’UE sui cambiamenti climatici e per il 2005 propone di avviare un dialogo con i partner principali per preparare la posizione dell’UE in vista dei futuri negoziati internazionali. La comunicazione è corredata di un documento di lavoro che presenta una rassegna più dettagliata dei dati scientifici e degli scenari analizzati sui quali si fondano le informazioni contenute nel presente documento.

2. LA SFIDA DEL CLIMA

I cambiamenti climatici sono una realtà: nel corso del XX secolo la temperatura media è aumentata di circa 0,6 °C a livello planetario e di oltre 0,9 °C in Europa. Su scala mondiale, i dieci anni più caldi mai registrati sono tutti concentrati dal 1991 in poi. Le concentrazioni di gas serra sono le più elevate degli ultimi 450 000 anni e secondo le previsioni continueranno ad aumentare.

Gli scienziati sono sostanzialmente concordi nel ritenere che all’origine dei cambiamenti climatici vi siano le emissioni di gas serra prodotte dall’attività umana. Per l’effetto ritardato che esse hanno sul sistema climatico, le emissioni prodotte in passato faranno salire ulteriormente la temperatura nel XXI secolo e si prevede che le emissioni aumenteranno ancora nei prossimi decenni. Le temperature su scala mondiale dovrebbero pertanto aumentare di 1,4 - 5,8 °C entro il 2010 (rispetto alle temperature del 1990) e di 2,0 - 6,3 °C in Europa.

Questo fenomeno deve essere rallentato e infine arrestato. In base alla seconda relazione di valutazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPPC), nel 1996 il Consiglio dei ministri dell’UE dichiarava che le temperature medie a livello planetario non dovessero superare di oltre 2 °C le temperature del periodo pre-industriale[1]. L’obiettivo dei 2 °C deve essere tradotto tecnicamente in termini di politica. Spesso tale obiettivo è presentato sotto forma di concentrazione di gas serra in atmosfera ed espresso in parti per milione in volume (ppmv): secondo alcuni studi recenti garantendo una concentrazione di 550 ppmv (di CO2 equivalente) c’è almeno 1/6 di probabilità che l’obiettivo dei 2 °C venga rispettato; se invece la concentrazione dovesse raggiungere le 650 ppmv, la probabilità di conseguire l’obiettivo scende a 1/16. Per limitare l’aumento della temperatura a 2 °C sarebbe dunque molto probabilmente necessario stabilizzare le concentrazioni di gas serra a livelli molto inferiori. Poiché attualmente la concentrazione è già superiore a 400 ppmv e aumenta mediamente dello 0,5% annuo, il rispetto dell’obiettivo dei 2 °C imporrà sensibili riduzioni delle emissioni su scala planetaria.

3. CONTENIMENTO DEL FENOMENO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI: COSTI E BENEFICI

I dati scientifici tendono sempre più a dimostrare che i benefici derivanti dal contenimento dell’aumento della temperatura media entro 2 °C su scala mondiale superano i costi connessi con l’applicazione delle politiche di abbattimento delle emissioni (cfr. allegati 1 e 2 per una sintesi più precisa). Se le temperature continueranno a salire oltre il limite dei 2 °C aumenterà anche la probabilità che il sistema climatico risponda in maniera più rapida e imprevista e che avvengano catastrofi irreversibili. La Commissione ha svolto un’analisi dei costi-benefici (per ulteriori informazioni cfr. documento di lavoro della Commissione), che mette in luce come sia possibile ridurre al minimo i costi delle politiche di abbattimento delle emissioni e gli effetti sulla competitività applicando tali misure a tutti i settori e i gas serra, ampliando la partecipazione alle iniziative di riduzione delle emissioni a tutti i principali paesi responsabili delle emissioni stesse, facendo un ricorso ottimale ai meccanismi di progetto e allo scambio dei diritti di emissione del protocollo di Kyoto e sfruttando al massimo le sinergie con le altre politiche comunitarie (ad esempio la strategia di Lisbona, la politica di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, la riforma costante della politica agricola comune, la politica di coesione e le politiche sulla qualità dell’aria).

4. LA SFIDA DELLA PARTECIPAZIONE

L’importanza di ampliare la partecipazione internazionale alle iniziative in atto per affrontare i cambiamenti climatici non deve essere sopravvalutata. Nei prossimi decenni la percentuale delle emissioni prodotte dall’UE a 25 rispetto alle emissioni globali di gas serra dovrebbe scendere sotto il 10%, mentre le emissioni dei paesi in via di sviluppo dovrebbero aumentare fino a superare il 50% del totale. Anche se si considerano insieme le emissioni storiche e quelle future, tra il 2030 e il 2065 il contributo cumulativo dei paesi sviluppati e quello dei paesi in via di sviluppo dovrebbe essere lo stesso.

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Si può pertanto dedurre che anche se l’UE dimezzasse le proprie emissioni entro il 2050, non ci sarebbero conseguenze significative sulle concentrazioni atmosferiche se altri paesi responsabili di ingenti emissioni non procederanno ad analoghi tagli consistenti. Un’azione efficace contro i cambiamenti climatici comporta pertanto la necessità di un’ampia partecipazione internazionale sulla base di responsabilità comuni, anche se differenziate, e sulle rispettive capacità dei singoli paesi interessati.

I paesi in via di sviluppo sono più vulnerabili ai danni provocati dai cambiamenti climatici rispetto ai paesi industrializzati, ma temono che l’abbattimento delle emissioni possa ostacolare il loro sviluppo economico. L’esperienza dei nuovi Stati membri dell’UE durante la ripresa economica della seconda metà degli anni ’90 dimostra tuttavia che tali timori non sono necessariamente fondati. I paesi in via di sviluppo saranno più inclini ad adottare politiche climatiche se queste contribuiranno a realizzare obiettivi di sviluppo più ampi. La lotta ai cambiamenti climatici offre inoltre altri vantaggi che riguardano quasi esclusivamente i paesi che partecipano a tali iniziative: per citare un esempio, è possibile migliorare sensibilmente l’efficienza energetica e introdurre fonti energetiche a basso contenuto di carbonio che a loro volta contribuiranno a sostenere una crescita rapida. Anche i benefici per la salute derivanti da una migliore qualità dell’aria possono essere un motivo importante per abbattere le emissioni ed in effetti alcuni paesi stanno già attuando una serie di politiche in tal senso. Il recente piano d’azione comunitario sui cambiamenti climatici e lo sviluppo[2] sarà determinante per sostenere i paesi in via di sviluppo ad affrontare queste problematiche.

