52003DC0058

Comunicazione della Commissione - Il ruolo delle università nell'Europa della conoscenza /* COM/2003/0058 def. */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - Il ruolo delle università nell'Europa della conoscenza

1. SOMMARIO

La presente comunicazione si propone di dare il via a un dibattito sul ruolo delle università [1] in seno alla società e all'economia della conoscenza in Europa e sulle condizioni a cui esse potranno svolgere efficacemente il proprio ruolo. La società della conoscenza dipende, per la sua crescita, dalla produzione di sapere di tipo nuovo, dalla sua trasmissione mediante l'istruzione e la formazione, dalla sua divulgazione tramite le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) e dal suo uso nei nuovi processi industriali e nei servizi. Le università sono luoghi unici in quanto partecipano al nucleo stesso di tutti questi processi, grazie al loro ruolo centrale in tre settori: ricerca e sfruttamento dei risultati della stessa grazie alla cooperazione e industriale e alle aziende spin-off; istruzione e formazione, in particolare formazione dei ricercatori; sviluppo regionale e locale, cui possono contribuire in modo significativo.

[1] Nella presente comunicazione, il termine "università" designa tutti gli istituti d'istruzione superiore, comprese ad esempio le Fachhochschulen, i politecnici e le Grandes Écoles.

L'Unione europea pertanto necessita di un mondo universitario sano e fiorente. L'Europa ha bisogno di eccellenza nelle sue università, di ottimizzare i processi che stanno alla base della società della conoscenza e di realizzare l'obiettivo, fissato dal Consiglio europeo di Lisbona, di diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Il Consiglio europeo di Barcellona ha riconosciuto questa necessità di eccellenza, e ha esortato i sistemi educativi europei a diventare un "punto di riferimento" a livello mondiale entro il 2010 [2].

[2] Consiglio europeo di Barcellona - Conclusioni della Presidenza.

Il mondo universitario europeo non è però esente da problemi, né gli atenei d'Europa risultano oggigiorno concorrenziali rispetto a quello delle nostri principali controparti a livello planetario, pur producendo pubblicazioni scientifiche di alta qualità. La presente comunicazione rileva una serie di settori in cui occorre procedere a una riflessione, e spesso anche a un'azione, e pone una serie di domande, come le seguenti:

- come ottenere entrate adeguate e durature per le università e garantire che i fondi siano spesi nel modo più utile;

- come garantire autonomia e professionalità sia nelle questioni accademiche che per quanto riguarda la gestione;

- come concentrare risorse sufficienti sull'eccellenza e creare condizioni in cui le università possano raggiungere e sviluppare tale eccellenza;

- come far sì che le università contribuiscano maggiormente alle esigenze e alle strategie locali e regionali;

- come istituire una cooperazione più stretta fra università e imprese per garantire una migliore divulgazione e valorizzazione delle nuove conoscenze nell'economia e nella società in generale;

- come promuovere, in tutti questi settori, lo spazio europeo dell'istruzione superiore coerente, compatibile e concorrenziale auspicato dalla Dichiarazione di Bologna e lo spazio europeo della ricerca che l'Unione si è prefissata di realizzare durante il Consiglio europeo di Lisbona nel marzo del 2000.

La presente comunicazione, preparata nel contesto del Consiglio europeo di primavera del 2003, invita tutte le parti interessate ai settori dell'istruzione superiore, della ricerca e dell'innovazione a rispondere a queste domande. La Commissione farà il punto del dibattito nell'estate del 2003 e individuerà le iniziative adeguate, eventualmente in una nuova comunicazione da sottoporre ai ministri dell'Istruzione nel quadro del Consiglio Istruzione e ai ministri della Ricerca nel quadro del Consiglio Concorrenza, nonché al Vertice europeo dei ministri dell'Istruzione superiore, previsto per il 18-19 settembre 2003 a Berlino.

2. INTRODUZIONE

La realizzazione di un'Europa fondata sulla conoscenza è, dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, un obiettivo centrale dell'Unione europea. L'obiettivo di Lisbona si è arricchito nel corso dei vari Consigli europei tenutisi da allora, in particolare quello di Stoccolma del marzo 2001 e quello di Barcellona del marzo 2002.

L'agenda di Lisbona mobilita una grande varietà di soggetti; fra questi, le università svolgono un ruolo particolarmente importante, in considerazione del loro tradizionale doppio compito di ricerca e d'insegnamento, del loro ruolo crescente nel complesso processo dell'innovazione e degli altri contributi che apportano alla concorrenzialità dell'economia e alla coesione sociale, ad esempio per quanto riguarda il loro ruolo nella vita della città e in materia di sviluppo regionale.

Tenuto conto di questo ruolo centrale, la creazione di un'Europa fondata sulla conoscenza rappresenta per le università una fonte di opportunità, ma anche considerevoli sfide. Le università operano infatti in un ambiente sempre più globalizzato, in evoluzione costante, segnato da una concorrenza crescente nell'attirare e mantenere i migliori talenti e dall'emergere di nuove necessità cui sono chiamate a rispondere. In genere però le università europee dispongono di vantaggi e mezzi finanziari inferiori rispetto alle loro controparti di altri paesi sviluppati, in particolare degli Stati Uniti. Si pone pertanto il problema della loro capacità di fare concorrenza alle migliori università del mondo garantendo un livello d'eccellenza duraturo. È questa una questione particolarmente attuale nella prospettiva dell'allargamento, vista la situazione spesso difficile delle università dei paesi candidati in termini di risorse umane e di mezzi finanziari.

Per dare attuazione all'agenda di Lisbona, l'Unione europea si è impegnata in una serie di azioni e di iniziative nei settori della ricerca e dell'istruzione. Al riguardo, vanno citati lo spazio europeo della ricerca e dell'innovazione, per realizzare il quale sono state appena aperte nuove prospettive [3] e, nello stesso contesto, l'obiettivo di aumentare lo sforzo di ricerca e di sviluppo europeo fino al 3% del PIL dell'Unione entro il 2010 [4].

[3] Commissione europea, comunicazioni "Verso uno spazio europeo della ricerca", COM (2000) 6 del 18.1.2000 e "Lo spazio europeo della ricerca: un nuovo slancio", COM (2002) 565 del 16.10.2002.

[4] Commissione europea, comunicazione "Più ricerca per l'Europa - Obiettivo: 3% del PIL", COM (2002) 499 dell'11.9.2002.

Nel settore dell'istruzione e della formazione, vanno citate la realizzazione di uno spazio europeo dell'istruzione e della formazione lungo tutto l'arco della vita [5], l'attuazione del programma di lavoro dettagliato sugli obiettivi dei sistemi d'istruzione e di formazione [6], i lavori finalizzati a rafforzare la convergenza dei sistemi d'istruzione superiore, nel quadro del processo di Bologna, e dei sistemi di formazione professionale, in linea con la dichiarazione di Copenaghen.

[5] Commissione europea, comunicazione "Realizzare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente", COM (2001) 678 del 21.10.2001.

[6] Programma di lavoro dettagliato sul follow-up circa gli obiettivi dei sistemi d'istruzione e formazione in Europa, GU C 142 del 14.06.2002, pag. 1.

Le università europee in quanto tali non sono state oggetto in tempi recenti [7] di riflessione e di dibattito a livello dell'Unione europea. La Commissione desidera contribuire a un simile dibattito: a tal fine, la presente comunicazione analizza la collocazione e il ruolo delle università europee nella società e nell'economia della conoscenza (sezione 3), propone una riflessione sulle università in una prospettiva europea (sezione 4) e presenta le principali sfide che si aprono davanti alle università europee, nonché spunti di riflessione corrispondenti (sezione 5).

[7] Commissione europea, Memorandum sull'istruzione superiore nella Comunità europea, COM (1991) 349 del 5.11.1991.

La Commissione invita tutte le parti interessate (le università, le conferenze di rettori, le autorità pubbliche nazionali e regionali, il mondo della ricerca, gli studenti, le imprese e i cittadini) a presentare osservazioni, suggerimenti e punti di vista sui diversi aspetti trattati nella presente comunicazione [8]. Alla luce dei contributi ricevuti, la Commissione determinerà le azioni future e verificherà se sia opportuno presentare una comunicazione sul seguito (follow-up), da presentare ai ministri dell'Istruzione (nel quadro del Consiglio Istruzione) e della Ricerca (nel quadro del Consiglio Concorrenza) e al Vertice dei ministri responsabili dell'istruzione superiore organizzato nel quadro del processo di Bologna che si terrà il 18-19 settembre 2003 a Berlino.