I paesi in via di sviluppo potrebbero essere maggiormente incoraggiati a partecipare alle iniziative internazionali finalizzate a ridurre le emissioni. Se, ad esempio, le imprese situate nei paesi in via di sviluppo potessero partecipare al sistema di scambio delle quote di emissione, questi paesi potrebbero beneficiare di una vera riduzione delle emissioni. Creare incentivi per incoraggiare i paesi in via di sviluppo a partecipare alle attività internazionali di riduzione delle emissioni può essere uno strumento per ottenere una partecipazione più ampia dei paesi sviluppati. Secondo gli Stati Uniti, il fatto che il protocollo di Kyoto non contempli obblighi per i paesi in via di sviluppo, che ormai sono tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra, lo rende inefficace sotto il profilo ambientale e rischia di mettere in pericolo la competitività dell’industria statunitense. A loro volta i paesi in via di sviluppo sono restii a contenere le proprie emissioni. L’UE dovrebbe sostenere qualsiasi iniziativa volta a superare questa situazione di stallo. In effetti un gruppo relativamente ridotto di paesi – UE, USA, Canada, Russia, Giappone, Cina e India – produce circa il 75% delle emissioni mondiali di gas serra. Potrebbe pertanto essere opportuno cercare di accelerare i progressi a livello mondiale discutendo la possibilità di abbattere le emissioni in seno a questo gruppo ristretto di paesi in una sede analoga al G8, continuando parallelamente ad impegnarsi con decisione per raggiungere un accordo nell’ambito dell’ONU.

5. LA SFIDA DELL’INNOVAZIONE

Nei prossimi cinquant’anni la sfida dell’innovazione sarà notevole. Saranno infatti necessari profondi cambiamenti nelle modalità di produzione e utilizzo dell’energia in tutto il mondo. Alcuni di questi cambiamenti nel consumo energetico avverranno comunque: fattori come l’aumento costante dei prezzi dei combustibili fossili porteranno verosimilmente a rinunciare parzialmente al loro impiego. A prescindere da sviluppi di questo tipo, in tutti i settori economici occorreranno ulteriori cambiamenti tecnologici, oltre a misure finalizzate a ridurre l’emissione dei gas serra diversi dal CO2 e a conservare o potenziare i pozzi di assorbimento del carbonio. Questi risultati potranno essere conseguiti solo con una combinazione di politiche di incentivo e pressione.

Incentivare il cambiamento tecnologico

Più i prezzi rispecchieranno effettivamente i costi esterni e più la domanda rappresenterà meglio la sensibilità dei consumatori nei confronti delle problematiche del clima, più aumenteranno gli investimenti in tecnologie più compatibili con il clima. L’attribuzione di un valore di mercato ai gas serra – ad esempio attraverso lo scambio delle quote di emissione o l’applicazione di tasse o imposte – offrirà un incentivo finanziario che porterà a ridurre la domanda di energia e a promuovere l’impiego di tali tecnologie, e incentiverà ulteriormente lo sviluppo tecnologico. Analogamente, l’abolizione di sovvenzioni che comportano un impatto negativo sull’ambiente servirà a creare una situazione di parità tra le varie fonti energetiche. Secondo uno studio dell’Agenzia europea dell’ambiente, nel 2004 i sussidi energetici annui destinati ai combustibili solidi, al petrolio e al gas nell’UE a 15 superavano i 23,9 mrd EUR e quelli destinati alle fonti di energia rinnovabili i 5,3 mrd EUR. I trasporti internazionali, come quelli aerei e marittimi, sono praticamente esenti da imposte.

Gli strumenti basati sul mercato possono essere integrati da politiche intelligenti ed economicamente efficaci che incentivino l’adozione di nuove tecnologie e ne promuovano una rapida diffusione, come prevede la strategia di Lisbona. Tali politiche sono particolarmente importanti nelle prime fasi di commercializzazione, perché contribuiscono a superare gli ostacoli che ne rallentano l’introduzione e agevolano la dimostrazione. L’esperienza europea dimostra che l’adozione di politiche di sostegno attivo ha consentito di ridurre drasticamente i costi unitari legati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel periodo 1980-1995 (-65% per il fotovoltaico, -82% per l’energia eolica, -85% per la generazione di energia elettrica da biomassa). Tutto questo impegno deve proseguire a ritmo accelerato. Le politiche dovrebbero inoltre sfruttare i possibili benefici complementari, ad esempio nei settori della qualità dell’aria o dei trasporti urbani. Le azioni proposte nell’ambito del piano d’azione sulle tecnologie ambientali dell’UE possono offrire un orientamento per gli interventi su scala nazionale ed europea.

Politiche di incentivo intelligenti ed economicamente efficaci dovrebbero inoltre sfruttare i normali cicli di sostituzione del capitale. Per una trasformazione graduale servirà un quadro politico-strategico stabile e di lungo termine. Visto che lo stock di capitale mondiale nell’industria dell’elettricità dovrà essere rinnovato o ampliato nei prossimi trent’anni, è necessario istituire tale quadro il più rapidamente possibile. Non si può perdere un’occasione di questo tipo visto che gli investimenti nel settore della produzione di elettricità e nei comparti dell’industria, delle infrastrutture di trasporto e delle costruzioni determineranno le emissioni di CO2 per vari decenni a venire. Solo in Europa entro il 2030 sarà necessario installare una potenza di generazione di energia elettrica di 700 GW (corrispondente all’attuale potenza installata), con un costo d’investimento di 1 200 mrd EUR. Decisioni di questo tipo devono essere pianificate con 5-10 anni di anticipo e devono basarsi sulle esigenze di politiche climatiche di lungo termine.

Molte tecnologie di abbattimento delle emissioni di gas serra sono già disponibili o si trovano in una fase pilota avanzata. In uno studio recente sono state individuate le 15 tecnologie ritenute più promettenti (cfr. allegato 3); nel loro complesso, queste consentirebbero di realizzare, nel 2050, un potenziale di riduzione di oltre 54 Gt di CO2 equivalente l’anno. Se queste tecnologie fossero sfruttate al massimo, sarebbe possibile evitare la maggior parte delle emissioni di riferimento previste nel 2050. Di queste, cinque riguardano l’efficienza energetica: da ciò si può dedurre che un elemento fondamentale di qualsiasi futura strategia energetica dell’UE deve basarsi sul miglioramento dell’efficienza energetica alla luce dell’efficacia dei costi e sul risparmio energetico. Le azioni in questo campo vanno inoltre ad integrare la strategia di Lisbona, rafforzano la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, creano numerosi posti di lavoro in Europa e rendono l’industria più competitiva, riducendone il consumo di energia. Le stime disponibili dimostrano che nell’UE a 15 sarebbe economicamente possibile risparmiare fino al 15% di energia nei prossimi dieci anni, mentre il potenziale tecnico esistente consentirebbe un risparmio massimo che potrebbe toccare il 40%. La cattura e lo stoccaggio del carbonio rappresentano un altro ambito di intervento importante.

Forzare il cambiamento tecnologico: investire nell’economia della conoscenza

Non sono state ancora sviluppate le tecnologie del futuro che avranno un’ampia diffusione nella seconda metà di questo secolo. Purtroppo, dall’inizio degli anni ’80, i membri dell’Agenzia internazionale per l’energia hanno dimezzato gli stanziamenti per le attività di ricerca e sviluppo tecnologico in campo energetico. Se l’UE intende migliorare la propria competitività su questi mercati è indispensabile invertire questa tendenza. Nel Settimo programma quadro, di prossima presentazione, occorre pertanto aumentare sensibilmente gli stanziamenti per la ricerca sul clima, sull’energia, sui trasporti, sulla produzione e sui consumi. È infine necessario potenziare la cooperazione internazionale per lo sviluppo di tecnologie di punta con il contributo di partnership tra pubblico e privato.

Innovazione tecnologica: dare all’Europa un vantaggio competitivo in un futuro a basse emissioni di carbonio

Nell’ambito della strategia di Lisbona il rapporto Kok sottolinea che l’UE può sfruttare il vantaggio che le deriva dal fatto di precorrere i tempi in questo campo e può dunque ottenere un vantaggio competitivo incentrandosi sulle tecnologie compatibili con il sistema climatico ed efficienti sotto il profilo delle risorse che altri paesi dovranno alla fine utilizzare. A titolo di esempio, i paesi all’avanguardia nel settore dell’energia eolica vantano ora il 95% delle industrie delle turbine eoliche, settore in rapida espansione. In prospettiva, un fenomeno analogo potrebbe emergere anche in altri paesi e in altri settori, come quello automobilistico o aeronautico. I vantaggi competitivi saranno inoltre rafforzati se aumenta e diventa più attiva la partecipazione ad un futuro accordo internazionale sul clima.

6. LA SFIDA DELL’ADATTAMENTO

Dai dati scientifici disponibili emerge che anche il raggiungimento dell’obiettivo dei 2 °C comporterà una notevole attività di prevenzione e di adattamento in tutto il pianeta. Finora però pochi Stati membri hanno affrontato il problema della necessità di ridurre la vulnerabilità e di aumentare la resistenza agli effetti dei cambiamenti climatici.

L’adattamento ai cambiamenti climatici comporterà nuove ricerche per prevederne gli impatti a livello regionale, al fine di consentire ai soggetti, pubblici e privati, a livello locale e regionale di sviluppare soluzioni di adattamento economicamente efficaci. Tra le zone particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici si ricordano le zone basse in prossimità delle coste e nei bacini idrografici, le zone montagnose e le aree ad alto rischio di veder aumentare fenomeni come tempeste e uragani.

I settori economici che dipendono dalle condizioni atmosferiche, come l’agricoltura, la pesca, la silvicoltura e il turismo, corrono rischi più gravi di altri settori e più di altri hanno dunque la necessità di adeguarsi ai cambiamenti climatici. Da questo punto di vista i paesi in via di sviluppo sono i più vulnerabili per l’elevata dipendenza da questi settori economici sensibili al clima e per la loro scarsa capacità di adattamento. Il rafforzamento di tale capacità dovrebbe contribuire anche al loro sviluppo.

Un altro aspetto importante dell’adattamento è la possibilità di prevedere tempestivamente le calamità naturali più frequenti e più disastrose. La Commissione è già impegnata in un sistema comunitario di allarme rapido per le inondazioni e gli incendi, che migliorerà la capacità di mobilitazione in caso di calamità naturali e di assistenza per prevenire i danni. Le tecniche di osservazione della Terra possono rappresentare strumenti affidabili di prevenzione e adattamento. Le assicurazioni private potrebbero non coprire adeguatamente i danni e le perdite alle proprietà private o potrebbero anche ridursi nel tempo: i governi dovranno pertanto intervenire e imporre l’obbligo di una copertura assicurativa adeguata o istituire un fondo di solidarietà.