[8] CFR. SEZIONE 7 "COME CONTRIBUIRE?"

3. LE UNIVERSITÀ EUROPEE OGGI

3.1. Le università al centro dell'Europa della conoscenza

L'economia e la società della conoscenza sorgono della combinazione di quattro elementi interdipendenti: la produzione della conoscenza, principalmente mediante la ricerca scientifica; la sua trasmissione mediante l'istruzione e la formazione; la sua diffusione con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione; il suo sfruttamento per il tramite dell'innovazione tecnologica. Contemporaneamente emergono nuovi modi di produzione, di trasmissione e di sfruttamento delle conoscenze, con l'effetto di associare un più ampio numero di soggetti, il più delle volte collegati fra loro in rete in un contesto sempre più internazionalizzato.

Trovandosi al punto d'incrocio della ricerca, dell'istruzione e dell'innovazione, le università hanno in mano, sotto diversi aspetti, la chiave dell'economia e della società della conoscenza. Le università impiegano, di fatto, il 34% di tutti i ricercatori d'Europa, anche se le cifre nazionali variano del triplo da uno Stato membro all'altro (26% in Germania, 55% in Spagna e più del 70% in Grecia). Le università sono anche responsabili dell'80% della ricerca fondamentale condotta in Europa.

Esse inoltre formano una quantità sempre crescente di studenti con qualifiche sempre più elevate, contribuendo così a rafforzare la concorrenzialità dell'economia europea: un terzo degli europei lavora oggi nei settori ad alto impiego di conoscenza (più del 40% in paesi come la Danimarca e la Svezia), che da soli hanno contribuito alla metà dei nuovi posti di lavoro creati tra il 1999 ed il 2000.

Le università contribuiscono anche agli altri obiettivi della strategia di Lisbona, in particolare in materia di occupazione e coesione sociale, nonché al miglioramento del livello generale d'istruzione in Europa. Fra i giovani europei, quelli che hanno ottenuto un titolo d'istruzione superiore ("laureati") sono molto più numerosi che nelle generazioni precedenti. Infatti, a fronte del 20% circa di europei dai 35 ai 39 anni che hanno terminato gli studi di livello superiore, troviamo una percentuale del 12,5% soltanto per la fascia d'età compresa tra i 55 e i 59 anni. Se si considera tutta la popolazione dai 25 ai 64 anni, il tasso d'occupazione di chi ha un titolo d'istruzione superiore (ISCED 5 e 6), era pari all'84% nel 2001, cioè quasi 15 punti in più della media, tenendo presente ogni livello d'istruzione, e quasi 30 punti in più rispetto a coloro che hanno raggiunto soltanto il diploma d'istruzione secondaria inferiore (ISCED da 0 a 2). Infine, il tasso di disoccupazione delle persone con un titolo d'istruzione superiore nel 2001 era pari al 3,9%, un terzo di quello delle persone con livelli bassi di qualificazione.

3.2. Il panorama universitario europeo

Esistono circa 3 300 istituti di istruzione superiore nell'Unione europea, circa 4 000 in tutto il continente, compresi gli altri paesi dell'Europa occidentale e i paesi candidati [9]. Tali istituti accolgono un numero crescente di studenti: più di 12,5 milioni nel 2000, contro meno di 9 milioni di dieci anni fa.

[9] A titolo di raffronto, vi sono più di 4 000 istituti d'istruzione superiore negli Stati Uniti. Di questi, 550 conferiscono il titolo di Dottore e 125 sono considerabili "università di ricerca". Fra queste ultime, circa 50 rappresentano il fulcro delle capacità di ricerca accademica negli USA, dei finanziamenti pubblici a sostegno della ricerca universitaria e dei premi Nobel per la scienza del paese.

Essenzialmente organizzato a livello nazionale e regionale, il panorama universitario europeo è caratterizzato da una notevole eterogeneità, che si esprime in termini d'organizzazione, di gestione e di condizioni di funzionamento, nonché di statuto e di condizioni di lavoro e di assunzione per i professori e i ricercatori. Si tratta di un'eterogeneità rilevabile da un paese all'altro, a causa di differenze culturali e legislative, ma anche all'interno di ciascun paese, dal momento che non tutte le università hanno gli stessi compiti, o reagiscono al nuovo allo stesso modo ed alla stessa velocità. Le riforme strutturali ispirate dal processo di Bologna costituiscono uno sforzo per organizzare tale diversità in un quadro più coerente e compatibile a livello europeo, soddisfacendo una condizione di trasparenza, e quindi di concorrenzialità, delle università europee sia a livello europeo che mondiale.

Le università europee si sono a lungo definite secondo alcuni grandi modelli, in particolare il modello ideale d'università ideato, quasi due secoli fa, da Wilhelm von Humboldt con la sua riforma dell'università tedesca, che mette la ricerca al centro dell'attività universitaria e ne fa la base dell'insegnamento. Oggi la tendenza è ad allontanarsi da questi modelli, e a muovere verso una maggiore differenziazione. Ne risulta l'emergere di istituti più specializzati che si concentrano su un nucleo di competenze specifiche in materia di ricerca e d'insegnamento, e/o su alcune dimensioni dell'attività, ad esempio sul loro inserimento in una strategia di sviluppo regionale mediante l'istruzione e la formazione degli adulti.

3.3. Le università europee di fronte alle nuove sfide

In tutto il mondo, ma soprattutto in Europa, le università si trovano nell'assoluta necessità di adattarsi a una serie di cambiamenti profondi. Si possono ripartire tali cambiamenti in cinque grandi categorie.

L'aumento della domanda di formazione superiore

Tale aumento continuerà negli anni a venire [10], sotto la doppia pressione dell'obiettivo, fissato da alcuni paesi, di accrescere il numero di studenti che partecipano all'istruzione superiore [11] e delle nuove necessità legate all'istruzione e alla formazione lungo tutto l'arco della vita. Il fenomeno, che il ridotto tasso di natalità europeo dovrebbe al massimo rallentare un po', manterrà la situazione di saturazione delle possibilità degli atenei.

[10] Commissione europea, Centro comune di ricerca, relazione sul futuro dell'istruzione da qui al 2010 (Le futur de l'éducation d'ici à 2010), giugno 1999.

[11] Alcuni paesi, come il Regno Unito e la Danimarca, hanno fissato l'obiettivo di formare il 50% di una fascia d'età al livello universitario entro il 2010.

Come assorbire questa domanda crescente, tenuto conto dei limiti in termini di risorse umane (che dovrebbero registrare un deficit nei prossimi anni sia per i docenti che per i ricercatori) e di mezzi finanziari (che non aumentano proporzionalmente)? Come garantire nel tempo il finanziamento delle università che, per di più, si vedono confrontate con nuove sfide? La sfida consiste nel mantenere e rafforzare l'eccellenza in materia d'insegnamento e di ricerca, senza compromettere il livello di qualità offerto, garantendo un accesso ampio, equo e democratico.

L'internazionalizzazione dell'istruzione e della ricerca

L'internazionalizzazione, considerevolmente accelerata dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, si traduce in un aumento della concorrenza. Concorrenza tra università e tra paesi, ma anche fra università e altri istituti, in particolare laboratori pubblici di ricerca, i cui ricercatori non devono garantire parallelamente un servizio d'insegnamento, e istituti d'insegnamento privati, spesso specializzati e a volte aventi scopo di lucro. Poiché una parte sempre più importante dei fondi per le università è assegnata in competizione fra di esse, la concorrenza per attirare e mantenere i migliori talenti sarà sempre più forte.

Rispetto alle università americane però, quelle europee attirano meno studenti, e soprattutto meno ricercatori, stranieri. Se infatti le università europee nel 2000 accoglievano circa 450 000 studenti stranieri, quelle americane ne contavano più di 540 000 [12], in maggioranza dai paesi dell'Asia [13]. Gli Stati Uniti attirano poi, in proporzione, molti più studenti stranieri avanzati in ingegneria, matematica e informatica, e mantengono più spesso presso di sé i titolari di un dottorato: circa il 50% degli europei che hanno ottenuto il proprio titolo negli USA vi resta poi per diversi anni, e una parte vi rimane per sempre.

[12] Commissione europea, DG RTD, Cifre fondamentali 2002 (basate su dati OCSE ed Eurostat).

[13] Gli studenti di quattro paesi asiatici (Cina, India, Giappone e Corea del Sud) rappresentano da soli quasi il 40% del totale degli studenti stranieri negli USA (Open Doors 2001, IIE, New York).

Le università europee offrono infatti ai ricercatori e agli studenti un contesto meno interessante, in parte per il fatto che spesso non dispongono della massa critica necessaria, con conseguente necessità di procedere a collaborazioni, in forma di creazione di reti o di corsi di studio o diplomi comuni. Vi sono poi altri fattori esterni alle università, come le rigidità nel mercato del lavoro o la più bassa iniziativa imprenditoriale, col risultato di un minor numero di opportunità di lavoro nei settori innovativi. Queste tendenze si traducono in risultati inferiori ad es. per quanto riguarda i fondi per la ricerca, i collegamenti con l'industria, il numero di brevetti e di imprese create come emanazione delle università rispetto agli Stati Uniti e al Giappone [14].

[14] Commissione europea, comunicazione "Verso uno spazio europeo della ricerca", COM(2000) 6 del 18.1.2000 e "Lo spazio europeo della ricerca: imprimere un nuovo slancio", COM(2002) 565 del 16.10.2002.

Sviluppare una stretta ed efficace cooperazione tra università e industria

Occorre intensificare la cooperazione tra università e industria a livello nazionale e regionale, nonché orientarla maggiormente verso l'innovazione, la creazione di nuove imprese e, più in generale, il trasferimento e la divulgazione della conoscenza. Dal punto di vista della concorrenzialità è vitale che il sapere dalle università si avvii verso le imprese e la società. I due principali meccanismi di trasmissione diretta all'industria delle conoscenze e competenze possedute e sviluppate dalle università sono brevettare la proprietà intellettuale delle università e creare imprese nuove e derivate dal lavoro degli atenei.

I dati degli Stati membri relativi alla misura in cui le università stanno mettendo sul mercato le proprie ricerche scarseggiano, il che rende difficile dire se le università dell'UE sfruttino adeguatamente i risultati del proprio lavoro insieme al mondo dell'impresa, ma vi sono alcune cifre disponibili grazie alla "indagine comunitaria sull'innovazione", che fra l'altro chiede alle imprese quali siano le loro principali fonti di informazioni per l'innovazione.

I risultati [15] indicano che le fonti connesse col mondo dell'istruzione e della ricerca pubblica sono piuttosto indietro nella classifica. Meno del 5% delle imprese innovative riteneva le informazioni provenienti dagli istituti di ricerca pubblici, o privati ma senza fini di lucro, dalle università e da altri istituti d'istruzione superiore una fonte d'informazioni molto importante.

[15] "Statistiche sulla Innovazione in Europa" dati 1996-1997, EUROSTAT

Sarebbe di aiuto per la divulgazione del sapere tra le industrie dell'UE, comprese le PMI dei settori tradizionali, se le università perseguissero attivamente la promozione di efficaci rapporti università-industria e sfruttassero meglio i risultati delle loro conoscenze in relazione con l'industria. Opportuni criteri di valutazione del rendimento delle università potrebbero tener conto di questo aspetto.

La Commissione europea continuerà ad analizzare le barriere esistenti e i fattori che possono contribuire a questa cooperazione, e renderà noti i risultati a tutti gli interessati.

La moltiplicazione dei luoghi di produzione della conoscenza

Questo fenomeno e la tendenza crescente delle imprese a dare in subappalto le proprie attività di ricerca alle migliori università hanno per conseguenza che le università devono lavorare in un ambiente sempre più concorrenziale. Ai legami tradizionali fra le università di una regione e le industrie che le circondano vengono a sovrapporsi relazioni nuove. La prossimità geografica non costituisce più la principale base di scelta di un partner con cui lavorare. Da parte loro, le imprese ad alta tecnologia tendono a stabilirsi accanto alle università migliori. L'accorciarsi dei tempi fra le scoperte e la loro applicazione ed entrata sul mercato pone il problema del ruolo e del contributo delle università al processo d'innovazione tecnologica, e dei legami tra università e imprese.

La riorganizzazione della conoscenza

Tale fenomeno presenta in particolare due tendenze che esercitano pressioni in sensi contrari. Da un lato, con la diversificazione e la specializzazione crescenti della conoscenza, e con l'emergere di settori di ricerca e d'insegnamento a specializzazione sempre più acuta e precisa. Dall'altro, il mondo accademico ha un bisogno urgente di adattarsi al carattere interdisciplinare delle questioni aperte dai grandi problemi della società, come lo sviluppo sostenibile, le nuove malattie, la gestione dei rischi, ecc. Le attività universitarie, in particolare in materia d'insegnamento, tendono però a restare organizzate, e spesso compartimentate, in funzione del quadro disciplinare tradizionale.

La riorganizzazione della conoscenza si manifesta anche con un certo confondersi delle frontiere tra ricerca fondamentale e ricerca applicata, ma senza arrivare fino al punto di privare completamente di senso la differenza tra la ricerca della conoscenza in sé da un lato e il suo sviluppo in vista di obiettivi precisi dall'altro, in particolare per quanto riguarda la traduzione delle conoscenze ottenute in prodotti o procedimenti e tecnologie.

La ricerca fondamentale rimane dunque un settore primario delle attività universitarie di ricerca. È la capacità delle grandi università di ricerca americane in questo settore che le rende controparti interessanti per l'industria, la quale finanzia una quantità sostanziale delle attività di questo tipo. La ricerca fondamentale nelle università dunque si svolge in un contesto d'applicazione, senza perdere per questo il suo carattere fondamentale. In Europa, le università tendono a effettuare per le imprese ricerche di diretta natura applicata, fino a prestazioni di servizi scientifici, il cui sviluppo eccessivo potrebbe mettere in pericolo la loro capacità di contribuire al progresso della conoscenza.

L'emergere di nuove aspettative

Accanto al suo compito fondamentale di formazione iniziale, l'università deve rispondere alle necessità nuove in materia di istruzione e formazione che emergono con l'economia e la società della conoscenza. Fra queste si contano esigenze crescenti di istruzione scientifica e tecnica, di competenze trasversali e di possibilità di apprendimento lungo tutto l'arco della vita che richiedono una più grande permeabilità tra le componenti e i livelli dei sistemi d'istruzione e di formazione. Le università europee sono direttamente interessate dall'istruzione scientifica, in particolare perché formano i professori di scienze per l'insegnamento secondario. Inoltre, il contributo che ci si aspetta dalle università alle strategie di apprendimento lungo tutto l'arco della vita le induce ad ampliare gradualmente le condizioni di accesso all'insegnamento (in particolare per permettere l'accesso a coloro che non vengono dall'istruzione secondaria superiore, con un migliore riconoscimento delle competenze acquisite fuori dall'università e dall'istruzione formale), ad aprirsi maggiormente all'industria, a migliorare i servizi agli studenti e a differenziare la loro offerta di formazione, in termini di categorie destinatarie, di contenuti e di metodi d'insegnamento [16].

[16] Commissione europea, comunicazione "Realizzare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente", COM(2001) 678 del 21.10.2001.

Lo sviluppo dell'economia e della società della conoscenza porta poi le università a inserirsi più profondamente nella vita della città. Accanto allo svolgimento dei suoi compiti fondamentali di produzione e trasmissione delle conoscenze, e in collegamento con queste, l'università funziona oggi come fonte principale di competenze in numerosi settori. Essa può e deve diventare ancor più un luogo di riflessione sulla conoscenza e di dibattito e dialogo tra scienziati e cittadini.

Poiché vive di cospicui finanziamenti pubblici e privati, e dal momento che le conoscenze che produce e trasmette hanno un impatto significativo sull'economia e la società, l'università è responsabile del modo in cui funziona e gestisce le proprie attività e i propri bilanci dinanzi ai suoi finanziatori e ai cittadini. Ne deriva una pressione crescente affinché inserisca nelle proprie strutture di amministrazione e gestione dei rappresentanti del mondo non accademico.

4. SFIDE EUROPEE

4.1. Le università e la dimensione europea

In materia universitaria, la competenza è essenzialmente demandata agli Stati membri, a livello nazionale o regionale. Le sfide più importanti che si aprono davanti alle università sono invece di natura europea, se non internazionale o mondiale. Oggi, l'eccellenza non si genera e non si misura più sul piano nazionale, nemmeno nei più grandi paesi europei, ma al livello della comunità europea o mondiale degli insegnanti e dei ricercatori.