7. CONCLUSIONI

I cambiamenti climatici sono una realtà. La scienza ci dice che dobbiamo puntare a contenere i futuri aumenti della temperatura del pianeta a 2 °C al di sopra dei livelli pre-industriali se vogliamo limitare i danni. Questo obiettivo dei 2 °C impone l’adozione di politiche finalizzate all’adattamento ai cambiamenti climatici e alla mitigazione di tale fenomeno. Anche se le politiche già adottate saranno attuate, è probabile che le emissioni su scala planetaria aumenteranno nei prossimi vent’anni, imponendo riduzioni delle emissioni mondiali pari almeno al 15% rispetto ai valori del 1990 entro il 2050; tutto questo richiederà un notevole impegno.

L’inazione non è un’alternativa valida. Più si ritarda l’intervento e maggiore sarà il rischio che avvengano cambiamenti climatici irreversibili perché non sarà più possibile stabilizzare le emissioni di gas serra a livelli più bassi. L’attività scientifica nel campo dei cambiamenti climatici continua a svilupparsi e in futuro i dati disponibili potrebbero mostrare che i cambiamenti avvengono a una velocità più elevata di quanto sia possibile immaginare oggi. Una politica sul clima razionale, estesa sul medio-lungo termine, deve basarsi su una strategia che “lasci aperta ogni porta” e che consenta di puntare, in futuro, a livelli di concentrazione più bassi di quelli previsti inizialmente se le nuove conoscenze scientifiche ne dovessero evidenziare la necessità.

Per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici le nostre società e le nostre economie dovranno subire notevoli adeguamenti, come la ristrutturazione dei sistemi energetici e di trasporto. Diventa pertanto prioritario ricorrere, nel tempo, alla combinazione di azioni di adattamento e mitigazione più efficaci e meno costose al fine di conseguire i nostri obiettivi ambientali, mantenendo al contempo la competitività economica. La futura strategia sui cambiamenti climatici dell’UE dovrà comprendere i seguenti elementi:

una partecipazione più ampia: l’UE continuerà a svolgere un ruolo di leadership nell’approccio multilaterale ai cambiamenti climatici, ma serve urgentemente una partecipazione più ampia sulla base di responsabilità comuni anche se differenziate. Solo l’intervento efficace di un numero più elevato di paesi del mondo consentirà di realizzare progressi realistici verso il conseguimento dell’obiettivo dei 2 °C. Per ridurre al minimo gli impatti economici negativi l’UE dovrà adottare politiche supplementari, che dovranno essere integrate da iniziative analoghe di altri paesi responsabili della produzione di emissioni. Inoltre, le politiche sui cambiamenti climatici dovranno essere compatibili con altri obiettivi importanti (come la riduzione della povertà) e contribuire al loro conseguimento, tenendo conto delle condizioni alquanto diverse che si trovano ad affrontare i principali paesi responsabili delle emissioni, di oggi e di domani.La strategia di negoziazione dell’UE dovrebbe prevedere un processo internazionale di azioni negoziate volte a ridurre le emissioni, con l’obiettivo di coinvolgere e impegnare tutti i principali paesi responsabili delle emissioni. Tali azioni potrebbero essere rappresentate da progetti o programmi specifici per migliorare l’efficienza energetica o per promuovere tecnologie a basse emissioni di carbonio nonché politiche più generali, comprendenti obiettivi quantificati;

l’estensione dell’azione ad altri settori: l’azione internazionale deve estendersi a tutti i gas serra e a tutti i settori, in particolare alle emissioni prodotte dai trasporti aerei e marittimi, che sono in rapida crescita. Serve anche una nuova ottica per arrestare la deforestazione nel mondo: in alcune regioni è necessario affrontare specificamente questo problema, visto che attualmente quasi il 20% delle emissioni mondiali di gas serra è dovuto a cambiamenti nell’utilizzo dei terreni;

una maggiore innovazione: la necessaria trasformazione del sistema energetico e dei trasporti rappresenta una notevole sfida in termini di innovazione. Nell’ambito della strategia di Lisbona occorre elaborare una politica tecnologica che utilizzi una combinazione ottimale di strumenti di incentivo e pressione che favoriscano il processo di ristrutturazione. Sarà dunque necessario porre l’accento sull’abbattimento delle emissioni basato sull’efficacia dei costi. Esiste già una serie di tecnologie a basse emissioni, che tuttavia devono essere diffuse a più ampio raggio e servono più attività di ricerca per renderle commercializzabili;

il mantenimento di strumenti flessibili e basati sul mercato: gli elementi strutturali del protocollo di Kyoto che si sono rivelati positivi dovrebbero essere mantenuti in qualsiasi nuovo sistema che dovesse subentrare dopo il 2012. Tra gli strumenti in questione figurano lo scambio delle emissioni, nell’ambito del sistema introdotto dall’Unione europea, fondato su limiti di emissione e i meccanismi basati su progetti – che devono essere le fondamenta di un vero mercato internazionale del carbonio –, le norme sul monitoraggio e la comunicazione delle emissioni e un regime di conformità multilaterale. Pur continuando a promuovere i concetti di traguardi e di scadenze, è necessario ampliare la portata dei negoziati internazionali per collegare concretamente le problematiche dei cambiamenti climatici alla ricerca, allo sviluppo, all’applicazione e alla diffusione di nuove tecnologie, al miglioramento dell’efficienza energetica e allo sviluppo di fonti energetiche a basse emissioni di carbonio nonché alle politiche di sviluppo. Negoziati di più ampio respiro sono da ritenersi un modo per incentivare e motivare un numero maggiore di paesi a partecipare alle iniziative di lotta ai cambiamenti climatici. Nei prossimi decenni i paesi in via di sviluppo faranno ingenti investimenti nelle proprie infrastrutture energetiche. I fondi pubblici erogati attraverso la Banca mondiale, la BEI, la BERS e altre banche per lo sviluppo devono servire a far scegliere loro investimenti compatibili con il clima che garantiranno risparmi, soprattutto nel settore energetico. In questo contesto andranno esaminate le potenzialità di un programma energetico globale a basse emissioni di carbonio e di fondi destinati al trasferimento di tecnologie e alla loro diffusione, con particolare attenzione alle principali economie emergenti;

l’inclusione di politiche di adattamento: nell’UE occorre stanziare risorse più ingenti per adeguarsi con efficacia ai cambiamenti climatici. D’altro canto, sarebbe necessario sostenere finanziariamente le iniziative di adattamento dei paesi più poveri e più colpiti dal fenomeno.