In questo contesto si pongono la questione della compatibilità e trasparenza dei sistemi di riconoscimento delle qualifiche (al centro del processo di convergenza inaugurato a Bologna) e il problema degli ostacoli alla mobilità degli studenti e dei ricercatori [17] in Europa. La mobilità degli studenti, ad esempio, resta un fenomeno marginale in Europa. Nel 2000, solo il 2,3% degli studenti europei svolgeva i propri studi in un altro paese europeo [18]. Se, poi, la mobilità dei ricercatori è superiore a quella media della popolazione, resta però inferiore a quella registrata negli Stati Uniti. La tensione tra l'organizzazione delle università a livello degli Stati membri e l'emergere di sfide che superano le frontiere nazionali è aumentata in questi ultimi anni, e continuerà a farlo, per il convergere di diversi fattori:

[17] Commissione europea, comunicazione "Una strategia di mobilità per lo spazio europeo della ricerca", COM(2001) 331 def. del 26 giugno 2001.

[18] Questa debole media cela forti disparità tra gli Stati membri: se il 68% degli studenti lussemburghesi, il 10% dei greci e il 9% degli irlandesi studiava fuori dal proprio paese, solo lo 0,7% di quelli del Regno Unito e l'1,2% degli spagnoli faceva altrettanto.

- il sorgere di un vero mercato europeo del lavoro, all'interno del quale i cittadini europei devono poter muoversi liberamente [19] e in cui le difficoltà legate al riconoscimento delle qualifiche acquisite costituiscono dunque un ostacolo obsoleto;

[19] A questo riguardo, la Commissione europea ha presentato un piano d'azione per le competenze e la mobilità, COM(2002) 72 del 13.2.2002.

- le attese create in materia di riconoscimento dalle azioni intraprese dall'Unione europea stessa per stimolare la mobilità, in particolare tramite l'iniziativa Erasmus;

- l'emergere di un'offerta globalizzata di programmi universitari di varia natura, l'insistenza della fuga dei cervelli, degli studenti e dei ricercatori di alto livello, nonché il persistere di un livello relativamente debole di attività delle università europee a livello internazionale;

- l'intensificazione di questi fattori causata dall'allargamento dell'Unione, a causa della maggiore eterogeneità del panorama universitario europeo che ne deriverà.

La natura e l'ampiezza delle sfide legate al futuro delle università richiedono di affrontare queste questioni a livello europeo. Più precisamente, rendono necessario intraprendere uno sforzo congiunto e coordinato degli Stati membri e dei paesi candidati, accompagnato e sostenuto dall'Unione europea, con l'obiettivo di aiutare a fare emergere una vera Europa della conoscenza.

4.2. L'azione dell'Unione europea a favore delle università.

Le università possono ricorrere a diverse iniziative comunitarie nei settori della ricerca e dell'istruzione. In materia di ricerca, beneficiano ad esempio di circa un terzo dei finanziamenti del Programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico, e in particolare delle azioni di sostegno alla formazione e alla mobilità dei ricercatori (Azioni Marie Curie).

L'attrattiva del programma quadro per le università dovrebbe ulteriormente aumentare con la sua sesta edizione [20], per via del rafforzamento delle azioni a favore della formazione e della mobilità, della realizzazione di un sistema di sostegno alla creazione di équipe di giovani con potenziale di eccellenza, nonché in ragione della sottolineatura fatta della ricerca fondamentale nel contesto delle "reti di eccellenza" o di "progetti integrati" [21], in particolare nel quadro delle azioni di promozione della ricerca "alle frontiere della conoscenza" (azione NEST).

[20] Decisione del Consiglio e del Parlamento europeo 1513/2002/CE, GU L 232 del 29.8.2002, pag. 1.

[21] Le "reti di eccellenza" sono uno strumento d'integrazione delle capacità di ricerca europee in una prospettiva di progresso delle conoscenze, i "progetti integrati" uno strumento di esecuzione di ricerche orientate verso un obiettivo preciso. Entrambi gli strumenti mirano a raccogliere una massa critica di mezzi e sono utilizzati nei sette "settori tematici prioritari" del Sesto programma quadro.

Le università sono anche chiamate ad assumere un ruolo importante nelle iniziative inserite nel quadro del piano d'azione "Scienza e società" [22], che ha l'obiettivo di stimolare lo sviluppo e migliorare il coordinamento delle attività e delle politiche nazionali in settori come la consulenza scientifica e il dibattito coi cittadini, l'etica, l'istruzione scientifica, il tema "Donne e scienza".

[22] Commissione europea, comunicazione sul piano d'azione "Scienza e società", COM (2001) 714 del 4.12.2001.

Inoltre, le università sono coinvolte in alcune azioni condotte dall'Unione sul tema dell'innovazione tecnologica, ad esempio le azioni di sostegno allo sfruttamento dei risultati della ricerca e allo sviluppo dei parchi scientifici, tramite il Programma quadro o con il sostegno dei fondi strutturali o della Banca europea degli investimenti (BEI).

Nel settore dell'istruzione e della formazione, le università partecipano molto attivamente a tutte le azioni del programma Socrates, in particolare Erasmus. Dal suo avvio a oggi, più di un milione di studenti ha beneficiato di quest'azione, e ogni anno circa 12 000 professori si avvalgono di una mobilità Erasmus. Numerose reti tematiche interuniversitarie contribuiscono a propria volta a rafforzare la cooperazione a livello europeo, agendo da "think tank" sul futuro o sullo sviluppo della loro disciplina. La Comunità ha sostenuto l'attuazione del sistema europeo per il trasferimento delle unità di corsi capitalizzabili (ECTS), per il riconoscimento dei periodi di studio. Il programma Leonardo poi sostiene in modo particolare progetti di mobilità tra università e imprese, con 40 000 beneficiari tra il 1995 ed il 1999. Le università sono anche coinvolte nell'iniziativa eEurope e nel suo piano d'azione eEurope 2005, che incoraggia tutti gli atenei a sviluppare un accesso in linea ("campus virtuale") per studenti e ricercatori [23].

[23] Comunicazione della Commissione "Piano d'azione eLearning - Pensare all'istruzione di domani", COM(2001) 172 def. del 28.3.2001.

Questa cooperazione si estende anche ad altre regioni del mondo. La maggior parte del Programma quadro comunitario di ricerca è aperta a tutti i paesi del mondo e sostiene in particolare la cooperazione coi paesi della regione mediterranea, la Russia e i nuovi Stati indipendenti, nonché coi paesi in via di sviluppo. Tramite il programma Tempus, l'UE sostiene la cooperazione universitaria coi paesi dell'ex Unione Sovietica, dell'Europa sudorientale e, con l'estensione realizzata nel 2002, della regione mediterranea. Anche i rapporti con altre aree geografiche beneficiano di iniziative come, ad esempio, ALFA e Asia-Link. Nell'insieme, queste attività favoriscono una certa irradiazione dell'universo accademico europeo nel mondo. Si noterà anche la proposta di programma "Erasmus World", che permetterà all'Unione di sostenere dei "master europei" intesi ad attirare in Europa alcuni fra i migliori studenti del mondo, per studi condotti almeno in due paesi europei.

Infine, la Commissione sostiene e contribuisce a stimolare il processo di Bologna, che mira a creare, entro il 2010, uno spazio europeo dell'istruzione superiore coerente, compatibile e competitivo mediante riforme convergenti attorno ad alcuni obiettivi strutturali.

5. TRASFORMARE LE UNIVERSITÀ EUROPEE IN UN PUNTO DI RIFERIMENTO A LIVELLO INTERNAZIONALE

Per svolgere interamente il loro ruolo nella creazione dell'Europa della conoscenza, le università europee devono raccogliere, con l'aiuto degli Stati membri e in un contesto europeo, numerose sfide. Le università riusciranno a liberare il proprio potenziale soltanto al prezzo di un cambiamento profondo, necessario per trasformare il sistema europeo in un vero punto di riferimento a livello internazionale. Si tratta di perseguire simultaneamente i tre obiettivi seguenti:

- garantire che le università europee dispongano di risorse sufficienti e durature e che le utilizzino in modo efficace;

- rafforzarne l'eccellenza, in materia di ricerca e di insegnamento, in particolare con attività di rete;

- aprire maggiormente le università verso l'esterno e aumentare la loro attrattiva internazionale.

5.1. Garantire alle università europee risorse sufficienti e durature

Mezzi insufficienti

Gli Stati membri dedicano in media il 5% del loro PIL alla spesa pubblica generale per l'istruzione. Si tratta di un livello comparabile a quello degli Stati Uniti, e superiore a quello del Giappone (3,5%). Negli ultimi anni però tale spesa pubblica in Europa non è aumentata col PIL, e anzi è addirittura calata nel corso dell'ultimo decennio. Le spese totali per la sola istruzione superiore non sono aumentate proporzionalmente alla crescita del numero di studenti in alcuno Stato membro. Si è così scavato un notevole solco rispetto agli Stati Uniti: l'1,1% del PIL per l'Unione contro il 2,3%, cioè più del doppio, per gli Stati Uniti. Questo divario si spiega anzitutto con lo scarso livello dei finanziamenti privati a favore dell'istruzione superiore in Europa. Tali finanziamenti infatti corrispondono solo allo 0,2% del PIL europeo, contro lo 0,6% del Giappone e l'1,2% degli USA.

Le università americane dispongono di mezzi molto più rilevanti di quelli delle università europee - in media, da due a cinque volte superiori per ogni studente. Le risorse portate dagli studenti stessi, compresi i molti studenti stranieri, contribuiscono in parte a spiegare questo divario. Ma le università americane beneficiano di finanziamenti pubblici sostanziali, anche tramite i crediti di ricerca e di difesa, e di finanziamenti privati importanti, in particolare in materia di ricerca fondamentale, forniti dalle imprese e tramite fondazioni. Le grandi università di ricerca private inoltre possiedono spesso un patrimonio considerevole, gradualmente costituito grazie a donazioni private, in particolare quelle delle associazioni di laureati.

Il livello di finanziamento sempre più insufficiente delle università europee compromette le loro capacità di attirare e mantenere i migliori talenti e di rafforzare l'eccellenza delle attività di ricerca e d'insegnamento [24]. Essendo poco probabile che fondi pubblici addizionali possano da soli colmare il solco che si va creando, occorre trovare i mezzi per aumentare e diversificare le entrate delle università. La Commissione lancerà uno studio sul finanziamento delle università europee, per analizzare le principali tendenze in questo settore e individuare esempi di buone prassi.

[24] La Commissione ha presentato elementi intesi a stimolare la riflessione e il dibattito sulla questione del finanziamento delle università con le comunicazioni "Investire efficacemente nell'istruzione e nella formazione: un imperativo per l'Europa" (COM(2002) 779 del 10.1.2003) e "Più ricerca per l'Europa - Obiettivo: 3% del PIL" (COM(2002) 499 dell'11.9.2002).

Al Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002, l'Unione si è data l'obiettivo di aumentare lo sforzo europeo di ricerca fino al 3% del suo PIL [25]. Ne deriva la necessità di uno sforzo particolare in materia di risorse umane per la ricerca.

[25] Commissione europea, comunicazione "Più ricerca per l'Europa - Obiettivo: 3% del PIL", COM (2002) 499 dell'11.9.2002.

5.1.1. Aumentare e diversificare le entrate delle università.

Si possono individuare quattro fonti principali di entrate per le università:

- Il finanziamento pubblico della ricerca e dell'insegnamento, nelle sue varie forme, tra cui contratti di ricerca attribuiti per via concorrenziale: si tratta tradizionalmente della principale fonte di finanziamento delle università europee. Tenuto conto della situazione di bilancio degli Stati membri e dei paesi candidati, il margine di manovra per l'aumento del sostegno pubblico appare però limitato. Benché gli Stati membri abbiano assunto, a Lisbona nel marzo 2000, l'impegno di aumentare in modo sostanziale l'investimento nelle risorse umane, sembra poco probabile che i loro sforzi possano coprire, da soli, l'aumento previsto del numero di studenti, o permettere di recuperare il ritardo rispetto agli Stati Uniti.

- Le donazioni private possono rappresentare una fonte sostanziale di redditi per le università, come mostra il caso USA. Tuttavia, il loro sviluppo in Europa si scontra con una serie di problemi, in particolare la scarsa attrattiva delle donazioni private dal punto di vista fiscale o lo statuto delle università, che non sempre permette loro di accumulare fondi privati e patrimoni. Queste difficoltà spiegano anche, almeno in parte, l'assenza di una tradizione filantropica comparabile a quella degli Stati Uniti, dove gli ex studenti restano spesso legati all'università di provenienza, anche molto tempo dopo la fine degli studi.

- Le università possono anche ottenere delle entrate dalla vendita di servizi (tra cui servizi di ricerca e possibilità flessibili di apprendimento lungo tutto l'arco della vita), in particolare alle imprese, e dallo sfruttamento dei risultati della ricerca. Al momento però non si tratta di contributi sostanziali al finanziamento delle università europee, in parte a causa di un quadro regolamentare che non permette veramente alle università di trarre vantaggio dalle attività di ricerca, o non le incoraggia a farlo, ad esempio perché i "diritti d'autore" sono versati allo Stato, non all'università o ai ricercatori.

- Infine, i contributi degli studenti, sotto forma di tasse d'iscrizione e altri diritti. In Europa, questi contributi sono generalmente limitati, o addirittura proibiti, allo scopo di garantire un accesso democratico all'istruzione superiore.

Domande per il dibattito

- Come garantire un finanziamento pubblico sufficiente delle università, tenendo conto allo stesso tempo dei limiti di bilancio e della necessità di garantire condizioni democratiche di accesso?

- Come incoraggiare le donazioni private rendendole più attraenti, in particolare dal punto di vista fiscale e legale?

- Come conferire alle università la flessibilità necessaria che consenta loro di trarre vantaggio dall'esistenza di un mercato dei servizi in piena espansione?

5.1.2. Utilizzare più efficacemente le risorse finanziarie disponibili.

Le università devono utilizzare le risorse finanziarie limitate di cui dispongono nel modo più efficace possibile. Ne hanno l'obbligo nei confronti delle loro "controparti": gli studenti che formano, le autorità pubbliche che le finanziano, il mercato del lavoro che utilizza le qualifiche e le competenze da loro trasmesse e la società nel suo insieme, per cui le università svolgono funzioni importanti legate alla vita economica e sociale. L'obiettivo deve essere quello di portare al massimo il rendimento sociale delle risorse investite, ma vi sono numerosi indizi [26] a segnalare che queste non sono attualmente utilizzate nel modo più efficiente.

[26] Detti indizi sono analizzati in dettaglio nella comunicazione "Investire efficacemente nell'istruzione e nella formazione: un imperativo per l'Europa".

- Un tasso elevato di abbandono degli studi, pari cioè a una media UE di circa il 40%. La democratizzazione dell'istruzione superiore si è tradotta in un'espansione enorme della popolazione studentesca, senza un cambiamento fondamentale delle strutture e delle condizioni di vita universitarie. Nella maggior parte degli Stati membri, il superamento degli studi a livello medio superiore dà un diritto automatico d'accesso agli studi universitari, senza ulteriore selezione. Questo diritto è considerato un elemento essenziale di democrazia, una garanzia di uguaglianza fra i cittadini. Accade così che un ampio numero di studenti intraprenda gli studi universitari senza una vera vocazione, non trovando poi nella formazione ricevuta ciò di cui hanno bisogno. In alcuni Stati membri sono le università stesse a prevedere un sistema di selezione; in particolare, alcune discipline [27] sono a volte soggette a selezioni supplementari.

[27] Soprattutto medicina e veterinaria.

- Una mancata corrispondenza tra offerta di qualifiche (pensata in una prospettiva di medio termine, in ragione della durata degli studi) e domanda (che spesso riflette esigenze di brevissimo termine e risulta più eterea) di persone qualificate, il che può tradursi in particolare in deficit duraturi in settori quali le scienze e la tecnologia. La formazione universitaria non riguarda infatti soltanto gli individui che ne beneficiano: la società in generale deve cercare di ottimizzare il rendimento sociale del capitale investito, rappresentato dal finanziamento degli studi che si prende a carico. Una mancata corrispondenza tra qualifiche offerte e richieste indica da questo punto di vista un uso non ottimale delle risorse.

- La durata degli studi per un certo diploma in Europa può variare del doppio. Ciò spiega le enormi disparità nel costo totale di uno studente calcolato sulla base del numero medio di anni di studio. In Germania, ad esempio, la formazione di un ingegnere civile si conclude normalmente in 5-6 anni, ed è finanziata interamente con fondi pubblici. Nel Regno Unito, sono previsti solo 3 anni di studi universitari alle spese del bilancio pubblico, seguiti da 3 a 5 anni di formazione in impresa, sancita da un esame riconosciuto dallo Stato - il tutto a spese del datore di lavoro, e accompagnato da un'esperienza pratica. Queste differenze di durata, anche tra paesi che si riconoscono reciprocamente i titoli, sono sorprendenti se si pensa all'adesione generale al processo di Bologna, il cui obiettivo è la creazione di uno spazio europeo dell'istruzione superiore entro il 2010. La differenza di costi per l'erario porta a chiedersi se le risorse siano utilizzate in modo ottimale.

- Nello stesso ordine di idee, la disparità degli statuti e delle condizioni di assunzione e di lavoro per i ricercatori a livello pre- e post-dottorale in Europa non favorisce la migliore distribuzione possibile dei mezzi stanziati.