8. RACCOMANDAZIONI PER LE POLITICHE COMUNITARIE SUL CLIMA: I PROSSIMI PASSI

Nel prossimo vertice il Consiglio europeo intende discutere delle strategie di riduzione delle emissioni sul breve e lungo termine. Il dibattito getterà le basi della futura politica dell’UE sui cambiamenti climatici e definirà l’impegno dell’Unione rispetto ai partner internazionali. In base all’analisi e alle conclusioni illustrate nella presente comunicazione e nel documento di lavoro allegato, la Commissione ha individuato alcuni elementi che, a suo parere, dovrebbero essere integrati nella futura politica dell’UE in materia di cambiamenti climatici. La Commissione invita il Consiglio europeo ad approvare l’approccio presentato di seguito e ad ispirarvisi per l’elaborazione della politica dell’UE sui cambiamenti climatici:

- attuazione immediata ed efficace delle politiche adottate: l’UE è riuscita ad abbattere le proprie emissioni del 3% rispetto al 1990, ma manca ancora molto per raggiungere l’obiettivo di riduzione dell’8% fissato nel protocollo di Kyoto. In questo contesto è necessario attuare completamente le misure proposte nel Libro verde sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e nel Libro bianco sulla politica dei trasporti, ad esempio la tariffazione delle infrastrutture o la revisione della direttiva “Eurovignette”, e le misure che incentivano il riequilibrio tra i vari modi di trasporto a favore del trasporto su rotaia e per vie navigabili, come quelle previste dalla politica sulle reti transeuropee di trasporto. Occorre inoltre tentare di eliminare le strozzature che ostacolano la diffusione di tecnologie esistenti o di tecnologie nuove e promettenti e le nuove iniziative (ad esempio la valutazione delle potenzialità di un mercato UE per i certificati verdi o la rapida attuazione del piano d’azione sulle tecnologie ambientali). Un elemento determinante a tal fine sarà il rafforzamento del sostegno agli investimenti a favore delle tecnologie favorevoli al clima nell’ambito di voci di bilancio diverse nel nuovo bilancio comunitario per il periodo 2007-2013. Serve inoltre un rinnovato e consistente impegno in tutta Europa per fare dei veri passi avanti riguardo all’efficienza energetica, come una nuova iniziativa europea sull’efficienza energetica;

- maggiore sensibilizzazione del pubblico: occorre un programma strategico (ad esempio una campagna di sensibilizzazione su scala comunitaria) per sensibilizzare di più i cittadini sull’incidenza che le loro azioni hanno sul clima;

- attività di ricerca più numerose e più mirate: la ricerca deve essere orientata ad approfondire ulteriormente le conoscenze sui cambiamenti climatici (compresi i legami con i processi oceanici), a trattare gli impatti su scala mondiale e regionale e a sviluppare strategie di adattamento e mitigazione economicamente efficaci, anche per i gas diversi dal CO2. A tal fine si potrebbero incrementare sensibilmente gli stanziamenti UE destinati alle attività di ricerca e sviluppo sulle tecnologie compatibili con il clima nell’ambito del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo, principalmente nei settori dell’energia e dei trasporti e in secondo luogo in agricoltura e nell’industria;

- cooperazione più stretta con i paesi terzi: si potrebbe promuovere attraverso un programma strategico a favore di un trasferimento tecnologico più spinto (anche con fondi destinati alla diffusione delle tecnologie) e di una cooperazione nel campo della R&S scientifici sulle tecnologie a basse emissioni di gas serra nei settori dell’energia, dei trasporti, dell’industria e dell’agricoltura. Occorre preparare politiche di sviluppo che non danneggino il clima in collaborazione con i paesi in via di sviluppo, soprattutto per quanto riguarda l’energia e la qualità dell’aria. Per tradurre in pratica queste raccomandazioni è necessario garantire la coerenza tra la dimensione interna ed esterna delle politiche climatiche dell’UE. A titolo di esempio, la politica europea di prossimità potrebbe insistere sul recepimento e sull’attuazione tempestivi dell’ acquis comunitario in materia di clima, onde promuovere la convergenza con la politica climatica dell’UE. La stessa impostazione deve applicarsi alle strategie di pre-adesione. Infine, il rafforzamento della capacità di adattamento, soprattutto dei paesi in via di sviluppo più vulnerabili, deve diventare parte integrante dell’aiuto allo sviluppo;

- una nuova fase per il Programma europeo per il cambiamento climatico nel 2005: nell’anno in corso la Commissione esaminerà i progressi compiuti e valuterà la possibilità di intraprendere nuove azioni per sfruttare sistematicamente le soluzioni economicamente efficaci disponibili per l’abbattimento delle emissioni in sinergia con la strategia di Lisbona. In questo contesto meriteranno un’attenzione particolare gli aspetti dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili, dei trasporti (compresi i trasporti aerei e marittimi) e della cattura e stoccaggio del carbonio. Infine si dovrà valutare il ruolo che l’UE potrà avere per ridurre la vulnerabilità e incentivare l’adattamento, coinvolgendo il comparto assicurativo comunitario.

È necessario creare un sostegno a favore di ulteriori azioni internazionali per la lotta ai cambiamenti climatici e a tal fine l’UE dovrebbe impegnarsi in un vero dialogo con i partner internazionali. La Commissione raccomanda che nel 2005 l’UE esamini, con i principali partner, le opzioni per una strategia applicabile al periodo successivo al 2012 prima di stabilire la posizione che manterrà nei prossimi negoziati. Nell’ambito dei contatti bilaterali con i paesi interessati, compresi quelli maggiormente responsabili delle emissioni, sarà necessario individuare le misure che tali paesi saranno disposti ad adottare nei tempi e alle condizioni definiti. In questo modo l’UE dovrebbe sfruttare il proprio ruolo di leadership internazionale nel campo dei cambiamenti climatici per seguire un approccio orientato all’azione a livello internazionale.