- L'Europa soffre fra l'altro della mancanza di un sistema trasparente di calcolo dei costi della ricerca nelle sue università, a causa della disparità, dell'opacità e della complessità dei sistemi contabili utilizzati. Ciò ha indotto il gruppo di alti consulenti della Commissione per la ricerca (EURAB, European Research Advisory Board) a proporre un sistema improntato alla responsabilità, alla semplicità e alla trasparenza, per consentire il calcolo dei costi reali della ricerca, e per procedere a raffronti.

Domande per il dibattito

- Come combinare il mantenimento di un accesso democratico all'istruzione superiore con una riduzione del tasso di fallimento e di abbandono degli studi?

- Come garantire una maggiore corrispondenza tra l'offerta e la domanda di qualifiche universitarie sul mercato dell'occupazione, con un migliore orientamento?

- È necessario procedere a un'equiparazione della durata degli studi quando si tratta delle medesime qualifiche?

- Come si può rafforzare la trasparenza dei costi della ricerca nelle università?

5.1.3. Sfruttare più efficacemente i risultati del lavoro scientifico

Sfruttamento della ricerca e creazione insufficiente di imprese spin-off.

Essendo una delle principali fonti di conoscenze nuove, le università svolgono nel processo d'innovazione tecnologica un ruolo sempre più visibile. In Europa però ciò non avviene al livello possibile e necessario. Dalla metà degli anni Novanta, continua a crescere in Europa il numero di giovani imprese tecnologiche ("spin-off") create dalle università, in particolare attorno a un certo numero di atenei. La loro densità media resta però nettamente inferiore al livello registrato in prossimità dei campus americani. Infatti, le imprese create in Europa da ricercatori o in associazione con essi sono di meno, e del resto le imprese che sorgono sul nostro continente tendono a crescere meno velocemente e a durare meno nel tempo.

Un notevole ostacolo a un migliore sfruttamento dei risultati della ricerca universitaria è il modo in cui sono trattate, in Europa, le questioni connesse con la proprietà intellettuale. Negli Stati Uniti, la "legge Bayh-Dole" riconosce agli istituti in cui si svolgono lavori di ricerca sostenuti da fondi federali, in particolare le università, la proprietà dei loro risultati, nell'intenzione di incoraggiare lo sfruttamento dei risultati della ricerca accademica. In Europa, negli ultimi anni, diverse legislazioni nazionali hanno conosciuto sviluppi convergenti verso formule vicine alla legge Bayh-Dole, e gli Stati membri che non hanno ancora adottato disposizioni di questo tipo sono sul punto di farlo. L'effetto reale di queste misure non può ancora essere misurato, ma le divergenze esistenti rispetto alle disposizioni in vigore in alcuni Stati membri, nonché il carattere nazionale della regolamentazione, hanno in Europa l'effetto di complicare e limitare il trasferimento di tecnologie e le collaborazioni transnazionali. Più in generale, il Brevetto comunitario apre prospettive di sfruttamento su scala europea, ma la discussione in merito è ancora in corso.

Le università europee possiedono inoltre strutture di gestione dei risultati della ricerca poco evolute, meno sviluppate, ad esempio, di quelle degli enti pubblici di ricerca. Un altro fattore in gioco è la mancanza di familiarità di molti universitari con le realtà economiche della ricerca, in particolare gli aspetti gestionali e le questioni di proprietà intellettuale. L'idea di una valorizzazione dei risultati della ricerca, inoltre, è ancora considerata con sospetto da numerosi ricercatori e responsabili universitari, in particolare a causa del difficile equilibrio da trovare tra le necessità di utilizzazione economica da una parte, e la necessità di preservare, nell'interesse comune, l'autonomia delle università e il libero accesso alle conoscenze dall'altra.

Domande per il dibattito

- Come facilitare la creazione, da parte delle università e dei loro ricercatori, di imprese destinate a utilizzare i risultati delle ricerche che conducono, e permettere loro di beneficiare meglio dei risultati di questo utilizzo?

- Come incoraggiare le università e i ricercatori a individuare, gestire e valorizzare il potenziale commerciale delle loro ricerche?

- Quali sono gli ostacoli che rallentano attualmente la realizzazione di tale potenziale, sul piano legislativo e su quello del diritto della proprietà intellettuale? Come possono essere superati, in particolare nei paesi in cui l'università è finanziata quasi esclusivamente con fondi pubblici?

5.2. Rafforzare l'eccellenza delle università europee

5.2.1. Creare le condizioni dell'eccellenza

Per consentire all'Europa di arrivare a una vera eccellenza delle proprie università, occorre realizzare varie condizioni. Alcune di esse già esistono in alcuni Stati membri; l'elenco non pretende di essere esaustivo, ma rappresenta un punto di riferimento per l'ulteriore dibattito. Come in molti altri settori citati dalla presente comunicazione, occorre affrontare i problemi individuati nel quadro delle stesse strutture universitarie, nonché della regolamentazione nella cui cornice queste operano. Se però questo non sarà fatto in modo convergente e coerente per tutta l'Europa, gli sforzi perderanno gran parte del proprio valore. L'obiettivo dev'essere portare tutte le università all'acme del proprio potenziale, senza lasciare nessuno indietro, mentre un'azione frammentaria ridurrebbe lo slancio del mondo universitario di tutta l'Europa. Questo processo di convergenza fornirebbe, al pari delle riforme strutturali seguite alla Dichiarazione di Bologna, un contesto favorevole in cui gli Stati membri potrebbero operare i cambiamenti.

Necessità di pianificazione e finanziamento a lungo termine.

La prima condizione necessaria per lo sviluppo e la promozione dell'eccellenza è un contesto in cui sia possibile la pianificazione a lungo termine. L'eccellenza non si fa in un sol giorno: costruire una reputazione all'insegna dell'eccellenza in qualunque disciplina (o sottodisciplina) è questione di anni, e dipende dal giudizio critico dei colleghi, che si misura non a livello di paese ma europeo o anche mondiale. Accumulare il capitale intellettuale rappresentato da un'équipe di ricercatori efficiente e di livello mondiale, guidata dalla migliore combinazione di visione e tenacia e composta da persone capaci di recare un contributo davvero complementare a quello delle altre, richiede molto tempo e la possibilità di reclutare personale in tutto il mondo.

Nonostante ciò i governi, che sono ancora i maggiori finanziatori delle università, provvedono ai bilanci su base annuale, e si trovano in difficoltà se c'è da guardare oltre un numero di anni limitato. Anche se diversi Stati membri si sono riconvertiti a un sistema di contratti pluriennali con le università, il periodo di tempo previsto supera raramente i quattro anni. Inoltre, alla fine del quadriennio potrebbero essersi svolte delle elezioni, la posizione del governo essere cambiata, gli obiettivi precedentemente fissati aver perso importanza e, in casi estremi, addirittura esser stati abbandonati.

Gli Stati membri insomma necessitano di un consenso generale della politica e della società civile nei confronti del contributo apportato dall'eccellenza nella ricerca e nelle università, nonché per quanto riguarda la necessità di riservagli condizioni favorevoli. Tale consenso dovrebbe cercare, per quanto possibile, di preservare in parte il settore della ricerca dai rischi rappresentati dal mutare delle circostanze finanziarie. Il periodo in cui dovrebbe essere permesso alle università di pianificare, sviluppare le proprie strategie ed esercitare la propria autonomia di cui alla sezione 5.1 dovrebbe poter aumentare a 6 o anche 8 anni, se possibile.

Necessità di strutture e pratiche di gestione efficienti.

Una seconda condizione è che le strutture di gestione di un'università rispondano alle diverse esigenze dell'istituto e alle aspettative della società - cioè di chi provvede al grosso del suo finanziamento. Ne consegue che le università devono disporre di processi decisionali efficaci, devono essere capaci di una gestione amministrativa e finanziaria sviluppata e di far corrispondere le gratificazioni ai risultati. Inoltre, il sistema dovrebbe essere concepito tenendo chiaramente presente la questione della responsabilità. Gestire un'università moderna è un affare complesso, da aprire a professionisti estranei alla tradizione puramente accademica, a condizione che la fiducia nella gestione dell'istituto si mantenga solida. Va aggiunto che la libertà di finanziamento di per sé cambierà la cultura finanziaria delle università, ma da sola non basterà ad aumentare la qualità della gestione.

Necessità di sviluppare capacità interdisciplinari.

Una terza condizione per raggiungere l'eccellenza è che le università siano messe in grado di fare più lavoro di tipo interdisciplinare e incoraggiate in questo senso. Come si è notato più sopra (sezione 3.3), la ricerca avanzata si viene sempre più spesso a trovare fuori dai limiti di una singola disciplina, in parte perché i problemi possono essere più complessi, ma soprattutto perché la nostra percezione dei problemi è progredita, e ormai siamo più consapevoli delle diverse specializzazioni necessarie per esaminare sfaccettature differenti dello stesso problema.

Per organizzare il lavoro su base interdisciplinare occorre che le università abbiano un'organizzazione flessibile, affinché persone di dipartimenti diversi possano mettere in comune le conoscenze e lavorare insieme, anche ricorrendo alle TIC; serve inoltre flessibilità nel valutare e premiare le carriere, in modo che il lavoro interdisciplinare non risulti penalizzato per il fatto di essere svolto fuori dal consueto contesto dei dipartimenti. Infine, è necessario che i dipartimenti stessi accettino questo lavoro "transfrontaliero" e ne riconoscano il contributo agli obiettivi della facoltà.

Domande per il dibattito

- Come rafforzare il consenso attorno alla necessità di promuovere l'eccellenza nelle università, in condizioni che consentano di coniugare autonomia ed efficacia di gestione?

- Come incoraggiare le università a gestirsi il più efficacemente possibile, tenendo conto allo stesso tempo delle loro necessità e delle attese legittime della società nei loro confronti?

- Quali misure possono incoraggiare l'interdisciplinarietà nel lavoro universitario, e chi le dovrebbe adottare?

5.2.2. Sviluppare centri e reti europee d'eccellenza

La necessità di conciliare l'imperativo dell'eccellenza con gli effetti della precarietà dei mezzi e delle pressioni concorrenziali costringe le università e gli Stati membri a compiere delle scelte. Essi devono individuare i settori in cui le varie università hanno raggiunto, o possono ragionevolmente prevedere di raggiungere, l'eccellenza giudicata necessaria a livello europeo o internazionale, e concentrarvi i fondi di sostegno alla ricerca accademica. Tale politica permetterebbe di ottenere una qualità adeguata a livello nazionale in alcuni settori garantendo l'eccellenza a livello europeo, dal momento che nessuno Stato membro è in grado di raggiungere l'eccellenza ovunque.

La scelta degli ambiti da privilegiare deve basarsi su una valutazione effettuata all'interno di ciascun sistema universitario. Affinché risulti obiettiva e rispondente alla percezione della comunità scientifica e accademica europea e internazionale, tale valutazione dovrà essere effettuata ad opera di comitati comprensivi di figure esterne al sistema nazionale interessato. L'eccellenza accademica da valutare può anche comprendere quella di altre università alle quali gli istituti esaminati siano associati mediante accordi di cooperazione transnazionale. La scelta dei settori e degli istituti dev'essere rivista regolarmente, per garantire che l'eccellenza si mantenga e per consentire a nuovi gruppi di ricercatori di dimostrare il proprio potenziale.

La concentrazione dei finanziamenti per la ricerca su un minor numero di settori e di istituti dovrebbe tradursi in una maggiore specializzazione delle università, nel senso dell'evoluzione che si può già osservare verso uno spazio universitario europeo più differenziato, in cui le università tendono a concentrarsi sugli aspetti situati al centro delle loro competenze di ricerca e/o insegnamento. Se è chiaro che il legame tra ricerca e insegnamento continua a definire la specificità dell'università come istituzione, e che la formazione mediante la ricerca deve restare un aspetto essenziale della sua attività, questo legame non è però lo stesso in tutti gli istituti, per tutti i programmi e a tutti i livelli.

Il sostegno all'eccellenza e alla sua diffusione, in particolare all'eccellenza accademica, è un principio chiave del Sesto programma quadro comunitario di ricerca. Tramite le "reti d'eccellenza" di quest'ultimo, l'Unione cerca di promuovere la costituzione di capacità "virtuali" d'eccellenza dotate della massa critica necessaria e generalmente pluridisciplinari.

Domande per il dibattito

- Come incoraggiare i finanziatori delle università a concentrare i propri sforzi sull'eccellenza, in particolare nel settore della ricerca, in modo da raggiungere una massa critica europea che possa restare competitiva a livello mondiale?

- Come organizzare e far conoscere quest'eccellenza e gestire l'impatto delle misure adottate su tutti gli istituti e le équipe di ricerca?

- Come può l'Unione europea contribuire più e meglio allo sviluppo e mantenimento dell'eccellenza accademica in Europa?

5.2.3. L'eccellenza nelle risorse umane

Per mantenere il proprio posto e rafforzare il proprio ruolo sulla scena internazionale, l'Unione necessita di un serbatoio di ricercatori/insegnanti, di ingegneri e di tecnici di alto livello. La sede principale della loro formazione è l'università. Sul piano quantitativo, l'Unione si trova nella situazione paradossale di produrre leggermente più laureati in materie scientifiche e tecniche degli Stati Uniti, pur avendo meno ricercatori delle altre grandi potenze tecnologiche. La spiegazione di questo apparente paradosso si trova nel minor numero di posti di ricercatore offerti ai laureati in materie scientifiche in Europa, in particolare da parte del settore privato: solo il 50% dei ricercatori europei lavora nelle imprese, contro l'83% dei loro colleghi americani e il 66% di quelli giapponesi.

La situazione europea rischia di deteriorarsi negli anni a venire. L'assenza di prospettive di carriera allontanerà i giovani dagli studi scientifici e tecnici, e i laureati in materie scientifiche si rivolgeranno verso altre carriere più remunerative. Inoltre, circa un terzo dei ricercatori europei attuali andrà in pensione di qui a dieci anni. Per di più, essendo la situazione simile a quella degli Stati Uniti, la concorrenza tra università a livello mondiale dovrebbe aumentare.

Uno dei mezzi per opporsi a simili sviluppi sarebbe aumentare il numero di donne nelle carriere scientifiche e tecniche, in cui sono largamente sottorappresentate, in particolare ai livelli elevati di responsabilità. In media, nei paesi dell'Unione, si trovano infatti da 2 a 4 volte più uomini che donne laureate nelle discipline scientifiche, e le donne rappresentano solo tra un quarto e un terzo del personale di ricerca nei laboratori europei. Nel quadro dell'iniziativa "Donne e scienza" [28], sono in corso delle azioni volte a incoraggiare la partecipazione femminile allo sforzo europeo nel settore della ricerca, con l'individuazione degli ostacoli alla presenza delle donne e la divulgazione dei provvedimenti più efficaci adottati dagli Stati membri per rimuoverli.

[28] Relazione del gruppo di lavoro ETAN "Le politiche scientifiche nell'Unione europea: integrare la dimensione di genere, un fattore d'eccellenza", 1999; risoluzione del Parlamento europeo sulle donne e la scienza del 3 febbraio 2000 (PE 284.656); documento di lavoro dei servizi della Commissione "Donne e scienza: la dimensione del genere come leva per la riforma della scienza" SEC (2001) 771 del 15 maggio 2001; risoluzione del Consiglio su scienza e società e donne e scienza del 26 giugno 2001, GU C 119 del 14.7.2001, pag. 1; relazione del gruppo di Helsinki "Donne e scienza" National policies on women and science in Europe ("Politiche nazionali sulle donne e la scienza in Europa"), marzo 2002.

Un altro modo sarebbe arricchire il serbatoio di risorse rafforzando non soltanto la mobilità accademica interna all'Europa, ma anche quella fra università e industria. In questo contesto, alla mobilità virtuale basata sull'utilizzo delle TIC compete un ruolo di primo piano.

Nonostante una leggera evoluzione positiva in senso opposto, con l'adozione di iniziative pertinenti in diversi Stati membri, le università europee continuano infatti principalmente a reclutare cittadini del paese o della regione in cui sono situate, o appartenenti all'istituto stesso. Inoltre, la valutazione dei ricercatori si effettua secondo criteri che non valorizzano né incoraggiano il passaggio per altre università europee.

In questo contesto si pone anche l'essenziale questione del riconoscimento degli studi e delle qualifiche a livello europeo. L'assenza di un riconoscimento semplice e rapido a fini accademici o professionali costituisce oggi un ostacolo di prima grandezza alla mobilità dei ricercatori, e conseguentemente a una maggiore fecondazione di idee e ricerche tra università europee e alla loro irradiazione. Sono stati ideati strumenti specifici come l'ECTS, il supplemento al diploma, la rete NARIC (centri d'informazione sul riconoscimento accademico) e direttive comunitarie in tema, e quasi tutti gli Stati membri e i paesi candidati hanno investito in sistemi di garanzia della qualità riunitisi nella rete ENQA (European Network for Quality Assurance, "Rete europea per la garanzia della qualità"). È urgente esaminare se e come possa essere risolto (nel contesto del processo di Bologna finalizzato a una maggiore trasparenza e compatibilità) il problema del riconoscimento, che attualmente impedisce alle università di utilizzare in modo efficiente il loro potenziale e le loro risorse, e ne sta limitando l'espansione del pubblico destinatario.