I risultati degli incontri bilaterali potrebbero successivamente confluire nei negoziati in sede di UNFCCC, sotto forma di impegni ad agire o a rispettare degli obiettivi definiti. L’obiettivo finale è istituire un regime multilaterale per i cambiamenti climatici per il periodo successivo al 2012, che preveda la significativa partecipazione di tutti i paesi sviluppati e la partecipazione dei paesi in via di sviluppo, che punti a contenere l’aumento della temperatura su scala mondiale entro 2 °C e che possa essere considerato uno strumento per condividere in maniera equa l’impegno di tutti i principali soggetti che intervengono. Gli impegni di riduzione delle emissioni che l’UE potrebbe assumersi nell’ambito di un regime di questo tipo dovrebbero dipendere dal grado e dal tipo di partecipazione degli altri principali paesi coinvolti. La Commissione raccomanda pertanto di non adottare un obiettivo specifico per l’UE in questa fase.

Sulla base dell’analisi e delle idee presentate in questa comunicazione l’UE dovrebbe dichiarare apertamente l’intenzione di proseguire nel proprio impegno a vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici e a onorare gli impegni già assunti. L’UE dovrebbe mostrare la propria determinazione ad ottenere riduzioni più consistenti e a più lungo termine delle proprie emissioni di gas serra nell’ambito di un accordo internazionale sulla strategia futura per il periodo successivo al 2012, che garantisca riduzioni a livello mondiale tali da conseguire l’obiettivo dei 2 °C. In base all’esito delle consultazioni internazionali nel corso del 2005 la Commissione presenterà al Consiglio altre proposte al fine di elaborare una strategia di negoziato dell’UE per il prossimo ciclo di negoziati sui cambiamenti climatici di portata mondiale.

ALLEGATO

Annex 1: Effects of Continuing Climate Change

Sea level rise: By 2100, sea levels rise of 0.09 to 0.88 m, with a central value of 0.48 m, is predicted to occur. Sea level rise will cause flooding, coastal erosion and the loss of flat coastal regions. Coastal protection is possible, though this leads to adaptation costs. Rising sea level increases the likelihood of storm surges, enforces landward intrusion of salt water and endangers coastal ecosystems and wetlands. Estimates in the European Union, where the coastline is about 89,000 km long, indicate some 68 million people could be affected by sea level changes.

At a global level, the effect is potentially more extreme. Populations that inhabit small islands and/or low-lying coastal areas (e.g. small island states such as the Maldives, the Bangladesh delta) are at particular risk of severe social and economic effects from sea-level rise and storm surges. The loss of these areas (e.g. for those living on small island states) will have potentially important secondary effects through migration and potential socially contingent effects.

Agriculture: Parts of Europe, particularly in mid and northern Europe, are expected to potentially benefit from increasing CO2 concentrations and rising temperatures. The cultivated area could be expanded northwards, and growing seasons extended. In southern parts of Europe, agriculture may be threatened by climate change due to increased water stress. During the heat wave in 2003, many southern European countries suffered drops in yield of up to 30%, while some northern European countries profited from higher temperatures and lower rainfall. Bad harvests could become more common due to an increase in the frequency of extreme weather events (droughts, floods, storms, hail), and pests and diseases.

Global projections estimate EU agricultural yield increases for up to 2°C temperature rise, but a decline beyond this level. But in subtropics/tropics damages, increased heat stress is already projected for 1.7°C temperature increase. Higher average temperatures of 2.5°C in 2080 could result in 50 million additional people at risk of hunger.

Energy: Energy use is likely to change with new average temperatures ranges, with a combination of increases and decreases in demand for heating (both in terms of overall energy supplied, and to meet peak demands). Benefits from increased winter temperatures that reduce heating needs may be offset by increases in demand for summer air conditioning, as average summer temperatures increase.

Health - thermal stress: More than 20,000 additional deaths attributable to heat, particularly among the aged population, occurred in western and southern Europe during the summer of 2003. Heat waves are projected to become more frequent and more intense during the twenty-first century and hence the number of excess deaths due to heat is projected to increase in the future. However, rising temperatures will lead to reduce deaths in winter. Globally it is estimated that an average temperature rise above 1.2°C will cause an increase in premature mortality by several hundred thousands without accounting for extreme event like heat waves.

Health - infectious disease: In Europe tick-borne encephalitis cases increased in the Baltic region and central Europe between 1980 and 1995, and have remained high. Ticks can transmit a variety of diseases, such as tick-borne encephalitis (TBE) and Lyme disease (in Europe called Lyme borreliosis). It is not clear how many of the 85,000 cases of Lyme borreliosis reported annually in Europe are due to the temperature increase over the past decades. At a global level, the rising temperatures will bring many additional people at risk of suffering from diseases like Malaria, dengue and schistosomiasis. For instance it is projected that 2°C increased will result in 210 million people more at risk of malaria and an epidemic potential increase of 30 to 50 % for dengue.

Ecosystems: Significant impacts on ecosystems and water resources are likely between 1 and 2(C, and the risks of net negative impacts on global food production occur between 2 to 3(C global warming. Recent studies[3] for instance indicate that a rise of up to 1°C above pre-industrial levels up to 10 % of ecosystem areas worldwide will shift. Some forest ecosystems will exhibit increased net primary productivity, increased fire frequency and pest outbreaks. Some hotspots with high biodiversity and protected areas of global importance will begin to suffer first climate-change induced losses. Coral reefs will suffer increased bleaching. Range shifts of species and higher risk for some endangered species are likely. Most of these impacts can already be observed today.