Sul piano qualitativo, l'eccellenza nelle risorse umane dipende in gran parte dalle risorse finanziarie disponibili, ma anche dalle condizioni di lavoro e dalle prospettive di carriera. In generale, le prospettive di carriera nelle università europee, caratterizzate da una molteplicità di statuti, sono limitate e piene di incertezze. Al riguardo, la Commissione sostiene il processo di Bologna e la sua estensione agli studi di dottorato, e nota con interesse le sperimentazioni in corso su dottorati doppi o a controllo congiunto. Essa poi sottolinea la necessità di formare maggiormente i dottorandi nella prospettiva del lavoro interdisciplinare.

Le università europee offrono peraltro molte meno possibilità per chi ha conseguito il dottorato di quanto non facciano le controparti americane. Si tratterebbe di incoraggiare l'allargamento della gamma di possibilità offerte ai titolari di un dottorato oltre le carriere di ricerca.

L'Unione ha adottato numerose iniziative per incoraggiare e facilitare la mobilità dei ricercatori in Europa: nel quadro del progetto di spazio europeo della ricerca, ha definito una strategia a favore della mobilità dei ricercatori attuata grazie a una gamma di misure concrete. La Commissione presenterà inoltre, prossimamente, una comunicazione sulla questione delle carriere scientifiche.

Domande per il dibattito

- Quali sono le misure che permetterebbero di rafforzare l'attrattiva degli studi e delle carriere scientifiche e tecniche e la presenza delle donne nella ricerca?

- Quale risposta dovrebbe essere data - e da chi - alla mancanza di opportunità di sviluppo della carriera in Europa in seguito agli studi di dottorato, e come si potrebbe promuovere l'indipendenza dei ricercatori nell'esecuzione dei loro compiti? Quali sforzi potrebbero compiere le università in proposito, in particolare tenuto conto delle necessità di tutta l'Europa?

- Come aiutare le università europee a disporre di un serbatoio di risorse (studenti, insegnanti e ricercatori) di dimensione europea, grazie all'eliminazione degli ostacoli alla mobilità?

5.3. Aprire maggiormente le università europee verso l'esterno

5.3.1. Una più grande apertura internazionale.

Le università europee operano in un ambiente sempre più "globalizzato" e sono in concorrenza con le università degli altri continenti, in particolare quelle americane, per attirare e mantenere i migliori talenti di tutto il mondo. Se le università europee accolgono un numero di studenti stranieri di poco inferiore a quello delle università americane, attraggono però proporzionalmente meno studenti di alto livello e una minore quantità di ricercatori.

Nell'insieme, l'ambiente offerto dalle università europee è infatti meno interessante: in termini di condizioni finanziarie, materiali e di lavoro, per il fatto che le ricadute finanziarie dello sfruttamento dei risultati della ricerca e le prospettive d'evoluzione delle carriere sono inferiori [29], ma anche a causa del carattere inadeguato e male armonizzato delle disposizioni in materia di visti e di titoli di soggiorno per gli studenti, gli insegnanti e i ricercatori stranieri - che siano dell'Unione o di altri paesi del mondo. Diversi Stati membri hanno adottato di recente provvedimenti per rafforzare l'attrattiva delle rispettive università, dei laboratori e delle imprese per i ricercatori e gli studenti di alto livello e i lavoratori qualificati dei paesi terzi, ad esempio mediante "visti scientifici".

[29] Cfr. anche la sezione 5.1.3 sulla gestione della proprietà intellettuale.

Nella stessa ottica, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno degli studenti provenienti da paesi terzi. Per il 2003 è prevista un'iniziativa parallela per i ricercatori di tali paesi. L'Unione inoltre promuoverà maggiormente l'attrattiva delle università europee tramite le azioni di sostegno alla mobilità del Sesto programma quadro, che permetteranno di accogliere più di 400 ricercatori e dottorandi dei paesi terzi nelle università europee tra il 2003 e il 2006, e anche nel quadro dell'iniziativa "Erasmus World".

Domande per il dibattito

- Come rafforzare l'attrattiva delle università europee per i migliori studenti e ricercatori di tutto il mondo?

- Nel contesto della crescente internazionalizzazione dell'insegnamento e della ricerca, nonché dell'accreditamento a fini professionali, come dovrebbero cambiare le strutture, i programmi di studio e i metodi di gestione delle università europee affinché possano rimanere competitive o divenirlo nuovamente?

5.3.2. Lo sviluppo locale e regionale

Le università sono presenti in tutte le regioni dell'Unione. Le loro attività hanno spesso un'importante irradiazione locale a livello economico, sociale e culturale, il che contribuisce a farne uno strumento allo stesso tempo di sviluppo regionale e di rafforzamento della coesione europea. Lo sviluppo di poli tecnologici e di parchi scientifici, la moltiplicazione delle strutture di collaborazione regionale tra industrie e università, l'elaborazione crescente di strategie universitarie di sviluppo regionale e le attività di messa in rete di università a livello regionale costituiscono altrettanti esempi di questa dimensione dell'attività universitaria.

La dimensione regionale dell'attività universitaria è dunque destinata a rafforzarsi, tenuto conto del suo ruolo essenziale nella realizzazione dell'Europa della conoscenza, in particolare nella prospettiva dell'allargamento. L'Unione europea sostiene questi sviluppi, in particolare tramite i fondi strutturali e il Sesto programma quadro.

D'altra parte, il ruolo svolto dalle università come fonte di competenze e catalizzatore di partenariati multipli tra soggetti economici e sociali, al centro di reti multiformi, è di un interesse molto particolare a livello regionale e locale.

Il maggiore coinvolgimento delle università a livello locale e regionale non dovrebbe però essere realizzato a spese della loro apertura internazionale e del miglioramento costante della loro eccellenza in materia di ricerca e istruzione. Questi fattori restano indispensabili, e in concreto permetteranno alle università di contribuire in modo ancor più efficace allo sviluppo del loro ambiente locale e regionale.

Domande per il dibattito

- Come e in quali settori le università possono rafforzare il proprio contributo allo sviluppo locale e regionale?

- Come rafforzare lo sviluppo di poli della conoscenza che associno a livello regionale i vari protagonisti della produzione e del trasferimento di conoscenze?

- Come rafforzare la dimensione regionale nei progetti e programmi europei di ricerca, istruzione e formazione?

6. CONCLUSIONE

La presente comunicazione fa un certo numero di constatazioni che riflettono il cambiamento profondo vissuto dal mondo universitario europeo. Rimaste per lungo tempo un universo relativamente isolato, tanto dalla società che sul piano internazionale, con finanziamenti assicurati e statuti protetti dal rispetto della loro autonomia, le università europee hanno trascorso la seconda metà del 20° secolo senza rimettere davvero in discussione il proprio ruolo o la natura del loro contributo alla società.

Le trasformazioni che subiscono oggi, sempre più intensamente da dieci anni a questa parte, spingono a porsi una domanda fondamentale: le università europee nella loro forma e nella loro organizzazione attuale possono sperare di mantenere nel futuro il proprio posto nella società e nel mondo?

Per arrivare al ruolo di economia e società della conoscenza competitiva e dinamica cui aspira, l'Europa ha assolutamente bisogno di un sistema universitario di prima classe - con università riconosciute universalmente come le migliori nei vari campi di attività e nei vari settori che le contraddistinguono.

Le domande formulate in questo documento si prefiggono di aiutare a determinare le azioni da intraprendere per muovere nella suddetta direzione nel contesto di un'UE allargata.

Tutte le parti interessate - istituzioni, pubblici poteri, individui o associazioni rappresentative - sono invitate a comunicare i propri punti di vista al riguardo, nonché le proprie esperienze e "buone pratiche".

7. COME CONTRIBUIRE?

La Commissione intende fare il punto dei contributi al dibattito ricevuti fino alla fine del mese di maggio 2003. Detti contributi possono essere inviati a uno dei due indirizzi dedicati di posta elettronica:

- eac-consult-univ@cec.eu.int

- rtd-consult-univ@cec.eu.int

Possono inoltre essere inviati fisicamente a:

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