An increase of 1 to 2°C above pre-industrial levels will shift up to 15 to 20 % of ecosystem areas worldwide. Some protected areas of global importance and hotspots are likely to suffer severe losses of both area and species. Wildlife of arctic ecosystems will be harmed (e.g. polar bear, walrus). Bleaching events will likely be so frequent that coral reef recovery is insufficient to prevent severe losses of biodiversity.

Increase of more than 2°C above pre-industrial levels: The global share of ecosystems shifting due to climate change will likely be above 20 %, and much more in some regions. Global losses of coastal wetlands may exceed 10 %. At a global scale, reefs will undergo major disruptions and species loss, but will possibly not disappear completely. A large number of species will be endangered by range shifts. There is a risk that some protected areas of global importance will lose most of their area due to climate change.

Water resources, water supply and water quality: Above 2 to 2.5°C global average temperature increase it is projected that additional 2.4 to 3.1 billion people will be at risk of water stress.

Floods: Between 1975 and 2001, 238 flood events were recorded in Europe. Over this period the annual number of flood events clearly increased. The number of people affected by floods rose significantly, with adverse physical and psychological human health consequences[4]. With 2.0 to 6.4°C temperature increase the damage from riverine floods will be several times higher than in the no climate change case. With 1.4°C temperature increase coastal floods are projected to increase the number of people at risk by 10 million, 3.2°C will bring 80 million at risk.

Impacts from storm damage and extreme weather: Extreme weather events are also likely to increase, with cold spells, heat waves, drought, floods, storms and tropical cyclones. Changes in both frequency and severity are possible, though these may not be linearly dependent on average climate. In Europe, 64 % of all catastrophic events since 1980 are directly attributable to weather extremes: floods, storms and droughts / heat waves. 79% of economic losses caused by catastrophic events result from these weather related events. Economic losses resulting from weather related events have increased significantly in the last 20 years, from an annual average of less than US$ 5 billion to about US$ 11 billion. This is due to wealth increase and more frequent events. Four out of the five years with the largest economic losses in this period have occurred since 1997. The average number of annual disastrous weather related events in Europe doubled over the 1990s compared with the previous decade, while non-climatic events such as earthquakes remained stable. Projections show an increasing likelihood of extreme weather events. Thus, growing damages are likely.

Regional conflicts, famines, large scale migration: There is an emerging consensus that widespread climate change may increase socially contingent effects[5], due to multiple stresses coming together. This is unlikely to affect Europeans directly, but may well have effects on Europe. The combination of stresses from climate change from the above effects may converge on a number of vulnerable areas, for example in Africa, leading to potential regional conflict, poverty or famine, migration, etc.

It is highlighted that the disproportionate impact of climate change occurs on developing countries because these countries are more vulnerable to climate change than developed countries: their economies rely more heavily on climate-sensitive activities; they are close to environmental tolerance limits; and they are poorly prepared to adapt to climate change. In contrast, richer societies tend to be better able to adapt and their economies are less dependent on climate. With the upper range of IPCC projections of climate change, the impacts are likely to adversely affect achievement of the Millennium Development Goals (as agreed at the UN Millennium Summit in New York in 2000).

Abrupt climate change : There are also a number of major effects (potentially catastrophic effects or major climate discontinuities) that could occur. These include climate feedbacks that strongly accelerate climate change by exceeding specific temperature thresholds, irreversible changes to the climate system, or result in sudden and rapid exacerbation of certain impacts requiring unachievable rates of adaptation. The temperature changes at which these thresholds would be passed are not all clearly defined as yet, due to uncertainties in the science. At temperature rise above 2(C there is an increase in the risk of a range of severe large scale events, such as shutdown of the ocean thermohaline circulation, but some thresholds may be passed at global average temperature changes below 2(C, such as the irreversible melting of the Greenland Ice sheet leading to a sea-level rise of 0.3 meter per century (to a maximum of 7 meters) at a sustained local warming of 3(C (Arctic warming).

Annex 2: The Benefits and Costs of Limiting Climate Change

The benefits

Reducing greenhouse gas emissions generates benefits in the form of avoided damages from climate change. The potential benefits depend to a large degree on estimates of (i) the availability and costs of adaptation technologies and policies, and (ii) the sensitivity of the climate to rising concentrations of greenhouse gases in the atmosphere. According to the Intergovernmental Panel on Climate Change “comprehensive, quantitative estimates of the benefits of stabilization at various levels of atmospheric concentrations of greenhouse gases do not yet exist.”

Allowing for scientific and economic uncertainties, the IPCC Second Assessment Report[6] concluded that a 2.5°C rise in global temperature could cost as much as 1.5 to 2.0 % of global GDP in terms of future damage, with significant regional variations[7]. Indeed, the economic consequences of climate change can already be seen today. Over the past 20 years the insurance sector has seen more than a doubling of economic losses (measured in real terms), partly resulting from weather and climate-related events, though other factors such as land use changes increasing pressure on coastal areas and flood plains, and more widespread insurance coverage, have also contributed to this increase. Climate change is hitting poor developing countries hardest as they are most vulnerable and have the least economic means to respond to the negative impacts.

Many different effects of climate change have been studied in detail in recent years, and demonstrate that if climate change is not tackled economic damage will further increase as will the risk of irreversible damage. Impacts include sea level rise, pressure on freshwater resources, water supply and water quality, agriculture, energy use, human health as well as loss of productivity and bio-diversity and the increased likelihood of drought, flooding, storm damage and more extreme weather events. In the long run, as temperatures continue to rise, a more rapid or unexpected response of the climate becomes more likely or irreversible “catastrophic” events such as the shutdown of the Gulf Stream or the collapse of West-Antarctic Ice Sheet may occur.

Not all regions and locations, and not all economic sectors within the European Union or around the world will be equally affected. For instance, the Mediterranean region will suffer most from ever greater pressure on water resources. Agriculture and forestry will be adversely affected by changes in weather patterns as will hydro-electricity production. As a consequence, considerable impacts on the competitiveness of different economic sectors in different regions can be expected.

Avoiding climate change offers also co-benefits that may amount to a substantial proportion of mitigation costs. These co-benefits are significant and lead to lower emissions of other pollutants, lower pollution control costs and lower environmental impacts.

For example, a scenario with 15 % CO2 reduction in the EU power sector compared to ‘business-as-usual” found considerable side-impacts on the emissions of the conventional air pollutants due to lower consumption of fossil fuels, namely a reduction of the sulphur dioxide emissions by 6% (equivalent to the total SO2 emissions of Italy), a decline in nitrous oxide emissions (NOx) emissions by around 1.2 % (comparable to the total emissions of Hungary), and a decline in primary emissions of particle matters smaller than 2.5 micrometers (PM2.5) by 37kt (approximately three times the total emissions of Denmark).

The costs

Estimates of the costs of climate change policies (excluding adaptation efforts) also need to be treated with considerable caution. Whilst the benefits from avoidance of climate change are potentially high, mitigation involves significant adjustment of our societies and economies, such as the restructuring of energy and transport systems. It is therefore essential to find and use the most efficient and least-cost mix of adaptation and mitigation actions over time in order to ensure that climate change mitigation and the Lisbon objective of increasing the EU’s economic growth rate are coherent with each other.

The IPCC considered the costs of meeting various targets for atmospheric concentrations under various assumptions about GDP and emissions growth, and based on conservative assumptions as regards technological progress with respect to abatement technologies. They found that, on average, over the period 1990 to 2100, world GDP growth would be slowed by 0.003% per year; the maximum reduction (to reach a very ambitious target in a high growth scenario) was 0.06% per year[8].

The Commission has also studied the possible costs of cutting world emissions consistent with stabilising greenhouse gas concentrations in the atmosphere at 550 ppmv in the long-term. Assuming gradual participation of all countries in an international effort to address climate change and full international emissions trading, the study shows that reducing EU-25 emissions annually by about 1.5 percentage points after 2012 would reduce GDP in 2025 by about 0.5% below the level it would reach in the absence of such a pro-active climate policy. Widespread international participation in lowering the cost of emission reductions is shown to be crucial. If the EU were to unilaterally reduce its emissions by a similar amount while the rest of the world did nothing, the costs could rise by a factor of three or more without the use of the flexible mechanisms of the Kyoto Protocol, with positive environmental effects being negligible.

Alternatively, according to the Commission’s analysis, a somewhat less ambitious climate policy, aiming at stabilising greenhouse gas concentrations at 650 ppmv, would come at abatement costs which would amount to only a quarter of the amount to be invested under the first scenario. However, such a policy could, according to this study, lead to global warming about 25 % above the level achieved in the first scenario, leading to additional costs of climate change. Given the huge risk of non-linear responses of the climate to higher greenhouse gas concentrations such a policy is unlikely to be consistent with limiting global average temperature increase to 2 °C above pre-industrial levels.

The studies show that the choice of adjustment path is also crucial. Mitigation costs increase more than proportionally with the speed of adjustment, owing to investment cycles and the relatively long term payback from technology policies. For the EU-25, the costs in terms of GDP vary from 0.2 to 0.5% of GDP by 2025 depending on the adjustment path chosen in the short-term. In particular, account needs to be taken of the scope for technology policies to encourage the development and deployment of promising technologies that may emerge from 2030 onwards. International co-operation on technology should therefore become a complement to current policies even if one knows that technologies might not emerge as anticipated. Deeper cuts over shorter periods of time might not be compatible with long term investment cycles of costly infrastructure.

Commission studies show that the global costs of mitigation can be minimised under the following conditions:

- the inclusion of all sectors and greenhouse gases (especially non-CO2 gases, bunker fuels, deforestation).

- the participation of all major emitting countries in an international effort to address climate change.

- the full and unrestricted use of emissions trading and the optimal use of other flexible measures, such as the Clean Development Mechanism. Such schemes supplement emissions trading by allowing access to lower cost abatement opportunities. Commission estimates suggest that such schemes can reduce direct abatement costs by as much as two-thirds.

- the full exploitation of synergies with other important EU policy objectives, in particular the Lisbon strategy, the energy security policy, the sustainable development strategy, the continuing reform of the Common Agricultural Policy, and the thematic strategy on air quality.

Sectoral impacts

The overall effects of mitigation policies on GDP conceal large differences between sectors, and within sectors. For example, while fossil fuel-based energy industries may be expected to face higher compliance costs, increased demand for energy from renewable sources (including energy crops in agriculture) and for electricity generated by nuclear energy is likely. Energy-intensive sectors (chemicals, iron and steel, building materials) will face higher compliance costs, while producers of abatement equipment (energy-saving technologies, carbon storage) will benefit in relative terms. This shift in the structure of the economy will require significant reallocation of capital and labour between sectors, while the presence of emissions trading will keep compliance costs as low as possible.

Annex 3: Fifteen Technology Options - each potentially reducing emissions by 3.6 Gt CO 2 per year by 2050

Efficiency and conservation

Improved fuel economy of vehicles

Reduced reliance on cars

More efficient buildings

Improved power plant efficiency

Decarbonization of Electricity and Fuels

Substituting natural gas for coal

Storage of carbon captured in power plants

Storage of carbon captured in hydrogen plants

Storage of carbon captured in synthetic fuel plants

Nuclear fission

Wind electricity

Photovoltaic electricity

Renewable hydrogen

Biofuels

Natural sinks

Forest management

Agricultural soils management

Source: Pacala, S, Socolow, R. 2004. Science Vol. 305. 968-972

[1] 1939º Consiglio dei ministri, Lussemburgo, 25 giugno 1996.

[2] Documento 15164/04 del Consiglio.

[3] Working Group III report, chapter 6.

[4] A significant part of the costs incurred represent reconstruction and repair activities or delocalisation activities because of the negative effects of climate change.

[5] IPCC Working Group 3 report “Climate Change 2001: Mitigation”, technical summary, page 61